The arms of the ocean

di A lexie s
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The storm ***
Capitolo 2: *** New York ***



Capitolo 1
*** The storm ***


The arms of the ocean

1. The storm
 

Le tempeste arrivano dal nulla. Un attimo prima il cielo sembra sereno e regna la quiete, un attimo dopo il vento si abbatte e trascina tutto con se. Anche quella sera era andata così.
 
Il capitano della nave continuava a tenere saldamente il timone cercando d’imprimere una rotta, ma la potenza del vento la dirottava continuamente. Killian Jones rimaneva fermo, immobile ed imperturbabile, nonostante la paura fosse palpabile nell’aria. Gli uomini della sua ciurma correvano avanti ed indietro per tutta la nave, c’era chi si occupava d’issare le vele, chi cercava di limitare i danni subiti alleggerendo il carico e altri ancora che rimanevano rannicchiati in un angolo in attesa che passasse. 

“Supereremo anche questa.” Gridò il capitano, impartendo ordini ed infondendo coraggio ai suoi uomini. Ce l’avrebbero fatta, quella non era di certo la prima tempesta che affrontavano, nonostante fosse più dura e spaventosa delle altre.

Le onde continuavano a gonfiarsi sempre di più, raggiungendo altezze inimmaginabili ed infrangendosi furiosamente contro la nave che cominciava ad incassare acqua.

Nemmeno in quel momento riusciva a pentirsi della sua scelta, non si pentiva di essere tornato indietro, avrebbe potuto tranquillamente non farlo e ritornare ad essere ciò che era stato fino ad allora: un pirata!
Non se lo sarebbe perdonato però, e non sarebbe riuscito a convivere con il rimorso di aver sbagliato, di nuovo.
Per questo adesso rischiava tutto, la sua nave, il suo equipaggio, la sua vita. E lo faceva soltanto per rivedere due occhi verdi, che magari avevano anche cambiato espressione visto il tempo che era trascorso dall’ultima volta in cui li aveva visti. Un anno, esattamente un anno.

“Tenetevi forte!” Esclamò improvvisamente, avvistando una grande onda ergersi verso di loro. Tutti si aggrapparono a ciò che ritenevano più saldo, ma la potenza dell’onda fu devastante. Troppo devastante. 

 
Ed è quando la tempesta passa che bisogna raccogliere i cocci di ciò che è rimasto, la quiete che segue fa più paura della tempesta stessa, perché una volta che il cielo si è rischiarato bisogna fare i conti con quello che manca.
Killian Jones si svegliò affaticato, i polmoni gli bruciavano come se avesse inghiottito fuoco e non riusciva a respirare bene. Sputò acqua dalla bocca e rischiò di soffocare più volte, gli occhi non riuscivano ad aprirsi a causa di una luce troppo intensa. Si portò una mano davanti a questi per sfregarli un po’, ma non fece che peggiorare le cose, la sabbia che era attaccata alla sua mano s’insinuò all’interno delle palpebre causandogli maggior dolore.

“Che diamine”, sussurrò alzandosi e mettendosi seduto. Una spiaggia ampia di sabbia bianca e finissima era il luogo in cui si trovava. Si alzò lentamente, barcollando raccolse un po’ d’acqua per sciacquarsi il viso. L’acqua salata bruciava parecchio, ma d’altronde riuscì a togliere tutti i residui di sabbia.

Si guardò intorno più volte, spaesato. Non sapeva che isola fosse quella, anzi era sicuro che non figurasse nemmeno nelle carte nautiche che aveva sulla Jolly Roger. La sua amata nave, chissà dov’era finita. Non era possibile che la tempesta l’avesse trasportato così lontano, doveva essere lì vicino, ma all’orizzonte non vedeva nulla se non acqua.
Si tolse gli stivali ed il cappotto di pelle, la temperatura era troppo alta per tollerare un simile vestiario. Il sole cocente del mattino s’infrangeva prepotente su di lui, riscaldandolo ed asciugando rapidamente i suoi abiti bagnati dall’acqua del mare. Non era facile credere che un simile tempo potesse succedere ad una tempesta come quella della sera precedente, ma a quanto pare c’erano delle cose che non si riuscivano bene a spiegare.

La spiaggia era deserta e silenziosa, cercò di trascinarsi avanti nonostante l’intenso dolore alle gambe, e piano riuscì ad acquistare stabilità. Si addentrò un po’ nella piccola selva che affiancava la spiaggia per cercare di capire meglio dove si trovasse. Poco lontano da lui, cominciò ad udire una voce che lo chiamava con frequenza.
Cercò d’individuare da dove provenisse e si accorse che vi era un uomo sdraiato, considerata la stazza poté intuire che si trattasse di Spugna e si avviò verso di lui velocemente.

“Capitano. Capitano!” Continuava ad urlare quello. Hook s’inginocchio vicino a lui e gli posò una mano sulla spalla.

“Spugna, tutto bene?” Chiese preoccupato, a differenza di ciò che si pensava, il capitano aveva un profondo rispetto verso gli uomini della sua ciurma, dopo tutti quegli anni di navigazione erano loro l’unica famiglia che gli era rimasta e, come in ogni famiglia, cercava di averne cura.

“Si, ma non riesco a muovere il piede.” Rispose l’altro, tirandosi su con il busto e mettendosi seduto. Con una mano continuava a massaggiarsi la caviglia dolorante e con l’altra cercava di sorreggersi al meglio.

“Mettiamo questo” disse Killian avvolgendogli un lembo strappato della sua camicia, Spugna fece un nodo non troppo stretto e cercò di mettersi in piedi lasciandosi sorreggere dal capitano.

“Spugna quando risolveremo la situazione, dovrai metterti a dieta.” Lo ammonì scherzando, lo trascinò vicino un tronco e ve l’adagiò sopra.

“Adesso vado a cercare qualcosa che ci permetta di ritrovare la Jolly Roger” spiegò ad alta voce, “ed Emma” aggiunse poi, ma in modo da non farsi udire dall’altro.

Non riusciva a scorgere niente che potesse aiutarlo, solo alberi e piante di ogni genere. Continuò a camminare per un po’ di tempo e poi decise di fermarsi, si appoggiò ad un albero e si riposò per qualche minuto contemplando con sguardo perso il paesaggio circostante. Doveva esserci un modo per andare via da quell’isola, lui era un pirata e quella non era di certo la prima isola che visitava, ma solitamente aveva la sua nave ormeggiata, mentre adesso senza quella si sentiva in trappola.
Decise di alzarsi per ricominciare a darsi da fare, s’inoltrò sempre di più fino a scorgere una piccola casa fatta con tronchi d’albero e foglie. Dopotutto non doveva essere un’isola deserta, se vi era una casa.
Bussò più volte, ma nessuno rispose così decise di entrare. Non era nulla di che, una piccola baracca improvvisata. Su un tavolino di legno vi erano dei mestoli creati con le noci di cocco e con altri elementi naturali e dall’altra parte vi era un letto, se così poteva definirsi, di foglie.

“Cosa ci fai tu qui?” Domandò qualcuno alle sue spalle con voce profondamente inquisitoria.

Si voltò di scatto, anche perché quella voce aveva qualcosa di familiare.

“Ariel?” Chiese sfregandosi gli occhi, li riaprì e vide nuovamente la sirena insieme al suo principe.

“Certo che sono io, rinnovo la domanda. Che ci fai qui?” Richiese arrabbiata. Effettivamente il loro rapporto era stato parecchio burrascoso, ciò aveva raggiunto il culmine quando lui aveva sacrificato il suo principe in cambio della Jolly Roger. C’era d’aspettarselo che la sirena non lo accogliesse calorosamente, ma quello che non si spiegava era come mai fossero insieme.

“Il vero amore vince sempre.” Disse la rossa, avendo percepito lo stupore negli occhi del pirata. Annuì semplicemente e poi si ricordò che le doveva qualche spiegazione, soprattutto dopo quello che le aveva fatto l’ultima volta, anzi una spiegazione era proprio il minimo che potesse offrirle.

Si era pentito Killian Jones, si era pentito quando aveva ucciso Barbanera impedendo alla sirena di sapere dove fosse il suo principe. Ed a mente lucida riconobbe che era stato un atto vile e crudele, scambiare la vita di un uomo per la sua nave, anche se quella non era una semplice nave, anche se quella era la sua casa.

“C’è stata una tempesta ieri” cominciò a spiegare, “No, ma veramente?” Chiese sarcasticamente la donna, indicando con la mano il tetto, attraversato da un grande tronco d’albero che sicuramente si era staccato a causa delle forti raffiche di vento.

“Lasciami continuare sirenetta.” Sbottò allora il pirata, facendo vagare lo sguardo tra lei e il principe che non aveva ancora nemmeno aperto bocca. Proprio un uomo di carattere pensò Hook sorridendo e accarezzandosi la barba con il palmo della mano.

“La tempesta è stata così violenta che ha dirottato la nave, e stamani mi sono svegliato su questa spiaggia. Ecco tutto.” Concluse facendo un piccolo inchino, mentre la ragazza continuava a guardarlo con ostilità. Aveva persino pensato che lui fosse diverso quando l’aveva aiutata a trovare Barbanera, ma poi si era rivelato un vile, proprio come credeva all’inizio. Annuì semplicemente, spostando il peso da un piede all’altro, non era ancora pienamente abituata ad avere le gambe ed ogni volta che poteva, faceva un tuffo in mare per rivedere la sua amata coda.
Vi aveva rinunciato per il suo amore, perché è questo che si fa per la persona amata.

“Quindi adesso che vuoi?” Sputò poi con rabbia, aveva ascoltato la sua spiegazione e non aveva nessun intenzione di aiutarlo, era per colpa sua se stava quasi per perdere il suo Eric. Era riuscita a trovarlo poi, ma con molte difficoltà e non certo per merito del pirata.

“Andiamo sirenetta cosa posso volere secondo te? Voglio una mano, non in senso letterale.” Sottolineò ridendo, alzando per un attimo l’uncino ed indicandoglielo. Persino il principe rise alla battuta del pirata, mentre la rossa accennò solo un lieve movimento di labbra che dopo un attimo fu sostituito nuovamente da un’espressione composta.

“Era carina, devo ammetterlo.. Non arguta, ma carina.” Sentenziò poi, a quelle parole il sopracciglio di Hook si alzò automaticamente verso l’alto ed una risata sarcastica e fugace sfiorò le sue labbra.

“Quindi? Mi aiuterai?” Incrociò le braccia al petto, in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.

“No.” Rapido e secco. Risuonò nelle orecchie di Killian per qualche secondo, in effetti doveva immaginarlo, insomma era stato anche stupido chiederlo. Non poteva aspettarsi altro dopo quello che aveva fatto, ma adesso aveva bisogno davvero del suo aiuto. Lei era l’unica che potesse lasciare l’isola ed intercettare la sua nave, così lui avrebbe potuto rimettersi in viaggio per trovare Emma.

Aveva saputo che la maledizione sarebbe stata scagliata presto e quindi non aveva altro tempo da perdere, anche se dubitava che potesse giungere fino a lì, fino a quell’isola sperduta. Comunque non era un rischio che era disposto a correre, doveva lasciare quel mondo e doveva farlo velocemente, quindi se per riuscirci doveva far leva sulla compassione di una sirena, era disposto a farlo.

“Ho davvero bisogno di aiuto, io devo trovare Emma.” Cercò di spiegare, ma venne subito interrotto da quella.

“Emma? Perché?” Domandò spaesata, la questione stava cominciando a farsi interessante. Difatti ricordava di quando aveva aiutato l’intera compagnia che si trovava a Neverland, e ricordava che Emma fosse la figlia di Snow.

“Okay, te la faccio breve perché non ho tempo da perdere, quindi se non vorrai aiutarmi dovrò sbrigarmi a trovare un altro modo.” Cominciò a dire, si bloccò un attimo cercando di riordinare le idee per fare un discorso sensato e poi riprese, “allora, mi è arrivato un biglietto che diceva che devo trovare Emma, perché verrà scagliata un’altra maledizione e solo lei potrà spezzarla.” Concluse.

Ariel ci pensò su qualche secondo, era combattuta in realtà, magari aveva anche deciso di aiutarlo, ma prima lo avrebbe fatto soffrire qualche altro minuto. “Ed io cosa dovrei trarne?”

“Andiamo sirenetta, sono tutti in pericolo: Snow, Charming e l’allegra compagnia. Davvero non vuoi aiutarli? Vuoi comportarti come ho fatto io, vigliaccamente?” Supplicò infine, come se con quelle parole potesse scalfirla in qualche modo, in realtà ci faceva molto affidamento. Trovare un’altra strada sarebbe stato complicato, lungo e sicuramente deludente.

“Forse dovresti aiutarlo” s’intromise per la prima volta il principe.

Mi stai già più simpatico pensò simultaneamente Killian e sorrise illuminandosi alla possibilità che magari lei avrebbe ceduto davanti alle parole del suo principino.

“A proposito amico, forse dovrei scusarmi con te” disse, poi vide l’espressione corrucciata di Ariel, “con entrambi” si corresse.
Va bene, forse avrebbe dovuto aiutarlo, poi non è che stesse proprio aiutando lui piuttosto stava aiutando Snow, sua vecchia amica che l’aveva aiutata quando aveva avuto bisogno di lei.

Anzi si stupiva del fatto che il pirata li stesse aiutando davvero, come mai e cosa ne ricavava?
“Piuttosto tu cosa ricavi da tutto questo?” Chiese sfacciatamente, non pensava proprio che lo facesse per altruismo quindi doveva esserci qualcosa dietro.

“Perché pensi che debba ricavarne necessariamente qualcosa?” Proruppe Hook, piuttosto frustato, non riusciva a venire a capo della situazione, quella serena non solo non si decideva, ma continuava a fargli un mucchio di domande.

“Perché Capitan Hook non fa niente per niente, ed io ne sono la prova!” Affermò lei, corrucciando le labbra e incrociando le braccia a sua volta.
“Emma. Voglio aiutarla.” Sentenziò quello, alla fine, stanco di essere continuamente messo in discussione.
La donna capì allora, capì cosa lo spingesse.. L’amore.

Riusciva a riconoscere uno sguardo disperato quando ne vedeva uno, l’aveva avuto anche lei quando il pensiero di aver perso per sempre Eric aveva cominciato a farsi spazio nella sua mente. Fortunatamente poi, non era andata così.
La sirena non disse nulla per qualche minuto, dopo di che si decise finalmente a mettere fine alla tortura del pirata ed acconsentì ad aiutarlo.
I tre si diressero verso la spiaggia dove recuperarono Spugna, che aveva quasi perso ogni speranza.

“Dubiti del tuo capitano?” Lo ammonì Hook con sguardo severo ed indecifrabile, tanto da metterlo quasi in soggezione, il membro della ciurma buttò lì qualche parola di scusa e qualche giustificazione e la discussione finì. Erano sicuramente presi da pensieri più opprimenti.

“Okay, faremo così..” Cominciò il pirata, ma venne subito interrotto da un sonoro sbuffo della rossa. “Non darmi ordini, non faccio parte della tua ciurma.”

Stava quasi per risponderle a tono, ma si trattenne. Non poteva rischiare di irritarla e di mandare all’aria tutto.
“Okay, faremo così.. Io cercherò di vedere dov’è finita la tua nave e poi tornerò per darti notizie, poi vedremo il da farsi.” Concluse, diede un bacio al suo principe, sotto lo sguardo impaziente di Hook, e si gettò nelle acque limpide di chissà quale oceano.

Killian continuava a camminare avanti e indietro con passo nervoso, erano passati meno di cinque minuti e già si chiedeva quando la sirena sarebbe tornata. L’attesa non faceva per lui, solitamente era abituato ad agire e non ad aspettare passivamente.

“Rilassati, lei riesce a trovare ogni cosa.” Disse Eric cercando di rassicurare quell’uomo che a furia di camminare gli stava facendo venire il voltastomaco.

Annuì semplicemente, adesso era lui che non voleva fare conversazione. Appoggiò gli stivali ed il cappotto su una parte del tronco e si sedette accanto a Spugna, che intanto sembrava essersi appisolato.

“Come riesce a dormire in queste condizioni..” Sorrise e si passò una mano tra i folti capelli. Eric rise e si sedette accanto a lui, poggiando le mani sul tronco ed assumendo una tipica posizione rilassata.

Certo, non è da lui che dipendeva la salvezza di Emma e degli altri, per questo riesce a stare così, constatò Killian senza però proferire parola.
“Come mai siete rimasti su quest’isola?” La domanda gli partì spontanea, era sinceramente curioso di sapere come un principe potesse adattarsi a condizioni a cui non era abituato minimamente.

“E’ tranquilla, fuori da qualsiasi pericolo. Possiamo semplicemente stare insieme.” Concluse senza nessuna esitazione, l’altro annuì e non dissero nient’altro.
 
 
“Ho fatto il giro largo dell’isola, non riuscivo a trovarla inizialmente perché ti sei allontanato parecchio, ma poi nella parte ovest ho scorto la tua grande nave e avvicinandomi ho potuto constatare che vi erano ancora due uomini a bordo. Sembra in buone condizioni, difatti sono riusciti a dirottarla qui.” Spiegò Ariel, appena uscita dall’acqua ancor prima che il capitano potesse rivolgerle le mille domande che stava per farle.
Il pirata allargò le braccia preso dalla felicità e sorrise apertamente.

“Grazie sirenetta” mormorò infine, prima di accogliere gli altri due uomini della ciurma sull’isola. “Non avrei pensato mai di dirlo ragazzi, ma sono veramente contento di vedervi” due pacche nella spalla era la massima cortesia che riuscì a permettersi.

“Da quando è così sentimentale, capitano?” Chiese uno dei due, ridendo.

Hook non disse nulla, si limitò ad informarsi sulle condizioni della nave, che sembrava a posto, e sul resto della ciurma. All’appello mancavano una manciata di pirati, ma fu rassicurato da Ariel, aveva incontrato altre sirene che l’avevano informata che alcuni si trovavano su un’isola poco distante. Bene, si disse. Poteva andare decisamente molto peggio, ma adesso non poteva perdere altro tempo.

“La maledizione starà per arrivare, ragazzi. Voi non potete venire con me, aspettate che passi e fatevi aiutare da Ariel” rivolse un cenno alla rossa. Non poteva rischiare una seconda volta di metterli in pericolo, e poi da solo avrebbe saputo meglio come muoversi.

“Ma noi..” cominciarono quelli, ma lui troncò ogni protesta sul nascere e alla fine fecero esattamente come voleva, d’altronde era il loro capitano. Solo Spugna non si fece convincere, era quello più affezionato a Killian e non lo avrebbe lasciato solo, così si fece caricare sulla nave e non accettò nemmeno gli ordini di Hook che lo intimavano a scendere.

“Non posso camminare” protestò.

“Avevo detto a quei due di non portarti a bordo. Non accetto l’insubordinazione!” Affermò il capitano ad alta voce, ma in fondo una parte di lui era contenta di non essere solo. 

Riprese le sue cose, salì sulla sua nave e partì verso l’ignoto.

Autrice:
Salve :)
Questa storia, come vedete (leggete), racconta il viaggio del nostro bel capitano. Durante la terza stagione, Killian continuava a non voler raccontare l'anno mancante ed il viaggio, solo nel gran finale le carte sono state scoperte, ma sarà stato davvero così facile per lui? O ci sono delle cose rimaste non dette?
Io ho pensato di dare una mia interpretazione, ovviamente ho cercato di far coincidere il fatto che abbia abbandonato la ciurma (in questa presunta isola dove la maledizione non arriva), la maledizione non poteva arrivare nell'isola perché poi rivediamo Ariel ed Eric felici, invece se fossero stati colpiti sarebbero anche loro tornati a Storybrooke. Del resto, Spugna lo ritroviamo a Storybrooke e senza memoria, quindi non potevo farlo rimanere sull'isola. Ho cercato di far coincidere le cose, ovviamente se notate incongruenze mi farebbe piacere che me lo faceste presente.
Spero non risulti noiosa. Se vi piace e siete curiosi (anche se non dovesse piacervi), fatemelo sapere. 
A presto :* 

 

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Capitolo 2
*** New York ***


The arms of the ocean

2. New York

Come previsto, la maledizione era in arrivo. Dopo un po’ di ore di navigazione, il cielo si fece improvvisamente scuro ed un vortice di vento cominciò a scatenarsi dal nulla, le onde cominciarono a diventare pericolose e si stava ripetendo esattamente la situazione della sera precedente. “Ci risiamo, questa volta è lei!” Esclamò Hook, cercando di reggere più saldamente il timone e intimando a Spugna di rimanere saldo nella sua postazione.

Uscì, dal taschino del giubbotto di pelle, un piccolo cannocchiale e lo allungò con la bocca. Lo mise davanti all’occhio e chiuse automaticamente l’altro per vedere meglio.
Il vento continuava ad essere sempre più forte ed il cielo assunse quel tipico colore viola che contraddistingueva una maledizione, ormai ne era a conoscenza.

“Terra!” Urlò, riponendo velocemente il cannocchiale e cambiando leggermente la rotta. Spugna continuava a guardarsi le spalle con un’espressione di profondo terrore. “Ci sta seguendo, capitano, sta arrivando.” Gridò spaventato, indicando con la mano quella coltre di nube viola.

“Allora dobbiamo essere più veloci di lei.” Concluse Killian, aumentando la velocità di navigazione, “guarda il passaggio tra i mondi è aperto, ci serve un fagiolo magico!” Esclamò indicando i tuoni che squarciavano il cielo e facevano intravedere paesaggi diversi, l’altro continuava a guardarlo spaesato, non era convinto che sarebbero riusciti a spuntarla quella volta, ma ci riuscirono. Toccarono terra e scesero velocemente, Hook trascinava malamente Spugna che non poteva muoversi ancora fluentemente, a pensarci bene non era stata una grande idea quella di permettergli di accompagnarlo.

“Vi sto rallentando, lasciatemi qui.”

“Non posso farlo” rispose Killian, il senso dell’onore era sempre quello a prevalere in lui, e non era onorevole lasciare un compagno in difficoltà.

“Dovete se volete salvare tutti, io me la caverò. La maledizione mi riporterà a Storybrooke insieme a tutti gli altri, mi ritroverete lì.” Concluse, staccandosi velocemente la mano di Hook dalla spalla. Quello lo guardò confuso, non sapeva che fare. Da una parte sapeva che lo avrebbe ritrovato, ma dall’altra non voleva che fosse costretto ad affrontare la maledizione. Tuttavia non aveva molte scelte davanti, quindi annuì, fece qualche passo e si rivoltò a guardarlo.

“Andate” gli intimò allora il compagno, e lui cominciò a correre velocemente.

La città era in fermento, gente che correva da tutte le parti e scappava per riuscire a salvarsi. Conosceva bene quella città se n’era reso conto subito, appena aveva varcato la soglia del porto. Sapeva anche chi cercare per ottenere un fagiolo, ma il suo prezzo sarebbe stato molto alto. Quella poltiglia viola continuava ad avvicinarsi e lui era seriamente spaventato di fallire, di non poter rivedere Emma e soprattutto preoccupato di dimenticarla. Corse con tutta l’energia che gli era rimasta, le stradine erano piccole e malandate, la gente continuava a sbattergli contro, ma lui cercava imperterrito di continuare.
Trovò quello che stava cercando poco lontano da un locale diroccato, un uomo incappucciato e con una bottiglia di rum in mano, nella confusione doveva averne approfittato per rubare dalla locanda.

“Finalmente, ti ho trovato.” Urlò a squarciagola, guardandosi più volte alle spalle. L’uomo si fermò, il viso non era visibile dietro al cappuccio, ma Killian non aveva mai potuto dimenticare la sua andatura causata da quell’accenno di gobba che gli curvava la schiena.

“Salve capitano.” Lo salutò, sembrava impassibile davanti all’arrivo della maledizione, come se non gli importasse affatto.

“Non ho tempo da perdere, ho bisogno di un fagiolo.” Sbottò Hook, saltando i convenevoli ed avvicinandosi svelto. Quello automaticamente arretrò, quasi spaventato dal fuoco e dalla determinazione che vedeva lampeggiare negli occhi del pirata.

“Voglio qualcosa in cambio” sentenziò, capendo di avere il coltello dalla parte del manico, il capitano aveva bisogno di lui, questo lo rendeva prezioso e non attaccabile.

“Cosa?” L’esasperazione era palpabile nella voce di Killian, non c’era più tempo, doveva ottenere quel fagiolo subito.

“La vostra nave, capitano.”

Rimase interdetto qualche secondo, non sapeva a cosa gli servisse, ma era quasi certo che lo facesse per vendicarsi e che volesse solo privarlo della cosa a cui credeva tenesse di più. Peccato che non era più così perché nonostante amasse quella nave e la considerasse casa propria, la cosa più importante per lui era Emma. Era ritrovarla.

“Non abbiamo molto tempo.” Lo incitò quello, Killian si voltò e vide che il fumo viola era alle sue spalle e stava per avvolgerli.

“Okay, prendila, ma dammi quel maledetto fagiolo.” Concluse arrabbiato. L’uomo aprì il mantello che lo avvolgeva ed estrasse un fagiolo dalla tasca, lo lanciò ed il capitano lo afferrò prontamente. Okay, adesso che era in possesso del fagiolo, bisognava agire.

Lo gettò nel terreno instabile ed un enorme portale si aprì sotto di esso. Un attimo prima che il fumo lo avvolgesse definitivamente, si buttò nel portale e fu scaraventato contro qualcosa di molto duro.

“Dove diavolo sono?” Si chiese, alzandosi e pulendosi i pantaloni. Si trovava in una specie di riserva, intorno a lui vi erano grandi alberi e una stradina sterrata che decise di seguire, visto che non sapeva dove fosse, gli sembro la soluzione più logica. Percorse quel sentiero fino a quando non si trovò in prossimità di una strada asfaltata e ai limiti di questa vi era un grande cartellone con una scritta: Welcome to Boston.

Il cielo era piuttosto buio, ad occhio e croce potevano essere circa le dieci di sera. Cambiò velocemente l’uncino con la protesi, non voleva spaventare nessuno e soprattutto non voleva problemi.


 
Boston? Non sapeva per quale ragione fosse capitato in quel luogo, un’automobile sfrecciò all’improvviso a tutta velocità e lui non ebbe il tempo di fare nulla, ma l’auto inchiodò giusto un attimo prima di travolgerlo. “Signore, sta bene?” Chiese una giovane ragazza, uscendo frettolosamente dall’auto. Poteva avere diciassette anni circa, Killian non seppe dirlo con sicurezza, ma sembrava davvero molto giovane e spaventata. Gli occhi scuri conservarono per alcuni attimi un’espressione di terrore, poi la ragazza si riscosse e si passò una mano tra i folti capelli neri.

“Sto bene, ma non dovresti andare così veloce, stavi per venirmi addosso.” L’ammonì con voce severa, la ragazza si scusò mortificata e poi lo guardò con aria spaesata prima di porgli una domanda.

“Ma che ci faceva qui? E perché è vestito in quel modo?”

“Cara, non mi sembra il momento di farmi un interrogatorio, però puoi fare una cosa per riscattarti dall’avermi quasi ucciso.” Sentenziò, gli abiti della ragazza erano moderni, quindi sicuramente si trovava nel mondo senza magia, solo che non sapeva in quale parte e dove fosse Emma.

“Cosa?” Domandò preoccupata, quello strano tizio non sembrava promettere nulla di buono. Stava quasi per investirlo e adesso voleva dei favori, sembrava un pazzo, ma non poteva fare altro che ascoltarlo. Del resto, stava andando veramente troppo veloce e se lui l’avesse detto alla polizia sarebbero stati guai e i suoi genitori l’avrebbero messa in punizione a vita probabilmente.

“Come faccio a trovare una persona se ho solo il suo nome?”

Che strana domanda, ma in che epoca viveva?! Come faceva a non sapere che bastava cercare su google per avere notizie e magari controllare negli uffici che registrano le residenze degli abitanti.

“Google.” Suggerì poi, ma l’uomo la guardò con aria interrogativa e così cominciò a spiegare, si avviò un attimo verso la macchina e tornò qualche secondo dopo con un oggetto che Killian non riuscì ad identificare.

“Okay, mi dica il nome e cerchiamo questa persona.”

“Emma Swan.”

“Ma non è un maniaco o chissà che, vero? Non sto aiutando uno stalker o un serial killer?” Chiese spaventata, arretrando di qualche passo.

“Dolcezza, non so cosa tu stia blaterando, ma ti assicuro che non hai di che preoccuparti.” La ragazza non era del tutto convinta, ma decise di aiutarlo, in fin dei conti non sembrava cattivo, solo un po’ strano.

Digitò velocemente qualcosa e poi gli porse lo strano oggetto, gli indicò con un dito una specie di mappa che l’uomo non capì, così la fissò nuovamente con aria interrogativa.

“Okay, guarda.. Ho cercato negli archivi di residenza e risulta che questa Emma è stata qui fino a qualche mese fa, mentre adesso si trova a New York.” Concluse, tracciando il percorso da Boston a New York, circa 340 Km.
“Coma faccio ad arrivarci? Potresti accompagnarmi?” Chiese gentilmente.

“Lei sta fuori, forse devo averla beccata davvero con l’auto e adesso ha una commozione, ma è davvero strano!”
Il capitano rise di cuore vedendo l’espressione scioccata dipinta sul volto di lei mentre sbraitava, poi pensò di avere qualcosa per convincerla. Allargò il mantello, da un taschino del panciotto estrasse un sacchettino nero e cominciò a scuoterlo.

“Forse questi ti convinceranno.” Concluse, alzando un sopracciglio. La ragazzo lo guardò di rimando ed afferrò il sacchetto, lo aprì ed il suo contenuto la lasciò stupita. Monete d’oro? Ma chi diavolo era quel tizio?

“Ne possiamo parlare”sussurrò poi, era pur sempre un adolescente con pochi soldi e tante idee su come spenderli.

“Giovani.” Bofonchiò Killian tra i denti.

Lei fece velocemente una telefonata ai suoi, informandoli che dormiva da un’ amica e si avviò verso l’auto.

“Andiamo, sono circa 3 ore e mezza di viaggio. Arriveremo verso notte, visto che sono..” Controllò velocemente l’orologio che aveva al polso, “le dieci e trenta.” Concluse.

Il viaggio fu lungo e silenzioso, la ragazza guidava continuando a scuotere la testa per una strana musica che usciva da una strana scatola. Che diavoleria è mai questa? Si chiese Hook, ma decise di non fare domande, voleva limitarsi ad arrivare, andare da Emma e tornare insieme a Storybrooke.

Nonostante la notte, Killian riuscì a notare diversi paesaggi, fino a quando il buio non venne sostituito dalle luci abbaglianti della metropoli.

“Questo è il suo indirizzo, ti consiglio di aspettare che sia mattina se non vuole spaventarla. Se sentirò il suo nome al telegiornale saprò di aver aiutato un assassino.” Sentenziò, poi ci pensò su qualche secondo, “un attimo, come ha detto che si chiama?” Chiese spaesata, non sapeva nemmeno il nome di quello sconosciuto ed aveva affrontato un viaggio in macchina con lui, se i suoi l’avessero scoperta, davvero sarebbe stata in punizione a vita.

“Non l’ho detto in realtà” ammise Killian, ridendo dello sguardo scandalizzando della ragazza.

“Killian Jones”disse poi, porgendole la mano sana, la ragazza l’afferrò e la strinse con convinzione. “E rilassati, ti ho detto che non ho intenzione di uccidere nessuno. E’ solo una vecchia amica che non vedo da anni e volevo farle una sorpresa.”

“Vestito così?” Domandò di rimando, squadrando il suo abbigliamento total black e piuttosto piratesco. Che stupida pensò ammonendosi mentalmente, piratesco?!

“Abbiamo gusti particolari.” Concluse velocemente, ammiccò con lo sguardo come a voler intendere qualcosa.

“Okay, okay..Non sono interessata a conoscerli, adesso vado a cercarmi un motel per la notte, grazie alle tue monete!”

Affermò sorridendo, invitandolo a scendere con un movimento della mano. Lui, del resto non aveva più nulla, quindi gli toccava aspettare in qualche panchina di quel parco che c’era vicino al palazzo.

“Sono Tiffany comunque, ed è stato un piacere fare affari con te, Killian.”

“Sta attenta.”

Chiuse lo sportello della macchina, che sfrecciò via velocemente. Si accomodò su una panchina, non era il massimo, ma aveva affrontato situazioni peggiori. Portò una mano al petto, sfiorando con le dita una strana boccetta che conteneva un liquido blu. “Domani ricorderai.” Mormorò, stringendosi nel suo cappotto prima di addormentarsi.

 
I raggi del sole lo svegliarono, la città era già animata. Persone che camminava velocemente da ogni parte, un bambino lo indicava con il dito, ma la madre era troppo impegnata a parlare con uno strano aggeggio per dargli ascolto, così lo trascinò per il cappottino e se lo portò dietro, nonostante le proteste di questo.
Era arrivato il momento di agire, aveva affrontato di tutto per arrivare lì e adesso doveva solo bussare ad una maledetta porta. Si mise in piedi, sgranchendosi un po’ le gambe che erano rimaste intorpidite dalla posizione che aveva mantenuto durante la notte.
Si avviò verso il palazzo, la porta fortunatamente era aperta così salì le scale e verificò in tutte le porte se vi fosse il cognome della sua Emma.
Giunto al quarto piano, si avvicinò e notò la scritta: Swan. Era incisa in dorato, sulla targhetta della porta. Sfiorò con le dita quelle incanalature, da quella porta si udiva una leggera musica ed anche un profumino piuttosto invitante. Prese un respiro profondo e suonò il campanello.
Ed eccola.
Dopo pochi secondi gli aveva aperto, i capelli biondi le ricadevano in morbidi boccoli un po’ scomposti sulle spalle, il pigiama a quadrettini rosa ed un’espressione indecifrabile sul volto.
“Swan” mormorò, sinceramente emozionato.
Era bellissima. E lui l’aveva ritrovata.

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“Volevo ringraziarti, Killian” sussurrò guardandolo attentamente negli occhi. “Prima di tutto per essere tornato da me a New York, se tu non l’avessi fatto..”
“Era la cosa giusta da fare” disse, interrompendola e continuando a guardarla dolcemente. Occhi negli occhi. L’azzurro nel verde.
“Come hai fatto? Come hai fatto a raggiungermi?” Chiese Emma, sinceramente interessata.
“Beh..La maledizione era in arrivo, ho mollato l’equipaggio, preso la Jolly Roger e sono scappato il più velocemente possibile per sfuggirle.”
“Sei sfuggito ad una maledizione?”
“Sono un grande capitano!” Affermò ridendo e facendola ridere a sua volta. “Ed una volta fuori dalla portata della maledizione, ho saputo che i muri erano caduti. Che i due mondi erano di nuovo collegati. Mi serviva solo un fagiolo magico.” Concluse, pensando di aver messo fine al racconto.
“Non sono facili da trovare.” Sottolineò la bionda, come se continuasse ad aspettare un ulteriore spiegazione.
“Lo sono se hai qualcosa di valore da scambiare.”
“E cos’era?” Domandò incuriosita.
“Beh, la Jolly Roger, ovviamente.” Ammise guardandola.
“Hai scambiato la tua nave per me?” Era quasi commossa, sapeva quanto quella nave contasse per lui. La considerava la sua casa e l’aveva data via per lei.
“Si.” Confermò Killian, con un lieve cenno del capo. “Io darei tutto per te.” Pensò, ma non lo disse ad alta voce, era troppo presto e lei non era ancora pronta a sentirlo.
Emma si avvicinò lentamente e gli sfiorò delicatamente le labbra con le sue, poi il bacio divenne più coinvolgente e passionale, lui la strinse e lei mise le mani sui suoi capelli neri accarezzandoli.
Aveva fatto di tutto per trovarla.
La storia che le aveva raccontato, sebbene corrispondesse alla realtà, era priva di tutti quei particolari e pericoli che lui aveva affrontato per lei. Ed era giusto così. Mentre finalmente poteva baciarla, pensò che anche un suo semplice sorriso l’avrebbe sempre ricambiato di tutto e che quello che stava vivendo era molto più di ciò che si aspettasse.
Era stata una delle cose più difficili che avesse fatto, ma andava bene. Per lei avrebbe fatto di tutto. Sempre.  

 

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