There's No Life Without Love di The Mad Tinhatter (/viewuser.php?uid=8814)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1: The Beginning ***
Capitolo 2: *** Cap. 2: Friendship ***
Capitolo 3: *** Cap. 3: Surprise ***
Capitolo 4: *** Cap. 4: Coward ***
Capitolo 5: *** Cap. 5: Blue As Your Eyes ***
Capitolo 6: *** Cap. 6: The Second Of May ***
Capitolo 1 *** Cap. 1: The Beginning ***
There's
No Life Without Love
Cap.
1: The Beginning
Elizabeth
posò le mani sulla fredda pietra del Pensatoio. Aveva
iniziato il
trattamento qualche anno prima, quando le esperienze del suo passato
avevano iniziato ad avere effetti deleteri sulla sua vita presente.
Non
era stata l'unica, in quegli anni, a richiedere le attenzioni degli
psicologi del San Mungo, così erano stati sviluppati dei
piani di
cura alternativi, che richiedevano l'uso del Pensatoio. Nel suo caso,
le cure avevano avuto effetto, nonostante tutto. Così, ormai
per la
maggior parte del tempo, il Pensatoio veniva riposto in un angolo del
solaio, quasi dimenticato.
Qualcun
altro avrebbe cercato di sbarazzarsi dell'oggetto, una volta esaurito
il suo utilizzo. Elizabeth conosceva un sacco di persone che
l'avevano fatto, ma i medici lo sconsigliavano, e lei non voleva
farlo.
Almeno
una volta all'anno, Elizabeth voleva ricordare. Ora che rivivere quei
momenti non le faceva più così male, lei voleva
che restassero
impressi nella sua mente. Così, in quel momento di quel
giorno,
la giovane si trovava davanti a quel bacino colmo di materia
argentea, pieno di quei ricordi che, dal più felice al
più
traumatico, l'avevano aiutata a tornare a vivere. Si trattava di un
modello particolare di Pensatoio: mentre normalmente l'unica cosa
permessa era di osservare i ricordi da un punto di vista esterno,
quell'esemplare, assieme ad altri che erano stati prodotti negli
anni, permetteva di rivivere i propri ricordi in prima persona e con
la coscienza del momento, pur conservando ogni sensazione provata
anche una volta tornati alla realtà. E quello era
esattamente ciò
che la giovane donna voleva fare.
Elizabeth
fece un bel respiro, ed immerse la testa nel liquido. Subito
sentì
la familiare sensazione di instabilità, come se stesse per
cadere....
*
-
Mamma, perché devo andare a giocare con quelle bambine? -
domandò
la piccola Elizabeth, mentre sua madre le faceva la treccia.
-
Perché adesso sono le nostre vicine di casa, tesoro -
rispose la
donna, prendendo un nastro rosa per capelli da un cofanetto. - Sono
di buona famiglia, e tu sei una piccola Selwyn. È ora che tu
faccia
davvero amicizia con loro, dato che a Settembre le rivedrai a scuola.
Sicuramente tu e Astoria sarete compagne di stanza. Daphne vi
avrà
già raccontato un sacco di cose, immagino!
Per
una giovane purosangue c'era poco di che essere sorpresa, ad
Hogwarts. Tutto ciò che Daphne aveva fatto fino a quel
momento era
stato parlare di quanto tutti i suoi amici di scuola fossero ricchi,
e lamentarsi di qualche occasionale incontro con qualcuno il cui
sangue non fosse completamente puro.
Elizabeth
sapeva che la sua famiglia incoraggiava quel modo di pensare, ma lei
non era ancora sicura del perché. In fin dei conti, il
bersaglio
preferito delle battute di Daphne, tale Hermione Granger, era
mezzosangue, ma ciò non le aveva impedito (con grande
irritazione
della Greengrass) di prendere voti più alti dei suoi.
-
Sono antipatiche - disse Elizabeth.
-
Devi solo imparare a conoscerle. Prendi come esempio tuo fratello.
Edgar.
La persona che, da quando era tornata a casa per le vacanze, non
aveva più trovato un momento per stare con lei, tutto preso
dai suoi
nuovi amici.
Sua
madre la fece voltare, e la guardò negli occhi. - Devi solo
avere un
po' di pazienza, tesoro - disse, poi le diede un bacio sulla fronte e
la invitò ad andare.
Non
appena chiuse la porta principale, il sole del sud della Francia le
baciò la pelle. Quello era il primo anno che trascorrevano
le
vacanze lì, e da quando i Greengrass, i Malfoy e i Nott
avevano
deciso di passare l'estate nello stesso loro paesino magico, per sua
madre ogni occasione era buona per un tè tutti assieme.
Elizabeth
lisciò il vestito verde che sua madre le aveva fatto
indossare.
Aveva detto che faceva risaltare i suoi occhi blu, per quello l'aveva
scelto. Attraversò il cortile per raggiungere le sorelle
Greengrass.
Si trattava di un giardino che si affacciava su tre case: la casa dei
Greengrass, la casa della sua famiglia ed infine, la casa di una
famiglia che ancora non avevano avuto l'opportunità di
incontrare.
Daphne
e Astoria stavano chiacchierando su una panchina. O, per meglio dire,
Daphne parlava senza fermarsi, mentre la sorellina la osservava con
curiosità. Di sicuro non si poteva dire che Daphne fosse
timida,
dato che faceva così con chiunque.
-
Ciao – disse Elizabeth, quando fu vicina alle altre due
bambine.
-
Oh, ciao, Elizabeth – fece Daphne, interrompendo per un
attimo il
suo monologo. - Stavo giusto descrivendo ad Astoria il nostro
dormitorio. Dicevo... i letti sono stupendi, davvero. Le lenzuola
sono verdi, naturalmente, e i cuscini sono più comodi di
quelli di
casa. Per questo ho chiesto a papà di farli cambiare. Non
voglio
certo tornare a casa e farmi venire il torcicollo!
Elizabeth
quasi smise di ascoltarla. Sapeva bene che sia i Selwyn che i
Greengrass erano famiglie privilegiate che potevano permettersi i
cuscini migliori del mondo, ma non le sembrava il caso di farne una
questione di stato. Lei era soddisfatta di quello che aveva.
Guardò
davanti a sé, e vide quasi subito qualcosa, o, meglio,
qualcuno, che
attirò la sua attenzione.
Si
trattava di un ragazzino, seduto davanti ad un tavolino di pietra,
che leggeva, da solo. Elizabeth cercò di capire che cosa
stesse
leggendo, ma era troppo lontano.
Probabilmente
abita nell'altra casa.
Dei
passi interruppero il discorso di Daphne, ed Elizabeth si
voltò. Si
trattava di suo fratello.
-
Stiamo giocando a SparaSchiocco, in casa. Volete unirvi a noi? -
disse.
-
Va bene – rispose Daphne, alzandosi. La sorella si
limitò ad
annuire, e a seguirla.
-
Io arrivo tra poco, voi iniziate ad andare – disse Elizabeth.
Il
ragazzino che leggeva l'aveva incuriosita, e voleva conoscerlo.
Elizabeth
aspettò che gli altri fossero rientrati in casa, poi si
incamminò
verso il ragazzo.
-
Ciao – disse, sedendosi davanti a lui. Gli occhi del ragazzo
erano
blu, proprio come i suoi.
-
B-bonjour! - fece lui, mettendo giù il
libro di scatto.
Oh,
è francese.
-
Comment tu t'appelles? - disse
Elizabeth, ricorrendo ad una delle poche frasi di francese che
conosceva.
-
Mi chiamo Julian – rispose lui – e parlo anche
inglese.
La
ragazza sorrise. Lui aveva un accento simpatico.
-
Io mi chiamo Elizabeth, piacere – disse lei, porgendogli la
mano.
Il ragazzino la strinse.
-
Cosa stai leggendo? - continuò.
Julian
sollevò il libro, facendole vedere la copertina.
“Il
mago dei numeri”, di Hans Magnus Enzensberger.
-
È un libro babbano – spiegò. - Me l'ha
regalato mio padre. Parla
di matematica.
-
Oh, sembra molto interessante – disse lei, e non stava
fingendo. Da
piccola aveva ricevuto, come tutti i piccoli maghi della sua
età, le
nozioni di base. I numeri l'avevano sempre affascinata, ma essendo la
matematica una disciplina strettamente babbana, i suoi genitori le
avevano proibito di coltivare questo suo interesse. E lì,
davanti a
lei, c'era un giovane mago a cui, invece, questo non era stato
impedito.
Continuarono
a parlare, ed Elizabeth notò che Julian era un ragazzo molto
diverso
da quelli attorno a cui era cresciuta: suo padre era un astrofisico
babbano (Julian, stupito, dovette spiegarle cosa un astrofisico
fosse, perché in quasi dodici anni di vita Elizabeth non
aveva mai
sentito quella parola), mentre sua madre era una Guaritrice che
lavorava nell'ospedale magico di Nizza. Parlare con lui era molto
diverso che parlare con le sorelle Greengrass, o con chiunque altro
lei avesse mai conosciuto: nonostante potesse capire che anche la
famiglia di Julian fosse messa bene economicamente, i beni materiali
sembravano essere l'ultimo dei suoi pensieri. Aveva anche un certo
interesse per i libri, sia magici che babbani, e l'appartenenza ad
entrambi i mondi gli dava più possibilità sia in
termini di
conoscenza che in termini di divertimento. Infatti, fu con
un'espressione divertita che lui si alzò, e le fece cenno di
seguirlo.
-
Sei sicuro che non ci faremo male? - chiese Elizabeth, mentre si
arrampicava sui rami. Non l'aveva mai fatto in vita sua, e la cosa
era evidente: Julian era più avanti, e lei cercava
(abbastanza
inutilmente) di non sporcarsi il vestito e di non impigliarsi da
nessuna parte.
-
Tranquilla, non saremo molto vicini alle api. Specialmente se hai
paura – rispose lui, fermandosi. Evidentemente era arrivato
nel
punto giusto.
-
Intendevo per l'altezza – disse Elizabeth, cercando di
arrampicarsi
più in fretta.
Finalmente,
giunse anche lei al punto raggiunto da Julian. Il ragazzo
indicò
qualcosa davanti a lei. Era giallo, anche se poco della sua
superficie era allo scoperto, dato che era quasi completamente
circondato da api.
Ma
certo, un nido!
Julian
le spiegò varie cose, mentre lei, tutta orecchi, cercava di
non
mettere un piede in fallo e cadere. Si mise a parlare di api, della
loro organizzazione, dei loro ruoli e della struttura del loro nido.
Elizabeth lo ascoltava, affascinata, domandandosi quante altre cose
non conoscesse del mondo che anche lei abitava.
-
Non vi hanno mai spiegato tutte queste cose, a scuola? - le chiese
lui.
Elizabeth
scosse la testa. - I miei genitori mi hanno insegnato le conoscenze
base. La mia famiglia è purosangue, sarebbe una tragedia se
frequentassi una scuola babbana.
L'espressione
di Julian si rabbuiò, come se fosse davvero triste per lei.
- Mi
dispiace – disse. - Ma se vuoi, finché saremo qui,
potrò
insegnarti io qualcosa!
Elizabeth
sorrise, entusiasta. - Va bene!
Ben
presto il sole cominciò a tramontare, e arrivò il
momento di
tornare a casa. Sicuramente tutti si stavano chiedendo dove fosse
finita, e lei non avrebbe avuto troppe scuse da tirare fuori,
specialmente viste le condizioni del suo vestito.
-
Mamma non sarà contenta – disse, indicando uno
strappo nel tessuto
verde.
-
Scusa – fece Julian.
-
Non importa, mi sono divertita un sacco.
-
Oh, tieni questo – disse lui, porgendole il libro. - Credo
che
potrebbe piacerti.
Elizabeth
lo ringraziò, prima di rientrare in casa. Riuscì
a sgattaiolare in
camera sua per nascondere il libro (non osava immaginare cosa avrebbe
detto suo padre se l'avesse beccata con un libro babbano tra le
mani), ma per il vestito c'era poco da fare.
-
Dove sei stata? I tuoi amici ti hanno aspettato per ore –
disse suo
padre, seduto a capotavola, non appena la vide entrare in sala da
pranzo. Sua madre osservò il vestito strappato con aria di
rimprovero, ma non importava: se solo avesse voluto, avrebbe potuto
fargliene confezionare uno identico in uno schiocco di dita.
-
Io... beh... - fece Elizabeth, titubante. Una cosa era certa: mai
avrebbe tirato fuori il nome di Julian, perché i suoi
genitori le
avrebbero impedito di vederlo per il resto dell'estate.
-
Non stavi facendo qualche gioco da Babbani, vero? - disse suo padre,
alzando la voce.
Elizabeth
strinse gli occhi. Suo padre le faceva davvero paura, quando usava
quel tono minaccioso. - Io... ecco... ho provato ad arrampicarmi su
un albero. Volevo vedere le api. Sono interessanti.
Sono
caduta, avrebbe
potuto dire.
Sono inciampata, e sono finita in un cespuglio. Invece
no, doveva proprio sputare fuori la verità. Che stupida.
La
reazione di suo padre non si fece attendere. Si alzò in
piedi,
posando le mani sul tavolo.
-
Ti sei arrampicata su un albero? - urlò, furioso. - Credi
che ti
abbiamo educata per diventare così, come la peggiore delle
ragazzine
babbane? Dodici anni di insegnamenti, e guarda un po' che cosa ne
è
uscito!
L'uomo
si spostò dal tavolo, dirigendosi verso di lei.
A
quel punto, Elizabeth stava per scoppiare a piangere per la paura.
Non poteva dire che suo padre picchiasse spesso lei e suo fratello:
la maggior parte del tempo, li viziava come se fossero stati i figli
migliori del mondo. Tuttavia, quando si arrabbiava particolarmente
tendeva a dare qualche sculaccione, cosa che, naturalmente, non le
piaceva per nulla.
L'uomo
fu bloccato dalla mano della moglie sul suo braccio.
-
Edward, basta – disse lei. - Adesso, Elizabeth, prometti che
non lo
farai mai più, così chiudiamo la faccenda.
-
Promesso – disse. Suo padre tornò a posto,
visibilmente più
calmo.
Sua
madre le sorrise. - Tesoro, ora siediti qui e mangia.
Cenarono
in silenzio, ed Elizabeth cercò di fare più
veloce che poté: non
vedeva l'ora di tornare in camera sua. Quando, finalmente, ci
riuscì,
chiuse la porta dietro di sé e si buttò sul
letto, prendendo poi il
libro dal cassetto del comodino in cui l'aveva riposto.
Sorrise,
stringendoselo al petto. Forse, per la prima volta da quando era
arrivata in quel luogo, aveva trovato un amico.
*
La
giovane donna si tirò su. Il ricordo era finito e, come ogni
volta
in cui lo riviveva, stava sorridendo. Quell'incontro e quel libro le
avevano cambiato la vita, ed era certa che, se non fosse stato per
gli avvenimenti di quell'estate, in quel momento non si sarebbe di
certo trovata lì.
Ricordò
con nostalgia le nottate passate a leggere quel libro, e la sua
curiosità che aumentava ad ogni pagina. Ricordò i
pomeriggi
trascorsi con Julian a chiacchierare, magari bevendo una cioccolata
nella grande biblioteca di casa sua. Era stato triste dover tornare
in Inghilterra per l'inizio della scuola, ma lui le aveva promesso
che le avrebbe scritto durante l'anno, e così era stato.
Ora,
però, era il momento di passare ad un altro ricordo.
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Capitolo 2 *** Cap. 2: Friendship ***
Cap.
2: Friendship
Elizabeth
era in fila davanti al Cappello Parlante. La professoressa McGranitt
aveva appena chiamato Astoria, e lei ovviamente era stata smistata in
Serpeverde. Sapeva bene che quella era la Casa a cui anche lei
sarebbe stata destinata: del resto, tutta la sua famiglia era
Serpeverde, e tutti avevano dato per scontato che anche lei lo
sarebbe diventata. La verità, però, era che non
era affatto sicura
che quella fosse la Casa per lei. Nessuna delle descrizioni che aveva
letto al riguardo rispecchiavano completamente il suo carattere, e
aveva paura di non trovarsi bene coi propri compagni di classe.
Quando
ne aveva parlato con Julian, lui le aveva detto semplicemente di
seguire il suo cuore, il punto era che nemmeno lei sapeva
ciò che
voleva. Forse un'altra Casa avrebbe rispecchiato meglio le sue
attitudini, ma Serpeverde rappresentava la sicurezza. Del resto,
lì
c'era suo fratello, e magari anche tutti gli altri l'avrebbero
accettata come una di loro. La sua famiglia sarebbe stata fiera di
lei, e non ci sarebbero stati problemi. Tutto sarebbe filato liscio.
Così,
non appena la McGranitt chiamò il suo nome e le mise il
Cappello
sulla testa, la prima cosa che lei disse fu: - Serpeverde.
-
Ne sei sicura? - domandò il Cappello. Naturalmente
lei non ne
era affatto sicura.
-
Vuoi essere Smistata a Serpeverde perché condividi i suoi
valori, o
solo perché tutti si aspettano questo da te?
Elizabeth
non riuscì a rispondere, anche se sapeva che la seconda
opzione era
la più vicina alla verità.
Il
Cappello continuò a parlare. - In te vedo tanta voglia di
imparare e
di impegnarti, oltre ad un cuore buono e leale. Non credo che
Serpeverde faccia per te.
Elizabeth
strizzò gli occhi. Il Cappello avrebbe emanato il suo
verdetto, e il
risultato non sarebbe affatto stato quello che sperava.
-
Tassorosso!
Un
boato si levò dalla relativa tavolata, mentre Elizabeth,
quasi
tremando, prese posto sulla panca. Cercò di sorridere ai
suoi nuovi
compagni, ma intanto lanciò uno sguardo al tavolo di
Serpeverde. Suo
fratello, il bambino che era stato il suo primo compagno di giochi,
ora la stava guardando con un'espressione di puro disgusto sul volto.
Sarà
dura, pensò Elizabeth, rattristandosi.
*
Elizabeth
recuperò la sua coscienza per qualche secondo, ma
immediatamente la
sua mente si tuffò in un altro ricordo.
Si
trovava nelle cucine, e stava piangendo davanti ad un piatto di
cupcake e ad una pergamena. I suoi primi mesi ad Hogwarts non erano
decisamente stati facili. Aveva cercato di parlare con suo fratello,
ma lui sembrava che facesse di tutto per evitarla. Molto
probabilmente ora era diventata soltanto una Tassorosso del primo
anno da deridere, come se tra loro non ci fosse mai stato nessun
legame.
L'unico
tipo di contatto con la sua famiglia era stato un regalo, per il suo
compleanno. Si trattava di una bellissima penna variopinta. Sarebbe
stata molto contenta di questa manifestazione d'affetto da parte
della sua famiglia, non fosse stato per il fatto che, alla fine del
biglietto di auguri, l'unica firma presente era quella di sua madre.
Aveva
sperato perlomeno di trovarsi bene con i suoi nuovi compagni, ma per
certi versi non fu così. Aveva tre compagne di stanza: Megan
Williams, Karen Matthews ed Anna Smith. In un primo periodo aveva
legato con loro, e aveva pensato che, forse, avrebbe potuto trovare
in loro la famiglia che aveva perso.
Poi,
erano iniziati gli attacchi. Prima il gatto del custode, poi un
ragazzo del primo anno di Grifondoro. Era normale che questi
avvenimenti instillassero paura negli studenti, dato che non tutti
erano purosangue. Tuttavia, anche lei aveva paura. E se il mostro,
qualunque cosa fosse, sbagliando, avesse attaccato lei? E se avesse
attaccato una qualunque delle sue amiche? I genitori di Megan e Karen
erano Babbani.
Alcuni
suoi compagni avevano iniziato a guardare il suo stato di sangue con
sospetto ed invidia. Lei, intanto, cercava di fare del suo meglio per
rassicurare tutti, ma non sempre era facile, anzi. Karen in
particolare era un osso duro.
Quella
sera avevano litigato. Elizabeth aveva cercato di spiegarle che anche
lei aveva paura per loro e che non sopportava la situazione. Karen,
in tutta risposta, le aveva urlato contro. "Cosa potrai
saperne, tu, che sei purosangue!". La cosa peggiore era che
si trattava della verità, e che lei aveva sbagliato a dire
qualsiasi
cosa, pur con le migliori intenzioni. Avrebbe voluto scusarsi, ma sul
momento si era sentita ferita, così era scappata nelle
cucine. Aveva
tirato fuori una pergamena e la sua nuova penna, così
avrebbe potuto
scrivere a Julian.
Le
sue lettere erano state un raggio di sole, durante quel periodo.
Essendo più grande di lei di un anno, sapeva benissimo come
ci si
sentiva perlomeno a stare via da casa per lo studio, anche se magari
non poteva comprendere appieno la sua situazione familiare. Lui aveva
dei genitori che lo incoraggiavano e che gli volevano bene; lei aveva
un padre che aveva smesso di contattarla nel momento in cui lei era
finita nella Casa sbagliata. Come se fosse stata
colpa sua,
dopotutto.
Tirò
su col naso, e addentò un cupcake. Mentre mangiava,
sentì la porta
che si apriva, e dei passi.
-
Elizabeth? Sei qui? - fece una vocina.
Elizabeth
si voltò. Una ragazzina bassa e con gli occhiali le si stava
avvicinando. Megan.
-
Stai bene? Mi dispiace per quello che è successo prima
– disse
Megan, sedendosi accanto a lei e circondandole le spalle con un
braccio. Elizabeth si irrigidì leggermente. Non era molto
abituata
al contatto fisico, a parte con sua madre.
-
Non importa – fece Elizabeth. - Karen ha ragione, io non
dovrei
dire niente.
-
No. A me fa piacere che tu ti preoccupi per noi – disse
Megan,
sorridendo. - E questa situazione non piace a nessuno, credo che sia
normale. Karen si è pentita subito di quello che ha detto, e
io sono
scesa a cercarti. Dovete fare pace, visto che siamo tutte amiche!
Elizabeth
sorrise, tra le lacrime, e si alzò.
-
Oh, e che ne dici di portare un bel vassoio di questi cupcake come
segno di riconciliazione? Non avevi intenzione di mangiarteli tutti
tu, spero!
-
Forse! - disse Elizabeth, ridendo. Poi prese il vassoio, e lei e
Megan si diressero assieme fuori dalla cucina.
*
Elizabeth
ritornò al presente. Avrebbe tanto voluto avere Megan al suo
fianco,
in quel momento, ma questo non era possibile.
Era
strano pensare che, se al momento del suo Smistamento avesse
insistito per diventare una Serpeverde, molto probabilmente non
avrebbe mai conosciuto la sua migliore amica. Ne era valsa la pena,
anche soltanto per lei. Per quanto forse sarebbe stata capace di
adattarsi ai Serpeverde, nulla avrebbe mai potuto sostituire
l'affetto e il supporto che Megan le aveva sempre dato, sin da quella
sera nelle cucine.
Tuttavia,
non era il caso di rimuginarci troppo, perché pensarci prima
di aver
concluso il suo percorso l'avrebbe convinta a fermarsi, ed era una
cosa che voleva evitare.
Così,
Elizabeth andò avanti col terzo ricordo....
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Capitolo 3 *** Cap. 3: Surprise ***
Cap.
3: Surprise
Era
seduta dentro la tenda, e stava leggendo un pesante tomo.
“Numerologia e Grammatica”. Il
modo in cui l'aveva
ottenuto era stato alquanto curioso. L'aveva trovato sul pavimento,
davanti alla porta di camera sua. Era incartato, e assieme ad esso
c'era un biglietto. Il messaggio non era nulla di particolare, un
semplice “Per Elizabeth”; la
cosa strana era che, a
giudicare dalla grafia, quel regalo arrivava da suo fratello.
Il
suo rapporto con Edgar, come c'era da aspettarsi, era cambiato
parecchio da quando lei era arrivata ad Hogwarts. Rendendosi conto
che i suoi sforzi per tentare di recuperare il loro legame erano
stati vani, Elizabeth aveva deciso di appoggiarsi soltanto ai suoi
nuovi amici, e lasciar perdere un fratello che non voleva
più
saperne niente di lei. Ovviamente la cosa le faceva male, ma non
poteva certo piangerci su per sempre.
Tuttavia,
nel corso degli ultimi due anni, aveva notato qualcosa. A volte,
durante le cene, le capitava di lanciare uno sguardo verso il tavolo
dei Serpeverde. Spesso e volentieri scopriva suo fratello ad
osservarla, quasi come se, pur da molto lontano, la stesse
controllando. Non aveva paura di lui, ma sperava che, se davvero non
si trattava soltanto di una coincidenza, le sue intenzioni fossero
buone. Magari non era così disgustato da lei come voleva far
credere.
Il
regalo sembrava una conferma delle sue teorie. La sua passione per la
matematica non era mai svanita, e quando dovette scegliere le materie
da seguire durante il terzo anno Aritmanzia fu la prima che
inserì
nell'elenco. Regalarle il libro di testo era stata una manifestazione
di attenzione.
Naturalmente,
Elizabeth aveva cercato di parlarne con lui, ma lui aveva negato
tutto. Era strano: se quello era un modo per farle vedere che in
qualche modo teneva ancora a lei, perché non mostrarlo
apertamente?
-
Ehi! - esclamò Megan, entrando nella tenda. -
Perché non metti giù
quel librone? Tra poco si mangia, e poi dobbiamo iniziare ad andare
verso lo stadio!
Elizabeth
rise. Megan era così eccitata per quella finale... adorava
il
Quidditch, e per tutta l'estate non aveva fatto altro che parlare di
come, una volta rientrate a scuola, avrebbe fatto i provini per
entrare nella squadra. Quanto a lei, lo sport le era abbastanza
indifferente, ma come poteva resistere alla sua migliore amica che le
faceva gli occhi dolci? Da qualche parte nell'accampamento c'era
anche la sua famiglia, ma lei si era trasferita nella tenda di Megan
alla prima occasione. Era una comunissima tenda babbana, ma era
comoda e, nonostante fossero ancora confusi da tutta la situazione, i
genitori di Megan avevano fatto di tutto affinché lei fosse
a suo
agio.
-
Perché è interessante! - disse lei, mostrandole
la pagina sulla
Tabella Pitagorica. Era affascinante sapere che anche le formule
magiche potevano essere ricondotte a dei numeri, ma Megan non
condivideva il suo entusiasmo.
-
A proposito di interessante... - fece Megan,
cambiando tono di
voce - c'è un ragazzo, qua fuori, che ti
sta cercando... se è
chi penso io, direi che ti conviene proprio staccarti da quel
mattone!
Un
ragazzo? pensò
Elizabeth,
uscendo dalla tenda. Ma chi può... oh.
Impiegò
qualche secondo a registrare chi si trovasse davanti a lei. Un
ragazzo alto, dai capelli neri e gli occhi azzurri, che le stava
sorridendo con calore. Era cambiato parecchio, in quei due anni in
cui non si erano visti. E, cavoli, era diventato proprio un
bel
ragazzo.
-
Jules! - esclamò Elizabeth, correndogli incontro.
-
Liz – fece lui, abbracciandola. Poi, la baciò
sulle guance, come
era solito fare in Francia. Elizabeth si sentì arrossire.
-
Non mi avevi detto che saresti venuto qui! – fece Elizabeth.
Il
cuore le batteva forte.
-
Beh, la finale della Coppa del Mondo di Quidditch è un
evento
importante... nonché un'ottima occasione per fare una
sorpresa alla
mia migliore amica!
Elizabeth
sorrise, continuando ad abbracciarlo. Era come se volesse recuperare
il tempo in cui erano stati lontani.
-
Sono così felice che tu sia qui!
-
Ahem – fece Megan, che era dietro di loro. - Io sono ancora
qui,
eh!
-
Oh, scusa – disse Elizabeth, sciogliendo l'abbraccio. -
Julian, lei
è Megan, la mia migliore amica.
I
due si strinsero le mani. Elizabeth era così felice di
vedere due
delle persone più importanti della sua vita fare conoscenza.
-
Ora vi lascio soli, devo aiutare mamma con la cena. A dopo! - disse
Megan, facendo loro l'occhiolino. Elizabeth scosse la testa.
-
Come stai? - le chiese Julian. Era più una domanda di
cortesia, dato
che non avevano mai smesso di sentirsi, almeno via lettera.
-
Ora sto di sicuro bene – rispose lei. - Sono in buona
compagnia! E
tu?
Julian
fece uno dei suoi sorrisi calorosi, ed Elizabeth sentì una
strana
sensazione allo stomaco. Le farfalle. Ecco di cosa si tratta.
Arrossì, e scacciò via quel pensiero. Lui era il
suo migliore
amico, del resto. Un migliore amico figo, ma pur
sempre amico.
-
Sono qui, pronto a guardare una bella partita di Quidditch con la
ragazza che preferisco di più al mondo. Posso chiedere di
più?
“La
ragazza che preferisco di più al mondo”...
beh, era un inizio.
Parlarono
come se non si fossero mai separati, camminando a braccetto. Julian
le raccontò di come passasse le sue serate assieme al padre,
andando
in un osservatorio astronomico ad imparare quanto più
potesse sulle
stelle e sullo spazio.
-
Sarai un asso in Astronomia – disse Elizabeth.
-
È la mia materia preferita – rispose lui. - Se non
fosse stato per
la magia, credo che mi sarebbe piaciuto molto diventare un
astronauta.
-
Uno di quei Babbani che volano per lo spazio, giusto?
Julian
rise, probabilmente a causa della sua definizione molto limitata di
“astronauta”. - Sì, uno di loro.
-
Non so che carriere babbane prevedano l'utilizzo della matematica, ma
io ho deciso di seguire Aritmanzia, quest'anno – disse
Elizabeth,
con orgoglio. - Ed è stato tutto grazie a te e al primo
libro che mi
hai prestato.
-
Oh, davvero? Ne sono molto felice – rispose lui, poi la
trascinò
verso la tenda dei suoi genitori.
I
signori Beaumont furono molto felici di vederla. La prima cosa che la
madre di Julian fece, ovviamente dopo averla abbracciata, fu darle un
regalo.
-
Spero di aver scelto bene – disse la donna, mentre lei apriva
il
pacchetto. Dentro c'era un bel cerchietto per i capelli, con sopra
attaccato un piccolo fiocco di colore blu.
-
L'ha fatto a mano – disse Julian, alzando gli occhi al cielo.
-
Voleva che si intonasse ai tuoi begli occhi, così, visto che
il
colore è simile a quello dei miei, me l'ha fatto provare un
sacco di
volte finché non era soddisfatta dalla tonalità.
Elizabeth
scoppiò a ridere. Immaginare Julian con un cerchietto in
testa era
estremamente divertente.
-
Beh, per fortuna non devo solo immaginare la scena! - disse la
ragazza, posando a tradimento il cerchietto sulla testa del ragazzo.
- Grazie, signora Beaumont! - disse, mentre Julian si lamentava.
-
Te l'ho già detto, tesoro, puoi chiamarmi Marie –
disse la donna,
con affetto. - Richard! - urlò, rivolta verso il retro della
tenda.
- Elizabeth è appena arrivata! Ovviamente –
tornò a rivolgersi
verso la ragazza – cenerai con noi, prima della partita, vero?
-
Non lo so – fece Elizabeth – insomma,
c'è anche Megan....
-
Vai a chiamarla – disse Julian. - Siete entrambe invitate.
Mangiare
assieme ai Beaumont e a Megan fu stupendo. Il padre di Julian e Megan
avevano qualcosa in comune: la passione per i film di fantascienza.
Ne parlarono durante tutta la cena, e furono decisamente scioccati
quando Elizabeth disse loro di non avere alcuna idea di cosa Star
Wars fosse. Ovviamente, Megan si offrì volontaria
per guardare
con lei tutta la serie, e lei accettò, perché era
proprio curiosa
di sapere che cosa ci fosse di così entusiasmante.
Dopo
cena, si diressero tutti assieme verso lo stadio. Nonostante lo sport
non fosse proprio la sua passione, l'entusiasmo di Megan (la quale
non faceva altro che saltellare da una parte all'altra con aria
eccitata) era contagioso, ed Elizabeth non vedeva l'ora di godersi la
serata....
*
Erano
sedute sui loro sacchi a pelo, dentro la tenda. Megan era sotto
l'effetto dell'euforia post-partita, e se solo ci fosse stato
abbastanza spazio, probabilmente si sarebbe messa a ballare. Invece,
si stava accontentando di canticchiare.
-
L'Irlanda ha vin-to! E Lizzie ha un ragaz-zo! - fece l'amica,
ridendo.
-
Oh, smettila! - disse Elizabeth, tirando un piccolo pugno all'amica.
Stava diventando bordeaux. - Jules non è il mio ragazzo,
è solo il
mio migliore amico!
-
Certo. Anche se appena l'hai visto ti sono venuti gli occhi a
cuoricino? Avanti, non dirmi bugie!
Era
ovvio che Megan si fosse accorta del suo repentino cambio di
espressione non appena aveva visto Julian. Persino lei era rimasta
scioccata. L'ultima volta in cui si erano visti, entrambi erano
ancora dei bambini, e adesso... beh, lui era sicuramente cambiato, e
decisamente in meglio. Due anni prima, di certo non si sarebbe mai
soffermata a contemplare la profondità dei suoi occhi, o il
suo
sorriso... per non parlare del fatto che, anche caratterialmente
parlando, era un ragazzo d'oro. Forse si stava davvero beccando una
bella cotta per lui....
-
Insomma, è molto carino, però....
Furono
interrotte da delle urla.
-
Cosa succede? - chiese Megan, spaventata.
-
Non lo so, ma restiamo qui – fece Elizabeth.
Sentirono
una serie di passi, come se un sacco di gente stesse correndo accanto
a loro. Ad un tratto, la tenda si aprì, e una figura fece
capolino.
-
M-mamma? - mormorò Elizabeth, stupita.
-
Uscite fuori, subito – disse la donna. - Megan, i tuoi
genitori
sono qui con me.
Corsero
entrambe fuori, senza nemmeno cambiarsi. Si mossero tra le tende,
mentre le urla e il rumore degli incantesimi risuonavano attorno a
loro. Poco più avanti stava succedendo qualcosa, e quando
Elizabeth
si rese conto di che cosa si trattasse, si bloccò.
Vi
erano una serie di figure nere incappucciate, che tenevano in alto le
bacchette. Elizabeth, pur non avendoli mai visti, li riconobbe subito
per ciò che erano. Mangiamorte. Con le
loro bacchette stavano
facendo levitare alcune persone, trattandoli come burattini. Si
trattava della famiglia che gestiva il campeggio. Babbani.
-
Elizabeth, non fermarti! - gridò sua madre, trascinandola
per un
braccio.
Continuarono
a correre finché non raggiunsero la foresta. Anche Julian e
la sua
famiglia erano lì con loro. Non appena si fermarono,
Elizabeth
scoppiò a piangere tra le braccia della madre. Vedere quei
Mangiamorte l'aveva spaventata.
Sua
madre le accarezzò i capelli, mentre lei riprendeva
coscienza di ciò
che la circondava. Attorno a lei c'erano Julian e Megan, con le
rispettive famiglie; c'erano sua madre ed Edgar, oltre ad un altro
gruppo di persone. Mancava qualcuno.
-
Mamma, dov'è papà? - domandò.
Sua
madre continuò ad accarezzarle i capelli. Sembrava quasi che
non
volesse risponderle. - Tesoro....
Poi,
Elizabeth ricordò qualcosa. Durante la prima guerra magica,
prima
che lei nascesse, la sua famiglia aveva avuto a che fare con
Colui-che-non-deve-essere-nominato, tanto che suo nonno era morto in
battaglia. Suo padre non aveva mai menzionato nulla riguardo un suo
eventuale coinvolgimento, ma Elizabeth era sempre stata sicura che,
nonostante tutto, lui di trovasse dalla parte degli innocenti.
Alzò
gli occhi, ed incontrò lo sguardo triste di sua madre.
Questo bastò
a far crollare ogni sua certezza.
*
Davanti
al Pensatoio, Elizabeth ricordò la delusione che aveva
provato in
quel momento. Suo padre aveva sempre avuto delle opinioni sul mondo
che non le erano sembrate giuste. Aveva cercato di inculcare quegli
ideali anche nei suoi figli, ma con lei non ci era riuscito.
Tuttavia, mai aveva potuto immaginare che avrebbe agito di
conseguenza.
Alla
fine del suo terzo anno di scuola aveva visto Harry Potter uscire
fuori dal labirinto usato per la terza prova del Torneo Tremaghi,
portandosi dietro il corpo di Cedric Diggory. Potter aveva detto che
Colui-che-non-deve-essere-nominato era tornato.
Elizabeth,
almeno inizialmente, era indecisa se credergli o meno. Quello che era
certo era che quell'estate suo padre aveva passato molto tempo fuori
casa, e non per lavoro. Una parte di lei avrebbe voluto scappare via
assieme a sua madre; il problema era che dipendevano completamente da
suo padre dal punto di vista economico, e lei era soltanto una
quattordicenne impaurita da ciò che suo padre avrebbe potuto
fare se
avesse scoperto la loro fuga. Così entrambe, madre e figlia,
rimasero in quella casa.
Elizabeth
si tuffò in un altro ricordo.
|
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Capitolo 4 *** Cap. 4: Coward ***
Cap.
4: Coward
Le
due ragazze erano rintanate nella loro Sala Comune, senza alcuna
intenzione di uscire. Avevano dato loro la possibilità di
combattere, ma Megan stava tremando di paura, ed Elizabeth... con suo
grande disappunto, semplicemente non aveva avuto il coraggio di
farlo. L'anno prima si erano unite all'Esercito di Silente, ed
entrambe si erano sentite invincibili, ma nel momento in cui avevano
sentito i Mangiamorte che penetravano nella scuola il loro coraggio
era venuto meno.
Megan
stava piangendo, raggomitolata su una poltrona.
-
Elizabeth – disse, tra i singhiozzi. - Secondo te moriremo
tutti?
Elizabeth
si avvicinò all'amica, e la abbracciò. Aveva
paura anche lei, ma
doveva cercare di tranquillizzare Megan. - No – disse. -
Andrà
tutto bene, non preoccuparti. E se riusciranno ad entrare qui, io ti
proteggerò.
Quanta
coerenza, pensò.
Parlare
di proteggere qualcuno quando ci si è appena tirate indietro
per
pura paura.
Potevano
sentire i rumori della battaglia, poco distanti da loro. Ogni
esplosione le faceva sobbalzare. Cercò in tutti i modi di
non
pensare che sarebbe bastato veramente poco per permettere ai
Mangiamorte di irrompere nel dormitorio, a giudicare dai boati. Erano
abbastanza vicini all'ingresso, del resto. Sarebbe bastato un
incantesimo molto potente, e la porta sarebbe stata demolita.
No,
non pensarci. Se
ci avesse
rimuginato su ancora per molto, sarebbe finita a piangere come Megan.
Di solito era sempre lei quella che non si preoccupava, quella che
cercava sempre di tirarle su il morale. Era uno dei pilastri della
sua vita. Ma ora, di fronte alla paura della morte, quel pilastro era
crollato, e toccava a lei aiutarla.
Per
un attimo desiderò avere Julian accanto a sé. Lui
le avrebbe detto
che tutto sarebbe andato bene, e lei si sarebbe persa nel suo
abbraccio, dimenticando per un attimo la paura della morte. Aveva
covato dei sentimenti per lui sin dal giorno della finale della Coppa
del Mondo, e aveva passato quell'anno attendendo le vacanze,
perché
con sua madre e suo fratello sarebbero dovuti tornare in Francia.
Ora, però, non sapeva se l'avrebbe mai più
rivisto.
Megan
si strinse a lei, cercando di respirare regolarmente. Piano piano si
stava calmando, e il graduale diminuire dei rumori provenienti da
fuori stava contribuendo.
Ad
un tratto, la porta della Sala Comune si aprì, e due
studentesse del
settimo anno entrarono. Avevano un'espressione abbattuta, ma
sembravano illese. Furono accolte da un mormorio generale.
-
È finita – disse una di loro. - Ma Silente
è morto.
Il
silenzio cadde sulla stanza.
*
La
giovane donna si ritrovò a fissare il liquido argenteo. Il
momento
in cui avevano sentito della morte del loro preside fu probabilmente
il momento in cui la bolla protettiva in cui avevano vissuto per
cinque anni scoppiò. Ricordò le reazioni dei suoi
compagni alla
notizia, il caos che si era creato non appena quella ragazza aveva
finito di parlare. Avevano vissuto con la certezza che Silente fosse
l'unico mago di cui Tu-Sai-Chi avesse mai avuto paura, dunque era
l'unico che potesse sconfiggerlo, specialmente dopo che il suo
ritorno era stato confermato.
Ricordò
che Megan aveva ripreso a piangere, e che tutti si erano sentiti
completamente senza difese.
Elizabeth
stava piangendo. Pensava all'ultimo ricordo che avrebbe dovuto
affrontare. Quello più duro, ma allo stesso tempo
più importante.
In quel momento provò un forte desiderio di smetterla, e di
uscire
da quella stanza senza finire il suo percorso. Era una cosa che le
era capitata tutti gli anni, ma era sempre riuscita a farsi forza.
Così,
fece un lungo respiro e andò avanti. Dopotutto, non tutti i
ricordi
di quel periodo erano stati pieni di dolore....
|
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Capitolo 5 *** Cap. 5: Blue As Your Eyes ***
Cap.
5: Blue As Your Eyes
-
Sono deliziosi - disse Julian, addentando un muffin. Elizabeth
sorrise, piena di orgoglio. Aveva chiesto agli elfi domestici della
scuola come si preparassero, giusto l'anno prima. Quella sera ne
aveva fatto un'infornata, per farli assaggiare a Julian. Lui sembrava
adorarli.
Erano
seduti sul tetto della casa di Julian, a guardare le stelle. Il
signor Beaumont aveva prestato loro un telescopio, ma dato che, anche
a causa dei loro studi, conoscevano bene l'aspetto delle stelle, si
erano limitati ad osservare il cielo ad occhio nudo, seduti l'uno
accanto all'altro.
-
Sai, mia madre ha scoperto che tuo padre è un Babbano -
disse lei,
improvvisamente.
Julian
le accarezzò una guancia. - Ha... ha detto qualcosa?
-
Non proprio - fece Elizabeth. - Quello ad arrabbiarsi è mio
padre,
anche se ora passa più tempo fuori che con la sua famiglia.
Mi ha
solo detto di non affezionarmi troppo.
Consiglio
inutile, dato che era innamorata cotta di lui da secoli.
-
Davvero? E cosa intendeva, con questo?
-
Non lo so, ma credo che includesse anche il guardare le stelle
assieme, di notte. Infatti, per lei adesso io sarei a letto.
-
Oh, e io che pensavo ben altro! - fece lui, ridendo.
Elizabeth
scosse la testa, arrossendo. Era ovvio che sua madre intendesse ben
altro, e che quel ben altro fosse esattamente ciò che lei
desiderava
da lui. Si era comportato in maniera strana, quell'estate. Il modo in
cui la guardava, la abbracciava, le sorrideva... tutto le era
sembrato diverso, quasi come se Julian avesse voluto darle una
speranza.
A
volte lei scacciava via quei pensieri, pensando alla fila di ragazze
molto più carine di lei che lui di sicuro conosceva; altre
volte,
invece, il suo sogno di diventare più di un'amica
sembrava
quasi avvicinarsi alla realtà. O, forse, era soltanto lei
che vedeva
tutto attraverso le lenti rosa dell'amore.
Comunque,
aveva giurato a se stessa che, se lui non si fosse fatto avanti,
durante l'ultimo giorno che avrebbero passato assieme lei avrebbe
confessato i suoi sentimenti. Se il loro destino fosse stato quello
di stare assieme, tanto meglio; altrimenti con un pizzico di fortuna
sarebbero potuti almeno restare amici.
-
Continuerò a sgattaiolare fuori dalla mia camera tutte le
notti, se
questo significa passare più tempo con te - disse Elizabeth,
abbracciandolo.
-
Sono felice che tu la pensi così. Anche se non dovresti
rischiare.
Tua madre ti vuole bene, dopotutto, e si fida di te. Dopo quello che
è successo con tuo padre, forse dovresti tenertela stretta.
Lei è
la tua famiglia.
-
Non mi importa. Voglio passare con te ogni ora a mia disposizione. Tu
sei il mio... oh.
Le
parole le morirono in gola. Voleva dire migliore amico,
naturalmente. Il problema era che, nel suo cuore, lui era
molto,
molto di più, e in quell'attimo il suo
corpo si era rifiutato
di raccontare una bugia. Era diventata tutta rossa.
-
Elizabeth, guardami negli occhi - disse Julian, con decisione.
La
ragazza obbedì, e i suoi occhi si specchiarono in quelli di
Julian,
così identici ai suoi.
-
Non so cosa volesse dire questa tua esitazione... - continuò
il
ragazzo - ... ma c'è qualcosa che devo dirti.
Elizabeth
annuì. Era nervosa, adesso.
-
Sei bellissima - disse lui, scostandole una ciocca di capelli dal
viso. Il cuore di Elizabeth si mise a fare le capriole. - L'ho
pensato nel momento in cui ti ho vista uscire da quella tenda,
durante la finale della Coppa del Mondo. L'avrei pensato il primo
momento in cui ti ho vista, se solo fossimo stati più grandi.
-
Grazie - fece Elizabeth, arrossendo furiosamente.
-
Non ho finito - disse il ragazzo. - Ti sembrerà strano, del
resto ci
siamo visti per così poco tempo. Ma ci siamo conosciuti, no?
Perlomeno attraverso le nostre lettere. Non ho mai conosciuto nessuna
come te, Elizabeth. E ora... sì, credo di poterlo dire.
Il
cuore di Elizabeth smise di scalpitare furiosamente. Per un attimo,
forse, smise proprio di battere.
-
Sono innamorato di te. Amo la tua voce, amo il tuo modo di sorridere.
Amo i tuoi occhi, e potrebbe sembrare una cosa narcisistica, visto
che sono uguali ai miei....
-
Stupido - disse Elizabeth, buttandogli le braccia al collo.
Il
secondo dopo, lo stava baciando. Lui la strinse per i fianchi,
rispondendo al bacio con entusiasmo. Elizabeth si perse tra le sue
labbra. Quel bacio sapeva di cioccolato, proprio come i suoi
muffin....
Si
separarono per riprendere fiato. - Ti amo anch'io, Jules -
mormorò
lei. Non poteva dire di essere mai stata più felice in tutta
la sua
vita.
Julian
la baciò con tenerezza. - Ho aspettato tutta l'estate per
dirtelo,
scusami - disse.
-
Non importa - fece Elizabeth, sorridendo. - E poi, nemmeno io sono da
meno.
Era
vero. Se avesse seguito l'istinto, l'avrebbe baciato già due
anni
prima. Ma ora tutto questo non aveva importanza. Si amavano, e tutto
il resto non contava niente.
Rimasero
tutta la notte sdraiati sul tetto, abbracciati; quando videro le
prime luci dell'alba, però, Elizabeth a malincuore si
tirò su.
-
Devo andare. Se mia madre si dovesse accorgere della mia assenza
sarebbe la fine - disse la ragazza, raccogliendo il vassoio vuoto dei
muffin.
Con
un po' di delusione, Julian la accompagnò giù,
fino alla porta di
casa sua.
-
Ci vediamo dopo - disse Elizabeth, facendo per uscire.
Julian
però la bloccò, abbracciandola e dandole un bacio
che le fece
sciogliere il cuore. - Ci vediamo stanotte - le
disse, a fior
di labbra.
*
Elizabeth
chiuse il suo baule. Il giorno dopo sarebbe partita per Hogwarts.
Ancora non poteva Smaterializzarsi, ma lì vicino ci sarebbe
stata
una Passaporta che l'avrebbe portata a King's Cross, preparata
apposta per permettere ai vacanzieri inglesi del paese di restare
lì
fino all'ultimo giorno d'estate.
Non
sapeva se avrebbe rivisto Megan. L'ultima volta che l'aveva sentita,
le aveva scritto che stava partendo. Giravano voci secondo cui alcuni
Nati Babbani erano stati arrestati per aver
“rubato” la magia, e
lei voleva essere al sicuro. Aveva detto che avrebbe cercato di
tornare ad Hogwarts o ad Hogsmeade di nascosto, per vederla.
Elizabeth aveva cercato di informarsi sui Nati Babbani che venivano
catturati, ma il nome di Megan, con suo grande sollievo, non era mai
spuntato fuori.
Il
rumore della porta della sua camera che si apriva la fece sobbalzare.
Sulla soglia c'era suo fratello.
-
... Edgar? - fece lei, sorpresa. Lui le parlava solo se strettamente
necessario, dunque era strano vederlo in camera sua.
-
Non andare - le disse. Sembrava molto serio.
Elizabeth
lo osservò, stupita. - Perché mi stai dicendo
questo?
-
Non è sicuro - rispose lui.
-
Edgar, ci saranno i miei amici, lì. Ed è pieno di
insegnanti che
possono proteggerci. Sarò al sicuro - disse, cercando di
convincere
anche se stessa. - Tu resterai qui?
Vide
un lampo di incertezza negli occhi di Edgar. - Sì - rispose
lui, con
fermezza. - Dovresti farlo pure tu.
-
Stai diventando protettivo nei miei confronti?
-
Nemmeno mamma vuole che tu vada. E poi, sei mia sorella.
Che
coraggio, pensò
Elizabeth. -
Beh, hai deciso un po' tardi di comportarti da fratello, non trovi? -
disse, irritata.
Edgar
scosse la testa, e fece per uscire dalla stanza. - Non dirmi che non
ti avevo avvertito – disse, fermandosi sulla soglia. Poi,
sparì.
Anche
sua madre le fece visita. A differenza di suo fratello,
però, si
sedette sul letto, e iniziò a parlarle con dolcezza.
-
So che cosa sta succedendo, tra te e quel ragazzo che abita qui
–
disse.
Elizabeth
trasalì. Aveva fatto di tutto per mantenere la cosa segreta,
ma era
stato evidentemente inutile. Ovviamente non le importava che sua
madre non fosse d'accordo, ed era pronta a difendere il suo amore.
-
Da qualche giorno sembri così felice, tesoro. E so che la
notte
scappi via dalla tua camera per stare con lui –
continuò.
Elizabeth
si preparò alla sgridata, ma questa non arrivò.
-
Non so bene cosa significhi essere innamorati. Ho imparato ad
apprezzare tuo padre, col tempo, ma non credo che sia la stessa cosa.
Tu sei molto fortunata. Ti vuole molto bene, quel ragazzo?
Elizabeth
annuì. - Ci amiamo – disse.
-
E sono certa che questo continuerà anche dopo la guerra
– disse
sua madre, facendo un piccolo sorriso. - Potreste avere un futuro,
una volta che sarà finita. A differenza della me
diciassettenne, tu
non hai nessun altro legame qui, e potrai andartene ed essere felice.
Ma quella felicità potrebbe non esistere, se tornerai ad
Hogwarts. I
Mangiamorte potrebbero attaccare la scuola, e allora non so se il tuo
cognome potrà salvarti. Potresti morire!
Elizabeth
ricordò il senso di paura che aveva provato soltanto qualche
mese
prima, e pensò a quanto si fosse sentita codarda nel restare
chiusa
nel dormitorio, aspettando solamente che qualche Mangiamorte venisse
a tirarla fuori di lì. Non voleva che questo succedesse di
nuovo. Se
fosse stato necessario, avrebbe combattuto.
-
Io... voglio stare con i miei amici, mamma. Megan ha detto che
avrebbe cercato di tornare ad Hogwarts, e io dovrò esserci,
se
questo capiterà. È la mia migliore amica!
Sua
madre si alzò. Quando parlò, si rivolse a lei in
modo autoritario.
- Non m'importa – disse. - Ti proibisco di tornare.
Non
aggiunse altro. Se ne andò, chiudendo la porta dietro di
sé.
Intanto, Elizabeth aveva preso una decisione. Sarebbe sgattaiolata
via, come tutte le notti, ma stavolta si sarebbe portata dietro il
baule. Julian l'avrebbe aiutata a raggiungere Hogwarts, ne era certa.
Tuttavia,
con sua grande frustrazione, quando quella notte cercò di
aprire la
porta di camera sua notò che era stata sigillata. Aveva
provato ad
aprirla utilizzando la magia, ma evidentemente sua madre aveva preso
precauzioni.
Le
restava solo una cosa da fare: scappare dalla finestra. Non fu
difficile calare giù il baule; trovandosi al terzo piano,
però,
sarebbe stato piuttosto complicato per lei saltare senza farsi del
male. Esistevano degli incantesimi per questo, ma non erano stati
ideati per essere evocati su se stessi. L'unica cosa che poteva fare
era calarsi giù utilizzando i rami degli alberi che si
affacciavano
sulla sua stanza. Era da quando aveva undici anni che non si
arrampicava da nessuna parte, ma avrebbe dovuto provarci.
Facendo
molta attenzione, riuscì a tornare coi piedi per terra e con
le
ginocchia non troppo graffiate. Prese il baule, e corse verso casa di
Julian.
Mi
dispiace, mamma, pensò,
senza
guardarsi indietro.
*
Il
ricordo del suo primo bacio era sempre la parte più dolce
del suo
percorso. In un certo senso, sua madre aveva avuto ragione,
perché
forse il suo rapporto con Julian era la cosa più bella che
fosse mai
esistita nella sua vita. Era stata davvero fortunata.
Ora
doveva soltanto prepararsi ad affrontare l'ultimo ricordo. C'era un
motivo ben preciso per cui il ricordo della loro dichiarazione
d'amore fosse il penultimo, e non era solo una questione di ordine
cronologico. Il boccone dolce serviva ad addolcire l'amaro della
medicina, e quel ricordo felice serviva a prepararla meglio per
l'ultimo.
Chiuse
gli occhi.
Sono
pronta.
|
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Capitolo 6 *** Cap. 6: The Second Of May ***
Cap.
6: The Second Of May
I
lampi degli incantesimi la accecavano, e le grida degli studenti le
riempivano le orecchie. Era confusa, e non sapeva bene cosa fare.
Questo era ciò da cui l'avevano messa in guardia sua madre e
suo
fratello. Lei era stata testarda, e non aveva seguito il loro
consiglio. Come aveva promesso a se stessa, quella volta aveva scelto
di combattere per la sua scuola.
Aveva
perso il conto degli incantesimi che aveva lanciato. Fino a quel
momento poteva dire di essersi difesa abbastanza bene. Ora, il suo
obiettivo era trovare Megan.
L'aveva
riabbracciata soltanto poche ore prima, anche se ormai le sembrava
un'eternità. Era riuscita ad entrare ad Hogwarts grazie ad
un
passaggio ricavato da un ritratto appeso alla Testa di Porco, ad
Hogsmeade. Poco dopo i saluti, però, la battaglia aveva
iniziato ad
infuriare, e l'aveva persa di vista. Avrebbe dovuto proteggerla, e
ora nemmeno riusciva più a trovarla.
Elizabeth
pensava di aver provato paura, l'anno prima; nulla, però,
avrebbe
mai potuto superare ciò che stava provando in quel momento,
vedendo
i corpi degli studenti sparpagliati sul pavimento, col timore
tremendo che il volto di uno di essi potesse essere quello della sua
migliore amica....
Raggiunse
la Sala Grande, il fulcro della battaglia. L'aria era piena delle
urla di chi stava duellando. Tenendo la bacchetta tesa davanti a
sé,
i suoi occhi continuarono a cercare l'amica, tra i lampi e la massa
di mantelli neri che volteggiavano. E, finalmente, la vide.
Stava
duellando con un Mangiamorte, il braccio della bacchetta che tremava
davanti a lei. Indietreggiava sempre di più, mentre il
Mangiamorte
torreggiava su di lei. Era visibilmente spaventata, stava piangendo.
Elizabeth accelerò, dirigendosi verso di lei. Doveva
aiutarla,
doveva proteggerla. Avrebbe messo da parte ogni sua paura, per lei.
Schivò
alcuni incantesimi; l'adrenalina la rendeva molto più agile
di
quanto fosse realmente. Resisti, Megan. Sto arrivando.
Sentì
una voce, tra le tante. Una voce che le sembrò vagamente
familiare.
-
Avada Kedavra!
Elizabeth
vide Megan volare, colpita da un lampo di luce verde. Cadde per
terra, in maniera quasi aggraziata, il suo corpo completamente
inerte.
Elizabeth
non sentì l'urlo di dolore che uscì dalla sua
bocca. Non sentì le
lacrime che sgorgavano dai suoi occhi. Sentiva soltanto il suo cuore
che batteva all'impazzata, pieno di rabbia e di dolore. Le sembrava
che il tempo si fosse fermato, mentre correva verso il corpo
dell'amica, buttandosi in ginocchio accanto a lei. Gli occhi di Megan
erano sgranati, le lacrime di paura ancora fresche sulle sue guance.
-
Che cos'hai fatto? - urlò, puntando la bacchetta verso il
Mangiamorte.
Impiegò
una frazione di secondo per capire di chi si trattasse. Se la sua
voce le era sembrata familiare, c'era un motivo.
-
Edgar....
Suo
fratello. Suo fratello aveva ucciso Megan.
La
sua bacchetta era puntata verso di lei, e lei non accennò ad
abbassare il braccio.
-
Come... hai... potuto....
La
voce di Elizabeth non riusciva ad esprimere tutto ciò che
stava
provando. Sentiva come un fuoco, dentro di lei, una tempesta di
emozioni. Delusione. Dolore. Rabbia. Ultimo, ma non meno importante,
il desiderio di vendetta. Lui aveva ucciso Megan, e doveva pagare.
Poco importava che fosse sangue del suo sangue.
In
pochi attimi, uno di loro due avrebbe lanciato un incantesimo, e il
duello sarebbe finito. Lei cos'avrebbe fatto? Sarebbe morta,
lasciando suo fratello alla giustizia o a qualcuno di più
abile di
lei? Oppure avrebbe seguito quell'istinto irrazionale che voleva
farle urlare quelle due parole, perché sentiva che questo
era ciò
che lui si meritava?
O
io, o lui.
-
Avada Kedavra!
Elizabeth
aveva fatto la sua scelta.
*
-
Elizabeth?
Era
sempre così, tutti gli anni. Dopo aver finito il suo
percorso,
restava seduta sul pavimento, a piangere. Poi, dopo pochi minuti di
solitudine, sentiva delle braccia forti che la stringevano, e Julian
era con lei.
Era
stato lui a trovarla, in un angolo della Sala Grande, mentre, in
stato di shock, teneva stretto a sé il corpo di Megan. Non
appena
aveva saputo della battaglia si era precipitato ad Hogwarts per
assicurarsi che stesse bene.
-
Va tutto bene, Jules. Stai tranquillo – gli rispose, la voce
ancora
rotta dal pianto.
-
Non devi farlo tutti gli anni – disse lui, preoccupato.
-
È la cosa giusta – fece lei, mentre Julian la
aiutava ad alzarsi.
Era
stato lui a consolarla, quando di notte si svegliava urlando per gli
incubi. Per un lungo periodo, non appena cercava di addormentarsi la
sua mente le presentava gli occhi sgranati di Megan, o lo sguardo
sorpreso di suo fratello nell'attimo in cui fu colpito dall'Anatema
che Uccide. Incantesimo che lei aveva lanciato.
Grazie a
Julian, lentamente, si era rialzata, e aveva ripreso a vivere.
Il
giovane le toccò la pancia, con amore. - La nostra piccola
sta bene?
Elizabeth
sorrise, asciugandosi le lacrime. - Adele sta benissimo. Non ci sono
controindicazioni sull'uso del Pensatoio durante la gravidanza, te
l'ho detto un sacco di volte!
Ed,
infine, Julian le aveva fatto il regalo più grande della sua
vita.
Dopo la battaglia, Elizabeth era rimasta senza famiglia. Suo padre
era stato ucciso da un Auror, mentre sua madre, all'ultimo momento,
aveva deciso di abbandonare il suo rifugio per contribuire alla
difesa di Hogwarts. Era caduta in battaglia.
Le
aveva sempre voluto bene, nonostante a volte fosse stata brusca con
lei. Probabilmente durante la battaglia la stava cercando,
così come
lei aveva fatto con Megan. Ad Elizabeth dispiaceva moltissimo che sua
madre non avesse avuto la possibilità di vedere sua nipote.
Per
ricordarla, aveva deciso di chiamare la piccola come lei.
Julian
l'aveva portata a casa sua, e si era preso cura di lei, senza
smettere di amarla neanche per un secondo, nemmeno nei momenti
peggiori. Lei era guarita, e due anni prima, in un bel giorno di
primavera, si erano sposati. Ed in quel momento dentro di lei c'era
una nuova vita, una creatura che, in pochi mesi, avrebbe richiesto
tutte le loro energie e il loro amore. Non avrebbe mai smesso di
ringraziare Julian per tutta quella felicità.
Elizabeth
entrò in bagno per darsi una sistemata. Dopo il percorso dei
ricordi, l'unica cosa che restava da fare era visitare il cimitero.
Aveva già preparato i fiori: un bel mazzo di rose,
rigorosamente di
colore rosa. Provenivano dal loro giardino, ed Elizabeth le aveva
piantate apposta.
Finì
di pettinarsi i capelli. Era pronta ad uscire.
*
Lasciò
andare la mano di Julian soltanto quando si trovò davanti
alla
lapide. Era molto semplice: sopra aveva applicata soltanto una foto
di Megan sorridente, oltre alla sua data di nascita e alla data di
morte. Sulla tomba c'era un bellissimo mazzo di fiori di malva.
I
suoi genitori devono essere passati poco fa.
Elizabeth
posò le rose vicino ai fiori di malva, poi si
inginocchiò, e
abbracciò la lapide. Sapeva che era una cosa stupida da
fare, ma era
l'unico modo che aveva di essere vicina alla sua amica. Senza nemmeno
accorgersene, aveva ricominciato a piangere.
-
Scusami, Megan. Scusami – disse, singhiozzando. Come ogni
anno, un
solo pensiero le attraversava la mente: se solo fossi
arrivata
qualche secondo prima, forse quel raggio verde non ti avrebbe
colpita, e tu saresti accanto a me, viva. Saresti stata la mia
damigella d'onore, saresti stata la madrina di Adele. Ogni
anno,
ritornava la sensazione di aver fallito completamente. Aveva giurato
a se stessa che l'avrebbe protetta, e non era riuscita a farlo.
Ma,
come ogni anno, dopo qualche minuto di crisi una sensazione di calma
la pervase, come se, in qualche modo, Megan avesse trovato il modo
per rispondere al suo abbraccio. Le sembrava quasi di riuscire ad
udire la sua voce, almeno nella sua mente.
Ti
voglio bene, diceva.
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