La regina delle fate

di aduial
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un incontro inquietante ***
Capitolo 2: *** La regina delle fate ***



Capitolo 1
*** Un incontro inquietante ***


Nick sul forum/EFP: aduial95 (forum), aduial (EFP)
Titolo: La regina delle fate
Schema scelto: Dragone
Coppia: nessuna
Lunghezza: 1101 (capitolo primo), 1390 (capitolo secondo), tot: 2491
Raiting: giallo
Eventuali note: nessuna
Breve introduzione: Talìa e Amdir sono gemelli. Durante un loro viaggio si fermano in un villaggio, dove circolano strane storie e leggende. Una in particolare inquieta la gente del posto e il povero Amdir. La gemella, invece, non ne resta particolarmente colpita, ma attenta Talìa, ogni leggenda ha sempre un fondo di verità…
 
La regina delle fate
 
Capitolo primo
Un incontro inquietante
 
Talìa lanciò un urlo di eccitazione mentre Laddhogr si esibiva in una picchiata spettacolare, immergendosi nello spesso strato di nuvole sottostanti. Poi il dragone riprese quota e venne nuovamente illuminato al pallido sole primaverile. Talìa era sempre rimasta affascinata da quello spettacolo straordinario: sopra la coltre di nubi splendeva il sole, mentre appena sotto si scatenava il temporale. Soffocò un risolino divertito al pensiero di Amdir che cavalcava sotto l'acquazzone, lui non aveva la fortuna di avere un drago come compagno per la vita. Talìa si perse nei ricordi, pensando al giorno in cui lui era entrato all'Accademia di Magia, mentre lei aveva deciso di frequentare l'Accademia Militare.
Così lui era diventato un mago, anzi ancora un mago apprendista, mentre lei un Cavaliere di Drago, una delle cariche più prestigiose in assoluto. Sorrise soddisfatta. In molti non avevano creduto in lei, perché era una donna e per di più giovane, ma lei ce l'aveva fatta lo stesso, stupendo tutti. Anche Laddhogr fece una smorfia soddisfatta, percependo i pensieri della compagna, ma tornò immediatamente a concentrarsi.
"Talìa, è ora di atterrare."
La giovane strinse le ginocchia e si aggrappò saldamente alla sella, mentre l'immenso drago blu iniziava la discesa. Fortunatamente aveva smesso di piovere, quindi l'atterraggio in una radura della foresta di Hamling fu molto più piacevole del previsto.
"Dove pensi che sia?" chiese la ragazza.
"La velocità di un cavallo non può competere con quella di un drago in volo - le rispose Laddhogr, con un'espressione orgogliosa sul muso - temo che dovremo aspettare un po'."
"Ottimo! Vorrà dire che ne approfitterò per schiacciare un pisolino" commentò Talìa, accomodandosi su una zampa del drago, che la guardò con affetto. Pochi minuti dopo si era già addormentata.
 
«Talìa! Hai intenzione di dormire ancora per molto?» chiese una voce familiare. In risposta la ragazza fece un sonoro sbadiglio.
«Però! Quanta eleganza in un'unica persona!» commentò la stessa voce che l'aveva svegliata. Laddhogr si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. Ancora assonnata, Talìa aprì gli occhi e si trovò davanti un viso identico al suo, solo dai tratti decisamente maschili: stessi occhi azzurro ghiaccio, stesso naso dritto, stessi zigomi pronunciati e stessi capelli neri arruffati, sebbene quelli di lui fossero molto più corti.
«Amdir, sei tutto bagnato!» disse Talìa, dopo averlo guardato bene.
«Che occhio! - ribatté piccato il gemello - mi chiedo come tu abbia fatto ad accorgertene.» aggiunse sarcastico.
«E non potevi fare una magia per rimanere asciutto?»
«Perché sprecare energia per una cosa del genere?» le chiese lui di rimando, alzando le spalle.
Talìa si alzò in piede e gli fece una linguaccia. «Vogliamo andare?» gli chiese, prima di inoltrarsi nella foresta umida. Amdir si affrettò a seguirla.
Per un po’ camminarono in silenzio, ascoltando i suoni tipici del bosco che si risveglia dopo la tempesta: gli uccelli che lanciavano i loro richiami da un nido all’altro, i passi leggeri dei cervi sul sottobosco profumato, le gocce che cadevano dalle foglie e precipitavano ritmicamente verso il suolo. Talìa chiuse gli occhi per un paio di secondi, gustando la sensazione di freschezza che le brezza leggera le regalava, accarezzandole la pelle. Poi Amdir interruppe il momento di pace, chiedendole con tono improvvisamente allarmato :«Talìa, non è che il tuo drago si mangia il mio cavallo, vero?». La ragazza sbuffò, rivolgendogli uno sguardo esasperato: «Primo: tu ti preoccupi troppo, dovresti rilassarti un po’. Secondo: si chiama Laddhogr, quando ti deciderai a chiamarlo per nome? E terzo: perché mai dovrebbe mangiarselo?». Amdir borbottò alcune cose incomprensibili tra sé e sé e, finalmente, tacque di nuovo.
 
Dopo circa un’ora di cammino giunsero in vista di un piccolo villaggio. Le nuvole basse non permisero loro di godere dello spettacolo del tramonto, ma i due si accorsero comunque che le tenebre stavano calando velocemente.
Talìa fece per avvicinarsi, ma Amdir la trattenne, afferrandola per un braccio.
«Forse così diamo un po’ troppo nell’occhio, non credi?» le fece notare, accennando alla lunga tunica da mago e all’aderente divisa di pelle nere che indossavano. Poi si concentrò intensamente e la ragazza percepì uno starno calore che la avvolgeva.
«No, no e no! Assolutamente no!» urlò appena vide il lungo abito di flanella celeste che le fasciava il corpo. Amdir sogghignò, ma il sorriso gli sparì dalle labbra non appena lei gli afferrò il bavero della camicia che aveva fatto apparire per sé. Allora Talìa sentì lo stesso calore di prima e si rese conto di avere addosso un paio di morbidi pantaloni di pelle, una camicia e una giacca, esattamente come il fratello. Con un ultimo sguardo d’avvertimento ad Amdir entrò nel villaggio. Cercando un posto dove passare la notte, si avvicinarono a una vecchia che filava, seduta davanti all’uscio di una casa.
«Scusatemi, buona donna – la chiamò Amdir – potreste gentilmente indicarci dove trovare una locanda?». La vecchia non lo degno di uno sguardo, ma continuò a dondolarsi sulla sedia, ripetendo ossessivamente quella che sembrava una vecchia filastrocca:
 
“La regina delle fate è una signora oscura,
tutto intorno a lei c’è solo buio e paura.
Viandante non ti attardare,
nel bosco dove lei ti può trovare.
Nella notte lei cammina,
un campanello annuncia che è vicina.
Ma bimbo non ti preoccupare,
se non farai rumore, non ti verrà a cercare
dalla tua casa non uscire,
in molti cosi ne abbiamo visti sparire.”
 
«Da lei non otterrete alcuna risposta!» gridò una donna rubiconda dall’altro lato della strada. I gemelli si avvicinarono e la donna spiegò loro: «È pazza. Da quando suo figlio sparì nella foresta 50 anni fa non si è più ripresa ed è tutt’ora convinta che sia stato rapito dalla regina delle fate».
«E questa regina delle fate esiste veramente?» chiese Amdir, deglutendo sonoramente. Talìa alzò gli occhi al cielo, suo fratello era davvero un credulone. La donna scoppiò a ridere: «Certo che no! È solo una storia per spaventare i bambini e mandarli a dormire. Comunque ho sentito che state cercando una locanda. Qui nel villaggio non ce n’è una vera e propria, ma potete recarvi a “ Il Sole Nascente”, la taverna in fondo alla strada, che ha anche alcuni letti dove far dormire i viaggiatori». I gemelli la ringraziarono calorosamente e si incamminarono nella direzione indicate, inseguiti ancora dall’eterna cantilena della vecchia.
 
“La regina delle fate è una signora oscura,
tutto intorno a lei c’è solo buio e paura.
Viandante non ti attardare,
nel bosco dove lei ti può trovare.
Nella notte lei cammina,
un campanello annuncia che è vicina.
Ma bimbo non ti preoccupare,
se non farai rumore, non ti verrà a cercare
dalla tua casa non uscire,
in molti cosi ne abbiamo visti sparire.”

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Capitolo 2
*** La regina delle fate ***


Capitolo secondo
La regina delle fate
 
Talìa e Amdir individuarono subito l’insegna “Il Sole Nascente”. Era in legno, con la scritta d’oro un po’ scrostata e pendeva sbilenca sopra una porta aperta, dalla quale fuoriuscivano cori e risate sguaiate. I due si scambiarono una breve occhiata dubbiosa e si immersero nell’aria calda e fumosa della taverna.
Gruppi di uomini sedevano ai tavoli giocando a carte, le mani saldamente aggrappate a grossi boccali di birra, mentre alcune donne dai seni prosperosi e dalla bocca dipinta assistevano alle partite e si assicuravano che i bicchieri dei clienti fossero sempre pieni.
Talìa si avvicino al bancone con passo sicuro, ignorando i fischi di apprezzamento che le venivano rivolti, mentre Amdir la seguiva a pochi passi di distanza, guardandosi attorno con aria torva.
«Vorremmo un posto dove dormire» annunciò, rivolgendosi all’oste, un uomo nerboruto che asciugava dei bicchieri con uno straccio unto. La ragazza represse un brivido di disgusto. L’uomo la squadrò con aria annoiata e fece loro cenno di seguirlo al piano superiore.
«Prima, però, vorremmo anche mangiare» aggiunse Talìa. Allora l’uomo li fece accomodare a un tavolo appartato e, dopo poco, una donna dalle guance rosse e i capelli raccolti in una spessa treccia portò loro dello stufato e del vino.
«Allora… che cosa vi porta da queste parti?» chiese la donna, curiosa.
«In realtà siamo solo di passaggio» rispose asciutta Talìa.
«Piuttosto – si intromise Amdir – sapreste dirci qualcosa in più sulla leggenda della regina delle fate?».
Talìa appoggiò la fronte sul tavolo chiedendosi a quali livelli di idiozia potesse arrivare suo fratello.
La donna lo guardò fisso per qualche istante, come ponderando bene la domanda, poi iniziò a raccontare: «Si narra che questi boschi siano popolati da delle creature fantastiche: le fate. Questi esseri misteriosi, però, non sono particolarmente portate per la benevolenza nei confronti degli esseri umani, anzi, adorano render loro la vita impossibile. La più potente di tutte è la regina delle fate. A lei sono imputate moltissime sparizioni di bambini in tutta la valle, è un vero e proprio flagello.»
«E cosa dovrebbe farci con tutti questi bambini?» la interruppe Talìa, acida.
«Li mangia» rispose laconica la donna, scrollando le spalle.
Amdir si affrettò a chiederle: «Ma non c’è un modo per sconfiggerla?»
«Oh sì, basta strapparle il diamante intarsiato che porta al collo. Quello è il talismano da cui trae tutti i suoi poteri, senza quello è completamente indifesa. In ogni caso è solo una leggenda. È vero, abbiamo avuto qualche sparizione, ma non è stata sicuramente colpa sua». A quell’affermazione conclusiva Talìa annuì con convinzione, lanciando uno sguardo al fratello che, invece, non sembrava ancora del tutto rassicurato.
La gemella ringraziò la donna, che si accomiatò con un sorriso per lasciarli mangiare tranquilli. I due consumarono la cena in silenzio, assorti nei loro pensieri e , una volta terminata, chiesero all’oste di accompagnarli nella stanza dove avrebbero potuto dormire. Questo li condusse in un ripostiglio minuscolo, dove si trovavano due letti, incastrati all’interno per puro miracolo. Da una piccola finestrella in alto si poteva vedere la luna piena fare capolino dalle nuvole ancora gonfie di pioggia. Un tuono rimbombò minaccioso in lontananza.
Talìa e Amdir ringraziarono l’uomo ed entrarono nello stanzino, chiudendo la porta, che girò sui cardini con un cigolio inquietante.
«Dai andiamo a dormire, che domani mattina ci dobbiamo svegliare presto se vogliamo arrivare in tempo per la cerimonia. Insomma, non vorrai essere apprendista ancora per un altro anno solo perché hai dormito troppo!» disse Talìa con tono spiccio. Amdir annuì brevemente e, dopo essersi tolto la giacca, la camicia e gli stivali, si infilò sotto il lenzuolo ruvido, imitato subito dalla gemella.
 
Amdir ruzzolò a terra con un tonfo sordo. Talìa scattò a sedere immediatamente, la mano che già correva all’elsa della spada. Poi vide il gemello che si stropicciava gli occhi, con le gambe impigliate nel lenzuolo e si rilassò, scoppiando a ridere. Amdir la fulminò con lo sguardo, senza però sortire alcun effetto.
«Che c’è da ridere?»chiese imbronciato. Talìa si zitti improvvisamente, facendo segno anche al gemello di rimanere in silenzio. Amdir tacque, sentendo quello che i sensi allenati della ragazza avevano già percepito. Un tintinnio delicato e una voce dolce e carezzevole, quasi ipnotica: «Vieni, seguimi».
Talìa si alzò, affacciandosi alla finestrella, seguita da un Amdir incredibilmente inquieto. Agli occhi esterrefatti dei gemelli si mostrava una scena agghiacciante: una donna dai lunghi capelli rossi, mossi da un vento che pareva colpire solo lei, chiamava a sé con voce suadente un bambino, che la seguiva docilmente. La donna era bellissima, fasciata da un aderente abito nero che si confondeva con l’oscurità della notte e un sorriso sereno le increspava le labbra. Sulle sue spalle si allargava un paio di frastagliate ali nere ricamate d’argento e suo collo brillava un diamante purissimo. Aguzzando lo sguardo Talìa si rese conto che quella che sembrava un semplice, seppur preziosa, pietra, in realtà era un talismano riccamente intarsiato e scolpito.
«La regina delle fate» mormorò Amdir, riscuotendola dallo stato di trance in cui era caduta.
«Dobbiamo salvare quel bambino!» esclamò allora la ragazza, infilandosi i morbidi stivali di pelle. Amdir la seguì, afferrando la camicia e indossandola mentre si precipitavano giù dalle scale.
 
Uscirono dalla taverna giusto in tempo per vedere la regina delle fate sparire tra gli alberi con la sua preda. Svelti i gemelli si lanciarono al suo inseguimento. In poco tempo, Talìa lasciò indietro il fratello e raggiunse la fata. Si scagliò contro di lei con la spada sguainata, ma la regina si voltò e, con uno schiocco delle dita, la mandò a sbattere contro un tronco, impadronendosi dell’arma.
«Sciocca ragazza – sibilò, con un sorriso crudele sulle labbra sottili – pensavi davvero di potermi uccidere così? Ora sarai tu a morire». Con queste parole si scagliò su Talìa, ma, prima che potesse trafiggerla, qualcosa la bloccò. Si voltò rabbiosa e scorse Amdir, che aveva appena lanciato un incanto di protezione per fare da scudo alla gemella. Talìa, ripresasi, approfittò della distrazione della fata per riappropriarsi della spada con un calcio ben assestato.
La fata ringhiò e, sotto lo sguardo attonito di Talìa ed Amdir, si trasformò. I denti divennero zanne, le unghie artigli, mentre gli occhi si tinsero di rosso sangue e le pupille si allungarono. La mostruosa creatura che la splendida regina era diventata colpì Amdir al petto, scavando dei solchi profondi nella carne, prima che lui potesse reagire in qualche modo. Il sangue colò a terra, macchiando il muschio mentre il ragazzo si accasciava contro il tronco di un albero.
In quel momento, il sibilo di una lama sfiorò il collo del mostro.
«Non hai una grande mira, ragazzina» ghignò.
«Non era a te che miravo» rispose Talìa, rialzandosi da terra. Tra le mani stringeva qualcosa di luminoso: il talismano.
Con un assordante ringhio di rabbia, il mostro si accucciò su se stesso, ritornando una donna bellissima.
«Di te non rimarrà che un ricordo» affermò Talìa, sollevando la spada.
«Io non sarò mai un ricordo – ribatté la regina, con un sorriso amaro – io sono e sarò sempre una leggenda». Poi la lama della ragazza calò su suo collo, spiccandole la testa dal busto. Il corpo si dissolse in mille rivoli d’acqua che penetrarono nella terra, svanendo in un attimo.
 
Immediatamente Talìa corse dal fratello e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, constatando che le ferite non erano profonde come sembravano. Allora lo distese sul morbido tappeto del sottobosco e prese per mano il bambino, che sembrava non essersi ancora reso conto di quello che era successo, accompagnandolo al villaggio. Lo riconsegnò alla madre disperata, alla quale chiese anche delle erbe mediche per curare il fratello. Poi tornò nel bosco e masticò le erbe, creando un impasto che applicò sulle ferite perché non si infettassero. Un potente spostamento d’aria le annunciò l’atterraggio di Laddhogr.
“Mi sono perso tutto il divertimento?”
“Temo proprio di sì” gli rispose la ragazza, caricando il gemello sul dorso del suo compagno. Si chinò a terra e raccolse il talismano, che brillava freddo e indifferente alla morte della sua proprietaria. Lo mise nella bisaccia e montò anche lei in groppa.
“Ricordami di non ascoltare mai più favole per bambini” emanò la ragazza. Il drago sogghignò e spiccò il volo con un balzo, sparendo tra le nuvole di tempesta che oscuravano il cielo.
«Oh no! – gemette Talìa – abbiamo dimenticato il cavallo. Amdir mi ucciderà!».

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