Complicated.

di oceansunrise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one - Her lips. ***
Capitolo 2: *** Chapter two - Under the white paint. ***
Capitolo 3: *** Chapter Three - Coca Cola. ***
Capitolo 4: *** Chapter Four - Lennon. ***
Capitolo 5: *** Chapter Four - Stolen Life. ***



Capitolo 1
*** Chapter one - Her lips. ***



(1)
Chapter One - Her lips.

 
 

Oh you're in my veins
And I cannot get you out
Oh you're all I taste
At night inside of my mouth.

{In My Veins - Andrew Belle}

 
 
 

La prima volta che la vidi fu in una squallida stazione fuori Londra. Me la ricordo come se fosse ieri.
Lei era li, dalla parte opposta alla mia, appoggiata al muro ricoperto di graffiti. Mi colpì subito, non so di preciso cosa ci fosse in lei ad attirarmi cosi tanto, so solo che l'unica cosa che pensai fu 'è bellissima.'
Era bellissima nonostante io odiassi le ragazze che fumavano, e lei stringeva una sigaretta sottile tra le labbra.
Era bellissima nonostante fosse cosi piccola, cosi minuta.
Era bellissima perchè aveva l'aria di una che è stata distrutta mille volte e si è sempre aggiustata da sola.
Era bellissima perchè fissava il vuoto, lo fissava come se fosse l'unica cosa a cui poteva aggrapparsi.

E quel giorno la salvai.

Me lo ricordo come se fosse ieri.
Il mio sguardo incollato alle sue labbra, al modo in cui le schiudeva lentamente per lasciare che il fumo scivolasse fuori.
Spense la sigaretta contro il muro dietro di lei e rimase ad aspettare. Non sapevo se aspettasse un treno, o l'amore, o la vita.
Mi ricordo quel coglione, il suo passo strascicato sulle Adidas consumate, i suoi pantaloni larghi, gli occhi arrossati.
Mi ricordo che quando vidi il suo sguardo innaturale posarsi su di lei non pensai, attraversai i pochi metri che ci dividevano giusto in tempo per sentire la sua voce.
Melliflua, dolce ma decisa, mi accarezzò come uno schiaffo. Il tono sprezzante, la sicurezza, che a sentirla parlare ti veniva voglia solo di zittirla per baciarla, e poi nel bacio sussurrare 'ancora, parla ancora.'

"E chi te lo dice che sono qui da sola?"

lui si fermò, boccheggiò per un attimo in cerca di parole, o in cerca di lucentezza. Non gli lasciai il tempo di ribattere, ne di fare niente.
Le cinsi la vita con un braccio e rabbrividii al contatto, ma lei non si sorprese. Dovevo immaginare che avesse la cosa sotto controllo.

"Infatti è qui con me."

Non so di preciso da dove tirai fuori tutto quel coraggio, dove era stato sepolto per tutti quegli anni e dove si sarebbe nascosto per i seguenti. So però che lo ringrazio di essere comparso quel giorno, di avermi permesso di iniziare a salvarla.

Il ragazzo la squadrò da capo a piedi prima di girare i tacchi e subito lei si scrollò da me come se avessi la lebbra. Puntò su di me lo stesso sguardo che aveva usato con lui, la stessa schermata, la stessa maschera. E con lo stesso tono

"E a te chi lo dice che sono da sola?"

Non le risposi subito. Forse non le risposi proprio. Rimasi a guardare le iridi di velluto nero, mi sentii sprofondare come sulle sabbie mobili, non pensai neanche a respirare.
Fino a quando lei non si voltò e sorrise divertita, si sistemò contro il muro e accese un'altra sigaretta.

"Sei venuto qui, hai creduto che mi servisse aiuto e ora che è arrivato il tuo treno - fece cenno con la testa ai binari dietro di me - non hai neanche una patetica scusa per rivedermi."

Poi passò la lingua sulle labbra. Non so se lo fece apposta, so che lo fece lentamente, di una lentezza disarmante, come a invitarmi ad assaporare quelle labbra dipinte di scuro come stava facendo lei.

Sorrisi e indietreggiai verso i binari, sfilandomi la giacca e lanciandogliela. L'afferrò e mi rivolse uno sguardo confuso, un luccichio nei suoi occhi scuri, un calore appiccicoso nel colletto della mia camicia.

"Cosi ho una scusa per rivederti."

le rivolsi un cenno e salii in fretta sul treno, volevo scegliere un posto vicino al finestrino per poterla guardare mentre andavo via. E la guardai infilarsi la mia giacca che poteva contenerne due, di lei, e poi raccogliere la sua tracolla da terra e andarsene.

E capii che non stava aspettando il suo treno.

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Capitolo 2
*** Chapter two - Under the white paint. ***



Chapter two - Under the white paint.

 
Since you've gone I been lost without a trace
I dream at night I can only see your face
I look around but it's you I can't replace
I feel so cold and I long for your embrace.
{Every Breath You Take - Police.}





Nove minuti e quarantadue.

Avevo contato secondo per secondo il tempo che avevo messo per arrivare a scuola quella mattina e avevo osservato che ogni giorno il tempo diminuiva, non era solo una mia impressione.
Non sapevo se fosse una cosa positiva perchè andando più veloce bruciavo più calorie o se fosse negativo perchè mi dava l'impressione di non aver fatto abbastanza e il pomeriggio mi costringevo a correre mezz'ora in più.
O a saltare il pranzo.
 
Decisi che avevo tempo per una sigaretta di consolazione prima che arrivasse Meg.
Di consolazione da cosa poi? Dalla vita, mi sa. O dall'essere me. Mi consolavo dall'essere me. Figo.

Riordinai tutti i pensieri, pensai al mare mi sa, e al sangue, quello me lo ricordo. Pensai all'asfalto sulla strada, e alle strisce bianche. Pensai un sacco alle dita che scorrono veloci sui tasti, alle mie, era un po' che non lo facevano. Pensai a papà poi, a mamma no. Poi pensai al ragazzo di ieri alla stazione, decisi che sarebbe stato un pensiero sotto gli altri, nascosto, come le strisce di asfalto coperte dalla vernice bianca. Decisi che sarebbe stato il mio segreto, il mio rifugio, le mie mani nella tasche di quella giacca calda troppo grande e sulle labbra la voglia di correre a cercarlo e baciarlo, baciarlo fino ad averne abbastanza.
Poi, mentre spegnevo la sigaretta consumata solo a metà, mi chiesi se ne avrei mai avuto abbastanza.

Quella mattina feci una cosa che non facevo da tempo, che non avevo mai fatto forse. Pensai a me, pensai a me come a una cosa che conoscevo, anche se sapevo perfettamente di non conoscermi. Mi stupii di aver faticato a mantenere l'autocontrollo il giorno prima, mi stupii come se io mi conoscessi, come se sapessi di avere autocontrollo.
Ma la verità è che io di me non sapevo niente, un bel niente. Non capivo perchè facevo quello che facevo, perchè ridevo, perchè parlavo in quel modo, usavo quel tono di voce. Facevo tutto in automatico, non riuscivo a controllare niente di me. A volte mi svegliavo e pensavo 'oggi lo faccio vedere sul serio come sono, sarò triste, tutto il tempo, se mi verrà da piangere piangerò, se mi verrà da piegarmi in due e vomitare giuro, giuro su Dio che lo faccio' e invece poi era tutto da capo, come se non riuscissi a controllarlo, a controllarmi.
E in quei momenti avevo paura di essermi trasformata in mia madre.
Poi scuotevo la testa, o piangevo un po', chiamavo Justin e facevo l'amore fino a mischiare anche le ossa. Poi mentre lui dormiva lo guardavo, gli facevo mille fotografie e gli chiedevo scusa, scusa con la mente, con i baci, scusa per non amarlo.
Poi correvo in cucina, preparavo del the, o del latte caldo, bevevo tutto d'un sorso per scottarmi lo stomaco e poi correre a vomitare. E mi sentivo più pulita, più vuota e soddisfatta, e appagata.

Quei pochi minuti prima che arrivasse Meg mi parvero ore, tanto avevo pensato. Ero persino riuscita a farmi venire il mal di testa.
Quando la vidi fare capolino dalla strada nascosi il pacchetto di Diana molto in fondo alla borsa e mi appoggiai al muro come se non la stessi aspettando.

"Ciao." Affermò mezza addormentata mentre buttava la cartella nera vicino ai suoi piedi e si appoggiò sul muro di fianco a me.
Mi voltai a guardarla, era bellissima come ogni mattina, anche con gli occhi chiusi dal sonno e i capelli mezzi scompigliati. Era qualcosa di incredibile come quella piccoletta riuscisse a trasmetterti vitalità anche alle sette e mezzo del mattino.
Ci eravamo conosciute quando eravamo entrambe in una fase assurda di cambiamento, in quella fase dove al mattino non sai se vestirti tutta di rosa o tutta di nero. Fortunatamente alla fine abbiamo optato per il nero entrambe, ognuna a modo suo.
Io ero già un po' più avanti di lei, lei mi scriveva messaggi nei quali mi chiedeva aiuto perchè aveva incontrato il ragazzo che le piaceva al supermercato, o in posta, io ridevo e mettevo via il telefono senza neanche risponderle. Spesso sbuffavo, mi chiedevano chi fosse e io rispondevo che era una rompicoglioni.
E invece ora eccola qua la mia rompicoglioni, che senza di lei qua, io non ci sarei.

La guardai sbadigliare, chiudere gli occhi che sembravano ancora più appesantiti da tutta quella matita nera, e poi arricciare il naso in una smorfia e sorrisi. Era tutto quello che avevo, con Justin, e con papà.

"Cos'è? Non me lo dai un abbraccio stamattina?" le sorrisi, avevo proprio voglia di abbracciarla, era troppo che non lo facevo sul serio. Non sono una che ama le smancerie, non so se si è capito. Mi guardò stralunata e poi si piegò ad abbracciarmi goffamente.
Mi ero completamente dimenticata di sapere di Diana Rosse fino al midollo. Mi avrebbe uccisa se avesse potuto.
Si staccò di scatto da me e mi punse con i suoi occhi ghiacciati. "Hai fumato di nuovo." sibilò con quasi le lacrime agli occhi dal nervoso.

Era successo tutto cosi in fretta per essere cosi presto. Un attimo prima avrei voluto sprofondare in quel profumo appiccicoso e pungente che si ostinava a mettersi, poi sarebbe arrivato Juss con il suo profumo di Marlboro e menta, avrei avuto il mio tema alla prima ora e la giornata sarebbe filata più liscia del solito.

Invece tutti i miei piani, dopo quell'abbraccio che avrebbe dovuto mettermi a posto la giornata, si sgretolarono velocemente. Meg fece una sfuriata nel cortile della scuola, disse che non mi avrebbe più parlato e mi sequestrò il pacchetto di sigarette fresco di quella mattina, Justin arrivò poco dopo, mi cinse la vita con un braccio e quando seppe che non avevo mai smesso con quel 'vizio di merda' si arrabbiò quasi quanto lei. La campanella suonò proprio nel bel mezzo del suo rimprovero e io sgattaiolai a fare il mio tema, sperando che almeno quello sarebbe andato come Dio comandava.





Angolo Autrice;

Salve popolo di efp! *vede le balle di fieno che rotolano*
Allora ehm, io sono Al. Scrivo da quando ero alta poco più di un metro, non che ora io sia molto alta, e spero che quello che scrivo riesca ad emozionare voi tanto quanto lo fa con me. Molte persone non capiscono quello che scrivo, do per scontato molte cose e nei capitoli metto sempre una grande, grande parte di me,soprattutto nei pensieri contorti della protagonista. Per qualsiasi chiarimento basta scrivermi.

Una volta avevo facebook ma poi una mia compagna molto stupida ha deciso di tirare fuori foto del mio periodo da bimbaminchia e, quindi, per salvare la reputazione ho dovuto cancellarlo. Potete farmi una domanda su ask oppure contattarmi su twitter, trovate entrambi i link nella bio in teoria.
Spero davvero che i capitoli vi piacciano.
Un bacio,
A xx

Ps: Quasi dimenticavo, io immagino i personaggi cosi, voi siete liberi di immaginarli come volete:


 
 
Lennon.



Megan.

 

Gli altri li metterò quando appariranno nella storia.




 

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Capitolo 3
*** Chapter Three - Coca Cola. ***



Chapter three - Coca cola.

That should be me, Holdin' your hand
That should be me, Makin' you laugh
That should be me, This is so sad
That should be me
That should be me

{That Should Be Me – Justin Bieber}




Justin.

“Ehi Jus.” Balbettò quando arrivai tenendo lo sguardo puntato lontano da Meg. “Ehi Jus? E’ tutto quello che sai dire?” sbottò lei, gesticolava come una pazza.

“Ehi Meg calmati, - la rimproverai stringendo Len a me – qualsiasi cosa abbia fatto L.” Lei alzò timidamente lo sguardo verso la migliore amica.

La amai in quel momento, più di quanto non facessi già. Qualsiasi cosa avesse fatto. La amavo più di tutto, più delle Marlboro, più della chitarra. Il suo lato, quello che esce fuori solo raramente, solo con certi sguardi, con gesti delle mani curate, con sospiri, baci, morsi, quel lato timido e insicuro di lei. Io lo amavo.

“Ha fumato di nuovo!” urlò Meg con gli occhi lucidi e le labbra tremolanti per il nervoso e io voltai lo sguardo verso di lei, la guardai dall'alto con uno sguardo di rimprovero.
Ci provai, almeno. Perchè più cercavo di arrabbiarmi con lei, con quegli occhi cosi dolci, cosi magnetici, e più ci annegavo dentro.

Non avrei mai dovuto innamorarmi di lei, avrei dovuto prenderla, farla mia, amarla solo la notte, cospargerla di morsi e di lividi, e poi rivestirmi e andarmene. E invece ero rimasto troppe volte a guardarla dormire, a sentirla sognare, ad accarezzarle la pelle bianca. E l'amore era venuto da solo, una notte, quando l'avevo sentita sussurrare il mio nome nel sonno e l'avevo stretta forte, le mie labbra sulla sua spalla.

“Di nuovo Len? Di nuovo?” sussurrai come se potesse sentirmi solo lei, soffiando a un palmo dal suo viso.

“Non posso giustificarmi dicendo che ero nervosa, vero?” scosse la testa come negando le sue parole da sola, seguita da me che slacciai il mio abbraccio protettivo dai suoi fianchi

“No, quando sei nervosa vieni da me, prendimi a pugni, comprati un anti stress. Ma ti prego smettila.” Boccheggiai le ultime parole silenziosamente guardandola dritto negli occhi.

Mi sentii mancare.

Non riuscivo a staccare lo sguardo, era una calamita, una calamita che avrei fatto meglio ad evitare. Mi teneva inchiodato al suolo, ancorato a lei. Fino al suono della campanella.

Sgattaiolò via silenziosamente e io scossi la testa con energia come per scrollarmi dalla mente l’immagine di quegli occhi neri fissi nei miei.




Megan.

Osservai la figura minuta di Len affrettare il passo mentre entrava in aula scuotendo la testa e blaterando da sola. Poi mi girai verso Justin che era rimasto a fissarla come un idiota e lo spinsi all’indietro facendolo barcollare.

“Sei un cretino, dovevi…” “Dovevo baciarla, lo so.” Portò la mano sinistra dietro la nuca tirando leggermente i capelli. Io roteai gli occhi al cielo.
Era cretino, ma forte.

“Lo dici ogni volta Justin, ma non lo fai mai.” poi portai i miei passi controvoglia dentro la classe di biologia e appoggiai non proprio delicatamente l’Eastpak nero a terra sedendomi vicino a lui.

Dai Meg, puoi farcela, devi solo ricominciare a fare la brava migliore amica per quattro ore. Solo quattro ore, non cinque come ieri, solo quattro ore con Justin appiccicato senza poterlo guardare negli occhi come vorresti, senza baciarlo, senza sfiorarlo, senza...basta. Solo quattro fottute ore.

"Il punto è che mi blocco." Tirò fuori dall'astuccio una penna nera e mise il tappo in bocca prendendo a mangiucchiarlo e io sospirai tirando fuori uno specchietto dalla tasca dello zaino. La questione è che la mia matita era perennemente sbavata, non serviva a nulla metterla a posto.
Forse dovrei cambiare colore, pensai mentre boccheggiavo a labbra strette

 "Il punto è che sei un idiota."

Mi voltai verso di lui mentre chiudevo l'astuccio e lo riponevo nello zaino. Aveva le labbra soffici e perfette incurvate verso il basso e lo sguardo ad accompagnarlo.

Sospirai silenziosamente, quanto era bello.

Strinsi l'indice e il medio contro la sua guancia sinistra e lui alzò lo sguardo sorridendomi appena. Odiavo vederlo cosi. "Scherzavo dai, non sei cosi tanto idiota." Sorrise.

Non potevo fare a meno di pensare a quella stupida giornata, quella giornata piena di coincidenze e intrecci. Quel giorno avevo imparato che in realtà tutte le giornate lo sono.
Ad esempio, io ora so che dovrò sopportare di avere ma non avere Justin solo per quattro ore, quindi non vedo l'ora che passino, ma allo stesso tempo so che poi lui accompagnerà Len a casa. E che poi lei farà un the, conoscendola. Parleranno del suo tema. Poi lui vorrà leggere il capitolo appena sfornato del suo libro. Lei accenderà il portatile e si metteranno insieme a leggere sul letto. Improvvisamente coglieranno il momento per saltarsi addosso e per Justin sarà uno degli altri momenti 'più belli di sempre' da venirmi a raccontare, e per Len un'altra scopata anti stress.

Ma le coincidenze forse non fanno sempre cosi schifo, solo che a me ancora quelle che non fanno schifo non sono capitate.
Mi ricordo il giorno in cui avevo deciso di ammettere che avevo una assurda cotta per Justin. Quella sera ero corsa a casa di Len, il primo passo era dirlo a lei, perchè se l'avessi detto a qualcuno sarebbe finalmente stato reale.
Era cosi esaltata quando era venuta ad aprirmi, non aveva neanche la solita tazza di the caldo in mano, non era in tuta ed era paonazza. Gli occhi le brillavano furiosi, bellissimi come i miei non erano mai stati. Vederla cosi esaltata mi aveva messo di buon umore, evidentemente avevamo tutte e due buone notizie. Se avessi saputo cosa aveva da dirmi non l'avrei mai fatta parlare per prima.




"Che è successo? Dai parla, muoviti." risi buttandomi sul suo letto morbido e lei fece un giro su se stessa, felice.

Farfugliò un po' di volte e poi si mise, seria, in piedi davanti a me, ma aveva lo sguardo di una che sta per scoppiare a ridere da un momento all'altro.

"Okay allora lo dico eh. - prese un respiro profondo- Okay. La qui presente Lennon Grace non è più vergine!" Poi scoppiò a ridere di contentezza e io le lanciai un pop corn.

"Oh, falla finita Len" risi, ma lei mi giurò e spergiurò che era vero. Mi tirai su a sedere, esaltata quanto lei

"Uh, e a chi è che l'hai data eh?" ridemmo tutte e due prima che lei mi guardasse seria, sussurrasse 'Justin' e il mio mondo mi cadde addosso pezzo per pezzo, uccidendomi.





"Buongiorno ragazzi." alzai lo sguardo di scatto verso la cattedra, tornando nell'appiccicoso, schiacciante presente, non riconoscendo la voce gracchiante del professor Ellis.
Il mio sguardo ne incontrò uno profondo e dolce come la liquirizia. I miei occhi tracciarono lentamente i lineamenti dolci e perfetti quasi quanto quelli di Justin e la pelle ambrata del collo che s'infilava nel colletto di una camicia candida e mi sentii mancare.

"Sono il nuovo insegnante di biologia, il professor Malik ma potete chiamarmi Zayn." la voce melliflua e sciolta che ti accarezzava lentamente la pelle come una ventata d'aria tiepida. Il suo occhio sinistro si chiuse in un occhiolino rivolto alla classe mentre pronunciava il suo nome e lo zaino pesante atterrò con un tonfo sulla cattedra.
 Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso mentre gli studenti riprendevano il brusio che si era fatto insistentemente più forte e lui appuntava qualcosa sul registro. Persino la voce di Justin mi parve lontana quando blaterò qualcosa riguardo a stamattina.

Era strana, quella morsa allo stomaco, quella che ti prende quando sei all'inizio, quando pensi ancora che l'amore sia bellissimo e sorridi, e ti esalti per tutto. Prima che quella meravigliosa, fastidiosissima morsa lasci il posto al vuoto, al dolore e la rassegnazione. E non era assolutamente possibile. Doveva essere la vicinanza di Justin, si, assolutamente.

"Eh?" mi voltai verso di lui con aria stralunata mentre i suoi occhi mi scrutavano con sguardo indagatore e sopracciglio inarcato. "Si può sapere che ti prende? E' da quando è entrato quel tipo che non mi ascolti."

Scossi i capelli biondi e mi riallacciai la fascia nera sul capo stringendola di più alla base per poi sussurrare una risposta infastidita.

Toglitelo dalla testa Meg, e fallo ora cazzo, fallo ora.



Lennon.


Letteratura inglese.

Sperai che almeno il tema sarebbe andato bene. Appoggiai distrattamente il mento sul palmo della mano mentre voltavo il mio sguardo fuori dalla finestra cercando di catturare ogni goccia che scendeva inesorabile.

Pioveva di nuovo. Pioveva e io avevo davanti a me un bellissimo tema da finire, non potevo chiedere di meglio eppure qualcosa teneva i miei pensieri tesi come una corda di violino. E sapevo benissimo cosa.

Morsi il tappo della penna nera che stringevo in mano e scarabocchiai una frase sul foglio di brutta per poi tirarci su una riga, poi un'altra fino a quando la frase non diventò un rettangolo sottile e nero che marcava il foglio.

Justin. Cosa stavo facendo con lui? Cosa stavo facendo con me? Con tutto.

Lasciai scivolare la penna contro l'astuccio verde e giocai distrattamente con l'elastico che tenevo al polso prima di raccogliere i capelli in uno chignon disordinato e soffiare via dal viso un paio di ciuffi che mi erano sfuggiti.

Presi di nuovo la penna e guardai la mia mano tracciare lettere, parole e frasi da sola come se non la stessi muovendo io. Guardai la penna rilasciare l'inchiostro nero e profumato sul foglio bianco, le lettere come impronte sulla neve.

Amavo farlo, amavo scrivere, amavo il profumo dell'inchiostro e amavo quella metafora. Il fatto che le mie lettere fossero marcate come impronte sulla neve, sulla mia neve. Non c'era qualcosa di più perfetto della neve, o di un foglio da riempire. E non c'era qualcosa di meglio che scrivere, puntellare quell'immenso universo bianco di tante piccole stelle nere, o blu, di costellazioni fatte di parole, pensieri, immagini, amore. Ed era un universo che decidevo unicamente io. Ed era il mio mondo.

E scrissi furiosamente


Odio chi mi parla di amore come un fenomeno, come una cosa che si può riconoscere e catalogare.

L'amore non si può catalogare, ogni amore è diverso da un altro. Amore è
- Guardai la mia mano fermarsi proprio in quel punto. Che cos'è l'amore? Chi può dirlo? Amore è per tutti una cosa diversa, per alcuni amore è gelosia e possessività, per altri e fiducia, per altri ancora è piccoli gesti quotidiani.

Ma per me cos'era l'amore?

Justin, pensai per poi scuotere la testa. Avevo pensato di amare Justin, ma mi ero resa conto che amore è un'altra cosa.

Credo.

Magari sono difettosa, magari per me amore è Justin. E' quello che provo per Justin.

Ma io cosa provo per Justin? Bene, un bene infinito e tanta, tanta attrazione ma non penso che si possa definire amore.

Allora cosa si può definire amore? Quella scossa elettrica che ho provato quando le braccia di quel ragazzo si sono strette intorno ai miei fianchi si può chiamare amore?

Sarebbe più credibile Justin a questo punto.

Ma che cos'ho sentito io quando Justin mi ha abbracciata stamattina? Profumo, profumo di Justin e poi cosa? Ho trattenuto il fiato, ho tremato.

Ho sentito quello che ho sentito con l'altro, solo in versione ovattata. Il tempo ovatta l'amore? Dopo quanto tempo si può dire che è amore? C'è davvero un tempo per l'amore?

Troppe domande.

Cancellai anche quella frase con una riga e decisi di cambiare traccia. L'amore mi confondeva.

Justin mi confondeva. E avrei dovuto baciarlo stamattina, dannazione.


Justin.

L'amore ti logora, ti mangia dentro come un tarlo, come un cancro. Ti stordisce, ti uccide lentamente come una tortura masochista e malata perché non vuoi farla smettere.

Non voglio smettere.

E' come la droga, ti uccide, ti consuma, ti brucia l'anima e il cervello ma non puoi smettere di prenderla.

Lennon era la mia droga.

Scossi la testa mentre lasciavo scivolare a casaccio i libri e l'astuccio nello zaino ed uscii dalla classe senza salutare nessuno, i miei passi si muovevano impazienti verso l'uscita nell'attesa di vedere lei.

I miei occhi scrutarono velocemente il volto dei ragazzi ammassati difronte alla porta, le labbra che si schiudevano in parole o in risa, gli occhi lucenti e accesi. La vidi farsi spazio in un gruppo di primini mentre camminava nella mia direzione, le labbra corrucciate in un'espressione infastidita e lo sguardo schivo.

I capelli neri legati in uno chignon disordinato e alcuni ciuffi corvini a incorniciarle in viso dalla pelle pallida come la luna, avrei voluto urlarle che la amavo.

"Com'è andato il tema, pulce?" dissi invece sorridendole mentre lei si spostava nervosamente un ciuffo di capelli che le era finito davanti agli occhi e sbuffava. "Male, molto male credo." soffiò prendendo a camminare.

"A te che va male un tema? Che ti è successo?" la raggiunsi, i suoi passi piccoli ma frettolosi erano sfuggenti. Sollevai le sopracciglia in un'espressione sorpresa mentre lei sbuffava per la seconda volta da quando eravamo usciti.

"Niente, sono un po' stanca." sussurrò scuotendo la testa e appoggiando una mano sulla fronte. Era bellissima: le guance leggermente arrossate per colpa del freddo pungente che ci aveva investiti sulla porta, le sopracciglia aggrottate in un'espressione concentrata e le labbra screpolate appena schiuse.

"Lascia, faccio io." strinsi la piccola mano nella mia e la spostai con delicatezza dal suo viso avvicinandomi e trattenendo il respiro. Increspai le labbra in un bacio leggero che stampai sulla sua fronte pallida e fresca e inspirai il suo profumo alla pesca e vaniglia, chiudendo gli occhi.

"Sei fresca." sorrisi allontanandomi e fu come se mi avessero tolto l'ossigeno di cui respiravo, come se mi avessero tolto un pezzo di cuore, di stomaco. Mi sentii vuoto appena le sue labbra si incurvarono stancamente verso l'alto. "Vado a casa da sola oggi."

Mi stampò un bacio sulla guancia mentre urlavo dentro: Non allontanarti. Non te ne andare, cazzo.

La guardai sistemarsi lo zaino sulle spalle e muovere i suoi passi verso l'appartamento in cui viveva, rimasi ad osservare le sue spalle alzarsi e abbassarsi ritmicamente mentre camminava fino a quando non sparì dalla mia visuale e allora iniziai a camminare anche io dalla parte opposta.

Colpii con il piede una lattina di Coca Cola mentre camminavo e scorsi con lo sguardo una di quelle stupide scritte del 'Condividi con...' facendo una smorfia.

Condividi con Amore.

Vaffanculo.




Ehi popolo!

Se siete arrivati fin qui siete dei santi. A me questo capitolo fa schifo, ma davvero, davvero tanto. Non avevo ispirazione, non è un periodo esattamente allegro e dovevo mettere in chiaro delle cose (come la cotta di Megan per Justin). Credo che ci siano un sacco di ripetizioni ed errori, non l'ho neanche controllato prima di pubblicarlo e mi dispiace tantissimo di avervi fatto aspettare giorni per questa schifezza.
Per farmi perdonare l'ho fatto più lungo e ho messo tre Pov. *sente l'eco della sua voce*

Vi prometto che il quarto sarà scritto meglio, cercherò di far uscire qualcosa di decente dalla mia testolina e dovrebbe spuntare qualche personaggio nuovo come il padre di Lennon.
Intanto vi metto una gif di Justin che, lo avrete capito dal banner, io immagino come Bieber.


 


 
Mi scuso ancora mille volte.
Volevo parlarvi di una fanfiction nuova che sto scrivendo con la mia migliore amica ma dopo questo capitolo credo che vi verrebbe voglia di inseguirmi con dei forconi, rido.
Segnalatemi gli errori se potete,

A.xxxxxxx



 

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Capitolo 4
*** Chapter Four - Lennon. ***



Chapter One – Lennon.


You're so fine
 I want you mine
You're so delicious
I think about ya all the time.
{Girlfriend – Avril Lavigne}



Race. Non avevo proprio mentito.
Alla fine Rachel era il mio secondo nome, non era una bugia. Non facevo che pensarci da due giorni, due fottuti giorni.
Probabilmente quel coglione mezzo fatto non mi avrebbe lasciata in pace cosi in fretta se non ci fosse stato lui, ma non era questo.
E ora scivolavo con facilità in mezzo ai corpi sudati e ubriachi del locale dove mi trovavo, sapevo che mi aveva vista e non c’era cosa più eccitante di una caccia.
L’avevo visto entrare, lo sguardo pensieroso e l’avevo fissato seduta sul bancone. Le mie dita affusolate avevano stretto il vetro trasparente facendo tintinnare il ghiaccio all’interno.
Era cosi sexy.
Sapevo che aveva riconosciuto la giacca, mentre mi spostavo fugace da quel punto cosi esposto e camminavo veloce verso il punto più buio del locale facendomi spazio fra le persone.
Non mi ero fatta vedere alla stazione per due giorni consecutivi, non sono una che cerca.
Sentii due mani sui fianchi, era ovvio che mi avrebbe raggiunta, e ondeggiai a ritmo di musica contro di lui. L’avevo sentita solo una volta e già riconoscevo la stretta e il profumo mordente anche in mezzo all’odore acre dell’alcool.
Le labbra rosee sfiorarono il mio collo scoperto e si appoggiarono in un punto sensibile appena sotto l’orecchio, mi costrinsi a non rabbrividire quando un mugolio roco mi sfiorò la pelle.

“Ti ho trovata alla fine.”

Mi voltai lentamente nella stretta inchiodando i suoi occhi.

“Ce ne hai messo di tempo.”



Harry.

Mi aveva torturato i pensieri per due giorni, due interi giorni. Non si era presentata alla stazione, non si era fatta trovare.
E ora la mia stretta la teneva saldamente premuta contro di me, il forte profumo alla vaniglia mi inebriava i sensi. La volevo, la volevo in ogni modo umanamente possibile.
E a giudicare dal modo in cui mi spingeva verso una porta per lei era lo stesso. Appoggiò la schiena contro il legno dipinto di nero e avvolse le gambe intorno al mio bacino, permettendomi di stringerla ancora di più, mentre cercava a tentoni la maniglia, continuando a guardarmi.
I nostri sguardi non si persero nemmeno un secondo mentre la porta si apriva dietro di lei e la luce bianca del bagno ci investì. Camminai a tentoni tenendola ancora premuta contro di me e la appoggiai sul ripiano bianco coperto di piastrelle fredde che al contatto con le sue cosce nude la fecero mugolare.
Il mio sguardo si spostò freneticamente dai suoi occhi profondi alle sue labbra piene e dipinte di rosso fino a quando non le premette con uno scatto sulle mie passando una mano tra i ricci e facendomi gemere nella sua bocca.
Schiusi le labbra nello stesso istante in cui lo fece lei e le nostre lingue si incontrarono in una danza frenetica mentre le mie mani scorrevano lente e prepotenti sul suo corpo.
Accarezzarono il ventre e le mie dita slacciarono dal basso i bottoni della giacca che portava, la mia, sfiorando il seno mentre salivano. Feci scivolare il tessuto dalle sue spalle mentre continuavo a baciarla e le sue mani stringevano affannosamente i ricci tirandoli sulla base.
Quando il fruscio della giacca che era scivolata a terra risuonò nella stanza si stacco da me leccandosi le labbra e scese tranquillamente dal ripiano lasciandomi in quel bagno da solo come un idiota e con un rigonfiamento non soddisfatto nei pantaloni.
“Vaffanculo.” Sussurrai mentre raccoglievo la giacca da terra e uscivo anche io sperando di scorgere i suoi movimenti frettolosi, ma una volta uscito dal bagno la sua figura minuta mi parve quasi impossibile da trovare in mezzo ai corpi sudati e stretti l’uno all’altro.
Bestemmiai un paio di volte mentre mi facevo strada in mezzo al mucchio di persone che si strusciavano tra loro e quando varcai l’ingresso mi guardai intorno, ansimante, sperando di vederla camminare lungo la strada stretta nel copri spalle scuro che portava. In effetti li fuori senza i corpi accaldati faceva piuttosto freddo, infilai la giacca e salii in macchina mettendo le mani in tasca.
Le mie dita sfiorarono un pezzo di carta. Lo presi strizzando gli occhi nella luce fioca dell’auto, distinsi il colore verde di uno di quei foglietti appiccicosi dei post-it e sorrisi.
Non so perché lo feci, lo feci e basta. Sapete quei sorrisi che non riesci a trattenere? Quelli che si fanno spazio con prepotenza tra le labbra senza darti il tempo di pensare o fare nulla?
Spiegai il foglietto che era piegato semplicemente in due e distinsi delle cifre che capii appartenere a un numero di telefono.
La firma in un angolo del foglio mi sorprese, sei attente e curate lettere nere attorcigliate tra loro.
Lennon.
Lo sapevo, lo sapevo che Race non poteva essere il suo nome. Era troppo delicato per appartenere a lei, troppo semplice e troppo comune.
Invece Lennon, lo sussurrai silenziosamente chiudendo gli occhi e appoggiando la testa contro il sedile e giurai di sentire il suo profumo alla vaniglia galleggiare nell’aria. Lo sentivo, lo toccavo, lo sfioravo. Mi scorreva lento sotto la pelle, dentro le vene.

Lennon, Lennon era perfetto.




Spazio autrice;

Sono una perfetta idiota, okay, come si fa a scambiare due capitoli me lo so solo io. Il bello è che rileggevo la storia e facevo 'no, ma questo qua in mezzo non c'ha senso, suo padre non può mica dormire tre giorni.'
Bho, sono stupida okay.

Comunque, mi farebbe sempre piacere ricevere qualche recensione anche se apprezzo tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e anche quelli che leggono silenziosamente. Non sarà un capolavoro di storia ma ci metto impegno.

Un bacio, vi lascio con una foto di Harry e una di Lennon (Demi) e scusate ancora per l'inconveniente con i capitoli.
A xx








 

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Capitolo 5
*** Chapter Four - Stolen Life. ***



Chapter three – Stolen Life.
 
The story of my life, I give her hope.
I spend her love until she’s broken inside,
The story of my life.

{Story of my life – One Direction}

‘Don’t forget where you belong’ diceva una canzone che oggi pomeriggio era passata sulla radio. E anche se di sicuro l’avrei cercata non le davo ragione, evidentemente l’autore aveva una bella famiglia, una vita più che perfetta e sperava di non dimenticarla mai.

Beato lui.

Sospirai e il fumo dell’ennesima sigaretta che stavo aspirando si diffuse nella stanza, fece qualche capriola di fronte all’unica piccola luce che tenevo accesa e poi andò ad incollarsi alle mura.

Ero seduta al tavolo della cucina, la sedia un po’ inclinata e quasi completamente al buio. Mi sembrava di essere una di quelle mogli disperate che aspettano i mariti la sera tardi per litigare e piangere un po’, solo per attirare la loro attenzione. Cosi affamate di amore, quell’amore che una volta avevano e che col tempo e con la vita gli è scivolato di dosso.

Mi ricordai di mia madre, lei era cosi affamata di amore. Era accecata tanto era forte e pesante la sua fame, cosi opprimente che l’aveva tenuta ancorata a questa casa e a mio padre per anni. O forse era solo bisogno di soldi.

Spensi la sigaretta consumata dall’aria, che quasi non avevo nemmeno fumato e nascosi la testa sotto le braccia. La guancia premuta sul legno freddo e ruvido del tavolo, gli occhi serrati e le ciglia umide di pianto.

Perché non potevo avere una bella famiglia unita anche io? Come quella di Justin. Lo invidiavo tanto.

Strinsi i denti fino a farmi male quando un lieve bussare alla porta interruppe la mia solitudine notturna. Non seppi se ringraziare per questo o imprecare.

Sapevo chi era, era inutile starci a pensare troppo. Mi alzai svogliatamente stringendomi nella gigantesca felpa che Justin aveva lasciato a casa mia qualche giorno prima e aprii la porta lasciando passare i due uomini in divisa e mio padre.

“Ciao principessa.” L’uomo dall’aspetto più anziano mi sorrise cordiale facendomi un cenno con la testa che ricambiai chiudendo la porta.

“Ciao Jonah.” Gli indicai il divano dove appoggiarono con poca delicatezza il corpo privo di sensi di mio padre. “Dove l’avete trovato stavolta?”

“Era vicino al confine, Landly Street.” Annuii pensierosa mentre maneggiavo con qualche tazzina. “Fantastico. Volete un caffè?”

Jonah annuì sconsolato mentre il suo collega dall’aspetto più giovane mi fece cenno di no. “Stai diventando proprio bella Len, anche se dovresti dormire un po’ di più.” Fissò il pacchetto di Lucky Strike quasi vuoto che avevo lasciato sul tavolo e io mi affrettai a metterlo nella tasca della felpa che indossavo.

“Grazie. Quanto zucchero?” cercavo di far cadere la conversazione che stava per prendere una brutta piega, con scarsi risultati.

“Lascia, lo prendo amaro. Perché continui a prenderti cura di quel …quell’uomo, Lennon?” Lanciò un’occhiata sprezzante a mio padre che si era girato su un fianco, e solo allora lo osservai meglio anche io.

Aveva la camicia a quadri macchiata di mille alcolici, i pantaloni abbottonati male e i capelli scompigliati e unti. Sentivo i suoi vestiti appiccicarsi sulla pelle anche se non li stavo indossando io, l’odore acre di vicoli stretti e alcolici pesanti. Sentivo sullo stomaco il peso di debiti e soldi buttati via, le mani sporche di gioco e corpi sconosciuti.

Mio padre non era più quello che si può dire un uomo, ma era mio padre e non potevo certo lasciarlo distruggersi cosi.

Sospirai e poi mandai giù tutto il caffè bollente d’un sorso. “Non posso abbandonarlo Jonah, è mio padre. Non capisci…”

“Io capisco Len ma alla fine, parliamoci chiaro, lo stai lasciando andare comunque alla deriva. Non vuole farsi portare in un centro per disintossicarsi, non vuole farsi aiutare e di sicuro non vuole te visto che cerca continuamente di scappare. Tu gli dai solo soldi e un divano, e lui da te vuole solo quelli.” Sospirò assottigliandosi con le dita i baffi e poi mi guardò dritto negli occhi. “Sei una ragazza intelligente, credo che tu capisca. E io non posso lasciarti cosi, sarebbe ora che chiamassi davvero gli assistenti sociali. Non posso più stare zitto, ti sta rovinando un futuro.”

Abbassai lo sguardo, quando prendeva questo argomento era inutile protestare. Si sarebbe messo a dire che sono una ragazzina che non sa gestirsi e che era evidente che ne avevo bisogno. Quindi più mi dimostravo matura e meglio era.

“Io lo so ma aspetta solo che…” “Che ne dici di farmi vedere un po’ il libretto di scuola?” inclinò la testa da un lato e tese la mano come a incoraggiarmi.

Aprii la bocca per protestare ma lui mi precedette. “Sei ancora minorenne Lennon, e ringrazia il cielo che non ho ancora chiamato nessuno. Su.”

Sospirai e corsi a prendere il libretto. I miei voti erano scesi vertiginosamente e i miei professori non facevano che chiedere colloqui su colloqui a mio padre.

Forse avevo una sola materia sopra, non ne ero sicura, ma Jonah era diventato quasi un padre per me e sapevo che voleva aiutarmi.

“Però non arrabbiarti eh.” Borbottai mentre facevo capolino dalla mia stanza.










Continuavo a rigirarmi nel letto, madida di sudore, non avevo preparato la cartella per domani, cioè oggi, e neanche fatto i compiti, il libretto era sulla scrivania e di sicuro domani l’avrei dimenticato insieme al resto.
Avevo chiuso la porta a chiave e aperto la finestra ma gelavo quindi avevo tirato la coperta fino a sopra la testa e non riuscivo a respirare. Feci uscire una mano da sotto il mio bunker troppo caldo e afferrai il cellulare sul comodino.
Le quattro e trentotto. Non avrei comunque dormito molto, quindi decisi di alzarmi. Mi scoprii e il freddo della notte mi investii facendomi rabbrividire, la luce pallida della luna illuminava la piccola stanza dove dormivo, i mobili chiari e le mille immagini appese alle pareti. Avevo tolto tutte le foto con mamma e papà e ora il muro sopra la testata del letto era ricoperto di citazioni e frasi di canzoni che amavo.

Il sorriso bianco di Marilyn che avevo appeso sopra la scrivania sembrava risaltare ancora di più in quella penombra, sospirai stringendomi nella felpa quattro volte più grande di me e sgattaiolai in salotto. Mio padre non si era ancora svegliato- e come avrebbe potuto? -ma era lentamente rotolato verso sinistra e ora se ne stava steso sul tappeto, rabbrividendo di freddo.

Lo coprii con un plaid e poi mi feci un the. Le cose cambiano, pensai.

Quella mattina troppo presto mi feci una doccia gelida, infilai la tuta e raccolsi i capelli ancora umidi in una coda alta per poi spendere la prossima ora a correre intorno all’isolato. Almeno fai qualco
sa di utile se non dormi, pensai.




Buonday *saluta con la manina*.

Volevo mmh chiedere se la storia vi sta piacendo, non ho ricevuto nessuna recensione al capitolo precedente e neanche un gran numero di visualizzazioni. Ora, non pretendo chissà che, la storia è all'inizio e io sono nuova a scrivere su EFP ma mi piacerebbe avere la vostra opinione, positiva o negativa che sia.
Vabbè, spero sempre che il capitolo vi sia piaciuto e se riuscite fatemi sapere per quella storia con la mia migliore amica che, tra parentesi, mi ha aiutato a fare un trailer jfddsjh.
Un bacio,
A x.

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