Antarian sky

di Agnese_san
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** epilogo ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Parte 1





Tu ancora intatta sposa della quiete,
Tu figlia adottiva del silenzio e del tempo lento,
Narratrice silvestre, che puoi così esprimere
Un racconto fiorito più dolce della nostra rima:
Quale leggenda ornata di foglie sovrasta la tua forma,
Di divinità o di mortali, o di entrambi,
A Tempe o sulle vallette dell'Arcadia?

John Keats Ode su un'Urna Greca




Fregio. Un momento immobile nel tempo, figure che danzano l'una con l'altra, mani protese, ombra e luce. Antiche battaglie combattute, le cui sorti furono decise molto tempo fa, eppure ancora protese verso la lotta fino a quando rimarranno intatte come sculture.

Un'arma levata, un cavallo che si impenna, un momento perso nel tempo.

Un impero che crolla.

Era stata al British Museum e aveva studiato le collezioni di antichità, eD aveva calpestato il terreno del Partenone. Sola … sempre sola. Nelle sue memorie e nei suoi ricordi non aveva importanza che Maria avesse solcato l'Atlantico per fare con lei un viaggio in Europa. O se qualche ragazzo, facente parte del programma di scambi culturali, avesse chiesto di andare con lei al museo.

Per quanto poteva ricordare, era sempre stata distaccata, aveva studiato drammi antichi, catturati nella pietra – domandandosi come quei grandi personaggi, mitologici ed immortali, ancora si spegnessero di lenta morte, dopo innumerevoli anni. Eppure, al contrario di Liz Parker, loro non erano soli. No, erano stati accompagnati all'ultima soglia dalle mani di artigiani e scultori, e ancora durante gli anni, dagli studenti.

Fregio. Un termine che aveva imparato nella prima lezione di storia dell'arte otto anni prima. Il termine che definiva una scultura decorativa e un ornamento su una costruzione, come i templi della Grecia e di Roma.

E per qualche ragione, lei li sognava tutte le notti.

Nelle sue notti, c'era sempre la collina con macchie di colore piene di luce, un posto esotico come Atene o Roma. Un palazzo crollato, rovine tutte intorno. Frammenti di pietra e ornamenti. Rocce e calore che ondeggiavano come in un miraggio nel deserto.

E poi i fregi.

Un comandante, servi che si inchinavano, qualche volta soldati. Pagine che scorrevano in libri di storia … diapositive sul muro della classe del suo college. Un caleidoscopio di re e imperatori, tragedie e rovine.

E sempre quello strano cielo, come dipinto da un pittore impressionista, tutto rosa e porpora e chiazze di colore. Troppo luminoso. Alieno.

Proprio come adesso, mentre Liz giaceva sulla schiena ai piedi del tempio, le braccia spalancate, immobilizzata, insensibile. Osservando le nuvole scorrere sulla sua testa nel cielo di porpora. Troppo velocemente, mentre il sole cominciava a tramontare con incredibile velocità e lei rimaneva immobile. Le sue mani diventavano fredde, i suoi piedi freddi e paralizzati.

E sempre il suo viso doleva dello stesso terribile dolore. In modo particolare la mascella, mentre lei si sforzava di parlare, ma riusciva a malapena a piangere in cerca di aiuto.

Aiutami, gemette nella sua mente. Amami, guardami… senti la mia presenza. Guariscimi.

Eppure lei rimaneva sola, l'anima spezzata … e incapace di profferire parola.

******

Liz si svegliò di soprassalto, le lenzuola sudate che intrappolavano il suo corpo. Si afferrò la gola, aprendo la bocca senza riuscire ad emettere un suono. Dio, perchè era così reale, il bisogno terribile di urlare? La sua camicia da notte era bagnata di sudore, e i capelli appiccicati al collo.

Si massaggiò la mascella, che ancora le doleva. Il suo dentista le aveva detto che digrignava i denti di notte, ecco perchè si svegliava con quel dolore. Eppure non riusciva a trovare altri sintomi o niente che potesse spiegare quel terribile senso di sofferenza al viso durante il suo sonno.

Ricadde indietro sul materasso, tirandosi addosso le coperte, desiderando che i suoi sogni finissero. E si domandò perchè fossero cominciati durante il suo primo anno di università, una nevosa mattina in Virginia … esattamente un anno dopo la morte di Max Evans.

***

Liz sorseggiò il caffè, tirandosi la giacca attorno alle spalle. Gli inverni a Santa Fe mordevano dal freddo, con improvvise ventate gelide. Ma lei amava le luci che brillavano nel buio della plaza, e quanto fresca l'aria invernale fosse quando le riempiva i polmoni. Roswell non era mai stato così, con la sua aria polverosa e il suo caldo da mettere I brividi.

Liz aveva comprato una piccola casa a pochi isolata dalla plaza, il che significava che poteva andare a piedi fino alla sua galleria d'arte in pochi minuti. Una cosa molto comoda, dato che lei viveva praticamente nel suo piccolo negozio d'arte in centro, e per lo più vi si recava a piedi quando era ancora buio. Solo per tornare a casa ben oltre dopo il tramonto.

Gettò un'occhiata all'orologio, stringendosi al collo la sciarpa di lana e soffiando piano sul suo caffè. Le 6.30 del mattino. Di nuovo in ritardo, pensò, ridendo ironicamente, mentre la plaza finalmente appariva alla vista. La sua galleria era sistemata in un angolo lontano, probabilmente nel palazzo meno affascinante del cuore della città.

Buffo come erano andate le cose, così diverse da come lei le aveva sempre immaginate. Per anni suo padre le aveva offerto un lavoro al Crashdown, suggerendo che lei aprisse un altro caffè dall'altra parte di Roswell. Ma l'idea di entrare negli affari di famiglia non l'aveva attratta. Come era ironico che, alla fine, lei fosse diventata più imprenditrice di quanto suo padre avesse mai potuto immaginare – e conducesse ora una vita confortevole, non solo dirigendo la galleria, ma anche rappresentando gli artisti per lavoro.

Suo padre aveva potuto a malapena contenere il suo orgoglio, quando si era vantato con tutti i loro amici a Roswell, che sua figlia avesse ereditato il vecchio acume dei Parker per gli affari. E quando lei volava a New York, quattro volte l'anno, lui era il primo a chiamare la sua camera d'albergo ogni sera, per sapere come fossero andati gli affari a Soho.

Liz arrivò fino all'ingresso della galleria e si fermò, recuperando la chiave dalla tasca con le mani avvolte in spessi guanti. Sembrava che non riuscisse ad afferrarla e si avvicinò il bicchiere del caffè contro il petto.

E fu allora che lo vide, ordinatamente appoggiato all'angolo della porta d'ingresso, proprio contro la porta di vetro. Era avvolto in una tesa carta marrone, legato con un semplice pezzo di spago. Più piccolo che grande, in attesa, come un biglietto da visita.

Aggrottò per un attimo la fronte, sentendosi presa alla sprovvista. Era abituata a ricevere richieste e opere non sollecitate, artisti alla disperata ricerca dell'attenzione di un agente. Ma di solito arrivavano per posta o per corriere, e le note via e-mail.

Nessuno le aveva mai semplicemente lasciato un pacco sulla porta così, come un talismano fatato nella notte.

Liz continuò a fissarlo, e si domandò quale genere di disperato artista avrebbe potuto lasciare il suo lavoro alla sua galleria in questo modo, senza garanzie che non sarebbe stato rubato o semplicemente buttato via senza nessuna considerazione.

Ma la curiosità ebbe la meglio, e lentamente si inginocchiò fino a prenderlo fra le dita guantate. La carta marrone crepitò come le foglie secche, quando lei lo tirò su e fu allora che vide il semplice biglietto bianco che era attaccato al pacco.

Non era indicato nessun nome di artista, nessun numero di telefono o indirizzo. Solo un semplice messaggio.

Apri I Tuoi Occhi.

****

"E va bene, lo so che lo hai lasciato tu." disse Liz tenendo la cornetta contro l'orecchio mentre scriveva una email di risposta ad un fornitore di New York.

"Non so di che diavolo stai parlando." sbuffò Michael dall'altra parte della linea. Sembrava stanco e stizzito, anche se lei aveva pazientemente aspettato fino alle 10 del mattino, ora prima della quale Michael non voleva ricevere telefonate.

"Michael, non è divertente."

"Non ho fatto niente!" gridò lui impaziente. In sottofondo si poteva sentire la musica echeggiare nel suo loft. "Sto parlando seriamente, non ho idea di che diavolo tu stia parlando."

"Sto parlando dello strano pacco che mi hai lasciato alla galleria, nel bel mezzo della notte."

"Io stavo dormendo, nel bel mezzo della notte."

"Sarebbe la prima volta." ribattè lei. Michael di solito dipingeva fino alle 3 o alle 4 del mattino, quindi dormiva fino almeno alle 10.

"Ho un blocco." si lamentò lui.

"Dovrei essere preoccupata?"

"Grazie per la piacevole chiacchierata."

"Non fa parte del mio lavoro intrattenerti in piacevoli chiacchierate." ritorse lei, girandosi sulla sedia quando la piccola campanella sulla porta suonò. Un coppia di anziani, chiaramente turisti, era entrata nella galleria. Abbassò la voce, voltandosi verso il computer. "Il mio lavoro è mantenerti in riga. New York aspetta qualcosa da me nel giro di due settimane."

"Sì, Liz, da te".Rise lui, e lei lo sentì sorseggiare il caffè. "Non significa da me."

"No, Michael, Leon vuole tre nuovi quadri da te."

"Hai bisogno di cercare qualche nuovo talento." propose lui a bassa voce. "Sai perché sono in questo … "

"Per i soldi."

"Ehi, l'ultima volta che ho controllato, quella eri tu, gioia."

"Perché mi hai lasciato questo quadro?" chiese lei insistendo ancora, sapendo di suonare irritata.

"Adesso riattacco." disse lui e prima che lei potesse aprire bocca, la linea tornò libera.

Lei girò la sedia della sua scrivania e fissò il pacchetto sul bancone. Ancora non lo aveva aperto, dato che lo aveva trovato così misteriosamente. Invece, aveva aspettato di chiamare Michael, anche se sapeva che questo genere di cose non era da lui, nonostante l'insistenza con cui lo aveva attaccato; Michael era troppo ragazzino. Di solito portava i suoi quadri alla galleria con molta ostentazione, eccitato nell’ attesa delle reazioni e dell'apprezzamento di lei. Lasciare un suo lavoro in quel modo, specialmente così facile preda per i ladri, non era semplicemente nel suo stile.

Ma lei aveva sperato che, in qualche modo, lui le potesse offrire una spiegazione, dirle che apparteneva a qualche suo amico artista in città. Aveva bisogno di qualche tipo di spiegazione, per ragioni che non poteva spiegarsi quel pacco la disturbava. Come se avesse visto di sfuggita un sosia, qualcuno che assomigliava ad un amico perduto ma non lo era, il pacco la innervosiva.

*****

Stava cercando Max nella folla ormai da 8 anni. Per 8 anni, attraversando i continenti, spostandosi nelle metropolitane di New York, camminando negli aeroporti, lei lo aveva sempre cercato. E aveva sobbalzato innumerevoli volte, anche solo vedendo di sfuggita uno sguardo dagli occhi verdi. O un naso diverso o un diverso mento. Mai Max, per quanto impegno lei avesse messo nel cercarlo. Lei cercava, anche sapendo che lui era morto, solo perché non poteva smettere di farlo. Le vecchie abitudini sono dure a morire.

Così, adesso, il dipinto era sulla sua scrivania, ordinatamente avvolto nei confini del suo involucro marrone. E, in qualche modo, a lei ricordava quegli stranieri sui treni, uomini che si giravano sulla Quinta Strada … momenti fermi nel tempo, pieni di possibilità.

Il pacco era piccolo, quasi certamente un quadro, pensò lei rabbrividendo e prendendo il suo coltello.

Apri I Tuoi Occhi, pensò, tirando un bel respiro, mentre tagliava lentamente la carta. Si aprì come un fiore, rivelando un esplosione di colori – porpore e dorati e rosa da sogno. Un cielo. L’enorme panorama di un cielo alieno.

Come qualcosa che arrivava dritto dai suoi sogni.

* * * * *

N.d.T: Non ho tradotto io questa storia. L'ho trovata già tradotta su un sito che purtroppo è stato cancellato. L'ho salvata in tempo ed è molto bella quindi a voi la lettura :D

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Capitolo 2
*** 2 ***


Parte 2


"Ascolta, Michael." cominciò a dire mentre lui entrava nella galleria. "Non è divertente!."

Lui le tese un bicchiere di carta colmo di caffè, preso da Starbucks, e lo sguardo di Liz incontrò quello perennemente malinconico di lui. I suoi lunghi capelli castani erano scomposti e aveva bisogno di rasarsi. Tipico di Michael, pensò lei, mentre lui aggrottava le sopracciglia.

"Sì, me l'hai già detto per telefono. Dov'è?" chiese sfiorandola mentre la oltrepassava e scrutandosi intorno. Era sceso dal loft dove abitava, preso in affitto proprio sopra la galleria, quando lei lo aveva chiamato una seconda volta … dopo aver aperto il pacco.

Liz indicò silenziosamente il punto dove, appeso ad un muro della galleria, era adesso visibile il quadro. Aveva voluto vedere come sarebbe stato in mostra, come si sarebbe presentato - se ancora le avrebbe fatto un'impressione così profonda. Michael girò sui tacchi e Liz prese un sorso di caffè fumante.

Lui rimase in silenzio per un lungo momento, studiando il dipinto da dove entrambi si trovavano, appoggiati alla scrivania. I colori vibranti erano ancora più stupefacenti sul muro, più magici e misteriosi. Un cielo spalancato, aperto e surreale, pieno di colori brillanti che si scioglievano uno dentro l'altro. Movimento. Quella era la parola che risuonava chiara nella mente di Liz. Come qualche quadro di J.M.W.Turner, anche questo era tutto energia e movimento.

Un angelo si librava in volo, le braccia spalancate rivolte al cielo sopra di lui. Accettando il suo destino. Eppure il volto dell'angelo era scuro, non come i colori luminosi che si allargavano intorno a lui. Ed era avvolto totalmente di nero, drappeggiato come una scura figura di gloria.

Liz rabbrividì mentre studiava il lavoro, sentendosene attratta come da un magnete. Si avvicinò lentamente, e sollevò le dita, permettendo loro di accarezzare gentilmente la superficie del dipinto. Aveva bisogno di sentire le pennellate, la loro sostanza – si sentiva obbligata ad entrare nel quadro, come avrebbe potuto fare con un sogno.

E il dipinto si aprì, il cielo era sopra lei … le braccia sui suoi fianchi, lo sguardo rivolto verso l'alto. E invece dell'angelo, lei vide uno scorcio del tempio del suo sogno. In rovine e distrutto. Ridotto in pezzi.

"Nessun biglietto?" chiese Michael avvicinandosi a sua volta. Lei tornò con un balzo al presente.

Liz esitò per un attimo, poi mentì. "No, niente." Non era sicura del perché volesse mantenere il segreto sul biglietto. "Ho pensato che fosse solo qualche artista in cerca di qualcuno che lo rappresenti."

"Può darsi che sia così" replicò Michael, ancora studiando il quadro. "Dio, è fastidioso o cosa?" Lei colse una nota di gelosia nella sua voce. Competizione.

"Lo amo." mormorò lei, sfiorando di nuovo la superficie di ogni pennellata. Sentendole echeggiare dentro di lei, trasmetterle la loro magia di un altro mondo fin dentro all'anima.

"E’ dannatamente raccapricciante, ecco cos’è." annunciò Michael in tono irritato.

"Sei geloso!" rise lei, volgendo lentamente lo sguardo su di lui, colta di sorpresa. Gli occhi di lui si strinsero leggermente. Beccato, uscito allo scoperto. Si facevano sempre questo, fin da quel giorno infinito sulla collina, qualcosa come 10 anni fa.

E poi, "Perché diavolo dovrei essere geloso, Liz?" Poteva quasi sentirlo gonfiare il petto, il suo bisogno di reclamare il suo territorio. "Ho tutto l'apprezzamento che voglio per il mio lavoro."

"Sì, certo." rise lei, improvvisamente trovando il suo umore nero provocante ed affascinante. "Allora ammettilo."

"Ammettere cosa?"

"Che chiunque abbia dipinto questo è veramente bravo."

Lui espirò lentamente, stringendo gli occhi mentre studiava il dipinto. Lei osservò le sue reazioni, il modo in cui i suoi profondi occhi castani mutavano come mercurio liquido. Alla fine, si strinse nelle spalle, come indifferente. "Tu sei il miglior giudice per queste cose."

"Perché semplicemente non lo ammetti?" chiese lei battendo i piedi in segno di frustrazione. Dio, la faceva diventare pazza, e mentre lui si scostava le lunghe ciocche dagli occhi, lei desiderò baciarlo. Solo per porre fine a questa eterna sospensione, una volta e per sempre, e tirarsi la bocca di lui sulla sua per un profondo bacio.

Ma questo prevedeva del movimento, qualcosa di diverso dall'essere intrappolati insieme in quella danza immobile, una rotazione senza fine che li allontanava l'uno dall'altro.

"Voglio dire, chi è che lascerebbe una cosa del genere alla tua porta d'ingresso, eh?" domandò lui, girandosi per guardarla in viso e lei, improvvisamente, fu di nuovo a Roswell, 10 anni prima.

Il Grande Abisso Alieno. La Cospirazione. Qualcuno sempre alle loro costole. Tutti gli anni in cui le minacce intorno a loro si erano piano piano dissolte, improvvisamente sparirono e il tempo si fermò.

Max aveva chiesto un incontro nei sotterranei dell'UFO Center. Michael camminava nervosamente avanti e indietro, arrabbiato e reattivo, totalmente teso a scoprire qualcosa delle loro origini. Non l’uomo molto diverso che le stava davanti adesso, vestito con uno spesso maglione di lana e jeans stinti, bevendo un caffè comprato da Starbucks. Un artista fin nel profondo. Non un alieno, o un dotato guerriero con un suo profondo destino. Certamente mai questo.

"Liz?" chiese lui. "Mi hai sentito?" La guardò combattuto, mentre lei cercava di riprendere la concentrazione. Scosse la testa, confusa.

"Non lo trovi un po' strano? Qualcuno lascia questa … cosa," lui gesticolò verso l'opera, quasi deridendola. "anonimamente, alla tua porta? Voglio dire, qui potrebbe succedere di tutto … qualunque cosa. " La guardò con insistenza, comunicandole il preciso significato di quanto lei stava afferrando. Lì avrebbe potuto esserci qualcosa di alieno, anche se avevano ormai seppellito quei pensieri molto tempo prima.

Lei rifletté per un momento, di nuovo trasportata indietro, a Roswell. Ad un altro Michael, ad un tempo quando Max era ancora con loro … e chiuse gli occhi per soffocare quei ricordi affilati.

Nuvole che viaggiavano sopra la sua testa, braccia spalancate ai suoi fianchi, la mascella che le faceva sempre terribilmente male. A pezzi. Immobilizzata e prigioniera.

Lei fissava il cielo pieno di fumo, come code di una cometa mortale.


"Liz." mormorò lui allora, la sua voce improvvisamente sorprendentemente gentile. Lei sentì la larga mano di lui sulla sua spalla, il suo fiato caldo sulla guancia e i suoi occhi si aprirono di nuovo.

"Mi spiace, io … non volevo essere pressante." si scusò lui piano. Lui poteva leggere così bene dentro di lei, dopo tutti quegli anni di sola amicizia, di lavoro comune. Di entrambi che si limitavano a sopravvivere senza Max.

"Penso che sia davvero strano, sì." rispose lei, ignorando la tenera preoccupazione nella voce di lui. Eppure lui non tolse la mano dal suo braccio, invece la lasciò lì, a bruciare piano contro la sua pelle.

"Ripensandoci," suggerì lui rilassato, "è probabilmente solo qualche aspirante artista, disperatamente alla ricerca dell'attenzione di Liz Parker."

Come te? Moriva dalla voglia di chiedere lei, sentendo le parole non dette bruciarle la gola. Proprio come te, Michael Guerin?

Michael si voltò lentamente, lasciando scivolare un braccio intorno alle sue spalle. Rimasero in piedi silenziosi e studiarono il dipinto insieme. "Dio, è meraviglioso. Il suo uso del colore è così … incredibilmente potente." sussurrò lei, esitando mentre cercava dentro di sé la cosa a cui stava realmente reagendo. "Lui mi commuove."

"Lui?" chiese Michael brusco, cogliendola immediatamente in fallo. "Cosa ti rende così sicura che sia un lui?"

Liz si strofinò assente la mascella, domandandosi come facesse ad essere così sicura che l'artista fosse un uomo. "Non lo so … lo sento." Qualcosa, nel pensare all'identità dell'artista le provocava un piccolo brivido sulla pelle, toccava qualche parte di lei da lungo dormiente.

Michael strinse il braccio intorno alla sua spalla quasi impercettibilmente, portandosela più vicina a lui. Ma lei ignorò la sensazione della sua mano, appoggiata con facilità sulla sua spalla … di come la eccitasse.

"Allora immagino che dovremo aspettare." propose lui dopo qualche momento. Un momento nel quale il cuore di lui aveva battuto forte, nel quale lei aveva sentito il cuore di lui battere nel magnetico silenzio che li avvolgeva.

"Aspetteremo." acconsentì lei, inghiottendo a fatica.


****



Michael era stato il primo a correre da lei, quel giorno alla Pod Chamber, quasi 10 anni prima. E quel singolo ricordo era come una piccola scalfittura, incisa nella sua memoria, sottile ma permanente. Il tipo di dettaglio che ti torna in mente solo quando è tutto finito.

"Allora immagino che dovremo aspettare." aveva detto Michael uscendo dalla Pod Chamber. Il mondo era sembrato improvvisamente più nitido, il sole troppo luminoso, mentre i loro occhi si adattavano lentamente provenendo dall'oscurità della caverna.

"Non ha molto tempo." aveva ricordato loro Isabel. "Solo più due minuti."

"A Maxwell non ci vorrà così tanto per fare quello che deve fare." aveva detto Michael baldanzosamente, e il suo sguardo si era spostato impercettibilmente su di lei. Anche mentre lui e Maria erano abbracciati stretti.

I minuti erano passati, fino a quando il tempo non era stato esplosivamente vicino. Eppure ancora non c'era stato segno di Max.

E poi, nei suoi ricordi, tutto era confuso, una serie di immagini unite insieme come uno strano collage.

Calore, fuoco e rocce, tutto mischiato nei ricordi. Irrimediabilmente fusi insieme, dopo il fatto.

Il Granolith era esploso verso il cielo, lanciando una valanga di rocce e detriti che cadevano giù dalla collina, mentre lei scivolava verso la piattaforma rocciosa insieme agli altri. Poi, quando la nuvola di fumo si era diradata, e tutti loro erano rimasti sdraiati a faccia in giù, senza fiato per la polvere, era stato Michael che era andato a spostare le rocce per cercare Max.

E Maria l'aveva tenuta stretta, rifiutandosi di farla andare con lui.

Quando Max aveva detto a tutti loro di uscire, di dargli qualche minuto con Tess nella Pod Chamber, lei non avrebbe mai immaginato che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto. Non avrebbe mai immaginato che lui sarebbe semplicemente svanito, non una parola tra loro nell'opprimente peso di quanto era appena successo.

Ma quando Michael aveva lentamente lasciato ricadere le rocce, la testa chinata e i lineamenti indecifrabili, Liz aveva saputo, prima ancora che lui tornasse da lei. Max non c'era più. Isabel era nel panico, ma per qualche bizzarro motivo, Liz sentiva una calma inusuale, come un profondo senso di consapevolezza.

Max se ne era andato con Tess. Fine della storia.

Non come amo te … non come amo te … non come amo te. Le parole avevano pulsato come il suo cuore, insistenti ed ipnotiche mentre aveva osservato Michael rialzarsi al di sopra delle rocce frantumate. Aveva strizzato gli occhi, guardando in alto alla caverna nascosta come ad un'antica rovina su un colle di Roma - pregando che il suo istinto stesse sbagliando. Che Max sarebbe uscito da dentro la caverna, l'avrebbe presa tra le braccia e avrebbe stampato di nuovo un appassionato bacio sulle sue labbra.

Non come amo te … non come amo te.

Si era portata la mano alla gola con disperazione, sforzandosi di respirare. Le lacrime le bruciavano gli occhi mentre guardava Michael discendere, e quindi finalmente raggiungere il luogo dove lei giaceva in ginocchio sulla terra polverosa, Isabel che si stringeva al braccio di lui - e i suoi occhi avevano incontrato quelli di lei in silenzio. Gli occhi di Michael si erano riempiti di lacrime silenziose, lo sguardo pieno di angoscia che la fissava, incapace di parlare.

"Se ne è andato." era riuscita a sussurrare Liz. Non l'aveva pronunciata come una domanda, aveva semplicemente capito. Michael aveva abbassato lo sguardo per un momento, mentre Maria correva al suo fianco e Isabel gli si buttava tra le braccia. Poi, con lentezza, aveva di nuovo incontrato l'intenso sguardo di lei, mormorando due sole parole "Mi dispiace."

E non aveva mai smesso di sussurrare quelle parole da allora, non in tutti i 10 anni successivi. Erano rimasti congelati in quel singolo istante di tempo, insieme, come le antiche sculture dei sogni di Liz, incapaci di dire quello che chiedeva di essere detto. Sempre, quelle parole erano rimaste sospese tra loro, ossessionanti e inconcluse.

Mi dispiace.

Parole che Max non aveva mai pronunciato prima di svanire in una sognante nuvola di ricordi su quella collina nel deserto.


****

Erano ben oltre le 5 del pomeriggio e Liz era ancora al telefono con New York. Sarebbe andata lì tra qualche settimana e stava freneticamente cercando di combinare appuntamenti con agenti e compratori. Sedeva alla sua scrivania, una piccola area seminascosta dietro al bancone, scorrendo l'elenco di email che erano arrivate nelle ultime ore.

Diverse email lampeggiavano nella sua inbox, insieme ad un'email scherzosa di Maria che aveva come titolo "Sei ancora viva, chica? Ci vediamo tra due settimane." Ed era tutto.

Fino a quando una nuova email apparve da un indirizzo sconosciuto. DavidPeyton321@newmex.net.

Lei cliccò per aprire, proprio mentre Leon arrivava al telefono. Era rimasta in attesa e aveva utilizzato quei momenti liberi per accedere alla rete.

"Liz." aveva riso lui con la roca risata da fumatore. "Ho delle notizie incredibili per te."

"Grande, che succede?" aveva chiesto lei, aprendo l'email del misterioso David Peyton.

"Sembra che io abbia appena venduto l'ultima opera di Guerin che avevo qui. Indovina per quanto?"

Lei rifletté un momento, domandandosi quale cifra avesse potuto lasciare Leon senza fiato com'era, soprattutto considerando che non era il tipo da impressionarsi facilmente.

"Non saprei … 8.000?" azzardò, ma il suo sguardo cadde sull'email appena aperta. Una sola riga lampeggiava sullo schermo.

"Ha delle possibilità?"

"10.000!" aveva riso Leon con entusiasmo. "Devi assolutamente procurarmi al più presto altri pezzi suoi. Credo che sia pronto ad esplodere qui … voglio che parliamo di una sua mostra qui in autunno."

"Okay" aveva mormorato Liz, fissando il computer.

Ha delle possibilità? Che razza di artista avrebbe fatto una domanda come quella? Si sentì montare l'irritazione, l'indignazione, indipendentemente dal talento che ovviamente la persona aveva.

"Oh, Liz, devo scappare." bisbigliò Leon dal telefono. "Sta entrando qualcuno … ci sentiamo domattina."

Liz si alzò in fretta dalla scrivania e camminò fino alla porta d'ingresso della galleria. Girò il cartellino che segnalava la chiusura, bloccando la serratura e guardò verso il piazzale davanti a lei. La sera cadeva così presto in quel periodo dell'anno, ricoprendo la vecchia piazza con un delicato silenzio - nonostante il brusio dei turisti e di chi era in giro per compere.

Strizzò gli occhi, guardando l'oscurità e sentì una strana sensazione scivolarle addosso. Era come se qualcuno la stesse osservando, guardandola proprio da dietro la vetrina. Qualcuno nascosto e sconosciuto, fuori, nella fredda aria notturna.

Liz si allontanò, strofinandosi lentamente il collo. Fissò le strette mura della sua galleria, come faceva spesso a quell'ora del giorno. Dal pavimento al soffitto, dipinti appesi in piacevole mostra, allo scopo di incantare lo sguardo dei clienti. Macchie di colore, come il sole del Nuovo Messico, illuminavano le pareti.

Era il suo senso estetico, quello che la rendeva famosa da Santa Fe fino a Manhattan. Liz Parker aveva un fantastico senso del colore e della forma. Nel piccolo giornale locale che si occupava di affari, era stata descritta per avere "istinti impeccabili." E adesso, quando chiamava qualche fornitore, parlando di una nuova scoperta, loro ne prendevano immediatamente nota, perché conoscevano il genere di talento che lei poteva scoprire.

Si appoggiò contro la parete di vetro del bancone, piena di piccoli quadretti e di ciondoli - messi lì per attrarre i turisti. Il suo sguardo corse all'attuale organizzazione delle pareti, mentre considerava quali cambiamenti fare. Ma a dispetto delle sue migliori intenzioni, il suo sguardo tornò, come attratto magneticamente, a quell'unica riga davanti ai suoi occhi.

"Ha delle possibilità?"

Doveva rispondere onestamente? O doveva semplicemente lasciar perdere David Peyton?

Non sopportava le tecniche di certi aspiranti artisti alla ricerca della sua attenzione, in modi sempre più particolari. Si era spesso domandata perché non capissero che un approccio diretto li avrebbe portati molto più lontano, invece che quelle vie traverse e spesso vane.

Ecco perché l'elusivo David Peyton la disturbava, con la sua patetica piccola email, mancante di tutto, compreso un numero di telefono. L'istinto la portava a dimenticare la sua seducente pittura. Ma il suo cuore sembrava dire qualcosa di totalmente diverso, mentre veniva di nuovo attratta dal suo quadro.

Le rammentava un altro quadro, uno che non riusciva ad identificare. Il modo in cui l'angelo si lasciava alla spalle la terra, volando verso l'alto. Il nero profondo, in contrasto con i vividi colori … beh, quella parte le rammentava Gauguin. Ma non l'angelo. Quello proprio non riusciva ad afferrarlo.

Si portò fino al computer e digitò velocemente "Sta cercando qualcuno che la rappresenti?" Sentendosi brusca e irritabile, avrebbe voluto aggiungere qualche battutina, dato che riceveva centinaia di quelle richieste in un mese - ma per qualche inesplicabile motivo, si trattenne, e spedì l'email senza ulteriori parole.

Solo qualche minuto più tardi, ne ricevette la risposta.

Sono interessato alla sua opinione, a sapere quello che pensa del mio lavoro.

Liz si tirò i capelli ed emise un gemito di frustrazione. "David Peyton, vorrei strangolarti!" urlò, alzandosi di scatto dalla sedia. "Sei così pieno di te stesso!"

Cos'era, quel tizio non credeva in forme di comunicazioni che prevedessero più di una riga? Meno male che era un pittore e non uno scrittore allora, pensò, sollevando gli occhi al soffitto.

Stava quasi per andare a casa, aveva già la giacca e la sciarpa avvolta al collo. Ma qualcosa l'aveva costretta a controllare la sua email un'ultima volta mentre spegneva le luci della galleria. Adesso, rimpiangeva la sua decisione, mentre una terribile curiosità la invadeva nuovamente.

"Guardi, io non sono abituata a questa conversazione… frammentaria." Pestò sui tasti velocemente. "Perché non viene alla galleria domani e potremo discutere del suo lavoro, e se io posso o non posso rappresentarla. Okay? Altrimenti, non perdiamo altro tempo."

Schiacciò il tasto ‘spedisci’ e spense immediatamente il computer. Ecco, pensò, con soddisfazione. Questo gli avrebbe chiarito un po' di cose.

Il telefono risuonò nell'oscurità e questa volta era Michael. "Saputo qualcosa?" chiese, e Liz ne sentì, in qualche modo, la preoccupazione. E non perché lui pensasse che il quadro potesse rappresentare minaccia proveniente da un'altra galassia.

"Niente." mentì lei, per la seconda volta quel giorno. "Neppure una parola."

"Ero solo curioso."

"Ti farò sapere, okay?" chiese lei, girandosi sulla sedia per controllare la porta. La sua precedente sensazione di essere osservata l'aveva lasciata un po' nervosa.

"Bene. Che fai stasera?" chiese. "Pensavo che potrei prepararti una cenetta."

"Uh, oh." rise lei con gentilezza, scorrendo la pila di posta ancora inevasa sulla sua scrivania.

"Cosa?" gridò lui con indignazione.

"Cucini per me solo quando vuoi qualcosa." disse lei apertamente.

Lui rimase in silenzio per un lungo momento e lei lo sentì schiarirsi la gola, il che la lasciò perplessa. Michael solitamente avrebbe risposto con una battuta, prendendola scherzosamente in giro. Invece, le parole di Liz vennero accolte da un pesante silenzio, fino a quando lui non parlò di nuovo.

"Già, beh, ho bisogno di parlarti." terminò lui quieto.

"Salgo."


***


Michael era venuto a trovarla nel Febbraio del suo primo anno di college. A quel punto, erano passati quasi due anni da quando Max era svanito nel Granolith e Liz ancora manteneva una vaga speranza che lui, un giorno, sarebbe tornato.

La sua speranza nel loro amore era lentamente diminuita, con l'aumentare dei sogni di quel giorno alla Pod Chamber. Con i lampi che vedeva negli gentili occhi castani di Michael, turbati quando incontravano i suoi - due persone, che si cercavano silenziosamente.

Il suo subconscio, il perfetto ritratto del tradimento.

Ma era molto più difficile convincere il suo cuore che Max Evans se ne era andato per sempre.

Isabel si era trasferita a San Francisco, Maria era andata a New York e Liz si era diretta alla volta di un college privato in Virginia. Il loro gruppo si era disperso come ceneri nel vento, ognuno ad un diverso angolo.

Era stato Michael a rimanere a casa, cominciando a dipingere la sua anima, disperato nel suo bisogno di esprimersi. La tela era il solo posto dove potesse dire cose impronunciabili, silenziose parole che l'amicizia con Max non gli aveva permesso di far diventare vive.

Apparvero immagini fratturate, una schema di quello che era successo al loro leader, il loro destino. Il più grande amore della sua vita. Ma lui non aveva fatto vedere quei quadri a nessuno, continuava semplicemente a dipingere. L'unica a cui avesse confessato la sua segreta ossessione era stata Liz, in quella visita piena di neve, durante il primo anno di college di Liz. Glielo aveva detto mentre passeggiavano per i corridoi della National Gallery. Erano rimasti svegli a parlare nel suo dormitorio fino all'alba.

Aveva volato fino all'aeroporto Dulles, una sacca da viaggio militare su una spalla, una cartella nera nell'altra mano. I suoi capelli erano cresciuti disperatamente, impedendo a Liz la vista dei suoi lineamenti, mentre entrava nell'area arrivi. Si era scostato i capelli con le dita, l'aveva cercata e i loro sguardi si erano incontrati a breve distanza.

Ed un sorriso incerto gli era apparso sulle labbra. Liz comprendeva bene quell'esitazione, perché anche lei era terrorizzata all'idea di vedere Michael da sola, senza il solito contorno di amici e rumore. Perché da soli, avrebbero potuto parlare dei segreti intrappolati tra di loro.

Uno di loro avrebbe potuto veramente agire, invece di rimanere in quella forma statica, come una scultura, eternamente proteso verso l'altra. Non innamorati, non amici … solo disperati.
 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Parte 3



Michael fece scivolare la porta del suo loft, una vecchia cosa legnosa. Come la porta di una cripta, pensò lei, che strideva sui cardini. Dentro, l'appartamento dava una sensazione di vuoto, nonostante il ritmico risuonare dell'impianto stereo. Un melodioso pulsare di batteria, solo qualche nota, ripetuta ancora e ancora.

Liz si accigliò, guardando in direzione del lettore CD. Michael seguì il suo sguardo. "Sono solo i Radiohead." spiegò sulla difensiva.

"Odio i Radiohead."

"Tu non ascolti la loro musica." replicò lui "Sono grandi."

"Solo fino a prima di Kid A. "

Michael sbuffò silenziosamente, mentre sollevava il telecomando dello stereo e ne abbassava il volume con un dito.

Erano le loro solite scaramucce, giocose e piene di voglia di non sottomettersi uno all'altro, eppure Liz sentiva qualcos'altro tra loro. Michael sembrava nervoso, incapace di stare fermo mentre spostava il peso da un piede all'altro.

"Allora?" chiese lei in tono sospettoso. "Che sta succedendo?"

Lui evitò il suo sguardo, e invece si allontanò da lei, sorridendo appena. "Niente, Liz, volevo solo vederti."

"Hai detto che mi dovevi parlare."

Lui sospirò, facendo scivolare la porta del loft di nuovo al suo posto. Il legno gemette, sottomettendosi con difficoltà, mentre Liz si lasciava cadere pesantemente sul divano, tirandosi la giacca stretta intorno a lei. Il loft era sempre pieno di bozzetti, e quella sera non faceva eccezione.

"Infatti è così." annuì lui, voltandosi per guardarla in viso. Lui sospirò forte, quindi finalmente parlò. "Devo parlarti di Max."

Liz si sentì drizzare i peli sulla nuca semplicemente sentendo fare il suo nome. Parlavano raramente di lui, sebbene lui fosse sempre tra loro.

"Preferirei parlare della telefonata di Leon di qualche minuto fa."

"Stai cercando di cambiare argomento."

"Ha ottenuto 10.000 dollari con l'ultimo quadro." ribattè lei.

Michael spalancò gli occhi, a dispetto di sé stesso. "Davvero?"

Liz si adagiò sul divano, incrociando le braccia sul petto con soddisfazione. Amava il suo lavoro, amava rendere i sogni dei suoi clienti una realtà. Anche se Michael era il suo amico adorato, era pur sempre un cliente – e l'incredulità che brillava nei suoi occhi faceva valere ogni momento passato senza un grazie.

"Già, davvero!" rise lei. "E vuole parlare di una mostra in autunno."

Michael cominciò a camminare su e giù, stringendosi le mani. I suoi occhi assunsero un'espressione lontana, mentre velocemente pensava a tutto quello che lei gli aveva appena detto. Il suo lavoro si vendeva piuttosto bene a Soho già da un anno, ma nessuno gli aveva offerto una mostra finora.

E questo significava che avrebbe dimenticato Max, sospirò Liz con un leggero sollievo.

"Ma voglio ancora parlare di Max." annunciò lui, voltandosi per fissarla dove lei era seduta sul divano.

"Beh, io no." chiuse lei in un attimo, opponendo resistenza.

"Isabel ha chiamato ieri." continuò lui "Non ti avevo ancora detto nulla, ma non so … penso solo che sia tempo che tu affronti questo."

"Questo?" esclamò lei. Aveva l'impressione che tutti loro si stessero stringendo intorno a lei come un nodo stretto, togliendole l'aria dai polmoni.

"Lei vorrebbe fare una specie di lapide alla memoria, questa primavera … alla Pod Chamber."

Liz cominciò a scuotere la testa con veemenza. "No, no … non è giusto."

"Cosa c'è di sbagliato? Questa primavera saranno 10 anni, Liz, e tutti vogliono fare qualcosa."

"Tutti?" chiese lei con intenzione, sentendosi in qualche modo tradita da lui.

"Sì, anche io lo voglio." ammise lui con una scrollata di spalle.

"Non è allora che è morto." sussurrò lei rocamente, la gola che le bruciava. "Non ti interessa neppure di questo?"

"Liz." Michael si lasciò cadere sul pavimento proprio davanti a lei, mettendo una mano sul bracciolo del sofà. I suoi occhi brillavano alla luce dorata della mansarda, pieni di innegabili sentimenti. "Lo sai che mi interessa, ma questa è l'unica cosa sicura a cui gli altri possano aggrapparsi."

"Ma … tu non mi credi?" chiese lei, sentendo le lacrime bruciarle gli occhi. Dannazione a lui, capace di far venire allo scoperto tutte le sue emozioni in questo modo, pensò lei. Per risvegliarle il cuore, quando tutto quello che lei voleva era che rimanesse freddo come la pietra.

Lui le sfiorò il viso, e accarezzò lentamente una ciocca di capelli sulla sua guancia, le dita che restavano teneramente lì. "Liz, io ti ho sempre creduto. Ho sempre creduto nella connessione che tu dividevi con lui."

"Lo sai quello che mi stai chiedendo, Michael." quasi pianse lei, allontanandosi in fretta dalla sua mano. Lui la lasciò cadere istantaneamente, mentre lei si sottraeva al suo tocco, e Liz notò come i suoi lineamenti si fossero un po' induriti.

"Quando vorresti mettere la lapide?" sbottò lui. "Voglio dire, dimmi quando vorresti farlo, e diavolo, penserò io ad organizzare tutto."

Lei abbassò la testa, sentendo la mascella dolerle. La gola le si strinse dolorosamente e tutto quello che desiderò fu di scappare via. Muoversi liberamente, non sentirsi così trafitta dalle emozioni. Così catturata dallo sguardo acuto di Michael.

"In Febbraio … è allora che è successo."

"No, Liz, no. Max se ne è andato a Maggio."

"Smettila!" gridò lei, asciugandosi gli occhi. Saltò in piedi, divincolandosi da lui, ma lui la seguì immediatamente, alzandosi come un aggraziato felino.

"Tu devi riuscire ad accettarlo, Liz." insistette lui "E' proprio perché ci tengo a te che voglio che tu lo faccia."

"Lui è morto in Febbraio, e io lo so! " urlò lei, le sue parole echeggianti nel vuoto fino alle travi del soffitto. Michael le afferrò un braccio, girandola per farsi guardare in viso. Improvvisamente la sua espressione si addolcì, vedendo le lacrime che riempivano gli occhi di lei.

"Lo so, Liz." la consolò gentilmente. Improvvisamente sembrava così alto, sovrastandola nella penombra del suo appartamento. "E' solo … beh, gli altri non ne sono convinti."

"Io l'ho sentito nel momento in cui è accaduto." spiegò lei, le parole che si affastellavano nel bisogno di spiegare. "L'ho sognato 8 anni fa, in questo mese … esattamente nel momento in cui è accaduto."

"E allora perché non riesci a lasciarlo andare?"

"Cosa?" gridò lei indignata. "Scusa, cos'è che mi hai appena detto?" piantò le braccia all'altezza dei fianchi, guardando in alto, al suo viso, con forte determinazione.

"Mi hai sentito."

"E' vero, ma non posso credere che, tra tutte le persone, sia tu a dirmi questo, Michael Guerin."

"Io ti amo, Liz." sbottò lui, passandosi le dita tra le lunghe ciocche. I loro occhi si incontrarono per un silenzioso momento, solo i loro cuori battevano sull'insistente ritmo della musica.

Non come amo te … non come amo te … non come amo te.

Lui aveva affermato l'inaffermabile, aveva rotto il sacro patto che li aveva legati per tutti quegli anni.

Liz cominciò a muoversi, dirigendosi verso la porta. Qualunque cosa pur di non rimanere lì, al centro dello lo sguardo vulnerabile di Michael. Si afferrò la gola, sperando che la stretta dolorosa si alleviasse.
"Ascolta, me ne devo andare." rispose lei finalmente. "Fate qualunque cosa voi vogliate per quella stupida lapide. Lui è morto, fine della storia."

"Allora perché la nostra storia non può cominciare, Liz?" chiese lui piano, così piano che Liz lo sentì appena.

"Devo andare." ripeté lei assente, immagini del misterioso dipinto che le affollavano la mente.

Un cielo aperto, braccia spalancate.

Statue in frammenti, diapositive al college.

Michael nella sua camera, al college, accoccolato troppo vicino nel letto di lei. Tenendola tra le braccia per ore mentre entrambi piangevano. Accarezzandole i capelli.

Le mani più tenere da quando …

Lei afferrò la maniglia della porta, appoggiandosi sopra con tutto il suo peso, per forzarla ad aprirsi. Improvvisamente Michael le afferrò le mani, intrappolandole contro l'acciaio.

"Svegliati, Liz." disse lui a denti stretti contro il suo orecchio. "Max è morto."

Lei tacque un momento, chiuse gli occhi cercando di recuperare l'equilibrio, a dispetto delle gambe che tremavano. Finalmente, inghiottì forte e parlò.

"Già, beh, lo sono anch'io, Michael."

***

Una calotta polare si era spostata, gemendo contro la terraferma al di sotto. Una divisione, un aggiustamento. Un patto tradito.

Liz aveva guardato in alto, nel cielo di New York, solo frammenti di azzurro chiaro che facevano capolino tra il vetro e il cromo e l'acciaio. Occasionalmente, una nuvola scorreva velocemente alla vista, e quindi scompariva oltre.

Una fenditura aperta e poi chiusa, che rivelava una serie di immagini che si innalzavano verso il cielo – veloci e poi lente, riquadro per riquadro, a seconda di come lei le studiasse.

Sorseggiava il suo caffè, non quello di Starbucks questa volta. Di quell'altro locale che lei aveva trovato solo a New York. Quello il cui nome non era mai riuscita a ricordare, neppure nei suoi sogni, come adesso.

Una goccia le solleticava il labbro e la sua lingua la catturò, leccandola via, mentre lei guardava prima a sinistra e poi a destra nell'affollato incrocio. Clacson urlavano, interrompendo la calma del mattino.

Sbuffi di vapore salivano dalle grate della metropolitana, arricciandosi in delicate volute bianche. Segnali di fumo della città sotterranea, un linguaggio segreto che avrebbe potuto decifrare.

Se solo avesse potuto capire l'alfabeto dei suoi sogni.

Era a New York, da qualche parte nel distretto finanziario, al mattino presto. Uomini ordinatamente vestiti in giacca e cravatta si affrettavano versi noiosi lavori a Wall Street. Agenti di commercio e bancari, tutti indaffarati in lavori che potevano anche non desiderare, come tante api dell'alveare.

Il rumore era assordante, aspro alle sue orecchie mentre lei guardava in alto, alla ricerca del cielo. E fu allora che gli spazi di azzurro e nuvole brillarono da lassù, tessere di un importante mosaico. Qui era dove era la verità, se solo lei avesse potuto scendere nella profondità del sogno.

Nel suo primo viaggio a New York, lei aveva voluto vedere il monumento al World Trade Center, inesplicabilmente attratta fino lì. Aveva saputo da Maria che non c'era molto da vedere – non in quei giorni almeno – ma una parte di lei aveva bisogno di vederlo di persona.

Tremila o più voci era state zittite in un solo momento, meravigliose e vitali, e improvvisamente non c'era stato più nulla. Be', non tutto in una volta, aveva rifettuto lei mentre era in piedi all'incrocio del centro di Manhattan, guardando a destra e a sinistra per muoversi nel traffico del mattino.

Non un unico momento, ma una serie di silenzi. Il primo era stato alle 8.53 e poi la morte aveva battuto a ritmo sempre più serrato. Come il viaggio di Max. Prima il Granolith, e più tardi la sua visione della morte di lui. Ora una lapide che i suoi amici e coloro che lo amavano avrebbero voluto costruire.

E poi solo silenzio.

L’area del monumento alla memoria era un cratere battuto dal vento nel mezzo di una città pulsante – come una mini Hiroshima, come un cratere cosmico nella coscienza dell'umanità.

Liz era rimasta sulla piattaforma, scorrendo intorno a sé i metalli piegati e il cemento che era rimasto. Macerie stilizzate, come i pezzi di una scultura moderna.

Poi, nella piccola folla mattutina, lo aveva visto. Era proprio dall'altra parte della strada, i capelli neri ordinatamente all'indietro, una ventiquattrore in mano.

Un sosia, una raccapricciante similitudine della sua metà dell'anima di tanto tempo prima.

Solo che questa volta lui aveva guardato verso di lei, oltre il flusso che scorreva, taxi ed autobus, pedoni palpitanti tra di loro.

Gli occhi dorati non erano diventati verdi, il mento non era diverso.

Max le aveva sorriso, un tenero, insistente mezzo sorriso di riconoscimento.

"Max!" aveva urlato lei silenziosamente, incapace di far funzionare la bocca. La sua mascella doleva mentre muoveva le labbra, cercando di emettere un suono. Ma lui si era voltato lentamente, nessun altro segno di riconoscimento mentre lei si precipitava giù dalla piattaforma. Aveva inciampato sugli scalini, scivolando.

Si era lanciata dietro di lui, nella strada.

E si ritrovò di colpo sveglia mentre atterrava sul tetto di un taxi, scompostamente sdraiata, una mano sul cofano, il caffè che scivolava contro il parabrezza.

Frammenti e pezzi. Cocci rotti. L'immagine di un momento ridotta in frantumi.

Lei giaceva sul cofano, senza fiato e terrorizzata, cercando Max nella folla.

Ma lui era scomparso, perso nel mare di anime attorno a lei.


***


Liz si svegliò dal sogno in un bagno di sudore, gettando una rapida occhiata all'orologio digitale.

Le 4.34 del mattino

La stessa ora in cui si era svegliata ogni notte, ormai da 8 anni, sempre vagamente terrorizzata. Sempre dagli stessi sogni.

Si strofinò gli occhi assonnata e accese la lampada. Aveva cercato di spiegare il sogno ricorrente al suo psicologo, quello che la sua famiglia aveva insistito che incontrasse durante il college.

Dopo che Max era morto.

E lui le aveva spiegato il modello di risveglio in una maniera perfettamente scientifica, qualcosa che Liz aveva immediatamente compreso essere la verità. Si svegliava ogni notte alla stessa ora – nel preciso momento della morte di lui – come un modo per essergli ancora vicina. Aveva nominato se stessa custode della memoria di lui, l'unica che fosse stata sveglia e vigile nell'ora della sua morte, perché lei lo amava.

Era come un perverso orologio di un letto di morte.

Solo che lei non aveva mai ammesso il letto di morte, non aveva mai accettato quella fine. Invece si era aggrappata a quell'ora, le 4.34 del mattino, ripetuta notte dopo notte, una specie di purgatorio surreale, eretto da sé stessa.

E questo era molto meno doloroso che rimanere aggrappata a Max.

***


Una sola email lampeggiava nella inbox di Liz, pregando di essere letta. David Peyton le aveva risposto durante la sua assenza.

Lei sentì il cuore accelerare in anticipazione, mentre scivolava fuori dalla pesante coperta invernale. Accese la macchinetta del caffè e si sistemò alla scrivania, pronta ad essere irritata da lui.

Ma non si sarebbe mai aspettata le parole che vide, luccicare sullo schermo.



Devo scusarmi, Ms. Parker. Non volevo affatto mancarle di rispetto… piuttosto il contrario. Io so quanto lei sia impegnata e volevo solo farle conoscere le mie intenzioni. Non sto cercando un rappresentante, ma semplicemente sapere se il mio lavoro ha un potenziale. Per favore accetti le mie umili scuse, se le mie azioni le sono sembrate maleducate o … con un secondo fine.

Suo, David.

P.S. Manderò un corriere per il dipinto.




Oh, santa pazienza, pensò Liz alzando gli occhi al cielo. Non erano neppure le 6 del mattino. Era stanca ed irritabile e in qualche modo una risposta così apparentemente ingenua la frustrò ulteriormente.

Nessun problema, digitò lei nervosamente. Ero solo curiosa di sapere cosa "Apri i tuoi occhi" significasse. Può venire alla galleria? Discuteremo del suo lavoro … io sarò lì tutto il giorno.

Liz sentì un fruscio sopra la sua testa e sentì acuminati sensi di colpa assalirla. Michael non si svegliava mai così presto, il che significava una delle due cose. O era stato in piedi tutta la notte, oppure era sveglio eccezionalmente presto.

Sapeva che, in un modo o nell'altro, lei era parzialmente da incolpare, il modo in cui aveva rigettato la sua dichiarazione d'amore per lei. Chiuse gli occhi, rabbrividendo al ricordo. E ricordò come aveva desiderato baciarlo solo il giorno prima, di quanto meraviglioso le era sembrato stando vicino a lei, studiando il dipinto.

Io ti amo, Liz. Lui aveva sussurrato quelle parole con una tale passione, un tale sentimento. Lei conosceva il prezzo che lui doveva pagare per ammettere quello che non avrebbe mai dovuto essere pronunciato.

Ma lui aveva compreso il loro accordo e non si poteva romperlo. Non importa quello che il cuore di lei continuava a sussurrare in risposta.


***


Mi spiace di non poter venire. Purtroppo, non è possibile. Io ho, come si usa dire … handicap fisici.

I puntini di sospensione tradivano la sua confessione, attirando l'attenzione di lei sulle sue parole, come se avesse lottato per quella descrizione di sé stesso e fosse giunto all'unica possibile spiegazione. Ma non era esattamente quella giusta, lei lo sentiva in qualche modo.

Accetta visitatori? lo provocò lei, con malizia. Ha altri lavori che potrei venire a vedere?

Era decisa a scoprire quali segreti David Peyton nascondesse, come se la vita di questo misterioso uomo riflettesse la sua. Perché c'era una relazione che lei sentiva nel dipinto di lui, qualcosa di nascosto e oscuro nel suo lavoro. Un segreto terribile, un momento perso per sempre … persino nel ricordo.

Ci sono altri pezzi, sì, Ms. Parker. Ma non credo che lei dovrebbe venire. Li lascerò a sua disposizione, se a lei va bene.

"No, non va affatto bene!" esclamò lei a voce alta, quindi guardò verso l'alto domandandosi se Michael l'avesse sentita urlare, dato che un suono soffocato era arrivato di risposta a quello che lei aveva detto.

"Scusa Michael." aveva mormorato piano, sperando di non averlo svegliato da un momentaneo riposino.

Verrò lì, insistette. Liz Paker non si era certo fatta un nome nel mondo dell'arte, in soli quattro anni, senza imparare come essere un po' determinata quando era il momento di scoprire un nuovo talento. Perché oltre la sua curiosità sull'elusivo David Peyton, lei sapeva comunque che lui aveva qualcosa.

La sua abilità poteva ancora essere in fase di crescita, ma il suo dipinto rivelava un dono per esprimere sé stesso al di là delle convenzioni. Lei vedeva migliaia di quadri all'anno da potenziali clienti, tutti perfettamente realizzati. Il problema era che erano mancanti della … magia. Dell'ispirazione. Di un certo qualcosa che avrebbe fatto la differenza rispetto alla massa degli altri artisti.

David Peyton aveva quel qualcosa, così lei era disposta a dargli la caccia per un po'.

Che mi dice di "Apri i tuoi occhi" aggiunse in una seconda email. Che cosa significa, David?

Liz camminò fino alla caraffa del caffè, spaventata dal rumore del messaggio "è arrivata posta" che risuonò nella galleria silenziosa. Tornò in fretta al computer, e aprì un'altra email da DavidPeyton321@newmex.net.

Apri i tuoi occhi … è il titolo del dipinto.

Ancora quei puntini di sospensione, pensò Liz compiaciuta e seppe che, sebbene quello potesse essere il titolo, lui stava cercando ardentemente di dirle qualcosa di totalmente diverso.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Parte Quattro


David Peyton le toccava l'anima con i suoi colori.

Per tutto il giorno, lo sguardo di Liz era stato attratto dal suo dipinto, che sembrava esercitare su di lei una forza aliena.

Le sue pennellate toccavano posti ormai morti, attirandola profondamente nel suo dipinto, e lasciandola desiderosa di qualcosa di più. Incerta … affamata.

Apri i tuoi occhi pensò lei. Oh David… se solo potessi.

Sollevò dita incerte per sfiorare le ali dell'angelo e chiuse gli occhi. Appena respirando.

Dentro e fuori, il ritmo del sonno. Il ritmo dei sogni. Le sue mani si sollevarono verso il cielo che la chiamava. E lei poté semplicemente volare, fluttuare verso un lontano mondo per sempre.

Apri i tuoi occhi…

Michael non aveva risposto a nessuna delle sue chiamate per tutto il giorno. Ora erano quasi le 5 del pomeriggio e lui non le aveva neppure portato una tazza di caffè di Starbucks da dividere – uno dei loro rituali giornalieri. Lei moriva dalla voglia di parlargli, per essere sicura di non averlo ferito troppo profondamente la sera precedente.

Lui le aveva detto che la amava. Finalmente. Il culmine di 10 anni di emozioni e desideri repressi, e lei non era stata neppure capace di guardarlo negli occhi. Di ammettere che, qualche volta, per qualche breve attimo, lei si era sentita viva accanto a lui.

Che qualche volta lei aveva creduto nelle loro possibilità.

Così lei arrivò fino alla sua scrivania, componendo il numero del suo cellulare per l'ennesima volta. Si era decisa a fare un passo coraggioso quando lui finalmente rispose alla sua telefonata, perché c'era qualcosa che lei voleva che sapesse, un ramoscello d'olivo che lei voleva porgergli come spiegazione.

Si sistemò alla sedia della scrivania, piegando le gambe sotto di lei, e si lasciò alla spalle il resto della galleria, girandosi in direzione del muro. Un calendario con foto d'epoca scattate a New York era appeso di fianco a lei, fermo allo scorso dicembre. Lo aveva lasciato lì perché amava la foto dei due amanti che si baciavano a Coney Island … un momento illecito rubato sotto le banchine.

Michael la fece sobbalzare rispondendo con il suo solito brusco ‘hello’. Almeno era un buon segno, dato che sapeva benissimo chi lo stava chiamando.

"Che c'è?" chiese con naturalezza. Ma lei poté sentire le emozioni bruciare nella sua voce, dal tono stanco.

"Stai dipingendo?" chiese cercando di sembrare allegra.

"Oggi no.". Poi il silenzio, mentre lei diventava consapevole del ricevitore nella sua mano sudata. Aiutami Michael, pregò lei. Rendimi le cose un po' più facili, per favore.

"Allora … "cominciò lui, ma la sua voce si spense in un silenzio pieno di disagio.

"C'è qualcosa che voglio dirti, Michael." rispose lei esitante. "Qualcosa che vorrei averti spiegato… prima."

"Certo." la incoraggiò lui con voce dolce.

Lei tirò un profondo respiro, lo sguardo rivolto al bacio della banchina. "Io so che Max è morto." riprese piano, sentendo il sangue pulsarle nelle orecchie. "Io sono quella che lo ha sentito morire."

"Liz, io ho esagerato." si giustificò lui.

"Lasciami finire." lo interruppe lei.

"D'accordo"

"Ma qualche volta mi manca così tanto che credo che mi ucciderà." mormorò Liz al telefono, il petto stretto dalla dolorosa ammissione. Michael non poteva minimamente capire cosa le aveva fatto la sera prima, non poteva capire che aveva risvegliato qualcosa di freddo e dormiente dentro di lei. Qualcosa che lei non voleva fosse risvegliato.

Ma lui rimase in silenzio dall'altra parte del telefono, il suo respiro appena udibile. Sia che lui lo capisse o no, la confessione di lei era arrivata ad un costo molto alto. Perché lei aveva ammesso di sentire qualcosa, e questo era molto di più di quanto fosse stata in grado di fare per quasi 8 anni.

Lui mi manca così tanto che potrei morire … se non lo fossi già, pensò lei, strofinandosi la mascella.

"Liz, mi piacerebbe poterti aiutare." rispose alla fine Michael "Ma penso che smetterò di provarci."

Il petto le fece male alle parole di lui e si sentì la gola stretta. "Michael." lo pregò piano. "Per favore."

"Liz, io non ce la faccio più." ammise lui, la voce piena di emozione. "Ti ho detto quello che sentivo … lo sai da sempre. Ma tu ami ancora lui."

"E anche tu." ribatté lei gentilmente.

"Questo non è rilevante in questa conversazione."

"Michael, è il cuore di questa conversazione. E' tutto."

Lui sospirò pesantemente, e lei sentì i pennelli che sbattevano dietro di lui. Magari lui stava dipingendo, ma perché avrebbe dovuto mentire?

"Perché amare lui significa che io non posso amare te?" la sua voce era incredibilmente persa e confusa. "O che tu non possa amare me?"

"Non … non sto dicendo questo."

"Sì, Liz. Credo di sì … è quello che dici da sempre. O che non dici." le rispose.

"Michael … " cominciò lei, ma lui la interruppe.

"Tu lo ami ancora, Liz. Tu sei lì,come congelata, e io non ho più la forza di combattere." sospirò di nuovo. "E non posso combattere lui. Perché se c'è una cosa che ho capito anni fa, è che io non sarò mai Max Evans." La sua voce si ruppe sulle ultime parole, causando un palpito nel cuore di Liz.

"Devo andare … devo dipingere." mormorò, chiudendo rumorosamente il cellulare e Liz sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

Michael, ti amo.

Lo aveva quasi detto, era stata così dolorosamente vicina. Ma come le porte di un ascensore, che ti si chiudono in faccia un attimo prima che tu riesca ad entrare, il momento era svanito. Un altro piano, un'altra vita. Un'altra opportunità persa.


***


Liz era tornata a Roswell dopo la laurea stranamente piena di aspettative. Non solo per la sua carriera artistica, ma anche per Michael. Forse si sarebbero finalmente uniti, e per un unico breve momento, lei avrebbe potuto essere di nuovo una persona intera.

Il suo eterno mosaico si era mosso leggermente e poi era sembrato finalmente assestarsi, una spezzettata immagine di possibilità.

Lei e Michael erano diventati sempre più vicini, durante i quattro anni di separazione, soprattutto durante i suoi lunghi viaggi sulla costa est, quando avevano visitato insieme gallerie d'arte infinite. Dopo, ogni volta, avevano passato ore a parlare durante una pizza, le dita che si sfioravano leggermente con un'esplosione di sorprendente calore.

In quei giorni, lei aveva pensato che avrebbe potuto innamorarsi di lui, ma aveva tenuto a bada le sue emozioni, seppellendole sotto le fredde ceneri del suo cuore. Ma ogni volta che erano stati vicini l'uno all'altro, si erano risvegliati, facendo cauti passi uno verso l'altro. Alla fine avevano passato le vacanze di primavera di Liz, nel suo ultimo anno di studi, accampati nella camera del suo dormitorio, e avevano dormito insieme ogni notte.

Una sola volta, durante quella settimana, quando lui aveva pensato che lei dormisse, Liz aveva sentito un tenero bacio sulla fronte. Rubato e dolorosamente meraviglioso. Ma, nonostante lei volesse semplicemente girare il viso verso quello di lui e catturare le labbra di lui con le sue, non ne era stata capace. Era rimasta paralizzata, immobile tra le sue braccia, le immagini di Max che la ossessionavano. Il loro primo bacio sul balcone, il tocco delle dita di lui contro la sua pelle scoperta.

Alla fine, aveva sentito il respiro di Michael cambiare, farsi più profondo contro la sua testa, le sue mani rilassarsi leggermente al suo fianco. E Liz aveva rimpianto quello che avrebbe potuto essere.

Non solo per Max, sul fatto che avrebbe dovuto essere lui a tenerla tra le braccia in quella fredda notte di primavera. Ma anche per Michael. Per tutto quello che avrebbe potuto essere nella sua vita.

Ma per quando era tornata a Roswell, quella tarda primavera, aveva raggiunto una decisione. Tutti loro avrebbero festeggiato alla piccola festa di laurea che i suoi aveva deciso di tenere al Crashdown. Maria stava tornando da New York, Isabel dalla California e avrebbero potuto essere di nuovo insieme, celebrare tra amici il ritorno a casa.

E lei avrebbe detto a Michael che lo voleva, perché sebbene non avesse mai cessato di soffrire per Max, era arrivata all'incerta conclusione che lei teneva anche a Michael. Il suo cuore si stava aprendo come un fiore di primavera, delicato e fragile.

Mentre si vestiva per la festa, passò ore davanti allo specchio, tirandosi su i capelli nel modo che sapeva le stava bene, si domandò come avrebbe reagito Michael incontrando di nuovo Maria. Loro avevano rotto durante l'ultimo anno alle superiori, ma lei sapeva che i sentimenti di lui verso Maria erano ancora irrisolti – e che lui non l'aveva praticamente più vista negli anni successivi. Era stata Liz a viaggiare per andare da lei, almeno una volta all'anno, non Maria.

In quanto a Maria, aveva una storia con il batterista del suo ultimo gruppo – un ragazzo che nel frattempo stava lavorando come stagista in MTV. Così Liz sapeva che benché Maria avrebbe potuto restarne sorpresa, certamente non sarebbe stato uno shock per lei se loro due avessero cominciato ad uscire insieme. E mentre moriva dalla voglia di raccontarle tutto – soprattutto quando Maria insisteva per avere i dettagli della sua non-esistente vita amorosa – in qualche modo la cosa le sembrava troppo strana.

Durante tutta la festa, Liz aveva visto Michael fissarla nei momenti più strani, e lei era arrossita in reazione tutte le volte. Specialmente visto come sembrava timido vicino a lei, così diverso dall'ultima volta che erano stati insieme sulla costa est. Il suo agire cauto le aveva ricordato un altro timido giovane uomo, che la guardava dall'altra parte del Crashdown, in silenzio.

Michael aveva riso con Maria per tutta la sera, ma ogni volta che Liz lo guardava, gli occhi di lui erano fissi su di lei. Pieni di evidente desiderio.

Ad un certo punto, con tutti i suoi amici che andavano e venivano dal ristorante, lei non lo aveva più visto. Ma lui, prima, le aveva chiesto di accompagnarla al suo appartamento per stare un po' insieme – ancora non viveva a Santa Fe, allora.

Mentre la festa si avvicinava alla conclusione, Liz portò i piatti sporchi in cucina e udì uno strano rumore del vicino locale magazzino. Qualcosa in lei le consigliò di ignorarlo, qualche istinto primario, eppure lei si ritrovò ad aprire la porta – nonostante la sua mente le chiedesse di fare il contrario.

E aveva trovato Michael e Maria uniti insieme al buio, le gambe di lei aggrappate ai fianchi di lui, la bocca di lui seppellita nel suo collo. Entrambi avevano gridato, mentre la piccola lama di luce dell'ingresso aveva infranto le tenebre, illuminando alla perfezione i loro corpi seminudi. E Liz era rimasta a fissarli per quello che le era sembrava un'eternità, fino a quando era riuscita a mormorare un incerto "scusate … scusate tanto" ed aveva chiuso di nuovo la porta, il viso arrossato dalla vergogna.

Era corsa su per le scale fino alla sua camera, asciugandosi gli occhi ciecamente – maledicendo sé stessa per aver sperato, per aver creduto di poter amare di nuovo.

Specialmente quando non poteva far cessare al suo cuore di amare Max. Tutto il resto era solo finzione.

Più tardi, Michael l'aveva trovata sul balcone, a leggere nostalgicamente le cronache dei primi giorni descritti sul suo vecchio diario. Lei aveva tirato su le gambe e si era accoccolata con i suoi ricordi di Max, accarezzando ogni pagina ingiallita man mano che la girava.

Michael era passato attraverso la finestra, un senso di colpevolezza silenzioso e forte che gli si leggeva negli occhi.

"Liz." aveva cominciato a dire, facendo scivolare le lunghe gambe al di fuori del basamento.

"Michael, dio, non parliamone, okay?" era esplosa lei, sentendosi incredibilmente stupida.

"Io non la amo più."

"Certo, naturalmente. Lei è Maria. E' bellissima." aveva detto di getto, convinta di ogni parola.

"Tu sei bellissima… io starei con te in un secondo, se pensassi che tu mi prenderesti."

"Maria è quella giusta per te." ribatté lei piano, evitando il suo sguardo penetrante.

"Lei è un'abitudine, una confortevole abitudine."

"Ascolta, Michael, tu sai che io amerò per sempre una sola persona." replicò Liz in tono sofferente, cercando di sembrare lontana. Ma quello che diceva era la verità e lui doveva saperlo. "Tu lo hai letto in questo quaderno anni fa." lei sollevò il diario con intenzione, ricordandogli quelle parole rubate, quelle emozioni del cuore di lei che lui non era destinato a conoscere.

Pensò che forse erano quelle parole che li avevano legati insieme così profondamente, mentre rimanevano fermi per sempre su quella collina rocciosa, con spirali di fumo che risalivano dalla Pod Chamber.

"Io potrei amarti." la voce di Michael era diventata bassa, innegabilmente gentile, mentre rimaneva in piedi nel balcone non illuminato, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans. Era uno strano contrappasso ai suoi ricordi di Max, in piedi sullo stesso balcone in una posa similare.

"Già, beh, non farlo." aveva esclamato lei, chiudendo il suo diario con aria di intenzione. Ma non aveva mai dimenticato il modo in cui lui l'aveva guardata, gli occhi malinconici che sembravano così persi.

Qualcosa di nascente era appassito dentro di lei quella sera. Era stato come se il suo cuore si fosse quasi aperto di nuovo, un piccolo germoglio di croco che spunta nella neve. Ma si era chiuso ancora, in fretta, per non fiorire mai più.


***


"Mi spiace." aveva mormorato Michael, fissando qualche punto lontano oltre la sua spalla mentre le porgeva il bicchiere di caffè di Starbucks nella mano. Si guardò ansiosamente intorno nella galleria, osservando i muri, i dipinti, gli occhi apparentemente incapaci di mantenere lo sguardo su di lei.

Liz arrossì debolmente, sentendo la strana atmosfera che si era creata fra di loro. Desiderando di poterla in qualche modo eliminare.

"Me lo meritavo." rispose lei piano. Lui scosse la testa in silenzioso diniego e i loro occhi si incontrarono per un momento, mentre lei faceva il giro della scrivania per andargli incontro. Lui si allontanò da lei, fermandosi davanti al dipinto di David Peyton, studiandolo pensosamente.

Parole non dette vibrarono come scariche elettriche nell'aria, mantenendo una vita anche nel silenzio. Lei sentì che c'era molto di più che lui desiderava dire, mentre si scostava pensosamente i capelli dal viso. Per un attimo, sembrò pronto a parlare, e Liz si fece forza. Quindi, il suo atteggiamento cambiò e si rilassò di nuovo.

"Perché questa cosa mi disturba così tanto?" chiese lui retoricamente, sfregandosi un sopracciglio mentre fissava il dipinto. "Penso di odiarlo."

"Perché?" chiese lei, sorpresa dalla sua reazione. Profondamente conscia di quanto lui le fosse vicino, il suo corpo così caldo. Come era sempre stato Max. Più caldi che i corpi umani, pulsanti proprio di calore e potere.

"E' pretenzioso." osservò lui, sorseggiando il suo caffè. "Voglio dire, diavolo, è come un taglio su uno Chagall o cose del genere".

Ecco cos'era. Il dipinto che non riusciva a ricordare, quello che più le aveva rammentato quello di David Peyton. Il suo lavoro richiamava alla mente i voli di fantasia infantili di Chagall, eppure era colmo di qualche oscuro universo alternativo, spezzato e contorto.

Il suo dono era raro come la coda di una cometa, che attraversava una galassia sconosciuta, lasciando polvere di stelle nel suo cammino.

"E' come … una magia" mormorò lei, guardando le mani dell'angelo. Erano così perfettamente disegnate e meravigliose, mentre si tendevano verso l'alto con lunghe dite, delicate nella forma. Il tipo di mano che può toccarti e guarirti – o aprirti l'anima se ne hai bisogno.

Mani che avrebbero accarezzato i tuoi capelli per un'intera notte, cullandoti fino a quando tutti i demoni sarebbero scomparsi.

"Tu ti sei innamorata." si accigliò Michael, scostandosi da lei. Per un attimo, le parole di lui la scossero.

Molte immagini le fluttuarono nella mente in fretta. Michael al cavalletto, fischiettando piano, mentre lei faceva un sonnellino sul suo sofà. La tensione del desiderio, mentre lo guardava attraverso gli occhi socchiusi.

Michael che le sfiorava una guancia per svegliarla, le sue dita sul viso di lei per un lungo momento.

Scoperta, esposta agli occhi di tutti.

Fino a quando lei non capì che lui intendeva dire che lei fosse innamorata del dipinto. "Quindi è meglio che tu scopra chi diamine lo ha fatto, eh?" disse lui in una specie di ringhio.

Lei lo seguì con lo sguardo, mentre lui si avvicinava all'ingresso ormai oscurato. La sua maglia aveva un buco nella schiena, lungo la spalla, e lei provò l'urgenza di far scorrere le dita attraverso la maglia strappata e toccargli la schiena.

Per accarezzarla, per esprimere tutto quello che non riusciva a dire con le parole.

"Io so chi lo ha dipinto." confessò lei, sempre con gli occhi su di lui, desiderando che si fermasse ancora un po'.

Lentamente, Michael si girò a guardarla in viso, con i suoi liquidi occhi scuri pieni di sfumature.

"Il suo nome è David Peyton." spiegò lei. "E mi manderà qualcos'altro con il corriere entro stasera."

"Beh, speriamo che siano … magici come questo." bofonchiò lui. Stava involvendo, costringendola a tornare a 10 anni prima, ad un tempo in cui erano sempre antagonisti. La stava abbandonando.

"Ma io volevo anche sapere che cosa ne pensassi tu." La voce di lei era piccola, sconsolata come lei si sentiva dentro.

"Non hai bisogno della mia opinione, Liz." ribatté lui secco, aprendo la porta. "Diavolo, non hai bisogno neppure di me."


***

"Mi può dare l'indirizzo dal quale ha ritirato questi?" chiese Liz, girando la cartelletta del corriere così da firmare per la consegna. Lui aveva sotto un braccio tre dipinti ordinatamente incartati, la stessa carta avvolta precisamente per tutti e tre.

"Mi spiace." rispose il corriere, porgendole una ricevuta gialla. "Non ci è permesso dare queste informazioni."

"Questi arrivano da David Peyton, giusto?" insistette Liz, mentre prendeva possesso dei tre pezzi, portandoseli al petto come delicate porcellane. "E' lui che li ha spediti?"

"Se questo è quello che è scritto sulla ricevuta." rispose il corriere, voltandosi verso la porta.

"Sicuro di non potermi dare l'indirizzo?" incalzò Liz, incapace di darsi per vinta, ma il corriere scosse semplicemente la testa.

"Può dirmi almeno che aspetto aveva?" domandò Liz, consapevole della nota di disperazione che trapelava dalla sua voce. "Qualcosa?" Per motivi su cui non voleva indagare, aveva bisogno di sapere qualcosa di solido sul suo enigmatico David Peyton.

Il corriere si fermò un attimo, la mano appoggiata sulla porta. Fissò il pavimento per un momento, chiaramente considerando se la policy della compagnia gli permettesse di rispondere. "Differente." disse alla fine, aprendo la porta. "Decisamente differente. Ci vediamo, Ms. Parker."

Differente. Che razza di risposta era quella? Non affascinante, o zoppo, o orrendamente brutto. Solo … differente.

Liz sentì un'innegabile accesso di curiosità, mentre cercava di bilanciare i tre pacchi nelle sue mani e camminava verso il bancone. Li sistemò uno di fianco all'altro sulla superficie di vetro, notando che ognuno portava attaccato un semplice biglietto bianco.

Il primo, scritto in un'impeccabile ordinata calligrafia, portava scritto Inserire Le Foto Qui. Lei non era sicura se fossero istruzioni o il titolo del quadro. Si accigliò esaminando il successivo. Segue al Sogno. Ora, questo era un titolo, e uno dannatamente buono, anche, pensò con qualche soddisfazione. E il terzo biglietto diceva, Ancora Senza Titolo Ms. Parker.

E curiosamente, quello fu il biglietto che più la lasciò confusa. Era chiaramente un titolo provvisorio per il dipinto, ma a causa della virgola assente, sembrava implicare che fosse lei Ms. Parker, ad essere ancora-senza-titolo. Come se, per tutta la sua vita, Liz Parker fosse rimasta in attesa, aspettando semplicemente che David Peyton le conferisse un titolo. Quello che sicuramente lei meritava di più.

Come se quel titolo fosse ancora indefinito.

Liz allungò una mano e accarezzò lentamente la carta del primo pacco, sentendone gli orli ruvidi. E qualcosa la fece trattenersi dall'aprirlo … dall'aprirne uno qualsiasi. Invece, fece il giro del bancone fino alla scrivania e scrisse una breve email a chi aveva, con tanto amore, impacchettato i quadri.

David, sono arrivati. Non li ho ancora aperti, ma sono curiosa sui titoli prima di farlo. Qualche spiegazione in proposito? Ce n'è qualcuno legato ad un altro?

Distintamente,

Liz P.



Liz compose un numero di New York, organizzando i dettagli del suo prossimo viaggio, e per tutto il tempo i suoi occhi rimasero fissi sulla sua inbox. Finalmente, la risposta che attendeva arrivò.



"Inserire Le Foto Qui " e "Segue al Sogno" sono, in effetti, semi-compagni … sebbene non ne fossi certo fino a quando lei non me lo ha chiesto. Com'è evidente, il terzo è disperatamente bisognoso di un titolo. Forse semplicemente "Ms. Parker" potrebbe essere quello più adatto? A proposito, posso chiamarla Liz? O mi sto spingendo troppo oltre, per qualcuno non l'ha mai incontrata?

Suo, David.



Liz non poté spiegarsene il motivo, ma stava arrossendo terribilmente. Il calore le era salito dal collo fino alla sommità della testa, al mero suggerimento di intitolare il quadro, Ms. Parker. E quello, insieme all'educata richiesta di poterla chiamare con il suo nome, le aveva lasciato le guance rosse come una ragazzina. Si passò le dita tra i capelli, cercando di calmare i battiti impazziti del suo cuore.

Nessuno sconosciuto avrebbe dovuto avere il potere di farle perdere la testa in quel modo, eppure qualcosa nelle criptiche, brevi note di David aveva cominciato a scuoterla, si era insinuato dentro di lei con la stessa facilità con cui lo avevano fatto le sue opere.

Liz indietreggiò dallo schermo, cercando il suo sottile tagliacarte. Michael le aveva regalo un coltellino svizzero rosa qualche Natale prima. Era stato un piacevole scherzo tra di loro, dato che lei gli chiedeva sempre in prestito il suo semi arrugginito tagliacarte e non glielo ridava mai indietro. Così lui era riuscito a trovare quello che aveva definito "un coltello da ragazza", facile per lei da maneggiare.

Liz osservò il piccolo gruppetto di pacchi marroni, domandandosi quale aprire per primo. Per qualche motivo, si ritrovò a pensare ai dorati pacchettini di Godiva che i suoi clienti le donavano ogni Natale.

Un’innegabile curiosità la spingeva verso il quadro Ms. Parker – come già era giunta a chiamarlo in quei pochi minuti – e aprì la carta di quel pacco per prima. L'involucro marrone si aprì, chiamandola ad avvicinarsi come un timido amante.

Lei scostò i bordi della carta e improvvisamente, rosa e rossi di un altro mondo incorniciarono un selvaggio panorama. Su una collina lontana, appena visibile, c'era una giovane donna. Era in piedi su un promontorio scosceso, guardando oltre la sua spalla, catturata proprio mentre stava per voltarsi. Era avvolta in uno scialle nero, quasi un mantello, mentre guardava verso un terreno piatto che si stendeva sotto di lei. Assomigliava al deserto del New Mexico, con i suoi colori sorprendenti e mutevoli. Ma Liz si accorse che c'era qualcosa di strano. In qualche modo, aveva l'impressione di guardare un mondo totalmente alieno.

Il panorama era affilato, brutale, come composto di antiche ossa e rocce. La terra era secca, eppure allo stesso tempo mistica e maestosa. Questo dipinto non era diverso da quello dell'angelo – sentimenti dolorosi e panorami alieni e brutali.

Liz emise un lungo sospiro e solo allora, realizzò che aveva trattenuto il fiato, costretto nel suo petto, mentre osservava il quadro. Lo sguardo sorvolò lo scenario, attardandosi sulla giovane donna. Era nascosta dalla perfetta oscurità, si girava appena in lontananza. Liz dovette ammettere che possedeva un'innegabile sensualità. Pelle cremosa, evidenziata dai vibranti colori intorno a lei.

Come una bellezza mediorientale, lei era immobile, ipnotizzata dal paesaggio intorno a lei, nella terra dei sogni.

Liz si portò una mano al viso, e le sue guance cominciavano a colorarsi di nuovo alla realizzazione che questa scura bellezza, così delicatamente inserita nel vortice di colori e luce che erano i quadri di David, era forse, in qualche modo, la rappresentazione di … sé stessa.

Posso chiamarla Liz? O mi sto spingendo troppo oltre …

Liz scosse la testa, ridendo a voce alta. "Dio, Parker!" rise. "Passi troppo tempo da sola, ultimamente."

Ma cosa le veniva in mente? David Peyton non era altro che un aspirante pittore, decisamente intento a catturare la sua attenzione con gran furbizia. Lui non l'aveva neppure ancora incontrata, e non l'aveva nemmeno mai vista.

Nessun uomo ti ha fatto arrossire così da anni, interloquì una morbida voce. Tu sai esattamente quanto tempo è passato.

Ma mise da parte il pensiero, muovendosi per aprire gli altri due dipinti, spinta da una terribile curiosità.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Parte Cinque


Liz aveva lasciato una nota veloce a David Peyton qualche minuto prima, spiegando che aveva intenzione di aspettare fino al mattino successivo prima di aprire il suo ultimo lavoro, Inserire Le Foto Qui. Poi, aveva aggiunto con un sorriso diabolico, I suoi lavori sono troppo speciali per aprirli tutti in una volta.

Era una confessione sciocca, una frase da flirt, lo sapeva, ma l'aveva messa in ogni caso.

E lui aveva afferrato l'occasione al volo.


Ms. Parker

Così sta centellinando i miei dipinti? Credo che dovrei continuare a ricoprirla con essi per sempre, allora, dato che le danno così tanto piacere. Sto ancora aspettando la risposta su Liz/Ms.Parker, però. Io credo che preferirei molto di più Liz … con tutto il rispetto, naturalmente.

Suo, David.



"Io credo che preferirei molto di più Liz." mormorò lei a voce alta, indubbiamente senza fiato mentre esaminava Segue al sogno che aveva appena aperto. Fino a che non avesse aperto il pezzo finale, questo sarebbe rimasto senza il suo compagno.

Eppure, anche da solo, Segue al Sogno era stupefacente. E diverso dagli altri dipinti di David, almeno per quello che aveva visto. Era stranamente più angoloso, meno movimento o urgenza e più pace. Quiete. Un silenzio ombreggiava sul quadro come uno spirito, che le bisbigliava all'orecchio.

Per qualche ragione, mentre esaminava il lavoro, si trovò a pensare ad una domenica pomeriggio, quelle dove resti sdraiata sul tuo letto, a leggere, le particelle di polvere che danzano nei raggi di sole.

I colori erano molto più pacati che negli altri due dipinti. C'era una vasta massa grigia - che sembrava quasi un muro - accentuata da macchie di colore più chiaro e aranci dorati. Il contrasto la catturava. Ombra e luce, fantasia e realtà. Questo era più sulle contrapposizioni, sulle sorprese.

E sotto gli archi di luce, un uomo giaceva a faccia in giù, dormendo. Era nascosto sotto una coperta, senza un viso, e sembrava essere in una specie di cella. Lo sguardo di Liz tornò di nuovo alla superficie del dipinto.

La massa grigia, la luce che entrava da un angolo, poi l'uomo sulla brandina.

L'uomo era in prigione, realizzò. Era circondato da mura, e aveva una sola finestra - un meraviglioso varco che si apriva su una luce irreale. Segue al Sogno.

Che significava? Che la vita dell'uomo si svolgeva in una cella e la sua unica libertà era nel suo sonno? O che i suoi sogni erano la sua prigione?

Liz dovette allontanarsi, il dipinto la turbava troppo.

***

Aveva letto dei tesori artistici di Pompei, nel suo corso di arte generale, e li aveva studiati approfonditamente nel suo ultimo anno. Ma non era l'aspetto artistico che l'aveva colpita così profondamente. Era il momento, sospeso per sempre, un ritratto di umanità.

Un bambino che rideva mentre teneva per mano la madre. Amanti intrappolati in un abbraccio amoroso, baci rubati attraverso il tempo.

Due figure perplesse che guardavano verso il cielo, i lineamenti del viso pieni di confusione, eternamente ipnotizzati da una inimmaginabile valanga di rocce e lava.

Qualche volta, queste antichità apparivano sui fianchi delle colline dei sogni di Liz, ombreggiati da templi e rovine. Staccati pezzi di cielo, nascosti da involute colonne, amanti in riposo contro una nuvola.

Ecco cosa Segue al Sogno le ricordava. I suoi affreschi notturni, dipinti sulle grigia mura della sua mente addormentata.

Ma occasionalmente nei suoi sogni, c’era la notte più scura. Strade bagnate con luci e movimenti che si riflettevano sull'asfalto. La città. Come adesso, mentre Liz camminava attraverso il pungente mondo notturno di New York, stringendosi il cappotto intorno a lei. Una svolta nella 45 strada ed eccola nel cuore di Times Square, con vistose luci al neon che lampeggiavano.

Corpi umani costretti in prossimità la oltrepassavano sfiorandola, senza mai incontrare il suo sguardo.

Nel mezzo della folla un uomo si era voltato. Una familiare testa bruna, con capelli più lunghi. Più vecchio di come fosse mai stato, un viso segnato da sottili cicatrici. Lei poteva vedere il profilo delle sue braccia muscolose persino da dove stava, riconoscerne la giacca di pelle.

Max si era voltato lentamente verso di lei, sorridendo debolmente, un meraviglioso guerriero sciupato da battaglie inimmaginabili.

"Max!" aveva gridato lei, mentre le auto si frapponevano fra loro, veloci linee di suono e colore. Frotte di persone si infilavano tra loro, continuando a muoversi.

Lui aveva sollevato una mano, gettando qualcosa nel traffico, qualcosa che lei non era riuscita a riconoscere. Giusto per un attimo lei aveva guardato in basso verso il pavimento bagnato della Broadway, un caleidoscopio di buio e luce. Poi, in un attimo lui era scomparso.

"Max!" aveva gridato lei di nuovo, buttandosi nel traffico per inseguirlo. Ma, come la notte in cui avevano danzato sul suo balcone, e lui l'aveva fatta roteare tra le sue braccia come sua sposa, era sparito.

Pezzi di carta fluttuavano nel vento, appiccicandosi al pavimento bagnato. Altri pezzi cadevano dal cielo. Lei si era inginocchiata sull'asfalto, cercando di capirne il significato, come tanti oracoli cinesi.

Le macchine sterzavano, mancandola con forti stridii di clacson, mentre lei sollevava uno dietro l'altro i fogliettini di carta dalla strada, illuminandoli sotto la luce dei neon di Times Square. Li aveva raccolti, sentendo dentro di sé il bisogno di sapere quali profetiche sentenze lui le avesse lasciato.

Non aveva mai avvertito il suono, era stata semplicemente catapultata sul cofano di un taxi, dolorosamente schiacciata contro il parabrezza. Era rimasta sdraiata sulla schiena, dolorante e senza fiato, incapace di muoversi.

I piccoli pezzettini continuavano a cadere dal cielo, atterrando sulle sue mani aperte. Apri i Tuoi Occhi… Inserire Le Foto Qui … Segue al Sogno.

Un mistero risolto. Le verità raccolte insieme come un collage della sua vita disegnato da Andy Warhol.

Liz gemette piano, girandosi nel letto per guardare l'orologio.

4.34 del mattino.

****

Nessuna sorpresa, pensò, sentendo il cuore accelerare il battito. Doveva andare in bagno, ma si sentiva vagamente spaventata. Troppo impaurita per affrontare il buio.

Non aveva mai capito che cosa precisamente la spaventasse così tanto di questa stregata ora notturna. Era Max? Pensava forse che lo spirito di lui indugiasse nelle profondità del suo armadio, proprio in attesa che lei passasse per andare al bagno? Non aveva senso. Max l'aveva amata con tutto il suo cuore. Allora perché l'idea del suo spirito vicino a lei la lasciava paralizzata dalla paura?

Solo di notte, rammentò lei a sé stessa. Solo quando il buio avvolgeva i suoi sogni in un velluto d'inchiostro, soffocandola con i ricordi.

Liz accese la lampada sul comodino. Il suo sguardo cadde nella piccola striscia di foto inserite nello specchio. La stessa che era stata lì per anni, e ormai aveva gli orli arricciati dal tempo. Ma lei si allungò per prendere un'altra raccolta di foto assemblate in un piccolo album sul suo tavolino da notte, e cominciò a sfogliarle.

Regalo di compleanno di Maria di qualche mese prima, conteneva vecchie foto dei tempi della scuola superiore. E alcune più recenti della sua visita a New York, quando Maria l'aveva trascinata da una festa mondana all'altra. Alla fine, lei aveva messo alcune curiose foto di Michael, un braccio di lui gettato sulle spalle di Liz, tenendola sorprendentemente vicina durante la sua prima mostra alla galleria di lei due anni fa.

Perché non si era accorta di quanto fosse intima la loro posa? Cosa aveva pensato Maria, si domandò, seguendo le linee della foto con un dito. Eppure Maria aveva messo quelle foto nell'album, come se avesse voluto che Liz le notasse.

Nella prima, Michael la stava guardando, i suoi morbidi occhi castani spalancati e gioiosi. La sua mano era appoggiata possessivamente sulla spalla di lei, come ad annunciare al mondo che Liz Parker gli apparteneva.

E in quella foto, Liz doveva ammettere che non le era dispiaciuto che lui la reclamasse come sua proprietà. Aveva appoggiato la testa sulla sua spalla, e, per una volta, stava sorridendo.

Voltò la pagina e il suo sguardo cadde sulle foto del ballo dell'ultimo anno. Lo stomaco di Liz si contrasse nervosamente. Max era di fianco a lei, rigido e impacciato con il braccio sulla sua spalla. Le cose erano diventate così strane tra di loro. Lui era così giovane e carino, più innocente di quanto sarebbe sembrato solo poche settimane più tardi. Come era possibile che una persona potesse invecchiare così in soli pochi giorni?

Un'altra pagina aveva una foto di lei sulle ginocchia di Max, il loro terzo anno, prima che Tess arrivasse. Le mani di Max erano scivolate attorno alla sua vita, mentre Liz si adagiava tra le sue braccia. Poteva quasi sentire l'odore di quella giacca di pelle, così morbido e familiare, anche dopo tutti quegli anni.

Liz chiuse gli occhi e inspirò, persa nei ricordi.

****

"Svegliati, Lizzie." aveva sussurrato Maria al suo orecchio qualche settimana dopo che Max era partito per Antar. "Devi svegliarti." Maria l'aveva trovata accoccolata sul suo letto con la giacca di Max, qualcosa che era riuscito a strappare da Isabel non appena Max era scomparso nel Granolith.

"Vattene!" aveva pianto Liz, seppellendo di nuovo il viso nel familiare indumento. Aveva ancora il suo odore, appena accennato.

Liz non era neppure sicura di quanto tempo fosse passato da quell'orribile giorno alla Pod Chamber. Aveva semplicemente detto ai suoi genitori che non stava bene, e aveva chiuso le tende. E dormito. Per giorni e giorni, un bozzolo di sogni intorno, lei aveva dormito.

E i sogni l'avevano avvolta. Le immagini si erano fuse una dentro l'altra … Future Max, Tess, Max, sé stessa. Ma mai nessuna risposta. Non importa quanto lei avesse tenuto tese le mani, erano rimaste piene di vuote promesse.

Maria aveva scostato bruscamente le coperte, strappandole la giacca di Max dalle mani. "Fermati!" aveva urlato Liz, ma Maria aveva continuato imperterrita, lasciandosi cadere sul letto.

"Liz, io ti voglio bene, ma questo deve finire".

"Cosa deve finire?" aveva chiesto Liz, seppellendo il viso dentro il cuscino.

"Questa veglia funebre, o quello che diavolo è".

"Max non è morto." aveva ribattuto Liz sulla difensiva, sollevando la testa.

"No, Lizzie, non è morto. Se ne è andato con Tess." le aveva ricordato con gentilezza, curvando il viso verso il suo. "Lo sai, la ragazza con la quale ha fatto sesso e che ha messo incinta".

Liz aveva emesso un gemito, girandosi su un fianco. "Quando ho lasciato la Pod Chamber, non pensavo che lui sarebbe veramente andato via. Lui non mi ha neppure detto addio." sussurrò dentro al cuscino. "O niente altro … come il perché".

"Tu potresti non sapere mai il perché".

"Lui mi ha amato più di quanto tenesse a lei … me lo ha detto lui. Hai letto la sua lettera".

Maria si era accoccolata di fianco a lei sul letto, stringendola tra le braccia e accarezzandole i capelli. "Liz, Max se ne è andato due settimane fa. Tu sei stata rintanata qui per quasi altrettanto. Tu devi tornare a vivere." aveva detto con voce piena di affetto.

"Non posso".

"Lizzie, Max avrebbe voluto che tu vivessi. Ecco l'unica risposta che ho".

"Mi sta uccidendo, Maria." disse lei e un piccolo gridò lei sfuggì prima di cominciare a singhiozzare piano. "Alex, poi Max … mi sta uccidendo dentro".

Liz si sentiva come se qualcuno le avesse gettato una scura coltre sulla testa, tenendola prigioniera e, adesso che era in trappola, stesse lentamente soffocando.

"Lo so, lo so." l'aveva cullata Maria dolcemente. "Ma tu sei ancora qui e devi tornare da noi. E' arrivato il momento di uscire dal letto e tornare a respirare, tesoro".


***

La lama lucida attraversò la carta velocemente e Liz tagliò l'involucro intorno all'ultima opera, Inserire Le Foto Qui. L'aveva ossessionata tutta la notte - nei suoi sogni, nelle sue fantasie. Quale sarebbe stata la rivelazione finale?

Liz aveva quasi percorso saltellando tutta la strada fino alla galleria, tanto era ansiosa. E si sentiva malinconica pensando che quel piacere nascosto avrebbe avuto fine con questo dipinto.

A meno che David Peyton avesse deciso di rendere vero il suo suggerimento di "ricoprirla con le sue opere", una promessa che le aveva fatto battere forte il cuore, nel modo in cui lui l'aveva proposta, come qualcosa di sensuale.

Come se i suoi dipinti fossero diamanti o pellicce - o languidi baci tra amanti in una lunga notte invernale.

Liz scostò la carta con gli occhi spalancati dall'eccitazione. Quale ultimo regalo d'amore le aveva fatto David Peyton adesso, si domandò.

La carta si arricciò per rivelare quella che sembrava la camera da letto di una donna. Una massa di coperte e plaid buttati uno sull'altro, e nel mezzo del letto una donna faceva capolino da sotto le coperte. Un massa di capelli scuri adagiati sul cucino, ma lei giaceva a faccia in giù, irriconoscibile. Proprio come nel dipinto che gli faceva da compagno, dove c'era stato un uomo sdraiato sulla brandina della sua cella.

Solo che questa donna era dipinta come un piacere per gli occhi, non circondata da fredde mura grigie come in Segue al Sogno. La sua stanza vibrava di colori - un vaso color prugna, una coperta con macchie di sole, un mazzo di fiori posato sul comodino. Ma tutto intorno, nella stanza, sul suo tavolino da toeletta, sui muri, c'erano cornici di foto - e nessuna di queste aveva alcuna immagine al suo interno. Come se questa donna senza volto, in qualche modo, mancasse dei ricordi e delle esperienze che avrebbero potuto riempire le cornici. Come se lei stessa fosse un foglio bianco.

Liz rabbrividì, inclinando la testa. Perché la donna sul letto aveva un'incredibile rassomiglianza con la bellezza bruna nel dipinto Ms. Parker - e perché, in qualche modo, senza nessun riferimento veramente riconoscibile, la stanza ricordava un pochino la sua vecchia camera sopra il Crashdown.


***

Isabel l'aveva chiamata, più tardi nello stesso giorno in cui Max era partito con il Granolith. All'inizio si erano trattenuti sulla collina, scalciando alle rocce, discutendo di cose inconcepibili. Non solo Tess aveva ucciso Alex, ma Max l'aveva lasciata per ragioni che nessuno di loro poteva spiegarsi.

E quindi, finalmente, si erano separati, ognuno di loro diretto versa casa per riposare. Erano passati diversi giorni da quando Liz aveva dormito, ed era collassata sul letto, incredibilmente stanca. Eppure con una familiare sensazione, come la mattina del funerale di Alex, come se qualche parte di sé stessa avesse cessato di muoversi. Come un orologio, con le lancette per sempre ferme ad una certa ora del giorno.

Il sonno le aveva avvolto la mente con dolcezza, mettendo silenzio alle voci nella sua testa. Il suono del telefono l'aveva spaventata, e si era seduta di colpo sul letto, guardandosi intorno confusa, mentre frugava sul comodino alla ricerca del ricevitore.

La voce di Isabel era quasi irriconoscibile, così gonfia di dolore, mentre le aveva mormorato al telefono, "Ho qualcosa per te, Liz. Qualcosa che ti ha lasciato Max".

"Va bene." aveva risposto lei, sentendosi stringere il cuore. "Arrivo subito".

Aveva percorso tutta la strada a piedi, sperando di ritrovare un po' di equilibrio, ma si era sentita sopraffare dal calore man mano che procedeva. Quando Isabel le aveva aperto la porta era quasi svenuta, accaldata dal sole, e Isabel l'aveva portata in fretta nella camera di Max.

"I nostri genitori non sanno ancora nulla." aveva sussurrato piano Isabel, gli occhi pieni di lacrime. "Credono che sia in giro per commissioni o altro. Non so cosa dire loro".

"Troveranno la jeep." suggerì Liz, seduta sull'orlo del letto di Max. Ogni cosa appariva come lui l'aveva lasciata. Un libro era ancora aperto, come se lui l'avesse posato solo qualche minuto prima.

"Non capisco perché se ne sia andato, Liz." disse Isabel a bassa voce, camminando verso l'armadio di lui. "Perché se ne sia andato con lei, dopo che ha saputo quello che aveva fatto." Isabel rimase in piedi ad esaminare gli abiti di Max, e Liz ebbe la sensazione che stesse nascondendo le lacrime. "Dio, Liz, tu sai quanto mio fratello ti amasse, vero? Voglio dire, ne hai un'idea?"

"Mi ama ancora." asserì Liz con una voce sottile. Non le piaceva il passato che Isabel stava usando come tempo per parlare di Max.

Isabel aprì il cassettone e ne trasse una sottile busta bianca. "Ti ha lasciato una lettera, Liz. L'ho trovata sul suo letto quando sono tornata qui." Isabel gliela tese e Liz l'accettò come un'offerta sacra, qualcosa di delicato e puro. "Credo che l'abbia scritta prima che andassimo alla Pod Chamber." spiegò Isabel.

"Grazie" disse Liz, rigirandosi la lettera tra le mani.

"I miei genitori non sono qui, così ti lascerò qui da sola, okay?" suggerì Isabel e Liz annuì, già cominciando ad aprire la busta.

Liz fissò l'ordinata calligrafia di Max, il foglio che ora più che mai sembrava una testimonianza del loro amore, con gli occhi pieni di lacrime che le confondevano le parole.


Cara Liz,

Dio, voglio che tu sappia ciò che questo significa per me. Che lasciarti qui, quando tutto quello che ho sempre desiderato sei tu, mi riduce il cuore a pezzi. C'erano così tante cose che avrei voluto dirti prima nella Jeep. Non avrei mai dovuto lasciarti senza dirti quelle cose. Ma ero spaventato. Avevo paura di farti soffrire ancora di più, se ti avessi spiegato che ero corso da Tess perché avevo pensato …

Cosa? Non so neppure più cosa avessi pensato, Liz. E' solo che quello che ho sempre voluto sei tu. E quando ho pensato di averti persa, per un po' ho creduto di impazzire. Ti giuro che non mi sentivo più io, Liz. E ora vorrei avere insistito di più per conoscere la verità. Vorrei aver fatto più domande, conservato la mia fede. Ora tutto quello che rimpiango è di aver rinunciato a te. A noi.

Non saprò mai perché tu abbia voluto farmi credere di aver passato la notte con Kyle, anche se ho paura a fare un'ipotesi. Credo che forse tu stessi cercando di spingermi verso Tess per tutto il tempo, non è vero?

Come posso non essermene accorto?

Perché sono uno stupido. Avevo l'amore perfetto della ragazza perfetta per me e l'ho gettato via.

Tess non potrà mai essere te. Non domani né fra 10 anni. Per tutto il resto della mia vita desidererò che sia te. Per tutto il resto della mia vita. E per tutto il resto della mia vita, mi domanderò cosa sta facendo l'altra metà della mia anima, se è felice. Perché questo è tutto ciò che voglio per te, Liz: che tu sia felice.

Non merito il tuo perdono. Non lo chiederò neppure. Ma sappi che tornerei indietro nel tempo, se ne avessi la possibilità. Tu saresti la prima donna con cui avrei mai fatto l'amore, la madre del mio primo figlio. Perché nel mio cuore, tu sei sempre stata la prima. E anche nella notte che ho passato con Tess, il mio cuore desiderava che lei fossi tu.

Dovunque io sia diretto ora, qualunque cosa Antar si riveli, io so che tu sarai sempre al centro dei miei pensieri. Che nessuno potrà mai cancellarti dalla mia mente, perché tu sei scritta lì a caratteri indelebili. Non importa quanto le cose potranno andare male, anche nel momento peggiore … perché una parte di te è dentro di me adesso, e rimarrà lì per sempre. Nulla potrà mai spezzare il legame tra di noi. Non sono neppure sicuro che potrà farlo la morte.

Non ti dirò che tornerò indietro, Liz, non posso promettertelo perché non sarebbe giusto per te. Tutto quello che posso dire è che dovunque io sarò, per tutto il resto della mia vita, per quanto lunga possa essere, io ti amerò sempre, Liz. Sempre.

Max



Liz era rimasta seduta guardando il foglio per quelle che le sembrarono ore, osservando la sua calligrafia, l'ultima cosa personale che lei avesse ricevuto da lui. Fino a quando, alla fine, Isabel era venuta e l’aveva aiutata ad alzarsi lentamente dal letto, spingendo tra le sue mani la giacca di Max per darle conforto. Fino a quando Maria era arrivata per portarla a casa.

Più tardi quel pomeriggio, lei si era arrampicata sul letto, tenendo la giacca di Max e leggendo e rileggendo la lettera. E così era rimasta per settimane.


***

Liz appese con cautela Inserire Le Foto Qui sul muro principale della galleria, lasciando abbastanza spazio per Segue al Sogno da mettere accanto. Erano immagini invertite della stessa idea. Un quadro rappresentava una vita desolata, eppure con accenni di speranza, mentre l'altro era ricco e vibrante eppure pervaso da un inspiegabile vuoto. Lati opposti della stessa moneta, questo era quello che l'uomo e la donna parevano essere.

Liz aveva solo desiderato che entrambi i dipinti non fossero una tale attenta riflessione della sua stessa vita. Che non le avessero lasciato la sensazione che David Peyton era stato capace di guardarle dentro all'anima, scoprendone i più teneri segreti.

Qualcosa in questa idea le provocò un'ondata di calore che le strinse lo stomaco. Qualcosa di stranamente simile al desiderio.

Mentre fissava la ragazza nel letto disfatto, quasi sepolta da una massa di coperte colorate, si domandò perché David Peyton la lasciasse così bruciante. E mentre allungava le dita per accarezzare le pennellate dell'uomo sdraiato sul lettino, la testa piena di capelli scuri, il sottile contorno della spalla, tracciò ogni segno del pennello di David. Accarezzò ogni linea, ansiosa di conoscere l'aspetto dello straniero senza volto.

Il campanello della porta trillò, interrompendo il sogno ad occhi aperti di Liz e una ragazzina e sua madre entrarono in galleria, tenendosi per mano. Erano clienti abituali che Liz riconobbe immediatamente. La madre lavorava con il vasellame e vendeva qualche pezzo qui e lì, e la piccola ragazzina era la sua costante compagna.

"Buon giorno" disse a chiara voce, girandosi sulla sedia.

"Sta nevicando!" disse a voce alta la ragazzina, battendo le mani dalla felicità. "Guarda." offrì, allungando una mano guantata perché Liz la esaminasse.

"Guarda lì." ammise Liz con un sorriso, mentre la ragazzina si lanciava in una piroetta. Fiocchi di pizzo svanirono nella sue manine di lana rosa.

"E' un angelo, mamma?" chiese Lelia, aggrottando le sottili sopracciglia bionde, mentre si bloccava davanti a Apri I Tuoi Occhi.

"Sì, tesoro, lo è".

"Sta andando in cielo?" chiese la ragazzina seria. "E' per questo che sta volando, mamma?"

"Credo che stia volando verso il cielo." spiegò pazientemente la madre.

"Non credo che sia un angelo felice, però".

"Perché no?" chiese Liz, curiosa, avvicinandosi alla bimba. "Magari è felice di andare via." suggerì.

"No, gli angeli felici non si vestirebbero mai di nero. Sarebbero rosa o d'oro. Mai neri.".

La ragazzina si lanciò in un'altra piroetta avvicinandosi a Liz. "E tu sei un angelo felice?" le chiese ridendo la piccola Lelia, guardando Liz negli occhi. Come se fosse la domanda più importante del mondo.

E per qualche motivo, a Liz vennero le lacrime agli occhi.

xXx

n.d.P: scusate l'assenza ma ero partita per il Giffoni Film Festival e sono tornata solo ieri sera

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Capitolo 6
*** 6 ***


Parte Sei


E che cosa ne pensa la deliziosa Ms. Parker degli ultimi due dipinti? L'attesa mi sta uccidendo.

Suo, David



Deliziosa. Lui l'aveva descritta come deliziosa. Ora, la cosa strana era che David Peyton non avesse idea di quale fosse il suo aspetto - almeno per quanto ne sapeva Liz. Batté ritmicamente la punta della matita sull'avambraccio, cercando di ricordare qualsiasi foto che avesse potuto apparire on-line o nei giornali locali. Non le venne in mente nulla, e il suo cuore accelerò all'idea che David avesse potuto spiarla.

In effetti, avrebbe dovuto esserne spaventata, o già al telefono con Michael per discuterne. Ma era passato così tanto tempo da quando un uomo l'aveva fatta sentire meravigliosa nel modo che le poche parole di David erano riuscite a fare, che non poté evitare di fissare lo schermo con un caldo senso di sorpresa.

Così, invece che commentare i suoi dipinti, lei compose lentamente un'email come fosse un haiku, sentendosi pronta al flirt e spiritosa.


David, David. Finirà col farmi arrossire. Come potrebbe sapere se io sono orribile, squisita o appena passabile? Io sono semplicemente una casella di email per lei, no?

Liz… decisamente Liz, non Ms. Parker.



Decisamente Liz.

Il suo cuore è delizioso - di questo ne sono sicuro. Potrò essere un semplice pittore, ma riconosco quel genere di bellezza in ogni forma.

Suo, David

P.S. C'è anche una sua foto dannatamente bella in Santa Fe Trend di Novembre.



Lei fissò lo schermo, continuando a battere gli occhi. Cercando di comprendere come questo silenzioso sconosciuto - e come lei facesse a sapere benissimo quanto fosse silenzioso, di questo non era sicura - come questo silenzioso sconosciuto potesse scrivere cose così semplici, eppure che la elettrizzavano nel profondo. L'unica spiegazione razionale che poteva offrirsi era che questo era dovuto al modo in cui i suoi dipinti la toccassero, come la facessero aprire come un fiore del mattino, petalo per petalo.

Come se la punta delle dita di lui la stessero attirando con ogni pennellata.


Ma questo non spiegava il motivo per cui il suo post-scriptum la lasciasse così rossa in viso e piena di brividi. Non spiegava come mai il suo sguardo continuasse a scivolare sull'ingresso della galleria, domandandosi se David Peyton fosse mai stato lì, un anonimo sconosciuto tra il suo pubblico, studiandola con i suoi occhi d'artista. O il modo in cui lei lo immaginava. Straniero, come i paesaggi che lui aveva catturato sui suoi dipinti. Scuro, come l'uomo della cella di prigione.

E cosa significava precisamente "handicap fisici"? Quella domanda non le aveva più dato requie fin dal giorno prima.

Masticò la punta della matita, desiderando avere qualche potere alieno, che le permettesse di comprendere qualcosa di più di David. Max avrebbe potuto ricevere un flash dall'email aperta, avrebbe potuto capire le sue intenzioni semplicemente mettendo la sua calda mano contro lo schermo.

Ma non lei, poiché una volta che Max era tornato su Antar, qualsiasi emergente potere alieno in lei era scomparso. Era come se quella parte di Max - quella piccola scintilla dello spirito di lui ancora dentro l'anima di lei - si fosse lentamente accomiatato, fino a quando gli strani scoppi di energia che lei aveva avvertito si erano totalmente dissipati.

Di fatto, quella parte di lei era morta l'ultima volta che lei era andata alla camera del Granolith. Da sola con Michael. Era stata la fine di tutte le cose aliene per Liz. E qualche volta lei si era domandata se questo fosse ciò che la teneva lontana da Michael, spaventata. La paura che lui risvegliasse di nuovo la parte nascosta di sé stessa. Come se l'essere alieno di Michael potesse far risuonare quella piccola parte di Max, ancora profondamente nascosta nel suo cuore.

Liz batté gli occhi, leggendo per l'ennesima volta l'email di David. Lei non aveva nessun potere speciale, così doveva semplicemente cercare le risposte che agognava.



David,

Posso farle una domanda personale? Quando parla di "handicap fisici", cosa intende … esattamente? Spero di non disturbarla con questa mia domanda.

Decisamente Liz



Liz tirò un corto sospiro, e pregò di non oltrepassare i delicati confini di questa nuova amicizia. Differente, definitivamente differente. Era quello che aveva detto il corriere, e lei aveva continuato a lambiccarsi su quella definizione fin da allora. La sua mente vorticava pensando alle possibilità. E fortunatamente, la risposta di David arrivò quasi immediatamente.


Ah, Decisamente Deliziosa Liz,

Sapevo che me lo avrebbe chiesto, perché lei sembra essere troppo attenta per lasciare inespressa una domanda del genere. Se solo la spiegazione fosse semplice. Eppure, cercherò di darle una semplice risposta. Uso il bastone.

Suo, David.



"Un bastone? Tutto qui?" gridò Liz, tirandosi indietro dalla scrivania. Le rotelle della sua sedia sbandarono, mandandola quasi a sbattere contro la piccola credenza di vetro. Si accigliò davanti allo schermo del computer, mentre tornava lentamente al suo posto. "E va bene, David, questa è guerra. Guerra fino in fondo." mormorò tra sé e sé.



Cominciò a digitare con furia. E, se posso permettermi, cosa significa questo? Quindi lei può venire fino alla galleria per discutere un'eventuale rappresentanza, non è vero? Un bastone non dovrebbe impedirle di incontrarmi, qui o a casa sua.


***

Liz,

Sto scherzando, sebbene non del tutto. Io uso veramente un bastone, ma questo non copre l'estensione dei miei problemi. E' una situazione complessa, le basti sapere che io sono … molto limitato nelle mie possibilità di venire in città. E, beh, c'è ben più che questo. Ma mi godo moltissimo le sue email. Lei è una persona eccezionale.

Suo,

David

P.S. Sto ancora domandandomi cosa ne pensa degli ultimi due dipinti … non possono trattenermi dal chiederlo di nuovo.



****

David,

Come già detto, lei può venire qui e parlare dei suoi dipinti se vuole che io la rappresenti.

Grrrr.

Liz

P.S. Dove ha studiato? Come ha cominciato a dipingere? Se lei vuole la mia opinione, che sarei ben lieta di darle, ho bisogno di sapere qualcosa di più. Mi sembra corretto.



"Ecco." dichiarò Liz spedendo l'email, mentre spostava una ciocca di capelli. "Vediamo come rispondi a queste domande, David Peyton."

Qualcosa di lui aveva cominciato ad inquietarla. Non solo il modo in cui la faceva arrossire così facilmente, o la dolorosa bellezza dei suoi dipinti. Ma l'inesplicabile sensazione che lui le stesse parlando attraverso il suo lavoro - che, in qualche modo, si stessero scambiando delle parole.

Ma ancora più che quello, negli ultimi quindici minuti, mentre si erano scambiati email attraverso il cyber-spazio, lui aveva cominciato a metterla in agitazione. Lei aveva perso il suo perfetto controllo, e questa era una sensazione estranea di questi tempi.

Il corriere della Federal Express entrò, lamentandosi distrattamente del traffico sulla superstrada, e di come nessuno sapesse veramente guidare quando nevicava. Le tese scompostamente i pacchetti che aveva in mano, facendo cadere la lettera di uno di essi sul pavimento. Liz aveva sempre sospettato che avesse una piccola cotta per lei, proprio a giudicare dalla goffaggine con cui le faceva normalmente le consegne.

Udì il sommesso messaggio "E' arrivata posta" e si allontanò in fretta dal corriere. "Grazie!" gridò, tornando al computer, mentre lui lasciava la galleria. Liz aprì in fretta l'ultima email di David, il cuore che le batteva forte.


Liz,

Ah, davvero grrrr. Io non intendevo frustrarla, lo giuro.

Non sono veramente interessato ad averla come mia rappresentante - sebbene conosca la sua reputazione e sia onorato dal suo interesse. Onestamente, per me era più importante sapere cosa lei pensasse del mio lavoro.

Spero di poterla incontrare una volta, però.

Suo, David.



"Cosa?" gridò Liz, battendo i piedi dalla frustrazione. "No… no, no, no. Non pensare di cavartela così in fretta, Mr. Peyton."


Non ha risposto a tutte le mie domande digitò con rabbia, e la inviò immediatamente.


Poi saltò su dalla sedia, quasi buttandola a terra dall'impeto del movimento. Si sentiva pronta a rompere qualcosa di grosso. Contro Michael. Lui sarebbe stato un buon bersaglio, decise, allungandosi verso il telefono. Dopo tutto, era colpa sua se lei era così nervosa. L'aveva ignorata tutto il giorno di nuovo, facendole lentamente salire la pressione fino al punto di ebollizione.


Facendo cominciare a pulsare il suo eterno dolore alla mascella, rifletté mentre cominciava a strofinarsi la guancia con le dita, mentre ascoltava il telefono suonare. Udì il breve saluto di Michael dall'altra parte, ed ebbe la distinta impressione di avere interrotto il suo lavoro.

"Sto salendo." disse senza aspettare risposta. "E tu aprirai la porta."

"Sissignora." rispose lui obbediente, e lei fu sollevata di sentire la nota di divertimento nella sua voce.


***


Aveva bussato alla porta dell'appartamento di Michael a Roswell nello stesso stato d’animo. Risoluta e arrabbiata.

In cerca di una qualsiasi verità in cui credere.

Erano passate due settimane da quando Max era partito col Granolith, e aveva passato quel tempo a letto, abbracciata alla giacca di pelle di lui, tutta un dolore. Il suo corpo, il suo cuore. Come attaccato da migliaia e migliaia di cocci di vetro, fusi in un'unica massa dentro di lei.

Michael aveva socchiuso gli occhi, quando la luce del sole aveva invaso il suo appartamento e Liz aveva capito che lui non stava tanto meglio di lei. Era stato diverso per lui, aveva perso il suo miglior amico, un fratello - eppure mentre lui stava lì, sulla porta, strofinandosi gli occhi pieni di dolore, Liz aveva sentito una stretta al cuore.

Prima di prendere una decisione conscia, gli si era buttata sul petto, stringendolo forte. "Mi spiace tanto." aveva mormorato. "Dio, Michael, so che questo deve essere duro per te."

Tutti loro si erano aspettati che fosse lei a soffrire, dandole il tempo per il suo dolore. Ma che ne era di Michael, ora costretto giocoforza alla posizione del loro precedente leader? Liz sentì le mani di lui avvolgerle lentamente la schiena, esitanti, ma sorprendentemente calde. Come quelle di Max. Le mani di un guerriero gentile, piene di vita e potere.

"Grazie." mormorò piano lui, contro la testa di lei, lo smarrimento nella voce. Lui avrebbe voluto così tanto essere forte, lei lo poteva sentire. Soprattutto per lei, sebbene non ne capisse il motivo.
Lui le accarezzò goffamente la schiena, e poi si spostò. "Ti va di entrare?"

"Veramente, vorrei portarti in un posto." spiegò Liz a bassa voce. "Penso che sia qualcosa che ci potrebbe aiutare entrambi."

"Cos'è?" chiese lui, accigliandosi con aria dubbiosa.

"Ho bisogno di sapere perché Max è andato via con Tess." rispose lei con voce piatta, sentendosi le lacrime agli occhi. "Perché non ha nessun senso."

"Se ne è andato, Liz." cominciò a dire Michael, scuotendo la testa e strizzando gli occhi per proteggersi dal sole. La primavera era arrivata presto quell'anno, e già la giornata si preannunciava molto calda, per essere a inizio giugno. "Dobbiamo accettarlo. Tutti e due."

"Ma la domanda è perché. Non vuoi saperlo?"

Michael rimase pensieroso per un momento, incrociando le braccia sul petto, poi annuì.

"Che cosa hai in mente?" chiese, stringendo gli occhi.

"Voglio che tu cerchi dei flash nella Pod Chamber." spiegò lei semplicemente. "Così sapremo che cosa è successo dopo che lo abbiamo lasciato solo con lei laggiù."

Michael si accigliò bruscamente. "Liz, potrebbe non funzionare. Io potrei anche non avere nessun flash."

"Non riesco a spiegarlo, Michael. Ma in qualche modo lo sapremo."


***

Per tutto il viaggio verso la Pod Chamber, ci fu solo silenzio. Liz aveva chiesto a Maria se poteva prestarle la Jetta, adducendo come scusa il dover fare una commissione a Hondo per suo padre, senza confessarle la vera ragione. Sapeva che Maria avrebbe cercato di convincerla di non farlo, per proteggerla.

Ma non Michael. Lui era ben conscio del familiare e bruciante bisogno di semplicemente sapere, e così era salito obbediente sulla macchina, dandole il suo silenzioso appoggio mentre correvano attraverso la polverosa strada che portava al deserto.

Michael continuò a cambiare stazione sulla radio, fino a quando non si fermò su una che trasmetteva vecchie canzoni. Esitò un attimo, il dito sospeso, evidentemente indeciso, fino a quando la voce di John Lennon invase l'abitacolo con la toccante canzone A Day in the Life.


I read a news today, oh boy, about a lucky man who made a grade,
and though the news was rather sad, well I just had to laugh…I saw the photograph.


(Ho letto una notizia oggi, ragazzi, su un uomo fortunato che ha fatto strada
e sebbene la notizia fosse piuttosto triste, mi è venuto da ridere. … Ho visto la fotografia.)


Michael cambiò nuovamente stazione, sospirando pesantemente.

E Liz comprese. La canzone ricordava fino troppo la scomparsa di Max dalle loro vite. Come una morte … eppure non del tutto.

Liz ricordò una foto che aveva visto una volta di uno dei Beatles da bambino, uno di quegli infiniti pezzi della questione Paul è morto, parte di una mitologia che non aveva mai afferrato completamente. Ecco quello che la scomparsa di Max le faceva venire in mente. Così tanti indizi, così tanti pezzi di lui disseminati attraverso le loro vite. Eppure nessuno di loro conduceva ad una verità pienamente comprensibile.

Una lettera … una giacca … un pendente.

Pezzi staccati di una innegabile evidenza.

Lui l'aveva lasciata. Per sempre.

E non solo lei, realizzò mentre guardava Michael di sottecchi. Stava guardando fuori dal finestrino, la testa appoggiata sul vetro, silenzioso e pensieroso. Lei sentiva una tale, inspiegabile affinità con lui adesso, come se perdere Max avesse forgiato tra di loro un improbabile legame di qualche tipo.

Alla Pod Chamber, Michael mise il palmo sull'impronta luminosa e la porta scivolò via facilmente. Per un attimo lui rimase fermo, scrutando nelle buie interiorità della caverna, con uno sguardo perplesso. Come se il semplice fatto di aprire la porta significasse gettare una luce su quanto era successo a Max.

Finalmente, Michael superò con cautela l'ingresso, portandosi una mano agli occhi. Immagini di antiche tombe Egizie passarono nella mente di Liz, camere pieni di manufatti di un'antica eredità, tesori polverosi che portavano al nulla. Liz lo seguì, camminando lentamente tra i sarcofaghi appena illuminati. Seguì con il dito lo strano materiale, sentendo una scossa di energia colpirla nel profondo.

"E' il mio." Michael indicò distrattamente uno dei gusci, poi si fermò davanti a quello di Max, fissandolo per un attimo.

Liz toccò Michael leggermente sul braccio, per offrirgli conforto, ma lui si scostò bruscamente, andando fino all'estremità opposta della camera. Liz lentamente passò le dita sulla superficie ruvida di quello di Max. Sapeva che era il suo perché glielo aveva indicato una volta, portando le sue dita a sfiorarlo, in modo quasi reverenziale. Spaventato.

Lei accarezzò la superficie di nuovo adesso, sentendo sotto le dita curve che aveva già sentito quel giorno, semplicemente respirando. Dentro e fuori.

Dentro e fuori, il ritmo della vita in qualsiasi parte dell'universo.

Dentro e fuori, cercando di sentire Max, di assorbirlo attraverso le galassie. Dentro e fuori, mentre sentiva il potere di lui attraversare lentamente il suo corpo.

Fu quasi come cadere in trance, mentre chiudeva stretti gli occhi, ascoltando il sottofondo di un altro mondo, che non aveva mai notato, e sentendolo aumentare. Diventare un insistente lamento.

Diventare il grido di Tess, la sua voce troppo alta, mentre le immagini si rovesciarono nella mente di Liz come una corrente elettrica.

Se non verrai con me, la ucciderò. Tess si muoveva nervosamente nella camera. L'immagine svanì, rimpiazzata da quella di Max, che alzava un braccio rabbiosamente, pronto a colpirla.

Ma Tess aveva creato attorno a sé uno schermo protettivo, sibilandogli contro Non puoi fermarmi così facilmente, sua altezza. Era scomparsa, per riapparire un attimo dopo nel Granilith mentre Max la fissava sconvolto.

Gli assassini di Khivar verranno a prenderla, e a prendere tutti gli altri. Ma mi assicurerò che Liz sia la prima a morire. Per allora, non avremo bisogno di te.

L'immagine si sfaldò, quasi scomparendo, poi tornò improvvisamente a fuoco. Max aveva urlato all’improvviso, sbattendo le mani contro la scivolosa superficie del Granolith.

La proteggerò io -

Tu non potrai farlo! Non potrai proteggere nessuno. A meno che tu non venga con me adesso, gli aveva promesso Tess freddamente. Se verrai con me, li risparmieremo. Khivar avrà quello che vuole … te.

Max si era guardato attorno, disperatamente. Aveva fissato freneticamente la porta, chiaramente combattuto.

Liz sentì la sua paura per lei, salire al punto da impedirle di respirare. Ma non fece nulla per interrompere il flusso delle immagini, doveva sapere.

Max aveva fissato di nuovo la porta, il bisogno di lei, di toccarla ancora una volta così forte in lui.

Che tu sia maledetta per questo, Tess, aveva urlato angosciato, mettendo i palmi delle mani contro il Granolith. Con quelle parole Max si era sentito immediatamente trasportare all'interno del cilindro.

E proprio così, in un attimo, erano svaniti entrambi.

Liz udì uno strano rumore soffocato, una specie di alieno respiro irregolare, come foglie secche che si strusciavano una contro l'altra. Sentì il ritmico pulsare del guscio sotto le sue dita, mentre lacrime brucianti le scivolavano sul viso. Eppure il suono non cessò, anzi si intensificò in frequenza e volume.

"Liz!" Sentì le dita di Michael chiudersi attorno alle sue braccia. "Liz, devi venirne fuori!"

La chiamò come se lei fosse precipitata in un tunnel, forzandola a tornare indietro. Ma Liz voleva scrollarselo di dosso, per rimanere dov'era. Continuò a sforzarsi di raggiungere Max, di mantenere un contatto.

"Liz, apri gli occhi!" pianse lui contro la sua guancia, il fiato caldo contro di lei. "Torna qui… adesso! " E poi le si aprirono gli occhi, il flusso delle immagini e delle sensazioni si bloccò e si accorse di avere il respiro corto.

Il rumore raschiante era il suo stesso ansimare frenetico. Si accasciò contro il guscio di Max, singhiozzando, lottando per respirare e Michael se la prese tra le braccia. La tenne sdraiata sul pavimento per quelle che sembrarono ore, il suo cuore che batteva erraticamente e il suo respiro fuori controllo.

"Dio, Liz." sussurrò lui, mentre lei tremava tra le sue braccia, incapace di fermarsi. "Mi hai spaventato a morte … cosa avrei fatto?"

"Fatto?" chiese lei stupita, sentendosi le mani pizzicare attraversate dal puro potere alieno che lei aveva rilasciato.

"Se tu fossi morta." sospirò lui contro la sua testa, le mani che la stringevano come una morsa. "Sei quasi morta."

Qualcosa in Liz suonò stranamente buffo, perché lei avrebbe potuto giurare di essere davvero morta.


***

"Allora, che sta facendo questo tipo? Ti sta spiando?" tuonò Michael in tono frustrato. Aveva le dita sporche di colore e si ripulì una guancia col dorso della mano. L'aveva fatta entrare nel suo loft, con un breve sorriso, che lei aveva accolto con grande sollievo dopo la stranezza dei giorni precedenti. E quindi Liz gli aveva raccontato tutto, rimanendo senza fiato, nel desiderio che Michael capisse la sua confusione, circa il bizzarro modo di comunicare di David - senza confessargli di cominciare a sentirlo come una specie di innocente corteggiamento.

E lei aveva ingenuamente pensato che Michael non avrebbe tirato fuori nessun discorso sulla mafia aliena dopo tutto questo.

"No, Michael." sospirò esasperata, buttandosi sul divano. "Per favore non farne un dramma."

Lui rimase in piedi davanti a lei, con il pennello ancora in mano. I capelli erano legati indietro con una bandana sbiadita e uno sbaffo di porpora gli colorava la mascella. Si era ovviamente fermato solo per farla entrare.

Di solito, si scambiavano battute mentre lui lavorava e lei rimaneva sdraiata sul suo divano, le scarpe buttate per terra. Era una confortevole abitudine, accoccolarsi le tra le cose di lui, ascoltando la musica. Restare avvolta nel loro stare insieme, spesso rilassati in lunghi silenzi. E qualche volta, era addirittura sensuale.

Come quando lei lo aveva colto a studiarla, passandosi la lingua sulle labbra con desiderio. Lui aveva pensato che lei stesse leggendo e quando lei aveva sollevato lo sguardo dal giornale era stato troppo tardi perché riuscisse a mascherare l'espressione vorace nei suoi liquidi occhi. Si era girato, arrossendo, mentre armeggiava con un tubetto di pittura.

Ma lei se ne era accorta, e aveva sentito un brivido nel suo ventre … una scossa. Avevano continuato a guardarsi di sottecchi per tutta la serata.

Per tutto il mese.

Era stato solo lo scorso mese, in effetti.

Eppure, ora lui la stava fissando, con la bocca socchiusa in segno di stupore, nella parte di protettore ancora una volta.

"Liz!" gridò frustrato. "Mi sembra che tu ti stia comportando in maniera strana. Secondo me questo tipo è pazzo."

"Oh, e sarebbe il primo pazzo, con un forte istinto per la pittura che conosco?" lo prese in giro lei, roca, guardandolo da sotto le ciglia abbassate. Vide negli occhi di lui un lampo in reazione, sapeva che lui aveva recepito lo sguardo. Aveva capito che lei stava flirtando con lui di proposito.

Fece un passo indietro, scuotendo la testa. "Dio, Liz, so che sei più sveglia di come vuoi farmi intendere."

"Sei geloso ribattè lei.

"Mi stai prendendo in giro."

"E perché dovrei fare una cosa del genere?" era una domanda sincera, che stava rivolgendo a sé stessa come a lui.

"Una buona domanda." replicò lui a voce alta, lanciando il pennello contro la parete, in un gesto di rabbia che lei non ricordava di avergli mai visto fare. Di solito trattava i suoi pennelli con vero rispetto, pulendoli e asciugandoli religiosamente. "Non ti capisco in questo momento, Liz. Non ti capisco affatto."

"Michael, per favore, non preoccuparti per me … o per David. Non è per questo che sono salita … "

"Allora perchè?"

La risposta era sicuramente semplice. Ma la spaventava, facendole mozzare il respiro. "Ho bisogno di te, adesso." La voce di lei era bassa, come una preghiera.

"Per cosa?" sbottò lui, lo sguardo vulnerabile che vagava nella stanza. "Dimmi per cosa."

Lei esitò, vedendo il dolore negli occhi di lui e rimpianse immediatamente il suo piccolo flirt. Si sentiva spezzare dentro, un momento attratta da David Peyton e quello dopo di nuovo verso Michael.

Lui sospirò, rispondendosi da solo in modo sarcastico. "Sì, hai bisogno di me. Hai sempre bisogno di me. Io ti amo, ma tu hai bisogno di me."

Liz si sentì stringere il petto alle parole di lui. "Michael." cominciò piano, ma lui sollevò una mano, facendola tacere

"Darò un'occhiata a questo tizio. Non mi va di sottovalutare qualcuno che chiaramente ti sta seguendo in giro per la città."

Lei si sollevò in piedi, inciampando nelle scarpe. "Credevo che tu volessi aiutarmi per una volta, non reagire esageratamente come al solito."

"Dio, adesso sembri Maxwell!" tuonò lui.

Lei si girò bruscamente, muovendosi in fretta verso la porta aperta. Ebbe l'impressione che lui la stesse seguendo. "Credevo che mi avresti ascoltato." mormorò mentre si allontanava da lui.

Ecco come andava a finire tra loro, ultimamente, indipendentemente da quello che lei facesse.

"E' mio dovere proteggerti, Liz!" gridò lui dietro di lei nell'androne. "Gli ultimi ordini, ricordi?"

Come avrebbe potuto dimenticarlo, pensò lei scendendo i gradini a due alla volta.


***

Liz cercò di infilare la chiave, ma le sue mani tremavano così tanto da non riuscire ad infilarla nella toppa. Aveva chiuso il negozio a mezzogiorno esatto, lasciando il cartello "Fuori a pranzo - riapro alle 13." appeso alla porta.

La neve si era lentamente accumulata sul marciapiede e, per un momento, lei perse l'equilibrio proprio mentre riusciva finalmente ad aprire.

Michael l'aveva lasciata in preda a differenti emozioni. Non riusciva a comprendere la portata di tutti i sentimenti che aveva sentito per lui negli ultimi mesi e che sembravano diventare sempre più invadenti negli ultimi giorni. Non era sicura che questo dipendesse dalla sua dichiarazione d'amore per lei - due volte negli ultimi giorni - o dall'improvvisa apparizione di David Peyton e dei suoi sensuali dipinti.

Un altro pensiero le attraversò di sfuggita la mente, uno che Liz rifiutava di comprendere mentre lo sentiva sussurrare nella mente. Un ricordo dell'anniversario che sarebbe caduto tra due giorni.

Otto anni senza la promessa di Max, senza una vita. Pietra fredda, come le persone di Pompei, per sempre bloccate con lo sguardo fisso al cielo.

Perdendo Max ogni volta, rivivendo quel momento fuori dalla caverna ancora e ancora. E tristemente, la presenza di Michael nella sua vita, non era altro che un perverso ricordo di quel fatto.

Liz fece cadere le chiavi sul bancone, accomodandosi alla scrivania. Aveva ricevuto almeno 15 email nel breve tempo che era rimasta su con Michael. Ma ce ne era sola una che attrasse immediatamente la sua attenzione ed era indirizzata a "All'agente più determinato."


Deliziosa Liz,

No, credo di non aver risposto a tutte le domande. So di non averlo fatto, e me ne scuso. Per "handicap fisici" intendo dire che sono disabile. In realtà non è la menomazione fisica che mi crea così tanti problemi - non è una cosa così terribile - ma di fatto … io porto una protesi facciale. Così, per citarla, io sono "orrendo, squisito o appena passabile" tutto in una volta. Dovrebbe chiedere al mio specchio la verità.

In ogni caso, preferirei continuare a conoscerla così, per adesso ... se non le dispiace. Grazie, Liz.

d.



Liz si sentì stringere la gola fino a sentirsi soffocare. Una protesi era qualcosa che sostituiva un braccio, o una gamba … non un viso. David le stava dicendo che lui non aveva più una faccia?

Lei digitò velocemente il termine "protesi facciale" nel motore di ricerca internet, ansiosa di conoscerne il significato.

Angosciata di sapere se il suo poetico David Peyton, le cui mani erano in grado di creare tali capolavori e che l'avevano fatta sentire eccitata e desiderabile - avessero messo nei suoi dipinti molto più di quanto lei avesse mai potuto immaginare.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Parte Sette


Fluttuando. Stava fluttuando in un silenzioso museo, forse la National Gallery, su e giù per i corridoi come uno spirito inquieto. Ogni tanto si abbassava, per esaminare una parete di dipinti distesa davanti a lei, fino a quando non si trovò in una camera che sentiva come casa propria.

Si sedette su una morbida panca, sollevando le gambe sotto di sé, mentre studiava i lavori allineati sulla parete. All'inizio c'erano i familiari quadri di Michael, così tanto parte di lei da pulsare quasi allo stesso ritmo del suo cuore. Rappresentavano tutto quello che c'era di meraviglioso e perfetto nella vita di Liz, adesso. Lei sospirò piano, assorbendoli dentro di sé. C'era lo spirito di Michael, che respirava colore e movimento ad ogni esalazione.

Poi il suo sguardo si spostò, scoprendo i dipinti di David appesi proprio accanto a quelli di Michael. Erano sensuali, le toccavano qualcosa di profondo e, in qualche modo, sebbene non lo avesse mai notato, incredibilmente erotici.

Una quasi dimenticata sensazione di calore salì dentro di lei, mentre guardava lo sconosciuto senza volto di Segue al Sogno. L'artista non aveva rivelato nulla di sé, eppure lei sapeva che lui era squisitamente affascinante. Ne era sicura, mentre esaminava la scura testa di lui, il profilo delle spalle.

Improvvisamente la figura del dipinto si volse leggermente, la sua faccia divenne lentamente visibile.

E poi non ci fu nulla, solo un'anonima maschera senza lineamenti.

"Ma non è giusto." voleva gridare lei. "Qui c'è qualcosa di terribilmente sbagliato".

Quindi il dipinto ondeggiò per un attimo, e fu di nuovo come prima. Liz si strofinò la mascella, guardando confusa i dipinti, e domandandosi perché le sembrava che qualcosa di fondamentale stesse avvenendo senza che lei lo potesse comprendere. Qualcosa di critico che ancora non era riuscita ad afferrare.

Alla fine il suo sguardo si spostò oltre e cadde su una familiare serie di incisioni, descrizioni delle 7 meraviglie del mondo.

Un mausoleo, un tempio, un faro. Una sagoma che inneggiava malinconicamente alla grandezza dell'uomo, giaceva in rovina davanti a lei - ora solo appena un ricordo nella sguardo di Erodoto.


Al suo secondo anno di università, lei era stata particolarmente attratta da un dipinto dei Giardini Pensili Babilonesi, immaginandosi come una principessa straniera, portata via da terre lontane. E Max come il re che la amava così tanto da voler ricreare una replica della distante casa di lei, anni luce attraverso le galassie.

Max il suo principe, L’uomo che avrebbe potuto darle l'universo se solo lei lo avesse chiesto. Colui che aveva le stelle tra le mani e con esse intesseva leggende sulla loro storia d'amore.

Max, vivo e meraviglioso, i suoi occhi dorati brillanti di fiamme aliene, più regale di quanto le fosse mai sembrato sulla terra. Circondato da servitori e gioielli. Un re Nabucodonosor che ricreava un misterioso giardino pensile terrestre.





Tutto per lei, perché voleva compiacere la sua sposa, la sua regina aliena.

Ma poi il proiettore si era mosso di nuovo, sostituendo la diapositiva, la luce era stata oscurata. Un nuovo dipinto, un nuovo sogno, i resti del precedente ancora soffocanti.

Sapere che Max era morto non aveva fermato i sogni. E quell'immagine dei giardini si era impressa nella mente di lei, come un dipinto in colori brucianti. Le sue speranze, raffreddate come la cera, immobili e insensibili. Tutto la soffocava silenziosamente, notte dopo notte.

****

4.35 del mattino. Quasi come un appuntamento notturno, un patto segreto fra lei e Max. Non aveva mai raccontato a Michael dei suoi risvegli notturni, sebbene lui avrebbe potuto comprenderli. E adesso, Liz giaceva nel buio, il cuore che batteva dolorosamente nel petto, mentre fissava l'orologio digitale. C'era una tale distanza tra la sua camera e il bagno, e il tragitto era pieno di paure.

Un'altra notte. Un'altra rotazione della terra, due giri di lancette sul quadrante dell'orologio. 8 ore già diventate passato.


Stava dormendo profondamente quella notte nel suo dormitorio, a fine febbraio, la stanza luminosa dal riflesso della neve caduta che ricopriva il terreno fuori. Già si sentivano i familiari suoni degli spazzaneve, mentre spargevano il sale sulla strada fuori dalla sua finestra. Lei aveva passato la notte nel dormiveglia, continuando a fare scuri sogni su Max. Sogni più duri che nei mesi precedenti, le cose erano un po' cambiate rispetto a quando aveva lasciato Roswell.

Ma quella notte le immagini erano state più vive, eppure più lontane. Ancora e ancora aveva visto gli occhi di lui pregarla. Ma per cosa? Si era inginocchiato davanti a lei, il capo abbassato, i capelli insolitamente umidi. Lei aveva allungato le dita per accarezzarglieli lentamente, per lenire il suo dolore.

Shhhh, aveva mormorato piano. Sono qui, Max. Proprio qui con te.

Ma quando aveva tolto la mano, le sue dita erano bagnate di sangue. Più rosso del suo, un sangue alieno. Aveva aperto la bocca per gridare, per urlare, la mascella che le doleva terribilmente. Sono qui aveva urlato, ma solo suoni soffocati erano usciti dalla sua bocca. Max non arrenderti. Sono qui … con te. Non ti lascerei mai … non ti lascerò mai.

Aveva sentito lui cercare di raggiungerla, come se la stesse stringendo fra le sue braccia. Lui aveva sollevato lo sguardo verso di lei, ancora quello sguardo dorato, ma i soliti flash che le erano così familiari erano improvvisamente scomparsi.

Lei sentiva solo freddo, che la avvolgeva come un abbraccio mortale.

"Max!" aveva urlato, svegliandosi di nuovo con un brivido. Aveva fatto un balzo nel letto, sentendo tutto intorno a lei. Ogni cosa era bagnata. I suoi capelli, le lenzuola, e il suo viso che pulsava di un accecante dolore. "Oh, Max." aveva sussurrato ancora, guardando l'orologio.


4.54 del mattino.


"Mi manchi così tanto." mormorò nel buio profondo, mentre si strofinava il petto con la mano aperta, cercando di calmare il battito del cuore. "Dio, non smetterò mai di soffrire così, Max … per te."

E con quelle parole, la gola le si strinse e cominciò a piangere. Si portò le mani alla testa, cercando di calmare la valanga di emozioni che rischiavano di travolgerla.

Alla fine, ricadde su un fianco, tutta accoccolata su sé stessa, continuando a singhiozzare disperatamente. Perché non può fare meno male, Max. continuò a domandarsi tra le lacrime. E' passato così tanto tempo.

***

Liz camminò con prudenza sul marciapiede, attraverso la neve caduta nella notte precedente. Ce ne erano solo pochi centimetri, forse cinque al massimo, eppure tutta la città era ancora silenziosa, con qualche macchina occasionale che spruzzava neve bagnata mentre passava.

La maggior parte dei marciapiedi era ancora intatta, con solo qualche impronta davanti a lei. Liz si strinse la sciarpa al collo, portandosi il bicchiere di caffè alla bocca. L'aroma di cioccolato le riempì i sensi, mentre prendeva un sorso caldo della bevanda. Facendo il giro della piazza, lei vide l'ingresso un po' scuro della galleria e, per un attimo, credette di aver visto un pacchettino appoggiato contro la porta, asciutto sotto la galleria.

Batté gli occhi, certa di essersi ingannata, abbagliata dai suoi stessi desideri. Eppure, il piccolo pacchetto, ordinatamente avvolto, era ancora lì.

Liz non poté trattenersi dal correre, con il bicchiere pieno che sbatteva il liquido all'interno. Si abbassò piano, facendo scivolare gli stivali sulla neve bagnata mentre cadeva sulle ginocchia. Proprio contro la porta c'era un piccolo pacco, di forma quadrata, avvolto nella solita carta marrone, non più lungo di una trentina di centimetri e altrettanto largo.

Sul davanti, la familiare ordinata calligrafia diceva, Finestra sull'anima. Per la Deliziosa Liz.
Liz afferrò il pacchetto con le mani inguantate, stringendoselo al petto, come un prezioso tesoro. Si guardò attorno velocemente, come se potesse trovare il suo enigmatico pittore, che si nascondeva tra le ombre.

Si sentiva osservata, come se lo sguardo dell'artista fosse su di lei. Si passò una mano tra i capelli, aggiustandoseli nervosamente, mentre tornava lentamente in piedi.

E fu allora che vide le tracce, chiaramente individuabili sulla neve fresca. Due impronte di piedi, e una terza indentazione rotonda. Un piede era evidentemente calcato più pesantemente dell'altro, l'impronta più profonda, e le tracce portavano fino alla sua porta.

Due impronte di scarpe e un piccolo cerchietto. Come un timbro, l'impronta tradiva l'andatura di David. Proprio come aveva detto, si aiutava con un bastone.

Liz cominciò a seguire lentamente le sue tracce inequivocabili dalla sua galleria. Per un attimo, ne perse il tragitto, mentre le impronte si mischiavano ad altre, per poi riapparire poco più in là. Se non fosse stato così presto, non sarebbe mai stata in grado di vedere le orme così chiaramente, una traccia luminosa che la portava dritta da lui.

Lei le seguì per cinque isolati, fino a quando le impronte sparirono su un vialetto che portava ad una piccola costruzione. Dentro, luci soffuse illuminavano quella che sembrava essere una cucina, e un sottile filo di fumo saliva nel cielo scuro del mattino dal camino. Liz moriva dal bisogno di avvicinarsi, attraverso il sentiero e bussare alla porta di David Peyton.

E poi li vide. Un paio di alti stivali scuri, lasciati ordinatamente di fronte alla porta, ad asciugarsi. Nella sua immaginazione vide una scena, David che si piegava per togliersi gli stivali, spostando il peso sul bastone. Un giovane uomo, nonostante le apparenze. Un uomo con uno strano fascino.

Liz si spostò i capelli dagli occhi, il cuore che le batteva forte davanti ad un dettaglio così personale. Qualcosa di così semplice come le scarpe di lui, eppure lei sentì di aver, in qualche modo, violato le mura protettive, l'auto-imposto isolamento che lui si imponeva, seguendo i suoi passi. Ma ora che era qui, Liz sentiva di aver bisogno di molto di più, voleva sapere che cosa avesse voluto dire lui con "protesi facciale". Perché lei era rimasta con fin troppe domande in quel senso, una più disturbante dell'altra.

Esaminò l'esterno della casa alla ricerca di altri segni di lui, di un'ombra alla finestra, ma non vide nulla. Il piccolo dipinto restava stretto al suo seno, bruciandole la pelle e lei per un attimo pensò di togliere il biglietto e lasciarlo dentro la buca delle lettere di lui - per fargli sapere che lo aveva trovato. Ma le sembrò come dargli uno schiaffo in faccia, quando lui aveva voluto solo lasciarle un dono.

E lei ebbe improvvisamente l'immagine di David come Boo Radley, del romanzo "Il buio oltre la siepe", che lasciava preziosi tesori al suo albero - in questo caso, alla porta della sua galleria. Proprio come Scout si era sentita protettiva verso Boo, lei si sentiva così verso il suo timido sconosciuto, un recluso segnato dalle cicatrici che usciva dall'ombra e la osservava come fa un angelo - un guardiano stranamente seducente e sensuale.

Apri i tuoi occhi, Liz … apri i tuoi occhi.

Lei si sentì mancare il respiro, ricordando il meraviglioso dipinto dell'angelo e, facendo attenzione, tornò indietro.


***
Liz non aveva ancora risposto all'ultima email di David, perché non era molto sicura di come farlo. E ogni volta che cominciava a scrivere, con lentezza, una risposta, le parole le sembravano semplicemente insufficienti. Ancora non era sicura di cosa lui avesse voluto dire con "protesi facciale", sebbene un ossessionante dubbio avesse cominciato ad assillarla.

Un sito web le aveva toccato una corda particolarmente profonda. Prometteva "Una nuova vita … benvenuti nel mondo delle protesi facciali totali".

Una nuova vita. Qualcosa dell'ironico slogan la faceva rabbrividire. Le immagini sullo schermo erano sembrate tutt'altro che incoraggianti, mentre scorreva una lista di quelle che avrebbe potuto definire come maschere senza lineamenti.

Volti per i senza volto.

Liz si strinse le braccia intorno al corpo, rabbrividendo di nuovo, e si domandò cos'avrebbe potuto dire a David. Ancora non aveva aperto il suo nuovo regalo, lo aveva salvato come un prezioso tesoro per più tardi anche se la sua presenza accendeva in lei un fuoco indomabile.

Cominciò lentamente a scrivere un commento, qualcosa che le veniva dritto dal cuore, l'unico possibile modo di rispondere alla vulnerabile confessione di lui.



Audace David

Mi hai ricoperto con un nuovo dipinto. E vedi, per me sono diventati più preziosi dei doni di lady Godiva, quindi mi sto trattenendo dall'aprire anche quest'ultimo. Almeno per qualche ora ancora.

Per quanto riguarda la tua nota di ieri sera, sembra che tu sia anche un uomo mistico. Se pensavi di contrastare il crescente interesse per te, ho paura che tu abbia solo attizzato le fiamme.

Liz (che ora sta arrossendo)



Nonostante il tono da flirt delle sue parole, non era riuscita a trattenersi. Era stata costretta a scrivere qualcosa di invitante, aveva voluto far sentire David desiderabile, come lui aveva fatto con lei nei giorni precedenti. Forse il suo viso era orribilmente sfigurato, eppure in qualche modo era certo che fosse inaspettatamente seducente, anche solo a causa della sua unicità.

Il campanello sopra alla sua porta trillò e Liz guardò in alto, sentendosi arrossire per qualche motivo inesplicabile. Forse perché si era sentita colta in flagrante nel suo corteggiamento telematico. Le sue guance avvamparono ancora di più, quando Michael scivolò all'interno, portando due bicchieri di caffè di Starbucks fra le mani, e un piccolo sacchetto tra le dita.

"Ehi!" lo chiamò, sapendo che la sua voce risultava curiosamente alta. Michael sorrise con dolcezza, spostandosi i capelli dagli occhi.

"Porto un'offerta di pace." borbottò, e i suoi occhi rivelavano la sua sincerità, mentre lasciava cadere la busta sul bancone.

"Come mai mi viene da pensare che ci sia una brioche alla marmellata di mirtilli, appena cotta?" ridacchiò lei, prendendo la busta. Lui abbassò gli occhi e lei giurò che sembrava stranamente timido con lei, mentre lei metteva il naso nella busta con aria melodrammatica. "Ummmm … "

"Vendi i miei lavori a New York la prossima settimana." spiegò lui goffamente, la voce appena un po' dura, nonostante il preambolo. Liz sentì un'onda di dolore stringerle il petto.

"Ma certo che lo farò, Michael." rispose con dolcezza. "Lo faccio sempre." Lui si allontanò da lei, voltandole la schiena, mentre sorseggiava il caffè.

Liz lo seguì fino a quando lo vide fermarsi davanti ai dipinti di David, che lei aveva appeso al muro e per un momento vide la sua confusione mentre si guardava intorno nella galleria. Lei aveva tolto tre dei suoi pezzi più importanti per far posto alle opere di David, così lei gli sfiorò un braccio, affrettandosi a giustificarsi.

"Ho spostato i tuoi verso la vetrina … sono più in mostra così"

Lui annuì senza guardarla. "Qualunque cosa, Liz." rispose con voce rilassata. "Mi fido di te".
C'era qualcosa di nascosto in quelle parole, come se stesse parlando di ben altro rispetto a dove fossero i suoi lavori nella galleria.

"Però sei ancora arrabbiato con me." continuò lei piano, mordendosi un labbro

"No … no, non lo sono." rispose lui con voce distaccata, strofinandosi il mento mentre fissava i dipinti. "Ne hai messi altri del mostro, eh?"

"Non è un mostro." rispose lei sulla difensiva, sentendosi ancora più protettiva nei confronti di David, dopo l'ammissione di lui sulla protesi.

"No, non credo che lo sia." rispose Michael, e la lasciò sorpresa il tono tenero della sua voce. "Il suo lavoro è davvero … potente, no?"

"Che cosa ti fa venire in mente, Michael?" chiese lei con serietà, sentendo il familiare rapporto tornare a prendere vita. Questo era quello che sapevano fare meglio, parlare di arte.

Lui si passò le dita tra i capelli, soprappensiero, gli occhi che si spostavano tra un quadro e l'altro. Alla fine, trattenne il respiro mentre fissava il dipinto senza titolo dello scarno paesaggio. Il dipinto di Ms. Parker. "La Pod Chamber." rispose a voce ferma. "La Pod Chamber, però, in qualche modo, diversa".

"Cosa?" gridò, mentre spalancava gli occhi davanti al quadro. La bellezza bruna ancora girata, che la fissava con aria sicura, e i vibranti colori sparsi sul cielo alieno. Come poteva Michael vedere in quel dipinto la Pod Chamber?

"Beh, e a te che cosa fa pensare?" ribattè lui, mettendosi a braccia conserte con uno sguardo impaziente.

Lei scosse la testa, fissando incredula il quadro perché la scena le ricordava le rocce intorno alla Pod Chamber, adesso che lei ci rifletteva.

Ma non lo ammise con Michael. "Forse l'Afghanistan o qualcosa del genere." mormorò lei, fissando la donna, che la ossessionava come l'immagine di qualche rifugiata sulle pagine del National Geographic.

Rimasero in silenzio, in piedi uno accanto all'altro e Liz sentiva che Michael voleva dirle qualcosa. Ma se aveva imparato qualcosa in tutti quegli anni di amicizia, era che non poteva fargli pressione.

"L'ho seguito." ammise lui piano.

"Chi?" domandò Liz, perché non riusciva a capire a chi Michael si stesse riferendo.

"David Peyton." sospirò, con aria colpevole. "Mi sono fatto dare l'indirizzo dal ragazzo della Federal Express e l'ho seguito ieri sera."

"Cosa?" sbottò Liz. Si sentiva le mani tremare e rimase a bocca aperta dall'incredulità. "Tu, cosa? "

"Mi hai sentito." ribattè Michael, prendendo un sorso di caffè. "L'ho fatto per proteggerti."

"Dio, vorrei ucciderti!" urlò lei esasperata. "Voglio dire, non sono una donna adulta?"

"E' inoffensivo, Liz." Michael le fece un mezzo sorriso, godendo della rivelazione. Lei poté giurare che lui stava gonfiando il petto, come orgoglioso di poter dichiarare David degno della fiducia di lei.

"Come se avessi bisogno del tuo parere." si allontanò lei, piena di rabbia.

"Ma non sei contenta di saperlo?"

"Mi fai diventare pazza, Guerin."

"Cammina con un bastone." annunciò lui, di nuovo molto soddisfatto di sé stesso. Come se sapesse di aver fatto fuori il concorrente David Peyton, prima ancora che la gara di romanticismi fosse cominciata.

"Sì, beh, indovina un po'?" disse Liz ironicamente, facendosi cadere sulla sedia. "Già lo sapevo, sai?"

Lei rimpianse immediatamente la dichiarazione, quando vide l'espressione di Michael piena di disappunto. "Voglio dire, me lo aveva detto." riprese in tono stranito. Ma Liz non poté trattenersi dal domandarsi se Michael fosse riuscito a vedere il volto di David.

"Che aspetto ha?" chiese piano, abbassando gli occhi in fretta, così lui non si sarebbe accorto del suo rossore.
"Non ho visto molto." spiegò Michael. "Giovane credo … lunghi capelli scuri."

"Lunghi?" chiese lei sorpresa, andando con l'immaginazione a qualche copertina di romanzi femminili. "Lunghi quanto?"

"Più o meno come i miei, credo." rispose Michael, passandosi indifferente una mano tra i capelli.

"E' tutto qui?" chiese Liz. "Lo hai solo seguito?"

E questa volta Michael mostrò uno sguardo veramente sfuggente, mentre si allontanava da lei. "Volevo essere sicuro che fosse a posto, Liz. Dovevo essere sicuro che lo fossi tu. "

"Hai frugato casa sua." Era un'affermazione, non una domanda. Michael annuì colpevolmente.

"E' andato a fare una passeggiata quando è scesa la sera, è stato fuori per un po'. Cammina così lentamente, è stato facile."

Liz chiuse gli occhi, sfregandosi le tempie. Improvvisamente un dolore le fece pulsare la testa. "La mafia aliena colpisce ancora. Ricordami di chiamare Isabel più tardi per lamentarmene."

"E' solo un pittore, Liz. E' a posto."

"Sono felice di avere la tua approvazione, papà. Voglio dire, altrimenti, sarei stata veramente in pericolo." lo schernì lei seccamente. "Immagino che avrebbe potuto picchiarmi col suo bastone o chissà cosa."

"Maledizione, Liz" tuonò Michael, battendo forte la mano sul bancone. "Ti vuoi dare una calmata? Ti stai dimenticando che c'è stato un tempo in cui i nostri nemici ti volevano morta? Proprio tu fra tutti dovresti credere in questo pericolo, dato che sei tu quella convinta che Max sia stato ucciso da loro."

Un silenzio pieno di tensione gremiva la galleria, mentre Liz fissava Michael sconvolta, sentendosi gli occhi pieni di lacrime. Lui non aveva mai parlato della morte di Max con quel tono con lei. I loro occhi si incontrarono per un lungo momento, quelli scuri di lui pieni di indescrivibile rimorso. Liz si domandò quando uno dei due avrebbe avuto il coraggio di parlare.

"Ma perché dovrebbero ancora avercela con me?" chiese lei alla fine, e Michael chiuse gli occhi.

"Perché tu eri tutto per lui, Liz." rispose piano. "E aver distrutto Max potrebbe non essere stato sufficiente per loro."

****

Meravigliosa Liz,

sei stata rivalutata ancora, vedi? Sebbene il suono di ‘Meravigliosa’ non mi dia la stessa gioia, sembra una descrizione più adatta.

Be', indovina chi sta arrossendo ora? Qualcun altro oltre a te, te lo giuro. Audace? Non mi riconosco in questa parola, ma in ogni caso, accetterò il complimento. Grazie.

Allora, come sta il tuo pacchetto? L'hai aperto o no?

Tuo

David


Liz lesse la nota diverse volte, sentendosi battere forte il cuore. Adesso era riuscita a farlo arrossire. Si domandò ancora come fosse il suo volto, come apparissero le sue guance rosse dall'imbarazzo. Erano piene di cicatrici? Oppure semplicemente invecchiate troppo presto? Senza pensarci, tracciò con le dita il contorno delle parole sullo schermo.

Audace … complimento … aperto. Parole inoffensive che improvvisamente erano cariche di una sensuale energia, solo perché David le aveva telematicamente sussurrate al suo orecchio.

La verità era che lei stava morendo dalla voglia di fare a Michael innumerevoli domande su David. Come fosse la sua casa, quanto era alto, se era bello. Se la sua casa fosse ordinata quanto la sua calligrafia. Ma come poco prima, quando aveva trovato il piccolo cottage di lui, si era trattenuta dal fare domande importune, e aveva deciso di attendere che David le rivelasse queste cose da solo.

In ogni caso, scelse di esercitare un po' di pressione questa volta, mentre cominciava a comporre la sua risposta.



David,

Vorrei venire a trovarti prima di partire per New York. Partirò all'inizio della prossima settimana. Potrei passare per una veloce visita prima di allora? Ho capito quello che mi hai detto, ma credimi, mi troverai piuttosto tranquilla e inoffensiva (nonostante la reputazione da barracuda).

Liz



Liz si girò nella sedia, notando che la sera era già scesa. La giornata era finita, e ancora il suo regalo rimaneva chiuso. Lo prese da dove lo aveva lasciato, lontano sul bancone e, con le dita, sfiorò piano la carta che lo avvolgeva, piegata accuratamente. Il dipinto poteva rispondere a tutte le sue aspettative in questo modo, rimanendo ancora inviolato. Teneramente, lo prese tra le mani, e per qualche inesplicabile motivo, decise di portarlo a casa con sé.


***

Fluttuando. Stava fluttuando sopra Roswell. Prima al Crashdown e al suo balcone, poi sopra la scuola e la casa di Max, quindi indietro verso il parco.

Senza corpo, eterea come la nebbia, si muoveva all'alba. Osservando tutto dall'alto, notando le similarità, nonostante gli anni passati.

Anche se tutti loro erano sparpagliati lontano, addirittura in altri mondi, la vita continuava a Roswell, ogni cosa al suo posto. C'erano forse bambini nuovi, sconosciuti giovani amori, eppure le cose erano lo stesse. Solo un momento diverso, un'epoca differente.

Liz si sentiva malinconica, guardando un ragazzo aprire la portiera dell'auto per la sua ragazza, aiutandola ad uscire sul marciapiede. Anche Max era stato un gentiluomo così. E mentre il ragazzo biondo rubava un rapido bacio, Liz cominciò a piangere in silenzio.

Per il suo amore perduto e la sua innocenza rubata.

Per la sua giovinezza persa.

Ma mentre saliva verso l'alto, le nuvole che si muovevano al di sotto di lei, le era apparso improvvisamente il deserto, e lei si era abbassata sulle rocce spezzate intorno alla Pod Chamber. La scena era cambiata e c'era Michael, che la guardava ranicchiata sulle rocce ricoperte dalla luce del sole, il tutto luminoso come una foto sovraesposta.

Era stato quello il momento, quello che aveva segnato entrambi da allora. Michael che strizzava gli occhi nel sole, incontrando il suo sguardo.

Non come amo te … non come amo te … non come amo te.

E lei aveva saputo che Max se ne era andato per sempre.

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Capitolo 8
*** 8 ***


Parte Otto

Puoi aspettare tanto, tanto tempo
prima che in cielo accada qualcosa
di piu' dello scorrere delle nuvole
e delle Luci del Nord, che corrono
come brividi pungenti.
Il sole e la luna s'incrociano,
ma non si toccano mai, ne' fuoriescono
fiamme, ne' si scontrano violentemente.
Sembra che i pianeti s'incontrino
nei loro tragitti, ma non accade nulla,
non viene fatto nessun male.
Possiamo tranquillamente continuare
la nostra vita, e guardare ovunque
tranne che alle stelle, alla luna e al sole
perche' abbiamo bisogno di colpi
e di cambiamenti per non impazzire.

Robert Frost - Guardando per caso le costellazioni


La Broadway o la Settima, doveva fare un scelta. E per qualche motivo, Liz pensò ad Alex e alla sua poesia di Robert Frost - a tutte le poesie di Robert Frost che le avevano segnato la vita, fossero esse strade non prese, o sere nevose, o stelle nel cielo. Scelte, sospese su tutto, momenti immobili come le stelle sfavillanti del cielo di mezzanotte sopra di lei.

Manhattan, così fredda e vuota, nonostante le strade pulsanti e i taxi. Nonostante gli amici vicini.

Liz si strinse la giacca intorno a lei, rabbrividendo mentre attendeva il verde, i suoi occhi inconsciamente alla ricerca di Max, come facevano sempre, soprattutto a New York, per ragioni che non riusciva a capire.

Lei pensò di nuovo a Robert Frost, mentre guardava gli infiniti stuoli di uomini d'affari e turisti tutti intorno a lei.
Ed essi, dato che non erano il morto, tornarono ai loro affari …

Ecco quello che fai in una città come questa, continui a muoverti, continui a respirare, a riempirti i polmoni ancora una volta, pensò Liz, uscendo sulla Settima Strada. Fu allora che lo vide, proprio dall'altra parte. Braccia e spalle scolpite, giacca di pelle. Un guerriero glorioso. Il suo amore.

Ed era furiosa, quando si spostò sul lato opposto verso di lui. "Va bene" domandò, scagliandosi verso di lui, "Cosa stai facendo qui, Max?"

Lui la raddrizzò tenendola per un braccio, gli occhi socchiusi. "Liz, sono io" rise piano, mentre gli uomini d'affari si muovevano intorno a loro.

"No, vedi, questo lo so, Max" gridò lei, piena di rabbia. "Quello che voglio sapere è cosa stai facendo qui."

"Me lo hai già chiesto una volta, Liz" la rimproverò lui gentilmente, guardando le macchine che passavano intorno a loro. "Per la verità, più di una volta. Molto tempo fa."

"Non me lo dirai, è vero?" Lei batté il piede per terra, mentre un uomo giapponese la urtava su una spalla e poi la sorpassava. Lei posò la valigetta sul marciapiede, incrociando le braccia sul petto. "Hai rovinato la mia vita, lo sai?-" Ma lui la interruppe, posandole le dita sulle labbra e facendole sentire come una scossa elettrica su tutto il viso.

"Voglio dirti che ti amo" rispose lui piano, gli occhi improvvisamente pieni di malinconia. "Voglio dirti che tu sei l'unica che abbia mai amato … che non posso lasciarti andare. Come potrei?"

Liz si mise le mani sulle orecchie, desiderando che lui tacesse. "Basta."

Lui posò le mani sul viso di lei, accarezzandole teneramente le guance con i suoi palmi ruvidi. Liz sentì il viso accendersi di un forte calore sotto il suo tocca leggero. "Voglio dirti che tu devi vivere" continuò lui a voce bassa.

"Stai zitto!" gridò lei, cercando di allontanarsi da lui.

Quindi si voltò, correndo in direzione del flusso delle auto e dei taxi, mentre il suono dei clacson le riempiva le orecchie. Ma Max la afferrò per un braccio, riportandola sul marciapiede, mentre un taxi frenava bruscamente, mancandola per un soffio.

Lui la girò, costringendola a guardarlo in viso, gli occhi ambrati pieni di emozioni. Avvicinò le labbra fino all'orecchio di lei, allontanandole gentilmente i capelli dal viso. Era così vicino che lei poteva sentire il suo fiato caldo contro la sua guancia. "Liz, vivi. Otto anni sono troppi per rimanere in lutto."

"Non capisco perché tu mi dica questo" pianse lei, appoggiando la testa sulla sua spalla. "Proprio tu tra tutti quanti."

"Ma lo sai, Liz. Il tuo cuore già lo sa" rispose lui, accarezzandole i capelli con la mano. Il suo tocco era incredibilmente dolce, e le lenì ogni dolore e riempiendole il cuore. "E' solo la tua mente che ancora deve capire."

****

22:38

Gli occhi di Liz si aprirono appannati sul suo piccolo soggiorno. Si era appisolata sul sofà, girata su un fianco verso il caminetto. Adesso le fiamme erano ormai cenere e la camera si stava raffreddando. Liz rabbrividì, stringendosi addosso la maglia.

Lo schermo del suo computer illuminava di un bagliore artificiale il pavimento di legno e le pareti tappezzate.

E quella luce era un invito. Aveva controllato la sua posta prima di distendersi sul divano un paio di ore prima, ma c'erano state solo poche email di lavoro. Ora lo schermo luminoso la attraeva con la possibilità di una risposta da parte di David Peyton.

Con la possibilità di una spiegazione del dipinto che lei aveva aperto poco prima di addormentarsi.

Era un piccolo lavoro, un olio, eppure mentre lo guardava dall'altra parte della stanza, appoggiato sulla sua scrivania, si sentì accelerare il battito.

Finestra sull'anima.

Cosa stava cercando di dirle David, si domandò lei, mentre si alzava in piedi e camminava a piedi nudi attraverso il buio. La luce bluastra del video alterava i colori del lavoro di lui, dando loro una sfumatura surreale, ultraterrena, quando invece erano vivaci e pulsanti di vitalità. Il pannello rappresentava una finestra, quasi come fosse stato l'esterno di Segue al Sogno. Tutt'intorno c'era solo un piccolo bordo grigio e le mani di un uomo erano appoggiate sui due lati - come se lui fosse appoggiato guardando fuori dalla sua cella. Fuori dalla finestra c'erano i meravigliosi rosa e i porpora e i gialli di Segue.

Solo che questa volta, su una collina molto lontana, la donna era di nuovo lì, il fantasma bruno del dipinto Ms. Parker. Mentre adesso Liz esaminava il pannello, guardando quei colori e quelle luci di un altro mondo, si sentì senza fiato come era già successo prima, sentì qualcosa di quasi dimenticato attraversarle il corpo. Qualcosa di estremamente sensuale e femminile.

David aveva dipinto lei. In qualche modo, ne era certa.

E questa volta, il dipinto era molto più erotico dei precedenti. Solo il modo in cui lui aveva atteggiato la donna, la promessa che si leggeva sul suo viso, il modo in cui il lungo scialle era drappeggiato sulle sue spalle morbide, seducente ed affascinante. Il quadro era tutta una sussurrante promessa di qualcosa di proibito. Qualcosa che l’uomo che stava guardando fuori dalla finestra, bramava con tutta la sua anima.

Liz rabbrividì, passandosi le braccia attorno al corpo. Nessun artista l'aveva mai toccata così profondamente.

Michael lo sapeva, ed era questo il motivo della sua evidente gelosia. Il lavoro di lui l'aveva sempre affascinata, catturando la sua immaginazione per farla viaggiare. Ma non in questo modo. Sentiva il tocco del pennello di David profondamente dentro di lei, qualcosa di completamente diverso e intimo e terribilmente proibito. Come se David stesse in qualche modo facendo l'amore con lei.

Spalancò gli occhi quando esaminò le mani dipinte sui lati della finestra, perché notò qualcosa di cui non si era accorta prima. Una di loro sembrava curiosamente … piegata. Gonfia, forse. Ferita. Era un piccolo dettaglio, e non la colpiva quanto la bellezza delle dita, lunghe e affusolate. Solo adesso, vedeva che la mano sinistra era certamente deforme.

Cos'era successo a David Peyton, si domandò lei, sfiorando quella mano con le sue dita. Il tocco divenne una tenera carezza, mentre le sue dita si soffermavano su quelle dipinte e, per un attimo, lei giurò di poter sentire la mano di lui sotto la sua, calda e vitale. Chiuse gli occhi e sognò che cosa sarebbe stato poterlo toccare in quel modo. Un uomo che lei non aveva mai visto, ma le cui mani erano per lei un richiamo irresistibile.

Improvvisamente cominciò a ridere ritraendo in fretta la mano. "Dio, sto passando troppo tempo da sola, ultimamente" sospirò piano. Ma a dispetto della dichiarazione, bruciava dal bisogno di sapere come sarebbe stato avere la mano di David sotto la sua, proprio come nella sua fantasia.

Si lasciò cadere sulla sedia alla scrivania, aprendo la posta e sospirò felice quando scoprì una nuova email da lui.



Ah, Liz

Tu persisti nel tuo desiderio di incontrarmi. E che succederà se lo farai? Adesso, io sono chiunque tu voglia che io sia … ma dopo, sarò solo quello che tu vedrai. Temo che i miei dipinti siano molto più affascinanti di quanto tu possa trovare affascinante me. Temo che tu possa essere ancora più deliziosa di quanto io possa immaginare al momento.

Anche se accendi già molto la mia immaginazione.

Che ne pensi di questo, Liz? Non è abbastanza?

Tuo, David.



Liz rimase a bocca aperta, vedendo quanto audace fosse diventato lui. Così in fretta, stava già sussurrando parole d'amore al suo orecchio. Era un amante che voleva rimanere un estraneo. Un amante che voleva ricoprirla di dipinti e idee ed aprire il suo cuore come uno scrigno di gioielli, come segreti che lui poteva tenere tra le mani.
Cominciò a scrivere.

David,

dubito che questo possa mai essere abbastanza. Voglio incontrarti. Non farmi pensare alla fantasia e alla bellezza e ai tuoi quadri. O a te. Ormai ho visto le tue mani.

L.



Dio, stava diventando una vera seduttrice di professione, qualcuno in cui si riconosceva ben poco. Ecco cosa le stava facendo quello sconosciuto. Eppure, per ragioni che non riusciva ad immaginare, si sentiva totalmente al sicuro nelle mani di lui. Le mani di cui aveva appena veduto uno scorcio, una perfetta e l'altra appena meno perfetta.

Liz desiderò rimanere al computer, trattenendo il fiato in attesa di qualcosa. Ma era tardi e doveva dormire.

E il momento che più la spaventata la attendeva. Le 4:34 del mattino. 8 anni senza sentire il cuore della sua anima gemella battere nel suo petto. 8 anni di una connessione vuota, 8 anni senza sentire nulla dalla persona di cui aveva bisogno più di tutte.

8 anni sentendosi come una statua, legnosa e senza vita, per sempre in attesa del suo amore.


****

Erano seduti al Crashdown ad un tavolo insieme. Lui aveva comodamente appoggiato il braccio sullo schienale, l'espressione felice dietro quelle ciglia folte e lunghe. E gli occhi dorati erano illuminati da un inconfondibile desiderio. Liz era grata che suoi genitori fossero di sopra.

"Cosa c'è?" rise, abbassando timidamente lo sguardo mentre sorseggiava il suo frappè alla vaniglia.

"Niente. E' solo che hai un aspetto meraviglioso, Liz."

"E' il mio solito aspetto" rise lei, sentendosi arrossire dall'imbarazzo.

"Ma io non ti vedo da così tanto tempo. Questo mi è mancato così tanto. Mi sei mancata tu."

"Nessuno ti ha chiesto di andare, Max" ribattè lei seria, sentendo un'improvvisa ondata di rabbia verso di lui. "Nessuno ti ha costretto ad andare via con lei"

"Io non volevo andare, Liz."

"Allora non avresti dovuto metterla incinta."

"Non l'ho fatto."

"Oh, certo" rise lei piano, guardando verso lui e poi sollevando gli occhi al cielo. La familiare giacca di pelle di lui si aprì e Liz provò il bisogno di fare il giro del tavolo e affondare il viso contro il petto di lui, per trovare rifugio tra le sue braccia ancora una volta. "Allora chi l'ha fatto?"

"Liz, tu non sai tutto quello che è accaduto."

"Io so che tu hai rinunciato a noi."

"Ma tu mi hai perdonato molto tempo fa. E sai perché me ne sono andato. Lo hai visto dopo nel granilith … nella tua visione."

Liz pensò a quanto lui stava dicendo, e dopo qualche minuto, capì che aveva ragione. Lei sapeva il motivo per cui lui era andato via, e non era per stare con Tess. E le aveva scritto quella lettera … lui rimpiangeva tutto.

"Te ne sei andato per salvarmi" affermò mentre la verità appariva chiara.

"Tess non avrebbe mai potuto trascinarmi via da te, altrimenti."

"Ma per tutto questo tempo, io sono stata sola."

"No, Liz" la corresse dolcemente lui, gli occhi pieni di fuoco mente allungava una mano per accarezzare quella di lei sul tavolo. "Non sei stata sola. Io sono stato dentro di te. Almeno una parte di me lo è sempre stata."

Le loro dita si intrecciarono e, improvvisamente, Michael entrò nel suo solito modo, sorridendo ad entrambi. "Ehi, Maxwell.", disse come se fosse una normale evenienza. Come se vedere Max fosse una cosa di tutti i giorni.

Max si illuminò guardando verso il loro migliore amico. "Anche tu mi sei mancato" disse con una risatina. Ma i suoi occhi tradivano la gioia nel vedere di nuovo Michael - una reazione diversa rispetto a lei, ma un piacere genuino gli illuminava l'intero viso.
"Non quanto ci sei mancato tu" rispose Michael a voce bassa e si sedette accanto a Max.

Non quanto ci sei mancato tu … Non quanto ci sei mancato tu.


Perché la cadenza di quella frase era così importante?

Max non rispose, abbassò la testa pensieroso, mentre Michael gli faceva scivolare un braccio intorno alle spalle. "Liz non riesce a lasciarsi il passato alle spalle, Max" Si stava confidando con Max, pur fissando lei con intenzione. "Tu devi lasciarla andare."

"Io le ho detto di vivere, Michael," disse Max acconsentendo con un cenno del capo, e Liz sentì stringersi la gola. "Ma lei non mi ascolta."

"Be', benvenuto nel club, amico. E' testarda quanto te. Non è strano che andaste così d'accordo."

"Ma lei chi ascolterà, Michael?" chiese Max piano, spostando lo sguardo verso di lei. "Se non noi, chi ascolterà?"

"Oh beh, questo è facile, Maxwell" Michael rise, appoggiando i gomiti sul tavolo. "David Peyton."


****

Liz

sì, adesso hai visto le mie mani. E cosa pensi quando le guardi? Lo sai che muoio dal bisogno di toccarti, di far correre le dita tra i tuoi capelli, morbidi come la seta? Lo sai che la mia mano sinistra fa male notte e giorno? Ma quando penso di poter tenere la tua mano nella mia, il dolore pulsante si smorza.

Tuo, D.




Audace D…

Cosa penso quando guardo le tue mani? Che dipingono i gioielli con cui tu mi delizi. E mi domando come sarebbe essere toccata da te.


Liz lo sentì in quel momento, che faceva scorrere le mani sui suoi fianchi, poi nei suoi capelli, accarezzandole la guancia. Le dita si soffermarono sul collo, accarezzando il punto dove si sentiva il battito del cuore di lei, poi scesero più in basso fino all'orlo della sua camicia da notte. E lui non aveva un volto, era un'ombra, eppure era assolutamente meraviglioso.

Così incredibilmente splendida sussurrò lui all'orecchio di lei. Mia Liz, così splendida.

E Liz si svegliò di colpo.

4:34 del mattino.


***


4:58 del mattino.

Liz giacque tremante nel buio, le lacrime che le scorrevano sul viso. Tra i boschi e un lago ghiacciato nella sera più buia dell'anno. Era come se lei si fosse aspettata una visita nell'anniversario della morte di Max. Come se lui potesse averle donato una parte di sé stesso dalla tomba.

Ma si era presa in giro da sola, sognando come al solito, realizzò adesso con dolore. Era la stessa ragazzina che aveva aspettato un anno dopo che Max se ne era andato nel granolith, credendo che lui sarebbe riuscito a trovare un modo di tornare da lei. La stessa che poteva giurare che, in certi momenti, lo aveva sentito sussurrarle contro l'orecchio, respirare contro la sua pelle come un lampo di calore.

Era sempre la stessa innocente che aveva guardato le stelle e aveva creduto al vero amore, alle anime gemelle e al destino. Al suo destino, non ad una prestabilita separazione caduta su di lei come un maligno incantesimo.

Ma tutto questo era finito in una notte nevosa, alle 4:34 del mattino.

Anche così, lei non era mai stata capace di lasciare quell'ultima speranza, tenuta stretta tra le sue piccole mani. E questa speranza l'aveva soffocata, come una collana che si era lentamente avvolta intorno al suo collo, letale, e che le aveva tolto l'aria dai polmoni. Entrando di soppiatto nella sua vita, fino a quando non era rimasto più nulla, solo il guscio vuoto di quella ragazza di 18 anni, seduta ad aspettare un giorno che non sarebbe mai venuto.

Lei avrebbe accettato da lui qualsiasi cosa, ora. Qualunque cosa per sapere che ancora lui la amava, non importa quanto piccolo o insignificante potesse essere il segno.

Si asciugò il viso pieno di lacrime e diede a lui la colpa per lo stato in cui era ridotta, perché era stato lui che si era domandato se neppure la morte avrebbe potuto separarli. E con quelle parole, era come se lui avesse gettato un incantesimo su di lei, trattenendola dal lasciarsi le cose alle spalle.

E forse era per quello che lei non era mai riuscita a farlo.

Forse era per quello che lei si era aspettata che lui le apparisse davanti nel preciso momento della sua morte quella sera. Eppure lo aveva sognato per tutta la notte così realisticamente, come non era mai successo da anni. Lui le aveva parlato chiaramente, lei ne era certa, sebbene adesso fosse difficile ricordare i dettagli di quello che le aveva detto.

Ma, stranamente, lei ricordava gli ultimi sogni sulle mani di David. Il modo in cui le aveva accarezzato i capelli, facendo scorrere le dita con piacere, respirando piano accanto a lei. Era rimasto senza volto nei sogni di lei, ma lei lo aveva sentito, specialmente quando le mani di lui si erano appoggiate sulle sue.

E al ricordo di quel dettaglio così fisico, lei sentì uno strano calore attraversarle il corpo - e si domandò perché la sua addormentata femminilità si stesse risvegliando proprio adesso. E perché, dopo così tanti anni, David Peyton fosse quello che la stava ridestando da quel sonno mortale.

 

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Capitolo 9
*** 9 ***


Parte Nove


Meravigliosa Liz,

sono stato combattuto tutta la mattina, ma so quello che vuole il mio cuore. Anche io devo incontrarti. Ma questo è per me terrificante ed esilarante, per favore comprendimi. Domani sera? Posso offrire la cena, o il vino, o solo un dipinto se preferisci. Forse tutti e tre…

Tuo, D



Liz lesse l'email diverse volte in uno stupito silenzio, non credendo ai suoi occhi. A dispetto della sua speranza, non aveva creduto che David avrebbe acconsentito ad incontrarla – almeno non così presto. Non con quella sua natura così timida, solitaria e non con la sua ammissione sulla protesi facciale. Per un brevissimo istante, si domandò quanto fosse realmente sfigurato, come lei avrebbe reagito vedendolo. Sperava di potersi fidare abbastanza di se stessa da non ferirlo in nessuno modo – poi l'attimo dopo, desiderò farlo sentire bello, desiderabile. Eccitato come la lasciava lui, ogni volta.

Così cominciò a digitare una veloce risposta.


Oh mio ardito,

terrificante è una parola con la quale ho molta familiarità. Così come esilarante. Credimi, David, posso capire entrambi i sentimenti. Per favore non preparare una cena … un bicchiere di vino e la possibilità di vedere tutti i tuoi dipinti è certamente abbastanza per una sera. Oh, e te, naturalmente!
Orario? Dettagli?

Liz



****

"Allora andrai da quel tipo?" sbuffò Michael, mentre osservava la nuova sistemazione dei dipinti al centro della galleria. "Tu non hai idea di chi sia veramente e stai giusto per buttarti lì dentro. Come se fossi perfettamente al sicuro".

La voce di Michael vibrava di evidente gelosia e Liz non poté trattenersi dal domandarsi come avrebbe reagito se avesse saputo quanto calde fossero diventate le email di David. Come fossero state romantiche fin dal principio.

Ma le email seducenti erano il suo prezioso segreto, così come lei rifiutava di raccontare come i dipinti di David la risvegliassero, invadendo anche i suoi sogni. Alcuni uomini avrebbe usato diamanti o perle per il corteggiamento, e invece l'elusivo David la adornava di dipinti. E il modo in cui lui le faceva la corte, con le sue mani e i suoi pennelli e i suoi quadri, era una danza amorosa che non voleva dividere con nessun altro.

"E' questo che stai facendo, allora?" ripeté Michael, la voce roca, mentre giocherellava con la bandana sulla testa. Si tirava spesso i capelli indietro in quel modo, quando dipingeva, e di solito Liz lo trovava piuttosto sexy. Ma oggi, in qualche modo, la colpiva diversamente, più come un familiare dettaglio che aveva sempre associato al suo caro amico, non qualcosa che le avrebbe fatto venire pensieri di seduzione durante la pausa del pranzo.

"Tu hai detto che era sicuro" ribattè piano, evitando lo sguardo di Michael. La conosceva troppo bene e, se lei avesse incrociato il suo sguardo penetrante, Liz era sicura che avrebbe visto dentro di lei. Che tutti i suoi segreti sarebbe stati consegnati nelle mani di lui.

"Può darsi" ammise lui riluttante, mordendosi il labbro mentre esaminava il nuovo assetto dei dipinti. "Questo è storto" disse lui, avvicinandosi per spostare con delicatezza uno dei pannelli appesi al muro.

"Beh, tu lo hai controllato" disse Liz, guardandosi intorno per essere certa che fossero veramente soli nella galleria. "Voglio dire, lo hai fatto, vero?" chiese lei a voce bassa.

"Non ho ricevuto nessun flash, se è questo che intendi".

"Allora come puoi dire che è sicuro?" chiese lei irritabile, sebbene non avesse bisogno delle rassicurazioni di Michael per quello che il suo cuore già sapeva.

"L'ho sentito, Liz. Non so … non posso spiegarlo. Io sapevo solo che potevo fidarmi di lui" ammise lui piano. "Tu sai che vorrei poter mentire su questo, ma sì, quello scherzo di natura mi è sembrato ok".

"Non è uno scherzo di natura".

"Quel tipo, Mr. Mistero … quello che vuoi" brontolò lui.

"Giusto perché tu lo sappia, Michael, io mi fido di lui completamente" disse lei risoluta. "E ho intenzione di incontrarlo".

Michael la sorprese limitandosi ad annuire col capo, mentre si allontanava da lei, verso la porta. "Domani sera?" chiese alla fine, girandosi per un attimo.

"Sì, Michael, andrò lì domani sera," spiegò, cercando di rimanere paziente. "Sempre che tu sia d'accordo, leader senza paura".

Lo aveva inteso come uno scherzoso complimento, ma Michael sobbalzò visibilmente. C'erano troppe implicazioni sulla loro storia comune, e sulla definitiva accettazione da parte di lui del ruolo di Max ormai vacante. Era stata una delle grandi ironie della morte di Max che Michael – che aveva sempre insistito con Max perché assumesse il ruolo di leader che gli spettava – avesse assolutamente rifiutato quella parte, una volta che ne aveva avuto l'opportunità. D'altra parte, Liz sapeva molto, molto bene che dipendeva più dall'incapacità di Michael di accettare la scomparsa di Max, piuttosto che da una vera riluttanza a vestire i suoi panni.

Ovviamente, partito Max, era diventato chiaro abbastanza in fretta che non c'era bisogno di un leader. Tutte le minacce contro il loro gruppo erano semplicemente svanite col tempo, anche se Michael non aveva mai smesso di essere incredibilmente protettivo, soprattutto nei confronti di Liz. E quella cosa l'aveva lasciata perplessa per anni.

Lui ignorò l'ambiguo commento e invece parlò in tono sorprendentemente gentile. "Cena con me stasera, allora" offrì a bassa voce. "Voglio portarti fuori in città. Per festeggiare".

"Festeggiare cosa esattamente?" chiese Liz, domandandosi caustica cosa ci potesse essere da festeggiare proprio in quel giorno, oltre alla breccia che era riuscita a scavare nelle mura di David, che le faceva battere forte il cuore ogni volta che ci pensava. Ma Michael, chiaramente, non aveva nessun desiderio di festeggiare nulla che avesse a che fare con David Peyton.

"Beh … " Michael si strofinò un sopracciglio soprappensiero, e Liz ebbe la netta impressione che lui stesse cercando di inventarsi una scusa per questa ipotetica celebrazione. "Al diavolo! Non lo so, voglio solo portarti fuori, okay?" sbottò alla fine, e Liz capì allora cosa lui stava realmente cercando di fare – distrarla dall'anniversario di Max. Vide la preoccupazione sui lineamenti di lui e realizzò che lui non voleva che lei fosse sola quella sera.

"Mi sembra perfetto, Michael" rispose con un calmo sorriso "Grazie".


****

Liz aspettò al tavolo al Canyon Café, sorseggiando il suo bicchiere di vino bianco. Michael era in ritardo di qualche minuto, il che difficilmente la sorprendeva. E, al contrario di Maria, che si era sempre arrabbiata e aveva sempre preso la tendenza al ritardo di Michael come un affronto personale, lei non ne era mai rimasta troppo disturbata.
Forse perché conosceva ormai tanti artisti, e aveva avuto modo di vedere le abitudini di Michael in un più largo contesto. O perché aveva a che fare con la facilità con si erano accettati l'uno l'altro, nell'ultimo anno di scuola superiore. Tristemente, ci era voluta la scomparsa di Max e, in ultimo la sua morte, per far sparire tutta la tensione tra di loro. Almeno quella sgradevole, pensò lei seccamente, riflettendo sul romantico destreggiarsi che li aveva invece colpiti negli ultimi anni.

Liz sollevò lo sguardo e trovò Michael che si faceva strada nell'affollata area del bar, piena di clienti arrivati per l'aperitivo. Il locale era frequentato da artisti locali e scrittori e Liz cercava di andarci ogni volta che poteva, dopo il lavoro. Era un buon modo di conoscere i suoi concorrenti e mantenere buone relazioni senza che fosse troppo ovvio.

Lei aveva spesso trascinato anche Michael fuori dal suo universo artistico, benché lui lo facesse sempre malvolentieri, così lei aveva imparato a rabbonirlo offrendogli cibi speziati per costringerlo ad uscire in città.

"Ehi" sorrise lui, accomodandosi di fronte a lei. I suoi lunghi capelli erano ancora umidi per la doccia, tirati indietro in una lenta coda di cavallo, nonostante la temperatura gelida all'esterno. Aveva un aspetto splendido e affascinante, e parecchio sexy, con quella ciocca bagnata che gli cadeva sulla guancia.

Istintivamente, Liz si avvicinò per portargliela dietro all'orecchio e i loro occhi si incontrarono in un momento di stridente silenzio. "Te ne era scappata una" sorrise dolcemente, abbassando la mano.

Lui si spostò i capelli goffamente, e un lieve rossore gli salì sulle guance. "Grazie" mormorò, con aria timida e lo sguardo abbassato sul menu.

Tutta la precedente tensione si era dissipata e Liz era grata che lui avesse insistito per portarla fuori a cena. Chiaramente lui ricordava che oggi erano 8 anni dalla morte di Max. Anche se lui non aveva mai parlato dell'anniversario durante il giorno, aveva chiaramente insistito per portarla fuori in maniera da impedirle di pensare alla malinconica occorrenza.

Liz era passata da casa per cambiarsi e quando si era connessa per controllare la sua email, aveva visto due messaggi da parte di David. Ma prima di poterli aprire, sua madre le aveva telefonato e, quando la telefonata si era conclusa, lei aveva temuto di essere in ritardo. Così adesso le due note non lette le bruciavano dentro, distraendola nonostante le sue buone intenzioni. Ogni volta che pensava ad esse, il suo cuore batteva più forte e il viso le si arrossava senza che lei potesse controllarlo.

E Michael sembrò notare il modo in cui lei si assentava, fissandola più volte in un curioso silenzio.

"Ascolta, Liz" sbottò, passandosi nervosamente la lingua sulla labbra mentre guardava il menu. "Vorrei dirti qualcosa, prima che metà di Santa Fe cominci a fare la spola al nostro tavolo".

"D'accordo" lo incoraggiò lei gentilmente, domandandosi perché lui sembrasse improvvisamente a disagio. "Dimmi".

"Ho sbagliato, Liz, a farti quelle pressioni" disse, evitando ancora i suoi occhi. "Voglio dire, so quello che provo per te, ma questo è non è certo il momento giusto per insistere con te e … io non voglio che tu pensi che … " esitò un momento, la voce piena di emozione "beh, che questo significa che a me non manchi Max, o che io non lo abbia amato … o chissà cosa".

Il cuore di lei si strinse dolorosamente davanti allo sguardo malinconico di lui. "Michael, non potrei mai pensarlo. Dio, lo sai che non lo farei mai" Allungò una mano per afferrare quella di lui, tenendola stretta. Per un attimo lui resistette e poi lentamente ricambiò la presa.

"Volevo solo dire questo".

Lei annuì in silenzio, sempre stringendogli la mano. E poi, per qualche motivo, non la lasciò, la tenne calda nella sua. Quello che sentiva non era desiderio o vibrazioni, ma il gentile conforto del suo più caro amico. E sapeva che lui sentiva la stessa cosa provenire da lei.

Lui chiuse il menù e alzò lo sguardo verso di lei. "Stai bene in questi giorni, Liz?" chiese serio. "Intendo, davvero bene?"

Liz pensò che stava per scoppiare a piangere davanti alla semplice domanda di lui, alla preoccupazione che si leggeva nei suoi occhi e a quanto amata questo la facesse sentire. Inghiottì e si limitò ad annuire.

"Sono preoccupato per te" continuò lui piano, mentre lei prendeva un sorso di vino. "Anche Maria lo è".

"Maria?" chiese lei sorpresa.

"Già, mi ha mandato un'email" spiegò lui passando le dita sulle venature del legno del tavolo. "Mi ha detto che tu non hai risposto alle sue chiamate sul viaggio della prossima settimana. che non le hai mai risposto"

"Oh, è che sono preoccupata per il viaggio, ecco tutto. Volevo chiamarla"

"Ma non è da te" aveva ribattuto Michael, guardandosi intorno alla ricerca della cameriera scomparsa. "Di solito New York ha su di te un effetto energizzante".

"Non quest'anno".

"Perché sei depressa" osservò lui brevemente.

Liz rifletté sulla frase di Michael e realizzò che aveva molta più ragione di quanto lei volesse ammettere. L'unica cosa che le avesse riacceso la passione negli ultimi mesi, erano stati i quadri di David Peyton. Forse era per quello che significavano così tanto per lei.

Forse era proprio per quello che David significasse già così tanto per lei.

Lei annuì lentamente, prendendo un altro sorso di vino, mentre cercava di fare ordine nei suoi pensieri. "Sarei molto più eccitata all'idea di New York se tu venissi con me" lo prese in giro lei. "Dio, potremmo andare al Metropolitan e passare il weekend a girare senza meta".

"Io verrei con te, se si trattasse giusto di … venire con te" si strinse nelle spalle. "Voglio dire, se non sono costretto a passare il mio tempo a stringere mani".

"Davvero verresti?" chiese lei sorpresa, sentendosi improvvisamente molto più speranzosa sul suo viaggio.

"Sì, certo che verrei".

Liz spalancò gli occhi, eccitata. Il pensiero di Michael che la accompagnava a New York le riportò alla mente tutti i loro momenti felici, e le fece sentire il viaggio più leggero.

"Be', allora vieni!" gridò lei, mentre cominciava già a fare piani. "C'è una grande mostra al Met, e potremmo pranzare in quel locale, Tavern on the Green …"

Lo sguardo di Michael si addolcì e Liz ne fu immediatamente grata. Grata che lui fosse di nuovo il suo migliore amico, e che lo sguardo nei sui occhi non fosse di desiderio o di voracità, come aveva notato spesso ultimamente. Grata che quella sera, di tutte le sere, sembrasse che il perfetto equilibrio della loro amicizia fosse ristabilito.

"Cannoli" rise lui piano. "Potremo fare tutto quello che vuoi, solo se riesco a prendere i miei cannoli in quel posto sulla Settima Strada"

"Beh, sarebbe un bel miglioramento rispetto ai sigari di quell'altro posto sulla Settima" lo prese in girò Liz, facendo una faccia scontenta.

"Va bene, Maria, non scocciarmi su miei Cohibas" grugnì. "Li fumo un paio di volte all'anno".

"Maria!" esclamò Liz, battendo le mani contenta. "Lei sarà felicissima come lo sono io che tu venga!" Come aveva fatto a non pensare che Maria si sarebbe unita a loro, si domandò Liz.

Ma gli occhi di Michael si incupirono in un attimo. "Facciamo che … rimanga tra noi, okay?" chiese piano. "Voglio dire, lo so che la vedrai, ma non dirle che ci sono anch'io".

"Non vuoi vedere Maria?" chiese Liz, sconvolta dal fatto che, a dispetto della loro relazione spigolosa, lui non volesse neppure vederla.

Michael scosse la testa in silenzio.

"Michael, cos'è successo l'ultima volta?" chiese, riferendosi alla visita di Maria alla galleria per la mostra di lui, due anni prima.

"Liz, per favore … è una lunga storia"

"Be', non me lo ha mai raccontato, e non lo ha fatto neppure lei".

"Ehi, questa sì che è una sorpresa" osservò lui sardonico. "Maria che riesce a tacere sul continuo disappunto che le provoco".

"Maria ti ama, Michael" dissentì lei, sentendosi stranamente distaccata, come spesso le accadeva quando discutevano della relazione di Michael e Maria.

"Mi ama, ma non mi sopporta. Bella combinazione".

"Credo che tu ti sbagli. Lei mi chiede di te tutte le volte, Michael" ribattè Liz. "Non è mai stata seriamente con nessuno a parte te. Mai in tutti questi anni".

"Io amo Maria. Questo non è mai cambiato. Ma lei non riuscirà mai ad accettarmi per quello che sono … l'ho capito un sacco di tempo fa".

"Non me la dai a bere".

"Lei mi vorrebbe a New York, a giocare i suoi giochetti. E io non sono fatto per quello, Liz. Lo sai… lo hai sempre saputo" disse, toccandosi distrattamente la coda. "Il mio errore è stato di provarci di nuovo dopo il college. Avrei dovuto lasciar perdere una volta per tutte alla fine della scuola superiore".

Liz si sentì le mani sudate, perché stavano avvicinandosi ad un terreno minato, un momento di cui avevano silenziosamente giurato di non parlare mai, eppure qualcosa le diceva che quel passo stava per essere compiuto.

E poi, apparve la cameriera e, con facilità, il momento venne perso. Le cose non dette furono di nuovo destinate al regno dell'indicibile, e Liz respirò con sollievo.


****

"Grazie per la cena" disse Liz, camminando con cautela sul marciapiede. Tutta la fanghiglia si era solidificata in una pericolosa lastra ghiacciata non appena era sceso il sole.

"Nessun problema" Michael la prese per il braccio, guidandola attraverso un punto particolarmente scivoloso. "Mi sono divertito. Inoltre, sei riuscita a sedurmi e a farmi venire con te la prossima settimana".

Liz gli gettò uno sguardo attraverso le ciglia. "Sedurti? " lo prese in giro, con voce roca, sentendosi battere il cuore quando vide un lampo di passione attraversare gli occhi di lui.

"Era proprio questo. Seduzione, pura e semplice, Parker".

"Sì, certo" rise Liz, scuotendo la testa per far ondeggiare i capelli. "Ti piacerebbe, Guerin".

"La chiamo come la vedo, Liz"

Lei tornò a guardarlo, pronta a restituirgli la battuta, ma in quell'attimo scivolò su una lastra di ghiaccio e il mondo scivolò sotto di lei. Cadde giù pesantemente, slittando dal marciapiede e finendo quasi in mezzo all'affollata Canyon Road.

"Liz" gridò Michael, cercando di trattenerla afferrandola per un braccio. Ma lei scivolò ancora, cadendo su un fianco, con i piedi che sporgevano pericolosamente sulla strada.

"Oh Dio!" urlò lei, tirandoli indietro mentre passava un auto, che le spruzzò in faccia la neve bagnata.

"Stai bene?" chiese lui, lasciandosi cadere sul marciapiede ghiacciato. "Dio, mi hai fatto morire di paura!"

Lei si ripulì la faccia e lui le afferrò le spalle con le mani, facendola girare verso di lui. "Stai bene, Liz?" chiese di nuovo, incredibilmente gentile. E per un attimo, lei temette di svenire. Poi, un secondo dopo, prima che lei potesse formulare un pensiero cosciente, o persino riflettere, Michael la stava baciando.

Era inginocchiato proprio davanti a lei, tenendola tra le braccia, e le labbra di lui accarezzarono piano le sue.

E il familiare calore apparve ed aumentò mentre le loro labbra si aprivano e la lingua di lui entrò calda nella bocca di lei.

Questo era un bacio alieno, non uno umano, e tutte le sensazioni che lo accompagnavano erano esotiche. Eppure non era come uno dei baci di Max, realizzò lei, anche quando cominciarono i flash. Perché, a differenza di Max, le immagini che le si pararono disordinatamente davanti agli occhi, con la velocità dei fotogrammi di un film, non appartenevano a lei, nessuna di esse. Nessuna era romantica, o erotica, o dolorosamente meravigliosa. Non c'erano scorci di cielo che illuminavano quel momento.

C'era solo Max. Ogni singolo flash che i due si scambiarono in quell'intimità rubata era di Max Evans. L'amore di Liz, il loro migliore amico, il loro leader. L'anima gemella di lei.

Il che significava che niente di quel momento apparteneva veramente a loro, ma rimaneva invece di proprietà di un altro – uno la cui assenza era tangibile, anche mentre le loro labbra calde erano unite.


Liz fu la prima a rompere il bacio, pulendosi la bocca con il dorso della mano mentre si tirava via in fretta da Michael. "Dio" fu l'unica cosa che riuscì a dire, la mente incerta e confusa. "Dio, Michael" mormorò di nuovo, scostandosi da lui come se fosse stata bruciata.

Lui la fissò, gli occhi castani divennero incredibilmente tristi, mentre la lasciava scivolare dalla presa. "Scusa".

Fu tutto quello che disse, mentre continuavano a fissarsi in silenzio. "No … no, non dispiacerti" balbettò lei dopo un momento di stupita quiete.

"Liz, per favore" pregò lui semplicemente, scuotendo la testa mentre si rialzava in piedi. "Lasci che ti accompagni a casa".

Allungò una mano calda verso di lei e, per un momento, Liz rimase seduta a terra guardando in alto verso di lui, pronta a scoppiare in singhiozzi. Come poteva essere che qualcosa che aveva sognato per così tanto tempo, potesse essersi rivelato così terribile?

La parte peggiore era che lei si sentiva colpevole e sleale verso Max, come se loro lo avessero tradito in maniera orribile, proprio nell'anniversario della morte. Le due persone che lui aveva amato di più.

Poi sentì un altro rimorso, uno che la sorprese ancora di più, mentre immaginava un paio di meravigliose mani. Una perfetta, l'altra meno perfetta.

E si domandò come era possibile che David Peyton avesse già delle pretese sul suo cuore – e così in fretta.


****

Michael si inginocchiò davanti al caminetto, scuotendo la legna che stava cominciando ad ardere. "Così dovrebbe andare" disse curiosamente formale. Dal momento in cui si erano baciati, nel bel mezzo di Canyon Road, aveva assunto quel tono distante con lei e Liz sentiva lo stomaco contorcersi dal nervosismo.

Non poteva permettere che le cose peggiorassero tra di loro, non adesso – soprattutto dopo il grosso passo avanti fatto durante la cena.

"Michael, ascolta, per piacere non essere … "

"Cosa, Liz?" sbottò lui, girandosi a fissarla. "Imbarazzato?"

Lei scosse la testa con fermezza. "Non stavo per dire questo".

"Non hai bisogno di farlo".

Lei si sentì improvvisamente stanca morta, come se tutto quello che potesse fare era dormire per sempre. "Michael, è solo che stasera, tra tutte le sere … "

"No, Liz" gridò lui inaspettatamente. "Non capisci. Sono solo io".

"Non è del tutto vero e lo sai benissimo".

Michael la superò, passeggiando nervosamente davanti al divano su cui lei era seduta con le gambe sotto di lei. "No, Liz, hai ragione" acconsentì finalmente a bassa voce, girandosi per guardarla in volto. "Non è sempre stato così tra noi".

Liz si sentì stringere la gola. Eccoli di nuovo lì, a danzare pericolosamente intorno all'argomento nel quale lei non voleva assolutamente entrare con Michael. E non aveva dubbi che lui aveva intenzione di andare fino in fondo.

"Tu volevi stare con me dopo il college" mormorò lui fieramente. "E io ho mandato tutto all'aria".

L'aria vibrava intorno a loro e Liz sentì il battito del suo cuore aumentare a quell'ammissione. "No … " cominciò lei, volendo rassicurarlo. "Non veramente".

"Ho rovinato tutto quella sera alla festa. Quando tu sei tornata dalla Virginia, ho visto qualcosa nei tuoi occhi" continuò lui, sedendosi sul pavimento ai piedi di Liz. Le dava la schiena adesso, e si passava le dita tra i capelli tremando.

Liz scivolò giù dal divano, mettendosi sul pavimento di fianco a lui, guardandolo in viso. "Cosa?" Sapeva già dove questa conversazione sarebbe andata a finire, ma la frase di lui l'aveva sorpresa.

"Tu mi guardavi come di solito guardavi Maxwell" rispose lui con voce spessa. "E questo mi fece morire di paura" Liz chiuse gli occhi, sentendo un profondo dolore stringerle il petto.

"Dio, sono stato un tale stronzo quella notte" sospirò lui, e gli occhi di Liz si aprirono. "Ma quando ho visto quello sguardo, sapevo che cosa significava" continuò lui. "Che tu avresti potuto amarmi, che io avrei potuto essere quello … ah, diavolo. Non quello che era stato lui, certo no, ma tu eri così aperta".

"Io ti amo, Michael", le parole le uscirono di getto prima che potesse fermarle questa volta. E il viso di Liz si imporporò mentre gli occhi castani di lui si spalancarono sorpresi, quindi brillarono di emozione.

"Liz … "

"Io ti ho amato allora, Michael. Così tanto. Credo di averti amato fin dal giorno che sei venuto a trovarmi in Virginia, il momento in cui sei sceso dall’ aereo"

"Alla festa, sembrava che tu volessi che io fossi Max".

"Credo che sia vero" concesse lei piano, sebbene non l'avesse realizzato fino a quel preciso momento.

"Io non potrò mai essere Max" sospirò Michael. "Non posso neppure andargli vicino. Io posso essere solo me … e Maria non può capirlo" Lui si voltò verso di lei, lo sguardo perso. "Ma mi sembra che tu mi abbia sempre capito, invece, lo sai?"

"Io ti capisco. Tu sei il mio miglior amico".

"Ed è così, Liz. Siamo amici. I migliori amici, ma io voglio di più … e tu vuoi ancora che io sia Max. L'ho sentito prima quando ci siamo baciati".

"No, Michael. Non è così che stanno le cose … non è che io voglio che tu sia Max. E' che io ancora voglio lui".

"Beh, è la stessa cosa, Liz. La stessa dannata cosa. E io posso solo essere me" sospirò lui a bassa voce, lo sguardo di lui rivolto alle fiamme dietro di lei. Quando finalmente parlò di nuovo, le parole furono pronunciate a voce così bassa, che Liz quasi non riuscì a sentirle. "Potrei giurare che tu sei più interessata a questo David Peyton, di quanto lo sia mai stata a me".

Liz avrebbe voluto dissentire con lui, per rassicurarlo su questo punto. Eppure sapeva nel posto più segreto del suo cuore, che Michael aveva assolutamente ragione.

Liz fissò le fiamme per un momento e i suoi pensieri scivolarono con facilità verso David, il modo in cui lui la stava risvegliando. Come solo Max Evans aveva fatto. E si domandò se avrebbe avuto la forza di dire a Michael quello che lui aveva realmente bisogno di sapere sul loro bacio di poco prima, pur sapendo di non avere scelta.

"Quando ci siamo baciati, ho avuto dei flash, Michael" sussurrò lei a gola stretta.

"Davvero?" chiese lui, sollevando un sopracciglio incuriosito.

Lei annuì, inghiottendo prima di incontrare il sincero sguardo di lui. Il suo migliore amico, quello di cui lei aveva bisogno più di qualsiasi altro. La sua roccia. Prese un sospiro e fece scivolare una mano sul suo ginocchio.

"Ho visto Max" disse semplicemente.

"Oh, merda".

"Solo immagini e immagini di Max. Lui, qui, non è solo il mio problema, Michael, è anche il tuo. Tu ti stai aggrappando a lui con la stessa forza con cui lo faccio io" Michael si passò una mano tra i capelli, evitando lo sguardo di lei. Si portò le ginocchia fino al petto e, improvvisamente, sembrò terribilmente vulnerabile.

"Certo che lo sto facendo" disse alla fine in un fiato, la voce tremante. "Io non riesco a lasciarlo andare più di quanto ci riesca tu. Perché altrimenti lui sarebbe veramente morto".

E a quelle parole, Michael cominciò silenziosamente a piangere. Liz si sentì stringere il cuore dal dolore, mentre cercava di stringerlo a sé. Lui si scansò dal tocco di lei, seppellendo il viso tra le mani, ma Liz non si fece scoraggiare. Allungò di nuovo le bracca e finalmente riuscì ad avvicinarlo a sé, tirandoselo contro in un abbraccio.

Liz lo cullò stretto in quella posizione, accarezzandogli solo i capelli, come aveva fatto lui innumerevoli volte, desiderando che si sentisse confortato e amato, mentre le calde lacrime di lui le bagnavano la camicetta.

****

 

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Capitolo 10
*** 10 ***


Parte Dieci




IN UN TRENO

C’era stata una leggera nevicata
le tracce di macchine scure si muovevano nel buio.
Io guardai dal finestrino del treno sporco di polvere fine.
Mi sono svegliato a Missoula, Montana, completamente felice.

By Robert Bly








Liz stava districando i nodi dai capelli bagnati, camminando a piedi nudi nella semi-oscurità del suo soggiorno. Aveva fatto la doccia, lasciando Michael a riposare sul suo divano vicino al fuoco, silenzioso e pieno di pensieri. Erano rimasti vicini uno all'altro, accoccolati sul pavimento per diverse ore, con lei che gli aveva accarezzato i capelli, cercando di dargli un po' di conforto, fino a quando lui, assonnato, aveva posato la testa sul grembo di lei. La quiete era scesa su di loro, una vicinanza quasi sacra - qualcosa di fondamentale era cambiato tra di loro per sempre.

Quando gli occhi di Michael si erano fatto pesanti dal sonno e lui era sembrato pronto a cadere addormentato, lei aveva preso un cuscino e una coperta dall'armadio e gli aveva suggerito di dormire sul divano, dato che nessuno dei due voleva separarsi dall'altro. Era come se avessero bisogno di stare vicini quella notte, come se la vicinanza desse loro forza - e a pensarci, era sempre stato così tra loro negli ultimi 10 anni.

Mentre Liz entrava nel soggiorno, fu accolta dal pacifico russare di Michael, ritmico e calmo che riempiva il silenzio nella stanza. Lui dormiva sodo sdraiato su un fianco, davanti al fuoco morente, e Liz camminò in punta di piedi sorpassandolo, verso il suo computer, cercando di non svegliarlo. Aveva bisogno di riposare, ma lei non riusciva più a resistere ed era entrata a controllare le due email di David Peyton non ancora aperte. E non voleva ferire Michael più di quanto avesse già fatto quella sera.

Il pavimento di legno era fresco sotto i suoi piedi nudi, mentre si sistemava al computer, il battito che aumentava mentre si connetteva. Un brivido le passò lungo la schiena mentre cominciava a leggere.


Meravigliosa Liz,

allora sembra che io debba dipingere qualcosa entro domani sera … qualcosa che potrà parlare più di quanto possa fare io. Quando ci incontreremo, ti accorgerai che le parole non mi sono facili – purtroppo devo ringraziare per questo la mia lesione alla mascella.

Infatti, credo che troverai più facile capire i miei dipinti e le mie email che le mie frasi spezzate. Ma forse qui, tra i miei dipinti e i libri e tutto il resto di me, riuscirai a sentire il mio cuore. Sembra che tu lo stia facendo fin dall'inizio, no?

Inoltre, sono stanco di fissare questa copia di Santa Fe Trend di novembre. Sebbene questa sia veramente una meravigliosa foto di te, Ms. Parker, non ho dubbi che impallidirà davanti all'originale.

Tuo, David



Lei inghiottì, con le mani tremanti inconsciamente raccolte contro il petto. I miei dipinti e i libri e tutto il resto di me.

L'immagine evocava in lei qualcosa di profondamente personale, qualcosa di sorprendentemente intimo e romantico. Forse dipendeva dal fatto di sentir parlare del mondo di David, facendolo diventare una cosa vera e palpabile, nella quale lei avrebbe potuto entrare fra qualche ora. E lui avrebbe smesso di esistere solo nelle sue fantasie ed, invece, avrebbe preso vita nella sua realtà. I suoi occhi si chiusero per un momento, mentre immaginava le mani di lui piene di grazia, come apparivano nel dipinto Finestra sull'anima. E la stavano toccando … sfioravano il suo corpo, si insinuavano nei suoi capelli, accarezzano il suo seno. La stava toccando come avrebbe potuto farlo un amante, gentile e irrefrenabile.

Lei rimase senza fiato per un attimo, muovendosi leggermente sulla sedia, era quasi come se potesse sentire la bocca di lui sfiorarle la guancia, come le mani di lui dentro ai suoi capelli. David, dolce David, pensò. Come hai fatto a tessere un tale incantesimo su di me?

E per un attimo le sembrò di poter sentire la risposta di lui, una bassa voce sconosciuta. Io sono il sole del mattino, e il tuo cuore la fredda terra. Apri i tuoi occhi, mia Liz

E allora lei aprì gli occhi, sospirando sognante mentre fissava le dolci parole di lui. Finalmente, fece per aprire la seconda email e immediatamente sentì il rimorso che l'aveva colta quando era andata fino a casa di lui. Salvò l'email e cominciò a comporre la risposta per il primo messaggio.

David,

Tu ti esprimi perfettamente con la tua arte. Ogni tocco del pennello, ogni colore, ogni sfumatura di luce. Le parole sono sopravvalutate, non credi? Possono dire così tanto eppure, spesso, non dicono nulla di quanto noi speriamo. Oltretutto, ho già visto molto di te nelle tue email. Come potevo sapere che saresti stato un tipo silenzioso?

Apparentemente, in qualche modo, la cosa ti calza a pennello. Non vedo l'ora che sia domani sera!

Tua, L.



Tua, pensò improvvisamente, notando che anche lei aveva finito con l'adottare il romantico frasario di lui. Fin dall'inizio David aveva firmato ogni lettera con quella parola e di colpo le sembrò che per tutto il tempo, fin dalla prima email, lui le avesse già donato una parte di sé. Le aveva dichiarato, sussurrandole all'orecchio, che alla fine lui sarebbe appartenuto solo a lei.


****


Stava camminando nel centro di Santa Fe, nel bel mezzo della notte, sola sotto la neve che cadeva, fitta e silenziosa. I fiocchi le si posavano sulle ciglia, e lei li toglieva, cercando di guardare – determinata a seguire la strada che si stendeva davanti a lei.

C'erano tracce che la stava portando, impronte chiare nella neve immacolata. E anche nella parziale oscurità, lei vedeva una debole traccia di sangue, attraversare il buio davanti a lei.

Qualcuno era stato ucciso lì, lei ne era certa. E aveva rabbrividito, stringendosi addosso il cappotto, seguendo la scia di rosso sul bianco attraverso la città silenziosa.

"Qualcuno è morto qui." aveva sussurrato, guardandosi alle spalle impaurita, mentre allungava il passo. E allora perché era così certa di essere al sicuro lì, si era domandata.

La traccia di sangue portava ad un sentiero, dritto fino ad un piccolo cottage, molto familiare. Lei si era fermata, osservando il porticato. Non qui, aveva sussurrato una voce nel vento. Non qui.

Lei aveva esitato, sentendosi insicura, e fu allora che lo aveva visto. Poco più in là, sul marciapiede ricoperto di neve, c'era Max, le mani nelle tasche della sua giacca di pelle, come se fosse sempre stato lì ad aspettarla. I suoi capelli scuri erano pieni di neve ed era immobile come una statua.

Lei aveva guardato ancora il porticato buio della casa, e quindi di nuovo lui, mentre lui le faceva cenno di avvicinarsi.

"Liz." aveva sussurrato, chiamandola con la mano.

"Cosa stai facendo qui?" aveva chiesto lei, la voce irritata mentre gli si avvicinava.

"Che bel modo di salutare la tua anima gemella." aveva riso lui, spalancando le braccia verso di lei.

"Max, questo non è divertente." si era lamentata lei, permettendogli di stringerla al suo petto. "Devi smetterla di farmi questo."

"Fare cosa?" l’aveva presa in giro lui con gentilezza, baciandola sulla testa. Era una sensazione così familiare, come se l'avesse tenuta tra le braccia solo il giorno prima.

"Questo … apparire in tutti i posti."

"Nei tuoi sogni." aveva chiarito lui, come se avesse fatto tutta la differenza del mondo.

"E allora?" aveva gridato lei, tirandosi indietro per guardarlo negli occhi. "Sei morto eppure sei dappertutto."

"Io sono morto?" aveva riso lui incerto.

"Max, sei tu quello che continua a dirmi di lasciarmi andare, di guardare avanti, d i… Dio! Sei così frustrante." aveva battuto i piedi con nervosismo.

Lui le aveva circondato il viso con le mani, improvvisamente molto serio. "Io ti amo moltissimo, Liz." aveva sussurrato, avvicinandosi le labbra di lei alle sue. "Questo non è mai cambiato, non importa dove io sia stato."

"Basta." aveva detto lei, chiudendo gli occhi mentre le loro labbra si sfioravano leggermente. Curiosamente, lei non si era aspettata che il bacio di lui potesse essere così caldo, così prepotentemente vivo.

"Perché non vuoi sentire?"

"Perché mi hai lasciato sola, per tutto questo tempo."

"No, Liz." aveva mormorato lui, baciandola piano di nuovo. "Non ti ho mai lasciata sola. Mai."

"Sono sola adesso."

"Liz, tu devi vivere" le aveva detto lui con gentile urgenza, accarezzandole la guancia col pollice.

"Sto provandoci." aveva risposto lei, la voce che le si spezzava sulle parole. "Ma è così difficile senza di te."

"Apri il tuo cuore, Liz." Le parole erano familiari, ma non proprio quelle giuste.

Apri il tuo cuore … apri il tuo cuore.

"Tu puoi amarlo." aveva sussurrato lui con forza, allontanandosi da lei e fissando il cottage con intenzione.
"Devi solo aprire il tuo cuore."

****

Liz si era stretta alla giacca di pelle di Max, respirando il suo odore, disperata di avere ancora qualcosa di lui. Chiuse gli occhi e respirò … dentro e fuori, dentro e fuori, il ritmo del sonno. Il ritmo dei sogni ad occhi aperti.

Gli anni erano passati davanti ai suoi occhi, poi erano svaniti in una nebbia fino a quando lei non era sdraiata nella sua vecchia camera da letto, sopra il Crashdown.

Max era partito per Antar qualche giorno prima e tutte le emozioni di lei erano allo scoperto. Poteva solo rifugiarsi nel sonno e sperare che lui l'avesse presa con sé – che lui non avesse passato la notte con Tess o fosse il padre del suo bambino.

Lei poteva solo seppellire le sue disperate speranze nei suoi sogni e pregare che la realtà smettesse di esistere.

Tutti quei frammenti delle loro vite erano stato sistemati come tessere di un mosaico nel posto sbagliato. Lei voleva riprendere quei frammenti tra le sue mani e sistemarli correttamente, formando una nuova immagine. Una dove Max era rimasto sulla terra, dove aveva fatto l'amore con lei quella notte, invece che con Tess. Una dove, a dispetto dei suoi 17 anni, il figlio di Max fosse cresciuto nel suo grembo, non in quello di Tess.

Eppure i suoi rimpianti erano solo volute di fumo, eteree come frammenti di sogno nella notte. E altrettanto inutili, realizzò lei aprendo gli occhi.

E lui era lì, davanti al suo letto illuminato dalla luce lunare, fissandola con quegli occhi dorati, ipnotici come se non l'avesse lasciata neppure per un attimo. Come se non ci fosse stato nulla tra di loro e fossero solo due anime gemelle, ad un incontro clandestino.

"Liz." aveva sussurrato lui, sedendosi sul bordo del letto. "Adesso ti devi alzare." Lui aveva cominciato lentamente a tirare giù le coperte, nonostante le dita di lei continuassero a trattenerne i bordi.

"Non posso." si era lamentata lei, mentre i loro occhi si incontravano nell'oscurità.

"Se non lo farai, Liz, sarà troppo tardi." aveva protestato lui, togliendole le dita dalle coperte. "Andiamo." l’aveva esortata, prendendola per la mano. "Seguimi."

Liz gli aveva permesso di tirarla per una mano, facendola uscire piano dal letto, anche se lei ancora teneva la sua giacca di pelle nella mano. Lo sguardo di lui era caduto su di essa per un attimo e un dolce sorriso gli aveva illuminato il volto. "Ce l'hai ancora?" aveva chiesto sorpreso.

"E' tutto quello che mi è rimasto di te." aveva risposto lei con dolore, anche se il suo cuore batteva forte così vicino a lui. "Questo e la tua lettera."

"Io non volevo lasciarti." aveva spiegato lui, portandola fino alla finestra aperta. "Dio, farlo mi ha ucciso, Liz. Ma dovevo proteggerti da Tess, non importa quale fosse stato il prezzo." La tenda ondeggiava nella brezza e, al di là, Liz vide il suo balcone illuminato dalla luce della luna.

"Lo so, Max." aveva risposto lei, mentre lui si fermava alla finestra, prendendole le mani tra le sue. Lei aveva guardato in quegli occhi così familiari, così dolci ed espressivi. Anche adesso, dopo tutto quanto, lei non voleva fargli del male. Ma c'era qualcosa che doveva dire. "Ma nessuno ti ha costretto a passare la notte con lei."

Lui l’aveva fissata per un lungo momento, la sua espressione cambiata visibilmente, nonostante il debole chiarore della stanza. "E' questo che ancora credi? Che io abbia passato la notte con lei?" Lui era sembrato quasi ferito, incredulo che lei ancora gli rinfacciasse il suo tradimento.

"Max." aveva cominciato lei a voce bassa, scuotendo la testa. "Tu non puoi cambiare quel fatto, che lei è quella che tu hai scelto."

"Lei ha scelto me. Ma io ho scelto te." La sua risposta era definitiva. "Io ho scelto sempre te."

Lui si era voltato per uscire dalla finestra e Liz si era sorpresa di notare come nulla, della sua presenza, fosse effimero. Era come se lui fosse veramente lì con lei, mentre scivolava attraverso l'apertura sul suo balcone, le sue gambe che scomparivano mentre lui si alzava dall'altro lato della finestra. Lei aveva cercato di respirare tentando di raggiungerlo, ma improvvisamente le era riuscito difficile, il suo petto si sollevava penosamente, cercando di respirare più profondamente.

"Forza, Liz." l’aveva incoraggiata lui con gentilezza, allungando la mano verso di lei. "Respira e seguimi."

E lei era con lui, là sul balcone come se tutti quegli anni non fossero passati. Avevano di nuovo 17 anni, due ragazzi che sfidavano i loro genitori a mezzanotte, mentre lui si sistemava sulla sedia a sdraio di lei, indicando il posticino in mezzo alle sue gambe così lei che potesse accoccolarsi contro di lui.

Liz si era appoggiata contro di lui, tra le sue braccia, e lui l’aveva stretta contro il suo petto. Poteva sentire il cuore di lui, battere piano contro la sua schiena, mentre lui cominciava ad accarezzarle i capelli con una familiare intimità. La testa di lei era proprio sotto il mento di lui ed erano rimasti abbracciati così per quella che era sembrata un'eternità, solo a fissare le stelle luminose sopra di loro.

"Questa è sempre stata la cosa migliore della Terra." aveva riflettuto lui, e per un momento, lei aveva pensato che lui intendesse il tenerla tra le braccia. "Tutte queste stelle. Non le apprezzi fino a quando non le hai più."

"Non è così su Antar?" aveva chiesto lei, interessata nonostante sue parole le causassero un forte dolore al petto.

"Diverso." la sua voce aveva assunto un tono stranamente lontano. "Meraviglioso, ma diverso da questo."

"Ti manca? Antar, dico."

"Mi sei sempre mancata tu, ogni singolo istante." aveva risposto lui e la sua voce aveva un tono amaro. "E la Terra è l'unica casa per me."

"Mi sei mancato così tanto, Max." aveva confessato lei, sentendosi le lacrime agli occhi, mentre le parole uscivano fuori in un botto. "Io volevo essere arrabbiata, volevo odiarti, ma … "

"Non potevi a causa della nostra connessione."
Lei aveva annuito silenziosamente, ricacciando indietro le lacrime. Lui le aveva accarezzato i capelli con le dita, stringendosela addosso ancora di più. "Non è mai morto, Liz … il nostro legame. Lo sai questo?" lei aveva annuito di nuovo, mentre le lacrime cominciavano a correre sulle sue guance.

"Volevo crederci."

"Ma tu ancora mi sentivi, sempre." la voce di lui era bassa, confortante eppure lei si era ritrovata a piangere ancora più dolorosamente.

"Seguiti a dirmi di lasciarmi andare, eppure tu continui a tenere il mio cuore, Max." lei si era nascosta il viso tra le mani, sentendosi la mascella dolere di un'indescrivibile pena. "Come posso lasciarti andare quando tu mi stai facendo questo?"

Lui aveva sospirato piano, il fiato le aveva accarezzato la testa. "Il modo per andare avanti, Liz, è che sia tu a lasciarmi andare."

"Ma tu sei ancora qui." aveva pianto lei, afferrandosi il petto. "Proprio in questo modo, per tutti i giorni della mia vita."

"Ma tu ti stai innamorando, Liz." aveva dissentito lui con gentilezza, coprendole la mano con la sua.

"No." lei aveva scosso la testa con forza. "No, non è vero."

"E' vero, Liz. Ti stai innamorando di David Peyton, ed è giusto così. E' la cosa più importante."

Per un attimo lei era rimasta in silenzio, consapevole di come i loro respiri fosse sincronizzati, uguali nella regolare cadenza. Un suono ritmico, leggero… dentro e fuori.. dentro e fuori… il ritmo della memoria.

"Hai ragione." aveva sussurrato finalmente lei, fissando il cielo di mezzanotte mentre il suo cuore parlava con improvvisa chiarezza. "Io mi sto innamorando di lui. Non l'ho mai incontrato, ma sta accadendo."

Sentì Max annuire, mentre le premeva le labbra contro la sua testa ancora una volta. "Io voglio questo per te, Liz."

"Ma non ha nessun senso." aveva pianto lei, mentre lui allargava la mano contro il petto di lei, stringendola di più tra le sue braccia, facendole sentire il battito del cuore contro la sua schiena.

"Il tuo cuore già capisce, Liz." aveva spiegato lui a voce bassa. "E' la tua mente che ancora deve comprendere"

E poi, come se fosse stata chiamata dal profondo di una foresta scura, fu improvvisamente sveglia.


4:34 del mattino.

 

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Capitolo 11
*** 11 ***


Parte Undici




Svegliandosi dal sonno

Nelle vene ci sono navi pronte a partire,
piccole esplosioni sul livello dell’acqua,
e i gabbiani si intrecciano nel vento del sangue salato.

E’ mattina. La campagna ha dormito per tutto l’inverno.
Le sedie vicino alle finestre erano coperte da pellicce, il cortile era
pieno di cani irrigiditi e di mani che tenevano con difficoltà libri pesanti.

Ora ci svegliamo e ci alziamo dal letto e facciamo colazione! –
grida si alzano dal porto del sangue
vela e pennone si alzano dallo scafo per affrontare la luce del sole.

Ora cantiamo e facciamo piccolo giri di danza sul pavimento della cucina.
Tutto il nostro corpo è come un porto all’alba;
sappiamo che il comandante ci ha lasciati soli, per oggi


Robert Bly




Liz salì gli scalini del cottage di David Peyton, tenendo una bottiglia di Chardonnay contro il petto. Il suo cuore batteva dolorosamente, mentre si aggrappava al mancorrente per mantenere l'equilibrio. I gradini erano scuri e scivolosi per la neve. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era un'altra caduta sul ghiaccio, come la sera prima. Questo avrebbe fatto una prima impressione veramente sgraziata, pensò con una secca risata – poi, per un attimo, temette di sentirsi fisicamente male dal nervosismo.

Innumerevoli paure le affollavano il cuore. Che non avessero nulla da dirsi l'un l'altro, che lui la trovasse poco attraente. E più di tutte, che lei non riuscisse a nascondere la sua reazione all'aspetto di lui. Quello era ciò che a tutti i costi voleva evitare – di ferirlo inavvertitamente, scrutandolo quando lui avrebbe aperto la porta. Non quando lui l'aveva ricoperta di meravigliosi dipinti, facendola sentire bella e desiderabile.

Inoltre, era troppo tardi per i rimpianti. Aveva cominciato a sognare di lui ormai, il suo cuore si stava risvegliando ogni volta di più e la verità era che a lei non interessava quale fosse il suo aspetto. Non quando lui si era insinuato nel suo cuore così in fretta.

Attraverso il piccolo pannello di vetro della porta, vide luci abbassate e pensò di sentire il basso ritmo della musica. Tirò un bel respiro, spostandosi i capelli dalla faccia e bussò risolutamente alla porta di lui.

Ci fu un soffocato rumore di passi dall'interno, un ritmo atipico accentuato da un colpo basso. Cammino con un bastone …

Lei sentì la gola stringersi e inghiottì, passandosi la lingua sulle labbra, mentre i passi si avvicinavano.

Lui è molto più nervoso di te, disse tra sé e sé, eppure si domandò se fosse vero, mentre la porta veniva lentamente aperta.

E poi lì, nella mezza luce del suo ingresso, stava il suo enigma – il suo ossessionante e stranamente meraviglioso David Peyton.

"Liz" disse lui, la sua voce morbida quasi incomprensibile da sotto quella che poteva solo essere descritta come una maschera. Lunghi e ondulati capelli cadevano fino alle sue spalle, scuri e luminosi. Ma era la maschera che la ridusse quasi al silenzio, mentre lui apriva la porta in un gesto di invito.

Lui appoggiò quasi tutto il suo peso sul bastone di legno, intagliato a mano, il tipo di cosa che lei aveva visto in vendita nella Plaza. Il tipo di bastone che un artista avrebbe usato.

Lei strinse la bottiglia del vino contro il braccio, rivolgendo la mano verso di lui. "David, è meraviglioso conoscerti" disse e fu immediatamente stupita da quanto sembrasse senza fiato. Lui le prese la mano e lei arrossì, mentre i suoi occhi tornavano di nuovo alla maschera.

Perché, a dispetto di come lui l'avesse chiamata, la protesi sembrava piuttosto una semplice maschera, una liscia superficie che gli copriva l'intero volto. Solo gli occhi scuri rimanevano visibili, ed era quasi impossibile vederli chiaramente, sebbene uno fosse evidentemente segnato da una cicatrice, gonfio e parzialmente chiuso. Per la bocca, c'era una piccola apertura, con la forma delle labbra, catturata in un eterno sorriso da Monna Lisa. Lei fu colpita dalla malinconica immagine di quel mezzo sorriso congelato, e si sentì bruciare dal desiderio di sapere cosa c'era lì sotto.

"Bello … così bello, questo" lui annuì e questa volta, quando lui parlò, lei sentì quanto stentate fossero le parole, come fossero impedite dalle ferite del viso. Il cuore le si strinse a quei suoni bassi, mentre lui la invitava ad entrare con un cenno della mano.

Lei si voltò verso di lui che chiudeva la porta dietro di loro, con un sorriso radioso sul viso, cercando di farlo sentire a suo agio.

"Ho portato il vino" offrì, spostando la bottiglia dall'incavo del braccio. "E' già freddo."

"Grazie, Liz" annuì lui, girando il viso lontano da quello di lei mentre prendeva la bottiglia. "Io.… aprirò."

La sua mano stava toccando distrattamente il lato sinistro del suo viso, strofinandosi la mascella mentre entrava nella piccola cucina proprio vicino all'ingresso. "Nevicando?" chiese, aprendo un mobiletto.

"Non più" Lo sguardo di lei andò oltre l'ingresso fino al soggiorno, mentre si toglieva il cappotto. Lui emerse dalla cucina, prendendole l'indumento.

"Scusa" disse, prendendolo da lei. "Lascia… me."

"E' tutto a posto" rispose lei gentilmente, tendendogli il cappotto. Notò che le sue mani tremavano nervosamente e sorrise, cercando di nuovo di incoraggiarlo. Eppure lui non incontrò mai lo sguardo di lei, nonostante gli sforzi di Liz di calmare la sua ansietà.

Il dolce ritmo di Witchcraft di Frank Sinatra si diffondeva dal salotto. Lei si morse un labbro, domandandosi se lui avesse scelto quella musica allo scopo di corteggiarla, di creare un'atmosfera romantica. Ma non ebbe tempo di rifletterci sopra, perché, entrando nel suo soggiorno, venne immediatamente sopraffatta da un'esplosione di vibranti colori.

Tutto intorno a lei erano appesi innumerevoli quadri, esposti con perfetta precisione su ogni muro, sul divano, lungo le pareti e, più in là, in un angolo pieno di luce alla fine del soggiorno, evidentemente il suo studio. Per un momento lei si sentì vacillare, guardando così tanta parte del suo lavoro, dolorosamente bello. Era quasi inconcepibile che così tanti delicati e rari tesori fossero davanti a lei, tutti per il suo sguardo. Come una specie di artistico giardino dell'Eden, con tesori che la tentavano fin dove arrivavano i suoi occhi.

Prendi, mangia di questo frutto, pensò lei curiosamente, mentre lo sguardo le cadeva sul dipinto di una donna, seducente e innocente allo stesso tempo. Era avvolta in un asciugamano e lo stile le ricordava un pezzo impressionista, un quadro di Renoir. Era decisamente allusivo, pieno di una strana sensualità. Forse a causa della scelta dei colori, che includevano un rosso vibrante, contrapposto da bianchi cremosi e neri scuri come la notte. Liz si avvicinò, la sua mano che si toccava inconsciamente la mascella, un'immagine speculare di quello che aveva fatto David poco prima.

Si avvicinò al dipinto, sentendone il ritmo, il turbinio dei colori. Dal quadro irraggiava una energia tale, una vitalità così pulsante che i suoi occhi si spalancarono mentre l'opera intesseva il suo incantesimo su di lei.

"Piace … questo?" chiese David, camminando lentamente verso di lei. Sembrava guardare lei questa volta, lo sguardo diretto, non rivolto verso il basso. Lei sollevò il mento, incontrando gli occhi di lui con attenzione.

"Stupefacente" sospirò. "Dio, David, il tuo lavoro … " scosse la testa, desiderando improvvisamente poter dire le parole giuste. "Neppure io me la cavo bene con le parole" disse all’improvviso, con una nervosa risata. E poi, un secondo dopo, temette di averlo offeso, fino a quando, dopo un lungo momento, lui cominciò a ridere piano, un suono caldo e gentile mentre le tendeva un bicchiere di vino.

"Bene" concesse lui, le parole soffocate sotto la protesi, tendendogli il bicchiere. "Tutti … e due noi, allora."

"Ma tu ti esprimi meravigliosamente con la tua arte" continuò lei, sentendo un'improvvisa esplosione di calore mentre le loro dita si sfioravano leggermente per il più breve degli istanti. "Nessuno mi ha mai parlato in questo modo, come fai tu con i tuoi dipinti."

Nessuno, ad eccezione di Max Evans, mormorò una piccola voce dentro di lei.

"Mio lavoro … come io parlo" rispose lui semplicemente, guardando oltre lei al dipinto che aveva catturato la sua attenzione. "Adesso." E quindi si strofinò di nuovo la mascella, guardandola di sottecchi. "La mascella è … problema."

Lei annuì incoraggiante, e lui immediatamente volse lo sguardo, i suoi lunghi capelli neri che gli oscurarono il volto.
Erano castano scuro, quasi neri, e per qualche motivo, Liz desiderò di poterli toccare. David sembrava essere piuttosto giovane, probabilmente solo qualche anno più vecchio di lei, sebbene fosse difficile indovinarne l'età a causa della maschera. Ma i suoi capelli, le sue mani, il suo aspetto generale le faceva pensare ad un uomo di una trentina d'anni.

Mentre lo guardava di nascosto, notò la sua mano sinistra; notò che due dita erano piegate, le nocche leggermente gonfie. Aveva interpretato correttamente il dipinto Finestra sull'Anima – lui aveva dipinto la sua stessa, imperfetta mano. Lei aveva bisogno di sapere quale terribile destino si era abbattuto su David, lasciando il suo corpo così orribilmente ferito.

Spostò il suo sguardo più in basso e, per la prima volta da quando era arrivata, permise a sé stessa di studiare il suo abbigliamento. Era piuttosto magro, sebbene non così tanto, e indossava uno spesso maglione, il tipo di maglia in cui Michael amava sprofondare, solo più ordinata. I suoi jeans erano sbiaditi ma, come la maglia, in buono stato. David si vestiva come avvolgeva i suoi quadri, indirizzava i suoi biglietti - come teneva la sua casa. Pulita e ordinata, ma piena di velata passione, la stessa che si rivelava attraverso i suoi dipinti.

Si sentì arrossire profondamente, quando lui la colse a fissarlo, e realizzò che era rimasta a bocca aperta, inconsciamente. Tossì imbarazzata, voltandosi immediatamente, e sperò che lui non pensasse che lei fosse sgomentata dal suo aspetto.

"Va tutto bene" la rassicurò lui piano. "Mio aspetto … strano, sì?"

"Strano?" ripeté lei, confusa e sorpresa, ancora evitando il suo sguardo.

"La protesi."

"No … no, non lo è" si affrettò a rispondere lei, sentendo il calore salirle sul viso e su tutto il collo. Lui rise piano, ancora, e il suono la fece vibrare.

"Cattiva bugiarda … Liz."

Lei sollevò lo sguardo su di lui e, sebbene non potesse vedere per nulla la sua bocca, solo quell'illusione di mezzo sorriso che era parte della maschera, sentì lui sorridere. Un largo sorriso che la fece sentire calda dentro.

"Sono davvero così terribile?" scherzò lei, e lui annuì con gran gesti.

"Non … adatto" ammise lui, indicandola. "A te."

"Va bene, David, sì la maschera è davvero qualcosa di … diverso" disse lei tutto d'un fiato, scostandosi i capelli nervosamente. "Ma tu lo sai questo, certo che lo sai" Le dispiacque che le sue parole fossero così tese ed impacciate. "Vorrei vedere te. Non è che ti stia scrutando, è solo che cerco di fare questo, di vedere te, voglio dire."

Lui annuì lentamente, come se stesse cercando di comprendere le sue parole e per un attimo pensò che lui potesse togliere la maschera. Invece lui le prese il braccio, guidandola con gentilezza nel suo studio. "Allora … vieni."

****

Mucchi di quadri erano appoggiati ai muri, sollevati su cavalletti e generalmente sparsi in ogni direzione nello studio che, come il resto della casa, aveva pavimenti di legno e pareti tappezzate. "Me" spiegò lui, le parole leggermente storpiate. "Guarda … me."

"Nel tuo lavoro" sussurrò lei, mentre lo sguardo vagava tutto intorno nella stanza, esaminando il materiale ordinatamente riposto, i dipinti e le tele vuote. "Mi stai dicendo che è così che posso vederti."

"Sì."

E, improvvisamente, lei capì più di quanto avesse mai immaginato di David Peyton. Lui, che poteva esprimere sé stesso in quelle brevi e spezzate frasi, aveva invece messo il suo cuore nei suoi dipinti, dicendo cose altrimenti impronunciabili. E lì era il potere che lei aveva sentito fin dal primo quadro che lui aveva lasciato alla sua porta. Aveva letteralmente messo qualcosa della sua anima in ogni pennellata – qualcosa che sarebbe rimasto altrimenti non detto, sebbene lui morisse dal bisogno di esprimerlo.

"E ascolta" aggiunse piano. "Mie … parole."

Lei annuì di nuovo e, improvvisamente, gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre qualcosa di quasi perduto nel suo cuore tornò alla vita. Cosa fosse, non poteva dirlo, eppure le tele davanti a lei si offuscarono, mentre David la oltrepassava verso una tela in particolare, esposta sul cavalletto.

"Dipinto … per … " esitò un momento, strofinandosi ancora la mascella. "Te, Liz."

C'era un piccolo divano davanti ai quadri e Liz ci si lasciò cadere senza parole, sorseggiando il vino come se potesse darle forza. Perché l'opera davanti a lei entrava nei luoghi più fragili del suo cuore, come se le dita di David avessero afferrato qualcosa di tenero e fragile lì, accarezzandolo senza sosta.

"Per te" ripeté lui piano, mentre lei guardava il quadro di un cielo notturno, pieno di nuvole e stelle vibranti e lì, lontano, c'era di nuovo lo scuro angelo. "Titolo … Predominanza" spiegò, esaminandolo come stava facendo lei.

Perché aveva scelto un dipinto così scuro come dono speciale per lei, Liz non ne era sicura. Eppure non era scuro, tutt'altro. Era pura magia, come un incantesimo di mistero tessuto sulla piccola tela. Invece di un sentimento di depressione, l'opera rendeva la luminosa meraviglia del deserto di notte.

"Cosa significa l'angelo?" chiese con voce incerta, quasi non avesse voluto chiederlo a voce alta. Di nuovo le si riempirono gli occhi di lacrime, mentre pensava a tutte le notti in cui aveva guardato verso il cielo con Max, fuori nel deserto. Alla notte in cui avevano trovato il trasmettitore, quando qualcosa di molto più intenso era quasi accaduto tra di loro, qualcosa che avrebbe potuto cambiare il loro futuro irreversibilmente.

"Angelo … cambia. E' molte cose" spiegò lui a spezzoni e lei desiderò poterlo sentire più chiaramente, sapere tutto quello che lui aveva nel cuore. "Stasera, angelo sei tu."

"Io?" chiese sorpresa, voltandosi in fretta per guardarlo. Ma lui si stava appoggiando pesantemente al bastone, guardando il dipinto. Lei ebbe la sensazione che lui stesse sfuggendo il suo sguardo.

"E' come sento … te qui."

"Oh" fu tutto quello che lei riuscì a dire, sentendosi battere forte il cuore. Non riusciva a pensare chiaramente, così sorpresa dall'audace ammissione di lui. "Grazie" riuscì finalmente a dire con voce spessa dall'emozione.

Lui si girò verso di lei, allora, e di nuovo Liz ebbe l'impressione che lui le stesse sorridendo. "Solo verità."

"Anche a me sembra veramente sorprendente" ammise lei piano, e per un attimo i loro sguardi si incontrarono. Poteva a malapena a vedere gli occhi scuri di lui, non con la luce bassa che c'era in tutta la casa e capì che lui probabilmente l’aveva fatto di proposito, per nascondere i suoi lineamenti mascherati. Forse per metterla più a suo agio, con lui.

Eppure, anche nella penombra della sala, qualcosa prese vita tra di loro in quel momento e lei lo vide inghiottire forte, mentre continuava a guardarla in silenzio. Incapace di spostare lo sguardo, lei si accorse che le tremavano le mani in grembo.

"Di più" sussurrò lui alla fine. "Mostro di più" Lei dovette letteralmente abbassarsi verso di lui per poterlo sentire, tanto le sue parole erano basse e incerte. Lui si accosciò, appoggiandosi con forza al bastone mentre cercava tra le tele appoggiate sul pavimento, contro il muro. "Qui" disse e Liz si alzò dal divano, andando verso di lui.

Notò la difficoltà con la quale lui bilanciava il suo peso mentre scorreva le tele e mise una mano su quella di lui per un momento, mente era appoggiata al bastone. "Fammi sedere sul pavimento" propose, guardandolo. "E lo farò io. ."

Lui annuì in silenzio, mentre lei si sistemava ai suoi piedi, e un po' di vino le cadde sulla mano. In un attimo lui prese un morbido straccio sul cavalletto dietro di loro e le asciugò le dita, e altro fuoco le attraversò alla pelle al contatto, mentre i loro occhi si incontravano per un lungo momento.

"Come hai cominciato a dipingere, David?" chiese lei, girandosi a guardare altre tele e immagini di nuvole, cielo, ondate di colore che si mostravano a lei chiedendo la sua attenzione. "Non me lo hai mai detto."

"Tu hai insistito … però" lo udì ridere piano e sedersi sul divanetto dietro di lei.

"Puoi scommetterci che l'ho fatto, David" ammise lei. "Sono un'agente. Devo essere insistente."

"Sì … certo" Colse una punta di ammirazione nella voce di lui, mentre lei continuava a guardare i suoi dipinti. Il suo sguardo le bruciava la schiena, Liz era certa che lui la stesse guardando, seduto sul divanetto proprio dietro di lei.

"Allora, fammi continuare ad insistere" continuò lei, senza guardarsi indietro. "Come hai cominciato?."

"Lunga storia" rispose lui con un pesante sospiro.

"Ma io voglio saperlo" ribattè lei, lasciando cadere il suo sguardo su un dipinto di una bambina con i capelli scuri, circondata da un campo di fiori rossi che le arrivavano al ginocchio. "Vedi cosa mi fa il tuo lavoro. Che effetto ha su di me" Il dipinto sembrava familiare, come se facesse risuonare in lei qualcosa a lungo dimenticato, mentre lo tirava fuori dal mucchio.

"Ria … abilitazione" rispose lui con un colpo di tosse. "Cominciato in ria … abilitazione."

Lei si tirò indietro, fino ad appoggiarsi contro il divano, proprio di fianco a dove lui era seduto. Il dipinto le rimase il grembo e lei sfiorò il contorno dei fiori rossi con la punta delle dita, seguendone il movimento.

"Tulipani?" chiese curiosa, meravigliandosi della familiarità della scena.

"Sì."

"Che cosa ti è successo, David?" chiese, ancora guardando il dipinto. Non voleva ferirlo, diventare troppo pressante, ma doveva capire. "E' stato un incidente?"

Lui sbuffò e, per quanto soffocato il suono potesse essere, lei riconobbe il tono derisivo. "No" Non disse altro, solo questo, lasciandola terribilmente curiosa.

"No? Allora, cosa, David?" Stava dicendo che qualcuno gli aveva fatto questo intenzionalmente? Che lo aveva ferito così profondamente di proposito?

"No incidente" rispose di nuovo piano, poi "Liz, per favore."

"Non ne vuoi parlare?."

"Non stasera" ammise lui.

Lei lo guardò girando la spalle, pregandolo con gli occhi. "Me lo spiegherai una volta, allora?" Aveva bisogno di sapere quella parte della sua storia, per ricomporre i pezzi del suo oscuro passato.

"Certamente."

"D'accordo, allora" annuì, concentrandosi di nuovo sul meraviglioso dipinto che stava sulle sue ginocchia. Liz rimase un attimo senza fiato, mentre sentiva qualcosa di diverso vibrare nel suo cuore, per il modo in cui il suo lavoro la toccava così completamente.

"David, devi capirmi. L'arte è la mia vita, il mio lavoro … è tutto il mio mondo" spiegò con voce spessa. "E nessuno mi ha mai toccata come fai tu. Hai un dono incredibile."

"Facile quando … ispirato."

Lei non era sicura di cosa lui volesse dire con quel commento o a quale tipo di ispirazione lui si stesse riferendo. Ma lui chiarì. "Tu."

"Io?" chiese lei, guardando davanti a sé, fin troppo conscia di come la sua spalla sfiorasse il ginocchio di lui quando si appoggiava al divano.

"Tua … reazione. Ispira" spiegò lui, le parole sempre più confuse, come se le emozioni della sua confessione lo stessero rimescolando dentro. "Tu … grande ispirazione."

"Ma ci siamo appena conosciuti" offrì lei debolmente, ancora incerta di cosa lui volesse dire. Si trovò a desiderare la facilità della loro comunicazione via email, sebbene la vicinanza fisica fosse ben più soddisfacente delle facili parole.

Lui rimase in silenzio per un lungo momento, e Liz poté sentire il suo respiro accelerare, il suono basso diventare più pesante dietro la protesi. Lei si domandò se lui avrebbe parlato ancora. E fu allora che lo sentì. Le dita di lui stavano sfiorando leggermente i suoi capelli, giusto accarezzandoli per tutta la lunghezza in un meravigliato silenzio.

Lei poté solo trattenere il respiro, mentre sentiva il tocco gentile mandare scariche per tutto il suo corpo. Lui non la stava solo toccando, le stava offrendo qualcosa di meraviglioso. Il suo cuore.

Socchiuse gli occhi, mentre David faceva scorrere lentamente la mano per tutta la lunghezza dei suoi capelli, con le dita che si impigliavano dolcemente tra le ciocche. Adorazione, ecco cosa sentiva lei. Come se le sue carezze fossero un atto di pura adorazione.

Sospirò e lentamente voltò il viso, fino a quando le sue labbra incontrarono la mano di lui. Esitante, lei baciò le sue dita, facendo scivolare le labbra su ognuna di esse, senza mai guardarlo. Il fuoco era sulle sue guance e le scaldava l'anima, mentre lui le lisciava il viso con il dorso della mano, accarezzandola sempre più profondamente.

"Meravigliosa" approvò lui in un sussurro. "Liz, così meravigliosa."

Lei rabbrividì alle sue parole, a come le sue dita fossero tornate di nuovo ad accarezzare i suoi capelli. Una parte del suo cervello si stava domandando come potesse, questo sconosciuto, eccitarla in quel modo, trafiggere il suo cuore come una freccia, ma lei non gli badò. Né cercò una risposta. Tutto quello di cui aveva bisogno, era quel momento con il suo timido David, la sensazione del suo tocco gentile.

Senza pensarci, allungò una mano sopra la spalla e le loro dita si incontrarono, cambiando la carezza. Divenne più come fare l'amore. Le loro mani intrecciate insieme esitarono e poi si accarezzarono leggermente. Come fare l'amore, un atto silenzioso e potente, uguale a quello che lei aveva conosciuto con solo una persona.

Lo sentì sospirare pesantemente dietro di lei, mentre le loro dita rimanevano intrecciate e, improvvisamente, le lacrime offuscarono di nuovo la sua visione. Il suo cuore doleva alla bellezza del tocco di lui, di come lui la risvegliasse. Improvvisamente, calde lacrime le corsero giù per le guance.

Lei batté gli occhi, desiderando ancora il suo tocco e, allo stesso tempo, desiderando di fuggire. Tirò indietro la mano improvvisamente, asciugandosi gli occhi. "Io … devo andare" riuscì a dire, alzandosi goffamente in piedi. "E' stato perfetto, David."

Uno sguardo veloce e vide la confusione nei suoi occhi scuri, mentre la guardava, cercando di alzarsi in piedi. Ovviamente, non era un compito semplice per lui, mentre trafficava col suo bastone, cercando di seguire il rapido muoversi di lei.

"Liz."

"E' stato meraviglioso, David" continuò lei in un solo fiato, asciugandosi le lacrime, sfiorandolo mentre lui cercava di alzarsi dal divano. "Anche tu lo sei" continuò lei, e lo sentì dietro di lei, il leggero suono del suo bastone, e l'ineguale cadenza dei suoi lenti passi.

"Liz" la chiamò di nuovo lui. "Non … " la sua voce si spense e questa volta Liz fu sicura che non dipendesse dalla sua difficoltà nel parlare. Aveva intuito che lui era confuso dalla sua repentina fuga e il petto le si strinse dolorosamente. Questo era quello che avrebbe voluto evitare, di ferirlo in qualsiasi modo.

Lei si girò sui tacchi mentre lui si avvicinava. "Non sei tu, David" sussurrò con intenzione, incurante del fatto che lui l'avrebbe vista piangere. "Assolutamente non tu."

"Dimmi … allora" cercò di forzarla lui, allungando il braccio per sfiorarla.

Dimmi. Dimmi i segreti che hai seppellito nel tuo cuore, le cose che non vorresti mai più ammettere, a nessuno.
Dimmi che sto risvegliando la tua anima addormentata da troppo tempo.


"Ho amato qualcuno, una volta" spiegò lei fieramente, incontrando lo sguardo strano di lui, quegli occhi semi-oscurati. "L'ho amato più della vita, della mia stessa vita qualche volta. Ma lui è morto."

David piegò la testa da un lato, in silenzio, come se le sue parole fossero inaspettate, difficili da comprendere. "E' morto e nessun altro mi ha mai toccato come ha fatto lui, mai in tutti questi anni" confessò, passandosi una mano tremante tra i capelli. "Fino a stasera. Poi sei arrivato tu."

Con quelle parole, lei si girò e corse via, verso la porta prima che lui potesse dire qualcosa. Perché era quasi come se lei si sentisse andare a pezzi sotto lo sguardo di lui, persino al ricordo del suo tocco.

E questo era qualcosa che lei aveva giurato nessun uomo le avrebbe mai più fatto.

 

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Capitolo 12
*** 12 ***


Parte Dodici


Sorpresi dalla sera

C'è una polvere sconosciuta vicino a noi
Onde che si rompono su spiagge oltre la collina
Alberi pieni di uccelli che non abbiamo mai visto
Reti portate a riva piene di pesci bruni

La sera arriva; noi guardiamo in alto ed è lì
E' arrivata attraverso una rete di stelle
Attraverso gli strati dell'erba
Camminando piano sui bacini delle acque

Il giorno non finira mai noi pensiamo:
Abbiamo capelli che sembrano fatti per la luce del sole
Ma alla fine le quiete acque della notte sorgeranno
E la nostra pelle vedrà lontano come vede sott'acqua

Robert Bly


Liz non aveva smesso di tremare un attimo, da quando aveva lasciato il bungalow di David. Né durante il breve tragitto in macchina fino a casa, né dopo essere arrivata ed essersi buttata sul divano, e certamente non dopo aver aperto la breve email che le aveva mandato lui.

Ora era seduta al computer, le mani che tremavano in maniera incontrollabile e si domandava cosa poteva rispondere, cosa poteva fare per fermare la valanga di emozioni che lui, in qualche modo, aveva scatenato dentro di lei.

Meravigliosa, Liz.

Questa serata è stata elettrica. Magica. Quasi più di quanto il mio cuore potesse reggere, lo giuro.
Vorrei solo che non fossi andata via così presto. Non quando c'era ancora così tanto che volevo dirti.

Non avrei mai dovuto essere così imprudente, così noncurante delle tue emozioni – soprattutto quando il mio aspetto sconvolgente era già abbastanza per una sera. Dio, posso solo immaginare cosa devi aver pensato di me, come ti ho spaventato, e per questo, di nuovo, sono molto spiacente.

Il fatto è, Liz, che tu sei meravigliosa. Ma non è questo che mi ha toccato questa sera, non del tutto. E' anche che essere con te è stato così incredibilmente meraviglioso.

Tuo, d.



Liz nascose il viso tra le mani e cominciò a singhiozzare forte. Era come se tutte le emozioni congelate degli ultimi 10 anni stessero improvvisamente sciogliendosi, liberandosi dal profondo del suo cuore. Tutto a causa del tocco di un uomo timido. Con le sue semplici carezze sui suoi capelli, sul suo volto.

Tutto perché lui le aveva tenuto la mano.

E lei lo aveva ferito. In qualche modo, sebbene glielo avesse spiegato, lui aveva pensato che la sua faccia l'avesse spaventata, sconvolta.

Attraverso un velo di lacrime, cominciò a scrivere, cercando di comporre qualcosa che avesse un senso.


David,

Non sei stato tu, te lo giuro. Infatti, vorrei riuscire a farti capire quanto poco il tuo aspetto conti per me.

Ma d'altro canto, sei stato tu … e l'incredibile effetto che hai su di me. E' come se tu ti stessi insinuando nel mio cuore, un pezzetto alla volta, e io ho promesso a me stessa che non avrei mai provato questi sentimenti di nuovo, che non sarei mai più tornata alla vita sotto il tocco di un uomo

Ecco cosa mi spaventa, David. Non il tuo aspetto, o la protesi … e neppure cercare di immaginare cosa c'è lì sotto. Io posso accettare tutto questo, ma non il modo in cui stava risvegliando il mio cuore così in fretta. Questo, dolce David, mi ha lasciato totalmente e definitivamente terrorizzata.

Tua, Liz.



Liz vagò per la cucina, asciugandosi di nuovo gli occhi, e si versò un bicchiere di vino. Quindi si accomodò sul divano al buio, cercando di arginare le sue emozioni. Accese lo stereo e Patti Smith cominciò a cantare, l'ossessionante ritornello di Because the Night risuonò nel suo buio soggiorno. Take me now, baby here a I am… pull me close, try and understand …

E rimase seduta. Non perchè volesse realmente bere il vino, o ascoltare la musica, ma perché non riusciva a muoversi in attesa di una risposta da David Peyton. Fortunatamente, non dovette attendere molto, poiché ne apparve una quasi immediatamente. Liz comprese che lui probabilmente stava ansiosamente aspettando la sua risposta, e aprì il messaggio.


Liz,

Allora sembra che siamo entrambi terrorizzati, sebbene per motivi molto differenti. Ricordiamoci solo di respirare (penso di aver dimenticato questa peculiare abitudine per circa un quarto d'ora, questa sera).

E possiamo andare piano, Liz, piano come sentiamo che debba andare. L'unica cosa urgente è restituirti il tuo cappotto, specialmente per il fatto che, dalla finestra del mio studio, posso vedere che ha ricominciato a nevicare. Sfortunatamente, lo hai lasciato qui quando sei andata via di corsa.

Be'… ammettiamolo, non così sfortunatamente per me, dato che adesso ho la scusa perfetta per rivederti almeno un'altra volta.

Posso tentarti con un altro bicchiere di vino domani sera, un brindisi al tuo viaggio a New York? Ti assicuro che rimarrò a distanza di gentiluomo. Solo i miei occhi di artista ti adoreranno, non le mie mani vagabonde.

Tuo, d.



Il labbro di Liz cominciò a tremare e, per un attimo temette di ricominciare a piangere. Si sentì arrossire leggendo l'ultima frase del suo messaggio, e un'ondata di desiderio le attraverso il ventre.

Come avrebbe risposto lei alla sua richiesta di incontrarla di nuovo, e così presto? Se lui le aveva fatto un effetto così profondo quella prima volta, poteva solo immaginare quali sarebbero state le conseguenze se lei avesse deciso di rivederlo a così poca distanza di tempo.

Eppure, mentre spegneva il computer senza scrivere una risposta, sapeva che non sarebbe riuscita a stargli lontano. Non adesso. Non dopo essere stata toccata da lui.

****

Questa volta il sogno fu diverso. Liz dormiva nel suo letto a Santa Fe, comodamente accoccolata sotto le coperte, le dita che accarezzavano l'orlo della coperta. Udì un lieve rumore nella stanza, vicino alla porta e, sebbene il suo cuore battesse a mille, non aveva paura.

Stava aspettando.

E poi lui fu lì, un'ombra sulla porta, che la guardava. I suoi occhi scuri e misteriosi la raggiunsero al cuore, all'anima. Invece di muoversi, lei giacque nel letto guardandolo. Era bellissimo, in maniera sorprendente, nella morbida luce lunare che si rifletteva sul pavimento di legno. Come una statua dalla forma strana, con un liscio viso di porcellana, lui stava appoggiato allo stipite della porta. I lucidi capelli scuri gli cadevano sulle spalle, leggermente scompigliati.

"Vieni più vicino." sussurrò lei, consapevole che il tono della sua voce era diventato spesso e roco.

Lui batté gli occhi in silenzio, e lei sentì il suo bisogno di lei, quanto lui avesse l'urgenza di toccarla di nuovo.

"Liz." mormorò quietamente e camminò verso di lei, il ritmo ineguale dei suoi passi ormai familiare nella stanza silenziosa.

"Io ti voglio." sospirò lei nel buio, seguendo i movimenti di lui con gli occhi.

"Io voglio." ammise lui, con un lieve cenno del capo. "Te, Liz."

"Perché è così?" chiese lei senza fiato. "Il modo in cui mi fai reagire, perché è così forte?"

Lui si sistemò su un lato del letto, cercando esitante la mano di lei. "Io … te." sussurrò enigmatico, la voce sempre gentile. Quindi lei colse un'emozione nei suoi occhi scuri, il modo in cui si spalancavano alle parole che aveva appena pronunciato. Se solo lei avesse compreso il significato di quella semplice frase.

"Non capisco, David." scosse la testa, inghiottendo. "Ma voglio farlo."

"Tu … hai detto." le parole di lui erano imprecise, mentre prendeva la mano di lei nella sua, evitando il suo sguardo. Il respiro si fece più pesante sotto la maschera. "Io risveglio … " si fermò, lottando con le parole.

"Tu mi risvegli." terminò lei per lui, toccando il suo braccio e lui annuì, silenziosamente d'accordo. "Sì, David, lo fai. Io sto tornando in vita per te."

Molto delicatamente, lui allungò una mano fino alla guancia di Liz e l'accarezzò. Le dita di lui la esplorarono silenziosamente, seguendo il contorno della sua mascella, le pienezza della labbra – ed esitarono un momento, mentre lei le baciava. Le dita tremarono leggermente contro la sua bocca, eppure le davano sensazioni indescrivibili.

"Baciami, David." mormorò lei nell'oscurità.

Lui scosse la testa. Perché quello che lei stava davvero chiedendo, era che lui si rivelasse, che rimuovesse la maschera. Non ci sarebbe stato altro modo.

E così invece, lei sollevò la mano fino al petto di lui, sentendo la lana spessa del suo maglione, poi salì con le dita verso l'alto. Sfiorò l'incavo della gola, dove sentì il battito forte del cuore di lui e, quindi, continuò l'esplorazione fino a toccare lo strano materiale sintetico che gli proteggeva il volto. Eppure sentì al di sotto, il forte contorno della mascella, il naso, ossa e carne. Un uomo, del quale stava cadendo innamorata. Mise le mani a coppa intorno a quello strano viso.

"Vieni più vicino, David." lo pregò piano, cercando di avvicinargli il viso al suo. Desiderando qualcosa di più da lui, di baciare le sue labbra. "Per favore."

Lui scosse la testa, tirandosi indietro. mentre le dita di lei esploravano quel lato del viso che sembrava causargli tanto dolore. Eppure, mentre lui si ritraeva, lei persistette.

"Per favore," mormorò Liz, mentre lui allontanava quella parte del suo viso da lei. "Voglio toccarti." E seppe di aver trovato il centro del suo dolore, quella che, tra le ferite che lo sfiguravano, più lo faceva soffrire.

"Perché?" quasi urlò David.

Lei esitò un momento, ascoltando come il respiro di lui si facesse più pesante, sentendo la sua esitazione. Lei voleva sentire la pelle di lui contro la propria.

"Tu … io" ripose semplicemente, ripetendo le parole che lui aveva detto prima, mentre le accarezzava i capelli. Lui abbassò la testa sotto il tocco di lei, senza parlare.

Alla fine, lei lo vide inghiottire e quindi annuire col capo. "Senti … me." sospirò, guardandola di nuovo, mentre lei lentamente sollevava la mano e accarezzava la mascella dolente, che lui aveva cercato di sottrarre al suo tocco. "Mia ... Liz."

Mia Liz. In qualche momento, nella notte, o forse in quella sera, o addirittura in quella settimana – lei aveva donato sé stessa a lui. Se solo avesse ricordato in quale momento, l'attimo in cui lei si era indissolubilmente legata a quello sconosciuto – uno sconosciuto che sarebbe diventato un amante.

4:34 del mattino.


****

Lettere da sogno, pergamene fluttuanti nella notte, come pagine fuori posto del suo diario. Spizzichi e bocconi di parole mentre lei entrava e usciva dal sonno. Senza pace e insistenti, fuoriuscivano nei suoi pensieri, risalendo nella sua coscienza.


Meravigliosa.

Una parola, così piena di significato. Una mano, una carezza. Un tuo tocco. I tuoi occhi. L'elettricità che increspa la stanza quando tu sei vicina. Meravigliosa.
Tu, Liz.
Tutta te stessa… e ora devo cercare di dormire.

Tuo d.


Meraviglioso.

Un uomo che vuole nascondersi da me, eppure rivela la sua anima così generosamente. Un uomo di cui vedo uno scorcio in ogni suo dipinto e che sento in ognuna delle sue carezze. Ma non è abbastanza.

Io voglio vedere veramente quell'uomo con i miei stessi occhi.

E' questo il mio sogno adesso.

L.


****


Liz era seduta su una panchina al Rockfeller Center, a guardare i pattinatori che scivolavano sull’anello di ghiaccio, alcuni pieni di grazia, altri con gesti staccati e disarticolati, ma sempre in orbite ellittiche. Circolari, senza fine, freddi nella notte.

Le bandiere sventolavano sull'anello, contro il vento di febbraio, aperte e orgogliose. Bandiere di nazioni, vividi colori che si muovevano sopra le teste, mentre i ragazzi si tenevano per mano, avvicinandosi per guardare le azioni nel palco sottostante.

E Liz sedeva sola. Tutta sola, le braccia avvolte su sé stessa, mentre rabbrividiva nel freddo, guardando intorno a sé la danza senza tempo degli amanti.

Fino a che Max non fu lì. Con la stessa facilità con cui l'aveva lasciata, diventando il sudario avvolto intorno al suo cuore, lui apparve accanto a lei sulla panchina.

Affascinante come era sempre stato, nella sua giacca di pelle e i jeans, le ciocche che gli ricadevano sul viso. Lui la guardò di sottecchi, illuminandosi alla vista di lei.

"Dio, Liz, non hai un'idea di quanto mi sei mancata." confessò, scrutandola come se fossero passati anni.

"Mi hai visto la scorsa notte."

Lui scosse la testa. "I sogni non contano."

"Certo che sì." rise lei, mentre lui allungava un braccio sul dorso della panchina. "E qualche volta i sogni ti aiutano a soffrire di meno"

"Ma tu non puoi restare dentro ai sogni, Liz."

Lei abbassò la testa, guardandosi le mani, sapendo che lui aveva colpito nel segno. "Lo so."

"Non ti chiedi perché sono qui, Liz?"

Liz rifletté per un momento, guardando una coppia muoversi goffamente sulla pista. La ragazza aveva lunghi capelli scuri, che occasionalmente si muovevano nel vento, finendole negli occhi. Il ragazzo aveva capelli scuri come la notte – quasi una giovane versione di Max.

"Non mi interessa il motivo"

"C'è una ragione, Liz." insistette lui. "Un motivo per cui io continuo a tornare."

"E come mai ho l'impressione che stai per dirmelo?" rise lei, chiudendo gli occhi e godendo del calore di lui. Ogni cosa di Max era così diversa da David Peyton, rifletté muta. Lui era sicuro e forte, bellissimo e la faceva sentire sicura.

Eppure i sentimenti non erano affatto diversi, realizzò lei, mentre riapriva gli occhi. Di nuovo, i pattinatori, attrassero la sua attenzione, i giovane amanti la stuzzicavano mentre si muovevano ritmicamente insieme intorno all'anello.

"Quel primo Natale, dopo che sei partito, lo sai cosa hanno fatto a Roswell?" chiese lei, voltandosi verso di lui. Il viso di lui si incupì, ombreggiato da una malinconia che la colse alla sprovvista.

Scosse la testa in silenzio, con l'incertezza negli occhi.

"Hanno messo un piccola pista da ghiaccio in mezzo al parco." spiegò lei, sentendo la familiare ondata di rabbia verso di lui.

"Proprio lì a Roswell."

"Anche qualche anno prima lo avevano fatto."

"Sì, ma non eravamo insieme, allora, Max." lo corresse lei. "Non mi interessava. Era quel primo Natale, dopo che tu mi avevi lasciato, che era importante. Perché tutto quello cui potevo pensare, ogni volta che lo vedevo, era come sarebbe stato se tu mi avessi portato a pattinare."

"Sono un pattinatore scadente." scherzò lui con voce soffice, le parole quasi perse nel vento.

Lei lo ignorò, tornando a quello che voleva dire. "Sono andata a quella stupida pista ogni sera dopo il mio turno al caffè, proprio come adesso, Max." continuò, sentendo lacrime amare riempirle gli occhi. "E ho guardato la gente pattinare. Era come se fossi morta, come se li osservassi da un'altra dimensione. Ecco quanto mi sentivo staccata da loro, quanto freddo il mio cuore era diventato dopo che tu te ne eri andato."

"Liz," sussurrò lui, dandole un gentile bacio sulla sommità della testa, ma lei lo interruppe, bisognosa di spiegare.

"Io li guardavo come in questo momento, e pensavo come sarebbe stato averti con me." finì lei con voce rotta.

"Non puoi capire quanto avrei voluto essere lì."

"Lo so." annuì lei tristemente. "Lo sapevo persino allora, in qualche modo."

"Io stavo seduto e cercavo di immaginarti, Liz, e mi domandavo cosa stessi facendo. Era difficile capire il periodo dell'anno, ma in qualche modo ero riuscito a capire che era Natale." ammise lui con voce spessa. "Il mio cuore non ti ha mai lasciato."

Lei si girò a guardarlo. "Tu mi hai pensato?"

"Ogni giorno, ogni minuto." Lui si strofinò gli occhi stancamente, evitando il suo sguardo deciso.

"Che cosa ti hanno fatto, Max?" chiese, allungando una mano per accarezzarle le ciocche sulla fronte. "Dimmelo."

"Non posso, Liz."
 
"Ti hanno fatto del male." quasi gridò lei, con gli occhi pieni di lacrime. "L'ho sentito quando ti hanno ucciso."

Lui chiuse gli occhi, abbassando il capo. "Ho cercato … " la voce si spense mentre scuoteva la testa.

"Cercato cosa, Max?" lo pregò lei, afferrando il suo braccio. "Ho bisogno di sapere. Ho aspettato tanto a lungo."

"Di raggiungerti." ammise lui, la faccia contorta dal dolore. "Non avrei dovuto farlo, ma avevo così tanta paura. Non solo di loro, di quello che mi stavano facendo ma … Dio, di perdere te, per sempre."

"Ti ho sentito." ripeté lei intensamente. "Ho saputo quello che ti stava accadendo."

"Liz, tu devi lasciarlo andare."

"Lasciar andare cosa?" gridò lei, sentendosi di colpo piena di rabbia. "Te, Max? E' questo che mi stai dicendo?"

"Tutto questo dolore, il ricordo di quell'orribile momento, me." disse lui tutto d'un fiato, gli occhi dorati che brillavano. "Ti sta uccidendo, Liz. Letteralmente."

"Non voglio lasciarlo andare."

"Dio, sei testarda quanto me." osservò lui, frustrato.

"Benvenuto nel mio mondo." scattò lei irritata.

Lui scosse la testa, sorridendo tristemente. "Hai passato troppo tempo con Michael."

"E sai perché? Lui non mi ha lasciato." gridò, alzandosi in piedi e serrando le mani a pugno. "Michael non mi ha lasciato, Max. Michael non ha passato la notte con il nemico. Michael è stato qui con me e non se ne è mai andato."

"Io non ho passato la notte con Tess." La sua ammissione era così bassa che Liz quasi non la sentì, mentre si dissolveva nel vento.

"Cosa?" chiese lei, girandosi per guardarlo.

"Non è successo niente con lei." ripeté lui, guardandola con sincerità. "Non c'era nessun bambino. E' questo che sto cercando di dirti da così tanto tempo."

Liz sentì qualcosa dentro di lei sciogliersi, qualcosa andarsene dolorosamente, qualcosa che aveva nascosto nel suo cuore fin da quel giorno alla Pod Chamber, quasi 10 anni prima. Un grido silenzioso le nacque sulle labbra, un terribile riflesso del famoso Urlo di Munch, mentre cadeva sulle ginocchia. Max si buttò sul pavimento accanto a lei.

"Liz, tesoro." la pregò lui. "Guardami."

"Ma, ma … " lei poteva solo balbettare, mentre sentiva il mondo girarle intorno.

"Lei ha ingannato me. Noi. E' quello che ha sempre fatto, e io sono stato uno stupido a credere ai ricordi che mi ha impiantato nella mente."

Impiantato … ricordi. Stupido a crederci …

"Te lo sto dicendo adesso per un motivo, Liz." spiegò lui, accarezzando la lunghezza dei suoi capelli con tenerezza, mentre la teneva stretta tra le braccia. "Io sono il solo che tu ascolterai. Ecco perché loro mi hanno mandato."

"Loro?" chiese lei confusa.

"Tu ti sei bloccata allora, Liz," spiegò lui mentre lei seppelliva il viso dentro la sua giacca di pelle. "Sei stata come congelata per così tanto tempo."

"Cosa devo fare, Max?" mormorò lei, afferrandosi alle sue spalle.

"Ascolta David Peyton." Lei si riscosse sentendo il nome di David, pronunciato da Max. "Liz, apri i tuoi occhi."

 

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Capitolo 13
*** 13 ***


Parte Tredici



Ci svegliamo dai nostri sogni, le cose non sono sempre come sembrano,
I ricordi rimangono, come una vecchia triste canzone.
Todd Rungren








David,

Mi piacerebbe brindare al mio viaggio a New York. Stasera alle 7, allora? E, in ogni caso … tu sei stato un perfetto gentiluomo. Credo di essere stata io a scompigliarti, non pensi? Ma, ad ogni modo, prometto che sarò una perfetta gentildonna, anche io.

Be', una moderna, almeno.

Tua, Liz.


****

Moderna Liz,
Non mi ha mai disturbato una buona scompigliata, giusto perché tu lo sappia. Almeno, non tenera e sexy come evidentemente sai fare tu.

Siano le 7.

Tuo, d.


**********

Apparentemente la tensione nervosa non era migliorata. Neppure in vista di una seconda visita a casa di David, pensò Liz, mentre prendeva ampie boccate di aria fredda prima di bussare. Era una perfetta replica della sera precedente, dentro sentì la musica attutita, vide le luci basse. E lei si sentiva sull'orlo di un collasso nervoso, stringendo tra le braccia un'altra bottiglia di vino.

Non dovrebbe essere più facile? Si domandò lei, passandosi la lingua sulle labbra. Almeno sapeva cosa aspettarsi quando lui avrebbe aperto la porta ma, in un certo modo, questo la rendeva ancora più ansiosa.

Perché quello che poteva aspettarsi, era la sua quasi incapacità di controllare le sue reazioni quando era vicino al suo meraviglioso enigma.

Liz sollevò la mano e ripeté il suo mantra. "Tu hai fatto cose più difficili di questa … tu hai fatto cose più difficili di questa" si ripeté silenziosamente mentre bussava.

Da dentro, sentì i familiari passi lenti, accentuati dal ritmico battere del bastone di David, quindi la sua ombra apparve nel pannello di vetro. La gola le diventò totalmente secca, mentre la porta si apriva lentamente, rivelando i lineamenti che la ossessionavano ormai da tempo.

Lei si illuminò immediatamente, mettendo una ciocca di capelli dietro all'orecchio. "Ciao, di nuovo." rise e qualcosa le fece sentire che lui stava sorridendo in risposta, le stava dando un caldo benvenuto, più di quanto lei potesse vedere, e si rilassò.

"Bentornata." annuì lui incoraggiante, spalancandole la porta. "Liz … Parker."

Mentre entrava nella casa caldamente illuminata, i muri che riflettevano le luci e le ombre delle candele, avrebbe giurato di sentire il suo cuore rispondere, benvenuta a casa.


****


Liz sedette sul divano di David, le mani appoggiate sul grembo. Avrebbe fatto di tutto pur di fermare il visibile tremore che le scuoteva, ma mentre lo vedeva avvicinarsi a passo lento con il suo bicchiere di vino, il tremito non fece che intensificarsi. Sembrava impossibile reagire in un altro modo alla sua vicinanza , perlomeno questa sera, anche se l'energia nervosa si era sciolta in un vibrante senso di anticipazione che le permeava tutto il corpo.

"Ecco." disse lui semplicemente, allungando il braccio con il bicchiere. Lei sporse il braccio tremante, e come la sera prima, le loro dita si sfiorarono appena, causando un'onda di elettricità che le attraversò le mani. Sembrava che fosse acutamente consapevole di ogni minimo contatto fisico con lui.

"Grazie." disse con un gran sorriso, sollevando lo sguardo verso il suo strano volto. Per un attimo, vide uno scorcio dei suoi occhi scuri, come brillassero alla luce delle candele nel soggiorno. C'era qualcosa di innegabilmente malinconico in quello sguardo, che neppure la maschera poteva nascondere, mentre i loro occhi si incrociavano per un silenzioso momento.

Liz desiderò potere vedere i suoi occhi più chiaramente, ma sfortunatamente, erano parzialmente oscurati dalla maschera, facendoli sembrare profondamente incassati dietro al materiale sintetico.

Per un attimo, Liz ripensò alle lezioni di restauro e come luci scure rivelassero quello che c'era dietro alla superficie di un dipinto. Se ci fosse stato originariamente un altro soggetto, per esempio una madre e un figlio, invece di due amanti abbracciati, allora la luce avrebbe rivelato una storia segreta. Ora, lei desiderava illuminare con una tale luce il volto di David, una facciata scolpita, e vedere cosa c'era sotto.

"Eccitata … per New York?" chiese lui, facendola tornare al presente con il suo tentativo di conversazione. Lui bilanciò con cura il suo peso sul bastone, sistemandosi accanto a lei sul divano, stendendo la gamba sinistra in avanti, come lei gli aveva visto fare la sera precedente. In qualche modo, la cosa gli provocò sensazione diverse, mentre si immaginava quanto dovesse dolergli, specialmente quando vide come lui si strofinò il ginocchio, con aria assente, per qualche momento.

"Non proprio." rise lei e lui la fissò, sembrando sorpreso.

"No? Ma gallerie … " esitò e lei sentì la sua frustrazione, mentre cercava di costruire la frase. "Sembrano eccitanti … te.

"Eccitanti per me?" chiarì lei e di nuovo i loro occhi si incontrarono per un breve momento, facendola sentire avvolta da una corrente elettrica.

Lui annuì, spostando lo sguardo così in fretta, che un ciuffo di capelli scuri gli cadde sul viso. "Come agente " spiegò quieto.

Lei sorrise, realizzando come facilmente già comprendesse la sua insolita sintassi, come le parole sembrassero prendere forma dentro di lei prima ancora che lui le pronunciasse. "Normalmente sì." rifletté lei, ricordando l'osservazione di Michael circa la sua mancanza di entusiasmo per questo viaggio particolare.

Perché sei depressa…

"Non so per qualche motivo, questa volta, mi sembra solo lavoro."

"Tu ami … lavoro." rispose lui, le parole che si distinguevano appena, e lei capì che era più una domanda, che un'affermazione.

"Sì." ammise piano. "Io adoro il mio lavoro. Sto facendo esattamente quello che voglio fare nella mia vita. Ma, per qualche motivo, questa volta, non so … Non ci sto mettendo il cuore." Lei lo guardò furtivamente. I lisci contorni della sua maschera erano curiosamente ombreggiati dalla luce del fuoco acceso, creando inaspettate macchie di luce ed ombra. Un vero chiaroscuro.

"Perché?" chiese lui, fissando davanti a sé le luci del fuoco. Per la prima volta, Liz notò i riflessi dei suoi capelli e anche sottili fili d'argento che brillavano nell'oscurità.

Lei scosse le spalle. "Credo di aver bisogno di una pausa." Penso che sia l'anniversario della morte di Max.

"Sono felice che Michael venga con me, però." aggiunse con tono brillante.

"Michael?" chiese lui, e lei non fu del tutto sicura, forse un lampo di gelosia gli oscurò i lineamenti, o magari sorpresa. "Amico?"

"Oh, Michael è il mio migliore amico." si affrettò a spiegare, non volendo che lui fraintendesse. "Uno dei miei clienti. Potresti persino aver già visto i suoi lavori, vive qui." aggiunse quasi incespicando nelle parole. "Michael Guerin?" suggerì cercando di aiutarlo, sperando di non sembrare così colpevole.

David batté gli occhi, e lei si domandò quale strana emozione gli avesse oscurato lo sguardo. "Sì." riconobbe lui con un entusiastico cenno del capo. "Artista … stupefacente."

"Oh, così hai visto i suoi dipinti."

"Vetrina … tua galleria." spiegò piano e lei si avvicinò per sentire meglio le parole soffocate. "Tuo sito web … anche." La frase venne pronunciata come una timida confessione e fu appena udibile.

Lei sorrise soddisfatta, notando come sembrava intimidito, guardando in basso verso il ginocchio, che stava massaggiando con aria assente. "Sei andato sul mio sito web?" chiese con voce calda.

"Certo." Lui distolse lo sguardo da lei, ma Liz ebbe la netta impressone che sorridesse e poi rise piano. "Ma deludente, Liz … nessuna foto lì."

Lei si sentì le guance bruciare alle sue parole e rise scioccamente, con tono troppo alto, poi prese un altro sorso di vino.

"Stai … arrossendo." osservò lui, voltandosi verso di lei, e lei rabbrividì quando la mano di lui le sfiorò il braccio.

"Già, beh, dovresti vedere che effetto mi fanno le tue email." sorrise lei, guardandolo attraverso le ciglia, come se stesse civettando con lui.

"Mie email … tu arrossisci?"

Lei si fece aria con la mano per ottenere un effetto più drammatico. "Dio, David, è incredibile l'effetto che hanno su di me."

"Email più facile." rifletté lui, strofinandosi la mascella. "Per me."

"Per dire quello che intendi veramente?" domandò lei e lui annuì in silenzio.

"Molto frustrante, questo." Le sue parole divennero ancora più indistinte del solito, poi aggiunse. "Ma mi piace di più … essere insieme."

"Sì, e scommetto che anche tu stai arrossendo, adesso." scherzò lei, sollevando lo sguardo e imprigionando quello di lui.

"Sì, assolutamente."

"Un giorno me lo farai vedere." disse lei confidente, volendo credere che lui si sarebbe aperto a lei. "Vedrò quanto sei affascinante mentre arrossisci in questo modo."

"No affascinante." Fu tutto quello che disse lui, abbassando gli occhi in un gesto non interpretabile. "Ma arrossito, sì."

"Perché indossi quella protesi, David?" insistette lei con gentilezza, non volendo ferirlo, ma col bisogno di comprendere chi lui fosse realmente. "Voglio dire, so che la tua faccia deve essere piena di cicatrici, ma … "

"Sfigurato." corresse lui semplicemente. "Terribile."

"Ma non vuoi dirmi cosa ti è successo?"

"Liz, per favore." la pregò lui e le parole difficoltose diventarono roche. "Tu … qui stasera."

Tu qui stasera. Per qualche motivo, le sfuggì il significato di quella particolare frase.

"Scusa?" chiese alla fine, sorseggiando nervosamente il vino. Odiava chiedergli di ripetere qualunque cosa, data la difficoltà che lui aveva nel parlare. Ma era già molto essere riuscita a capire tutto finora.

"Tu sei qui ... con me." lui chiarì lentamente, spostandosi i capelli in un gesto di nervosismo. "Passato molto penoso. Ma tu … così deliziosa."

"Oh." sospirò lei, sentendosi il cuore batterle nel petto come un tamburo.

"Io lo dirò. " lui tacque, inghiottendo. "Giuro."

"Okay." concesse lei, con il cuore che le doleva sentendolo parlare del suo doloroso passato. Le sembrò così ingiusto che un animo così gentile avesse sofferto così tanto. E, per qualche motivo, lei sentì l'insopprimibile impulso di toccarlo, mentre lui distoglieva di nuovo lo sguardo.

Delicatamente, mise una mano sopra quella di lui, appoggiata sulla gamba ricoperta dai jeans, quasi come se stesse cercando di ammansire una rara ed esotica creatura. Lui fissò la mano di lei per un momento, e lei lo sentì irrigidirsi accanto a lei, ma poi con delicatezza lui girò la mano fino a che i loro palmi non si toccarono.

Lei trattenne il fiato al contatto, alla sensazione della sua pelle calda contro la sua, proprio come la sera precedente. Tutto dipendeva da lei, lo sapeva. La mano di lui rimase sotto la sua, come una domanda senza risposta, eppure lei capì che lui non avrebbe fatto pressioni, non questa volta. Esitante, lei intrecciò le dita con quelle di lui, fino a quando le loro mani serrate diventarono una cosa sola.

"Io … promesso." spiegò lui gentilmente. "Solo guardare.… te. Non toccare."

Lei divenne consapevole del suo stesso respiro, di come si sollevava il suo petto mentre fissava le loro mani unite. "E' tutto a posto, David" lo incoraggiò, stringendogli la mano. "Io voglio di più."

Lui si girò verso di lei, sorpreso, appoggiando la testa su una spalla come per studiarla. Lei avrebbe voluto conoscere i pensieri di lui, leggere le sue espressioni - ma la maschera lo rendeva impassibile come una statua.

Titubante, sollevò l'altra mano verso il suo viso e lui si scostò in fretta. Qualcosa di quel momento aveva un'ossessionante familiarità, come se fosse già successo, qualcosa che era nel loro passato e non nel presente.

"Io voglio sentirti." disse lei col fiato corto, quasi un gemito che le fuoriuscì dalle labbra come corrente elettrica.

Lui scosse forte la testa, sottraendo la sua mano da quella di lei, allontanandosi da lei. "No, Liz." La sua risposta era sorprendentemente ferma, qualcosa di definitivo.

"Tu non vuoi sentire me?" chiese lei con voce rotta dall'emozione.

"Più di quanto," lui inghiottì visibilmente "tu puoi sapere"

Di nuovo, lei sollevò lentamente una mano verso il viso di lui e lui abbassò la testa. Ma non si mosse, né cercò di spostarsi. Con delicatezza, lei gli accarezzò una guancia con la punta delle dita, sentendo il ruvido materiale sintetico sotto la mano. Scese con le dita più in basso, fino a quando non sfiorarono il collo, incontrando la pelle di lui, calda e vitale al tocco. Il collo aveva tracce di corta barba, mentre lei continuava l'esplorazione, fino a raggiungere l'incavo della gola, e sentire il battito del cuore di lui sotto le sue dita.

Il silenzio fra di loro era palpabile, mentre solo il suono dei loro respiri riempiva la stanza. Liz stava quasi per sederglisi in grembo, realizzò improvvisamente, e non se ne era neppure accorta. Lentamente, adesso, lui si voltò verso di lei e lei vide con maggiore dettaglio come il suo occhio sinistro fosse gonfio e parzialmente chiuso. Per un attimo rabbrividì, pensando a quanta parte della sua deturpazione quell’occhio rivelasse, a quanto terribili dovessero essere le lesioni sotto la maschera. Per il più breve degli attimi, la luce del fuoco brillò nell'altro occhio, illuminando frammenti di ambra e oro. Ma Liz si rifiutò di considerarlo, volendo pensare solo a David, non allo sguardo perduto del suo spettrale amore.

"Posso … toccare?" chiese lui in un sussurro, incontrando gli occhi di lei con improvviso coraggio. "Non voglio … " la sua voce sfumò e lui batté gli occhi.

"Non scapperò questa volta, David." lo incoraggiò lei e lui sollevò una mano incerta verso il viso di lei. Le accarezzò la guancia un momento, chiudendo gli occhi come per assorbirla e Liz si sentì stringere il petto all'intimità del gesto.

"Meravigliosa." disse lui in un sospiro e, in qualche modo, lei sentì il sorriso nel tono di lui. "Liz."

Lei stava letteralmente morendo dal bisogno di baciarlo, di sentire le loro labbra sfiorarsi. Eppure questa rimaneva una cosa impossibile, almeno fino a quando sarebbero arrivati al punto in cui lui avrebbe rimosso la maschera.

Gli occhi di David si aprirono lentamente, spalancandosi per chiederle "Posso … dipingerti?"

Era come se lui le avesse chiesto se poteva fare l'amore con lei, la sua domanda la fece sentire intimidita e femminile allo stesso tempo - e un forte calore le salì al viso in risposta. "Stasera?" riuscì a rispondere, inghiottendo forte.

Lui annuì, accarezzandole una guancia con il pollice. "Sul … divano." Di nuovo, le immagini che apparvero nella testa di lei avevano ben poco a che fare con la pittura e molto con la seduzione. Proprio come lui aveva sempre usato i suoi dipinti come baci di un amante, adesso il fatto che lui volesse ritrarle le sembrava un atto di vera intimità.

"Perché vuoi ritrarmi?" rise lei, sentendosi bruciare sotto le sue ferme carezze.

Gentilmente, lui abbassò la mano dalla guancia di Liz. "Sempre dipinto." inghiottì forte, giocherellando col bastone sul pavimento per un momento prima di finire la frase. "Te."

Lei sapeva che avrebbe dovuto reagire all'ammissione di lui, esserne disturbata o addirittura impaurita, ma era così innocente, che invece si sentì felice. Pensò a tutti i dipinti di lui con dentro quella donna dai capelli scuri. "Davvero?" La parola le sfuggì dalle labbra, come se fosse senza fiato e lei desiderò di poter controllare di più le sue emozioni.

"Il dipinto Ms. Parker." spiegò lui. "Altri."

"Perché io?" disse lei sorpresa, mentre lui si fissava le mani in grembo.

"Santa Fe Trend? " offrì finalmente con una morbida risata e lei seppe che lui la stava prendendo in giro.

"Ricordami di ringraziarli." rise lei.

"Gran bella foto." annuì lui. "Già detto."

"Ma non me la bevo completamente."

"No?"

"Mi hai visto in giro per la città o altro?" chiese lei, arricciando il naso in un gesto di confusione, sentendo che qualcosa di più stava succedendo tra loro in quel momento. Che c'era un segreto lì, qualcosa che lei non riusciva a decifrare.

Lui scosse la testa vigorosamente, cominciando a trafficare con il suo bastone come se volesse alzarsi.

"Eppure tu mi hai dipinta."

"Come angelo … ragazza dai capelli scuri … diversa." spiegò lui in modo oscuro. "Stasera tu."

"Oh, allora la verità salta fuori." disse lei a voce alta, in tono semiserio. "Tu hai una passione per le ragazze dai capelli scuri."

Lui si sollevò in piedi, appoggiandosi pesantemente al bastone e guardandola, e in quel momento sembrò improvvisamente fragile e stanco per un uomo così giovane. "Mai, Liz. Solo tu."

****

Lei era accoccolata su un fianco, pensierosa, mentre David la ritraeva dal suo studio, nel quale era seduto. Lui aveva acceso altre luci e lei continuava a guardarlo furtivamente, col bisogno di vederlo più chiaramente, mentre lui sedeva appoggiato in uno strano modo su uno sgabello. Era troppo lontano però, avvolto dalle luci del suo studio, e la guardava di tanto in tanto mentre lavorava.

"Mi ricordi Michael."

"Oh?" chiese lui sorpreso. "Come?"

"Be', noi facciamo questo spesso … lui dipinge e io leggo"

"Lui dipinge te?"

"Non molto." rispose lei, domandandosi ancora un volta, perché lui suonasse leggermente geloso, anche se in modo innocente. "E' più un paesaggista … con un tocco astratto."

"Credevo lui … dipingesse te." rifletté lui, tornando a guardare la tela. "Meraviglioso soggetto, Liz."

"Grazie." Lei si scostò i capelli dal viso, in un gesto inconsapevole, e decise di tenere segreta la sua storia con Michael, qualcosa che doveva ancora rimanere nascosto tra loro. Perché Michael portava dritto a Max, e lei era molto lontana dall'aprirsi ancora su di lui.

"Chiudi gli occhi." la istruì David, piano. "Dipingo te addormentata"

"Perché addormentata?"

Lui rimase in silenzio per qualche momento e lei lo osservò con gli occhi semichiusi, domandandosi se lui avrebbe risposto. "Così non guarderai … me." rispose alla fine.

"Cosa c'è di sbagliato se ti guardo?" chiese lei, con gli occhi che osservavano il suo soggiorno, i vibranti colori nelle tele appese ad ogni parete. C'era una tale energia, che permeava tutta la sua casa, eppure aveva un effetto di pace sull'anima di lei.

"Risposta facile, no?" chiese lui, grattandosi il collo con la punta del suo pennello.

"Tu colpisci molto."

"Ah, cattiva bugiarda … di nuovo." rise lui seccamente, guardando verso di lei con uno sguardo che poteva ricordare il flirt. Anche con la maschera, lei poteva riconoscere un chiaro messaggio negli occhi di lui.

"David Peyton!" gridò lei, mettendosi seduta sul divano. "Io non mento certo su una cosa del genere."

"Colpisco?" rispose lui pensoso. "Complimento?"

"Certo che è un complimento." lo prese in giro lei, maliziosa, tornando a distendersi sugli spessi cuscini del divano di lui. "Non riesco a toglierti gli occhi di dosso."

"Tutti e due noi … allora." tossì, ancora una volta timido con lei. "Tu meravigliosa, arrossisci."

A quelle parole, lei si sentì l'intero viso andare in fiamme, e quindi si riadagiò nella precedente posizione. "Penso che chiuderò gli occhi." disse con voce malferma.

"Dolci sogni, Liz."

E con quella benedizione, lei si smarrì nella sua musica, mentre Frank Sinatra tesseva una ragnatela intorno ai suoi pensieri, romantica e avvolgente. Il suo ultimo pensiero fu di quanto si sentisse rilassata, come se fosse di nuovo a casa dopo lungo tempo, distesa lì sul divano di David, mentre lui dipingeva.


****


Stava correndo, senza fiato e all'impazzata tra gli alti fiori rossi. Erano così alti che le arrivavano alla coscia, mentre lei faceva scorrere le dita sopra i boccioli vellutati. Rise forte, una risata argentina che sembrava scaturirle dal petto come uno zampillo. Ancora e ancora, mentre sentiva qualcuno correrle dietro.

"Lizzie." la chiamò suo padre e lei rise di nuovo, libera e felice. Come non si era sentita per molto tempo.

"Prendimi, papà" gridò, sgattaiolando tra le onde rosse dei fiori.

"Attenta, Lizzie!" rise lui, affrettandosi dietro di lei. "Non lasciare il sentiero."

Lei gridò, mentre lui la raggiungeva, prendendola tra le sue forti braccia. "Papà!"

"Ti ho preso, bambina."

Poi la scena cambio, luccicando come un'immagine riflessa in uno stagno, allargandosi in onde concentriche, spezzandosi. Modificandosi.

Improvvisamente, Max era lì, senza fiato, che la rincorreva, mentre lei correva attraverso le vaste di onde di rosso. Lei indossava un lungo vestito bianco, che le arrivava fino alle caviglie. "Prendimi." lo stuzzicò lei, con uno sguardo promettente da dietro la spalla, mentre lui le correva dietro attraverso una massa di fiori rossi, che lei non aveva mai visto. Boccioli di un altro pianeta, pieni e scintillanti.

"Sì, mia signora." rispose lui, prendendola per la vita e facendola girare fino a prenderla tra le braccia. "E così ti ho preso, principessa."

"Regina, grazie tante." lo corresse lei senza fiato, mentre lui le faceva scivolare le mani sulla schiena, portandola tutta contro il suo corpo.

"Non ancora."

"Presto."

"Oh, presto, dolcezza." Lui la depose lentamente sul campo di fiori, così che lei restasse sdraiata sulla schiena, con lo sguardo rivolto verso gli occhi di lui, brillanti e dorati, mentre lui si lasciava cadere sul terreno accanto a lei. Sopra di loro si stendeva un cielo rosato, familiare e allo stesse tempo alieno. Lungo la linea dell'orizzonte, lei intravide le due lune che sorgevano.

Lei gli posò la mano sulla guancia. "E' reale tutto questo, Max?"

Lui batté gli occhi un momento, accarezzandole i capelli per tutta la lunghezza. "Nei miei sogni, è sempre stato reale."

"Ma io non sono sveglia, vero?"

"No, tesoro."

"Oh." rispose lei, triste mentre lui si accoccolava al suo fianco nel campo, appoggiandosi su un gomito mentre abbassava lo sguardo su di lei. Indossava uno strano abbigliamento, pantaloni di pelle e una camicia bianca, aperta così che lei poteva intravedere il suo petto abbronzato.

"I sogni sono perfetti, vero?" sussurrò lei con meraviglia.

"E' questo che li rende sogni." rispose lui con un sorriso da ragazzino, con le fossette che apparivano sulle guance.

Lei si girò intorno per guardare il campo pieno di vibranti fiori rossi. "Tu hai dipinto questa scena, vero?"

"Cosa?"

"Ho visto il dipinto nel tuo studio l'altra sera."

Lui la guardò con aria confusa, sbattendo le lunghe ciglia, inconsciamente seducente.

"Non provarci neppure, Evans." lo avvertì lei con un sorriso diabolico.

"Cosa?" disse lui, fingendo innocenza, passandosi le dita tra i capelli.

"Lo sai l'effetto che i tuoi occhi hanno sulla mia anima."

Lui abbassò la testa, catturandole le labbra per un tenero bacio. Per un lungo momento, le loro labbra rimasero unite, mentre Liz faceva scorrere le dita tra gli scuri capelli di lui, accarezzandogli il collo. "E anche i baci." mormorò alla fine contro la sua guancia.

Lui rise, un suono gentile, mentre si chinava a guardarla. "Ho sognato questo per così tanto tempo. Era l'unica cosa che mi teneva vivo, sognare di tenerti così, tra la mie braccia."

"Su Antar?"

"Sì, su Antar."

"Ma il sogno è cominciato." lei esitò, insicura. "Be', come un ricordo. Ed è quello che il quadro sembra essere."

"Un tuo ricordo, sì… l'ho visto una volta. In un flash mentre ci baciavamo." Lui si lasciò cadere sulla schiena, fissando le nuvole che si muovevano veloci, come in quadro surreale. "Non sono stupefacenti?" chiese, appoggiando pigramente la testa sul braccio. "Quante volte ho visto queste nuvole e ho cercato di immaginarmi le tue reazioni. Che cosa ne avresti pensato, cosa avresti pensato delle lune qui, delle stelle."

Liz appoggiò la testa sulla spalla di lui, e improvvisamente erano di nuovo bambini, sdraiati sulla schiena, a fissare il cielo lassù, sognando.

"Meraviglioso" disse lei senza fiato, appoggiandogli una mano sul viso. "Assolutamente meraviglioso"

****

Liz lottò contro il bisogno di svegliarsi, mentre diventava sempre più conscia di un rumore, un suono ritmico che sentiva echeggiare anche nel suo sogno. Era come il battere di un tamburo, ancora e ancora, sordo e ripetitivo. Per un attimo, poté giurare di sentire delle voci intorno a lei, ma questo non fece altro che farla rilassare ancora di più nel suo stato inconscio. Maria … Michael … i suoi genitori. Le loro voci rimbombarono nel sonno pesante. Ma lei non era certa di cosa si stessero dicendo. Isabel? Liz giurò di sentire anche la sua voce soffocata.

Poi il suono ricominciò, forte, insistente e ritmico, e Liz aprì lentamente un occhio. Il mondo le sembrò per un attimo girare attorno, lasciandola sconcertata, fino a quando lei riconobbe il suono come qualcuno che bussava alla sua porta.

La sua camera era illuminata dalla luce del mattino, e mentre si girava su un fianco con un gemito, vide che erano le 11 passate. Michael, pensò lei, mettendo i piedi a terra. Solo Michael si sarebbe arrischiato a bussare così forte alla sua porta di domenica mattina.

Il che significava una sola cosa. Caffè e brioche pensò lei, in un impeto di contentezza, mentre apriva la porta.

****

Michael era disteso sul sofà, la testa appoggiata sul cuscino. Le aveva messo i piedi, ancora con i calzini, in grembo e ora, mentre parlavano, Liz glieli strofinava con aria assente, massaggiandogli le piante dei piedi proprio come piaceva a lui.

Era un rito per loro, uno nel quale si erano adagiati per tutte le domeniche mattina degli ultimi anni. Più tardi avrebbero fatto un giro per il mercato di antiquariato della la strada principale, sebbene Liz raramente trovasse qualcosa che meritasse l'acquisto. In realtà, era più per passare un po' di tempo insieme - questo, e anche la caccia al tesoro, dalla quale lei era dipendente, sin da quando avevano trovato un dipinto rococò al mercato delle pulci, l'ultimo anno di università. Quei facili 6.000 dollari, avuti da Sotheby, avevano solleticato il suo istinto di ricerca come null'altro. Così, adesso, Michael veniva con lei, di solito per tenerle compagnia.

"Dimmi tutto." la incalzò lui, sembrando sinistramente come una sua migliore amica, pensò Liz con una risata. Stava riferendosi al suo appuntamento con David Peyton di due sere prima, e lei si astenne dal chiarire che, in effetti, lei lo aveva visto già due volte.

"Certo, Maria."

"Cosa?" gridò lui, subito sulla difensiva.

"Dimmi tutto. " lo motteggiò lei, strofinando i suoi piedi affettuosamente. "Sei così buffo, Michael."

"Era un appuntamento, vero?" domandò lui, scontroso.

"Sì, Michael." ammise lei con un sorriso riluttante.

"A maggior ragione dovrei sapere tutto. Spero che tu lo abbia odiato."

Lei esitò un momento, guardando i suoi piedi, e poi ammise piano. "No."

"Beh, allora com'era?" la sua voce suonava incredibilmente vulnerabile e a Liz si strinse il cuore.

"Michael, ascolta." cominciò lei, stringendogli i piedi in grembo. "Non è questa gran cosa."

"E' una gran cosa, Liz." ribattè lui piano. "Io so adesso che nulla ci potrà mai essere tra noi. Voglio dire, lo so dall'altra notte. Voglio solo che tu sia felice."

"E questo che c'entra con David?"

"Il modo in cui reagisci a lui, Liz." sospirò Michael, scostandosi i capelli che gli ricadevano sugli occhi. "E' incredibile."

"E' una persona molto particolare, Michael." rispose lei, ignorando le implicazioni della frase di lui. Questo non era un argomento che volesse discutere con Michael, almeno non ancora, non quando sapeva benissimo come dovesse essere ancora molto sensibile dalla loro discussione di qualche sera prima.

"Particolare come?"

"Indossa un protesi facciale."

Michael si accigliò, le sopracciglia che formavano un'unica linea. "Che diavolo sarebbe?"

"E' … è come una maschera." rispose lei, sentendosi immediatamente protettiva verso David. "Credo che lui … be', ha il viso terribilmente sfigurato da qualcosa che gli è successo. Voglio dire, hai visto che usa il bastone."

"Accidenti, Liz, questo tizio diventa sempre più strano."

"Non è strano, Michael." ribattè lei per difenderlo. "Insomma, è difficile da spiegare, ma lui è incredibilmente … gentile. Divertente, persino. Pieno di talento. Tutte queste cose insieme."

Lei guardò Michael e lo vide a bocca aperta per la sorpresa. "Cosa c’è?" chiese Liz.

"Ti stai innamorando di lui." disse lui a voce bassa, gli occhi pieni di incredulità.


"Oh, no, non è vero." ribattè lei scrollando gli occhi. "Lo conosco appena."


Lui scosse la testa lentamente, rimanendo sdraiato sul divano e scrutandola. "Tu e Max vi conoscevate appena, all'inizio."

"Non è la stessa cosa." dissentì lei, prendendo un sorso di caffè ed evitando il suo sguardo acuto.

"Non è mai lo stesso." disse Michael con un sospiro di frustrazione. "David Peyton sta cominciando ad avere il suo effetto su di te."

"Non mi prenderò neanche la briga di fare commenti." sbuffò lei, cercando nella busta scura la sua brioche alla marmellata.

"Bene."

"Bene." disse lei storcendo il naso.

"E che ne pensa di me che vengo a New York con te?" la incalzò lui improvvisamente. "Il tuo migliore amico, che guarda un po', è maschio?"

Lei gli fece gli occhiacci, con l'espressione più minacciosa che riuscisse a fare. Eppure, lui cominciò a ridere senza ritegno.

"Sì, lo pensavo," sbuffò. "Era verde di gelosia,"

"Che stai cercando di dirmi?"

"Chimica, tesoro."

"Grazie per la lezione di scienza." sbottò Liz, sbattendo i piedi di lui per terra.

"Almeno spiega un altro mistero che mi ha afflitto." rifletté Michael, sedendosi sul divano per prendere il bicchiere del caffè.

"Che sarebbe?"

"I flash che ho visto da te durante quello stupido bacio." Liz sobbalzò perché, per quanto male fosse andata la cosa, non avrebbe mai voluto che lui la pensasse come stupida. Stranamente, pur con la tutta la goffaggine e l'impossibilità di un reale sviluppo, era stato incredibilmente dolce per lei, un prezioso ricordo.

"Michael, il bacio non era stupido."

Lui la ignorò e continuò a spiegare. "Ho visto Max quando ci siamo baciati, Liz, come hai fatto tu. Ma non solo quello."

"Cos'altro?" chiese lei con voce tremula. Cosa poteva aver intravisto Michael in quel breve momento di intimità?

"Tu eri nella tua camera che dormivi e qualcuno si è avvicinato al tuo letto."

"Cosa?"

"Pensavo che fosse Future Max … sai i capelli neri lunghi e il resto. Solo adesso capisco." rifletté lui, come pensando a voce alta. "Il tizio non aveva una faccia … o almeno io non potevo vederla."

"Non aveva la faccia?"

"Era come se fosse fatto di … nulla." aggiunse lui. "Come se avesse una specie di maschera."

"Hai visto David Peyton dentro la mia testa." mormorò lei meravigliata.

"No Liz non dentro alla tua testa." disse lui gentilmente, non d'accordo con lei. "Dentro alla tua anima."

Liz rabbrividì, perché questo significava che in qualche modo, il timido, elusivo David Peyton era già entrato nell'intimo santuario che lei aveva riservato solo a Max - e questo ancora prima che potessero incontrarsi o sfiorarsi.

Evidentemente, i suoi sentimenti erano ancora più in pericolo di quanto pensasse.

 

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Capitolo 14
*** 14 ***


Parte Quattordici



Il sogno

Per nessun altro, amore, avrei spezzato
questo beato sogno.
Buon tema per la ragione,
troppo forte per la fantasia.
Sei stata saggia a svegliarmi. E tuttavia
tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi.
Tu così vera che pensarti basta
per fare veri i sogni e storia le favole.
Entra tra queste braccia. Se ti sembrò
più giusto per me non sognare tutto il sogno,
ora viviamo il resto.

Come un lampo o un bagliore di candela
i tuoi occhi, non già il rumore, mi destarono.
Così (poichè tu ami il vero)
io ti credetti sulle prime un angelo.
Ma quando vidi che mi vedevi in cuore,
che conoscevi i miei pensieri meglio di un angelo,
quando interpretasti il sogno, sapendo
che la troppa gioia mi avrebbe destato
e venesti, devo confessare
che sarebbe stato sacrilegio crederti altro da te.

Il venire, il restare ti rivelò: tu sola.
Ma ora che ti allontani
dubito che tu non sia più tu.
Debole quell'amore di cui più forte è la paura,
e non è tutto spirito limpido e valoroso
se è misto di timore, di pudore, di onore.
Forse, come le torce
sono prima accese e poi spente, così tu fai con me.
Venisti per accendermi, vai per venire. E io
sognerò nuovamente
quella speranza, ma per non morire.

John Donne




New York riempiva tutti i sensi di Liz. Era facile dimenticare l'impatto profondo che produceva, come gli odori del caffè e dei pasticcini fuoriuscissero dai locali e si mischiassero ai gas di scarico degli autobus. Santa Fe era una città fresca, l'aria frizzante, eppure Liz non avrebbe sostituito gli aromi di New York per nulla al mondo – ne era totalmente dipendente.

I rumori dei clacson e delle sirene, che urlavano nella notte, la mantenevano viva, facendole scorrere più in fretta il sangue nelle vene. Lo aveva dimenticato. Ma adesso, mentre faticava a tenere il passo di Michael, che con le sue lunghe gambe percorreva Lexington Avenue, prese lunghe boccate d'aria e sorrise. E ricordò che questa era la sua città.

"Michael, rallenta un attimo." chiese, afferrandolo per un braccio. Lui la guardò sorpreso, totalmente inconsapevole di averla lasciata indietro, nel mucchio di persone che si spostavano per la via.

"Scusa." mormorò. Lo faceva sempre quando erano in città. Il suo passo aumentava, diventava più vivace e Liz doveva quasi inseguirlo. Il che all'inizio poteva andare bene, ma poi i piedi cominciavano a farle male.

Lui le sorrise e lei lo prese a braccetto, mentre rallentavano l'andatura. "Voglio solo godermi tutto quanto per qualche minuto." spiegò lei e lui annuì, strizzando gli occhi mentre fissava il cielo plumbeo sopra di loro.

"Nevicherà." annunciò, mentre si spostavano di lato, permettendo ad una coppia di uomini d'affari di superarli.

"Non prenderà, però."

"No, il ragazzo alla reception ha detto che si aspetta 10 centimetri, questo pomeriggio."

Si infilarono sotto ad un'impalcatura, poi videro la familiare porta girevole del loro albergo, quello dove Liz si fermava sempre, proprio sulla Lexington.

La gola le si strinse nervosamente e lasciò il braccio di Michael, mentre lui entrava dalla porta, pregando che non si arrabbiasse con lei. Liz lo seguì e, appena giunse nella hall, il suo sguardo cadde su Maria, in piedi nel mezzo della sala.

Michael non l'aveva ancora vista, sebbene Maria lo avesse visto chiaramente fissandolo, gli occhi della ragazza si riempirono di indescrivibili emozioni. Infatti, Liz dovette sorridere, perché Maria non si era ancora accorta di lei, tanto era presa dall'apparizione di Michael nell'ingresso.

Dopo tutto, due anni sono un periodo molto lungo quando tu ami ancora qualcuno.

E Michael si fermò di botto, mormorando "Oh mer*da." a voce bassissima.

Liz lo guardò e, per un momento, il suo cuore ne ebbe pietà, perché gli occhi scuri di lui erano così pieni di panico, di improvvisa ansietà. Liz si preoccupò che lui potesse veramente girare sui tacchi e lasciare l'albergo senza una parola.

"Che bel modo di salutare una ragazza, Guerin." rise Maria e avvolse Liz in uno stretto abbraccio, esclamando "Tesoro!" Strizzò Liz tra le sue braccia per un lungo momento e Liz sentì le lacrime salirle agli occhi, mentre il familiare profumo di Maria la inondava, catapultandola indietro nel tempo, attraverso decadi, addirittura.

"Così sei riuscita a portarti dietro il vecchio lumacone." scherzò Maria, lasciandola andare e rivolgendosi verso Michael, che stava cercando a malapena di darsi un contegno.

Per un momento, rimasero in piedi a fissarsi, fino a quando Michael non si avvicinò esitante a Maria, prendendola piano tra le braccia.

"Non ti aspettavi di trovarmi, eh?" lo prese in giro lei, passandogli le braccia intorno al collo.

"Liz mi aveva promesso di non farlo."

"Ora, questo non è del tutto vero." rise Liz e Maria alzò gli occhi al soffitto.

"Veramente, credo di sì." rise Maria, mentre con lo sguardo esaminava l'abbigliamento di Liz. Fischiò con approvazione. "Sei una bellezza, mia cara!" dichiarò e Liz si illuminò davanti all'amica. Maria aveva ormai un occhio incredibile per la moda, dopo così tanti anni a New York, e Liz qualche volta si sentiva come se arrivasse dal paesino, nonostante i sofisticati ambienti in cui si muoveva a Santa Fe.

"Anche tu stai benissimo, Maria." disse lei, fissando Michael con uno sguardo significativo. "Non è vero, Michael?"

"Certo … benissimo." mormorò lui quasi sognante, e per la prima volta, Liz notò che stava arrossendo mentre si dirigevano verso il ristorante.


****

"Già, beh, si è innamorata del fantasma dell'opera." grugnì Michael, prendendo l'insalata con la forchetta.

"Il musical?" chiese Maria, con uno sguardo di confusione.

"Il tizio." spiegò Michael, sollevando lo sguardo su Maria. "Vive a Santa Fe, travestito da pittore."

"Ne sembri davvero felice." osservò Maria, sollevando un sopracciglio perplessa.

"Non è il fantasma dell'opera." sbottò Liz, facendo gli occhiacci a Michael. Non capiva perché fosse ricaduto nel suo peggior atteggiamento, quello che più le dava fastidio, adesso che Maria era con loro.

"Parlami di lui." la incoraggiò Maria, sorseggiando piano la sua acqua fredda. Liz sorrise, perché per qualche ragione, Maria le sembrò incredibilmente bella, più di quanto ricordasse. Maria sollevò lo sguardo e la trovò a fissarla. "Che c'è?" rise sentendosi imbarazzata.

"Sei così bella, Maria." rispose Liz con un caldo sorriso. "Ogni tanto me lo dimentico, quando siamo lontane. Hai un aspetto meraviglioso."

Maria allungò la mano sul tavolo e la mise su quella della sua amica. "Anche tu mi sei mancata, Lizzie."

Liz si sentì stringere la gola, perché improvvisamente le sembrò che fosse passato un tempo lunghissimo dall'ultima volta che aveva visto Maria, come se non dovesse rivederla mai più, addirittura.

"Allora, vuoi parlarmi di questo pittore, o che?" rise Maria, lanciando uno sguardo di incoraggiamento verso Michael.

Michael si strinse nelle spalle. "Non guardare me."

"Be', il suo nome è David Peyton, ed è davvero incredibile. Così pieno di talento e … " Liz rifletté un momento su quale fosse il modo giusto per descriverlo. "E' un meraviglioso enigma. Non so se riesco a spiegarlo."

"La metterò giù un po' più chiaramente." offrì Michael in tono irritato, finalmente guardando Maria. "Le lascia i quadri sulla porta nel bel mezzo della notte, è zoppo e indossa una specie di strana maschera per coprirsi la faccia."

Liz pensò di poter fisicamente colpire Michael, tanto si sentì arrabbiata con lui. Si girò verso l'amico, sibilando "Grazie, Michael."

"Non c'è di che."

Liz sollevò gli occhi al cielo e poi guardò Maria che assisteva alla scena con un'aria di confusa simpatia. "Michael sta facendo lo stronzo perché ci sono io, Liz. Puoi riservarmi i dettagli a dopo, quando lo spediremo a disfare i bagagli."

"Ehi, mica una cattiva idea." approvò Michael in tono agrodolce.

"E allora vattene!" urlò Liz, colpendolo su un braccio. "Dio, perché ti comporti così? Lo so che volevi vedere Maria." sbottò Liz arrabbiata. "Penserà che sei sempre il solito stronzo."

"No, Liz, Maria sa che sono sempre il solito stronzo." disse lui, gettando il tovagliolo sul tavolo e spingendo indietro la sedia. "Chiediglielo."

"Solo quando ci sono io, Guerin." dissentì Maria.

Liz piantò i gomiti sul tavolo, gemendo con la faccia tra le mani. "Per favore, io volevo solo stare con i miei due migliori amici. Volevo una piccola riunione felice. E' chiedere troppo?"

"A quanto pare." osservò Maria, gettandosi i lunghi capelli biondi oltre le spalle.

"Che vi è successo ragazzi?" chiese Liz improvvisamente, guardando Maria. "Sono stanca di tutto questo e voglio sapere cos'è andato storto tra voi due."

Il silenzio cadde sopra la tavola, mentre Michael si agitava sulla sedia, chiaramente a disagio, ancora pronto ad andarsene, sebbene un po' esitante, mentre la domanda rimaneva sospesa nell'aria.

"Allora?" sollecitò ancora Liz, spostando lo sguardo da uno all'altro.

"Lui non te l'ha mai detto?"

"No, Maria, nessuno di voi mi ha mai detto cos'è successo quando sei venuta a Santa Fe." rispose Liz frustrata. "Ed è tempo che lo facciate."

"Lei mi ha chiesto di sposarlo." rispose Michael con semplicità, guardando Maria con un'infinita tristezza negli occhi. "Di avere un figlio con lei."

Liz inghiottì forte, incredula, mentre i due continuavano a guardarsi, comunicandosi qualcosa in quel malinconico silenzio. "Scusa?" riuscì finalmente a dire Liz, non del tutto certa di aver udito Michael correttamente.

"Lo hai sentito." rispose Maria, ancora fissando Michael.

"Io ho risposto no." spiegò lui a voce bassa, scostandosi i capelli dal viso.

Maria rise ironicamente, abbassando lo sguardo verso il piatto. "Non così elegantemente, devo aggiungere. Era più del tipo 'perché diavolo dovrei farlo?'"

"Perché diavolo avrei dovuto farlo?" gridò Michael, la sua voce un po' tropo alta per il ristorante.

"Perché mi amavi, stupido." sbottò Maria, con gli occhi pieni di lacrime. "Tu me l'avevi appena detto, ti ricordi?"

"Maria, non sapevo nulla di tutto questo." mormorò Liz, a mezza voce, prendendole la mano.

"Già, beh, i dettagli erano troppo mortificanti perché avessi voglia di parlarne." sospirò Maria piano, fissando il suo piatto. "Come puoi immaginare."

Michael si chinò sul il tavolo, gli occhi fissi su Maria. "Non so neppure se posso avere figli, Maria." sussurrò, guardandosi intorno nervosamente mentre si chinava verso di lei. "Specialmente non del genere che vuoi tu." aggiunse piano, sul viso una chiara espressione di rimpianto. "Perché avrei dovuto mentire su questo?"

"Conoscevo i rischi, Michael … di chi sei. Di cosa sei. Io volevo solo provare." mormorò Maria, con gli occhi pieni di lacrime. "E non con chiunque. Con te."

Michael si appoggiò indietro sulla sedia, con le braccia conserte. "Tu mi volevi semplicemente qui, a giocare il giochetto di New York.”

"Questo non è vero." dissentì Maria, con voce spessa, e bevve un lungo sorso d'acqua. "E tu lo sai, Michael."

"Che differenza fa?" borbottò lui, guardandosi intorno come in cerca di una via di fuga. Eppure rimase seduto, e Liz capì che perlomeno era un buon segno.

"Oh, sapete cosa?" Liz li interruppe improvvisamente, dandosi un gran da fare a guardare l'orologio. "Io ho dimenticato totalmente che devo essere in centro tra poco."

"Liz." Maria la pregò con gli occhi. "Non andare."

"No, davvero, dico sul serio." spiegò lei, spingendo indietro la sedia e alzandosi in piedi. "Me ne sono totalmente dimenticata!" Rise nervosamente, scostandosi i capelli dagli occhi, mentre Michael guardava verso di lei con uno sguardo di puro panico.

"Sarò di ritorno tra tre ore." spiegò e si chinò a dargli un bacio sulla guancia. "Non scappare." gli ordinò in un sussurro, a voce bassa, in modo che Maria non potesse sentire. "Stai qui e risolvi con lei."

Quindi, si girò verso Maria e l'abbracciò forte. "Adesso, mia cara, voglio rivederti questa sera per un drink al Monkey Bar, okay?"

Maria si asciugò gli occhi, ancora pieni di lacrime ed annuì, baciandola sulla guancia. "18 in punto."

"Ci vediamo dopo." promise Liz, andandosene in fretta con un sorriso di trionfo sul viso. Anche se era stato doloroso, era certa che, per la prima volta negli ultimi due anni avessero fatto dei progressi.


*****


Liz si meravigliò della sottile patina di neve che si era già accumulata sui marciapiedi di Manhattan durante il loro breve spuntino. Le rendeva un po' scivoloso camminare sugli stivali e diverse volte sentì il marciapiede sfuggirle da sotto i piedi. La neve cadeva a terra in grossi fiocchi, finendo negli occhi di Liz e quasi accecandola e lei desiderò di essersi portata dietro l'ombrello, come gran parte degli uomini d'affari che camminavano svelti dietro di lei, avevano fatto.

La verità era che lei non aveva nessun appuntamento quel pomeriggio – aveva posticipato tutto per avere del tempo da passare con Maria e Michael, e aveva pensato di andare in giro per compere, se la cosa fosse stata un totale fallimento. Sorrise tra sé e sé, stringendosi il cappotto addosso e pensò che, per quanto strano potesse sembrare, lasciarli da soli era stata la cosa giusta da fare. Sebbene non l'avessero ancora capito, Liz era convinta che avessero raggiunto una specie di tregua durante il breve pranzo.

Si fermò un attimo a guardare la vetrina di un negozio di articoli regalo e si trovò immediatamente a pensare a David, a quale ingenuo dono avrebbe potuto portare indietro per lui. Lui era sempre nei suoi pensieri, già da prima che lasciasse Santa Fe. Si erano già scambiati qualche email e ognuno dei messaggi di lui l'aveva lasciata più felice e confusa del precedente. Una cosa si poteva tranquillamente dire di David Peyton – il cuore di un poeta batteva nel suo petto, tanto che ognuna delle sue corte lettere era piena di romantiche promesse, che la lasciavano imbarazzata ed eccitata.

Liz rabbrividì leggermente, e non a causa del vento tagliente, mentre scendeva verso Times Square. Osservò l'incrocio che tra la Broadway e la Settima, domandandosi dove avrebbe potuto dirigersi. Improvvisamente, l'idea di un bicchiere di vino al Marriot le sembrò calda e invitante, e diede un'occhiata veloce al semaforo appena scattato, lanciandosi sulla strada scivolosa.

Prima che potesse battere gli occhi, o capire cosa stava succedendo, si trovò a volare in aria, sbattuta violentemente, mentre la sua borsa le cadeva di mano. Quella era l'ultima cosa che poté ricordare di aver notato – il modo il cui i fogli di carta cadevano attraverso il vento come particelle di polvere, mischiati alla neve che cadeva tutto intorno – mentre ripiombava dolorosamente sul cofano di un taxi.

Non poteva muoversi né parlare. Poteva solo rimanere lì in silenzio, sulla schiena, guardando il cielo, bianco di fiocchi che fluttuavano lenti. La testa batté contro il parabrezza con un terribile rumore, e Liz fu sicura di averlo frantumato. Ma perché le sembrava di non potersi più muovere?

Il momento parve durare per sempre, mentre giaceva rivolta verso il cielo, e i suoi pensieri tornarono al passato. Una veloce ridda di immagini le apparve alla mente, continuamente punteggiata da Max che si inginocchiava sul suo corpo morente al Crashdown. Devi guardarmi … devi guardarmi … devi guardarmi.

Udì voci tutto intorno, urla e pianti, alcuni familiari come il battito del suo stesso cuore, altri sconosciuti. Udì le urla acute del conducente del taxi, e lo guardò sollevare le braccia come un pazzo. Eppure lei restava immobile e paralizzata.

Fino a quando Max apparve, facendosi strada con determinazione, tra la folla che si era raccolta.

"Max." riuscì a sussurrare lei, sebbene la mascella le dolesse tremendamente, impedendogli di pronunciare bene il suo nome. Pensò a David allora, al dolore con il quale viveva costantemente.

"Sono qui, Liz." la rassicurò Max, salendo sul cofano del taxi con lei. "Sono qui, tesoro."

Lei annuì dolorosamente, mentre lui le circondava il viso con le mani. "E' tutto a posto, Liz. Sono qui." Continuò a ripetere quelle parole e la sua voce scacciò la paura che, senza che lei se fosse resa conto, le permeava tutti i pensieri.

"Aiutami." fu tutto quello che riuscì a dire, semi soffocata, mentre i loro sguardi si incontravano.

"Devi guardarmi, Liz." le ricordò lui con gentilezza. "Proprio come allora. Guardami."

Lui fece scivolare una mano calda sotto il suo maglione, mettendola aperta proprio sopra il suo cuore, mentre le sollevava la testa con l'altra mano. Vagamente, come attraverso una spessa foschia, lei si domandò come lui potesse essere così coraggioso, così noncurante della gente che si era raccolta lì intorno.

"Stai attento." mormorò con voce spessa, sentendosi la bocca piena di cotone.

"Va tutto bene, Liz, loro non sono neppure qui."

Lei annuì di nuovo in silenzio, meravigliandosi che le sue parole avesse un tale perfetto senso, mentre sentiva una bruciante sensazione eromperle dal petto. "Ma io ti sto risanando, Liz. Per favore, accettalo."

E, allora, sentì l'energia di lui risalire lungo il suo corpo, la sua testa, il suo petto. Scese fino alla punta delle sue dita, facendola tremare. "Come?" sussurrò lei roca, mentre lui le dava un bacio leggero sulla tempia.

"Attraverso il tuo sogno, Liz." le spiegò, scostandole i capelli dagli occhi. La forza di lui emanava attraverso tutto il corpo di lei e Liz tremò contro di lui, mentre lui l'aiutata a tirarsi su lentamente.

"Meglio?" chiese piano, con il palmo ancora caldo contro il suo petto e poi, scostando piano la mano, le dita di lui sfiorarono appena il reggiseno.

Lei annuì, guardandolo fisso negli occhi. "Cosa è successo, Max?" chiese ancora molto confusa. Intorno a loro, sul marciapiede, c'era molta gente, eppure nessuno cercò di parlarle.

"Vieni con me." la incalzò lui, prendendole la mano, portandola via da lì. "Ignorali e vieni con me."

La condusse silenziosamente attraverso la neve, ormai una soffice coperta sui marciapiedi, e continuò a guidarla, portandola via dalla scena dell'incidente.

"Max?"

"Seguimi." ripeté lui, girandosi a guardarla con un'occhiata rassicurante. Max le aveva sempre dato sicurezza, come adesso, pensò lei mentre lui la guidava giù per le strade, fino a quando arrivarono al Rockfeller Center.

"Volevo vedere di nuovo questo." disse Max con un grande sorriso, mentre l'anello di ghiaccio apparve sotto di loro, con dozzine di pattinatori che danzavano sotto la neve. "Mentre parliamo." Si appoggiò alla balaustra, fissando il mondo di ghiaccio sotto di loro.

"Di cosa, Max?" chiese Liz, girandosi a guardarlo sorpresa. Per qualche motivo, l'intera bizzarra odissea aveva qualche significato. L'incidente col taxi, lui che la guariva, e ora loro due alla pista di pattinaggio.

"Di te, Liz." rispose lui a voce bassa, mettendo la mano guantata di lei nella sua. "Della tua vita." Lui le strinse forte la mano e Liz sollevò lo sguardo verso di lui, e vide i suoi occhi dorati brillare d'emozione.


"E' qui, Liz." spiegò lui con sorprendente fermezza. "E' qui dove tutto finisce, tesoro."

"Dove finisce cosa?" domandò lei, arricciando il naso confusa.

"Tu ti devi svegliare adesso."

"No." dissentì Lei, guardandosi intorno. "No, non devo."

"Tu stai morendo, Liz. Se avrai un altro arresto cardiaco, non ti salveranno di nuovo."

"Cosa?" gridò lei in preda alla confusione, ma incontrò gli occhi caldi e ambrati di lui, pieni di compassione.

"Liz, sei stata incosciente per 38 giorni, è quasi troppo tardi."

"Dio, Max, sei impazzito!" lei cominciò a ridere, strofinando le mani di lui tra le sue mani guantate. "Non è così."

"Liz, non capisci?" insistette lui con gentilezza, ma il suo sguardo rimase serio e pieno di significato. "Sei in coma. Sei stata investita da un taxi 38 giorni fa … e ancora non ti sei risvegliata."

"No, ascolta, ti sbagli, Max." rise lei stranita, guardandosi intorno per cercare di capire. "Io ho fatto dei sogni su di te, ultimamente, ma questo è tutto."

"Non ti vuoi risvegliare perché non riesci a lasciarmi andare." continuò. "Tu devi permetterti di vivere."

Lei scosse la testa con forza, pensando, per qualche motivo, a Future Max. A tutto quello che lui, una volta, le aveva chiesto di sacrificare. "Non lo farò." annunciò. Perché improvvisamente capiva, sapeva che aveva avuto di nuovo Max, per tutte quelle lunghe settimane passate a fare vividi sogni. "Non rinuncerò a te."

"Io sono morto, Liz." sussurrò lui, circondandole il viso con le mani. "Questa versione di me è morta 8 anni fa. Tu l'hai sempre saputo."

Le lacrime la accecarono. "Cosa stai cercando di farmi, Max?.” Il cuore le doleva di una pena indicibile.

"Di aiutarti a lasciarmi andare. E' questo che ho cercato di fare per tutto il tempo."

"Non posso" disse lei contrariata, scuotendo forte la testa. "Non lo farò."

"Liz, se tu non scegli di vivere, morirai in questo ospedale" disse lui a voce ferma, avvicinando il viso al suo. "Tu morirai e io non potrò mai più averti con me."

"Ma tu sei già morto, me lo hai appena detto tu stesso." offrì lei con voce decisa. "Se io muoio potremo stare insieme!"

Lui scosse la testa lentamente, accarezzando i capelli per tutta la lunghezza. "Liz, questa versione di me è andata, da molto tempo. Come la meravigliosa ragazzina di 17 anni, quella che io guardavo per ore e ore in fondo al Crashdown. Noi siamo persone diverse adesso e non potremo mai tornare indietro."

"Cosa stai dicendo, Max?" gridò lei, cominciando a singhiozzare, mentre lui se la tirava tra le braccia, avvolto nella sua giacca di pelle. "Dimmelo."

"Il tuo cuore lo ha sempre saputo, Liz." spiegò lui, con gentilezza. "Adesso la tua mente sta finalmente cominciando a capire." Le mise qualcosa in mano allora, e solo quando lei guardò in basso, riconobbe l'oggetto. Era la protesi di David Peyton.

Liz la fissò, stringendola forte tra le dita. "Se mi sveglio, ti perderò."

"Tu mi troverai." ribattè lui con fierezza. "Io sto aspettando che tu torni a Santa Fe. Quella versione di me ha molto più bisogno di te di quanto questa abbia mai avuto … ha bisogno del tuo amore, del risanamento. Dio, Liz del tuo tocco. Solo tu puoi dargli tutto questo."

"Anche io lo amo, ma … " lei sospirò profondamente, ogni respiro sempre più faticoso.

"Tu non riesci a lasciar andare il passato."

Lei annuì, seppellendo il viso nella pelle fresca della sua giacca, sentendo il fermo battito del suo cuore contro la guancia. "Io lo amo così tanto, Max. Già adesso."

"Allora tutto quello che devi fare è svegliarti."

"David lo sa? Sa chi è?"

"Sì." annuì lui, accarezzandole i capelli, cercando di confortarla con la dolcezza con cui lo aveva sempre fatto. "Ma non ricorda tutto."

"Su di me?"

"Su quello che hanno fatto a lui." tacque un momento, poi si corresse. "A me, Liz. Per lui sarà molto difficile parlarne. Ci sono posti della sua mente dove le cose sono sfumate, dove i ricordi mancano o sono compromessi. Ma lui sa esattamente chi sei, sa perfettamente quello che significhi per lui."

"E allora perché si è nascosto da me?" pianse lei. "Perché non me lo hai detto, Max?"

Lui fece un passo indietro, accarezzando lentamente la sua guancia con il pollice, come aveva fatto David quell'ultima sera che lei lo aveva visto. "Tutte quelle cose sono successe veramente, Max? L'ho mai incontrato? I quadri, sono reali?"

"Tutto quello che è successo prima che tu arrivassi a New York è vero." annuì lui. "E tu stai cercando di capire fin da allora. Nei tuoi sogni."

Lui si allontanò ancora da lei, così giovane e bello, come un frammento perduto della sua infanzia, scomparendo piano. "Non andartene." disse lei con voce rotta.

"Apri i tuoi occhi, Liz." la incoraggiò lui dolcemente. "Tu devi vivere."

"Ho bisogno di sapere perché David non si è rivelato a me." insistette lei di nuovo, mentre Max si allontanava sempre di più, lasciandola sola. "Per favore, Max."

Lui cominciò a voltarsi, dandole le spalle, e con un sorriso malinconico le sue labbra dissero "Ti amo."

"Max!" lo chiamò lei, con le braccia strette al petto, mentre lui andava via. Liz non riusciva a respirare, non sentiva nulla oltre al senso di soffocamento che le stringeva il petto e la gola. Ma poi lui si girò per guardarla di nuovo, i suoi lunghi capelli che gli ricadevano sulle spalle, e cominciò a muoversi con molta difficoltà.

Il volto era sfigurato, proprio come le aveva detto, pieno di innumerevoli e rosse cicatrici. Il suo occhio sinistro era semi-chiuso e la mascella deformata e gonfia. Eppure, era ancora il suo Max, meraviglioso in modo strano e struggente, mentre camminava piano verso di lei, ogni passo malfermo punteggiato dal suo bastone.

"Perché non me lo hai detto?" mormorò di nuovo lei, asciugandosi lei lacrime, mentre lui si avvicinava.

"Indegno." spiegò lui con lentezza, nella familiare sintassi spezzata che era di David Peyton. "Sentivo … così indegno."

"Di cosa, David?" chiese lei, pur sapendo che era Max adesso.

"Di te, Liz." disse, arrivando infine da lei. "Del tuo … amore."

"Come avresti potuto essere indegno del mio amore?" pianse lei, allungando il viso per accarezzargli la guancia offesa.

"Spezzato." rispose lui semplicemente, guardando verso terra. "Questo … me, Liz."

Lei si sporse verso di lui, forzandolo a venire tra le sue braccia. "Io ti amo, Max. Lo sai."

Lui le baciò la sommità della testa con gentilezza, quasi timidamente. "Ma … questo?" chiese piano, con le parole quasi indecifrabili, come quando aveva la maschera.

"In qualsiasi modo tu verrai a me, persino nei miei sogni " lei pianse, stringendolo stretto. "Io ti amo" mormorò di nuovo contro il suo petto.

"Ma … " lui sospirò piano, passandole le braccia dietro la schiena e stringendola a lui. "Ho lasciato … te."

"Per salvarmi, Max." controbatté lei e lui si tirò indietro per guardarla, gli occhi spalancati dalla sorpresa. "L'ho sempre saputo, Max."

Gli occhi ambrati di lui si riempirono di lacrime e lui distolse lo sguardo. "Guardami." sussurrò lei, racchiudendo il viso di lui così segnato tra le sue mani e facendolo girare fino a quando i loro occhi si incontrarono. "Tu sei meraviglioso, Max."

"No." dissentì lui, scuotendo la testa, quindi un lento sorriso illuminò i suoi tratti insoliti, così da far apparire le fossette. "Colpisco." sussurrò, ricordando come lei lo aveva descritto a Santa Fe. "Meravigliosa, tu."

"Davvero mi stai aspettando?" esclamò lei improvvisamente eccitata. "A casa?"

"Così preoccupato." spiegò lui a bassa voce. "Paura di … perdere te."

"Cosa devo fare, Max?" chiese lei, sentendosi battere il cuore forte in anticipazione. "Per favore, dimmelo."

"Facile." sussurrò lui, accarezzandole i capelli affettuosamente. "Apri … "

"I miei occhi." terminò lei, e lui annuì comprensivo.

E lei fece proprio così.


****

Il vento freddo venne sostituito da calde lenzuola. La sensazione delle braccia di Max si dissolse sotto il tocco della mano di un preoccupato Michael, che le sfiorava un braccio. Il suono delle risate e del traffico divenne il ronzio ritmico dei suoi monitor, mentre lei apriva lentamente gli occhi.

Per un attimo riuscì solo a schivare la luce, senza riuscire a muoversi, mentre percorreva con gli occhi socchiusi la stanza. Michael era seduto di fianco al letto, leggendo una rivista, eppure la calda mano di lui era sul suo braccio. Di fianco a lui Maria stava dormendo, con la testa appoggiata sulla spalla di Michael. Liz batté gli occhi più volte davanti alle luci troppo brillanti, ascoltando gli strani rumori che si ripetevano nella stanza, uno in particolare che aveva uno strano raschio, come qualcuno che stesse respirando.

Improvvisamente Michael sollevò lo sguardo dal giornale e la fissò, sebbene lei fosse certa di non essersi affatto mossa. Gli occhi castani di lui si spalancarono dalla sorpresa, mentre lui la guardava senza parlare. Lei batté le ciglia un paio di volte e lui rimase in silenzio, continuando ad accarezzarle il braccio mentre gli si riempivano gli occhi di lacrime. Quel momento fu come un segreto rubato tra loro due, che si allungava fino all'eternità, lo sguardo di lui incatenato a quello di lei.

Era lo stesso sguardo che c'era stato tra loro quel giorno assolato di molto tempo fa, quando lui era emerso dalla Pod Chamber senza Max, e aveva incontrato lo sguardo di lei, fuori in attesa. Solo che questo momento era come l'immagine inversa dell'altro, perché invece di portare morte, prometteva vita. Invece che significare la perdita di Max, lei tornava indietro con lui stretto delicatamente nel suo cuore.

In tutta semplicità, lei era tornata indietro dal regno dei morti, portandosi Max con lei.

E anche se i dettagli del suo sogno stavano già cominciando a svanire, come il cielo del deserto dopo il tramonto, di una di queste cose lei era certa. David Peyton era la sua adorata anima gemella, tornata finalmente a casa da lei.

Questo fu l'ultimo pensiero che ebbe, mentre scivolava di nuovo nel sonno, in tempo per sentire Michael urlare "Chiamate un'infermiera!"

 

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Capitolo 15
*** 15 ***


Parte Quindici



Le nostre anime, dunque, che sono una,
sebbene io debba andare, non patiscono
frattura ma espansione, come oro
battuto fino alla più aurea lama.

Siano pur due, lo sono come i rigidi
gemelli del compasso sono due:
la tua anima il piede fisso che, all'apparenza
immoto, muove al moto del compagno

e, se pure dimori nel suo centro
quando l'altro si spinge più lontano,
piega e lo segue intento
e torna eretto al suo tornare al centro.

Così tu sei per me che debbo, simile
all'altro piede, obliquamente correre:
la tua fermezza chiude giustamente il mio cerchio
e al mio principio mi riporta sempre.


da John Donne - Congedo, a vietarle il lamento


***


Apparentemente era aprile. O così le aveva spiegato Michael quando lei aveva finalmente riacquistato un po' di chiarezza mentale.

Si guardò intorno osservando la stanza dell'ospedale, esaminando gli strani macchinari che pulsavano ritmicamente intorno a lei, i tubi che le entravano nel naso e in bocca, persino nelle braccia. Ovviamente era passato altro tempo, a giudicare dalla penombra scesa nella sua camera, eppure Michael era ancora al suo fianco, con un'aria esausta. Si era tirato indietro i capelli con la familiare bandana e i suoi occhi riflettevano una profonda stanchezza.

Il corpo di Liz era tutto un dolore, che partiva dalla schiena, per irradiarsi fino alle estremità, come polsi e caviglie - e finendo nella sua mascelle e nelle sue costole.

Aveva cercato di parlare quasi subito, dopo essersi svegliata per la seconda volta, solo per trovarsi qualcosa in gola che le faceva male. Michael le aveva preso la mano, con la sua stessa mano sudata, e le aveva gentilmente accarezzato i capelli, spiegandole che era ancora attaccata al respiratore, tramite un tubo che le insufflava l'aria nei polmoni. Lei aveva annuito lentamente, vedendo il dolore negli occhi di lui mentre la fissava.

Cosa c'è che non va? Lei formò la domanda nella sua testa, desiderando potergli parlare. Ma quello sguardo era scomparso dagli occhi di lui, lasciandole l'impressione che lui stesse soffrendo a vederla così. Sentiva anche che c'erano molte cose che doveva scoprire degli ultimi 38 giorni.

Se avrai un altro arresto cardiaco, non ti salveranno di nuovo, udì sussurrare nella sua mente. Glielo aveva detto Max, nel suo sogno. Ma, in quel momento, non aveva pensato alle implicazioni come stava facendo ora, mentre con gli occhi offuscati studiava Michael che, con un'espressione di profonda stanchezza sul viso, continuava ad accarezzarle i capelli.
"Liz, siamo stati tutti così preoccupati per te." le bisbigliò. "Tutti sono stati qui. Maria, io … i tuoi genitori."

Lei sollevò le sopracciglia interrogativamente, guardandosi intorno nella stanza, e lui si affrettò a spiegare. "Sono tornati a Roswell ieri sera. Giusto un paio di giorni per sistemare qualche cosa … moriranno quando scopriranno che tu ti sei svegliata mentre loro non c'erano. Nessuno di loro se ne era mai andato finora, Liz."

Lei annuì in silenzio, la gola dolorante e secca. Leggermente, sollevò una mano indicando la sua gola e guardando lui come per una domanda. "Il respiratore è spento," spiegò Michael. "Ma non hanno voluto ancora togliere il tubo. Non fino a quando … " si fermò, abbassando gli occhi per un momento. "Beh, non fino a quando non fossero stati sicuri che eri in grado di respirare da sola."

Di nuovo, lei annuì, improvvisamente esausta. Chiuse gli occhi e i suoi pensieri andarono a David, sentendosi più tranquilla, semplicemente pensando alla sua gentile presenza, mentre le immagini surreali dei suoi quadri le apparivano davanti agli occhi. Fiori rossi la circondavano, gloriosi e alti. Poi Max, sdraiato su un fianco, innocente e allo stesso tempo seducente, una camicia bianca aperta che rivelava un petto liscio e perfetto.

Loro due insieme, sdraiati sulla schiena a guardare il cielo di Antar sopra di loro, le due gloriose lune che apparivano all'orizzonte.

Cosa aveva pensato David della sua prolungata assenza di tutte queste settimane? Aveva pensato che lei stesse semplicemente ignorando le sue email, si domandò lei e aprì gli occhi con un sobbalzo.

Perché proprio dietro quel pensiero ne stava giungendo un altro. David Peyton era Max. Nella spessa nebbia del sonno, aveva momentaneamente dimenticato quella nuova scoperta.

Gettò un'occhiata a Michael, sentendosi in preda al panico. "Che c'è, Liz?" chiese lui, preoccupato. "Cosa c'è che non va?"

I suoi occhi fecero il giro della stanza, alla ricerca di un modo per comunicare, mentre strattonava leggermente il tubo che la faceva sentire soffocata. La mano di Michael afferrò la sua, fermando il suo gesto istintivo.

"Liz, no." le disse deciso, e allo stesso tempo con gentilezza. "Deve rimanere lì." Lei si sentì sprofondare nel letto, desiderando che lui potesse conoscere i suoi pensieri, quando improvvisamente lui allungò un braccio e prese carta e penna da vicino al letto.

"Puoi scriverlo?" offrì lui e lei annuì, prendendo la penna con le dita indebolite. Solo tenerla in mano le risultava piuttosto difficoltoso e muoverla, mentre si trovava sdraiata, si rivelò anche più complicato. Sollevò il taccuino all'altezza degli occhi, cercando di scarabocchiare la sua domanda. Riuscì a scrivere "David" con un punto di domanda dietro, sebbene non fosse sicura che fosse leggibile.

Lei porse il taccuino a Michael, sobbalzando quando un lacerante dolore le trapassò la spalla come fuoco. Sollevò le dita per accarezzarsi il punto dolente e rimase sorpresa di trovarlo strettamente bendato.

"La clavicola è rotta." spiegò Michael. "Inoltre hai una lesione alla mascella, due costole rotte, un polso slogato e una bella commozione cerebrale." elencò lui metodicamente, quindi getto un'occhiata al foglio, aggrottando le sopracciglia confuso. Lei batté gli occhi per fargli vedere che aveva capito, ma ebbe la netta impressione che lui le avesse nascosto qualcos'altro sulle sue ferite.

Lui continuò ad esaminare il foglietto che aveva tra le mani, mordendosi un labbro. "Non riesco a leggerlo, Liz." ammise alla fine. "Mi spiace."

Lei chiuse gli occhi esausta. Tutto quello che avrebbe voluto sapere era se lui avesse notizie di "David", sebbene lei non lo pensasse probabile - il che significava che lui era rimasto a Santa Fe, ormai convinto senza ombra di dubbio, che lei avesse deciso che il suo aspetto fisico la disturbasse troppo per continuare la loro nascente relazione. L'unica cosa su cui lui poteva contare, ormai, era una bella lista di email lasciate senza risposta.

Liz si sentì stringere il petto. Non avrebbe mai voluto fargli del male, neppure quando pensava a lui come ad un misterioso David Peyton - e adesso che sapeva che era Max, l'idea la faceva soffrire ancora di più.

Fissò Michael frustrata e lui di nuovo le accarezzò i capelli con la punta delle dita. "Liz, abbiamo un sacco di tempo per parlare di tutto."

Lei annuì e poi un'idea le venne alla mente. Fece un gesto verso il suo viso, muovendo la mano come a percorrere l'ovale della faccia e pregò che lui avesse capito che lei indicava una maschera.

Michael spalancò gli occhi, mentre guardava di nuovo il foglietto. "David." finalmente riuscì a decifrare e lei annuì.

Michael si toccò nervosamente la bandana, appoggiandosi alla sedia con un sospiro. "Liz, sa del tuo incidente." spiegò. "Lui … mi ha chiamato a Santa Fe e ha lasciato un messaggio." cominciò, una chiara di espressione di rimpianto sul viso. "Io … beh, Liz, ti devo delle scuse su di lui. Avevo davvero torto."

Liz sorrise debolmente, il calore le salì per tutto il corpo pensando che Michael non aveva la minima idea di quanto avesse avuto torto - che il suo altro migliore amico sarebbe presto tornato a lui. Questo pensiero fu molto rassicurante, mentre lo osservava agitarsi a disagio sulla sedia, sentendosi chiaramente colpevole per tutte le sue battutacce su David Peyton.

"Credo che ti ami, Liz." sbottò lui, finalmente. "E' l'unico modo per spiegare quello che sento quando lui ha chiamato. Per la verità, chiama tutti i giorni, anche se è chiaramente un grosso problema per lui con il suo … beh, il suo problema a parlare."

Michael distolse lo sguardo e Liz immaginò la prima conversazione tra Michael e "David" e come dovesse essere andata.

Io … chiamo… Liz, lei udì nella sua mente, immaginando quanto strana la sua parlata smozzicata e incerta dovesse essere apparsa a Michael all'inizio. Se solo avesse saputo la verità.

"Ha saputo del tuo incidente dal giornale e mi ha chiamato a casa. Mi ha lasciato un messaggio sulla casella vocale. Immagino che tu gli abbia fatto il mio nome o cose del genere." Liz annuì, assolutamente consapevole di come mai lui potesse ricordare il nome di Michael così facilmente. "Già, beh, era molto preoccupato, Liz. Come ti ho detto, credo che lui ti abbia veramente a cuore. L'ho chiamato prima, oggi, e gli ho fatto sapere che tu eri uscita dal coma."

Liz chiuse gli occhi, ricordando le parole che Max gli aveva rivolto nel sogno. Tanta paura … perdere te. Aveva aspettato che lei tornasse indietro a Santa Fe, per tutte quelle settimane, probabilmente troppo intimidito per venire da lei a New York, o forse sentendolo inappropriato. Eppure, la amava abbastanza da rischiare di contattare Michael come aveva fatto.


**

"Cosa vuoi dirmi di David?" chiese Michael, avvicinandosi al letto. L'avevano estubata poco prima, al mattino, ma la sua gola era ancora molto stretta e dolorante, poteva appena bisbigliare nel suo orecchio.

"David … è … Max." ripeté con grande sforzo, sentendo i capelli di lui solleticargli una guancia. Michael si appoggiò all'indietro, scrutandola chiaramente confuso, e Liz lottò per mantenere gli occhi aperti. Per giorni, ormai, era rimasta in bilico tra sonno e veglia e i suoi pensieri continuavano a scivolare tra il sogno e la realtà.

"David è Max." ripeté lui alla fine, strofinandosi gli occhi, esausto. "Cosa?" chiese, aggrottando le sopracciglia, confuso.

Lei gli fece cenno di avvicinarsi e lui si abbassò verso il letto. Lei allungò una mano e gliela posò sulla guancia, che grattava per la barba incolta. "Io … ti voglio bene, Michael." sussurrò, volendo che lui sapesse quali erano i suoi sentimenti per lui, prima di ricominciare a parlare. Le ultime settimane le avevano insegnato che ogni momento della vita era prezioso e fuggevole

"Liz." cercò di calmarla lui, accarezzandole la guancia. "Lo so questo … e anche io ti voglio bene. Prova a ripeterlo." continuò. "Io sto cercando di capire."

"Lo … so." Per un momento pensò a Max, a quanto fosse difficile per lui esprimersi, e comprese quanto lui dovesse sentirsi in trappola, certe volte, quando moriva dal bisogno di dire qualcosa.

"David Peyton è Max." ripeté in un soffio. "Sono la stessa persona, Michael."

"Liz, tu sei stata incosciente per molto tempo." cominciò, allontanandosi da lei. Crede che mi sia bevuta il cervello, pensò Liz disperata, sentendo gli occhi che si chiudevano.

"Michael, chiediglielo." lo pregò lei con tutta l'energia che riuscì a recuperare. "Per favore, chiedi … "

E quindi il sonno la invase di nuovo, accompagnandola dal suo amore.

****

Erano di nuovo sdraiati sul campo di fiori, i rossi boccioli carnosi li circondavano a vista d'occhio. Max era pigramente steso, appoggiato ad un gomito, che la guardava negli occhi con un atteggiamento che si poteva definire solo come degno di un principe. L'insolita luce del sole antariano veniva riflessa nei suoi occhi in un modo diverso dal sole terrestre, illuminando le pagliuzze dorate, rendendo i suoi occhi profondi e cangianti.

"Sei meraviglioso." sussurrò lei, mentre con una mano gli accarezzava la mascella e lui abbassò lo sguardo. "Come ho potuto dimenticare queste sensazioni?" si domandò lei a voce alta.

"Le hai dimenticate?" chiese lui, con la voce bassa e roca.

"No." ammise lei, permettendo alle sue dita di esplorare il lato sinistro del viso di lui. "Non le ho mai dimenticate. Credo che fosse questo il problema."

"E adesso?" chiese, mentre un'espressione dubbiosa gli turbava il viso. "Hai paura di me?"

"Non potrei mai aver paura di te, Max."

"E che ne dici di quello che sarà il mio aspetto?" offrì lui, abbassando le labbra per sfiorarle la fronte, segnandola con un bacio caldo che la lasciò come un unico brivido. "Non sei preoccupata che possa essere … sconvolgente?"

"Fammi vedere." lo incoraggiò lei, accarezzandogli i capelli dietro al collo, mentre la bocca di lui le sfiorava la spalla.

"E' qui che ti fa male?" chiese lui, con le labbra appoggiate al posto dove l'osso si era rotto.

"Sì." riuscì a dire lei, improvvisamente conscia che qualcosa stava cambiando tra loro, qualcosa di fisico.

"Lascia che ti guarisca." la sollecitò lui, sfiorando con la punta delle dita la base della gola di lei, quindi seguì il profilo delle ossa fratturate. Immediatamente, lei sentì la ferita guarire sotto il tocco delle sue amorevoli dita. Sospirò, lasciandosi cadere sull'erba.

"Voglio comunque che tu mi faccia vedere." lo incoraggiò lei, mentre lui tirava indietro per guardarla negli occhi. Il viso di lui rimase perfetto, la pelle liscia e dorata sotto il sole che tramontava.

"Hai già visto il peggio." rispose lui alla fine, guardandola con attenzione.

"Perché non ti sei guarito da solo, Max?" chiese lei confusa, e lui si lasciò cadere sulla schiena, lontano da lei. "O perché nessun altro qui su Antar ti ha guarito?"

I suoi occhi diventarono terribilmente malinconici, mentre restava sdraiato a fissare il cielo, la testa appoggiata a quella di lei. "Tu fai domande difficili, qualche volta, tesoro."

"E' per questo che mi ami." rise lei, portandosi la mano di lui alle labbra per baciarne ogni dito.

"E' una cosa che amo di te, ma non è il motivo per cui ti amo." disse lui, in disaccordo con l'opinione di lei. "Neanche per un attimo". Lei non mancò di notare quanto serio lui fosse diventato. Il tono tenero e scherzoso era scomparso e ora una triste cappa era scesa su di loro. "Non potevo guarirmi da solo." rispose alla fine. "Ci ho provato ancora e ancora"

"Ma … perché no?" chiese lei, sentendosi molto confusa. "Era perché le ferite erano su te stesso?"

"Forse, ma non credo." ammise lui. "Il mio popolo pensa che Khivar abbia messo qualcosa nella mia mente, persino nella mia anima. Una specie di blocco alla guarigione."

Lei si sedette di colpo, guardando in basso verso di lui, con un'espressione sconvolta. Un estraneo non può forzare qualcosa nella tua anima, non dovrebbe neppure essere possibile. Max continuò a rimanere sdraiato sulla schiena, guardandola con un'espressione profondamente triste sul viso.

"Come ha potuto fare questo, Max?" chiese lei alla fine con voce ispessita dall'emozione. "La tua anima è solo tua."

Lui annuì in silenzio, sollevando una mano esitante per accarezzarle i capelli sulla spalle. "Sì, è mia. Ma questo non gli ha impedito di usarla per vendetta contro di me."

"Non capisco." sussurrò lei, sentendosi le lacrime agli occhi. Come poteva un momento così bello come questo, qualcosa pieno di innocenza infantile e sensualità, essere così facilmente oscurato?

"Non qui." disse lui alla fine, quasi leggendole nella mente. "Non in questo modo, Liz. Lo spiegherò a Santa Fe."

"Perché nessun altro ti poteva guarire?" insistette lei, domandandosi perché queste domande sembravano così importanti e allo stesso tempo difficili da porre.

Lo sguardo di Max vagò e poi sembrò tornare al cielo, dove le due lune gemelle avevano continuato la loro ascesa. "Guardale." sussurrò lui pieno di meraviglia. "Vieni più vicino a me, Liz, e guarda."

Lei si sistemò di nuovo sulla schiena, accoccolandosi vicino a lui, così che entrambi potessero guardare il cielo. "Io le guardavo in questo modo ogni sera dalla mia cella. Erano un prezioso momento di bellezza ogni giorno. E ogni giorno io ti sussurravo qualcosa attraverso le galassie quando le vedevo. Mi hai mai sentito?"

Lui si girò verso di lei allora, circondandole la guancia con il palmo, mentre la sua espressione tornava triste. "Non mi hai mai sentito, vero?"

"Io … io non ne sono sicura, Max." ammise lei alla fine.

"Tu credevi che fossi morto." lui disse semplicemente e lei inghiottì forte, annuendo.

"Tu puoi guarirmi." disse lui in un fiato, con le parole come scosse elettriche nel suo cuore. "Gli anziani, i miei seguaci … loro non sono riusciti a superare i blocchi che Khivar ha messo dentro di me. Ma tu puoi."

"Io?" chiese lei, guardandolo sorpresa.

"Il mio dono è dentro di te, fin da quel giorno al Crashdown. Tu non te ne sei mai accorta. Anche una parte della mia anima è dentro di te, da quel giorno." Lui continuò lentamente, cercando di fare in modo che lei capisse. "Te lo sto dicendo adesso perché David non ricorda tutto, soprattutto non ricorda la parte della guarigione. Lui ha bisogno di te, Liz. Come ti ho già detto, lui ha bisogno di te più di quanto tu non possa immaginare."

"Non capisco questa cosa … delle anime?"

"Ti sei mai sentita viva in questi anni? Quando pensavi che io fossi morto?" chiese lui con serietà, appoggiandosi su un gomito per guardarla negli occhi.

Lei rifletté per un lungo momento, chiudendo gli occhi all'impatto con le sue parole. Infine sussurrò, "No. Ero morta dentro anch'io."

"Tu eri morta come sentivi morto me." spiegò lui con voce spessa. "Perché le nostre anime sono come quelle lune sopra di noi, Liz. Gemelle, unite ma separate. Come si muove una, così fa l'altra, anche se c'è un intero universo tra di noi."

"E allora perché ero così sicura che tu fossi morto quella notte? Io l'ho sentito, Max. Ho sentito te che mi raggiungevi, poi tu … " Non poté terminare perché le lacrime cominciarono a rigarle il viso, stringendole la gola fino ad impedirle di parlare.

"Perché io sono morto quella notte."

"Cosa?" gridò lei, con gli occhi spalancati ed increduli. "Ma tu mi hai detto che non sei morto. Me l'hai detto tu!"

"Io ho cercato di raggiungerti appena prima che accadesse, e poi … " lui tacque un momento, passandosi nervoso una mano tra i capelli. "Sono morto. Ho veramente lasciato il mio corpo e l'ho visto giacere sul pavimento della prigione sotto di me. Ma poi ti ho sentito, che venivi da me, richiamandomi indietro e non ho potuto andare. Tu mi hai salvato la vita quella notte, Liz. Promettendomi che non mi avresti mai lasciato."

Liz chiuse gli occhi, mentre le lacrime scendevano sulle sue guance, e seppellì il viso nel petto di lui. "Tu mi hai salvato." sussurrò lui di nuovo. "Tu mi hai sempre salvato, Liz."

****

"Da quanto sono uscita dal coma?" chiese Liz assonnata, guardando verso Michael seduto sul suo letto. Lui stava fissando il muro con espressione assente, chiaramente assorto nei suoi pensieri, quando lei si era svegliata.

"Da dieci giorni."

"Dove sono tutti gli altri?" chiese lei, ancora sotto l'effetto dei farmaci, guardandosi attorno nella stanza. Era di nuovo buio e le uniche fonti di luce erano i display dei monitor e le luci del corridoio.

"Be', Maria è andata a casa a riposare e i tuoi genitori sono tornati in hotel."

"E tu sei qui con me." terminò lei.

"Io sono qui con te." concesse lui, annuendo piano.

"Grazie Michael" sussurrò lei, prendendogli la mano. "Sei stato qui tutti i giorni, lo so"

"Non avrei potuto essere da nessun'altra parte." spiegò lui a bassa voce. "Lo sai. Sarei diventato pazzo … lo saremmo diventati tutti."

"Io starò bene, Michael." lo rassicurò lei.

Lui annuì, stringendole la mano nella sua, poi le loro dita si intrecciarono, mentre lei si portava la mano di lui al petto. Rimasero così per lunghi momenti e lei ogni tanto lo guardava di sottecchi, sentendo qualcosa di strano. Conosceva Michael meglio di chiunque altro e sapeva che lui doveva dirle qualcosa.

"Cosa c'è, Michael?" chiese lei alla fine, sentendosi un po' preoccupata. "Cosa non mi stai dicendo?"

Lui sospirò, avvicinandosi a lei, tenendola stretta la mano. "Liz, ti devo parlare di qualcosa." Lei notò che la voce di lui tremava dal nervosismo e il suo cuore si strinse in nervosa apprensione. Forse lei aveva dei danni permanenti, qualcosa che l'avrebbe lasciata con un handicap.

Cercò di sedersi sul letto e lui la fermò con una mano. "Tu devi stare ancora sdraiata." spiegò a voce quieta.

"Dimmi cosa c'è che non va, Michael." insistette lei, sentendo la sua voce irrigidirsi. "Mi stai spaventando."

E poi lui fece una cosa sorprendente. Cominciò a ridere, un suono gioioso che non aveva nessun senso, dato il nervosismo che dimostrava. Liz arricciò il naso, confusa, e lo fissò.

"Liz, non è … una brutta cosa." spiegò con voce calda. "E' solo difficile da dire."

"D'accordo." rispose lei, ancora un po' sul chi va là. "Vai avanti."

"Ti ricordi ancora cosa hai cercato di dirmi su David Peyton appena sei uscita dal coma?" chiese.

Lei rifletté un momento, fissando il soffitto. Aveva cercato di scrivere qualcosa a Michael quel primo giorno ma, adesso, lei non riusciva a ricordare cosa fosse.

"Mi ricordo qualcosa." rispose alla fine. "Ma non sono sicura di cosa ho scritto."

"Non ti ricordi, è vero?"

Lei scosse la testa. "No, è vero. Qualcosa se … se lui sapeva che io ero in ospedale?"


"Più che questo, Liz. Molto di più." continuò lui, con gli occhi pieni di gioia. "Mi hai detto che David Peyton è Max."

"Cosa?" rise lei, domandandosi per quale motivo lei avesse potuto dirgli una cosa così ridicola. Eppure le suonava terribilmente familiare, innegabilmente vero, e la risata le morì sulle labbra. Qualcosa negli occhi di Michael che brillavano di felicità mentre la guardavano, la fece tremare di anticipazione.

"E' quello che mi hai detto tu." spiegò lui, con la voce piena di eccitazione. "Dio, non so neppure perché improvvisamente l'hai pensato, ma … be, sono dovuto tornare a Santa Fe e controllare la galleria e c'era qualcosa in me che voleva sapere se tu eri semplicemente impazzita … "

"O se stavo dicendo la verità." sussurrò lei, cominciando a capire. I suoi sogni le tornarono di nuovo in mente e il ricordo del suo discorso con Max improvvisamente divenne chiaro.

"Già, Liz." annuì lui, sorridendo. "Per quanto potesse sembrare pazzesco, io dovevo sapere. Così sono andato da David. Senza avvertirlo."

Liz si accorse di colpo di essere rigida come un tamburo, dalla punta delle dita delle mani fino ai piedi, come in attesa di ricevere un colpo fatale. "Dimmi." sussurrò alla fine, con tono teso. "Michael, per favore."


Michael abbassò la testa un momento, cercando all'interno della tasca della sua giacca. Ne tirò fuori un'ordinata busta bianca e lei vide il suo nome scritto in bella calligrafia – nella familiare scrittura di David Peyton. Con cura, lui le porse la busta, quasi a mo' di spiegazione.

"Cosa mi stai dicendo, Michael?" disse lei quasi piangendo, prendendo la grossa busta tra le mani.

"Max è vivo, Liz." spiegò lui a voce bassa, con gli occhi pieni di lacrime. "Molto, molto vivo."

Lei fissò la busta con occhi pieni di lacrime, poi la portò alle labbra, premendola contro di esse. Per un lungo momento, rimase totalmente in silenzio, mentre i suoi pensieri vagavano in mille direzioni – indietro ai sogni avuti durante il coma, fino ad altri più recenti, e quindi ai momenti passati con David a Santa Fe.

"Credo di averlo sempre saputo." mormorò alla fine, chiudendo gli occhi. "In qualche modo, il mio cuore lo ha riconosciuto sin dalla prima volta." Solo la mia mente doveva ancora capirlo, terminò in silenzio tra sé e sé, ricordando le parole che Max le aveva ripetuto più e più volte durante i sogni.

"Lo hai capito mentre eri in coma, non è vero?" chiese Michael.

"Lui è venuto da me, nei miei sogni." spiegò Liz, ricordando la sua visione di Max al Rockfeller Center. "E’ venuto Max. E mi ha chiesto di svegliarmi. Poi mi ha detto che lui era David."

"Lui pensa che tu non voglia avere niente a che fare con lui, adesso." spiegò Michael, con una breve risata. "Sempre lo stesso Maxwell. Testardo come un mulo … è convinto che tu non potrai mai perdonarlo, primo perché lui ti ha lasciato e poi perché non ti ha detto chi era quando è tornato indietro."

Liz scosse la testa. "Glielo hai spiegato?"

"Cosa?"

"Che io ho smesso di vivere nello stesso giorno in cui ho pensato che lui fosse morto." pianse lei senza fiato. "Come può pensare che io possa fare qualcosa di diverso da amarlo? Non potrei mai."

"Perché crede che tu non riuscirai ad accettare il suo aspetto di adesso." rispose Michael con serietà. "Che per te sarà troppo difficile."

Liz fissò Michael attraverso le lacrime, sentendo i singhiozzi gonfiarle il petto. "Cosa gli hanno fatto, Michael?"

"Io … non ne sono sicuro, ma c'è molto di più di quello che hanno fatto al suo corpo. E' quello che hanno fatto alla sua anima."

Lei annuì, asciugandosi le lacrime. "Quanto è grave? Il viso sfigurato, intendo." chiese lei, anche se sapeva che per lei non avrebbe avuto importanza. L'unica ragione per cui lo stava chiedendo, è perché il suo cuore stava soffrendo per lui, al ricordo di come lui si fosse nascosto dietro alla maschera, chiaramente vergognandosi della sua immagine.

Michael distolse lo sguardo improvvisamente e Liz si sentì stringere il petto. "E' grave, Liz." rispose alla fine, guardandola con espressione intensa, prima di continuare. "Ma non così terribile come lui pensa che sia. E' questo il vero problema."

Lei annuì, inghiottendo forte, ricordando come lui aveva sobbalzato quando lei aveva allungato una mano verso il lato sinistro del suo viso, scostandolo in fretta dal tocco di lei. Come era stato mortificato, quando lei aveva accarezzato il contorno delle sue ferite.


"Che cosa gli hai detto di me?" continuò dopo un po'. "Su quello che avrei pensato?"

"Quella parte è stata facile." spiegò Michael, mettendosi a braccia conserte mentre la guardava. "Gli ho detto che se ancora non aveva imparato una cosa su Liz Parker, fino ad ora, non l'avrebbe mai imparata. Che tu eri la sua anima gemella, puro e semplice, e che questo era qualcosa che nessuna cicatrice avrebbe mai potuto cambiare."

"Mi sono innamorata di lui di nuovo come David." sussurrò lei. "Non mi interessava il suo aspetto, quanto potesse essere sfigurato. Io lo amavo già con tutto il mio cuore."

"Lo so e gliel'ho anche detto." sorrise Michael in risposta. "Che non c'è mai stato nessun altro in 10 anni, fino a quando non è apparso il misterioso David Peyton." riprese lui e Liz non poté non notare la lieve malinconia nella sua voce. "E' questo che mi ha fatto pensare se tu non avessi ragione sulla sua identità, Liz. L'effetto che lui aveva su di te."

Liz fissava la busta, sfiorandola con la dita. "Lui ha solo paura, Liz." continuò Michael a voce bassa. "Che tu non lo amerai. Che tu non possa amarlo, adesso."

"Posso gestire questa situazione." rispose lei con un risoluto cenno del capo. "Non ho dubbi di riuscire a gestirla."

"Ho cercato di farlo venire con me a New York, ma lui pensava che tu avessi bisogno di altro tempo."

"Che cosa gli hai detto di me e te?" chiese Liz improvvisamente, guardando Michael con uno sguardo pieno di significato. Lui abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente.

"Che le cose erano cambiate da quando lui se ne era andato." spiegò Michael con voce roca. "Che tu eri la mia migliore amica. Che tu sei una parte veramente importante della mia vita e sarà meglio che lui si abitui a questo fatto."

"Sono sicura che lui ha trovato qualcosa da dire su questo." rise, sentendosi di nuovo le lacrime agli occhi.

Michael tossì, spostandosi a disagio sulla sedia, e Liz si domandò perché fosse improvvisamente così timido. Alla fine lui le rispose. "Sì, lui era felice che noi siamo stati vicini per tutto questo tempo." disse. "Che nessuno di noi due fosse solo." Poi, rise timidamente, "Questo e poi si è vantato del fatto che io avessi finalmente capito perché lui ti amasse così tanto."

Liz pensò che lui si sentisse un po' in colpa, fino a quando lui non rise piano. "Piuttosto ironico, eh?"

"Che cosa intendi dire?"

"Prima, gli ho sempre dato addosso per colpa tua, per quanto ti amasse." rispose lui con voce quieta. "E alla fine, io non potrei vivere senza di te esattamente come non potrebbe lui. Le ultime settimane me lo hanno insegnato senza ombra di dubbio."

"Oh Michael." sussurrò lei, prendendogli la mano e portandosela fino alla guancia. "Grazie per aver creduto in me. Per essere andato da lui."

"E adesso lui ti aspettando, Liz." disse lui. "Non credo che riuscirà a dormire fino a quando non ti vedrà di nuovo … e come sé stesso, non come David Peyton."

Liz annuì, guardando di nuovo la busta tra le sue mani. E seppe che neppure lei sarebbe stata più in grado di riposare, non fino a quando non avesse potuto stringere Max tra le sue braccia, due corpi uniti in uno solo. Non fino a quando non avesse potuto tenere il suo meraviglioso viso tra le mani, non importa quante cicatrici potesse avere.

Perché Max Evans poteva essere una cosa sola per lei – il suo meraviglioso amore.

 

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Capitolo 16
*** 16 ***


Parte Sedici


Tienimi tra le tue mani come un mazzo di fiori
Fammi muovere al ritmo della tua canzone più dolce
So cosa penso l'ho sempre saputo
Amarti è la cosa giusta da fare

Carly Simon



L'aeroplano virò, passando facilmente attraverso una nuvola fino ad emergere alto sulle spume bianche, illuminate dai raggi del sole. Liz socchiuse gli occhi, appoggiando la testa contro l'ovale dell'oblò accanto al suo posto. Molte cose erano cambiate dall'ultima volta che aveva viaggiato su un aereo. Erano passati due mesi e le stagioni erano cambiate, dall'inverno alla primavera avanzata.

E adesso lei stava andando a casa.

Il suo cuore accelerò il battito in anticipazione, mentre i suoi pensieri andavano a Max, al poterlo rivedere una volta che fosse stata di nuovo a Santa Fe. Lei era grata di tornare a casa solamente con Michael e non anche con i suoi genitori. Non era ancora pronta a spiegare loro il misterioso ritorno di Max, non quando c'erano questioni più pressanti nella sua mente. Come superare le testarde convinzioni di Max sulla capacità di lei di amarlo. O capire come potesse essere lei quella che alla fine lo avrebbe guarito, come lui le aveva spiegato nel sogno.

Quella parte l’aveva lasciata piuttosto perplessa, ma lei aveva già deciso che sarebbe stata cauta, fiduciosa ma attenta. In qualche modo era sicura che il momento giusto sarebbe arrivato da solo e, fino ad allora, lei doveva semplicemente concentrarsi e amarlo, guarendolo prima di tutto con il suo cuore.

Michael aveva assicurato ai suoi genitori che l'avrebbe aiutata a risistemarsi nella casa e li aveva convinti a tornare a Roswell, qualche giorno prima. Eppure, loro avevano continuato a riempirla di raccomandazioni fino all'ultimissimo momento, anche dopo che lei era stata spostata in una normale camera ospedaliera. Liz aveva finito col diventare impaziente, anche se aveva cercato di capire come si sarebbe sentita lei se la sua unica figlia fosse quasi morta.

Inconsciamente, Liz tracciò col dito la linea della clavicola. Mentre era ancora in terapia intensiva, la frattura era inspiegabilmente migliorata in una notte, lasciando i medici senza parole. Eppure Liz non ne era stupita. Ricordava come le dita di Max avessero seguito il contorno della spalla, lasciando una calda traccia che l'aveva guarita. Non aveva importanza che fosse successo in sogno perché, in quel momento, le loro anime si erano toccate. Proprio come era successo innumerevoli altre volte quando si erano incontrati in quel posto che sta fra il sogno e la veglia, il regno dove le anime possono sfiorarsi.

Liz chiuse gli occhi e respirò, dentro e fuori, fino a quando non lo sentì profondamente in lei. Questo era ciò che aveva imparato durante il coma - e di cui si era ricordata nei giorni successivi al suo risveglio. Una parte di Max, un piccolo pezzo della sua anima, giaceva profondamente nascosto dentro a quella di lei, fin da quando lui l'aveva guarita quel giorno al Crashdown. E nulla avrebbe potuto toglierglielo, né la morte, né la malattia, neppure l'abisso che divideva le galassie.

Le loro anime erano intrecciate come una scultura attentamente lavorata, dove l'inizio e la fine si stringevano eternamente avvolte una dentro l'altra.

Adesso lei doveva solo fargli capire che un legame come quello trascendeva la mera apparenza, che a dispetto delle sue cicatrici e della sua andatura claudicante – persino della sua protesi – lui era per lei talmente meraviglioso da lasciarla senza fiato. Questo non era mai cambiato.


Liz gettò un'occhiata verso Michael, ma lui aveva le cuffie e stava guardando il film che era appena cominciato, così infilò di nascosto una mano nella borsa e ne tirò fuori la lettera di Max.

La prima volta che l'aveva letta, aveva cominciato a singhiozzare già a metà di essa e poi, ad ogni lettura successiva, aveva pianto, sebbene più debolmente contro il cuscino dell'ospedale. Le aveva ricordato quella lettera che lui le aveva scritto tanto tempo prima e come lei fosse rimasta nel suo letto per settimane, la faccia affondata dentro la giacca di pelle di lui come unico conforto. Se lei avesse avuto quella giacca con sé in ospedale, l'avrebbe tenuta insieme alla lettera, invece del freddo lenzuolo del letto.

Ma, adesso, le sue emozioni stavano cambiando. Forse perché sapeva che fra poche ore avrebbe rivisto di nuovo Max, ora le lacrime si erano finalmente asciugate. Invece erano state sostituite da un gran senso di anticipazione, il suo cuore batteva forte mentre si immaginava di tenere di nuovo Max tra le sue braccia.

Sospirò aprendo la lettera e cominciando a leggere le parole, ormai familiari, che aveva quasi memorizzato dentro i recessi più intimi del suo cuore.


Mia meravigliosa Liz,

ho fissato questo foglio vuoto per ore, ormai. Se solo potessi comprenderlo come le tele vuote su cui dipingo. Se solo sapessi tenere la penna come tengo il pennello, o capire il mio cuore abbastanza da esprimere in parole quello che sente.

Come posso coprire l'arco di 10 anni in una lettera?

Come posso dire al mio amore che non avrei mai voluto lasciarla tanti anni fa e che certo non intendevo ingannarla quando sono tornato indietro?

Credo di dover cominciare come faccio con ogni dipinto, prima una pennellata, poi un'altra. Perché tu hai sempre capito il silenzioso linguaggio della mia anima, Liz. Ecco perché reagivi ai miei quadri in quel modo, come se io stessi facendo l'amore con te ad ogni tela. Perché in un certo modo, era proprio così.

Ti ho sognato ogni notte, per anni ormai. Eppure quei sogni sono cambiati, nelle ultime settimane, sono diventati più vividi e reali mentre tu eri in coma. Era come se noi stessimo cominciando a parlarci, a condividere i segreti delle nostre anime.

Per molto tempo, ho voluto che tu sapessi la vera ragione per cui sono partito con Tess, e benché Michael mi abbia assicurato che tu sapevi che l'avevo fatto per salvarti, niente potrà attenuare il mio rimorso. Né il tuo perdono, né il tempo. Neppure gli innumerevoli dipinti dove ho cercato di mostrarti tutto il mio dolore.

E a causa di quel rimorso, avevo deciso, quando sono tornato da Antar, di stare lontano da te il più possibile – perché non volevo farti più male di quanto non te ne avessi già fatto.

Così, quando sono arrivato qui un anno fa, mi sono perso dentro New York, miglia e miglia distante da dove sapevo che tu vivevi. Mi sono letteralmente imposto di stare lontano e per un po' di tempo ha funzionato. Poi, un pomeriggio, ho visto Maria sulla Spring Street. Lei non lo ha mai saputo, eppure è bastato quel frammento di sguardo e tutti gli anni passati sono semplicemente evaporati.

Dopo sono dovuto tornare a casa. Ho dovuto seguire il mio cuore dove mi ha sempre portato, di nuovo da te, Liz. Non ha importanza dove io fossi nell'universo, anche durante tutti quegli anni in prigione, il mio cuore è sempre stato con te.

Io non sono più lo stesso, Liz. Non posso fingere di esserlo e sicurament,e nonostante la protesi, puoi vederlo anche tu. Sono un uomo di 28 anni il cui corpo invecchia ogni giorno di più. A volte il dolore alla mascella e al ginocchio diventano così insopportabili che penso di impazzire. Ma è questo che mi hanno fatto – mi hanno fatto perdere la ragione, giorno per giorno. Spezzandomi nel corpo, rubando i miei ricordi e sporcandomi l'anima.

Io non dovrei parlare di queste cose. Invece, dovrei dirti che ti amo. Che tutto quello per cui ho vissuto era tornare a casa da te, anche quando ho cercato di combatterlo. Ma sotto la protesi, il mio volto è cambiato per sempre, Liz. La mia mascella è gonfia e sfigurata. Le cicatrici sono profonde e disumane, e ce ne sono molte. Nel mio cuore, non riesco a pensare che tu possa amarmi in questo modo, eppure non posso smettere di sperarlo.

Michael mi ha detto che in tutti questi anni tu eri sicura che io fossi morto. Ma adesso, se i miei sogni più recenti dicono la verità, tu sai quello che è veramente successo. Perché io te l'ho detto innumerevoli volte nell'ultimo mese, ancora e ancora. Ho bisogno che tu sappia che mi hai sentito morire quella notte, che hai sentito il momento in cui il mio spirito ha lasciato il mio corpo. Ma tu mi hai riportato indietro con la tua promessa. "Io non ti lascerò mai" hai detto.

Ed ecco perché io devo sperare - a dispetto del mio corpo segnato, a dispetto della mia faccia sfigurata – che tu possa amare un uomo che ti ha sempre profondamente amata come ho fatto io.

Ecco perché ti ho lasciato quel primo dipinto e perché, da quel momento, non ho più potuto stare lontano da te.

Quella notte indicibile di 8 anni fa, Khivar mi ha fatto chiamare nelle sue stanze. Mi odiava a causa della mia famiglia, delle mie pretese al trono, ma c'era molto di più. Lui disprezzava la mia umanità. E sapere che un semplice umano portasse il sigillo di Antar, beh, diciamo che questa era la cosa che più odiava. Sono stato picchiato oltre ogni limite, quella notte, mentre lui guardava, e, dopo, lui ha violentato la mia mente. Ma non era abbastanza. Voleva il mio volto, quel segno di umanità da cui si sentiva preso in giro, più di tutto il resto. Le sue guardie me lo hanno tolto quella notte, con le loro armi, le loro mani.

E poi mi hanno lasciato sul pavimento della mia cella a morire. Nessuno è tornato indietro per quasi 6 giorni. Forse di più, onestamente non ne sono sicuro. L'unica cosa a cui mi sono tenuto stretto eri tu, Liz. I 6 giorni più lunghi della mia vita e li ho passati aggrappato a te con ogni respiro.

Ho desiderio di te anche adesso. Desidero riaverti tra le mie braccia, toccarti, eppure ho tanta paura. So che mi hai visto nei tuoi sogni. Hai visto la mia faccia. E so che non sei fuggita, eppure non riesco a far tacere le mie paure. Ma ci proverò Liz. Farò quello che posso per essere pronto per te, per quando tu tornerai da me.

Ti amo più di quanto tu abbia mai saputo.

Tuo, Max.


***

Dopo aver letto la sua lettera, Liz avrebbe voluto immediatamente chiamare Max e alleviare i suoi timori circa il suo amore per lui, cicatrici e tutto il resto. Ma benché avesse allungato la mano più volte verso il telefono, qualcosa l'aveva sempre fermata. Forse la consapevolezza di quanto fosse difficile per lui parlare, non ne era sicura, ma rispondere con una lettera le era sembrato l'unico modo giusto, soprattutto perché sapeva che il loro primo colloquio sarebbe stato troppo intenso per entrambi.

Così, dopo essere stata trasferita in una camera normale, qualche giorno più tardi, e benché Michael insistesse perché lei si riposasse di più, aveva acceso il suo portatile e aveva scritto una lettera, preparata con molta cura.

Max aveva sollevato così tanti dubbi nella sua lettera e lei voleva che lui capisse che il suo amore per lui non era mai diminuito. Che il perdono era un dono che lei poteva fargli facilmente, soprattutto quando lui l'aveva lasciata per salvarle la vita e non aveva mai smesso di pagare il terribile prezzo di quell'unico atto.


Era stato difficile digitare con il polso ancora fasciato, così aveva passato la giornata a formulare mentalmente la sua risposta e poi l'aveva tradotta con cura in una breve email. Eppure aveva sperato che quelle semplici parole riflettessero adeguatamente l'incredibile profondità dei suoi sentimenti per lui.


Caro Max,

dopo tutti questi anni, ancora non conosci il mio cuore? Potrei amarti meno di quanto ho fatto fin dall'inizio? Nei miei sogni, mi hai detto che hai lasciato una parte della tua anima dentro alla mia, il giorno in cui mi hai guarito. E io non ho dubbi che anche una parte della mia è profondamente nascosta dentro di te.

Io sto tornando a casa da te, Max. Ma fino ad allora, sappi che mi sono innamorata di nuovo di te come David Peyton, perché il mio cuore ti riconoscerebbe dovunque. Come ho detto allora, nessuno mi ha mai fatto sentire come ha fatto Max Evans – fino a quella notte.

Non dimenticherò mai come il semplice essere nel tuo bungalow mi elettrizzasse. Come solo guardare i tuoi dipinti mi facesse bruciare l'anima. O come persino la più semplice delle tue email mi facesse arrossire come una ragazzina di 17 anni. Dio, chi altro potrebbe farmi reagire in quel modo, Max? La risposta è semplice. Solo tu.

Vorrei dire molte altre cose, ma Maria mi sta facendo gli occhiacci e penso che Michael le darà man forte, se non mi riposo. Così mi terrò dentro le parole che voglio sussurrare molto presto al tuo orecchio, Max. Fino ad allora, sappi che ho bisogno di te come mai prima d'ora, e che gli anni non hanno fatto altro che aumentare i sentimenti nel mio cuore.

Tutto il mio amore,

Liz.



E così era cominciato l’invio di una serie di dolci email tra di loro, scambiate approssimativamente una volta al giorno per l'ultima settimana. Ogni lettera non aveva fatto altro che intensificare il bisogno di vederlo, di toccare il suo volto, ognuna più acutamente della precedente. Liz chiuse gli occhi e si concentrò sulla sua anima, inspirando ed espirando, e cercando di calmare il rapido battito del suo cuore.

Ancora poche ore, promise a sé stessa, tenendosi la sua lettera stretta al petto.


****


"Allora, il frigo è pieno di provviste e ti ho scaricato la macchina." annunciò Michael, gettando uno sguardo superficiale al soggiorno. Aveva insistito a sistemarla sul divano con i cuscini e una coperta, prima di andarsene a casa lui stesso.

Anche se Liz si sentiva un po' soffocare dalle premure, non poteva combattere la sensazione che lui e Max avessero raggiunto un segreto accordo. I due sembrano fin troppo insistenti sul fatto che lei dovesse riposare dopo il lungo viaggio, invece che rivedere Max. Liz non aveva dubbi di chi fosse a capo della cospirazione, mentre Michael si muoveva nella camera, per un'ultima ispezione finale prima di andare via.

"Michael, sto bene." lo rassicurò lei con una risata imbarazzata, appoggiandosi contro i cuscini. "Te lo giuro."

"E' stato un viaggio lungo, Liz." le rammentò lui seriamente, incrociando le braccia sul petto come a sfidarla a dargli torto.

"Mi hai portato sulla sedia a rotelle all'imbarco e poi all'uscita." si lamentò lei, fissandolo negli occhi castani.

"Perché tu sei stata dimessa dall'ospedale solo ieri, Liz."

"Non ho fatto nulla tutto il giorno a parte stare seduta in un aeroplano."

"Stai dicendomi che vuoi andare da Max?" domandò lui, con gli occhi che si stringevano seri, sebbene lei vedesse una luce di divertimento danzare nel suo sguardo.

"No, perché Max non vuol neanche sentirne parlare." sospirò lei frustrata. "Ne abbiamo già parlato via email. Insiste che io mi riposi stasera, proprio come te."

"Beh, ha ragione."

"Sono 10 anni che aspetto di vederlo di nuovo e sto diventando matta."

"Peccato." rise Michael, lanciando il telecomando della televisione, che le atterrò in grembo. "Anche lui aspetta da 10 anni. Solo che sa che tu hai bisogno di riposare, Liz."

"E tu come fai a saperlo?" chiese lei sollevando le mani verso l'alto e domandandosi quante volte si fossero sentiti lui e Max, nelle ultime settimane.

"Perché me lo ha detto lui per telefono ieri sera." la informò Michael con un sorriso da ragazzino.

"Me lo stai dicendo solo per farmi arrabbiare." sbuffò Liz. "Sai bene quanto vorrei parlargli."

Michael si voltò verso il ripiano della cucina, recuperò il cordless e glielo lanciò con la stessa destrezza che aveva usato per il telecomando. "Allora chiamalo."

Liz fissò il ricevitore appoggiato sulle sue gambe. "Non voglio." ammise a bassa voce.

"Dio, vuoi chiamarlo, per piacere?" urlò Michael esasperato. "Voi due mi state facendo diventare pazzo."

"E' così difficile per lui parlare." spiegò lei, passandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio mentre guardava Michael. "Quando parleremo per la prima volta, voglio che lo facciamo di persona."

"Voi avete parlato prima." ribatté Michael gentilmente, sedendosi sul bracciolo del divano. "Solo che tu pensavi che lui fosse David Peyton."

"Quella era un'altra cosa." rispose lei, fissandosi le mani in grembo.

"E non è così difficile per lui, Liz. Infatti se la cava piuttosto bene al telefono."

"Credo di avere paura." ammise lei con la voce tremula. "Solo che non so di cosa."

"Ma certo che hai paura, Liz." annuì Michael, allungandosi per massaggiarle un piede e confortarla. "Ma chiamalo e digli di portare qui il suo sedere."

"Credevo che volessi che io mi riposassi?" chiese Liz confusa.

"Lo voglio." ammise lui, avvicinandosi a lei sul divano. "Ma ti conosco dannatamente bene, Liz. Tu rimarresti solo sdraiata qui ad affliggerti." Si abbassò a darle un bacio sulla tempia. "Quindi fai che chiamarlo".

"Forse." rispose lei, afferrando il telefono con la mano.

Michael si diresse verso l'ingresso pronto ad andarsene, poi si girò verso di lei. "Conosci il numero?" chiese.

"Me lo ha mandato con un'email." E l'ho memorizzato immediatamente, aggiunse in silenzio.

Michael le fece un sorriso, scuotendo la testa mentre se ne andava. "Ci sentiamo domani, Liz." le disse girandosi a guardarla e salutandola con la mano, prima di scomparire oltre la porta d'ingresso. Liz sentì la chiave girare nella serratura e si appoggiò ai cuscini che lui le aveva sistemato. La verità era che era stanca, anche se non quanto si sarebbe aspettata. Ma sapeva che il piano che aveva ideato con Max era il migliore – lei si sarebbe presa quella prima sera per recuperare la stanchezza del viaggio e poi lo avrebbe visto il giorno dopo.

****

Liz corse giù per la spiaggia, mentre cominciavano a scendere le ombre della sera, con il lungo vestito bianco che le ondeggiava intorno, gonfiandosi col vento dell'oceano. Max rise dietro di lei, afferrandola per un braccio, quindi la fece girare per poterla abbracciare.

Era la prima volta che lei vedeva il suo viso, quella sera, e lui era stupefacente. Le lune gemelle gli facevano brillare gli occhi, come fuochi di pallida luce dorata. Ma questa non era l'unica cosa che la lasciava senza fiato. Il suo viso era segnato da innumerevoli cicatrici, scure persino alla luce delle lune, e il suo occhio sinistro era parzialmente chiuso. Questo dava al suo volto un'espressione più dura, ma piena di un fascino che non aveva mai avuto prima.

E lei non l'aveva mai desiderato così tanto.

Si lasciarono cadere sulla sabbia, uno nelle braccia dell'altro, incapaci di fermare la passione che stava crescendo nei loro corpi.

Come nel campo di fiori rossi, Max indossava una camicia bianca di lino che cadeva aperta, rivelando il liscio contorno del suo petto. Solo che questa volta, lei vide per un attimo una profonda cicatrice proprio sopra il cuore, rossa e increspata. "Questo non è il modo giusto di vestire per venire in spiaggia." lo prese in giro lei, mentre lui se la tirava addosso, sdraiandosi sulla sabbia. Lei gli accarezzò il petto con la punta delle dita, seguendo il contorno della cicatrice.

"Come mi avresti vestito?" rise lui, passandole le dita tra le lunghe ciocche, mentre si sistemavano sulla sabbia.

La mano di lei vagò lungo l'orlo dei pantaloni di pelle, le sue dita si infilarono all'interno con destrezza. Lei lo accarezzò con la punta delle dita, desiderando ben di più.

Eppure questo era tutto quello che era sempre esistito tra loro. C'erano solo loro due, insieme nei loro sogni, gli stessi sentimenti di quando erano ragazzi. Lui era sempre il suo meraviglioso amante Antariano, vestito nel tradizionale abito di un principe e lei la sua giovane sposa, pronta per la loro prima notte di nozze.

Mentre Max abbassava la testa, catturando le sue labbra in un bacio, lei sentì il ferreo controllo che Max aveva sulla prprpia passione. Lui avrebbe voluto molto di più da lei, eppure tutto quello che chiedeva erano dolcissimi baci.

"Dimmi perché." sussurrò lui all'orecchio di lei, la voce sorprendentemente seria. Lei si tirò indietro e lo fissò, ancora sorpresa di vedere come il suo viso fosse segnato dalle profonde cicatrici.

"Perché, cosa?" chiese lei, il cuore che le batteva forte.

"Kyle." rispose lui, lasciandosi ricadere sulla schiena. Ecco come andava di solito a finire. Sia nel campo di fiori o qui, sulla spiaggia, i baci finivano sempre. Diventavano segreti condivisi tra i loro cuori.

"Me lo hai già chiesto una volta." chiarì lei. La voce di lui era diventata incredibilmente seria e Liz sentì il cuore dolerle. "Tanto tempo fa."

"Non ricordo la risposta." spiegò lui, appoggiando la testa su un braccio, mentre guardava verso il cielo scuro. "So che ti ho visto nel letto con lui." rispose piano. "Ma non ho la sensazione che tu abbia fatto l'amore con lui. Non l'ho mai avuta."

"Oh Max." sussurrò lei, girandosi su un fianco per guardarlo. Tracciò con le dita il contorno della sua guancia, soffermandosi sugli aspri sfregi che la segnavano. "Mi dispiace tanto."

"Tu sei vestita di bianco." spiegò lui, seguendo con gli occhi il suo corpo. "Sei sempre così in questi sogni. Una principessa o una regina di Antar non può indossare questo vestito bianco, a meno che non sia rimasta pura per il proprio marito".

"Max, io sono rimasta pura per te. Sempre."

"Per tutti questi anni ho cercato di ricordare, di capire." continuò lui, passandosi le dita tra i lunghi capelli scuri. "Credo di averlo fatto, almeno un po', prima … di quella notte."

"Quale notte?" chiese Liz, abbassandosi verso di lui.

"Quando Khivar ha violentato la mia mente." spiegò lui, con la voce stanca e distante. "Ha rubato i miei ricordi, allora, e alcune cose non hanno mai più avuto senso."

"Ma Max, il motivo per cui tu non capisci è che io non ho mai avuto la possibilità di spiegartelo. A te mancano dei ricordi, ma non è per questo che sei confuso."

"Ma perché?" chiese lui, guardandola. "Perché mi avresti mentito su una cosa del genere? Io non ricordo … non capisco." disse lui, strofinandosi gli occhi con una mano. Sembrava così perso e vulnerabile, che Liz sentì di colpo gli occhi riempirsi di lacrime. "Io sto solo cercando di dare un senso ai miei ricordi. Devo farlo, Liz."

"Lo so." lo confortò lei, dandogli gentili baci sulla guancia. "Hai ragione, tesoro."

Non le era mai venuto in mente, in tutti quegli anni lontani uno dall'altro, che lui avrebbe potuto domandarsi se lei avesse veramente fatto l'amore con Kyle. Non quando sapeva di avergli detto la verità, prima che lui se ne andasse. Le si spezzò il cuore al pensiero che lui era rimasto incerto sui fatti, continuando a rimuginare sugli sconnessi brandelli di ricordi che possedeva. Eppure, anche così, sembrava certo che lei fosse rimasta pura, dato il vestito bianco che lei indossava in tanti dei suoi sogni.

"Max, fidati di me quando ti dico che con Kyle non è successo niente." gli assicurò Liz solennemente, scostandogli con dolcezza i capelli dal viso. Lui chiuse gli occhi, un leggero sorriso gli apparve sulle labbra. Per un attimo, le ricordò un gatto, quasi come facesse le fusa sotto le sue carezze. "E' una lunga storia, ma i tuoi sogni dicevano la verità. Nessuno mi ha mai toccato, mai in tutti questi anni che siamo stati lontani."

"Nessuno hai mai toccato neppure me." disse Max con un sorriso che diventava sempre più ampio. "Ma tu probabilmente già capito che io sono ancora vergine."

Lei si abbassò verso di lui, fino ad avere le labbra contro il suo orecchio. "Svegliati e fai l'amore con me." lo tentò lei, sorpresa da quanto fosse sexy la sua voce mentre diceva quelle parole.

"Apro i miei occhi?" sorrise lui, con le fossette che apparivano, mentre apriva gli occhi.

"Sì, e fammi diventare la tua amante. Per sempre." disse lei in un fiato, contro la sua guancia. "Ho aspettato così tanto."

"Lo abbiamo fatto entrambi." concesse lui a voce roca, circondandole il viso con le mani. "Ma avrei aspettato un'eternità per poterti tenere di nuovo così."

Lui si sollevò, dandole baci leggeri sulle ciglia. "Svegliamoci tutti e due, tesoro." mormorò lui e Liz sentì il sogno svanire davanti alla realtà.


****

Le mani di Liz tremavano, mentre componeva il numero di Max, ma non poteva attendere oltre. Facendo grande attenzione, premette il tasto di ogni numero e udì il suono dello squillo dall'altra parte, adagiandosi indietro sui cuscini.

"Liz?" rispose la voce morbida di Max dall'altra parte del ricevitore. Non ciao, solo il suo nome.

Liz rise nervosamente, inghiottendo forte. "Hai il lettore di numeri." scherzò, sentendosi una voce strana persino alle proprie orecchie.

"Molto comodo." rise lui, suonando quasi senza fiato mentre parlava. "Casa?"

Il cuore di Liz si sentì subito più al sicuro, mentre la familiare sintassi spezzata di lui la metteva a suo agio. Era incredibile quanto facilmente riuscisse a capirlo, non importa quanto approssimate fossero a volte le sue parole.

"Da un po'." spiegò lei, guardando l'orologio. Erano oltre le 22.30. "Ho fatto un sonnellino." disse, poi aggiunse, intenzionalmente, "Ho sognato. "

"Oh." fu tutto quello che lui rispose, ma lei sentì il sorriso nelle parole smozzicate, mentre lui diceva "Bei sogni … spero?"

"Sogni meravigliosi." arrossì lei, appoggiandosi al cuscino dietro di sé. Per un attimo tra loro cadde il silenzio, eppure non fu pesante, come lei avrebbe pensato potesse essere. Era perfetto e meraviglioso, come quando lei ancora pensava a lui come David Peyton e si era seduta guardandolo dipingere. Alla fine lei parlò di nuovo, tormentando con le dita l'orlo della coperta sopra di lei. "Il fatto è, Max, che quei sogni mi hanno fatto venire voglia di vederti. Stasera."

Lei udì lui espirare lentamente, lo sentì prendere in considerazione la possibilità. "Dovresti riposare … Liz." la incoraggiò lui, eppure lei sapeva cosa lui volesse veramente. Sentiva le silenziose parole che il cuore di lui avrebbe voluto sussurrare.

"L'ho fatto." ribatté lei. "Mi sento bene e stavo pensando che potrei cambiarmi e venirti a trovare. A meno che … beh, se sei stanco … o … o …" perse il filo del discorso e sentì le guance infiammarsi dall'imbarazzo. Improvvisamente, si sentiva stranamente timida per insistere ancora sul fatto di vedersi. Ma poi sentì lui ridere piano dall'altra parte.

"Liz Parker … voglio vedere … te." spiegò lui, sciogliendo le sue paure. "Solo preoccupato … per te."

"Sto bene, Max. Sto assolutamente bene." rispose lei di botto. "Per piacere non preoccuparti."

"Troppo tardi."

Lei si avvicinò il microfono all'orecchio, quasi sussurrando in un momento che sembrò essere pieno di intimità. "Ma tu non devi più preoccuparti".

"Difficile … credere." confessò lui, la voce che era diventata bassa come la sua.

"Allora vieni a vedere e non sarà difficile crederci." lo incalzò lei.

"Io vengo … là." Era un'assunzione, non una domanda.

"Okay." annuì lei, anche se lui non poteva vederla. "Vieni qui, allora. Bene … andrò a cambiarmi." Cercò di respirare normalmente, di impedire al suo cuore di battere così forte nel suo petto.

"In disordine." Fu tutto quello che disse lui e Liz si domandò cosa volesse dire. Alcune delle sue frasi con un'unica parola erano veramente accattivanti, con tutti i significati che potevano assumere.

"Tu o io?" chiese lei, arricciando il naso per la confusione.

"Io." rise lui leggero. "Stavo.… dipingendo."

"Dipingendo cosa esattamente?" disse lei con un tono leggero, da flirt, sospettando improvvisamente che fosse un regalo per lei.

"Sorpresa, Liz." ribatté lui, poi tacque un attimo. "Tu aspetta.… pochi giorni."

"Lo farò." promise lei senza fiato. "Ma non voglio aspettare ancora per te, quindi sbrigati a venire qui, okay?"

"Lì … presto … ciao."

"Ciao, Max." sorrise lei e si alzò di scatto dal divano, affrettandosi verso la camera da letto per scegliere l’abbigliamento perfetto.

Spalancò le ante del suo armadio, in preda al panico. Cosa indossi quando stai per rivedere l'amore della tua vita per la prima volta dopo 10 anni? Assolutamente niente?

E poi lo vide, appeso in fondo all'armadio. Un vestito che sua madre le aveva comprato la scorsa primavera e che lei non aveva mai indossato perché lo riteneva troppo ingenuo, da ragazzina. Un vestito bianco che le scendeva sotto le ginocchia, leggero ed innocente, eppure seducente, per come delineava le sue curve.

Liz lo tolse dall'appendino, inspirando quando sentì il morbido tessuto sotto le dita. Dovette sorridere, chiedendosi quello che Max avrebbe indossato questa sera, se i pantaloni di pelle sarebbero apparsi quasi per magia

Perché di una cosa era sicura, non aveva importanza quello che Max avrebbe indossato quella sera. Il vestito bianco di lei arrivava dritto dai suoi sogni di Antar.

 

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Capitolo 17
*** 17 ***


Parte Diciassette


Il vestito bianco le cadeva perfettamente, anche se aveva perso qualche chilo durante la permanenza in ospedale. Liz fece scorrere le mani sul tessuto, per togliere eventuali grinze, esaminandosi davanti allo specchio dell'ingresso.


Era incredibile quanto l'abito fosse simile allo scollato vestito bianco dei suoi sogni e si domandò se, per caso, il suo subconscio non avesse semplicemente usato un capo di abbigliamento con il quale avesse già familiarità. Se era così, allora i pantaloni di pelle indossati da Max nei suoi sogni, avrebbero potuto spiegarsi con i suoi ricordi di Future Max, rifletté. Ma in qualche modo,sapeva che non era la verità. Max aveva addirittura descritto il suo abito come una tradizionale veste Antariana.

Liz tirò nervosamente più in alto lo scollatura che tendeva a scendere verso il basso, mettendo in troppa evidenza la curva del seno. Si ritrovò inspiegabilmente ad arrossire, mentre immaginava la reazione di Max, sentendosi come se si stesse preparando ad un primo appuntamento con lui. E, in un certo qual modo, lo stava facendo. Girò lentamente su sé stessa davanti allo specchio e il tempo sembrò svanire intorno a lei. Aveva di nuovo 17 anni e si stava vestendo in camera sua, sopra al Crashdown.

Sorrise, ricordando la notte che Max si era ubriacato e l'aveva seguita per tutta la città, durante il suo appuntamento al buio. Era stato incredibilmente determinato nel mostrarle il suo amore per lei, allora, un ragazzo così innocente. Un forte senso di malinconia l'afferrò pensando che aveva smesso di essere un ragazzo non molto tempo dopo quella notte - era diventato un uomo, con un doloroso e inevitabile destino, che lo avrebbe portato lontano nelle galassie e poi di nuovo indietro. Ora lei aspettava lo stesso uomo, un uomo che era stato colpito più e più volte ma non si era mai piegato. Ancora meraviglioso, nonostante il tempo avesse fatto scempio del suo cuore e del suo corpo.

Liz rabbrividì, cercando di scacciare i brutti ricordi, perché quella sera era tutta per la guarigione. Girò su sé stessa davanti allo specchio, esaminandosi di nuovo. I suoi tratti mediterranei venivano esaltati e resi luminosi dal candore del tessuto, facendola sembrare, sorprendentemente, una ragazzina. Aveva lasciato i capelli sciolti, che le scendevano sulle spalle. Era diventati lunghi duranti i giorni del suo coma e, anche se aveva bisogno di una spuntatina, le piaceva quella nuova lunghezza. Liz si sistemò le ciocche oltre le spalle, avvicinandosi un po' allo specchio per studiare il suo riflesso.

L'unica cosa che non poteva nascondere erano i cerchi scuri che le ombreggiavano gli occhi. Sembrava non ci fosse nulla da fare, nessuna quantità di trucco poteva nascondere quella verità. Ma lei aveva acceso le candele tutt'intorno nel soggiorno e nell'ingresso, creando la stessa atmosfera di luci che aveva illuminato la casa di Max. Voleva che lui si sentisse rilassato e a suo agio intorno a lei, non esaminato. E, magari, le luci attenuate avrebbero mimetizzato i segni scuri sotto i suoi occhi.


Forse la cosa più difficile era stata la scelta della musica. Si era inginocchiata davanti allo stereo, scorrendo la sua collezione di CD, scartandone dozzine. Qualcosa che risalisse a 10 anni prima le sembrava un po' troppo scontato, ma non voleva neppure qualcosa di troppo contemporaneo. Frank Sinatra era stata la scelta perfetta a casa di lui e, adesso, sembrava che lei non trovasse nulla che fosse all’altezza. Alla fine, il suo sguardo cadde su un vecchio CD di Carly Simon che aveva preso in prestito, a Natale, dalla collezione di suo padre. Non c'erano troppi ricordi per loro con quelle canzoni, non come Gomez o i Counting Crows. Ed erano comunque canzoni molto romantiche.

Liz si sentì stringere la gola mentre le note di apertura di The Spy Who Loved Me risuonavano nella stanza. Il loro incontro era terribilmente diverso da quando lei era andata da David Peyton. La emozionava e la intimidiva come quello, ma era pieno di un suo incredibile senso di aspettativa.

Poi udì il lieve bussare alla porta d'ingresso, un suono gentile, come l'uomo che la attendeva dall'altra parte. Si affrettò ad aprire la porta e sentì il vestito bianco ondeggiare intorno a lei, sollevandosi leggero proprio come era successo nei suoi sogni. Lei prese un bel respiro, aprendo la porta con mani tremanti.

E lui era lì, vestito in un comodo paio di pantaloni beige e una camicia a maniche lunghe, qualcosa che avrebbe potuto tranquillamente indossare anche 10 anni prima. Aveva i capelli che ricadevano sulle spalle ed era appoggiato al suo bastone.

Per un attimo, si limitarono semplicemente a guardarsi, incapaci di profferire parola, e Liz sentì il viso bruciarle sotto il suo sguardo ardente. Cercò di distogliere gli occhi dai perfetti lineamenti della protesi, anche se, alla sua vista, si era sentita sull'orlo delle lacrime. Era stata così sicura che lui non si sarebbe più nascosto davanti a lei, non dopo tutto quello che avevano condiviso nei mesi passati.


Non dopo i sogni.


Alla fine, fu lui a rompere il silenzio. "Ciao … Liz." disse, nel suo familiare tono quieto, con le parole leggermente imprecise.


"Max." riuscì finalmente a bisbigliare lei. Per un brevissimo istante, lo sguardo di lei vagò, fermandosi sulla maschera liscia.

Lui abbassò immediatamente la testa, i lunghi capelli che gli oscuravano il volto e lo sguardo basso che tradiva incertezza. E lei seppe che, nonostante si fosse sforzata, la sua espressione aveva rivelato lo shock di vederlo indossare ancora la protesi.

Allungò una mano verso di lui, invitandolo ad entrare in casa.

"Max, prego." lo pregò roca, sforzandosi di sorridere. "Entra pure." Tutto quello che aveva voluto era che quello fosse un momento perfetto di riunione e, adesso, sembrava che le sue speranze fossero finite ancora prima di cominciare.

Lui sollevò il peso dal bastone, per un momento, mentre armeggiava con un piccolo bouquet di rose bianche che teneva strette nell'altra mano. A Liz vennero le lacrime agli occhi, alla vista dei teneri boccioli. Ma sollevò di nuovo lo sguardo e vide il lampo dei suoi occhi dorati sotto le luci del portico, il familiare colore ambrato, ancora meraviglioso. Il cuore le mancò un colpo vedendo la chiara angoscia nello sguardo di lui, per una paura che era incapace di esprimere, quando i loro occhi si incontrarono. Liz cercò di mettere nel suo sguardo tutto l'amore di cui era capace, per dargli le rassicurazioni che le parole non potevano dare.

E poi lui scostò il volto, superandola, ed entrò in casa. Rimase immobile di fianco a lei, mentre chiudeva la porta, desiderando che lui la prendesse tra le braccia. Invece lui rimase in una posa formale, appoggiandosi pesantemente al bastone.

"Tu così … deliziosa." disse alla fine, studiandola con timidezza, continuando a stringere il mazzo di rose nell'altra mano. "Stasera."

Lei arrossì al complimento gentile, giocherellando nervosamente con una ciocca di capelli. "Grazie, Max." Avrebbe voluto dire un milione di altre cose, per dare voce a tutte le emozioni che si sentiva nel cuore. E invece rimasero lì, silenziosi e a disagio, insicuri uno dell'altro. Lei finalmente indicò le rose bianche, "Te ne sei ricordato." Sembrava una frase così scontata, che Liz desiderò immediatamente poterla riprendere indietro dal quieto spazio che c'era fra di loro.

Max annuì, porgendogliele con attenzione. "Mai … dimenticato." la rassicurò a voce bassa. "Bianco preferito."

Le loro dita si sfiorarono per una momentanea esplosione di calore, mentre lei prendeva il mazzo tra le mani. Lo sollevò portandoselo al viso, chiudendo gli occhi e improvvisamente le tornò alla mente la sera in cui lui le aveva fatto la serenata. La notte di Future Max. Incredibile, che dopo tutti quegli anni, lui non avesse mai saputo il suo segreto.

"Meravigliose." sorrise lei, stringendosele al petto. "Mi sorprende che non siano rosse, però." lo prese in giro lei, cercando un modo di abbassare le barriere tra di loro. "Credo che i tulipani rossi potrebbe diventare i miei nuovi fiori preferiti."


Max annuì, scostandosi nervosamente i capelli. "Nessuno … dal fioraio." rise e lei sentì che lui stava sorridendo apertamente dietro alla maschera.

"Forse insisterò per avere il dipinto orginale." ribatté lei in tono civettuolo, sollevando il mento.

"Artista difficile." la avvertì lui in tono fintamente serio, scuotendo la testa come uno che la sapeva lunga. "Caratteraccio."

"Oh, io posso domare un artista capriccioso con un battito di ciglia." rise lei. "Ho fatto molta pratica con uno di quelli, Max."

"Domare? " domandò lui intenzionalmente, incontrando lo sguardo dritto di lei con uno innegabilmente suggestivo dei suoi.

Il volto di Liz si infiammò ancora di più al commento e lui rise piano davanti al suo evidente disagio. E poi anche lei cominciò a ridere, mentre sentiva l'atmosfera cominciare finalmente a farsi rilassata tra di loro. Stavano flirtando e scherzando e la tensione era scomparsa. Quella nervosa, almeno. La tensione fisica ed emotiva invece restavano immense.

"Imbarazzata?" la prese in giro lui, alleggerendo il peso sul bastone.

"Neanche un po'." negò lei, tenendogli il gioco, poi si avvicinò di nuovo i fiori al viso. "Io devo solo … andare a mettere questi nell'acqua. Ecco, è esattamente quello che farò." rise lei nervosamente. Si allontanò da lui, dirigendosi in fretta verso la cucina, appoggiando il dorso della mano sul viso. Le sue guance stavano andando in fiamme.

Armeggiò goffamente con il mazzo di roselline bianche e con mani tremanti le tolse dalla carta che le proteggeva delicatamente. Com'è da Max, rifletteva mentre le sistemava in un vaso e le metteva sul davanzale della finestra della sua cucina.

Il leggero ticchettio del bastone di Max tradiva i suoi movimenti nel soggiorno e lei sorrise, realizzando che lui stava studiando i quadri. Liz era consapevole della sua posizione, giudicando il lento battere del bastone che si muoveva lungo il perimetro del suo soggiorno. Il piccolo pannello di Max, Finestra sull'anima, era appeso di fianco alla sua scrivania, dove lei poteva guardarlo tutte le volte che voleva, mentre lavorava. Si domandò se lui se ne fosse già accorto, se avesse indovinato l’importanza per aveva per lei, dalla posizione centrale in cui l'aveva messo.

Liz lo trovò a fissare uno dei meravigliosi paesaggi di Michael, probabilmente quello che lei preferiva tra i suoi lavori, uno che lui aveva dipinto nel deserto vicino alla Pod Chamber. Max lo esaminò in silenzio e lei si domandò a cosa stesse pensando. Per la prima volta, rifletté su quanto lui e Michael avessero in comune adesso, questo territorio totalmente nuovo nel regno della pittura. Entrambi erano così dotati, anche se molto diversi come stile.

"Cosa ne pensi?" chiese, avvicinandosi a lui. Un lieve brivido le corse lungo la schiena mentre si fermava di fianco a lui, sentendo l'incredibile energia del suo corpo. Max si girò verso di lei per un attimo e sorrise. Lei non poteva vederlo, non sarebbe stato possibile, eppure ne sentì il calore fino al centro del suo corpo.

"Molto talento." commentò lui, le parole leggermente malferme. "Orgoglioso … di lui."

"Anche io." fu d'accordo lei. "Ha lavorato duro, Max. Ha lavorato terribilmente sul suo dono."

"Chiaro. Sempre fatto …" lui si fermò, strofinandosi la mascella prima di continuare. "Lui … felice."

"Sì, è vero." acconsentì lei, accostandoglisi ancora di più. Moriva dalla voglia di abbracciarlo, di gettargli semplicemente le braccia al collo e tirarselo stretto contro il suo corpo. Era acutamente consapevole che non si erano ancora toccati. "E, apparentemente anche per te è così." osservò lei.

Lui la guardò, gli occhi che si spalancarono sorpresi. "Tu pensi?"

"Che ti renda felice? Sì, è ovvio." ammise lei con un cenno della testa, poi improvvisamente si trovò a dubitare di sé stessa. "Non è vero?" chiese incerta, notando come lui la stesse fissando stupito.

Lui restò silenzioso per un lungo momento e fissò di nuovo il dipinto di Michael. "Sì, decisa … mente … hai ragione." Quello fu tutto ciò che disse, ma lei ebbe la sensazione che ci fosse dell'altro sotto la superficie, parole forti che lui moriva dalla voglia, ma che non poteva neppure provare a dire.

"Dimmi di più." lo incalzò lei, sfiorandolo leggermente sul braccio. "Quello che non stai dicendo, Max. Io voglio saperlo."

"Dipingere come … respirare." spiegò lui con un sospiro. "Ora. Parlare."

Dipingere come … respirare e parlare ora. Lei si domandò cosa volesse dire, come tradurre quella frase spezzata.

"E così che esprimi te stesso?" chiese lei, avvicinandosi fino a posargli una mano sulla schiena. Di nuovo, un brivido di elettricità le attraversò la mano al loro contatto fisico. Lui la fissò un attimo, quindi distolse subito lo sguardo. Ancora stava evitando di guardarla in viso, nascondendosi da lei, Liz ne era certa.

"Primo anno … dopo … " si fermò e infine mosse la mano indicando vagamente il suo viso come spiegazione. "Non potevo parlare. Quell'anno."

Liz annuì, sentendo le lacrime bruciarle gli occhi. Non era stato in grado di parlare per tutto il primo anno in seguito alle sue ferite.

"Dipingere … unico modo."

"E' così che hai cominciato a dipingere?" chiese lei a bassa voce e lui annuì, volgendo lo sguardo lontano.

"Guardia … amico." offrì come semplice spiegazione e per un momento Liz rifletté sulle parole. Ma voleva sapere di più, avere più spiegazioni per capire questo momento cruciale della vita di Max su Antar.

"C'era una guardia che ti era amica?" chiarì lei, allungando di nuovo una mano verso il suo braccio, ma questa volta Max spostò il bastone nell'altra mano e afferrò le dita di lei con le proprie. Le tenne la mano con la sua così calda, poi lentamente se la portò fino al petto.

"Simpatizzanti … mia famiglia." continuò alla fine. Liz era terribilmente conscia delle loro due mani unite insieme sul cuore di lui. "Simpatizzanti per me. Portato tele … pennelli."

"Ed è così che hai cominciato a dipingere." concluse Liz con voce meravigliata. Max annuì in silenzio, fissando il pavimento con aria riflessiva.

"No penne … armi. No scrivere."

"Ma ti hanno lasciato avere pennelli e tele perché erano okay. Sicure." terminò lei facilmente.

"Così parlavo… con dipinti." continuò lui, con il tono della voce diventato rauco per l'emozione. "No parole, solo …" la sua voce si spense e indicò il quadro davanti a lui come spiegazione. "Ancora più facile."

"Sì, sono sicura che è più facile esprimerti con i quadri, anche adesso." lo rassicurò lei e lui le strinse forte la mano nella propria. Lei si mosse piano, allora, fino a trovarsi esattamente di fianco a lui. "Ma le tue parole sono meravigliose come i tuoi quadri, Max."

Lui la guardò dubbioso, stringendo gli occhi dorati in preda all'emozione. "Frustrante." fu tutto quello che disse, eppure la mente di lei si riempì di tutte le parole non dette. Era frustrato per essere con lei, così incapace di esprimere sé stesso. Frustrato dai suoi stessi limiti, perché tenere un pennello in mano gli veniva così facile, quando invece le parole che diceva, per molti, erano quasi incomprensibili.

"Lo so." sussurrò lei rassicurandolo, poi sollevò una mano esitante verso il viso di lui e gli scostò gentilmente i capelli dagli occhi. "Ma io ti capisco perfettamente, Max. Lo sai questo."

Improvvisamente, sembrò che si fossero completamente immobilizzati in quella posa, la mano di lei che gli accarezzava i capelli, il viso di lui inclinato verso quello di lei. Entrambi incapaci di muoversi, di parlare. Persino di respirare. Il bisogno tra di loro si levò improvvisamente, diventando qualcosa di tangibile e palpabile nell'aria intorno a loro. Il silenzio era carico di elettricità, carico di elettroni che si muovevano nel breve spazio che c'era tra i loro corpi.

"Liz." sospirò lui alla fine, allungando una mano verso di lei. E a quel gesto la tensione si spezzò e, prima di poter pensare, lei si buttò contro il petto di lui, passandogli le braccia intorno al collo. Lo sentì sobbalzare leggermente all'improvviso impatto, ma rispose abbracciandola ancora più forte, portandosela tutta contro il proprio corpo. Lei aveva bisogno di stringerlo tra le sue braccia e questo superava il bisogno di mantenere la sua compostezza, interrompeva quella strana danza in atto tra di loro.

"Io non posso starti lontana, Max." mormorò lei, tenendolo stretto. "Non posso fingere che non voglio toccarti in questo modo."

Come nei suoi sogni, Liz sentì le mani di lui spostarsi dietro al suo collo, esitanti ma piene d'amore. "Voluto questo … così tanto." sussurrò contro la sua testa. "Bisogno di te.… così tanto tempo"

"E allora stringimi." gli chiese piano. "Proprio così. Tienimi stretta per tutta la notte, Max." Lei si tirò indietro e sollevò lo sguardo per incontrare quello di lui, pieno di nuda vulnerabilità. Non c'era nulla di nascosto adesso, infinite emozioni brillavano nei suoi occhi profondi.

"Toglila, Max." gli chiese in un sussurro e gli occhi di lui si spalancarono. "Ti prego. "

Lui scosse la testa con forza, con gli occhi gli si riempivano di panico, e infine abbassò la testa e distolse lo sguardo.

"Per favore." lo pregò di nuovo lei, appoggiando i palmi delle mani contro il suo viso, mentre Max lentamente si voltava a guardarla di nuovo. "Io sto morendo dal bisogno di vedere il tuo volto."

"Non posso." riuscì a dire lui e lei vide le lacrime nei suoi occhi.

"Ma sono io, Max." gli ricordò lei e, lentamente, accarezzò il viso di lui con la punta delle dita, sentendo il ruvido materiale della protesi. "Io ti amerò sempre. Io ti amerò a qualsiasi condizione."

Lui si allontanò da lei, allora, scostando le braccia di lei dal suo corpo, e si girò, dandole la schiena. Lentamente, zoppicò fino dall'altra parte della stanza e lei vide le sue spalle curvarsi, come sotto un gran peso.

"Liz." cominciò a dire lui e lei gli sentì la voce tremare incerta. Max esitò, passandosi una mano tra i capelli, muovendosi con lentezza attraverso il soggiorno. Lei lasciò che lui si allontanasse di qualche passo, anche se avrebbe voluto camminare con lui. "Troppo."

"No, non lo è." ribatté lei immediatamente. "Non sto chiedendo troppo, affatto."

"No, ferite … troppo."

"Per cosa, Max?" gridò lei, stringendosi le mani al petto. "Per il mio amore? Credi che non possa accettarti? Com'è possibile che sia troppo?"

"Perché ho … troppe ferite." urlò con forza lui, girandosi per guardarla. "Te l'ho detto.… nella lettera." pianse, con la voce che si faceva più bassa. Eppure l'angosciosa intensità rimase dentro alle sue parole.

"Io ho visto le cicatrici, Max, infinite volte." gli ricordò lei con voce decisa, mentre gli si avvicinava. "Le ho viste nei miei sogni e non sono fuggita. Tu hai detto anche questo nella tua lettera." gli rammentò di nuovo, sentendosi improvvisamente arrabbiata. Arrabbiata che lui fosse un tale testardo, che lui prendesse le decisioni per lei. "E' una scelta mia, che siano troppe oppure no, Max." disse con la gola stretta e le lacrime che cominciavano a rigarle il viso. "E io scelgo te. Ho sempre scelto te. Questo non è mai cambiato!"

Improvvisamente lui abbassò la testa e un basso gemito di dolore gli uscì dalle labbra. Le sue spalle si abbassarono , lui mise la testa tra le mani e quindi un altro singhiozzo seguì al primo. Liz corse da lui, mentre Max si lasciava cadere sul divano, con le spalle che tremavano leggermente. E non erano lacrime facili quelle che stava piangendo. Erano profonde, provenienti da ferite del cuore, lacrime che avevano bisogno di essere versate.

Liz imitò lei sue azioni, sedendosi sul divano di fianco a lui, mentre lui continuava a tenersi il viso tra le mani. "Perché scegli … me?" chiese improvvisamente, sollevando lo sguardo verso di lei, con i lunghi capelli che gli oscuravano i lineamenti.

"Hai persino bisogno di chiederlo?" sussurrò lei meravigliata, allungando le mani per circondargli il volto. "Dopo tutto quello che abbiamo condiviso in questi mesi? Dopo le nostre lettere?" Liz esitò un momento, scostandogli i capelli da quel volto così liscio. "Pur sapendo che io ti ho sempre amato?"

Lui abbassò lo sguardo sulle mani, rimanendo in silenzio per così tanto tempo che Liz si domandò se avrebbe mai risposto. Poi finalmente lui incontrò il suo sguardo penetrante e fissandola negli occhi sussurrò "Come ami … me? Così?"

"Perché le anime gemelle si amano per sempre, Max." sussurrò lei dolcemente, sfiorandogli una guancia con le labbra. Sapeva che lui non avrebbe sentito il bacio, non veramente, non con tutto quello spesso materiale che gli circondava il volto. Ma lentamente, lei aprì le labbra e lo baciò lì, un bacio lungo e tenero. "Io ti amerò per sempre, Max." sospirò contro il suo viso, accarezzandolo con la bocca. "Fatti baciare." chiese alla fine in un sospiro, mentre le sue dita esploravano il bordo della protesi, l'orlo sotto all'attaccatura dei capelli. "Io ho così tanto bisogno di baciarti." Liz trattenne il fiato per un lungo momento, aspettandosi le sue proteste. Invece lui non lottò, rimase fermo come una statua sotto il tocco curioso di lei.

E Liz si fece più vicina, quasi sedendosi in braccio a lui e, di nuovo, lo baciò sul viso, ignorando il materiale sintetico che li separava. Si concentrò su Max, sull'uomo sotto alla maschera. Teneramente, allungò le mani dietro alla testa di lui e con lentezza sciolse il laccio che teneva la protesi, così da farla allentare contro la sua mano. Lo stava guardando decisamente in faccia, adesso, quasi seduta sul suo grembo e con le dita, delicatamente cominciò a scostare la protesi.

La prima cosa che vide fu una spessa cicatrice rossa, che correva lungo tutto il viso, dall'attaccatura dai capelli giù fino alla mascella. Poi apparvero altre cicatrici mentre la maschera si raggrinziva tra le sue dita. Eppure Max rimase stoicamente immobile, ad occhi chiusi. Era quasi come se stesse facendo forza su sé stesso, con i muscoli del viso tesi e rigidi. Quasi come se si fosse aspettato che lei si mettesse a urlare per quello che stava vedendo.

Invece lei vedeva solo il suo adorato. Un volto meraviglioso segnato da infiniti segni e cicatrici scure, eppure struggente e meraviglioso come non era mai stato prima. Lentamente, seguì il contorno di quella più lunga con la punta del dito. Avvicinò le labbra e cominciò a dare dolci e teneri baci lungo tutta la linea che lo segnava. Voleva che Max sentisse la sua adorazione, mentre le sue labbra lasciavano una scia di fuoco sul viso di lui. Voleva che lui sapesse che lei lo stava letteralmente avvolgendo nel suo amore, mentre muoveva piano la bocca fino dall'altra parte del suo viso. Quella parte che era così terribilmente gonfia e sfigurata lungo la mascella. Lei premette le labbra contro l'osso, la zona che era così deforme e sentì un sordo gemito provenire dalla bocca di lui.

Poi lui fece la cosa più inaspettata. La strinse saldamente sui fianchi e se la tirò addosso, sul suo grembo. Con una tale facilità, in effetti, come se lei fosse stata la cosa più delicata del mondo. Come se il suo ginocchio non avesse affatto sofferto sotto il peso del corpo di lei.

Lei si tirò indietro e lo guardò negli occhi. Erano così sinceri e pieni di desiderio, lucidi di lacrime. Lui accarezzò i suoi capelli con le dita, infilandole tra le ciocche come una scia di fuoco. Fino a quando la sua mano rimase esitante intorno alla vita di lei, sentendo il leggero tessuto del vestito. Lui guardo l'abito, accarezzando piano le pieghe che si erano formate intorno al corpo di lei.

"Visto … questo." lui lo riconobbe, sorridendo con dolcezza. "Molte volte."

"Mi domandavano se l'avresti riconosciuto." rise lei senza fiato, facendogli scivolare le braccia intorno al collo. Lui la strinse contro il suo petto, sistemandosela meglio in grembo.

"Principessa … Liz." si illuminò lui e Liz si sentì letteralmente mancare un colpo al cuore davanti al sorriso intenso di lui. Lui non ne era consapevole e questo era quello che la meravigliava di più. Non aveva la benché minima idea di quanto fosse ancora incredibilmente affascinante, solo più indurito da quanto era successo. E vedere i suoi meravigliosi lineamenti per la prima volta in 10 anni, le faceva sentire cose che non credeva esistessero più.

"Cosa?" chiese lui piano, sollevando le sopracciglia curioso.

"Tu sei semplicemente … magnifico." sospirò lei, scuotendo la testa per il grande piacere. Lui le circondò il viso con le mani, avvicinandola al suo. Liz cominciò a tremare sotto il tocco di lui, sentendosi tutto il corpo percorso da lievi tremori. "Avevo dimenticato quello che tu mi fai sentire, cosa provo quando sono tra le tue braccia."

Max sbatté gli occhi sotto lo sguardo fermo di lei, poi le abbassò il viso, catturandone la bocca con il più tenero dei baci. Come velluto caldo, le loro labbra si incontrarono. Per la prima volta in 10 anni, Liz baciò quell'uomo, quello che non aveva mai smesso di amare. Che non era mai stata in grado di allontanare dal suo cuore.

Le dita di lui giocherellarono con le pieghe dell'abito, mentre lei gli passava le dita sui capelli che gli scendevano sulle spalle. In quel momento, Liz non sarebbe stata in grado di dire dove finiva il suo corpo e dove cominciava quello di lui, mentre le sensazioni cominciavano ad aumentare di intensità, immagini e movimenti che vorticavano dentro di lei. Avvolgendolo nel suo amore, decisa a far sì che ogni gentile bacio lo guarisse un pochino di più.

Tutto quello che sapeva era che si stava perdendo dentro di lui. Immediatamente, tutto quello che li aveva separati scomparve e, in quel lungo istante, la sua anima divenne una con quella di lui. Ma non durò solo quell'attimo, realizzò lei, quando i flash cominciarono a scorrere come polvere d'oro riflettendo tutti i ricordi e i sogni che avevano condiviso.

No, le loro anime sarebbero per sempre rimaste unite come una sola, per il resto dell'eternità.

 

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Capitolo 18
*** 18 ***


Parte Diciotto


La pioggia estiva batteva contro il tetto della casa di Max, ritmica e armoniosa, cullando Liz che era sdraiata sul divano. Negli ultimi due mesi, questa era diventata una tenera abitudine tra loro – lui avrebbe dipinto, mentre lei leggeva o riposava sul divano, come aveva fatto spesso nel loft di Michael.

Eppure questa sera era differente, perché Max aveva timidamente chiesto di dipingere il suo ritratto, facendole capire che aveva in mente qualcosa di speciale. Lui ci stava già lavorando da diverse ore, studiandola in silenzio dallo studio nel quale dipingeva. Ogni tanto le lanciava uno sguardo e i suoi occhi sembravano diventare sempre più intensi, pieni di innegabile bisogno.

E il corpo di Liz reagiva ad ogni occhiata, ad ogni gesto che lui faceva verso di lei. Per la verità, più a lungo lei rimaneva sotto lo sguardo intenso di lui, più il suo corpo di scaldava in risposta – soprattutto quando vedeva le guance di lui arrossarsi ogni volta che i loro sguardi si incontravano.

Per il ritratto, lui l'aveva voluta con il vestito bianco e lei se lo era portato dietro per cambiarsi dopo il lavoro. Ma un inaspettato temporale era scoppiato durante il tragitto in automobile fino alla casa di lui, così aveva corso nel vialetto fino all'ingresso, tenendosi il vestito da indossare stretto al petto. I suoi sandali avevano sollevato schizzi di fango che le erano corsi come rivoletti sulle gambe, e i suoi capelli erano zuppi d'acqua.

Max l'aveva fatta entrare in fretta, togliendole il vestito di mano, mentre la portava verso la cucina con un sorriso silenzioso. Lei era rimasta confusa dalla sua reazione, fino a quando lui non aveva detto a voce bassa "Capelli meravigliosi … bagnati. Bel quadro."

Lei era arrossita, passandosi le dita tra le ciocche bagnate, fino quando lui non aveva sollevato le mani per fermarla. "No … amo così."

"Sei sicuro?" aveva chiesto lei incerta, asciugandosi il viso con le dita. Poi lui l'aveva sorpresa, prendendo tra le mani un asciugamano e, appoggiato cautamente al suo bastone, abbassandosi per asciugarle le gambe bagnate. Lei aveva protestato di essere in grado di farlo da sola, ma lui si era limitato a sorridere mentre si risollevava. Lentamente, l'aveva baciata sulla bocca, leccando le gocce di pioggia che ancora aveva sulle labbra.

E c'era stato qualcosa di diverso in quel bacio. Era pieno di aspettativa, di un calore non più trattenuto. Quel bacio l'aveva bruciata dentro quando, dopo che all’inizio le loro labbra si erano appena sfiorate, era diventato più profondo. Qualunque nuovo mistero fosse cominciato tra di loro, lei si era sentita le labbra ardere, quando lui si era lentamente tirato indietro.

"Ehi" aveva sussurrato lui, come se fosse stata la prima volta che la vedeva in tutta la sera. Solo allora lei aveva realizzato che lui non aveva praticamente parlato da quando era arrivata. Eppure non avevano fatto altro che comunicare.

Lei aveva allungato le dita ancora bagnate fino alla guancia, per accarezzargli il viso. Era qualcosa che adorava fare, adesso che finalmente non doveva più trattenersi. "Sei di buon umore." aveva osservato con dolcezza, sfiorando il contorno della sua cicatrice più profonda, e negli occhi di lui si era acceso un lampo. Lei aveva riconosciuto la stessa energia del loro bacio, che illuminava le pagliuzze d'oro e ambra negli occhi di lui.

"Felice." aveva ammesso lui, circondandole la vita con un braccio, guidandola verso il soggiorno. "Weekend."

Liz aveva sollevato lo sguardo verso di lui, mentre si muovevano insieme verso il divano. La stupiva la facilità con cui lo capiva ora, come le sue frasi più frammentarie e smozzicate le sembrassero lunghe e piene di dettagli. Felice weekend. Nel lessico di Max significa che era contento che fosse arrivato il weekend, che dava loro quasi tre giorni per stare insieme, senza interruzioni.

Lui amava i loro weekend insieme, ne beneficiava come di un dono e lei adorava il poterlo ricoprire di attenzioni, in quei momenti. Non c'era la galleria, non c'erano altri artisti che reclamavano l'attenzione di lei. Be', a meno di contare le visite della domenica mattina di Michael, ma lui ricadeva nel regno sospeso tra famiglia e amicizia, e non era certo un cliente pieno di necessità.

"Anche io." si era trovata d'accordo lei, mentre lui la faceva accomodare sul divano, guardandola con occhi pieni di aspettativa. "Non vuoi che mi cambi?" aveva chiesto lei, mentre lui stendeva il vestito sul divano.

Lui aveva scosso la testa. "Non ancora." aveva risposto con voce roca. "Spiego ritratto."

"Spieghi?" aveva domandato lei, arricciando il naso in confusione mentre lui si lasciava cadere con attenzione di fianco a lei sul divano. Sembrava improvvisamente timido, mentre giocherellava con il bastone tra le dita, facendolo rotolare tra i palmi delle mani.

Lui aveva tenuto gli occhi fissi sulle sue mani, senza guardarla, mentre sussurrava. "Spiego … il vestito."

"Credo di sapere perché mi vuoi in quel vestito, Max." aveva scherzato lei in tono civettuolo, appoggiandosi contro di lui. "Penso di sapere esattamente il perché."

"Penso a questo … sempre." aveva ammesso lui a voce bassa, giocherellando ancora con il bastone.

"Pensi a cosa, Max?" lo aveva incalzato lei, sebbene sapesse già la risposta. Sapeva quello che lui voleva, cosa stesse lasciando intendere.

"Non solo a questo … a te." aveva sospirato lui, fissandola con uno sguardo pieno di evidente desiderio. "Sempre penso … a te."

E lei era stata sicura che lui stesse per confessargli quanto desiderava fare l'amore con lei, sussurrarle le parole all'orecchio. Chiederglielo finalmente. Eppure lui non l'aveva fatto, aveva faticato a rimettersi in piedi e, senza pronunciare un'altra parola, aveva camminato fino al suo studio.

Per un momento lei aveva sentito il familiare senso di frustrazione e avrebbe voluto mettersi ad urlare. Per chiedergli se lui non sentisse le stesse cose che sentiva lei, fino a quando lui non si era fermato, guardando indietro verso di lei con uno dei suoi caldi sorrisi. Quello in cui lei fossette apparivano improvvisamente e tutto il suo volto si illuminava di gioia.

"Ti amo." aveva offerto. "Così tanto, Liz."

"Anche io ti amo, Max." aveva risposto lei con dolcezza, sentendo la sua frustrazione dissolversi alla luce di quel sorriso. Uno che lei immaginava fosse apparso fin troppo raramente in molti anni.

E lei, da allora, era rimasta sdraiata sul divano, facendosi domande sul vestito, su quello che lui ne aveva detto. Aveva veramente voluto dire quello che lei si era immaginata?

Mentre ascoltava i rumori della pioggia sul tetto, i suoi pensieri andarono ai suoi sogni, a Max sulla spiaggia, al campo di fiori. Al significato del vestito bianco per entrambi.

Cosa ancora potesse significare tra loro perfino adesso, perché ancora non si erano fatti dono dei loro corpi, non nei due mesi che erano passati da quando erano tornati insieme. Avevano usato molta cautela nelle loro carezze, nei loro sfioramenti. Troppo delicati con questo amore che stava finalmente sbocciando come un fiore dopo le nevi invernali.

Liz lo amava ancora più di prima, ma aveva anche realizzato che dovevano muoversi lentamente nella loro relazione fisica – specialmente con quello che lei aveva saputo sul suo handicap. Come a volte il ginocchio gli facesse male per giorni e giorni, richiedendo risposo, e lui passasse il suo tempo sdraiato sui cuscini. Certe volte la mascella gli doleva così tanto che lui non riusciva neppure a parlare. E lei lo aveva visto sbiancare appoggiandosi al bastone, anche se lui aveva sempre lottato per nasconderle il dolore che provava.

No, aveva fin troppa familiarità con i segnali silenziosi del suo dolore – quelli che lui sembrava pensare di aver nascosto così bene – per affrettarsi verso una relazione fisica tra loro due. La loro prima volta avrebbe dovuto essere gentile e attenta. Dovevano sentirla essere la cosa giusta, perché lei non poteva pensare che Max potesse sentirsi esposto o vulnerabile nei riguardi del suo corpo.

Soprattutto non quando lui era ancora così incredibilmente magnifico.

Lei lo sapeva perché gli aveva gettato occhiate di nascosto nei momenti più strani, quando lui era a torso nudo in jeans o in boxer dopo che avevano passato la notte uno nelle braccia dell'altro. Aveva sentito il corpo di lui contro il suo, mentre si scambiavano baci poco più che casti e lui le aveva aperto la camicia, sfiorandole il petto con le labbra per lasciare una traccia d'argento sulla pelle di lei. Poi le aveva preso un capezzolo tra le labbra, bagnandolo di saliva e ad un tratto la sua energia le aveva attraversato il petto come una pioggia di meteore.

Ma non aveva visto molto di più. Non ancora. Sebbene lei già sapesse che lui era terribilmente meraviglioso. L'amore che aveva per lui la rendeva certa di questo.

Sobbalzò quando lui le chiese "Cosa pensi?" Aveva smesso di dipingere ed era rimasto in piedi a pulire il pennello con uno straccio, mentre la guardava. Come Michael, quando lavorava aveva l'abitudine di tirare indietro i capelli dagli occhi e poche ciocche sciolte gli cadevano sulle guance.

"C … cosa?" balbettò lei, mentre lui si puliva il viso col dorso della mano. Lei si sentì improvvisamente esposta, come se lui potesse conoscere i suoi pensieri, specialmente visto come aveva spalancato gli occhi alla domanda di lei.

"Liz." rise, lasciando cadere il pennello sul tavolo di lavoro. "Cattiva bugiarda. Ricordi?" la prese in giro lui, camminando lentamente verso di lei. Senza il bastone.

Lei si tirò su, pronta a commentare la sua pericolosa camminata – e qualcosa l'aveva fatta tacere. Forse il fatto di non essere sicura che lui si fosse accorto di averlo fatto, mentre lui si avvicinava lentamente verso di lei, con un sorriso seducente sul viso.

"Allora non mentirò." rispose lei audacemente, buttandosi i capelli indietro sulle spalle. Il vestito le si aprì, in velata seduzione, a causa della posizione che aveva. Lei sapeva che rivelava l'attaccatura del seno, forse di più. Ma non cercò di aggiustarselo. Invece, continuò a tenere lo sguardo fisso sul viso di lui.

"Stavo pensando a quanto ti desidero." rispose lei, con voce roca e spessa. "Che tutto quello che voglio è che tu faccia l'amore con me." Max rimase in piedi davanti a lei, abbassando lo sguardo verso i suoi occhi. "E' quello che ho voluto per tutti questi mesi." terminò lei, sentendosi le guance avvampare.

"Ecco perché … " tacque per un momento e Liz lo vide trattenere una smorfia di dolore, poi riprese. "Io volevo … abito bianco." disse, allungando un braccio per sfiorare il tessuto che cadeva lungo la sua spalla. "Stasera."

"Davvero?" chiese lei, conscia del fatto che il suo cuore avesse cominciato a batterle forte nel petto.

"Perché dovevo … dipingere te." annuì lui, avvicinandosi ancora. Lei allungò una mano e gli accarezzò il torace, facendo scivolare le dita sotto l'orlo della sua maglietta, così da poter accarezzare l'addome piatto. "Stasera." rispose lui con voce roca di desiderio. "Dipingere come … fare l'amore. Parlare. Respirare." era quasi quello che lui le aveva detto quella sera di molti mesi prima, solo che ora fare l'amore era il suo primo termine di paragone.

Lei gli sollevò la camicia, fino a quando non riuscì a vedere la pelle calda del suo stomaco, e si abbassò, per lasciare lì un tenero bacio. Era qualcosa che avrebbe voluto fare fin dalle scuole superiori, quando per la prima volta aveva visto il corpo di lui. Era cambiato da allora, certamente. Eppure rimaneva sorprendentemente muscoloso e definito, nonostante l'handicap, nonostante gli anni di prigionia.

Un morbido suono uscì dalle labbra di lui, mentre lei continuava a baciargli lentamente l'addome, abbassando l'orlo dei jeans, così che le sue labbra potessero sfiorare la pelle sottostante. Lui infilò le mani tra i suoi capelli, con le dita che si afferrarono alle sue ciocche, ed emise un basso gemito.

"Liz." la pregò piano, mentre lei faceva scivolare una mano lungo il suo fianco. Sapeva che stava prendendo l'iniziativa e sapeva che questo avrebbe potuto cambiare una volta che fossero entrati in camera da letto. Ma per ora, voleva che lui sentisse tutto il desiderio che lei aveva per lui, voleva che lui sapesse come lei lo vedeva. Come lo aveva sempre visto.

Improvvisamente fu come se un fiume si fosse aperto sotto di loro e vi si tuffarono a capofitto, vorticando tra le luci, le immagini ed i suoni, mentre Max si inginocchiava lentamente davanti a lei. Lei stette quasi per fermarlo, quasi protestò che avrebbe dovuto fare attenzione al ginocchio, ma non osò farlo. Le immagini si intensificarono tra loro, così come i suoni che le accompagnavano e che li avvolsero come l'abbraccio di un amante, e lei vide tutto quello che c'era nel cuore di lui.

Vide le sue paure, la sua vulnerabilità per le sue cicatrici e per quanto lo facessero sentire sfigurato, il suo bisogno di lei e quanto fosse sempre presente dentro di lui. E vide che lui l'aveva fatta sua in questo modo migliaia di volte, più di quante lei potesse contare, sempre facendo l'amore con lei come se fosse la sua sposa vestita di bianco. Lui il suo principe, lei la promessa del suo cuore.

Le lacrime cominciarono a rigarle il viso e lei non riuscì a fermarle, limitandosi a sussurrare il suo nome contro la sua guancia sfregiata. "Max." lo pregò, infilando le dita tra i lunghi capelli di lui, mentre lui si sedeva sul divano con lei. "Max." gemette di nuovo, muovendosi su un fianco, così da poterlo tenere tra le sue braccia. Fece scivolare le mani di nuovo sotto la sua camicia, facendole risalire così da poter toccare la sua pelle calda.

"Liz." gemette lui, sfilandosi la camicia dalla testa. "Amore … amore mio." mormorò, ricadendo tra braccia di lei. I capelli gli scivolarono sulle spalle e Liz non poté impedirsi di toccarli, facendo scorrere le dita tra le ciocche setose. Esattamente come le dita di lui continuavano ad accarezzare il suo corpo, scostando il vestito e seguendo ogni curva con tale disperato bisogno.

Lei vide il suo desiderio nei flash, sentì il suo bisogno di far unire il corpo di lui al suo. Non avvolto dall'abito quello di lei, non stretto dai jeans quello di lui. Max doveva farla sua.

"Liz." riuscì finalmente a dire. "Camera … letto.… non.… sofà."

"No, non sofà." ripeté lei, rispecchiando la sua sintassi, mentre si staccavano dopo quei baci disperati. Si fissarono per un lungo momento, cercando di riprendere fiato.

"Liz, cambia … tutto." avvertì lui, dandole un gentile bacio sulla tempia. "Lo sai questo. Mai più uguale."

"Io voglio questi cambiamenti, Max." rispose lei, afferrandogli le spalle. "Io non posso più aspettare. Ho bisogno di te, ora."

"Anche io." annuì lui piano, prendendole le mani. Le diede dolci baci sui palmi, fissandoli pensieroso per un momento. Poi i loro occhi si incontrarono alla luce delle candele, e lui sussurrò " Ho bisogno di noi, Liz."


*****

La luce del sole cadeva sul letto di Max, scaldando i loro corpi nudi nel primi raggi del mattino. Quando Liz si svegliò al tocco della mano di Max morbidamente appoggiata al suo addome, sorrise. Eppure non osò aprire gli occhi e neppure muoversi, per paura di svegliarlo.

Erano amanti adesso e non si poteva più tornare indietro. I loro corpi avevano reso solido quello che era sempre esistito tra le loro anime. Erano diventati uno.

Max aveva avuto terribilmente ragione – fare l'amore aveva cambiato le cose tra loro, per sempre. Ora lei avrebbe sempre conosciuto la sensazione di Max che si muoveva profondamente nel suo corpo. Avrebbe per sempre conosciuto la profondità della loro connessione, che cosa significava perdere sé stessa nella luce dorata che lo avvolgeva.

Ma una cosa non avrebbe mai potuto cambiare, né in una notte d'amore, né in mille. Il suo amore per lui, che rimaneva una costante come il battito del suo stesso cuore, come il sorgere delle lune gemelle di Antar.

Max russava piano contro la sua guancia, un suono dolce, melodico, che aveva cominciato ad apprezzare come un tesoro negli ultimi due mesi. Senza aprire gli occhi, sentì la pace dentro l'animo di lui, sentì che lui stava riposando veramente per la prima volta in molti anni. Anche meglio di quando andava ancora a scuola. E forse era questo che segnava il passaggio da promessi amanti ad amanti. Forse era nel modo in cui uno poteva fidarsi dell'altro in questo modo, forse era nella sicurezza che ogni battito del cuore acquistava, persino nei sogni.

Liz non poteva esserne sicura. Eppure, mentre giacevano sul letto di lui, lei aveva tutto quello che aveva sempre desiderato, la sua metà dell'anima sdraiata di fianco a lei, il suo corpo caldo addosso a quello di lei.

Lentamente, aprì gli occhi e vide Max con i lunghi capelli che gli ricadevano sul viso. Lo osservò liberamente, sbattendo gli occhi alla luce del sole che attraversava i suoi capelli scuri, rivelando tracce d'argento contro il cuscino.

E qualcosa di incredibile attrasse la sua attenzione sulle cicatrici che gli rigavano il volto.

Per un attimo, fu sicura che la luce del sole le stesse giocando brutti scherzi, poi cambiò idea, pensando che le scure ciocche di lui alterassero in qualche modo i suoi lineamenti. Ma alla fine, sollevò una mano esitante e scostò i capelli dal volto di lui perché aveva bisogno di vedere le sue cicatrici più chiaramente.

Rimase senza fiato alla vista del viso di lui, spalancando gli occhi con meraviglia. Immediatamente, Max si mosse accanto a lei e Liz fece cadere la mano. Lui aprì gli occhi e il suo viso si aprì in un assonnato sorriso.

Lei gli accarezzò il volto con la punta delle dita, seguendo il contorno delle familiari cicatrici, le linee profonde che segnavano le sue guance. E le sentì diverse persino sotto il tocco della sua mano.

Max si stirò languidamente, sollevando le braccia sopra la testa così da far cadere il lenzuolo fino ai suoi fianchi. Lo sguardo di Liz cadde sulla familiare cicatrice che attraversava il suo torace, proprio sopra il cuore, e restò meravigliata nel vedere che, anche quella, si era come ridotta durante la notte.

Liz posò il palmo della sua mano sopra il cuore di lui, sentendo il contorno spesso della cicatrice sotto la sua mano. "Max." riuscì a dire, inghiottendo forte. "Ti amo." Per qualche motivo voleva che lui sapesse questo come prima cosa, che lui ascoltasse quelle parole uscire dalle sue labbra.

"Ti amo, anche io." rispose lui piano, ma aggrottò le sopracciglia confuso. "Cosa … non va?"

Liz si sollevò i capelli oltre la spalla, sedendosi sul letto per guardarlo. Il nuovo angolo di visione le permetteva un'incredibile vista del trasformato viso di lui, di quanto differenti apparissero quelle profonde linee dopo solo 10 ore.

Gli prese le mani tra le sue, intrecciando le dita con quelle di lui prima di parlare. "Max, ti è successo qualcosa." spiegò con gentilezza. "Quando abbiamo fatto l'amore."

L'atteggiamento di lui cambiò immediatamente, rilassando i lineamenti. "Puoi dirlo." rise, accarezzandole lentamente la spalla. "E' stato stupefacente."

"No, voglio dire che è successo veramente qualcosa." insistette lei, sentendosi le lacrime agli occhi. "Al tuo viso."

"Al mio viso?" chiese lui, sfiorandosi la mascella. "Non capisco."

"Max, le cicatrici sono … sono … " balbettò lei e le lacrime scesero giù per le guance, prima che lei riuscisse a sussurrare con voce roca. "Più leggere. Molto più leggere … questa mattina."

I marchi sulla pelle erano sempre stati di un rosa acceso, come mai guariti e ruvidi contro la sua pelle. Nei due mesi precedenti Liz avrebbe voluto suggerirgli di usare le pietre guaritrici, di chiamare tutti e cercare di curarlo. Eppure qualcosa l'aveva sempre fermata, impedendole di dare il suggerimento.

Si era trattenuta perché aveva visto dei frammenti nei loro flash mentre si baciavano, cose che, lei lo sapeva, non avrebbe dovuto vedere.

Max fece scorrere la mano sul viso, sorprendentemente calmo, quindi, alla fine, si lasciò cadere sulla schiena e rimase a fissare il soffitto. Differenti emozioni si leggevano sul suo volto e Liz si sentì esclusa da tutto. Lui era di nuovo su Antar, di nuovo in prigione. Migliaia di miglia lontano dal loro letto, dalle braccia di lei.

"Max, dimmi qualcosa." lo incalzò lei, ripulendosi le lacrime col dorso della mano. "A cosa stai pensando?" si era aspettata che lui festeggiasse, che ne fosse felice, non certo malinconia e distacco.

Per un lungo momento lui rimase silenzioso, quindi, alla fine, sospirò pesantemente. "Mi sto domandando perché mai sono partito con Tess."

La stanza sembrò girare intorno alle sue parole, mentre una parte della magia cominciava a scomparire. "Tu non … capisci." continuò lui finalmente, dopo averla scrutata per diversi minuti. "E' vero?"

"No." rispose lei, scuotendo la testa. Perché doveva fare il nome di Tess adesso, portandola dentro il loro letto nel preciso momento in cui la sua guarigione era cominciata?

"Tu mi hai risanato." rispose lui semplicemente. "Io l'ho sentito, Liz. Questa notte."

Anche il suo modo di parlare era cambiato, meno spezzato e più coerente. Ma Liz non si concentrò su quello, invece riportò lo sguardo sul suo amante, sugli occhi dorati che continuavano a guardarla. "Quando tu hai … toccato … " lui esitò un attimo, strofinandosi la mascella con un sospiro di frustrazione. "Il mio viso."

Lei sapeva benissimo a quale momento lui si stesse riferendo, quello in cui era cominciato il cambiamento mentre facevano l'amore. Gli occhi di lui le avevano detto tutto in quel momento – nell'attimo culminante, quando lei gli aveva circondato il viso con le mani, sfiorando con baci preziosi i segni brutali. Qualcosa era successo sotto le sue labbra, qualcosa di mistico – e poi l'argento si era soffuso sulla pelle di lui, come la luce lontana che illuminava la stanza. Lui aveva aperto la bocca in un basso gemito e aveva allungato la mano per toccarsi il suo stesso viso, meravigliato.

"Lo so che lo hai sentito." disse lei, tornando a circondargli il viso con le mani. "C'era dell'argento sopra le tue cicatrici, Max. Io l'ho visto."

"Come l'impronta della mano." sussurrò lui, spalancando gli occhi. "Su di te."

"Era proprio come quello, solo … " lei si fermò, cercando il modo più adatto di descriverlo. "Era come una tempesta magnetica."

"Liz, non guarito prima." La frase era chiara, ma la lasciò incerta sul suo significato

"Lo so, tesoro." rispose lei alla fine, scuotendo la testa in segno di assenso, mentre si accoccolava contro di lui nel letto. Il nome di Tess sembrava echeggiare ancora nella stanza, continuava a rovinare il momento anche adesso.

"A causa di Tess." disse lui con semplicità.

"Cosa?" aveva quasi pianto lei. Nei suoi sogni, lui le aveva parlato di Khivar, dicendo che lui aveva messo dei blocchi che impedissero la guarigione. Nei flash che aveva ricevuto, aveva visto i seguaci di Max cercare di curarlo dopo che era stato rilasciato dalla prigione, ma senza successo.

"Tess era lì … la notte." lui scosse la testa con gli occhi pieni di lacrime. E Liz capì. Qualcosa di assolutamente critico era successo tra di loro, un importante elemento della sua guarigione era lì. Le sue frasi stavano diventando nuovamente sconnesse, perché lui stava tornando ad un posto segreto, un luogo che non era mai stato esposto alla luce prima.

Di nuovo la magia tornò nella stanza, come un segreto senso di aspettativa.

"Tess era lì quando, Max?" lo incoraggiò lei, accarezzandogli con dolcezza i capelli. "Dimmelo."

"Khivar ha violentato la mia mente." terminò lui con voce rauca. "Tess era lì e … mi ha fatto del male."

"Tess ti ha fatto del male?" ripeté Liz con voce roca, sentendosi improvvisamente piena di rabbia. "Come?"

Max scosse la testa fermamente e Liz sentì le mani di lui stringerle forte la vita. Sembrava del tutto inconsapevole che la sua gentile stretta fosse diventata una morsa. "La mia mente. Ha ferito la mia mente."

Max rimase silenzioso, fissandola come se lei avesse il balsamo che avrebbe potuto guarire la sua anima. Come se lei avesse potuto indovinare quello che era successo senza bisogno di parole. Ha ferito la mia mente. Che cosa le stava dicendo? Liz sentì aumentare la disperazione, mentre riascoltava le sue criptiche parole.

"Mentre lui ti violentava la mente?" chiese Liz alla fine, mordendosi il labbro in frustrazione. "Lei ha ferito la tua mente, allora?"

"Lei ha bloccato … guarigione. Per sempre. Ha unito il potere … con Khivar, messo blocchi … nella mia mente. No guarigione."

"Oh, Dio." sussurrò Liz, mentre l'orribile verità di quello che lui aveva voluto dire si rivelava. Max continuò a fissarla, con occhi aperti e pieni di vulnerabilità. "Dio, Max, mi dispiace così tanto."

Tess e Khivar avevano unito i loro poteri per mettere dei blocchi alla guarigione dentro alla mente di lui, per essere sicuri che nessuno avrebbe mai potuto riparare il danno fatto a Max quella notte. Ecco perché gli anziani non erano riusciti a farlo su Antar, ecco perché Liz aveva saputo istintivamente che non avrebbero dovuto usare le pietre della guarigione.

"Solo tu, Liz." sussurrò lui alla fine, appoggiando la testa su quella di lei. "Il tuo amore. Solo tu … potevi guarire."

"Tess ti ha detto questo?" chiese Liz. "Che senza di me, non saresti mai guarito?"

"Sì." Max non disse più nulla, eppure Liz poteva immaginare i fantasmi che c'erano tra di loro. Di più, Max, lo incalzò lei silenziosamente. Dimmi tutto.

Invece lui rimase in silenzio, tenendola stretta contro il suo petto, il respiro malfermo e ansioso. Alla fine, quando Liz stava quasi per pregarlo di andare avanti, ammise piano, "Tess ha detto … che non mi avresti … mai amato … così. Nessuna guarigione senza … il tuo amore."

Liz chiuse gli occhi e un basso singhiozzo le sfuggì dalle labbra alla sua confessione. Tess lo aveva schernito, gli aveva detto che, quella notte, aveva perso l'amore della sua anima gemella per sempre, perché il suo viso era stato sfigurato. Eppure aveva fatto sì che lui sapesse qual era l'unica cura possibile, l'unica guarigione – l'amore di quella stessa anima gemella. Tess aveva voluto fare un gioco crudele, sicura che lui non sarebbe mai riuscito a tornare con Liz. Aveva convinto Max che, anche se ci fosse riuscito, Liz non avrebbe potuto amarlo, non con un viso e un corpo così orribilmente storpiati.

Liz continuò a piangere, lasciando teneri baci su ogni cicatrice. "Quanto si sbagliava, Max. Tu hai vinto, non vedi?" Gli sorrise, sentendo una grande felicità provenire dal suo cuore. "Noi abbiamo vinto. Abbiamo sconfitto i tuoi nemici, una volta per tutte."

"Lei ha rubato … troppo. 10 anni … con te."

"Non pensiamo a questo, Max." lo rassicurò Liz, scuotendo la testa con fermezza. "Non adesso. Non dopo che tu sei finalmente tornato a casa da me."

"Lei ha rubato ricordi, cose … " sospirò lui frustrato, poi finalmente rialzò lo sguardo e fissò Liz fermamente negli occhi. "Che appartenevano a noi. Andate. Anni andati. Khivar ha rubato troppo."

"Quali cose?" chiese Liz e Max la strinse ancora di più. "Quali ricordi?". Sentì il battito del suo cuore aumentare, temendo le risposte di lui. Non ricordava più il loro primo bacio? Non ricordava quando l'aveva guarita?

"Come la sera del ballo scolastico."

"Ballo scolastico?" Liz quasi si soffocò sulle parole. "Cosa?"

"Io ricordo di essere andato con te ma … non andare via. Non ti ho accompagnato a casa dopo. Nessun bacio."

"Oh, Dio, Max." sussurrò Liz, sedendosi nel letto. Con quell'unica frase, aveva spiegato così tanto di quello che era successo su Antar. Aveva passato anni ad arrovellarsi sul loro appuntamento del ballo scolastico, sul perché non avesse nessun ricordo di averla riaccompagnata a casa – quando Liz sapeva la penosa verità su quello che era successo quella sera. Si domandò su quanti altri momenti come quelli aveva riflettuto lui, spezzati frammenti senza un senso, che avrebbero fatto molto meno male se solo li avesse potuti comprendere.

"Max, quel ballo è stato un disastro. Se non te lo ricordi, beh, tanto meglio."

"Com'è … possibile?" chiese lui, aggrottando le sopracciglia. "Io ti amavo. Desideravo così tanto quella sera."

Liz annuì, sentendosi di nuovo le lacrime bruciarle gli occhi. "So che lo desideravi." sussurrò. "Lo so."

"Come ricorderò?" chiese lui alla fine. "Come potrò sapere cosa … ho perso? C'è così tanta confusione."

Liz rifletté per un lungo momento, poi lo fissò negli occhi. "Perché io ricorderò per te, Max." rispose lei, realizzando che possedeva la chiave per tutte le domande senza risposta che lo tormentavano. "E' così che il mio amore ti guarirà veramente. Tutti quei ricordi, tutto quello che hai dimenticato. E' ancora chiuso dentro di te e io vedo quelle memorie nei flash. E anche tu comincerai a vederle. Le cose di Antar, il nostro passato insieme, la tua infanzia. Tu ritroverai di nuovo tutto ogni volta che faremo l'amore."

Gli occhi dorati di Max divennero grandi e luminosi. "Ha … hai ragione." ammise alla fine con voce roca, portandosi la mano di lei alla guancia, mentre si sedeva nel letto.

"Tu ricorderai, Max." gli sussurrò orgogliosa. "Lascia che sia questo il mio dono per te. Il mio dono d'amore."

Lui si portò la mano di lei fino alla bocca e baciò con tenerezza ogni dito. "Il tuo amore … è già … un dono."

Liz gli circondò il collo con le braccia e portò la bocca fino a un respiro da quella di lui. "Max Evans, nessuno potrà mai più separarci." annunciò, sentendo le mani di lui stringerle la vita. Il calore esplose nel corpo di lei, mentre lui la abbassava lentamente sulla schiena. "Nessuno potrà portare via da te questo amore. Da noi." concluse lei, mentre lui la seguiva contro il materasso. "Sai perché, Max?" chiese lei senza fiato, mentre sentiva il calore di lui tra le sue gambe.

Max la interruppe, finendo la frase proprio mentre la baciava. "Perché le anime gemelle … si amano per sempre." sussurrò fiero.

Lei gli circondò il viso con le mani, abbassandogli la bocca per un altro bacio, ed intravide bagliori d'argento intorno alle sue cicatrici.

E per un attimo, poté giurare che stavano diventando più leggere proprio davanti ai suoi occhi.

 

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Capitolo 19
*** epilogo ***


Epilogo


8:04 del mattino.


Liz si affrettò verso la galleria, dando un'occhiata all'orologio mentre superava l'angolo della piazza. Era di nuovo in ritardo, una recente abitudine che aveva avuto intenzione di perdere, ma finora senza successo. Per qualche motivo, le lunghe giornate lavorative non erano più così allettanti, non quando si svegliava ogni mattina accoccolata tra le braccia di Max.

Non quando lui le sussurrava all'orecchio dolci parole di seduzione, finendo spesso col pregarla di fare l'amore prima di separarsi per la giornata - lei alla galleria, lui al suo studio. E, soprattutto, era difficile resistere alle sue supplicanti richieste di ispirazione artistica, che lui le sussurrava spingendola con dolcezza sulla schiena, con un basso gemito gutturale.

Liz sorrise sentendo un familiare calore nella parte bassa dell'addome, una sensazione continua, che qualche volta si faceva più intensa dopo che lui era stato dentro di lei. Un amante semplicemente umano non avrebbe mai potuto lasciarla così radiosa, non nei suoi recessi più intimi. Ma nulla della sua unione con Max era mai stato normale, così la curiosa sensazione di solletico non l'aveva veramente sorpresa.

Davanti a lei c'era la porta della galleria, illuminata dai raggi del sole, e per un attimo i suoi pensieri tornarono allo scorso inverno, al breve magico periodo di David Peyton. E i suoi occhi si riempirono improvvisamente di lacrime.

Curiosamente, quando ricordava come Max l'avesse una volta corteggiata in segreto, si sentiva molto sentimentale, persino malinconica. Non perché le dispiacesse che David avesse rivelato di essere Max, ma piuttosto perché c'era stata un'atmosfera incredibilmente innocente che aveva pervaso quel breve momento. Ricordava il senso di aspettativa e di mistero che aveva sentito ogni giorno prima di arrivare alla galleria, domandandosi se lui le avrebbe fatto omaggio di un altro dei suoi tesori.

Adesso, le tele di Max erano inestricabilmente intrecciate col suo amore per lui - senza inizio e senza fine. Rappresentavano la bellezza della sua anima. E quello era qualcosa di infinitamente più prezioso di quanto il corteggiamento di David Peyton fosse mai stato. Come lo era la guarigione che si rifletteva in ogni nuovo dipinto che Max aveva creato, provocando una lieve alterazione del suo stile abituale. Era diventato più ardito, più libero … più originale e gioioso.

Il processo di guarigione aveva agito gradualmente, modificandolo ogni volta che si toccavano o facevano l'amore. Alla fine lui era terribilmente cambiato, i suoi lineamenti, il suo corpo. Aveva gettato il bastone un mese prima, la sua andatura era ora solo leggermente zoppicante ed ineguale. E anche se le familiari cicatrici ancora gli segnavano il viso, non erano più spesse e chiazzate di rosso, ma si erano invece trasformate in un bianco pallido. Ultimamente, se lei avesse visto Max dall'altro lato della strada, o anche in una stanza con un'illuminazione bassa, non sarebbe più stata in grado di distinguerle. Erano diventate il marchio leggendario del suo tempo su Antar - sempre lì, solo più sottomesso e tenue, adesso.

In un certo modo, aveva un senso che lui avrebbe conservato per sempre qualche segno delle cicatrici. Perché le sue esperienze durante quei 10 anni erano state troppo significative e la sua anima era stata troppo profondamente segnata, perché quei segni potessero svanire totalmente. Sarebbero rimaste come perenne testimonianza di quello che aveva affrontato - di quello che loro avevano affrontato - durante gli anni in cui erano stati lontani. Inoltre, pensò Liz con un sorriso malizioso, non facevano altro che dargli un'aria da affascinante canaglia che lei adorava.

Liz pescò dalla tasca la chiave per aprire, ma si fermò a mezz'aria quando vide qualcosa appoggiato alla parete, proprio sotto il portico. Era un pacco sottile, piatto e avvolto ordinatamente in una carta marrone. Per un momento sbatté le palpebre, non credendo ai suoi occhi, perché le sembrava così terribilmente familiare. E invece il pacchetto rimase lì, aspettando proprio lei.

Il battito del cuore di Liz aumentò in fretta, mentre si abbassava e tirava su il pacco. Se lo girò tra le mani, sentendo i contorni della tela sotto la carta. Dietro, c'era un semplice biglietto bianco, scritto in un'ordinata calligrafia.

Di Cosa Sono Fatti i Sogni …

Questo era tutto quello che diceva, nella familiare scrittura del suo adorato. Che cosa aveva in mente Max?

Liz rimase in piedi, sentendo le dita tremare inaspettatamente. Poi girò la chiave nella toppa ed entrò nella galleria. Accese le luci del soffitto, illuminando la lunga fila di dipinti sui muri, mentre appoggiava il pacco sul bancone. Cercò di allontanare gli angoli della carta per aprire e alla fine prese il suo tagliacarte rosa, domandandosi per quale motivo Max avesse deciso di darle un dipinto in questo modo.

Domandandosi perché gli avesse dato un titolo così misterioso.

La carta si aprì con la delicatezza di un bocciolo, rivelando una familiare distesa rossa e una bambina vestita di bianco. Era la tela di cui si era innamorata così tanti mesi prima, la prima volta che aveva visitato il bungalow di lui. Quella che era stata nella sua camera da letto fin da quando lui gliel'aveva portata e appesa lui stesso al muro, così che ogni volta che lei si fosse svegliata, sarebbe stata la prima cosa sulla quale avrebbe posato lo sguardo.

La sera che aveva visto il dipinto era stata la sera in cui per la prima volta aveva sospettato che lei si stesse innamorando di nuovo - senza neppure sapere che il misterioso David Peyton fosse Max.

Perché lui aveva improvvisamente deciso di lasciarle il dipinto sulla soglia della galleria questa mattina, come una delicata offerta d'amore? Lei non ricordava che fosse scomparso dalla sua camera da letto, ma avevano dormito a casa di lui la notte precedente, così lui poteva anche essere andato a prenderlo senza che lei se ne fosse accorta. Ma questo ancora non rispondeva all'insistente quesito del perché lui l'avesse fatto.

Le emozioni che sentiva dentro di sé erano dolorosamente familiari, il cuore aveva cominciato a batterle forte nel petto e, in un certo modo, si sentiva come se lui la stesse corteggiando di nuovo. Abbassò lo sguardo verso i vividi colori della tela, i rossi luminosi e il puro candore del vestito della bambina, in contrasto con i suoi capelli quasi neri.

Era un'immagine presa dai ricordi di lei e catturata con grande amore sulla tela, pennellata dopo pennellata. Improvvisamente, le sue memorie più fuggevoli erano state catturate dalla sua anima ed erano diventate eterne sotto il tocco della mano di Max.

Per qualche motivo, riguardando di nuovo il dipinto, Liz ne sentì l'impatto come se fosse la prima volta, non certo con la familiarità di un oggetto amato che vedesse ogni giorno. Forse era questo che Max stava cercando di dirle?

Fece il giro del bancone e si diresse verso il telefono, ma qualcosa la fermò. In un certo modo capì le regole del gioco amoroso che lui aveva cominciato ed abbassò il ricevitore, lasciando libera la linea.

Un'email apparve nella sua inbox da Maxwelle@newmexnet.net. Liz sorrise e l'aprì immediatamente.


Mia meravigliosa Liz,

posso immaginare quello a cui stai pensando in questo momento, mentre sei seduta al tuo computer. Come mai so con certezza che non mi telefonerai? Io ti conosco, dolce Liz. Come il mio cuore, come le cicatrici che ho sul viso, come la sensazione del tuo corpo sotto le mie mani. Tu sei una parte di me adesso, anche se, per la verità, è sempre stato così.

Ti stai domandando cosa ho in mente. Ed hai ragione. Tu hai sempre amato fare piani e in questo c'è della pazzia.

Al titolo di questo dipinto ne aggiungerò un altro:
Apri I Tuoi Occhi

Tuo … e per sempre,

Max


E poi il sogno cambiò e, improvvisamente, lei fu catapultata dentro al dipinto e si ritrovò a correre senza fiato nel campo di fiori. Era di nuovo una bambina, che sentiva suo padre afferrarle l'orlo del prendisole.

"Lizzie!" gridò lui. "Sto per prenderti!"

"No, papà!" gridò lei, sentendo i fiori contro le sue gambette. "Non puoi! Sono troppo veloce!"

"Sto per prenderti!" si intromise una voce più profonda e improvvisamente Max la fece girare per prenderla tra le braccia. E lei era una donna, stretta nel forte abbraccio di suo marito.

"Cosa stai facendo, Max?" rise lei senza fiato, proteggendo gli occhi dal sole di Antar al tramonto. "E' stato tutto un sogno?"

"Sto per mostrarti qualcosa di importante." le spiegò lui, attirandola contro il proprio corpo. Aveva il fiato un po' corto mentre le circondava il viso con le mani, rivolgendolo verso l'alto. I loro sguardi si incontrarono per un lungo momento, e lei intravide un bagliore di fuoco dentro le iridi ambrate. Vide le familiari cicatrici segnare il viso di lui, leggere contro la sua pelle dorata. Se non fosse stata così vicina, non le avrebbe neppure notate. Ma le amava, così come amava la sensazione dei lunghi capelli di lui o la decisa linea della sua mascella. Erano parti inseparabili di Max ormai e lei non avrebbe voluto che scomparissero.

"Max." rise, sentendosi un po' confusa. "I sogni continuano a cambiare."

"Perché pensi che succeda?"

"Non ne sono sicura." si accigliò lei. "Sono di nuovo in coma?" chiese, sentendosi improvvisamente impaurita, ma lui premette le labbra contro la sua tempia in un dolce bacio.

"No. Mai più." sussurrò lui con gentilezza e lei sentì svanire i suoi timori. "No, Liz, c'è qualcosa qui. Qualcosa di importante." cercò di spiegarle, guardandosi attorno nel familiare campo di fiori. "Voglio che tu lo comprenda."

Fece girare Liz su sé stessa, come una bimba piena di grazia, con i fiori rossi vellutati che roteavano intorno a lei. Lei sapeva che erano sul pianeta di Max, perché le lune gemelle facevano capolino dalla linea dell'orizzonte, sollevandosi dietro una montagna dal profilo purpureo.

"Siamo di nuovo su Antar."

"Sì." rispose lui con semplicità. "Dove ho sognato tutto questo per la prima volta."

"Questo? " chiese Liz disorientata, voltandosi verso di lui. Lei si accorse che lui indossava di nuovo la camicia bianca, vide come gli cadeva sul il petto, appena infilata nei suoi pantaloni di pelle. Guardò in basso e si stupì nel ritrovarsi vestita con l'abito bianco.

"Max, noi non siamo più vergini." rise lei, sentendosi arrossire nonostante la familiarità che avevano ormai l'uno con il corpo dell'altro. Con la passione l'uno per l'altro. "Pensavo che questo fosse il tradizionale abito di Antar per il matrimonio … per la nostra prima volta." disse lei timidamente.

"E' vero." fu d'accordo lui con un largo sorriso. "Ma questo sogno non riguarda il nostro matrimonio."

"Allora dimmelo." rise lei nervosamente, mentre lui la tirava piano con una mano, così da farli cadere insieme sul soffice terreno. Lui batté con la mano il terreno vicino a lui, mentre si lasciava cadere sull'erba calda. "Qui, Liz."

Lei si accoccolò di fianco a lui, facendo scorrere avidamente le mani sotto la camicia di lui. La sensazione della pelle di lui era quella del velluto caldo e lei sentì il ritmo del respiro di lui cambiare, diventare più irregolare. Lui appoggiò la testa sulle braccia, guardando verso il cielo e chiese "Com'è cominciato questo sogno?" Sembrava che stesse cercando di portarla verso un qualche posto, verso una destinazione che solo lui conosceva.

Lei si sistemò sopra il suo petto, con le dita che ancora esploravano la pelle sotto la camicia. "Alla galleria?" chiese lei, sentendosi sempre più smarrita.

"Ma portava qui, dove è cominciato più o meno 10 anni fa. Tu e io, così … ma Liz, questa visione è sempre stata legata ad un'altra. A quella che ho dipinto con te come una ragazzina." spiegò, con la voce che si ispessiva mentre si girava su un fianco a guardarla. Lei fu sorpresa di vederlo con gli occhi lucidi.

"Tu e io, Liz." sussurrò lui con forza. "Era tutto quello che ho desiderato.… per tutti quegli anni in prigione." Le accarezzò i capelli per tutta la lunghezza, le dita lente attraverso le ciocche, mentre continuava. "Ma c'era un'altra cosa che volevo. Solo una. "

Lui sollevò un sopracciglio; come se lui pensasse che lei avrebbe capito, che avrebbe finito la frase per lui. E per qualche motivo, il cuore cominciò a batterle forte nel petto.

"Tu volevi una figlia." offrì lei finalmente, con la voce che tremava. Lui si limitò ad annuire, con gli occhi pieni di lacrime.

"Io volevo essere tuo marito, il tuo amante.… ma volevo essere anche un padre." La fissò negli occhi con forza e innumerevoli parole intercorsero tra di loro, in un facile silenzio.

E poi semplicemente capì. "Sono incinta." realizzò a voce alta, la voce piena di meraviglia. "E' questo che stai cercando di dirmi, non è vero?"

"Sì, tesoro." ammise lui, facendole bruciare gli occhi di lacrime. "Una bambina, come quella del quadro."

"Tu hai dipinto il nostro futuro." disse lei a bassa voce.

"L'ho visto nel tuo passato."

"Allora, cosa devo fare adesso?" chiese lei senza fiato, e lui se la strinse contro di sé, ricoprendole il viso di soffici baci.

"Devi solo aprire i tuoi occhi." sussurrò, sorridendo come un ragazzo di 17 anni. "E permettere ai tuoi sogni di diventare realtà."

E mentre Liz guardava intorno a loro i vividi colori del panorama di Antar, le lune gemelle che sorgevano, capì una cosa importante. Qualcosa che le era sfuggita in tutti gli altri sogni come questo.

Liz capì che ogni volta che avevano sognato questo Cielo Antariano, disteso sopra di loro come un luminoso tappeto sacro, c'era stato un significato. Una cosa che era ancora più vera adesso di quanto non lo fosse mai stata prima.

Il re era tornato al suo regno e tutto andava di nuovo bene nel mondo.

The king had returned to his kingdom, and all was right with the world.


Fine

 

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