She's a good girl

di Follow The Sun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Story of my life (prologo) ***
Capitolo 2: *** Clifford ***
Capitolo 3: *** The Band. ***
Capitolo 4: *** First meeting. ***
Capitolo 5: *** So Diconnected. ***
Capitolo 6: *** To Develop. ***
Capitolo 7: *** Lucas. ***
Capitolo 8: *** Gift. ***
Capitolo 9: *** Curly. ***
Capitolo 10: *** Hi Ashton. ***
Capitolo 11: *** Kiss from hell. ***
Capitolo 12: *** Friends? ***
Capitolo 13: *** Do you like me? ***
Capitolo 14: *** Prom? ***
Capitolo 15: *** New books, clichés. ***
Capitolo 16: *** Lost Memories. ***
Capitolo 17: *** Party or not? ***
Capitolo 18: *** No. I don't. ***
Capitolo 19: *** Marriage? ***
Capitolo 20: *** Airplanes. ***
Capitolo 21: *** This is Me. ***
Capitolo 22: *** Weed. ***
Capitolo 23: *** Home. ***
Capitolo 24: *** Tøp. ***
Capitolo 25: *** Cornobble. ***
Capitolo 26: *** Let's cry together. ***
Capitolo 27: *** Choices. ***
Capitolo 28: *** Abnormal beasts and where to find them. ***



Capitolo 1
*** Story of my life (prologo) ***


"She's a good girl." Capitolo 1

Story of my life

(prologo)

Mi presento, mi chiamo Emma, mi sono trasferita a Sidney da poco, non ho nulla di speciale, sono come qualsiasi altra ragazza della mia età.
Ho sedici anni e mezzo, a Dicembre sarò finalmente una diciassettenne a tutti gli effetti.

Dopo essere partita dalla mia città, da Milano, precisamente, non ho più sentito nessuno dei miei amici, l'unica persona ad aver avuto le palle di farsi sentire nonostante i centesimi da pagare in più data la distanza è stato Lucas, il mio adorato ragazzo di diciotto anni.
Ho sempre passato l'infanzia in giro per l'Europa, il lavoro di mio padre non prometteva mai un posto fisso, e in quel lasso di tempo, ho avuto l'occasione di imparare un sacco di lingue, come l'inglese, se non lo spagnolo, il francese, e addirittura il portoghese.
L'unica di queste lingue ad avermi appassionata di più, fu proprio l'inglese, lo adoravo, passavo le giornate a parlarlo, era come una droga per me.

Negli ultimi mesi, a mio padre, era stato assegnato un nuovo lavoro, è indovinate dove?
Sidney, Australia.

L'idea di poter tranquillamente parlare l'inglese non mi dispiaceva affatto, però, abbandonare il mio fidanzato forse non era stata una buona idea.
Forse mi avrebbe tradita con la prima ragazza di turno, o forse avrebbe mantenuto il nostro "patto d'amore".

-Emma, scendi- urlò la mamma dal piano di sotto.
Neanche il tempo di svuotare alcuni scatoloni che mia madre aveva già qualcos'altro da farmi fare.

Scesi le scale velocemente per poi ritrovarmi la mamma davanti all'ultimo scalino.

Se ne stava lì, appoggiata alla ringhiera della scale, con due buste in mano.

-c'è posta per te, a quanto pare Lucas non ha aspettato neanche un attimo per farsi mancare- disse passandomi due buste.
-tutte e due sue?- chiesi sorpresa.
-no, l'altra è del tuo amato Norwest Christian College- disse ironica.

Non mi piaceva per niente quel posto, lo aveva scelto mamma perché dicevano che lì gli insegnanti promettevano agli alunni un futuro radioso e degno di essere vissuto con gioia, ma non mi attraeva per niente.

Aprii per prima la busta del college.

C'erano scritte cose come "sei stata accettata" o che le lezioni sarebbe iniziate il mese prossimo e bla bla bla. 

Misi di nuovo la lettera nella busta e aprii quella di Lucas.

"Ciao amore, non ho aspettato un attimo per mandarti una lettera, lo sai che non sopravvivo senza di te.
La vita qui a Milano, senza di te, è monotona e triste.
Però, ho una magnifica notizia per te: a Natale passo le vacanze con te!
Esatto, il mio capo mi ha dato una settimana in più di ferie, e potrò venire a trovarti, in più, se non mi ospiterai tu a casa tua, ho un amico a cui chiedere :P poi te lo presenterò.
Vorrei scriverti quanto ti amo, ma non posso farlo su un misero pezzo di carta.
A presto amore, Lulu :3"

Lessi gran parte della lettera con gli occhi fuori dalla testa.
Cioè, non ci potevo ancora credere, Lucas sarebbe venuto da me in Australia per le vacanze di Natale!

Urlai dalla gioia, facendo preoccupare mia madre.

-cosa è successo?!- urlò mia madre aprendo la porta di camera mia.
-Lucas viene qui a Natale!- urlai in risposta.
-mi hai fatta correre per niente- disse apaticamente.
-grazie per non essere stata contenta per me- 
-capirai che roba, io seguo tuo padre ovunque, ma lui non mi ringrazia mai- rispose lei.

Grazie mamma.





Ciao a tutti/e!
Questo, come avete potuto leggere nell'anteprima, è il remake della vecchia storia "She's a good girl", appunto perché, la vecchia è stata cancellata.
Spero che questa versione sia più dettagliata e scritta decisamente meglio.
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate :3
A presto,
-ValeLoka00

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Capitolo 2
*** Clifford ***


"She's a good girl." Capitolo 2.

"Clifford"

Misi nel cassetto della mia nuova scrivania tutte e due le buste, aprii l'armadio e scelsi i vestiti.
Essendo Agosto, optai per dei jeans attillati e una felpa nera con la scritta dei Nirvana.
Era strano il cambiamento di temperatura che avevo passato, prima il caldo di Milano, poi il freddo di Sidney.
Infatti, in Australia, solo verso Novembre ci sarebbe stato il vero caldo.

Uscii di casa velocemente per evitare le lamentele di mia madre come "siamo qui da poco, stai attenta, già esci?" e mi strinsi nella felpa per scaldarmi il più possibile.

Il venticello freddo trapassava ogni pezzo di stoffa possibile rendendo ogni mio singolo passo una piccola tortura da sopportare.

Mi inoltrai nel centro di Sidney.

Ogni persona sembrava avesse un compito preciso da svolgere, sembrava programmata per uno scopo singolo, erano tutti così indaffarati, così tanto che non prestavano attenzione agli altri, ognuno pensava a se' stesso, all'appuntamento dal dentista, alla riunione con il capo, al funerale del prozio, al battesimo del nipote, insomma, ognuno se ne stava per i fatti suoi.

I bar erano poco affollati, si intravedeva  ogni piccolo dettaglio al suo interno, gente che ordinava un cappuccino, altra che beveva del the', altri pronti a pagare con i soldi in mano, si vedeva di tutto.

Camminando, mi ritrovai davanti ad un locale con una scritta gialla, non feci tempo a leggere il nome che un ragazzo mi si scaraventò addosso facendomi finire a terra.

-merda, c'è altra gente, andiamocene, sarà per la prossima volta, Clifford- disse un ragazzo che era uscito dal locale dopo quel cadavere che avevo addosso.

-cosa cazz...- sussurrai in italiano.

"Clifford", o come lo avevano chiamato, si scansò da me molto goffamente.

-scusami, sai, quelli non mi danno tregua da un po'- disse indicando nella direzione in cui erano scappati quei ragazzi.
-certo che sei pesante, batti pure mio padre- dissi alzandomi da terra.
-scusa, davvero- rispose massaggiandosi il fondoschiena.
-sei messo abbastanza male- dissi aiutandolo ad alzarsi.
-lo so, ma sai, quelli non mi lasciano stare, in più, la band in cui suono vorrebbe esibirsi qui, ero venuto per chiedere, ma quelli, appena mi hanno visto uscire di qui, mi hanno preso a calci nel culo- 

Mi misi a ridere data la strana storia di quel Clifford e mi fermai a guardarlo.

-ti va di accompagnarmi a casa?- si tolse il cappello che aveva in testa -non vorrei che quelli della banda "pop" mi prenda ancora di mira- disse scompigliandosi nervosamente i capelli.
Annuii e ci incamminammo verso le vie deserte del centro di Sidney.

-italiana?- domandò d'un tratto.
Annuii con la testa.
-il gatto ti ha mangiato la lingua?- chiese ironico.
-no, macché- risposi.

Restammo zitti per un po', casa sua doveva essere molto distante, dato che intorno a noi c'erano solo grandi edifici blu.

-so che ti sembrerò strano a causa dei miei capelli biondi tinti, ma sono un ragazzo normale, solo mi piace cambiare, ogni tanto- disse guardando in avanti.
Io non risposi, non dissi nulla, mi limitai ad osservare il nuovo mondo in cui ero capitata, un nuovo mondo da scoprire.

Clifford si fermò di colpo.

-le prove!- urlò mettendosi le mani nei capelli.
Lo vidi cercare qualcosa nella tasca destra dei pantaloni.
Prese in mano il suo cellulare e spalancò gli occhi.

-è tardissimo, scusa, devo andare- disse quasi pregando.
-certo- dissi abbastanza confusa.

-hai un telefono fisso?- si fermò a sbloccare il cellulare -così ti chiamo per scusarmi e magari offrirti qualcosa- disse guardandomi negli occhi.

Solo allora notai i suoi occhi di ghiaccio.
Erano un misto tra azzurro cielo ed un verdino strano.

-non ce n'è bisogno, davvero, comunque puoi trovarmi al nome di Evans- dissi sorridendo.

-bene, allora ti chiamo- disse allontanandosi di corsa e salutandomi con la mano.
Ricambiai il gesto e me ne andai, di nuovo sola.

Penso di averci impiegato più di un'ora per tornare a casa, Sidney, girata da sola, sembrava ancora più grande e affollata.

Mi persi circa due o tre volte, però alla fine, tornai a casa sana e salva.

-sono a casa- urlai appena entrata in casa.
-ce ne hai messo di tempo, iniziavo a preoccuparmi- rispose mia madre dalla cucina.

Mia madre che cucina? Strano.

-sempre la solita esagerata tu- dissi salendo il primo gradino per andare nella mia stanza.
-ah, a proposito, Michael Siffords ha chiamato, ti cercava, è un tuo amico?- domandò.

Michael Siffords?
No, mia madre era fumata, sicuramente.

-sicura non abbia detto Clifford?- domandai ridendo.
-forse, ma è lo stesso- rispose.

Scossi la testa e andai in camera mia.

Avevo dimenticato il cellulare a casa, e avevo due chiamate perse, di un numero sconosciuto.
Ci avrei scommesso tutto l'oro del mondo che era Clifford.

Salvai il suo numero in rubrica al nome di "Clifford :P".

Probabilmente lo avrei cambiato non appena avrei imparato a conoscerlo meglio.

Ero stanca, come prima settimana in Australia, non era male, molta tranquillità, ma anche un pizzico di movimento e divertimento.

Sbloccai il mio iPhone andando a controllare la mia home di Twitter.
Era strapiena di messaggi da parte di alcuni amici italiani e inglesi, dicevano tutti che la mia non-presenza si faceva sentire e che mancavo molto a tutti quanti.
Che carini.

Bloccai di nuovo il cellulare, notando che era già mezzanotte.

Decisi di non pensarci troppo e di andare a dormire definitivamente.
Non mi piaceva dormire con troppo buio, mi metteva l'ansia, come se fossi sempre osservata, proprio per questo, prima di andare a dormire, aprivo di poco le persiane, appunto per far trasparire un po' di luce e sconfiggere il troppo buio che campeggiava in quella stanza vuota.


Everyone else in the room can see it...
Everyone else but yo-ou...
Baby you light up my world like nobody else...
The way that you flip your hair gets me overwhelmed...



-pronto- dissi prendendo in mano il cellulare.
-amoree- quasi urlò la voce dall'altra parte.
-Lucas ma il fuso orario dove lo hai messo? In padella con le zucchine?- domandai sedendomi sul letto.
-ah, scusa, me lo ero dimenticato- disse lui abbassando la voce.
-che ore sono da te?- domandai.
-beh, qui a Milano sono le otto di sera- disse lui dopo un po'.
-grazie al cazzo, qua è notte fonda- 
-dai amore, scusa, ti richiamo stanotte, okay?- disse dolce.
-non disturberei per niente al mondo il tuo sonnellino- dissi ironicamente.
-ha ha ha, mi conosci- 
-bene, io ritorno a dormire, domani vado a vedere quella cosa chiamata college- 
-buona fortuna e buona notte- 
-grazie, anche a te-
-ciao amore- disse lui.

Riattaccai a mi distesi sul letto.





Ciao bellezze!

Allora, prima cosa, mi ha fatto piacere vedere che 3 persone hanno già messo la storia tra le seguite e 1 persona tra le preferite, davvero, grazie, mi rendete felicemente felice :3

Allora, entrata di scena del nostro Clifford, o come direbbe la signora Evans, Siffords :')

Premetto che Evans è il cognome della protagonista, il padre, Mark, è inglese, mentre la madre, Eleonora, è italiana.

Bene, non so cosa aggiungere, vorrei sapere cosa ne pensate, dato che il primo capitolo era più silenzioso del deserto del Sahara.

Baci bacissimi,

-ValeLoka00


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Capitolo 3
*** The Band. ***


"She's a good girl."
Capitolo 3.

*BIP BIP...BIP BIP*

Spensi la sveglia abbastanza innervosita causa risveglio traumatico.
-Emma, svegliati, oggi dobbiamo andare all'open-day del tuo college!-
Mia madre mi buttò poco delicatamente giù dal letto e mi spinse in bagno. 
-mamma, fai piano!- mi lamentai strofinandomi gli occhi.
-muoviti, è tardi- mi rimproverò prendendomi un asciugamano dal ripiano più alto del mobile in bagno.
-mi vuoi dire che ore sono?- chiesi prendendo in mano il mio spazzolino blu.
-le nove, abbiamo un'ora per essere lì, chiudi quella bocca e muoviti- disse chiudendo la porta del bagno e dirigendosi probabilmente in camera da letto.
Feci come mi era stato detto, in fondo, non dovevo lamentarmi, la sveglia la avevo puntata io la settimana scorsa.


Flashback.

-tesoro, punta la sveglia perché settimana prossima dobbiamo andare al Norwest- disse entusiasta mia madre.
Le era sempre piaciuta l'idea di avere una figlia che andava ad un college, istituto o cose simili, così tanto conosciuto tra gli imprenditori amici di papà.
Tutti loro dicevano che era un posto eccellente, anzi "degno di essere sfruttato al meglio" come diceva Lucas quando li prendeva un po' in giro per farmi ridere.
-certo- risposi prendendo in mano l'ultima fetta di pizza.
-questa pizza fa schifo- si lamentò mio padre assaggiandone un pezzo dalla scatola della donna davanti a me.
-Mark, ti prego, sii più educato- disse mia madre tirandolo leggermente per la giacca.
La situazione in casa non era tra le migliori.
Sapevo benissimo che la mamma sospettava sul papà, lei credeva che lui avesse un'altra, proprio per questo mia madre si faceva vedere disponibile e pronta a seguirlo praticamente ovunque.
Ma io sapevo che lui non avrebbe mai fatto una cosa simile, certo, lui era capace di tutto, ma non di tradire la mamma.
-quanto avrei voluto imparare a fare la pizza durante quei tre anni in Italia- mormorai pulendomi la bocca con un tovagliolo di carta.
-un mio amico, John, vive qui vicino, possiede un ristorante italiano, prova ad andare da lui- provò a convincermi, ma senza molto successo.
Alla fine, però, ci andai lo stesso da quel John, peccato che fu tutto inutile, aveva uno strano accento australiano, e facevo molta fatica a capirlo, quindi, in fin dei conti, tornai a casa sporca di pomodoro e odorante di pesce marcio che dovetti buttare io direttamente nel camion perché quelli del ristorante "si erano dimenticati".
Ogni tanto quel John faceva delle battutine stupide ma divertenti, era un tipo con cui ci si poteva parlare, insomma.
Mi ricordai che, essendo ospite, dovevo chiamarlo per cognome, dato che era la prima volta che lo vedevo.
Aveva uno strano cognome, forse Hillin, o magari Rinim, o forse Irwin, sì, credo proprio che era Irwin.

Tornando al discorso di quella sera, andai a letto ancora a stomaco vuoto, la pizza ordinata a "pizza's family" era davvero immangiabile.

Fine Flashback.


Mi risvegliai momentaneamente dal mio stato di trans e misi lo spazzolino al suo posto, non me ne ero accorta, ma mi ero già lavata i denti perfettamente.
Mi lavai la faccia, notando delle macchie nere cadermi dagli occhi.
Bene, la sera precedente mi ero dimenticata di struccarmi.
Tolsi il più possibile le tracce di mascara e matita che mettevo quasi sempre prima di uscire e li applicai di nuovo per ottenere lo stesso effetto di quello di pochi secondi prima.
Mi misi i vestiti che mi aveva lanciato la mia adorabile madre.
Erano un paio di skinny neri con lo strappo sul ginocchio destro e una maglietta a maniche lunghe bianca e nera con al centro un...panda.
Ai piedi misi le mie Vans nere leggermente consumate in punta che erano state precedentemente abbandonate ai piedi della porta del bagno.
-sei pronta?- urlò mia madre dal piano di sotto.
-mi faccio una coda e arrivo- le risposi usando il suo stesso tono.
Legai i capelli in uno chignon abbastanza venuto male, ma lasciai perdere, dovevo andare ad un open-day di una scuola a cui ero già iscritta, non ad un ballo accademico destinato ad alunni raffinati e secchioni.
Scesi le scale mettendomi il cellulare in tasca e raggiunsi mia madre che mi stava aspettando ansimante sullo stipite della porta d'ingresso.
Durante il viaggio in macchina nessuna delle due osò fiatare.
Strano, mia madre era una gran chiacchierona.

Arrivati a destinazione corsi verso il grande cartello con la scritta "Welcome to Norwest Christian College", che era abbastanza spettrale.

-andiamo o stai qui ad aspettare che crescano le margherite?- chiese mia madre affondando nel suo scalda-collo.
-ma qui in Australia ci sono le margherite?- domandò poi spostando dei sassolini con le sue Hogan beige.
-certo mamma, forza andiamo- dissi prendendola a braccetto.
Lei rise e fece finta di star camminando in una marcia dei soldati.
-io essere soldato russso- disse mia madre con tono ironico.
-dai mamma- la invitai a smettere, dato che ormai la gente stava cominciando ad accumularsi intorno a noi.
-io lavorare duro tutto giorno...oh, buongiorno, lei deve essere Miss Minkle- disse arrossendo e porgendo la mano alla ragazza di fronte a sé. 
Era davvero giovane.
-piacere mio, prego, gran parte delle persone è già dentro- disse indicandoci l'atrio alla nostra destra.

Il giro fu davvero noioso.
Ci fecero visitare solo una palestra enorme e tristemente triste, tante, tantissime aule vuote, e gli appartamenti per le persone che avessero pagato anche il "bed & breakfast" a scuola, ma non faceva per me.
Finito il giro, mia madre andò in segreteria a firmare delle carte e mi ritrovai fuori da quel posto enorme e malinconico.
Vicino al portone d'ingresso notai una bacheca con degli avvisi appesi.
Uno in particolare colse la mia attenzione, era un foglio giallo fluo scritto in caratteri cubitali.
Cominciai a leggere.

"Siamo solo tre ragazzi, adoriamo fare musica, praticamente è il nostro sogno.
Abbiamo formato una band, ci serve un batterista, anche se siamo disposti ad accettare un cantante, o che ne so, magari anche un pianista.
Ma ci serve assolutamente un batterista.
Quindi, se sai suonare o cantare, qui sotto troverai il mio numero, risponderò al nome di 'Calum'."


Sotto c'era scritto un numero, me lo segnai.

-hai letto l'annuncio?- chiese un ragazzo dietro di me.
-uhm, sì- dissi abbastanza sorpresa.
-bene, che ne pensi?- chiese lui.
-ciao Michael, penso che sia un'idea carina- salutai anche Michael, il suo viso non si poteva dimenticare.
-lui è Gregor, viene in questa scuola con me- disse il ragazzo alla mia destra indicando il ragazzo al suo fianco.
Non potevo osservarlo al meglio, aveva un berretto grigio e gli occhi mezzi socchiusi a causa del vento fresco.
-felice di fare la tua conoscenza- dissi stringendogli la mano.

Mia madre arrivò poco dopo spingendomi in macchina e chiedendomi chi fossero quei due ragazzi continuamente, continuamente.

A cena parlammo di film di fantascienza, non mi ricordo come ci siamo arrivate, ma boh, era interessante.

All'improvviso mi venne in mente una cosa fantastica, da piccola sapevo suonare benissimo la batteria e avevo anche vinto una gara di canto in Inghilterra contro le ragazzine più brave del Regno Unito. 
Sarò stata anche una ragazza scansafatiche ma avevo molti lati nascosti ( ehehehe ). 
Scesi in garage, sotto un grosso telo blu mio padre aveva custodito ancora la sua vecchia batteria, lui era un fenomeno a suonarla, aparai da lui quando avevo solo cinque anni.
Mi misi a cantare e suonare 'Best song ever' degli One Direction, una delle mie canzoni preferite. 
-niente male!- disse mia madre intromettendosi bruscamente sulle note finali. 
-sto...solo provando, volevo vedere se ero ancora capace come una volta...-dissi spostandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
-non c'è bisogno che tu mi dia spiegazioni, so benissimo che hai talento, dovresti iscriverti ad un club di musica...- disse avvicinandosi e spolverando di qua e di là con le dita.  
-no, grazie, non ce n'è bisogno...- risposi alzando gli occhi al cielo.
Quante balle. Avevo già deciso, avrei fatto parte della band. 

La mattina dopo tornai in garage per provare, questa volta suonai alcuni accordi con la chitarra, non sapevo di cavarmela così bene. 
Beh, meglio così. 
Mia madre era lì con me è mi correggeva sempre, ad ogni errore, era un po' fastidiosa ma era molto d'aiuto. -Emma, davvero, sei sicura di non voler far parte di un club di musica? Saresti molto brava, hai talento, fidati- disse annuendo con la testa.
La guardai e feci cenno di no con la testa.
Sapevo recitare bene.
Non avrebbe mai sospettato che volevo arrivare ad una sola conclusione, far parte di quella band.





Ciaoooo!
Scusate il ritardo, ma con l'altra ff, non so più che fare, sono davvero piena di roba!
In più, ultimamente -anche se non vi interesserà- sono caduta in una specie di depressione e la mia fantasia nello scrivere si è completamente volatilizzata.
Addio ispirazione.
Bene, penso che non abbia niente da dire, ho scritto tutto.

Domandinaaaaa.

Nel prossimo capitolo Emma si presenterà a casa di Calum (piccolo spoiler)...
Michael si sarà tinto di un altro colore i capelli...
Di che colore volete che siano?
Aspetto risposte ;D

A presto,
-ValeLoka00





 

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Capitolo 4
*** First meeting. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 4.

Comunque sia, il giorno dopo, sarei andata alle prove, avevo deciso. 
Avrei cercato in tutti i modi di essere all'altezza delle loro aspettative e avrei dato il massimo.
Ormai non mi restava altro che provare, provare, e provare ancora, tutto il giorno.


*la mattina dopo*


Scesi le scale canticchiando allegramente, notai fin da subito che mia madre non era in casa, meglio così, almeno avrei potuto provare in santa pace. 
Notai un post-it rosa acceso davanti al frigorifero con la scrittura della mamma.

"Tesoro, ho deciso di raggiungere papà al lavoro, come sai, sono un'avvocato. Torneremo fra due giorni, stai attenta e stammi bene." 

Mamma ha sempre fatto le cose di testa sua, la capivo, si vedeva benissimo che ero sua figlia.

Provai per tutta la mattina, finché, a mezzogiorno decisi di smettere e fare una pausa. 
Pranzai, andai di sopra e decisi cosa mettermi. 
Maglia nera scollata e jeans scuri attillati erano l'ideale, bastava soltanto che mi mettessi una giacca sopra a quei pezzi di stoffa, ed ero pronta ad uscire nel clima freddo e umido di Sidney in Agosto. 
Erano ormai le 16:30, solo un'ora e sarebbero iniziate le prove, quindi, con la chitarra in spalla nella sua custodia, decisi di incamminarmi, tanto per arrivare in anticipo. 
Come pensavo, il clima era freddo, anche se meno del solito, la stagione stava per finire e non vedevo l'ora di rivedere la primavera.

Arrivai a destinazione alle 17:00 in punto, giusto in tempo.

Suonai il campanello, quanta ansia. 

Sentii girare la serratura da dentro, uno, due, tre scatti e il pomello si abbassò seguito poi da un leggero scricchiolio.
Lentamente la porta si aprì, la luce, che era molto accesa, quasi mi accecò, causando in me, l'azione immediata di coprirmi gli occhi con un braccio, ormai molto dolente a causa della chitarra, che, personalmente, pesava troppo.
Appena misi a fuoco la situazione, mi ritrovai davanti un ragazzo abbastanza snello, una camicia a quadri, i capelli scompigliati e notevolmente colorati e con un sorriso stampato in volto.
Si, era lui, era Michael. 
-benven...hei, aspetta, ma noi ci conosciamo già! Tu sei la ragazza che mia ha aiutato quel giorno! Aspetta, Emma, mi ricordo. Ti ringrazio molto! Prego, entra, questa non è casa mia, è la casa di Calum, un mio amico, ma ora lui è uscito, inizieremo noi due, sempre se per te va bene!- disse senza fermarsi neanche un secondo.

Bla, bla, bla. 

Continuò a parlare per dieci minuti senza fermarsi, era peggio di Eminem, davvero, non avevo mai sentito nessuno parlare così velocemente ed ininterrottamente, tanto che le mie conoscenze faticavano a funzionare, d'altra parte, conoscevo più di 4 lingue.
Non ne potevo più, lui era lì, con la chitarra in mano mentre parlava e cantava mentre io non lo ascoltavo, non sapevo cosa fare, allora mi sedetti su una sedia, presi la mia chitarra, uno spartito a caso e cominciai a suonare. 

Smise di parlare, tutto d'un tratto, come se si fosse dimenticato qualcosa di importante. 
-ah, gli altri componenti della band sono Calum e Luke, come già saprai- disse roteando gli occhi al cielo alla pronuncia dell'ultimo nome.
Stavo per cominciare a parlare, ma in quel preciso momento suonò il campanello, facendomi sobbalzare.

-vado ad aprire!- disse.

Rimasi lì, in quell'angolo ad aspettare, da sola, nel silenzio assoluto, con il sole delle 18:00 che brillava fiocamente sulla mia chitarra sempre ben lucidata. Riuscii a sentire alcune voci provenire dall'ingresso. 
-Michael, scusa ma Calum si è voluto fermare a prendersi questi occhiali da sole fighissimi e quindi abbiamo fatto tardi- sentii dire da una voce a me totalmente sconosciuta. 
-beh, come hai detto tu, questi occhiali sono fighissimi e mi stanno benissimo, vero Michael?- domandò un altra voce con tono da "io sono il meglio di tutti".
-ragazzi, chiudete quelle ciabatte, abbiamo trovato una persona che vuole far parte della band, ci credete?- chiese Michael con tono da incredulo.

Wow, mi avete trovata.

-davvero? Ma non sarà mica uno di quei sfigati del primo anno?- chiese quello con l'accento strano che aveva parlato prima a proposito dei propri occhiali troppo fighi.
-dopo l'ultima volta non lo farò più- rispose Michael ridendo.
Gli altri due risero.
Mi sporsi all'indietro per cercare di vedere quei due esseri a me totalmente sconosciuti.
Osservai quei due ragazzi con molta curiosità. 
Notai che il più alto, Luke, era molto, molto carino; speravo solo che non fosse un playboy. 
-dai, venite ragazzi, lei è qui- disse Michael. 
-è una lei? Ehi Luke, forse è quella giusta per te!-urlò il tizio dall'accento strano che era un misto tra scozzese e australiano, bah. 
-Calum cuciti quella bocca, tu non hai mai avuto una vera ragazza- rispose a tono Luke probabilmente dando una sberla alla schiena dell'altro. 
Aprirono quella porta che prima era socchiusa e subito mi ritrovai i loro occhi puntati addosso. 

Che imbarazzo.
 
Cavolo però, quel Luke era davvero carino! 
Quei suoi occhi blu e quei capelli biondi erano davvero stupendi. 
Come ho fatto ad accorgermi dei suoi occhi? Semplice, li aveva spalancati solo quando lo avevo salutato con un cenno della mano.
Calum si avvicinò a me è mi fece una faccia strana. 
-prima che tu possa pensare che io sia un asiatico...beh, non lo sono- disse indicandomi. 
Buono a sapersi. 
Però a guardarlo bene, anche lui non era male, ma forse non era il mio tipo.
-io...io so suonare la chitarra, la batteria e il pianoforte, e inoltre so anche cantare...- dissi abbastanza imbarazzata. 
Loro si guardarono, si riunirono in un angolo e fecero una piccola riunione segreta... 
Bah, chi li capisce i ragazzi.

Dopo circa qualche secondo avevano già finito e Calum mi fece segno di seguirlo e io, lo seguii.
Bisbigliò qualcosa attraversando un mini-corridoio e strisciando i piedi sulla moquette rossa.
Mi portò in cucina, era intento a cercare qualcosa nel cassetto delle posate.
Dio, non avrà voluto accoltellarmi?! Aiuto, avrei dovuto mettermi a correre? Nah, ma che andavo a pensare? 
Come se una persona entra in casa di qualcuno e viene accoltellata violentemente con un coltello da pane.
Certo Emma, continua così, a inventarti cazzate una dopo l'altra. 
-guarda qua- disse serio porgendomi  un foglio colorato.
Lo osservai attentamente, c'era scritto 'Disco Club Lemon&Melon', sotto c'erano varie date di vari eventi, tutti a distanza di due giorni fra loro. Era interessante, forse ci sarei andata, avevo più di sedici anni.
-carino come posto...ma cosa c'entro io?- chiesi agitando le mani in segno di domanda. 
-c'entri eccome!- alzò la voce con fare isterico.
-Calum, non alzare la voce, così la spaventi- disse un'altra voce che sembrava essere molto divertita. 
Luke si avvicinò a me e mi mise una mano sulla spalla. 
Lo guardai perplessa, ma sorrisi allo stesso tempo. 
-sai, Calum è agitatissimo da quando ha scoperto che quel locale cercava una band per le serate di fine anno. Si è voluto offrire, però quel locale richiede un batterista e noi non ne avevamo nessuno, almeno fino a mezz'ora fa...- disse alzando gli occhi al cielo, o al soffitto, per poi posarli sui miei capelli. 
Mi sorrise con dolcezza, con uno di quei classici sorrisi di cui ti dimentichi difficilmente, uno di quei sorrisi che vorresti sognare la notte, ma che rovinò facendomi l'occhiolino.
Okay, forse era davvero un playboy.

Ricapitolando, io ero la batterista, la batterista dei 4 Seconds of Summer. 
Prima del mio arrivo, si chiamavano 3 Seconds of Summer, per il semplice fatto che erano solo in tre, poi sono arrivata io e ho cambiato tutto. 

Certo che ne avevano di fantasia.

Ringraziatemi. 

Mi fecero ascoltare alcune loro canzoni come Beside You, Wherever You Are, Try Hard e molte altre. 
Mi è piaciuta molto Good Girls, la trovavo semplicemente stupenda. 

Dopo qualche esercitazione la sapevo suonare molto bene, anzi, visto che sono io, la sapevo alla perfezione. 
Ovvio, dubbi?

Loro rimasero a bocca aperta, ero molto un sintonia con loro, ne erano sicuri, avevano trovato quella giusta. 

Verso le sette e mezzo stavo per andarmene quando notai Luke parlare con Michael. 
-Michael ascoltami, ho paura di cosa possa fare Calum a quella ragazza, oggi, durante le prove la spogliava con gli occhi, te ne sei accorto?-
Spalancai la bocca. 
Com'era possibile? 
-si Luke, l'ho notato, e anche bene. Soprattutto quando lei si è abbassata la maglietta, sembrava che oltre a Calum anche il suo amichetto laggiù si stesse agitando parecchio- disse Michael ridendo seguito dal biondo.
Ma cosa dovevo sentire, amici vogliosi di sesso nella band, perfetto, mancava solo questo. 
Entrai nella stanza come se niente fosse, salutai quei due e uscii da casa di Calum. 
Luke mi raggiunse e mi picchiettò la spalla. 
-dimmi tutto Luke- dissi, sembrava sorpreso dal fatto che sapevo il suo nome.
-sabato...sarei molto felice se...- disse balbettando i mordendosi il labbro inferiore.
Non riusciva a parlare il piccoletto, aveva il fiatone. 
-sabato a casa mia ci sarà la festa di fine inverno. Ci sarai, vero?- chiese mettendo le mani giunte come se mi stesse pregando.
Ci pensai un po', però, alla fine, gli feci cenno di "sì" con la testa. 
Lui sembrò come rinato. 
Si avvicinò a me, mi diede un bacio sulla guancia, non so perché, ma anche io ricambiai. 
Aveva un profumo dolce, anzi dolcissimo, e sentire le sue labbra, di nuovo, sulla mia pelle, questa volta un po' più vicine alla mia bocca era una sensazione piacevole.
Andammo avanti a baciarci sulle guance, anche se, ad ogni bacio, le labbra di uno sembravano sempre più vicine a quelle dell'altro.
Ad ogni bacio uno dei due si metteva a ridere, era divertente.

Era arrivato il momento del bacio finale, del bacio fatale, del bacio che avrebbe cambiato tutto. 
Eccoci qua, a qualche centimetro di distanza, io con le mie mani sulle tue spalle e lui che mi tiene i fianchi. 
Ma era ovvio che non lo avrei baciato, non ero mica una di quelle troie da quattro soldi io!
Ancora pochi centimetri e.. *BIP-BIP* ecco il mio telefono che squilla, mi era arrivato un messaggio, peccato, avrei voluto fermare il contatto da sola.
Mi allontano da Luke di un passo. 
Lui era tutto rosso in viso e se avrebbe potuto mettere la testa sotto terra lo avrebbe fatto, davvero. 
Controllai il cellulare. 
Due messaggi non letti. 
Uno di Michael e uno di un numero che non avevo salvato in rubrica.
Controllai quello di Michael per primo. 

"Cara, fermati. Se tu e Luke andate avanti così finirete per fare sesso in mezzo alla strada. Vi conoscete da due ore circa, non te lo vorrai mica portare a letto?! :P Stai attenta. Ti voglio bene. Xx Michael." 

Arrossii a quel messaggio, salutai Luke con la mano e mi misi a correre verso casa mia. 

Che imbarazzo. 

Mi ero lasciata andare un po' troppo, forse avrei dovuto accorciare le distanze molto prima, avendo fatto così, avevo fatto capire al pinguino di Luke che mi interessava, ma lo conoscevo a malapena da qualche ora!

Idiota, idiota, idiota.





Salve!
Allora, premetto che i capitoli io ce li ho già scritti, semplicemente devo modificare i dialoghi, alcuni verbi scritto al presente, e la trama, un po' sballata.
Per chi non lo sapesse, questa è una mia vecchia storia che ho scritto all'inizio di quest'anno, peccato che ancora no ero molto brava e facevo letteralmente cagare, ma decisi di postarla lo stesso, e fu un po' un disastro.
Così poco tempo fa la ho cancellata, già, ed ora, ri-eccola nel suo splendore!
Spero non faccia schifo come prima :(

Se volete testare le mie capacità di scrittrice potete passare sul mio profilo, mi sto distruggendo le dita con un'altra fanfiction sui One Direction, si chiama "One direction and two possibilities", è un nome un po' contorto ma me gusta.

Ringrazio vivamente chi segue la storia, chi l'ha messa tra le preferite/seguite/ricordate, vi adoro, ma adoro anche ci recensisce, ormai lo sapete ;)

Bene, io mi dileguo, non c'è molto da dire sul capitolo, tutto quello che c'è da sapere, lo avete letto :)

Baci, 
-ValeLoka00

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Capitolo 5
*** So Diconnected. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 5.

Mi addormentai presto quella notte, ero stanca morta. 
Troppe emozioni, troppe preoccupazioni, oppure, troppa felicità. 
Sì, in effetti ero felice : ero felice di essere riuscita a farmi dei nuovi "amici", anche se beh, Calum mi diede più l'impressione di un maniaco e Luke di uno che ci prova sempre e subito, così potevo anche definirlo un playboy, appunto.

Appena mi svegliai sentii squillare il mio cellulare, ci misi un po' prima di mettere a fuoco la situazione, lo prossimo in mano, sbattei più volte le palpebre, e strizzai gli occhi.
Era Luke... 
Mi aveva mandato un sms.

"Ciao Emma, volevo dirti che la festa di fine inverno è rimandata a Domenica, comunque sempre alle 19:30 a casa mia. Ti aspetto." 

Giusto, mi ero dimenticata che sarei dovuta andare a comprare il vestito per la festa. 
Mi alzai goffamente dal letto, dovevo ancora abituarmi al fuso orario.
Erano già le nove, e fortunatamente non c'era nessuno in casa.
Andai in bagno, feci pipì, mi lavai i denti, nonostante dovessi usare lo spazzolino di mia madre, e ritornai in camera mia per scegliere i vestiti adatti per uscire.
Controllai il meteo sul mio cellulare, segnava 22 gradi ed il cielo era nuvolo, perfetto.
Mi chinai davanti ad uno dei tanti scatoloni abbandonati a terra.
Non avevo ancora un armadio, per quello avevo ancora tutte le cose, -e soprattutto i vestiti- negli scatoloni.

Indossai dei semplici leggings neri, la mia ossessione, una maglietta a amiche corte grigia e una felpa di Hollister azzurra.
Quando uscii di casa, pensai che forse avevo fatto male a mettere la felpa, faceva molto più caldo di quanto pensassi.
Attraversai gran parte di Sidney a piedi, c'erano un sacco di negozi interessanti, ma mi soffermai su un negozio in particolare: aveva dei vestiti stupendi. 
Ne notai uno bellissimo, aveva una gonna nera che arrivava al ginocchio, un corpetto beige con una sola spallina e del pizzo ai bordi della gonna. 
Prima di tutto, controllai il prezzo.
In euro erano circa ottanta.
Un po' eccessivo per le mie tasche.
Alla fine, però, riuscii a trovarne uno simile, solo tutto nero, con del pizzo su tutto il vestito che arrivava fino mezzo braccio: stupendo. 
Per le scarpe scelsi qualcosa di classico, scarpe con il tacco (o dovrei dire trampoli) nere chiuse, fantastiche. 
Anche per quelle faticai un po' con i soldi, ma alla fine mi convinsi che avrei potuto usarle in più occasioni, di sicuro nessuno avrebbe ribattuto.

Ero a posto, per un po' di giorni non avrei avuto niente di cui preoccuparmi.

Mentre tornavo a casa incontrai Michael, mi salutò e io gli andai incontro. 
-salve, Emma!- salutò radioso.
-ciao Mike, volevo chiederti se verrà alla festa...Domenica- chiesi con un filo di voce, abbassando lo sguardo sulle buste enormi che avevo in mano.
Lui mi fece segno di si con la testa. 
Gli sorrisi di ricambio.
-allora ci vediamo domenica?- chiese oscillando la testa a destra e a sinistra.
-certo!- risposi senza pensarci.
Ero troppo euforica, se pensavo solo che facevo parte di una band, e che avevo degli amici maschi, mi veniva la pelle d'oca.
Lo salutai e mi incamminai dalla parte opposta a quella di Michael.
-ah, sei dolce quando ti mordi il labbro!- lo sentii a malapena, ma mi fermai all'istante.
Lo aveva detto sul serio?


*DUE GIORNI DOPO*


-ciao ragazzi, sono arrivata!- entrai in casa Hood è chiusi la porta alle mie spalle.
I ragazzi erano già in salotto, pronti a provare.
Tutti in coro mi salutarono radiosi e con dei bellissimi sorrisi in volto, erano una scena troppo tenera.

Durante le prove notai con la coda dell'occhio che Calum e Luke mi fissavano, continuamente, senza sosta. Era fastidioso sentirsi osservata. 

Finimmo presto, così provai ad avere una conversazione di senso compiuto con il biondino Hemmings.

-dovresti imparare le buone maniere, non si fissano le persone- gli diedi un pugno leggero sulla spalla e lo feci roteare sulla sua maglietta.
Lui si scostò leggermente, arrossendo di colpo.
-era davvero così evidente?- chiese, grattandosi nervosamente la testa.
-beh, si. Non mi staccavi gli occhi di dosso. Non sarà mica per la cosa che è successa lunedì?- chiesi, abbastanza nervosamente.
-beh, di sicuro non rimango indifferente...- mi fece un sorrisetto malizioso. 
Solo in quel momento notai una cosa: si era fatto un piercing al labbro. 
Un motivo in più per saltargli addosso.
 
"No, Emma, sei fidanzata."

Era ancora più sexy con quel cerchiolino sul labbro. 

"Ma allora!"

-l'hai notato, vero?- chiese incerto, sorridendo leggermente dalla parte del cerchio di ferro.
-che cosa?- domandai risvegliandomi dai miei poco casti pensieri.
-il piercing, è ovvio. Cosa se no?- ridacchiò e si coprì gli occhi con una mano, mostrando la sua dentatura perfetta incastonata nel suo volto.
"No, ti prego, non farlo."
Subito dopo scostò la mano degli occhi e cercò di smettere di ridacchiare.
-ah, si. Molto carino- risposi, cercando di mascherare l'imbarazzo.
-carino? Davvero pensi che sia carino?-chiese, incredulo.

"Beh, si. È carino"

Annuii, impercettibilmente.
Lui si mise a ridere, si avvicinò a me e mi diede un bacio sulla guancia, ma questa volta non era come quello di Lunedì, era diverso, era più accattivante, era perfetto con quel cosino sul labbro che dava i brividi. 

Mi sorrise e se ne andò, probabilmente in cucina. 
Dire che ero rossa, non era sicuramente abbastanza.
Non dovevo farmi abbindolare da un Australiano biondo e occhi azzurri, avevo già un ragazzo, e mi sembra che uno basta e avanza.



Domenica arrivò in fretta, alle 18:00 ero già pronta per uscire, trucco perfetto, vestito perfetto, tutto perfetto.
Mi sentivo molto come in uno di quei famosi film americani, dove le teenagers si credono delle dive, ed escono di casa come se dovessero prostituirsi.

"Ah, Emma, quanto sei sofisticata."

Uscii di casa alle 18:30, non me ne fregava di arrivare in anticipo alla festa, ci sarei andata lo stesso.
Il clima era leggermente più fresco in quel tardo pomeriggio, il venticello frizzante di Dicembre mi attraversava il soffice tessuto del vestito, rendendolo quasi inesistente.
Ammettevo di aver freddo, ma non avendo trovato una giacca di pelle tra la mia roba, dovetti accontentarmi del pizzo che mi copriva metà braccio.

Alle 18:40 arrivai sotto casa di Luke, suonai e qualcuno mi aprì la porta, sentii dei passi provenienti da una parte remota della casa, successivamente entrai in casa. 
Appena entrata vidi una cosa cosa che mi traumatizzò la vita. 
Luke era in mutande. 
-cazzo, Emma, sei tu! Cosa ci fai qui?!- rimase immobile con dei jeans neri strappati in mano, davanti ad un ferro da stiro.
Luke versione casalinga era il massimo.
-pensavo fosse Calum, aveva detto che mi avrebbe aiutato!- rimase ancora immobile, spense il ferro, e piegò i jeans alla cavolo. 
-senti, per favore, siediti in salotto, torno subito!- era rosso dalla vergogna, povero piccolo.
Corse subito al piano di sopra e sparì in una delle tante stanze.

Mi accomodai in salotto per poi veder arrivare Luke cinque minuti dopo.
-bene, ti sei accomodata- si sistemò gli orli dei pantaloni e si mise seduto accanto a me sul divano di pelle nera.
Rimanemmo in silenzio per un po', uno di fianco all'altro, seduti su quel divano, a fissare il pavimento.

-senti, davvero, non era mia intenzione farmi trovare in mutande...- la sua voce era sottile, quasi inesistente.
Divenne di nuovo rosso.
-tranquillo, non è successo niente, non devi fartene una colpa, non sai quante volte avrò visto un ragazzo in mutande- sventolai le mani davanti a me, cercando in qualche modo di rassicurarlo.
Avvampò nel giro di qualche attimo.
-stai...stai davvero bene con quel vestito...- il suo sguardo cadde sulla mia coscia mezza nuda.
Il vestito era leggermente più corto di quanto mi aspettassi.
Sistemai il bordo del vestito e spostai il ciuffo di capelli a destra.
-beh, e tu stavi davvero bene in mutande...- dissi, con il tono pacato.

Cominciai a ridere.

-senti, ora non prendermi in giro per questo, pensavo fosse Calum, davvero!- batté rumorosamente le mani sul divano, facendomi sobbalzare.

Gli avrei fatto davvero una fotografia in quel momento, altro che rosso dalla vergogna...
Ed io, beh, io continuavo a ridere di gusto, nonostante il precedente avviso.
-pensa se fosse entrato qualcun altro e non io, di sicuro ti avrebbe dato del poco di buono!- scoppiai a ridere di nuovo.
In effetti avrei potuto anche io dargli del poco di buono, ma non m'interessava.
-adesso però basta- si mordicchiò il labbro inferiore e mi lanciò una rapida occhiata.

Mi dedicò ancora una volta il suo sorrisetto malizioso, si mise ancora più vicino a me e cominciò a farmi il solletico. 
Io soffrivo il solletico, e anche tanto. 

-dài! Basta! Soffro il solletico!- urlai in preda al panico.
Continuavo a ridere e a muovermi come una disperata.
-la smetterò quando finirai di prendermi in giro!- disse, impegnato ad esplorare il mio corpo con le sue dita affusolate.
Ero talmente presa dal solletico al punto di cadere dal divano e con me, cadde anche lui.

-va bene capo, hai vinto, non ti prenderò più in giro, hahahaha- mi asciugai una lacrima che mi era precedentemente caduta.
Ricomposi leggermente il mio vestito che era arrivato al livello dell'inguine, che imbarazzo, speravo con tutta me stessa che lui non avesse visto niente.
-bene, lo hai promesso, mi fido!- si ricompose anche lui, abbassandomi gli orli di pizzo del vestito sulle braccia.

Lui era lì sopra di me, rideva, mi faceva ridere con il solletico, con le sue battutine, con le sue facce buffe...
Ad un certo punto, però, nessuno dei due diceva più niente, silenzio, calma, pace. 
Mi guardava negli occhi, quegli occhi azzurri, perfetti. 
Si avvicinò a me, sempre di più, ero agitata, ma anche curiosa. 
Chissà come sarebbe stato ricevere un bacio da delle labbra così, quelle labbra così invitanti, con quel cerchiolino che mi faceva impazzire, chissà come sarebbe stato.
Per un attimo fantasticai tanto, pensavo che forse, le labbra di Lucas, sarebbe state molto meglio, sapevo che lui adorava mordermi il labbro inferiore, e mi faceva impazzire ogni volta.





Sì, scusate, so di essere in ritardo, comunque, alla fine ho trovato tempo c:
Spero tanto che il capitolo sia di vostro gradimento e spero di pubblicare il prossimo il prima possibile. 
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :3
A presto,
-ValeLoka00

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Capitolo 6
*** To Develop. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 6.

Potevo sentire il soffio del suo respiro sulle mie labbra, sentivo il suo calore su di me, la nostra vicinanza era pericolosa, almeno per me che ero fidanzata.
Sentivo il suo alito caldo percorrere ogni centimetro del mio volto.

Uhm, menta. Adorabile.

Stavo giusto pensando di far capire a questo ragazzino le mie intenzioni, cioè di tirargli un bel calcio nei capranzi, ma non feci in tempo, proprio perché suonò il campanello.

Luke si alzò di scatto e io mi misi di nuovo sul divano sistemandomi il vestito ed i capelli con movimenti nervosi e frettolosi. 
Era Calum, lui aveva interrotto quel momento, quel momento poco casto e che non doveva succedere una volta di più.
-ciao Emma, già qui?- gli si formò un ghigno sul volto nel formulare la frase.
Mi guardò un po' male e poi si mise a ridere. Sbruffone.
-sì, Calum. Sono arrivata prima perché mi sono offerta di aiutare Luke a preparare la festa- dissi con aria soddisfatta.
Lui alzò le spalle e si sedette sul divano a vedere la tv. Scansafatiche.
Stava guardando una serie tivù sud americana, una di quelle storie d'amore stupide e senza senso.

Da lì io e Luke preparammo la festa. 
Io mi occupai del salotto, mi preoccupai di disporre ordinatamente i bicchieri di plastica del giusto numero su ogni tavolo, mentre Luke portava le bibite in una busta enorme.
Dopo aver preparato i tavoli, e dopo aver stuzzicato Luke con lo sguardo, mi occupai del cibo.
Le dispense erano piene di patatine e pop corn.

"Cavoli, chissà quel povero fegato."

Era tutto pronto: tavoli pieni di cibo e  bevande, ma soprattutto, la musica.
Musica a palla e luci colorate ormai erano il mio mondo. 
Canzoni house e rock dominavano l'abitazione, e giuro di non essermi mai sentita così tanto a mio agio.

Dalla mia posizione, esattamente al centro del salotto, in mezzo ad altri ragazzi e ragazze sudati da far schifo, potevo intravedere la testa azzurra di Michael, che era comodamente seduto su uno dei divanetti di pelle nera a farsi una rossa niente male.
Un ragazzo poco ben intenzionato mi si avvicinò sfiorandomi i capelli con il viso.
-ciao bella- ghignò.
Non era un ghigno cattivo, anzi, sembrava amichevole.
Forse non erano tutti ubriachi marci come pensavo.
-sei sola?- chiese, mettendo fine alla sua danza e sorridendo leggermente.
Per un attimo stavo per rispondere di no, Luke mi aveva promesso che avrebbe ballato con me, anche se, dopo qualche ora, non si era ancora fatto vivo.
-ehm...sì- inarcai un sopracciglio e mi sistemai meglio sui tacchi.
Odiavo terribilmente i tacchi, non sapevo bene perché li indossai, ma non volevo dare l'impressione della sfigata che va ad una festa in Converse o con gli anfibi.
-ti va qualcosa da bere?- urlò per sovrastare la musica.
Scossi la testa e deglutii.
In effetti avevo sete, ma sapevo che se avrei accettato, mi avrebbe dato da bere qualche super alcolico, e avrei perso il controllo di me stessa e delle mie azioni.
-arrivo subito, non muoverti- mi fece l'occhiolino e si allontanò lentamente.
Non mi fidavo molto di quel tipo.
Però decisi di non pensarci, e di continuare la mia danza lontano da dove quel tipo avrebbe potuto trovarmi.

Mi avvicinai al bancone; avevo davvero una gran sete.
Non c'era una grande scelta, per le bevande, ma mi accontentai di un bicchiere di Coca Cola sgasata.
-beh, ti piace la festa?- due mani si appoggiarono sulle mie spalle, e subito mi girai, rimanendo stupita dalla visione che mi si presentò davanti.
Luke.
-ma guarda chi si rivede- spostai le sue mani da me e lo squadrai dalla testa ai piedi.
Un piccolo particolare mi fece irrigidire. La sua zip dei pantaloni era aperta, e si poteva dire lo stesso del bottone al di sopra di essa.
-Luke, sei ubriaco?- chiesi, appoggiandogli una mano sulla fronte e facendo pressione su di essa.
-no…- barcollò un po’ all'indietro, per poi appoggiarsi al gomito di una ragazzina dietro di lui.
Le schioccò un bacio in fronte e se ne andò.

Calum invece se ne stava seduto da solo, vicino alle cose da mangiare, sembrava che il cibo fosse la sua consolazione. Faceva pena, in un certo senso. Avrei potuto dire che le feste non erano proprio il suo passatempo preferito.

Decisi dunque di andare da Calum. 
Era tranquillo, quasi triste.
-hey Cal, tutto bene? Ti vedo giù...- gli picchiettai amichevolmente una mano sulla spalla e lui alzò lo sguardo allarmato, per poi calmarsi subito dopo, notandomi.
-possiamo parlare? Andiamo fuori- mi prese per un polso e io lo seguii.

Di cosa avrà voluto parlarmi?

Quando fummo fuori lui divenne più nervoso e potei intravedere un leggero rossore sulle sue guance.
-sai, non mi piace il comportamento di Luke... lui pensa di poter fare ciò che vuole, non si rende conto di ciò che fa…- si fermò, passandosi una mano nella cresta.
-non sto dicendo che non può fare ciò che vuole… ma l'hai visto? È completamente ubriaco marcio!- sbottò, sfregando le mani sui jeans neri.
Dopo aver riflettuto sulle sue parole, abbassai lo sguardo.
-vedrai… prima o poi se ne renderà conto…- cercai di giustificare il comportamento di Luke, anche se anche io la pensavo come Calum.
-non dovrebbe ubriacarsi, ha solo 17 anni,è ancora un bambino, beve solo per farsi figo, punto e basta- sussurrò più a se’ stesso.
Su quello, ovviamente gli davo ragione.
-beh, è vero, però è anche vero che sia io che te abbiamo la sua stessa età...- risi, cercando di trasportare anche lui.
-beh, Emma, tu non ne hai ancora 17… li compi in uno di questi giorni, giusto?- osservò i lineamenti del mio volto, facendomi spostare lo sguardo da lui.
Annuii, ritornando alla sua domanda.
-perfetto! Il mio regalo sarà il più bello di tutti, puoi contarci!- esclamò, battendo le mani un paio di volte.
Aveva detto queste parole come se in lui ci fosse ancora l'anima di un bambino… che tenero.
I suoi occhi brillavano alla luce della luna. Non sembrava reale. 
D'un tratto mi venne freddo, e nonostante fossimo in piena estate, la mia pelle tremava al solo soffiare leggero del vento.
-che c'è? Hai freddo?- cominciò a togliersi una manica della giacca.

“Oh, vuole darmi la sua giacca, che dolce…”

-beh, forse, un pochino…- ammisi, nascondendo la testa fra i miei capelli.
-tieni, mettiti la mia giacca- mi porse il suo giubbotto di pelle nera e me lo mise sulle spalle. Era caldo e morbido, sembrava quasi di essere intrappolati in un forte e amorevole abbraccio…
-grazie Cal, davvero- mi sentii avvampare, mentre anche lui mi sorrideva.
-figurati, è un piacere… comunque volevo farti una domanda che mi frulla in testa da molto tempo…- si grattò il mento nervosamente.

“Una domanda?”

-cioè?- inclinai la testa e lo invitai a proseguire con un gesto delle mani.
-beh, è un po' imbarazzante ma… ce l'hai il ragazzo? Nel senso se sei già impegnata con qualcuno… ovviamente- si affrettò nel dire l'ultima frase.
Ridacchiai leggermente, notando l'imbarazzo formatosi sul suo volto.
Annuii lentamente, notando come cercasse di trattenere il suo sorriso, che sembrava spegnersi, secondo dopo secondo.
-non vive qui…- sussurrai, pensando a Lucas.

Ci avevo pensato tanto, così tanto…
La nostra relazione non poteva aver un futuro, se vissuta a distanza.
C'erano Skype, Facebook, WhatsApp, Twitter, e tante altre cose…
Ma nessuna di quelle non poteva di certo rimpiazzare un bacio, un abbraccio, un “ti amo”.




Era una calda serata di Lunedì sera ed  ero ancora a casa da sola; durante le prove io e Luke non ci eravamo neanche parlati.
Sapevo che lui mi spronava a guardarlo, a degnarlo di uno sguardo, ma io non lo guardavo, rimanevo indifferente, come se lui non ci fosse. Avevo altro a cui pensare.

D'un tratto suonò il campanello. 
Corsi ad aprire, doveva essere di sicuro mia madre.
Ma non fu così…
Davanti mi ritrovai Lucas, il mio fidanzato, il ragazzo che avrebbe dovuto farmi battere forte il cuore…
Lo abbracciai, lui mi stringeva forte, io piangevo e lui mi stringeva ancora più forte.
-amore mio, sono arrivato, non piangere, io ora sono qui, con te, non hai più nulla di cui preoccuparti- mi accarezzò dolcemente la schiena, sussurrandomi cose sdolcinate e carine.
Ma non piangevo affatto per la felicità di averlo lì con me… 
Piangevo perché non pensavo più a lui come il mio fidanzato, e non era passato neanche un mese… 
Non ero degna di essere ancora la sua fidanzata.
Ma non gli dissi nulla.
-ciao Lucas, sono così felice di vederti. Prego entra. Non vedevo l'ora di rivederti. Sono molto contenta. Ma perché non mi hai avvisata?- dissi tutto velocemente, cercando di placare i singhiozzi.
-beh, volevo farti una sorpresa!- sorrise, sincero, mostrandomi i suoi denti sempre bianchissimi.
Mi abbracciò di nuovo e lì, mi diede un bacio, ma che io, non ricambiai con molta energia.
-Emma, vuoi dirmi che ti prende? Tutto bene? È successo qualcosa di brutto? Devi dirmi qualcosa, per caso?- incrociò le braccia al petto e mi squadrò con i suoi occhi vigili e severi.
-no, tranquillo, va tutto bene- sospirai, sapendo che non si sarebbe arreso.
Gli sorrisi e gli diedi un bacio sulla guancia.
-seguimi- gli presi il polso e lo condussi fino al primo gradino.
Gli indicai il piano di sopra.
Lui mi seguì, vigile e attento.
Gli avevo preparato un letto nella mia stanza, dato che, io avrei dormito nella camera dei miei.
Lui si sedette sul letto, sembrava piacergli, meglio così.
-scusa ma sono molto assonnata, meglio che vada a dormire. Buonanotte Lucas. Dormi bene- lo salutai con un cenno della mano e mi congedai nella grande stanza color tortora.

Durante la notte non facevo altro che sbloccare e bloccare il telefono. 
Non riuscivo a dormire. 
Pensavo sempre a Lucas, a Luke, a tutto ciò che era successo. 
Non credevo davvero che Luke potesse essere così idiota, un approfittatore, davvero, non lo avrei mai pensato. 

La mattina dopo venni svegliata da un buonissimo profumo. 
Scesi le scale ancora mezza addormentata e vidi Lucas che sistemava la giacca sopra ad una delle sedie del salotto.
-buongiorno splendore. Ti ho fatto una sorpresa- sorrise radioso, sistemandosi i capelli chiari all'indietro.
-siediti amore, il bar all’angolo sembrava ottimo, voglio sentire il tuo giudizio- mi porse un vassoio con un croissant e del caffellatte.
Sapeva come farmi sorridere con poco.
-sai come conquistarmi- gli feci l'occhiolino e sorseggiai la bevanda calda.
Lui, intanto, se ne andava in giro fischiettando.
Appena me ne accorsi, smise, e cercò di rimanere indifferente.
-come mai tutta questa allegria?- chiesi, cercando di tirargli fuori tutto.
Sarò stata pure troppo affrettata, ma capisco quando una persona mi nasconde qualcosa.
-perché sono qui- sorrise e tastò una delle tasche dei pantaloni, come per controllare qualcosa.
Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette, Marlboro Red.
-tu… fumi?- socchiusi gli occhi, fino a farli diventare due fessure.
-beh… sì- sorrise e si strinse nelle spalle.

“Oh no, Lucas, così non andiamo bene.”

-non me lo sarei mai aspettata- misi il broncio e incrociai le braccia al petto.
Me lo aveva promesso nei primi mesi in cui stavamo insieme; lui non avrebbe fumato, mentre stava con me…

-beh, è la lontananza… cerca di capirmi…- abbassò lo sguardo, e intanto estrasse anche l'accendino dalla tasca dei pantaloni.

-vedi, l'ho fatto per il nostro rapporto- sussurrò.
Di cosa stava parlando? Delle sigarette?
-un ragazzo, prima, è passato a chiedere di te…- disse in tono brusco.
-un ragazzo? E com'era?- mi affrettai a dire. Avevo il sospetto che fosse lui.
Lucas divenne rosso in volto.
-era alto, occhi azzurri, capelli biondi. Il classico ragazzo australiano che attira le ragazzine- sbottò, torturandosi i capelli con le dita.
Deglutii.
-Lucas, non devi preoccuparti, Luke è solo un amico, è un membro della band in cui suono, probabilmente voleva sapere se sarei venuta alle prove di Giovedì, tutto qui!- cercai di mantenere un tono placato e controllato, tanto per non urlargli in faccia ciò che stava succedendo sul serio.
Lui divenne più cupo. 
-già, peccato che lui non è venuto a chiedere per le prove… lui voleva chiederti di uscire…- raggiunse il mio sguardo e si alzò dal divano.

“Voleva chiedermi di uscire?!”

Lo guardai confusa e spaesata.
Non sapevo affatto cosa volesse dirmi. 

-spero che tu non stia mentendo…- abbassò lo sguardo, cercando di non scoppiare.
Io divenni rossa.

“Non soddisfi i miei bisogni, forse è meglio se mi comporto da puttana e vado a farmi sottomettere da quel biondino australiano.” Questo avrei voluto dire.

Ma non lo feci.
-no… tranquillo…- sorrisi leggermente e lentamente, cercando di auto convincere anche me stessa.




I'm here!
Forse alcune di voi mi staranno odiando profondamente.
Sì, avevo detto che avrei aggiornato qualche settimana fa, però, non c'è stato tempo… perdonatemi.
So che come capitolo, non è speciale, e penso che sia oltre che povero di lessico, anche grammaticalmente poco corretto (dài, mettiamoci a fare le professoresse di grammatica!).
Bene, io vado. Spero di aggiornare preso LOL.
-V xx

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Capitolo 7
*** Lucas. ***


"She's a good girl."
Capitolo 7.

Lucas si trovava al mio fianco. Percepivo l'ansia nei suoi movimenti, mentre si mordicchiava le unghie e sbatteva i piedi a terra. Sapevo che prima o poi se la sarebbe presa con Luke. 

Luke.

Luke era il problema. Era stato lui, con il suo sguardo, i suoi modi di fare, il modo in cui si sistemava i capelli, il modo in cui muoveva la lingua quando giocherellava con il suo piercing… Insomma, tutto.
Certo, aveva anche dei lati negativi, ma come si sa, di solito sono i difetti a far colpo. 
La cosa che, però, mi ha sorpresa più di tutte, è stato quando alla festa correva dietro a una ragazza biondina perfetta. Non ho mai accettato che la gente giocasse con me. Mai.

D'un tratto Lucas mi toccò una spalla, facendomi risvegliare dai miei pensieri.

-Emma, senti, meglio che io vada a parlare con quel ragazzino, mi sono stufato di starmene qua a rimuginare tutto. O mi dici la verità, o sarà peggio per quel piccolo idiota- mi scansa e, a passo svelto, raggiunge il suo cappotto.
-Non ce n'è bisogno, io ti ho detto la verità!- apro le braccia e lo guardo sconvolta.
Doveva credere alle mie parole. Se solo si fosse arrabbiato con me, avrei passato dei giorni veramente orrendi.

-E invece io voglio parlare con lui- si infilò la prima manica e mi fulminò con lo sguardo.
-Non essere così ostinato, tra noi non c'è nulla, se non un'amicizia legata da un gruppo!-.
Ed era la verità.

-E invece io vado a parlargli! Cerca di capirmi! Non voglio che i ragazzini ti sbavino dietro, hai capito?!- urlò.
-Non urlare, cazzo!- buttai fuori, raggiungendolo con il cellulare in mano.
-Al diavolo…- si allacciò il giubbotto e con una mossa veloce afferrò il mio cellulare, mettendoselo in tasca.

“Tutto, ma non il mio cellulare.”

Appena cercai di saltargli addosso, aprì la porta di casa e la richiuse subito dopo.
Caddi a terra e per un attimo pensai di essermi rotta il naso.

“Sanguina? Non sanguina. Respiro? Sì, sto respirando. Grazie a Dio.”

Cercai di rintracciarlo con il cellulare di casa, ma niente. Il suo cellulare era spento e non rispondeva nemmeno al mio.
Mi rassegnai.


[…]


Quella stessa sera me ne stavo comoda sul divano, ripensando a quella discussione, quando sentii la porta aprirsi.

“È tornato.”


-Lucas, mi di…- appena lo vidi smisi di parlare.
Sapevo cosa era successo.
-Lucas perché l'hai fatto?- mi avvicinai e gli accarezzai la guancia, tastando con i polpastrelli la barba leggera con qualche leggera lesione qua e là.
-Per il nostro rapporto… Semplice- rispose, sorridendo.
-No. Non mi piace- riportai la mano sul mio fianco e abbassai il volto sulla sua maglietta sporca.
-Infatti, non può piacerti un ragazzo che non sa come difendersi- si passò una mano tra i capelli più ricci, dietro alla testa.
-Non sto parlando di Luke- mormorai.
-Sto parlando di quello che hai fatto. Te me rendi conto?! Non posso fare a meno di odiarti! Sai almeno che cosa hai fatto?! Da adesso tra ma e Luke non ci sarà neanche "amicizia". Solo puro odio- mi morsi il labbro dalla rabbia repressa.
-Vai a farti fottere, Lucas-.
Salii le scale i mi chiusi a chiave nella mia stanza.

Sentii Lucas bussare più volte alla porta, ma io non volevo aprirgli, non volevo parlare con lui, almeno per un po'. 
-Perché?! Dimmi perché tieni così tanto a quel coso!-.


[…]


Mi rigirai più volte nel letto, il pensiero di Luke mi impediva di pensare a qualcosa di positivo, come le pecorelle danzanti.

“Luke. Luke. Luke. Cazzo.”

Indossavo ancora i vestiti del pomeriggio precedente, e non avevo assolutamente voglia di cambiarmi.
Guardai l'ora sull'iPod. Erano le due di notte.
Mi venne in mente che anche Luke era solo in casa in questi giorni perché i suoi erano andati in California per lavoro. 
Nel mio piccolo e inutile cervello si accese una lampadina. 
Esatto, potevo andarlo a trovare per chiedergli scusa. Certo, avrei fatto una pessima figura, ma ne valeva la pena.

Con i miei pantaloni larghi con i fiori e il mio maglione orrendo, scavalcai lo stipite della finestra e mi aggrappai alla scaletta di emergenza.
Stendo attenta, scesi ogni scalino ed esultai non appena sentii il morbido prato sotto alle mie scarpe.

Appena arrivai davanti a casa Hemmings saltai dalla gioia. Ero felice di non aver sbagliato indirizzo.

Respirai profondamente. Volevo davvero farlo? Insomma, stavo per presentarmi a casa sua dopo che il mio “ragazzo” lo aveva probabilmente malmenato. Con quale coraggio stavo per suonare a casa sua?

Mi decisi e suonai. La mano mi tremava a mezz'aria. Ero nervosa.

-Avanti- sentii.
Le luci erano accese, così, spinta dalla curiosità, aprii la porta.
Il camino era acceso, una valigetta di pronto soccorso era adagiata sul tavolo di vetro al centro del salotto e Luke… Beh… Lui se ne stava sdraiato sul divano con le mani dietro alla testa e i piedi nudi all'aria.

-Emma, sei tu...- beve un ultimo sorso dalla bottiglia di birra e si alza dal divano.
-Luke, stai attento!- non faccio in tempo ad avvisarlo che la sua felpa rimane incastrata nel bordo del divano, e lui cade a terra, sbattendo la testa.

“Oh mio Dio, e adesso che faccio?!”

Gli schiaffeggio leggermente le guance e lo scuoto per le spalle.

-Luke, ti prego, alzati, perdonami, ti prego. Ora ti porto nella tua stanza, ok?- sussurrai al suo orecchio solo l'ultima parte, sperando che potesse sentirmi.

Lo trascinai di peso nella sua stanza, che si trovava al piano di sopra e lo buttai sul letto. Non sembrava, ma quel corpo magro era molto, molto pesante.

Lo osservai bene, aveva un cerotto sul naso e un occhio viola. 

“È solo colpa mia.”

Mi sedetti ai piedi del letto e aspettai che si svegliasse. 
Memorizzai ogni centimetro di quella stanza, c'erano dei poster dei Green Day, dei Blink e dei Nirvana. Alcune maglie erano adagiate ovunque come se fossero fatte proprio per stare in quella posizione. Era fantastico come poco potesse formare l'armonia perfetta.

Tolsi la felpa a Luke e lo coprii con una coperta, egli si rannicchiò su sé stesso come un bambino e si girò con il volto al muro.

-Bene, credo sia ora che io vada- mi alzai da terra, sistemandomi i vestiti e mi guardai per l'ultima volta attorno.

Trovai alcuni spartiti e delle matite, così decisi di scrivere delle scuse sul retro di un foglio.


«Buonasera biondino, o forse buongiorno se ti sei appena svegliato. Sono passata per chiederti scusa, insomma, ciò che ho combinato è orribile. Ti prego di perdonare sia me che Lucas. Non so davvero cosa fare. Se c'è qualsiasi cosa che posso fare per farmi perdonare, ti prego dimmelo. Però, ti prego, perdonami.
Ci si vede alle prove,
         Emma.»


“Ci vediamo, caro Luke.”

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Capitolo 8
*** Gift. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 8.

Mentre tornavo a casa, osservavo come la città era tranquilla ma spaventosa allo stesso tempo. Nessun rumore, nessuna voce, nessun lamento. Solo il silenzio e la brezza del vento.

Quando arrivai a casa mia, aprii la porta con cautela. Era aperta.

Tolsi le scarpe mettendole sotto al calorifero e a passo felpato, come una volpe, andai in camera mia.
La casa sembrava deserta, non si sentivano rumori diversi dal solito. 
Ogni tanto si poteva sentire il gocciolio dell'acqua all'interno delle tubature, ma ormai ci avevo fatto l'abitudine. Una strana e spaventosa abitudine.

Un rumore metallico mi sorprese non appena mi coprii con le coperte.

-Dove sei stata?- Lucas spuntò dalla finestra ed entrò in camera.
-Sono andata a fare una passeggiata-.
Ed era vero, solo non era tutta la verità. 
-Di notte, da sola- indagò, spostando il peso ripetitivamente da un piede all'altro.
Accese la luce e mi si piazzò davanti.

“E adesso cos'ha intenzione di fare?”

-Ti vedo pallida. Sei sicura che vada tutto bene?- chiese, tastando con i polpastrelli la mia mano, adagiata vicino al mio volto.
-Ho solo bisogno di riposare- mi rigirai nel letto e lo sentii sospirare.
-Ho messo il tuo telefono ai piedi del letto, sta' attenta a non farlo cadere- detto ciò se ne andò.

Mi misi seduta e afferrai il telefono. Quanto mi era mancato.

Inserii il codice e notai una notifica.
WhatsApp

Notai un messaggio da Luke.
Lo aveva mandato proprio quando me n'ero andata da casa sua.
Cominciai a leggere.

Senti, mi ha colto alla sprovvista quella visita. Cosa hai detto al tuo "Lucas"? Sono curioso. 

E hai pure il coraggio di chiedermi di perdonarti. Sai che ti dico? Non lo so, ecco.

Ti do il privilegio del dubbio. Ci vediamo alle prove, contaci.


Appena finii, alzai la testa e rimasi a fissare il vuoto. 
Cosa voleva farmi intendere con quelle parole?

Poi mi venne in mente una cosa: tenevo di più a Luke o a Lucas?

Lucas era il mio ragazzo, forse un po' geloso, ma pur sempre la persona che amavo; però Luke aveva un non so che di meraviglioso, sarà il fascino Australiano, però non potevo far finta di niente davanti alla sua faccia da sberle.

Erano appena le sette del mattino, quando la mia attenzione cadde sulla data di quel giorno stesso. 

24 Dicembre

La tanto attesa vigilia di Natale e del mio compleanno.

Avevo già, ovviamente, pensato ai regali per tutti. Per Calum, Michael e Luke pensai a qualcosa che piacesse a tutti, così scrissi il prototipo di una canzone. Non aveva ancora un titolo, ma era molto carina. 
Per Luke, a parte tutto, volevo fargli un piccolo pensiero, giusto per farmi perdonare, ma non avevo idea di cosa.

Uscii da camera mia e mi guardai attorno, tutto sembrava tranquillo, la finestra del bagno era aperta e la tv era accesa.
Forse Lucas era in salotto.
E i miei pensieri non erano vani, infatti egli se ne stava sdraiato sul divano a mangiare schifezze. 

Mi schiarii la gola e scesi le scale, Lucas mi rivolse uno sguardo veloce, poi prese parola.

-Se posso saperlo… Dove vai?- chiese.
-A fare un giro in centro- chiarii.
Non disse più niente, così ne approfittai per uscire di casa, ricordandomi di prendere dei soldi.

Svoltai a destra subito dopo casa mia, alcuni negozi ancora deserti stavano per aprire, così, presa dalla curiosità, mi avvicinai. 
Uno si chiamava “Café & Run” e a sinistra ce n'era un altro molto più luminoso e notevolmente grosso: “Disconnect”, si chiamava.

Mi si illuminarono gli occhi.

“Eccolo, me lo sento. È quello giusto!”

Entrai senza neanche pulirmi i piedi sullo zerbino e mi guardai in giro. 

Chitarre di ogni genere erano appese alle pareti, e a far loro compagnia c'erano violini, batterie, flauti… 
Era davvero un posto fantastico.

Girai ancora un paio di volte per gli scaffali, finché non sentii alcuni passi alle mie spalle. Subito mi girai. Non c'era nessuno.

“Che razza di scherzo è mai questo?!”

-Scusi- mormorai, avvicinandomi al bancone.
-Dimmi pure, bella- un omino piccino piccino con la barbetta a capra sbucò dal bancone e mi fece l'occhiolino.
-Ehm, mi servirebbe qualcosa che centri con le chitarre. Sa, è per un amico- mi gratto nervosamente un fianco e torno a guardarlo.
-Bella, ho quello che fa per te!- scavalcò la lunga lastra di marmo e mi guidò fino alla fine del negozio.
Indicò una chitarra in legno lucida e perfetta.
-Ogni ragazzo ne andrebbe pazzo, soprattutto se è una ragazza bella come te a regalarla- mi fece di nuovo l'occhiolino e salì su una scaletta.
-Allora, la vuoi?- chiese con un ghigno in volto.
-Dipende. Quanto costa?- lo vidi girare il tesserino con il prezzo.
Strinse gli occhi a fessura e mi rivolse uno sguardo dispiaciuto.
-Credimi bella, non vedo proprio niente, chissà dove ho messo gli occhiali- alzai le spalle e spostai lo sguardo verso il prezzo della chitarra.

“Oh no, decisamente troppo.”

-Non ne ha qualcuna… Meno costosa?- tentai.
-Bella, sono tutte intorno a questo prezzo, me lo ricordo bene. Se proprio devo, oso consigliarti un bel plettro- indicò uno scaffale davanti al bancone e subito mi ci fiondai.
-Faccio io, bella?- fece indicando le piccole scatole davanti a me.
Annuii convinta, di certo aveva più gusto di me.


[…]


-Grazie e arrivederci- uscii dal negozio e mi incamminai verso casa, bastava solo che Lucas non vedesse cosa avevo comprato ed era tutto a posto.


Quando tornai a casa, prima di aprire la porta, controllai i messaggi.

Emma, abbiamo un problema. Domani, anche se è Natale, potresti venire da Michael? Te ne sarei per sempre grato. A domani!


Era di Cal.
Sbuffai e aprii la porta di casa, forse con troppa forza, tanto che mi rimase in mano la maniglia.

“Ma perché?!”

Riuscii ad entrare per miracolo e quando scrutai la stanza, notai due scatole di pizza sul tavolo.

“Evvai, la pizza!”

-Ho comprato due pizze. Mangiamo?- chiese, accennando un sorriso.
Annuii e posai la borsa a terra, accanto alle scale.
Ci sedemmo a mangiare. 

-Domani hai qualche impegno? Perché se no potremo passare il Natale insieme…- sentenziò, facendo il vago.
-Beh, non lo so, penso che lo festeggerò con alcuni amici, tipo la band o quelli del college- addentai un pezzo di pizza e cominciai a masticare.

Lucas alzò gli occhi al cielo.

“Ce l'hai con me?”

-Magari domani mattina sono libera- mormorai.
-Non fa niente, vai pure a divertirti, fai pure, non m'importa. Devo anche andare a far visita a un ragazzo che conobbi in chat, abita qui vicino-.


[…]

        
Alzai gli occhi verso il cielo. Non c'erano stelle, quella notte.
Era uno scenario abbastanza triste e desolato, solo qualche ramo che oscillava qua e là e il rumore delle macchine che passavano lì davanti.

Poi pensai, pensai a Lucas, a Luke e a tutto quanto. Pensai a come tutto fosse successo tanto velocemente, a come un rapporto sia andato distrutto con poche parole.
Volevo ancora stare con Lucas?
Non che lo volessi rimpiazzare con Luke, ma sapevo che se lo avessi lasciato, se ne sarebbe fatto una ragione. Sapevo che Lucas non si sarebbe mai arrabbiato con me, non ci sarebbe riuscito, aveva un gran rispetto per il genere femminile.

Non sapevo cosa fare.

Quando riabbassai lo sguardo sullo schermo del cellulare era quasi mezzanotte.
Mancavano solo pochi secondi.
Non mi aspettavo un oceano di auguri, come sempre.
Però non feci in tempo ad aspettare, che mi addormentai.


La mattina dopo trovai Lucas sul divano con un cappello da Babbo Natale in testa, era troppo buffo, non resistetti e mi misi a ridere.
-Hey, buon Natale e tanti auguri- sorrise e si alzò, venendomi incontro.

-Grazie- lo raggiunsi e lo abbracciai.
-Senti…- dicemmo all'unisono.
-Prima tu- lo incoraggiai.
-No, insisto, prima tu- rispose con fare nervoso.
-Beh, ecco, riguarda me e te, noi. Sì, insomma… Non so se…- balbettai.
-Capisco tutto, tranquilla. Doveva succedere… Prima o poi- si morse il labbro e respirò a fondo.
-Mi dispiace. È che io… Non lo so. Sento di meritare più libertà, devo tenere tutto sotto controllo… E con te qui, che fai tutto di testa tua, proprio, non ce la faccio- lo scostai da me il più gentilmente possibile e lo afferrai per le spalle.
-Vuoi che me ne vada?- sgranò gli occhi e mi guardò confuso.
-No! Non hai capito…- sospirai.
-Ho capito tutto, tranquilla- mi accarezzò una guancia e mi diede un leggero bacio in fronte.
-Resteremo amici?- chiesi, incerta.
-Ci proverò…-.

A volte sapeva davvero essere comprensivo.

-Grazie Lucas- dissi avviandomi in cucina per preparare la colazione.
Lui non rispose.


[…]


-Esci di già?- chiese, non appena mi vide infilarmi le Dr. Martens.
-Sì, torno stasera. Probabilmente- annuii.
Uscii di casa e scesi di fretta le scale, ero terribilmente in ritardo.

Un quarto d'ora dopo arrivai da Michael. 

Bussai.

Mi venne ad aprire Kristen, la migliore amica di Cal, che appena mi vide mi abbracciò.
-Auguri Em, auguri, auguri, auguri!- saltellò sul posto facendo svolazzare il suo vestito.
Entrammo mano nella mano e mi guidò in salotto, dicendomi di tenere gli occhi chiusi.

Quando aprii gli occhi, notai Calum, Michael e Luke seduti di spalle con un joystick ciascuno e una bottiglia di birra vuota abbandonata a terra.

-Ragazzi, lei è qui- Cal scattò in piedi e si mise a ridere non appena vide la mia faccia confusa.
Michael fece lo stesso, però mi abbracciò come mai nessuno avesse mai fatto.
Luke mi salutò con un cenno del capo e mimò un «ciao».

Il soggiorno emanava una forte atmosfera Natalizia, e nonostante fosse estate, mi sentivo a mio agio.

-Ragazzi che ne dite, tanto per ammazzare il tempo, di fare il gioco della bottiglia?- chiese Calum, spegnendo la televisione.

Tutti approvarono, tranne me.

-Giro io!- urlò Michael.
Tutti sbuffarono, io mi misi a ridere.
-Emma giochi?- mi raggiunse Kristen, con la bottiglia di birra in mano.
-No, io rimango a guardare. Grazie lo stesso- le sorrisi e mi andai a sedere sul divano di pelle nera.

La bottiglia faceva attrito sul pavimento, mentre potevo percepire la sensazione di disagio da parte di tutti i presenti.

-Luke- mormorarono tutti tranne il diretto interessato. 

Non ci feci molto caso e tirai fuori dalla tasca il cellulare.
Stava squillando, così risposi.

-Pronto?- 
-Emma, tesoro di papà, auguri!

Alzai gli occhi al cielo e sorrisi ingenuamente come una bambina che riceve un complimento.

-Grazie papà, augura buon Natale alla mamma- mi arricciai una ciocca di capelli al dito e posai lo sguardo sui ragazzi seduti per terra in salotto.

Lasciai cadere il cellulare a terra e tutti si girarono verso di me.

-Scusate. Dov'è il bagno?- mi ricomposi, afferrando il cellulare e mettendomelo in tasca.
Michael indicò l'ultima porta del corridoio e io non aspettai un secondo per correre verso destinazione.


[…]


-Posso?- sentii bussare alla porta e subito mi alzai da terra.
-Sì- sistemai i capelli allo specchio e aprii la porta.
-Gli altri si stavano preoccupando- scherzò.
-Ho un piccolo regalo per te- gli porsi il pacchetto e lui lo afferrò abbastanza confusamente.
-Che cos'è?- chiese, scuotendo la piccola confezione.
-Aprilo… Dopo- aprii la porta del bagno e feci per uscire, ma lui mi toccò una spalla, facendomi fermare.
-Grazie- mi baciò una guancia e mi lasciò andare.

Avevo le gote rossastre e gli occhi lucidi. 
Da una parte ero felice, però allo stesso tempo volevo andarmene.

“Cosa mi sta succedendo?”

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Capitolo 9
*** Curly. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 9.
 
26 Dicembre
 
Quel giorno non avevo molto da fare. Sarei voluta andare da Michael o da Calum, ma erano tutti e due a casa di Luke a giocare ai videogiochi.
Non mi restava molto da fare, così uscii di casa alla ricerca della solitudine e della tranquillità.
 
Faceva caldo, quel giorno, però nonostante tutto, a nessuno importava di andare in giro. 
Sulle strade passava di tanto in tanto qualche autobus sostitutivo, ma da essi non scendeva molta gente.
Mi sarebbe piaciuto restare a casa, ma senza i miei genitori non era lo stesso.
 
Trovai solo un locale aperto in centro, era il Lemon&Melon, il locale in cui suonavo qualche volta con il resto della band. Non era male, solo, non aveva molta fama, e il guadagno non era tra i migliori, però ce lo facevamo bastare.
 
Entrai, non avendo altro da fare.
 
Tutte le luci erano accese, al contrario di quando suonavo alla sera. C'erano solo due persone all'interno, una coppia intenta a bere qualcosa di strano.
Mi sedetti al bancone, poco dopo un ragazzo si avvicinò a me dall'altra parte di esso.
 
-Ciao, cosa ti porto?- chiese, sorridendomi.
-Una Coca Cola zero, grazie- risposi, mettendo una mano in tasca alla ricerca dei soldi.
-Arriva subito- canzonò.
 
Qualche secondo dopo, vidi la lattina di Coca Cola scivolare davanti a me sul bancone. Sorriso pensando alla velocità del ragazzo e allungai la mano con i soldi sulla lastra di marmo.
 
-Non ce n'è bisogno, vai tranquilla- mise una delle sue mani sulla mia e la spinse via.
-Faccio il turno di notte ogni tanto, ti vedo suonare, sei forte- notai formarsi delle fossette sul suo viso non appena sorrise di nuovo. Erano davvero carine.
-Beh, grazie, ma non è tutto merito mio, e comunque tieniteli quei soldi- aprii la mano e le monetine caddero sul bancone.
-No, insisto, non devi farlo- spinse la mia mano contro i soldi e ci fece pressione.
 
Sbuffai e con la mano libera presi il suo polso e schiacciai la sua contro i soldi.
 
-Hai vinto- sospirò.
-Non avresti fatto lo stesso con qualcun altro- gli feci notare.
-C'è qualcosa che non va?- aggrottò le sopracciglia e si appoggiò al bancone con i gomiti.
-No, perché dovrebbe?- mi strinsi nelle spalle e scesi dallo sgabello.
 
-Ora devo andare, grazie mille- alzai una mano e la scossi lentamente.
-Torna presto a trovarci, e grazie a te-.
 
Quando uscii dal locale, notai che l'ambiente circostante si era riempito. 
Alcuni si affrettavano a ritornante a casa, mentre altri sembravano concentrati tra i propri pensieri.
 
Mi sedetti su una panchina al lato di un parco. Pensai a tutto, a Luke, al mio compleanno, ai miei, a Lucas. A tutto. 
Pensai a come io sia stata maleducata a non stare con il mio ex ragazzo in un giorno così speciale, proprio dopo che lui si era sacrificato per venire da me.
Mi era sempre piaciuto rischiare, sfidare la sorte, perciò avevo deciso di puntare gli occhi su Luke.
 
[…]
 
Appena entrai in casa notai che l'atmosfera era leggermente cambiata, forse avrei dovuto fare un po' di pulizie.
 
La porta alle mie spalle si aprì, cogliendomi alla sprovvista, e ne entrarono Lucas e un altro ragazzo incappucciato.
 
-Ciao Emma- mi salutò il primo.
Ricambiai il gesto e tenni lo sguardo fisso sul secondo, che ancora non si era mostrato del tutto.
-Ho portato un amico, spero non ti dispiaccia- finalmente si tolse la felpa e lo vidi.
 
“Oh Dio.”
 
-Non ci credo- rimasi a bocca aperta.
-Lo conosci già?- chiese Lucas, circondandomi le spalle con un braccio.
-Più o meno- rispose il moro davanti a me. -Ironia della sorte- continuò.
-Sono Ashton, comunque- disse.
-Ah, piacere-.
-Si chiama Emma- rise Lucas, picchiettando le dita sulla mia spalla.
 
-Mi piace casa vostra-.
-Mia- lo corressi.
Lucas scosse la testa e salì le scale.
-Vado un attimo al bagno- esclamò.
 
-Non era il tuo ragazzo?- indagò.
-Lo era. Ma diciamo che… Sono impegnata- limitai le spiegazioni e mi mantenni distaccata.
-Capisco. E perché vi siete lasciati?-.
-Stava iniziando a diventare insopportabile- andai in cucina e presi un bicchiere.
-Quindi lo hai lasciato tu- mi seguì e si appoggiò allo stipite della porta.
-Esatto-.
 
Lucas tornò dal bagno e sorrise a tutti e due.
-Ho finito- unì le mani e si mise seduto su una delle sedie di legno della cucina.
-Oh, ma davvero?- dissi in modo ironico.
-Potevi dirmelo che la tua ex ragazza ora è impegnata. Mi sarei preparato un discorso- aggrottò le sopracciglia e incrociò le braccia al petto.
-Ash è un gran moralista- scosse la testa e sospirò.
-Si chiama Luke, vero?- chiese Ashton, mordendosi il labbro inferiore.
-Già- risposi.
 
Ad un certo punto alzò lo sguardo verso l'orologio appeso alla parete e sbuffò.
 
-Devo andare, tra poco ricomincio il turno- si mise in piedi e diede una pacca sulla spalla a Lucas.
-Allora ci si vede?- domandò quest'ultimo.
-Certo, il mio numero ce l'hai- rispose.
Si girò anche verso di me e mi fece l'occhiolino.
 
“E quindi?”
 
-Ciao- salutò tutti e due e uscì di casa.
 
Qualche minuto dopo il citofono suonò. Mi alzai per prima e andai a sentire chi era.
-Chi è?- domandai.
-Sono Luke mi fai salire?-.
 
“Oh Dio, oh Dio. Perché?”
 
-Va bene, sali-.
Gli aprii e lo aspettai appoggiata allo stipite della porta d'ingresso.
Mi raggiunse con gli occhiali da sole a coprirgli gli occhi e il suo solito sorriso idiota in volto.
-Ciao Em- mi abbracciò e rise.
-Ciao Luke- risposi al saluto e cercai di allontanarmi.
-Io esco, salutami il bambino- Lucas mi passò davanti e scese gli scalini davanti alla porta.
-Starà da te ancora per molto?- chiese Luke, sbuffando.
-Forse una settimana o due- entrai definitivamente in casa e mi accomodai sul divano.
-Almeno adesso è uscito- sentenziò.
 
“E con ciò?”
 
-Che intendi dire?- scherzai.
-Niente… Niente- si sedette accanto a me e ridacchiò.
-Lo conosci il tipo che è uscito da qua prima?-.
-Mmh… Dipende- chiusi gli occhi a fessura e mi morsi l'interno della bocca.
-Può darsi che sia… Un amico di Lucas. O forse no- strinsi le labbra in una linea per non scoppiare a ridere. Volevo solo prenderlo in giro per un po'.
-Ma sai che forse l'ho già visto?- indagò, mettendo le mani incrociate al petto.
-È il barista del Lemon&Melon. Sei felice ora?-.
-A… Alan? No, aspetta. Arald? No, non era Arald- si interruppe a pensare.
-Ashton- risposi al posto suo.
-Ashton!- esclamò. -Quindi lo conosci-.
Alzai gli occhi al cielo e sorrisi.
-Sì, era lui. Lo vedevo spesso al bancone con alcune ragazze che…- si interruppe e scosse la testa. -No, niente-.
-Le ragazze che?- chiesi.
-No, niente- s'impuntò.
-Ti invito a finire la frase-.
-Non ha importanza, cazzo- rispose.
-Ah, non ha importanza? Te lo dico io cosa non ha importanza… Tu- sbottai.
Sì, era la verità. Lui non era importante, erano le sue azioni e renderlo tale.
-Cosa intendi dire?-.
-Sapevo che non avresti capito. Qui a Sidney siete tutti degli snob viziati del cazzo, avete case da urlo, una famiglia perfetta… All'inizio quando sono arrivata qui ho esclamato :“Che figata, sono a Sidney, mi farò tanti amici e comincerò una nuova favolosa vita allegra e spensierata!” Ma non è andata proprio secondo i miei piani- sempre più piano, i miei occhi stavano cominciando a farsi più lucidi e la vista stava andando a farsi fottere. -Fatto sta che questa non è la vita che voglio. Quando ho incontrato Michael ho capito fin da subito che era una brava persona, e poi quando ho visto te e Cal ho creduto che foste dei gran bei ragazzi! Ma… ma… Insomma, voi avete tanta autostima e io invece ce la sto mettendo tutta per non rovinare il vostro giudizio nei miei confronti. Non dovrebbe andare così, vero?- trattenni il respiro per qualche secondo e alzai lo sguardo per impedire una scenata penosa davanti a Luke.
-Basta così- mi prese il viso tra le mani e se lo portò al petto.
-È tutto okay- continuò.
-Ma io… Lo sai… S-sono…- balbettai.
-Shh, basta- mi diede un bacio sulla fronte e si alzò, lasciandomi da sola sul divano.
-Scusami ma devo andare. Non ce la faccio-.
 
“A fare cosa?”
 
-Sì, forse è meglio- ammisi.
-Ti va bene se domani ti passo a prendere alle dodici?- chiese.
 
Rimasi a riflettere su quelle parole ancora per un po'. Potevo esserne felice, non mi aveva abbandonata.
 
[…]
 
-Domani ti passo a prendere alle 12- ripetei ancora nella mia mente.
 
“Oh cielo. Posso farcela.”
 
Mi sistemai ancora una volta i lacci delle scarpe e sfilai per la stanza osservando il movimento delle mie gambe.
 
-Emma, sono arrivati i tuoi-.
A quelle parole corsi fuori da camera mia e mi catapultai alla porta d'ingresso.
 
Mamma e papà erano appena scesi dall'auto ed erano concentrati nello spingere le valigie sugli scalini davanti alla porta.
 
-Emma, vieni qui!- esclamò mio padre vedendomi.
-Papà!- urlai, correndogli incontro.
-Tua madre ed io non vedevamo l'ora di tornare a casa- disse abbracciandomi.
-Mi siete mancati- sussurrai contro la sua guancia ispida.
-E a me non mi saluti?- domandò mia madre mettendosi le mani sui fianchi.
Abbracciai anche lei e la aiutai a portare la sua valigia in casa.
 
-Lucas ci ha riferito che non state più insieme- indagò mia madre togliendosi le scarpe.
-Come girano veloci le notizie- sbuffai.
-Hai un altro?- chiese mio padre, accendendosi una sigaretta.
-No!- esclamai. 
-Mi sorprendi. E allora dimmi, dove devi andare vestita così?- .
-Devo uscire con degli amici
-Luke?- chiese Lucas, scendendo le scale.
Lo fulminai con lo sguardo, poi tornai a guardare mia madre.
-Emma, non ci devono essere segreti tra noi. Siamo intesi?-.
-Sì, mamma-.
 
[…]
 
Sentii suonare il campanello, il cuore cominciò a battermi all'impazzata. on feci in tempo ad uscire dalla stanza che già qualcuno aveva pensato ad aprire. 
 
-Oh, ma quindi tu sei Luke, fattelo dire, sei proprio un bel ragazzo, perché non ti fermi a mangiare da noi? Mi farebbe molto piacere- sentii dalla cucina.
Mi misi una mano in faccia e risi amaramente. Mia madre mi stava già facendo fare una brutta figura.
 
Scesi le scale e notai Luke sulla porta, con il suo cappello di lana tra le mani e un'espressione timida in volto.
 
-Ehm, ciao Luke, come va?- camminai lentamente verso di lui e finsi un sorriso.
-Bene, e tu?- si morse una parte interna della bocca e posizionò lo sguardo altrove.
Si vedeva lontano un miglio che era imbarazzato, ma le sue guance rosse erano davvero troppo dolci. Avrei potuto prenderlo in giro per un'eternità.
 -Ragazzi, mica la volete una fetta di torta?- mia madre fece spuntare la sua testa dalla cucina e sorrise amorevolmente a tutti e due.
-No mamma, lascia stare, adesso ce ne andiamo- mi affrettai a parlare.
-Insisto- ribatté.
-Lasciala stare quella mezza matta- sussurrai a Luke.
-Non sembra male, è simpatica e divertente- si sistemò i capelli e tornò a guardarmi.
-Anche se, lo ammetto, me la immaginavo diversa- mormorò.
-E come?- chiesi, incuriosita.
-Mi immaginavo solo una Emma un po' più grande, con quegli occhi grandi come il Sole- arrossii alle sue ultime parole. Lo pensava davvero?
Luke si guardò in giro, buttò il cappellino sopra a una mensola e mi prese il viso tra le mani. 
-Sei molto carina- sussurrò sulla mia fronte. 
Mi diede un bacio esattamente dove poco prima aveva sussurrato quelle parole. Fu qualcosa di indescrivibile.
-Emma, vieni qui a darmi una mano- urlò mia madre dalla cucina.
-Scusami, torno subito- mi allontanai da lui, ancora con il viso arrossato, e corsi da mia madre.
 
-Cosa c'è?- chiesi, appena arrivata da lei.
-Non ci arrivo- indicò lo zucchero a velo sul ripiano più alto.
Mi misi al suo fianco, in punta di piedi, e provai a raggiungere quel pacco di zucchero.
-Non credo di farcela- ammisi, combattuta. 
 
Quando ormai mi ero totalmente arresa, un braccio lungo e magro sfiorò il mio, provocandomi la pelle d'oca.
Luke, o meglio, la giraffa, aveva preso senza problemi il pacco di zucchero a velo allungando solamente un braccio. 
-Vedi Emma, anche tu dovresti essere alta come lui. Grazie Luke- afferrò il pacco di zucchero dalle mani del ragazzo e ne rovesciò una grande quantità sulla torta davanti a lei.
-Mamma, ti prego, evita- mi misi una mano davanti agli occhi e feci finta di piangere.
-Ma voi siete ancora giovani- ironizzò, sporcandomi con un po' di zucchero.
 
Papà scese le scale leggendo il giornale, alzò lo sguardo e squadrò Luke dalla testa ai piedi.
 
-E questo?- chiese, alzando gli occhi al cielo.
-Papà...- incrociai le braccia al petto e roteai gli occhi.
Lui guardò ancora Luke, abbassò lo sguardo e ritornò a leggere il giornale.
-Fai un po' quello che ti pare- sbuffò e ridacchiò fra sé e sé. 
Lucas superò mio padre a passo svelto e si buttò letteralmente sul divano.
Di sicuro Luke avrà preso la mia famiglia come un manicomio, e potrebbe aver ragione dato che lo pensavo anche io.
 
-Beh… Mamma, papà, noi andiamo- dissi.
-Ma come? Di già?- domandò sconcertata mia madre.
-Sì, ciao mamma- presi il cellulare, le chiavi di casa e uscii.
Luke, ovviamente, mi seguì, e quando finalmente fummo fuori casa, lui sospirò di sollievo.
-Grazie- rise un po', ancora con le gote rossastre.
-Sei troppo prevedibile- mi strinsi nelle spalle e camminai verso il marciapiede.
-Perché lo dici?- chiese, apparentemente divertito.
-Dovresti vedere la tua faccia- risposi.
Lui rise e corse verso la fermata dell'autobus dall'altra parte della strada.
-Vieni?-.
-Arrivo- mi affrettai a rispondere.
 
[…]
 
Arrivammo al porto, vicino a una delle spiagge più belle che avessi mai visto.
La sabbia era chiara, piena di conchiglie, e il mare era calmo, molto calmo.
Luke era appena sceso dal l'autobus, e non appena ne ebbi l'occasione, lo abbracciai. 
-Grazie- lo colsi alla sprovvista, e prima che poté ricambiare, mi allontanai da lui evidentemente imbarazzata.
Scavalcò la staccionata di legno e atterrò morbidamente sulla candida sabbia, facendola svolazzare un po'.
Lo vidi correre sulla sabbia, finché non arrivò in riva al mare.
Mi fece cenno di raggiungerlo, così lo feci.
 
-Che ne dici di un bagno?- chiese.
-Non ho neanche portato il costume…- mi arricciai una ciocca di capelli attorno alle dita e abbassai il volto.
-Non ha importanza-.
Si tolse prima la maglietta, poi le scarpe e si tuffò in acqua.
-Tu sei completamente fuori di testa!- esclamai, mettendomi una mano sulla fronte.
-Vieni, l'acqua è fantastica- uscì dal mare, mostrando i suoi pantaloni diventati improvvisamente troppo stretti.
Arrossii pensando a come sarebbe stato meglio anche solo senza quelli.
Attraversai la spiaggia fino ad arrivare a riva, mi tolsi le scarpe e bagnai i piedi con un po' d'acqua.
-Allora, com'è?- chiese, slacciandosi i pantaloni.
 
“Oh no, ti prego.”
 
-Devo farlo per forza?- chiesi, a occhi chiusi, indicandogli i pantaloni.
-Perché no? Siamo tra amici- quando riaprii gli occhi, si era già tuffato in mare, beato.
 
“Oh, fanculo.”
 
Mi tolsi i pantaloni e le scarpe e corsi finché l'acqua non mi arrivò alle ginocchia.
Luke a un certo punto cominciò a schizzarmi dell'acqua addosso, facendomi rabbrividire.
-Sappi che sei morto- lo minacciai, tuffandomi sott'acqua completamente e afferrandogli le gambe.
Lui si dimenò, inutilmente, e io lo spinsi sotto, con me.
Aprii gli occhi, ritrovandomelo a pochi centimetri dalla mia faccia, e gli sputai davanti tutta l'aria che avevo in bocca.
 
Quando riemersi risi, e lui tossì, forte.
 
-Te lo meritavi- sentenziai, facendo finta di togliermi una polvere inesistente dalle spalle.
-Fai davvero schifo- si portò i capelli all'indietro e alzò gli occhi al cielo.
Per un attimo pensai davvero che avesse ribrezzo per me. Aveva un'espressione seria e autoritaria; però poi cambiò, facendo spuntare un sorriso e due carinissime fossette al lato di esso.
-Scherzavo- mi fece l'occhiolino e si sedette nell'acqua.
Sospirai, forse dal sollievo, o forse da quella vista a dir poco celestiale, e lo raggiunsi.
 
[…]
 
-Siete pronti a spaccare?- chiese Calum, saltellando per la stanza.
-Con quella faccia da cane bastonato che ti ritrovi?- Michael lo prese in giro.
-Sta' zitto, sogliola arcobaleno-.
-Sogliola a chi? Li hai visti i miei bicipiti?-.
-I miei sono sicuramente più grandi dei tuoi!-.
Michael si slacciò i pantaloni e li tirò giù di qualche centimetro.
-Però il mio pene è più grande del tuo-.
-Fottiti- rispose Cal.
 
Mi misi a ridere e andai vicino alle casse per prendere le mie bacchette. Mancavano pochi minuti all'inizio della nostra performance e volevo dare il meglio.
 
Quando non trovai le mie bacchette cominciai a dare i numeri.
-Stronzi, dove avete messo le mie bacchette?- dissi scherzosamente, tentando di rimanere calma.
-No, però secondo me il tizio del bar ne sa qualcosa. Prima era qui a fare le pulizie mentre tu eri in bagno a farti Robert- rispose Michael accennando un tono ironico.
-Io non mi sono fatto nessuno! Ero al bar a mangiarmi una pizza!- controbatté Luke.
-Chiudi quella fogna e aiutami a cercare le mie bacchette- diedi una spallata al tinto e lo scansai.
-Vai dal riccio!- esclamò Calum.
Sbuffai e uscii dallo stanzino dietro al palco.
Il Lemon & Melon non era proprio il luogo adatto a una come me, però ci guadagnavo.
 
Notai una ragazzina bionda e occhi azzurri con i tratti da bambolina aggirarsi per il bar, pensai che fosse una delle ragazze del bancone, così mi avvicinai.
 
-Scusa- alzai un braccio e lei mi notò.
Sulle sue guance si formarono delle sfumature rossastre, così addolcii il mio tono.
-Sto cercando… Ashton. Sai dov'è? Lo conosci?- chiesi, intimidita dalla situazione.
-Sì. Ehm. Credo che sia… nello sgabuzzino. Credo- disse impacciatamente.
-Grazie, avrò modo di ringraziarti al meglio- le sorrisi e mi allontanai.
Non ne ero sicura, ma mi sembrò di sentire uscire dalle sue labbra il nome di Luke. 
 
Quando arrivai davanti alla porta con la scritta SGABUZZINO bussai più volte, urlando ad Ashton di aprirmi.
La porta si aprì con un leggero cigolio ed entrai, spazientita.
 
-Ashton, muoviti a ridarmi le bacchette o non so davvero dove te le infilo. Devo suonare fra pochi minuti e se non mi presento Michael e il suo pene ti sfonderanno il culo molto peggio di quanto possano fare due pezzi di legno- cominciai a straparlare, tastando con i polpastrelli il muro dietro di me alla ricerca di un possibile interruttore della luce.
-Tranquilla Em- la luce si accese, mostrandomi Ashton davanti a me, con le bacchette strette in una mano sopra alla mia testa.
-Brutto…- saltellai un po', finché non riuscii a prendere il mio obiettivo.
-Smettila di ridere, io non ti ho fatto assolutamente nulla e non ti conosco. Ciao- uscii dallo stanzino con le bacchette in mano e corsi verso il palco, pronta a "spaccare".




Hey, ciao (:
Ho voluto mettere questo capitolo in onore del mio compleanno, anche se in realtà è domani; però va beh.
Mi scuso se ci ho messo molto, ma sempre lo stesso motivo: la scuola. E vi assicuro che il latino non è così semplice come sembra.
Spero comunque che vi piaccia haha
A presto,
-Follow The Sun xx

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Capitolo 10
*** Hi Ashton. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 10.
 
Aprii gli occhi e mi guardai intorno.
 
“Ma dove sono?”
 
Cercai di notare qualcosa di familiare in ciò che mi si presentava davanti, ma non ci riuscii.
L'aria era diversa, tutto era diverso; era chiaro che non fosse casa mia.
-Ciao- girai all'istante la testa a sinistra, notando con mio stupore un ragazzo accucciato ai piedi del letto.
-Sono Ashton- accese la luce e finalmente lo vidi.
-Ciao Ashton- mi misi seduta e mi massaggiai le tempie.
-Mal di testa?- chiese, porgendomi un bicchiere e un'aspirina.
-Sembra uno di quei film americani- afferrai il bicchiere e tirai fuori la lingua, aspettando un po' della sua collaborazione.
Inghiottii l'aspirina accompagnata dall'acqua rigorosamente fredda e aspettai qualche minuto prima di stendermi di nuovo.
-Ti lascio sola?- chiese, alzandosi.
-Raccontami come sono finita qui- dissi chiudendo gli occhi.
-Va bene.-
Si stese affianco a me sul letto e cominciò a raccontare.
 
-Quando hai finito di suonare ti sei precipitata a bere un paio di bicchieri per riprenderti, ma devo dire che non lo reggi affatto, l'alcool- si mise a ridere e gli tirai una ginocchiata.
-Comunque poi ho chiamato Lucas, che mi ha detto di portarti a casa tua, ma io non so dove sia, o almeno… non me lo ricordo.- sospirò a fondo -Quindi ti ho portata qui.-
-Bene- mormorai.
-Ma non abbiamo fatto… Lo sai- chiesi subito dopo.
-No, non lo farei mai!- osservai il suo petto andare su e giù in una forte risata.
 
Ashton era probabilmente una delle persone più soggette a ridere che abbia mai conosciuto.
 
-Prendi quello che ti serve, se vuoi- indicò l'armadio di legno chiaro al lato del letto e scese dal materasso, dirigendosi in corridoio.
Quando se ne andò, ne approfittai per dare un'occhiata un po' in giro. 
Alcune fotografie in bianco e nero davano un'aria moderna e professionale alla stanza, anche se non ne vedevo il motivo. Una camera da letto non ha bisogno di essere professionale, deve solo essere… una camera da letto.
All'interno dell'armadio c'erano alcune maglie colorate e con diversi disegni, ma nessuna mi piacque davvero, e mi accontentai di tenere i vestiti della sera precedente.
 
Mentre chiudevo l'armadio notai una fotografia e una lettera per terra.
Osservai la foto, ritraeva lui e un'altra ragazza in costume sulla spiaggia.
Su uno dei bordi di essa erano scritti i loro nomi e una data.
 
«Hannah, Ash» 27 Febbraio 2013.
 
Lessi anche la lettera, e ciò che vidi scritto mi lasciò perplessa.
Il primo foglio, consumato e stropicciato, era una canzone; una bellissima canzone. Il secondo, invece, era bianco e immacolato, con alcune scritte precise sul fondo. 
 
«Ti prego, torna.» «Ti ho amato troppo.»
 
Guardai in direzione del corridoio un paio di volte, poi, il più velocemente possibile, mi infilai la canzone in tasca e rimisi tutto a posto come se non avessi fatto assolutamente niente.
 
Scesi le scale e raggiunsi Ashton in quello che doveva essere il suo salotto.
-Casa tua?- chiesi, esaminando la cornice argentata di una foto.
-No, ma mia madre è dai parenti- appoggiò una mano sullo schienale del divano e osservò ogni mio movimento.
-È grande, casa tua- aggiunsi.
Egli in risposta si strinse nelle spalle.
Interessante.
 
-Carina la ragazza nella foto che c'è nella camera da letto- lo vidi farsi più serio.
-Già, molto bella- si lasciò scivolare a terra, tenendo la schiena dritta contro il divano di pelle nera.
Lo raggiunsi, sedendomici accanto.
-Vuoi parlarmene?- cercai di sorridere, nonostante questo ne uscì più come una smorfia.
-Va bene- fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, ricordando.
-Era l'anno scorso, io e lei ci eravamo appena visti dal vivo dopo interminabili e insopportabili mesi. Per me erano mesi ghiacciati, mesi passati al freddo. Sentivo solo freddo quando non mi chiamava, quando non si faceva sentire per più di un giorno. 
Quando la vidi per la prima volta pensai che fosse uno scherzo. "Ma la vedi?", mi sono chiesto. Era davvero bellissima. Mi ero innamorato, innamorato sul serio- quando mi girai per esaminare il suo volto, lo trovai in lacrime.
Lacrime silenziose.
Lo abbracciai istintivamente, Lucas diceva che faceva sentire meglio le persone nei momenti brutti.
-Mi dispiace, Ashton, mi dispiace tanto- sussurrai sulla sua spalla.
-Io… io ci ho provato. Lettere, messaggi, tutto. All'inizio ci stava, sembrava starci. Poi, però, non si è più fatta sentire- strinse le mani a pugno e si morse il labbro.
-È stato duro affrontare tutto da solo- aggiunse. 
Allungò le braccia sulle ginocchia e solo allora notai quelle tanto evidenti cicatrici bianche e dritte sui suoi polsi. Rabbrividii. 
Scattai i piedi e porsi le mani ad Ashton, come per invitarlo ad alzarsi.
-Non bisogna abbattersi, se ti fa piacere, anche io sono solo un'illusa. Una povera illusa, e per di più stronza. Andiamo, andiamo da qualche parte. Ti sembrerò pazza, ma non è piangendosi addosso che si risolvono i problemi-.
E in quel momento Ashton sorrise. 
 
 
[…]
 
 
-Tu guidi?-chiesi, evidentemente divertita.
-Ho vent'anni, non dodici- mi fece l'occhiolino e mise in moto.
-Non te la metti la cintura?- osservai.
-Sei noiosa. E no, sono troppo trasgressivo- scherzò.
 
“Io non sono noiosa.”
 
-Ti va di andare da Nando's?- domandò all'improvviso.
-Ma si mangia praticamente solo pollo! Pollo e paprika, pollo piccante, pollo extra piccante. Pollo, pollo e ancora pollo- mi misi le mani nei capelli, scherzando. Non che il pollo non mi piacesse, ma non mi andava proprio di mangiarne.
-Come vuoi. McDonald's? Ti va?- chiese, indicando un'insegna gialla ad almeno cento metri da noi.
-Okay-.
 
Parcheggiò all'ombra, accanto a una macchina che stava per andarsene e scese dalla sua auto.
Entrammo all'interno dell'edificio e lui si catapultò alla prima cassa libera.
-Tu cosa prendi?- chiese.
-Un Happy Meal- sorrisi.
-Ti prego, sii seria- si lamentò, facendo segno alla cassiera di aspettare un attimo.
-Non sono mai stata così seria. Voglio un Happy Meal con toast, Coca Cola e la mela. Hai capito? Voglio la mela!- non riuscii al trattenermi dal ridere pretendendo quella roba.
-Ho capito, sei seria- alzò gli occhi al cielo e sospirò, per poi girarsi verso la commessa e ordinare.
 
Io andai subito a sedermi, poi Ashton mi raggiunse pochi minuti dopo.
 
-Mi sento in imbarazzo con questo coso sul vassoio- mi lanciò sul tavolo il mio Happy Meal e subito mi affrettai a cercare la sorpresa. 
-Oh, un portachiavi morbidoso, che carino. È un panda. Guarda Ashton, è un panda!- glielo piazzai davanti alla faccia e lo sventolai di qua e di là.
-E guarda, c'è pure il suo libretto con tutte le informazioni- scrutai per bene il biglietto, leggendo curiosità sui panda che non sapevo.
 
“Interessante.”
 
-Mi stai facendo fare un figura di merda- sussurrò, coprendo la bocca con una mano.
-Oh, davvero non ne sei abituato?- lo presi in giro.
-Finiscila, ti stai comportando come una bambina- addentò il suo McChicken e guardò altrove per far finta di non conoscermi.
-Stai ridendo- lo punzecchiai.
-Non è vero!- ribatté.
-Perché non stai zitto e mangi il tuo panino? Si vede lontano un metro che sei divertito da questa situazione. Devi ammetterlo- tirai fuori dalla busta il mio toast e lo addentai un paio di volte, prima di sentire Ashton controbattere.
-Va bene, nonostante tu sia tremendamente imbarazzante, sei divertente. Ma solo perché assomigli a una bambina- si portò una patatina alle labbra e sorride soddisfatto.
-Sarò anche una bambina, però questo toast è la fine del mondo- sorrisi, finendolo.
 
Quando finimmo di mangiare agganciai il portachiavi alla mia borsa e uscimmo dal McDonald's. 
 
-C'è qualche posto dove vorresti andare?- chiese, entrando in macchina.
-Sì, un posto c'è…- rimasi immobile sul marciapiede per un po', poi entrai in macchina.
-A casa, portami a casa- sospirai.
-Ma come? Di già? Abbiamo solo mangiato un panino insieme e vuoi gia tornartene a casa?- si lamentò.
-Ashton, perdonami ma sono davvero troppo distrutta da ieri sera, mi scoppia la testa e dovrei essere a casa in questo momento. Mio padre mi ucciderà e mia madre non mi farà uscire per un'eternità. Non voglio aggiungere altro, portami a casa- in quel momento passò accanto all'auto Luke con il suo cane.
Mi abbassai sempre di più nel sedile, sperando che non mi vedesse.
-Emma? Emma che stai facendo?- Ashton assunse un'espressione divertita e preoccupata in volto, mentre Luke si fermò a guardare verso di noi.
-Emma? Emma sei tu?- Luke corse verso la macchina e si appoggiò con il palmo della mano sul finestrino.
-Ciao Luke. Che ci fai qui?- mi misi composta il più in fretta possibile. Volevo sembrare normale.
-Passavo… sai, con il cane- indicò l'animale ai suoi piedi e strinse le labbra in una linea. 
Passai per un po' di volte lo sguardo da Ashton a Luke, e da Luke ad Ashton.
-Hey Ash…- mi morsi il labbro e lanciai un'occhiata, di nuovo, a Luke.
-Vai, tranquilla- Ashton annuì sorridendo e mi fece l'occhiolino.
Lo abbracciai, ringraziandolo più volte per la bella giornata passata insieme.
-Poi mi racconti, okay?- mi sussurrò all'orecchio, per poi allungarsi ad aprirmi la portiera.
-Grazie Ash, a presto- scesi dall'auto e mi affiancai a Luke che sembrava sempre più alto.
 
-Ti accompagno a casa?- chiese Luke, osservando Ashton andarsene.
Mi dispiaceva un po' averlo abbandonato in quel modo, però volevo davvero parlare un po' con un amico più amico.
 
-Sì, stavo giusto per farmici accompagnare… Ma sei arrivato tu- mi sentii arrossire un po'. Avevo lasciato da solo Ashton per andare con Luke. Chissà cosa avranno pensato tutti e due.
-Allora farò questo sforzo- sbuffò ironicamente e strattonò il suo cane per farlo allontanare dalla strada.
Risi alla sua piccola presa in giro e continuai a camminare.
 
Il tragitto si presentò più noioso di quanto immaginassi. Luke non parlò molto, sembrava pensieroso. 
Quando arrivammo davanti a casa mia ci salutammo con un bacio sulla guancia, e da lì mi sentii davvero molto più sollevata.
 
-Sono qui- dissi appena arrivata a casa.
Mia madre si stava facendo le unghie sull'isola della cucina, mentre mio padre e Lucas se ne stavano seduti tranquilli sul divano a guardare la televisione.
Mia madre si alzò dalla sedia provocando un rumore fastidiosissimo.
-Dove sei stata? Perché non mi hai avvisata?- chiese, arrabbiata.
Non feci tempo a ribattere che mi ritrovai la sua mano stampata sulla mia guancia.
Rimasi letteralmente a bocca aperta.
 
“Mi ha dato uno schiaffo.”
 
Le lacrime presero posto nei miei occhi.
-Ha fatto bene- mormorò mio padre a Lucas.
-Forza, andiamo- quest'ultimo mi accolse tra le sue braccia e mi portò in camera mia.
 
-Perché?- singhiozzai con la testa affondata sul cuscino.
-Ho provato a spiegarle che eri al sicuro con Ashton, ma non ha voluto saperne. Scusa- coprì il mio corpo con un lenzuolo e mi lasciò un bacio sulla fronte.
-Se hai bisogno mandami un messaggio, non ti consiglio di uscire dalla tua camera prima di domani- chiuse la porta e mi lasciò da sola.
 
Dopo qualche minuto mi stancai di starmene a piangermi addosso per una stupidata da adolescente. Mia madre aveva ragione, ma speravo che sarebbe stata più comprensiva nei miei confronti.
Presi il cellulare per scrivere a Lucas di portarmi un bicchiere d'acqua, ma notai qualcosa di strano: quello non era il mio cellulare.
Aprii più volte la rubrica, la galleria e la cartella della musica. Quello non era decisamente il mio cellulare, ma quello di Ashton.
 
“Oh no.”
 
Andai a vedere se mi aveva salvata nella rubrica e se potevo mandargli un messaggio o qualsiasi altra cosa.
 
Per mia fortuna mi scrisse lui per primo. Mi aveva salvata semplicemente come «Emma». Ne fui sollevata, pensavo in peggio.
 
Gli scrissi un messaggio.
Ti vorrei ricordare che ho il tuo cellulare e che non ci metto niente ad andare a vedere la cronologia dei siti che hai visitato per prenderti per il culo davanti a mezza Sidney.
 
Lui rispose poco dopo.
Ti prego non farlo, ti supplico. Giuro che non scrivo a nessuno dei tuoi amichetti del gruppo della band, però ti avviso che Michael continua a mandarti dei messaggi senza senso. Dovrei rispondergli?
 
Risposi con la mascella contratta dalla rabbia.
Provaci e la tua cronologia e le foto del tuo pene andranno a finire sul tuo profilo Facebook.
 
Non sapevo se effettivamente teneva delle foto del suo 'amico' da qualche parte sul cellulare, ma tentai comunque.
 
Rispose dopo alcuni minuti.
Sei già andata a ficcare il naso nella mia galleria?! Oh mio Dio. Spero di non averti delusa lol. Comunque per la mia dignità non risponderò a nessuno, te la vedrai tu da sola quando ti chiederanno tutti perché visualizzi ma non rispondi ;).
 
Scossi la testa e mi girai a pancia in su.
 
Quella notte ascoltai con le cuffie tutte le canzoni di Ashton e poi verso le prime ore di luce mi addormentai beata fra le note di “I Miss You”.
 
 
[…]
 
 
Alle sette suonò una delle tante sveglie di Ashton, che forse svegliò l'intera famiglia. Mi sentivo un po' in colpa nel sentire Lucas lamentarsi nella stanza accanto, ma non potevo farci assolutamente nulla.
 
Il suono dell'arrivo di un messaggio rimbombò nella stanza, facendomi sobbalzare.
 
Lo lessi subito, era da Ashton.
Sbuffai mentre aprivo la conversazione.
Odio io tuo lavoro e odio ancora di più il fatto che tu non abbia sveglie prima delle undici del mattino. Sei fortunata, goditi i tuoi ultimi anni da adolescente. Ah, e buongiorno :-)
 
Risposi con lentezza, controllando più volte il messaggio per evitare errori.
La tua sveglia ha svegliato tutti quanti, vergognati. Se ti pesa essere tanti adulto, ci vediamo alle otto al Lemon. Ah, e quella faccina con il naso fa molto inizio duemila, da evitare come la peste ;).
 
Indossai una gonna grigia a vita alta e una camicia bianca, e senza farmi vedere uscii di casa.
Il panda portachiavi del giorno prima sbatteva di qua e di là contro la borsa beige mentre camminavo, e non potei fare a meno di sorridere.
 
Quando arrivai al Lemon andai a bussare alla porta sul retro, sperando che Ashton fosse già arrivato.
 
-Ciao Em, ciao amoruccio- mi rivolse un sorriso veloce e mi strappò il suo cellulare di mano.
-Mi sei mancato così tanto- disse, sempre rivolto al suo cellulare. 
-Vorrei indietro anche il mio- mi lamentai.
-Ah, giusto. Ecco, tieni- mi porse il cellulare e lo infilai subito in borsa.
-Ora vai, il lavoro ti chiama. Sono quasi le otto e cinque- alzai lo sguardo sul grosso orologio rotondo che illuminava la via, posto sopra l'entrata di un altro locale meno famoso del Lemon&Melon.
-Ci possiamo vedere oggi?- chiese.
-Non so. Mia madre ieri l'ha presa molto male per il mio non rientro a casa. Non credo che se mi vedesse tornare a casa molto tardi anche oggi ne sarà felice. Scusami- mi sistemai una ciocca di capelli dietro all'orecchio e abbassai lo sguardo.
-Nessun problema, va bene così. Ora vado, ci si vede- mi salutò con un cenno della mano e sparì dietro alla porta metallica del locale.
 
Appena mi voltai vidi un cappellino grigio spuntare tra la folla, circondato da un ciuffo rigorosamente marrone scurissimo. 
 
-Calum!- urlai. Lui non si girò, forse aveva le cuffie.
-Calum Thomas Hood!- urlai ancora più forte.
Finalmente si girò verso di me, ma non mi notò. 
-Sono qui!- urlai ancora a squarciagola e sventolai le braccia al vento. 
Lo vidi mimare qualcosa, prima che si mise a correre verso di me.
-Sei sordo o è genetico?- chiesi, ruotando gli occhi.
Scusa, è che sono stato a dormire da Luke e non ho chiuso occhio- si giustificò, mentre si stropicciava gli occhi.
-Perché?- domandai.
Lui mi guardò perplesso.
-Dovresti saperlo- incrociò le braccia al petto e fece il suo solito sorrisetto ironico.
-No, non lo so- controbattei.
-Allora te lo dico io. Ieri sera Luke ha provato un sacco di volte a contattarti e tu non gli hai mai risposto, gli hai solo scritto un messaggio in cui dicevi di essere un certo Ashton e che vi eravate scambiati per sbaglio i telefoni. Ma mi sembra banale come scusa, no?- quando finì di parlare sembrò molto imbarazzato.
Fece una pausa prima di accendersi una sigaretta.
Soffiò fuori il fumo e si girò verso di me.
-Se non t'interessa né come amico, né come qualsiasi altra cosa che non sto qui a dire perché non so effettivamente cosa siete, diglielo subito, non farlo illudere inutilmente- e se ne andò.
 
Decisi che quello era il momento adatto per fare una bella corsetta verso casa di Luke, forse avrebbe fatto anche bene alla mia forma.
 
 

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Capitolo 11
*** Kiss from hell. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 11.
 
La corsa verso casa di Luke non fu più semplice di quanto pensassi.
La gonna, infatti, non facilitava per niente l'ampio movimento delle gambe, e per di più passai almeno metà del tempo a tirare giù i bordi del tessuto grigio.
 
La casa di Luke era molto grande, con un ampio giardino e con grandi finestre sulla facciata principale. Non mi sorpresi al fatto che il padre di Luke fosse un avvocato e che i suoi due fratelli lavorassero in un'azienda con lui.
 
Lessi sul campanello al di fuori della ringhiera il cognome “Hemmings”, inciso in una targhetta di bronzo.
 
Mi fermai un'ultima volta per ammirare la bellissima zona in cui mi ero appena inoltrata e, successivamente, suonai il campanello.
Il battito del mio cuore rimbombava nella mia testa mentre me lo sentivo quasi in gola. Non sapevo cosa pensasse di me la madre di Luke e mi spaventava saperlo.
 
-Chi è?- un ragazzo vicino ai vent’anni mi si presentò davanti senza che me ne accorgessi.
-Mi chiamo Emma. C'è Luke? Posso parlargli?-  domandai a quello che doveva essere uno dei fratelli di Luke.
-Certo. Io sto uscendo, però se vuoi entra pure- aprì il cancello che divideva me dall'enorme giardino ed entrai, ringraziandolo.
 
Quando arrivai davanti alla porta di casa, notai che stavo tremando e sorrisi al pensiero di non essermi mai trovata in situazioni del genere. Così, con il cuore in gola e le gambe tremolanti, entrai in casa e mi chiusi la porta alle spalle.
L'atmosfera era tranquilla e rilassante, il pavimento era fatto interamente da parquet, anche se sulle scale era steso un tappeto di moquette beige. 
 
-Chi ho l'onore di conoscere?- una donna dall'aria confusa ma sicura di sé si avvicinò a me e mi porse la mano destra.
-Emma- gliela strinsi e cercai di rimanere il più tranquilla possibile. 
-Sono Liz, la mamma di Robert, Ben e Jack- sorrise. -Se sei qui per incontrare uno di loro, al momento solo Robert è in casa- mi indicò le scale che portavano al seminterrato e si allontanò un attimo, scusandosi.
 
Poco dopo, quando mi raggiunse, mi spiegò che suo figlio, Robert, non era riuscito a dormire per tutta la notte.
 
-Mi scusi, posso farle una domanda?- azzardai.
-Dipende ma… Certo- aggrottò le sopracciglia e con una mano andò a grattarsi il collo. 
-Per Robert intende… Luke, vero?- mi sentii molto imbarazzata nel fare quella domanda. Sapevo che Luke avesse un secondo nome, ma non sapevo quale fosse, e non sapevo neanche che la sua famiglia lo chiamasse con quello. 
-Se preferisci chiamarlo così… beh, sì. Intendo Luke- fece una faccia un po' sorpresa, e nel frattempo mi fece segno con le mani di scendere nella stanza di Luke.
 
Quando arrivai davanti alla porta trovai Luke, tranquillo e pacato, seduto sul letto con le cuffie nelle orecchie; mi dava le spalle, così potevo intravedere cosa stesse facendo sul display del suo cellulare. Purtroppo, però, non feci in tempo a vedere nulla di particolare, se non la schermata di una conversazione tra i messaggi, che Luke si era già girato e mi guardava con fare sorpreso.
 
-Che ci fai qui?- si tolse le cuffie dalle orecchie, sprigionando Jesus of Suburbia nell'aria pesante della stanza e si alzò immediatamente dal letto.
Osservai come d'un tratto fosse diventato tutto rosso e come le sue gote fossero rosee e adorabili in quella situazione.
-Non voglio sembrare cattivo ma… Sì, insomma. Sei nella mia stanza, io non ti ho invitato. Perché sei qui?- in un attimo si liberò anche del cellulare, lanciandolo sul letto, ma senza distogliere gli occhi da me.
-Calum mi ha detto che ti sei arrabbiato per la storia dello scambio di cellulari. Bene, prima che tu possa dire qualcosa, è la verità. Credimi- spostai lo sguardo sulle mie caviglie e mi morsi il labbro; ero a disagio.
-Non è che non ti credo... Piuttosto faccio fatica a crederti- si lamentò.
-Credo sia più o meno la stessa cosa- precisai.
Luke scosse la testa contrariato, continuando a fissarmi.
-Okay, mi dispiace- sputai.
-Quindi stai ammettendo che la storia dei cellulari è una falsa? Oh, lo sapevo- fece una risatina sarcastica, poi andò a sedersi il più lontano possibile da me.
-No! Oddio no. Luke, è la verità, credimi- corsi verso di lui, mettendo su il broncio.
Non volevo davvero che Luke si arrabbiasse con me; lo consideravo come uno dei miei più grandi amici, anche se non sapevo se per lui era lo stesso.
Desideravo ardentemente sapere se provasse, per me, solo amicizia o qualcosa di più; ma non avrei mai potuto fargli una domanda simile.
-Ems, davvero, io voglio crederti. Però non ci sei stata quando avevo bisogno di te- arrossì di nuovo, nascondendo tra i denti il suo piercing al labbro.
-Fa come ti pare. Però io resterò qui, ad aspettare, finché non avrai cose più giuste da dire- mi sedetti sul suo letto, lasciandolo perplesso.
 
Mentre aspettavo una motivazione da parte di Luke che giustificasse la sua ira e la sua diffidenza, tirai fuori dalla borsa -dopo tanto tempo- il mio amato cellulare e controllai le mie notifiche e i vari messaggi.
Ne approfittai per scrivere a Michael e per parlare un po' con lui, magari avrebbe saputo darmi una risposta dato il comportamento del biondo che stava in stanza con me.
 
Hey Mikey, come va?
Scrissi.
 
La sua risposta non tardò ad arrivare.
Mi ritengo offeso.
 
Aggrottai le sopracciglia e pensai a cosa gli avessi potuto aver fatto in quei giorni che avrebbe potuto offenderlo, ma non mi venne in mente niente.
 
Ho fatto qualcosa?
Domandai.
 
Ieri ti ho scritto se preferivi il nero o il bianco, ma non mi hai risposto. Dovresti vedere ora i miei capelli… ;(
 
Ne rimasi sollevata, sapendo che Michael non fosse davvero arrabbiato con me.
 
Ti tingi i capelli ogni mese, non sarà così tragico
 
Mentre aspettavo una sua risposta, Luke si alzò dalla sedia posta in fondo alla stanza e si sedette di fianco a me. Si prese la testa fra le mani e iniziò a balbettare qualcosa, a mio parere, di incomprensibile.
 
-A parole tue, con calma- ridacchiai.
-Non è così semplice- cominciò a torturarsi le mani, finché non gli sussurrai un “no” deciso per farlo smettere.
 
Notai che Michael mi aveva risposto, così controllai. 
 
Hai ragione, però la prossima volta rispondimi ;-)
 
Strabuzzai gli occhi notando che quella faccina con il naso mi stava perseguitando praticamente ovunque.
 
Digitai subito senza esitazione.
Basta con quella faccina con il naso. È una delle cose più oscene che abbia mai visto!
 
Non appena alzai il viso dallo schermo del mio amato dispositivo elettronico, mi ritrovai davanti il volto di Luke, e le sue mani che si avvicinavano sempre di più ai lati del mio collo.
Non appena mi resi conto di ciò che stava per accadere cercai di sottrarmi a tutto ciò, ma invano.
 
Luke stava per baciarmi.
 
Le sue labbra si posarono sulle mie come un'ape si posa sopra un fiore; l'azione è voluta solo dall'ape, solo perché il fiore non può spostarsi ed è, perciò, immune e immobile.
Bruciavano, le sue labbra, su quelle tiepide che appartenevano a me, riscaldandole in un piacevole calore. Ma sentivo che c'era qualcosa di strano.
 
Subito, con tutte e due le mani, tolsi quelle di Luke dal mio collo e senza pensarci due volte mi alzai in piedi, abbandonando il contatto fisico, mi asciugai le labbra e sistemai la borsa sulla mia spalla sinistra.
 
-Penso che questa volta non sia io a doverti dare delle scuse- e uscii dalla sua stanza.
 
Cercai con gli occhi la madre di Luke, ma non la trovai, così salii le scale del seminterrato a casa passi pesanti per farmi sentire.
 
-Signora Hemmings?- chiamai, avvicinandomi all'uscita.
Liz spuntò dal salotto con una macchina fotografica appesa al collo e un rullino in mano.
-Posso esserti utile, tesoro?-.
-No, grazie. Volevo solo avvisare che me ne sto andando. Grazie mille per l'ospitalità- dissi il tutto con uno strano nodo alla gola, non volevo proprio pensare a ciò che era successo un paio di minuti prima.
-Non c'è di che. Sicura che vada tutto bene?- con una mano andò ad accarezzarmi una spalla, mentre mi dirigeva verso la porta. Annuii, sicura.
-Spero di rivederti, Emma- disse, prima di scomparire in salotto, di nuovo.
Accolsi la sua affermazione come una semplice forma di cortesia. Non credevo che le avrebbe fatto davvero tanto piacere ricevere ospiti come me. Insomma, ero una ragazza esuberante dalle gonne svolazzanti che avrebbero attirato ragazzi come moscerini sulla cacca di cavallo, non pensavo per niente che una madre volesse lo stesso per il proprio figlio. Ma non lo facevo di proposito, io amavo le gonne.
 
Poco dopo, mentre attraversavo l'isolato, mi arrivò un altro messaggio di Michael.
Emma, che ne diresti di venire a trovare un tuo caro amico che non ha voglia di uscire di casa?
 
Risposi con un ‘arrivo’ e cominciai a correre dalla parte opposta, sempre cercando di evitare con il mio campo visivo la casa di Luke. Ma più cercavo di non pensarci, più il pensiero mi torturava la mente.
 
Quando varcai la porta della casa di Michael, lo cercai ovunque, e quando lo vidi, lo abbracciai a fondo.
Volevo parlare con lui di tutto quello che mi era successo in quegli ultimi giorni, volevo raccontargli del bacio, di Ashton e del rapporto con mia madre.
 
-Che succede, piccola?- domandò quando appoggiai la testa sulla sua spalla.
-Mi sei mancato- sussurrai.
Egli mi portò con sé sul divano, in salotto, e rimase accoccolato a me finché non decisi di parlare.
 
-Luke mi ha baciata- confessai coprendomi gli occhi.
-Sei seria?- si stupì evidentemente, spalancando occhi e bocca. Annuii.
-No, non è possibile. È un gran casino. Come gli è venuto in mente di fare una cosa simile?!- si alzò dal divano e corse a prendere il suo cellulare. 
Lo vidi digitare un numero, dopodiché si mise una mano nei capelli blu e attese in silenzio.
Mi portai le gambe al petto e analizzai la situazione.
Non capivo la gravità della situazione, ma soprattutto non capivo perché Michael fosse così tanto preoccupato e nervoso. Sarei dovuta essere io quella preoccupata, non di certo lui.
 
-Luke? Sono Michael- lasciò la stanza per uscire in giardino, e l'unico suono che potei udire era quello della televisione a pochi metri da me.
 
[…]
 
-Va tutto bene?- chiesi quando Michael rientrò in casa.
Si strinse nelle spalle e si adagiò al mio fianco. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto, con uno strano cipiglio a incorniciargli il volto.
-Forse è meglio che vada. Non credi?- enunciai spostando le gambe dal mio petto.
-Mi dispiace, Ems. Se hai bisogno, ricorda che io ci sono sempre- mi prese le mani tra le sue e sorrise; mi riempì il cuore di speranza.
-Grazie Mike, ora vado- presi la mia borsa, gli diedi un bacio sulla guancia e uscii.
 
Decisi che fosse l'ora di ritornare a casa e smetterla di girovagare di qua e di là.
Non sapevo come avrebbe reagito mia madre quando sarei rientrata, però dovevo pur tornare, prima o poi.
 
Camminai per un po', finché non mi ritrovai a passare davanti al negozio di musica in cui comprai il regalo di Natale per Luke; sorrisi al ricordo.
Luke non aveva minimamente mai accennato al mio regalo, a volte mi chiedevo se l'avesse almeno scartato.
 
Le finestre di casa mia erano aperte, e le tende lunghe svolazzavano ovunque al suo interno. Immaginai che mia madre fosse ancora in casa, lei adorava fare le pulizie.
 
Percorsi le scale e passo svelto e silenzioso, speravo davvero con tutto il cuore che mia madre non mi sentisse arrivare. Se solo mi avesse sentita, si sarebbe messa davanti alla porta d'ingresso solo per rimproverarmi e per infliggermi un'altra inutile punizione.
 
Aprii la porta cautamente, facendo attenzione a non fare rumore.
Lucas apparve dalla cucina con una scopa in mano e uno straccio sulla spalla.
-Ti sei dato alla pulizia della casa? Mamma e papà sono in casa?- chiesi sottovoce.
-Sono tutti e due al lavoro. Riguardo alle pulizie, beh, ti sto parando il culo- rimasi scioccata dalla sua confessione.
-No Lucas, non devi- lasciai a terra la borsa e camminai verso di lui.
-Stai attenta a non scivolare- disse indicando il pavimento bagnato sotto ai miei piedi.
Scossi la testa, afferrai lo straccio e iniziai a strofinarlo sul tavolo della sala da pranzo.
-Quello l'ho già pulito- constatò.
Alzai gli occhi al cielo e passai al bancone della cucina.
-Anche quello- precisò, strappandomi lo straccio di mano e buttandolo in un secchio sporco al suo fianco.
-Tranquilla, ho già pulito tutto- mi accarezzò una ciocca di capelli sulla mia spalla e mi abbracciò.
-Perché lo fai?- chiesi.
-Cosa?- prese le distanze e svuotò l'acqua del secchio nel lavandino.
-Ti ho lasciato, quasi non ti parlo più, e tu nonostante tutto fai di tutto per rendermi la vita migliore. Non capisco- appoggiai i gomiti sul bancone della cucina e mi allungai per poter controllare ogni sua mossa.
-Non è rendendoti la vita un inferno che andrò avanti, non pensi? Non riesco a provare rancore nei tuoi confronti, Emma. Sei una ragazza fantastica e capisco le tue intenzioni. Ora hai una nuova vita e conosci persone nuove, tra poco inizierai una nuova scuola e avrai altro a cui pensare. Ci ho pensato molto, sai. Ci ho pensato giorno e notte quando me ne stavo in Canada per lavoro, e sono giunto alla conclusione che è meglio per tutti e due non avere troppe preoccupazioni. Voglio stare tranquillo e non voglio che le persone siano arrabbiate con me, tutto qui- il sorriso non sparì mai dal suo volto, e da quello capii che era sincero, ma la sua sincerità mi fece scendere una lacrima.
Forse per la prima volta mi resi conto di quanto Lucas avesse un cuore grande quanto il mondo, e di quanto fossi stata stupida a trattarlo come un rifiuto.
-Scusami Lucas, non ci avevo per niente pensato- ammisi.
-Lo so- ridacchiò, mi fece l'occhiolino e mise il secchio vuoto sul davanzale della finestra ad asciugare.
-Lo trovi davvero divertente?- mi rabbuiai e incrociai le braccia al petto.
-Che ne dici di andare a metterti comoda sul divano? C'è la pizza nel forno- indicò con il capo la cucina e, così, annuii sorpresa.
 
Corsi nella mia stanza per mettermi qualcosa di comodo come un paio di jeans a elastico e una maglia larga e successivamente ritornai in salotto, dove gia si sentiva un buonissimo profumo di pizza. 
Lucas era già seduto sul divano mentre teneva in mano un piatto ancora vuoto, in attesa del mio arrivo.
-Sembra buona- osservai il capolavoro davanti ai miei occhi e mi catapultai accanto a Lucas.
-Buon appetito- mi incitò afferrando un pezzo di pizza con le mani.
Sorrisi e lo imitai, facendolo sorridere.
 
Quando finimmo di mangiare, tutti e due sdraiati sullo stesso divano, Lucas cominciò a canticchiare e a farmi trecce ai capelli. Mi beai della magnifica sensazione che provavo ogni volta che qualcuno mi toccava i capelli e quasi mi addormentai.
-Quando inizi la scuola?- chiese, tirando via un elastico dal suo polso e mettendolo alla fine della treccia a spina di pesce.
-Tra tre settimane- sospirai.
-Me ne andrò lunedì prossimo, quindi non farò in tempo a vederti il primo giorno, però sappi che ti chiamerò- fece scorrere i polpastrelli sui capelli appena lavorati e sorrise soddisfatto.
-Aspetterò volentieri una tua chiamata- sorrisi a mia volta.
 
-Senti Emma- sembrò in imbarazzo.
-Dimmi Lucas- sussurrai con la faccia sul cuscino dello schienale.
-Potresti portare tu fuori la spazzatura? Sono a pezzi- ridacchiai alla sua richiesta e mi alzai mormorando un “sì, certo”.
 
Mi misi un paio di Converse blu e uscii di casa per fare andare a buttare la spazzatura nel cassonetto.
-Che puzza, questa roba- pensai, mentre camminavo per l'isolato.
Quando raggiunsi il cassonetto verde, aperto e pieno di immondizia, non vidi l'ora di buttarci dentro quel sacchetto puzzolente e di andarmene una volta per tutte.
-Ciao Emma- sobbalzai, sentendo qualcuno salutarmi.
Mi voltai prima a destra, poi a sinistra e di nuovo a destra, ma non vidi nessuno.
-Sono qui dietro- riconobbi la sua voce: Ashton.
Abbassai il coperchio del cassonetto e notai Ashton occupato a buttare via alcune bottiglie di vetro in un altro cassonetto altrettanto verde e strapieno.
-Che ci fai qui?- domandai, strofinando le mani tra loro.
-Sono in pausa, così ne ho approfittato per buttare la spazzatura del locale. Il camion dei rifiuti non passa più di lì- buttò le ultime bottiglie e mi raggiunse.
-Lucas è in casa? Vorrei salutarlo dato che parte fra pochi giorni- chiese, mentre attraversava la strada deserta come al solito.
Annuii e cominciai a camminare con lui verso casa mia che era un po' distante.
-Stasera suonate al Lemon?- domandò.
Annuii ancora, senza spostare lo sguardo dall'asfalto grigio della strada.
-Il gatto ti ha mangiato la lingua?-.
Annuii senza pensarci, ma quando mi accorsi della sua domanda, presi la mia testa fra le mani e risi. 
-No, doveva essere un no- mi corressi, ridendo. Ashton rise con me per un po'.
 
Arrivammo tranquillamente davanti a casa mia, attraversammo il giardino e salimmo le scale sempre senza proferire parola. Ashton aveva provato diverse volte a incominciare un discorso, ma non aveva mai funzionato.
 
-Che c'è che non va? Ho fatto qualcosa di sbagliato?- domandò prima che aprissi la porta d'ingresso per entrare.
Negai con un cenno del capo e feci per tirare verso il basso la maniglia, ma mi fermò un'altra volta.
-Posso fare qualcosa per farmi perdonare?- insistette. 
-Ashton, non hai fatto nulla. Basta- aprii definitivamente la porta ed entrai seguita da Ashton.
 
-Amico!- urlò Lucas, facendomi sobbalzare.
I due si abbracciarono e scambiarono un po' di chiacchiere insieme, mentre io mi godevo la scena dalla mia postazione sul divano. 
-Ah, quindi partirai lunedì-.
-Mi hanno dato una promozione, quindi per un po' devo far vedere che so fare il mio lavoro-.
-Nessun problema, amico-.
Sbuffai, mentre passavo da un canale all'altro alla televisione.
-Guardate!- esclamai, indicando lo schermo.
-No, niente, mi sono sbagliata- mi scusai.
Credevo di aver visto la mia futura scuola in televisione, ma mi ero solo confusa.
Mi alzai dal divano, non ne potevo davvero più di rimanere in quella posizione a far nulla per tutto il pomeriggio. Percorsi tutte le scale, finché non sentii Ashton pronunciare in mio nome, così mi fermai.
 
-Cos'ha Emma che non va?-.
-Non lo so, anche io l'ho vista strana oggi-.
-Secondo me c'entra con i suoi nuovi amici di band-.
-Credi?-.
-Secondo me è così-.
 
Corsi in camera mia per controllare l'ora.
 
14;47.
 
Sbuffai, di nuovo, e mi stesi sul letto.
 
La mia nuova vita a Sidney si era rivelata più movimentata di quanto mi sarei mai immaginata. Avevo conosciuto un sacco di gente nuova, avevo instaurato un nuovo tipo di rapporto con me e con gli altri, ma soprattutto avevo capito che cosa voleva dire amare.
 
Il mio cellulare squillò, mostrandomi il nome di Michael. Risposi all'istante.
 
-Mh, pronto?-.
-Emma, sono Michael-.
-Lo so- lo presi in giro.
-Stasera alle nove?- chiese.
-Certo-.
-Okay, allora a stasera. Ciao-.
-Ciao- riattaccai.
 
Qualcuno bussò alla porta della mia stanza, mi ricomposi e bloccai in cellulare.
-Avanti- dissi.
Ashton spalancò la porta, portando con sé un foglio bianco con alcune scritte al di sopra di esso.
-Ti va di venire con me a ritirare il biglietto aereo per Lucas?- .
 
[…]
 
-Pensi che dovrei dire a Luke come la penso?- chiesi ad Ashton quando raggiungemmo l'ufficio dell'aeroporto.
-Certo che sì, la friendzone non è una cosa tanto brutta in fondo- si strinse nelle spalle e si avvicinò alla ragazza della reception.
-Se non la vivi in prima persona- aggiunse poi, girandosi nella mia direzione.
Ridacchiai a causa del modo in cui lo disse, poi mi avvicinai alla grande vetrata per osservare gli aerei partire e tornare. Mi sarebbe tanto piaciuto salire sopra a uno di essi e partire per l'America, posto in cui non ero mai stata.
 
-Tutto a posto, questo è il biglietto- mi sventolò davanti agli occhi un biglietto aereo di sola andata e sorrise soddisfatto.
-Ora possiamo andare- dissi.
-Certo che sì- mi imitò, facendo strada davanti a me.
 
 

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Capitolo 12
*** Friends? ***


"She's a good girl." 
Capitolo 12.
 
Quando tornammo a casa, trascinai letteralmente Ashton su per le scale fino ad arrivare a casa mia. Mi stavo ricredendo un po' sul suo carattere, lo trovavo un ragazzo simpatico e divertente. Gli piaceva fare battute su qualsiasi cosa vedesse, e ciò poteva rendere una normale giornata, qualcosa di più.
 
-Pensi che mi licenzieranno per non essere andato al lavoro?- chiese sedendosi sul mio letto.
-No, hai anche avvisato Lydia della tua assenza- lo rassicurai.
Ashton fece spallucce e sospirò prima di notare un poster degli All Time Low sul soffitto.
-Non sapevo fossi il tipo da All Time Low- mi fece notare.
-Allora ti sbagliavi-.
 
Lasciai per qualche minuto la mia stanza per andare a lavarmi i denti e per fare pipì, poi quando tornai in camera mia notai Ashton curiosare fra la mia roba. All'inizio non dissi nulla, ma quando lo vidi prendere in mano il foglio con la canzone che “avevo preso in prestito” da lui, corsi verso la scrivania a gli strappai il foglio di carta dalle mani e me lo misi in tasca.
-Cosa c'è di così tanto speciale sul quel pezzo di carta?- ammiccò.
-Ehm… È una nuova canzone ma… deve rimanere un segreto- gli feci l'occhiolino e mi allontanai da lui con passi teatrali.
-Cosa indosserai stasera?- sorrisi al pensiero che ad Ashton non interessasse molto della canzone e che non gli abbia dato troppo peso, poi mi concentrai sulla sua domanda e aprii l'armadio.
-Non ne ho idea- sbuffai.
-Devi tener conto che là dentro morirai di caldo- puntualizzò.
-Grazie per avermelo ricordato- ironizzai alzando gli occhi al cielo.
 
Ed era vero, dentro al Lemon si moriva di caldo. Non passava serata che si sentisse almeno un po' di fresco.
 
-Tranquilla che se devi cambiarti me ne vado- disse alzando la testa dallo schermo del suo cellulare e sorridendo, imbarazzato.
-Tranquillo, cambio stanza comunque- Ashton si mise a ridere, contagiando un po' anche me.
Rimasi imbambolata per alcuni secondi davanti all'ammasso di vestiti all'interno dell'armadio, poi mi decisi a prendere un paio di shorts bianchi e una maglietta a maniche corte azzurra.
-Carini, anche se un po' semplici- Ashton si strinse nelle spalle e alzò le sopracciglia.
-Punto primo, da quando sei il mio consulente d'immagine? Punto secondo, non devo andare a una sfilata. Punto terzo, non ho nient'altro da mettermi, quindi mi piacerebbe non essere giudicata- dissi uscendo dalla mia stanza per andare in bagno.
Sentii Ashton lamentarsi, ma non ci feci troppo caso e mi cambiai.
 
Quando tornai nella mia camera, Ashton era sdraiato a pancia in giù sul mio letto e stava sfogliando le pagine di un libro.
-Ti piace leggere?- chiesi, piegando alcuni vestiti che erano caduti dall'armadio.
-No, ma sembra un libro interessante- rimasi un po' delusa dalla sua affermazione. Ashton sembrava a occhio e croce una persona che leggeva molto. Ma, appunto, sembrava. 
-È uno dei miei preferiti- sorrisi, ricordando come ci rimasi male quando finii il libro e venni a sapere che non ci sarebbe stato un sequel.
Egli non disse nulla, semplicemente chiuse il libro e lo rimise al suo posto, sotto al letto. 
-Hai preferenze per le canzoni di stasera? Potrei parlarne con Mike e gli altri- mi sdraiai accanto a lui e aspettai una risposta che non tardò troppo ad arrivare.
-Mi piacerebbe se faceste qualche cover… Che ne so, magari qualcosa degli All Time Low- indicò il poster sopra alle nostre teste e sorrise.
-È una bella idea, l'unico problema è convincere gli altri-.
 
Passammo molto tempo seduti a parlare del più e del meno, di canzoni e di artisti musicali con grande talento ma che nessuno conosceva. Ashton era decisamente una persona che sapeva ascoltare, reggere un discorso, ma soprattutto dare buoni consigli.
 
-Che ore sono?- chiese ad Ashton, dopo un po', mentre mi mettevo uno zainetto in spalla con dentro tutto il necessario per la serata.
-Sono quasi le nove e un quarto- io e lui ci guardammo un attimo, poi sgranammo tutti e due gli occhi nello stesso preciso momento.
-Oddio ma è tardissimo- dissi scendendo le scale. -Ashton muoviti!- urlai dal piano terra.
Egli mi raggiunse al portone, con il fiatone, e con il mio cellulare in mano.
-Grazie- dissi mentre stavo iniziando a correre.
-Non è meglio se usiamo la mia macchina?- chiese.
Io non risposi, ma continuai a correre.
Odiavo correre, e devo ammettere che era abbastanza imbarazzante, ma dovevo farlo.
 
Quando notai la testa fosforescente di Michael spuntare dall'entrata sul retro ne rimasi molto sollevata. Non ero arrivata troppo tardi.
-Mike!- urlai, agitando una mano nell'aria. Con quel gesto il mio zaino cadde a terra e ci inciampai.
-Emma?- Michael mi chiamò, non vedendomi bene.
Quando finalmente si rese conto di come ero finita a terra, realizzò di dover venire in mio aiuto.
-Emma, oh mio Dio. Ma che ti è successo?- raccolse tutto il contenuto dello zainetto e lo rimise al suo interno.
-Va tutto bene?- chiese, notando che non mi alzavo.
Mi tirai su con le mani ancora sull'asfalto caldo e ruvido. Sentivo un enorme fastidio ai palmi delle mani e alle ginocchia.
-Sì, va tutto bene. Credo- confermai.
Strisciai fino al marciapiede, poi mi sedetti al bordo di esso.
-Michael, per favore, puoi fare luce sulle mie ginocchia? Ho paura di essermi fatta male- egli si avvicinò all'istante con la torcia del cellulare accesa e un cipiglio strano sul volto.
-Che schifo il sangue!- esclamò coprendosi gli occhi.
Quando mi resi conto delle condizioni delle mie mani e delle mie ginocchia mi stupii.
-Oh no- sputai. -Oh no- dissi ancora.
-Cosa?- chiese Michael, continuando a tenere gli occhi chiusi.
-Siamo nella merda- risposi alzandomi.
-Ma io non sento nessun- lo interruppi mettendogli davanti agli occhi le mie mani non poco graffiate, grondanti di una sostanza liquida e rossastra. Indietreggiò.
-Michael, io non posso suonare-.
 
[…]
 
-Cosa vuol dire che non puoi muovere le mani?!- Luke era furibondo.
In un primo momento si rifiutava di prendermi sul serio, - era ancora un po' impacciato nel parlarmi dopo il bacio - poi però gli spiegai com'erano andate le cose e si rabbuiò.
 
Ormai le mie mani erano fasciate con del cotone disinfettato e delle garze, ma non riuscivo proprio a muoverle.
-Sei inutile come le tue mani. Non potevi solo stare un po' più attenta?!- all'ennesima predica scoppiai di nuovo a piangere, usando la spalla di Calum come fazzoletto.
-Luke calmati, non è così che si risolvono le cose- intervenne Michael, accarezzandomi un braccio.
-Io dovrei calmarmi!? Ma ti rendi conto?! Non possiamo suonare per colpa sua! E questa sera cosa daremo al pubblico?! Un assolo di chitarra!?- prese in mano il flacone di disinfettante adagiato su un tavolino lontano da me e lo gettò a terra, imprecando. 
-Adesso basta!- intervenne Calum, alzandosi e cogliendomi alla sprovvista.
Appena si rese conto che tutti lo stavamo guardando in attesa di un discorso che avrebbe fatto calmare Luke, divenne tutto rosso in viso. 
-Io non… credo che tu non debba alzare così la voce- incrociò le braccia al petto, con l'intento di trattenere una risata, e assottigliò lo sguardo verso il biondo.
-Basta, Calum. Penso sia un caso perso- aggiunse Michael sistemandosi il ciuffo di capelli che gli ricadeva sulla fronte.
 
Andai a sedermi da un'altra parte. A quanto pare Luke non voleva proprio vedermi intorno e io tantomeno non volevo vedere lui. Mi chiesi se avrebbe reagito nello stesso modo se fosse stato lui a cadere e a rovinarsi i palmi delle mani. 
Con i polpastrelli andai a toccare delicatamente le bende e dovetti stringere il labbro inferiore tra i denti per non lasciarmi scappare un gemito di dolore.
 
-Che succede? Cos'è quella faccia triste?- Ashton mi raggiunse nel camerino e si inginocchiò al mio fianco.
-Problemi con Luke?- chiese, facendo una faccia dispiaciuta.
Alzai le braccia e misi in bella mostra le mie mani facciate e doloranti.
-Non posso suonare- precisai.
Volevo piangere, ma non lo avrei mai fatto davanti ad Ashton.
Sembrò mimare un “ah, capito”, poi si grattò il mento, pensando a qualcosa di rassicurante da dire, anche se in realtà sembrava preoccupato. 
-Tu suoni la batteria, giusto?-.
Annuii.
-Allora nessun problema. Ci penso io- detto ciò se ne andò, lasciandomi da sola in quella stanza fredda a pensare alle sue parole.
 
Poco dopo vidi Luke passarmi davanti con un borsone in mano e la custodia della sua chitarra sulle spalle. La sua espressione non trasmetteva nulla di buono e appena mi vide fece finta che non esistessi, sorpassando il piccolo corridoio.
-Aspetta, Hemmings!- Ashton corse in contro a Luke, il quale non si degnò neanche di girarsi per ascoltarlo.
-Cosa vuoi, tu?- il modo in cui pronunciò quelle parole mi fece rabbrividire.
Era davvero così arrabbiato?
 
Probabilmente si erano chiusi a parlare da qualche parte, oppure erano usciti, fatto sta che non li sentii più.
Decisi che lì, seduta a far niente, era decisamente di troppo, così presi la mia roba e me ne andai. 
Aprire la porta con la maniglia anti- panico fu una vera battaglia, ma alla fine riuscii a uscire.
 
Nonostante fosse estate, il clima era umido e abbastanza fresco. In effetti non era proprio estate, poco più in là ci sarebbe stato l'autunno e le foglie si stavano già preparando alla caduta.
Realizzai che non ero affatto preparata a incominciare la scuola. Non avevo ancora uno zaino, un diario, un astuccio e tantomeno i libri. Mi ero dimenticata di tutto. Il ciclo scolastico, in Australia, non è affatto come in Italia, o come in Inghilterra, in Francia o in Spagna; è tutto diverso.
Sospirai, sedendomi su una panchina davanti a casa.
Spesso, prima di alzarmi al mattino, pensavo a come sarebbe stata la mia giornata. Pensavo a cosa avrei dovuto fare, ai problemi da affrontare, alle persone da sopportare, e ciò mi buttava parecchio giù.
 
Una delle luci di casa mia si accese e notai mia madre spiare dalla finestra, non sapevo esattamente se stesse fin dal principio guardando me, o stesse semplicemente dando un'occhiata fuori, ma quando notò il mio sguardo in lacrime si affrettò ad uscire di casa.
 
-Emma?- chiamò. -Emma, stai bene?- si avvicinò ancora più preoccupata.
-Emma, cosa hai fatto alle mani?- chiese, prendendo le mie fra le sue ed esaminando le fasciature.
Prese il mio zainetto in spalla, e tirandomi su per un braccio mi portò in casa.
-Qui dormono tutti, non fare rumore, va bene?- mi accarezzò la fronte, spostando alcune ciocche di capelli all'indietro. 
Sempre a testa bassa mi diressi in camera mia, stando ovviamente attenta a non fare rumore.
Ashton aveva dimenticato la sua bandana sul mio letto, gliela avrei dovuta restituire prima o poi. 
Emanava lo stesso odore dei suoi capelli, e ciò mi fece sorridere.
Forse, per la prima volta, mi resi conto che Ashton mi piaceva.
 
[…]
 
Michael Clifford ha inviato un messaggio al gruppo “Band 🎸🎤”: Che serata fantastica!
 
Sbadigliai, prima di far scorrere il dito sullo schermo e visualizzare tutte le varie notifiche.
Mandai un messaggio a Michael per avere delle spiegazioni di tutto quell'entusiasmo. 
 
Com'è andata ieri sera? Scrissi.
 
Alla grande! Quel tuo amico, Ashton, è una forza della natura! Non so davvero dove abbia imparato a suonare così bene, ma dobbiamo tenerlo buono in caso dovesse servirci ancora ;-) Rispose.
 
Rimasi a bocca aperta, davvero Ashton aveva suonato con la mia band?
 
Ashton ha suonato la batteria al posto mio? Mi state scaricando in un modo così palese! Feci la finta offesa.
 
Ma non ti stiamo scaricando affatto! Ho solo detto che finché non potrai suonare probabilmente prenderà il tuo posto. Si giustificò.
 
Non risposi. Mi tirai a pancia in su sul letto e sospirai. Ashton non mi aveva mai detto di essere bravo a suonare la batteria. 
 
Hai aperto i cuori infranti dei miei amici ;). Scrissi ad Ashton.
 
Sembravano fatti a fine spettacolo, lol. Rispose.
 
Mia madre mi chiamò per la colazione, così fui costretta a scendere.
 
-Sei ancora in pigiama?- sbuffò lei, versando nella mia tazza una quantità industriale di latte caldo. 
Presi la mia tazza con un po' di fatica a causa delle mani ancora doloranti e andai a sedermi sul divano.
-Attenta a non sporcare in giro- mi avvertì e io alzai gli occhi al cielo.
 
Nessuno disse niente per almeno dieci minuti, anche quando mio padre scese per andare al lavoro ci fu solo uno scambio di gesti affettuosi ma niente di più.
-Ho comprato i libri per la scuola, ieri- disse d'un tratto.
Esultai mentalmente, sapendo che c'era sempre qualcuno che pensava a me.
-Lucas che fine ha fatto?- chiesi. La casa sembrava più vuota senza di lui.
-Credo sia uscito stamattina presto, non l'ho ancora visto e in camera sua non c'è. Ma credo sappia badare a se stesso- spiegò.
Appoggiai la tazza fra le gambe e sollevai la benda di una delle mani per vedere come ero messa.
Vidi alcune croste rossastre sul palmo, contornate da lividi violacei.
-Quanto pensi che ci vorrà prima che le mie mani guariscano?- chiesi con il labbruccio. 
-Due settimane sicuramente- rispose.
 
Passai i giorni successivi a non fare niente. Mi era stato vietato, ovviamente da mia madre, di fare qualsiasi attività che includeva l'uso delle mani e le giornate passavano con una lentezza impressionante. 
Ashton, dalla serata al Lemon, non si era più fatto vivo se non per messaggio e tutti gli altri avevano fatto come lui.
 
Era un venerdì pomeriggio, quando decisi, con il consenso di mia madre, di andare al Lemon & Melon a suonare. Era l'ultimo venerdì prima dell'inizio delle lezioni, e volevo scatenarmi fino a svenire.
 
-Stai attenta a non cadere. Non correre. Tieni bene lo zaino in spalla. Allacciati le scarpe come ti ho insegnato e non lasciare le stringhe dentro alla scarpa. Non forzare troppo la presa sulle bacchette, mi raccomando-.
Dopo aver ascoltato la sfilza di prediche di mia madre, annuii e aprii l'armadio per scegliere cosa mettermi.
Volevo fare una sorpresa ai ragazzi presentandomi nei camerini con le mani completamene guarite e immacolate, come nuove. Ne saranno entusiasti, pensai.
Presi un paio di jeans sbiaditi e una maglietta nera e li indossai, poi scesi per chiedere a mia madre come le sembravo. 
-Come sto?- chiesi, facendo un giro su me stessa.
-Stai bene. Quei pantaloni ti delineano le gambe, dove li hai presi?- smise per alcuni secondi di stirare i panni e e mi analizzò da capo a piedi.
-Non ricordo- mi strinsi nelle spalle e salii di nuovo in camera mia.
Ora anche Ashton faceva parte del gruppo “Band 🎸🎤” e da pochi messaggi al giorno, passammo ad averne almeno più di cento.
 
Nel mio zaino misi solo una bottiglietta d'acqua, due paia di bacchette e una maglietta di ricambio. Il cellulare lo tenni in tasca.
Mentre camminavo verso la mia metà, sentivo come una scossa elettrica attraversarmi il corpo, una certa impazienza nel vedere le facce dei miei amici e nel suonare la batteria. 
Mi sistemai al meglio lo zaino sulle spalle e accelerai il passo quando cominciai a intravedere l'insegna del locale attraverso alcuni alberi dalle foglie ingiallite.
Arrivai davanti alla porta sul retro e feci qualche respiro profondo. Aprii finalmente la porta, ma dei ragazzi non c'era neanche l'ombra.
Ne rimasi molto delusa, volevo far loro una grande sorpresa, ma a quanto pare non aveva funzionato. Sbuffai, infastidita.
Pochi secondi dopo pensai che forse erano al bar del locale a prendersi qualcosa da bere, così li aspettai seduta su un pouf del camerino.
Dopo alcuni minuti che sembravano secoli, Michael arrivò nel camerino con la custodia della chitarra in spalla e una borsa a tracolla che teneva saldamente in mano.
-Sei guarita?- chiese, stupito dalla mia comparsa.
-Già. Pronto a spaccare, di nuovo?- chiesi euforica.
-Certo, come sempre- rispose.
Domandai a Michael se sapesse che fine avessero fatto gli altri, ma a quanto pare non ne sapeva niente.
Poco dopo sentii la voce di Luke risuonare al di fuori della porta sul retro, così, lentamente aprii la porta e cacciai fuori la testa per vedere dove fosse.
Ma quello che vidi non fu proprio ciò che speravo. Sapevo che Luke avesse le idee confuse, ma arrivare a baciare una ragazza diversa ogni mese mi sembrava eccessivo. Ebbene sì, Luke stava baciando un'altra ragazza. Strinsi le labbra in una linea, cercando di ammettere a me stessa che non me ne importasse neanche un po', e ritirai la testa chiudendo poi la porta davanti a me.
-Allora? Luke è lì fuori?- annuii. -E allora perché non l'hai chiamato? Finiremo per far tardi a causa sua- Michael si alzò dalla sua sedia per sorpassarmi e avanzare verso la porta, ma lo bloccai.
-No, non farlo- gli sbarrai la strada piazzandomi con la schiena sulla porta e una mano che bloccava il suo braccio alzato.
-Perché? Cosa c'è che non va?- abbassò all'istante il braccio e si fermò aspettando una mia risposta.
-Io… Io non sapevo che Luke avesse una ragazza- mi giustificai.
-Luke è lì fuori con June? Oh Dio, non ci credo! Si sono rimessi insieme. Finalmente- alzai un sopracciglio. A quanto pare ero l'unica a non sapere nulla.
-Luke ha una ragazza?! Per quale santo motivo allora mi ha baciata quel giorno?- chiesi più arrabbiata che mai. Ero solo uno sfogo, un giocattolo, una bambola usa e getta?
-Senti, è una storia talmente lunga che non so da dove partire. Credo di poterti dire solo che Luke e June sono sempre in una fase di tira e molla continuo, non sono mai completamente insieme, ma non si lasciano mai del tutto. Capisci?- scossi la testa. Ancora non capivo. 
-Penso che Luke ti abbia usata per farla ingelosire- sputò. Le sue parole mi ferirono amaramente, ma non gliene feci una colpa, in fin dei conti non era neanche colpa sua.
-Capisco- fu l'unica cosa che riuscii a dire.
-Sei bella- disse d'un tratto.
-Lo pensi sul serio? No perché io non ti credo- alzai gli occhi al cielo e cercai di reprimere l'accenno del sorriso che cercava di spuntarmi sulle labbra.
-Emma, tu sei molto bella. Lo penso sul serio- ammiccò.
-Ci stai spudoratamente provando con me?- ridacchiai, lasciandomi un po' andare.
-No! Che vai a pensare?- si sistemò con le dita il ciuffo di capelli che gli ricadeva sulla fronte e rise, imbarazzato.
-Allora le opzioni sono due: o sei gay o lo dici per farmi compassione- precisai.
-La tua bellezza è oggettiva, Emma. Sembreresti bella anche a un castoro-.
-Che c'entrano i castori?- risi.
-È la prima cosa che mi è venuta in mente-.
Ridemmo per un po', finché Michael cambiò argomento.
-Pensi di affittare una stanza al college?- chiese.
-Non so, forse quando inizierà a far freddo. Anche perché casa mia non è così tanto lontana, quindi non è un problema prendere l'autobus ogni giorno, o almeno credo- affermai.
-Già, anche io-.
Mi chiesi se anche Calum e Luke avessero fatto come me e Michael, anche se Calum non mi sembrava affatto un tipo da stanza del college.
-Ciao. Scusate il ritardo- Calum entrò nel camerino, seguito da Luke che salutò con un cenno della mano.
-Abbiamo ancora venti minuti, vi va di bere qualcosa?- chiese Luke controllando l'orologio al polso. 
-Io non bevo, stasera- risposi senza troppi giri di parole.
Calum si fermò un attimo a pensare chissà cosa, poi sbarrò gli occhi e mi gettò le braccia al collo. Si mise a saltellare mentre mi stringeva sempre di più.
-Non ci credo. Sei tornata, Em! Oh Dio grazie, grazie, grazie- sorrisi sulla sua spalla e lui allentò la presa attorno al mio collo.
-Già, sono tornata. Ora Irwin avrà del lavoro in meno- vidi Luke sorridere beffardo.
-Qualcosa contro Ashton?- chiesi rivolta al biondo.
-No, assolutamente-.
Strinsi le labbra e mi sistemai dei polsini attorno ai polsi per non affaticarli troppo durante lo spettacolo. In verità non erano miei, ma di Ashton. Li aveva dimenticati sulla mia postazione e li avevo presi in prestito.
-Emma e io stavamo parlando del college. Avete intenzione di affittare una stanza quest'anno?- chiese ancora Michael.
-Io forse- rispose Luke sbloccando il telefono.
-Io non credo, quest'anno Mali farà avanti e indietro da casa ad altri posti e voglio esserci quando torna-.
-È già in tour?- chiesi. Sapevo che Calum aveva una una sorella che era stata ad X-Factor, e che allora aveva deciso di fare un tour in alcuni paesi dell'Australia.
-Parte settimana prossima, proprio quando comincerà l'anno scolastico-.
-Augurale buona fortuna, allora- gli dedicai un sorriso accompagnato da un occhiolino e recuperai le bacchette poste sulla scrivania. 
-Andiamo?- chiesi.
Tutti annuirono, così aprii la porta che avrebbe portato sul palco e salutai le persone davanti a esso. 
Michael, Luke e Calum si disposero a triangolo davanti a me, mentre io mi sistemai sullo sgabello dietro alla batteria.
 
-One, two, three, four- urlai al microfono mentre battevo le bacchette sopra alla mia testa.
 
[…]
 
-Siete stati fortissimi, wow- esclamò Ashton quando scesi dal palco e superai tutti i ragazzi che mi guardavano estasiati facendo commenti sulla mia bravura.
-Grazie Ash. Che ci fai qui? Oggi non è il tuo giorno libero?- gli circondai le spalle con un braccio e mi lasciai portare nel camerino da lui.
-Volevo vederti- sorrise.
-Che dolce- ridacchiai.
-Sei sudatissima, che schifo-.
-Vorrei vedere tu al mio posto- gli diedi un pugno leggero sulla spalla e risi con lui.
-Allora… Tra poco per te inizia la scuola- ci sdraiammo su un divanetto di pelle blu nel camerino per stare più comodi. 
-Sì, anche se a dire la verità non credo di essere pronta a fare nuove amicizie- ammisi, sospirando.
Mi accoccolai al suo petto e aspettai una sua risposta, o almeno qualsiasi cosa, ma non disse più nulla.
 
-Hey, Em, svegliati- aprii gli occhi e mi accorsi che tutte le luci erano spente.
-Oh- riuscii a dire.
-Ti sei addormentata, e puzzi- si mise seduto e andai a sbattere con la testa sulla pelle del divano.
-Ahi- mi lamentai.
-Che ne dici se ti accompagno a casa?- annuii.
-Forza, andiamo, tua madre è furiosa-.
Spalancai occhi e bocca all'affermazione; mi ero dimenticata completamente del coprifuoco di mia madre.
 
 
 
 
 
Ehilà! 
Eccomi qui con un altro capitolo che si è, ovviamente, fatto aspettare.
Se avete da lamentarvi sulla mia lentezza a scrivere allora potete farlo tranquillamente lol, non fatevi problemi.
E che dire, mi deverto troppo a fare i dialoghi tra Emma e Michael perché sono ossessionata da quel ragazzo (eh già) e mi prende troppo.
Prima o poi ho intenzione di fare un capitolo dove non ci sono conversazioni vere e proprie, ma tipo a messaggi. Perché comunque vedo che ultimamente quel tipo di FanFiction va molto di moda e volevo provare a inserire un capitolo in questa mia storia; vedremo cosa ne uscirà.
Penso di essermi dilungata a parlare un po' troppo.
Se vi va laciate una recensione, oppure potete anche scrivermi sul mio acc. di Twitter, sono @harryvederciii
A presto,
-Follow The Sun xx
 

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Capitolo 13
*** Do you like me? ***


"She's a good girl." 
Capitolo 13.
 
Uscii di casa con le gambe che tremavano dall'agitazione. Non ero per niente pronta ad affrontare un nuovo e difficile anno scolastico.
Camminai a passo svelto per un paio di isolati finché non vidi Calum che mi aspettava alla fermata dell'autobus.
-Cal- lo salutai non appena lo raggiunsi.
-Hey Em, rilassati, stai solo andando a scuola- mi prese in giro.
-Succede tutti gli anni. Cambio spesso città e paese, quindi di conseguenza cambio scuola. Non mi è facile fare nuove amicizie, perché so che non dureranno molto. Capisci?- lui annuì.
-Ecco l'autobus- disse, e io a quelle parole mi feci prendere ancora di più dall'ansia.
 
Calum conosceva davvero tutti, dai più grandi ai ragazzini delle medie. Io, a differenza sua, mi limitavo a seguirlo e ad osservare come si comportavano quei suoi “conoscenti”. 
Ci sedemmo quasi in fondo, nei posti da due, e lui iniziò a mostrarmi il suo orario scolastico.
-Vedi, non credo che avremo molti corsi insieme. Forse solo matematica e storia dell'arte; se ti va di culo magari abbiamo anche fisica. Me la cavo alla grande in fisica!- mentre parlava, notai che molte persone davanti a noi ci stavano osservando incuriosite.
-Non farci caso, è perché sei nuova- spiegò.
Sospirai, infastidita. Odiavo attirare l'attenzione, preferivo di gran lunga non essere guardata. 
-Luke e Mike?- chiesi dopo un po' vedendo che non erano saliti alla loro fermata.
-I casi sono due: o hanno perso il bus, o sono andati con i loro genitori-.
 
[…]
 
-Eccoci- disse Calum trascinandomi attraverso il cancello. -Qui trascorrerai dei bellissimi ed emozionanti giorni- ironizzò.
Notai in lontananza Luke e Michael, appoggiati a un muretto.
-Quelli sono Luke e Mike?- chiesi, indicandoli.
-Sì, sono loro. Tu comincia ad andare, io vi raggiungo dopo- mi salutò con la mano e corse via, uscendo dal cancello.
Deglutii, facendomi forza ad attraversare l'intero cortile per arrivare dai miei amici.
Mentre camminavo notai decine e decine di studenti, in uniforme, che parlavano e scherzavano. Fui sollevata nel notare che nessuno sembrava accorgersi di me. 
-Ciao!- dissi non appena raggiunsi Luke.
Egli si girò nella mia direzione e lì notai due occhiaie ad appesantirgli gli occhi.
-Tutto bene?- chiesi, avvicinandomi di più a Michael.
-Certo, tu?- chiese, mettendosi le mani in tasca. Annuii di conferma.
-Odio portare la cravatta, mia madre me la stringe sempre troppo- si lamentò il ragazzo al mio fianco. Gli sorrisi e osservai l'orologio a pochi metri da me. 
 
8:04
 
Sospirai. Mancava davvero poco.
 
-Eccomi ragazzi!- Calum si affiancò a me, mettendomi una mano sulla spalla e cominciando a saltellare dalla felicità.
-Allison ti ha guardato?- sbuffò Luke, calciando un sassolino.
-Meglio, mi ha guardato, e poi mi ha anche salutato. Dio, non ci credo- sorrise sornione.
-Calum innamorato?- chiesi, incerta.
-Allison è la sua prima cotta- rispose il tinto.
-Eccola, sta arrivando! Emma, parlaci, per favore. Sei una ragazza, con te parlerà!- Calum mi spinse il più lontano possibile, mentre io stavo ancora cercando di assimilare la mia missione.
 
-Ciao!- dissi, non appena la ragazza dai buffi capelli rosa mi superò. Quella si girò come se avesse visto un fantasma.
-Cosa ho fatto?- pensai.
-Ciao- rispose arrossendo. -Frequentiamo gli stessi corsi?- chiese.
-Ecco, non lo so… Volevo chiedertelo visto che, insomma, non conosco quasi nessuno qui- indicai solo i ragazzi a pochi metri da me, i quali sembravano troppo impegnati a parlare di chissà cosa.
-Conosci quei tre?- chiese, evidentemente stupita.
-Certo, suoniamo nella stessa band- precisai, facendo un sorriso soddisfatto. 
La ragazza arrossì, coprendosi naso e bocca con una mano.
-Che materia hai alla prima ora?-.
-Letteratura- risposi, ripassando mentalmente l'orario.
-Bene, piacere Allison-.
 
[…]
 
Allison era una ragazza simpatica, ma avevo saputo notare un pizzico di timidezza nel suo carattere. Non era una che parlava molto, ma sapeva il fatto suo. 
 
Stavo per sedermi negli ultimi banchi, quando lei mi fermò.
-Davvero?- chiese con una nota di stupore.
-Cosa c'è di male?- chiesi, non capendo.
-Non ti consiglio di sederti agli ultimi banchi, i professori etichettano gli studenti- disse buttando il suo zaino su un banco vuoto.
-Posso sedermi accanto a te?- chiesi.
-Certo, dirò a Zoe che per ora sto di fianco a te- sorrise e cominciò a tirare fuori dallo zaino alcuni libri. 
 
La professoressa di letteratura era abbastanza brava; era giovane e sapeva come trattare gli studenti. Spesso, però, iniziava altri discorsi e si dimenticava quello precedente, e ciò mi permise di non annoiarmi durante la lezione.
 
-Che cosa abbiamo, ora?- chiese Allison disegnando dei cuori sopra ad un foglio di carta.
-Matematica, credo- risposi, riponendo il libro di letteratura nello zaino e prendendo quello della materia successiva.
-Preparati allora- disse, alzando lo sguardo.
-Perché?- chiesi, ma non feci in tempo a ricevere una risposta, che una donna sulla quarantina con i capelli grigi e che assomigliava a un elefante entrò in classe.
-Buongiorno e state zitti- iniziò.
Alzai gli occhi al cielo e iniziai a sfogliare le pagine del libro davanti a me. 
-Vedo che ci sono nuovi arrivati, giusto?- chiese, posando i suoi occhi su ogni alunno.
-Tu- non alzai la testa per paura che avesse chiamato me. Ma fu proprio Allison a ricordarmi, con una gomitata sul braccio, che in quel momento la nuova arrivata ero io.
Così, con l'ansia alle stelle, alzai lo sguardo per incrociare quello della mia insegnante. 
-Presentati, coraggio- mi fece cenno con la mano di alzarmi, e così feci.
-Mi chiamo Emma Evans- dissi.
Feci per sedermi, ma la professoressa mi fermò.
-Continua, non sembra che tu abbia un accento australiano-.
-Vengo dall'Europa. Londra- dissi, per poi sedermi una volta per tutte.
Mi coprii il volto con tutte e due le mani e sentii le guance andare a fuoco.
-Tutto okay?- chiese Allison accarezzandomi la schiena.
Annuii, ancora con le mani a coprirmi la faccia.
 
[…]
 
Posai alcuni libri nel mio armadietto e lo chiusi facendo forse un po' troppo rumore.
-Oops- sussurrai.
-Tu devi essere Emma- sobbalzai quando davanti a me trovai una ragazza dai capelli bianchi e con alcuni piercing sul volto.
-Ehm, sì- risposi.
 
“Forse dovrei chiederle come si chiama.”
 
-Sono Zoe- disse.
Dischiusi un po' la bocca, capendo con chi stavo parlando, e le sorrisi. Lei, però, non ricambiò il sorriso.
-So che sei diventata amica di Alli, quindi di conseguenza se uscirai con lei dovrai uscire anche con me- mi informò.
Notai una certa ostilità nelle sue parole, ma cercai di non farmi intimorire e cercare di sembrare disponibile e, perlomeno, simpatica.
-Non è un problema- scrollai le spalle.
-Bene- concluse.
Ci scambiammo ancora qualche occhiata, evidentemente in imbarazzo, poi lei se ne andò.
 
Non sapevo come interpretare il suo sguardo truce e il tono freddo, ma pensai che forse era dovuto dal fatto che avesse solo Alli come “vera amica” e non voleva lasciarsela sfuggire.
 
Camminai per un po' per l'istituto, finché non notai la biblioteca, così entrai e salutai l'anziana donna dietro al bancone.
Subito mi diressi allo scaffale dei libri fantasy.
Passai i polpastrelli sulle copertine dei libri della saga di Harry Potter, successivamente scelsi Allegiant, uno dei libri che ancora non avevo visto.
-Dev'essere carino, sembra consumato- pensai, esaminando la copertina e le pagine spiegazzate. 
Era da molto tempo che non mi impegnavo nel leggere un libro, così mi registrai e presi in prestito il libro.
 
[…]
 
-Ciao!- esclamai non appena varcai la soglia di casa.
-Mamma? Papà?- appoggiai lo zaino per terra, vicino all'appendiabiti e corsi in cucina. Non c'era nessuno.
-Oh, bene- dissi, seccata.
-Ora dovrò prepararmi da mangiare da sola- continuai le mie lamentele.
Misi a scaldare nel microonde un piatto di pasta, del giorno prima tra l'altro, e tirai fuori dalla tasca della gonna il cellulare, accendendolo. 
Era comodo che le uniformi avessero tante tasche, così si poteva portare con sé di tutto.
 
2:04 p.m. ] Ashton: Com'è andato il primo giorno di scuola? :) xx
 
Sorrisi e gli risposi.
 
2:57 p.m. ] Tu: Bene, ho fatto nuove amicizie. A te com'è andata la giornata?
 
Spostai lo sguardo sul microonde, che a quanto pare stava ancora scaldando, e sospirai. 
 
2:57 p.m. ] Ashton: Alla perfezione; mi sono svegliato circa un'ora fa. Inizio il turno fra tre ore :)
 
Spalancai la bocca e scossi la testa; solo lui poteva svegliarsi a un orario simile.
 
2:58 p.m ] Tu: Ti odio. Che ne dici di passare da me più tardi? *faccia da cucciolo*
 
Mi alzai per recuperare il mio piatto di pasta e premetti invio.
 
2:58 p.m. ] Ashton: Certo, dammi il tempo di vestirmi e uscire di casa e sono da te ;)
 
Sorrisi soddisfatta e cominciai a mangiare.
 
Ashton arrivò circa venti minuti dopo ancora con la faccia assonnata e i capelli fuori posto.
-Buongiorno- lo canzonai quando entrò in casa mia.
-Hey- fece finta che non lo avessi preso in giro e si diresse in salotto.
-Dovevi dirmi qualcosa?- chiese, sedendosi poi sul divano.
-No, volevo solo stare con qualcuno- mi strinsi nelle spalle e lo imitai, sedendomi accanto a lui.
-Io ti piaccio?- chiese all'improvviso.
Persi un battito. Il sangue prese a pompare più velocemente e sentii la faccia andare a fuoco.
-Avresti potuto chiamare chiunque, perché me?- continuò peggiorando la situazione.
Avrei voluto che qualcosa lo interrompesse, come nei film, come l'entrata in scena di qualcuno o la suoneria di un cellulare.
-Non penso che tu mi piaccia- gli sorrisi. -Siamo amici- precisai.
Annuì, per poi controllare l'ora sul suo cellulare.
-Scusa, forse non dovevo chiedertelo- si portò i capelli all'indietro e ridacchiò.
-Tranquillo, puoi chiedermi tutto quello che vuoi. Non ci sono segreti tra di noi-.
E in un certo senso mentii. Avevo mentito. C'erano davvero un sacco di segreti, come la canzone e il fatto che Ashton, in fondo, mi piaceva. Ma non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo.
-Posso farti un'altra domanda, allora?-.
-Certo- risposi.
Deglutii, un po' nervosa, non ero pronta a un'altra domanda imbarazzante.
-Prima dicevi sul serio? Davvero non ti piaccio?- domandò, incrociando le braccia al petto.
Sospirai.
 
“Sii più credibile questa volta.”
 
-Ero seria, sì. Siamo amici- ripetei. 
-Ma non c'entra essere amici o no!- si alzò senza preavviso e sobbalzai.
-Ti vuoi dare una calmata?- lo presi per le spalle e lo feci sedere di nuovo. 
Osservai come contraeva la mascella ogni volta che sembrava voler dire qualcosa; ma la cosa che mi infastidì più di tutte fu il fatto che lui non mi guardò negli occhi neanche per un attimo.
-Senti, deciditi. Prima vieni da me, poi fai finta di niente, poi mi rivuoi e ancora mi spingi via. Sono confuso, cazzo- non capivo.
-Spiegati meglio- trattenni il fiato; avevo paura.
-No, non devo spiegare nulla. Vorrei solo che tu non mi avessi scombussolato la vita in questo modo-.
Mi alzai dal divano e camminai fino all'ingresso.
Assorta nei miei pensieri e sul da farsi, quello sembrò il tragitto più lungo della mia vita.
-Bene, allora io mi farò la mia vita- aprii la porta e lo invitai a raggiungermi.
Egli mi sorpasso e uscì sai casa mia, ma prima di andarsene del tutto si girò ed esitò a dire qualcosa.
-Ah, Emma?- aggrottai la fronte e mi spostai per poterlo vedere meglio.
-Cosa?- domandai, confusa.
-Prima o poi dovrai ridarmi quella canzone- chiusi la porta senza dargli modo di continuare. 
Mi sentivo in trappola.
 
[…]
 
-Tu gli hai rubato una canzone?- chiese incerto Michael, strabuzzando gli occhi.
-Non gli ho proprio rubato una canzone, l'ho presa… in prestito- sistemai al meglio i libri al petto e continuai a camminare.
-Secondo me però avrebbe potuto risparmiarsi la scenata- ammise.
Annuii.
-Insomma, non deve arrabbiarsi se non ti piace- rise e lo imitai, anche se un po' meno convinta.
-Giusto? Perché a te, lui non piace- chiese. Mi fermai, puntando i miei occhi nei suoi e morsicandomi l'interno del labbro.
-Lui ti piace-.
Si rassegnò al fatto che non avrebbe mai ottenuto una risposta e sbuffò.
-Voglio solo aiutarti- constatò dopo alcuni secondi. 
Riprendemmo a camminare.
-Ti ringrazio per il pensiero, ma non credo che ce ne sia bisogno. Te lo chiedo per favore, non parlare con Ash- lo supplicai.
-Vedrò di tenere la bocca chiusa- rise.
 
Ci fermammo dopo un po', dato che lui doveva entrare nell'aula di chimica, e ci salutammo con un abbraccio veloce.
 
-Che materia ho adesso?- dissi a bassa voce, andando a cercare l'orario scolastico nella tasca della camicia.
 
Martedì
 
«1ª h. Ed. Fisica»
«2ª h. Ed. Fisica»
«3ª h. Arte»
«4ª h. Arte»
«5ª h. Scienze della Terra»
«6ª h. Francese»
 
Sbuffai. Non avrei mai potuto reggere a due snervanti ore di educazione fisica.
Non sapendo dove si trovasse la palestra, chiamai Allison al cellulare.
 
-Pronto? Emma? Dove sei? La professoressa sta per arrivare- disse.
-Dimmi solo dov'è la palestra e sono lì in un minuto- la implorai.
-Devi attraversare tutto il corridoio principale, passare le aule dei laboratori e se vedi una porta arancione con la maniglia anti-panico sei arrivata- non feci in tempo a ringraziarla che sentii la voce squillante di una donna dall'altra parte del telefono e Allison fu costretta a riattaccare.
 
“Cazzo.”
 
Mi misi a correre con i libri tra le mani, lo zaino in spalla, completamente vuoto, che rimbalzava di qua e di là e il borsone da ginnastica che pendeva dalla spalla destra.
Feci per superare l'ultima aula dei laboratori, ma un libro mi sfuggì di mano, mi abbassai per prenderlo e quando mi rialzai notai un ragazzo in piedi davanti a me che mi guardava divertito.
-Va tutto bene?- chiese, porgendomi la mano destra.
-Sono Dylan, piacere- disse, strappandomi i libri di mano e mettendoli nello zaino sulle mie spalle.
-Così va meglio?- annuii.
-Sei nuova? Non ti ho mai vista- annuii ancora.
-Sono di fretta, scusa- camminai a passo svelto verso il maniglione anti-panico e lo spinsi con tutta la forza che avevo in corpo.
La palestra era già colma di persone che correvano e altre che facevano stretching.
-Buongiorno- azzardai, raggiungendo la professoressa in fondo alla palestra.
-Evans? Sei in ritardo. Vatti a cambiare, da quella parte- mi indicò una porta bianca sul lato destro della grossa stanza e mi incamminai.
Nello spogliatoio incontrai Allison e Zoe sedute su una panca di legno, tutte e due in pantaloncini e maglietta. 
-Emma! Pensavo ti fossi persa- appena la ragazza mi vide, balzò in piedi e mi raggiunse, trascinandomi poi per un braccio fino alla loro panca.
-Ho accompagnato Michael all'aula di chimica- cominciai a tirare fuori dal borsone le scarpe da ginnastica e i pantaloncini, mentre con la coda dell'occhio notai le due ragazze scambiarsi occhiate furtive.
-Tu e Michael siete molto amici?- chiese Zoe.
-Sì, ma è solo amicizia. È un grande consigliere- ridacchiai.
-Ad Alli piace Clifford- sputò poi la ragazza dai capelli bianchi prendendo uno dei suoi piercing tra le dita.
-Ti avevo detto di non dirlo a nessuno!- Allison sbiancò, raggiungendo quasi la colorazione dei capelli della sua migliore amica.
-Sì, tre anni fa- sbuffò Zoe, incrociando le braccia dietro alla testa.
 
Non mi sorprese più di tanto la sua confessione, ma mi sorprese di più il fatto che Michael potesse piacere a una come lei, calma e tranquilla ma con un carattere solare, mentre lui era un tipo idiota, a volte depresso e con un carattere lunatico.
 
-Io vado in bagno, voi cominciate ad andare- disse Zoe, allontanandosi.
Nel frattempo mi ero già cambiata, così Alli ed io tornammo in palestra per cominciare la lezione.
 
[…]
 
-Sai, Zoe mi mette in imbarazzo solo quando è felice o se le sta simpatico qualcuno- una testa rosa mi si affianca, accompagnata dal suo zainetto del medesimo colore.
-Quindi le sto simpatica?- ipotizzai.
-Sembra di sì- sorrise.
Aspettai ancora un po', finché non arrivò l'autobus.
-Sali anche tu?- chiesi prima di mettere un piede sullo scalino che mi avrebbe permesso di salire sul mezzo.
-Certo, abito a venti minuti di strada da qui-.
Salutai l'autista con un cenno del capo e andai a sedermi nei posti più o meno nel mezzo, successivamente mi raggiunse anche Allison.
-Zoe non viene con me perché i suoi ogni anno le affittano una stanza al college- rise fra sé e sé.
-Quindi è vero che sei cotta di Michael?- la vidi sbiancare un'altra volta.
-Diciamo che in parte se non fosse per lui in questo momento non ti starei parlando- ammise facendosi più piccola sul sedile; aveva paura di un mio giudizio?
Alzai un sopracciglio e la invitai a parlare.
-Quando ho saputo che sei tu la tanto ‘famosa ragazza’ di cui tutti parlano, quella che suona nel gruppo più conosciuto qui a scuola, e migliore amica di Michael Clifford, dovevo assolutamente parlarti. Io e Zoe siamo un gruppo chiuso da praticamente quattro anni. Sì, mi piace Michael, ma non glielo dirò mai. Però…- si fermò in attesa di una mia reazione.
-Non sono arrabbiata. So quanto possa essere difficile fare amicizia quando nessuno ti rivolge la parola, ci sono passata anche io. Vuoi una mano con Clifford? Nessun problema- le sorrisi e lei mi abbracciò.
-Non ci credo. Grazie mille- disse sulla mia spalla, e io mi strinsi di più nell'abbraccio.
 
 
 
 
 
Ciao!
Ho cercato di aggiornare il prima possibile, ma senza grandi risultati *si dispera*, in effetti avrei dovuto aggiornare il 18, ma vabbè.
IN QUESTO CAPITOLO INCONTRIAMO LE PRIME DUE AMICHE DI EMMA! 
Enfatizzate questa frase, okay? No, non sono pazza.
E io vorrei dire tre cose: Michael è bellissimo, Ashton è cattivo e Calum è senza speranze. (Ovviamente scherzo, Ashton è super dolce).
Poi c'è questo Dylan *ride* che per chi lo conosce *ride* gli verrà qualche infarto *ride*.
Bene.
Avete già sentito “She's Kinda Hot”? Io sono morta già cinque volte ascoltandola :))))))
A presto,
-Follow The Sun xx
 

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Capitolo 14
*** Prom? ***


"She's a good girl." 
Capitolo 14. 
 
Sbuffai mentre camminavo con una lentezza estenuante verso casa. 
Ero appena tornata da scuola, secondo giorno, seconda dose di stress e pensavo già di non poterne più.
 
Aprii la porta di casa riprendendo in mano le chiavi e buttandole poi da qualche parte, a caso. 
Presi poi, dalla cucina, alcune fette di pane e un barattolo di Nutella, e andai in camera mia.
Per il giorno successivo avrei dovuto fare il riassunto di un testo abbastanza lungo e non avevo tempo per distrarmi, almeno fino all'ora di cena.
Aprii il libro e il quaderno e cominciai a leggere con una penna stretta fra le labbra. 
Dopo mezz'ora cominciai a sottolineare con una matita le parti più importanti, rielaborandone in gran parte e trascrivendole poi su un quaderno a righe. Mentre facevo il tutto, ovviamente stando attenta a non sporcare, ogni tanto mangiavo qualche cucchiaiata di Nutella accompagnata da del pane.
Due ore dopo avevo finalmente finito; soddisfatta, chiusi quaderno e libro e mi buttai a peso morto sul letto.
Non pensavo che la scuola in Australia fosse così pesante rispetto al resto del mondo, ma forse era solo un modo per avvertirci del pesante anno scolastico al quale andavamo in contro.
 
Sbloccai il telefono e notai due notifiche nei messaggi.
 
5:24 p.m. ] Allison: Hai parlato con Michael?
 
5:59 p.m. ] Callie: Hai provato a parlare con Allison?
 
Sospirai, passandomi una mano sul viso e pensando a cosa fare.
Avrei dovuto dire a Calum che ad Allison piacesse Michael, oppure dire ad Allison che piaceva a Calum?
Era tutto un gran casino.
In realtà non sapevo neanche se Allison sapesse della cotta di Calum.
 
Così, controvoglia, mandai a tutti e due lo stesso messaggio.
 
6:21 p.m. ] Tu: No.
 
Uscii da camera mia, notando la ventiquattr'ore di papà appoggiata sul tavolo del salotto.
-Papà?- chiamai, scendendo le scale.
-Sono in cucina- disse.
Lo raggiunsi e gli andai incontro, abbracciandolo e notando quanto fosse stanco.
-Come va?- chiesi, sedendomi sulla sedia di fianco alla sua.
-Stanco, ma non mi lamento. Tu piuttosto? Come sta andando a scuola?- aprì un elenco telefonico, facendo poi scorrere il dito sopra i diversi cognomi.
-Bene, ho appena finito i compiti per domani- cominciai a dondolarmi sulle gambe. Non era solito, per me, essere interrogata da mio padre sulla scuola e sulla mia carriera da studentessa. 
Annuì distrattamente, mentre componeva un numero sul suo telefono. 
Visto l'improvviso cambiamento di interesse da parte di mio padre, decisi di andarmene per cambiarmi i vestiti e mettermi, finalmente, qualcosa di più comodo.
-Pronto? Signor Clifford?- sobbalzai a quelle parole, mio padre parlava con quello di Michael?
 
Restai dietro allo stipite della porta, con la scomodità della divisa scolastica che mi rendeva sempre più nervosa, e origliando mio padre al telefono con il padre di Michael Clifford.
 
Strisciai, lentamente, ancora in cucina, fingendo di essere interessata al vaso di fiori sul davanzale della finestra. Ancora non riuscivo a sentire di cosa stessero parlando.
Passarono alcuni minuti, in cui mio padre ridacchiava, ovviamente in modo professionale e contenuto, e faceva cenni con la testa, come se il signor Clifford potesse vederlo.
Quando finalmente riattaccò, si girò bella mia direzione e accennò un sorriso.
-Vuoi venire con me?- chiese, alzandosi e portando con se la ventiquattr'ore.
-Dove?-.
-Dal signor Clifford- sorrise nuovamente.
Annuii, stirando la gonna con le mani e sbottonando poi il primo bottone della camicia.
 
[…]
 
-Allora…- iniziò, picchiettando l'indice della mano sulla pelle del volante.
-Mh- continuai.
-Cosa?-.
-No, niente-.
-Ah- accese la radio e cambiò frequenza per un po', finché non si stufò e la spense, ancora.
Teneva lo sguardo fisso sulla strada, senza mai distrarsi, e ogni tanto faceva qualche commento sulla gente che non sapeva guidare o cose simili.
-Quindi sei amica di Michael, giusto?- chiese, mentre aspettava che il semaforo da rosso diventasse verde.
-Sì, suoniamo in una band da qualche mese e siamo in ottimi rapporti- sorrisi soddisfatta.
-Quindi siete amici- affermò, ripartendo quando il semaforo si fece verde.
-Sì, papà, solo amici- sbuffai, anche se in fondo sapevo che quelle sue preoccupazioni mi facevano sentire meglio, sapevo che lui nonostante tutto teneva a me.
-Eccoci- spense la macchina e aprì la portiera, venendo poi dalla mia parte per aprire anche la mia.
-Forza! Non vieni?- controllò l'orologio e sbatté un po' di volte un piede a terra.
-Arrivo- uscii dall'auto e chiusi la portiera.
Mentre controllavo che l'uniforme fosse a posto, mio padre si era già incamminato verso la porta d'entrata della casa di Michael. In fondo, non era poi così tanto grande; anche se l'avevo vista tante volte non mi ero mai fermata ad ammirarla per troppo tempo.
-Emma, allora?!- mi richiamò mio padre, scusandosi con il signor Clifford.
Corsi verso i due che se ne stavano sulla porta a chiacchierare e salutai Daryl con un sorriso e un cenno della mano.
-Michael è di sopra. Non so cosa stia facendo, prima stava strimpellando con la chitarra- si strinse nelle spalle e indicò il piano di sopra.
Annuii e salii al piano di sopra, fermandomi successivamente davanti alla porta del mio migliore amico.
Non bussai, semplicemente entrai.
 
La stanza era completamente al buio, c'era solo una luce al centro della stanza.
-Papà, ti ho già detto mille volte che devi bussare prima di entrare!- esclamò, chiudendo di scatto il computer e avvolgendo completamente la stanza nel buio.
-Mh, non credo di essere tuo padre- accesi la luce e incrociai le braccia al petto. Michael arrossì.
-Cosa ci fai qui?- cercò di nascondere l'imbarazzo dietro al suo ciuffo nero.
-Mio padre doveva venire qui per parlare con il tuo e allora ne ho approfittato- chiusi la porta alle mie spalle e mi sedetti sul letto di Michael, accanto a lui. Lo vidi annuire, dopodiché si alzò e aprì l'armadio, tirandone fuori un completo nero.
-Ti piace?- chiese, coprendo la sua intera figura con il completo.
-Hai intenzione di sposarti? Perché hai uno smoking nell'armadio?- assunsi un'espressione tra il divertito e l'incuriosito, poi ridacchiai.
-È per il ballo!- disse ovvio.
-Non ho mai partecipato a un ballo-.
-Neanch'io, ma bisogna farlo almeno una volta nella vita. È la legge di ogni liceale, collegiale, o quello che è- sorrise e ripose lo smoking nell'armadio.
-Ci verrai, vero? Se non hai un accompagnatore puoi contare su di me- ammiccò.
-No. Non fa per me, scusa- portai una mano davanti al volto e scossi la testa.
 
Non mi piaceva l'idea che altre persone mi guardassero con un bellissimo e vistoso abito da sera. Odiavo attirare l'attenzione, e odiavo le persone dal giudizio facile. Semplicemente non ci sarei andata, forse avrei aspettato l'anno successivo.
 
-Ci sarà da divertirsi, allora, a trovare qualcuna che sia disposta a venire con me al ballo-.
-Io non credo. Ci sono un sacco di ragazze al college e tu le conosci quasi tutte, ne sono sicura- dissi.
Lui scosse la testa e mormorò un “se fosse così facile” per poi abbassare gli occhi verso le mani che stava già torturando da qualche secondo.
 
Pensai, d'un tratto, ad Allison. Chissà come avrebbe reagito se fossi riuscita a farla andare al ballo con Michael...
 
-Che ne dici di Allison? Ormai siamo abbastanza amiche e mi sembra a posto con la testa- cercai di sembrare convincente, mentre mettevo su uno dei sorrisi più grandi che avessi mai fatto.
-Calum mi ammazzerebbe. Anche se non mi dispiacerebbe affatto… Sai, basta che sia una ragazza e sono a posto. Se è carina, meglio ancora. Credi che ce la farò a conquistarne una?- aprì il suo computer e schiacciò qualche tasto, poi si girò nella mia direzione e chiese una risposta con un movimento del capo.
-Certo…- annuii.
Ci fu una pausa di silenzio.
-Allison… Allison. Ah! Eccola qui- indicò lo schermo e avvicinò di poco lo schermo.
-Carini quei capelli rosa. In effetti saremmo una bella coppia. Ma purtroppo Calum non mi rivolgerebbe più la parola- sbuffò, disperato.
-Già, che schifo- ammisi al massimo della disperazione.
-Potresti chiedere ad Allison di andare al ballo con Cal, e magari questa qui con i capelli bianchi la lasci a me- indicò Zoe sullo schermo, accanto ad Alli.
Sbiancai. 
-No, Zoe non verrà. Credo… credo che debba partire per la Cina-.
-La Cina- disse, e non potei fare a meno di notare una nota di sarcasmo nella sua voce.
-Già. Vacanza studio- annuii lentamente stringendo le labbra in una linea.
 
Mentre Michael era impegnato a spegnere il computer, approfittai per mandare un messaggio a Calum.
 
6:58 p.m. ] Tu: Come reagiresti se Allison andasse al ballo con uno dei tuoi amici?
 
La risposta non tardò molto.
 
6:59 p.m. ] Callie: Chi vuole andare al ballo con la mia ragazza?
 
Risi, tenendo d'occhio Michael che sembrava concentrato nel sistemare la sua chitarra all'interno della custodia.
 
6:59 p.m. ] Tu: Lei non è la tua ragazza. E comunque era solo una domanda… c:
 
7:00 p.m. ] Callie: Senti, io e lei nella mia testa siamo sposati e abbiamo tre figli, quattro cani, due gatti e una bellissima casa sulla spiaggia. 
Probabilmente dovrebbe mandarmi lei stessa un documento scritto dove spiega, a parole semplici, che non vuole venire al ballo con me. Poi ucciderei a pugni quel mio “amico” c;
 
Deglutii e Michael mi chiese se ci fosse qualcosa che non andava.
-No. Solo… Calum… Hai ragione, andrebbe su tutte le furie-.
Egli sorrise, riducendo così gli occhi a due piccole fessure, e mostrò di poco la lingua. Era davvero adorabile.
Qualcuno bussò alla porta, e Michael diede il permesso per entrare.
-Emma, andiamo? Buonasera Michael- mio padre spuntò dalla porta e mi fece segno di andare, così mi alzai dal letto e lo raggiunsi.
-Ci vediamo domani a scuola, ciao- salutai Mike con la mano e uscii seguita da mio padre.
Salutammo il signor Clifford e salimmo in macchina.
Era quasi ora di cena quando, finalmente, tornammo a casa.
 
-Cosa ci faceva tutta quella roba da mangiare in camera tua?- chiese mia madre mentre posava i piatti stracolmi di pasta sul tavolo.
-Volevo risparmiare tempo mangiando e facendo i compiti nello stesso momento- risposi conficcando la forchetta nel piatto.
Annuì distrattamente, mentre si sedeva al suo posto e cominciava a mangiare.
 
Passai la serata a controllare le materie del giorno dopo, appuntando sui libri di ogni materia il numero della rispettiva classe.
 
Il giorno dopo, alla mattina, tutto si svolse come al solito. Calum mi venne a prendere sotto casa e insieme andammo alla fermata dell'autobus e prendemmo il veicolo, per poi arrivare a scuola, il tutto normalmente.
Entrammo a scuola normalmente e salutammo Michael nel modo più normale, finché qualcosa, o meglio, qualcuno, attirò la mia attenzione. 
Luke era infuriato, rosso dalla rabbia, le mani chiuse in due pugni dai quali si potevano vedere benissimo le nocche sporgenti, gli occhi stretti in due fessure e la mascella contratta.
 
-Ciao Luke- iniziò Mike. -Qualcosa non va?-.
Il biondo sembrò irritarsi ancora di più a quelle parole, e finì per spintonare Michael, il quale barcollò ma non cadde del tutto.
-Andate al diavolo, tu e il tuo compagno cinese- disse senza curarsi della gente intorno a lui, poi sparì lasciando una scia di confusione dietro di se.
-Ehm…- iniziai, non sapendo cosa dire o come esprimere i miei dubbi.
-Mi sa che l'ha scoperto- disse Calum.
-Lo credo anche io- concordò l'altro.
-Conversate pure senza di me, tranquilli- incrociai le braccia al petto e feci qualche passo più in là.
-Credo che nel frattempo, mentre conversate, andrò da Allison- sorrisi, beffarda, mentre sapevo che Calum sarebbe impazzito a quelle parole.
Mi sentii afferrare per le spalle, poi Calum mi guardò alle spalle e si grattò la testa.
-Giuri che non ti arrabbierai? Non vogliamo che tu abbia la stessa reazione di Luke- disse. Mi strinsi nelle spalle, poi annuii lentamente.
-Ieri, io, Mike e Ash, abbiamo provato senza te e Luke-.
 
Ah.
 
-Quindi?- chiesi, alzando un sopracciglio.
Calum sospirò, alzando gli occhi al cielo.
-Non sei arrabbiata?- chiese Michael.
-Dovrei? Allora, Hood, Clifford, andate in punizione nell'angolo!- finsi di metterli in punizione, poi ridacchiai.
Poco dopo accompagnai Michael nell'aula di Geografia, mentre Allison continuava a tempestarmi di messaggi dove mi chiedeva di cosa stessimo parlando. 
Raggiunsi poi, poco prima delle otto, l'aula di Biologia, pronta a sopportare le domande della ragazza dai capelli rosa sul ragazzo dai capelli blu.
 
[…]
 
Stavo chiudendo il mio armadietto quando sentii alcuni schiamazzi provenire del cortile centrale della scuola. Incuriosita, mi avvicinai alla macchia di persone per vedere cosa stava succedendo.
Notai il ragazzo del giorno prima, Dylan forse, e mi avvicinai.
-Ciao- alzai la mano, spintonando un paio di ragazzi per farmi spazio.
-Hey- sorrise e mi mostrò due linee di denti bianchissimi.
Gli chiesi se sapesse costa stava succedendo, e lui rispose che due ragazzi stavano per fare a botte, così lo ringraziai e me ne andai. Non ero il tipo che se ne stava a guardare davanti a tutti, piuttosto non mi immischiavo e facevo come se non avessi visto nulla, anche se in verità mi sarebbe piaciuto fare qualcosa.
 
-Non sai più cosa dire, Sushi?-
 
Conoscevo quella voce. Luke.
 
Tornai indietro, imprecando contro i ragazzi che mi bloccavano la strada, e raggiunsi i due ragazzi al centro.
Michael se ne stava in disparte mentre altri due tizi che non avevo visto prima lo reggevano per le braccia. Calum e Luke, invece, erano nel bel mezzo di una lite. Non riuscivo a capire nulla, mi arrivavano solo le voci acute e ovattate delle persone intorno a me, così chiusi gli occhi, ma qualcosa me li fece riaprire all'istante.
-Lascio la band, buona fortuna-.
 
[…]
 
Venni accecata da una luce esattamente sopra alla mia testa, così fui costretta a coprirmi gli occhi con una mano. Mi scoppiava la testa.
Quando riuscii a mettere a fuoco l'intera stanza mi accorsi di essere in infermeria.
Mi tirai su velocemente.
 
[…]
 
-Il bus passa tra dieci minuti, lo sai? Ti prendi il bus, vero? Svegliati, su- aprii gli occhi e sorprendentemente notai che anche quelli mi dolevano.
La faccia di Dylan apparse nella mia visuale e cercai di sorridere.
-Hai picchiato la testa. Nel cortile un ragazzo ti è arrivato addosso e sei caduta, hai picchiato la testa contro l'idrante. Poi mentre eri qui ti sei alzata troppo velocemente e non ti sei resa conto che c'era questo macchinario sopra la tua testa- indicò una strana macchina sopra di me e annuii.
-Grazie, D- mi misi seduta senza andare a sbattere di nuovo e successivamente mi misi in piedi.
Per colpa del mal di testa non riuscii a camminare da sola fino al cortile principale davanti alla scuola, così Dylan si offrì di accompagnarmi a casa in macchina.
-Dovrei rifiutare, ma ormai potrei anche pensare 'torta' e dire 'tavolo', quindi non ti dirò di no- farfugliai e lui rise.
Mentre camminava faceva ruotare le chiavi della macchina attorno al dito e ogni tanto, con la mano libera, si sistemava i capelli.
-Eccoci, questa è Bessie, il mini-van più scassato di questa terra- mi aprì la portiera del passeggero e salii, mettendo lo zaino per terra, sul tappetino. 
Salì anche lui, poi gli diedi l'indirizzo e mi addormentai.

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Capitolo 15
*** New books, clichés. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 15.
 
Uscii di casa alla velocità della luce senza fermarmi neanche a salutare i miei genitori e scesi in strada.
Cercai Calum con lo sguardo, e quando non lo vidi pensai di aver perso l'autobus una volta per tutte.
Lo chiamai.
 
-Pronto?-
-Calum? Sei andato a scuola senza di me?- 
-No, oggi non vengo a scuola, scusa-
-Ah-
-Tranquilla, dovrebbe esserci un altro autobus tra cinque minuti- e chiuse la chiamata.
 
Decisi che sarei andata a trovarlo, dopo la scuola, ma nel frattempo dovevo correre. Ero tremendamente in ritardo.
La sera prima Dylan mi aveva accompagnata a casa e fino a notte fonda non mi ero minimamente degnata di svegliarmi. Verso le quattro o forse le cinque mi ero svegliata per farmi una doccia e successivamente mi ero messa a fare alcuni compiti per il giorno dopo. 
La testa mi faceva ancora male, ma resistetti all'impulso di tornarmene a casa e saltare il quarto giorno di scuola.
 
È solo il quarto giorno, posso farcela.
 
Sbuffai, appoggiandomi al palo della luce di fianco alla fermata. Potevo già vedere l'autobus arrivare in lontananza, così mi sistemai lo zaino sulle spalle e aspettai qualche secondo ancora, prima di tirarmi su e camminare fino al margine del marciapiede.
Notai, con enorme stupore, che il veicolo era quasi vuoto. C'erano solo un paio di signore anziane qua e là che chiacchieravano allegramente a proposito del tempo e del fresco che stava per arrivare.
Sorrisi e mi misi a sedere nei posti davanti, tirando poi fuori dallo zaino il libro che avevo intenzione di leggere.
 
Alcune fermate e una ventina di pagine dopo, mi sentii picchiettare sulla spalla, così alzai lo sguardo e notai Michael farmi segno di spostare le gambe per potersi sedere accanto a me. Feci come voleva e osservai il suo occhio nero che il pomeriggio prima non avevo notato.
 
-Che cos'è quello?- chiesi, chiudendo il libro sulle mie gambe.
Lui rise, poi rispose con un “Luke” sussurrato.
Annuii.
-È per quella cosa del fatto che avete provato senza di lui?-.
-Si è sempre creduto il leader, il capo. Penso che in un gruppo non dovrebbe esserci questo tipo di differenza, insomma, facciamo tutti parte del gruppo equamente. Io e Calum non vi abbiamo invitati perché tu e Luke avete più o meno gli stessi professori, e si sa, quelli vi massacrano di compiti. Lo sanno tutti- si strinse nelle spalle e sospirò.
-Non volevo arrivare a tanto, e pensare che gliel'ho pure lasciato fare!- tirò un pugno al sedile di fronte a se e per poco notai i suoi occhi farsi lucidi.
-Volevamo arrivare in alto, sai?- rimasi zitta. Volevo che si sfogasse con me, volevo che i suoi pensieri venissero fuori uno ad uno.
-Era il nostro sogno, avevamo quattordici o quindici anni quando abbiamo deciso tutto- tirò su col naso, così gli appoggiai una mano sulla spalla per non farlo crollare del tutto.
-Luke sembrava quello più emozionato di tutti. Ai tempi i suoi non avevano la possibilità di comprargli una chitarra decente, e fu molto difficile per lui attraversare la situazione- si fermò, asciugandosi una lacrima caduta dall'occhio dolente.
-Non può aver rinunciato così… Non siamo niente senza di lui- potevo sentire il suo respiro irregolare e il cuore battere forte. Odiavo vedere le persone tristi, ma non sapevo mai come consolarle.
-Troveremo una soluzione. Magari gli passa, vedrai- gli spostai una ciocca di capelli dagli occhi e sorrisi.
Lui spostò la testa dalla mia mano e la scosse. 
-Lo sai che non mi piace quando mi toccano i capelli- disse.
-Siamo arrivati- annunciai quando vidi finalmente l'istituto.
-Andiamo- gli lasciai un bacio veloce sulla tempia e passai sopra di lui per scendere.
Michael scosse la testa e mi seguì fino al cortile principale, dove incontrammo Allison e Zoe che parlavano sedute sugli scalini.
-Alli, Zoe, ciao!- alzai la mano e la sventolai in aria, guadagnandomi alcune occhiatacce stranite da parte di alcuni studenti più piccoli.
Sorrisi imbarazzata e camminai mano nella mano con Michael fino alle due ragazze.
Allison, appena vide il ragazzo dietro di me, sbiancò diventando quasi del colore dei capelli di Zoe.
-Hey- la ragazza dai capelli rosa ricambiò il saluto, poi si mise in piedi facendo sventolare un po' la gonna.
-Oh, ciao anche a te… Michael, giusto?- continuò mentre le sue guance sembravano arrossarsi sempre di più.
 
[…]
 
-Dio, quanto è bello- appoggiò la testa alla mia spalla e sospirò.
-Anche con un occhi nero?- chiesi, ridendo. 
-Devo risponderti?- rise e io scossi la testa.
 
“Ovvio.”
 
Stavamo, come sempre, parlando di Michael, e io cominciavo a non poterne più. Zoe si allontanava sempre dal gruppo quando Allison iniziava a parlare di lui, e avrei tanto voluto fare lo stesso.
Girammo nell'aula di scienze e ci sedemmo nel tavolo a tre, aspettando l'arrivo di Zoe.
-Ci hai parlato, vero? Ieri mi hai detto che sei andata da lui. Ah ma la testa, come va? È vero che Dylan ti ha accompagnata a casa? Gira voce, sai. Alcuni dicono che ti trova carina- mi afferrai la testa tra le mani e chiusi gli occhi per un momento.
-Non dovrei dirtelo, ma è una situazione così complicata- dissi di punto in bianco.
-Aspetta- mi fermò, deglutì e ricominciò a parlare. -So cosa succede. Scommetto che tu piaci a Michael e passare tutto questo tempo con lui, cercando di parlare di me, te lo ha fatto piacere. Se è così ti direi che non è giusto, insomma, mi piace da molto più tempo di te!- incrociò le braccia al petto e roteò gli occhi.
-No- la ripresi, mettendo il broncio.
-Diciamo che Michael e Calum sono molto amici, ma… Ecco, diciamo che piaci al secondo, e con Mike non so quanto possa parlare di questo. Tiene troppo alla sua amicizia con Cal- finii di parlare proprio nel momento in cui l'insegnante entrò in classe. La faccia piena di stupore di Allison, invece, non abbandonò i miei pensieri per tutta l'ora.
 
Finita la lezione di scienze, feci per prendere lo zaino e trasferirmi nell'aula di francese, ma venni fermata da Allison che mi bloccò tenendomi per il braccio.
Appena mi girai, apparentemente stupita da quel suo gesto così istintivo e fuori controllo, la sua faccia si dipinse di rosso e vidi le sue labbra mimare un “scusami”.
 
-Potresti venire in bagno con me? Almeno mi spieghi questa storia di Calum- raccolse il suo zaino, tenendo alcuni libri stretti al petto e mi fece strada verso i bagni femminili.
 
-Dovrei andare a lezione, in teoria- mi giustificai. Ero appena arrivata e non sarebbe stato bello se avessi ritardato, anche se solo di una manciata di minuti, a causa di questioni di cuore e non. 
-Dipende solo da quanto ci metti a spiegarmi cosa diamine sta succedendo- le sue guance si arrossarono di nuovo, così, intenerita dal suo sguardo confuso, le spiegai tutto per filo e per segno.
 
-Ora capisco perché mi hai parlato il primo giorno di scuola…- abbassò lo sguardo sul pavimento e cominciò a muovere un piede sul contorno di una piastrella.
-Già-.
-Cioè, non ci credo. In verità ci credo perché me l'hai detto tu, ma è da non credere. Andiamo, Hood, non può essere. Quello non mi si fila neanche un po'- ridacchiai alla sua affermazione.
-Forse sei solo tu che non ci fai caso-.
-Uhm, forse- aprì la porta del bagno e uscì.
-Beh, si sta facendo tardi. Non vieni?- annuii e la seguii.
 
[…]
 
Mentre mi sedevo sul muretto, in attesa di Michael, notai come la calca di studenti non vedesse l'ora di andarsene. Alcuni, semplicemente, salutavano gli amici che abitavano il college e se ne andavano, contenti.
Non sapevo se rimanere al college fosse una buona o cattiva idea, ma prima o poi ci avrei provato.
 
-Ancora qui? Pensavo dovessi andare da Calum- Allison apparve dal nulla, seguita da Zoe.
-Sto aspettando Michael- dissi.
Proprio in quel momento arrivò l'atteso, così scesi dal muretto e gli andai in contro.
-Hey Mike, vieni anche tu a trovare Calum?- chiesi, mettendogli un braccio attorno alle spalle. 
-Non credo, i miei mi hanno messo in punizione per aver dato un pugno a Luke- strabuzzai gli occhi a quella affermazione. Non me l'aveva detto.
-Hai davvero dato un pugno a Luke? Complimenti Clifford- notai Allison e Zoe, in lontananza, scambiarsi sguardi d'intesa.
-Non potevo lasciargliela passare dopo avermi fatto un occhio nero- incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo.
-Non l'ho visto, oggi- ammisi, facendo un riassunto di tutta la giornata nella mia mente. 
-Andava in giro con il cappuccio di una felpa enorme solo per non far vedere il suo naso storto- Zoe prese parola, e ciò non poté che farmi piacere. Zoe non parlava quasi mai se non era interpellata.
-Naso storto?- Michael sorrise, mostrando tutti i suoi denti, e Zoe arrossì, annuendo lentamente.
-Sono troppo forte, d'ora in poi tutte le ragazze impaurite verranno da me e s'inginocchieranno davanti alla mia forza immensa- gonfiò il petto, mentre io e le altre due ragazze scuotemmo la testa divertite. 
-Tra quanto passa l'autobus?- chiesi.
Loro mi risposero che sarebbe passato in meno di venti minuti, così dissi loro di aspettarmi. Dovevo andare in biblioteca a restituire un libro.
 
[…]
 
-Se vuoi ti faccio una scheda personale, così non avrai più bisogno di chiedere a me, ti basta solo scrivere il codice del libro nella colonna e la data in cui lo prendi in prestito, di fianco. Hai capito?- la bibliotecaria, una donna abbastanza giovane con due grossi occhiali sul naso, mi porse una scheda gialla e una penna, così la ringraziai e mi avviai verso uno dei grossi tavoli vuoti.
Scrissi il mio nome a fianco alla scritta Name, aggiunsi in uno dei quadrati la data di quel giorno, poi mi alzai per scegliere un altro libro.
 
L'atmosfera della biblioteca era sempre la stessa; le tende scure, color vino, oscuravano l'ambiente seppur mantenendo quella nota di solennità e tranquillità. I tavoli erano disposti in ordine preciso ai lati del corridoio, tra gli scaffali, e su ognuno di essi vi erano due lampade dalle lente verdastra.
 
-Mh, vediamo- mormorai, avvicinandomi ad uno scaffale pieno di libri rosa.
Mi capitava spesso di non sapere quale libro scegliere, di solito mi affidavo al mio intuito, anche se a volte non facevo proprio la scelta giusta.
Feci per allungare la mano, in direzione di un libro dalla copertina color cipria, quando un'altra più veloce di me l'afferrò senza darmi tempo di accorgermene.
Spostai lo sguardo e solo allora notai una ragazzina bassa e minuta scrutare con interesse il retro del libro.
-Cliché- sussurrò a se stessa, rimettendo a posto il libro.
La osservai interdetta ancora per un po', finché la ragazza, che a quanto pare aveva degli sgargianti capelli rosso fuoco trattenuti in un cappellino morbido, alzò lo sguardo su di me e arrossì.
-Scusa, volevi prendere questo libro?- chiese, riprendendolo in mano e porgendomelo.
-No, credo che i cliché non facciano per me- sorrisi, seguita da lei, e le porsi la mano.
-Emma, quarto anno- dissi.
-Iris, terzo anno- ricambiò la stretta e si sistemò gli occhiali con la mano libera.
Portava una, a quanto pare, pesante tracolla sulla spalla, da cui si potevano notare parecchi libri di scuola.
-Non ti ho mai vista- ammisi, mentre mi sedevo ad uno dei tavoli lì vicino.
-La scuola è grande, ci sono molte aule, io mi muovo furtiva tra gli altri studenti. Non mi piace attirare l'attenzione- si strinse nelle spalle e si sedette di fronte a me, al tavolo di legno.
-Già, ti capisco-.
-Però non credere che io non abbia amici-.
Annuii, lentamente, mentre lei si guardava intorno, forse alla ricerca di qualcuno.
-Eccoli- esclamò senza alzare troppo la voce.
-Si chiamano Ethan e Jake, sono migliori amici da quando erano nella culla- ridacchiò, mettendosi una mano sulla bocca, poi mi indicò due figure non troppo lontane che avanzavano verso il nostro tavolo.
-Giuro che non farò mai più una cosa del genere, Mark è palesemente etero, lo sanno tutti- disse uno dei due, gesticolando con le mani.
-Iris si è fatta una nuova amica. Siamo orgogliosi di te, vero Jake? Forza, dille che sei orgoglioso di lei!- il ragazzo a destra, un tipo dai capelli castani e abbastanza corti, spintonò il secondo, il quale finì addosso a Iris, che scoppiò a ridere.
Ridacchiai anche io, abbastanza divertita dalla situazione, e mi alzai dalla sedia per porgere la mano ai due.
Allungai la mano, ma il ragazzo dai capelli marroni, Ethan, me la riportò a posto e mi squadrò dalla testa ai piedi.
-Emma Evans, quarto anno. Suoni nella band con Clifford, Hood e…- si fermò a pensare, così l'altro ne approfittò per finire la frase. -E Hemmings. Ma a quanto pare ieri è successo un gran casino-.
Annuii, a bocca aperta. C'era davvero gente che sapeva tutte queste cose di me, mentre io non sapevo niente di loro?
-Ma non c'era anche un altro ragazzo più grande?- chiese Iris, che quando notò che tutti la stavano guardando, roteò gli occhi teatralmente.
-Ah sì, Emma tu lo conosci. Pensi che sia gay?- trasalii a quella domanda.
 
No, non credo proprio.
 
L'argomento Ashton, in quei giorni, aveva completamente abbandonato la mia mente per essere rimpiazzato da questioni perlopiù scolastiche e relazionali.
 
-Credo di piacergli in realtà- mi lasciai sfuggire, mentre ero ancora persa nei miei pensieri.
-Adoro le questioni di cuore, racconta tutto allo zio Ethan e allo zio Jake, forza- Ethan mi circondò le spalle con un braccio e costrinse tutti ad uscire dalla biblioteca, così non potei fare altro che assecondare le sue mosse e lasciarmi condurre altrove.
 
[…]
 
-Ethan, ora dovrei andare. I miei amici mi stanno aspettando- bloccai il telefono dopo aver controllato l'ora. 
Il ragazzo mi aveva tenuta con sé alcuni minuti, che mi parvero intere ore, parlando di me, della band, degli altri membri e della relazione che avevo con loro.
Avevo consigliato ad Iris e a Jake di andare da Allison e gli altri per informarli del mio leggero di ritardo, così avrebbero potuto conoscersi meglio.
Sembravano al cento per cento persone di cui ci si poteva fidare e non mi sentivo per niente a disagio, a parte quando mi venivano fatte domande troppo personali. 
-È stato bello parlare con te, ma io e Jake alloggiamo qui, quindi ci dobbiamo separare- alzò le spalle e assunse un'espressione solenne in volto. 
-Ti mando un messaggio più tardi- disse, mentre si allontanava da me con un braccio alzato in segno di saluto.
-Come fai ad avere il mio numero?- chiesi, ancora più stupita.
-Non fare domande, Emmie, te l'ho già detto- risi al buffo soprannome, poi lo salutai di ricambio e tornai al cortile principale, dai miei amici.
 
[…]
 
-Iris mi sembra sia del terzo anno, ma gli altri due sono all'ultimo, se non sbaglio- aggiunse Allison, mentre le porte dell'autobus si chiudevano producendo uno scricchiolio assordante.
-Già- mi sedetti nel primo posto libero e Allison mi si sedette accanto. 
-Quindi… Adesso stai andando da Calum- si arricciò il bordo della gonna al dito e abbassò la testa, tanto che i capelli rosa andarono a coprirle completamente il volto.
-Già- dissi, di nuovo.
-Gli dirai che ora so tutto?- chiese, a bassa voce, spostando tutti i capelli da un lato.
-Forse-.
Sbuffò, arricciando il naso e mettendo il broncio.
Sapevo che in fin dei conti le faceva comodo avere uno spasimante alle calcagna, solo non voleva darlo a vedere.
-Digli che ci devo pensare- aggrottai la fronte.
 
Come? A cosa?
 
-Cosa intendi?-.
-Non lo conosco nemmeno. Prima di invitarmi ad uscire dovrebbe almeno diventare mio amico- incrociò le braccia al petto e sorrise, soddisfatta della sua condizione.
Ma io non provavo affatto la sua stessa soddisfazione.
-Non giocare con i suoi sentimenti. Davvero, non ci provare- spostai lo sguardo fuori dal finestrino e mi accorsi di essere arrivata davanti a casa Hood. Ancora pochi metri e sarei dovuta scendere.
 
-Certo, non ti scaldare. Ci vediamo domani- Allison mi fece passare e raggiunsi il corridoio dell'autobus. Premetti il pulsante per prenotare la mia fermata e attesi. 
 
Una lunga fila di villette a schiera cominciò a scorrere davanti ai miei occhi, mentre guardavo attraverso lo spesso vetro a pochi centimetri da me.
 
L'autobus si fermò, facendomi barcollare in avanti, e scesi, seguita da un paio di altri studenti.
 
-Ciao Emma, che sorpresa trovarti qui-.
 




Hey!
Sono tornata con un altro capitolo abbastanza impegnativo, a quanto pare.
Abbiamo l'entrata in scena di altri tre personaggi: Iris, la dolce e asociale ragazzina dai capelli rossi, gli occhiali grandi e spessi, e il cappellino di lana in testa ed Ethan e Jake, due migliori amici gay che adorano fare comunella e il gossip. 
Però, non so se ve ne siete rese conto, ma ultimamente Ashton è… come dire… scomparso. Mistero, eh?
Scommetto che vi state chiedendo chi possa essere quell'essere che ha salutato Emma, nell'ultima riga. Mistero pt.2.
Finally Emma ha detto ad Allison della cotta di Calum. Succederà un gran casino, me lo sento.
Emozionate per l'uscita di Sunds Good Feels Good ? Io tantissimo.
Spaventate per l'inizio della scuola? Non potete capire quanto, aiut.
Al prossimo capitolo, allora :)
A presto,
-Follow The Sun 

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Capitolo 16
*** Lost Memories. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 16.
 
-Ashton?-.
Egli sorrise, imbarazzato, grattandosi la nuca con una mano.
Notai un accenno di barba crescergli sul mento e attorno alle guance, la quale gli donava un aspetto più mascolino e maturo.
Non era cambiato molto, in fondo.
 
Sono passati solo alcuni giorni, mi sembra ovvio.
 
-Allora… Come va?- chiese, cominciando a camminare. Lo seguii; entrambi stavamo andando nella medesima direzione.
-Bene, non c'è male. E tu?- abbassai lo sguardo sui miei piedi che si muovevano veloci sul marciapiede e aspettai una sua risposta.
Semplicemente, Ashton, sbuffò.
Non mi aspettavo una risposta molto articolata, ma almeno avrebbe potuto rispondermi chiaramente.
 
Arrivai davanti alla casa di Calum, così mi fermai e Ashton fece lo stesso.
-Perché ti sei fermata?- chiese.
Si portò, con una mossa veloce della mano, i capelli all'indietro e socchiuse gli occhi, i quali erano stati accecati dal sole.
-Devo andare da Calum- risposi, cercando di rimanere il meno tesa possibile.
-Anch'io-.
-Ah- mi girai e attesi che fosse lui ad andare per primo.
E così fece, mi sorpassò e attraversò il vialetto, arrivando poi alla porta, sulla quale picchiettò le nocche tre volte.
-Perché devi parlare con lui?- chiesi, maledicendomi per la mia sfacciataggine.
-Ho saputo cosa è successo ieri e…- si fermò per controllare che ci fosse qualcuno in casa, poi continuò. -E ho deciso di non fare più da braccio destro della band- finì.
Sbiancai.
Non poteva davvero aver preso una decisione simile, non in un momento come questo. Non poteva lasciarci in tre. Non saremmo mai andati da nessuna parte, e non avevo ancora parlato né con Calum, né con Luke.
 
-Cosa? Perché?!- impedii di farlo passare, o di farlo entrare, mettendomi davanti a lui.
-Non puoi farlo proprio ora, ti rendi conto che stiamo per rinunciare a tutto?, stiamo rinunciando al sogno di una vita! Michael e Calum ci resteranno malissimo, addirittura più di me! Non puoi farlo davvero- mentre le lacrime spingevano per uscire dai miei occhi, notai Ashton farsi sempre più dispiaciuto.
-Scusami- sospirò, prima di spostarmi e aprire la porta e urlare un forte “Calum!”.
 
[…]
 
Raccolsi alcune buste dalla casella delle lettere e le infilai nella tasca della felpa.
Avevo mentito, avevo detto ai miei genitori che sarei uscita per buttare la spazzatura, ma quella l'avevo lasciata nel sottoscala che portava al garage, e al posto suo avevo portato una bella manciata di ansie e dubbi.
Non mi era mai piaciuto gironzolare a zonzo, di notte, nelle vie secondarie come la mia, ma quella volta ne sentivo il bisogno.
Era come se il buio e la solitudine mi servissero per calmare tutte le brutte emozioni, tutti i sentimenti negativi.
Era successo tutto davvero troppo in fretta.
 
Prima Luke, ora Ashton. Perché?
 
Mi massaggiai le tempie, poi guardai a destra e a sinistra e attraversai.
Non era tardi, ma non si vedeva in giro neanche l'ombra di un gatto.
Sospirai. Forse parlare con qualcuno mi avrebbe fatto sentire meglio. Ma con chi avrei potuto parlare? Non di certo con Michael o Calum, Ashton e Luke tantomeno. Zoe era al college e Allison non sapevo che fine avesse fatto.
Dylan, beh… Non avevo il suo numero. Tutto inutile.
Mi sedetti su un marciapiede non molto distante da casa mia e allungai le gambe davanti a me. 
 
E ora? Che si fa?
 
Presi il cellulare dalla tasca anteriore dei jeans e controllai se c'erano delle notifiche. Niente.
Feci per riporlo in tasca, ma una notifica mi fece sobbalzare, così controllai meglio.
 
10:36 p.m. ] Numero Sconosciuto: Ciao, sono Dylan :) 
 
Trattenni il fiato senza neanche accorgermene. Sorrisi. Sorrisi come non mi era solito fare. Uno di quei sorrisi veri e inaspettati che non faresti mai per paura di sembrare un idiota. Però, forse, lo sembravo anche io.
 
Presi un respiro profondo e, ancora con il cuore che batteva a mille, risposi.
 
10:37 p.m. ] Tu: Ciao Dylan. Come va?
 
Bloccai subito il telefono e mi morsi l'interno della guancia. Un altro respiro profondo. Una risposta.
 
10:38 p.m. ] Numero Sconosciuto: Non voglio annoiarti o farti sentire a disagio, ma ho saputo della storia di Luke e quell'altro. Se vuoi un po' di compagnia, ora sono a fare un giro in auto e non so dove andare.
 
Era successo da solo qualche ora, e sembrava già che lo sapessero tutti.
Nessuno sapeva tenere la bocca chiusa, come sempre.
 
10:39 p.m. ] Tu: Beh, se vedi una barbona seduta su un marciapiede in una via larga e buia in Shanke Crescent, sono io.
 
Ridacchiai, ma allo stesso tempo sentii le guance avvampare. Gli avevo praticamente dato il mio indirizzo, e lui stava venendo da me. Per me.
 
10:40 p.m. ] Numero Sconosciuto: È una via? Credo che userò il navigatore…
 
Mi decisi a salvare il suo numero in rubrica. Così, il suo nome, da Numero Sconosciuto divenne, semplicemente,  Dylan.
 
Un mini-van si fermò davanti a me proprio dieci minuti dopo. I finestrini erano alzati e si poteva benissimo scorgere una canzone proveniente dalla radio, sminuita dal rumore del motore. 
 
Dylan si sporse per abbassare il finestrino. 
 
Una manopola? Molto old style. Figo.
 
-Mi stavo chiedendo… Qui fuori fa freddo. Quanto vuoi per salire in macchina e per farti offrire un bel giro panoramico del quartiere? Benzina e sarcasmo sono inclusi nel prezzo- il suo volto era illuminato dalla luce della radio e dei comandi sul cruscotto, e potei definirla una scena alquanto strana, se non fosse che forse, con lui, sarei riuscita a dimenticare i drammi della mia monotona, straziante, vita.
 
Risi, mentre mi alzavo in piedi, scacciando via la sabbia dai pantaloni.
-Sai, nonostante faccia freddo, venti gradi non sono male, e qui fuori ci sono le stelle. Tuttavia, il tempo che mi separa dal coprifuoco si sta riducendo sempre di più, e sarebbe un peccato se mi mettessero in punizione… Ma un giro lo faccio lo stesso, gratis. Grazie- feci scorrere la portiera e salii, sotto il suo sguardo divertito.
-Farti fare l'intero giro del quartiere non sarà una passeggiata… Ma è notte, non ci sarà nessuno in giro. Ti dispiace se do un po' di gas?- scossi la testa e allacciai la cintura.
-Mi affido alla tua guida spericolata. L'ultima volta mi sono addormentata, non credo che possa essere un problema se lo facessi anche adesso- lo presi un po' in giro, nonostante la paura della reazione dei miei genitori perseguitasse i miei pensieri recenti.
-Avevi sbattuto la testa! Mi sembra ovvio… O forse una bella stazione radio che trasmette musica classica, c'è…- assunse una finta espressione pensierosa e fece per cambiare stazione, ma lo fermai.
-No, va benissimo così- rise.
 
Dopo quasi venti minuti avevamo già fatto l'intero giro dell'isolato, comprese alcune piccole vie attorno a esso. Dylan era un ottimo autista; si fermava agli stop, non andava oltre i novanta all'ora, teneva la musica non troppo alta. Mi sentii, per poco, sollevata da tutto.
Stavamo sorpassando casa mia, quando la mia attenzione venne catturata da Luke, il quale stava camminando sul marciapiede.
 
-Puoi fermarti?- chiesi, slacciandomi la cintura e riportando il cappuccio della felpa in testa.
-Certo, ma perché?- diminuì la velocità e fece per frenare, anche se non ne era ancora convinto.
-Ti prego- lo supplicai.
-Okay-.
Si fermò e fece in marcia indietro, parcheggiando poi poco più avanti a casa mia.
Subito, appena la macchina fu totalmente spenta, scesi e corsi fino a Luke che era intenzionato a bussare.
Non saprei spiegare esattamente come lo avevo riconosciuto, ma dopo tanto tempo che conoscevo una persona, riuscivo a riconoscerla anche per il minimo dettaglio.
 
-Fermati!- urlai, in preda al panico.
Continuai a correre finché la faccia di Luke non mi apparve più nitida.
E lì scoppiai a ridere.
-Sei… Oh Dio. Scusa- cercai di trattenere le risate coprendomi la faccia con una mano, ma quella cosa mi impediva di pensare a altro.
-Finiscila. Non sono qui per litigare- si coprì il naso con tutte e due le mani e si girò di spalle.
-Okay- feci un respiro profondo. -Giuro che non ti scoppierò più a ridere in faccia- dissi.
Luke si girò, mi prese una mano fra la sua, e mi invitò a sedere per terra.
Cercai in tutti i modi di non guardare la fasciatura sul suo naso, ma più cercavo di non farlo, più ci pensavo, e di conseguenza un risolino compiaciuto mi usciva dalle labbra ogni tanto.
Nel frattempo notai Dylan scrutarmi da lontano, appoggiato alla sua macchina con una finta aria da duro.
-Non m'interessa cosa stavi facendo e non voglio intromettermi nella tua vita sentimentale. Volevo solo dirti che mi dispiace. Per tutto, sai. Ashton mi ha scritto una mail e ne sono rimasto paralizzato- si fermò a prendere fiato. 
Stava strappando, con l'altra mano, alcuni fili d'erba, e li lanciava successivamente altrove come se volesse liberarsi di tutto in una volta sola.
-Quindi sono giunto alla conclusione che siete rimasti in tre. Io… Mi dispiace, davvero. Vorrei fare qualcosa, ma…- lo fermai.
-No- dissi, come si fa a un bambino quando fa i capricci.
-Cosa?- sembrò stupito, ma la sua espressione non cambiò molto.
-Non puoi decidere quello che vuoi da un giorno all'altro. Prima fai l'offeso, quello buono, poi dopo vieni a piangere sulla mia spalla dicendomi che ti dispiace. Sai che ti dico? Vallo a dire a Mike e a Cal, che ti dispiace- mi alzai, strofinando le mani sul retro dei pantaloni per liberarmi dell'erba e camminai fino alla porta.
 
11:27 p.m. ] Tu: Buonanotte, D. Ci vediamo domani a scuola. Grazie per il giretto, sei stato molto gentile.
 
Ed entrai in casa, sbattendo la porta.
 
Il mattino dopo incontrai Calum, sorridente, ad aspettarmi davanti a casa. Lo salutai con un veloce abbraccio e camminammo fino alla fermata.
Avrei voluto raccontargli della conversazione della sera prima, ma facendolo avrei scosso le fondamenta della sua nuova opinione su Luke.
-Tra una settimana è il mio compleanno- disse, facendo la sua solita espressione mista fra il timido e l'adorabile.
-Avevo pensato di fare una festa in piscina. Sai, fa ancora abbastanza caldo e l'acqua sarà tiepida, quindi è perfetto!- sorrise.
-Tra un paio di giorni mi arriverà il ciclo, mi spiace ma penso che me ne starò seduta a bordo piscina- ripensai all'ultima volta che mi erano venute le mestruazioni e sbuffai.
Il suo sorriso, nel frattempo, si spense.
-Ma ci sarà un modo. Ad esempio… L'assorbente interno!- feci una faccia schifata. Non l'avevo mai usato e non avevo intenzione di farlo. 
-D'accordo, troverò un altro posto- si arrese.
-Devo ancora pensare a cosa farti- confessai.
-A me non importa il bene materiale, mi basta che ci sei- si mise la mano sul cuore e sorrise.
Lo guardai storto, ma non si mosse, così incrociai anche le braccia, spostando la testa di lato.
-Okay, voglio un regalo- confessò, sbuffando.
-Ti conosco troppo bene- mi vantai, mentre aspettavo che l'autobus si fermasse davanti a me.
 
[…]
 
-Ah, Calum. Prima che te ne vada vorrei dirti una cosa-.
Ci fermammo al centro del cortile principale della scuola e gli misi una mano sulla spalla.
-Allison sa- e me ne andai.
 
Camminavo decisa, senza voltarmi a guardare la gente che mi circondava. 
Mi fermai poco più in là dell'entrata e cercai Allison con lo sguardo; al posto suo trovai Ethan, Jake e Iris, seduti sul muretto, dalla parte opposta alla mia. Così li raggiunsi.
-Buongiorno!- agitai in aria la mano e mi arrampicai sul muretto per sedermi accanto a loro.
-Hey, Evans- risposero Jake ed Ethan all'unisono. Ridacchiai, erano davvero buffi.
-Parlate spesso così? Siete divertenti, ma anche inquietanti- feci notare ai due ragazzi presenti, e Jake alzò gli occhi al cielo, poi indicò con fare teatrale l'amico.
-È lui che mi copia le battute- e si mise le mani sui fianchi, fingendosi offeso.
Io e Iris ci scambiammo una breve occhiata d'intesa e scuotemmo la testa. 
Poco dopo ci raggiunse Michael, con il maglione rosso dell'uniforme legato alla vita, e con un sorriso sghembo in volto.
-Hey Mike, tutto okay?- domandai non appena fu arrivato.
-Avete visto Luke? Si comporta in modo strano- disse di punto in bianco.
Forse Luke aveva davvero cambiato idea e stava cercando di riallacciare i rapporti con noi.
-Tipo?- chiese Jake, alzando un sopracciglio.
-Questa mattina quando è salito sull'autobus mi ha salutato, e poi quando dovevo scendere ha fatto passare prima me senza ribattere- diede una rapida occhiata alle facce di tutti, poi scosse la testa. -Vi dico che qualcosa non va. Sta tramando qualcosa, oppure soffre di bipolarismo- si strinse nelle spalle e si allontanò di qualche passo, ma andò a sbattere contro qualcuno.
-Ops-.
-Scusa!-.
Stavamo parlando del biondo, ed eccolo lì, in tutta la sua bellezza.
-No, scusami tu- ribatté Luke, mi guardò per un secondo, poi ritornò a guardare Michael.
-Non stavo guardando dove andavo, è colpa mia-.
-No, non ti avevo avvertito che mi stavo avvicinando. È colpa mia-.
-Ragazzi- prese parola Ethan. 
Ci girammo tutti nella sua direzione.
-Cosa?! Volevo solo dire che oggi ci sono le audizioni per il cast di danza!- incrociò le braccia al petto e sbuffò.
Ci fu un piccolo scambio di occhiate tra di noi, poi scoppiammo a ridere. Anche Luke rise, e ne fui molto felice.
Ne fui felice perché sembrava tutto ritornato come qualche mese prima, quando ero appena arrivata, quando Calum sembrava provarci con me, quando Luke non tentava ancora di baciarmi, e quando ogni discorso serio si trasformava in uno scherzo.
Per un attimo pensai a come le cose fossero cambiate.
Mi sentivo felice, quando ci trovavamo a suonare, insieme, con l'aria condizionata accesa per via del caldo, con la madre di Calum che ci portava la limonata, e con il sorriso sempre stampato in volto. Pensai a quei momenti come a un ricordo lontano e irraggiungibile, irripetibile.
 
-E tu, Emma, hai già pensato al ballo?- alzai subito la testa quando sentii il mio nome, accorgendomi di Ethan che mi stava scrutando attraverso gli occhiali da sole.
-Non ne vuole sapere- rispose Michael al posto mio.
Mi strinsi nelle spalle e mi allontanai un po' dal gruppo, camminando lentamente verso il retro dell'istituto.
Lì notai alcuni ragazzi seduti sui cassonetti della spazzatura, i quali parlavano animatamente, ridevano e sussultavano. 
Uno di loro allungò la testa e mi vide, così spalancai gli occhi e, non sapendo cosa fare, me ne andai.
-Hey, carina, torna qui!- sentii, mentre mi abbandonavo contro al muro.
-Che c'è? Torna qui!-.
Non sembrava riferito a me.
 
All'improvviso vidi Dylan, solare come sempre, spuntare dall'angolo e sorridere.
-Scusa per il mio amico, fa sempre così… Si chiama Scott- assunse la mia stessa posizione, con la schiena al muro, e osservò gli altri studenti da lontano.
Restammo un po' in silenzio, poi quando mi accorsi della campanella che stava per suonare, mi voltai e cominciai a parlare.
-Scusami per ieri sera, se non ti ho più rivolto la parola. Ma sai, siamo in una situazione un po' difficile e non voglio che le persone a cui tengo soffrano. Spero tu possa capire la situazione. Ti prometto che la prossima volta andrà meglio- mi sistemai lo zaino in spalla, facendo un piccolo salto, e gli sorrisi. Dylan fece lo stesso, ma molto più intensamente.
-Ci sarà una prossima volta? Quindi potrò venirti a prendere per fare un giro ogni qualvolta che vorrò?- chiese.
-Non ho detto questo- e me ne andai.

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Capitolo 17
*** Party or not? ***


"She's a good girl." 
Capitolo 17. 
 
Potrebbe fare caldo.
 
Oppure potrebbe piovere.
 
Afferrai l'ennesima maglietta all'interno dell'armadio e la buttai da qualche parte alle mie spalle. Sbuffai, ormai davanti a me non c'erano che jeans strappati e magliette nere. 
Nero. Nero ovunque.
 
Afferrai una delle magliette che mi era precedentemente caduta dalle mani, mentre buttavo via cose a caso, e la aprii tra le mie mani. L'osservai per un po', poi la buttai di nuovo a terra.
Sbuffai un'altra volta.
Era difficile vestirsi per una festa quando non ero solita ad andarci.
In realtà, se non fosse stato per Calum, non ci sarei neanche andata; ma un'eccezione, ogni tanto, si può fare.
 
-Emma, sono le nove, sei pronta?- chiese mia madre, mentre saliva le scale.
Quando vide il disastro che avevo combinato nella mia stanza, sembrò prendere fuoco.
-Cos'è questo disastro? Tu non esci di qui finché non è tutto in ordine!- ordinò, sventolando l'indice di una mano in aria.
Sospirai e raccolsi alcune magliette, piegandole alla bell'e meglio e infilandole poi nell'armadio.
 
Pensai a quante cose fossero cambiate in solo un mese. Sentivo di avere, ormai, un modo di essere tutto mio. Sapevo come volevo davvero vestirmi e non sentivo più il peso del giudizio altrui addosso. Mi sentivo, in qualche modo, più libera.
Abbassai lo sguardo sulle mie gambe nude e coperte solo dalle calze bianche della scuola, mossi un po' i piedi e decisi che non era esattamente il caso di indossare lo stesso vestito della festa di un mese prima.
 
È già passato un mese. Wow.
 
Spostai il mio campo visivo in alto, sulla scarpiera, dove vi riposavano due scarpe con il tacco di ben 15 centimetri e scossi la testa. Non volevo indossarle. Neanche morta. 
Afferrai un paio di leggings neri e li provai. Tutto normale, semplice e non appariscente, come sempre.
Decisi di tenerli, in fondo non sembrava così male l'idea di andarci ad una festa.
Poi notai, per terra, accanto al letto, una maglietta grigia senza nessuna stampa e senza nessun dettaglio particolare. Ricordai di averla presa in un negozio low cost qualche mese prima, a Londra.
La indossai, e il risultato fu proprio quello desiderato, e non potevo che completare il tutto con un paio di Vans nere.
 
[…]
 
-Fa freddo- dissi, accarezzando con entrambe le mani le mie guance, già abbastanza fredde.
-È vero- rispose Michael, coprendosi la testa con il cappuccio della felpa.
Storsi le labbra, pensando al fatto che anch'io avrei dovuto portarmi una felpa. Michael, a sua volta, però, avrebbe potuto fare il gentiluomo e prestarmi la sua felpa. 
 
Chiedo troppo.
 
Quel monologo interiore mi fece venire in mente, di nuovo, la festa del mese precedente, quando Calum, in giardino, aveva accolto il suo giubbotto di pelle attorno alle mie spalle. Sorriso al pensiero di tanta dolcezza.
 
-Forza, vieni qui- Michael aprì un braccio e mi invitò a farmi spazio tra questo e il suo corpo caldo e accogliente.
Sorrisi e feci come mi aveva detto, ritrovandomi ben presto da un piacevole calore e un profumo maschile niente male.
Camminammo fianco a fianco, attaccati come due cozze allo scoglio, e anche se barcollanti per via delle nostre gambe che si scontravano di tanto in tanto, arrivammo in tempo per la festa.
Calum, nonostante i suoi ormai 18 anni, non aveva voluto festeggiare in grande in qualche locale, ma voleva fare qualcosa di non troppo espansivo.
Aveva invitato noi della band, compreso Luke, e alcuni amici. Io, personalmente, avevo obbligato Allison e Zoe a venire con me alla festa, con la scusa di essere l'unica ragazza; cosa non vera, perché sarebbe venuta anche Iris.
Il motivo i quella bugia era Calum. Egli aveva passato l'intera settimana precedente pregandomi, in ginocchio, di portare con me la mia amica dai capelli rosa. 
 
-Il mese scorso, alla festa, sono riuscito a baciare una ragazza con la lingua. Credi che questa volta riuscirò a parlarci, prima?- chiese, ironizzando la sua domanda.
Michael non era affatto uno da una botta e via. Piuttosto prima ti raccontava la storia della tua vita, poi forse se ne sarebbe andato via contento.
-Quella ragazza era ubriaca. Non sarebbe riuscita nemmeno a dirti 'baciami'. Ed è per questo che l'ha fatto senza pensarci- gli spiegai.
-Chissà chi era- sospirò, e feci lo stesso.
 
La casa di Calum era già ben illuminata, e sul marciapiede davanti ad essa notai Ethan e Jake parlare tranquillamente. Forse stavano aspettando me.
 
-Hey, ragazzi- corsi nella loro direzione e mi fermai non appena i miei piedi furono sul marciapiede, accanto a loro.
-Emma, ciao- Jake mi sorrise e mi si avvicinò per abbracciarmi.
-Non adesso. Guardate- Ethan indicò una finestra al piano di sopra e si nascose meglio dietro alla siepe che ci separava da casa Hood.
-Là, al piano di sopra. Sembra che qualcuno si stia spogliando- mi sentii avvampare a quelle parole, così mi abbassai in modo che la mia testa non superasse il bordo della siepe.
-Siete matti?! Se Calum mi vede spiarlo non potrò mai più rivolgergli la parola in vita mia- mi abbassai ancora, finendo col sedermi per terra e aspettai che ance Michael ci raggiungesse.
-Ciao ragazzi. Emma, che succede?- chiese, a disagio.
-Stanno spiando Calum- risposi, coprendomi gli occhi.
-Uh, ma quello non è Cal. Quello, o dovrei dire quella, è sua sorella-.
Ethan e Jake si guardarono in contemporanea e scoppiarono a ridere, prendendosi a braccetto e incamminandosi verso l'entrata della casa.
-Chi li capisce è bravo- concluse Michael. 
Mi porse la mano e mi alzai, poi seguimmo i due ragazzi e, insieme, suonammo il campanello.
 
[…]
 
-Buon compleanno!- abbracciai Calum che, emozionato, non riusciva a stare fermo nemmeno un secondo.
-Grazie Em- ricambiò l'abbraccio e controllò tra le mie mani se avessi un regalo o qualcosa di simile.
-Le mie più sentite scuse, Hood, ma i regali si faranno attendere- gli scompigliai il ciuffo e mi allontanai così che anche gli altri potessero fargli gli auguri.
 
-Quindi nessun regalo per me?- chiese, mettendo il broncio.
Alzai gli occhi al cielo e lui rise; nel frattempo gli altri si stavano già approfittando del bancone della cucina, pieno di stuzzichini. 
 
Iris entrò poco dopo, accompagnata da Allison, e si fiondò letteralmente a esaminare lo scaffale dei libri in salotto.
Allison, invece, in ghingheri per l'occasione, non fece altro che controllare il telefono per minuti che sembrarono infiniti.
 
-Ciao Alli, ci sono anche io- le passai di fianco con un piatto pieno di pop corn e patatine, e glielo porsi.
-Scusami Emma. Zoe doveva raggiungermi qui fuori da venti minuti ma non si è fatta viva- cominciò a mangiucchiare alcuni pop corn, continuando a usare il telefono.
-Pensi le sia successo qualcosa?-.
-Spero di no. Il brutto è che non risponde né ai messaggi, né alle telefonate. Sono preoccupata- tolse il mollettone dai capelli, facendoli così sciogliere sulla sua schiena, e li mosse un po'.
-Vedrai che non è niente. Magari i suoi l'hanno messa in punizione e non può usare il cellulare, oppure si è rotto. Sai com'è fatta lei, con le sue mani di burro- le sorrisi, incoraggiante.
Annuì, non molto convinta, poi si guardò intorno alla ricerca di qualcosa.
-Sì, c'è. È in cucina- dissi. Sapevo che stava cercando Michael, quindi le feci risparmiare il tempo di cercarlo.
La vidi arrossire di colpo, poi si girò e fece per raggiungerlo, ma la fermai con un forte “hey” che la fece subito girare.
-Con discrezione-.
 
[…]
 
-Piñata!- urlarono i ragazzi, in coro.
Aiutai Michael nel mettere la benda sugli occhi a Calum, poi ci allontanammo dal diretto interessato e aspettammo che si muovesse.
Ogni volta che Calum colpiva a vuoto con la mazza da baseball, quello più vicino a lui di noialtri si sentiva svenire.
 
-Hey, Cal, piano con quella mazza- lo rimproverò Iris, che per poco non finì per terra e con un bernoccolo.
-Non diresti lo stesso in altre circostanze- urlò in risposta Calum.
Nei pochi secondi successivi nessuno si mosse o disse nulla, solo dopo che Iris realizzò il doppio senso, si allontanò dal gruppo sbraitando e noi scoppiammo a ridere.
Quando Calum ebbe, finalmente, rotto la piñata e notai che Iris non era ancora tornata indietro, andai a cercarla.
 
Provai prima al piano di sopra, in bagno, ma non c'era. Poi provai a guardare in cucina, ma non la trovai neanche lì. Infine uscii in giardino, e mi resi conto i quanto già facesse freddo; Iris era seduta nel prato, con la testa bassa, mentre strappava alcuni fili d'erba per poi lanciarli lontano.
 
-Hey Iris, qualcosa non va?- chiesi, facendomi posto accanto a lei.
-No, è tutto okay… Piuttosto, cosa ci fai tu qui?-.
-Potrei farti esattamente la stessa domanda- alzai gli occhi al cielo e lei mi imitò, soffermandosi con la testa alzata ad esso.
-Dovresti entrare, sei la principessa della serata- abbassò subito gli occhi, nascondendosi tra i capelli rossicci alla luce che proveniva dalla casa.
 
Pensai che forse si sentisse trascurata, che nessuno pensasse a lei. Forse non si sentiva a suo agio, forse avrebbe preferito non venire a quella festa. Fatto sta che non mi piaceva per niente vedere gli amici piangersi addosso e fingere che andava tutto bene. 
Così mi alzai, le allungai la mano, e la guardai con aria di sfida.
 
-È questo il problema? Ti senti messa da parte?- lei scosse la testa, come se ne fosse davvero convinta. 
-Facciamo così- afferrò la mia mano, tirandosi su. -Darai tu il regalo a Calum-.
 
[…]
 
-…Tanti auguri a te!- finimmo in coro, mentre Calum soffiava sulle candeline.
Aveva le guance rosse e la solita espressione imbarazzata, ma si stava divertendo, e stava bene.
Si guardò attorno, poi mise il broncio per l'ennesima volta durante la serata.
-Dov'è il mio regalo? Ve ne siete dimenticati?- proprio in quel momento mandai il messaggio a Iris, pregando che nulla andasse storto.
 
La porta si aprì, mostrando Iris alle prese con un borsone color rosso ketchup, e tutti sorridemmo. Solo Calum rimase imbambolato con un'espressione stranita.
La rossa camminò a stento per tutto il corridoio che portava al centro del salotto, tolse una mano dalla tracolla e si sistemò i capelli con questa, poi rivolse uno sguardo imbarazzo a Calum.
-Auguri. Questo è il tuo regalo- disse.
A Cal si fermò il respiro. Afferrò la tracolla ringraziando Iris, poi cominciò ad aprire la cerniera e non appena vide ciò che era al suo interno, notai i suoi occhi farsi lucidi.
-No, ragazzi, davvero?- portò le mani alla bocca e s'inginocchiò.
La palla di pelo dentro al borsone cominciò a scodinzolare, tirando fuori la lingua e facendo versi strani.
Calum lo prese in braccio e rise.
-Sei la cosa più dolce che abbia mai visto? Cosa sei?, un Bassotto?- il cane leccò il naso di Cal, il quale rise e si asciugò con la manica della felpa.
 
Rimasero a fare conoscenza per alcuni minuti, poi Calum si alzò, tenendo in braccio il suo nuovo piccolo animale, e con un sorriso enorme ci chiese quale fosse il suo nome.
 
-Io volevo chiamarlo Ketchup, dato il colore della tracolla- Michael incrociò le braccia al petto, sbuffando. 
Nessuno aveva acconsentito a chiamare il cane in quel modo, e c'era rimasto male.
-L'abbiamo chiamato Ronnie- s'intromise Luke, che andò ad accarezzare la testolina del piccoletto.
Sorrisi e mi girai per prendere con me Michael, che probabilmente stava ancora pensando al nome Ketchup.
Lo portai in cucina e mi sedetti su una sedia.
-Sai qualcosa a proposito di Ashton?- scosse la testa. -Io l'ho avvisato, comunque- conclusi, guardando altrove.
Non mi andava giù il fatto che non fosse venuto alla festa di un suo, ormai, amico. Se c'ero io, poteva benissimo esserci anche lui.
-Emma, si calmerà. Ora sarà un po' scosso per questa faccenda, ma vedrai che un giorno verrà a piangere da noi. Vedrai- mi diede un veloce abbraccio e si allontanò.
Si girò, ancora, e sospirò.
-So che ti manca. Tornerà- e non lo vidi più. 
Non volevo uscire dalla cucina. Non sapevo il perchè, ma le sue parole, in qualche modo, mi avevano colpita.
Mi domandai se mi mancasse davvero, oppure se fosse solo il suo sorriso a mancarmi. Il suo sorriso, i suoi occhi, le sue fossette e la sua risata… Troppe cose. Forse non mi mancava affatto. Forse era troppo tardi per pensare.
Appoggiai la testa sulle braccia, sul tavolo, e sospirai. 
Sperai, quando mi tirai su, stiracchiandomi, che qualcuno mi avesse mandato un messaggio. Sapevo già quali persone avrebbero potuto farmi spuntare il sorriso, ma non si può sempre avere tutto nella vita.
 
Un messaggio non letto.
 
11:26 p.m. ] Calum: Ronnie è davvero simpatico. Vieni fuori a giocare con noi?
 
Bloccai il telefono e sorrisi un po'.
D'un tratto mi sembrava di aver esaurito tutta l'energia positiva.
Allison entrò in cucina in quell'esatto momento, mettendosi accanto a me e nella mia stessa posizione.
-Michael è davvero carino stasera, ma Calum deve smetterla di fissarmi- accavallò le gambe con fare teatrale e afferrò il telefono dalla tasca dei jeans.
La imitai, scorrendo tra i messaggi.
Me fermai su Ashton non prima di aver controllato che lei non mi stesse guardando, poi scrissi quel messaggio con il cuore in gola. 
 
11:37 p.m. ] Tu: Ciao. xx
 
-Sono stanca, torniamo a casa?- chiese Allison, stropicciandosi gli occhi. Il mascara gli si sbavò su tutta la guancia, il che mi fece ridere.
-Certo, andiamo-.
 
Salutammo tutti con abbracci e doppi baci sulla guancia, anche Ronnie, poi c'incamminammo verso casa. A metà strada ci fermammo, segno che lei abitava in quella direzione.
 
-Pensi che Zoe stia bene?- chiese, prendendo il telefono per avvertire suo padre che sarebbe arrivata da un momento all'altro.
-Tranquilla, non può esserle successo nulla- le diedi un mezzo abbraccio e la salutai. Poi si girò e si mimetizzò con il buio della notte, lontano da me.
 
 
00:00 a.m ] Ashton: ‘Scusa?’ Era questo che volevi sentire? 





Allora. Premetto che il capitolo sarebbe dovuto essere molto più lungo e scritto bene, ma con l'inizio della scuola, scrivere, è stato un incubo, davvero.
A voi com'è andato il rientro? Tenebroso come il mio? Spero di no, su.
Passando alle cose del capitolo. Party poco hard a casa Hood. Michael aka sweet cucciolo adorabile. Ethan e Jake aka fangirl in fase ormonale e Iris aka cagatemi o faccio una strage. 
Non mi faccio di nessuna sostanza, e sì, il capitolo l'ho scritto io. Io ho dato i pensieri a questa ragazza. Io l'ho fatta diventare pazza da un momento all'altro, quindi dovete picchiare me.
Non molto altro da aggiungere, ma preparatevi al prossimo capitolo. Davvero.
-Follow The Sun 

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Capitolo 18
*** No. I don't. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 18.
 
Ognuno di noi, nella vita, ha almeno una volta scartato una delle grandi possibilità che essa ci ha offerto. 
Parecchie volte, lo ammetto, non mi sono accorta di queste enormi possibilità, e me ne sono accorta solo dopo, di averle perse.
Zoe era morta.
Domenica, il giorno dopo il compleanno di Calum, i genitori di Allison mi chiamarono per darmi la terribile notizia. Lunedì, invece, Allison mancò da scuola. Venni a sapere da mia madre, che già era in contatto con quella di Alli, che la mia migliore amica stava andando dallo psicologo per guarire dall'autolesionismo.
Quando lo seppi, il mondo mi crollò addosso. 
Troppe informazioni tutte in una volta, tanto che forse, dallo psicologo, dovevo andarci anche io.
 
[…]
 
-Bene ragazzi, oggi vi consegno il compito di settimana scorsa- disse la professoressa del mio corso di spagnolo.
-Come sono andati?- girandomi, notai il compagno di banco di Luke con la mano alzata e lo sguardo puntato sulla professoressa.
-Nel complesso bene- rispose, mentre cominciava a distribuire i fogli.
Andava in ordine di cognome, perciò sapevo quando sarebbe arrivato il mio turno. Ero in ansia, lo ammetto. Le mie dita picchiettavano ritmicamente sulla superficie liscia del banco, mentre il mio labbro inferiore veniva torturato dai denti.
Quando vidi l'insegnante venire verso di me respirai a fondo e aspettai, aspettai qualsiasi sua reazione.
 
-Evans. Muy bien- appoggiò il foglio sul mio banco e se ne andò, ondeggiando con i fianchi.
Chiusi gli occhi per un attimo, poi li riaprii per controllare il voto.
 
A-
 
Improvvisai un balletto, nella mia mente, e mi maledissi per quei due dannati segni rossi sul foglio bianco macchiato di blu.
 
-Quanto hai preso?- chiese Eduardo, un mio compagno di corso che veniva dalla Spagna.
-Una A meno, tu?- chiesi, nonostante sapessi già la risposta.
Mi sembrava ovvio che uno studente originario della Spagna prendesse il massimo dei voti.
-Per poco mi superavi. A più- sorrise, fiero, e si voltò.
Scossi la testa e mi girai per vedere quanto avesse preso Luke.
Però quando lo vidi in volto, non notai proprio una faccia felice.
 
Dopo un po' alzò la testa dal foglio e lo girò nella mia direzione, per farmelo vedere.
 
C-
 
Cercai di fare una faccia dispiaciuta, mentre mi stringevo nelle spalle, pensando a un modo per non fargli sapere del mio ottimo risultato. Non volevo che si sentisse inferiore a causa mia, e soprattutto non volevo passare per la secchiona di turno, tantomeno con Luke.
 
[…]
 
-Che fai oggi pomeriggio?- chiese Michael, mentre si appuntava qualcosa sul braccio.
-Non lo so, credo che andrò a trovare Allison- scesi i gradini della scuola, per arrivare nel cortile, e alzai la testa per capire se avrebbe piovuto.
-Ancora? Non si è ancora ripresa? Incredibile, è passato un mese e ancora si ostina o non venire a scuola- sbuffò, sistemandosi meglio la manica della felpa, che era stata precedentemente alzata per permettere al braccio di essere scarabocchiato per bene.
-Lo sai che ci sta ancora male, ma spero che si rimetta presto, se no dovrà ripetere l'anno…-.
Continuai a camminare a testa bassa, osservando l'ombra delle mie gambe sul terreno umido. Pensai che forse non era il caso di far indossare la gonna anche a Febbraio, quando stava arrivando il freddo, ma almeno avevamo la possibilità di metterci dei maglioni, marcati Norwest Christian College, ovviamente.
 
-È un peccato che io non ci sia l'anno prossimo. Sai, mi sarebbe piaciuto venire nella tua classe nel bel mezzo della lezione e urlare:“Prom?”- ridacchiai, pensando a come sarebbe potuta sembrare la scena, poi mi girai verso Michael e gli rivolsi un'occhiata dispiaciuta.
-Mi dispiace, ma non sono una a cui piace ballare- alzai il volto e proprio in quel momento vidi l'autobus fermarsi davanti al cancello del Norwest.
-Corri!- urlai, prendendolo per mano e iniziando a correre, già con il fiatone dopo dieci metri.
 
Appena entrai sull'autobus, riconobbi i volti di Ethan, Jake e Iris, seduti negli ultimi posti. La ragazza mi fece segno che c'era un posto libero accanto a lei, così le sorrisi e attraversai il piccolo corridoio.
Tutto quel trambusto, causato dai ragazzi tutt'intorno, che parlavano ad alta voce, mi dava sicurezza. Ormai tutto ciò faceva parte della mia routine, e sicuramente se avessi cambiato vita mi sarebbe mancato molto.
 
Raggiunsi Iris ed esclamai un forte “Ciao!” per farmi sentire anche dagli altri due ragazzi. Tutti e tre alzarono una mano in segno di saluto, così sorpassai Iris e mi sedetti accanto al finestrino. 
Aspettai che l'autobus partisse, poi mi concentrai sul paesaggio al di fuori di quella lastra di vetro.
Il paesaggio passava veloce, le macchine sembravano più piccole e svelte, le voci delle altre persone sembravano completamente scomparse, mi sembrava di stare in una dimensione tutta mia, fatta di immagini veloci e sfocate.
-Va tutto bene?- chiese Iris, all'improvviso.
Mi girai, sorprendendo la rossa a fissarmi; Ethan si era alzato e stava agitando i fianchi al ritmo di chissà quale canzone, Jake, invece, filmava il tutto.
-Certo- sorrisi e mi girai, ancora.
-Andrai da Allison?-.
Sospirai, abbandonando un'altra volta la mia dimensione al di fuori del finestrino, e mi sistemai lo zaino sulle gambe per stare comoda sul sedile.
-Lo faccio quasi tutti i giorni- finii con una risata sarcastica.
-Già- mi fece eco con la risata, e si girò.
 
Iris ed io avevamo instaurato un grande rapporto di amicizia, a distanza di un mese. Ci vedevamo molto spesso, anche durante l'orario scolastico, tra una pausa e l'altra. Solitamente la vedevo in giro con Ethan e Jake, ma era sempre più spesso da sola, con i suoi libri stretti al petto. Negli ultimi tempi era completamente immersa nella lettura di alcuni importanti testi poetici, e sembrava non avere molto tempo per svagarsi, ma nonostante tutto riuscivamo a vederci lo stesso.
Mi aveva aiutata a superare le notizie di Allison e Zoe, e mi aveva fatto stare meglio con le sue battute e i suoi abbracci.
 
Notai, dopo alcuni minuti, il mio telefono illuminarsi, così lo presi con entrambe le mani e lessi.
 
[ 3:36 p.m. ] Allison: Ho deciso. Domani torno a scuola.
 
Sorrisi al messaggio, e quasi mi venne da piangere. Finalmente la mia migliore amica aveva deciso di lasciare alle spalle il passato, e di guardare al futuro.
 
-Iris- mi alzai, notando che anche lei aveva fatto lo stesso alcuni secondi prima.
Mi guardò con aria interrogativa, fermando Jake che stava cercando di dirle qualcosa di stupido.
-Ti va se stasera sto a dormire da te?- chiesi, abbassando lo sguardo a terra e cercando di farle capire che avevo bisogno di qualcuno con cui parlare.
-Ehi- alzai la testa, per poi vedere la sua espressione compiaciuta.
-Certo che puoi. Però muoviamoci, questa è la nostra fermata- mi prese una mano e mi guidò fino all'uscita.
 
[…]
 
-Sì, mamma, ho tutti i libri per domani- sbuffai, prendendo un cioccolatino dal tavolino in vetro del salotto.
-Sei sicura? Hai controllato?- chiese, di nuovo, alzando la voce.
-Mamma…- mi lamentai.
Addentai il cioccolatino, per poi sentire mia madre sbuffare.
-Emma, senti, ultimamente manchi spesso a casa. Per caso ci stai nascondendo qualcosa? Fumi? Ti droghi? Hai un ragazzo? Lo sai che con noi puoi parlare…- mi ingozzai con il cioccolatino, poi mi ricomposi e e deglutii con calma.
-Va tutto bene. Non faccio nulla di ciò che hai detto, okay? Voglio solo parlare un po' con Iris, la mia amica, lei mi capisce molto più di chiunque altro-.
-Come vuoi, ma domani ti voglio a casa- assunse un tono più autoritario, ma che non avrebbe saputo tenere per molto.
-Certo, ci sentiamo domani- alzai gli occhi al cielo e mi alzai da divano, per raggiungere Iris in camera.
-A domani, sogni d'oro- e chiuse la chiamata.
 
Attraversai il corridoio ed entrai nella stanza della mia amica, trovandola concentrata davanti allo schermo del suo computer portatile.
-Devo fare una ricerca per domani. Di questo passo non finirò mai…- abbandonò la testa sulla scrivania, provocando un gran rumore, poi si lamentò per il dolore.
-Allora, mentre ti lamenti di cose di cui non dovresti, io faccio un paio di equazioni per domani- saltai sul letto e afferrai il mio zaino.
Aprii il libro di Algebra e cercai gli esercizi per il giorno seguente.
-Solo un paio? E il resto quando lo fai?- chiese, continuando a digitare sulla tastiera.
-Domani, durante la pausa, mi aiuta Michael- cominciai a scrivere l'espressione, torturando il cappuccio della penna tra i denti, di tanto in tanto.
-Oh, giusto. Michael- alzò gli occhi al cielo, così le tirai un cuscino. Ma non avrei mai immaginato che cadesse a terra così facilmente.
-Oh Dio. Tutto bene?- mi alzai velocemente da letto e corsi a tirarla su da terra.
-Ahio- si lamentò, massaggiandosi il retro della testa.
Non si era fatta nulla di grave, per fortuna.
L'aiutai a mettersi di nuovo seduta, dopodiché mi concentrai una volta per tutte a fare quelle diaboliche equazioni.
 
Dopo circa un'ora, quando arrivarono le dieci, decisi di chiudere libro e quaderno, e di mettermi a dormire.
Non fu facile, dato il continuo rumore di tasti che provocava Iris, digitando sul suo portatile, ma riuscii comunque ad addormentarmi.
La mattina dopo, la madre di Iris ci accompagnò a scuola. Iris sembrava più solare del solito, forse perché avevamo cominciato a portare il maglione sopra alla camicia dell'uniforme.
I colori principali dell'uniforme del Norwest erano il rosso scuro e, ovviamente, il banco.
 
Arrivate a scuola, circa mezz'ora dopo, salutai Iris e corsi verso l'aula di Chimica. Arrivai giusto in tempo, e mi venne quasi naturale sedermi accanto ad Allison.
Esatto, lei era lì, ma realizzai solo qualche secondo dopo.
Non l'abbracciai, non feci nessuna scenata teatrale, mi limitai a mimarle un “ciao”.
Lei ricambiò alzando di poco la mano, sembrava stare meglio.
Alzai la testa, abbastanza per vedere in faccia il professore, che stava facendo l'appello, e, quando arrivò il mio turno, dissi il mio “presente”.
 
-Allora, ragazzi, come avevamo già accennato la scorsa volta, la tavola periodica si divide in… Chi lo sa?-.
Sbuffai, sapendo la risposta ma non volendo alzare la mano per nessun motivo.
Sentii un tocco leggero sulla mia spalla, così mi voltai.
-Mi potresti passare gli appunti dei corsi che abbiamo insieme?- chiese, tenendo sempre lo sguardo basso.
Annuii, senza distrarmi troppo dalle parole del professore.
 
-Quindi se, ad esempio, prendo l'ossigeno che ha… Quanti elettroni ha? Chi lo sa?- alzai di nuovo gli occhi al cielo.
Odiavo quando i professori ponevano domande retoriche alla classe. Non lo trovavo giusto. Non capivo il perché, se uno sapeva già la domanda, dovesse chiederlo lo stesso.
Reputavo l'interrogazione molto più utile, o almeno una verifica.
 
-Credi che mi rimanderanno? Ora che ci penso mi sento proprio una stupida. Non avrei dovuto saltare così tanti giorni- disse Allison, mantenendo un tono di voce abbastanza basso per non farsi sentire dal professore.
-Non so, però dovrai recuperare molto- poggiai il gomito sul banco, per poi mettere il mento sul palmo della mano.
-Scusa se in queste settimana mi sono comportata da egoista, non volevo. Ma sai, lei se n'è andata e non potevo sopportarlo. Ma ora credo sia passato- analizzai attentamente le sue parole nella mia mente, e quasi mi venne l'impulso di annuire e dirle che aveva ragione, che non avrebbe dovuto esagerare così tanto, ma non lo feci. E forse ero stata stupida anch'io per non averlo fatto.
-Non ti preoccupare- dissi soltanto.
 
La lezione terminò quarantacinque minuti dopo, così mi diressi, da sola, nell'aula di Letteratura moderna. Appena entrai, vidi Calum e Luke piegarsi dal ridere. Lo stavano facendo fin da prima che io entrassi, quindi non andai a pensare che fossi io la causa.
-Ciao- li salutai tenendo la mano alzata mentre andavo nella loro direzione.
-Ciao!- dissero all'unisono, continuando a ridacchiare sottovoce.
-Novità?- chiesi.
-Niente di che- rispose il biondo, trattenendo una risata.
-Michael ha invitato una ragazza al ballo- rispose, invece, Calum.
Assunsi un'espressione sorpresa e ridacchiai anche io come loro.
-E allora? Perché ridete così tanto?-.
-Perché lei ha rifiutato!- rispose Luke.
Scossi la testa, guardando male i due ragazzi.
 
[…]
 
-Mamma, papà, sono a casa- sfilai le scarpe dai piedi e li trascinai fino alla cucina, dove trovai mia madre nell'intento di cucinare qualcosa.
-Ciao Emma, tutto bene a scuola? Come mai hai fatto tardi?- chiese, alzando il cucchiaio di legno e assaggiandone un po'.
-A scuola tutto bene. Ho fatto tardi perché ho voluto passare un po' di tempo con Allison-.
-Ah già, sua madre mi ha detto che è tornata a frequentare le lezioni. Qualche voto?- spense il fuoco e incrociò le braccia al petto.
Alzai gli occhi al cielo e mi sedetti al mio posto a tavola, successivamente mi sbottonai il colletto della camicia per stare più comoda.
-Una A meno in spagnolo- mi strinsi nelle spalle e abbassai gli occhi sul mio piatto ancora vuoto.
-Brava- disse, solamente.
Mi sentii un po' delusa. A meno era un bellissimo voto, e mi sarei aspettata un poco di entusiasmo in più. Ma ci avevo fatto l'abitudine, ormai.
-Buonasera- mio padre entrò in cucina, si sedette accanto a me sul tavolo e si sistemò le maniche della camicia.
-Tutto bene?- mi chiese, lasciando un bacio veloce sulla mia fronte, facendomi sbuffare.
Annuii lentamente e aspettai che mia madre mettesse il cibo nel mio piatto. Avevo davvero tanta voglia di mangiare, come sempre tra l'altro.
 
Durante la cena mia madre parlò del ballo scolastico. Sul sito della scuola erano già stati messi alcuni dettagli.
Si sarebbe tenuto nella prima settimana di maggio, nel teatro della scuola, situato a nord dell'istituto.
I miei genitori erano elettrizzati all'idea che avrei potuto partecipare al ballo, ma non pensavo lo stesso.
Non ero molto intenzionata ad andarci, o almeno non nel quarto anno, forse all'ultimo. Forse.
 
-Io mi congedo, buonanotte tesoro. Buonanotte Emma- mi diede un altro bacio sulla fronte, meritandosi un'altra mia occhiataccia, e si alzò dalla sedia per dirigersi altrove.
 
-Oggi ho sentito Lucas per telefono- disse mia madre dopo alcuni minuti di insistente silenzio.
Non risposi. Lucas mi faceva venire in mente principalmente brutti ricordi, oltre a quelli belli, anche se molto lontani.
-Si è trasferito a Miami… Pare che abbia una nuova fiamma- mi passò accanto, urtando con la mia sedia.
Strinsi le labbra fra loro, facendo l'indifferente.
-Ora, se permetti, io vado a farmi un bagno- mi diede una carezza sui capelli e se ne andò.
Rilassai, così, le spalle, sentendomi libera dai giudizi familiari. Mio padre era nel suo studio, mia madre in bagno. Potevo avere del tempo da dedicare a me stessa, finalmente.
 
Salii in camera mia e notai un vestito rosso, sul letto. Notai anche un bigliettino su di esso.
 
«Divertiti al ballo.»
 
 
 
 
Salve a tutti!
Sono felice di essere qui dopo un bel po' di tempo, visto che non aggiorno da un po'.
Comunque, alla fine l'importante è avercela fatta.
Capitolo triste è davvero orrendo, devo ammetterlo. Ho inserito dramma in tutte le fessure, evviva. 
Emma sembra turbata dal comportamento della sua amica Allison. L'avrà perdonata? Lo scopriremo nel prossimo episodio! No, okay scherzo.
Già nel prossimo capitolo faremo un grande salto avanti nel tempo, questo capitolo della storia è ambientato verso la fine di Febbraio, circa un mese dopo il compleanno di Cal. Nel prossimo, invece, arriveremo a Maggio. È un grande salto, ma per far diventare un po' più movimentata la storia, serve.
E con questo ho detto tutto.
Spero di rivedervi presto.
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Capitolo 19
*** Marriage? ***


"She's a good girl." 
Capitolo 19.
 
[Alcune settimane dopo]
 
Già alcune limousine erano passate davanti a casa mia. Alcune di loro si facevano notare, suonando il clacson ripetitivamente e tenendo la musica al massimo.
Immaginavo la felicità delle ragazze a bordo di esse, vestite i tutto punto, con grandi scarpe munite di tacchi alti e una pettinatura perfetta.
Immaginavo quanto potessero essere emozionate per il ballo della scuola, quel periodo che annuncio l'inizio della seconda metà dell'anno scolastico.
 
I mesi erano passati in fretta, lo ammetto, le cose a scuola andavano abbastanza bene, il Norwest Christian College non era poi così difficile.
Tutti, ormai, avevamo superato la morte della nostra amica e ci avevano messo una grossa pietra sopra.
 
Cambiai canale alla televisione, notando con grande dispiacere che ogni canale parlava sempre e solo del ballo scolastico che era popolare in molte scuole della zona. 
Non sapevo che fare.
L'ultimo messaggio da parte di Allison era di mezz'ora prima. Diceva che andare al ballo con Calum non sarebbe stata poi una così cattiva idea. D'altronde il moro si era rassegnato alla sua vita futura con la ragazza dai capelli rosa, e aveva preferito fare le cose con calma, aspettando che fosse il destino a decidere per loro, o meglio dire per lui.
Iris stava studiando per gli esami biennali, e non aveva di certo tempo da perdere ascoltando le mie lamentele. 
Così mi ritrovai a sprofondare nel divano, mentre mezza città festeggiava.
 
-Emma, mi sarebbe piaciuto tanto vederti indossare il mio vestito- i miei genitori arrivarono in salotto vestiti eleganti, pronti per uscire.
Alzai gli occhi al cielo, suscitando qualche pensiero negativo nella mente di mia madre, che sbuffò rumorosamente.
-Spero solo che tu ci vada l'anno prossimo. E spero che il vestito ti vada ancora bene- aggiunse mio padre, aprendo la porta d'ingresso a mia madre.
-Noi andiamo a cena, buona notte e non fare disastri. Ciao!- finì mia madre.
I due sparirono dietro alla porta, e tornò il silenzio.
Non avendo niente da fare, decisi di scendere in cantina a provare la batteria, in vista di alcuni spettacoli già programmati in diversi locali della città in cui non ero mai stata.
Mi fasciai le dita e le nocche della mano con delle bende per non far aderire il legno delle bacchette con la pelle e per fermare l'eventuale formazione di calli.
Provai per un po', finché non sentii suonare il campanello, così salii la scaletta a chiocciola della cantina e corsi alla porta.
Guardai attraverso lo spioncino della porta, notando solo una chioma fluente di capelli.
 
“Michael”, pensai.
 
Senza esitare aprii la porta, e subito dopo mi ritrovai le mani del mio migliore amico a stringermi le spalle.
-Devi venire con me al ballo- non devi in tempo a ribattere che continuò a parlare. -So che è una pessima idea e che è tardi, ma è una questione di vita o di morte. Ti prego- scossi la testa.
-Ti ho già detto che non verrò- sputai.
-Ti prego-.
-No-.
-Per favore-.
-Ho detto no-.
-Fallo per me!-.
-Ma non ci penso neanche!-.
-Bene!-.
-Perfetto!-.
Lasciai Michael dov'era e corsi in camera mia per soffocare un urlo nel cuscino del mio letto.
Odiavo davvero dire di no a persone come Michael, ma dovevo farlo.
-Emma?-.
Non risposi.
-Andiamo! Non ci potrò essere il prossimo anno! Ti prego!- udii i suoi passi pesanti mentre saliva le scale; sapevo dal suo tono di voce che sarebbe passato poco, prima della sua resa.
-Okay, senti- disse, aprendo la porta. -Tutte le ragazze a cui ho chiesto di venire con me al ballo hanno rifiutato, e sai il perché? Certo che non lo sai!- una delle sue mani s'intrufolò tra i capelli, tirandoli di tanto in tanto.
-Perché non dovrebbero venire con te?- chiesi, allora, mettendomi le mani sui fianchi.
-Perché non piaccio a nessuno. Ecco a perché-.
Il suo sorriso si spense, esattamente come una candelina sopra alla torta di compleanno di un bambino euforico.
Pensai che non fosse vero, e non lo era, infatti. Michael era tutto fuorché brutto.
-Non è affatto vero- saltai sul letto e accesi il mio computer portatile.
-Certo che lo è- insisté.
 
Quando nessuno dei due ebbe più niente da dire, decisi che era ora di farla finita e di stare tranquilla.
 
-Mike, te ne prego, va alla festa e divertiti. Non importa se sarai senza una compagna, ci saranno i tuoi amici a farti compagnia- gli scompigliai i capelli, lasciandogli un veloce bacio sulla guancia.
-Non sarà lo stesso senza di te-.
-Potrai venirci anche l'anno prossimo, non hai ancora ventun anni-.
 
A quelle parole Michael si arrese, mi guardò storto, sorridendo, e se ne andò.
Ero contenta di poter stare un po' da sola, finalmente. 
L'ipotesi che Michael sarebbe potuto venire a casa mia per portarmi al ballo si era appena avverata e, come secondo i piani, avevo resistito alle sue proteste.
 
Feci partire un vecchio film, di cui non ricordavo il titolo, sul mio computer e mi misi comoda sul letto.
 
[…]
 
“No! Non baciarlo! Ti sta solo prendendo in giro" pensai, mordicchiandomi le unghie dall'ansia.
Andando sempre più avanti con quel film mi rendevo conto di quanto assomigliasse a tutti gli altri film-cliché che avevo già visto. Ma nonostante tutto aveva qualcosa di diverso che mi avevo concesso il privilegio di non cambiare film.
 
Mentre rientravo in camera mia con una scodella di pop corn in mano, sentii dei rumori sospetti fuori dalla mia finestra.
Spaventata, lasciai la scodella sulla scrivania e afferrai la prima enciclopedia che avevo vicino, pronta a colpire chiunque fosse.
-Merda! Cosa cavolo è questa cosa viscida?!- abbassai l'enciclopedia, riconoscendo quella voce.
Aprii subito la finestra, ritrovandomi con il viso di Dylan a pochi centimetri dal mio.
Lo spinsi un po' indietro, creandomi dello spazio vitale, e lo feci successivamente entrare in camera mia.
-Modo elegante per venire a trovarmi. Che ci fai qui? Non dovresti essere al ballo come tutti quelli dell'ultimo anno?-.
In risposta, Dylan borbottò qualcosa sotto voce.
-Siediti se vuoi- rotolai sul letto, spostando il computer, lasciando vuoto un notevole spazio alla fine di esso.
-Tranquilla, sono solo di passaggio. Tra pochi minuti devo ritornare davanti alla palestra della scuola, se no Amanda non mi parlerà mai più per il resto della mia vita- si scompigliò un po' i capelli, ottenendo un risultato migliore di quello precedente. Mi chiesi mentalmente come diavolo facesse ad apparire sempre così perfettamente in ordine.
-Amanda?- chiesi. Non conoscevo quella ragazza. In realtà non conoscevo quasi nessuno del quinto anno, tralasciando Michael e Dylan, ovviamente.
-Non credo che tu l'abbia mai vista. È una che frequenta quasi tutti i miei corsi. Sembra timida e riservata all'apparenza, ma in realtà credo che non sia proprio il mio tipo; a volte diventa troppo esuberante ed esigente- chiuse la finestra alle sue spalle e si lanciò sul letto, davanti a me.
Annuii, non sapendo cosa rispondere. Di certo non ero la persona più adatta con cui parlare di ragazze. Insomma… lo ero anch'io.
 
-Che stavi guardando?- chiese dopo che finì di togliersi le scarpe, per poi buttarle tranquillamente da qualche parte nella stanza.
-Oh, non ricordo il titolo, ma credo che non lo guarderò ancora per molto-.
Pensai a cosa fare. Ero evidentemente imbarazzata. Era raro che capitassi in stanza con un ragazzo, da soli. Che poi Dylan era ancora un mistero per me. Mi parlava spesso, faceva il carino e ogni tanto si faceva vedere sotto casa mia con una storia divertente da raccontare; ma se ci pensavo a fondo, non lo conoscevo affatto.
Avrei voluto fargli notare che erano già passati più di dieci minuti, ma mi ricordai di Michael, che era da solo alla festa, così lo chiamai.
-Scusami un attimo, devo chiamare un amico-.
Mi allontanai dal letto, uscendo poi dalla mia stanza.
 
Il telefono squillò almeno cinque volte prima che la voce annoiata di Michael mi rispondesse.
-Hey Mike, come sta andando la festa?- alzai la voce, sentendo la musica davvero troppo alta dall'altra parte.
-Em! Sono appena uscito dal bagno. Erano più o meno quaranta minuti che ero là dentro-.
-Ti ho detto di divertirti…- lo sgridai.
-Lo so, ma non riesco più a trovare Luke e Cal. Penso che tornerò a casa… Ti dispiace se passo da te?-.
Sbirciai Dylan attraverso la porta semi chiusa, così assunsi un'espressione dispiaciuta, anche se lui non poteva ovviamente vedermi.
-Credo sia meglio di n…- non terminai la frase, sentendo Michael piagnucolare.
-Per favore-.
-Okay, ti aspetto- mi arresi.
 
Tornai in camera mia e vidi Dylan mangiare i miei pop-corn sul mio letto.
-Come se fossi a casa tua- lo derisi, volendo esaminare la sua reazione. Non volevo farlo sentire a disagio, ma si stava approfittando un po' troppo della situazione, ovvero del mio meraviglioso letto.
-Scusami- si mise, finalmente, composto sul letto. Dopodiché mi guardò intensamente, come a farmi intendere qualcosa.
-Sai cosa?- domandò retoricamente.
Inclinai la testa.
 
"No, non so cosa."
 
-Non ci torno alla festa-.
 
"Fantastico."
 
[…]
 
-Non sapevo fossi tanto amica di Michael- disse, trascinando i suoi piedi attraverso la stanza e lasciando che le braccia penzolassero in avanti.
-Che c'è di strano nell'essere sua amica?- incrociai le braccia al petto. Non mi piaceva che le persone parlassero male alle spalle proprio davanti a me; per di più di Michael, mio grande amico.
-Niente, lo sai. Ma diciamo che… Non è molto popolare a scuola. O almeno, non quel tipo di popolarità. Sai cosa intendo- non aggiunsi nulla. Avevo capito tutto. 
Non mi importava molto di immischiarmi nella reputazione scolastica dei miei amici, pensavo che era una questione che dovevano risolvere da soli, con il mio aiuto avrebbero solo peggiorato la situazione.
-E tu? Sei popolare? Che giudizio hai di Mike?-.
-Senti, che sia chiaro. Non vado a scuola sicuramente per insultare la gente o per mettermi in mostra. Non rientro né nella parte popolare, ma neanche nella parte, come dire, meno apprezzata- fece per rimettersi le scarpe, quando me ne accorsi lo fermai.
-Te ne vai?-.
-È tardi. Michael è stato qui per quasi un'ora. È quasi mezzanotte, lo sai?- si sistemò la giacca sulle spalle e iniziò a far roteare le chiavi della macchina su un dito.
-Come vuoi- mi arresi.
Aprii la porta di casa, notando solo in quel momento una busta posta quasi sotto lo zerbino.
Diedi un mezzo abbraccio veloce a Dylan, lo salutai, e mi abbassai a casa prendere la busta.
 
A Emma, da Lucas
 
Iniziarono a tremarmi le mani. Erano mesi che non sentivo Lucas, e solo a leggere il suo nome o sentirlo pronunciare, il cuore cominciava a battermi forte.
Non mi era indifferente. Non riuscivo mai a dimenticare i miei ex-ragazzi; trovavo la cosa difficile.
Aprii lentamente la busta, trovandoci al suo interno un'altra busta più piccola, perlata, con ricami colorati ai bordi.
Non volevo giungere subito ad una conclusione, così, prima di esplodere nel panico, lessi con calma la lettera.
 
Subito alla seconda riga i miei occhi si fecero leggermente lucidi.
 
"Non devo piangere, intesi?"
 
Finita la lettera, cercavo disperatamente un pacchetto di fazzoletti nella mia borsa.
Ciò che avevo letto era davvero possibile?
Un fidanzamento? Sul serio?!
Asciugai occhi e le lacrime sulle mie guance, giurai che quello era l'ultimo singhiozzo, e cercai, invano, di mantenere la calma.
 
Lucas aveva scritto, nella lettera, che era fiero di aver trovato la persona giusta con cui celebrare una festa di fidanzamento in vero stile americano. Non c'era rancore in quelle parole, ma non riuscivo a smettere di pensare a che reputazione potesse avere di me.
 
La lettera continuava con l'invito a partecipare alla festa, la quale si sarebbe tenuta due settimane prima del matrimonio vero e proprio.
Volevano fare le cose in grande, presto e subito. I genitori di lei avevano prenotato un intero villaggio da mettere a disposizione di tutti i parenti di Lucas. Ed egli aveva incluso me tra i suoi "cari". Inoltre, Lucas mi aveva consigliato di portare qualcuno con me; un'amica o un amico.
 
Non potevo credere che Lucas mi avesse dimenticata così facilmente. Mesi di relazione buttati al vento; solo per colpa mia e del mio egoismo.
Mi ricordai delle parole di mia madre.
-Pare che Lucas abbia una nuova fiamma!-.
Mi morsi l'interno della guancia, in procinto di piangere, di nuovo.
 
"Dannazione."
 
Da una parte ero felice che fosse riuscito a trovare qualcuno di onesto, qualcuno di adatto a lui, ma dall'altra mi senti davvero male. Non riuscivo a capire come potessi essere così egoista con me stessa e con gli altri.
 
[…]
 
-Buongiorno mamma, papà- scesi le scale con la testa bassa, non mi ero neanche curata di sistemare la cravatta sotto al maglione di lana. 
-Emma, buongiorno, come stai?- mia madre venne a darmi una leggera carezza sui capelli ancora scompigliati, accompagnata da un commento poco carino su come sembrassi malandata quella mattina.
-Cosa è successo?- papà non esitò a far capire a mia madre che, ovviamente, c'era qualcosa che non andava.
Alzai la testa, mascherando un finto sorriso.
-Niente, davvero. Ieri… ho ricevuto una lettera da Lucas. Mi paghereste il biglietto aereo per l'America? Per favore-.
Non avevo idea di come quelle parole fossero uscite dalla mia bocca, ma me ne resi conto solo dopo che mio padre annuì.
Avevo accettato alla sua richiesta senza pensarci. Avrei potuto avere tutta la notte per pensarci, ma ero troppo stanca, e le cose a cui pensare erano già troppe.
Il vestito rosso, dal canto suo, era finito "casualmente" nell'armadio di mia madre.
 
-Posso farti una domanda, prima che tu esca di casa?- sorrisi flebilmente, prima di fare cenno a mio padre di continuare.
 
"Ti prego, fa che non sia niente a proposito di Lucas."
 
-Per quale motivo stai andando a scuola? Oggi è domenica-.
 
Aprii la bocca, come se fossi stata colpita da in pieno da un fulmine.
-Chiudi la bocca, potrebbero entrarci le mosche- aggiunse mia madre.
Pestai i piedi a terra, arrabbiata.
Non mi era mai capitato di essere così occupata a pensare da non distinguere i giorni di scuola da quelli non.
 
Tornai in camera mia, mi tolsi il maglione di lana e mi infilai sotto le coperte. Afferrai il cellulare e selezionai il numero di Michael.
 
-Pronto? Emma? Sono solo le sette… Che ti prende?-.
-Ascoltami. Devo parlarti di una cosa importante-.
Iniziai a raccontare della lettera della sera precedente, non accorgendomi però che già dopo dieci minuti, il mio migliore amico aveva ripreso a dormire beatamente.
 
 
 
 
 
Non mi va di fare uno spazio autrice come si deve, perciò per questa volta niente scritta blu, in grassetto, al centro della pagina. Really sorry.
Mi dispiace di presentarmi dopo così tanto tempo con un capitolo così. Avevo promesso che avrei aggiornato la storia presto, ma non ce l'ho fatta, e mi dispiace. La scuola in questi mesi mi ha presa davvero tanto, e ho dovuto fare i salti mortali per avere voti decenti.
Ma lo giuro, She's a Good Girl avrà una fine.
Passando al capitolo vero e proprio, direi che c'è sia tanto che poco da dire; insomma, ammettetelo che non vi aspettavate una cosa così da parte di Lucas. 
Poi, Emma ha deciso di non andare alla festa *sad face* e Michael si è ritirato subito dopo *poor thing*.
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, accetto qualsiasi tipo di commento.
Spero di pubblicare al più presto,
-Follow The Sun xx

P.s.: Volevo anche informarvi del fatto che, non so tra quanto, pubblicherò un'altra storia, su Michael, su Wattpad. Mi chiamo sempre Follow The Sun (@harryvederciii). :)

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Capitolo 20
*** Airplanes. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 20.
 
Anche quella settimana successiva alla notizia del matrimonio di Lucas passò in fretta. Solo Michael, Calum e Luke sapevano della mia partenza, e probabilmente lo avrei detto anche a Jake, Ethan, Iris ed Allison.
A causa della mia partenza, a scuola mi diedero da studiare molte più pagine degli altri, e di conseguenza avrei dovuto fare le verifiche e gli esami prima di tutti gli altri.
Non era bello, certo, ma almeno me lo sarei tolta dalla mente e avrei potuto fare una "vacanza" in santa pace.
 
Chiusi il libro di Storia, sospirando. Era da più di due ore che studiavo e avevo assolutamente bisogno di una pausa da tutto.
Chiamai Michael per sapere come stava, e anche per lamentarmi di quanto gli esami fossero difficili e insopportabili.
 
-Mike!- dissi quando rispose al telefono.
-Emma? Non posso parlare ora, sono al… cioè, non posso adesso, magari più tardi. Ti richiamo verso le nove, ti va bene?- chiese, munito di fretta e con una dose di ansia.
-Mike, ma dove sei? In un fast food? Non volevi dimagrire, forse?- lo presi un po' in giro, anche se mi dispiaceva non poter parlare molto con lui.
-Spiritosa, come sempre. Devo andare. Fai come se ti avessi abbracciato, okay? Ciao ciao- terminò così la chiamata. 
-Ciao ciao- risposi, anche se la telefonata era già finita da una manciata di secondi.
 
Aspettai le otto di sera, e subito dopo che ebbi finito di cenare andai da Calum per provare: quel fine settimana avevamo uno spettacolo e dovevamo esercitarci.
Non mi aspettavo, però, di trovare anche Ashton lì.
-Ciao- salutai in generale.
Luke se ne stava in un angolino da solo, con le braccia incrociate sopra la tracolla della chitarra.
Calum stava parlando con Ashton di non so cosa, mentre Michael doveva essere in cucina o in qualche altra misteriosa parte della casa.
-Ciao Emma, è un piacere rivederti- a quelle parole il mio corpo tremò. 
Mi girai velocemente, sperando di aver sentito male, ma era tutto quanto vero.
June, la ragazza ufficiale di Luke, era tranquillamente seduta sul divano, a gambe incrociate, e mi osservava, pacata.
-Oh, ciao June. È un piacere anche per me- dissi solamente.
Vedere quella ragazza mi provocava sia pensieri negativi sia pensieri positivi, anche se in minoranza. Positivi perché, beh, June era una delle ragazze più dolci e gentili della terra e non si poteva affermare il contrario; negativi perché dietro alla rappacificazione di Luke e June c'eravamo io ed i miei sentimenti da illusa.
Non mi capitava spesso di vedere June, anzi, l'avrò vista giusto un paio di volte con Luke, prima di tornare a casa, nel cortile, oppure si univa a noi mentre passeggiavamo nei corridoi prima di entrare in classe; era una brava persona in fondo.
 
-Hey, Em, senti un po'- mi richiamò Calum. Sorrisi a June, la quale non smetteva di fissarmi con quei suoi grandi occhi malefici e mi girai.
Camminai velocemente in direzione di Calum, ripetendomi di non fare caso ad Ashton che continuava insistentemente a lanciarmi occhiate furtive.
-Anche Ash è stato invitato al matrimonio. Potreste andarci insieme!- un piatto, in cucina, si ruppe; e forse iniziò anche a piovere.
Calum spalancò gli occhi all'improvviso.
-I piatti nuovi di mia madre! Mike, che cazzo hai fatto?!- corse in cucina, sbraitando, rosso in viso, e successivamente partirono le urla adirate di Cal.
 
-Beh- iniziò Ashton.
Lo guardai con la coda dell'occhio, facendo finta di guardare June, che tra l'altro stava ancora guardando me. 
Mi sentivo osservata.
-Sono qui anche per parlare- aggiunse.
Annuii lentamente, in imbarazzo. Non capivo di cosa avremmo dovuto parlare, dopotutto aveva messo le cose in chiaro, abbandonandoci.
Sentii Ronnie, il cagnolino di Calum, abbaiare in cucina, mentre il proprietario urlava al cane di tacere e all'altro cucciolo di stare attento alla sua roba.
-Volevo solo sperare che tu non provassi rancore nei miei confronti e che potessimo trascorrere dei bei momenti insieme in America- un altro piatto rotto.
-Michael! NO!- un urlo disperato.
Luke, in tutto ciò, non si mosse di un millimetro; certo, sghignazzava di tanto in tanto, ma sicuramente voleva fare la figura del duro davanti alla sua ragazza.
-Certamente- risposi con un tono così naturale che anche io mi stupii di me stessa.
Davvero i miei complimenti.
-Bene, allora… Tra una settimana eh- questa volta si sentii il rumore di un bicchiere frantumarsi a terra.
-Cosa stai facendo? ME LO VUOI SPIEGARE?- urlò Calum, esasperato, con la scopa in una mano e la paletta nell'altra.
-NO!- finalmente sentii la voce di Michael.
Feci cenno ad Ashton di aspettarmi lì e corsi subito in cucina per assicurarmi che il bruno non uccidesse il mio migliore amico per eccellenza.
Arrivata nella stanza, abbracciai Mike da dietro, circondando il suo corpo con le mie braccia, sussurrandogli cosa andasse storto, ma la mia azione fece cadere a terra l'intera collezione di piatti in ceramica della signora Hood. Ero a dir poco disperata, anche se Calum, forse, lo era molto più di me.
-Emma, ti prego, va via- mormorò Cal, tremante. Lo accontentai, in fondo sapevo che non avrebbe mai fatto male a una mosca; probabilmente sarebbe scoppiato a piangere da un momento all'altro dalla disperazione.
 
-Cosa dirò a mia madre?!-.
Appunto.
 
June, Ashton e Luke corsero in cucina a consolare Calum, mentre Michael, anche lui in lacrime, trascinava il suo corpo verso il divano; non sembrava in forma, per niente.
-Mike, che succede? Vuoi dirmelo?- chiesi dolcemente. Sapevo che in momenti come quello Michael doveva essere preso con calma e cura, senza forzarlo a parlare e aspettando che si sentisse pronto a farlo.
-Gli gnomi lavoreranno tutto l'inverno per la regina, ma il principe dei folletti è più ricco e bello, e se la porterà via con se. Così, gli gnomi rimarranno senza una regina, tristi e sconsolati. E invece il folletto potrà avere dei figli con lei, potranno sposarsi, cavalcare un unicorno di sapone e vivere per sempre felici e contenti…- disse, piangendo.
Potei intuire dalle sue parole che aveva appena letto un'altra di quelle storie della buonanotte per bambine. Erano diventate un'ossessione per lui, le leggeva sempre, senza farsi scoprire. Ma io controllavo spesso la cronologia del suo telefono, e lo sapevo.
-Allora ascoltami. Gli gnomi potranno sempre riprendersi la loro regina, se saranno abbastanza forti, okay?- dissi, sapendo che ciò che stavo dicendo non aveva un filo logico.
Michael smise di piangere e si alzò in piedi all'improvviso.
-GIUSTO! Hai ragione!- esclamò, e salì al piano superiore saltellando dalla gioia.
Mi guardai intorno, confusa, stranita, non avendo la più pallida idea sul da farsi.
Proprio in quel momento arrivò Calum dalla cucina, con dei cocci di ceramica in mano.
-Mi taglierò le vene con questi cocci-.
-NO, non lo farai. Ora andiamo fuori a buttare tutto questo nella spazzatura e magari dopo iniziamo le prove. Spero- lo incitò Luke, spingendolo per la schiena fino alla porta d'entrata.
 
[…]
 
Feci un ultimo passo e mi girai verso Michael, il quale doveva cambiare strada per tornare a casa.
-Beh, allora, ci vediamo domani- dissi.
-Certo. Ci vediamo…- salutò con la mano e lo imitai sventolando la mia davanti a me.
-Ah, Emma- mi girai, ancora, chiedendomi mentalmente cosa avesse ancora da dirmi. -Ricorda: gli gnomi non si arrenderanno mai! Giusto?- chiese con gli occhi che brillavano dalla gioia e dalla, credo,  emozione.
-Ehm, certo, suppongo di sì- sorrisi, imbarazzata.
Michael sorrise di rimando e se ne andò per la sua strada fischiettando. 
Davvero non capivo cosa gli passasse per la testa, e tanto meno capivo cosa stava succedendo ai miei amici in quel periodo.
 
Il giorno dopo, a scuola, non successe nulla di particolare. Le solite cose, le solite chiacchierate nei corridoi, i soliti momenti di sempre.
Eppure, più ci pensavo, più mi rendevo conto  di quanto fosse stupida l'idea di partire per un mese intero per l'America -non che avessi altra scelta, in realtà- e abbandonare i miei amici per tutto quel lasso di tempo.
Forse non era proprio il fatto di lasciare i miei amici senza di me a preoccuparmi, ma il fatto di potermi sentire sola, che poi magari quando sarei tornata, non mi avrebbero più accettata come la stessa Emma di prima.
Scacciai i miei pensieri, scendendo dall'autobus e camminando velocemente in direzione di casa mia. Né Michael, né Calum avevano fatto la strada con me: tutti e due erano rimasti a scuola per studiare. A essere sincera mi sarebbe piaciuto restare con loro, ma avevo troppe cose da sistemare.
Appena rientrai in casa mia, notai mia madre impegnata nel parlare al telefono, così le mandai un saluto con la mano e andai in camera mia per riporre i libri sulla scrivania e preparare i compiti da fare per la settimana successiva. L'ultima settimana prima del viaggio.
 
-Mi ha chiamato Lucas- disse mia madre sorridendomi. Non aveva la solita aria stanca, le due settimane di vacanza che stava trascorrendo le stavano facendo bene.
Sospirai, avendo paura di ciò che avrei potuto sentire. 
-Ah, sì? Che cosa ha detto?- domandai, con il libro di chimica in mano e il cuore dentro al petto che batteva a mille.
-Ha detto che se nessuno dovesse accompagnarti, condividerai la camera con il tuo amico Ashton, e che non vede l'ora di rivederti-.
Persi un battito. Riposi il libro sulla scrivania e mi voltai verso mia madre.
-Beh, manca sempre meno. Venerdì sera ho il volo e… sono molto agitata. Ho un po' paura, a dire la verità-.
Un po' paura? Forse avrei dovuto dire “molta paura”.
 
[ Venerdì; giorno della partenza ]
 
-Bene ragazzi, per oggi è tutto. Ricordatevi che settimana prossima ci sarà il test di matematica di ammissione al prossimo anno. Quindi preparatevi al meglio- annunciò a gran voce la professoressa, sistemando alcuni fogli all'interno della sua borsa.
 
Pft. Già fatti.
 
Avevo praticamente già fatto quasi tutti i test di ammissione all'anno successivo, dovevo solo aspettare i risultati, e mi sentivo abbastanza soddisfatta di me stessa. Tutti i miei compagni di corso mi chiedevano com'erano i test, ma forse non avevano colto in pieno il fatto che i loro sarebbero stati un po' diversi dai miei.
 
-Potete andare, su. Ah, aspetta Emma, tu resta. Dovrei parlarti- mi bloccai con ciò che stavo facendo e avanzai lentamente verso l'insegnante. Non sapevo se erano le mie guance ad andare a fuoco, o se erano i bidelli a giocare con la temperatura dei termosifoni. Già me li immaginavo piegati dal ridere mentre giravano in continuazione, a caso, le manopole della temperatura.
Arrivata alla cattedra, l'insegnante si tolse gli occhiali e mi guardò attentamente.
-Sono davvero ammirata dalla tua dedizione per la scuola e per lo studio. Tutti i professori ormai sanno del tuo viaggio, e che tornerai tra un mese. Hai studiato da sola tutto l'argomento di un mese, e ciò è assolutamente strabiliante. Complimenti, e buon viaggio- detto ciò, uscì dall'aula, lasciandomi con in testa mille domande e ancora l'immagine dei bidelli che si prendevano gioco di noi con la manopola del termosifone.
 
Non appena misi piede in casa mia, mia madre mi lanciò la valigia, urlandomi disperatamente che il volo sarebbe stato solo dopo sei ore. Cercai di tranquillizzarla, ma non ci fu verso.
Sotto i suoi occhi attenti e alle sue prediche dovetti farle vedere tutto ciò che avevo messo all'interno della valigia: due vestiti da cerimonia, mai messi in vita mia, pantaloncini, magliette di tutti i tipi e ovviamente l'intimo. 
 
-E se fa freddo?!-.
Alzai gli occhi al cielo, cercando di mantenere un tono calmo e pacato, e chiusi la valigia, lentamente.
-Non credo proprio. A Miami, in questo periodo, fa davvero caldo- spiegai, tranquillamente. Sicuramente una felpa o due l'avrei portate, ma non avrei mai esagerato con maglioni o cappotti.
-Portati qualcosa, non voglio che ti ammali- insisté. 
-Mamma…-.
-Fai come vuoi, però se poi ti ammali non venire a piangere da me-.
 
 
[…]
 
 
-Hai tutto? Copriti bene, mi raccomando. Ricordati di fare colazione e non fare figuracce. Va bene?- domandò mia madre senza mai staccare gli occhi da me e ogni mia parte del corpo, accertandosi che fosse tutto al proprio posto.
-Sì, mamma- annuii, annoiata. Stavo aspettando, nell'aeroporto, l'arrivo dei miei amici, poi, con Ashton, avrei dovuto prendere l'aereo. La mia agitazione saliva sempre di più, e non potei fare nulla per far smettere al mio corpo di tremare, ogni tanto.
-Eccoli là. Vedo già Allison e Iris- indicò un gruppetto di ragazzi entrare nell'edificio, e già sentivo che qualcosa non andava.
Mi alzai dalla panchina su cui ero seduta e corsi dai miei amici. Quelli, quando mi videro, mi abbracciarono contemporaneamente.
Ethan e Jake, vestiti con le stesse camicie a quadri, facevano commenti esistenziali sulla vita, Allison e Iris si guardavano facendo a gara a chi resisteva di più senza piangere, Calum ordinava in modo gentile a Ronnie di stare seduto, Jade e Luke si guardavano in modo furtivo di tanto in tanto, ridacchiando sotto i baffi, mentre Michael… Michael?
Michael si trovava dietro a tutti quanti, a piangere. Mi staccai dall'abbraccio ringraziando tutti e mi chiesi perché piangesse in modo così disperato, e lo abbracciai d'istinto.
-Emma, perdonami- disse, mentre la visione di una lacrima scendere lentamente attraverso una delle sue guance mi fece rattristare sempre di più.
In imbarazzo, le mie guance si colorarono leggermente, e lo strinsi di più a me.
-Volevo venirci io con te, in America- sussurrò, vicino al mio orecchio, ma abbastanza forte da far smettere agli altri miei amici di parlottare fra loro; ma ciò non mi fece distogliere l'attenzione da Michael.
-Mike, ci sentiremo tutti i giorni, devi stare tranquillo- accarezzai la sua schiena con le mie mani, cercando di tranquillizzarlo. Sentivo la sua schiena alzarsi e abbassarsi a causa del respiro irregolare, e mi sentii davvero male.
-Forse non lo sai, ma… mi sono trovato un piccolo lavoro part time- disse, questa volta con un tono di voce più alto.
Non capivo dove volesse arrivare, forse anche per l'agitazione, così rimasi zitta. 
-Volevo mettere da parte dei soldi per venire con te. Ma non ci sono riuscito-.
Appoggiò la faccia sulla mia spalla, e subito la sentii umida e calda. Subito capii tutto. 
Capii quanto il mio migliore amico fosse speciale e quanto fosse disposto a fare per me e per non abbandonarmi. L'unica domanda che frullava nella mia mente era: "Come ho fatto a non accorgermene?".
Ero stata una vera stupida. 
 
Lo guardai negli occhi, e mi abbandonai al pianto, imitandolo.
-Avresti potuto dirmelo! Ti avrei aiutato!- piansi, forse anche con una leggera nota di rabbia.
-Scusa, ormai ciò che è fatto, è fatto-.
Fu l'ultima cosa che riuscì a dire, proprio perché in quell'istante Ashton fece capolino con Dylan alle sue spalle, tutti e due radianti e con l'energia che sprizzava da tutti i pori.
 
-Pronta per il grande viaggio?- chiese Dylan, circondandomi le spalle con un braccio. Annuii, anche se un po' incerta, e spostai la mia attenzione sull'altro ragazzo alla mia destra. Ashton, sorridente, stava parlando con gli altri; si stavano salutando, e non capivo come effettivamente lui riuscisse a rimanere così calmo.
 
 
[…]
 
 
Guardai da lontano tutti i miei amici e proseguii attraverso il corridoio che mi avrebbe portato all'aereo. Avevo il battito a mille, e la testa pulsava, faceva male come non mai.
-Stai tranquilla, andrà tutto bene- soffiò Ashton, accarezzandomi la testa e incitandomi a proseguire.
 
Saliti sull'aereo, obbligai Ashton a farmi sedere dalla parte del finestrino: dovevo avere qualcosa di interessante da guardare, qualcosa a cui pensare. Non sapevo cosa effettivamente avrei fatto durante quelle ore di volo, probabilmente avrei guardato un film, avrei dormito, e magari avrei potuto anche avere una piacevole chiacchierata con Ash.
 
L'aereo decollò con venti minuti di ritardo, ma ciò non aveva importanza. L'unico pensiero che svolazzava nella mia mente  era cosa mi avrebbe provocato rivedere Lucas.
 
-Sai, Lucas mi ha detto che non vede l'ora di rivederci. Da come ne parla, sembra che Candice sia proprio una brava ragazza- disse, mentre si infilava nelle orecchie le cuffiette. Non diedi molto peso alle sue parole, o almeno, cercai di non farlo.
Ogni volta che Ashton apriva bocca per parlare di Lucas o qualsiasi cosa che c'entrasse con lui, alzavo mentalmente gli occhi al cielo. Non avrei mai resistito per tutto il viaggio con lui che parlava in continuazione. Prima o poi, però, si sarebbe addormentato, giusto?


Hey!
Anche questa volta lo spazio autrice non è un granché, lol.
Ho cercato di aggiornare il prima possibile, ed eccomi qui, con un capitolo che supera le 3.000 parole :).
Spero vi piaccia.
A presto,
-Follow The Sun

P.s.: ringrazio _Whatshername_Idiot_ per la pubblicità, invitando i miei lettori a passare anche da lei ;)

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Capitolo 21
*** This is Me. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 21.
 
Il viaggio in aereo non fu proprio tra i migliori, e soprattutto non fu proprio come me lo sarei immaginato. 
Esattamente nel sedile dietro il mio avevo avuto la sfortuna di avere un bambino di circa quattro o cinque anni, il quale non mi aveva dato tregua con i suoi calci fastidiosi sul mio sedile.
Ashton, sia ringraziato il cielo, si addormentò circa un'ora dopo il decollo, così potei stare tranquilla per un po'. 
La cosa che però mi dette più fastidio fu la signora anziana alla sinistra di Ashton, la quale, non avendo gli occhiali con se, ogni due secondi si girava nella mia direzione per leggerle i prezzi degli oggetti sul volantino dell'aereo.
 
Quando arrivammo all'aeroporto, io stanca e Ashton sveglio come se avesse dormito per tutta la vita, una guida ci accompagnò molto gentilmente a dove avremmo dovuto ritirare le nostre valigie; ma di loro non c'era traccia.
Aspettammo per mezz'ora, e a quel punto pensai che magari qualcuno le avesse lanciate in mare per puro divertimento, oppure che fossero rimaste in Australia.
 
-Emma, ha chiamato Lucas- Ashton arrivò correndo con il cellulare in mano, prese un grande respiro e continuò a parlare.
-Le valigie sono già a casa della sua ragazza, ci stanno aspettando. Prendiamo un taxi?-.
Mi passai una mano tra i capelli e imprecai mentalmente. Avrebbe almeno potuto avvisarci che le avrebbero portate subito a casa sua, e invece no. 
-Okay, andiamo-.
 
 
[…]
 
 
La casa di Candice era davvero enorme. Quando la vidi da fuori pensai che era molto grande, ma al suo interno era almeno il doppio di quanto realmente immaginavo.
Lucas arrivò da noi appena varcammo la soglia di casa, e giurai di non averlo mai visto felice così tanto.
 
-Emma, Ash, sono molto felice di vedervi. È un'estrema gioia per me avervi qui per celebrare un evento della mia vita così importante!- esultò, abbracciando prima Ashton e poi rivolgendosi a me con un grosso sorriso.
 
“Ma come parla?!”
 
-Ah, Ashton, ti ricordi di Jason? È qui fuori, vai a salutarlo, se ti va- Lucas aprì la grande porta a vetri del salotto e indicò un ragazzo concentrato nell'aprire una sdraio. 
Al sentire quelle parole cominciai a lanciare diverse occhiate e a fare strani gesti con la mano ad Ashton, ma non sembrava farci molto caso.
-Certo! Ci vediamo dopo, allora- egli uscì dal salotto, lasciandomi sola con Lucas, imbarazzata e confusa.
-Bene… Ti andrebbe se ti mostrassi la tua stanza?-.
-Certo!- dissi subito, forse con troppa enfasi. Ero nervosa, e Lucas lo avrebbe notato, ne ero sicura.
 
Camminammo su per delle scale che sembravano a dir poco infinite, poi alla fine arrivammo davanti a quella che sembrava, o doveva essere, una stanza degli ospiti.
-Candice possiede una casa molto spaziosa, qui al terzo piano ci sono quattro stanze per gli ospiti con i rispettivi bagni, e siccome due di queste sono già occupate, e una lo sarà presto, tu ed Ash starete nella stessa camera. Spero non ti dispiaccia- disse tutto con molta tranquillità e sicurezza, quasi mi sorpresi di lui. Non lo avevo mai visto atteggiarsi con così tanta fermezza, o forse in questi mesi era così cambiato da non poterlo più riconoscere.
-Sì- risposi senza pensare.
 
“Cosa?”
 
-Come? Vuoi che ti faccia preparare un letto in soffitta? Non c'è nessun problema, ci sarà solo un po' di polvere…- lo interruppi, non prima di essermi resa conto di cosa avevo appena combinato.
-Cioè, no, intendo che va bene. Non c'è nessun problema. Insomma, dormire con Ashton non mi dispiace; sarà imbarazzante, ma non mi dispiace- la misi sul ridere per sdrammatizzare la situazione, ma né io, né Lucas ci stavamo impegnando nel mettere dell'umorismo nella conversazione, così mi zittii subito.
 
“Come non detto.”
 
Mentre Lucas sembrava star cercando una chiave per aprire non so cosa, mi guardai un po' in giro, notando come ogni soprammobile e ogni quadro fosse perfettamente al suo posto, come non ci fosse neanche un filo di polvere e di come l'atmosfera fosse tranquilla e rilassante. 
 
-Ecco la chiave; tieni-. Mi porse una chiave con delle rifiniture in bronzo e la afferrai con più decisione possibile. 
-Grazie. Ora penso andrò a farmi una doccia; sai, il viaggio è stato molto lungo e stancante e…-.
-Emma- mi richiamò, cogliendomi di sorpresa. Il suo tono di voce sembrava, in un certo senso, diverso.
Tremai al suo richiamo e lo guardai intensamente  negli occhi per davvero dopo tanti e interminabili mesi.
-Mi dispiace per come sono andate le cose- disse con lo sguardo che faceva a gara con il mio a chi resisteva di più senza abbassarlo.
Mi ammutolii, concentrata dalla luce dei suoi occhi che, diamine, mi erano mancati così tanto. Non potevo cedere.
-Ma ora sono qui, e credo di essere felice. Tu, Emma, mi sembri così cambiata. Solitamente ti avrei vista con una maglietta sgargiante e un paio di jeans chiari, spargendo la tua felicità al mondo. Invece ora vedo solo colori scuri, che cosa ti è successo?- domandò mentre allungava una mano sulla mia spalla per accarezzarla e per passare poi alla mia guancia.
-Non lo so, forse è l'influenza dei miei amici. Ciononostante, anche tu mi sembri molto cambiato. Sembri quasi un maggiordomo- presi la sua mano, la quale era ancora sulla mia guancia, tra le mie e la scostai. Infine, gli rivolsi una veloce ed ultima occhiata ed entrai nella mia stanza. 
 
Chiusi a chiave la porta alle mie spalle e sospirai. Non potevo credere di aver appena fatto una conversazione seria con Lucas. 
 
“Un maggiordomo? Davvero?!”
 
Mi coprii il volto con le mani e scossi la testa ripensando a come lo avevo chiamato. 
«Sembri quasi un maggiordomo.»
Mi sentivo davvero in imbarazzo, chissà cosa avrebbe pensato di me dopo quella affermazione. 
Sentivo le guance pungere e farsi sempre più calde dall'imbarazzo, mentre il mio cuore batteva all'impazzata, facendomi perdere il controllo completo dei miei pensieri.
 
Tornai alla realtà e mi guardai un po' in giro. La stanza era pulita, in ordine, tutto sarebbe stato perfetto se non ci fossero state le valigie mie e di Ashton, le quali stonavano con i colori chiari e freschi della stanza. La porta del bagno si trovava sulla sinistra, proprio davanti al letto, ed era dello stesso colore delle pareti; se non avessi saputo che c'era un bagno, avrei giurato che fosse un dipinto. 
Accanto al letto, davanti a me, c'era un'enorme finestra che dava sull'altrettanto enorme giardino. Non ci pensai due volte e mi fiondai ad aprire la finestra per vedere com'era fuori. 
L'aria era calda e la brezza leggera accarezzava il mio volto facendomi sentire bene. In una parte del giardino c'era una grossa piscina interrata con al suo interno alcune ragazze che parlavano animatamente. Sorrisi, rientrando nella stanza per aprire la valigia e prendere poi tutto il necessario per farmi una doccia e per cambiarmi dopo essa.
Il bagno si adattava perfettamente a tutto il resto della casa, ordinato ed elegante.
 
Dopo la fresca doccia tanto attesa, mi buttai letteralmente sul letto matrimoniale e subito mi addormentai in balìa della stanchezza.
Nella fase del mio sonnellino in cui ero un po' più sveglia sentii qualcuno muoversi nella stanza, ma ero troppo stanca per aprire gli occhi e vedere chi era, così continuai a dormire beatamente, noncurante del resto.
Effettivamente, quel letto era davvero comodo.
 
 
[…]
 
 
-Emma, svegliati, dai-.
Dopo continue pacche sulla mia spalla, mi decisi a mettermi a pancia in su e degnare di uno sguardo il mio interlocutore. 
 
Dalla luce della stanza potei dedurre che fosse notte, forse anche più tardi di quanto immaginassi.
Ashton, seduto accanto a me sul letto, mi sorrideva, contento, aspettando una qualche mia reazione, la quale non tardò ad arrivare.
 
-Buongiorno- dissi, la voce impastata dal sonno e gli occhi ancora per metà chiusi.
-In realtà qui è notte fonda, dormigliona- scherzò, mentre con una mano andava a coprire parte del mio corpo con un lenzuolo.
-Tu non dormi, invece?- chiesi, notando come sembrasse sveglio e pimpante per tutto il tempo.
-Ah, ma io sono forte. Non ho bisogno di dormire per essere attraente-.
Roteai gli occhi.
 
“Sul serio?!”
 
-Ovviamente- lo presi in giro, mentre cercavo di alzarmi per sciacquarmi il volto e uscire a prendere una boccata d'aria.
Il jet-lag mi faceva sempre un brutto effetto, non mi ci sarei mai abituata.
 
Nel frattempo Ashton mi raccontò di come era passata la giornata senza di me: aveva conosciuto Candice, erano usciti per le vie più conosciute di Miami, avevano cenato tutti insieme e avevano passato una serata tranquilla sdraiati a bordo della piscina in giardino.
In un certo senso mi sentii male per tutto ciò che mi ero persa, ma non ci potevo fare proprio nulla; il viaggio mi aveva stancata e una lunga dormita non mi aveva fatto altro che bene.
 
 
[…]
 
 
-Tieni- Ashton mi passò una generosa tazza di tè caldo che io, ovviamente, non rifiutai.
Ero finalmente pronta ad affrontare un altro giorno pieno di imprevisti e difficoltà per il mio povero cervello che sicuramente non mi avrebbe aiutato.
Lucas non si era ancora fatto vedere, ed ero anche curiosa di vedere finalmente quella Candice di cui Ashton parlava tanto.
 
Appoggiai sul tavolo di legno la mia tazza di tè ormai vuota e iniziai a contemplare in silenzio le mura che mi circondavano.
Anche la cucina, come il resto della casa, pareva in perfetto ordine e aveva quell'atmosfera calma e tranquilla che iniziavo già ad apprezzare. 
I mobili erano in legno di ciliegio, sicuramente, e lo erano anche il tavolo, le sedie, e persino le cornici degli antichi e costosi quadri appesi alle pareti sembravano esserlo.
 
Mi risvegliai dai miei pensieri solo quando Ashton mi avvisò che aveva ricevuto un messaggio da Lucas, il quale diceva che sarebbero scesi, lui e Candice, per conoscerci meglio tutti quanti e per passare del tempo insieme. 
Subito mi preoccupai del mio aspetto trasandato e corsi su per le scale, dicendo ad Ashton che sarei arrivata dopo pochi minuti, almeno così ero intenzionata.
 
Corsi nella mia stanza e presi alcuni dei miei trucchi per coprire le occhiaie e gli eventuali e spiacevoli brufoli che raramente invadevano il mio viso.
Misi del correttore e del mascara, e sapevo che in effetti era anche troppo da quello che mettevo di solito, ma andava bene così, volevo fare una buona impressione alla futura moglie del mio ex fidanzato.
Era assolutamente una situazione imbarazzante.
 
Cambiai i miei leggings con dei pantaloncini di jeans e scesi di nuovo le scale con il cuore che batteva veloce e con l'ansia alle stelle.
-Ashton, sai per caso che ore so- mi bloccai, notando tre figure abbastanza divertite che mi guardavano curiose.
-Oh, salve- dissi, e proprio in quel momento mi resi conto che mi ero dimenticata di lavarmi i denti. Imbarazzo.
La ragazza al centro, Candice, era davvero molto carina. Sembrava una di quelle ragazze studiose e dai modi gentili che si vedono di solito nei film americani.
Avanzai in direzione dei tre e porsi la mano alla ragazza.
-Piacere, Emma- mi presentai improvvisando un sorriso malandato.
-È un vero piacere conoscerti, Emma. Io sono Candice. Ti stai trovando bene qui da noi?-.
Ogni sua parola provocava in me la sensazione di essere fuori posto e di non essere abbastanza. Non mi ero mai sentita, in tutta la mia vita, così piccola, ingenua e stupida. 
Certamente, Candice, era almeno cento volte meglio di me.
-Certo, grazie mille- risposi, anche se con un tono incerto.
-Io ed Ashton andiamo a fare un giro nel garage. Ci vediamo dopo?- domandò Lucas, che lasciò andare la mano di Candice; solo in quel momento mi accorsi che non si erano separati per nemmeno un secondo.
-Certo, Lu, tesoro. Io ed Emma andremo a fare un giro intorno alla casa, così potremo conoscerci meglio- alzai gli occhi al cielo mentalmente per i nomignoli sdolcinati che gli aveva affibbiato, poi sorrisi a Candice, la quale stava ancora aspettando il mio consenso.
 
 
[…]
 
 
-Ah, quindi abiti definitivamente a Sydney!- affermò sistemandosi il cappello che aveva in testa.
 
Stavamo camminando da circa venti minuti lungo il perimetro della enorme villa. L'aria era fresca e pulita, e non si sentiva volare nemmeno una mosca. L'atmosfera era fantastica.
 
-In realtà non lo so. La mia famiglia si sposta in continuazione. Spero di rimanere in Australia, a Sydney, il più possibile; anche per sempre non sarebbe male-.
Ridacchiammo alla mia frase. In fondo, ma davvero in fondo, Candice non era poi una ragazza così spaventosa e altezzosa come credevo in principio.
-Capisco. Io, invece, ho sempre vissuto qui in Florida, con i miei. Questa è la casa al mare, la nostra casa di tutti i giorni si trova più a nord, vicina al centro- annuii, ammirando come parlasse di queste cose come se fosse normale per tutti avere due case da multimiliardari.
-Inoltre abbiamo anche un ranch in California, dove andiamo tre o quattro volte all'anno e una casa vacanze in Svizzera, in Europa-.
-Oh, io sono stata in quasi ogni parte d'Europa- risposi alla sua affermazione pensando di, forse, migliorare la situazione.
-Davvero? Che posto magnifico il continente Europeo! Hanno così tante culture diverse! E le lingue poi!-.
Pensai che, oltre ad essere leggermente vanitosa, Candice fosse troppo emotiva. Stava leggermente esagerando con tutta quella enfasi.
-Beh, io so parlare l'italiano, l'inglese, lo spagnolo, il francese e anche un po' di tedesco. Però, vivendo in un paese dove si parla solo l'inglese, non sono poi così tanto utili- mi strinsi nelle spalle, notando il lontananza che, ormai, avevamo finito il giro e che ci stavamo avvicinando sempre di più all'ingresso della sua “umile” dimora.
 
-Eccoci- disse, sistemandosi proprio di fronte alla vetrata che separava la veranda dalla porta d'ingresso.
-È stato un piacere parlare con te, sul serio- aggiunse, mantenendo sempre quel suo sorriso cordiale.
 
Aveva un tono di voce molto calmo, pacato, era totalmente impossibile che non mi stesse simpatica. Avevo ormai capito che l'avrei seguita in ogni conversazione come un cagnolino, dandole ragione e facendo finta di essere ciò che in realtà non ero.
 
-Anche per me- risposi quasi balbettando alla sua affermazione.
-Bene, ne sono felice. Purtroppo non potrò esserci per pranzo, sarò in città per alcune commissioni. Sai, domani ci sarà il ricevimento per la festa di fidanzamento e ci sono ancora molte cose da fare! Ci vediamo questa sera a cena?- ascoltai attentamente il suo monologo, che mi entrò da un orecchio e mi uscì dall'altro, e annuii, preoccupata di come sarebbe trascorsa la serata con anche i due ragazzi.
 
“Fantastico, non vedo l'ora!”
 
 
[…]
 
 
Estrassi il mio computer portatile dalla valigia di Ashton, -nella mia non c'era più spazio- e lo misi sotto carica. Nel frattempo mi cimentai nell'aprire le finestre e nel far entrare un po' di aria fresca della stanza diventata, per me, di un caldo insopportabile.
Quando finalmente riuscii ad accendere il computer, mi affrettai nel chiamare Michael su Skype.
Speravo solo di non svegliarlo nel bel mezzo della notte, non sapendo di quanto sarebbe cambiato il fuso orario.
 
Lo schermo da blu divenne nero, così mi accorsi che la videochiamata era iniziata.
-Mike?- chiesi mentre miglioravo l'inclinazione dello schermo per vederci meglio.
 
Ero euforica all'idea di sentire il mio migliore amico dopo così tante ore, e la distanza moltiplicava la sensazione di vuoto all'infinito, tanto da farmi sentire troppo sola. Così tanto sola da non poter resistere alla tentazione di chiamare qualcuno da Sydney e chiedere di tutto, di tutti, cosa stava succedendo e come, se mancavo a qualcuno; nonostante fossi partita da alcune ore.
 
-Michael, mi senti?- domandai, ancora, pensando che forse non c'era abbastanza connessione e avrei dovuto far partire un'altra chiamata.
-Em, hey-.
Sospirai di sollievo, Mike poteva sentirmi e, fortunatamente, io potevo sentire lui.
-Mike, tutto bene? Che ore sono da te?-.
Mi appoggiai con i gomiti sul materasso del letto, con il computer davanti a me e le cuffie nelle orecchie.
-Oh, uhm, quasi l'una, credo- disse con la voce roca di uno che stava dormendo fino a un paio di minuti.
Impallidii alla sua risposta, non credevo che fosse così tardi, lì da loro.
Cercai di ribattere con alcune scuse, ma Michael mi precedette nell'iniziare il discorso.
-Ho tenuto il pc acceso tutta la sera, sperando che mi chiamassi- arrossii, ma mantenni il mio tono allegro nonostante tutto.
-Ah, e perché non tutto il pomeriggio?-.
Michael rise per una manciata di secondi, e così feci anch'io; ero davvero felice di poter ancora ridere insieme a lui, una delle poche persone che mi faceva sentire bene per davvero.
 
-Diciamo che ho avuto un contrattempo. Ti spiegherò quando tornerai-.
-Non è giusto, ora sono curiosa- scherzai, anche se volevo sapere cosa mi stava nascondendo il ragazzo dall'altra parte dello schermo.
Egli non rispose, potei solo sentire il suono del suo respiro attraverso gli auricolari.
-Accendi la luce, voglio vederti- lo incitai.
Ero contenta di poter sentire la voce di Mike, ma sarebbe stato meglio se lo avessi anche visto.
-No, non posso. I miei dormono e farei troppo rumore scendendo dal letto. Pensa se ci dovesse essere qualcosa di rumoroso per terra…- sbuffai, capendo che non avrebbe mai accettato la mia proposta di accendere la luce.
-Bene, uomo della notte, fai come vuoi- lo presi in giro. 
-Mikey, che stai facendo sveglio a quest'ora? Hai bagnato di nuovo le lenzuola?- sentii, anche se poco chiaramente, la voce della madre di Michael, ed iniziai a ridere per ciò che aveva detto.
La luce della sua stanza si accese, e subito capii che sarebbe partito un allegro dibattito tra madre e figlio.
-Mamma! Non faccio la pipì a letto da quando avevo cinque anni!-.
-Michael, tesoro, non stavo parlando di quello!-.
Ridacchiai, e in un certo senso sperai che egli non mi sentisse.
-Scusa, mamma, sto parlando con Emma su Skype. Puoi andartene?!-.
-Oh, certo, ma poi cambia le lenzuola, capito? Ah, e salutami la tua amica!-.
-Non ho bagnato le lenzuola!- gridò, isterico, e a quel punto scoppiai a ridere.
 
Sua madre se ne andò, lasciando la luce accesa e facendomi un enorme favore. Ma quando Michael si girò, notai sul suo volto un livido sull'occhio e il labbro inferiore spaccato.
 
-Michael, cos'hai fatto?-.

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Capitolo 22
*** Weed. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 22.
 
Vidi Michael sbuffare, scompigliandosi i capelli e assumendo un'espressione dispiaciuta.
 
Incuriosita, aumentai il volume del portatile per poter sentire ancora meglio. Stavo letteralmente morendo dalla curiosità.
 
-Beh, ti ricordi della volta in cui ci siamo conosciuti?- chiese. 
Annuii, ricordando di quanto allora fossi confusa e inesperta sulla mia nuova vita a Sidney e di come mi sarei dovuta relazionare con le altre persone.
-Quei bulletti mi hanno ancora preso di mira, ora che non ci sei tu ad accompagnarmi a casa dopo le prove-.
Rimasi allibita da ciò che avevo appena sentito. Michael era di nuovo stato preso di mira dai bulli, i quali sembravano essersi arresi, ormai.
Mi sentivo impotente, inutile, avrei preferito essere con Michael, a Sidney, per dargli sicurezza e non farlo stare male. Volevo tornare a casa, volevo stare in pace con me stessa. 
In quell'istante ricevetti una chiamata dai miei genitori, così liquidai Mike con un "ci sentiamo più tardi" e risposi al telefono.
 
-Pronto?-.
-Emma, ciao, come stai?- chiese mia madre, entusiasta come non mai.
-Bene, grazie. Voi come state?- domandai, mentre con la mano libera dal telefono mi cimentavo nello spegnere il computer.
-Bene!- esclamò sempre lei. Avevo intuito dal suo tono emozionato, ma controllato, che aveva qualcosa da dirmi.
Sembrava che quel giorno chiunque avesse delle notizie sconvolgenti, e giurai a me stessa di non sorprendermi più del necessario.
Aleggiò per alcuni secondi un silenzio imbarazzante, poi mio padre prese in mano la conversazione.
-Io e tua madre abbiamo una grande notizia, ma la vedrai quando tornerai- disse, pacato.
Mia madre, nel frattempo, non aveva fatto altro che ridacchiare; e non mi piaceva affatto.
-La mamma aspetta un bambino?!- sputai, non avendo altre idee da proporre.
-Cosa?! No, sono troppo vecchia per accudire un neonato!-.
-Eleonora, hai solo quarantadue anni!-.
-Solo!-.
-Mamma, papà, vi prego, non dovete nascondermi nulla- intervenni, imbarazzata dalla conversazione.
-Non vogliamo nasconderti una cosa così importante, ma dobbiamo!- affermò lei, e il tono infantile che mantenne mi mise in testa così tante idee che non prestai più troppa attenzione al resto della chiamata.
-Ci sentiamo più tardi, va bene?- conclusi, non prima di aver ricevuto una risposta affermativa da parte dei miei genitori.
 
Sospirai, buttandomi sul letto, e mi distesi per bene a pancia in su. Osservai per un po' il soffitto, poi chiusi gli occhi, beandomi del vento crepuscolare che si stava intrufolando silenziosamente nella stanza.
La maniglia della porta cigolò, così capii che qualcuno stava entrando, ma non ci diedi molto peso.
Dopo molte ore, finalmente, mi stavo ripassando per davvero e non volevo per nessuno motivo al mondo che quel momento terminasse.
 
-Hey, Emma, la cena sarà servita a momenti. Qui mangiano abbastanza presto-.
Ashton si sdraiò al mio fianco, supino, e sentii che una delle sue mani mi stava accarezzando i capelli, ma lo lasciai fare.
-Non ti stai divertendo qui, vero?-.
Scossi la testa, sempre con gli occhi chiusi, e probabilmente in altre situazioni sarei scoppiata a piangere per essere stata colta così profondamente nell'animo; ma, si trattava di Ashton, non gli avrei mai permesso di vedermi piangere per una cosa così di poca importanza.
-Beh, non so se serve a farti stare meglio ma, mancano ancora dodici giorni al ritorno a casa. Pensi di farcela?-.
Respirai a fondo, ragionando sulle sue parole. Aveva fatto centro.
Ce l'avrei fatta. Ce l'avrei messa tutta.
 
 
[…]
 
 
-Grazie per la cena- dissi, alzandomi dalla sedia e mettendo sul tavolo il tovagliolo che avevo precedentemente adagiato sul mio grembo.
-È un piacere. Gradireste uscire in giardino per fare due chiacchiere?- propose Lucas.
Ashton annuì, radioso, afferrando la mia mano e trascinandomi verso di lui.
-Verremo, magari dopo essere saliti in camera per metterci qualcosa di più comodo-.
-Perfetto. Allora ci vediamo in giardino tra trenta minuti?- domandò, alzando il polso di una mano e controllando con l'altra l'ora sul suo orologio, a mio parere, costosissimo.
Annuimmo, e lo feci non perché fossi d'accordo, ma la mano di Ashton, stretta con la mia, mi aveva fatta completamente andare fuori di testa.
 
Quindi, come promesso, salimmo di sopra e andammo nella nostra camera per prepararci.
Per quella mezz'ora in cui eravamo in camera, io ed Ashton, mi passò per la testa più volte la stessa domanda: "Perché mi ha afferrato la mano?".
Avrei tanto voluto chiedergli spiegazioni, ma non ne avevo il coraggio, non mi sentivo abbastanza forte nel fare una domanda del genere; la mia paura più grande era di rovinare tutto.
 
-Sembra che ora, Lucas, sia più che benestante. Quel Rolex potrebbe valere circa mille dollari- esordì, guardandosi intorno circospetto e indicando teatralmente il suo polso.
Annuii e accennai un sorriso, mentre mi chiudevo in bagno per mettermi un paio di pantaloncini larghi e una maglia leggera.
 
-Credi che domani ci sarà molta gente al ricevimento?- chiesi, soprappensiero, uscendo dal bagno, ormai vestita, e buttandomi sul letto.
Ashton si stava sistemando il ciuffo di capelli allo specchio, così ne approfittai per rilassarmi un po'.
-Non ne ho idea- fece una pausa e si legò una bandana nera in testa. -Nera o blu?-.
Girai la testa verso di lui e arricciai il naso, indecisa.
-Blu?-.
Annuì, togliendosi la bandana nera dalla testa e afferrando l'altra da uno zainetto sul pavimento.
Mi sentivo più a mio agio sapendo che non ero la sola a sentirmi a disagio e a voler sempre apparire al meglio. Anche Ashton, come me, emanava nervosismo da tutti i pori, ma non lo dava affatto a vedere.
 
Venti minuti dopo, quando Ashton ebbe finito di prepararsi, scendemmo in giardino, dove Lucas ci stava già aspettando.
-Eccovi! In perfetto orario- ammiccò, dicendo il tutto come se fosse una barzelletta.
Nessuno dei due rise, anzi, Ashton mi rivolse un'occhiata quasi preoccupata; lo imitai.
Lucas, entusiasta, ci fece accomodare a bordo piscina, sulle sdraio, mentre una cameriera ci serviva dei drink.
Non ero solita a essere servita in quel modo, perciò ringraziai più volte la giovane donna: per aver messo il bicchiere sul tavolo in legno, per averlo riempito e per avermi aiutata ad alzare la mia sedia. Ero imbarazzata.
 
Alzai lo sguardo verso il cielo, ma non riuscii a vedere molte stelle a causa della troppa illuminazione della villa. 
Slegai i capelli dalla coda di cavallo precedentemente fatta in camera e lasciai cadere la testa sullo schienale, esausta.
Le voci dei due ragazzi mi tenevano compagnia, mentre cercavo di sonnecchiare sotto la luce della luna proprio sopra di me.
 
-Emma, ti va di entrare in piscina?- Lucas si abbassò alla mia altezza, appoggiando le mani su uno dei braccioli della sdraio.
Mi sorrise e mi porse una mano. -Forza-.
Gli mostrai un sorriso forzato e stanco, ma scossi la testa. Dopo cena, se mi sdraiavo, finivo sempre per diventare troppo stanca; e come se non bastasse, la cena era durata ben due ore.
-Ti ringrazio, ma non mi va, scusami-.
Mi alzai e mi infilai le ciabatte infradito, mi congedai salutando i due ragazzi ormai in piscina ed entrai in casa.
Non potei fare a meno di lanciare un'occhiata veloce sul fisico scolpito di Ashton, ovviamente.
 
Il giorno dopo, quando mi svegliai, non feci tempo ad alzarmi dal letto che sentii diversi suoni e rumori provenire dal giardino. 
Degli operai stavano sistemando tavoli, sedie e un piccolo palco proprio davanti a casa, davanti alla mia finestra, alle otto del mattino.
Mi sporsi per controllare meglio, ma non ne ero veramente interessata, così mi lasciai andare e sprofondai nel letto, accanto ad Ashton, il quale, addormentato, aveva ancora la sua gamba intrecciata con una delle mie.
-Ash- lo chiamai.
-Ash!- ripetei, più forte.
-Mmh- mugugnò, prima di rigirarsi nel letto e strapparmi le coperte.
Rabbrividii perché, nonostante le giornate fossero calde e accoglienti, di notte l'atmosfera cambiava radicalmente e tutto diventava più freddo.
-Coraggio, dormiglione, dobbiamo scendere a fare colazione, oppure Lucas non potrà fare a meno di controllare ossessivamente in suo costoso Rolex pensando che siamo in ritardo- scherzai.
Gli circondai il busto con le braccia e affondai il viso tra il cuscino e i suoi capelli, in attesa del suo risveglio.
Nonostante la sera prima fossi confusa su come interpretare i gesti inusuali del castano, quella mattina non mi sentivo affatto a disagio, anzi.
 
 
[…]
 
 
-Vorrei brindare a questi giovani, quasi, sposi!-.
Alzai, per l'ennesima volta, il braccio all'aria ed esultai all'ennesimo e inutile brindisi. 
Un gruppo di signori di mezza età stava discutendo, dietro di me, di alcuni appezzamenti di terreno in vendita in periferia del paese, i quali avevano un buon prezzo, e non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo per più di una volta.
Ogni argomento di conversazione all'interno di quella festa era noioso e, come se non bastasse, ognuno degli invitati sembrava vantarsi dei propri beni e poteri, parlandone a gran voce con i compagni.
Mi sentivo stupida e inutile in mezzo a quella folla di persone che non faceva altro che parlare e parlare, mentre io non facevo altro che alternare minuti seduta al tavolo ad altri passati a passeggiare per il giardino immenso.
Ashton si era, circa dieci minuti prima, alzato dal tavolo per fare alcune foto con Lucas e alcuni amici, ma sarebbe stato gentile se mi avesse coinvolta.
 
-Ciao! Ti stai annoiando?-.
La mia attenzione venne richiamata da una ragazzina più o meno della mia età, abbastanza alta e dalle forme ben definite, con la pelle ambrata, che mi si piazzò accanto.
Mi strinsi nelle spalle, in imbarazzo.
 
"Colta in flagrante."
 
-Non è proprio il mio ambiente- mi giustificai.
La ragazza rise, sedendosi accanto a me, sul posto di Ashton.
Fece un ultimo risolino e sospirò.
-Ti capisco più di quanto tu possa credere. Questo è probabilmente la cosa più elegante che io abbia mai indossato nella mia intera vita- ridemmo, insieme.
-Sono Emma, piacere di conoscerti- le allungai la mano, e lei rispose al gesto stringendola con forza.
-Lauren, piacere mio!-.
 
Io e Lauren parlammo per un po', era una ragazza davvero simpatica, semplice e interessante.
Scoprii che era un'amica di Candice, e che, da quel giorno, sarebbe rimasta in quella casa fino alla celebrazione del matrimonio; ne rimasi sollevata.
 
 
[…]
 
 
Mi svegliai nel bel mezzo della notte a causa del mio telefono che vibrava sul comodino.
Accettai la chiamata e risposi, non prima di essermi schiarita per bene la voce.
 
-Sì? Con chi parlo?- chiesi con un tono assonnato.
Accesi la luce al lato del letto e mi misi seduta per essere più concentrata.
-Emma, sono Ashton. Devi aiutarmi-.
Strabuzzai, ma le sue parole mi incuriosirono molto, così lo lasciai parlare.
-Mi hanno arrestato-.
-Cosa? Sei serio?!- quasi urlai. Quando me ne resi conto, mi coprii subito la bocca con la mano libera.
-Sì, sono serio- sospirò. -Ti prego, vieni a pagare la cauzione, sono cinquecento dollari-.
Passarono alcuni secondi, prima che reagii alla sua implorazione.
-Okay, senti. Dove li predo i soldi e… Magari mi stai solo prendendo in giro. Scommetto che se apro la finestra ti vedo in giardino, con i tuoi amici, mentre ridete a questo stupido scherzo-.
Mi misi in piedi e aprii la finestra, tirando in parte le tende, ma quando trovai il giardino completamente vuoto mi ricredetti sulle parole del mio amico.
-Emma, per favore, non voglio passare otto mesi chiuso in carcere- mi pregò, di nuovo.
 
Quelle ultime sue parole fecero scattare in me qualcosa: capii che, nonostante tutto, aveva chiamato me, e non Lucas o chi altro; e ciò mi rendeva, in parte, felice.
 
Mi feci dare l'indirizzo, chiusi la chiamata promettendogli che sarei arrivata il più presto possibile e corsi fuori dalla mia stanza. 
Non indossavo il pigiama, ma una semplice tuta, e poi, dopotutto, chi mi avrebbe potuta vedere nel bel mezzo della notte?
 
Scesi le scale con l'intento di uscire di casa, ma subito mi ricordai che non avevo abbastanza soldi per pagare la cauzione da sola, e che avrei dovuto chiedere aiuto a Lucas o, distruggendo la mia reputazione, a Candice.
Così, con il cuore in gola, salii al primo piano per cercare Lucas, ma non sapevo affatto dove fosse la sua stanza, così urlai il suo nome, in preda alla disperazione.
-Lucas!- ripetei, camminando velocemente attraverso il corridoio.
La porta che avevo appena sorpassato si aprì, mostrandomi Lucas avvolto da una vestaglia e con i capelli scompigliati.
 
-Non urlare, per favore, o sveglierai tutti-.
Chiuse la porta alle sue spalle e si sistemò al mio fianco. 
-Che succede?- chiese, stropicciandosi gli occhi ancora assonnati.
-Hanno arrestato Ashton. Mi…- feci una pausa con un lungo respiro. -Mi servono dei soldi per pagare la cauzione-.
Lucas scattò improvvisamente e spalancò totalmente gli occhi; lo avevo risvegliato del tutto con quella rivelazione.
-Io… Certo. Scendiamo in soggiorno. Il portafoglio dovrebbe essere lì- disse, incerto.
Si tolse la vestaglia, l'appese all'appendi abiti sulla porta della sua stanza e rimase, così, in canottiera. 
 
"Imbarazzante."
 
Arrivati al piano di sotto, Lucas mi diede cinquecento venticinque dollari, non uno di più, non uno di meno. Quei venticinque sarebbero serviti per il taxi.
Mi raccomandò di stare attenta e di non dare troppa confidenza agli uomini per strada. Gli dissi che non c'era da preoccuparsi, anche se in realtà amavo ricevere attenzioni come quelle.
 
Uscii di casa correndo, diretta verso la strada. Fortunatamente un taxi stava passando in quel preciso istante, così alzai la mano, imbarazzata. Non avevo mai fatto una cosa del genere; non avevo mai preso un taxi da sola.
 
-Hey, dove devi andare?-.
Una donna sulla, probabilmente, cinquantina abbassò il finestrino e mi sorrise in modo gentile.
-Uh, ehm, alla centrale di polizia qui vicina, dovrebbero essere un paio di chilometri- balbettai. Avevo paura e non mi sentivo per niente a mio agio. 
Volevo sparire, ma il mio cuore diceva che dovevo andare da Ashton, tirarlo fuori e, forse, dargli una bella lezione per aver fatto l'irresponsabile.
-Certo, sali pure- mi incoraggiò, sbloccando la serratura della portiera al posto del passeggero.
Feci il giro della macchina ed entrai, titubante.
-La tariffa notturna compromette cinque dollari, Stellina. Quindi sono venti in tutto-.
Annuii, porgendole i soldi.
 
In quel momento mi accorsi che Lucas mi aveva dato dei soldi in più del necessario, ma non gli diedi molta importanza, e continuai a guardare fuori dal finestrino.
Per un po' rimasi con lo sguardo puntato fuori, scorrendo sul paesaggio notturno, finché l'auto non si fermò davanti alla stazione di polizia e mi riscossi dalla mia trance momentanea.
-Grazie mille-.
-Grazie, e buona fortuna-.
Ringraziai con lo sguardo quella donna per non aver fatto domande durante il tragitto. Non me la sarei sentita di dare spiegazioni o di parlare in generale.
 
La macchina sfrecciò via, e in un attimo mi sentii stanca, debole. Non mi sentivo più le gambe e avevo tanto, troppo freddo.
Mi voltai e osservai con freddezza l'insegna al di fuori della stazione di polizia.
Feci un respiro profondo, sentendo improvvisamente il cuore accelerare il suo battito ed entrai.
Subito mi diressi al bancone, il quale era ben protetto da una lastra di vetro, ma non ci trovai nessuno, se non un mucchio di scartoffie e una sedia girevole blu.
 
-Signorina, posso esserle utile?- udii alle mie spalle.
Quando mi girai vidi un uomo alto, robusto e con una barba nera non molto lunga squadrarmi da capo a piedi, mentre si sistemava il suo berretto da poliziotto.
-Io, sì, in realtà, dovrei tirare fuori da qui un mio, come dire, amico. Sì ecco, è così, insomma-.
L'agente sembrò pensarci un attimo, poi mi invitò a sedere su una delle sedie in sala d'aspetto.
-Quanti anni hai?-.
-Diciassette-.
-Sicura?-.
-Certo-.
L'uomo mi passò delle carte, poi gli consegnai i cinquecento dollari.
-Non sono propriamente la persona addetta a ritirare i soldi, ma li consegnerò io, quindi puoi stare tranquilla-.
-E Ashton? Dov'è?- domandai quando mi sentii più a mio agio.
-Ora lo vado a prendere, tu resta qui. Devo solo fare una telefonata-.
 
Aspettai interminabili minuti che mi sembravano ore. Lunghe e strazianti.
Finii le unghie da mordere, e mi sorpresi a strappare alcune delle foglioline di una pianta rinsecchita alla mia destra.
Avevo finito di compilare le carte consegnatemi dall'agente tempo prima, e stavo letteralmente morendo dall'ansia.
Mi presi la testa tra le mani, appoggiando i gomiti sulle cosce, e per poco non piansi. 
La situazione in cui mi ero cacciata era veramente assurda, da non crederci.
-Hey-.
Sentii picchiettarmi sulla spalla, così alzai di scatto la testa, e lo vidi.
Come se non lo vedessi da tanto tempo, lo abbracciai, allacciandogli le braccia attorno al collo e stringendolo forte.
Piansi sulla sua spalla e gli diedi alcuni colpetti sulla schiena.
-Sei uno stupido-.
-Cosa?-.
Tirai su con il naso e alzai il volto per guardarlo negli occhi.
-Sei uno stupido! Si può sapere che cosa hai combinato?-.
Gli afferrai le mani e le strinsi con le mie senza staccare lo sguardo dal suo, impenetrabile.
-Ho fumato dell'erba-.
-Sei uno stupido-.
 
Uscimmo finalmente dalla stazione di polizia, ringraziando l'agente, e camminammo per un po', finché mi accorsi di essere troppo stanca per poter camminare ancora per un chilometro.
-Non ho molti soldi. Non possiamo chiamare un taxi- ammisi.
Ashton annuì e si guardò attorno alla ricerca di qualcosa, poi, sconfitto, tornò a camminare.
-Non possiamo farci niente; anche io sono stanco morto-.
Come se non bastasse iniziò a piovere a dirotto, ed io vestivo con un misero paio di pantaloncini e una felpa, senza cappuccio per giunta.
-Sembra che il mondo oggi non ci sorrida per niente- ridacchiò sarcastico.
Mi fermai e lui fece lo stesso, ci guardammo negli occhi e mi venne da ridere.
Ashton era bagnato fradicio, con i capelli a coprirgli la fronte, mentre la sua maglietta nera gli si era aderita completamente al corpo. Era bellissimo, da mozzare il fiato.
E senza rendermene conto avevo già appoggiato le mie labbra sulle sue, non facendo caso al terribile odore di asfalto bagnato.






Hey!
Eccomi qui, finalmente, con un altro capitolo che, se devo essere sincera, non mi convince molto.
Ero partita con l'idea di farlo abbastanza corto, ma l'ho concluso con ben più di 3300 parole. E non è poco.
Passando al capitolo, boh, non è molto sostanzioso, ma l'ultima parte credo che possa abbastanza soddisfare, credo.
Mancano sempre meno capitoli alla fine della storia, e credo che mi mancherà scriverla, quando sarà finita. :( già mi vien da piangere.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima,
-Follow The Sun xx

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Capitolo 23
*** Home. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 23.
 
Quella notte, dopo il bacio, Ashton cercò di andare oltre. Inizialmente, stanca e bagnata fradicia a causa della pioggia, non gli diedi importanza e stetti al gioco, ma quando me ne resi conto, provai a respingerlo, invano.
Era ancora poco lucido, nonostante fino a pochi istanti prima sembrasse l'Ashton di sempre.
Le sue mani vagavano dalla mia schiena alla mia pancia, sul mio petto e sul mio collo.
Quando mi liberai, finalmente, pensai solo a correre, lontano, sperando che lui non mi seguisse; infatti non lo fece.
Se ne stava là, in piedi, immobile, a guardarmi sotto la pioggia con un'espressione indecifrabile. Teneva gli occhi fissi nel vuoto, la bocca semiaperta e le mani distese lungo i fianchi. Non capivo a cosa stesse pensando, non l'avevo mai visto così.
Quando mosse il primo e lento passo, iniziai di nuovo a correre, e in poco tempo mi ritrovai di fronte al grande cancello della casa di Candice.
 
Mi rannicchiai nel letto, con le coperte fin sopra la testa, e finsi di dormire. Il mio respiro era pesante e accelerato, e nonostante cercassi di reprimerlo e di non fare troppo rumore, quello aumentava sempre di più a causa dell'ansia e della paura.
Le gocce di pioggia sui miei capelli e sul resto del mio corpo stavano spudoratamente bagnando le lenzuola e il cuscino, facendomi provare fastidio. Ma non era il momento adatto per lamentarsi e per fare gli schizzinosi; mi sarei presa un bel raffreddore.
L'importante, in quel momento, era non farsi trovare sveglia da Ashton.
 
La mattina successiva, quando aprii gli occhi, lo trovai seduto al bordo del letto, i capelli ancora umidi sulla fronte e gli occhi semichiusi.
Mi sentivo sopraffatta... Il corpo ridotto al limite, la mente vuota e le mie emozioni sparse al vento. 
Allungò una mano dietro di sé, tolse l'umido lenzuolo dal fondo del letto e me lo avvolse intorno al corpo. 
La stoffa fredda ed estranea mi fece rabbrividire.
Egli mi circondò con le braccia, tenendomi stretta, cullandomi possessivamente avanti ed indietro.
-Perdonami- mormorò vicino al mio orecchio, la voce sciolta e desolata.
Mi baciò i capelli, un bacio, e un altro.
-Scusa, davvero-.
Gli affondai la faccia nel collo e continuai a piangere, uno sfogo liberatorio.
Usai un angolo del lenzuolo per asciugarmi la punta del naso e a poco a poco mi resi conto che quella visione non era poi tanto male.
Restammo abbracciati per alcuni minuti che sembravano durare in eterno.
A quanto pare si era risvegliato dal pessimo stato di quella notte, e poteva finalmente pensare in modo razionale.
-Non volevo farlo, lo sai. Mi sono lasciato andare. Non so cosa mi sia preso-.
Annuii, esausta ormai di tutto.
Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi ma, in cuor mio, sapevo di averlo già perdonato.
 
 
[…]
 
 
Corsi più veloce che potevo, con il mio trolley ben stretto che saltava ad ogni piastrella, verso coloro che non vedevo da ormai molto, troppo tempo.
Mi erano mancati tanto, così tanto che solo al pensiero di rivederli mi si appannavano gli occhi a causa delle lacrime. 
Sì, stavo piangendo.
Attraversai un lungo corridoio, facendo slalom tra le persone dell'aeroporto e beccandomi anche parecchie occhiatacce, ma non mi importava.
Mi fermai, mentre respiravo affannosamente, e diedi un'occhiata in giro alla ricerca dei miei amici.
Avevo il cuore in gola, la sensazione che provavo, le emozioni e i brividi lungo il corpo mi fecero capire che finalmente avevo trovato il posto adatto in cui avrei voluto trascorrere la vita intera.
 
Appena scorsi la testa bicolore di Michael tra la folla, seduto sulle panchine, mi illuminai e urlai il suo nome a gran voce. Finalmente.
Stavo per rivederli davvero, lo stavo facendo.
 
Quelle due settimane in America sembravano passare troppo lentamente, e ad un certo punto avrei voluto abbandonare tutto e tornare da sola in Australia. 
 
-Michael!- urlai, di nuovo.
Egli, appena mi sentì, scattò in piedi e mi venne in contro a braccia aperte.
 
Michael, sono tornata!
 
Lo abbracciai forte, inspirando il suo profumo e stringendo tra le mani il tessuto della sua camicia a quadri verde.
Nel frattempo il mio trolley era caduto a terra, sotto gli occhi delle altre persone, e non mi importava se tutti ci stavano guardando; finalmente ero a casa.
-Em, mi sei mancata così tanto- sussurrò vicino al mio orecchio, forse pensando che non lo sentissi.
-Stai perdendo credibilità nella tua possibile virilità- lo schernii.
Mi diede un pugno leggero sulla spalla, al quale non reagii, e rise.
-Mi sei mancato anche tu, davvero tanto-.
-Gli altri sono fuori, andiamo?-.
-Certo-.
 
Quando finalmente fummo fuori dall'aeroporto, i nostri amici ci vennero in contro, esultando e chiamando il mio nome.
Calum fu quello ad avvicinarsi per primo, e mi abbracciò.
Non sentivo sulla mia pelle un suo abbraccio da così tanto tempo che per un istante mi parve che fosse un estraneo, ma subito mi abituai di nuovo a quella dolce sensazione.
-Spero tu non mi abbia dimenticato, vero?-.
Ridacchiai, e aumentai il tono della risata quando anche Allison si unì all'abbraccio, facendo arrossire violentemente Calum.
-Ciao Alli- dissi. 
Mi strinse a se scostando l'altro ragazzo, e alcuni dei suoi capelli rosa mi andarono a finire sulla faccia, appiccicandosi alle mie labbra intrise di burro cacao.
-Non puoi capire quanto mi sia mancata. Non andartene più. Iris non sa giocare a Cluedo come fai tu-. 
La rossa si intromise, l'espressione accigliata e le mani davanti al busto in segno di difesa.
-Hey, non è colpa mia se non ci ho quasi mai giocato!-.
Strinsi a me le due ragazze in un colpo solo, e Iris fece finta di soffocare. 
-Credo tu sia mancata a tutti- aggiunse, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Ethan e Jake si avvicinarono con dei meravigliosi sorrisi stampati sui loro volti. Mi mancavano anche loro, davvero tanto.
Il primo indossava una camicia blu con dei disegni bianchi terribilmente aderente, invece il secondo sfoggiava una splendida felpa rosa confetto.
-Emma, Evans, oh Dio, hai un'abbronzatura stupenda. Sei andata molto spesso in spiaggia?- disse Jake. Mi prese una mano e mi fece fare un giro su me stessa. Ridacchiai, imbarazzata.
-Jake ha una nuova cotta-.
-Ethan! Ti avevo detto di non dirlo a nessuno!-.
-Ops, pardon-.
Sorrisi alla loro adorabile scenetta e guardai se ci fosse ancora qualcuno, lì per me.
Ovviamente c'erano anche Luke e Jade, in parte a parlare di non so cosa, così li raggiunsi per salutarli.
 
-Uhm, hey!-.
Entrambi si girarono a guardarmi, ma Jade fu la prima a reagire.
-Emma, finalmente sei tornata! Luke è una noia mortale, continua a ripetere che ci vuole qualcuno che suoni la batteria, abbiamo passato tutto il tempo delle prove ad ascoltare le sue lamentele. Non ne potevo più!- finse di mettersi le mani nei capelli, ovviamente troppo perfetti e ordinati per essere rovinati.
-Non è affatto vero…- bofonchiò Luke, con le braccia incrociate al petto e un'espressione contrariata.
-Beh, ora sono tornata. Non avrete più questo problema in ogni caso-.
Io e Jade ci mettemmo a ridere, e potei constatare che non era una ragazza così presuntuosa come pensavo.
 
Mentre mi preparavo a fare domande su cosa fosse successo nelle ultime settimane, Ashton arrivò per salutare il gruppo, e mi feci da parte.
Nonostante lo avessi già di gran lunga perdonato, non mi andava di guardarlo con gli stessi occhi. Qualcosa era cambiato, provavo imbarazzo a stare con lui per troppo tempo.
 
-Dove sono i miei genitori?- chiesi a un certo punto, quando mi resi conto che mancava davvero qualcuno di importante.
I ragazzi del gruppo si scambiarono sguardi complici, balbettando qualcosa a me non comprensibile, infine Iris si fece avanti e mi spiegò che non erano potuti venire a causa di un impegno improvviso. Le credetti.
 
Prendemmo un autobus che ci avrebbe portato dove avremmo dovuto incontrare alcuni amici di Michael, i quali avevano le auto per accompagnarci a casa.
Mi sentii più sollevata quando scoprii di essere in macchina con Iris, Allison, Calum e Michael, e non con Ashton.
 
 
[…]
 
 
Salutai con la mano i miei amici, mentre si allontanavano a tutta velocità sulle auto.
Sospirai, girandomi in direzione di casa mia e assumendo un'espressione malinconica.
 
Casa, finalmente.
 
Camminai velocemente fino alla porta d'ingresso, levai le scarpe bagnate, lasciandole lì davanti, e suonai il campanello, euforica.
-Chi è?-.
Sentire dal vivo la voce di mia madre mi fece venire le lacrime agli occhi, e dovetti mordermi il labbro inferiore per reprimerle.
Inoltre, ero felice che la casa non fosse vuota, avrei dovuto cercare le chiavi di casa nei meandri della mia valigia se non ci fosse stato nessuno.
-Emma. Sono tornata- dissi, la voce spezzata dall'emozione.
Sentii dei brusii insistenti provenire dall'interno, la serratura scattò un paio di volte, poi potei finalmente rivedere la mia famiglia, mamma e papà.
Mio padre scattò subito in avanti, regalandomi un caloroso e morbido abbraccio, al quale risposi senza indugiare, affondando la testa sul suo petto.
Mia madre ci circondò con le braccia, senza però creare un vero e proprio abbraccio: non era da lei compiere gesti troppo affettuosi, soprattutto negli ultimi tempi.
-Siamo felici che tu sia di nuovo a casa, anche se non ci aspettavamo che tornassi così presto-.
Mia madre annuì.
-Pensavamo che tornassi questa sera-.
Mi spostai da mio padre per evadere dall'abbraccio e aspettai che mi invitassero ad entrare. 
Ero esausta e volevo solo andare in camera mia, posare la mia roba e farmi un bagno rilassante.
Mia madre mi guardò, una nota di nervosismo nei suoi occhi, poi spostò l'attenzione su suo marito, il quale ricambiò lo sguardo con altrettanta ansia.
-Beh, allora,- si interruppe, sfregando tra loro le mani- entriamo?-.
La donna si spostò e per poco non cadde all'indietro sul ciglio della porta, ma non si scompose e aspettò che papà dicesse qualcos'altro.
-Sai, Emma, è difficile per noi, ma…-. Venne interrotto bruscamente da mia madre, la quale mi mise una mano sulla spalla e mi rivolse un sorriso speranzoso.
-Vi volete separare?- sputai, quando non seppi più dove volevano arrivare con quei sorrisi nervosi e gli sguardi disperati.
-Cosa?! No!-.
Sospirai, sollevata. Avevo decisamente pensato che il motivo di quell'atmosfera strana fosse la loro separazione ma, fortunatamente, non era così.
-Abbiamo una notizia importante.- si sistemò le maniche della camicetta. -Dobbiamo presentarti qualcuno-.
Deglutii, mentre il mio respiro diventava più agitato. Un tremolio scosse il mio corpo.
-Eleonora, via il dente, via il dolore-.
Aggrottai le sopracciglia, confusa.
-Abbiamo adottato un bambino-.
 
 
[…]
 
 
 
Mi passai le foto tra le mani, osservando ogni minimo dettaglio del volto presente in ognuna di esse.
Stavo via solo due settimane e succedeva il finimondo.
Posai le foto al mio fianco e alzai lo sguardo sui miei genitori, i quali erano seduti accanto a me sul divano in pelle, scrutandomi attentamente, come per cogliere qualsiasi reazione da parte mia.
-Come si chiama?- chiesi, titubante, rigirandomi ancora le foto tra le mani.
Non riuscivo a fare a meno di notare come il suo viso fosse così triste, un sorriso triste e disperato racchiuso in un mucchio di fotografie. 
-Si chiama Nicholas- si affrettò a dire mia madre. Afferrò una foto, l'accarezzò e sorrise debolmente, come se fosse una delle cose più preziose al mondo.
Un po', lo devo ammettere, mi sentii gelosa di tutte le attenzioni che i miei genitori stavano dando a quel mio presunto fratellastro.
-Sai, questa cosa ti sorprenderà, ma… Lui ha quindici anni-.
Spalancai occhi e bocca.
 
Abbiamo solo due anni di differenza!
 
-Woah, cioè, è strano. Non so cosa dire-.
-Sono certa che saprai gestire al meglio la situazione, tesoro. L'hai sempre fatto-.
Mi domandai a cosa si riferisse, poi pensai ai continui trasferimenti e a tutto il resto, e in risposta abbassai il volto, rivolgendo il mio sguardo sul mio trolley ancora abbandonato sul pavimento.
-L'età non fa differenza. Sopportiamo economicamente quel ragazzo da quando aveva circa nove o dieci anni, e solo ora che siamo qui, in Australia, abbiamo avuto la possibilità di firmare i documenti per l'adozione. Non abbiamo problemi di soldi, e tantomeno di spazio, lo sai- prese parola mio padre.
Pensai alla stanza vuota ancora da sistemare, essendo piena di scatoloni, al piano di sopra e mi chiesi dove avrebbe potuto dormire quel ragazzo.
-Attualmente dorme di sotto, in taverna, in un letto provvisorio che abbiamo comprato all'IKEA, ma sono certo che con il tempo le cose si sistemeranno-.
Non feci in tempo a dire altro, che la porta d'entrata si spalancò, e lo vidi.
Un ragazzo alto circa quanto me, o forse di più, i capelli scuri tirati su in un ciuffo malandato, gli occhi bassi e sottomessi.
Fui la prima ad alzarmi, sotto lo sguardo i mamma e papà, ma a loro dispetto, invece di accogliere a braccia aperte il nuovo arrivato, mi congedai con un "scusate, ho bisogno di un bagno caldo" e salii le scale.
 
 
[…]
 
 
Misi una maglietta comoda e larga, probabilmente rubata a mio padre qualche settimana prima, e mi buttai a peso morto sul mio letto.
Non era cambiato nulla, se non la disposizione di alcuni oggetti dopo che mia madre era passata a fare la polvere sugli scaffali.
Avevo la mente completamente in subbuglio, ogni pensiero, sia insignificante o importante, mi riportava a Nicholas.
 
Nicholas.
 
Sbloccai il mio telefono e andai su WhatsApp, mandando una nota vocale sul gruppo che condividevo con tutti i miei amici.
 
«Attenzione, emergenza “Non sapevo di avere un fratello”.»
 
Non avevo molta voglia di stare a leggere tutti i messaggi che stavano mandando nel mentre, così li liquidai con un “vi spiego tutto domani” e spensi il telefono.
 
Quando scesi di sotto per bere un sorso d'acqua, mi accorsi che la tavola era apparecchiata solo per due persone, e non per tre, o meglio dire quattro.
Non pretesi di avere un posto a tavola, pensai semplicemente che i miei avessero rinunciato ad aspettarmi per la cena.
 
Prima che potessi appoggiare un solo piede fuori dalla cucina, mia madre emerse porgendomi un piatto fumante straboccante di pasta al sugo.
 
Finalmente si mangia.
 
-Emma, per favore, potresti portare questo piatto di sotto a Nicholas?- mi implorò.
La mia danza interiore cessò, lasciando spazio ad un urlo straziante e pieno di rabbia.
Stavo per rispondere con un secco e deciso “No”, ma lo sguardo di mio padre, seduto su una delle sedie della cucina, stanco e speranzoso, mi fece cambiare idea.
Dovevo farlo per loro.
Dovevo farlo per la loro felicità.
 
Scesi le scale per la taverna lentamente, come se il tempo avesse potuto rallentare e rendere tutto meno doloroso e tremendamente difficile.
Percorsi anche l'ultimo gradino, poi, con molta esitazione, bussai alla porta di metallo.
Avrei voluto non provocare così tanto rumore.
Un fruscio, poi un altro, ed infine udii la sua voce.
-Avanti-.
Aveva il classico tono di voce di un ragazzino in piena fase ormonale, quella fase in cui sei passato dal “bambino dolce e gentile” al “da domani faccio il soprano” in così poco tempo che neanche te ne rendi conto.
Aprii la porta, sempre molto lentamente, ed entrai in quella che era diventata la sua stanza.
Aveva un piccolo tavolo che gli faceva da scrivania. Alcuni quaderni erano adagiati su una sedia di plastica, mentre il suo letto era completamente disfatto, con alcuni libri sparsi qua e là.
Appena mi vide, da sdraiato scattò seduto, coprendosi più che poteva i boxer con la maglietta.
-Io, uhm, ti ho portato la cena-.
Appoggiai sul piccolo tavolo in legno il piatto, ancora fumante, e rimasi lì a guardarlo per alcuni istanti.
D'un tratto, non so come, mi feci coraggio e mossi alcuni passi verso lui, allungai la mano e gliela porsi.
-Comunque, sono Emma. Piacere di fare la tua conoscenza-.
Guardò la mia mano, davanti al suo viso dipinto dagli ormoni, con sospetto; forse si sentiva intimorito da me.
Quando si alzò in piedi, sovrastando la mia altezza, per poco non spalancai la bocca: era davvero alto.
-Nicholas, ma forse lo sai già-.
La strinse, ma solo per poco, poi prese il suo piatto e lo esaminò con la forchetta.
-Grazie-.

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Capitolo 24
*** Tøp. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 24.
 
Il giorno dopo il mio arrivo a casa, fui deliziata dalla fantastica notizia che avremo avuto ospiti a cena.
Si trattava del datore di lavoro di mio padre: un uomo sulla cinquantina con la puzza sotto al naso. Sua moglie, il suo alter ego, era una donna alta e smilza con sempre sotto braccio il suo Yorkshire di razza, compreso pedigree.
Credevo che persone del genere esistessero solo nei film, ma mi sbagliavo.
Arrivarono intorno alle otto, puntuali, e non si limitarono nei complimenti.
 
“Oh, ma che bella casa!”
“Adoro questo vaso, è antico?”
“Ha mai giocato a golf?”
“Scommetto che questa è seta. Non potrei aspettarmi altro da persone come voi!”
 
Mi godetti tutta la scena con un sorriso compiaciuto stampato in viso, seduta in modo composto sul divano, rigorosamente appoggiata al bracciolo.
Non avevo più visto Nicholas dalla sera precedente. Non era neanche salito per la colazione.
Salì solamente per la cena. La signora Holt, così si chiamavano, fece un lungo discorso su come fosse importante regalare un futuro sicuro a ragazzi che prima d'ora non ne avevano avuto l'opportunità. Finì la predica rivolgendosi a me, seduta di fronte a lei al tavolo, raccomandandomi di essere una sorella degna di essere chiamata tale.
Lanciai diverse occhiate a Nicholas, o come tutti lo chiamavano, Nick, ma non sembrava essere molto intenzionato a seguire la conversazione. Se ne stava semplicemente con la testa bassa e rivolta verso il suo piatto sempre pieno di pasta. Giocherellava con la forchetta, spostando di tanto in tanto qualche spaghetto, e sospirava in continuazione. 
 
-Nick, ti va di raccontare ai signori Holt cosa vorresti fare dopo il liceo?- chiese mia madre quando capì che il silenzio stava diventando troppo pesante.
Alzò velocemente il viso, dimenticandosi per un attimo del suo piatto, e cercò di cominciare il discorso con un «beh...» a cui seguì un ulteriore, soffocante silenzio.
-Mi piacerebbe diventare un professore di lettere-.
La mia attenzione venne particolarmente attirata nel momento in cui disse quelle esatte parole. Avevo notato i diversi libri e quaderni nella sua stanza, ma non mi sarei mai aspettata che gli piacesse così tanto.
Addentai l'ultimo pezzo di pollo, gustandomi a fondo il suo sapore, e feci per aggiungere qualcosa, ma venni fermata da mia madre, la quale mi chiese di prendere ancora del vino dalla credenza in taverna.
Mi domandai mentalmente perché non lo avesse chiesto a Nicholas. Egli ci abitava, ormai, giù in taverna. 
Alzai gli occhi al cielo mentalmente. Solo Dio sa cosa mi sarebbe successo lo avessi fatto fisicamente, oltre che nella mia testa.
Mentre facevo l'esorbitante sforzo di alzarmi dalla sedia, provocando inoltre un rumore insopportabile, notai Nicholas fare lo stesso, scusandosi con i presenti a tavola.
-Devo andare al bagno-.
Esultai, pensando che sarebbe andato al bagno al piano superiore, quello che anche io usavo tutti i giorni. Ma non fu così. Da poco tempo i miei genitori avevano ristrutturato il piccolo bagno di sotto, dotato solo di un lavandino, un wc e una piccola vasca da bagno. Capii all'istante.
Mi precedette a passo svelto, ma senza farlo troppo notare, camminò fino alla porta della taverna e la lasciò socchiusa. 
Sentivo una strana sensazione, come se qualcuno, per la prima volta, avesse invaso senza saperlo i miei spazi, la mia quotidianità, e li avesse ribaltati, trasformati completamente.
Seguii i suoi passi, cercando di mantenere la mia andatura calma e decisa, poi entrai dalla porta e scesi le scale in marmo freddo.
Ringraziai tutti i santi possibili per aver indossato le pantofole e aver così evitato di far ibernare i miei piedi.
La “stanza” di Nicholas, rispetto alla sera prima, era più ordinata e dava l'idea di avere uno stile tutto suo. I quaderni erano impilati uno sull'altro, i libri disposti in ordine alfabetico su uno scaffale e il letto era stato fatto con cura.
Mi sorpresi addirittura di come non ci fosse nulla fuori posto: anche penne e matite erano sistemate una a fianco all'altra formando una linea sorprendentemente retta.
Aprii l'armadietto dove solitamente i miei genitori tenevano il vino, ma la mia espressione tranquilla si trasformò quando notai che non c'era affatto nessuna bottiglia di vino all'interno.
Arrossii, vedendo tutti quegli indumenti infilati in quello spazio minuscolo, cacciati dentro alla rinfusa. Un paio di boxer cadde dal mucchio, posandosi ai miei piedi.
-Oh santo Dio- mormorai.
In quell'istante il rumore dello sciacquone risuonò nella stanza attorno a me, e Nicholas uscì dal bagno.
In un primo momento non sembrò farci molto caso, ma quando notò i suoi vestiti e i suoi boxer là per terra, arrossì come un pomodoro maturo.
-Io, uhm, credo che il vino sia in quell'altro armadietto-.
Indicò un paio di ante dall'altra parte della stanza e si abbassò per recuperare il resto dei vestiti che erano caduti a terra. Chiuse con un colpo deciso il piccolo armadio e ci si appoggiò con la schiena.
Afferrai la bottiglia di vino che mi sembrava più simile a quella che avevo visto sul tavolo di sopra e chiusi l'armadietto improvvisato; probabilmente i miei genitori lo avevano costruito per dare al nuovo arrivato un posto dove mettere i suoi indumenti.
-Credevo fossero in quell'altro armadio. Scusa per aver praticamente invaso i tuoi spazi- dissi in modo impacciato mentre reprimevo con tutte le mie forze l'imminente imbarazzo.
-No, cioè, tranquilla. È comprensibile-.
Alzò le spalle, e con quel gesto si staccò dal piccolo mobile dietro di se, facendo così rovesciare, ancora, gran parte del suo contenuto a terra.
-No! No, no, no…-.
Si affrettò a raccogliere tutto, mentre me ne stavo in piedi a osservare il tutto con una bottiglia di vino rosso in mano.
-Ti serve un armadio nuovo, a quanto pare-.
Raccolsi una maglietta, la quale era caduta abbastanza vicino a me, e la infilai in mezzo agli altri vestiti.
-A quanto pare, sì-.
Chiuse di nuovo l'armadietto, posizionando una penna in mezzo alle maniglie per non far più aprire le due ante.
Mi morsi un labbro, ripensando all'idea che mi era appena venuta in mente, poi mi schiarii la voce e presi un respiro profondo.
-Domani potremmo andare a un mercatino dell'usato e comprarne uno nuovo. Che ne dici?- domandai con il cuore in gola. Mi sentivo quasi una stupida a fare una domanda del genere. Forse avremmo dovuto conoscerci meglio prima, forse mi odiava, o forse non voleva avere niente a che fare con una come me.
-Buona idea. Indipendenti da Eleonora e Mark?-. Annuii.
-Bene- sorrise.
Abbassai lo sguardo, entusiasta di aver fatto la cosa giusta, almeno per una volta.
-Nick… Nicholas- lo richiamai, evidentemente imbarazzata nel richiamarlo per la prima volta.
-Mh?-.
-Hai la zip abbassata-.
 
[…]
 
Lanciai un ultimo e raggelante sguardo al gruppetto di ragazzi che ci stava guardando da lontano, sullo stipite dell'aula di Francese. Presi Michael a braccetto, mi allungai per lasciargli un leggero bacio sulla guancia e lo portai via con me.
-Spero che la ramanzina sia bastata- sputo, indifferente. Non volevo darlo a vedere, ma mentre discutevo con quei ragazzacci continuavo ad avere il presentimento di poter ricevere da un momento all'altro un pugno in pieno volto. Ero terrorizzata.
-Mi hai messo in ridicolo. Certamente è bastata!-.
-Finiscila. D'ora in poi non ti disturberanno più-.
Vidi Calum e Ethan parlare in lontananza, così ne approfittai per spiegare anche a loro la grande notizia.
-Possiamo parlargli dopo?-. Michael mi strattonò, facendomi fermare di colpo. Mi accigliai, non capendo.
-Hai finito le lezioni per oggi, non c'è quella di Matematica, invece io devo partecipare agli allenamenti di calcio. Dureranno circa due ore e non avrò nessuno con cui parlare seriamente per un po'. Ti prego, parlerai con loro dopo- mi supplicò, la voce instabile e le mani giunte.
Sospirai, contrariata, ma alla fine accettai e feci retro front, camminando in direzione degli armadietti.
Appena arrivammo a destinazione scorsi tra gli altri alunni, indaffarati a prendere le proprie cose, Allison, la quale era appoggiata contro il mio.
-No, ti prego. Lo fanno apposta? Ti seguono? Hai per caso un microchip attaccato da qualche parte? Dio, salva la regina-. Ridacchiai all'improvviso attacco di pazzia di Mike, al mio fianco con una mano a coprirgli il volto. 
-Ciao Emma- si sistemò una ciocca rosa sbiadita dietro l'orecchio, sorrise timidamente, o forse in modo ingannevolmente timido, e si rivolse al tinto. -Ciao anche a te, Michael, tutto bene?-.
Il ragazzo annuì, al limite della sopportazione, mi diede un abbraccio svelto e se ne andò.
-Che gli prende?- chiese, confusa.
-È un po' nervoso per gli esami. Deve guadagnarsi alcuni crediti extra che gli serviranno per superare gli esami almeno con ottanta su cento. È molto determinato; sono sicura che ce la farà-.
-Ce la farà senz'altro... Andiamo? Devi raccontarmi un sacco di cose-.
 
[…]
 
-Posso vederlo? Ti prego. Se sarà tuo fratello devo almeno conoscerlo- aggiunse, euforica.
-Non è sbagliato avere una crush su una persona più giovane, vero?-.
Alzai gli occhi al cielo, di nuovo.
-Ti ho detto che è carino, non che puoi provarci- dissi, fredda. L'intero viaggio in pullman era stato occupato dall'argomento “Nicholas”, e da quando avevo accennato al fatto che il ragazzino non era poi così male, Allison aveva cominciato a dare di matto.
-Iris potrebbe farlo; hanno la stessa età-.
-Può darsi, ma non è scontato-.
-Gelosa del tuo fratellastro? Sei adorabile-.
-Io non sono gelosa! Sto solo cercando di dirti di andarci piano, credo si debba ancora ambientare, lo spaventeresti-.
Sbuffò, contrariata, mentre si sistemava lo zaino sulle spalle.
-Ricordati che lunedì partiamo-.
-Huh? Per dove?- domandai confusa. Mi ero persa qualcosa?
-Sveglia! Il campeggio. Sai, una settimana, quarto anno, lunedì prossimo- alzò le mani e le dimenò con fare teatrale. 
-Non ne sapevo niente- confessai. 
-Strano. Ho consegnato io personalmente l'autorizzazione a tua madre, l'ho vista anche a scuola per riconsegnarla al preside-.
Sospirai, di nuovo. La nostra fermata si stava avvicinando; avevo ormai capito che Allison sarebbe scesa con me, non avrei potuto farci nulla.
Camminammo velocemente verso casa mia,
Io davanti e lei al mio seguito.
Posai la mano sul pomello della porta, accertandomi che fosse aperta, chiusi gli occhi e mi ripetei mentalmente che, nonostante tutto, niente poteva andare storto.
-Dignità- dissi solo, rivolta alla ragazza accanto a me.
Aprii la porta e buttai subito lo zaino sul pavimento. Ero intenzionata ad andare diretta in camera mia, ma un'insolita presenza mi fece alzare lo sguardo, e forse anche scappare un sorriso.
-Cosa sta facendo, esattamente?-.
Scossi la testa, divertita.
 
Ed io che pensavo fosse un ragazzo come tutti gli altri.
 
Tossii leggermente per attirare l'attenzione di Nicholas, niente da fare.
Se ne stava là, con una maglietta e un paio di boxer addosso, cuffie nelle orecchie, muovendosi a suon di musica.
-Venti minuti a centottanta gradi, perfetto-.
Io ed Allison ridacchiammo di nuovo, incantate dal fantastico e, soprattutto, unico spettacolo davanti ai nostri occhi.
Nicholas infornò, chiuse il forno, e si girò per sistemare il bancone. Inutile dire che quando ci vide, metà del pacco di farina finì su di lui; e anche sul pavimento.
-Cazzo, cioè, cavolo. Ho farina ovunque. Twenty one pilots, vi odio nel profondo. Perché mi avete fatto questo?-.
 
[…]
 
-Che ne dici di questo?-. Indicai un mobile più simile a un comodino, il cui colore assomigliava ad una sorta di rosso scuro con dei disegni marroni. 
Scosse la testa, indignato.
-Lo fai apposta-.
-L'ultimo che ti ho suggerito era rosa-.
-Non sono gay-.
-Non l'ho mai detto-.
 
Stavamo camminando da ormai tre quarti d'ora, e già non ne potevo più. Nick aveva davvero dei gusti difficili. E, come se non bastasse, non aveva mai preso la metropolitana, e ciò lo rendeva diffidente e preoccupato.
 
-Mi piace quello-. Passò in mezzo tra un tavolo e una poltrona, attraversò un corridoio di sedie antiche e mi indicò un armadio beige, classico, con una maniglia in alto.
Non era molto grande, ma lo era per contenere i suoi vestiti, ne ero sicura.
-Vuoi comprarlo?-.
-Se per te va bene-. Si strinse nelle spalle e guardò altrove.
 
[…]
 
-Allison pensa che tu abbia delle belle gambe- dissi, compiaciuta, mentre camminavamo lungo la strada che ci avrebbe portati verso casa.
-La tua amica?-.
Annuii lentamente, ridacchiando.
Egli abbassò lo sguardo sulle sue gambe fasciate da dei jeans neri, poi strinse le labbra in una linea e tornò a parlare.
-Non me l'aveva mai detto nessuno-.
-Ti piace cucinare?- chiesi, d'un tratto, ricordandomi della scena di quello stesso pomeriggio.
Nicholas sembrò sbiancare per un istante, si portò una mano alla testa e tirò i capelli all'indietro.
-Imbarazzante-. Sospirò. -Preferisco fare dolci, in realtà-.
 
 
 
 
 
Hey!
Eccomi di nuovo qui.
È un capitolo un po' di passaggio, non succede niente di strano. Possiamo notare, però, l'avvicinamento di Nicholas ed Emma. Tutti e due stanno facendo del loro meglio per andare d'accordo.
Emma ha sistemato una volta per tutte i bulletti che abbiamo incontrato all'inizio della storia, e Michael si sente sempre di più attaccato alla sua migliore amica.
Inoltre, ci sarà una gita in campeggio, proprio ad una settimana prima della fine della scuola; ne vedremo delle belle!
 
Grazie per aver letto,
-Follow The Sun xx

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Capitolo 25
*** Cornobble. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 25.
 
-Mi si rovinerà la piega!-.
Sbuffai, scocciata, scavalcando l'ennesimo tronco davanti a me. Scacciai via alcuni insetti davanti alla mia faccia e mi asciugai del sudore sulla fronte.
-Bene, ragazzi, ancora alcuni metri e potrete sistemare le tende- annunciò il professore, davanti al resto del gruppo.
Tirai bene sulle spalle il mio zaino, cambiai mano per tenere il borsone e mi fermai per aspettare Calum, il quale era a pochi metri dietro di me.
-Stanca?- disse, quando mi raggiunse.
Mi strinsi nelle spalle, sfinita, anche se non volevo darlo a vedere.
-Ci divideranno in cinque gruppi. Spera di capitare insieme a me-. Mi fece l'occhiolino, aumentò il passo e alzò una mano. -Prof!-.
Non prestai attenzione a cosa Calum stesse chiedendo al professore, piuttosto a come Luke e Jade sembrassero affiatati.
-Jad, mi fa male il braccio, potresti portare tu la tua valigia per un po'?- supplicò il biondo, stremato, con la maglietta attaccata al corpo dall'eccessivo sudore.
-Siamo quasi arrivati. Solo un altro sforzo- rispose senza neanche pensarci, sventolando una mano. Detestavo estremamente il suo carattere superficiale. Spesso pensava solo a se stessa, dimenticandosi dei sentimenti degli altri. 
 
-Il suo servo personale, a quanto pare. Sapevo che Jade era nelle cheerleader, ma non pensavo fosse così presuntuosa. Guardala, si ferma ogni cinquanta metri per sistemarsi il trucco. Imbarazzante- Allison si materializzò al mio fianco. Anche lei aveva un borsone enorme, come il mio. Respirava pesantemente e aveva parte della frangia rosa attaccata alla fronte.
-Penso che, appena arrivata, mi farò una doccia e mi stenderò nella tenda a dormire-.
-Ci sono delle vere docce?- chiesi.
-Non lo so, a dire il vero. È solo uno dei miei desideri ricorrenti-.
-E quali sarebbero gli altri?-.
-Non so. Forse sapere perché Calum mi sta facendo una foto con la telecamera interna del suo telefono-.
-Non farci caso- ridacchiai.
-Non ci farei caso se fosse Michael… Beh, in realtà ci farei molto, moltissimo caso. Del tipo che inizierei a sclerare e fare altre cose imbarazzanti, ma… Non è così. Quindi mi devi promettere che prenderai il suo telefono e cancellerai qualunque cosa lui abbia di compromettente su di me. Intesi?-.
-Non ti assicuro niente-.
 
 
[…]
 
 
Mi coprii fino alla testa per evitare il terribile ronzio di qualche insetto fastidioso che volava da qualche minuto nella mia tenda.
Calum, che era in tenda con me, dormiva da ormai un paio d'ore e non osava smettere di russare neanche per un secondo.
Gemetti, infastidita, afferrando velocemente lo spray anti insetti dal mio borsone e spruzzandolo poi per tutta la tenda.
-Sono così malvagia-.
Crollai sul sacco a pelo e sospirai.
 
Eravamo arrivati da solo una manciata d'ore, la maggior parte di noi era andata a mangiare nella mensa, gratuita, del campeggio, mentre il restante numero di ragazzi aveva preferito rimanere nelle tende a riposare. Ed io ero una di quelli.
Le gambe erano doloranti, come le braccia, affaticate del peso dei bagagli. Per di più si era aggiunto anche un forte mal di testa.
 
-Dio, che odore nauseante!- Cal si stiracchiò sul suo sacco a pelo blu. Parte del tessuto scricchiolò a causa delle sue mosse, mi chiedevo quanti anni avesse quella roba.
Egli si mise seduto e si stropicciò gli occhi, poi se li coprì con una mano per non essere abbagliato dalla luce della lanterna.
-Sei sveglia da molto?-. Annuii.
-Stavo russando?-. Non risposi.
Certamente, no, ti stavi solo esercitando a grugnire. 
Calum rise, intuendo ciò che non avevo saputo dire con un semplice silenzio. 
Amavo il fatto che i miei amici, quelli veri, sapessero intuire ciò che non potevo dire a parole, con poco. Sapevano capire quando qualcosa non andava, ed erano sempre in grado di rendere la situazione più divertente.
 
-Scommetto che non riesci a dormire-.
Spontaneamente, un angolo della mia bocca si incurvò all'insù, come comandato da una forza superiore a quella della mia volontà.
-Forza, vieni qui- sussurrò, mentre si rannicchiava di lato nel suo sacco a pelo facendomi spazio.
-Cal, non credo sia il caso-.
-Se qualcuno dovesse fare domande, diremo  che il tuo è pieno, che ne so, di muschio-.
-Muschio-.
-Perché no?- rise.
-Okay, arrivo-.
 
L'unica cosa che mi rimase impressa nella mente, prima di lasciarmi andare nell'oscurità del sonno, furono le calde mani di Calum attorno alle mie, fredde come l'inverno.
 
 
-Bene, ragazzi, la prima cosa che faremo oggi sarà andare in barca. Non è emozionante?!- informò Matthew, il rappresentante delle classi del quarto anno. Jeannette, la vice, annuì scocciata mentre cercava di stirare con le mani la sua maglietta attillata.
Scossi la testa, annoiata, e ritornai alla tenda per mettere nello zainetto dei vestiti di ricambio.
-Emma, guarda, Allison ha delle gambe stupende- sussurrò Calum al mio orecchio. Alzai gli occhi al cielo e camminai lungo il sentiero, dove una lunga fila di ragazzi del mio anno si stava avvicinando sempre di più al grande lago.
 
-Sarete in sei per barca. Se non dovessero bastare, farete a turni-.
Prima che potesse finire la frase avevo notato Calum correre sul pontile, come fecero inoltre atri studenti, per accaparrarsi le barche migliori; e soprattutto accaparrarsi un posto.
Il ragazzo mi fece cenno con la mano ed io annuii, prendendo la mano di Allison.
-Calum sembra strano-.
-Lo è- risposi, ovvia.
-Lo so, ma è molto più strano del solito-.
-Adora le tue gambe-.
 
[…]
 
-Vi odio!- urlai in preda ad un attacco d'ira.
-Vi odio da morire!- ribadii.
Pestai i piedi a terra, sentendo un suono fastidioso e acquoso provenire dalle mie Vans nuove.
Strizzai la maglietta ritrovandomi circondata da una pozza d'acqua.
-La pagherete, tutti quanti- mormorai a denti stretti.
Mi tolsi le scarpe, tenendole poi in una mano sola, tolsi tutta l'acqua al loro interno e sbuffai.
Alzai il volto per poter vedere se ci fosse ancora qualcuno nei paraggi, ma non c'era più nessuno. 
 
Stavamo rientrando con le barche, io, Allison, Calum, Luke, Jade e un'altra ragazza che frequentava i miei stessi corsi di Biologia, quando all'improvviso mi sentii sollevare a spingere dentro l'acqua completamente vestita, nel bel mezzo del lago.
Impiegai almeno dieci minuti buoni per arrivare al ponticello in legno dove giacevano le barche.
 
Quando raggiunsi il campeggio, e ormai il sole stava tramontando, trovai tutti i miei amici tranquillamente seduti attorno al fuoco a ridere e scherzare. L'occhio mi scappò su un pesce crudo, poco lontano da loro, e mi venne un'idea.
Mi avvicinai di soppiatto, facendo cenno a Jade, la quale mi aveva notata, di non dire niente, e colpii le teste di Calum e Luke con il pesce.
-Ehi!- si lamentarono all'unisono.
Calum iniziò a ridere, mentre Luke si massaggiava alla base del collo.
-Siete degli stronzi! Come avete potuto lasciarmi là nel bel mezzo del lago?! Potevo annegare!- mi lamentai, scocciata.
Entrai nella tenda e mi spogliai, tenendo solo un asciugamano, presi dei vestiti puliti e uscii di nuovo per andare a farmi una doccia nei bagni comuni.
-Se non nuoti, affoghi- disse Luke con fare ovvio.
-Sicuro- continuò Allison, tenendo una mano a coprirle la bocca.
Scossi la testa e me ne andai.
 
Le docce erano a dir poco disgustose. Mi sorpresi di non vedere dei topi scorrazzare sulle piastrelle, tanto quel posto era lurido.
Non fu per niente facile trovare una doccia meno sporca delle altre, ma riuscii nel mio intento, alla fine. 
Però, proprio quando avevo appena chiuso la porta a chiave, appoggiato lo shampoo a terra e aperto il getto dell'acqua, notai che da quello non ne usciva neanche una piccola goccia.
-Ti prego, dimmi che non è vero- mormorai, premendo più volte sul pomello.
Cercai più volte di aprire il getto, ma non ce n'era verso, tutto inutile.
Come se non bastasse, la manopola si ruppe e cadde rumorosamente a terra. Venni invasa da un senso di rabbia che mi spinse a tirare un forte pugno al muro davanti a me, nel quale successivamente si formò una crepa.
-Davvero?! È uno scherzo questo?- con una mano mi tirai i capelli via dalla fronte, mentre con l'altra cercavo di riattaccare il pomello.
-Vediamo di non combinare pasticci, di nuovo- bisbigliai. Improvvisamente, mentre stavo incastrando il pomello al suo posto, un forte getto d'acqua mi colpì in pieno volto.
Avevo appena rotto una doccia, del tutto.
 
Dopo essermi andata a scusare dal direttore e dopo essermi fatta un'ulteriore doccia per scacciare via l'arrabbiatura, tornai dal mio gruppo per poter finalmente mettere qualcosa nello stomaco.
-Calum- salutai il mio amico, il quale stava ravvivando il fuoco con dei bastoncini.
-Emma? Ce ne hai messo di tempo! Sei per caso tornata a casa tua per farti la doccia?- scherzò.
Incrociai le braccia al petto e, a mio malgrado, cominciai a raccontargli la storia per filo e per segno, non dimenticando nessun particolare. Fortunatamente Calum non mi prese in giro e non disse niente di inappropriato, e gliene fui molto grata. Mi sentivo distrutta, sia emotivamente, sia fisicamente.
 
Il mio cellulare squillò dall'interno della tenda, così mi alzai e andai a rispondere.
-Pronto?-. Aspettai la risposta per un paio di secondi.
-Emma, sono Ashton-.
Spalancai gli occhi nel sentire il ragazzo dall'altra parte del telefono.
Mi domandai perché avesse chiamato proprio me, e soprattutto per quale motivo.
-Oh. Ciao Ashton- sforzai un sorriso, facendo segno a Calum che andava tutto bene. 
Era appena entrato in tenda, e si stava per togliere la maglietta, così distolsi lo sguardo, rossa in volto, e deglutii.
-Ti ho chiamata perché, beh, ho saputo da Michael che sei in gita. Niente di che, volevo sapere se sta andando tutto bene, se vi state divertendo-.
-Uhm, sì, tutto bene- dissi, terribilmente in imbarazzo, anche per colpa di Calum, il quale mi osservava senza maglietta, illuminato solo dalla luce del falò.
-Ah, fantastico. Mi fa piacere!-.
Aspettai con impazienza che aggiungesse qualcos'altro, mentre la mia faccia andava a fuoco e il labbro inferiore cominciava a bruciare.
-In realtà volevo solo chiederti scusa, per tutto. Sono stato un vero idiota-.
Guardai Calum, davanti a me, il quale si stava scompigliando i capelli con molta naturalezza. Un flashback invase la mia mente; era il momento di decidere da che parte stare. 
-Già, hai ragione-.
Spensi la chiamata e posai il cellulare accanto a me, sul mio borsone. 
-Era Ashton?- chiese.
Annuii, sospirando.
-Vado a fumarmi una sigaretta, non fare la spia-. Mi fece un occhiolino, accompagnato da un sorriso stanco, e se ne andò.
Il mio sguardo non abbandonò il suo corpo finché non lo vidi sparire fra gli alberi della foresta.
 
[…]
 
Aprii gli occhi non appena mi svegliai. Il pullman era ancora in viaggio, e l'unico tipo di vita presente attorno a noi, tralasciando il nulla più totale, erano gli alberi, prevalentemente pini.
Mossi la mia testa sulla spalla di Calum, facendo ancora finta di dormire per un po'.
Pensai fossero passate circa due ore da quando mi ero addormentata, perché il sole stava già iniziando a calare, lentamente.
Calum si mosse impercettibilmente con il braccio opposto a quello su cui ero appoggiata per prendere il suo telefono, lo sbloccò e mandò un messaggio a Michael.
Non feci in tempo a leggerlo, e tantomeno a leggere quello dall'altro ragazzo, perché Calum scattò un selfie a me, dormiente, appoggiata sulla sua spalla.
 
 
-Emma, siamo quasi arrivati-.
Aprii gli occhi e biascicai un “Cosa?” con molta fatica.
-La spalla mi è andata in cancrena-.
Mi risvegliai completamente e mi spostai da lui mormorando delle scuse, sulle quali rise.
-Hai dormito per quasi quattro ore. Ho per caso russato anche questa notte?- domandò con un grosso sorriso, gli occhi felici ridotti a fessura.
Scossi la testa e afferrai il mio cellulare dalla tasca anteriore dei pantaloni.
Michael aveva visto la foto. Fantastico.
 
 
-Sono a casa!- gridai non appena chiusi la porta alle mie spalle. Non avevo molta voglia di sentire le moine e le numerose domande dei miei genitori, così filai dritta in camera mia.
Non appena aprii la porta della mia stanza, sobbalzai nel vedervi Nicholas al suo interno.
-Che stai facendo?-. Neanche me ne accorsi, avevo forse usato un tono troppo duro con lui. 
Mi lanciò un'occhiata impaurita, prima di chiudere alcune finestre sullo schermo del mio computer.
-Io non ho un computer tutto mio, così ho chiesto se potevo usare questo- spiegò. 
Nonostante cercasse di rimanere fermo e distaccato, sapevo che c'era del timore nella sua voce, così mi avvicinai e sforzai un mezzo sorriso.
-Puoi usarlo quando vuoi. Solo… magari non in camera mia-.
Annuì, esitando nel prendere o no da solo l'aggeggio davanti a se.
-Coraggio! Non ti morde mica-. Presi il portatile al posto suo e cominciai a portarlo giù per le scale. E, forse, per la prima volta cominciai a sentirmi come una vera sorella maggiore.
 
 
 
 
I'm back!
Come state?
Come potete notare dal capitolo, a quanto pare Emma non è particolarmente dotata per il campeggio lol
Però, possiamo notare anche un particolare avvicinamento di Calum, oltre all'ultimo pensiero di Emma su Nicholas.
Siete più #TeamCalum, #TeamMichael o #TeamAshton? Se avete altre proposte sono ben accette!

Alla prossima,
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Capitolo 26
*** Let's cry together. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 26.
 
Spostai la posizione delle mie gambe, seduta per terra sullo stipite piatto del balconcino in soggiorno. Era una giornata molto soleggiata, una di quelle più belle della stagione, e avevo deciso di rilassarmi un po' al sole.
La tenda verde sopra di me svolazzava leggermente andandosi a scontrare contro la ringhiera del balcone, così la fermai con un paio di mollette colorate poste al mio fianco.
Mio padre, in giardino, cercava disperatamente di accendere un tagliaerba centenario, senza alcun successo. Alzai una mano e gli accennai un saluto molto rapido.
 
Il sole infastidiva i miei occhi, ma non mi importava. Era un calore piacevole, tranquillo, mi piaceva trascorrere le giornate in quel modo, nonostante non lo facessi da tempo.
Afferrai il mio cellulare e guardai l'ora sul display.
 
14:53
 
Lo riposi di nuovo per terra, ignorando completamente i messaggi sul gruppo della band. Non mi sentivo affatto in colpa.
 
Quando alzai, per la seconda volta, la testa in direzione di mio padre, lo trovai in compagnia di Nicholas. Entrambi in difficoltà nell'accensione di quell'aggeggio.
Mi morsi l'interno di una guancia e mi alzai, sostenendomi sulla ringhiera del balcone.
-Hey Nicholas! Lascia perdere quel brontolone, vieni qui a prendere un po' di sole- esclamai, stando attenta a non alzare troppo la voce.
Notai mia madre sorridere con la coda dell'occhio, mentre era occupata a spolverare i mobili del soggiorno come una principessa dei fiori.
Nicholas annuì, scusandosi probabilmente, si grattò il retro della nuca e sparì all'interno della casa.
 
Quando mi raggiunse, con un'espressione confusa in volto, piegai le gambe e le incrociai facendogli spazio.
-Sai…- iniziai. Sospirai e feci finta di guardare all'orizzonte. In una manciata di secondi, in cui il mio sguardo cadde sull'altra sponda del marciapiede, mi venne in mente quando Dylan mi portò a fare un giro, quella notte lontana. Spontaneamente sorrisi, e mi domandai come stesse e cosa sarebbe successo se non ci fossimo allontanati così tanto.
 
Ritornai alla realtà, notando che avevo lasciato il discorso a metà; in realtà non avevo neanche iniziato. Dettagli.
 
-Giornate come queste sono davvero rare. L'aria è umida, ma fa fresco. Il sole riscalda i cuori di chi sa sopportarlo- feci una lieve pausa, nella quale Nicholas si sedette il più possibile lontano da me; non lo diede però molto a vedere.
-Però, nonostante io ami queste piccole cose, i miei sono sempre così distanti-.
Approfittai del fatto che mia madre se ne fosse andata al piano di sopra per sparlare a più non posso.
Non capitava spesso che io parlassi della mia famiglia con gli altri, nessuno avrebbe capito. Ma, in quel momento, Nicholas era l'unico che poteva realmente capire come stavano le cose.
-Sei appena arrivato, è tutto nuovo per te, per me; anche per loro. Ora ti può sembrare tutto molto semplice, felice, ma non sarà così fra un paio di mesi-.
Nicholas socchiuse la bocca mentre giocherellava con il bordo della sua maglietta nuova. Sospirai, di nuovo.
-Partiranno per qualche “impegno di lavoro”, staranno via qualche settimana, torneranno e saranno assenti per quasi tutta la giornata. Scommetto che saranno entusiasti dei tuoi primi bei voti a scuola, tralasciando i miei sforzi. Inizialmente saranno senza dubbio molto contenti, poi ci faranno l'abitudine e molleranno, come hanno sempre fatto-.
Ridacchiai un po', smettendo però subito. Forse stavo iniziando ad esagerare.
-Inoltre, non pensare che riceverai sempre tutti questi gentili servigi…-.
Decise di reagire, finalmente. Con uno scatto veloce si sistemò il ciuffo di capelli e prese in mano la situazione.
-Okay, posso accettare il fatto di non esserti proprio molto simpatico, o di farti pena da poter essere facilmente calpestato dalle tue parole, ma non posso continuare a ricevere accuse e prese in giro da parte tua. Davvero, dimmi cosa devo fare per non essere più accusato. Non ne posso più-.
Si prese una pausa per prendere un respiro profondo, completamente rosso in volto.
-Scusa se ti sembro inutile e infantile. Scusa se ho invaso i tuoi spazi. Non ho obbligato nessuno, alla casa comune, a essere adottato. I miei progetti per il futuro erano quelli di ritrovare mia madre e andare a vivere con lei senza avere il peso di una famiglia che mi volesse bene. Non tutto va sempre come si spera, lo sai?-. 
 
Per i primi minuti rimasi completamente spiazzata dalle sue parole. La mia bocca si era quasi completamente spalancata all'improvviso impulso di coraggio.
Non lo notai subito, ma una lacrima andò a formare una macchiolina sul piano di cemento del balconcino. Non era mia.
Non volevo piangesse, da una parte perché non volevo e basta, dall'altra perché i miei genitori, se lo avessero visto, avrebbero fatto non poche domande.
 
-Ascoltami. Io non ti odio, va bene?-.
-Certo-.
Gonfiai le guance e rilasciai un sonoro sbuffo.
-Non posso, ovviamente, sapere come ci si sente ad essere adottato o cose del genere, ma non devi sentirti discriminato se ti sto solo dando dei consigli o degli avvertimenti sulla mia famiglia. Sto… iniziando a volerti davvero bene dopo infiniti e intensi momenti di riflessione con me stessa. Quindi, sto solo dicendo che se un giorno dovessi sentirti solo o, che ne so, trascurato, io sono sempre qui. Non mi muovo-.
All'ennesima lacrima caduta, Nicholas si alzò da terra, provocando un leggero schiocco quando la sua mano sudaticcia si staccò dallo stipite del balcone.
Lo osservai per intero, davanti a me, le sue gambe lunghe e sottili, le mani chiuse in pugno e un paio di gocce d'acqua sul tessuto chiaro della maglietta.
Istintivamente mi alzai, allargai le braccia e in modo inaspettato lo strinsi a me.
 
[…]
 
-Non sono pronta- ammisi, più a me stessa che alla rossa accanto a me.
Iris, dal canto suo, sembrava completamente tranquilla e a suo agio.
Un paio di segretarie apparvero con dei tabelloni sotto braccio, camminando come degli agenti dell'Fbi.
Alcuni ragazzi mi spinsero da dietro e finii compressa tra ascelle puzzolenti alla mia destra e schiene brufolose davanti a me.
-Non spingete!- mi lamentai, mentre con le mani cercavo di allontanare l'essere dalla schiena più vomitevole dell'intero universo da me.
-Emma, guarda-.
L'ansia si impossessò del mio corpo, brividi di freddo mi attraversarono. Avevo paura, nonostante sapessi di aver studiato duramente, e anche più degli altri, per gli esami finali. Alcuni esultarono, molti cominciavano ad andarsene soddisfatti. Pochi rimanevano delusi.
 
Come se non bastasse, proprio mentre stavo esaminando con gli occhi, da lontano, l'intero tabellone, le forze mi abbandonarono e caddi sulle gambe.
Venni letteralmente trascinata via da Iris.
-Sei passata! Emma, ce l'hai fatta! Grazie a Dio, mi hai stressata per tutta la mattina-.
Mi diede una coppia di baci sulle guance, fece cenno a Calum di avvicinarsi e se ne andò a controllare i suoi voti.
Mi coprii il volto con le mani, seduta a terra, mentre le mie gambe tremavano e trepidavano.
-Congratulazioni, hai quasi tutte A- si grattò il mento, un sorrisetto furbo stampato sul volto. -Io sono passato, certo, ma mi aspettavo molto di più di qualche B o C forzate-.
Avevo bisogno di un vero abbraccio, così allargai le braccia e aspettai che mi raggiungesse. Non ci mise molto.
 
 
Quella notte, rotolando nelle lenzuola, piansi come mai avevo fatto in tutta la mia vita. 
Non erano solo lacrime di gioia, stavo terribilmente male a causa dell'ennesima assenza dei miei genitori.
Li avevo chiamati, quel pomeriggio stesso, il penultimo giorno di lezione, e loro non avevano fatto altro che complimentarsi con un “brava, studia sempre, mi raccomando”, per poi attaccare e non farsi vivi per ore. Tenevo a quei risultati più di ogni altra cosa, sapevo che quella era una scuola con dei livelli distintamente alti, che avrei dovuto dare il meglio. Sapevo che mia madre ci teneva davvero tanto, era stata lei a iscrivermi a quell'istituto, sperando di incrementare il mio genio.
Erano sempre stati al mio fianco, ogni anno, in ogni paese in cui frequentai le scuole. 
 
Scesi in cucina per bere un bicchiere d'acqua e per togliere lo sguardo da tutti quei libri che non facevano altro che ricordarmi quello spiacevole evento.
Un singhiozzo più rumoroso degli altri scivolò dalle mie labbra, mi affrettai a portarci una mano davanti.
-Non devo piangere- ripetei a me stessa, sussurrando.
Afferrai successivamente un fazzoletto da uno dei cassetti della cucina e mi asciugai i contorni degli occhi.
Grazie alla luce fioca della lampada da soggiorno, potei notare come le lacrime avessero distrutto il mio capolavoro con il trucco, eseguito quel pomeriggio.
Buttai il pezzo di carta e andai a sedermi davanti alla finestra del balconcino, osservando le stelle e la strada al di fuori di essa.
I miei piedi nudi cominciavano a patire il freddo pavimento, ma cercai di non pensarci e mi concentrai sulla vita spenta oltre quelle mura.
Nonostante tutto non smisi di piangere.
 
-Va tutto bene?-.
Aprii gli occhi con uno scatto improvviso, alzando la testa dalle ginocchia. 
Mi ero addormentata di fronte alla finestra, sul pavimento, nel bel mezzo della notte.
-Spero di non averti spaventata-.
Si chinò e, senza preavviso, allungò le maniche del suo pigiama-felpa per pulirmi la faccia dalle lacrime e dal trucco colato.
-Niente che non si possa risolvere con del detersivo, comunque- affermò, speranzoso, osservando la grossa macchia nera sul tessuto evidentemente più chiaro.
 
Passarono minuti per me infiniti, io e Nicholas uno accanto all'altra, stanchi e moralmente deboli e indifesi. Fragili.
 
-Quando ero all'orfanotrofio, mi prendevo sempre cura dei bambini più piccoli. Gli insegnavo la matematica, la grammatica e addirittura storia e geografia…- sorrise amaramente, ma lo nascose subito con una smorfia. -Solitamente dopo un paio di giorni si stancavano e si dimenticavano di me e delle lezioni-.
Lo vidi stringersi nelle spalle. Alzò il volto e diede una rapida occhiata alla lampada accesa.
-Oggi sono usciti i risultati degli ultimi test, i quali avrebbero compromesso la promozione o la bocciatura-. Raccolsi un'altra lacrima fuggitiva. -Sono stata promossa, quasi tutte A, solo una B in educazione fisica-.
Tirai su col naso, aspettando una reazione da parte del ragazzo.
-È fantastico. Congratulazioni!- una delle sua mani calde andò ad appoggiarsi sulla mia spalla, coperta in qualche modo dal leggero tessuto del pigiama.
Solo quando notò che non accennavo né a sorridere, né ad aggiungere un “grazie” o una qualsiasi affermazione di gratitudine, mi fece la tragica domanda.
-Allora cosa c'è che non va?-.
 
 
Quando mi svegliai, il mattino dopo, sdraiata sul tappeto del salotto con una gamba di Nicholas sulle spalle, non pensai a quanto la mia giornata stesse cambiando di male in peggio. Un suono lontano e ovattato raggiunse a fatica le mie orecchie, mentre cercavo di togliermi un piede dai capelli.
-Nick, Nick, svegliati- mormorai, ancora completamente assonnata.
-Mmh-.
Mi misi seduta, guardandomi in giro.
Ero stata svegliata, probabilmente, dal rumore di un autobus passato davanti alla mia abitazione, o forse dalla forte luce solare che passava dalla finestra.
Nicholas se ne stava sdraiato come un orso in letargo, sul tappeto. Distolsi lo sguardo quando notai che parte della sua maglietta si era alzata, mostrando l'elastico dei boxer e parte della pancia fino all'ombelico.
 
-Che ore sono?- chiesi quando ritornai alla realtà.
Nicholas si alzò con uno scatto repentino, stropicciandosi gli occhi e puntando lo sguardo sull'orologio da parete che fino a quel momento non avevo ancora esaminato.
-Non credo ti piacerà saperlo-.
 
[…]
 
-Non è possibile! In ritardo l'ultimo giorno di scuola. Non arriverò mai in tempo, mai!- urlai, disperata.
Nicholas, senza alcun motivo esistente, continuava a fare avanti e indietro per il salotto, con le dita affusolate incastrate tra i suoi capelli scuri.
Mi infilai l'ultima calza, la tirai fino al ginocchio e mi misi in qualche modo le scarpe. 
Ero un completo disastro: i capelli non erano pettinati, non mi ero truccata e l'uniforme era piena di pieghe. 
-Cosa faccio? Gli autobus sono troppo lenti, fanno troppe fermate, non ce la farò mai!- ribadii.
Afferrai in fretta il mio zaino, togliendo da esso i libri inutili e inserendoci alcuni fogli bianchi. I foglietti volarono ovunque per la stanza, i libri caddero a terra rovinosamente ed i fogli nello zaino, probabilmente, avevano preso davvero delle brutte pieghe.
 
-Chiamo Ashton. Avrà sicuramente la macchina, non può già essere al lavoro. No, certo che no-.
Con le mani tremanti afferrai il cellulare e feci partire la chiamata, ansiosa.
Dopo una manciata di squilli, un Ashton assonnato e con la voce impastata rispose alla mia chiamata.
-Uhm, pronto? Emma?-.
-Ashton, ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego, accompagnami a scuola. Il più veloce che puoi-.
 
 
Dopo appena sette minuti il riccio apparve sotto casa mia, i capelli spettinati, peggio dei miei, ed una maglietta stropicciata messa al contrario.
Salutai Nicholas velocemente, ringraziandolo per il quasi inesistente, ma comunque significativo, supporto morale dato nei minuti in cui mi stavo preparando e corsi verso la macchina del biondo.
-Parti, devo essere a scuola tra… Quattro minu…-. Smisi di parlare quando notai che Ashton non portava i pantaloni, ma solo dei boxer. Verdi con le tartarughe ninja.
-Non fare domande, mi hai svegliato nel bel mezzo di un sogno fantastico. Ripeto, non fare domande- disse, mentre passava ad un semaforo giallo più veloce che poteva.
-Potevi metterti almeno dei pantaloncini-.
-Potevi svegliarti prima, questa mattina-.
Sbuffai, aveva vinto lui.
 
Cinque minuti e ventisette secondi più tardi eravamo davanti al Norwest Christian College.
Ashton mise il freno a mano e si rivolse a me, tenendo strette le mani sul volante.
-Quindi, sono perdonato?-.
Sorrisi, scuotendo la testa come per prenderlo in giro. 
 
“Ovvio che sì”.
 
Gli lasciai un abbraccio veloce e uscii dalla macchina, correndo verso l'entrata.
Per mia fortuna le lezioni non erano ancora cominciate, così appena Allison comparve sul mio campo visivo, in compagnia di Michael, mi sedetti a terra accanto a loro.
 
Nessuno dei due fiatò, si limitarono a guardarmi imbarazzati. Allison si piegò al mio fianco, accarezzandomi una spalla.
-Mi sono confessata a Michael, il problema è che domani devo uscire con Calum. Ha insistito così tanto!-.







Ehilà! Sono qui innanzitutto per presentare questo capitolo come uno dei miei preferiti in assoluto. Il motivo è che mi rappresenta particolarmente, e spero che voi possiate apprezzarlo tanto quanto me :)
Inoltre, vorrei che non vi allarmaste troppo per l'ultima frase, non è niente di grave lol
Torna in gioco il #TeamAshton. Chi avrà la meglio?

Grazie per aver letto,
-Follow The Sun xx

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Capitolo 27
*** Choices. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 27.
 
-Che cosa?!- esclamai, incredula.
Allison annuì, stringendo le labbra in una linea sottile e spostando il suo sguardo in basso, verso il pavimento.
-Sei completamente andata fuori di testa!-.
Mi alzai, presi Michael per un braccio e lo portai il più lontano possibile.
Ero furiosa, sentivo le guance andare a fuoco e, nel frattempo, la mia mano stringeva sempre di più il braccio del mio migliore amico, il quale mi seguiva senza capire il motivo.
 
-Emma, va tutto bene?- chiese, quando arrivai quasi di fronte alla classe di Matematica.
-No che non va tutto bene! È un casino-. Mi passai una mano sulla fronte, raccogliendo all'indietro alcuni ciuffi ribelli.
-A cosa ti riferisci, scusa?-.
Corrugai la fronte, alzando in modo smisurato le mie sopracciglia.
-Allison. Si è dichiarata quando ha già in programma di uscire con Calum. Finirà tutto male, te lo assicuro- spiegai, sicura di me e della mia tesi.
-Ti sbagli- rise. -Allison mi stava dicendo che qualche volta vorrebbe assistere alle prove della band. Non eri ancora arrivata, così l'ha chiesto a me-.
 
Improvvisamente, tutta la tensione accumulata scivolò via dal mio corpo come acqua corrente.
Spalancai di poco la bocca, cercando le parole, e soprattutto le scuse, più adatte.
-Ma lei… Prima… Non capisco-.
Michael rise di gusto ancora, e ancora, finché non guardò l'ora sul suo orologio e sbiancò.
-Vieni, dobbiamo andare in un posto-.
-Mike, le lezioni?!-.
-Non preoccuparti, l'ultimo giorno non si fa mai lezione!-.
 
[…]
 
-Qui dentro, ragazzi,- Michael fece una pausa, portando teatralmente una mano sulla porta metallica chiusa. -Si nascondono i più rari tesori presenti sull'intero pianeta Terra-. Allargò le braccia e disegnò un semicerchio con queste.
Luke, al mio fianco, alzò gli occhi al cielo, mentre Ethan e Jake saltellavano come canguri euforici.
Iris stava intraprendendo un profondo discorso con Calum, il quale si teneva la pancia dal ridere, ed io me ne stavo in disparte, aspettando l'arrivo di Allison.
 
Michael non indugiò oltre, premette sul pomello della maniglia e aprì la porta molto lentamente. Un rumoroso cigolio invase le orecchie di tutti i presenti. Ci girammo contemporaneamente per assicurarci che nessuno ci avesse sentito, o visto.
Quando fummo certi di essere al sicuro, puntammo i nostri occhi sulla stanza scura davanti a noi.
-Benvenuti nella stanza degli oggetti smarriti-.
 
 
Venti secondi dopo ci eravamo già fiondati dentro alla grande stanza piena di mensole e scatoloni. Le piastrelle grigie erano sporche e piene polvere, i muri quasi neri a causa dell'umidità, ma nascosti grazie alle numerose mensole colme di oggetti vari e scatoloni. Un fastidioso odore di vecchio e muffa mi arrivò alle narici e mi fece storcere il naso. Nonostante tutto ero molto incuriosita da quel posto che mai avevo notato tra le altre porte.
 
Stavo osservando alcuni CD che, al momento, erano completamente introvabili nei negozi, facendo attenzione a non toccare le gomme da masticare attaccate ogni tanto ad essi, quando Calum attirò la mia attenzione.
-Michael, possiamo prendere questa roba?- chiese, sventolando una calzamaglia verde davanti ai nostri occhi.
Il tinto rise, mordendo si poi il labbro inferiore.
-Potete prendere tutto quello che volete. Dove credi che io abbia preso il tuo regalo di Natale dell'anno scorso?!-.
I due ragazzi iniziarono a discutere, con Calum che prendeva a colpi di calzamaglia Michael, e questo che si difendeva con un scudo di Iron Man fatto di carta pesta.
Scossi la testa, infilandomi un disco dei Twenty One Pilots nella tasca inferiore dello zaino e mi piegai per aprire uno scatolone ai miei piedi.
-Certo che ci sono davvero tante cianfrusaglie, qui- ammisi. Un grosso polverone mi si fiondò addosso, facendomi tossire.
Afferrai alcuni indumenti, tra cui un calzino verde che Luke riconobbe come “il calzino speciale di Jade”, e mi procurai una maglia nera con lo stemma di Batman. 
-Non credi che, un giorno, i proprietari possano riconoscere le proprie cose addosso a uno di noi?- domandò Iris, che aveva già afferrato diverse maglie, libri e portachiavi.
-Nah, non credo- rispose, spolverando un tubetto di lacca per capelli. -Una volta Dominik, quello strano che veste sempre di nero, ha perso un beanie grigio. Inutile dire che dopo un paio di settimane era di mia proprietà. E mi ha pure detto:“Bel cappello, ne avevo uno simile anche io”-.
-È come se stessimo rubando, ma in un modo meno losco- ammise Ethan.
Sospirai, aveva ragione.
-Andiamo, ragazzi, nessuno oltre a me avrà mai il coraggio di venire qui negli anni successivi. Tutta questa roba marcirà a causa dell'umidità e andrà persa per sempre-.
 
Luke aveva rimediato una corda nuova per la sua chitarra, strano ma vero. Iris aveva una nuova collezione di libri e portachiavi a tema Pokémon. Calum non aveva preso molto, rimaneva molto scettico su “ciò che è degli altri, resta degli altri”, ma lo avevo sorpreso a infilarsi la calzamaglia verde nello zainetto; ovviamente non avevo detto nulla. Ethan e Jake si erano improvvisati ballerini di danza classica con tutù di svariati colori, guanti a strisce e cappellini con decori delle festività.
Io, invece, dopo aver rimuginato sulla faccenda per infiniti secondi, avevo preso alcuni quaderni e delle penne colorate, oltre alla maglia e al CD.
 
Quando rimanemmo solo io ed il mio migliore amico, e gli altri se ne stavano tornando nell'atrio, mi circondò le spalle con un braccio e si fece un po' più serio.
-Hey, Emma, ti interessa uno scambio?- fece danzare le sue sopracciglia alzandole e abbassandole, poi accennò al mio zaino.
-Il tuo CD dei Twenty One Pilots per questa magnifica penna da ben dodici colori. Che ne dici?- ammiccò. 
 
La decisione fu difficile, ma rifiutai. Dovevo fare una sorpresa ad una persona speciale.
 
[…]
 
-Sono tornata- dissi non appena la porta alle mie spalle fu completamente chiusa.
Mi guardai attorno: le tapparelle erano abbassate e le luci spente.
-Nick? Ci sei?-.
Lanciai un'occhiata veloce alle scale che portavano alla taverna, ma anche da lì non scorgevo nessuna luce che non fosse quella della finestra.
Sbuffai, abbattuta dal dover rimanere sola anche nel mio primo giorno di completa libertà.
Improvvisamente il suono dello sciacquone del piano di sopra rimbombò attraverso i muri; tirai un sospiro di sollievo.
 
Mi sedetti sul divano, sprofondandoci, e accesi la televisione alla disperata ricerca di qualche programma interessante.
Mi sentivo stanca, spossata e disperata, ma al tempo stesso sapevo di essere libera, o almeno per qualche mese.
Pensai al fatto che anche Nicholas, a Gennaio, avrebbe iniziato la scuola, e che lo avrei dovuto accompagnare io; tutti i giorni.
 
-Ciao, Emma-. 
Mi girai, notando Nicholas stropicciarsi gli occhi sull'ultimo gradino delle scale.
Lo salutai con la mano e mi alzai per poter parlare per bene.
Indossava una maglietta nera con delle righe più chiare, dei blue jeans e un paio di Converse scure.
-Devi andare ad un appuntamento galante? I miei ne sarebbero orgogliosi-.
Nicholas arrossì, si mise una mano tra i capelli ben pettinati e fece una faccia buffa.
-No, non proprio. Quando tornano?-.
-Non ne ho idea. Forse domani, non si sa mai- spiegai, gesticolando.
 
Nicholas si guardò un attimo in giro, sospirò e si diresse verso la porta d'entrata.
-Devo uscire, ho un appuntamento dallo psicologo. Sai… Per il fatto che sono orfano e tutte queste stronzate- spiegò, vago.
 
Spalancai di poco gli occhi, sorpresa dal tono che aveva usato.
-Strizza Cervelli-.
-Esatto- annuì. Mi mostrò un sorriso divertito, poi afferrò il pomello e aprì la porta, lentamente.
-Torno fra un paio d'ore. Se dovessi sbagliare autobus, o cose così, ti chiamo-.
-Non farti problemi-. Alzai con fatica una mano dal bracciolo del divano e gli lanciai un saluto veloce, agitandola.
E, come se mi venisse spontaneo farlo tutti i giorni, senza rendermene conto, corsi ad abbracciarlo, stringendolo forte e ascoltando, per poco il battito del suo cuore.
 
 
Un paio d'ore più tardi, nonostante Nicholas non fosse ancora arrivato, e dopo aver fatto una maratona di serie senza un senso apparente in televisione, decisi di andarmi a fare una doccia.
Finita la doccia, e dopo essermi vestita in modo comodo, afferrai il cellulare e mandai un messaggio ad Allison.
 
[ 4:57 p.m. ] Tu: Era tutto uno scherzo?
 
[ 4:57 p.m. ] Alli: Non posso credere che tu abbia davvero pensato che dicessi la verità.
 
[ 4:58 p.m. ] Alli: Insomma, mi ci vedi a confessare tutto a Michael?! Impossibile! Però la parte di Calum era vera.
 
[ 4:59 p.m. ] Alli: O almeno in parte.
 
[ 5:00 p.m. ] Tu: Cosa ti ha chiesto?
 
[ 5:00 p.m. ] Alli: Ha “insistito” affinché io partecipassi ad una vostra uscita di gruppo, il prossimo lunedì. Ha detto che andremo in centro. 
 
[ 5:02 p.m. ] Tu: Capisco.
 
{ Calum }
 
[ 5:03 p.m. ] Tu: Uscita in centro? A che gioco stai giocando?
 
Il campanello suonò, così fui costretta a posare il cellulare accanto a me sul divano e andare ad aprire.
-Chi… Ashton?-.
 
[…]
 
-Ti ho portato delle ciambelle. Ti piacciono le ciambelle?- chiese, radioso.
Mi porse una scatola e la aprì, rivelando due piccole Donuts glassate.
-Le adoro-.
Ashton sorrise, mi circondò le spalle con un braccio e mi accompagnò sul divano.
 
Sembrava così cambiato dal viaggio in America. Non aveva accenni di barba, i capelli avevano una vera forma e profumava di fresco, di sano.
 
-Stamattina non ero al massimo delle mie forze, devi scusarmi- prese una delle mie mani tra le sue, accarezzandola. -Dopo il lavoro sto frequentando un gruppo di supporto, in chiesa. Mi sta aiutando molto a stare meglio con me stesso-.
Strinse la mia mano, irradiandomi di calore; mi sentii molto meglio.
-Ne sono felice, Ash-. 
 
Non capivo dove volesse arrivare con quel discorso, non capivo quali fossero le sue intenzioni, ma lo lasciai fare. Era uno dei pochi momenti in cui si apriva completamente e lasciava uscire tutto. 
Era semplicemente se stesso.
 
-Penso di aver finalmente messo la testa a posto. Sto progettando di comprare un appartamento per conto mio. Penso, inoltre, che mi piaccia una ragazza-.
Sbiancai, trattenendo il fiato. Nonostante fossi felice della sua decisione, nel mio profondo più lontano, sperai che quella ragazza non fossi io.
 
Sorrisi, aggiungendo anche l'altra mano a quel groviglio di dita che si era formato e lo imitai, stringendole.
 
-Potrei fartela conoscere, forse, un giorno. Forse quando la casa sarà mia-.
I suoi occhi sognanti mi fecero inumidire gli occhi e spuntare il sorriso davvero spontaneo; mi sarebbe piaciuto se si fosse comportato sempre in quel modo. 
Non sapendo cosa dire, imbarazzata, abbracciai il biondo al mio fianco, facendo scontrare i nostri toraci.
Mi spostai solo quando sentii il suo corpo tremare a scatti, come se fosse scosso dal pianto.
Però, quando lo guardai in volto non stava piangendo, bensì sfoggiava un enorme sorriso, e la sua risata riempì le mura dell'abitazione.
-Sto scherzando!-.

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Capitolo 28
*** Abnormal beasts and where to find them. ***


"She's a good girl." 
Capitolo 28.
 
Esistono diversi tipi di persone all'interno delle compagnie. C'è il cosiddetto capo, quello che decide quando e dove uscire, cosa fare e chi portare, colui che quando non c'è succede l'impossibile. Poi ci sono i platonici seguaci del capo, quelli che ridono e acconsentono a qualsiasi sua battuta, che se chiedi loro che cosa vogliono, non sanno cosa risponderti; sono troppo confusi e ammaliati dal loro boss che spruzza superbia da tutti i pori. 
E, infine, ci sono quelli che, nonostante siano grandi amici del più potente, si fa per dire, non gli interessa cosa fare, dove andare e quando. A loro interessa solamente stare tranquilli, scambiare qualche parola di tanto in tanto, aggregarsi a qualche discorso di tanto in tanto, ma mai troppo.
 
Io facevo parte esattamente dell'ultima categoria. Non mi interessava sapere che Calum ci stesse praticamente trascinando da un negozio all'altro, e neanche che ci importunasse con selfie a tradimento. Non mi importava che Allison cercasse in ogni modo di stare accanto a Michael, né di Luke e Jade che si scambiavano effusioni ad ogni fermata, e tantomeno di Iris che non passava un secondo senza lamentarsi del traffico.
 
Camminavo con le mani nelle tasche della felpa verde, il capo leggermente chino e una scarpa slacciata: il ritratto della personificazione della felicità!
Nonostante i lunedì non mi provocassero estremi pensieri negativi durante le settimane scolastiche, quel particolare lunedì mi fece ricredere.
Io detestavo il lunedì.
I miei genitori erano ritornati quella stessa mattina, carichi di soldi da spendere per la nuova stanza di Nicholas, avevano lasciato i bagagli ed erano ripartiti per andare in ufficio. Neanche il tempo per salutarli, abbracciarli o raccontare loro della mia promozione. Il nulla.
 
-Hai sentito?! Hanno regalato un motorino a Calum!-. Venni raggiunta da Allison, che a quanto pare non aveva ancora abbandonato gli occhi a cuore, e la guardai stupita.
-Davvero?-.
-Sì, l'ha appena detto-.
La ragazza se ne andò scuotendo la testa e raggiunse il gruppo, più avanti. 
Iris, poco più avanti a me, ma sempre abbastanza distante dal vero gruppo, si lamentò del fatto che ci fossero troppe persone, e che si era vestita troppo leggera per quella giornata fredda.
Non le diedi troppa attenzione, ma acconsentii in ogni caso. Si trovava più o meno nella mia stessa situazione, l'unica differenza era che lei, le cose, le diceva ad alta voce.
 
-Mike- chiamai, in preda ad un attacco di rabbia. Non avendomi sentita la prima volta, urlai di nuovo il suo nome. Si girò.
-Che c'è? Qualcosa non va?-.
-Andiamo via. Inventati qualcosa, solo… Andiamocene. Portami via di qui-.
 
[…]
 
 
-Non mi sembri molto entusiasta in questi giorni- affermò, guardandosi attorno un po' spaesato.
-Non lo sono, infatti- strinsi le braccia al petto, soffiando sulle mani per riscaldarle.
-Raccontami- soffiò sui miei capelli.
 
Così, stretti su una panchina al parco, abbracciati l'uno all'altra per riscaldarci, gli raccontai tutto, per filo e per segno, senza lasciare particolari. 
 
-Avresti potuto chiamarmi, lo sai che sono sempre qui ad ascoltarti-. 
Affondò mezza faccia nello spazio tra la panchina ed il mio collo, facendomi rabbrividire.
-Avevo Nicholas, pensavo che avrebbe potuto capirmi…-.
-Ma Nicholas non è me!-.
-Scusa-. Lo abbracciai, rifugiandomi nella sua enorme felpa verde scuro.
-Hai freddo?- mi chiese quando rabbrividii per l'ennesima volta.
Non risposi, beandomi del caldo della sua grande felpa e del suo profumo a me così familiare.
-Vuoi andare a casa?-.
Scossi la testa e successivamente mi coprii con un lembo della sua felpa.
Il suo torace si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro, ed il battito del suo cuore suonava, nella mia testa, come uno degli strumenti più meravigliosi e incantevoli al mondo, lasciandomi quasi estasiata.
 
Restammo in silenzio per minuti a me interminabili. L'unico suono udibile era quello delle foglie spostate dal vento, le quali creavano una dolce e fresca atmosfera.
Non mi sentivo in grado di muovere nessun muscolo dell'intero corpo. Io e Michael sembravamo fermi nel tempo. Tutto si era fermato intorno a noi e, nonostante non ci avessi mai pensato seriamente, una domanda si fece spazio improvvisamente nella mia testa.
-Mike-.
-Mh?-.
-Ti piaccio?-.
Rimase immobile, forse stava pensando, o forse lo avevo sorpreso solo un pochino.
Non rispose, finché un bambino in monopattino passò davanti a noi con un gelato in mano.
-Non lo so, Emma. Dovresti piacermi?-.
Feci facepalm, restando in quella posizione per pochi secondi, poi mi girai per guardarlo negli occhi. 
-Non… Credo. Non so. Dovrei pensare che io ti piaccia?-.
-Bene. Non ci capisco più niente-.
-Fantastico- conclusi.
 
Sulla strada verso casa, io e Michael mano nella mano ed un gelato alla fragola nello stomaco, iniziammo a parlare d'altro, come due normali e vecchi amici. Parlammo del tempo, delle imminenti vacanze, del nuovo motorino di Calum e chiarimmo sulla questione Allison.
 
Arrivati davanti a casa mia mi misi di fronte a Michael, per poterlo guardare negli occhi, e aspettai. Aspettai qualsiasi cosa avesse il coraggio di dire o fare. Andava bene qualsiasi cosa.
-Sai…- iniziò, vago. -Potresti anche piacermi- ammiccò.
Il mio cuore accelerò, battendo ad un ritmo per me tutto nuovo.
-La cosa che mi piace di più di te, comunque, penso sia il sorriso-. Tracciò con un dito la linea del mio labbro inferiore e sorrise di rimando.
-Sono un po' impacciato in queste cose, sappilo-. 
Lo salutai con un abbraccio veloce e corsi in casa, felice come non mai.
Stavo, per caso, iniziando a provare qualcosa per il mio migliore amico?
 
[…]
 
-Sono passati secoli dall'ultima volta che abbiamo provato- ammisi. Calum mi stava fasciando le mani con delle bende, dato che cominciavano a far male. Non mi sarei mai abituata alle mie bacchette in legno.
-Quando hai detto che dobbiamo suonare?- domandò Luke, a pancia in giù sul divano, mentre masticava un pezzo di torta.
-Ogni martedì e giovedì, forse anche sabato, ma non ne sono sicuro- rispose il moro, armeggiando con alcune bende.
-Fai piano- mi lamentai quando strinse troppo forte e iniziai sentire il sangue fuoriuscire dalla base di una delle dita.
-Scusami-.
 
Circa un'ora dopo, chitarre e spartiti a terra, andammo nella stanza di Calum per parlare un po'. E anche per giocare ai videogames.
Michael, a differenza mia, sembrava completamente a suo agio. Rideva con Calum e Luke, faceva battute stupide e davvero squallide, come sempre. 
Mi aveva salutata, appena avevo messo piede in casa, e si era comportato come sempre.
Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo, era come se improvvisamente mi importasse più del dovuto di lui; volevo ricevere attenzioni da parte sua. 
 
Sulla strada del ritorno, Michael annunciò che avrebbe invitato tutto il gruppo nella sua casa al lago; ne fui molto felice. Finalmente avremmo passato del tempo solo noi quattro; niente Jade, niente Allison o chi altro della nostra scuola.
Mi mancava veramente poter passare del tempo tutti insieme, ridere e scherzare, raccontarci battute e cantare le nostre canzoni.
 
 
[ 2 settimane dopo ]
 
 
-Non credevo che con "viaggio mediamente lungo" intendessi otto ore!- si lamentò Calum, mentre si stringeva nella felpa.
-E poi si gela!-.
-Finiscila, siamo quasi arrivati- si giustificò Michael.
 
La tanto attesa casa sul lago non si presentò poi così male. Era una villetta molto carina, a due piani, con una veranda che dava proprio sull'acqua.
-Quando fa caldo di solito mi piace buttarmi nell'acqua e sguazzare come un pesce- venne interrotto da Calum, ancora imbronciato.
-Peccato ci siano meno dieci gradi-.
-Bene, io prendo i bagagli- disse Luke, ridacchiando per la patetica scena dei due.
 
Scesi dalla macchina, respirando un po' d'aria fresca e mi stiracchiai. Effettivamente otto ore di macchina non erano il massimo, ma per il fantastico clima ne valeva la pena.
-Per curiosità,- iniziai, dubbiosa. -Quante camere ci sono?-.
-Quello non è un problema. Calum dormirà sul divano-.
-Cosa?!-.
-Io e Luke dormiremo nella camera matrimoniale e tu puoi stare tranquilla nella stanza degli ospiti, sola soletta, a fare le tue cose da donna- concluse, felice, accompagnandomi verso la casa con un sorriso fiero in volto.
-Perché sono io quello a dover dormire sul divano?!-.
Nessuno rispose, così si arrese e si imbronciò per l'ennesima volta.
Andai a consolarlo, mettendogli una mano sulla spalla e sorridendogli amorevolmente.
-Potremo fare cambio, se vuoi-.
-No-.
Lo guardai inarcando un sopracciglio. Tante storie per non dormire sul divano, e quando gli viene offerta una proposta simile, rifiuta!
Scossi la testa, lasciai un sonoro sbuffo e raggiunsi Michael sullo stipite della porta, il quale mi stava aspettando a braccia conserte.
-Vedrai che appena arriverà l'ora di cena sarà pacato come un cagnolino-.
Sorrisi alla sua affermazione ed entrai in casa.
Un forte profumo di fresco e umido invase le mie narici; ispirai a fondo.
 
Luke comparve in cima alle scale, apparentemente cigolanti, con un colorito biancastro, una faccia spaventata ed uno scopino per il bagno in mano.
-Penso ci sia un ratto, nel bagno-.
 
E fu così che ci ritrovammo in quattro in un bagno, tre di noi con una scopa in mano, ed uno con una coperta.
-Per curiosità, cosa vorresti fare con quella coperta?- chiesi a Calum, che si era appostato, in piedi, sul water.
-Catturerò la bestia qui dentro e la lascerò affogare nel lago-.
Scossi la testa. -Ma i topi non nuotano?-.
-Vorrà dire che faremo un falò- aggiunse Luke, ancora bianco in volto, scuotendo la scopa in tutte le direzioni possibili.
-Piuttosto portiamolo il più lontano possibile- suggerii.
-Tornerà. È un ratto maledetto-.
-Michael...-.
Improvvisamente la “bestia” iniziò a correre per il bagno, e tutti cacciammo un forte urlo.
Calum si coprì con la coperta, Michael si chiuse nella doccia e Luke si aggrappò al lavandino per non svenire.
-Stiamo calmi!- urlai, spaventata, sbattendo la scopa per terra.
Chiusi gli occhi, rannicchiandomi per terra, accanto alla porta.
Aspettai alcuni istanti, con le mani davanti gli occhi per cercare di dimenticare ciò che stavo ancora vivendo.
-Emma… Credo tu l'abbia ucciso-.
 
[…]
 
Uscii dal bagno, ora disinfettato ed esorcizzato dalla bestia, e mi avvolsi una sciarpa leggera attorno al collo.
Scesi in soggiorno e mi sedetti sul divano, insieme a Calum.
Era concentrato sulla pagina di un giornale con un sudoku ancora praticamente vuoto.
-Tutto bene?- chiesi, sistemandomi contro lo schienale.
-È tardi, dovresti andare a dormire-.
-È tardi quando Michael spegne il PC-.
Sorrisi all'immagine del mio migliore amico, sdraiato sul letto, con il PC davanti e un paio di cuffie nelle orecchie, concentrato nell'ascoltare qualche canzone o qualche base per una nuova.
-Hai ragione-. Lasciò scivolare il giornale a terra e stiracchiò le gambe allungandole oltre il divano.
Mi appoggiai a lui, sulla sua spalla, rilassandomi per un momento, beandomi del fuoco del caminetto davanti a noi.
-Cosa succede tra te e Michael?-.
-Te l'ha detto?-. Scattai seduta e mi sistemai in modo nervoso la coda di cavallo.
-Più o meno… Non lo so. Mi ha accennato qualcosa ieri sera, ma avevo troppo sonno e ho riattaccato-.
Sospirai, lasciandomi andare di nuovo con la schiena, chiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie.
-Lui ti piace?-.
-Calum, è il mio migliore amico. Non so se mi piace. Non ho mai avuto troppi amici maschi, e soprattutto non ho mai avuto un migliore amico maschio-. Riaprii gli occhi, trovando Calum guardarmi con curiosità. -Sarebbe un male se mi piacesse?- domandai, infine.
Egli storse le labbra, poi le strinse e se le inumidì. 
Inarcai un sopracciglio e spostai lo sguardo, pensierosa.
-Hai provato a pensare se, magari, non ti piace qualcun altro?- chiese, giocherellando con i lacci dei suoi braccialetti.
 
-Che intendi?-.
Entrambi ci girammo in direzione della cucina.
Michael, a piedi nudi sul parquet, con un bicchiere di latte in mano, si avvicinò a noi e si appoggiò con i gomiti allo schienale del divano. Mi lanciò uno sguardo curioso, che rivolse anche all'amico, e bevve un sorso di latte.
-State parlando delle vostre questioni amorose senza di me?! Siamo amici, andiamo!-.
Ci fu un intenso scambio di sguardi, con me che cercavo sempre di più rifugio nella mia sciarpa.
-Facciamo un gioco- si unì Luke, in un tenero pigiama azzurro di flanella. -“Chi piace a Emma Evans?”-.
-Una specie di “Indovina Chi?”- aggiunse Calum.
Roteai gli occhi, puntandoli verso il soffitto.
 
-Ha i baffi?-.




Scusate la lunga assenza!
-Follow The Sun xx

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