Son of the Moon

di Polaris_Nicole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Occhi d'argento ***
Capitolo 2: *** 5 anni dopo ***
Capitolo 3: *** Un ragazzo vestito di nero ***
Capitolo 4: *** Tregua ***
Capitolo 5: *** scontri assurdi e dee anticonformiste ***
Capitolo 6: *** L'impresa ***



Capitolo 1
*** Occhi d'argento ***


Artemide camminava avanti e indietro per una delle stanze del palazzo di Zeus, era preoccupata, e ciò era pienamente visibile.
Continuava a guardare fuori dall’ampia finestra decorata con tende d’argento, eppure non riusciva a trovare con lo sguardo l’oggetto dell’ansia che l’aveva colpita.
Volse riluttante uno sguardo alla stanza, determinata a non voltarsi, era una stanza rettangolare decorata con colonne bianche caratterizzate da capitelli finemente decorati, alle pareti, vi erano mosaici rappresentanti figure di animali: cervi, orsi, lupi … Ma ciò che colpiva in quel mosaico, era la lucentezza della luna.
Era stato lo stesso Zeus a realizzare quel mosaico, in realtà, era stato lui stesso a realizzare l’intera stanza e a dedicarla a lei, Artemide.
Stando in quella stanza, si sentiva ancora più in colpa per l’atto disonorevole da lei commesso, ma restava comunque uno dei pochi luoghi in cui nessuno sarebbe venuto a disturbarla.
Era spaventata, spaventata per ciò che suo padre, Zeus, avrebbe potuto pensare, per ciò che avrebbero potuto pensare i suoi fratelli e le sue sorelle! Ma aveva bisogno di confidarsi con qualcuno, qualcuno che non l’avrebbe giudicata, … se magari fosse stata anche una persona puntuale non sarebbe stato male.
Finalmente, dopo tante peripezie, una luce accecante colpì gli occhi dalla tonalità argentea della dea, obbligandola a coprirsi il viso con entrambe le mani.
Quando la luce abbagliante non minacciò più di accecarla, si tolse le mani dagli occhi e si ritrovò davanti un ragazzo che indossava una toga greca bianca con decorazioni dorate, dimostrava circa vent’anni, aveva i capelli biondi e splendenti, un sorriso capace di illuminare una notte priva di stelle e degli occhi azzurri capaci di far sciogliere anche il più freddo dei cuori di ghiaccio.
“dove sei stato? Sono secoli che ti aspetto!” esplose all’improvviso la dea in un impeto d’ira.
“Calma sorellina! Ad ogni modo, di cosa volevi parlarmi? Se riguarda le tue Cacciatrici, sappi che questa settimana non ho importunato nessuna di loro! Se ti hanno detto il contrario sappi che …”
“MA TU NON RIESCI A PENSARE AD ALTRO SE NON ALLE MIE CACCIATRICI?!” esclamò con maggior rabbia Artemide, come poteva aver anche solo considerato suo fratello come una persona degna di fiducia per custodire il suo immenso segreto? Rivolse uno sguardo a suo fratello, erano così simili esteriormente, il loro carattere però era opposto, funzionava così per i gemelli, no? La dea non l’avrebbe mai ammesso, eppure se avesse dovuto affidare la sua vita a qualcuno, quello era Apollo.
“Artemide, conosco quello sguardo, cos’è successo? Afrodite ti ha offeso di nuovo? Se vuoi la mia opinione, non dovresti prendertela, sai com’è fatta quella dea …”
“Lei non c’entra” disse lapidaria Artemide voltando le spalle al dio e incrociando le braccia.
“no? Eppure ero quasi sicuro che si trattasse di … facciamo così, perché non me lo dici e basta?” disse infine con un sorriso rassicurante rivolto alla sorella.
La dea si voltò per incontrare lo sguardo di Apollo, ma non riuscì a sostenerlo a lungo, e dai suoi occhi cominciarono a scendere le prime lacrime fino a quando non scoppiò in un pianto disperato e incontrollabile.
Apollo fece pochi passi verso di lei e l’abbracciò facendole poggiare il viso sulla sua spalla larga e forte e prese ad accarezzare i capelli ramati della dea.
“Sta calma, sorellina, qualunque cosa ti turbi andrà tutto bene, perché ti disperi tanto?
Gira per il mondo
Se ti disperi
Sempre poi ti perdi
“Sai che detesto gli haiku, specialmente i tuoi” disse singhiozzando Artemide stringendosi nell’abbraccio del dio del sole.
“vuoi dirmi che succede allora?” insisté Apollo, la dea si incupì nuovamente.
Come per rispondere alla domanda del fratello, si avvicinò alla fontana che occupava il centro della stanza, Artemide passò una mano sulla superficie dell’acqua che di increspò al solo tocco creando una nuvola di vapore. Apollo la osservò confuso.
“Iride mi deve un favore” si giustificò con rivolgendogli un sorriso amaro, poi, si rivolse alla fontana.
“mostrami Jonah Nighthief” disse con un filo di voce.
Il vapore non si mosse per qualche secondo, poi cominciò ad assumere colore, fino a mostrare un ragazzino dormiente, doveva avere tra gli otto e i nove anni, aveva i capelli ramati e il viso di una lieve tonalità rosata e sorrideva, a quella vista, anche Artemide non poté fare a meno di sorridere.
“non è bellissimo?” disse rivolta ad Apollo indossando uno dei suoi sorrisi più puri e sinceri.
“Artemide, non sarà mica …” Apollo si immobilizzò, non avrebbe mai pensato neanche lontanamente ad un evento del genere, eppure era reale, cercò gli occhi di sua sorella, che invece si perdevano nella visione di quell’esile figura dormiente.
“Thomas Hugo Nighthief, un naturalista ed esploratore esperto, l’ho amato dal primo momento che l’ho visto e lui ha amato me, avevamo tanto in comune e Jonah … è stato un errore, ne sono consapevole, ma non ho potuto evitarlo” un’altra lacrima solcò il suo viso andando ad infrangere la superficie dell’acqua, fece per parlare, ma Apollo fu più rapido di lei “manterrò il tuo segreto, ma tra cinque anni sarai costretta a riconoscerlo come tuo figlio, come farai?” chiese il dio accarezzando i capelli di Artemide.
“ho cinque anni per pensarci” ribatté lei con tono rassegnato.
“pensaci bene, sorella mia, noi siamo immortali, per noi gli anni passano come secondi” rispose lui passando una mano sul fresco getto d’acqua cristallina della fontana.
“Spendere tempo per pensare, caro fratello, è sempre meglio che prendere decisioni affrettate, anche se si tratta solo di pochi secondi”.
Nessuno parlò, anzi, Apollo si appostò accanto ad Artemide ad osservare insieme a lei Jonah che si svegliava nel cuore della notte e riconobbe subito gli occhi d’argento della sorella.
Lui era il figlio della Luna.
 
Note d’Autore: mi ero ripromessa di finire “Ice and Fire” prima di passare a qualsiasi a qualsiasi altra storia, ma si sa, l’ispirazione arriva sempre quando meno te lo aspetti! In questo primo capitolo ho voluto sottolineare il rapporto di fratellanza tra Artemide ed Apollo, vorrei dilungarmi con le spiegazioni, ma sto guardando Hugo Cabret, quindi … al prossimo capitolo!
Polaris_Nicole 

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Capitolo 2
*** 5 anni dopo ***


5 anni dopo
La luna regnava incontrastata nel cielo, luminosa come non lo era stata mai.
La strada del quartiere colmo di case era silenziosa e resa luminosa dai lampioni ai lati di quest’ultima.
Jonah sbuffò osservando la scena sul davanzale della sua finestra, erano le due del mattino e, come ogni notte, Jonah era sveglio incapace di riaddormentarsi perso nel bagliore argenteo emanato dal profilo bianco come il latte della luna.
A volte gli dava fastidio, svegliarsi sempre a quell’ora, ogni notte, quando vi era la luna piena; il punto era che anche volendo non era capace di riaddormentarsi, così, cominciava a leggere utilizzando come unica fonte di luce quel satellite che ogni notte lo destava con dolcezza.
Ogni notte cominciava un nuovo libro per spezzare il tempo e farlo passare più velocemente e ogni notte era capace di terminarlo senza troppi problemi.
Era contento che suo padre avesse una vera e propria ossessione per i libri e che possedesse una vasta e ben fornita biblioteca, in genere, ne prendeva più di uno di notte o la mattina presto, anche per questo doveva finirlo velocemente, soprattutto per non far ricadere i sospetti su di sé ogni singola volta che Thomas Nighthief si lamentava di non riuscire a trovare, guarda caso, proprio i libri presi da Jonah la sera prima.
Era da quando aveva compiuto 11 anni che Jonah odiava suo padre, forse era anche per questo che non gli chiedeva mai il permesso per i libri, anche adesso che stava per compiere 15 anni il suo odio non sembrava sul punto di volersi arrestare.
Sua madre non c’era mai stata nella sua vita e i ricordi che aveva di lei erano sfocati e sconnessi, all’inizio pensava che fosse tutta colpa sua poi, dopo il matrimonio del padre, aveva cominciato a dare la colpa di tutto proprio a lui.
Oltre a questo, ci si metteva la sua matrigna e il suo fratellastro e allora non c’era più molto da fare se non rinchiudersi in se stesso e aspettare un miracolo. All’improvviso, però, sentì un rumore e, con uno scatto veloce, si stese sul suo letto e chiuse gli occhi nello stesso istante in cui una mano arrivò ad aprire la porta girando la maniglia.
Era il suo fratellastro Tom, riusciva a vederlo grazie allo specchio appeso esattamente alla parete di fronte a lui. Lo vide mentre furtivamente prendeva la sua sveglia e cominciò a giocherellare con gli ingranaggi: sapeva cosa stava facendo.
Era da secoli che lo tormentava con scherzi stupidi e il suo preferito era mettergli la sveglia alle tre e cinque del mattino, oppure, la manometteva per fargli fare tardi al mattino.
A Jonah venne da sorridere “piccolo sciocco” pensò “pensa veramente di imbrogliarmi col trucco più vecchio del mondo? Gli farò vedere io”.
- Buonanotte Jonah – esordì Tom con un filo di voce e con un ghigno beffardo impresso sul volto roseo circondato da riccioli color cioccolato e dagli occhi tanto azzurri da fare invidia al cielo.  
Appena uscì dalla stanza, Jonah cominciò a ridere pensando che Tom fosse proprio un idiota, a volte era caduto in alcuni dei suoi trucchetti, ma non poteva pretendere che potessi caderci ogni singola volta che aveva voglia di divertirsi.
Odiava quel dodicenne che si esaltava di fronte a bombolette spray per graffiti – anche se aveva troppa fifa per farne uno vero e proprio – oppure per l’ennesima saga Horror appena uscita sul mercato – ciò di solito comportava che per un’intera settimana l’avrebbe tormentato non riuscendo a dormire perché non-so-chi continuava a spuntare dal suo armadio - .
Non aveva mai rappresentato per lui la classica figura del “fratello maggiore” che viene trattato con rispetto e preso addirittura come modello da seguire.
A suo avviso, Tom era tale e quale alla madre: petulante, viziato, scontroso, testardo, odioso, menefreghista, permaloso … non sarebbero bastati tutti i difetti del mondo per descriverlo al meglio e per rendere giustizia (?) al suo caratteraccio.
Suo padre aveva provato in tutti i modi per farli andare d’accordo, ma era tutto inutile, Tom era troppo orgoglioso e Jonah troppo distaccato nei confronti della famiglia.
Tra un pensiero e l’altro, però, gli occhi di Jonah cominciarono a diventare pesanti, tanto da farlo cadere nell’oblio dei suoi sogni ... o incubi.
***
“Jonah … JONAH! Svegliati! È tardi!” gli urlò una voce acuta e fastidiosa, Jonah si portò il cuscino sopra la testa e si girò dall’altro lato.
“smettila di rompere pulce, so che è uno dei tuoi scherzi” disse con voce impastata dal sonno.
“se fosse veramente uno scherzo, allora perché fuori è pieno giorno?!” ringhiò lui, si arrabbiava sempre quando qualcuno (specialmente Jonah) lo chiamava “pulce”.
Jonah alzò appena la testa e vide la luce accecante del sole entrare dalla finestra e l’orologio appeso alla parete, troppo in alto per essere alla portata di Tom, che segnava le sette e cinquanta del mattino.
Si alzò dal letto scostando il suo fratellastro con non troppa delicatezza e prese a togliersi il pigiama e rivestirsi con dei jeans scuri e una felpa nera sopra una maglietta verde cupo.
“secondo me sei ridicolo” esordì Tom guardando il fratellastro più grande, era da quando aveva la sua età che Jonah aveva preso gusto nel vestirsi con i colori più cupi esistenti nell’universo.
“grazie del complimento” rispose con sicurezza Jonah dandogli un bacio sulla fronte, il suo fratellastro odiava quel tipo di effusioni, e gustarsi la faccia disgustata di Tom di prima mattina aveva lo stesso effetto della caffeina su di lui.
Prese il suo zaino e scese velocemente le scale.
“Jonah, finalmente!” attaccò suo padre andandogli incontro sulle scale, Jonah si scostò appena lui tentò di abbracciarlo, Thomas Nighthief non disse nulla, era abituato a sentirsi rifiutato da suo figlio.
“Papà, non è il momento, … TI SBRIGHI PULCE!” urlò in direzione delle scale, era da quando Tom aveva cominciato a frequentare le medie che era stato obbligato ad accompagnarlo a scuola (un’altra idea geniale di suo padre per farli andare d’accordo!).
“so che è tardi – in quel momento Jonah lo guardo come se avesse appena annunciato che il ghiaccio è acqua solida – ma ho bisogno che tu prenda questo” disse porgendogli un oggetto che teneva chiuso nel palmo della mano.
“un … portachiavi della farmacia?” disse Jonah titubante di fronte ad un portachiavi con attaccato un ciondolo di forma cilindrica con sopra disegnato il simbolo della farmacia che si trovava due isolati dopo casa loro.
“è più utile di quanto pensi in caso di emergenza”
“molto interessante … PULCE! GUARDA CHE VENGO SU E TI TRASCINO A SCUOLA CON LA FORZA!” urlò sempre nella speranza di sfuggire all’imbarazzo provocato da suo padre.
“non dovresti trattarlo così, è solo …”
“è solo cosa?! Spaesato?! Confuso?! Ha avuto quattro anni per orientarsi e abituarsi al mio caratteraccio, ha dodici anni! è grande per essere difeso tutto il santo giorno!” sbottò all’improvviso, suo padre aveva sempre voluto bene a Tom, forse più di quanto ne volesse al suo vero figlio, questo almeno secondo il punto di vista di Jonah.
Rimasero per un po’ in silenzio, Thomas ad osservare Jonah, Jonah a fare di tutto pur di evitare gli sguardi carichi di aspettative del padre.
“eccomi, sono qui, contento?” disse sarcastico Tom.
“per niente, adesso andiamo” rispose riluttante Jonah trascinandosi dietro il ragazzino più piccolo tirandolo per una delle bretelle dello zaino.
Una volta fuori casa, Tom tentò di divincolarsi dalla salda presa di Jonah senza successo.
“Mollami, idiota!”
“dovrai costringermi, pulce” disse con tono calmo il maggiore, l’unico lato positivo dell’essere obbligato ad accompagnare Tom a scuola, era che fuori casa era lui a comandare e poteva fare quello che voleva quando voleva. Tom prese a spingerlo e dargli calci, ma Jonah era molto più forte di lui, però, alla fine lo lasciò andare.
“finalmente! Non sai quanto ti odio, cretino …” mormorò incrociando le braccia Tom.
“aww! Davvero mi odi? Pensavo che non mi sopportassi, ma se dici di odiarmi allora ho proprio superato me stesso!” esclamò attorcigliando le braccia attorno al minore in un abbraccio un po’ troppo stretto rispetto ad uno normale, abbastanza da far infuriare Tom.
Tom però rimase immobile limitandosi a sbuffare e volgere gli occhi al cielo, di certo non aveva apprezzato, ma sembrava aver preso troppo bene l’abbraccio, ma all’improvviso si bloccò guardando con occhi sgranati di fronte a sé.
“che ti prende? Sembra che tu abbia visto …” il sorriso gli sparì dal volto quando vide un immenso cane nero ringhiare nella loro direzione.
Mi sciolsi subito dall’abbraccio e presi Tom per il polso facendolo indietreggiare lentamente, era vero che non lo sopportava, ma non poteva mica farlo finire in pasto ad un cane troppo cresciuto!
Il minore, percependo la lieve pressione sul suo polso, afferrò il braccio di Jonah e lo guardò con occhi spaventati e confusi.
“adesso che facciamo?” chiese tremante, lo sguardo di Jonah cadde sulla cicatrice lunga e arcuata sul braccio del più piccolo, ricordò che, all’età di nove anni, Tom era stato morso in quel punto da un cane identico a quello che si trovavano davanti, decisamente più piccolo, ma dello stesso tipo.
Aveva una gran paura dei cani, ciò era visibile dal modo ossessivo con cui gli stringeva la mano, non poteva crederci che tra tutte le persone a cui si sarebbe potuto affidare, Tom si stava affidando proprio a lui.
“si corre” disse alla fine il maggiore con un sospiro che faceva trasparire tutto il suo nervosismo e la sua ansia.
Tom non se lo fece ripetere due volte e cominciò a correre, Jonah fece lo stesso cercando di restare accanto al minore, non l’avrebbe mai ammesso, ma gli voleva bene e avrebbe fatto di tutto per proteggerlo.
 
Angolo angolosamente (?) dell’autrice: Sono resuscitata! E finalmente pubblico il secondo capitolo della fanfiction! So di avere un notevole ritardo, ma “meglio tardi che mai” se volete la mia opinione …
Allora, impressioni sul secondo capitolo, Jonah forse è uscito fuori un po’ più punk, violento e chi più ne ha più ne metta in più, ma quando un personaggio comincia a sfuggirti di mano meglio non mettergli i bastoni fra le ruote! Tom per adesso è solo un classico ragazzino insopportabile: che lo faccia per attirare l’attenzione? Starà nascondendo qualcosa? Jonah verrà scambiato per un osso per cani? L’abbronzatura di Apollo sarà naturale o utilizzerà l’autoabbronzante? Le risposte a (quasi) tutte queste domande nel prossimo capitolo!
Polaris_Nicole         

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Capitolo 3
*** Un ragazzo vestito di nero ***


Un ragazzo vestito di nero (POV JONAH)


Continuavamo a correre imperterriti fregandocene delle occhiate frastornate che ci venivano rivolte dai passanti, ero piuttosto confuso, come facevano a non accorgersi di niente?
A proposito, mi ero dimenticato di dire che stavamo scappando da un cane gigante che mi aveva scambiato per un osso di gomma con le gambe.
Tom era sempre stato più veloce di me, probabilmente, con tutti gli scherzi che rifilava a mezzo mondo – soprattutto al sottoscritto -, doveva per forza essere una scheggia quando correva!
Era davanti a me e correva senza meta alla velocità della luce, erano rari i momenti in cui Tom era realmente spaventato, adoravo quei momenti, quando lasciava inevitabilmente un fianco scoperto lui era il primo a colpirlo – non letteralmente – con un fendente ben piazzato.
Ma allora era diverso, quando si spaventava per un film horror era tutta un’altra cosa! In genere si rivolgeva a me perché sua madre e mio padre non gli permettevano di guardare quel genere di film, quindi quando era spaventato, era un mio compito rassicurarlo – in realtà non facevo altro che spaventarlo di più - .
Tom aveva davvero – davvero – davvero tanta paura dei cani da quando un labrador l’aveva azzannato a nove anni, e trovarne uno gigante per strada non doveva essere il massimo per lui: non era semplicemente spaventato, era letteralmente terrorizzato.
“Tommy! Alla roccia!” urlai senza pensarci due volte, la roccia era un enorme masso di pietra – ma và?! – che si trovava nel parco, quando eravamo piccoli io mi nascondevo lì con i libri di papà, lui invece usava quel posto per nascondersi dopo aver fatto degli scherzi – un paio di volte mi ha anche fatto prendere la colpa al posto suo! -.
Tom comprese subito quello che intendevo e svoltò all’angolo per il parco, non era molto lontano, infatti raggiungemmo quasi subito l’entrata con ancora quel cane alle costole.
Appena vidi quell’immenso ammasso, spinsi Tom proprio dietro di esso e mi appostai accanto a lui sedendomi a gambe incrociate.
“sei impazzito cretino?!” sbottò subito Tom, la voce ancora tremante e il fiatone per la folle corsa, nei suoi occhi ancora impressi la paura e il terrore.
“sta calmo, Tommy, dobbiamo solo trovare un modo per scappare da quel … da quel … quel coso!”
“t-tu sei matto! Che facciamo?! Quello ci fa fuori!” disse frustrato arpionandosi al mio braccio, detestavo quando lo faceva, ma poi appoggiò anche la testa sulla mia spalla e non potei fare altro che tentare di rassicurarlo, come cavolo faceva ad ammorbidirmi in quel modo?! Era fisicamente impossibile!
“sta tranquillo, mi inventerò qualcosa, te lo prometto Tommy” dissi abbracciandolo, non il solito abbraccio, uno sincero, da fratello maggiore.
In quel momento adocchiai un albero, uno dei rami era mezzo spezzato, forse avrei potuto …
Mi scostai dall’abbraccio e mi avvicinai all’albero e presi a tirare il ramo con tutta la forza che avevo in corpo.
“che stai facendo?” chiese Tom guardandomi con fare confuso, i suoi occhi persero per un secondo quel bagliore di paura.
“cerco  … di allontanare … quel coso … se solo … riuscissi a staccare …” non finii la frase che per poco non venni colpito in testa dal ramo di un albero.
Ero stremato, ma trovai comunque la forza di alzarmi e tirare su quel grosso – e pesante – ramo. Quasi nel medesimo istante, il cane mezzo Labrador e mezzo T-Rex apparve all’orizzonte, non mi ero accorto che aveva effettuato una deviazione, ma adesso era davanti a me.
Saldai la presa sullo spesso ramo di quercia che tenevo tra le mani con una certa fatica e con un gesto repentino – tentando di non colpire la pulce e cavargli un occhio o staccargli di netto la testa – lo lanciai il più lontano possibile.
Il cane rimase interdetto, si fermò, ma rimase comunque interdetto rivolgendo alternatamente uno sguardo a me e uno al “bastoncino” gigante.
“vallo a prendere palla di lardo!” sbraitai contro di lui con tutta la forza che avevo in corpo, la faccia di Tom che diventava più pallida dopo ogni parola – chiunque lo farebbe se ti mettessi a sbraitare ad un cane gigante la cui bocca è abbastanza spaziosa da poterci organizzare un party in piena regola -.
Il cane però sembrò darmi retta e si voltò in direzione del bastone e corse via dimenticandosi di me e della pulce ancora nascosta e immobilizzata in posizione fetale.  
Mi lasciai andare accanto a lui intontito sdraiandomi sull’erba verdeggiante e ancora fresca di rugiada chiudendo gli occhi e respirando a bocca spalancata.
“se n’è andato?” chiese Tom ancora un po’ scosso, io gli rivolsi un’occhiata come per dirgli “mi stai prendendo per il deretano?!” (per dirla in un modo carino …), ma alla fine risposi rendendomi conto che comportarmi in quel modo non lo avrei aiutato per niente.
“tranquillo pulce, è andato via” controllai un secondo l’orologio e sussultai “cavolo! Dovevi essere a scuola un’ora fa!” presi Tom per il braccio e lo trascinai via cercando di trovare una scusa decente da rifilare al preside della sua scuola perché, francamente, non mi sembrava molto accreditante dire “scusi il ritardo! Ma sa com’è, un cane gigante ci ha sbarrato la strada, sono cose che accadono tutti i giorni!” sarei stato fortunato se non mi avesse mandato al manicomio seduta stante.
Eravamo stanchi, stremati, stavamo praticamente collassando sul posto … quindi perché non farsi un’altra corsetta fino a scuola?
La scuola di Tom era la stessa a cui ero andato io alla sua età, era la classica scuola media con i muri che cadevano a pezzi, la palestra pericolante e con 30 alunni tutti stipati in una stanza paragonabile solo ad un armadio porta-scope – e non stiamo mica parlando di quello di Hogwarts! -.
“fermati Jonah! Mi fai male!” mi ammonì Tom afferrandomi il braccio con la mano libera, non esercitò alcuna pressione, come una muta richiesta.
Io obbedii e notai una piccola chiazza rossiccia sul jeans chiaro che indossava quel giorno.
“ma cosa …?” mi inginocchiai e gli tirai su il pantalone, fino ad arrivare al punto della ferita per poterla esaminare meglio, senza trarre conclusioni affrettate.
Non era una ferita profonda ed era anche piuttosto netta, dovevo avergliela fatta quando l’avevo spinto dietro all’enorme masso del parco, non era grave, ma non smetteva di sanguinare.
“sta fermo, provo a disinfettarla con un po’ d’acqua” presi una bottiglia che avevo nello zaino e ne riversai un po’ su un fazzoletto asciugando quasi completamente la ferita per poi armeggiare con un fazzoletto e del nastro adesivo a mo’ di cerotto; mi stupii nel costatare che Tom non si era ribellato per niente a ciò che gli stavo facendo.
“ho finito, adesso è meglio andare” dissi senza rivolgergli neanche uno sguardo, lo presi per mano e ci incamminammo in direzione della scuola restando nel silenzio più totale.
Ogni tanto gli rivolsi uno sguardo, ma non riuscivo ad interpretare cosa stesse succedendo, eravamo confusi … e tentavamo in tutti i modi di non di mostrarlo.
Probabilmente era il nostro unico punto in comune: l’orgoglio.
Arrivati all’entrata della scuola, c’era ancora un ultimo ostacolo da superare, e sarebbe stato anche peggio del cane gigante da aggirare.
“scordatelo” queste erano state le uniche prole che ero riuscito sottrarre al più irascibile, inquietante e idiota custode scolastico dell’intero universo.
“Ma lei deve farlo entrare! È successo un gran casino stamattina e se lei potesse …”
“ascoltami bene ragazzino, non lo ripeterò due volte, sono stanco delle volta continue scuse! Oggi è stata una giornataccia anche per me quindi non ho intenzione di …” il suo sguardo si portò su Tom che lo guardò un po’ diffidente.
“sai, forse sono stato un po’ troppo duro con te, mi occuperò personalmente del marmocchio” disse con un sorriso un po’ inquietante – forse TROPPO inquietante – ma era solo un custode un po’ fuori di testa.
“tu che fai?” mi chiese Tom senza togliere gli occhi dal custode, quasi stesse aspettando una sorta di messaggio segreto o simile.
“Ormai è tardi” sospirai sommesso “penso che farò un giro”.
Feci per andarmene quando, proprio in quel momento, Tom sgranò gli occhi, non era rivolto verso di me, ma verso il custode, come se avesse appena visto qualcosa di tremendamente importante ma, conoscendo lo spirito teatrale di quel chihuaua, lasciai correre.
“Jonah … dovrei dirti una cosa …” disse con tono serio mentre il custode gli fece cenno di entrare.
“non mi rompere, Pulce, va a scuola e restaci” dissi calandomi il cappuccio della felpa sulla testa e allontanandomi con le auricolari nelle orecchie.
Feci pochi metri a piedi, poi svoltai in direzione del parco.
In molti penserebbero “ma è matto?! Proprio dove ha trovato quel cane!”, ma era come la storia dei fulmini: non colpiscono mai due volte lo stesso punto.
Solo che non avevo considerato una cosa: cani e fulmini sono due cose molto diverse.
Appena entrai nel parco, infatti, venni sovrastato dal peso di un consistente ramo di quercia che mi atterrò sulla pancia bloccandomi a terra e, proprio davanti a me, vi era un cane nero enorme.
Si avvicinò furtivamente, io tentai di divincolarmi, ma era tutto inutile ma, invece di squagliarmi vivo e usare le mie ossa come stuzzicadenti, mi diede una consistente leccata su tutta la faccia.
“Mrs. O’leary cuccia!” urlò una voce alle mie spalle, il cane si ritrasse e mi permise di alzarmi in piedi.
“Jonah Nighthief” disse la voce misteriosa, mi girai e mi ritrovai davanti due occhi di un nero intenso come l’oscurità che mi fissavano.
Era un ragazzo, aveva sicuramente la mia età, portava abiti neri che si confondevano con i suoi capelli sparsi un po’ ovunque lungo il suo collo sottile e davanti a quegli occhi che mi facevano venire la pelle d’oca.
“niente di rotto spero” continuò il ragazzo assumendo un finto tono mellifluo.
“chi sei?” chiesi un po’ disorientato.
“non credo sia importante adesso, dov’è l’altro?” disse con voce arrogante, come di chi non vede l’ora di andarsene.
“l’altro chi? Non starai parlando di Tom?” dissi senza pensare.
“Tom” ripeté lui con un ghigno dipinto sul volto, poi mi guardò con i suoi occhi penetranti “dov’è? Dovete venire entrambi con me” sentenziò infine.
“cosa? Io non ti conosco e non ho intenzione di seguirti, tantomeno Tom!” sbraitai.
“è importante, ti devi fidare, dové Tom? La scuola è vuota quindi non …”
“VUOTA?!” chiesi sbalordito, il ragazzo vestito di nero annuì ed io mi accorsi dell’errore che avevo commesso non dando ascolto agli avvertimenti di Tom.
Cominciai a correre verso la scuola seguito da quello strano tipo e dal suo cane che sembravano non volersi staccare da me per nessuna ragione al mondo.
Scavalcai con un balzo in cancello automatico della scuola e corsi verso le aule, il ragazzo aveva ragione: la scuola era deserta.
Appena entrai venni accolto da un silenzio tombale … che dopo qualche secondo fu rotto da un grido di dolore lancinante, capace di far sgretolare i muri.
“Di là!” indicò il ragazzo facendomi cenno con la spada nera che teneva in mano, non l’avevo notata, e non mi opposi alla sua indicazione.
Le urla provenivano da una classe, era l’unica ad avere la porta aperta, la serratura era stata forzata e c’erano ancora pezzi di maniglia sul pavimento. Un altro grido.
Essendo più vicino alla meta, riconobbi subito la voce di Tom, senza pensarci due volte, entrai nella stanza senza curarmi delle intimidazioni del ragazzo vestito di nero che mi ordinava di starmene al mio posto.
Rivolsi uno sguardo alla parete di fronte a me: lì, accovacciato a terra, c’era Tom.
Era ricoperto di graffi e di sangue, il suo sangue, che sgorgava da ogni ferita sul suo corpo pallido e all’apparenza dolorante.
Si voltò in direzione della porta e urlò un’altra volta spingendo la testa nell’incavo creato dalle ginocchia e portandosi le mani alla testa.
“Tommy … sta calmo … sono io” cercai di dirgli ma, prima che potessi rendermene conto, una manata mi spinse via, allora capii che a spaventare tanto Tom non ero stato il, ma un gigante con un occhio solo … un ciclope.
“tu! Mezzosangue! a fianco a quell’altro!” mi intimò brandendo un’enorme falce.
Io mi avvicinai istintivamente a Tom che mi afferrò subito per le ginocchia, sembrava che non riuscisse ad emettere neanche un suono. Mi sedetti accanto a lui e lo strinsi a me cercando di non fargli male.
“andrà tutto bene” gli dissi tentando di convincere anche me stesso.
“io non ne sarei così sicuro” disse ghignante il ciclope che scaraventò la falce contro di me graffiandomi il braccio, mi morsi l’interno della bocca determinato a non emettere un fiato.
Il ciclope prese ad avvicinarsi, quando il ragazzo in nero entrò nella stanza brandendo la sua spada.
“m guarda chi si rivede, non ti avevo già fatto fuori qualche annetto fa?” chiese ghignante distraendo il ciclope e cominciando a combatterlo.
Intanto io feci cenno a Tom di uscire, ma lui non si alzò, fu allora che notai una ferita molto profonda sulla gamba destra, così lo presi in braccio e cercai di incamminarmi verso la porta senza farmi notare.
Il ciclope non fu così stupido da cascarci e cercò di afferrarci, così, cominciai a correre verso l’uscita con l’altro ragazzo che continuava ad urlare al ciclope frasi come “non ho ancora finito con te!”.
Una volta fuori, non riuscivo più a respirare e, sebbene non gliel’avessi ordinato, le mie gambe si arrestarono, ebbi solo la forza di voltarmi e vedere il ciclope andare in frantumi sotto il fendente che il ragazzo in nero gli aveva rifilato.
Il ragazzo senza neanche un mimino di preavviso mi prese per la spalla ed io mi sentii avvolgere dall’oscurità e dal freddo più totale.
Provai una sgradevole sensazione di vuoto, ma non riuscii a definirla molto bene poiché durò solo pochi secondi.
Quando tornai a scorgere la luce, non eravamo più fuori la scuola di Tom, ma in un’immensa sala colma di ragazzi che avevano più o meno la mia età, anche se qualcuno sembrava più grande.
“ti stavamo aspettando” disse un uomo con un mazzo di carte in mano che stava sulla sedia a rotelle aggrottando la fronte.
“un piccolo imprevisto, ma sono qui, no?” disse prendendo un scolandosi una lattina di coca cola che si trovava sul tavolo e, contemporaneamente indicando me e Tom che se ne stava ancora tra le mie braccia con la testa poggiata sul mio petto incapace di riprendersi.
“chi sei?” chiesi di nuovo a quello strano ragazzo che contrasse il viso in una smorfia divertita.
“io sono Nico di Angelo, figlio di Ade, benvenuto al Campo Mezzosangue Jonah”.    

NOTE D'AUTRICE: comincio col ringraziare tutti coloro che hanno letto il capitolo e tutti coloro che seguono/preferiscono/ricordano/recensiscono questa fanfiction.
In questo capitolo abbiamo l'inserimento di un altro personaggio: Nico di Angelo *fangirla*.
In questa storia, Nico avrà un ruolo moto importante, ma non voglio anticipare niente (BAD TIME) quindi, al prossimo capitolo!         
 
          
     
 
 

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Capitolo 4
*** Tregua ***


Tregua

Io e Tom eravamo già piuttosto confusi per la storia del ciclope e del cane mezzo T-Rex, poi ci si erano messi quel ragazzo mezzo matto che sosteneva di essere il figlio del dio della morte e un centauro che tentava di spiegarci che “gli dei esistono veramente”.
Appena arrivati in quello strano luogo, ci avevano fatto sedere su un divano a caso e ci avevano dato una strana bevanda, sembrava succo di mela, ma quando la bevvi assunse il sapore del gelato ai lamponi combinato a quello delle patatine fritte – penserete che sia matto, ma aveva un sapore fantastico! - .
La cosa strana, è che vidi le ferite di Tom diventare sempre meno profonde dopo ogni sorso dell’intruglio e, la cosa ancora più strana, era che su di me sembrava avere l’effetto di un sonnifero.
Quando finii di berlo sentivo la testa più leggera del solito, troppo leggera, mi sentivo infinitamente stanco, come se avesse annullato tutta l’adrenalina che avevo in corpo e che mi permetteva ancora di reggermi in piedi.
“quindi, tu vorresti farmi credere che siamo figli di divinità greche? – il centauro annuì sorridente – non ci credo neanche morto” sentenziai infine lasciandomi andare tra i cuscini del divano e tenendomi la testa con entrambe le mani.
Tom mi guardava interrogativo, lui sembrava essere immune all’effetto soporifero dell’intruglio, anzi, sembrava più sveglio che mai.
“ok, ok ho capito, è un manicomio e quella dei “seminei” è una scusa, ma posso affermare di non essere matto!”
“primo: si dice semidei; secondo: questo non è un manicomio e terzo: nessuno sta mettendo in dubbio la tua sanità mentale, anche se sarei tentato di farlo …” intervenne Nico materializzandosi da un angolo buio della stanza rigirandosi tra le mani un anello a forma di teschio.
“nessuno ha chiesto la tua opinione mezzo punk schizzato …” esclamai con tono calmo – e leggermente inquietante se volete una mia opinione -.
Nico fece per avvicinarsi con sguardo assassino, puntando dritto verso di me, ma Chirone, il centauro, lo fermò “non oggi, Nico” “io non prendo ordini da te!” ribatté il moro prima di svanire nuovamente nell’ombra.
“Nico è un po’ difficile da gestire, ma è anche uno dei nostri guerrieri migliori, Jonah, anche se adesso non vuoi credermi, un giorno tua madre ti riconoscerà e capirai” furono le ultime parole di Chirone che riuscii a sentire, prima di crollare sul pavimento e perdere i sensi.
***
 Mi sembrava di essere infondo al mare, la mia vista era appannata e riuscivo a distinguere solo i colori e la luce. “è arrivato” disse all’improvviso una voce, era una voce maschile e sembrava provenire da una fonte di luce particolarmente forte.
Mi voltai un paio di volte a destra e a sinistra, prima di riuscire a definire un’altra sagoma, era una donna e sembrava piuttosto turbata “lo so” disse piano, aveva una bella voce.
***
“Jonah” disse piano una voce facendo sparire dalla mia testa quelle due strane figure sconosciute.
“svegliati Jonah, il sole è alto nel cielo e tu stai dormendo da più o meno tre ore e mezzo” aprii lentamente gli occhi ma, non riuscii a rendermi conto di dove mi trovavo che un secchio di acqua ghiacciata mi si rovesciò addosso.
Mi drizzai a sedere di scatto nell’attimo in cui l’acqua gelida venne in contatto con la mia pelle calda, i capelli ramati mi coprivano gli occhi impedendomi di avere una visuale completa della scena che mi si presentava davanti.
Ero in una stanza spaziosa, ma dotata tre o quattro letti a castello e di sacchi a pelo sparpagliati sul pavimento, non c’erano molti ragazzi nella stanza, ma gli occhi mi ricaddero su due di loro che mi stavano vicino e ridevano come matti. Erano gemelli, ma uno era più basso arrivando leggermente sopra il mento dell’altro e, il più alto, teneva tra le mani un secchio vuoto.
“siete forse impazziti?!” esclamai scuotendomi i capelli con una mano e strizzandomi la maglietta zuppa d’acqua.
“quanto la fai lunga …” esordì uno dei due.
“… è una tradizione ormai!” finì l’altro.
“io sono Connor …” disse il ragazzo più basso scostandosi i capelli color cioccolato dagli occhi azzurri.
“… e io Travis” aggiunse l’altro mettendo un braccio intorno alle spalle di Connor.   
“ma tutti ci chiamano semplicemente i gemelli Stoll, figli di Ermes!” terminarono entrambi assumendo lo stesso identico sguardo furbo.
“dio dei ladri …”
“… e dei viandanti”
“messaggero degli dei …”
“… e cinquecento volte vincitore del premio per le scarpe più eleganti!”
“ehm … okay … ma, dove sono?” chiesi, loro si guardarono interrogativi, per poi incrociare i loro sguardi con il mio “sei nella cabina 11, dei figli di Ermes … “ “… non sei ancora stato riconosciuto da tua madre, ma Ermes è il dio protettore dei viaggiatori …” “… quindi, finché la tua divina mami non si renderà conto che siete imparentati, resterai qui”.
Rimasi un po’ interdetto, ma poi decisi che impuntandomi sulla questione che non credevo ad una sola delle parole dette da quei due strani individui non avrei risolto nulla, rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi Travis mi porse una maglietta e dei jeans puliti sorridendomi.
“scusa per lo scherzo, ma considerando il fratello che ti ritrovi …” “… pensavamo che l’avresti presa meglio”
“non bene, ma meglio” precisarono parlando all’unisono, io mi limitai a prendere i vestiti accennando un mezzo sorriso e, seguendo le loro indicazioni, arrivai al bagno abbastanza velocemente.
Non avevo fatto molto caso ai vestiti che mi avevano dato, ma poi mi accorsi che sopra la maglietta c’era una scritta: “campo Mezzosangue”. Non era stato questo a preoccuparmi, ma piuttosto il colorito arancione sbiadito della maglia.
Piuttosto che mettermela, avrei preferito darle fuoco! Però, non avevo altra scelta se non infilarmela e soffrire in silenzio ascoltando la risata fastidiosa di Tom, la pulce.
Decisi di esplorare un po’ il campo, non avevo intenzione di rimanerci a lungo, ma per allora non potevo fare altro e poi, dovevo trovare la pulce.
Notai che il campo aveva tredici cabine, ognuna diversa dall’altra – era un po’ una tortura per gli occhi –  cercai di non fossilizzarmi troppo su quelle stupide cabine, ma una mi colpì particolarmente.
Era completamente ricoperta dal colore nero, ricordava molto l’ossidiana sia per la consistenza che per l’intensità. Ai lati della porta, c’erano due torce accese, ma la fiamma che usciva da esse era verde e, proprio al centro, sopra l’entrata, c’era un teschio enorme con gli occhi infuocati.
“un bel lavoro, non credi? Ci ho messo un po’ a finirla” disse una voce fastidiosamente arrogante alle mie spalle. Mi voltai e mi ritrovai davanti il figlio di Ade, Nico. Fin dal primo momento che l’ho visto, non abbiamo avuto un buon rapporto, ma lasciai correre decidendo di non immischiarmi negli affari di quel punk schizzato.
“mm” mormorai allontanandomi, ma lui mi bloccò con un’affermazione sprezzante che mi fece stringere i pugni e serrare la mascella “che c’è, Nighthief? Hai paura?”.
Mi voltai lentamente e lo guardai negli occhi, occhi persi nell’oscurità della notte, occhi senza luce, eppure espressivi … misteriosi … tristi.
“no, non ho paura e adesso scusa, ma vado a cercare mio fratello” appena pronunciai quell’ultima parola, Nico si irrigidì palesemente, non tentò neanche di nasconderlo.
“si è nascosto dietro quell’albero” indicò lui sommesso dirigendosi verso la cabina di ossidiana, probabilmente dedicata a suo padre Ade.
Nico aveva ragione, con la schiena appoggiata sul tronco dell’albero a giocherellare con una strana moneta d’oro, c’era Tom.
Anche lui aveva i capelli bagnati, non doveva essere passato molto tempo dal suo ‘rito di iniziazione’, anche lui era stato costretto a indossare la maglietta del campo e sembrava un po’ cupo: che se la fosse presa per lo scherzo?
“ciao” esordii avvicinandomi, lui non si era accorto di me e, sentendo la mia voce, si contrasse e si voltò verso di me, il volto stranamente pallido e malaticcio.
“ciao” rispose, poi mi mostrò la moneta d’oro “è una dracma, Chirone vuole che avvisiamo mamma e papà che ci troviamo qui, mi ha spiegato come usarla” continuò prendendo un pezzo di vetro da terra e puntandolo verso la luce, non capivo cosa stesse succedendo, poi vidi che stava creando un arcobaleno.
“oh Iride, accetta la mia offerta” recitò lanciando la dracma nell’arcobaleno che la inghiottì creando una specie di nebbia attorno ad esso.
“Tom, sei ridicolo” dissi, ma lui non ci fece caso, anzi, guardò con maggiore attenzione l’arcobaleno, non riuscivo a capire cosa pensasse di fare.
“mostrami Janet e Thomas Nighthief” disse con un filo di voce, poi i colori cominciarono a mischiarsi fino a formare la figura di un soggiorno e di due persone che riconobbi come la madre di Tom e mio padre.
“ma cosa …?”
“Jonah! Come stai? Sono felice che tu stia bene” cominciò mio padre.
“papà, sto bene, calmati” dissi senza neanche guardarlo, lui si incupì leggermente, poi rivolse il suo sguardo a Tom, mentre sua madre cominciò con le solite domande come “hai mangiato? E quanto?” “come ti trattano gli altri?” “Jonah ti sta torturando?” – quest’ultima è la mia preferita! – ma poi venne un’affermazione di mio padre che non mi aspettavo “Tom, Janet, potete lasciarmi da solo con Jonah?” lo guardai interrogativo mentre Tom e sua madre si erano già fatti da parte, stavolta, non potei fare a meno di guardarlo negli occhi.
“adesso capisci perché non hai mai conosciuto tua madre?” mi chiese, non c’era risentimento nella sua voce, solo sincerità e affetto.
“una dea … diciamo che non ti sei accontentato di una nella media” dissi sentendomi un po’ in colpa, tutti quegli anni a odiarlo per aver abbandonato mia madre, quando lei non si sarebbe mai potuta occupare di me, probabilmente era stata proprio lei ad abbandonare mio padre.
Mio padre rise alle mie parole, in effetti, considerando il tono che avevo usato, anch’io avrei riso di me stesso.
“vedo che l’hai presa bene, non ho potuto dirti nulla di tutto questo, non puoi neanche immaginare lo shock nello scoprire che Zoe … ammetto di sentirmi un po’ stupido”
“a dire il vero, per adesso mi rifiuto un po’ di crederci, comunque, Zoe?!” chiesi interdetto.
“si presentò a me con questo nome, non mi rivelò mai però chi fosse veramente, in versione divina intendo” disse con un’immancabile sorriso come al solito.
“Papà, mi dispiace, per tutto quanto, io …” “sta calmo, Jonah. Ti ho già perdonato e, magari, prova ad andare d’accordo con Tom, lui è ancora un po’ … confuso da questa situazione, ha bisogno di te, è il momento di fare il fratello maggiore, non credi?” disse rivolgendomi un sorriso, uno di quelli che non mi rivolgeva da tempo. “lo farò, almeno ci provo” gli promisi. “ciao, Jonah” “ciao, papà”.
L’immagine si dissolse ed io mi sentii un po’ più sicuro di me stesso; Tom mi raggiunse poco dopo e mi rivolse un’occhiata sfuggente, solo allora capii cosa intendeva mio padre.
Io gli sorrisi e lo abbracciai, lui cercò di divincolarsi dalla mia presa senza successo.
“ma che ti prende, cretino?” esclamò confuso, ma io non lo lasciai, neanche per un secondo, restando in silenzio e, solo alla fine gli dissi tre semplici parole “ti voglio bene”.
Lui si sganciò dalle mie braccia e mi guardò confuso, come per chiedermi se fosse il primo di aprile o cosa, ma io gli scompigliai i capelli.
“Tom, sei mio fratello, e anche se in tutti questi anni siamo stati l’uno contro l’altro, adesso siamo solo io, tu e questo campo per psicopatici” dissi e subito lui rise, era un mio talento, farlo ridere.
Gli porsi la mano e gli chiesi “tregua?” e lui la strinse e sorrise, non mi servirono altre conferme: lui si sarebbe sempre fidato di me.
 
Note d’autrice: ebbene, si sa, l’amore trionfa sempre! Jonah si è riappacificato con il padre … Tom riceve finalmente le attenzioni che aveva sempre desiderato da suo fratello … e tutti vissero felici e contenti … no! Un secondo, ma che fine avrà fatto Artemide, o meglio, Zoe?! – vi prego, ditemi che avete capito il doppio senso! – Comunque, per stimolare la vostra curiosità, voglio proporvi un’aggiunta al finale * sorriso beffardo * anche se io vi consiglierei di non leggere:
“Jonah finalmente si sentiva a posto con se stesso, non aveva conti in sospeso con nessuno e forse finalmente si sarebbe affezionato a quello strano campo estivo, ma si sbagliava.
Non lo rivelò mai a nessuno, ma Jonah in quel momento vide una figura in fondo alla boscaglia, era come un’ombra … e stava singhiozzando rivolgendo sguardi sfuggenti ai due fratelli sentendosi sempre più perso dopo ogni sguardo rivolto verso quell’abbraccio, verso quell’amore da lui ormai dimenticato”
Vi ho distrutto tutti i feels? Posso solo dire di avervi avvisato e di avervi dato anche un consistente indizio per quanto riguarda il ruolo di Nico in questa storia.

Tanti saluti dalla vostra stella Polaris (devo seriamente smetterla con questi giochi di parole ...)                                        

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Capitolo 5
*** scontri assurdi e dee anticonformiste ***


Era passata ormai una settimana dal mio arrivo al campo, e devo ammettere che stavo cominciando ad apprezzare quel luogo e tutti gli altri ragazzi che come me lo abitavano.
Io e Tom poi non eravamo mai stati così uniti, spesso litigavamo, ma sarebbe stato impossibile evitarlo considerando la sua testa dura: avevo promesso che sarei stato un fratello migliore, non una babysitter.
Lui era stato riconosciuto già due giorni dopo il nostro arrivo, all’inizio mi ero un po’ spaventato vedendo uno strano bastone con attorcigliati due serpenti apparirgli sulla testa ma gli altri mi rassicurarono dicendomi che era soltanto Ermes che aveva riconosciuto Tom come suo figlio.
Ero felice che fosse un figlio di Ermes, mi sarebbe dispiaciuto non poter più condividere con lui quelle lunghe chiacchierate che facevamo la sera tardi nella cabina 11 quando non riuscivo a dormire.
Quel giorno sembrava proprio un giorno normale … sembrava
Eravamo nell’arena a combattere e, per l’ennesima volta, Tom mi aveva disarmato e mi puntava un coltello alla gola, certe volte quel ragazzino mi inquietava.
“ah! Battuto un’altra volta!” disse trasformando il suo coltello in un portachiavi con sopra il simbolo di Ermes: un caduceo (vedi capitolo 2).
“non cantare vittoria troppo presto, nanerottolo, ricordati che oggi pomeriggio abbiamo l’allenamento di tiro con l’arco” ribadii, con la spada ero una frana, ma avevo scoperto che con l’arco ero una scheggia! Molti si meravigliavano che non fossi figlio di Apollo.
“nanerottolo? Che fine ha fatto pulce?” chiese un po’ confuso inclinando leggermente la testa, come un cagnolino che è appena stato inondato dal getto di un innaffiatoio automatico.
Io risi e gli scossi un po’ i capelli “ok, pulce, facciamo una pausa? È da un po’ che combattiamo” dissi cominciando a sganciare l’armatura.
“d’accordo, ti distruggo più tardi” disse assecondandomi, uscimmo dall’arena e andammo a fare una passeggiata ai margini della foresta.
Avevo con me l’arco che mi era stato prestato da un certo Will Solance, un figlio di Apollo che spesso si allenava con me, era un tipo simpatico.
“secondo me non ce la fai a colpire quel ramo lassù in cima” mi indicò Tom con un gesto della mano, io ghignai a quell’affermazione, sfoderai l’arco e, senza neanche prendere la mira, la freccia andò a infilzarsi esattamente nel punto indicato da Tom.
“dicevi?” esordii con tono autoritario sistemando meglio la faretra che portavo sulle spalle carica di frecce finemente appuntite.
“non male” disse semplicemente, a mio avviso era stato un tiro assolutamente perfetto ma, anche se fosse stato Apollo in persona a scoccare la freccia, Tom non l’avrebbe mai ammesso.
Si limitò a puntare il coltello nello stesso punto per staccare la freccia incastrata, avevamo scoperto che il coltello, dopo pochi secondi, era capace di tornargli in tasca automaticamente.
Restammo in silenzio per un po’, fino a quando non avvertii un leggero spostamento d’aria sopra le nostre teste.
Feci un cenno a Tom che percepì subito il messaggio, sfoderammo subito le armi: sebbene fossimo all’interno dei confini del campo, i mostri erano sempre in agguato.
Puntavo la mia freccia praticamente ovunque per non essere colto di sorpresa, quando avvertii un rumore dietro il tronco di un albero, puntai la mia freccia proprio lì ma, pochi secondi dopo, venne fermata da …
“ma bravo Jonah, vedo che ti interessi molto ch’io passi del tempo con mio padre, commovente …” disse lapidario un Nico di Angelo piuttosto adirato.
“di Angelo, è da un po’ che non ti si vede” dissi freddamente incontrando i suoi occhi neri e lucenti come l’ossidiana, alla mia affermazione lui ghignò.
“sono stato per un po’ da mio padre, gli Inferi non sono poi così male in questo periodo dell’anno, sai?” disse con tono calmo e leggermente inquietante.
“ma non mi dire …” risposi con tono ancora più adirato e poco cordiale.
“senti, la discussione si sta un po’ dilungando, passiamo al sodo” disse a denti stretti sfoderando la sua spada, una spada nera e impregnata d’odio … quasi quanto i suoi occhi.   
Io presi il mio arco e puntai una freccia contro di lui, Tom si scansò prontamente ed io non potei fare altro che assecondare Nico in quell’assurdo combattimento.
Scoccai una serie di frecce nella sua direzione, ma lui le spezzò con una facilità estrema senza rinunciare al suo ghigno beffardo, quanto avrei voluto strapparglielo a forza da quel viso cadaverico.
Subito partì all’attacco brandendo quella lama inquietante e piuttosto spaventosa – se volete la mia opinione -.
Tentò un affondo, ma lo evitai prontamente, era un po’ difficile stargli dietro, avevo solo un arco con me e se avessi voluto coglierlo di sorpresa, avrei dovuto attaccarlo da una debita distanza.
Fu allora che nella mia testa si formò un’idea geniale che mi avrebbe sicuramente permesso di battere quel ragazzino.
Parai un altri tre o quattro affondi di Nico che sembrava fin troppo sicuro di sé, ma alla fine indietreggiai fino a trovarmi con le spalle attaccate al tronco di un albero e mi arrampicai fino ad uno dei rami più alti, non mi ero mai arrampicato in vita mia, eppure sentivo che era la cosa giusta da fare.
“che c’è Nighthief? Ti arrendi? Pensavo che almeno un po’ di dignità l’avessi anche tu” mi beffeggiò lui ignaro di tutto.
Mi arrampicai ancora un po’, in modo che lui non riuscisse a vedermi  o, almeno, che pensasse ad una mia ipotetica fuga.
Presi una freccia e la puntai verso il suo braccio destro, quello con cui reggeva la spada, era un punto piuttosto lontano, ma niente era impossibile per Jonah Nighthief, così presi la mira e scoccai la freccia.
Il gemito di dolore di un non più così trionfante Nico arrivò fino alle mie orecchie.
Scesi dall’albero con un paio di salti – come facevo ad esserne capace era ancora un mistero -  e recuperai la spada di ferro dello Stige puntandola al petto di Nico con fare piuttosto sicuro.
“dicevi, di Angelo?” lui stava per rispondere, un pugno chiuso intorno alla freccia sporca di sangue, il suo sangue  eppure qualcosa cambiò nei suoi occhi regalandogli un’espressione confusa e stupita che non servì per niente a tranquillizzarmi.
Indietreggiò col braccio, ancora sanguinante, facendo cadere la freccia che andò a conficcarsi nel terreno emettendo un suono metallico.
Mi voltai verso Tom, ma anche lui sembrava piuttosto confuso, decisamente più calmo di Nico, ma pur sempre confuso.
Quando mi resi conto che non stavano guardando me, ma un punto indefinito proprio sopra la mia testa, alzai di scatto lo sguardo e il mio cuore saltò un battito.
Sopra la mia testa svettava una luna piena, ma era stranamente diversa, era grande quasi quanto un pallone da basket con riflessi d’oro e d’argento e sopra si scorgeva un’ombra: una ragazza che fletteva il suo arco, pronta a scoccare la sua freccia.
Ero appena stato riconosciuto.
Non riuscii a terminare di formulare quel pensiero, che Nico mi afferrò per il braccio e mi trascinò nell’ombra con lui.
I viaggi-ombra erano oscuri, freddi, desolanti, … di certo non erano adatti alle persone deboli di cuore. Fortunatamente, durò solo pochi secondi e poi riapparimmo nella Casa Grande dove ci aspettava un Chirone abbastanza sconvolto.
Appena mi vide – o almeno appena vide quello che restava del riconoscimento – si alzò in piedi(?) mostrando, in tutto il suo splendore, una maglietta con su scritto “IL CENTAURO NUMERO UNO”.
“non è un buon segno, non è per niente un buon segno” disse Chirone dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, anche se a me sembravano passate delle ore.
“cosa c’è di sbagliato? Sono stato riconosciuto, no?” dissi interrompendo Nico che stava per prendere parola, e che mi guardò accigliato.
“il punto è chi ti ha riconosciuto” ribatté Nico senza nascondere una nota di quella che sembrava preoccupazione.
“ad ogni modo, è ora di darti un benvenuto ufficiale Jonah, figlio di Artemide”.
Chirone mi posò una mano sulla spalla con fare paterno ma, appena la sua mano si posò su di me, non vidi più la casa grande.
Come in un viaggio-ombra – ma senza tutte le cose inquietanti – mi ritrovai in una sala gigantesca con dodici troni alti più di sette metri e una fontana al centro che sfiorava i sei metri.
Non capivo dove mi trovavo, mi sembrava di essere finito in una di quelle strane mostre di arte concettuale in cui tutti gli oggetti sono dieci volte più grandi di te, ma cambiai subito idea quando vidi delle persone gigantesche.
Mi trattenni dall’urlare – potevano essere carnivori, no? – e li guardai più attentamente.
Erano persone piuttosto normali all’apparenza – tralasciando i più di sei metri di altezza, si intende – ma la parte più strana erano gli occhi; quelli di un uomo lanciavano fulmini, da quelli di una donna era come se sbocciassero continuamente fiori, piante esotiche e … cereali?!
In ogni caso, tentai di capire cosa stesse succedendo, erano tutti chini sulla fontana che vi era al centro della stanza tranne un paio che erano seduti con fare annoiato sui rispettivi troni – uno dei quali ricordava parecchio il trono di spade …
“non può essere, mi rifiuto di crederci!” esordì l’uomo con gli occhi di fulmine, sembrava arrabbiato, e non mi piaceva per niente.
“c’è poco da fare, il ragazzo è stato riconosciuto, non possiamo fare molto” disse una donna al fianco dell’uomo, aveva i capelli biondi che le ricadevano in boccoli delicati sulle spalle e gli occhi grigi che le donavano uno sguardo sveglio e intelligente.
“io mi chiedo solo perché … perché è successo tutto questo?! È una disgrazia!” esclamò l’uomo in un impeto d’ira seguito da una scarica di fulmini nel cielo.
“semplice, papà: nessuno può resistere all’amore” disse una donna – a mio avviso semplicemente meravigliosa – con fare diplomatico, ma con un tono da sognatore.
“AFRODITE! POSSIBILE CHE TU NON RIESCA MAI AD ESSERE SERIA?! E poi tu, Apollo, non hai niente da dire?! Artemide è tua sorella! Ti avrà sicuramente detto qualcosa” urlò l’uomo prima ad Afrodite poi ad Apollo che se ne stava in un angolo abbracciato ad un peluche a forma si sole.

padre mio
Solo col tempo
Una ferita si rimargina”    

Disse semplicemente il biondo, doveva avere sui diciannove anni, ma l’istinto mi diceva che ne aveva molti di più.
“Apollo, ti ho chiesto risposte, NON HAIKU” urlò con maggiore determinazione l’uomo, eppure a me il ragazzo sembrava molto serio, quasi rassegnato.
“forse sarebbe meno controproducente chiedere alla diretta interessata” disse una voce all’improvviso, tutti si voltarono verso la persona che aveva pronunciato quelle parole.
Era una donna, aveva i capelli ramati e gli occhi lucenti e, a differenza degli altri che indossavano toghe greche, indossava dei jeans scuri, una T-shirt dei Green Day e una giacca di pelle nera.
“Artemide, prima di tutto: che cavolo ti sei messa?! E poi, come la metti con quel Nighthief?!” urlò l’uomo.
“io mi metto quello che mi pare e poi, è vero, Jonah è mio figlio”
“sai che c’è solo un modo per evitare compromessi di qualsiasi tipo, vero?”
“lo so benissimo” ribatté Artemide “e la risposta è no”.
    La scena cambiò e mi ritrovai in una stanza blu e argentata con dei mosaici di animali sulle pareti, avevo un gran mal di testa  e non capivo dove mi trovavo.
Avevo un post-it attaccato alla testa, lo staccai e lessi la bella calligrafia piccola e ordinata :

benvenuto alla cabina otto idiota, questa sarà la tua nuova casa e bla bla bla …
Nico
P.S.: dovresti smetterla di svenire in giro :-P”
 
Strappai il post-it e lo gettai sul pavimento ma, appena mi alzai dal letto trovai un altro biglietto leggermente diverso.
Era un biglietto semplice senza troppi fronzoli e sopra vi era impressa una grafia veloce ma impeccabile – insomma, POSSIBILE CHE SOLO IO ABBIA UNA SCRITTURA ASSOLUTAMENTE ORRIBILE?! – e lessi anche quello aspettandomi altre prese in giro da parte di Nico o un messaggio di Tom, ma dovetti ricredermi:

“Ciao Jonah,
Spero che tu non te la sia presa per il ritardo, ma non avevo altra scelta. Sono felice che tu stia bene e volevo vederti, ci vediamo tra due giorni per una bella battuta di caccia: ti piacerà!
Artemide
P.S.: spero che il regalo ti piaccia
 
Alla lettera era allegato un bracciale nero decorato da borchie argentate.
Ero abbastanza sconvolto: gli dei usano le emoticon?!
 

Note d’autrice: scusate il ritardo! Ma ho avuto due settimane difficili tra interrogazioni e compiti in classe, mi sento un po’ in colpa, ma vi prego di perdonarmi, sono solo una povera babbana: non sono perfetta!
Passando alla storia: oh, miei dei! Jonah è stato riconosciuto! Finalmente … e Artemide sembra piuttosto … rock? Non mi viene in mente termine migliore, ma potrete ammirarla in tutto il suo “rock” nel prossimo capitolo! Intanto vi propongo una domanda che assilla anche me: gli dei usano le emoticon?!
Tanti muffin da una piuttosto sconvolta Polaris_Nicole 

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Capitolo 6
*** L'impresa ***


“Jonah … Jonah, svegliati!”
Queste parole continuarono a rimbombarmi nella testa senza che io potessi fare niente per fermarle.
Da quando era stato riconosciuto come figlio di Artemide, la vita al campo era totalmente cambiata, non ero in grado di stabilire se in meglio o in peggio.
Tutti mi ignoravano (mi avevano ignorato dal primo giorno, ma non vi avevo dato troppo peso … fino ad ora) tranne i figli di Afrodite che mi definivano “la prova che tutti possono essere innamorati”, i figli di Apollo con cui mi allenavo a tiro con l’arco, i satiri e le ninfe.
I satiri e le ninfe erano i peggiori, mi tormentavano dalla mattina alla sera con richieste assurde e insensate.
Soltanto il giorno prima avevo dovuto affrontare tre satiri che volevano per forza andare a fare una passeggiata in spiaggia con me e cinque ninfe che fecero a gara per sedersi accanto a me a pranzo.
“Jonah, so che sei sveglio, alzati!” esordì con maggiore intensità la voce sconosciuta alle mie orecchie.
Pensai che si trattasse dell’ennesima ninfa-stalker e provai ad ignorarli ma, ben presto, sentii uno strano respiro caldo e denso annebbiarmi la mente.
Aprii gli occhi controvoglia e mi ritrovai davanti il cervo più … cervo che avessi mai visto.
Arretrai di scatto col risultato che caddi dal letto dalle coperte splendenti e argentate (grazie mille iperattività!).
Vidi una mano affusolata accarezzare la testa dell’animale con una grazia che mai avrei paragonato ad un qualsiasi essere umano.
“amari estremi, estremi rimedi” si giustificò la voce, allora potei vedere a chi apparteneva la voce.
Era una donna, doveva avere una ventina d’anni, i suoi capelli erano ramati e raccolti in una treccia, indossava un jeans nero, una giacca di pelle e una maglietta di una vecchia band rock.
Poteva sembrare una persona comune, eppure vi era un’aura attorno a quella figura che lo costrinse a credere tutt’altro.
“t-tu chi sei?” chiesi cercando di mascherare il senso di confusione per quell’inaspettata visita.
“non riconosci tua madre neanche quando ce l’hai davanti?” chiese la donna, che identificai come Artemide, incrociando le braccia e guardando torva il cervo che si stava pappando il mio cuscino.
“Artemide? Sei … sei proprio tu” dissi stupidamente inchinandomi di fronte a lei, non sapevo perché, ma mi sembrava la cosa giusta da fare (dopotutto era una dea!).
“no, niente inchini, mi fai sentire così vecchia …” disse lei facendomi cenno di alzarmi.
Ero stupefatto, sapevo che probabilmente sarebbe venuta a farmi visita nel giro di qualche giorno, però non mi aspettavo che avesse quell’aspetto … anche se la trovavo assolutamente fantastica!
Rimanemmo a fissarci per un po’, non avevo mai pensato a cosa avrei fatto o detto se avessi finalmente incontrato mia madre e, considerando che ero il suo unico figlio, pensavo che neanche lei sapesse esattamente cosa fare.
“sono passata per casa tua ieri, ti ho portato un po’ di cose che pensavo potessero servirti. Ti aspetto nel bosco, non ti dimenticare che stamane abbiamo una battuta di caccia” disse con tono serio poggiando uno zaino sul mio letto e sparendo nel nulla.
Nello zaino, trovai alcuni miei vestiti (finalmente non avrei dovuto più mettere quell’orribile arancione scambiato!), dei libri di mio padre (che li avesse presi anche lei senza il suo permesso? Molto probabilmente sì), un vecchio panda di peluche (era nascosto sotto il letto, come cavolo aveva fatto a trovarlo?!) e qualche altra cosa utile.
Sistemai tutte le cose intorno al mio letto (soprattutto un poster degli Imagine Dragons che Artemide mi aveva portato da casa).
Rimisi finalmente i miei vestiti, la mia fedele felpa nera e il regalo di Artemide: non me ne separavo mai per nessun motivo.
La trovai nella foresta a chiacchierare con una ninfa, non l’avevo notato, ma portava sulla schiena un arco d’argento e una faretra piena di frecce.
Quando mi avvicinai, la ninfa si dissolse imbarazzata (ormai ci ero abituato), Artemide invece mi guardò un po’ interdetta.
“perché non usi l’arco?” mi chiese indicandomi il polso.
“l’ho dimenticato, torno subito” dissi leggermente imbarazzato, come pretendevo di andare a caccia senza un’arma adeguata?! Per di più andando a caccia con la DEA della caccia.
“non usi quello che ti ho regalato? Pensavo ti trovassi bene …”
“un secondo! Mi hai regalato un bracciale non un arco”
“davvero? Una delle borchie è storta” mi fece notare leggermente infastidita, senza pensarci la sistemai, così mi ritrovai tra le mani un arco nero e, sulla schiena, una faretra con frecce dello stesso colore tranne che per le punte argentate.
“ok, questa non me l’aspettavo” ammisi osservando l’arco con interesse.
“è stato uno dei miei primi archi, ci tenevo che l’avessi tu” disse osservandomi con interesse “andiamo?” continuò.
“certo”
***
Era da almeno un’ora che giravamo per la foresta, se non due, eppure non avevamo trovato neanche un animale. Artemide continuava imperterrita nella ricerca, la stanchezza non sembrava scalfirla neanche minimamente, non potevo dire lo stesso di me.
Ben presto i miei pensieri migrarono altrove, cominciai a pensare che a quell’ora dovevano essersi svegliati tutti, che Tom era andato a svegliarmi nella capanna otto (non sono esattamente un mattiniero) e che non mi aveva trovato.
Forse avrei dovuto lasciargli un biglietto … certo, una cosa tipo “Ciao Tom, scusa ma Artemide ha fatto irruzione nella capanna mentre dormivo, quindi potresti non trovarmi. Se non torno verso sera non preoccuparti, vuol dire solo che mi hanno sbranato/macinato/rivoltato da dentro a fuori”.
“mi sono occupata personalmente di lasciare un biglietto sulla porta della capanna otto e, considerando la tua idea di biglietto, credo sia meglio così” disse risoluta, da quel momento tentai di convertire la mia mente ad un unico pensiero: NON PENSARE A NIENTE DI IMBARAZZANTE.
Artemide era … strana.
Quando la guardavo, mi sembrava molto simile a me, eppure quando parlava emanava una tale sicurezza e forza da farmi sentire totalmente inadeguato.
Avevo sentito al Campo parlare di una specie di gruppo con a capo Artemide, mi sembra che si chiamasse “le Cacciatrici”.
Le Cacciatrici erano un gruppo di ragazze che accompagnavano Artemide nelle sue battute di caccia, che fossero anche loro come lei? E poi perché solo ragazze?
Mi ero immaginato Artemide in tutti i modi possibili, ma di certo non me la sarei aspettata così … divina.
Ad un certo punto, però, i miei pensieri vennero spazzati via da un stana sensazione: qualcosa era vicino.
Artemide aveva già sfoderato l’arco senza che le dicessi niente, così feci lo stesso seguendo il sentiero invisibile che mi aveva indicato con un cenno.
Più andavo avanti, più avvertivo la presenza di qualcosa, non sapevo neanche da dove arrivasse tutta quella sicurezza, la trovavo innaturale.
Poi mi resi conto che, in realtà, la presenza che avevo avvertito era quella di un lupo o, almeno, a me sembrava un lupo.
Era più grande del normale, il manto era di un nero intenso e lucido e il volto di quell’animale non si poteva esattamente definire pacifico.
“mai vista una preda del genere” disse la Dea con una strana luce negli occhi “avanti, fammi vedere che sai fare” disse con tono di sfida.
Non sapevo che fare, non ero mai andato a caccia, come pretendeva che colpissi quell’animale?! Ad ogni modo, presi la mira puntando la punta d’argento della freccia al manto liscio del lupo.
Presi un respiro profondo, e scoccai la freccia.
L’animale emise un verso grottesco e si accasciò al suolo, un rivolo di sangue scendeva dal suo petto colorando di rosso il suolo.
“bel colpo! Hai sicuramente ereditato da me tutto quel talento con l’arco” disse soddisfatta Artemide, io però ero rimasto scioccato. Avevo ucciso, che fosse un animale o una persona non importava, avevo ucciso e mi sentivo un mostro.
Che fosse questo il motivo per cui tutti temevano la mia esistenza? Sarei diventato un assassino? No, non era possibile, come poteva anche solo essere possibile?!
“Qualcosa non va?” chiese Artemide rivolgendomi uno sguardo preoccupato, solo allora mi resi conto di non aver mai staccato gli occhi da quella che Artemide definiva “preda”. Io le rivolsi solo uno sguardo, e lei sembrò capire all’istante.
“andiamo! Non puoi prendertela per essere andato a caccia, e poi l’hai visto quel coso? Non era mica normale e poi …”
“MA DAVVERO NON RIESCI A CAPIRE?!” le urlai, non capii da dove avevo trovato tutta quella forza, sapevo solo che ne avevo abbastanza di quella Dea e dei suoi modi.
“cosa?!” disse lei leggermente infastidita.
“forse per te sarà una cosa da niente certo, uccidere un animale, che senso ha se sei una Dea e sei immortale?! Scommetto che quelle Cacciatrici del cavolo che ti porti sempre dietro seno identiche a te. Sai qual è la cosa che mi dispiace di più in tutta questa storia? Che in tutti questi anni ce l’ho avuta a morte con mio padre per colpa tua. E poi ti presenti così, come se nulla fosse, e mi tratti peggio di una delle tue prede. Perché allora ti sei data tutto questo disturbo di incontrarmi, se potevi startene con quelle ragazzine o da qualsiasi altra parte sull’Olimpo?!” avrei anche potuto continuare, se solo due braccia sottili ma forti non mi avvolsero fino ad abbracciarmi.
Non me lo sarei mai aspettato, ma Artemide mi stava abbracciando, e la cosa non mi dispiaceva poi così tanto a dire la verità.
“vieni con me” disse alla fine facendomi un cenno, io la seguii, e lei mi portò fino a dove si ergeva il corpo dell’animale. Io la guardai mentre si sedeva a gambe incrociate e accarezzava il manto della bestia.
Io mi sedetti sul lato opposto e la guardai, sembrava emanare una strana energia, una specie di scia d’argento sul manto dell’animale steso ai suoi piedi, non capivo cosa stava succedendo, fino a quando non vidi l’animale aprire gli occhi.
“nonostante tu creda il contrario, sappi che io tengo molto alla vita di tutte le creature, vorrei ricordarti che sono anche la Dea protettrice degli animali” disse accarezzando il muso del lupo, solo allora mi resi conto che qualcosa era cambiato. Il lupo era tornato di dimensioni normali, provai ad avvicinarmi, ma quest’ultimo scappò via.
“questo andava abbattuto per forza, sembra una specie di maledizione, ma non sembra grave” continuò lei, mi sembra inutile dire che mi sentii davvero molto stupido.
“mi dispiace per prima, non credevo che …”
“è tutto ok, a volte posso risultare un po’ dura, e poi mi ricordi molto tuo padre” disse con un sorriso che, almeno per una volta, non mi fece accapponare la pelle.
“ah, questa prendila tu, in memoria della giornata” disse porgendomi uno strano vello di pelliccia nera che, al contatto con le mie mani, divenne una giacca di pelle nera.
“non dirmi che …”
“trofeo di battaglia” disse lei con noncuranza provocandomi una risata nervosa.
***
“ancora non mi hai detto perché sei qui, non rifilarmi scuse del tipo “sentivo l’esigenza di passare del tempo con mio figlio” perché non ci credo neanche morto” dissi addentando uno dei panini che Artemide aveva preparato dato che avremmo saltato il pranzo (ma gli dei pranzano?). La giornata era volata, e non mi ero mai sentito così bene, Artemide alla fine si era rivelata molto simile a me.
“è complicato, vuoi un po’ di limonata?” chiese.
“no, grazie. Preferirei piuttosto che  non cambiassi argomento, che succede? ci sono problemi in vista?” chiesi con superficialità ma, appena vidi il viso di Artemide rabbuiarsi, mi resi conto di aver detto qualcosa di grave.
“non avrei voluto dirtelo, ma credo che tu abbia il diritto di sapere. Sull’Olimpo sono successi molti … guai da quando gli altri Dei sono venuti a conoscenza della tua esistenza” disse e, per la prima volta, vidi la sua sicurezza vacillare.
“come ben sai, io sono una delle tre Dee vergini, significa che non posso avere figli” continuò.
“mi spiace contraddirti, ma sono la prova vivente del contrario” ribattei.
“fammi finire. In ogni caso, la tua nascita è stata vista da Zeus come una specie di tradimento e mi ha offerto una sola possibilità per non scatenare una guerra”.
“e … quale sarebbe?” avrei tanto voluto non chiederglielo, ma la curiosità era troppa e non riuscii a frenare la mia curiosità.
“la tua morte …” disse con un filo di voce. “ma io mi sono rifiutata! Ho lasciato l’Olimpo per sempre, qualunque cosa succeda, non gli permetterò di farti del male come ha fatto con Nico e Bianca!” aggiunse notando il mio viso preoccupato.
“un secondo: Nico e Bianca?” chiesi, pensai subito che si riferisse a Di Angelo, ma chi era questa Bianca?
“è una lunga storia, e poi, penso che tu ne abbia già passate troppe per oggi. Sarà meglio che vada” disse semplicemente.
“un secondo! Perché tutta questa fretta?” chiesi.
“è quasi il tramonto, e Apollo mi ha promesso un passaggio, quindi io vado. Non fare stupidaggini mentre non ti osservo” disse affondando una mano nei miei capelli scuotendoli un po’, e inoltrandosi nel bosco.
 Rimasi seduto a gambe incrociate per un po’ nel bel mezzo del bosco, non avevo mai notato quanto quel posto fosse silenzioso, specialmente quando non c’erano ninfe o satiri che mi rincorrevano per tutto il campo.
Allungai una mano e presi una giacca di pelle nera, un piccolo trofeo di caccia, un altro regalo di Artemide … Artemide …
Ripensai alle parole della dea della luna “Zeus mi ha offerto una sola possibilità per non scatenare una guerra … la tua morte”. Ci sarebbe stata una guerra, tutto per colpa mia, per la mia nascita e per quell’idiota di Zeus. Non arrivai neanche a terminare quel pensiero che il rombo di un tuono echeggiò poco lontano da dalla mia postazione.
Dovevo fare qualcosa … qualsiasi cosa.
Ripensai ad alcune parole dette da Chirone il primo giorno che arrivai al Campo: “i semidei non se ne stanno certo tutto il tempo qui al Campo. Molti ci passano tutto l’anno, altri invece preferiscono restare solo d’estate. Alcuni Mezzosangue poi possono lasciare il Campo per compiere delle missioni o imprese, soprattutto quando si tratta di problemi tra gli Dei. Forse non ci crederete, ma gli Dei sono potenti quanto volubili”.
Un’impresa! Era la risposta a tutti i miei problemi, in fondo, se l’alternativa era una guerra, dovevano per forza permettermi di lasciare il Campo!
Cominciai a correre come una furia, dovevo trovare Chirone e parlargli della mia idea, dovevo assolutamente aiutare mia madre, era un mio dovere.
“Ciao Jonah! Ti vanno un po’ di fragole?” mi chiese un satiro porgendomi una cesta piena di quei frutti rossi e saporiti, mi fermai e ne presi una, giusto per educazione … e perché amavo le fragole.
“grazie, sai dove posso trovare Chirone? È urgente” dissi con urgenza, il satiro mi sorrise e si avvicinò con ancora il cestino in mano.
“nella Casa Grande, in genere la mattina va a fare una passeggiata nei Campi di fragole, ma per il resto della giornata gioca a carte col Signor D.” Io gli feci un cenno di assenso e rubai qualche altra fragola infilandole nella tasca della felpa prima di allontanarmi.
Appena entrai nella Casa Grande, trovai Chirone con un mazzo di carte in mano intento a sfidare un altro semidio, proprio come aveva detto il satiro.
“Chirone, devo parlarle, è piuttosto urgente” dissi avvicinandomi, molti si voltarono verso di me o, almeno, i voltarono coloro che non l’avevano fatto quando avevo varcato la porta …
“allora parla pure, ti ascolto volentieri” disse con un sorriso gentile sul volto,certo, come se io volessi davvero ammettere che sarebbe scoppiata una guerra solo per colpa mia.
“non … non potremmo parlarne in privato?” chiesi sperando in un suo consenso ma, appena vidi la sua espressione mutare in un’espressione dura e seria, feci le condoglianze a me stesso.
“se è qualcosa di importante, gradirei che la condividessi anche con gli altri, non ci piace avere segreti qui al Campo” precisò lui.
“Bene. Volevo solo dirle che ho bisogno di un’impresa” dissi tutto d’un fiato, Chirone mi guardò allibito.
“mi dispiace Jonah, ma non posso affidare imprese senza la giusta motivazione, ti spiace illustrarmi la tua?” continuò, certe volte mi veniva da odiarlo, sembrava sempre che sapesse tutto di tutti, e che ti facesse tante domande solo per metterti in imbarazzo.
“si tratta di mia madre, Artemide. Lei … se n’è andata dall’Olimpo e verrà scatenata una guerra se non interveniamo subito!”
“e ti lamenti? È colpa tua se l’Olimpo è sotto sopra! Tua e di quel deficiente di tuo padr…”
“NON TI AZZARDARE A DIRE UNA SOLA PAROLA CONTRO MIO PADRE!” urlai ad un figlio di Atena che si era intromesso nella questione.
“Ragazzi! State calmi!” urlò Chirone, ma nessuno lo ascoltò, ero pronto a farlo fuori quel tipo, nessuno poteva offendere la mia famiglia e sperarla di farla franca! Stavo per sferrare il primo pugno, quando uno schiocco di dita echeggiò per tutta la stanza aprendo una voragine tra me e il semidio. Mi voltai e incontrai due occhi neri come la pece. Nico di Angelo, figlio di Ade, stronzo di natura.
Chirone si voltò verso di me approfittando del silenzio “se si rischia una guerra, Jonah, allora mi sento obbligato ad affidare a qualcuno l’impresa. Te la cedo dato che ti riguarda in prima persona, ma devi scegliere due persone da portare con te”.
“sicuramente Tom, figlio di Ermes” dissi quasi subito, solo allora mi resi conto che Tom era sempre stato presente ad osservare le mie mosse, mi voltai verso di lui. “conta pure su di me” fu tutto ciò che disse, e mi bastava.
 “va bene, ma devi scegliere un’altra persona, è una tradizione che si parta in tre per un’impresa” esordì Chirone.
Cominciai a pensare a chi avrei potuto portare con me, non ero simpatico a molti, anzi, quasi a nessuno, e mi serviva qualcuno di molto forte per la missione! Poi però venni assalito da un pensiero, le parole di Artemide: “non gli permetterò di farti del male come ha fatto con Nico e Bianca!”.
Che si riferisse davvero a quel Nico? Al depresso figlio di Ade che si divertiva ad aprire voragini a caso? Non ne ero sicuro, ma era l’ultima possibilità che mi restava.
“ehm … so già che me ne pentirò, ma scelgo Nico di Angelo, figlio di Ade” Chirone sembrò stupito dalla mia scelta, ma la appoggiò incondizionatamente.
“cosa?! E io dovrei aiutare proprio te?! Preferirei affogare per mano dello stesso Poseidone!” esclamò il figlio di Ade, ma non aveva scelta, doveva seguirmi nel bene o nel male.
“neanche io impazzisco all’idea, di Angelo” feci presente al ragazzo che, prontamente, mi ignorò.
“adesso basta voi due! Nico, tu andrai con Jonah, e tu, Jonah, vedi di non strangolare nessuno fino a domani mattina”.
Decisi di tornare alla capanna numero otto ignorando le varie minacce di morte che mi venivano rivolte non solo da Nico …
Non sapevo cosa fare, non sapevo come reagire, sapevo solo che dovevo agire il prima possibile e risolvere tutti i problemi che attanagliavano la mia mente impedendomi di dormire.
 
Note dell’autrice ritardataria: so di non aggiornare da ormai due mesi, quindi mi limiterò a spiegare il capitolo sperando nella vostra clemenza.
Allora, Artemide forse è uscita fuori un po’ più fredda e distaccata di quanto avrei voluto, ma credo che in questo modo rispecchi di più l’Artemide descritta nel libro da Rick Riordan.
Nico può sembrare un po’ … molto … antipatico e fastidioso (visto dal punto di vista di Jonah) ma questa loro rivalità mi ispira parecchio, e poi, verrà spiegato abbastanza presto il motivo di questo comportamento da parte del mio dolce orsacchiotto degli Inferi.
Comunque, adesso Jonah, Tom e Nico hanno ricevuto la loro impresa! Cosa succederà? Jonah riuscirà a far cambiare idea al Signore dei Cieli? E Nico riuscirà a trattenersi dallo strangolare Jonah prima della fine della storia? Per quanto riguarda l’ultima domanda … probabilmente il nostro figlio di Ade preferirebbe allearsi a Zeus e farlo fuori.
Tanti saluti, Polaris_Nicole
 
 

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