the one last chance (out of one)

di Rainie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** pt.1: warning warning warning warning ***
Capitolo 2: *** pt.2: lachesism ***
Capitolo 3: *** pt.3: badmen ***
Capitolo 4: *** pt.4: shadows ***
Capitolo 5: *** pt.4 (2): finale ***



Capitolo 1
*** pt.1: warning warning warning warning ***


[ part 1: warning warning warning warning ]

playlist: badman – b.a.p; big deal – nu’est; the mighty fall – fall out boys.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le strade bruciavano sotto un sole particolarmente intenso, segno che l’estate si stava inesorabilmente avvicinando.

Al riparo dal caldo, l’officina Kim aveva le saracinesche abbassate, togliendo al quartiere uno dei suoi pochi segni di vitalità. Il suo proprietario aveva deciso di prendersi un giorno di riposo, visti i rari clienti che gli avevano fatto visita nell’ultima settimana. Il calore batteva sul metallo facendolo diventare incandescente nonostante fosse ancora mattina, mentre dall’interno proveniva solo il silenzio. Di tanto in tanto, un’automobile o un abitante del quartiere passava di lì, ma non prestavano attenzione a quel locale, essendo per loro una vista quotidiana.

Con i passi che scricchiolavano sul marciapiede, Jongup svoltò l’angolo di un isolato e si addentrò in un viottolo che aveva percorso ormai innumerevoli volte. Porte chiuse di edifici e pareti tappezzate di colorati murales sfilarono ai suoi fianchi, mentre alcuni negozi di alimentari e i bar tentavano di scacciare l’aria viziata dal loro interno tenendo l’ingresso aperto.

Nella frescura dell’ombra, tirò fuori il suo smartphone, cercò un numero nella sua rubrica e pigiò il tasto di chiamata. Svoltò un altro angolo mentre il cellulare suonò una, due, tre volte. «Hey, hyung. Sono quasi arrivato, dieci minuti ancora e sono lì. Youngjae hyung? No, non lo sto sentendo da un po’. Ma non aveva comunque detto che sarebbe stato via per qualche tempo? Se si tratta di lui, non penso che possa succedere qualcosa. Non essere tanto paranoico! Rilassati un po’. Dai, ne discutiamo quando arrivo. A dopo.»

Era una delle rare volte in cui Yongguk era stato incaricato da Himchan di tenere d’occhio la sua officina. In quella tranquillità, tra una motocicletta e il forte odore di gasolio, si chiese come se la stesse cavando Youngjae. Non aveva più avuto alcuna notizia da parte sua da ormai diversi giorni. Il ragazzo poteva certamente cavarsela, ma l’ansia di Yongguk si faceva sentire di più ogni ora che passava. Aveva cominciato ad immaginarsi milioni di scenari in cui era rapito, sbattuto in qualche stanza e lasciato senza cibo né acqua per diversi giorni, picchiato, e persino ucciso.

Il pensiero gli faceva venire il voltastomaco. Così, dal momento che Himchan gli aveva solo chiesto di “non far casino con gli strumenti e lasciare l’officina sottosopra mentre era via”, aveva chiamato Jongup per portarlo via dalla noia, sperando che, in questo modo, avrebbe smesso di preoccuparsi.

Yongguk aprì il lucchetto che bloccava la saracinesca, e la alzò senza sforzo. La luce del sole penetrò subito nell’atrio semivuoto, portando con sé il caldo soffocante dell’esterno, che si mischiò con il distintivo odore di benzina del garage. Alla vista della strada deserta, Yongguk godette per un paio di minuti il silenzio primaverile sulla soglia dell’entrata, sentendo sulla pelle, di tanto in tanto, una leggera brezza dargli un po’ di sollievo dall’afa, fino a quando non individuò la figura di Jongup avviarsi verso la sua direzione. La sua bocca si allargò nel suo tipico sorriso, mentre il più giovane si avvicinava.

«Hey,» si salutarono, stringendosi la mano e dandosi una pacca sulla schiena. «E Himchan hyung?» chiese Jongup, piegando la testa di lato e sbirciando dentro l’officina.
All’interno, le luci erano spente, e la poca luce che filtrava dalle finestre rivelava il profilo di diverse auto e motociclette parcheggiate in delle ordinate fila negli spazi più interni. Incredibilmente, il meccanico riusciva a tenere il suo posto di lavoro piuttosto curato. La ringhiera della scala che conduceva al secondo piano, notò Jongup, era stata dipinta di rosso di recente.

Yongguk scrollò le spalle. «Ha detto che sarebbe andato a comprare dei nuovi pezzi di ricambio, ma sai com’è. Sarà a divertirsi da qualche parte.» Guardò Jongup ridacchiare per un secondo.

«Giusto,» commentò.

Yongguk stava per invitarlo dentro quando notò un movimento con la coda dell’occhio. Riuscì appena a lanciare al ragazzo che aveva di fronte uno sguardo allarmato, e lo vide voltarsi e ricevere un colpo brutale sulla tempia destra da una mazza metallica, impugnata da un uomo dalla corporatura robusta, con gli occhiali da sole calati sugli occhi.

Il silenzio venne spezzato dal gemito acuto di dolore che uscì dalle labbra di Jongup, mentre la sua espressione rilassata di prima venne sostituita da una smorfia di dolore atroce. Il più anziano sentì il proprio capo pulsare, come se fosse stato lui quello aggredito. Il livello di adrenalina nel suo sangue salì in pochi secondi mentre guardava Jongup accasciarsi per terra, avendo perso i sensi. Subito, Yongguk si inginocchiò a fianco a lui e lo alzò dal pavimento afferrandolo per le spalle, mentre tentava di risvegliarlo scuotendolo e chiamando il suo nome. Il corpo di Jongup non si mosse; dai graffi sul suo capo aveva cominciato ad uscire del sangue, e a Yongguk sembrò di aver dimenticato come si respirava.

Un grugnito da sopra il suo capo gli fece alzare gli occhi. Il loro aggressore aveva sul suo viso un ghigno soddisfatto, mentre la mazza, ora abbassata a terra, scricchiolò ostile sul ruvido terreno, con la superficie lucida che rifletteva, minacciosa, la luce del sole. La preoccupazione di Yongguk stava cominciando a trasformarsi in rabbia, le sue mani tremavano al desiderio di prendere a pugni quella disgustosa faccia, come osava toccare un suo membro, con che coraggio aveva–

Sentì qualcosa cadere vicino a lui. Ai suoi piedi, vide un pezzo di plastica nero, di forma rettangolare, giacere sul ruvido terreno. Yongguk lo riconobbe come una chiavetta USB e, ancora con lo sguardo incredulo e ostile, tornò sulla figura scura dell’uomo che si stagliava contro la luce del sole. «Mi raccomando, se non vuoi che il tuo amichetto muoia,» disse, sempre con quel ghigno derisorio, e si allontanò dall’entrata dell’officina come se niente fosse successo.

Registrando le parole appena pronunciate, Yongguk seguì con gli occhi l’auto che, una volta accolto il suo passeggero, si allontanò dall’officina in un grave rombo, tra le risate sghignazzanti dei membri all’interno. Ancora una volta, quella strada ritornò deserta e silenziosa, con la sola afa a riempire il vuoto.

Ricordando le proprie priorità, Yongguk ritornò con lo sguardo su Jongup. Vide il suo petto alzarsi ed abbassarsi, e sentì il respiro corto passare tra le sue labbra. Senza perdere altro tempo, lo portò dentro l’officina, dove era sicuro che Himchan teneva una cassetta per il primo soccorso da qualche parte. Cercò di sistemare il corpo del ragazzo più delicatamente possibile sul divano nell’atrio, e nel mentre si ricordò della chiavetta lasciatagli dall’assalitore.

Mentre ritornava a recuperarla dall’ingresso, digitò il numero del suo più giovane membro sul cellulare, sollecitandolo ad arrivare al più presto ed affrettandolo a contattare gli altri loro compagni e, in particolare, Youngjae.

 

«Il cliente da Lei chiamato al momento non è raggiungibile. La preghiamo di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.»

Himchan abbassò il suo smartphone e terminò la chiamata. Alzò gli occhi sui suoi compagni, che lo guardavano in attesa, interrogativi. «Niente da fare,» riferì lui, scuotendo il capo e sospirando con frustrazione, «Youngjae ancora non risponde.»

Al suo fianco, il meccanico sentì Daehyun gemere insofferente, mentre affondava il suo corpo nel divano. Si erano radunati tutti e cinque nella sua officina, che fungeva anche da nido per le loro operazioni, al riparo dagli occhi indiscreti degli abitanti del quartiere. Himchan non era del tutto convinto che i suoi vicini fossero ancora all’oscuro di ciò che succedeva veramente lì dentro, eppure nessuno dei suoi clienti esitava di fronte al suo ingresso. Probabilmente, era il fatto di essere l’unico meccanico in zona a far spingere (letteralmente) i loro veicoli in quell’abitacolo. O forse era solo a causa dell’aria corrotta che albergava in quella città. Himchan preferiva comunque lasciare la faccenda al dubbio.

Infilò il suo cellulare in tasca e, vedendo che il divano era occupato da Junhong, Yongguk e Daehyun, si sedette su una motocicletta vicina. Era uno dei suoi ultimi gioielli, ed era impaziente di perfezionarlo e farlo correre sulle strade. Ma, in quel momento, aveva altro di cui preoccuparsi.

Il suo sguardo slittò su Jongup, stravaccato su una sedia sul lato opposto. La sua testa era stata fasciata come Yongguk meglio aveva potuto, sul suo viso vi era ancora una smorfia di dolore. Una chiazza rossastra si stava formando sulla garza immacolata, e Himchan gli offrì un passaggio in ospedale, in modo da poter essere trattato da mani più esperte di quelle del loro leader. In risposta, il più giovane rise amaramente, dicendo che una scusa come l’essere caduti dalle scale non sarebbe stato abbastanza, dopodiché avrebbero cominciato a far domande, avrebbero perso solo tempo. Il meccanico annuì, nonostante non fosse del tutto convinto della sua decisione.

«È che sono preoccupato per quello che troveremo nella chiavetta,» ammise ai suoi compagni. La tensione gravò ancora di più sui cinque, e Daehyun decise di intervenire.

«Allora non ci resta che scoprire di cosa si tratta. Magari ci hanno regalato un altro viaggio a Manila,» disse, con il tono impregnato di sarcasmo.

A quel punto, Junhong tirò fuori il pezzo di plastica in questione. Lo fissò per qualche secondo, come se sperasse di riuscire a capire cosa li aspettava, mentre i suoi fratelli più anziani lo attendevano, con uno sguardo paziente. Diede una veloce occhiata a Yongguk, seduto a fianco a lui, e lo vide con gli avambracci poggiati sulle ginocchia, mentre gli occhi erano attaccati allo schermo del computer portatile sul tavolino di fronte, perso nei suoi pensieri. Ritornò a giocherellare con la chiave USB.

«Sapete,» cominciò a dire, «ora che siamo di nuovo solo noi, sento come se fosse, uhm, diverso senza Youngjae hyung con noi.»

All’improvvisa confessione del più giovane, Himchan ridacchiò brevemente. «Colpa sua. Quando ritornerà, avremo già finito di occuparci di questo e si sarà perso tutto il divertimento,» gli rispose, non del tutto sicuro delle sue stesse parole. Non sapeva se stesse tentando di convincere lui o se stesso, dopo che Yongguk gli aveva spiegato la situazione al suo ritorno in officina. Anche Junhong sembrò di percepire come quelle parole parevano forzate, ma non disse niente, e abbassò il capo in un silenzioso cenno di assenso.

Il giovane passò la chiave al leader, che lo prese senza proferire parola. I cinque si strinsero attorno al notebook, Jongup avvicinando la propria sedia per una migliore visione e Himchan posizionandosi dietro al divano, alle spalle di Daehyun e Yongguk. Questi inserì il piccolo dispositivo nella presa apposita, e qualche secondo dopo una finestra si aprì sullo schermo.

La memory card conteneva due oggetti: la prima era un video di poco più di un minuto, mentre la seconda era una nota che pesava appena pochi kilobyte. Entrambi erano etichettati con dei semplici “000”. «Una gran fantasia,» borbottò Daehyun.

Yongguk aprì prima il video, considerandolo più importante. I membri restarono in attesa mentre si caricava, ma non meno nervosi di prima. Un paio di secondi dopo, nell’inquadratura apparve la faccia di un uomo mascherato. Si sentivano dei rumori nel sottofondo, dei passi, forse, e l’uomo in primo piano si spostò per rivelare cosa c’era alle sue spalle.

Un suo compagno era in piedi, anche lui con una maschera calata su naso e bocca, e guardava dritto nell’inquadratura. Alla sua destra, su una sedia, stava seduta una figura con il corpo piegato in avanti e le mani legate dietro la schiena. Solo dai capelli biondo scuro non poteva essere riconosciuto, ma Yongguk vide i suoi incubi realizzarsi quando il primo uomo gli afferrò delle ciocche sulla nuca e gli tirò indietro il capo per rivelarne l’identità.

Era Youngjae. Non aveva affatto un bell’aspetto, dal momento che il suo viso era ora costellato di lividi e linee sanguigne che percorrevano le sue guance.

Tutti e cinque i giovani guardarono con il respiro mozzato il loro compagno mentre gli veniva tirato un pugno sulla mandibola.

 

Nella stanza illuminata debolmente dalla finestra sbarrata, con la schiena appoggiata alla parete di pietra, Youngjae fissò il vassoio di cibo che gli avevano rifilato pochi minuti prima. Non era molto: una minestra, del pane, e un bicchiere d’acqua. Non che si aspettasse una cena da ristorante lussuoso; nessuna banda di strada come si deve offrirebbe un pasto normale a coloro che tengono in ostaggio.

Non aveva molto appetito, comunque. I lividi che gli avevano procurato ancora facevano incredibilmente male, si sentiva il corpo indolenzito (probabilmente aveva anche una costola fratturata), e se si fosse passato una mano sul viso, avrebbe tastato le croste di sangue che si erano formate sulle ferite. Restò in silenzio a riflettere su ciò che gli era accaduto.

La porta della stanza in cui era stato sbattuto si aprì, e Youngjae vide entrare un ragazzo che aveva più o meno la sua stessa età, uno dei primi che avevano cominciato a torturarlo. Non sapeva chi fosse (lo aveva solo sentito essere chiamato Sung), ma, da come i suoi membri sembravano seguire i suoi ordini, aveva intuito che era uno dei pezzi grossi della banda. In un certo senso, gli aveva ricordato se stesso, nonostante tra i suoi compagni non vi era una certa rigidità di posizioni. Ognuno faceva e si impegnava in ciò che poteva. Non gli erano mai piaciute le piramidi sociali.

Sung guardò il vassoio ancora pieno, poi lui. Youngjae sostenne saldamente il suo sguardo, senza avere intenzione di lasciargli vincere quella piccola sfida. Da come lo fissava il suo avversario, intuì che aveva delle notizie – probabilmente cattive, per lui.

Prima che potesse farsi un’idea di cosa gli avrebbe detto, l’altro lo precedette: «Giusto perché tu lo sappia, stamattina abbiamo incontrato uno dei tuoi amici, sai?» Non vedendo alcuna reazione da parte di Youngjae, il quale continuava a fissarlo senza proferire parola, Sung lasciò che un ghigno scivolasse sulle sue labbra, prima di continuare a parlargli. «Gli abbiamo fatto solo un po’ male. Il tuo leader non ha nemmeno mosso un dito. Gran bel capo, che ti sei scelto.»

Youngjae dovette resistere alla forte tentazione di roteare gli occhi e di ridergli in faccia. Restò in silenzio con un’espressione neutra, senza distogliere lo sguardo dal suo nemico.

«Non mi guardare in quel modo,» disse quello, alzando le mani in segno di resa, «è vero che ti abbiamo detto che non avremmo fatto niente ai tuoi compagni. Ma – ops – credo che il Boss si sia dimenticato di ricordarlo. Però non ti preoccupare, non penso che sia morto. Almeno così mi hanno raccontato.»

Per la prima volta in quei giorni, Sung vide Youngjae lanciargli un sorriso beffardo. Strizzò gli occhi, fulminandolo con lo sguardo. «Cazzo hai da ridere?» gli ringhiò in tono basso. «Non credo che tu sia nella posizione per farlo.»

«Questo lo dovrei dire io,» replicò con estrema calma l’altro. «Credete che questo li spaventerà? Non conoscete bene Yongguk hyung. State certi che da ora dovrete fare molta più attenzione, se non desiderate che qualcuno di voi rimanga ucciso prima che il patto sia portato a termine. Non mi sembrate una banda tanto brillante.»

Sung digrignò i denti e schioccò la lingua, minaccioso. «Bada a come parli, bastardo. Posso ucciderti qui ed ora, e morirai di una morte agonizzante,» lo avvertì, mentre le mani tremavano, impazienti di colpire Youngjae ed insegnargli una lezione.

Questa volta, il ragazzo in questione non riuscì a non ghignare apertamente. «No, non puoi, sono un ostaggio troppo prezioso. Sai come fa quel detto?» Continuò a guardarlo per un secondo di troppo. «“Can che abbaia, non morde”. Ti descrive perfettamente.»

Poiché i suoi riflessi erano inibiti dalle torture precedenti, Youngjae non poté schivare il calcio sul bicipite. Ma quello non era niente, in confronto alle fitte che Sung gli procurò successivamente quando la punta dei suoi stivali fu tirato con forza nello stomaco e sul petto, innumerevoli volte. I grugniti di Youngjae riempirono la stanza per secondi interminabili, deciso a non dargliela vinta, fino a quando, infine, la suola della scarpa atterrò sulla sua tempia. A Youngjae sembrò quasi di essere diventato ormai immune al dolore, per tutti i colpi che aveva ricevuto nei giorni prima, mentre tentava di riprendere il fiato.

Dall’alto, Sung lo guardò con disprezzo. «Mi fai proprio incazzare, tu. Renditi conto che sei un uomo solo in mezzo ad un branco di lupi.» Youngjae sentì la pressione esercitata sul suo cranio aumentare notevolmente, ma serrò le labbra per non lasciar scappare alcun suono. «La prossima volta che apri quella fottuta bocca, pensaci bene.» E detto questo, Sung alzò la sua scarpa dal capo del biondo e tornò sui suoi passi, sbattendo la porta una volta uscito.

Quando Youngjae sentì la serratura scattare chiusa, rise mentalmente all’ingenuità mostrata da Sung. A differenza dei lupi, gli uomini possedevano una certa capacità: quella di usare il proprio intelletto per preparare le dovute precauzioni per gli imprevisti. Ed era certo che anche il resto dei B.A.P lo sapeva.

 

Un cartello su cui era stampato “10,000,000$” pendeva dal collo di un Youngjae sanguinante.

Il video era terminato, lasciando l’intero gruppo a processare le agghiaccianti immagini del loro amico essere brutalmente picchiato. Quanti giorni erano passati da quando quel video era stato filmato? Quante chiamate erano state fatte, quante volte si erano ritrovati in quell’officina senza la familiare presenza di Youngjae con loro?

Non era solo questo a turbare Jongup. Yongguk aveva ragione, e ora si sentiva in colpa per quello che gli aveva detto a proposito durante la telefonata di quella mattina. Non riusciva a capire come avesse potuto essere tanto sprovveduto da pensare che quei giorni di assenza non fossero tanto importanti. Avrebbe dovuto preoccuparsi. Avrebbe dovuto dargli ragione.

E ora aveva persino ridotto gli altri ad occuparsi di lui e della sua ferita. Jongup avrebbe voluto darsi un pugno in faccia per la poca attenzione che aveva prestato.

La sua occhiata atterrò sullo hyung seduto vicino a Junhong. Aveva sul viso un’espressione dura, pensosa, con le sopracciglia corrugate e le labbra strette in una sottile linea. Le sue mani non riuscivano a stare ferme e continuavano a torturarsi l’un l’altra, mentre il suo respiro era corto, arrabbiato. Jongup lo conosceva abbastanza per affermare che il loro capo stava già pensando ad una strategia per salvare Youngjae.

Dopo momenti di silenzio, Himchan fu il primo ad avere il coraggio di parlare, dopo l’orrore a cui avevano assistito. «Non fare quella faccia, Bbang,» gli disse serio, dando una leggera pacca sulla spalla del suo coetaneo, «leggiamo prima cosa c’è scritto in quella nota, e poi decidiamo cosa fare, hmh?»

Alle parole dell’amico, Yongguk sembrò corrucciare ancora di più lo sguardo. Non di meno, una volta chiusa la finestra del video, cliccò sull’altro file che si aprì all’istante.

Era un avvertimento di poche righe.

 

“Speriamo che vi piaccia lo spettacolo che vi abbiamo preparato. Se lo volete vivo, portateci dieci milioni di dollari in contanti. Vi chiameremo noi per il luogo e l’ora. Sappiate che se non avete i soldi entro quella data, lo uccideremo. E non provate nemmeno a far passi falsi, altrimenti, sapete come finirà.”

 

Se Yongguk riusciva a trattenere il suo stato d’animo per sé, diversa era la situazione per Daehyun, che era livido in volto. Sbatté violentemente un pugno sul tavolo, preso dall’ira. Si voltarono tutti verso di lui, ma la sua furia non sorprese nessuno: oltre il leader, era il membro con cui Youngjae aveva più legato in quel periodo di tempo nella quale avevano lavorato insieme.

Daehyun si inumidì le labbra e digrignò i denti. «Bastardi,» ringhiò in tono grave, ma forte abbastanza da essere sentito da tutti i membri, «li farò pagare cento volte tutto quello che gli hanno fatto.»

Detto questo, si alzò dalla poltrona di scatto e cominciò ad avviarsi verso l’entrata dell’officina, bloccata di nuovo dalle saracinesche, con l’intenzione di uscire e tener fede a ciò che aveva detto. Lo sguardo truce non lasciò nemmeno per un secondo il suo viso solitamente sereno, mentre continuava ad imprecare in bassi sussurri, con la voce tremante per la rabbia: «Spaccherò la faccia al verme che è venuto qui stamattina e ha provato a toccare Jongup. Gli romperò le ossa di tutte e due le braccia e lo prenderò a calci in culo. E poi andrò nella loro fottuta tana e li farò fuori tutti, uno a uno, nel modo più atroce che mi verrà in mente. Figli di puttana, non devono neanche minimamente pensare di poterla passare liscia dopo che hanno–»

«Calmati, Daehyun.» L’interessato sentì la voce di Himchan interrompere il suo monologo, e subito si girò per vedere Junhong afferrargli il polso destro, con un’espressione tra il sorpreso e l’incredulo. Poche volte lo aveva visto tanto aggressivo, nemmeno durante le loro normali operazioni una tale ira aveva mai dominato la sua solita espressione concentrata. Con uno strattone, Daehyun si liberò dalla presa di Junhong. Lanciò un’occhiataccia prima al più giovane, poi all’altro, che si stava avvicinando con uno sguardo di avvertimento.

«Hyung, non abbiamo neanche un piano,» gli ricordò il maknae, corrugando le sopracciglia, «anzi, non abbiamo nemmeno idea di chi siano e dove possa essere la loro base. Non penso che andare alla loro caccia a caso sia una buona idea. Ti farai uccidere!»

Lo sguardo di Daehyun si fece ancora più torvo. «Sai quanto me ne frega!» gli ringhiò. «In questo momento, possono benissimo star torturando Youngjae, e io non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo. Sono disposto a setacciare ogni angolo di questa città, per trovare e fare a pezzi quegli infami e la loro banda di seconda categoria.»

Junhong stava per ribattere, quando Himchan parlò per lui. Cercò di mantenere il tono più calmo che poté, nella speranza di portare un po’ di buonsenso nella testa di Daehyun. «Proprio per questo dovremmo stare attenti a ciò che facciamo. Come hai detto tu, possono torturare Youngjae in qualsiasi momento, persino ora che stiamo parlando. Ma non ha senso mandarci questa roba e poi ucciderlo prima che abbiamo consegnato a loro i soldi. Dovremmo star tutti calmi e–»

«E come pensi di farlo ritornare vivo e vegeto per quel giorno, eh? Sorseggiando una tazza di tè e discutendo amabilmente? Col cazzo, che mi lascio fregare così! Nelle maniche avranno mille trucchetti nascosti e saranno pronti a far fuori Youngjae in qualsiasi momento, anche quando avremo tutti i soldi che vogliono.»

«Ma questo non vuol dire che devi buttartici dentro senza alcuna precauzione! Non importa quante pistole ti porti o quante persone ucciderai, ti farai ammazzare se non ti prepari un piano d’azione perlomeno decente. Perché, secondo te, ogni volta dovremmo passare tanto tempo a progettare le nostre operazioni in ogni minimo dettaglio?»

«Himchan hyung ha ragione. Non puoi salvare Youngjae hyung se prima non salvi te stesso. Ora come ora, siamo noi quelli in svantaggio, e se facciamo un passo falso, è la fine.»

«Appunto, proprio perché siamo in svantaggio dobbiamo muoverci subito. Se vuoi vincere contro persone del genere, ti devi abbassare al loro livello, o non arriverai mai da nessuna parte, Junhong.»

Himchan grugnì irritato, certo che Daehyun non avrebbe dato ascolto né a lui, né al maknae. Mentre Junhong, rifiutandosi di lasciare all’altro l’ultima parola, continuò a il suo tentativo di persuadere Daehyun a non fare niente di avventato, il meccanico si girò verso il leader, che stava assistendo alla scena in silenzio, così come faceva Jongup. Li guardò come se volesse chiedere “Riuscite a crederci?”, mentre sollevava una mano in direzione di Daehyun. Jongup evitò il suo sguardo, in imbarazzo (non sapeva mai cosa dire in situazioni del genere, lui era più portato per l’azione, che per i discorsi); Yongguk, invece, colse il messaggio, e finalmente decise di prendere parte a quella discussione. Himchan gliene fu eternamente grato.

«Daehyun,» lo chiamò, interrompendo quel che Junhong stava dicendo. Entrambi si voltarono verso il loro leader. «Hai ragione quando dici che per vincere dobbiamo stare al loro livello,» cominciò a dire, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Himchan, «la penso in questo modo anch’io. Ma non per questo motivo dobbiamo essere meno cauti del solito. Dobbiamo arrivare preparati. Questa faccenda mi puzza, dubito che vogliano solo dei soldi. Se hanno degli uomini che sanno fare il loro lavoro, possono procurarseli benissimo da soli.»

Daehyun guardò il suo leader, senza dare segni di cedimento. Yongguk aspettò per qualche secondo, cercando una qualche reazione, ma quando vide che non ve ne sarebbe stata alcuna, riprese a parlare. «Sono quasi del tutto sicuro che vogliono ucciderci tutti comunque. Per questo voglio evitare di attaccarli nel loro nascondiglio: da quanto ho visto stamattina, dubito che possa essere solo un gruppetto di dieci persone ad aver preso Youngjae. Non è così ingenuo da farsi prendere tanto facilmente. E non vorrei vedere nessuno di voi essere ferito… o peggio.» A quell’ultimo commento, la sua voce si era abbassata di qualche tono. Tutti quanti stavano trattenendo il fiato a quella spaventosa realtà. Ne avevano già le tasche piene.

«Quindi, aspettiamo che ci dicano cosa fare. Quando li incontreremo, sicuramente eviteranno di portare l’intera banda appresso. Dubito siano tanto stupidi. Per ora, lascia che credano di averci in pugno, e che Youngjae se la cavi da solo per questi giorni, dato che non penso lo uccideranno prima che diamo i soldi che vogliono. Ti prometto che ne usciremo tutti vivi.»

Alle parole di Yongguk, Daehyun esitò qualche momento, mordendosi il labbro inferiore, e sospirò in segno di sconfitta. Ognuno degli altri membri tirò un sospiro di sollievo. Lo guardarono lasciarsi cadere pesantemente per terra, poggiando le braccia sulle ginocchia e strofinandosi il viso con le mani. Il suo gemito frustrato fu smorzato dai palmi.

«D’accordo, avete vinto,» borbottò poco dopo. «Cosa si fa?»

A quel punto, Yongguk si alzò dal divano, seguito da Jongup. L’espressione prima pensosa era ora scomparsa. «Tu e Himchan provate a vedere se riuscite a scoprire con chi abbiamo a che fare. Trovate più informazioni che potete su di loro: chi è il loro capo, le loro attività, i rapporti con altri gruppi e simili. Solitamente, siete bravi, in cose del genere.» Daehyun si era rialzato in piedi aiutato da Himchan, ed entrambi fecero un cenno di assenso, seppure il primo tentennasse ancora un po’. Yongguk si voltò verso Jongup. «Anche tu Jongup, se ti va, altrimenti pensa a riposarti. Ad ogni modo, state all’erta tutti e tre. Non sappiamo cosa abbiano intenzione di fare ancora.»

Dopodiché, spostò gli occhi sul maknae. «Io e Junhong facciamo un salto in farmacia per trovare qualcosa per Jongup. Lasciatelo dire, Himchan: la tua cassetta per il primo soccorso fa davvero schifo.» A quelle parole, l’interpellato roteò gli occhi, e preferì affrettare il suo compagno di ricerca a cominciare a svolgere il loro compito.

Yongguk si rivolse di nuovo a Jongup. «Tutto bene con la ferita?» gli chiese con una punta di preoccupazione nel tono. Il più giovane si toccò la fasciatura, annuendo. «Vorrei semplicemente averti dato ascolto, questa mattina, quando mi hai chiesto di Youngjae hyung,» ammise, un po’ nervoso. «E poi mi sono fatto anche colpire da quel tizio. Avrei dovuto far più attenzione. Dovremmo tutti pensare a salvare Youngjae hyung, e invece sto causando ancora più problemi. Mi dispiace.»

Jongup era all’oscuro di quello che stava passando nella mente di Yongguk. «Volevo… volevo solo dirti questo, tutto qui,» concluse grattandosi la nuca, incerto su cosa gli avrebbe detto il leader. Tuttavia, non fu esattamente sorpreso di vederlo sollevare un lato della bocca e lanciargli un mezzo sorriso. Forse aveva pensato di nascosto che, conoscendo il carattere di Yongguk, probabilmente avrebbe reagito in questo modo.

«Non importa,» replicò effettivamente l’altro, «non scusarti. Ci conosciamo da anni, Jongup, siamo come una famiglia. In una famiglia non ci sono colpe, per questioni del genere. Piuttosto, pensi di riuscire ad unirti a noi in questa operazione?»

«Non credo di poter star fermo in queste circostanze, hyung,» rispose lui, annuendo alla vista di Junhong che, furtivamente, gli lanciò un ghigno. La tensione di prima, in qualche modo, si allentò un poco. «Lo sai meglio di me.»

Yongguk fece un cenno, mentre il sorriso si fece più largo. Diede una pacca sulla spalla di Jongup. «Fantastico, perché non credo che potremmo cavarcela senza il nostro miglior giocatore. Andiamo a riprenderci nostro fratello.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N/A: è da tantissimo che non pubblico fanfictions, ed è anche la prima volta che ne pubblico una su persone veramente esistenti. AIUTO.

Ho visto pochissime (leggasi: letteralmente due, di cui non trovo più una sobs to the eternity) storie sull’MV di One Shot che erano solamente e completamente e genuinamente OT6, ma erano davvero corte sob why nessuno scrive su OT6 aaahh. Ergo, ho deciso di scriverne una io. AIUTO DI NUOVO.

Giuro che è una delle migliori storie che ho scritto fino ad ora. Ed è anche quella la quale ho fatto più ricerche; credetemi quando vi dico che ci sto lavorando sin da inizio giugno. Ed è anche piena di riferimenti ai B.A.P! (il titolo stesso è uno di questi ohohohoho.) È solo che ho un sacco di feels per questi sei dorks aaaghhhh. One Shot ha il miglior MV di tutto il pianeta. Spero che il loro prossimo comeback sarà altrettanto epico sigh CAN U FEEL ME

Aggiornerò presto! Si spera che il mio punto di vista sull’MV vi sia gradito.

Rainie

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Capitolo 2
*** pt.2: lachesism ***


[ part 2: lachesism ]

playlist: i remember – bang yongguk ft. yang yoseob; the monster – eminem ft. rihanna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando i B.A.P erano in azione, era conosciuto a tutti come Zelo; prima di essere Zelo, il suo nome era Choi Junhong, e aveva diciotto anni.

Se si avesse chiesto a Junhong cosa ne pensasse di Zelo, avrebbe risposto che, francamente, non lo sapeva.

Essere “Zelo” era diventato, con gli anni, un’abitudine sin da quando aveva memoria. Del Choi Junhong di prima di essere stato preso sotto l’ala protettiva dei B.A.P rimaneva poco o niente, e gli unici ricordi che preservava lucidamente (e serenamente) erano quelli collezionati assieme ai suoi hyung.

In parte, Junhong stesso aveva accettato di esserlo, di passare ore su ore ad abituarsi al peso delle sue pistole e al rinculo dei suoi spari, e di chiudersi nel loro nascondiglio ad affinare le sue tecniche e tenere il suo corpo ben allenato. Sapeva bene che avrebbe dovuto semplicemente stringere i denti e continuare in questo modo, senza sosta, perché non ci sarebbe stato altro modo per sopravvivere.

E sapeva anche che questo era un principio che aveva accettato Yongguk, così come Himchan, Daehyun, Youngjae, e Jongup. Erano stati destinati ad un mondo che correva troppo velocemente e cadeva troppo crudelmente ai loro piedi. E, probabilmente, erano ancora in attesa di qualche miracolo che li tirasse fuori da quel buco.

Forse, da questo punto di vista, i B.A.P ispiravano solamente pietà. Era questa l’immagine che Junhong aveva scelto, quando imparò ad essere Zelo.

 

Il loro obiettivo camminava a venti metri di distanza dall’edificio su cui Youngjae si trovava. La pioggia di una decina di minuti prima aveva battuto, ininterrotta, sul cemento del terrazzo e sui suoi indumenti, e lui non era esattamente un grande amante dei vestiti fradici.

L’auricolare nel suo orecchio, una gentile concessione da parte di una certa conoscenza – ovviamente, non senza niente in cambio – trasmetteva con chiarezza la conversazione fra l’uomo che stavano tenendo d’occhio e Daehyun. Questi stava blaterando su chissà cosa, con tono da gran imprenditore, e Youngjae ancora non riusciva a credere quanto Daehyun potesse essere convincente (Youngjae ricordava che una volta Jongup, obbligato da Himchan, aveva tentato di fargli offrire un pranzo al resto dei membri, ma a causa della parlantina di Daehyun, finì a pagare lui stesso il pasto. Himchan se la rise di gran gusto e Jongup riuscì ad ottenere una piccola vendetta qualche giorno dopo, ma questa è un’altra storia).

Youngjae distolse lo sguardo dalla coppia per un momento. Ad un’altra cinquantina di metri da lui, sebbene piovigginasse lievemente ancora, riusciva a vedere la figura di Jongup in posizione su un palazzo poco più basso del suo. Il crepuscolo in lontananza, nascosta da nubi dorate, colorava il suo profilo e i suoi dintorni di arancio, e anche da lontano Youngjae riusciva ad immaginarsi la sua espressione concentrata mentre guardava nel mirino del suo fucile.

Spostando gli occhi verso terra, poteva distinguere il viso di Zelo mentre attendeva gli ordini, immobile, con la schiena premuta contro la parete. Himchan si trovava più vicino al porto, nascosto dietro ad una portata di travi di ferro, in ginocchio. Dalla sua posizione, Youngjae non riusciva a scorgere Yongguk, ma sapeva che si trovava da qualche parte pericolosamente vicino al mega yacht, che era la destinazione del loro uomo e del suo seguito: due uomini in giacca e cravatta perfettamente stirati ed una decina di guardie della sicurezza. Decidendo che non poteva permettersi di dilungare ancora quella minuscola distrazione, ritornò al proprio ruolo.

Era un’operazione relativamente semplice. Il loro cliente si era presentato un paio di settimane prima all’officina, chiedendo loro di “occuparsi di una certa persona, e se avessero fatto un buon lavoro, li avrebbe aspettati una gran bella ricompensa”. Non aveva menzionato il fatto che quella persona, essendo un pezzo grosso, non poteva girare senza una scorta, ma poco importava: di certo, un paio di guardie del corpo non sarebbe stato un gran problema.

Mentre Daehyun era coinvolto attivamente per tutta l’operazione, Himchan, Zelo e Yongguk sarebbero entrati in scena solo successivamente con le loro armi pronte, al segnale di Youngjae. Quest’ultimo, insieme a Jongup, avevano il ruolo di tiratori, che avrebbero sparato in silenzio da lunghe distanze.

Il discorso di Daehyun venne interrotto quando Jongup parlò nell’auricolare che tutti i membri (ad eccezione di Daehyun stesso) portavano. «L’obiettivo si sta avvicinando,» informò i compagni, «il tempo stimato per il suo arrivo a destinazione è tra quaranta secondi ed un minuto. Il numero delle presenze effettive è di quattordici, tra cui l’obiettivo, dieci addetti alla sicurezza, due esterni e Daehyun hyung.» Youngjae confermò il rapporto.

«Qual è la loro posizione?» suonò la voce rauca di Yongguk.

«Circa ottanta metri a ore due da Himchan hyung; novanta metri a ore cinque da Zelo,» rispose Youngjae. Jongup aggiunse, «Circa settanta metri a ore cinque da Yongguk hyung. Ti consiglio di spostarti vicino a quella fila di casse di fronte, dove c’è il camion per il trasporto delle merci».

Qualche secondo dopo, la figura di Yongguk apparve nel campo visivo di Youngjae, e percorse poco meno di una decina di metri a passi svelti, fino a sparire nuovamente dietro al luogo che gli era stato indicato. Una volta posizionatosi, Yongguk parlò di nuovo nei loro auricolari: «Mantenetevi tutti pronti. Jongup e Youngjae?»

«In posizione,» risposero entrambi.

«Bene. Mi fido dei vostri colpi; fate in modo di non farvi scoprire e non abbassate mai la guardia. Noialtri cercheremo di non farci uccidere – a quelle parole, si sentì la bassa risata di Himchan – mentre voi ci coprirete le spalle. Okay?»

Youngjae sentì un minuscolo sorriso farsi strada sulle sue labbra. Uno ad uno, tutti i membri risposero con un «Roger» all’ultimo avvertimento del loro leader, e immediatamente il silenzio ritornò ad avvolgere ognuno dei B.A.P. La conversazione fra il loro uomo e Daehyun fu interrotta, dal momento che non era più importante ai fini dell’operazione.

Fedele alle predizioni di Jongup, il gruppo su cui tutti avevano puntato la loro attenzione si presentò nel porto pochi secondi dopo. Da lontano, la loro discussione assomigliava fortunatamente solo ad un sussurro trasportato dal vento, cosicché Youngjae poté concentrarsi esclusivamente sul suo compito. Puntò il mirino sulla guardia più in prossimità al loro obiettivo, come gli era stato istruito in precedenza, ed attese qualche attimo in silenzio.

Quando Daehyun porse la mano al suo interlocutore per salutarlo con una amichevole stretta, Youngjae premette il grilletto.

 

«Ho buone e cattive notizie,» annunciò Himchan quando, un paio di giorni dopo, Yongguk gli chiese come stessero andando le ricerche.

Il leader, tornato in officina dopo essere stato fuori a svolgere un paio di commissioni (Junhong e Daehyun continuavano a lamentarsi per il fatto che nel frigorifero di Himchan non c’era l’ombra di una bibita fresca), lo aveva trovato al telefono, mentre il resto dei membri era seduto ad ascoltare silenziosamente. Aveva domandato loro con chi stesse parlando, e Daehyun rispose che, qualche giorno fa, Himchan aveva chiesto a qualcuno di recuperargli un paio di informazioni, e che ora ne stava discutendo con lui.

«Era JB,» disse Himchan, mentre ritornava a lavorare su un’auto che gli avevano portato in officina il giorno precedente. «Visto che conosceva Youngjae, gli ho chiesto se lo avesse visto nell’ultima settimana, ma mi ha risposto di no.»

Yongguk assottigliò gli occhi. «Gli hai detto che è stato rapito?» chiese, alzando un sopracciglio. Himchan scosse la testa.

«Nah, gli ho raccontato che è andato a farsi una bella vacanza alle Bahamas e non ci ha nemmeno detto quando sarebbe ritornato in città, e che pensavo che lui avesse potuto saperlo. Giusto per vedere se avesse idea con chi stiamo avendo a che fare.

«Comunque, qualche giorno fa gli avevo detto di chiamarmi quando avrebbe potuto, e quindi oggi l’ha fatto. Volevo chiedergli come stessero andando di recente i loro affari e se ci fosse qualcuno particolarmente interessato a noi.»

Una volta che ebbe ripulito il suo interno, richiuse il cofano e salì sul posto del guidatore della macchina. «Gli ho detto che ci interessava sapere se ci fosse qualche gruppo a cui dobbiamo fare attenzione o che ci stava rubando lavori, cose del genere, per farci un’idea.»

Quando girò la chiave e l’auto emise un basso rombo, segno che era tutto andato alla perfezione e che ora era nuovamente funzionale, Himchan sorrise soddisfatto. Spense il motore e scese dalla macchina, facendoci poi un giro intorno per vedere se ci fosse qualcosa fuori posto sulla carrozzeria.

Junhong si fece impaziente. «Quindi, cosa hai scoperto?»

Himchan fece una smorfia, quando si appoggiò sulla portiera del passeggero in una posa che, secondo lui, lo avrebbe fatto apparire attraente. «Mi ci è voluto un po’ per fargli sputare il rospo, ma comunque niente di troppo preciso. Ha menzionato un paio di gruppi, come le SNSD, i Beast, e altri, ma non capisco perché loro due potrebbero avere problemi con noi. Ad ogni modo, ho buttato giù la lista; non si sa mai.»

Detto questo, allungò la mano nella tasca della sua uniforme scura e ne tirò fuori un pezzo di carta, che Daehyun prese e aprì, con gli altri tre membri che sbirciavano dal suo fianco. Himchan continuò: «JB non mi ha detto in dettaglio che affari hanno fatto con loro, quindi non saprei dire quali siano i loro piani in questi giorni. Dovremmo cavarcela da soli, questa volta.»

Yongguk contemplò per qualche secondo i nomi sul foglio, poi guardò Daehyun e Himchan. «E l’altra volta, voi due avete scoperto qualcosa?»

Daehyun schioccò la lingua. «Non molto. Non c’era tanto su cui lavorare, con solo una chiavetta. Abbiamo rivisto il video – nel raccontarlo, fece una faccia disgustata – e della stanza non c’era alcunché da dire. Sembra che sia un seminterrato, ma non sappiamo se appartenga ad un edificio in funzione oppure ad uno abbandonato, e qui ce ne sono fin troppi, figuriamoci fuori città. Non siamo riusciti nemmeno a riconoscere quelli che hanno picchiato Youngjae.»

«Abbiamo cercato di fare una rassegna delle gang che conoscevamo,» continuò Himchan, guardando prima tutti i membri, poi Yongguk. «Quando erano venuti qui in officina, avevi detto che erano in circa quattro, giusto? Quindi, dobbiamo aspettarci una gruppo abbastanza largo, salvo il caso in cui abbiano pagato delle bande mercenarie per fare questo lavoretto.»

«Quindi dovremmo semplicemente escludere quelli che lavorano da soli?» chiese Junhong, strizzando gli occhi pensoso.

Daehyun fece un cenno. «Solo per ora. Magari hanno deciso di non sporcarsi le mani per questa piccola sorpresa,» rispose a denti stretti. «E, comunque, potremmo sempre sbagliarci. Magari non li abbiamo mai incontrati, né abbiamo sentito parlare di loro.»

Quindi, contemplarono i nomi dei cinque gruppi che JB aveva riferito a loro. Sapevano che le SNSD preferivano non avere contatti con altre gang, se non con organizzatori di mercati neri quali i GOT7, diventato di recente uno più popolari della cerchia, e di cui JB, infatti, era il leader. Conoscevano inoltre i volti di tutti i membri degli MBLAQ, che di solito lavoravano anch’essi in solitario, e non corrispondevano a nessuno di quelli dei loro ricattatori. Scartarono momentaneamente i due.

I rimanenti erano i Beast, i By-S, e i COB.ra. Oltre a questi, Himchan e Daehyun ne suggerirono degli altri che avrebbero potuto essere considerati. Alcuni erano piuttosto conosciuti; altri, dei nomi che avevano sentito solamente negli ultimi tempi. I due raccontarono ai compagni come erano arrivati a sospettare di loro, passando da una concorrenza recente ad un affare andato male più antico. Dissero che avrebbero voluto scoprire di più sui suddetti gruppi tramite le intelligence clandestine, ma le informazioni costavano, e loro non potevano permettersi di pagare troppo per qualcosa di cui non erano del tutto sicuri, senza contare il fatto che quelli erano solo una piccola parte di una larga cerchia di criminalità organizzata. Così ne avevano cavato veramente poco.

Il pomeriggio passò in un tentativo di riorganizzare le idee. Si decise che, per poter racimolare il denaro di cui avevano bisogno, avrebbero dovuto sottrarli ad un ricco imprenditore o, più semplicemente, ad una banca. Non era il loro solito stile, ma quello era il metodo più rapido a cui riuscirono a pensare.

Quando scese la sera, erano tutti ormai troppo stanchi per continuare a discutere ancora. Jongup si offrì di telefonare per ordinare della pizza per cena, e gli altri quattro gliene furono grati. Tra una fetta e l’altra, Junhong suggerì che sarebbe stato meglio se per il momento non facessero niente, poiché avrebbero sprecato solo energie. Forse sarebbero riusciti a trovare un’altra soluzione più accessibile (per quanto il tempo e il loro modo di agire potessero permetterlo). Il suo commento fu accolto con cenni di assenso.

Yongguk osservò i visi dei suoi membri, uno più stanco dell’altro.

Nel pomeriggio aveva visto la frustrazione di Himchan crescere ad ogni parola. Lo aveva capito da come aveva strizzato gli occhi più del solito, dal modo in cui aveva stretto le labbra ed afferrato i bordi del tavolo fino ad avere le nocche pallide. Sapeva che Himchan non riusciva a sopportarlo. Ricordava che un giorno gli aveva confidato che quasi gli sembrava di non avere alcun ruolo nel gruppo, che avrebbe voluto fare di più, eppure aveva sempre la sensazione di non essere abbastanza. Yongguk gli aveva ripetuto che senza di lui, i B.A.P non sarebbero stati tali, voleva che lo capisse, ma era sicuro che Himchan non si era mai scrollato di dosso quel pensiero.

Guardò poi Daehyun. Il ragazzo possedeva un’aura carismatica, e inoltre la pubertà gli aveva dato un aspetto particolarmente affascinante: non aveva esattamente la faccia di uno disposto a scendere così in basso da far parte di una banda di strada. Pensò a come facilmente, nonostante ciò, si era inserito nel commercio clandestino, a quella volta in cui gli avevano sparato alla spalla, alle volte in cui fu stato lui a premere il grilletto contro un’altra persona, e “hyung, c’è questo tizio che ti sta cercando”, “hyung, non ti preoccupare, non fa più tanto male”, “hyung, mi sarebbe piaciuto fare il cantante”. Rispetto alla prima volta che lo aveva incontrato, ora sembrava essere invecchiato di cinquant’anni.

Infine, posò lo sguardo su Jongup e Junhong. Il cuore gli si strinse ancora di più nel petto, perché loro erano troppo giovani; Junhong stava ancora crescendo in altezza, e l’espressione serena che Jongup portava il più delle volte gli ricordava che il resto del mondo non era tanto crudele, e che potrebbe aspettare entrambi, se solo decidessero di guardarlo da un altro punto di vista. Diciotto e diciannove anni erano veramente pochi, tanto da fargli venire la pelle d’oca al solo pensiero. Yongguk ci era passato, lo sapeva, e non avrebbe davvero voluto che altri si sentissero tanto miserabili quanto si era sentito lui.

Avrebbe voluto portare tutti via da quella malsana vita – Himchan avrebbe smesso di preoccuparsi di non essere all’altezza, Daehyun avrebbe potuto inseguire il suo sogno, e Jongup e Junhong avrebbero avuto più scelte nella vita. Forse ne avrebbe parlato con loro, una volta che si sarebbero ripresi Youngjae. Forse avrebbero persino accettato quella sua proposta.

Yongguk sperò, in cuor suo, che accadesse.

 

Una telefonata arrivò qualche giorno dopo. Himchan si tolse i guanti da lavoro, pulendosi il sudore dalle mani con uno straccio, e andò a rispondere.

«Officina Kim, buongiorno. Posso aiutarla in qualcosa?» chiese in tono professionale.

«Hai controllato la posta? Ti consiglio di farlo ora,» gli risposero con poco calore.

Himchan si sentì come se fosse entrato in una doccia fredda, tuttavia non perse la sua compostezza. Sapeva chi era il suo interlocutore, e a cosa si stava riferendo.

Assottigliò gli occhi senza perdere il suo contegno (pensò che, se fosse stato Daehyun a rispondere, lui avrebbe sicuramente cominciato a sbraitare contro il telefono). «E potrei avere il piacere di sapere con chi sto parlando?» provò a chiedere sarcasticamente, ma dall’altra parte provenì semplicemente il suono di una cornetta che veniva appesa e della linea che si liberava. Himchan alzò un sopracciglio, perplesso, e controllò il registro delle chiamate recenti del telefono. Purtroppo per lui, chi aveva chiamato non era stato tanto sprovveduto da farlo con il suo numero in bella vista. Probabilmente, la chiamata era stata fatta da un telefono pubblico.

Senza perdere altro tempo, Himchan attraversò l’officina a grandi passi ed uscì nell’aria piovosa di quel giorno. Aprì l’umida cassetta della posta appesa al muro, mentre Junhong e Jongup, che fino a quel momento erano stati chiusi nel seminterrato ad allenarsi, entrarono attraverso la porta che portava al suo posto di lavoro.

«Che succede?» chiese Junhong, vedendo Himchan con in mano una custodia di plastica trasparente. Il più anziano guardò gli altri due con un’espressione di chi ha vinto il jackpot, ma che è rimasto inorridito dal premio. Voltò il lato anteriore della custodia dalla loro parte, mostrando loro un CD contenuto all’interno. Ci vollero solo pochi secondi perché i visi dei due impallidiscano, realizzando cosa li aspettava.

«Chiamate Yongguk e Daehyun,» istruì. «Sembra che si siano finalmente decisi di farsi sentire.»

 

I membri si riunirono una decina di minuti più tardi, quando Himchan chiuse la saracinesca della sua officina per evitare che qualche cliente entrasse in un momento inappropriato.

Il portatile era stato di nuovo posto sul tavolo nell’atrio, con il disco già inserito dentro. Anche questa volta si trattava di un video, e i cinque trattennero il loro fiato automaticamente, con lo sguardo incollato allo schermo, mentre Daehyun schiacciava il tasto ‘play’.

Mentre nel video precedente la stanza era di piccole dimensioni, ora si trovavano in un locale più ampio, forse un sotterraneo, senza porte né finestre in vista, illuminato solamente dalle varie lampade che pendevano dal soffitto.

Un Youngjae cosparso di sangue pareva esserne nuovamente il protagonista. Era sdraiato per terra su un fianco, con il volto rivolto verso l’inquadratura e le mani legate dietro la schiena. Non era incosciente, e neppure sembrava essere nelle condizioni di riuscire a muoversi con disinvoltura.

A differenza del primo video, era accompagnato da persone differenti. Questa volta vi era un uomo con gli occhiali da sole di corporatura robusta che sembrava essere sui trent’anni, in piedi dietro di lui, e i B.A.P lo riconobbero come il leader. Altri tre dei suoi scagnozzi erano al suo fianco.

Quello che seguì fu quasi una ripetizione di quello che successe nel primo video. Youngjae venne fatto stendere supino con un calcio alla spalla, fu preso per la collottola e scaraventato lontano dall’inquadratura, con un tonfo agghiacciante. A quell’azione, il ragazzo rispose con un mugolio straziato.

Uno dei tre tirapiedi andò a recuperarlo, trascinandolo di nuovo più vicino al gruppo, e lo fece inginocchiare sul duro cemento. Il suo corpo sarebbe caduto pesantemente in avanti, se non fosse stato tirato indietro, costringendolo a stare dritto con la testa abbassata. Lo fecero rimanere in quella posizione per qualche momento. Si riusciva a sentirlo ansimare con chiarezza nel tentativo di riprendere il fiato, tossendo un paio di volte. Poi ripresero ad assestargli colpi su ogni parte del corpo.

Per tutto quel tempo che seguì, Youngjae continuò a grugnire per le fitte di dolore, facendosi scappare, di tanto in tanto, bassi gemiti strozzati. Fu quello il suono che riempì l’officina, balzando contro le pareti ed echeggiando nelle orecchie dei B.A.P, i quali riuscivano solo a guardare con le labbra serrate, impotenti.

La goccia che fece traboccare il vaso fu quando il leader, che fino a quel momento era solo restato ad osservare, si avvicinò ad un Youngjae crollato per terra, si inginocchiò a fianco a lui e lo tirò su per un braccio. Gli puntò alla tempia una pistola tirata fuori pochi secondi prima. A quel gesto, panico attraversò la mente dei cinque.

Daehyun si alzò di scatto dalla poltrona con gli occhi sgranati, così come fece Jongup al suo fianco, pronto ad intervenire, sebbene fosse chiaramente impossibile. Junhong aveva ancora lo sguardo incollato al video con il labbro inferiore che tremava, e Himchan strinse i pugni così forte da sentirsi le unghie affondare dolorosamente nei palmi. Yongguk aveva il respiro smorzato, incapace di reagire, sapendo che sarebbe stato inutile farlo in quel momento. Digrignò i denti e non staccò gli occhi dallo schermo, avendo paura che, se si fosse perso qualcosa, non si sarebbe potuto dare pace.

Quei pochi secondi agonizzanti passarono senza che il grilletto fosse premuto. Il leader ghignò alla telecamera, abbassando la pistola e lasciando andare il braccio di Youngjae, che si accasciò per terra come se fosse privo di vita. Il suo torace si alzava ed abbassava in corti respiri, e la tensione che si era formata poco prima tra i B.A.P si allentò a quella vista, sebbene con fatica.

L’uomo si degnò finalmente di parlare. «Salve, B.A.P,» salutò con leggerezza, alzandosi in piedi. «Avete visto? Ci siamo impegnati veramente tanto per prepararvi tutto questo, dovreste esserci grati.

«Quindi, ci aspettiamo che ci paghiate con tutti quei bei soldini che vi abbiamo chiesto; altrimenti, lui crepa.» Mise un piede sul petto di Youngjae per dar enfasi alla sua richiesta.

«Fra dieci giorni fate in modo di procurarvi il denaro. Fatevi trovare alla stazione vicino al porto, il 28 maggio alle 11 di sera precise. Se non ci sarete, considerate saltato il nostro accordo, e state sicuri che la prossima volta che lo vedrete, il vostro amichetto avrà una pallottola piantata nel cervello.»

Detto ciò, pestò con ancora più forza il corpo di Youngjae, che emise un sibilo soffocato. Un brivido attraversò la schiena di Yongguk. «Mi raccomando, ci conto, eh! Fate un buon lavoro,» concluse l’uomo, lanciando alla telecamera un sorriso.

Il video terminò.

Come la prima volta, i B.A.P restarono alcuni secondi in silenzio, tentando cogliere tutto quello a cui avevano appena assistito. Erano più sollevati nel sapere che il loro amico era ancora vivo, ma non era esattamente rincuorante essere ricordati che era ancora alla mercé dell’altra banda.

«Figli di puttana,» sibilò finalmente Daehyun a denti stretti. Il resto dei membri non commentò, essendo tutti d’accordo con lui. «Ci vuole un bel fegato a mandarci questa roba. Oh, non sanno davvero con chi hanno a che fare.»

«Hey, almeno questa volta niente maschere nel video,» osservò puntualmente Junhong, evitando che Daehyun ripetesse la scenata di pochi giorni prima. «Potremo scoprire chi sono questi tipi.»

«Esatto,» annuì Yongguk, alzandosi dal divano per guardare tutti gli altri membri negli occhi. Aveva deciso che non era tempo di stare con le mani in mano, e prima agivano, migliori potevano essere i risultati. «Dobbiamo sfruttare questa occasione. Abbiamo dieci giorni, e dobbiamo mettere a punto un piano d’azione velocemente.»

I suoi compagni si sorpresero nel sentirlo parlare, dal momento che era restato in silenzio fino a quel momento, mostrando poche o persino nessuna reazione durante il video. Tuttavia, furono anche più rassicurati nel sapere che il loro leader aveva deciso di agire subito.

Himchan ghignò alle parole dell’amico, e gli diede una pacca sulla spalla. «Mi piaci quando parli in questo modo,» gli disse. Yongguk gli lanciò un mezzo sorriso, sentendosi lievemente orgoglioso. «Allora, cosa si fa con i soldi?» chiese ancora Himchan.

«Avevamo detto che avremmo rapinato una banca, o sbaglio?» ricordò Jongup.

Al suo fianco, Junhong alzò le sopracciglia, sorpreso. «Sul serio lo faremo? Non ci è mai capitato di farlo. Oh, mi sto emozionando,» commentò divertito, strofinando l’un l’altro i palmi delle mani. Solitamente, era lui quello che non vedeva l’ora di entrare in azione.

Il leader si voltò verso il maknae, che ghignava impaziente al pensiero. «Non esattamente, salterebbe troppo all’occhio. Faremmo meglio a prendere di mira uno di quei camion che trasportano denaro da una parte della città all’altra. Saremo più efficienti senza tante persone intorno, e in questo modo difficilmente ci scopriranno.»

«Beh, se lo dice il leader,» commentò Himchan, senza togliersi quello sguardo malizioso di dosso. «Che il camion sia.»

«Hey, hey, non dimenticatevi dell’altra banda,» disse Daehyun, «vi state divertendo troppo.»

Yongguk riconobbe che aveva ragione. «Giusto. Dovremmo chiedere ai NU’EST di procurarci un po’ di informazioni su di loro. Solitamente Minhyun ci fa un buon prezzo.»

«Lo fa solo perché ci sei tu con noi, in realtà,» puntualizzò Daehyun con un sogghigno. «Se gli diventi più amico, scommetto che ci passerà tutto gratis. Non dovremo nemmeno più preoccuparci di contattare altri gruppi.» Questo fece scappare una bassa risata al leader, che scosse la testa, metà divertito e metà in disaccordo. Sentì che anche Himchan e Junhong erano favorevoli all’idea di Daehyun, coinvolgendo eventualmente anche Jongup. In pochi secondi, i quattro membri erano già intenzionati a convincere il loro leader a farsi amico Minhyun.

Yongguk lanciò loro un mezzo sorriso, sapendo di non avere altra scelta che seguirli. «Un’altra volta,» promise, ritornando poi ad un tono serio. «Ora pensiamo a scoprire di più su quelli che hanno Youngjae.»

«Chiamo io i NU’EST,» disse Daehyun. «Voi fareste meglio a cercare se in questi giorni c’è uno di quei veicoli che trasportano denaro.»

Himchan gli sorrise sfacciatamente. «No problem. Di quello me ne sarei occupato io, anche se non ce lo avessi detto.» Daehyun chiuse gli occhi e alzò le mani, in segno di resa.

«Allora, io contatto gli EXO,» si offrì Jongup. «Ci serviranno pistole e munizioni. Ho controllato prima nel deposito, e ho visto che stanno finendo. E non credo che quelli se ne staranno lì senza avere alcuna arma addosso.»

«Aspetta,» lo richiamò Yongguk. «Non penso che in questo momento abbiamo abbastanza denaro per tutta quella roba, senza contare che dovremo pagare anche le informazioni di Daehyun.»

Jongup sbatté le palpebre un paio di volte, chiedendosi come abbia fatto a dimenticarsi quel dettaglio. Avevano speso la maggior parte di quello che avevano nel loro ultimo progetto. «Quindi…»

«Cerca di convincerli a prendere solo un anticipo,» gli consigliò Daehyun, anche lui sul punto di avviarsi per fare la sua telefonata. «Non dicevi che c’era quel tuo amico, tra gli EXO? Chiedi a lui, se riesci. Altrimenti, dovremo aspettare dopo che avremo i soldi.»

«No, non credo che possiamo permettercelo. Solitamente, ci vuole del tempo prima riescano a recuperarci le armi e tutto il resto se hanno finito i loro rifornimenti, ricordi?» rispose il più giovane. L’espressione di Daehyun si accigliò ancora di più.

«Riuscirò a convincerlo di venderceli con un anticipo,» li rassicurò Jongup, con un mezzo sorriso, «non vi preoccupate. Poi, stiamo trattando con loro sin da quando siamo in giro. Conosco i loro metodi.» Detto questo, sparì nella stanza in cui Himchan teneva dei pezzi di ricambio per i suoi veicoli.

Daehyun si chiese se sarebbe andata bene, dal momento che avevano poco tempo e fondi. Sperò che quell’amico di Jongup lasciasse loro una piccola concessione, per una volta. Poi si ricordò del suo compito. «Un attimo. Fatemi fare una foto ai tizi nel video, così mi metto d’accordo con Minhyun,» disse. Una volta che Daehyun fece ciò, Himchan propose di salire al secondo piano per iniziare la ricerca.

«Ah, mi sento un po’ solo senza Youngjae qui a dirmi cosa fare e cosa cercare,» commentò casualmente quando si sedette assieme a Yongguk e Junhong sul divano di pelle rossa, posto vicino al tavolo dove avevano sempre preparato tutte le loro operazioni. «Mi sono troppo abituato a quel ragazzino. Ma è un genio. È davvero il cervello, tra noi sei.»

Senza indugiare ancora, Himchan cominciò a battere le dita sulla tastiera e a raccontare di aver sentito dire che la Banca Centrale, ultimamente, stava trasferendo grandi quantità di capitali da una parte di città all’altra, commentando su come fossero stati fortunati ad aver ricevuto quel video in quei giorni. Sarebbero probabilmente riusciti ad ottenere i soldi necessari non solo per liberare Youngjae, ma anche per pagare le informazioni e le armi.

In poco più di una ventina di minuti, era riuscito a scoprire qual era la compagnia che si occupava dei trasferimenti. Per poter entrare nel database suo e della banca avrebbe impiegato molto di più, disse, ma era fattibile in circa una decina di ore.

Non era la prima volta che lo vedeva lavorare in quel modo, ma Junhong si sorprendeva ogniqualvolta gli capitava di vedere Himchan al computer. «Hyung,» lo chiamò, quando sentì i risultati della sua ricerca, «altro che Youngjae hyung. Sei tu il genio, qui dentro.»

Himchan ghignò alle parole del maknae. «Solo quando si tratta di macchine e di recuperare informazioni di questo genere.»

Yongguk non riuscì a non sorridere ai due. «Ti sei già dimenticato che abbiamo tirato avanti tutti questi anni anche senza Youngjae proprio grazie a te?» gli disse, dandogli una scherzosa pacca sulla spalla.

Himchan assottigliò gli occhi e storse il naso. «Ew, smettila di dire cose tanto sdolcinate e strappalacrime, c’è gente che sta lavorando seriamente, qui!» esclamò disgustato, ritornando al suo portatile e perdendosi la vista di Yongguk roteare gli occhi.

Il leader restò a guardare Junhong osservare Himchan che batteva al computer quasi senza sosta. Dal piano inferiore, sentiva Daehyun telefonare ai NU’EST, mentre Jongup faceva lo stesso in qualche altra stanza. Quel momento gli parve tanto ordinario che gli sembrò così semplice immaginare che Himchan stava solamente mostrando a Junhong qualcosa che aveva trovato in rete, che Daehyun stava chiamando la sua fidanzata, che Jongup era uscito con qualche suo amico e che Youngjae si era preso una vacanza in qualche paese esotico.

Ma la realtà era diversa. La realtà era che erano dei fuorilegge, dei ricercati dalle forze dell’ordine, dei criminali. La realtà era che Himchan stava penetrando illegalmente nella banca dati di due compagnie, con Junhong emozionato nel vederlo fare ciò. Che Daehyun stava aprendo delle trattative per recuperare informazioni su un gruppo nemico. Che Jongup si stava occupando di recuperare delle armi da fuoco per i loro sporchi piani. Che Youngjae poteva morire da un momento all’altro.

Yongguk non diede mai voce ai suoi pensieri. Fuori dalla finestra, le gocce di pioggia nascondevano e lavavano via quelle conversazioni pericolose.

 

Due giorni dopo, in tarda notte, quando il sonno era sceso sugli occhi di tutti gli abitanti della città, i B.A.P avevano deciso di cominciare a pianificare l’operazione.

Si riunirono al secondo piano dell’officina Kim, che aveva tutte le luci spente, salvo per quel paio che illuminavano le cinque figure vestite di scuro. Erano in piedi attorno ad una scrivania, che una volta era stata un tavolo da biliardo. Sulla superficie ora priva del velluto era stata stesa una grande mappa della città, con dei modellini di auto che correvano sul foglio e delle altre cartine che mostravano più in dettaglio alcune strade. Alcune fotografie erano sparse sulla carta, ad indicarne i luoghi più rilevanti. Dei documenti erano organizzanti in ordinate cartelle, appoggiate su una sedia. Un computer era acceso su una cassettiera vicina, pronto ad essere utilizzato.

Accovacciato sulla solida sporgenza del tavolo, Zelo sorrise malizioso a quella vista mentre si sistemava il cappellino, impaziente di iniziare. Passandogli vicino, Jongup si sistemò sul lato lungo della scrivania, dando le spalle ai ritratti appesi in file ordinate e alle mappe attaccate sulla parete. Vicino vi era Daehyun, che appoggiò le mani sul bordo del tavolo, senza riuscire a trattenere il suo ghigno di divertimento. Al suo fianco, Himchan era in piedi sul lato opposto a Zelo, dando occhiate alla mappa a braccia incrociate, in contemplazione.

Al centro del tavolo, tra Jongup e Daehyun, Yongguk batté le mani per attirare su di sé l’attenzione di tutti quanti. «Siamo pronti ad iniziare?» chiese ai suoi membri, guardandoli uno ad uno negli occhi. «Non ci è permesso sbagliare, questa volta. Un solo errore e Youngjae è andato.»

Ognuno di loro annuì, incidendo le parole del loro leader nella mente. Yongguk mantenne il suo sguardo su di loro un altro paio di secondi. «Bene,» disse infine, una volta assicuratosi che i quattro avevano ben chiaro la nozione. «Himchan, a te l’onere di cominciare.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N/A: giusto un chiarimento, sto utilizzando la loro età coreana, quindi la storia è ambientata nel 2013. So che ‘One Shot’ è uscito a febbraio, ma i loro outfit nel video cambiavano da tipo magliette smanicate e pantaloncini a cappotti con pelliccia (Yongguk, sto guardando te), e quindi mi sono detta: al diavolo. Ahah. Spero comunque di essere riuscita a descrivere le situazioni in modo verosimile sob

Non avevo idea di cosa mettere come terza canzone della playlist, quindi ho lasciato stare. È l’unica parte che ha solo due canzoni lmao chiedo scusa. E, per la cronaca, questa storia ha 4 parti. Ho finito di scrivere l’ultima giusto ieri, alle 2 di notte ahahahah /shot

A proposito, l’imitazione di Yongguk fatta da Minhyun è la cosa migliore del mondo, giuro. Andatevela a sentire. Sempre parlando dei gruppi citati in questa parte, sapevate che nei GOT7 c’è un membro chiamato Youngjae che è un super cutie? E sapevate che JB e Youngjae (B.A.P) sono amici irl? Infine, provate ad indovinare chi potrebbe essere l’amico di Jongup tra gli EXO. Un indizio, li ho fatti legare con una scusa davvero stupida lmao

Fa freddo, qui. Sembra di essere in inverno, ho persino addosso una giacca e i miei piedi sono gelati. Piango forever.

Non ho molto da dire, sinceramente. Quindi, vi ringrazio per aver cominciato a leggere questa storia, e ci vediamo settimana prossima!

Rainie

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Capitolo 3
*** pt.3: badmen ***


[ part 3: badmen ]

playlist: one shot – b.a.p.; kill bill – brown eyed girls; monster – paramore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Allora, ora state bene ad ascoltarmi, ragazzini,» iniziò Himchan, strofinandosi le mani. «Nei prossimi giorni, avremo due occasioni ottime per procurarci i soldi. Il 23, quindi fra tre giorni, un camion partirà dalla Banca Centrale alle ore 20. Trasporterà più di venti milioni in contanti. Il secondo è un pesce più piccolo, e partirà il 25 alle 23, sempre da quella banca. Porterà circa quindici milioni.

«Le due destinazioni sono diverse. È difficile predire che percorso faranno, anche se probabilmente prenderanno le strade principali, dove sappiamo che sono installate molte telecamere di sicurezza. Non abbiamo idea di quando arriveranno a destinazione, quindi consiglio di attaccarli quando staranno per partire, quello è il momento più sicuro.

«Gli scambi, solitamente, avvengono all’ingresso di servizio, qui.» Con un dito, indicò una foto che ritraeva un viale deserto, scattata da Zelo qualche giorno prima quando era andato in perlustrazione con Yongguk. «I veicoli della CTK, la compagnia che si occupa del trasporto, sosteranno su questa strada, proprio davanti all’entrata. Ci saranno solo due persone che si occuperanno del trasferimento entrambe le volte. Sono guardie della sicurezza, quindi dovremo fare attenzione a loro. E, tra l’altro, lì attorno pullula di guardie notturne.»

«E di telecamere,» gli ricordò Zelo. «E poi, nella foto non sembra così, ma la strada è più o meno larga. Possono passarci giusto due macchine.»

Himchan assottigliò gli occhi e piegò la testa lievemente di lato, incuriosito. «Larga quanto?»

«Circa cinque metri,» rispose Yongguk, «ma troppo stretta perché due furgoni possano passarci contemporaneamente, contando che c’è anche un po’ di marciapiede.»

Himchan annuì varie volte, pensoso. «Quindi, mi stai dicendo che…?»

«Quanto avevi detto che sono larghi i veicoli della CTK?»

«Uh. Due metri.»

Yongguk fissò la mappa e le fotografie. Per un po’ non disse niente, mentre gli altri membri aspettavano che parlasse. Poi sembrò decidersi, e continuò a dire in tono grave: «Quindi, quando siamo andati a perlustrare, a me e a Zelo era venuta un’idea, ma non sappiamo se è fattibile in pochi giorni.»

«Vorrà dire che dovremo costringerci a renderla tale, allora,» commentò Daehyun con un mezzo ghigno, guardandolo negli occhi. Tutti gli altri membri furono d’accordo con lui.

Il leader fece un breve cenno di assenso. «Bene, allora. Ascoltate. Visto che non sappiamo che percorso seguiranno, potremo almeno fermare il furgone prima che parta, come ha detto Himchan. Se riuscissimo a bloccarlo in quella strada – picchiettò la foto un paio di volte – avremo la possibilità di rapinarlo e prendere tutti i soldi. A piedi saremo svantaggiati. Quindi, sapete come faremo ciò?»

«Bloccheremo la via con delle auto,» realizzò Jongup ad alta voce.

Zelo sorrise, con uno scintillio maligno negli occhi. «Bingo. E avremmo anche un mezzo veloce con cui scappare prima che ci prendano.»

In quel piccolo spazio offerto dall’officina, i cinque membri si scambiarono occhiate e sorrisi compiaciuti. La luce della lampada appesa sopra il tavolo proiettò su di loro un bagliore sinistro, facendoli assomigliare a delle reminiscenze di diavoli saliti sulla superficie terrestre.

«Però,» li richiamò Yongguk, smorzando quel loro piccolo momento di entusiasmo, «dobbiamo tenere in considerazione il nostro tempo e i materiali. Dato che è una strada a doppio senso e non è nemmeno un vicolo cieco, ci serviranno due auto per poter bloccare effettivamente le vie d’uscita.»

Daehyun colse ciò che il leader stava tentando di dire. «Ma non abbiamo abbastanza fondi, giusto?»

«Precisamente. E non possiamo chiedere ancora agli EXO di lasciarci andare con un altro anticipo.»

«Io avevo pensato che potremmo prendere l’auto di Himchan hyung, mentre uno noi guiderà una moto, ma–»

«Ma una moto non è grande abbastanza perché riesca a bloccare completamente la strada,» concluse Jongup.

Zelo annuì, lievemente scoraggiato. «Esattamente. In questo modo, avranno un bel po’ di spazio su dove guidare. Poi dovremmo anche occuparci di parcheggiarla decentemente, e il motore farebbe troppo rumore. Ci sentirebbero troppe persone ancora prima di arrivare, soprattutto le guardie notturne.»

«Ricapitolando,» continuò Daehyun dopo aver annuito alle parole di Zelo, «avremo bisogno di un veicolo grande, veloce, che possiamo lasciare in strada anche col motore acceso, che faccia il meno rumore possibile, e che riesca a sgommare via rapidamente.»

Yongguk, a quel punto, guardò Himchan. «Se trovassimo una soluzione decente, ti occupi, eventualmente, tu del car tuning dell’auto?»

Quello ghignò con convinzione. «Per chi mi hai preso? Farò anche di più. Mi sono appena ricordato di un tipo che mi deve un favore, dopo che gli ho riparato una delle sue auto dopo la corsa del dicembre scorso. Mi farà un buon prezzo. E poi quel vecchiaccio maledetto ha un garage gigantesco pieno di auto, figuriamoci se non ne ha una per noi!»

Il leader gli sorrise fiducioso. Sapeva che Himchan avrebbe avuto una soluzione nelle maniche: non sarebbe stato il loro meccanico, altrimenti. «Se ci procurassi un modello simile a quello che hai al piano di sotto, sarebbe perfetto. Anche il colore e tutto il resto.»

«Una monovolume, allora? Roger.» Fecero battere i loro pugni in segno di accordo. Himchan sospirò con drammaticità, indossando un sorriso sulle labbra: «Ah, non riesco ad immaginare cosa fareste senza di me.»

«Ci troveremmo un nuovo meccanico,» rispose Daehyun in tono neutro. Lanciandogli un’occhiataccia, Himchan allungò la mano per sferrargli un pugno sulla spalla, sibilando un «Smettila di rovinare i miei momenti di gloria». L’altro lo schivò con facilità.

Himchan, dopo aver lanciato a Daehyun un ultimo sguardo d’avvertimento, appoggiò le mani sul bordo del tavolo. «Comunque,» riprese, ritornando nuovamente serio, «per recuperare l’auto e completare il tuning ci vorrà un po’ di tempo, anche se lavorassi giorno e notte. Per cui, dovremo puntare al furgone che parte il 25. È vero che c’è molto meno denaro del primo, ma sarà comunque abbastanza per finire di pagare sia la merce degli EXO, che l’auto.» Una volta che furono tutti d’accordo con la sua proposta, si voltò verso il compagno vicino a Zelo. «A proposito, Jongup? Cosa ti ha detto quel tuo amico?»

L’altro fece una minuscola smorfia, mentre incrociava le braccia e abbassava lo sguardo sulle fotografie sparse sulla pianta della città. «Non mi ha assicurato niente. Mi ha detto che potrebbero procurarsi quello che gli ho chiesto, ma che deve prima parlarne con i suoi leader.»

Himchan si illuminò a quelle parole. «Oh, conosco Suho. Penso che lui accetterà. Ma per quanto riguarda l’altro… Uh.» Strizzò gli occhi tentando di richiamare il suo nome.

«Kris,» continuò per lui Yongguk. «Già, penso che il problema sia lui, principalmente. È qualcuno con cui è difficile trattare.»

Daehyun fece una smorfia. «Deve avercela con noi,» aveva borbottato, ricordando tutte le volte in cui si era trovato faccia a faccia con l’altro leader – che non erano poche. «Non ho mai incontrato nessuno più inflessibile di lui, giuro! È impossibile parlarci.» In risposta, ricevette una pacca sulla spalla da Yongguk.

«Quindi, niente armi assicurate?» chiese Himchan a Jongup.

«Già, niente armi assicurate.»

«Hey, Daehyun hyung,» lo chiamò Zelo dall’altro lato del tavolo, «a te cos’hanno detto i NU’EST?»

L’espressione di Daehyun si rabbuiò sentendo quella domanda. «Giusto,» disse, «non vi ho ancora raccontato nulla. Prendi quella busta bianca dietro di te e aprila. Dentro c’è tutto quello che sono riusciti a recuperarci.»

Il maknae obbedì, allungando il braccio fino alla pila di fascicoli alle sue spalle. Mentre tirava fuori una serie di carte, che variavano da profili (con le diverse voci spesso senza informazioni) a foto sfuocate e liste di parole scritte fitte, Daehyun continuò la sua spiegazione: «Sembra che JB avesse veramente ragione. Sono i COB.ra che ci stanno addosso, e che ora hanno Youngjae con loro.

«Sono un gruppo che si è formato più o meno sei anni fa, non si sa con esattezza, ma per un paio di anni sono stati i leader nel mercato degli organi. I loro membri arrivano fino a venticinque, se non di più, la loro età varia dai diciannove ai trentacinque anni.

«Il capo si chiama Haejong. Ha trentatre anni. Del suo passato non si sa molto, ma il suo profilo criminale include possesso di droga e armi da fuoco, e alcuni omicidi colposi, oltre a numerosi furti. Solitamente, però, preferisce lasciar fare il lavoro sporco ai suoi subordinati, e infatti molti di loro hanno un profilo anche peggiore del suo.»

Per un po’, nella stanza si sentirono solo la voce di Daehyun e il fruscio dei fogli che venivano passati da membro a membro. Ognuno cercava di afferrare nella mente tutto ciò che poteva, tentando di trovare uno schema ricorrente dietro le azioni di ogni membro dei COB.ra, in modo tale da potersi preparare per quando li avrebbero affrontati. Ma, ovviamente, non era così semplice, con dati tanto scarsi.

I COB.ra non erano delle persone qualsiasi, che non avevano idea di cosa andasse avanti nel sottosuolo, al sicuro nella familiarità delle loro abitazioni. Erano bensì assassini, rapinatori, trafficanti di droga, street fighters, truffatori. Professionisti del campo, che non si sarebbero fatti scrupoli di nessuno che tentasse di bloccare a loro la strada.

Si chiesero come se la stesse cavando Youngjae, se sarebbero riusciti a riaverlo con loro vivo e vegeto la settimana successiva. Perché, da quanto avevano visto dai video, sembrava sul punto di crollare, e quel pensiero era insopportabile per ognuno di loro.

«La gara dell’anno scorso,» disse ad alta voce Jongup, leggendo un documento che riportava le attività (perlomeno quelle conosciute) a cui avevano preso parte i COB.ra, «a quella non avevamo partecipato anche noi?»

Zelo allungò il collo per dare un’occhiata al foglio: i COB.ra si erano piazzati al secondo posto. «Quella volta aveva vinto Himchan hyung,» commentò, guardando dall’altra parte del tavolo, verso il sopra menzionato uomo. Quello non sembrò prestargli attenzione, tanto era preso dal documento che aveva in mano.

Passò qualche momento prima che parlasse. «Questo tipo era nell’ultimo video,» disse, e alzò il foglio in modo che tutti potessero vedere il profilo di un ragazzo abbastanza giovane. «Qui dice che ha partecipato a quel torneo di street fight del settembre scorso… Non eravamo lì anche noi?»

Jongup, che ne era stato il partecipante effettivo, strizzò gli occhi al nome riportato sul profilo. «‘Sung’?» lesse. Per un paio di secondi non disse niente, ma poi sembrò illuminarsi. «Ricordo che è stato uno dei miei avversari.»

«E?» chiese Himchan, con un sopracciglio alzato.

«Avevi vinto, non è così?» rispose Daehyun prontamente, e l’altro confermò con un cenno, capendo cosa stesse insinuando il suo hyung. «Da qualche parte deve esserci anche scritto che abbiamo partecipato alla stessa asta, l’anno scorso,» continuò a dire. «E immagino che ci siano anche altri fatti per cui adesso vogliono la nostra testa, ma non ce ne siamo mai accorti.»

Tutti annuirono, non sorprendendosi più di tanto di ciò che aveva raccontato Daehyun. Nel corso degli anni, erano coscienti di essersi fatti più nemici di quanto immaginassero. Avevano ricevuto minacce ed avvertimenti di tutti i tipi, certe volte dovettero persino scontrarsi di persona, ma non era niente che non si fosse potuto sistemare – seppur con la forza.

Tuttavia, mai una volta era capitato che uno di loro fosse stato sequestrato tanto facilmente, e in solo un paio di giorni. Sentivano fortemente il dovere di riportare il loro amico indietro, in modo tale che non si dovesse sentire ancora più oppresso.

Junhong contemplò il silenzio con lo sguardo abbassato. Era il più giovane tra i membri, forse anche il più ingenuo e innocente (sempre se uccidere qualcuno a sangue freddo può essere considerata innocenza), e per questo credette di essere l’unico che sperava che tutto quello fosse solo un incubo, che si sarebbe presto svegliato ed avrebbe visto Youngjae incolume.

Ma quel pensiero era condiviso da tutti i suoi compagni, i quali, senza proferire alcuna parola, cercavano disperatamente una via d’uscita sicura, al riparo dalle falci di una Morte che sembrava stare costantemente col fiato sul loro collo.

Perché, alla fine, a nessuno piaceva quello stile di vita.

Fu Yongguk che riprese in mano le redini della situazione per primo. «Va bene,» disse, ed alcuni dei membri balzarono sul posto per la sorpresa, «a loro penseremo dopo, quando avremo un piano decente per procurarci i soldi.»

E in un secondo, le loro espressioni ritornarono quelle dei B.A.P, una banda criminale nota per i loro colpi portati a termine perfettamente, uno dei maggiori esponenti del movimento clandestino della città. I loro sguardi calcolatori rimpiazzarono quelli esitanti ed insicuri di poco prima mentre studiavano la mappa stesa sul tavolo, ascoltando le indicazioni che dava il loro leader e offrendo ognuno il proprio punto di vista.

Pianificarono in ogni dettaglio l’operazione, dalla posizione che avrebbero dovuto assumere al percorso che avrebbero seguito. Occhiate complici venivano scambiate tra una battuta e l’altra. Compiti individuali venivano distribuiti tra i membri. Implicita era la certezza del loro successo, perché i B.A.P non sbagliavano mai, perché erano i migliori, gli assoluti, i più perfetti; non c’era posto per l’esitazione.

Ruggivano ostilmente contro un mondo altrettanto ostile, e non si tiravano indietro alle sfide. Era questo che erano, e sarebbero riusciti a liberare Youngjae ad ogni costo.

 

«Allora, come sta andando la tua ricerca?» gli chiese Yongguk, sedendosi sul divano dell’officina, a fianco a lui. Youngjae gli lanciò un ghigno indecifrabile.

«Non c’è male. Stare con voi mi sta aiutando molto. È un po’ diverso da come immaginavo che fosse, date tutte le voci che giravano sul vostro conto,» gli disse, guardandolo abbassare la testa e aprire le labbra in un mezzo sorriso, quasi imbarazzato. Avendo paura che fraintendesse, Youngjae si affrettò a spiegare. «Lo dico in modo positivo! Non avrei pensato che poteste essere così… normali. Tutti parlano di voi come se foste dei demoni scesi in terra.»

Questa volta, Yongguk rise di gusto. «Lo immaginavo,» commentò. Da dietro di loro, Himchan, che era rimasto in ascolto mentre lavorava su un’auto che un loro cliente gli aveva portato (“Per farla diventare un gioiellino speciale”), disse ad alta voce: «Colpa della tua faccia spaventosa, Bbang.» Yongguk decise di ignorarlo, così Youngjae lo imitò, sentendosi anche un po’ in colpa per l’altro hyung. Himchan, dal canto suo, non diede loro molta importanza.

«Non siamo un gruppo numeroso,» disse Yongguk, sprofondando nel confortevole divano, «e nemmeno siamo come la maggior parte delle gang qui intorno. Pensavo che il nostro comportamento da Robin Hood non ti sarebbe andato a genio.»

«No,» rispose subito Youngjae. «No, va benissimo. Penso che sia molto nobile.»

Nei mesi precedenti, avendo partecipato alle operazioni dei B.A.P, era spettata anche a lui la sua parte di ricompensa. Mentre la maggior parte di quello che avevano ricavato andava a certi affari che avvenivano nel sottosuolo, lontani dagli occhi indiscreti dei cittadini onesti, Youngjae fu sorpreso nel scoprire che una piccola parte andava ad un’associazione di beneficenza. Non aveva mai incontrato, in quella cerchia illegale, persone del genere.

A quelle parole, il leader, con lo sguardo basso, alzò i lati della bocca in un sorriso – seppur poco convinto, sembrò a Youngjae. «Grazie. È passato molto tempo da quando mi hanno considerato così.»

Passò un silenzio teso. Youngjae ebbe la sensazione che Yongguk volesse dire qualcos’altro, ma quest’ultimo non proferì parola. Stava per chiedergli se ci fosse qualcosa che lo stesse turbando, quando Himchan parlò al suo posto, con un tono che era appena udibile da dove erano seduti.

«Non siamo nobili,» gli disse. «Siamo sporche, cattive persone. Il genere di ragazzi che proibiresti a tua figlia di frequentare. Anzi, siamo sicuramente peggiori di loro.»

Himchan poi si scusò per doverli lasciare soli, dicendo di dover andare a recuperare un po’ di materiali dal ripostiglio, e sparì dietro la porta. Yongguk e Youngjae furono lasciati nell’atrio dell’officina Kim. Passò qualche momento prima che il primo ricominciasse a parlare. «Himchan ha ragione. Siamo lontani dall’essere brave persone. Siamo sporchi assassini e trafficanti di droga e schifosi fuorilegge, tutti lo sanno.»

L’espressione di Yongguk era più cupa di quanto Youngjae avesse mai visto su di lui. Le mani giocherellavano l’una con l’altra, e tutto del suo corpo – dalle spalle basse al suo sguardo costantemente incollato al pavimento – sembrava voler negare tutto quello che, di fatto, era. «Le nostre buone azioni non compenseranno mai quello che stiamo facendo. Mi vergogno persino di guadagnare i soldi in questo modo, ma che ci possiamo fare? Nessuno di noi cinque ha avuto molte scelte.»

Finalmente alzò gli occhi sul più giovane, combattendo l’immensa voglia di distogliere lo sguardo. «Ognuno ha qualcosa, una storia, un motivo che non vuole far sapere agli altri. Questo vale anche per tutti noi B.A.P; non credere che siamo solo demoni senza cuore,» gli confidò. A Youngjae parve che, in quel momento, il leader gli stesse praticamente porgendo la parte più vulnerabile, la sostanza attorno alla quale ruotava tutto il gruppo.

Cercò di trovare le parole giuste, ma non gli venne in mente niente. «E tu, hyung?» gli chiese semplicemente, sentendosi sciocco e indiscreto nel sentire la sua stessa voce. Tuttavia, anche se lo fosse stato per davvero, Yongguk non lo notò, e gli lanciò un triste sorriso.

«Ho un fratello,» gli rispose. «È in coma da sei anni.»

Youngjae ascoltò il leader raccontargli di ciò che lo aveva portato sino a lì – il padre, leader di un gruppo proprio come lui; il suo gemello in bilico tra la vita e la morte sin da quando capitò in una sparatoria; il desiderio di vendetta che da allora era cresciuto fino a seguire le stesse orme del padre; il modo in cui aveva accolto gli altri membri sotto la sua ala. Sarebbe sembrato sciocco da un punto di vista esterno, la sua decisione si adattava perfettamente alle circostanze. Youngjae accettò tutto quello che gli fu raccontato.

«Vedrai che anche gli altri se la sentiranno di raccontarti di loro,» gli disse poi, con una pacca sulla spalla, «Siamo una famiglia, ora.»

In quel momento, Himchan ritornò, e diede loro un’occhiata sospettosa. Chiese a Yongguk se avesse detto qualcosa di strano sul suo conto al povero Youngjae, e lui rispose di no, con una risata.

Le parole di Yongguk si avverarono presto. Nei successivi mesi, uno ad uno, Youngjae ascoltò con pazienza (e anche un po’ di curiosità) i membri aprirsi a lui. Il giovane Junhong era scappato da una casa con una storia di violenza e abusi domestici. La ricca famiglia che aveva adottato Daehyun non gli mostrò mai il calore che si era aspettato, deludendolo profondamente. Himchan aveva guardato la madre prostituta negargli la parentela sin da quando aveva ricordi. Jongup aveva dovuto sopportare un padre criminale con aspettative troppo alte.

Youngjae imparò tutte le sfumature di quel gruppo, persino quelle più subdole, e le accettò tutte quante senza neanche un minimo di esitazione. Pensò che era questo, ciò che rendeva i B.A.P tali, perché la sincerità con cui glielo avevano confidato era tanto ingenua e disarmante che sembravano solamente dei ragazzi spaesati, e non criminali ricercati.

 

Quando Jongup e Daehyun scesero le scale e misero piede nel sotterraneo arido, gli EXO erano già lì ad attenderli. Non erano nella totalità del loro gruppo, ma i B.A.P sapevano che avrebbero fatto meglio a non fare passi falsi di fronte a loro.

I due attraversarono la banchina della stazione con lunghi passi. Da davanti a loro, un ragazzo sorrise affabile alla coppia. «Hey, Jongup,» salutò, offrendo una mano che Jongup strinse con confidenza.

«Kai. Grazie per essere venuto,» gli disse.

«No problem. Più che altro, mi ci hanno obbligato,» rise Kai, e Jongup lo imitò. I due non erano esattamente amici per la pelle (far parte di due gang diverse significava non fidarsi completamente l’uno dell’altro), ma si conoscevano abbastanza da considerarsi, perlomeno, più che comuni conoscenti.

Kai introdusse i due hyung che lo avevano accompagnato – Baekhyun, il più basso tra i tre, e Luhan, che indossava un’espressione neutra sul viso. Jongup fece lo stesso, nonostante Daehyun e Baekhyun non ne avessero bisogno, essendosi i due già incontrati in precedenza quando i due gruppi dovevano trattare.

Le due parti si scambiarono dei brevi cenni di riconoscimento. Daehyun non perse tempo ad andare direttamente al sodo, volendo finire il tutto più rapidamente possibile: «Allora, avete preparato la roba?»

Fu Baekhyun a rispondergli, con un largo sorriso sulle labbra. «Tutta qua,» e mostrò loro, con fare orgoglioso, due casse di legno ai loro piedi. «Sono ancora fresche di fabbrica, nuove di zecca!»

Daehyun lanciò un’occhiata alle casse, e si accovacciò per esaminarle, impaziente. Stava per sollevare di coperchio di una, ma un piede premette sulla sua superficie quasi istantaneamente, forzandolo giù. Il ragazzo alzò lo sguardo e lo scontrò con quello duro di Luhan, che lo guardava con sufficienza. «Non ancora,» disse, e allungò la mano verso Daehyun, indicando che prima avrebbe dovuto pagarlo. Daehyun si voltò allora verso Jongup, sapendo che per quella volta avrebbe dovuto lasciar fare a lui.

Kai sospirò. «Senti, Jongup,» cominciò a dire, «lo faccio solo perché siamo amici, e perché i nostri due gruppi sono in buoni rapporti. Ne ho parlato con i miei boss, e sono riuscito a convincerli a lasciarvi andare con solo un anticipo. Quanto avete, ora?»

Jongup gli porse una cassetta che si era portato fino al luogo d’incontro. «Sono diecimila.»

Kai diede una veloce occhiata ai mazzi di banconote impilati ordinatamente uno sopra l’altro, e passò la cassetta a Baekhyun e Luhan al suo fianco. I tre si scambiarono uno sguardo complice, un codice segreto che solo loro riuscivano a leggere. Dopodiché, il ragazzo si voltò nuovamente verso il suo amico. «Va bene,» sospirò. «Solo, assicuratevi di restituite il resto. Non ci piace aspettare, okay?»

Dentro di sé, Jongup si rilassò a quelle parole. «Non ti preoccupare, fra un paio di giorni vi pagheremo tutto quello che vi dobbiamo.» Kai accettò le sue parole con un cenno del capo.

Daehyun ebbe l’impressione che Jongup avesse assunto un tono più cupo del solito, ma non lo biasimò. Invece, si voltò a guardare Luhan, che finalmente si decise a togliere il suo piede dal coperchio della cassa. Daehyun si affrettò a scoprirne il contenuto.

All’interno vi era una pila di innumerevoli pistole. Le loro superfici riflettevano, in un lieve scintillio, la debole luce della lampada sopra loro, che di tanto in tanto si spegneva a scatti. Ve ne erano di diversi tipi, la maggior parte erano delle pistole semiautomatiche (Glock 17, 19, 21; Beretta Serie 81, 8000, 92; le centerfire della Ruger), ma si potevano distinguere anche alcune pistole mitragliatrici. Daehyun ormai non si sorprendeva più della grande quantità di armi da fuoco, ma le sue mani fremettero automaticamente al pensiero di poterne impugnare delle nuove comunque.

Baekhyun ghignò alla vista di tutte quelle pistole. «Belle, vero? Penso che quelle appena uscite dalle fabbriche siano le migliori: intoccate e perfettamente funzionanti, e sarai tu l’unico a sapere come maneggiarle nel migliore dei modi.»

Mentre Daehyun fece un sorriso di cortesia, Luhan invece roteò gli occhi alle sue parole, preferendo picchiettare l’altra cassa con la scarpa. «Qui dentro ci sono le munizioni,» informò i loro acquirenti.

In effetti, quando Daehyun sollevò il suo coperchio, fu accolto dalla vista di proiettili di diverso calibro, e a sua volta ogni calibro arrivava in diversi tipi. Da sole, le pallottole sembravano tanto innocue da poter essere scambiate per giocattoli, ma ognuno di loro, naturalmente, sapeva bene che una quantità del genere rappresentava una miniera. Non d’oro, come il loro colore suggeriva, ma di qualcosa di più macabro e sinistro.

Dalla prima cassa, Jongup raccolse una pistola – una Glock 19 – e la esaminò alla luce della lampada. Ogni linea era stata perfettamente studiata e disegnata, il profilo non aveva alcun difetto estetico, l’impugnatura dava una sensazione diversa dalla sua vecchia pistola, ma si adattava perfettamente alla sua mano destra. Con la sinistra, percorse la superficie liscia del carrello, e lo tirò indietro.

Un secco ‘click’ risuonò contro le pareti spoglie del sotterraneo.

 

Quel pomeriggio, al tramontare del sole, Yongguk si era seduto sul divano di pelle rossa al secondo piano del loro covo. Osservò per un momento il tavolo da biliardo di fronte a lui, che aveva ancora la pianta della città stesa sopra, e i modellini di auto erano rimasti nella posizione in cui li avevano lasciati giorni fa: due automobili che intrappolavano un furgoncino sia dalla parte anteriore che posteriore.

Da Himchan aveva sentito che il tuning delle due monovolume era stato completato perfettamente, e che quella sera avrebbero potuto utilizzarle senza problemi. Yongguk lo aveva ringraziato per il lavoro, decidendo poi di prendersi un momento per sé.

In poche ore, avrebbero finalmente messo le mani sul denaro con cui avrebbero potuto liberare Youngjae, ponendo fine a quella storia una volta per tutte. Yongguk fremeva per l’impazienza. La sua memoria ripercorse i momenti in cui lo avevano mostrato picchiato e sanguinante, e si chiese come il suo membro se la stesse cavando nelle mani del nemico.

Youngjae si era aggregato a loro solo un anno e mezzo prima, tuttavia ciò non significava che contasse meno degli altri. Anzi, i membri non esitavano a fare affidamento su di lui. Per certi era un fratellino di cui prendersi cura, per altri un fratello maggiore da seguire. Sebbene all’inizio si sospettassero a vicenda, rifiutando di porre la minima fiducia in lui (era normale, date le circostanze sotto le quali si erano conosciuti e con il genere di passato che ognuno aveva), presto nessuno ebbe problemi a trattarlo come uno di loro.

Ripensandoci, Youngjae aveva fatto davvero molto per i B.A.P. Il suo acuto senso di osservazione gli era valso il titolo di “Cervello” del gruppo, e non poche volte aveva aiutato gli altri membri con i loro allenamenti. Era stato lui a suggerire degli accorgimenti quando pianificavano le loro azioni, lui a dare consigli e a svelare piccoli trucchetti che aveva imparato dall’esperienza lui stesso, e sempre era lui quello disponibile per parlare (o, secondo Daehyun, che riusciva a sopportarlo).

Yongguk non era mai stato il tipo da essere interessato nell’esistenza di un Dio. Eppure, guardando la collana con il simbolo di una croce gotica che Youngjae gli aveva regalato tempo prima (“Ho pensato che ti si addicesse”), sperò che, qualsiasi fosse l’entità che stava governando su loro, potesse aiutare lui e i B.A.P ad avere successo nella loro operazione.

 

La notte arrivò silenziosa, strisciando come un’ombra sulla città che si preparava per il giorno successivo. Molte persone, tuttavia, ancora non erano pronte per il sonno; in particolare cinque ragazzi che, nell’oscurità, erano usciti fuori da una certa officina e ora erano solo in attesa dell’ora stabilita.

Quattro di loro erano distribuiti equamente in due auto dalla carrozzeria scura. Himchan era alla guida della prima, accompagnato da Jongup. Al volante della seconda vi era Daehyun, con a fianco Zelo. I due conducenti aspettavano pazientemente che il loro leader desse loro le istruzioni.

Sul terrazzo di un edificio vicino, Yongguk attese che i due addetti al trasporto uscissero dalla porta di servizio. Avrebbe voluto partecipare anche lui all’azione effettiva, ma le parole del maknae (“Non dovresti venire con noi. Se fossimo tutti catturati, cosa ne sarà di Youngjae hyung?” aveva detto) convinsero il resto dei membri a lasciarlo fuori.

Abbassò lo sguardo sull’orologio da taschino che aveva appeso al collo – erano passati dieci minuti dalle 23. In quel momento, i due uomini uscirono dall’edificio, portando con sé due grossi sacchi di stoffa scuri. A quella vista, Yongguk parlò nella sua ricetrasmittente, ed ordinò ai suoi compagni di tenersi pronti e in posizione.

Il leader osservò la porta del camion chiudersi in uno scatto, mentre la chiave veniva presa in custodia da uno dei due addetti. Quando questi salirono sul furgone, Yongguk diede il via ai suoi membri.

Le due auto arrivarono in un basso rombo appena il camion dei trasporti accese il suo motore. Gli vennero bloccati in pochi secondi la via anteriore e posteriore, e gli addetti, non capendo cosa stesse succedendo, scesero dal mezzo con occhiate allarmate. I B.A.P fecero lo stesso, con la loro identità nascosta da una maschera alzata sul viso. Da una parte, Jongup e Daehyun formavano un gruppo, dall’altra c’erano Himchan e Zelo.

Non persero tempo. Mentre Zelo distraeva e provocava l’uomo, Himchan scattò subito in avanti, avvolgendo un braccio attorno al suo collo con forza, strangolandolo in una presa carotidea.

Daehyun, invece, aveva scelto una via più brutale per quanto riguardava il loro uomo, tirandogli una ginocchiata nell’addome e bloccandolo da dietro. Jongup poté subito tirargli un pugno da sotto il mento. Completamente stordito dal colpo, l’addetto al trasporto perse quasi subito conoscenza, e quando Daehyun lo lasciò andare, il suo corpo crollò per terra, immobile. I due cercarono la chiave per il lucchetto del camion che aveva menzionato Yongguk, ma non lo trovarono. Capirono che era, allora, con l’altro uomo.

Dall’altro lato del furgone, con Himchan che non aveva intenzione di lasciare la presa sul collo dell’addetto, Zelo cercò frettolosamente la chiave, mentre lui si dimenava energicamente. La trovò appesa alla cintura, e con fatica riuscì a districarla. Jongup, a quel punto, chiamò da dietro Zelo il suo nome, e questi gliela lanciò prontamente.

Una volta presa, Jongup si affrettò a sbloccare la porta blindata del camion. In un attimo, l’anta si spalancò in un suono sordo e rivelò le due sacche scure piene di denaro. Daehyun e Jongup si scambiarono un’ultima, veloce occhiata d’intesa e, senza altra esitazione, ne afferrarono una ognuno. Daehyun corse subito verso la loro auto, sostata posteriormente al furgone dei trasporti. Jongup, invece, passò rapidamente la sua sacca a Zelo.

Le loro strade si divisero nuovamente, in modo da poter essere difficilmente seguiti: Daehyun e Jongup sgommarono via per primi, portando la loro parte di bottino con sé; Zelo sfrecciò subito verso la monovolume di Himchan, che dovette aspettare che la sua vittima perdesse effettivamente i sensi prima di lasciarlo andare. Poi, anche loro si affrettarono a lasciare il viale, prima che la sicurezza arrivasse.

Avendo visto la scena svolgersi davanti a lui in poco più di un minuto, Yongguk non perse tempo ad allontanarsi dal luogo incriminato, verso i suoi compagni che lo aspettavano al punto d’incontro prestabilito.

Quando le guardie della banca arrivarono, dei B.A.P era rimasto solo il segno dei pneumatici sull’asfalto. Si erano dileguati così come erano arrivati, in un soffio di vento, come sempre avevano fatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A/N: sapevate che il corpo di un essere umano, se venduto in tutti i suoi componenti (vale a dire non solo organi, muscoli, scheletro, eccetera, ma anche i componenti chimici), in totalità varrebbe più di quaranta milioni di dollari aka più o meno trentacinque milioni di euro? Potreste comprarvi più di duemila auto con tutti questi soldi. Per cui, quando vi sentirete inutili, ricordatevi di questo, perché voi valete. (cit.)

Per tutto il tempo che ho scritto questa terza parte, ho continuato a ripetermi: “Giuro che non sono una criminale,” mentre facevo ricerche su pistole, mercati neri, attività illegali, il motivo per cui le persone diventano dei criminali e via dicendo. A proposito, le pistole che avevano i B.A.P nell’MV erano proprio delle Glock, ma non so che modello.

Il “tuning” delle auto è praticamente il “truccare” le auto in GTA. Si tratta di modificare le auto in modo tale che possano andare più veloci, o avere meno attrito sull’asfalto, qualsiasi cosa che possa migliorare (o peggiorare, è la stessa cosa) le loro prestazioni. Avete visto cosa fa Himchan nell’MV, no? Quello. E poi, quando parlavo di gare/corse clandestine, mi riferivo alle corse tra macchine, che naturalmente sono illegali.

Venti milioni di dollari sono tantissimi, e dubito fortemente che venga trasportato tanto denaro in un solo colpo. Ergo, vorrei scusarmi per l’incorrettezza.

Ho deciso che Kai e Jongup potevano essere amici solo perché sono le due dancing machines lmao. Ero indecisa tra Lay e Kai, ma poi mi sono ricordata che Kai è coreano e ha solo un anno in più di Jongup, quindi ho scelto lui. Trivia: Suho e Himchan sono amici anche nella realtà! E io ho un gran debole per B.A.PEXO sob.

Il prossimo capitolo sarà l’ultimo! Non sono sicura di volerlo pubblicare interamente o in due parti diverse, dal momento che è molto più lungo di un capitolo normale e ha flashbacks a go go lmao.

Rainie

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Capitolo 4
*** pt.4: shadows ***


[ part 4: shadows ]

playlist: back – infinite; come back home (unplugged vrs.) – 2ne1; haru haru – big bang

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La notizia di tanto denaro rubato finì, naturalmente, su tutti i quotidiani e telegiornali. Di un colpo tanto grosso non si era sentito parlare da anni, tant’era che in città sembrava non ci fosse un posto che non fosse stato monopolizzato da discussioni sul fatto appena accaduto. La Banca Centrale era in subbuglio, la polizia non riusciva a trovare tracce che li portassero ai colpevoli, e i cittadini non facevano altro che criticare l’incompetenza delle autorità.

Tutto ciò non toccava minimamente quello che era all’interno dell’officina Kim, che in quei giorni era rimasta chiusa “a causa di circostanze straordinarie”. Nel seminterrato, il frusciare delle banconote chiudeva quella piccola stanza al mondo di fuori, il quale sembrava non riguardasse per niente i B.A.P. Due ventiquattrore di pelle nera vennero riempite abbondantemente con dieci milioni, poi lasciate sul tavolino spoglio. La luce del sole mattutino filtrava in quell’abitacolo isolato, illuminando con un bagliore la polvere che volteggiava nell’aria secca.

I cinque membri erano sparpagliati nella stanza, per quanto il piccolo spazio libero poteva permetterlo. «Con questi,» disse Daehyun, richiudendo le valigette, «potremo salvare Youngjae. Il resto lo useremo per finire di pagare tutto quello che dovevamo agli altri.» Dopodiché si appoggiò sul muro dietro di lui, scivolando per terra come se non avesse più forza rimasta in corpo.

Rimasero tutti con lo sguardo fisso sulle valigette, in silenzio.

L’espressione sul viso di Yongguk era dura, più dura di quanto Himchan avesse mai visto. Gli appoggiò una mano sulla spalla e, guardandolo negli occhi, gli disse: «Vedrai che andrà tutto bene. Non abbiamo mai fallito, e Youngjae ritornerà sano e salvo, okay?»

L’altro gli rispose con un cenno del capo, ma non disse una parola.

La verità era che Yongguk non riusciva davvero a rassicurarsi abbastanza. Avendo trascinato tutti i membri in quell’operazione, non aveva la minima idea di come l’avrebbero presa se si fosse saputo che, in verità, Youngjae era stato fatto fuori da tempo. Gli sembrava come se fosse ritornato a tanti anni prima, a quando il fratello era caduto in coma–

Il pensiero gli faceva venire il voltastomaco, e dovette deglutire numerose volte per mandare giù i conati di vomito che stavano salendo nella sua gola.

Pensò che, molto probabilmente, nella sua vita precedente aveva fatto cose davvero crudeli. Ora le stava ripetendo perché, con una personalità come la sua, per essere sicuri di aver toccato veramente il fondo doveva per forza andarci a sbattere contro.

Adesso aveva imparato la lezione, ma c’era un dettaglio che se ne restava nell’angolo più remoto della sua psiche, e certe volte non lo faceva dormire la notte. Quel dettaglio lo aveva scaraventato sul fondo con forza, e gli faceva desiderare di non aver mai saputo quanto potesse far male.

L’aveva capito tempo addietro, quando Himchan gli disse che si sentiva inutile nel gruppo, quando insegnò al giovane Junhong – Junhong, così dannatamente innocente e impaurito prima di incontrarlo – come vincere effettivamente una lotta a mani nude, quando vide Jongup far pratica con la pistola e centrare tutti i bersagli, quando Daehyun gli confidò il suo sogno, e quando Youngjae venne rapito, quando Youngjae venne rapito…

«Sapete,» disse, richiamando l’attenzione dei suoi membri, «stavo pensando che, dopo che avremmo liberato Youngjae… penso che dovremmo prenderci una pausa.»

I B.A.P sbatterono le palpebre, confusi dalle parole del leader, non riuscendo a capire la ragione per cui avesse detto ciò. Yongguk si affrettò a continuare il discorso. «Andiamo via da qui, cambiamo città, giriamo il mondo, facciamo qualcosa che– qualcosa di diverso. Tutto questo è stancante, vero? Quindi non facciamolo. Facciamo finta di essere delle persone come tante che hanno una vita normale.»

Yongguk era una persona che non sapeva parlare bene dei suoi pensieri. Ogni cosa che aveva detto fino ad adesso non esprimeva nemmeno la metà di quello che avrebbe voluto veramente dire; gli risultava difficile e stancante, ma lui avrebbe davvero voluto che gli altri sapessero.

Avrebbe voluto dir loro che probabilmente era stato un cattivo leader, uno pessimo, probabilmente il peggiore che fosse mai esistito. Avrebbe voluto scusarsi per aver tentato di raccogliere ciò che era rimasto delle loro vite prima di essere B.A.P, per averli trascinati con lui sul fondo, perché loro, a differenza sua, non dovevano redimersi da una vita passata.

I B.A.P non era la loro unica possibilità, Yongguk ne era sicuro: ci aveva riflettuto un sacco di volte, nonostante non ne aveva mai fatto parola. Pensava di averli tolti da un futuro incerto, ma non aveva fatto niente per proteggere gli altri dalla cruda verità che veniva sbattuta loro in faccia ogni singolo giorno – nessuno aveva detto che starebbe stato tanto difficile. I suoi membri lo odiavano? Certo che lo odiavano; anche lui si sarebbe odiato, se fosse stato al loro posto.

Invece, i quattro al suo fianco lo guardavano con un’espressione apologetica, come se volessero dire “Ci dispiace, avremmo dovuto fare di più, avremmo davvero voluto renderti le cose più facili”, e lui avrebbe voluto gridar loro di smetterla perché era lui quello nel torto ed era lui che li aveva costretti ad una vita del genere e diamine come potevano non capire che aveva solo rovinato la loro vita.

Ma non disse niente di tutto ciò. «Non vi sentite stanchi?» sospirò solamente, sprofondando nella sedia e guardandoli onestamente negli occhi.

Fu Junhong – Yongguk ne temeva l’opinione più di quello di chiunque altro nella stanza, perché probabilmente era la sua, la vita che aveva rovinato soprattutto – il primo ad avere il coraggio di parlare. «Una volta,» disse, «ricordo che mia madre mi aveva detto che avrei dovuto riconoscere quando una persona è brava o meno. E conoscendoci da così tanto tempo, posso dire che tu, hyung, lo sei.» Gli lanciò un mezzo sorriso. «È vero che le cose che facciamo sono lontane dall’essere buone, ma tu sei davvero una brava persona. E io non mi sento stanco, sul serio.» 

«Sono d’accordo con Junhong,» si aggiunse Jongup. «Lasciatelo dire, hyung, sei tu quello più stanco di tutti. Ti preoccupi di troppe cose. Se vuoi che smettiamo di avere questa vita, noi ti seguiremo fino alla fine del mondo perché siamo noi quelli che hanno deciso di fare tutto questo.»

Lo sguardo duro di Yongguk si sciolse impercettibilmente. Era sopraffatto da come ciecamente i suoi membri riponevano la loro fiducia in lui. Sentì il cuore restringersi di più nel petto, quella sensazione fu tanto realistica che gli sembrò che fosse successo fisicamente per davvero.

La sua voce era un grave sussurro, mentre li guardava con scetticismo. «Come potete dire così dopo tutto quello che abbiamo passato come B.A.P? Non posso non esservi sembrato una persona orribile.»

Junhong scrollò le spalle lievemente, come se quella fosse la cosa più semplice del mondo. «Istinto,» rispose con semplicità.

«Più precisamente,» intervenne Daehyun, «proprio perché ne abbiamo passate tante, ora possiamo dire tutto questo.» Gli altri furono d’accordo con lui.

«E, hyung, ricordati che siamo stati noi a decidere di affidarci a te. Se tu sei orribile, lo siamo anche noi, non pensi?» disse Junhong.

Il leader li stava guardando ancora con incredulità quando Himchan parlò. «Eh, hai sentito i bambini,» disse, alzando una spalla. «Ti seguiremo anche se non vorrai, fine della storia. Quindi, dopo questa, i B.A.P saranno solamente un ricordo.»

I B.A.P saranno solamente un ricordo.

Yongguk guardò le valigette nere posate sul tavolo. Non era del tutto sicuro che avrebbe funzionato, ma valeva la pena provarci. Sperò che Youngjae avrebbe accettato di andare con loro, sperò che non avrebbero sprecato quell’occasione e che non avrebbe fatto passi falsi. Per ora, la loro priorità era fare altre cose cattive. Per ora, non era bene guardare più in là, nei piani futuri. Era troppo pericoloso.

Con lo sguardo ancora cupo, Yongguk si alzò dalla sedia ed uscì dalla stanza, sotto lo sguardo irrequieto dei suoi altri membri. Non era ancora del tutto sicuro di tutto quello.

 

La prima volta che Yongguk vide Youngjae fu ad un torneo di street fight che i B.A.P avevano organizzato, in collaborazione con le Secret.

Tra il pubblico in trepidazione, eccitata per gli incontri, nella speranza di vincere le scommesse fatte, Yongguk aveva visto Youngjae, con la schiena appoggiata alla parete ed il volto pallido illuminato debolmente dalle luci dell’arena di fronte a loro. «Sapete cosa penso?» aveva chiesto a lui e a Jongup, indossando un sorriso sbieco sulle labbra. «Uno di loro sta prendendo qualcosa.»

Volse il mento verso uno dei due sfidanti che si stava preparando per entrare nella gabbia. Yongguk guardò prima questi, poi Youngjae, che gli rivolse un’occhiata illeggibile. «Chiedere per crederci,» aggiunse in tono casuale.

Più tardi, quando chiese a Himchan, che arbitrava gli scontri, di fare qualche controllo, si scoprì che il ragazzo che lo aveva messo in guardia aveva ragione. Quando tuttavia lo cercò per ringraziarlo e, magari, per offrirgli da bere, lui non si trovava più da nessuna parte. Jongup, che Yongguk aveva incaricato di tenerlo d’occhio, disse che non sapeva nemmeno quando se ne fosse andato. Yongguk si dimenticò presto di lui.

La seconda volta che Yongguk incontrò Youngjae fu all’officina Kim il mese successivo, un ventoso pomeriggio di ottobre.

Daehyun e Yongguk, che si stavano occupando di alcune armi che si erano procurati qualche giorno prima, stavano uscendo dal seminterrato quando lo videro nell’atrio dell’officina ad osservare i suoi dintorni. Yongguk lo guardò strizzando gli occhi, interrogativo, ma il ragazzo gli rivolse di nuovo quello sguardo misterioso e portò un dito alle labbra incurvate in un sorriso, indicandogli di non dire niente. Daehyun scoccò ai due un’occhiata confusa quando Himchan alzò gli occhi dalla moto che stava controllando.

«È solo qualcosina fuori posto, niente che non si possa risolvere,» disse al ragazzo con un sorriso. «La tua piccola ritornerà come nuova in mezz’ora. Puoi farti un giro qui attorno mentre aspetti, o rimanere qua. Fai come ti è più comodo.»

«Allora, penso che rimarrò qua a guardare, se non ti dispiace.»

Il meccanico scrollò le spalle. «Come vuoi.» Poi, si rivolse a Yongguk. «Bbang, portagli qualcosa da bere.»

Presto Himchan finì la manutenzione della moto di Youngjae, che se ne andò dopo aver pagato, ringraziandolo per la disponibilità. Daehyun chiese a Yongguk se si conoscessero, e lui rispose di averlo incontrato al torneo organizzato con le Secret. Sia Himchan che Daehyun annuirono in silenzio, decidendo di tenerlo d’occhio nel caso si ripresentasse in qualsiasi altra occasione.

La terza volta che Yongguk conobbe Youngjae fu un paio di settimane dopo, in una sera di inizio novembre.

Un acquazzone era sceso dal cielo, infradiciando l’asfalto e rendendo l’aria più fredda di quanto lo fosse già. I B.A.P stavano aspettando Junhong, quando questi arrivò in officina zuppo d’acqua nonostante avesse aperto l’ombrello, trascinando con sé un Youngjae incosciente.

«L’ho trovato qui vicino, a terra,» si giustificò Junhong, quando lo fece stendere sul pavimento e tutti gli altri membri si raggrupparono attorno a loro. «Non sapevo cosa ci facesse lì, ma non mi andava nemmeno di lasciarlo sotto la pioggia.» Gli passarono un asciugamano e si affrettarono a portare Youngjae più all’interno, al riparo dal freddo.

Youngjae aveva parecchi lividi su tutto il corpo, e il sangue incrostato sul suo viso non era stato ancora lavato via dalla pioggia; la sua espressione era contratta in una lieve smorfia di dolore. Lo trascinarono di peso al secondo piano, e lo lasciarono, ancora zuppo d’acqua, sul divano rosso («Se la pelle di rovina, ve ne faccio comprare uno nuovo,» li minacciò Himchan).

«Cosa ne facciamo di lui?» chiese Daehyun in tono serio, dopo che si furono riuniti dall’altro lato del piano. Sperarono che Youngjae non si fosse svegliato e stesse origliando la loro conversazione, nonostante stessero quasi bisbigliando.

«Hyung, non parlare di lui come se fosse un oggetto da buttare,» gli rispose Jongup, aggrottando le sopracciglia.

L’altro fece una smorfia poco convinta, assottigliando gli occhi. «Ci conosce. Sa cosa facciamo. L’ultima cosa che voglio è che spifferi tutto in giro, se non l’ha già fatto.»

Himchan annuì. «Sono d’accordo. Non avevamo detto di doverlo tenere bene sott’occhio?»

I membri rimasero in silenzio per un po’, decidendo sul da farsi. Poi Jongup suggerì: «Quando si sveglia, interroghiamolo. Non vedo altra soluzione, francamente.»

Daehyun guardò Zelo, scoccandogli un’occhiataccia. «Avresti semplicemente dovuto lasciarlo per strada, Junhong,» gli sibilò, «avremmo potuto evitare tutto questo.»

Prima che l’altro potesse ribattere, Yongguk lo precedette, evitando un’eventuale discussione tra i due. «No, va bene così. Sono anche curioso di sapere come è finito così e come ha fatto l’altra volta a sapere che uno dei lottatori era dopato.»

Himchan gli rivolse un’occhiata d’avvertimento. «Potrebbe mentire. Dobbiamo stare attenti a cosa gli chiediamo.»

«In quel caso,» rispose Yongguk, «non avremmo altra scelta che credergli.»

«O fargli pensare che gli crediamo,» corresse Jongup. «Se ce lo facciamo amico per un po’, potrebbe pensare che abbiamo abbassato la guardia. E se in quel caso avesse altre intenzioni in mente, lo faremo fuori. Cosa ne pensate?»

Daehyun alzò la mano quasi immediatamente. «Io propongo di farlo fuori già adesso.»

«No, non essere tanto drastico,» disse Yongguk. «È una questione che dobbiamo maneggiare con attenzione. Ucciderlo è troppo, ed essere avventati non è nel nostro stile.»

Lo sguardo di Daehyun si rabbuiò ancora di più, ma non disse nient’altro, sapendo che non avrebbe potuto discuterne ancora con Yongguk. Gli altri decisero che quello sarebbe stato il loro piano, nonostante Himchan la pensasse più o meno come Daehyun.

Passò un po’ di tempo prima che Youngjae si svegliasse. I membri si affrettarono a raggiungerlo appena quello si mise a sedere sul divano. Li scrutò uno ad uno in silenzio, senza la minima traccia amichevole nel suo sguardo. Poi un lato delle sue labbra si alzò con sarcasmo. «Grazie per l’accoglienza. Mi date ancora da bere?» chiese. Quando vide che gli altri cinque lo guardavano ancora dall’alto al basso, impassibili, scrollò le spalle. Una lieve smorfia di dolore passò sul suo viso quando fece ciò.

«Il tuo nome?» domandò Yongguk, continuando ad osservarlo con freddezza. Youngjae gli mostrò invece un sorriso enigmatico.

«Non ho alcun motivo per rispondere,» rispose casualmente.

«Sei da solo, mentre noi siamo in cinque. Credo che questo sia davvero un buon motivo per dirci il tuo nome,» disse Daehyun.

Il ghigno di Youngjae si fece ancora più largo, sebbene i suoi muscoli facciali gli facessero un male atroce. Ignorò il dolore. «In effetti, mi chiedevo perché non l’abbiate ancora fatto. E non facciamo finta, ora. Sapete bene tanto quanto me che potrei bellamente andare a raccontare in giro le vostre meravigliose gesta.»

Ancora una volta, non ricevette alcuna reazione da parte degli altri cinque. Nonostante ciò, Youngjae continuò il suo discorso in tono rilassato. «Sappiate che, per ora, non ho alcuna intenzione di dirvi il mio nome, né di raccontarvi cosa faccio o perché adesso sono in questo stato. Ma rilassatevi, non ho niente contro di voi. Anzi, vi ringrazio per non avermi lasciato a morire sul ciglio della strada.»

Li guardò negli occhi una seconda volta, mentre un silenzio li avvolgeva. Youngjae si permise, allora, di essere più confidente e sfacciato. «Scommetto che non sapete che farvene di me, vero?» chiese, con un leggero divertimento nel tono. «Bene, perché ho una gran bella proposta per voi che risolverà questo problema.

«Lasciate che lavori con voi per un po’ di tempo, fino a quando non finirò di occuparmi di una piccola questione personale. In cambio, vi dirò il mio nome e la ragione per cui sono qui.»

I membri lo guardarono con sospetto. Era vero che dovevano ancora decidere sul da farsi, ma arrendersi a lui? Oh, quello era fuori questione. Non poteva semplicemente rigirare il piano che avevano deciso di mettere in atto tanto semplicemente.

«Cosa ci guadagneremmo noi?» chiese Zelo, incrociando le braccia ed alzando un sopracciglio.

Youngjae gli sorrise, affabile. «Oh, non immaginate quanto. Vi aiuterò in tutto quello che vorrete, sia qui in officina che nei vostri affari.» Alzò una mano e con l’indice si picchiettò un paio di volte la tempia. «Non sottovalutate questo cervello. Ho delle succulente informazioni immagazzinate dentro, e conosco i giusti modi per far affari. Vi sarò d’aiuto più di quanto pensiate. E credetemi, quando vi dico che non ho alcuna ragione per mentirvi: sono un codardo, e vorrei solo salvarmi la pelle, tutto qui.»

Yongguk lo guardò negli occhi. Sapeva che il resto dei suoi compagni avrebbe semplicemente seguito quello che avrebbe deciso, anche nel caso fossero stati in disaccordo. Youngjae era tranquillo, ed aspettava pazientemente la loro risposta, ancora seduto sul divano. Yongguk rifletté sulle sue parole, dicendosi che il loro obiettivo era, comunque, farselo amico. E pensò che sarebbe stato interessante osservare i suoi movimenti da vicino.

«Bene, ci sto,» gli rispose infine. Sentiva lo sguardo perplesso di Daehyun su di sé, ma lo ignorò. Ne avrebbe discusso con lui più tardi.

Youngjae sembrò più che felice di sentirglielo dire, dal gran sorriso che gli lanciò. «Fantastico,» disse con entusiasmo.

Himchan assottigliò gli occhi alla sua reazione. «Frena un attimo. Sappi che se tenti di fare qualcosa, puoi dire addio al mondo. Intesi?»

Youngjae gli fece un cenno di assenso, alzando le mani. «Afferrato. E, comunque, non ho davvero niente contro di voi, promesso.» Successivamente, allungò la mano verso Yongguk. «Allora, affare fatto?»

Il leader gliela afferrò. «Affare fatto. Ora, rispetta la tua parte del patto.»

L’altro, divertito, emise una bassa risata. «Yoo Youngjae, al vostro servizio.»

 

Himchan accostò la macchina al marciapiede e sostò, spegnendo poi il suo motore. La notte era silenziosa attorno a loro, e se avessero ascoltato attentamente, avrebbero sentito i primi grilli estivi cantare. A pochi metri dal veicolo, il mare era calmo. Pochi flutti ne increspavano la superficie, con le onde scroscianti che battevano contro il molo, mentre il cielo era costellato da invisibili stelle.

Tutto era tranquillo.

I B.A.P scesero dall’auto senza dire una parola. Un’aria fresca inusuale li avvolse, impregnato dell’odore salato del mare a pochi passi da loro, tuttavia non erano lì dove erano diretti.

L’entrata al passaggio sotterraneo era sbarrata da un paio di nastri. I B.A.P sapevano che la stazione era dimenticata, ma non inutilizzata. I cinque membri scesero le scale, entrando facilmente nella struttura buia in cui avevano messo piede già precedentemente. Tuttavia, mai si erano sentiti tanto coscienti di ciò che avrebbero fatto quanto questa unica volta.

Le poche luci mal funzionanti illuminavano debolmente la loro via. Sparse sul pavimento vi erano casse di legno, contenitori di vernice inutilizzata e spazzatura di ogni tipo, da carte logore a lattine di alluminio e bottiglie di vetro. L’odore di cemento e stucco circondava il tutto, facendo sembrare l’aria soffocante nonostante facesse più freddo che in superficie.

Dopo aver percorso un paio di metri, il gruppo si trovò di fronte ad una seconda rampa di scale. Fu lì che un po’ di esitazione si presentò. Yongguk, che guidava il resto dei membri, si voltò verso loro e li guardò uno ad uno. Le lampade che penzolavano dal soffitto proiettavano su di loro una brutta, pallida luce biancastra. Notò con la coda dell’occhio il tremore delle mani di Zelo, e si sentì in colpa per pensare di non essere l’unico nervoso (e forse terrorizzato) in quel momento.

Si trovò, per la prima volta in tutti quegli anni che aveva guidato i B.A.P, senza sapere cosa dire ai suoi compagni prima di entrare in azione. «Pronti?» chiese semplicemente, al quale loro risposero con un cenno del capo, lo sguardo truce. Yongguk decise di lasciar stare, e si voltò nuovamente verso le scale.

Le scesero in silenzio, ignorando cosa li aspettava. Quando misero piede sulla piattaforma della fermata inutilizzata, i COB.ra erano già lì ad aspettarli. Fermandosi di fronte a loro, i B.A.P videro Youngjae in fondo al gruppo con il corpo piegato in avanti, ma il viso sofferente era alzato verso la loro direzione. La luce sporca della lampada faceva sembrare le sue ferite persino peggiori di quanto ricordassero dai filmati a loro mandati. I suoi occhi erano stanchi, provati. Yongguk soppresse a stento la voglia di strapparlo dalle mani dei loro nemici.

Haejong era davanti a Youngjae, con un ghigno beffardo sulle sue labbra. I B.A.P non commentarono, sebbene tremassero impazienti all’idea di staccargli la testa e di strappargli le viscere dal corpo.

L’altro leader era all’oscuro dei loro pensieri, ma decise di non perdere altro tempo in inutili scambi visivi. «I soldi?» chiese, senza altri convenevoli. Jongup, che teneva le due valigette stipate di denaro, le passò a Yongguk senza dire alcuna parola. Il leader alzò le alzò per farle vedere bene all’altro gruppo, lasciandole poi cadere per terra. Le due ventiquattrore batterono sul cemento, risuonando in un sordo tonfo che echeggiò per le gallerie della stazione.

Haejong istruì uno dei suoi tirapiedi a recuperare il denaro. L’uomo si avvicinò velocemente alle due valigie, prendendone una e scoprendone il contenuto. Le banconote erano riordinate in delle perfette fila. Dopo aver ricevuto un altro cenno dal suo capo, ritornò da lui con il loro bottino stretto nelle mani.

«Hai quello che vuoi ora, lascia andare Youngjae,» ordinò in tono duro Yongguk, sperando di finire al più presto quello scambio. Si aspettava che Haejong gli lanciasse un altro dei suoi sorrisi maligni, domandando qualcos’altro da loro, come aveva sempre pensato sarebbe andata. Ma non successe.

«Certo,» rispose invece, prendendo Youngjae per la collottola della sua camicia sporca e tirandolo verso i suoi compagni, «tutto vostro.»

Yongguk sapeva che avrebbe dovuto continuare a stare all’erta, ma non riuscì a sentire la tensione lasciare il suo corpo. Sentì Daehyun tirare un sospiro mozzato dietro di lui e Zelo fare un minuscolo passo in avanti. Tutti i membri dei B.A.P sentirono come se fosse stato levato un gran peso dalle loro spalle.

Youngjae si trascinava barcollando verso i suoi compagni, con un sorriso sulle labbra spaccate e sanguinanti, e gli occhi tenuti a stento aperti. Yongguk e gli altri membri iniziarono ad avvicinarsi a lui, desiderando ardentemente di ritornare finalmente insieme, di proteggerlo dal male del mondo.

Poi un botto. La maglietta di Youngjae iniziò a colorarsi di rosso all’altezza del suo torace.

I B.A.P rimasero storditi per qualche istante dal suono assordante. Guardarono prima Youngjae, poi l’uomo vicino a Haejong che aveva la pistola puntata verso di loro, poi di nuovo Youngjae, e di colpo misero i pezzi insieme.

Il boato risuonava crudelmente nelle loro orecchie – possibilmente, si fece persino più forte – mentre Youngjae li guardò uno ad uno negli occhi, realizzando lentamente la situazione, strozzandosi nel suo stesso sangue che ora stava risalendo dai suoi polmoni nella sua trachea, sgorgando fuori dalle sue labbra. Vide i suoi compagni immobili, con gli occhi sgranati, increduli; quella vista era raccapricciante. Poi le sue gambe non riuscirono più a sostenere il suo peso, e crollò sul duro e freddo cemento. Non si mosse più.

I B.A.P rimasero impietriti per alcuni secondi, presi dallo shock. I loro occhi erano incollati a Youngjae che era steso per terra, con una pozzanghera di sangue che cominciava a fiorire sul cemento. Successivamente, spostarono lo sguardo su i COB.ra di fronte a loro.

Poi l’inferno scoppiò.

Yongguk fu il primo a muoversi. Allungò la mano nel suo cappotto, e dalla cintura sfilò la sua pistola. Con un grido strozzato, cominciò a premere il grilletto verso il gruppo nemico, riuscendo a colpire alcuni uomini, e Haejong sulla gamba.

Tuttavia, la sua performance non durò molto, dal momento che anche i suoi avversari avevano preso le armi e ora stavano sparando esclusivamente a lui. Con poche pallottole affondate nel corpo, si accasciò per terra con un grave grugnito, lasciando andare la presa sulla sua arma.

Mentre gli altri membri erano andati a ripararsi dietro le travi e le casse che si trovavano fortunatamente vicini a loro, Zelo si era bloccato alla vista del suo hyung crollare. Disorientato ed improvvisamente impaurito, si affrettò al fianco del leader tentando di rialzarlo, tra i colpi frastornanti delle pistole e le urla dei suoi altri compagni – «Junhong, stupido, spostati da lì!», «Via da lì, Junhong!», «Ti farai uccidere, cazzo!» – alle cui lui rispondeva con grida tremanti – «No! Yongguk hyung– lui è– non posso–».

Il secondo a cadere fu Daehyun. Ripresosi dalla situazione scioccante, sentiva la rabbia ribollire nel suo corpo, e si disse che a quel punto non avrebbe potuto più perdere niente, uscendo dal suo riparo. Impugnava due pistole mentre avanzava tra i suoi compagni senza esitazione, ululando per il male sentito al suo cuore (era come se glielo avessero squarciato in due parti). La sua mira in quel momento non era delle migliori; non riusciva a vedere al di là della sua sete di vendetta, ma riuscì ad uccidere qualche paio di uomini prima di essere colpito da innumerevoli pallottole nel petto. Il suo corpo scosse violentemente prima di afflosciarsi per terra, formando una piccola pozza di sangue.

Fu la volta di Jongup. Zelo ancora non intendeva muoversi dalla sua posizione, sebbene avesse cominciato ad imitare i suoi hyung con esitazione. Venne strappato via dal corpo insanguinato di Yongguk da Jongup, che mirava ancora con la sua solita meticolosità ed uccideva con colpi mortali, nonostante i suoi pensieri fossero gli stessi di quelli di Daehyun poco prima. Questo non lo seppe mai,era troppo impegnato a digrignare i denti e ad odiare con tutto sé stesso quei bastardi che avevano osato spezzare la sua famiglia. Poi uno sparo alla sua tempia ed uno al suo cuore, e tutto finì.

Con quattro dei suoi compagni più anziani ormai morti, Zelo non ebbe più tempo di esitare. Non aveva idea di cosa pensare, solo il ricordo lontano di Yongguk e Jongup nell’angolo della sua mente ripetergli “Puntare e sparare; facile, giusto?” come un disco rotto. Era un’azione automatica e meccanica, ripetuta già infinite volte, eppure la pistola si era fatta mille volte più pesante del solito. Quando si sentì l’addome ed un polmone bruciare, pensò che avrebbe davvero voluto che i B.A.P non finissero in quel modo.

La stazione era diventata incredibilmente più silenziosa. L’ultimo rimasto fu Himchan, che uscì da dietro le travi appoggiate al muro e puntò diligentemente la sua pistola sui suoi avversari, sparando i suoi ultimi colpi. Non era del tutto sicuro di cosa sarebbe rimasto di lui, se fosse davvero sopravvissuto senza i suoi membri. Ma non gli fu necessario pensarci. Un paio di spari dopo, sentì la sua trachea esplodere e subito dopo il suo cuore si contrasse, squarciati entrambi da due pallottole. Vomitò sangue quando il suo corpo colpì terra, poi fu il buio.

Tutto rimase immobile per qualche secondo. L’odore della polvere da sparo nell’aria si stava mischiando lentamente con quello del sangue, che ora tingeva il cemento con sinistre figure color carminio. I corpi raggruppati in due diverse masse giacevano a terra, inermi.

Quando tutto sembrò sicuro, Haejong si alzò lentamente dal suolo. Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno fosse ancora vivo, e allungò le mani verso le due ventiquattrore piene di denaro, da lungo abbandonate. Strisciando la gamba ferita, si diresse con fatica verso l’uscita.

Tuttavia, Yongguk ancora non voleva dargliela per vinta. Guardò il viso di Youngjae a poche decine di centimetri dal suo; i suoi occhi ancora aperti erano adesso vitrei, e il suo corpo era caduto in una posizione grottesca e scomoda, ma come potrebbe un morto saperlo? Come potrebbe un morto sapere di essere tale?

Yongguk non aveva tempo per pensarci. Con l’ultimo briciolo di forza che gli era rimasto, prese la pistola cadutagli pochi minuti prima. Il suo corpo indolenzito protestò con forza per il dolore allucinante quando si mise in ginocchio. Aveva il respiro corto e gli girava la testa; era esausto, avrebbe voluto semplicemente lasciar stare, ma aveva altre intenzioni. Mirò la canna della sua pistola come meglio poté alla testa di Haejong, che stava tentando di andarsene da lì, e premette il grilletto.

Il rinculo gli sembrò talmente forte che credette di essersi slogato una spalla, ma non importava. Ciò che importava era che Haejong, colpito al torace, era crollato sul pavimento. Yongguk ascoltò per qualche minuto i suoi gemiti strozzati di dolore, fino a quando il silenzio regnò nuovamente – questa volta, niente si mosse più. Preso dalle vertigini per aver perso troppo sangue, il leader dei B.A.P poté finalmente rilassarsi. Chiuse gli occhi.

Prima che le forze dell’ordine arrivassero sul luogo, passò più di un giorno. Allora, non trovarono più nessuno che potesse raccontare loro le dinamiche della sparatoria, neanche se lo volessero. Una massa di cadaveri era l’unica cosa che rimaneva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Yongguk aprì gli occhi, e si trovò avvolto da un mare di bianco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N/A: SBAM. Non vi aspettavate che finissi così, eh? Cosa sta succedendo? Leggete l’ultimo capitolo per scoprirlo! (Sembro la presentatrice di un prodotto casalingo lmao)

Alla fine ho deciso di dividere la quarta parte in due, perché era venuta davvero troppo lunga. Questo non vuol dire che siano due capitoli a se stanti! È davvero un capitolo unico. Dovrebbe essere letto insieme (ma io vi faccio aspettare perché sono la persona peggiore del mondo).

Avrei voluto aggiornare ieri, ma avevo perso la mia chiavetta USB aka la mia intera vita. Dentro ho tutti i miei progetti scolastici, fanfictions, foto e quant’altro, e ho praticamente messo sottosopra la mia casa. Ero disperata come mai ero stata. Solo tipo due ore fa ho scoperto che era nella tasca di un paio di jeans che avevo messo a lavare in lavatrice. È un miracolo che funzioni ancora. Cara chiavetta, prometto di non perderti più per il resto della vita, di amarti ed onorarti, finché morte non ci separi.

Due parole sulla playlist: appena ho sentito la nuova canzone degli Infinite, mi sono subito detta: Questo è un brano perfetto per il capitolo. E poi ho riscoperto il mio amore per Haru Haru e ho pensato la stessa cosa. La versione unplugged di Come back home era un must, dai. Penso sia qualcosa di stupendo.

Vorrei ringraziarvi per seguire e recensire questa inutile storia lmao. Credevo avrebbe avuto un successo mediocre con tipo zero recensioni ahahha grazie mille sul serio sob

Rainie

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Capitolo 5
*** pt.4 (2): finale ***


playlist: coma – b.a.p.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si sentiva accecato e stordito. Dov’era? Cosa stava facendo? La sua mente era un vortice di domande a cui non sapeva dare risposta.

Si guardò intorno – non che ci fosse molto da guardare. Un’apertura sul soffitto gli mostrava un pezzo di cielo notturno costellato da piccoli e luminosi puntini, mentre il resto gli sembrava solo una distesa infinita di bianco. Una sensazione di chiuso lo avvolgeva, e tentò di muoversi, per poi scoprire che non ci riusciva, nonostante non sentisse niente che gli stesse bloccando gli arti.

Non gli restò che attendere, immobile. Ci vollero alcuni momenti perché un’informazione attraversasse la sua mente: il suo nome era Bang Yongguk, e aveva dei compagni. Non ci fu altro.

I minuti passarono lentamente. Poi il vetro sopra di lui si mosse e si ritirò in un’apertura al suo fianco, e a Yongguk parve di riuscire finalmente a respirare. Accorgendosi che ora poteva muoversi dalla sua posizione supina, si mise a sedere. Notò che era stato chiuso in una specie di capsula cilindrica. La metà dove era la parte superiore del suo corpo era stato coperto dal vetro, mentre il resto era formato da un materiale che non riusciva a riconoscere. Un metallo, forse, completamente bianco. Yongguk vide che anche il suo abbigliamento – una semplice canottiera e dei larghi pantaloni da lavoro – non era che bianco.

Ora libero, Yongguk poté dare una migliore occhiata attorno a sé. La cupola che mostrava il cielo sopra di lui racchiudeva un laboratorio circolare. Contro le pareti vi erano diversi armadi e cassettiere, e dei tavoli, su cui giacevano dei fogli scritti fitti e delle penne, erano sparsi per la stanza. Infine, alcuni macchinari di cui lui ignorava la funzione erano in piedi ad una estremità della sua capsula. Il tutto era, ancora una volta, di un candido bianco.

Vide che non era solo. Altre capsule uguali alla sua erano in fila ai suoi fianchi. Le quattro alla sua destra erano ancora coperte dal vetro, e Yongguk si sorprese di come riuscì a riconoscere le persone al suo interno, nonostante fosse la prima volta che li vedesse – Himchan, Daehyun, Jongup, Junhong. I loro occhi erano chiusi.

Voltandosi dall’altra parte, trovò la capsula alla sua sinistra vuota. Yongguk la guardò un po’ confuso, prima di sentire alcuni passi avvicinarsi. Un giovane apparve accanto ad essa, vestito dei suoi stessi indumenti bianchi. Aveva un mezzo sorriso che tirava su un lato della sua bocca, e la mente di Yongguk gli diede automaticamente un nome: Youngjae.

«Hey, hyung,» disse, salutandolo con la mano. Yongguk non sapeva niente del nuovo arrivato, ma c’era qualcosa nella curva del suo sorriso, nella profondità delle sue pupille, o nel modo in cui lo aveva chiamato “hyung”. Qualcosa che gli diceva che non era la prima volta che lo vedeva, che, piuttosto, si conoscevano da molto, molto tempo.

Yongguk si decise di scendere dalla sua capsula. Un brivido gli percorse il corpo quando i suoi piedi nudi toccarono il freddo pavimento. Guardò Youngjae di fronte a lui, e cercò qualcosa sul suo viso che potesse dargli qualche indizio. Poi si accorse che, nel fissarlo, doveva sembrare un completo ebete. «Uh, ciao,» borbottò. Non sapeva davvero cosa fare. Cosa avrebbe dovuto dire a qualcuno che aveva appena incontrato?

Youngjae, probabilmente, colse l’imbarazzo di Yongguk. «Ti va di fare un giro?» disse, indicando col pollice la porta dietro di lui. Quello sciolse, almeno in parte, la tensione.

 

Il corridoio, al quale non sembrava esserci una fine, era confinato da delle pareti dipinte di un candido bianco, prive di imperfezioni. Yongguk non aveva mai visto niente di tanto immacolato – sempre se avesse mai visto qualcosa per davvero.

A parte loro due, vi erano solamente alcune persone vestite con dei camici da laboratorio, i quali li passavano senza dare loro una seconda occhiata. Yongguk e Youngjae camminarono per qualche minuto in un silenzio teso per il primo, tranquillo per il secondo. Sembrava che Youngjae non avesse alcun problema a camminare fianco a fianco con un perfetto sconosciuto, come se fosse naturale.

Yongguk non aveva idea su cosa fare, così decise di dar sfogo a quelle domande che lo stavano tormentando sin da quando si era svegliato. «Senti, mi sai dire cosa– perché ci troviamo… qui?» chiese, sfregandosi i palmi umidi per il sudore. Non sapeva nemmeno se Youngjae ne sapesse più di lui.

Tuttavia, Youngjae sembrò sicuro di quel che avrebbe detto. «Oh, è una domanda difficile,» rispose, con i passi che continuavano a risuonare con un ritmo costante. «Quando mi ero svegliato, ero confuso anch’io. Partiamo dicendo che siamo in un centro chiamato Mato. È una struttura che governa– non chiedermi cosa. Hanno usato dei paroloni assurdi per spiegarmelo. In parole povere, è qualcosa che ha a che fare con come va il mondo, credo.»

Yongguk sbatté le palpebre, confuso dalle sue parole. Non aveva idea di che mondo Youngjae stesse parlando. L’unico mondo che aveva mai conosciuto erano le pareti bianche che li stavano circondando. «E noi…»

«Noi siamo qui perché facciamo parte di un grande progetto,» continuò Youngjae, «e ci sono un altro sacco di persone oltre a noi. Non intendo solo quelli che erano nella nostra stanza; ce ne sono altri milioni, miliardi, che ne fanno parte. Ma non so i dettagli precisi, mi dispiace.»

Quando arrivarono ad un incrocio di corridoi, decisero di svoltare a sinistra. Yongguk continuava a non capire, ma, nonostante ciò, decise semplicemente di accettare quello che Youngjae gli stava dicendo. Magari avrebbe capito più tardi.

«E i quattro che erano insieme a noi?» gli chiese successivamente. Avrebbe voluto chiamarli con il loro nome (che gli sembrava la cosa più giusta da fare), ma pensò che forse Youngjae lo avrebbe preso per folle, sebbene quella situazione gli paresse già folle abbastanza.

Questa volta, l’altro esitò prima di parlare. «Eravamo un gruppo,» spiegò, con un lato della bocca che si tirava su amaramente, «ma è finita male.»

A quelle parole, Yongguk fece un «Oh» sorpreso. Paradossalmente, in quell’assurda spiegazione, quelle parole gli parevano giuste e sensate. Veritiere. Se lo sentiva, così come sentiva che Youngjae e gli altri quattro erano lontani dall’essere degli sconosciuti. L’idea gli suonava particolarmente adatta, e riusciva persino a farsela piacere.

«Quindi, ora siamo bloccati qua?» domandò, dopo aver processato quello gli era stato detto.

Svoltarono di nuovo a sinistra, e si trovarono in un nuovo corridoio. A differenza dei precedenti, questo aveva il soffitto a volta di vetro. Le mille stelle fecero di nuovo capolino nell’interno di quella struttura candida, e Yongguk si sentì rilassato nel poterle vedere di nuovo. Questo, tuttavia, non rallentò i loro passi.

«Non esattamente,» gli rispose Youngjae quando lo guardò negli occhi. Quel contatto durò solo un momento, dato che Youngjae alzò poi lo sguardo al cielo, fissandolo distrattamente. «Siamo finiti male, perché qualcosa è andato storto. È stato un difetto nei macchinari, o forse nella programmazione o nella scaletta che si doveva seguire; non so quali sono i dettagli. Ora stanno decidendo se lasciare tutto così o cambiare quello che ci è andato male. Così mi hanno detto.»

Un silenzio li avvolse. Yongguk sentì che era sbagliato, terribilmente sbagliato, ma cosa, esattamente, era sbagliato? Non conosceva Youngjae – o, almeno, non gli sembrava di averlo mai visto in vita sua. Eppure, perché gli sembrava che quello non fosse il modo in cui quel colloquio doveva andare? Perché gli sembrava di dovergli dire una marea di cose quando la sua mente non sapeva cosa pensare?

Doveva pur esserci qualcosa di sensato in quella conversazione.

«Sembra che tu sappia un sacco di cose, » gli fece con ammirazione, non sapendo che altro dire. Yongguk lo guardò abbassare lo sguardo su di lui, mentre un sorriso gli arricciava i lati della bocca. Quella scena gli sembrò tanto familiare da togliergli il fiato.

«Solo un po’,» rispose in tono imbarazzato. «Sono semplicemente stato trascinato in una stanza, dove ho tenuto un colloquio che mi ha fatto venire la pelle d’oca. So cosa ci è successo, cose del genere.»

«Ti va di raccontarmi?» gli domandò Yongguk. Sperava che, nella sua risposta, avrebbe trovato quel qualcosa che stava cercando di capire.

Lo sguardo di Youngjae si sciolse appena, impercettibilmente. Poi gli lanciò un sorriso rilassato. «Perché no?»

Youngjae gli raccontò la storia di sei ragazzi. Sembrava che ad ogni parola il suo sguardo vagasse ad un ricordo invecchiato, sepolto, lontano. Ma lui sorrideva ogniqualvolta arrivava ad un episodio divertente, come quando uno di loro aveva fatto una battuta particolarmente brutta, come quando uno di loro dovette offrire il pranzo a tutti quanti perché era stato ingannato.

Gli raccontò di come si erano conosciuti, delle loro circostanze, dei loro alti e bassi. Gli raccontò di tutto quello che doveva essere saputo e mai più dimenticato.

Yongguk lo ascoltava, affascinato. Ogni frase pronunciata da Youngjae veniva scolpita nella sua mente, e quasi riusciva a sentire i ricordi fiorire in lui. Un cocktail di voci, immagini e odori sembrava risalire in superficie automaticamente, se Yongguk avesse provato a spingere la sua immaginazione un po’ più in là. Non sapeva come, ma c’era qualcosa di particolarmente rassicurante in quella storia. Non la conosceva, ma gli sembrava di vederne tutti i dettagli anche solo grazie al racconto di Youngjae.

Avrebbe voluto sognare quelle parole tutto il tempo. Yongguk si chiese se fosse stato un sognatore.

«E poi voi siete venuti a salvarmi,» disse infine Youngjae, quando raggiunsero una porta. Yongguk si accorse che erano ritornati alla loro stanza. «Avete dato loro i soldi, ma poi– poi mi hanno sparato lo stesso. Un colpo. Bang. E voi eravate sconvolti. Avete cominciato a sparare, ma è finita male. Sembra che non sia sopravvissuto nessuno.»

«E quindi, eccoci qui,» concluse Yongguk. L’altro gli lanciò un sorriso.

«Eccoci qui.»

«Senti Youngjae – ti chiami Youngjae, vero? – pensi che io sia una cattiva persona?»

Il più giovane lo guardò, confuso dalla sua domanda. Yongguk si sentì improvvisamente imbarazzato per averglielo chiesto. Cominciò a gesticolare (decise che, probabilmente, non era mai stato bravo a parlare). «Suona come una domanda stupida, vero? Non lo so, volevo– volevo chiedertelo; sembra che io abbia fatto tante cose crudeli, e credo che devo sapere se–»

Si sentiva un idiota per avergli chiesto una domanda del genere. Non sapeva nemmeno come esprimersi. Forse voleva solo avere una conferma. «Insomma. È stato istintivo, scusa. Probabilmente non ero fatto per una vita da criminale. Se avessi scelto di fare il maestro d’asilo, forse sarei riuscito a vivere in pace.»

Yongguk avrebbe voluto schiaffeggiarsi per quanto stupido stava sicuramente sembrando. Invece, sentì Youngjae ridere, e non gli suonava come una risata canzonatoria. Lo guardò, comunque imbarazzato.

«Sei divertente, hyung,» disse Youngjae. «Penso che ora so perché ci piaceva starti attorno.»

Yongguk gli sorrise impacciatamente. «Dici? Io non penso di esserlo per niente.»

«Voglio dire che non c’è nessuno al mondo che si preoccuperebbe per una situazione passata e finita. Hyung, tu batti tutti quanti, credimi. Per risponderti, no, non penso che tu sia una cattiva persona. Va bene, ora?»

Yongguk roteò gli occhi, ridendo. «Non mi sembri per niente convinto.»

Youngjae gli lanciò invece un sorriso d’intesa, mentre afferrava la maniglia della porta. «Vedi? Per questo sei divertente.»

Con un sospiro, il più anziano accettò le parole dell’altro. Non era esattamente quello che si voleva sentire, ma forse aveva ragione, quando diceva che era l’unico che si sarebbe preoccupato per qualcosa del genere. Decise che Youngjae sapeva scegliere bene le parole da usare.

Quando aprirono la porta ed entrarono nella stanza, videro che le quattro capsule non erano ancora aperte, e che i loro compagni erano ancora stesi dentro di esse, le palpebre abbassate in un sonno rilassato. Tuttavia, oltre a loro, ora c’era un uomo vestito con un camice bianco, che stava leggendo i fogli sparsi sul tavolo con un’espressione concentrata.

Yongguk lo guardò, perplesso. L’uomo alzò lo sguardo, accorgendosi della loro presenza. «Oh, siete tornati,» disse con tranquillità. «Giusto in tempo. Sdraiatevi di nuovo nelle vostre postazioni, fra un minuto ci sarà il rewind.» E, una volta dato l’ordine, si avviò verso di loro ed uscì dalla stanza, lasciando i due spaesati e disorientati dalle sue parole.

Youngjae fu il primo a parlare. «Sembra che non vogliano lasciar passare liscia questo contrattempo,» commentò, con un ghigno sarcastico sulle labbra. Non sapendo che altro fare, i due si prepararono a coricarsi nelle loro rispettive posizioni.

Fu quando Youngjae si mise supino nella propria capsula che si voltò verso Yongguk e gli regalò nuovamente un mezzo sorriso, ma genuino. «Hyung, grazie per essere venuti a salvarmi,» gli disse, proprio mentre i vetri delle loro capsule si chiudevano su di loro.

Yongguk si sorprese alle sue parole. “Perché dovresti ringraziarmi?” avrebbe voluto chiedergli, ma si sentiva già le palpebre pesanti chiudersi. Si limitò a ricambiargli il sorriso.

«Fra un po’,» disse, sebbene fosse sicuro che Youngjae ora non riusciva più a sentirlo, «ci vediamo fra un po’.» Pensò che, francamente, non c’era bisogno di altre parole. La sensazione di turbamento di quando si era svegliato era sparita, e ora poteva dire che quella loro conversazione era andata proprio come doveva andare.

Mentre guardava quel pezzo di cielo stellato che aveva di fronte, il sonno si impossessò di lui.

 

 

Yongguk sbatté le palpebre un paio di volte, ritornando alla realtà e scacciando via quella visione spaventosa dei suoi compagni morire.

Guardò Youngjae ancora di fronte a lui, che gli si stava avvicinando con quello stesso sorriso indecifrabile che aveva visto su di lui la prima volta che lo aveva incontrato. Ma non era più importante, ora Youngjae era al sicuro, e Yongguk gli venne incontro, rilasciando il respiro che non si era accorto di aver tenuto fino ad allora. Circondò, rassicurante, le sue spalle con un braccio perché ora era a casa, ora non dovevano più fare niente.

Era questo quello che Yongguk pensò, prima di sentire un po’ troppo presto la familiare sirena della polizia in lontananza ed innumerevoli passi sulle scale alle sue spalle aumentare di volume.

 

Youngjae percorse il corridoio in silenzio. Da alcune stanze provenivano voci, ronzii di fax e stampanti, risate. Di tanto in tanto, da una porta usciva un suo collega, e si scambiavano un veloce saluto. Oltre a ciò, vi era solo il rumore dei suoi passi a riempire i canali delle sue orecchie.

Si fermò davanti ad una porta con una targhetta dorata: l’ufficio del sovrintendente. Senza attendere altro tempo, picchiò sul legno un paio di volte, ed aspettò fino a quando dall’interno non gli diedero il permesso di entrare prima di girare la maniglia.

Una volta dentro l’ufficio, si assicurò di chiudere la porta per bene, voltandosi poi verso l’interno della stanza. Seduto alla scrivania di mogano, che aveva solamente un PC posizionato da un lato ed un paio di documenti stesi al centro, vi era un uomo sulla quarantina, con i capelli neri striati di fili argentati, pettinati all’indietro in modo immacolato, e l’uniforme privo di disordinate pieghe. Questi alzò lo sguardo dal foglio che stava esaminando, lanciandogli un mezzo sorriso. «Prego, accomodati pure,» gli disse gentilmente, mostrandogli con la mano la sedia di fronte. Youngjae obbedì con un cenno del capo.

«Francamente, non ho mai prestato attenzione al tuo curriculum fino a poco tempo fa,» gli riferì, abbassando lo sguardo sul documento in mano. «Yoo Youngjae. Diplomato speciale all’accademia di polizia con il massimo dei crediti a diciassette anni. Membro del dipartimento anticrimine, membro temporaneo della squadra S.W.A.T., partecipazione ad un confronto armato ed un arresto ad alto rischio… questo in soli dieci mesi di servizio?»

«Sì, signore,» rispose Youngjae, con l’espressione impassibile. Alle sue orecchie, quelle parole non suonavano nemmeno lontanamente come qualcosa di cui essere fieri, ma erano, piuttosto, dei semplici conseguimenti di vita.

Il commissario fece dei lenti cenni con il capo, impressionato. Ritornò con lo sguardo sul suo curriculum.«Leggo che la tua specialità è lo spionaggio, ed hai portato a termine diverse operazioni senza fallire; confermi?»

«Confermo, signore.»

«Benissimo. Allora mi aspetto che tu abbia le capacità per completare questo incarico che sto per illustrarti.»

Youngjae inclinò lievemente la testa di lato, perplesso. L’ispettore suo capo gli aveva semplicemente detto che il commissario sovrintendente lo cercava, con un tono misterioso nella voce, senza dargli nessun dettaglio. Sapeva già che si sarebbe trattato di qualche nuovo compito, ma si chiese perché non fosse stato assegnato ad un agente più veterano invece che a lui.

Il suo superiore posò il suo curriculum sulla scrivania e si appoggiò solennemente allo schienale della sua poltrona girevole. «È un’operazione di spionaggio molto rischiosa,» lo informò, «e si protrarrà probabilmente per molti mesi, forse un anno o più. Hai il diritto di rifiutare, se non te ne senti all’altezza; provvederò ad affidare questo compito a qualcun altro. Ma spero che tu accetti.»

Youngjae fu lievemente sorpreso dall’ultima parte. Non gli era mai capitato di poter avere una parola sugli ordini a lui dati nei dieci mesi precedenti. «Vorrei saperne prima i dettagli, se è possibile,» rispose.

Il commissario annuì. «Certo, ovviamente.» Allungò la mano verso un cassetto alla destra della scrivania, e ne tirò fuori una busta giallognola, che gli porse. Youngjae la prese con calma e alzò la linguetta che la sigillava; dentro trovò un sottile fascicolo di non più di dieci pagine. Sulla copertina lesse “B.A.P”, stampato a caratteri maiuscoli sotto il numero del documento.

«Sicuramente ne avrai sentito parlare,» gli disse. «Sono in giro da qualche anno; due, per essere precisi. Tutto quel che conosciamo di loro si può contare sulle dita delle mani. Non sappiamo niente sul loro passato, né quali sono i loro nomi o la loro età esatta. Inizialmente, erano un gruppo di quattro persone, ma alcuni mesi dopo sono diventati cinque. Questo è quello che sappiamo di certo. Questo, e il fatto che stanno facendo cadere questa città nel degrado.»

Youngjae lesse velocemente i crimini di cui erano sospettati o che avevano commesso. Si passava da furti di opere di valore a traffici illegali, violenza di gruppo, sfociando persino in diversi assassinii – una nota puntualizzava che si speculava si trattasse di una banda mercenaria. Nonostante tutto, non era niente con cui Youngjae non fosse familiare.

Le pagine da esaminare finirono presto, così chiuse il fascicolo e lo appoggiò sulla scrivania.

«Vuole che io penetri tra loro e li colga sul fatto?» chiese al suo superiore. Quello si staccò dallo schienale della poltrona e si piegò in avanti, appoggiando gli avambracci sulla scrivania e tenendo nella mano sinistra il pugno destro. Il suo sguardo si era fatto più duro di prima.

«Voglio che tu entri a far parte di questo circolo di criminalità organizzata. Parteciperai ad aste clandestine e mercati neri, sarai considerato un criminale da tutti i cittadini e sarai costretto a contare solo su te stesso e sulla tua esperienza. Dovrai costruirti una strada per entrare tra i B.A.P. A quel punto, dovrai fidarti solo di loro, ma non del tutto. Quel che basta perché loro si fidino di te; immagino che tu capisca cosa intendo. Nel mentre, non solo ci procurerai informazioni su di loro, ma anche sugli altri criminali, cosicché possiamo arrestarne il più possibile.» Il tono con cui gli disse tutto ciò fu aspro e pungente, quasi con una punta di disprezzo, ma Youngjae non batté ciglio.

Il commissario gli sorrise lievemente, ironico. «Lo ammetto io stesso, è un’operazione che fa davvero schifo. Ma è l’unica soluzione più o meno efficiente che abbiamo trovato, e che non abbiamo ancora provato a mettere in atto. Voglio che abbia successo.

«Sei giovane, dovresti avere più o meno la loro età. Riuscirete a comunicare sullo stesso piano. Sei un genio, avranno per forza qualcosa per la quale sarai utile. E sei una spia. Hai esperienza di operazioni di spionaggio, sai cosa pensare e come agire. Per questo penso che tu sia all’altezza di questo compito.»

Youngjae fece un cenno di comprensione. Non era niente di che, la durata dell’operazione era un più lunga del solito, ma niente a cui non potesse abituarsi. In testa aveva quel mantra che si era ripetuto negli ultimi anni – giustizia, giustizia, ho bisogno di sapere, giustizia – e non esitò per un altro momento. «Accetto con piacere l’incarico. Può fidarsi di me,» rispose con un sorriso confidente.

Lo sguardo del commissario rimase immutato. «Ne sei sicuro? Puoi sempre rifiutare.»

«Rifiutare non avrebbe significato, uno di noi agenti dovrà comunque farlo. E, con la buona parola che ha messo su di me, mi sentirei in imbarazzo se non accettassi.»

Il suo superiore annuì. «Bene. Allora do subito l’ordine di iniziare i preparativi. Comincerai tra un mese.»

Youngjae mantenne quel sorriso affabile sulle labbra. «Sissignore.»

Dopo aver sentito la sua risposta, il suo superiore gettò un’altra occhiata al curriculum. Rimase per qualche secondo in silenzio, prima di parlare ancora. «Qui è scritto che hai avuto un passato turbolento. Tua madre… un vostro parente e tuo padre la uccisero quando eri davvero giovane. Sono ancora a piede libero, e probabilmente conducono affari clandestini.» Si fermò fino a lì, guardando il giovane ed aspettando la sua risposta.

Youngjae sospirò stancamente al ricordo. Non aveva idea su come fosse finito sul suo profilo, ma si disse di non farci caso. Perlomeno, grazie a quello, aveva imparato che nessuno era genuinamente buono, nemmeno lui. Era una lezione di vita che lo aveva aiutato ad acquistare la mentalità di spia perfetta: non fidarsi di nessuno e tradire la fiducia al momento giusto.

No, non era proprio una buona persona. «Se mi permette, signore, preferirei non parlare dell’accaduto.»

Il commissario sembrò insoddisfatto, ma non si permise di andare oltre. «Certo, capisco. Allora, potresti approfittare dell’occasione per indagare anche su di loro, ed usarli come scusa per non destare sospetti. Di solito, molti dei criminali hanno un passato abbastanza oscuro.»

«Lo terrò a mente, signore, la ringrazio per il consiglio.»

«Va bene. Per ora, sei congedato.»

Si alzarono entrambi in piedi, e il commissario gli tese una mano, che lui afferrò prontamente. «Siamo nelle tue mani, agente Yoo.»

Youngjae gli sorrise cordiale. «Certo. Porterò a termine l’incarico senza intoppi.»

 

Erano passati poco più di due anni da quando era sceso negli affari del sottosuolo, ma Youngjae non si era mai dimenticato del suo obiettivo principale. Fino ad ora, i suoi rapporti circa i criminali richiesti dai suoi superiori non erano mai stati resi tanto pubblici nel quartier generale, e gli arresti erano stati fatti in silenzio, spesso senza che nemmeno lui lo sapesse. In tal modo, nessuno aveva potuto sospettare di lui.

Tuttavia, era conscio che, con la fine dei B.A.P, sarebbe terminato anche il suo compito.

Non credeva che sarebbe stato tanto stancante. Così, quando la sua squadra entrò frettolosamente nella stazione, circondando i due gruppi criminali, Youngjae credette che le sue gambe avrebbero ceduto per l’estenuazione. Invece, ebbe ancora la forza di staccarsi da Yongguk e di fare un paio di passi all’indietro, in modo da riuscire a vedere tutti i B.A.P in faccia. Nei loro sguardi che slittavano da una parte all’altra lesse del genuino panico, ma niente poteva essere comparato all’espressione confusa che gli rivolsero quando lui lanciò loro un ghigno malevolo e stanco.

Incontrò gli occhi di Yongguk, che sembrava star mettendo i pezzi del puzzle insieme. Un membro della sua squadra si avvicinò a loro e salutò Youngjae, che congedò il saluto con un cenno del capo. Il suo collega estrasse il familiare distintivo argentato da una tasca del suo giubbotto, e glielo consegnò. Alle sue spalle sentì Daehyun borbottare, confuso e sconcertato.

Prendendo il suo distintivo, Youngjae rimase qualche momento a contemplare il metallo scintillare cupamente alla luce delle lampade, poi lo mostrò ai membri dei B.A.P. «Yoo Youngjae, capo della quinta divisione del dipartimento anticrimine, membro speciale della squadra S.W.A.T., specializzato nello spionaggio ad alto rischio, al vostro servizio,» recitò, ricordando la sua prima introduzione a loro.

Il viso di Yongguk si fece livido.

«Youngjae,» lo chiamò Himchan in tono tradito, «dimmi che è uno dei tuoi scherzi di cattivo gusto. Come hai potuto? Sapevi che avremmo–»

«Fatto di tutto per salvarmi?» lo interruppe Youngjae, impassibile. «Certo, che lo sapevo. Per questo è stato tanto facile ingannare sia voi che quei pivelli dei COB.ra. Ho detto loro che volevo farvi fuori perché non mi andavate più a genio, e hanno subito abboccato. Due piccioni con una fava; geniale, giusto?»

Dall’altro lato della banchina della stazione, Haejong gli gridò insulti, e dovette essere fermato dalla polizia con la forza. Youngjae lo ignorò. «Piuttosto, dovreste ringraziami. Quelli là avevano intenzione di ammazzarvi una volta che avreste voltato loro le spalle. Vi ho risparmiato una brutta fine.»

«Tu hai detto– ci hai detto che dovevi– quando ti abbiamo preso con noi– tua madre–» farfugliò Daehyun, completamente disorientato dalla situazione. Guardò Youngjae, il quale gli ricambiò l’occhiata senza mostrare alcuna emozione.

«Oh, quello,» gli rispose, «quello era vero, hyung. Non vi ho mentito. Dovevo, in effetti, cercare informazioni sulla mia famiglia personalmente. Ho solo pensato di approfittare bene dell’occasione, come mi era stato consigliato. Niente di che.»

Sui loro visi, Youngjae riusciva perfettamente a vedere come la sua rivelazione avesse effetti devastanti sui B.A.P. Era quel tipo di espressione che aveva visto ormai svariate volte, di cui oramai non si sorprendeva più. Era fatta, e sapeva che, da ora in poi, loro non lo avrebbero più visto come una volta.

Neanche lui era una persona buona, dopotutto.

«Mi sono divertito con voi,» disse a loro onestamente – e forse la sua espressione dura e impassibile si attenuò in modo impercettibile – «davvero. È stato un bel periodo. Ma voi siete dei criminali, ed io ho degli obblighi e doveri da mantenere in quanto ho giurato su di esse. Per legge, dovete finire in carcere, tutto qui.»

Quando vide che non c’era nient’altro da dire – ora i B.A.P lo guardavano accusatori e pieni di odio – indossò di nuovo il suo mezzo sorriso. «Qui ho finito. Ci vediamo in giro,» e si portò la mano destra sulla fronte, regalando loro un saluto ironico.

Voltò loro le spalle e si fece strada tra la sua squadra, nonostante il corpo gli stesse dolendo. I volti dei B.A.P sarebbero stati un altro paio di incubi che si sarebbero aggiunti al suo sonno, pensò, ma non era niente che non poteva sopportare.

 

Himchan aveva un ricordo limpido di molti anni fa, prima di incontrare Yongguk e prima di diventare un assistente in un’officina di zona.

Ricordava sua madre ritornare nel loro modesto appartamento dopo il suo “lavoro” e raccontargli di come avesse incontrato dei bei giovani, alcuni persino le offrivano il loro cuore (Himchan provò pena per loro, perché lei offriva il suo corpo ad una miriade di altre persone); parlava di tutto, ma ignorava completamente la sua esistenza.

Himchan si era chiesto come si potesse donare un amore incondizionato a chiunque e qualunque cosa, fuorché al proprio figlio. Si sentiva tradito, dimenticato, solo; avrebbe voluto così tanto che sua madre si accorgesse di lui, così da donargli quel poco di affetto che gli serviva. Lo desiderava più di ogni altra cosa, davvero; ma quando se ne andò di casa e la incontrò nuovamente anni dopo, lei gli disse solo che assomigliava ad una certa persona e gli chiese, ammiccante, se avesse voglia di passare la notte con lei. Quella sera, quando Yongguk andò in officina, lo aveva trovato vomitare e piangere lacrime incontrollabili.

Ora, quel groppo in gola si era presentato di nuovo alla vista delle spalle di Youngjae. Himchan non riusciva a spiegarselo, gli aveva donato tutto quello che poteva, perché non si sentisse come si era sentito lui stesso e Youngjae–

Lui aveva deciso di lasciarli.

«Youngjae,» disse annaspando, guardando i suoi compagni e indicandolo con un dito tremante, «lo avevo detto. Non dovevamo fidarci.»

Quando Yongguk si mosse, Himchan non poté non seguirlo, sentendosi di nuovo tradito e dimenticato e dannatamente solo. Avrebbe voluto raggiungere quel lurido bastardo e prenderlo per la collottola e sputargli addosso tutto quello che aveva – avevano – fatto per lui.

Invece, le sue mani vennero bloccate dalla presa ferrea di un membro della S.W.A.T., e fu sbattuto violentemente contro il duro cemento della parete.

 

La vita di Daehyun era stata un mix di alti e bassi – francamente, più bassi, che alti. I bassi erano il tempo passato nella solitudine della sua stanza, un’adozione troppo fredda e distante perché potesse essere felice; gli alti, i quattro brevi, preziosi anni passati con i B.A.P.

Col tempo, aveva imparato che solo a poche e privilegiate persone spettava un lieto fine, e lui non era tra quelle. Tuttavia, poté illudersi di esserne una quando incontrò gli altri quattro membri. Nonostante non fossero i migliori modelli da seguire, in quel gruppo aveva trovato la serenità che aveva potuto solo sognare. Daehyun poteva finalmente dire che sì, a lui spettava una fine davvero lieta.

Tutto questo lo raccontò a Youngjae una sera di pochi mesi prima, il quale aveva annuito e sorriso. Daehyun aveva pensato, in quell’occasione, che quello era uno dei sorrisi più genuini che lo aveva visto rivolgergli.

Tuttavia, ora, vedendosi circondato da un’intera squadra pronta a sparare a loro nel momento in cui avessero fatto un passo falso, aveva cominciato a dubitare di tutto quello che aveva conosciuto di lui. Dove finiva il Youngjae sincero e iniziava quello che ora era solo un traditore?

Daehyun trovò quella situazione estremamente divertente. Emise un grido frustrato, e prima che potesse lasciarsi verso Youngjae – una parte della cosa più vicina ad una “casa” che avesse mai conosciuto – venne sbattuto per terra, tastando sangue nella sua bocca.

«Yoo Youngjae!» gli urlò comunque, «ritorna qui, brutto stronzo! RITORNA QUI!»

Le sue grida rimbalzarono nel vuoto, sulle pareti della stazione.

 

Jongup aveva avuto una vita difficile, e lo sapeva. Era nato in una famiglia sbagliata e aveva fatto scelte sbagliate, e sapeva anche questo.

Ogni giorno era ritornato da scuola per trovare suo padre che lo portava nel seminterrato della loro casa, dove si trovavano equipaggiamenti ed armi di ogni tipo, e lo spronava a provare, provare, provare; un pugno un rovescio un calcio uno sparo un pugno un rovescio un calcio uno sparo. Non smettevano fino a quando Jongup non si accasciava a terra e non si sentiva troppo esausto per continuare. La routine era continuata per diversi anni – Jongup si dimenticò persino del momento in cui aveva cominciato a seguirla. Gli sembrava di non aver fatto altro nella vita.

Entrando nei B.A.P, era una macchina da guerra pronta per essere utilizzata. Pensava di aver lasciato alle sue spalle tutta la sua compassione, ma si dovette ricredere quando Yongguk e Himchan lo trattarono come un ragazzo normale. Jongup era stato sopraffatto da quel loro comportamento, dal momento che quasi nessuno si era rivolto a lui con un tono tanto informale.

Desiderò di aver mantenuto quella sua mentalità calcolatrice quando Youngjae si era presentato a loro. Ma con le mani bloccate dolorosamente dietro la schiena da un paio di manette, poteva solo guardare la schiena di Youngjae voltata verso loro; lo stesso Youngjae che lo aveva visto come un normale teenager, scherzando e parlando casualmente con lui, facendogli dimenticare momentaneamente che era il guerriero dei B.A.P per eccellenza.

Quella fu un’altra delle sue scelte sbagliate.

«Hyung!» riuscì solo a gridare con voce roca. «Hyung! Perché ci stai facendo questo?!»

 

Junhong aveva tredici anni quando si trascinò nell’officina Kim, che era stata aperta da poco. Doveva essergli sembrato davvero patetico perché Himchan avesse deciso di tenerlo con sé e farlo diventare suo assistente.

Prima di allora, per un anno aveva tentato di sopravvivere per le strade dopo essere scappato da una casa che gli dava solo incubi, rubando ed aggregandosi a certi gruppi poco affidabili che gli avevano offerto un tetto sotto cui dormire per pochi mesi. Quell’anno gli aveva dato la consapevolezza di vivere in un mondo duro, di dover adattarsi, ma come poteva far ciò quando tutto quello che riusciva a ricordare era il terrore? Come poteva far ciò quando i suoi sogni erano infestati dagli orrendi lividi che comparivano sulla pelle di sua madre?

Dopo che i B.A.P si formarono, dopo che Yongguk e Jongup gli avevano insegnato come contrastare la realtà ostile, dopo tutto quello, Youngjae gli disse che andava bene se certe volte era solo Junhong (giovane e pieno di vitalità e ingenuo) e non Zelo (spietato e freddo e robotico), e andava bene se certe volte smetteva di tenere tutte la sua stanchezza e le sue lacrime dentro di sé.

Non era come se il resto dei B.A.P non glielo avesse detto, loro erano stati solo più discreti ed impliciti a proposito. Ma Junhong ne fu sorpreso, in parte perché non credeva che lo hyung lo avrebbe visto sotto quella luce, in parte perché fino ad ora era stato solo Zelo. Ma ne fu, in un certo senso, felice.

Fu quindi Junhong, e non Zelo, che ricordò quel giorno quando venne forzato in ginocchio e guardò Youngjae mentre si allontanava, e fu sempre Junhong che sentì il proprio cuore essere spaccato in mille pezzi, gridando al cielo.

 

Una parte di Yongguk forse aveva sempre saputo che, prima o poi, i B.A.P sarebbero finiti in questo modo. Aveva voluto invece spingere quella piccola voce maligna in un angolo della sua mente, volendo solo vivere quei momenti con i suoi membri serenamente.

Tuttavia, mai aveva immaginato che sarebbe stato uno di loro a spingerli fino a lì. Gli era piaciuto credere che Youngjae non avesse davvero cattive intenzioni, perché da quando era entrato nel gruppo tutto era migliorato ancora di più, ed erano diventati persino più vicini di prima.

Che qualcosa del genere succedesse era assolutamente inimmaginabile.

Yongguk ricordava il sorriso imbarazzato e disarmante che Youngjae gli aveva rivolto quando gli aveva detto di non avere idea di come avevano fatto i B.A.P a sopravvivere senza il suo cervello.

E ancora, Yongguk ricordava quando, appena cinque mesi prima, Youngjae era ritornato all’officina l’ultimo dell’anno con sacchetti pieni di cibo e fuochi d’artificio, che accesero appena scoccò la mezzanotte, tingendo il cielo fuori dal garage di fiori variopinti.

Sul serio, Yongguk avrebbe voluto ridere per come erano stati ingannati facilmente. Sperava che questo fosse un altro scherzo della sua immaginazione, ma il dolore era vero e la polizia li stava arrestando, e lui poteva solo guardare Youngjae che non si degnava di assistere alla loro fine.

Con le braccia bloccate dietro la schiena, si dimenò per liberarsi come meglio poté, imprecando contro di lui – «Sei un bastardo, Yoo Youngjae!», «Abbiamo rischiato tutto per venire a salvarti!», «Ci fidavamo tutti di te!», «Come hai potuto ingannarci in questo modo?!».

Il suo petto stava per esplodere per tutto il dolore che sentiva. Desiderava chiedergli se tutto quello che i B.A.P gli avevano offerto non fosse stato abbastanza perché lui decidesse di pugnalarli alle spalle comunque.

Dovette essere forzato a terra, ma, nonostante tutti i suoi arti fossero bloccati, i suoi occhi traditi erano costantemente attaccati alla schiena di una delle persone a cui aveva affidato ciecamente tutto di sé.

Eppure, nonostante le grida straziate dei B.A.P, Youngjae non si voltò indietro nemmeno una volta.

 

[ part 4: please hold onto my hand so that i can wake up, please don’t go. ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N/A: e con questo, si conclude questa fanfiction. Applausi a me, dato che non riesco mai a finire le storie a più capitoli. Clap clap.

Non voglio che vediate Youngjae nel ruolo del cattivo. Voglio dire, noi non ci affidiamo alla polizia perché i criminali vengano catturati? Non pensiamo che stiano facendo la cosa giusta? Questa è la stessa cosa. (E non considero il resto dei B.A.P cattivi, ma non voglio nemmeno glorificare i criminali, sia chiaro. Non fate cose che vi faranno andare in prigione, bambini!)

Ho spezzato quest’ultima parte in due perché non mi piaceva la parte iniziale, e l’ho letteralmente riscritta tutta. Così è venuta molto più lunga di prima lmao. La playlist del capitolo precedente vale anche per questo (e vedo “Back” degli Infinite molto più adatta all'inizio di questa seconda parte lmao).

Se volete qualcosa di più preciso sul centro Mato, è praticamente un edificio fuori dall’universo (????? Allora perché si vedono le stelle??? Lmao non lo so ok) che regola gli universi paralleli. Francamente, non so spiegarlo bene in poche parole sob se volete, posso mandarvi un MP per una spiegazione più dettagliata.

E ora, un paio di numeri e curiosità: ho scritto la fanfiction su un unico documento Word, dato che la considero una long shot. La storia ha in totalità più di 25.500 parole (senza contare le parole dei titoli e delle playlist), e pesa più di 120 kilobyte. Incredibile, eh? È una delle storie più lunghe che abbia scritto e a cui sono più affezionata. Ho persino fatto una linea del tempo per quanto ne sono ossessionata ahahah sob potete vederla qui: CLICK!

Infine, vorrei ringraziare tutti voi lettori che mi avete sopportata. Sono felice di avere concluso questa storia! Spero di poterne pubblicare un’altra in un futuro prossimo. Per ora, passo e chiudo. Ancora una volta, grazie per aver letto fino ad ora!

Rainie

P.S.: Sarò al prossimo KPOP Voice Contest a Fumettopoli! Riuscirete a trovarmi? ;)

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