Tales Of Celestis - La Città delle Nebbie (Seconda Parte)

di Carlos Olivera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Seconda Parte ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** 1 ***
Capitolo 4: *** 2 ***
Capitolo 5: *** 3 ***



Capitolo 1
*** Seconda Parte ***


SECONDA PARTE

LA TOMBA DELL’AMBIZIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli Uomini Fanno La guerra,

Il fato decide chi vince

(Proverbio Italiano)

 

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Capitolo 2
*** Prologo ***


PROLOGO

 

 

C’erano momenti in cui Sharif odiava con tutte le sue forze il suo lavoro.

In una nazione come Alepto, dove deserti sconfinati e distese brulle coperte di ulivi la facevano da padroni, vi era un gran numero di cittadine e piccoli centri urbani disseminati qua e là lungo le vecchie piste coloniali, realtà troppo piccole per essere interessate dalle rotte aeree o dalle linee ferroviarie ad alta velocità.

Così diventava indispensabile il ruolo del Coordinatore Distrettuale, veri e propri burocrati tuttofare che percorrevano incessantemente la nazione da un capo all’altro portando disposizioni, amministrando la burocrazia ed assicurando il pieno controllo del Paese da parte delle autorità centrali.

Persino la MAB si serviva di loro per amministrare la giustizia e la sicurezza nei distretti più periferici, e a Sharif in particolare era già capitato in passato di dover lavorare per l’Agenzia, trasportando documenti o coordinando, a volte personalmente, il trasferimento di qualche detenuto o criminale in attesa di giudizio.

Ma in realtà il lavoro che Sharif aveva fatto più spesso, e che stava compiendo anche in quell’occasione, era quello di un semplice supervisore e coordinatore.

A quattrocento anni dall’inizio della colonizzazione vi erano ancora insediamenti che di tanto in tanto spuntavano come funghi in varie parti del deserto, il più delle volte a seguito della scoperta di nuovi pozzi o giacimenti minerari, senza contare le grandi proprietà agricole che sorgevano nelle regioni brulle ma fertili un po’ più vicino al mare, e che alle volte arrivavano a costruirsi intorno piccole metropoli.

La regione centro-occidentale di Alepto, profondamente incuneata nel cuore di Kariya, era certamente la più inospitale e proibitiva; null’altro che interminabili distese di sabbia, basse dune e rocce che sporgevano qua e là, colonne di pietra alte e massicce simili a mastodontiche punte di lancia piantate nel suolo dalla mano di qualche gigante.

Eppure, anche lì qualcuno era riuscito a trovare un motivo per volersi fermare; qualche anno prima erano stati scoperti nella zona ricchi giacimenti aurei, e come mosche attirate dal miele un piccolo esercito di avventurieri aveva immediatamente costruito un insediamento nella zona delle miniere edificando da un giorno all’altro il villaggio di Tarohua.

Ed era lì che Sharif era diretto; il suo compito sarebbe stato di mappare e censire l’insediamento, oltre ad accertare la presenza al suo interno dei servizi minimi indispensabili nell’attesa che le autorità centrali si adoperassero per realizzare strutture adeguate.

Non era la prima volta che in quarantenne impiegato affrontava viaggi così lunghi e lontani dalla benché minima traccia di civiltà, ma di certo non gli era mai capitata una tale sequela di sfortune come quella che lo aveva portato a vagabondare, di notte e da solo, per una stradaccia dissestata e piena di buche nel bel mezzo del nulla.

Prima il treno che avrebbe dovuto portarlo a soli cento chilometri dal paese in questione era stato costretto a deviare per colpa dell’ennesimo guasto alla linea ferroviaria, costringendolo a prendere a noleggio un vecchio macinino da un rivenditore d’auto usate che odorava di truffatore lontano un miglio, quindi, per concludere, il navigatore si era quasi certamente rotto, spedendolo chissà dove dopo quasi nove ore di viaggio.

«Ma dove diavolo sono finito?» brontolò cercando di controllare la mappa virtuale proiettata sul parabrezza dal suo comunicatore

Poi, un dosso più accentuato degli altri si portò via quanto restava delle sospensioni anteriori, e percorsi pochi metri sul semiasse dopo un violento sobbalzo la macchina andò a sbandare, fermandosi, sul bordo della strada.

«Pezzo d’occasione!» tuonò l’impiegato fuori di sé. «Sì, ma per la discarica!»

Sceso furente dall’auto provò a constatare se c’era qualche possibilità di farla ripartire, ma accertata la gravità del danno poté solo rivolgere altre imprecazioni a quel rigattiere da due soldi immaginando il momento in cui gliel’avrebbe fatta pagare.

«Aspetta e vedrai, maledetta carogna! Appena torno alla civiltà ti mando un’ispezione fiscale, e poi vediamo chi riderà!»

In realtà, da ridere in quel momento c’era ben poco.

L’assenza di ripetitori in quella zona impediva di mettersi in contatto per chiedere aiuto, e Sharif non era sicuro che  il sistema di emergenza satellitare installato in quel vecchio macinino fosse stato in grado di inviare il segnale d’aiuto. Inoltre, anche nel caso in cui ciò fosse davvero accaduto, ci sarebbero volute almeno sei ore prima di veder arrivare qualcuno, e come fosse sorto il sole quel fazzoletto di deserto si sarebbe tramutato in una fornace.

Non poteva fidarsi di quel rottame.

Doveva trovare il modo di comunicare con l’esterno personalmente; quindi, lasciata la macchina, alla luce di una torcia si avviò a piedi verso una piccola formazione collinare a destra della strada, distante non più di qualche centinaio di metri. Forse, salendoci sopra sarebbe riuscito ad avere abbastanza segnale per usare il comunicatore.

La notte era calma e silenziosa, e l’assenza di qualsiasi fonte luminosa permetteva alla luce pallida di Neos e a quella azzurro luminescente di Erithium di riflettersi come in uno specchio sulla sabbia liscia, colorandola come una enorme tavola da disegno.

Ma nel deserto, e questo Sharif avrebbe dovuto saperlo, le distanze potevano risultare ingannevoli, e invece di pochi minuti impiegò quasi due ore per riuscire, finalmente, a raggiungerle.

Poi, nel momento in cui fu abbastanza vicino, vide qualcosa che lo colpì: da oltre il crinale, tenue ma costante, giungeva una luce, forse artificiale.

Il che era molto strano.

A dare retta alle mappe, non vi erano né insediamenti provvisori né stazioni di alcun genere in quella zona, e certamente nessun villaggio o cittadina.

Rinvigorito dalla curiosità, Sharif trasse le forze necessarie per dare la scalata a quel piccolo, e a conti fatti neanche troppo alto, scivolo roccioso, poggiando di tanto in tanto le mani sulla pietra per aiutarsi nella salita.

Poteva trattarsi di qualche carovana, e in quel caso sarebbe stata davvero una benedizione.

Il deserto poteva essere un luogo molto pericoloso, e non era raro che gruppi di mercanti o viaggiatori formassero delle grandi comitive per affrontare i viaggi più pericolosi, specie se la destinazione era qualche Paese straniero oltre la Gola, senza contare che le rotte migratorie dei Tugus non dovevano essere troppo lontane da lì data la vicinanza al confine.

La speranza di trovare una inaspettata traccia di civiltà, per quanto arcaica, spinse Sharif a mettere ancor più vigore nelle gambe indolenzite per le molte ore di treno e di macchina, ma quando, dopo un lungo incedere, si ritrovò improvvisamente alla fine della salita, la scena che si aprì dinnanzi a lui lo lasciò impietrito.

Più in basso, la vallata, piatta e sterminata, rifulgeva alla luce delle due lune.

Enormi quadrati luminosi scintillanti di un debole ma costante bagliore blu, simile per intensità a quello emesso continuamente dalla luna Erithium, emergevano dal terreno sassoso ad uguale distanza l'uno dall'altro, divisi tra di loro da un preciso dedalo di stradine che formando una rete confluivano tutte verso il centro, verso una grande casa in stile coloniale arroccata su di una bassa montagnola.

Sharif restò a fissarlo a lungo, attonito e inebetito.

Aveva visto già altri campi come quello nel corso dei suoi viaggi, e molti li aveva anche ispezionati, ma nessuno aveva mai raggiunto dimensioni simili; dovevano essere come minimo cinque ettari.

E poi, che ci faceva in un posto simile? Non aveva mai sentito di piantagioni in quella regione, eppure aveva sempre pensato di conoscere ogni singolo latifondo di Alepto come il giardino di casa sua.

Di colpo, uno strano brivido gli attraversò la schiena, e mentre cercava di fermare un fastidioso tremore alla mano che lo tormentava fin da bambino nei momenti di tensione un rumore sordo, come uno scatto metallico, risuonò alle sue spalle.

Il primo colpo raggiunse la spalla, forse per colpa del buio, ma il secondo fu molto più preciso, e grazie all’incantesimo disgregante che avvolgeva le pallottole del contabile Sharif Abbas, prima ancora che il suo corpo già privo di vita potesse cadere a terra, non rimase che polvere.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Eccoci qui dunque con la seconda parte di “La Città delle Nebbie”.

In realtà, più che di una seconda storia, si potrebbe parlare piuttosto di una seconda parte, come il titolo stesso lascia intendere.

Su consiglio della mia beta di fiducia, infatti, ho deciso di “snellire” la narrazione creando tre storie distinte corrispondenti alle tre parti in cui è divisa la vicenda (Il Regno di Cristallo, La Tomba dell’Ambizione e Il Cimitero delle Aquile), anche per non terrorizzare eventuali nuovi lettori che spaventati dal numero di capitoli potrebbero decidere di non avventurarsi nella lettura: già sento di averne pochi^^

Ecco, per ora è tutto.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 3
*** 1 ***


32

 

 

Con la morte di Timur e la distruzione di buona parte del suo dominio della droga, i laboratori e gli altri centri di produzione della lilith come di molti altri stupefacenti, come previsto, erano andati nel panico.

Privati di una catena del comando, i capi delle singole installazioni sfuggite alla prima retata avevano speso le settimane successive cercando di riorganizzarsi, ma non potendo più contare sulla propria solida rete di silenzio e di fiancheggiatori riuscire a stanarli si stava rivelando molto più facile.

In media veniva smantellato un centro alla settimana, anche se le stesse autorità di polizia si mostrarono sorprese da quale sterminata organizzazione l’ormai defunto priore fosse stato capace di mettere in piedi.

A rendere la situazione ancor più complessa vi era poi il fatto che molti di questi centri si erano mutati in piccoli fortini, equipaggiandosi con sistemi di sorveglianza e armi di vario genere, il che rendeva quasi sempre necessario l’intervento del TMD o delle Forze Speciali.

Benché in teoria il caso, per quanto li riguardava, fosse ormai da considerarsi chiuso, non era raro che anche Carmy e i suoi compagni prendessero parte ad alcune di queste operazioni, soprattutto se si trattava di installazioni particolarmente grandi e ben difese.

Una mattina di inizio autunno, poco prima del sorgere del sole, era toccato ad un centro di smistamento e di spaccio, situata in un vecchio capannone in disuso nell’area portuale a nord della città.

Doveva essere un lavoro come tanti altri, ma qualcuno doveva aver passato una soffiata, perché al loro arrivo le Forze Speciali e il piccolo distaccamento della Polizia Militare avevano trovato gli occupanti impegnati a tentare in tutta fretta di ripulire il laboratorio, e ne era nato un piccolo scontro a fuoco.

Approfittando della situazione il responsabile di quel centro aveva cercato di darsela a gambe passando dal retro, ma come fece per defilarsi lungo la stradina che passava dietro il capannone qualcuno gli saltò addosso piombando giù da una delle finestre del primo piano.

Neanche il tempo di rotolare sull’asfalto bagnato e rimettersi in piedi, che l’uomo si ritrovò a tu per tu con una giovane agente di polizia che lo teneva sotto il tiro della pistola.

«MAB, non ti muovere!» gli intimò Carmy rialzandosi assieme a lui.

Quello dapprima parve voler tentare qualcosa, ma dinnanzi all’arma puntata si risolse infine ad alzare le mani. A quel punto Carmy, peccando di eccessiva sicurezza, commise l’errore di lasciare la pistola con una mano per recuperare le manette, e come la vide distogliere per un istante lo sguardo il trafficante riuscì ad sottrarle l’arma.

Il riconoscimento genetico gli impediva di usarla, e allora gettatala via l’uomo sfoderò un grosso coltello, dinnanzi alla quale tuttavia la giovane agente restò immobile, e a prima vista per nulla intimorita. Partirono due assalti, cui Carmy replicò schivando i vari affondi, fino a che un fendente non minacciò di colpirla arrivando dall’alto.

«Panzer Fleisch

Grazie all’incantesimo la sua mano divenne dura come la roccia, tanto da permetterle di afferrare l’arma per la lama e strapparla di mano all’aggressore, che nel perderla scivolò drammaticamente in avanti.

«Shock bomb!» ordinò la giovane agente, e folgorato dalla scarica di energia che gli venne scagliata addosso sottoforma di un globo elettrico il fuggitivo crollò inerme in posizione fetale.

«Sei in arresto per produzione e spaccio di droga.» disse prima ancora di riprendere fiato

Vedendola tornare poco dopo all’ingresso del capannone con qualche livido per la caduta e sbattere, non senza veemenza, il fuggitivo sul blindato, Cane e Lucas si lasciarono sfuggire un sorrisetto divertito.

«Che fine ha fatto la ragazzina tutta acqua e sapone che è entrata nella polizia militare sei mesi fa?»

«Ho imparato dai migliori.» sorrise lei

 

Tornata al commissariato, e su pressione dei suoi compagni, Carmy si attardò un momento per passare in infermeria, trovando ad attenderla al suo ritorno in ufficio una gradita sorpresa.

«Vieni, presto» le disse Lucas affacciandosi dal box. «C’è il Capitano in collegamento.»

«Arrivo subito!»

La ragazza fece appena in tempo ad entrare prima che il mezzobusto di Alexia, parzialmente nascosta sotto le coperte di un elegante e morbido letto, comparisse sul monitor affisso alla parete.

I segni dei molti interventi chirurgici cui il Capitano aveva dovuto sottoporsi erano ancora evidenti; il braccio destro era completamente fasciato, così come parte della testa, e sicuramente sotto la giacca verde acqua del pigiama portava un supporto per sostenere il peso del corpo in attesa della completa rigenerazione vertebrale.

In un certo senso aveva un po’ stupito tutti il fatto che, dopo essere stata dimessa dall’ospedale, Alexia avesse accettato l’invito della madre di andare a spendere parte del proprio congedo momentaneo in attesa della guarigione in una delle molte residenze di campagna di proprietà della sua famiglia, lontana da Kyrador e dalle noie del suo lavoro.

Ciò nonostante, almeno una volta a settimana, il Capitano chiamava i suoi subalterni per rassicurarli delle sue condizioni, ma soprattutto per accertarsi che la squadra se la stesse cavando egregiamente, visto e considerato che le sue attuali condizioni le avrebbero impedito un completo ritorno in servizio prima di sei mesi.

«Signor Capitano» disse Cane salutandola platealmente. «La trovo in splendida forma.»

«Non sei spiritoso» sorrise lei. «Comunque non mi posso lamentare.»

«Com’è la campagna, signore?» chiese Lucas

«Tranquilla. Rothbury non sarà il posto più sperduto di Celestis, ma è senza dubbio un’altra cosa rispetto a Kyrador. Anche se in verità, da quando sono qui non ho conosciuto altro luogo che questa camera da letto.»

«Come vanno le sue ferite, Capitano?» domandò Carmy

«Abbastanza bene. Secondo i medici sto guarendo a vista d’occhio. Potrei perfino tornare in servizio prima del tempo.»

«Non si sforzi, Capitano. In fin dei conti, si è fatta molto male.»

«Carmy, di madre ne ho già una, e mi basta.»

«Scusi, non volevo…» balbettò allora lei arrossendo e distogliendo lo sguardo

«Ecco, questa è la Carmy che conosco.» disse Alexia con un sorriso

«Le giuro Capitano, a volte la nostra Carmy sembra quasi un’altra persona» disse Lucas. «Forse potrebbe fare un pensierino sul suo conto e promuoverla al posto di qualcuno che ben conosciamo.»

La risposta a quella battuta fu per Lucas una punta di scarpa dritta sulla tibia, tanto che l’agente dovette stringere i denti per non mugugnare di dolore.

«Non si preoccupi, signor Capitano» sentenziò invece Cane gonfiando il petto. «Il suo posto è ben coperto. Come ha detto la nostra qui presente Carmy, lei pensi solo a rimettersi e guarire.»

«Non ti ci abituare troppo, Cane. Sarà solo per pochi mesi.»

«Cercherò di fare del mio meglio.

Intanto, abbiamo già ottenuto dei buoni risultati.»

«Ovvero?»

«Nelle ultime tre settimane abbiamo smantellato quattro tra laboratori e locali adibiti allo spaccio» spiegò Lucas. «E abbiamo arrestato quasi tutti i capi della chiesa dell’Ottavo Distretto sfuggiti alla prima retata.

La Chiesa di Ela ha ufficialmente disconosciuto l’operato di Timur e dei suoi alleati, ma la reputazione del culto ormai è rovinata, e gli ci vorrà parecchio tempo per ricostruirla.»

«Le teste mozzate stanno andando ognuna per conto proprio, ma non c’è più la stessa ferrea organizzazione di prima. Ormai è solo questione ti tempo» intervenne Cane, che però un attimo dopo parve incupirsi. «Anche se temo che servirà ben altro per arrestare la diffusione della lilith

«Ne sono consapevole. Purtroppo, i timori della polizia erano fondati. È chiaro che Timur non era il solo a garantire il rifornimento di grossi quantitativi di droga all’interno di Kyrador, per non parlare delle altre città.»

«La droga in circolazione è certamente diminuita, ma non tanto quanto si sperava» osservò mestamente Carmy. «Incidenti anche seri continuano ad accadere con una certa frequenza, e ultimamente gli EDA stanno diventando più potenti.»

«Sì, l’ho saputo. Ne parlano anche nei notiziari. Ma è ovvio che il problema costituito dagli EDA non è legato soltanto alla lilith.

E il fatto che ora qualcuno abbia cominciato a fare uso di questa droga a fini di vero e proprio terrorismo non fa che rendere la situazione ancor più pericolosa.»

«Purtroppo,» disse Cane. «Da quando le Indagini Speciali hanno preso in mano l’inchiesta abbiamo pochissima libertà d’azione in questo senso. Ma se vuole sapere come la penso, è fuori di dubbio che alcuni di questi cosiddetti incidenti in realtà siano tutt’altro.»

«Dal punto di vista degli stati d’animo com’è la situazione lì a Kyrador

«C’è un po’ di tensione, ma nulla di straordinario» rispose Lucas. «Anche se la gente comincia ad essere preoccupata per tutti questi EDA.»

«Comincio a temere che chi ha architettato tutto questo voglia proprio far sì che la tensione continui a salire.

E purtroppo, se è davvero così, rivelare o meno la natura deliberata di alcuni di questi presunti incidenti non cambierebbe le cose.»

Carmy sentì il solito brivido alla schiena, ed anche i suoi compagni aggrottarono le sopracciglia in un’espressione preoccupata.

 

L’obitorio sulla quarantesima strada lavorava principalmente per conto della polizia cittadina, inoltre fungeva da sede di studio per l’università nazionale, ma non era raro che si occupasse anche di indagini affidate dalla MAB.

Di ritorno da una commissione nel vicino distretto Jake decise di farci un salto, desideroso di scambiare qualche parola con una vecchia amica e compagna di università.

«Alisa?» disse entrando nella sala autopsie del terzo livello sotterraneo, dove era certo di trovarla.

Come varcò la soglia, una figura in piedi dall’altro alto della stanza davanti ad un terminale si volse a guardarlo, e dinnanzi al giovane agente si materializzò da un momento all’altro il volto rotondo, quasi infantile, di una giovane donna, contornato da spumeggianti boccoli rossicci e impreziosito da grandi occhi blu.

Stretto tra i denti, e lasciato a penzolare vistosamente dalla bocca, la dottoressa Moraida mordicchiava come al solito uno dei suoi adorati bastoncini gommosi all’amarena; Jake non riusciva a ricordare una sola volta in cui non l’avesse vista intenta a succhiarne uno.

«Guarda un po’, se questa non è una sorpresa.» gongolò la giovane dottoressa prima di succhiare rumorosamente un altro strato del suo dolcetto

«Dovresti toglierti questo vizio.» commentò Jake riferendosi sia all’abitudine dell’amica di soccombere alla sua dipendenza in ogni dove, persino sul luogo di lavoro, sia al modo poco formale di mangiarli

«Sono sicura che non sei venuto qui solo per beccarmi sulle mie ben note manie.»

«Passavo da queste parti, e ho pensato di venirti a salutare. Non ci vediamo da quando sono partito per la stazione Ares.»

Lei si avvicinò, protendendo il busto in avanti fin quasi a sfiorargli la fronte, e dopo aver speso lunghi secondi a fissarlo quasi crucciata piegò le labbra in un grosso sorriso.

«Sei proprio come ti ricordavo. A quanto pare le vergate della Ares e il lavoro da TMD non hanno rovinato il tuo bel faccino, Jacky

«Ancora con questa storia? Io mi chiamo Jake

«Jacky è più carino. Quando andavamo al college sembravi quasi una ragazza» quindi gli tastò il polpaccio. «Ora i muscoli e il fisico non ti mancano. Sei diventato un vero soldato.»

«Tu invece sei rimasta la solita nerd con strani gusti e ancor più strane manie.» le fece il verso Jake indicando con lo sguardo un tavolo anatomico coperto da un telo

«È arrivato questa notte» rispose lei tornando seria. «Caso EDA. L’ennesimo. Ormai ne arriva uno ogni due giorni.

Anche se c’è qualcosa di strano.»

«Strano in che senso?»

Alisa chiamò una proiezione virtuale al centro della stanza, raffigurante due filamenti genetici che roteavano lentamente su sé stessi, ognuno di un diverso colore.

«Quello rosso è l’M-Code dell’EDA che sta riposando in questo momento sul mio tavolo. Quello verde invece proviene dall’EDA apparso il mese scorso all’università. Immagino ne avrai sentito parlare.

Noti niente?»

«Che sono entrambi ridotti ad un bordello?» disse quasi con spirito Jake dopo un momento di riflessione

«Certo, a prima vista possono sembrare due comuni filamenti genetici scombussolati da una overdose di energia che ha portato alla mutazione.

Sicuramente saprai che la mutazione EDA è dovuta ad uno scompenso magico-energetico all’interno dell’organismo che porta ad una momentanea scissione dell’M-Code e alla sua ricostituzione in modo del tutto casuale.

Invece, nel caso dell’EDA apparso all’università, la struttura dei nucleotidi della sequenza genetica, per quanto alterata, non appare così compromessa come nel caso degli altri EDA.»

«Vuoi dire che non vi è stata alterazione genetica?»

«No, no. C’è stata. E anche piuttosto violenta. Ma stranamente l’M-Code, a dispetto della notevole mutazione a cui è andato incontro, non ne è uscito eccessivamente compromesso.

Questo spiega anche perché, a leggere i rapporti, sia stato capace di reggere tutti quei colpi sprigionando nel contento un notevole potere offensivo.»

«Forse è stato solo un caso. Anche se non è stato ancora reso pubblico, pare che si sia trattato di un vero e proprio attentato terroristico. Hanno usato quel poveraccio come un cavallo di troia.»

«Un giorno o l’altro dovrò cercare di capire da dove viene questo modo di dire» commentò Alisa sfiorandosi il mento. «Lo usano tutti, ma nessuno sa bene quale ne sia l’origine.»

«Ad ogni modo, l’uomo che ha organizzato quel bell’esperimento mi è morto davanti agli occhi dopo essersi sparato un colpo in testa.

Quindi, è probabile che non ne rivedremo più di bestie simili.»

«Forse. O forse no.»

Riacquistata la serietà per la seconda volta, la dottoressa materializzò altre due sequenze genetiche.

«Questi due sono finiti sotto i miei ferri uno due settimane fa e l’altro martedì scorso. Stessa storia. Una mutazione significativa ma non così radicale.

E in entrambi i casi, il rapporto parla di EDA particolarmente coriacei.»

«Non ne sapevo niente. Deve essersene occupata un’altra squadra. Dove sono apparsi?»

«Su una nave da crociera appena salpata per New Aalborg e ad una fiera di collezionisti di cianfrusaglie terrestri.

Avrei voluto fare qualche altra analisi, ma i tuoi amici capoccia dell’Agenzia prima si sono presi i corpi e poi hanno secretato tutto.»

Questa volta fu Jake a toccarsi il mento, preoccupato e pensieroso, e un silenzio angosciante calò tra i due, mentre il rumore simulato di tutti quei filamenti genetici che roteavano su sé stessi riempiva la stanza come un insopportabile ronzio.

«Facendo questo lavoro,» concluse Alisa. «Ho imparato a non fidarmi mai delle coincidenze. Ma in questo momento, vorrei tanto sbagliarmi.

Chissà, forse è davvero soltanto un caso.» ma lei sembrava la prima a non crederci.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Finalmente, dopo tanto penare, sono riuscito a pubblicare questo primo capitolo.

Come vedete il numero del capitolo non corrisponde a quello reale; questo perché, come ho già detto, pur avendola pubblicata come nuova storia in realtà si tratta della continuazione della precedente, così ho preferito lasciare la numerazione originale.

Per ora è tutto

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 4
*** 2 ***


33

 

 

Jake voleva credere che fosse tutta una coincidenza, ma se era vero che due coincidenza erano un dubbio e tre erano una prova, allora c’erano parecchi dubbi ad aleggiare sull’intera questione.

Era evidente che l’attacco all’università non era stato altro che un banco di prova.

Gli esami condotti sul corpo dell’EDA abbattuto avevano evidenziato che il dosaggio di lilith presente nel sangue non era di molto superiore agli standard abituali, e le tracce di droga esaminate dalle squadre scientifiche non avevano trovato differenze di sorta con la lilith convenzionale che da mesi girava in città.

Una teoria abbozzata nel referto suggeriva l’introduzione nella formula di un enzima capace di quadruplicare gli effetti dannosi dell’esposizione per poi autodistruggersi, risultando quindi impossibile da identificare, ma in realtà nessuno si era riuscito a spiegare come un’iniezione di Lilith fosse stata capace di generare un simile mostro nello spazio di pochi attimi.

Per produrre un’EDA di quelle dimensioni serviva un’esposizione violenta e prolungata agli effetti della droga, o quantomeno vi si doveva associare uno shock magico di elevata intensità, che a detta degli esperti non si era verificato.

Ma la presenza di quel congegno di iniezione metteva ogni cosa sotto una luce diversa.

Che non si fosse trattato di un incidente era una cosa che sapevano tutti, almeno all’interno dell’Agenzia; Jake ricordava ancora il ribrezzo che aveva provato quando gli Affari Speciali avevano rilevato il caso, imponendo a tutti coloro che vi avevano avuto un qualche collegamento di non parlare in alcun modo dell’indagine e dei relativi risvolti, pena la corte marziale.

Il problema, secondo lui, era l’eccessiva rapidità con cui si era voluta chiudere la questione; tutto perché a seguito di altri incidenti piuttosto gravi verificatisi nei giorni a seguire non era stato ritrovato, a differenza del primo caso, alcun apparecchio di inoculazione, o qualunque altra cosa che potesse far pensare ad un deliberato atto terroristico.

L’opinione pubblica però sembrava sempre meno propensa a bersi tutte le storie di copertura inventate per mascherare i casi più dubbi, e ormai bastava camminare per strada per accorgersi che tutti quegli incidenti o presunti tali stavano iniziando a trasformare Kyrador in un calderone pronto a tracimare.

Persino la proposta di riforma delle leggi sulla diffusione della magia avanzata dal presidente Fujitaka non bastava a tranquillizzare i più scettici, senza contare che se da una parte c’era tanta gente che chiedeva a gran voce la riforma dall’altra vi erano altrettanti detrattori secondo i quali le leggi attualmente in vigore erano più che sufficienti, e che la soluzione al problema fosse da cercare da un’altra parte.

Jake sentiva di non essere nessuno per poter influire realmente sulla piega degli eventi, ma d’altro canto non riusciva a non ripensare agli occhi di quel prelato quando lo aveva visto morire. E poi c’erano quelle parole: quell’ultimo rantolo di agonia.

«M-o-n-a» ripeteva tra sé e sé ogni volta che ci pensava. «Che cosa avrà voluto dire?»

Aveva provato a chiedere indagini più approfondite, ma parlare ai capoccia degli Affari Speciali era come parlare al vento, e nessuno più di loro odiava che si mettesse il naso in una loro indagine, in corso o già archiviata che fosse.

Il giovane alzò gli occhi; i tunnel della linea rossa scorrevano a grande velocità oltre il finestrino, e il vagone della metro, intasato come al solito, era pieno di studenti, impiegati, casalinghe e altre persone, volti anonimi di una routine quotidiana che si ripeteva ininterrottamente giorno dopo giorno.

Persino il barbone o presunto tale che se ne restava in disparte nel punto più lontano della carrozza non appariva insolito; insolito semmai era il suo comportamento, oltre al colorito pallido che spingeva i più a tenere le distanze per non correre il rischio di prendersi qualche malattia.

Con l’andare dei minuti, però, le condizioni di quell’anonimo poveretto erano parse peggiorare, tanto che una donna che riportava a casa la propria bimba da scuola ebbe infine compassione di lui.

«Si sente bene?» domandò caritativamente. «Vuole che chiami qualcuno?»

Quello non rispose, quasi non l’avesse sentita, e qualche attimo dopo rovinò in ginocchio tossendo violentemente.

«Quest’uomo sta male! C’è un medico tra di voi?»

Istintivamente Jake si avvicinò per dare una mano, e come fece per cercare a sua volta di soccorrere l’uomo lo vide sputare all’ennesimo colpo di tosse un fiotto di sangue scuro che, al contatto con il pavimento freddo, parve quasi ribollire, mentre le sue mani e il suo volto andavano coprendosi di minacciose croste grigie.

«Maledizione!» imprecò tirando violentemente via la donna e la bambina. «State indietro!»

E fu un bene, perché all’improvviso quel tipo apparentemente così calmo e anonimo tentò di colpire tutti e tre con una violenta manata, per poi, subito dopo, trasformarsi urlando in un essere simile ad un gorilla, con una ributtante faccia squadrata e un braccio sinistro che, appoggiandosi ad una delle aste di sostegno, aveva finito per assimilarla, staccandola di netto e facendone una sorta di appendice metallica che spuntava da dietro il gomito.

Il panico nel frattempo si era già impossessato dei presenti, che correndo nella direzione opposta all’EDA cercavano disperatamente di lasciare la carrozza schiacciandosi l’uno con l’altro verso l’uscita.

Per fortuna Jake non si fece cogliere impreparato, e quando il mostro provò ad attaccare aveva già in mano il bastone d’ordinanza.

«Light Chain!» e le catene di costrizione si materializzarono tutto attorno all’EDA, immobilizzandolo e schiacciandolo al suolo.

Nel mentre qualcuno aveva avuto la saggia idea di tirare il freno di emergenza, e con l’apertura dei portelli la gente prese a scemare fuori dal treno, sagacemente direzionata dai controllori e dal macchinista tutta in una sola direzione.

Jake era convinto che il suo incantesimo costrittivo sarebbe stato più che in grado di tenere a bada l’EDA, ma all’improvviso quella maledetta creatura, in qualche modo, riuscì a liberarsi, dissipando le catene per poi sventrare un finestrino e gettarsi a sua volta fuori.

Tuttavia, forse spaventata dalla presenza del giovane stregone, la creatura rinunciò ad attaccare i passeggeri in fuga, allontanandosi invece a tutta velocità nella direzione opposta del tunnel.

«Chiami la polizia!» ordinò Jake al capotreno.

Servendosi dell’Ice Field, che permetteva di scivolare a pochi centimetri da terra come su di una pista di pattinaggio, Jake provò a raggiungere il fuggitivo, che tuttavia nonostante la mole si muoveva molto velocemente, spostandosi sia a due che a quattro zampe; e intanto, la stazione da cui l’agente era partito si faceva sempre più vicina.

«Sono il Tenente Aulas!» disse aprendo la linea privata con il quartier generale. «Abbiamo un nove-nove-uno in corso lungo la Linea Rossa della metropolitana. Probabile Classe Torre. Inviate subito una squadra TMD alla stazione di Iuraku

 

Iuraku, così chiamata per la presenza della sede centrale delle Iuraku Industries a pochi passi dal varco d’ingresso, era una delle stazioni più grandi della metro.

Da lì passavano quasi tutte le linee dirette verso la periferia e gli altri distretti centrali, e al primo e più alto dei suoi quattro livelli ospitava anche un piccolo centro commerciale, con negozi, ristoranti, fast food e anche una zona per bambini.

Sopraelevate, corridoi sospesi e passerelle univano tra di loro gli innumerevoli binari disposti a varie altezze, e sia sulle scale mobili che sulle banchine era un continuo andirivieni di gente, locali soprattutto, ma anche molti turisti, attratti dal vicino museo di belle arti, per non parlare dell’area accademica poco lontana che ospitava istituti scolastici di tutti i livelli, dalle elementari all’università.

Il bianco panna o l’azzurro brillante delle molte uniformi scolastiche indossate dalle studentesse spezzava il grigiore degli abiti da ufficio, creando un divertente mosaico in perenne movimento e trasformazione, e la calca, per quanto opprimente, risultava pervasa da un certo ordine istintivo, dettato da un’etichetta interiore insita in ogni abitante della città, il che rendeva i forestieri, e in special modo gli stranieri, facilmente riconoscibili.

Doveva essere una giornata come un’altra, ma d’improvviso di tramutò nel preludio ad una tragedia; preannunciato da un latrato sinistro, l’EDA sbucò da un momento all’altro da uno dei tunnel del livello più basso, raggiungendo con pochi balzi le banchine e dando subito il via ad una caccia forsennata contro tutto e tutti, avventandosi ora sui civili in preda al panico ora su bancarelle, cartelli e panchine, guidato più da una specie di furia cieca che lo spingeva a distruggere ogni cosa che dalla classica fame di energia tipica dei suoi simili.

Tra la gente scoppiò il caos, che divenne se possibile ancor più drammatico nel momento in cui qualche sciagurato in sala di controllo azionò la chiusura d’emergenza dei varchi, isolando ogni singolo livello ed imprigionando così diverse centinaia di persone sulle banchine.

Raggiungendo a sua volta la stazione Jake si trovò di fronte ad uno scenario da incubo, cui cercò di porre rimedio recuperando alcune armi speciali anti-EDA dal piccolo deposito in dotazione ad ogni luogo sensibile della città, cui ebbe accesso grazie al suo tesserino da sottufficiale.

Nonostante i proiettili e gli incantesimi che presero a venirgli scagliati addosso sia dal Tenente Aulas che dalle altre guardie di sicurezza il comportamento dell’EDA seguitò a risultare alquanto insolito, ma non per questo meno pericoloso; non obbedendo all’istinto naturale di colpire chi lo attaccava, infatti, il mostro continuava ad essere in pericolo anche per tutti i civili intrappolati.

Un dipendente delle ferrovie aveva avuto la buona idea di far salire tutti su ogni treno disponibile per allontanare i civili dalla stazione, e gli sforzi sia di Jake che di tutti quelli che lo stavano assistendo armi in pugno era proprio quello di distrarre l’EDA sia dai treni in partenza che da quelli che ancora cercavano di salire.

Tra questi vi era una coppia di turisti con le loro due figlie, una delle quali di appena sei mesi; la più grande, d’un tratto, perse la mano della madre, finendo a terra travolta dalla calca. Le sue urla richiamarono l’attenzione di un giovane uomo dal colorito scuro, portamento rispettabile e ben vestito, che mollata la sua valigetta tornò velocemente indietro e raccolse la piccola restituendola ai genitori.

Sfortunatamente anche l’EDA li aveva sentiti, e vedendolo dirottare la sua attenzione sulle nuove prede Jake, istintivamente, corse incontro alla creatura, assestandole una possente spallata che quasi gli ruppe una spalla ma che riuscì a distrarla il tempo necessario per permettere alla famiglia di scappare.

Il giovane che li aveva aiutati fece per accodarsi, ma poi si avvide che Jake aveva accusato il colpo, mentre invece la creatura si era già ripresa e si preparava a caricare. Un alone di luce lo avvolse, mentre un simbolo magico compariva sotto i suoi piedi.

«Castle of Stone!»

Il muro invisibile tra Jake e il nemico si formò in modo repentino, tanto che l’EDA, lanciato all’assalto, non ebbe neanche il tempo di fermarsi andando a sbattergli violentemente contro e restando tramortito.

Un’occasione irripetibile per Jake, che gettata via l’arma mise nuovamente mano al bastone.

«Thorn Net!»

Stavolta ad avvolgere l’EDA fu una selva di acuminati rovi, anch’essi fatti di luce, ma le cui protuberanze appuntite riuscirono senza difficoltà a perforare la spessa carne della creatura, avvinghiandosi ad essa e tenendolo così prigioniero.

Fortunatamente il comando non era troppo lontano, e proprio in quel momento la squadra chiamata ad intervenire raggiunse la metro, riuscendo ad avere ragione del mostro con pochi colpi ben piazzati che lo lasciarono a terra senza vita.

 

Alla luce del luogo e dell’ora in cui l’EDA si era manifestato, le stesse autorità chiamate a indagare sull’accaduto reputarono un miracolo che non vi fossero stati né morti né feriti gravi.

Il bilancio era di qualche decina di contusi e due passeggeri del treno rimasti feriti durante la fase iniziale dell’attacco, e nessuno nutriva dei dubbi sul fatto che la presenza di Jake fosse stata ciò che aveva permesso all’EDA di fare molte meno vittime di quelle che avrebbe potuto.

«Le dobbiamo davvero molto» disse il detective a capo della squadra di polizia. «Se non fosse stato per lei, avremmo sicuramente raccolto morti a decine.»

«Ho fatto solo il mio dovere.»

Mentre finiva di enunciare il proprio rapporto Jake, girati gli occhi, intravide il giovane in abito elegante che gli aveva salvato la vita nel mezzo dello scontro, visibilmente provato dall’esperienza ma fortunatamente illeso, e gli andò incontro.

«Sta bene?» gli domandò amichevolmente

«Spavento a parte.» rispose lui cercando di abbozzare un sorriso

«Ci tenevo a ringraziarla. Il suo Castle Of Stone mi ha proprio salvato.

È un soldato per caso?»

«Io!? Figuriamoci. Sono solo un avvocato» e detto questo presentò cortesemente il suo biglietto da visita. «Julius King. Molto piacere.»

«Tenente Jake Aulas. Il piacere è mio»

«Immagino sentirò parlare di nuovo di lei molto presto. Dopo quello che ha fatto oggi, una medaglia non gliela leva nessuno.»

«Non ho fatto niente di così speciale.»

«Si sbaglia. Ha salvato molte vite, inclusa la mia.»

«E lei ha salvato quella bambina. Diciamo che siamo pari.»

«Può darsi. Il mio studio è nel Quinto Distretto, vicino Lincoln Plaza, e gli altri miei recapiti sono sul biglietto. Semmai dovesse avere bisogno di qualcosa, mi faccia pure visita.»

Giusto il tempo di ricevere ulteriori ringraziamenti dalla famiglia cui aveva salvato la figlia e recuperare la sua valigetta, ed il signor King lasciò la metropolitana seguito con gli occhi da Jake.

 

Il dottor Deschil spense la sigaretta che stava fumando nel posacenere e sorseggiò un po’ del caffè che gli era stato portato in stanza.

In quanto capo del personale scientifico aveva una libertà di movimento pressoché assoluta, e poteva girare per l’installazione come meglio credeva, un privilegio negato alla maggior parte dei suoi colleghi, ma nonostante ciò preferiva di gran lunga consumare i propri pasti nella tranquillità dello studio attiguo alla sua camera da letto piuttosto che al refettorio, in tranquillità, soprattutto quando, come in quel momento, era in attesa di conoscere gli esiti di un esperimento.

La notte era trascorsa senza che qualcuno lo chiamasse, il che faceva ben sperare, ma il traguardo che i suoi superiori gli avevano prefissato era ancora ben lontano dall’essere raggiunto.

In quanto esperto genetista il dottore aveva sempre goduto di una certa notorietà all’interno dell’organizzazione, ed era certo che se il progetto al quale stava lavorando adesso fosse andato pienamente in porto la sua posizione ne sarebbe uscita più forte che mai.

Purtroppo però la ricerca non era partita nel migliore dei modi. La difficoltà legata alla realizzazione di quel progetto aveva prodotto solo nel corso dell’ultimo anno una lista interminabile di imprevisti ed insuccessi, e ormai il tempo a disposizione per arrivare alla soluzione andava esaurendosi, e assieme ad esso la pazienza di chi su quella ricerca stava spendendo fiumi di soldi.

Come se non bastasse, l’intero progetto poggiava su di un delicato equilibrio che poteva crollare in qualsiasi momento; sarebbe bastata una fuga di notizie, un evento inatteso o un qualsiasi altro imprevisto perché tutto andasse irrimediabilmente a monte.

Il dottore gettò un ulteriore sguardo all’orologio; erano da poco passate le otto e mezza.

Stava per rimettersi a lavorare alla luce della sua lampada da ufficio quando l’interfono si mise a trillare. I battiti del suo cuore si facevano sempre più irregolari mentre lasciava cadere la penna e premeva il pulsante per rispondere.

«Cosa c’è?» domandò

«Dottor Deschil.» rispose dall’altro capo il suo assistente e collega dottor Ki-jin Wong «Deve venire subito. Abbiamo un problema».

Con passo veloce e il respiro corto per la tensione il dottore lasciò la stanza e percorse i corridoi della base fino al laboratorio di ricerca.

Per poter entrare dovette indossare una tuta protettiva e passare attraverso quattro diverse porte di sicurezza, una per ogni livello in cui il laboratorio era suddiviso. Lì dentro c’era una tale quantità di agenti pericolosi a fluttuare nell’aria che persino per chi come lui non era uno stregone sarebbero bastati pochi secondi di esposizione per perdere il controllo.

Il dottor Ki-jin Wong lo attendeva davanti ad uno specchio magico lungo e stretto che dava su una stanza completamente spoglia dove vi era un ragazzo di venticinque anni o poco più legato ad un lettino d’ospedale polsi e caviglie e collegato a dei macchinari. Dal modo di vestire doveva essere un abitante dei bassifondi di qualche grande città; sembrava stare male, sudava abbondantemente e respirava a fatica. Attorno a lui altri uomini in tuta protettiva intenti a raccogliere dati e, all’apparenza, ad estrarre dal suo corpo quanto più sangue possibile.

«Che succede?» domandò guardando oltre il vetro

«Il Soggetto cinquantaquattro è entrato in fase critica. L’infezione si diffonde troppo in fretta e fatichiamo a recuperarla»

«Avete somministrato l’agente ritardante?»

«Sissignore, oltre al siero lenitivo per contrastare gli effetti cancerogeni sul DNA, ma non sta avendo effetto».

All’improvviso quel poveraccio lanciò un terrificante urlo di dolore, poi vomitò della secrezione e subito dopo prese ad agitarsi furiosamente come un condannato sulla sedia elettrica, tanto che i lacci faticavano a tenerlo fermo. I dottori che lo attorniavano di allontanarono da lui e scapparono dalla stanza appena in tempo; dopo pochi secondi infatti quello riuscì a liberarsi e cadde a terra, trascinandosi per un po’ come a cercare una salvezza per poi trasformarsi violentemente in un’EDA.

Il dottor Wong, che non era mai riuscito a fare a callo a simili visioni, sembrava sconvolto, mentre Deschil osservava la scena con evidente disappunto.

«Maledizione.» disse a denti stretti «Proprio quando pensavo che tutto stesse andando bene».

L’EDA cominciò quasi subito a tirare spallate e pugni in tutte le direzioni nel tentativo di liberarsi, ma le pareti della stanza erano fatte apposta per sopportare questo tipo di situazioni e resistettero senza problemi. I due dottori stettero ad osservarlo per un po’, poi Deschil fece un cenno al dottor Wong che, seppur spaventato e titubante, spinse alcuni pulsanti del tastierino a lato dello specchio. Le luci della stanza si spensero di colpo, e sul pavimento si materializzò un circolo magico che travolse l’EDA con una tale quantità di energia da farlo urlare con tutta la sua forza e riportarlo alla sua forma originaria. Lo shock però si dimostrò troppo forte, e quando, tornata la luce e spentosi il cerchio, le guardie entrarono nella stanza armi alla mano il soggetto cinquantaquattro era già morto.

«Quanti soggetti per le sperimentazioni ci sono rimasti?» domandò il Deschil quando furono entrambi fuori dal laboratorio e poterono togliersi i caschi

«Mi pare dieci, dottore. E siero per altre due settimane.»

«Troppo poco. Ci servono nuovi rifornimenti.»

«Dottore, ci siamo fatti procurare oltre cinquanta cavie solo negli ultimi tre mesi, e i nostri nuovi canali non sono ancora sicuri. Se continuiamo di questo passo rischiamo di perdere altri fornitori.»

«Quando c’è in ballo qualcosa di simile non si può arrivare alla soluzione senza prendersi qualche rischio.» rispose secco il dottore accendendosi un’altra sigaretta «Passate l’ordine. Voglio almeno venti soggetti e trecento soluzioni di siero entro la fine della settimana prossima.»

«Ma, dottore…»

«E comunque non sono io a fissare le scadenze, dottor Wong. Devo forse ricordarle che abbiamo dei tempi da rispettare?».

Il suo sguardo non lasciava adito a dubbi o possibilità di controbattere, e Ki-jin si affrettò a cucirsi la bocca.

«Come ordina, dottore.» rispose semplicemente

«Chiama i nostri contatti.» disse il Deschil lasciando il laboratorio «Che si rimettano subito al lavoro. Ed elimina quello schifo prima che impesti tutto il centro».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Finalmente, anche se con un po’ di ritardo, sono riuscito a finire questo nuovo capitolo.

Ci ho messo un po’ e me ne dispiaccio, ma cercherò di essere più puntuale da ora in avanti.

Da ora in poi la storia tornerà a dividersi in due tronconi, con la differenza che questi due rami si ritroveranno ad agire spesso in teatri e situazioni molto diverse tra loro, senza che questo impedisca però loro di arrivare, finalmente, ad intersecarsi.

Il personaggio di Julius King è stato creato dalla mia affidabilissima e affezionatissima beta-reader Ely per la sua storia Spin-Off “The L Factor”, e da ora in poi la sua sarà una presenza di un certo peso all’interno della storia, a testimonianza di quanto abbia apprezzato il suo lavoro.

Potete trovare la storia a questo indirizzo

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2807816&i=1

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 5
*** 3 ***


34

 

 

Il Rudy’s Bar era il ritrovo per eccellenza dei membri della Polizia Militare, e già a partire da metà pomeriggio era solito riempirsi di divise nere che affollavano i tavolini in legno di faggio o si radunavano attorno ai molti tavoli da biliardo, il tutto sotto il costante rimbombo degli amplificatori che mandavano musica jazz.

Tutto lì dentro richiamava la storia secolare dell’Agenzia e le gesta gloriose dei suoi membri, con la parete alle spalle del bancone tappezzata delle foto di coloro che avevano dato la vita nell’esercizio dei propri doveri.

Rudy, il proprietario, era stato anche lui un poliziotto, fino al giorno in cui un incidente in servizio non gli era costato una gamba, costringendolo ad un doloroso congedo anticipato; così, per non restare troppo lontano da quel lavoro che tanto amava, aveva aperto quel locale, che negli anni era divenuto a tal punto frequentato sia dai poliziotti che da altri membri dell’Agenzia da diventare quasi un’ulteriore sede distaccata della MAB a due passi dal quartier generale della Polizia Militare.

Cane e Lucas ci andavano regolarmente almeno una volta a settimana, e da qualche tempo anche Carmy era solita accompagnarli alla fine del turno di lavoro.

Per la giovane O’Neill non era un’atmosfera nuova; fin da molto piccola aveva conosciuto la vita briosa e talvolta sopra le righe di quel genere di posti frequentando con suo padre il pub dello Zio Finch, come lei lo aveva sempre chiamato, nella piazzetta centrale di Mablith.

Tra una partita ed un boccale in compagnia la serata scivolava piacevolmente fino a notte inoltrata, ma quella sera Carmy sembrava avere altro per la testa; né la birra scura ghiacciata al punto giusto, né tantomeno la telecronaca in diretta dell’incontro di First League tra il West Ham Kyrador e il City Midgral che aveva raccolto una gran folla attorno al maxischermo riuscivano a scuoterla, e come sorda al vociare confuso, alla musica e agli improperi degli spettatori ad ogni rete mancata se ne restava con lo sguardo rivolto al tavolo e le mani poggiate malamente attorno al bicchiere sormontato di schiuma.

«Hai dimenticato la testa in ufficio per caso?» le domandò Lucas prendendo a prestito l’umorismo spicciolo del collega

«Non capisco, è tutto così strano» rispose lei come parlando a sé stessa. «Continuiamo a trovare locali e indirizzi riconducibili a Timur e ai suoi sostenitori. Come è riuscito a mettere in piedi una simile rete di edifici e centri di vario tipo? E soprattutto, a cosa gli servivano?»

«No, ti prego, adesso no» distese le braccia Cane. «Abbiamo staccato mezz’ora fa. Sono venuto qui per ubriacarmi, non per fare gli straordinari.»

«Tutti quei magazzini. Tutti quei depositi. Quelle montagne di corrieri, fiancheggiatori e prestanome. È impossibile che gli servissero solo per la produzione e lo spaccio della Lilith. Secondo me aveva le mani in pasta anche in altre cose.»

«Quelli come lui ci sguazzano nella criminalità, Carmy» tagliò corto Lucas. «Avrà trovato il modo di fare soldi extra e si sarà fatto invischiare in altri affari poco puliti.

Sai che ti dico? Visto tutta la melma in cui nuotava, mi sorprende che sia vissuto tanto a lungo. Quando si ha a che fare con simili ambienti di solito se ne può uscire in due soli modi, con le manette o morti ammazzati.

Se non altro lui ha avuto la decenza di suicidarsi.»

«E se non si fosse realmente suicidato?»

«E se io avessi le ali sarei un bel fenicottero» rise sarcastico Cane, alla sua terza birra e già un po’ alticcio. «Andiamo Carmy, la balistica lo ha detto a chiare lettere. Si è sparato con la sua pistola. Quella caverna aveva una sola entrata ed una sola uscita, e a parte lui non c’era nessun altro.»

«Ma sappiamo bene che esistono incantesimi che permettono di esercitare il controllo sui corpi altrui, e persino sulla volontà.

L’hand to hand, il Kaiser Command, lo Zhi Yan. Potrebbero averlo spinto a suicidarsi per non farlo cadere vivo nelle mani dell’Agenzia con il rischio che potesse parlare.»

«A parte il fatto che si tratta di incantesimi illegali, dove avrebbero trovato qualcuno così esperto da poter utilizzare sortilegi di questa complessità? Nemmeno il Capitano sarebbe capace di fare una cosa del genere.»

«Avete ragione» ammiccò complice la giovane. «Solo qualcuno dotato di eccezionali capacità magiche sarebbe capace di utilizzare incantesimi per il controllo del corpo e della volontà altrui.»

Intercettato per primo quello sguardo, Lucas si bloccò come pietrificato, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.

«Come un militare…» balbettò quasi parlando al vento

Cane ebbe un attimo di tentennamento, quindi si passò rumorosamente le mani sulla faccia nel tentativo di scacciare i postumi della sbornia.

«Ti rendi conto di quello che stai dicendo?»

«Carmy, tu pensi sul serio che potrebbe esserci di mezzo qualcuno dell’Agenzia!?»

«Non ho detto questo. Però è una possibilità. Solo militari e maestri di magia di alto livello possiedono le conoscenze e l’abilità necessarie per fare uso di questo tipo di incantesimi. Del resto non sarebbe la prima volta che membri dell’Agenzia o delle Forze Armate caldesiane si fanno coinvolgere in questioni poco pulite.»

«Abbassa la voce, per il cielo!» strillò Cane con un tono più alto del suo. «Hai dimenticato dove siamo?» quindi si calmò, o almeno ci provò. «Secondo me stai discutendo di nulla. Non hai le prove che si sia trattato di un suicidio indotto.»

«Possiamo trovarle.»

I due uomini si scambiarono un’occhiata più che eloquente, tornando poi a concentrarsi su Carmy.

«Non mi piace quello sguardo» mormorò Lucas. «E comunque, dal momento che è impossibile stabilire o meno se Timur sia stato forzato a suicidarsi, sono costretto a dare ragione a Cane. Queste sono teorie che in ogni caso non possono essere verificate.»

«Ma se appurassimo che Timur era effettivamente coinvolto in qualcosa di più grande del semplice spaccio della Lilith, qualcosa di più grande che potrebbe non essere morto con lui, allora forse…»

«Forse! Se!» sbottò nuovamente Cane ingurgitando la sua birra tutta d’un soffio. «L’ho già detto, forse se avessi le ali io sarei un ben fenicottero! E comunque ora il caso è passato agli Affari Speciali!

Punto!»

Carmy dapprima cercò con lo sguardo un ennesimo aiuto da parte di Lucas, ma dinnanzi al suo silenzio poté solo raccogliere la giacca dell’uniforme e andare via a capo chino, ferita ma non doma nelle sue convinzioni.

Qualche minuto dopo che se n’era andata, dalla pesante porta di faggio sopraggiunse un giovane tenente che subito attirò su di sé applausi scroscianti da parte di alcuni dei ragazzi dei reparti speciali e dei corpi d’assalto, cui rispose con un sorriso imbarazzato.

«Ecco l’eroe del giorno!» esclamò Rudy. «Vieni, vieni! Per te oggi offre la casa!»

«Avanti, così mi farai morire di vergogna.»

«Se non ti ha fatto secco un’EDA di Classe Torre in uno scontro uno contro uno, qualche complimento non ti ucciderà di certo» rispose uno dei presenti innaffiandolo con il proprio cocktail

«Ha ragione. Hai avuto due palle d’acciaio nel fare quello che hai fatto, e se tutte quelle persone sono uscite vive da là sotto lo devono esclusivamente a te.»

Cane e Lucas seguivano la scena in disparte, incuriositi e un po’ perplessi.

«Chi è?» chiese Cane

«Credo sia quello che ha risolto l’incidente di stamattina in metropolitana.»

«Ah, sì. Aulas

L’interessato, però, non sembrava così euforico e di buonumore come ci si sarebbe potuti aspettare; al contrario, appariva ancora piuttosto pensieroso.

«Che ti prende?» domandò allora Rudy appena la situazione si fu un po’ acquietata. «Dovresti essere in un bagno di rose. Hai salvato un centinaio di persone e risolto un incidente EDA praticamente da solo. Se non ti danno una promozione stavolta, non so quando dovrebbero.»

«Non è per questo. È solo che… quell’EDA era molto strano.»

«Strano in che senso?»

«Non lo so…» rispose lui agitando distrattamente il bicchiere di whiskey «Ma il suo modo di fare… come posso dire… sembrava impazzito.»

«Quale EDA non lo è? Sono animali.»

«È proprio questo il punto. L’EDA di solito attacca chiunque ritenga una minaccia.»

«Figurati se non lo so. Ho sparato ad uno di quei mostri, e quello mi ha praticamente mangiato una gamba.»

«E se non percepiscono pericoli attorno a sé, si concentrano esclusivamente sulla ricerca di cibo.

Eppure, questo EDA non l’ha fatto. Aveva davanti a sé molte vittime potenziali e solo io come minaccia concreta, eppure ha scelto di spostarsi verso la stazione.»

«Non lo trovo strano. Più persone, più carne fresca.»

«Ma non ha attaccato quasi nessuno. Si è scagliato contro tutto quello che gli capitava a tiro, concentrandosi su di noi solo quando lo attaccavamo.

Per questo ha fatto così poche vittime.»

Rudy si passò una mano sulla vecchia cicatrice, come faceva sempre nei momenti di nervosismo o indecisione.

«Pensandoci, un po’ strano lo è. Ne hai parlato coi superiori?»

«Sì, e l’ho anche scritto nel mio rapporto. Ma sinceramente dubito che ne terranno conto, con tutti gli EDA che stanno comparendo in città in questo periodo. Per loro è stato un incidente come un altro.»

«Chissà, forse è così.»

Alla risata del barman Jake fece seguire un sorriso stentato, cercando per quanto possibile di convincersi che, forse, la sua era davvero solo una fissazione.

 

Harlow ormai si era abituato a vedere Vyce entrare nel suo ufficio ogni volta un po’ più nervoso, per non dire arrabbiato, ma quel giorno il Capitano sembrava anche più inalberato del solito.

 Quasi dimenticando la differenza di grado, Vyce esordì sbattendo letteralmente sulla scrivania una pila di fotografie provenienti sia dagli uffici del coroner che da quelli della polizia militare.

«Quattordici casi in due settimane, e se contiamo anche il tessuto suburbano arriviamo a oltre venti.»

«Siamo perfettamente entro la media» tentò di minimizzare il Direttore. «Anzi, se guardiamo al numero delle vittime, il bilancio è addirittura meno serio.»

«Sì, ma l’ammontare dei danni materiali è più che raddoppiato, per non parlare dei caduti in servizio.»

Vyce trasse un respiro, allungandosi verso il suo superiore con le braccia ben piantate sul bordo del tavolo.

«Signore, questi EDA sono diversi» quindi gli girò la finestra virtuale che aveva davanti. «Ha letto il rapporto di Jake? Una volta attaccavano alla cieca, uccidevano e mangiavano, ora invece tutto quello che sembra interessargli è fare danni. E anche quando attaccano i civili o i militari, non lo fanno per nutrirsi.»

«Sono solo fenomeni saltuari. Per un’EDA che si comporta in modo anomalo ce ne sono altri venti che agiscono come al solito.»

«Con il dovuto rispetto, Signore, sono balle.

Venti incidenti in due settimane, e in almeno quattro casi abbiamo assistito ad un comportamento insolito da parte degli EDA.

Ora, se questo non è un po’ troppo per parlare solo di coincidenze, onestamente non so cosa lo sia.»

Il Direttore distolse lo sguardo, quasi un’ammissione agli occhi di Vyce, che preso dalla foga osò rincarare la dose.

«Forse quello che mi ha confidato qualche tempo fa, e che ai piani alti tentano in ogni modo di non far sapere, c’entra qualcosa.»

A quel punto Harlow si accese come una lampada da soggiorno.

«Non ne avrà fatto parola con qualcuno, vero?»

«No di certo, Signore. Non ne ho l’autorità» quindi il Capitano prese un respiro, come a voler tacitare una parte di lui che gli imponeva di non andare oltre. «Ma lei sì.»

«Che cos’è questo tono?» serrò i denti Harlow

«Io capisco le ragioni di stato, ma non quando ci sono di mezzo le vite di chi non c’entra nulla. Senza contare che, come ho già detto in passato, quelli sono i miei ragazzi.

E anche i suoi.»

«Non si dimentichi con chi sta parlando, Capitano» replicò il Direttore scattando in piedi con l’agilità di un ragazzino.

«Perché tutta questa segretezza, Signore? Credono forse che basti far finta di niente per cancellare il problema? Non siamo dei Servizi Segreti, siamo un’Agenzia al servizio di questo pianeta!»

«Sta passando il limite, Capitano!» tuonò Harlow per poi, a fatica, calmarsi, «Le sue maniere non mi piacciono, e neanche le sue allusioni.

Che siano EDA comuni o non comuni, il nostro compito è solo quello di abbatterli. Le indagini e le eventuali supposizioni le lasciamo ad altri.

Noi faremo quello per cui siamo stati addestrati, e niente altro.

E resta inteso che simili discorsi alla mia presenza non dovranno più essere fatti, mi sono spiegato?»

«Sissignore.» mormorò Vyce cavandosi un dente ad ogni lettera

Come il Capitano se ne fu andato, non senza palesare con l’incedere il proprio disappunto, Harlow sprofondò nuovamente sulla poltrona, colto da un moto di spossatezza mista a vergogna.

Alle volte, quel lavoro era davvero ingrato e penoso.

Non rimproverava nulla al suo Capitano; al contrario, semmai. Ma in quanto Direttore aveva degli obblighi, su tutti quello di rispondere personalmente dei suoi subalterni e dell’operato della sua unità, senza contare che anche lui aveva dei capi cui dover rendere conto.

Aveva bisogno di parlare con qualcuno. E quasi senza pensarci, si ritrovò ad aprire una finestra audio dopo aver ordinato via interfono al segretario di annullare tutti gli eventuali impegni del giorno.

«Forrest.»

«Sono io.»

 

A differenza del Luminous Park, perfettamente geometrico con la sua pianta rettangolare, i Giardini del Lussemburgo che cingevano la sede del Senato di Caldesia presentavano una linea meno rigida, ma non per questo meno elegante, una scelta obbligata dal fatto di essere stati realizzati successivamente alla maggior parte degli edifici e delle strade tutto attorno, cosa che aveva costretto ad adattare i contorni al paesaggio circostante.

Ciò nonostante il loro fascino era indiscutibile, e anche se l’inverno ormai inoltrato si era portato via la maggior parte delle foglie e dei fiori passeggiare tra i suoi viali restava ugualmente piacevole, senza contare lo spettacolo offerto dagli stucchi e dai marmi del palazzo che occupava per intero il lato nord a sua volta racchiuso entro un’alta cancellata in ferro battuto.

Il nome derivava da un omonimo giardino di una città terrestre, e sia Jonas che Constance vi avevano trascorso in gioventù molti dei loro pomeriggi, data la vicinanza del parco alla sede dell’Accademia Militare Caldesiana.

Harlow era arrivato al caffè affacciato sulla piazzetta centrale già da alcuni minuti quando Constance lo raggiunse, e dalla sua espressione la donna non sembrava eccessivamente colpita da quella improvvisa convocazione.

«Mi sono permesso di ordinarti qualcosa» le disse Harlow mentre si sedeva. «Spero vada bene.»

«Non è la mia tostatura preferita, ma apprezzo il bel gesto.»

Per qualche minuto non si parlarono, rivolgendo a turno lo sguardo verso la sede del Senato che si stagliava oltre la vetrata del bar.

«In tutta onestà, non mi piace quello che ho fatto.

Vyce ha il diritto di sapere la verità.»

«Essere il capo a volte significa dover fare cose spiacevoli. Credevo lo sapessi.»

«Infatti.

Ma ha ragione. Sono anche i miei ragazzi. Ogni volta che li vedo partire, mi ritrovo a domandarmi se e quanti di loro torneranno indietro. È già brutto che soldati così giovani debbano rischiare la loro vita ogni giorno in ogni circostanza, ma che siano costretti a farlo senza nemmeno essere al corrente della reale portata di ciò che stanno affrontando…»

Il Direttore deglutì, cercando di ingoiare oltre alla saliva anche il proprio disappunto; quindi, volle cambiare argomento.

«Ho saputo che eri tornata a Kyrador solo una settimana fa. Sei stata via parecchio tempo.»

«Già. Buffo non trovi? Anni fa sono andata via da questa città giurando che non vi avrei più rimesso piede, e ora invece mi sembra di nuovo strano starci lontana più di qualche giorno.»

«Com’è andata la tua missione?»

A quella domanda Constance si accigliò.

«Sono sempre stata dalla parte di Fujitaka, fin dai tempi in cui era cadetto. Mi dicevo continuamente che poteva arrivare a fare grandi cose.

Purtroppo, avere buone idee e molta volontà serve a poco quando sei circondato da una massa di squali famelici che fingono di esserti amici.»

«Che intendi dire?»

«Questa città è stata il suo principale bacino di voti, ora invece sta diventando la sua croce.

Se da una parte tutti questi problemi e incidenti EDA potrebbero favorirlo nella sua corsa per cambiare lo statuto della magia, dall’altra c’è un considerevole numero di persone che pensa, forse non a torto, che in questo momento sia proprio la facilità nello studio e nell’apprendimento della magia il principale deterrente contro un’escalation di danni e vittime.»

«È chiaro. Più magia vuol dire più incidenti, ma anche più stregoni in grado di sistemarli.»

«E non è tutto. I nazionalisti che Fujitaka credeva di avere messo sotto alle elezioni si sono scatenati. Secondo loro, riformare lo statuto limitando notevolmente il libero apprendimento della magia finirebbe per ampliare ulteriormente la già sensibile disparità tra stregoneria civile e militare, per non parlare di quella tra le forze armate e altre organizzazioni sovranazionali.»

Quell’altre organizzazioni sovranazionali in realtà aveva un nome ben preciso, ed Harlow lo sapeva bene.

«Immagino tu possa capire, Jason. Se una riforma di questo tipo incontra forti resistenze persino in un Paese come Caldesia, figurati che tipo di reazione potrebbe suscitare tra i governi delle nazioni conservatrici.»

«Eppure, i miei contatti ad Amaltea mi hanno riferito che l’incontro tra il presidente e il papa è stato positivo. Visconti ha promesso di aiutare Fujitaka, e ho sentito che ha già iniziato a parlare con favore della riforma delle leggi internazionali che ha proposto.»

«Ormai temo non sia più come in passato, Jason. Sia tu che io sappiamo bene che a questo punto non si tratta più solo di una questione religiosa, e che c’è un limite non indifferente al peso che le decisioni del pontefice possono avere sulle decisioni dei governi» quindi la donna parve lasciarsi un momento andare, sospirando di rassegnazione. «Di questo passo, Connor non arriverà alla fine del suo primo anno di mandato.»

A quel punto Constance, come aveva già fatto Harlow poco prima, volle pensare ad altro.

«Le informazioni che ti ho procurato sono state utili?»

«Moltissimo, e ti ringrazio ancora. Ora che Avalon è uscita allo scoperto, la mia speranza è che lo facciano anche i suoi fiancheggiatori. Non sappiamo quanti e quali incidenti accorsi sia qui a Kyrador che nel resto del Paese siano imputabili a loro, ma è certo che non può trattarsi solo di una banda di anarchici rivoluzionari, come il Consiglio di Sicurezza si ostina a voler credere.

Quello che mi serve è qualcosa di abbastanza concreto da poterne parlare con chi ha davvero il potere di fare qualcosa.»

«L’ho già detto una volta, ma te lo ripeto. Stai molto attento. In questi casi non si può mai sapere di chi ci si può realmente fidare. Fidati, l’ho imparato a mie spese.»

«Grazie, Constance. Sei sempre un’amica.»

«Lo so.» rispose lei sorridendo

Dopo poco entrambi se ne andarono, prendendo direzioni diverse appena varcata la porta del locale.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Visto, che vi avevo detto?

Stavolta ci ho messo anche meno del solito. Per motivi che non starò a spiegarvi ho deciso infatti di lasciar nuovamente perdere la fic al quale stavo lavorando parallelamente a questa, il che ha aumentato considerevolmente il mio tempo libero.

Adesso la vicenda và sempre più complicandosi, e se già dall’inizio vi erano piccoli indizi che lasciavano intendere la direzione che gli eventi stavano prendendo, da questo momento in poi le risposte inizieranno ad arrivare poco per volta, accompagnate però anche da nuovi enigmi.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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