The Last of Us: Me.

di RedRaven
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ellie e basta. ***
Capitolo 2: *** Ultimatum ***
Capitolo 3: *** La stazione di benzina ***



Capitolo 1
*** Ellie e basta. ***


 
 
- Capitolo 1 -
 


- Merda – esclamai.
Correvo verso quello che noi definiamo “villepark”; è un nome puramente ironico, visto che da queste parti non ci sono né ville, né parchi. Ormai il nostro mondo è allo sfascio, e non c’è più nessuno in grado di poter salvare la situazione.
 
Mi chiamo Ellie. Ellie e basta.
Vivo in questa cazzo di America, USA credo si chiamasse un tempo: per me è solo un cumulo di rifiuti e roba distrutta. Adesso la chiamano “Big Roof”, guarda che originalità. Eppure quasi nessuno ha un tetto sulla testa, tranne loro.
Siamo governati dal Consilium, anzi, il termine giusto sarebbe sottomessi. Non c’è più alcuna libertà, alcun diritto, solo una serie di squallidi delinquenti pronti a tutto pur di far rispettare la loro legge.

Ci sono due modi di vivere a Summus (qualcuno, qui, la chiama ancora Boston): ti unisci a loro, contribuisci a rendere impossibile la vita dei cittadini e a far regnare l’ingiustizia. Vai alle loro scuole private, ti ficchi le loro idee in testa, e diventi un grande stronzo.
Oppure te ne stai lì buono, a frequentare le scuole pubbliche finché non sarai pronto a trasferirti nelle loro. Non fiatare, non esprimere la tua, fatti vedere solo se necessario e mantieni un profilo basso. Non contestare le ingiustizie subite da te o dai tuoi amici, e vedrai che potrai cercare almeno di sopravvivere.

Io vivo nel terzo modo.

Armati fino ai denti, pronti a discutere su ogni cosa ci riguardi e, una volta guadagnato il loro odio, in fuga perenne. Viviamo di ciò che ci basta per andare avanti, cambiamo vestiti ogni quanto basta per non farci riconoscere, ammazziamo senza scrupoli chi ci ostacola e gli stronzi.
Joel mi trovò quando avevo poco più di 13 anni. Avevo finito le scuole medie alla scuola pubblica, perché mia madre era una cacasotto e non aveva il coraggio di ribellarsi. 
L’ultimo giorno di scuola quelle brutte merde entrarono alla cerimonia, fingendo di essere davvero interessati all’evento; io sapevo che non lo erano. Lì c’era il padre di Riley: il figlio era il primo della classe, forse l’unico che sognava davvero di concludere qualcosa in questo schifo; mentre il padre era un rivoluzionario, l’icona di coloro che volevano un cambiamento: si era messo in mostra nella protesta del giorno prima. Un po’ troppo in mostra.
Gli uomini gli chiesero di salire sul palco, e di elencare i motivi per cui il loro “governo”, a parere suo, necessitava un cambiamento. Lui iniziò
- B-beh ecco… le vostre regole sono insulse e… e non danno alcun diritto per noi cittadini – continuò – Uccidete senza pietà, incutete timore ai nostri figli e non gli garantite un futuro solido –
- C’è qualcos’altro? – chiese il capo del gruppo
- Sì. C’è… c’è molto altro. Voi non meritate quel posto, nessuno di voi ci protegge davvero. Meritereste di morire,  brutti figli di –
Uno sparo e finì a terra.
- Ecco cosa ce ne facciamo noi dei vostri consigli. Ora… o la smettete di lamentarvi, o non avremo timore nel farlo ancora, e ancora, e ancora –
Uscirono dalla scuola ridendo e sparando in aria, come se la catapecchia non fosse rovinata di suo. La gente si gettò a piangere sul corpo del defunto, i bambini corsero spaventati dalle loro madri, tutti tranne me.
Restai imperterrita a guardare il cadavere, con disprezzo e odio. Molto più di quanto un bambino dovrebbe averne in corpo. Non volevo vivere in quel posto, non volevo fare silenzio di fronte a quelle ingiustizie.

Ne parlai con mia madre, e l’unica risposta che ricevetti fu
– Devi stare zitta. Altrimenti farai la sua stessa fine. E’ chiaro? –
- No, non mi va bene. Perché dovrei farlo? Loro hanno le armi, ok, ma sono dei brutti bastardi. Questo non gli dà alcun diritto di – mia madre mi interruppe urlando
- Chi dà a te il diritto di parlare di loro in quel modo, signorina. A loro dobbiamo tutta la nostra protezione. Loro si occupano di noi e – e bla bla bla.
Smisi di ascoltarla. Quella era l’ennesima discussione che avevamo al riguardo, ed io ero stanca di tutte quelle menzogne.
Salì in camera, misi le mie cose in uno zaino e presi la pistola di papà.
- Ho smesso di credere alle tue menzogne dalla sua morte – furono le ultime parole che le dissi.
 
Ero sola. Completamente sola. Fu solo alla fine dell’estate che lo conobbi.
A quel tempo la vecchia casa in cima a Black Hill era diventata la mia dimora fissa. Qualche muro cadeva a pezzi, e l’unica luce era il lampione a 10 metri da essa, però non era male, ci si poteva fare l’abitudine.
Joel entrò nascondendosi dietro ad un divano, restando a scrutare l’esterno. Sentimmo delle voci, ero sicura fossero quei bastardi, e poi più nulla. Era riuscito a seminarli. Rimasi affascinata da quell’uomo, forse la persona che ho sempre sognato di essere. Ma dovevo prestare attenzione: in questo mondo non c’era più da fidarsi, ognuno agiva per sé ed era senza scrupoli. Un attimo di disattenzione e potevi finire per essere la cena di una famiglia, o la nuova vittima del governo. Gli puntai la pistola contro e dissi
- Fuori dalle palle –
Rimase sorpreso della mia espressione, un po’ meno dell’avermi trovata lì. Probabilmente mi aveva già visto una volta entrato. Si prese gioco di me, quasi come tutto il resto del mondo da quando sono nata, ma io restai con lo sguardo fisso su di lui, le braccia tese e la pistola pronta.
Il suo sguardo si fece più duro. Si avvicinò a me, come se sapesse che non gli avrei mai fatto del male, come se io potessi percepire le sue intenzioni e capirle.
- Hai le braccia troppo tese. Se spari in questo modo, perdi l’equilibrio durante il rinculo dell’arma, sempre che non ti sfugga dalle mani. Comunque non dovresti andare in giro da sola. E’ pericoloso –
- Certo, è pericoloso e cazzi vari, cosa dovrei fare allora? Unirmi a quei sacchi di merda? Scusami ma non ci penso proprio. Preferisco morire essendo rimasta me stessa, piuttosto che far morire la giustizia. Tu fatti i cazzi tuoi, e vedi di non farti beccare quando esci –
Lo interruppi subito, senza dargli il tempo di finire la frase. Sembrava restio nelle sue intenzioni, come se volesse dirmi qualcosa o agire in un certo modo, ma qualcosa lo bloccava. Mi chiese se poteva restare lì un altro po’, almeno finché la zona non sarebbe diventata sicura.
 
La seconda volta che ci incontrammo fu proprio qui, a Villepark. Avevo rubato per mangiare, con il governo alle calcagna e una mira non proprio ottima. Joel mi salvò la vita.

Da quel momento diventammo io e lui, pronti a sfidare chiunque ci si parasse davanti. Eravamo due fuggiaschi nella lista nera del governo che lottavano per la libertà. Uccidemmo molti di loro, per esempio quando fecero irruzione nel nostro covo e non gli lasciammo via di fuga. Oppure ancora quando ci inseguirono per quella stupida faccenda del rispetto. Joel controllava un giro di contrabbando di armi, quindi eravamo sempre ben forniti. Inutile dire che molti iniziarono a temerci ed a darci un po’ di tregua.
 
Due mesi fa gli hanno ficcato una pallottola in testa. Quei brutti figli di puttana.
 
Non passa giorno che io sogni vendetta contro di loro. Adesso ho 14 anni e agli occhi dei civili sono una spietata assassina. Eppure ciò che è successo a me loro non possono immaginarlo.

Nessuno può capirmi

Sono l’unica che va in giro con fucili e pistole, l’unica che ha le palle di far fuori quei bastardi. Quella che tira avanti i progetti di Joel, quella che continua a contrabbandare armi per vivere. Qualche volta la gente mi aiuta, mi offre la loro casa per qualche notte e il loro cibo. Sanno che io sono pronta a combattere le ingiustizie, le loro battaglie, e credo mi compatiscano. C’è chi fa qualche domande su Joel, chi mi chiede dei miei genitori, o anche chi mi dice che dovrei smetterla.
Io non rispondo mai. Anche se mi costituissi, non servirebbe, mi ucciderebbero solo nel vedermi passare davanti al Tribunale; mia madre ormai non fa più parte di me. E nessuno merita che io parli di Joel.
 
Oggi Octo mi sta seguendo per la prima volta. Quando quei cani sguinzagliano il loro peggior scagnozzo, credo proprio siano cazzi. Da loro vige una regola, una serie di azioni che, se commesse, ti rendono il più temuto. Perché incutere paura è tutto.
Queste sono dieci, un po’ come i comandamenti. Ed ogni volta che ne infrangi una, ti viene inciso sul braccio un segno a numero romano. Il numero romano che hai inciso sul braccio, insomma, indica quante regola hai infranto. La verità? E’ solo un concetto di paura, non importa il numero. Solo l’I è passabile. Dopo il II, potresti avere anche X ma tutti ti temerebbero allo stesso modo. Persino quelli del tribunale hanno paura di Octo, l’unico che porta un vistoso VIII sul braccio destro. Dopotutto, l’hanno incaricato di fare le incisioni, quindi credo sia un pezzo grosso fra di loro.
E adesso l’hanno sguinzagliato per me. Io sono convinta che sia uno come gli altri, forse solo più spavaldo e più cattivo, ma a quanto pare al Tribunale farmi fuori conta davvero tanto. Credo che sia qui solo per incutermi timore, darmi un ultimatum oppure spararmi a vista.
 
Non mi importa di lui. Non mi importa dei cacasotto o del Tribunale. Le favole sono per bambini, e qui anche i bambini stessi hanno smesso di credere nelle favole. Io so bene che potrei morire da un giorno all’altro, perché vivo in questa merda. Ma ci ha vissuto anche lui, ed è stato sopraffatto da quei bastardi. Io non ho intenzione di inchinarmi a loro dandogli modo di vedere il mio corpo inerme e senza forze implorare pietà. Io andrò avanti grazie al desiderio di vendetta che scorre nel mie vene, insieme al mio sangue. Io andrò avanti finché non avrò ucciso quella gente.
Perché il resto di noi ormai sono solo io.




Angolo dell'autrice: 
Vi sembrerà strano, ma tutto ciò è partito da un sogno (forse sono un po' pazza?). 
Ellie è, ovviamente, la protagonista, che alla morte di Joel ha reagito chiudendosi nella violenza e nell'odio. Forse perché è la seconda figura paterna che perde nella sua vita, e non riesce più a vivere in quel posto pieno di menzogne che le vengono raccontate sin da quando è nata.
In un paesaggio post-apocalittico, che ricorda molto un'incrocio fra gli ambienti di The Last of Us e la violenza di Fallout, ecco che nasce
The Last of Us: Me.

 

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Capitolo 2
*** Ultimatum ***


- Capitolo 2 -



Lo vedo. Vedo il sangue nei suoi occhi. E’ Octo.
Resto nascosta dietro a quella che un tempo era una statua in marmo, mentre adesso il piedistallo riesce a coprirmi a malapena. Sento degli spari nella mia direzione: colpiscono il materiale che mi protegge, ma gli spari non durano più di qualche secondo; è la sua voce quella che riesce ad incutermi preoccupazione.
-Allora stronzetta – dice – noi ti vogliamo… morta. Fine della questione, almeno per il Tribunale. Ma io non sono come loro; io sono uno spietato assassino, proprio come te. Quindi voglio divertirmi un po’. Non sarai uccisa subito, piuttosto intendo mutilarti e… che ne so? Vederti supplicare di restare in vita per poi ficcarti un coltello in gola e mandarti all’altro mondo, proprio come quel vecchio di merda qualche mese fa –
Ne seguono risate ed io devo solo trattenermi. Butto un occhio dall’altra parte per osservare esattamente chi mi sta pedinando. Octo è al centro di quelli che sembrano cinque delinquenti armati; non mi importa di quegli stolti, ne faccio fuori quanti ne voglio, è il bastardo centrale che cattura la mia attenzione.
Occhi grigi circondati da vene rosse ben evidenti che sembrano incastrarsi alla perfezione in quel viso pallido e quasi incolore; labbra serrate da due piercing posti alle due estremità, sovrastate da un naso sottile e oserei definire femminile. Il tutto è circondato da due dilatatori con teschi rossi e  da capelli praticamente inesistenti: se li è rasati per dare un aspetto più da duro.
Tutti e cinque indossano gli abiti degli scagnozzi del governo, ovvero casacche nere lunghe fino al bacino e pantaloni militari scuri, piuttosto larghi per i movimenti che quelli dovrebbero fare nell’acciuffarmi. In tutto ciò mi restano impressi gli strappi sui vestiti di Octo, saranno volontari? Probabilmente. Dopotutto in questo modo, che lo rende un perfetto idiota a parer mio, si può notare il suo numero stampato sul braccio. Che schifo di società: l’apparire conta più che l’essere.
 
- Stronzetta esci tu o ti veniamo a prendere noi? –
Note di sarcasmo nella sua voce.
Prendo qualche secondo per respirare e mettere in chiaro le idee. Devo creare un diversivo, ma come? Il luogo è circondato da panchine malandate, alberi troppo cresciuti indipendentemente e residui di una civiltà che un tempo usava questo luogo come “parco”. Sopra di me si dirama una vecchia quercia, mentre su due lati del piedistallo inizia un flusso di cespugli, che termina con lo sbocco sulla strada da un lato e l’inoltrarsi in questo posto dall’altro.
Ci sono. Prendo il fucile da cecchino e lo faccio sporgere dall’altro lato del cespuglio.
Octo vuole giocare? E sia.
La mira posta sulla sua mano, il mio dito sul grilletto.

Bang

- Brutta puttana! PRENDETELA IDIOTI –
Ricomincio a correre addentrandomi in Villepark, con un piano ben fisso in mente. Noto che due di loro mi seguono, mentre gli altri due fanno il giro largo; decido quindi di arrampicarmi sul primo albero che trovo e lasciar cadere una granata a frammentazione, una Mk3.
Come sospettavo: se ne sono accorti troppo tardi, e l’esplosione li ferisce quanto basta per darmi il tempo di scendere e allontanarmi nuovamente. Individuando i rimanenti, ricarico il mio ultimo acquisto, ovvero una semi automatica, e cerco di gambizzarli. Tirano fuori le armi, ma la loro mira è pessima così decido di prendermi un po’ gioco di loro, urlando:
- Cosa c’è? Non avete studiato abbastanza? – inizio a provocarli – Al Tribunale saranno poco disposti a perdonarvi uno sbaglio del genere. E poi, quell’idiota del vostro capo, vi squarterà vivi. Non credete… -
Sento trafiggermi la gamba da un dolore indefinibile. Mi hanno presa. Mi ha presa.
Cazzo, cazzo, CAZZO. Dove ce l’aveva l’arma? Non l’ho vista, ma non ha più importanza. Cado, indietreggiando lentamente e nascondendomi in un cumulo di rifiuti.
La sua voce. La sua maledettissima voce mi riecheggia nella mente non appena termina di parlare.
- Lasciatela stare. Voglio vincere questo scontro quando è sana. Voglio che muoia con la speranza di poter vincere; il suo sguardo soddisfatto deve spegnersi non appena le punterò la pistola in testa. E allora si renderà conto. Ti renderai conto – precisa, guardandomi da lontano e facendo una pausa che basta a farmi percepire la sua follia – che sarai inevitabilmente, amorevolmente e deliziosamente mia –
Il sangue mi si gela e non sento altro che il dolore del proiettile ficcato nella mia gamba.
- Mai… ah –  urlo, con un gemito di dolore che esce inevitabilmente dalla mia bocca
Sorride mostrando i suoi denti, ma il tutto è reso inquietante da quei piercing che sembrano bloccargli le parole. Si avvicina, il poco per guardarmi negli occhi con quella faccia da pazzo, e mentre io sono ancora a terra, cercando di capire cosa voglia da me, sussurra:
- So che non mi sparerai adesso. Tu sei tale e quale me. Vorrai vincere assaporando ogni lato della vittoria –
Si gira, facendo un gesto con la mano per richiamare l’attenzione dei suoi scagnozzi, e si allontana dalla mia vista.

Tu sei tale e quale me. Non riesco a concentrarmi su altro, se non su quelle parole forse insignificanti, forse troppo rivelatrici. Intanto il sangue cola sporcandomi i jeans, facendomi uscire dalla bocca l’ennesimo “Merda” della giornata.
Apro il mio zaino prendendo un coltello e le bende che mi servono per medicarmi; in seguito, con il coltello fra i denti e i pantaloni alzati sono felice di notare che il proiettile non è andato poi così tanto in profondità. Rimuoverlo è doloroso, più di quanto lo facesse sembrare Joel, ma devo farlo.
 
Mi incammino verso casa ripensando all’accaduto. Octo è un pazzo, un folle assassino assetato di sangue. Un pezzo di merda. Un irrispettoso individuo che fa a pezzi chiunque incontri davanti a sé. Ed è totalmente convinto che io sia come lui.
Io non sono come lui. Io non diventerò come lui.
Perché l’ha detto? Ingenuo. In questo modo mi ha rivelato che agirebbe esattamente come me… no, no e poi no. Cosa sto pensando. Non siamo uguali, lui è folle e non ha alcun senso della giustizia, lavora per la parte sbagliata del Paese.
 
Finalmente scorgo il posto, una casa mai ultimata che presenta solo le fondamenta. E’ il posto in cui dormo, non quello che uso come magazzino. Perché tutto il vecchio materiale sta nel vecchio covo, quello in cui ho seppellito Joel, quello in cui non riesco a tornare; prima o poi, però, dovrò farlo. Lì c’è tutta la mia roba… la nostra roba.

Un giorno riuscirò a tornarci.
Ma sono spiacente di riconoscere che quel giorno non è oggi.

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Capitolo 3
*** La stazione di benzina ***


- Capitolo 3 -

 
Che ore sono? Quanto ho dormito?
La gamba mi fa più male di ieri. Credo sia notte, poiché fuori è buio, e dovrei proprio affrettarmi a recarmi nel mio magazzino.
No. Io non voglio tornarci. Non posso tornarci.
Al prossimo appuntamento con i contrabbandieri mi farò dare ciò che mi servirebbe per curarmi; tutto pur di non ripensare alla sua morte. Non ho abbastanza tempo, c’è qualcuno che si diverte a giocare con la mia vita ed io devo trovare al più presto una soluzione. Forse ucciderlo non basterà, forse dopo di lui ce ne sono altri che saranno pronti a darmi daranno la caccia.
Tutto ciò per spaventare la gente ed istigarli a non essere come me. Tsk. Chi mai vorrebbe stare dalla mia parte? Sono tutti dei cacasotto, ecco cosa sono. Senza il coraggio di lottare.
E’ inutile restare qui a riflettere su cose che non cambieranno mai, così mi do’ la forza necessaria per raggiungere il luogo dell’incontro. Di notte non abbiamo coprifuochi o altro, però si possono trovare facilmente delle guardie in giro, che ti attaccano solo se necessario.
Come al solito, il posto è la stazione di benzina abbandonata in periferia; mi ci vogliono circa dieci minuti di camminata per arrivarci, ma ne vale la pena. Loro sono sempre pieni di roba utile a sopravvivere, soprattutto quando i tre quarti della popolazione di una città vogliono ucciderti per poter sfoggiare la tua testa come trofeo. E fra di loro c’è uno psicopatico che, guarda un po’, dice cose assurde per cercare di confonderti. Fanculo.

Temo proprio che mi ci vorrà più tempo del previsto per arrivare alla stazione, la gamba è difficile da trascinare e ciò riduce la mia velocità. Inizio a pensare alle cose da prendere: dovrò chiedere se hanno dell’acqua ossigenata o delle pomate per tagli profondi. Sono quasi diventata un’esperta in queste cose. Solitamente in cambio mi richiedono del cibo e di quello ne ho a volontà: la signora Jonson l’altro giorno mi ha riempito di lasagna e biscotti, prendendomi per una trovatella. Quella signora ha davvero dei seri problemi di memoria, ma almeno è gentile con tutti.
Qualche volta si scorda persino che sua figlia è morta in un’esplosione, così va girando per la città dicendo di tanto in tanto “Signorino, lei sì che sarebbe un perfetto sposo per mia figlia”. Ce n’è di gente strana in questo posto. Ma preferisco occuparmi di problemi più evidenti, come la gamba, lo psicopatico, ed il restare in vita.
 
Il paesaggio è sempre lo stesso: alberi troppo cresciuti insieme ad auto ed immondizia incastrata fra loro: materiali di edilizia, vecchi vestiti, e persino mobili. Mi chiedo davvero chi abbia reso questo posto così indecente; come al solito sono cose su cui non mi soffermo più di tanto.
A scuola ci hanno insegnato che nessuno stava più bene: ogni giorno la tensione aumentava finché non è scoppiata una grande guerra. Non come quelle fra stati, si trattava di guerre interne, città contro città, e tutte per rivendicare qualcosa. Soldi, appalti, azioni… cazzate insomma. Per colpa loro adesso siamo tutti qui, sotto il comando di questa gente e sotto delle case fatte di immondizia.
 
Non so esattamente in che razza di pensieri mi sono persa, che la stazione di benzina mi compare sotto gli occhi, in tutto il suo splendore. L’insegna un tempo gialla è corrosa da tutti questi anni passati davvero male, e sopra si possono ancora notare le cancellature fatte par lasciar spazio alle minacce di morte che segnavano il territorio allora. Le piazzole fatte di erba appassita sono perfette insieme alla puzza di benzina e di marcio che questo posto emana, l’ho sempre pensato. Fuori dalla struttura più grande, vicino ai distributori che servivano per fare rifornimento, ci sono i soliti appostati come sentinelle; ormai li riconosco molto bene, così tanto da alzare la mano in segno di saluto quando io e la mia gamba malridotta ci avviciniamo alla gentaglia.
- Brutto scontro eh, Ellie? – mi chiede uno di loro, il più grosso. Non c’è molta luce, ma sono sicura che sia Bill. Lui e Joel erano qualcosa, un tempo. Litigavano spesso, per via di favori e conti restituiti troppo tardi, e posso affermare che non si fidavano così tanto l’uno dell’altro; però li vedevi lì fuori a scherzare e giocare a carte quando ad entrambi capitava il turno di sorveglianza. Credo fossero… amici, se è questo il termine che avrebbe usato anche Joel.
- Colpito e affondato. Mi serve roba per disinfettarmi e medicarmi per bene. Altrimenti continuerò a fare questo tratto in venti minuti anziché dieci – sono pronta a rispondere io, con un leggero velo di ironia per nascondere la sconfitta scritta dal mio stesso sangue.
- Sei fortunata. Carico pieno e sembra non ci siano molti feriti –
- Sarebbe la prima volta – e ci salutiamo così, mentre io continuo a proseguire verso l’autogrill, ormai usato come deposito per il contrabbando.
Spalanco le porte come se stessi entrando in una seconda casa, cosa che effettivamente quel posto è per me. La gente mi saluta con cenni, mani, e sillabe, ed io ricambio più o meno allo stesso modo; riescono a strapparmi il primo sorriso della giornata, un po’ tirato: non voglio che qualcuno si preoccupi per me. Mi districo in quello che un tempo era un supermarket per la gente che viaggiava, mentre adesso è colmo di banconi divisi per sezioni. Dietro, tutte le casse con i rifornimenti per ogni zona. Come al solito c’è molta fila per il cibo: io non ho di quei problemi, ed ecco che finalmente giungo al balcone della mia fidata rivenditrice:
- Tess! – esclamo, come se fosse da una vita che non la vedo. Lei ricambia il saluto allo stesso modo, mostrandosi più giovane di quanto non sembrerebbe; i suoi capelli ramati, intrecciati a quella scialba fascia per capelli, non fanno altro che mettere in risalto il suo viso da donna di mezza età, tradendola da ogni possibilità di far conquiste. La sua voce, invece, sempre così serena e spiritosa, acconsente gli appuntamenti.
- Ellie! Dimmi pure cosa ti serve, ora che i miei uomini sono liberi. Così intanto mi racconti cosa è quel peso morto che ti porti dietro – dice lei, con il solito tono tranquillo, ignorando il fatto che il peso morto in questione è la mia gamba e fa anche piuttosto male.
- Acqua ossigenata, qualche medicina per le ferite più profonde se ce l’hai… ah, armi da fuoco, ma se hai quella per armi da taglio dammela ugualmente. Di bende, invece, ne ho a volontà; e qui ho finit – proprio mentre sto per finire di rispondere, mi interrompe con una delle sue domande da persona troppo curiosa.
- Ma non avevate rifornito tu e Joel qualche mese fa? Mi ricordo che la roba era parecchia, infatti gli scorsi mesi da me non sei passata per nulla. E poi, arma da fuoco… come diavolo hai fatto? Non te la sarai presa mica con le guardie –
Mi poggio sul balcone con entrambi i gomiti e gli avambracci, soffermando lo sguardo sul calendario che decora quella sottospecie di scrivania. Poi ricordo che loro hanno i limiti di scadenza, e quindi i giorni assumono una certa importanza in quel lavoro; sposto gli occhi per guardare gli uomini a cui sono stati affidati i miei acquisti e riprendo a parlare con fare riservato:
- Sono stati dei mesi molto lunghi e abbiamo dovuto cedere alcune cose in cambio di altre… per la ferita, ho lasciato una pistola senza sicura e mi sono fatta male, tutto qui – so bene di non essere per nulla convincente, e lo capisco dall’espressione di disapprovazione sulla faccia di Tess, la prima cosa che noto quando torno a fissarla.
Prima che possa chiedermi qualcos’altro mi accingo a pagare il materiale a dovere, prendendo in fretta la mia roba aggiungendo:
- Devo passare a prendere dei vestiti decenti, e poi faccio il solito giro al reparto armi e armamenti. Forse prendo qualcosa per protezione –
- Sarà meglio – sono le sue ultime parole, perché poi mi lascia andare nella parte più a nord, ovvero quella dedicata al vestiario. Qui sono sempre passata di rado, dal momento che avevo la possibilità di dare quantomeno una sciacquata ai miei vestiti. Ma so che i jeans di oggi non potrò più usarli, quindi è meglio prendere qualcos’altro.
- E’ rimasto solo un paio della tua taglia, sono questi qui – con queste parole l’addetto mi mostra un altro paio di jeans in denim neri, leggermente più larghi di quelli che ho portato io fin’ora. Glieli pago in carne, dirigendomi subito ad est e notando la novità di questo mese. Bombe molotov già costruite e progetti per fabbricarle; peccato che io sappia già il loro funzionamento e abbia anche i materiali. Non ho in mente di usarle semplicemente perché non vorrei bruciarmi l’unica gamba su cui adesso posso fare affidamento.

La mia visita di piacere è terminata, e sono pronta ad uscire, quando il responsabile del reparto armi mi si avvicina, tanto quanto basta a farmi sentire la puzza di alcol che emana.
- Ehi… anche senza Joel… fai ancora del contrabbando, giusto? –
- Cosa vuoi? – chiedo seccata. So che Robert è un parassita in cerca di denaro, donne e ogni modo per distruggersi. Ogni tipo di droga passa sempre da lui, per non parlare dei raduni di giochi d’azzardo dei quali è sempre informato. Questa volta però si tratta di un affare serio, me ne accorgo da come si accarezza la fine barba e dal fatto che non è ubriaco, semplicemente brillo.
- Ci hanno già pagato. E pagheranno te quando arriverai. Cassa di granate a frammentazione da consegnare dall’altro lato della città. Devi portarle dietro la scuola superiore in massimo due giorni. Quello che ti danno, è tutto tuo – ci rifletto su, quella parte di città è all’estremità opposta di casa mia, e con questa gamba darò nell’occhio, per non parlare del tempo che impiegherei. Però Octo mi ha dato una tregua, e un po’ di roba mi farebbe comodo. Accetto, evidenziando bene le mie condizioni:
- Se non mi danno nulla, fra un mese torno da te e mi dai il doppio della paga –
- E un po’ di erba, se la vuoi – aggiunge scherzando, sa che non faccio uso di certe sostanze.
Dopo avermi consegnato la cassa mi lascia tornare a casa, ed io ripasso lentamente il piano della giornata.
Devo assolutamente disinfettare la ferita, medicarla nuovamente, applicare la pomata e mettermi a dormire. Una volta sveglia penserò a come portare a termine la consegna senza farmi notare troppo.
Ho bisogno  di quei pagamenti, devo tornare indipendente e prepararmi allo scontro.

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