Amore Proibito

di Non ti scordar di me
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Damon Salvatore is coming back ***
Capitolo 2: *** Welcome, Damon! ***
Capitolo 3: *** Can I be a good brother? ***
Capitolo 4: *** Race Illegal! ***
Capitolo 5: *** You are that small ray of sunshine ***
Capitolo 6: *** We are the mistake of one night ***
Capitolo 7: *** I'm a mistake. ***
Capitolo 8: *** Do you prefer die slowly or kiss me with passion? ***
Capitolo 9: *** He is my drug. ***
Capitolo 10: *** You're the best mistake of my life. ***
Capitolo 11: *** You save me ***
Capitolo 12: *** Oh my God, isn't possible! ***
Capitolo 13: *** For Katherine. ***
Capitolo 14: *** Never, Elena. ***
Capitolo 15: *** Return in London. ***
Capitolo 16: *** It's only appearance. ***
Capitolo 17: *** Our love is the love that will consume us. ***
Capitolo 18: *** Dream of Elena. ***
Capitolo 19: *** Don't wreck me. ***
Capitolo 20: *** Congratulations Damon! ***
Capitolo 21: *** Without you. ***
Capitolo 22: *** Goodbye, Damon! ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***
Capitolo 24: *** SEQUEL. ***



Capitolo 1
*** Damon Salvatore is coming back ***


Capitolo uno.
Damon Salvatore is coming back
 
Presi i libri dall’armadietto e lo chiusi con forza. Oggi non era giornata.

«Buongiorno, splendore!» Mi salutò Matt, seguito dalla squadra di football. Lo ignorai, come al solito e iniziai ad armeggiare con il lucchetto dell’armadietto.

«Elena, vieni in caffetteria?»

Nervosa come non mai, riuscii finalmente a chiudere il lucchetto. Non mi girai neanche.

«Matt, smettila di fare l’idiota di prima mattina!» Tuonai. Oggi era una di quella giornate no, mi ero svegliata con la luna storta e nessuno mi poteva aiutare per migliorare il mio umore.

«Calmati, tigre!» Mi prese giocosamente in giro. Mi girai e incontrai gli occhi della sua migliore amica.
Nervosa com’ero non avevo distinto la voce di Caroline da quella di uno dei miei corteggiatori incalliti.

«Care, non è veramente giornata.» M’incamminai fuori dal Dalcrest. Il Dalcrest era un college magnifico, distante pochi chilometri da Mystic Falls.

Caroline si mise davanti a me, bloccandomi il passaggio. La guardai di sottecchi. Era la mia migliore amica e non avevo voglia di litigare con lei di prima mattina.

«Sotto questo malumore, si nasconde qualcosa.» Usò quel tono mieloso che mi dava alla testa. Le rivolsi un’occhiata scocciata.

«Dai, andiamo in caffetteria…Mi racconterai tutto lì.» Provò a convincermi. Alzai gli occhi al cielo rassegnata. La caffetteria era dall’altra parte del college, anche se il Dalcrest era un college abbastanza piccolo ed era piuttosto semplice spostarsi da un campus all’altro.

«Ho un test di trigonometria e sai bene che non è il mio forte. Dovrei andare in biblioteca.» Le ricordai con la speranza che mi lasciasse in pace.

Caroline era una ragazza dai capelli biondi che le ricadevano sulle spalle ordinati, due occhi celesti e un enorme sorriso. Era la mia migliore amica, con lei potevo fare e dire tutto.

«Tu vai a cercare il tuo libro in biblioteca, io vado in caffetteria e ordino due caffè forti. – disse sorridendomi – Uno è il tuo.» Mi avvertì.

Non era un’idea malvagia, anzi era un’idea piuttosto intelligente. Caroline che aveva delle idea intelligenti e non rischiose? Strano.
La salutai con un cenno del capo e mi avviai verso la biblioteca. Quel test sarebbe stato la mia rovina. Forse avrei dovuto chiedere aiuto a Bonnie, lei sì che era un genio in quella materia.

«Scusi…» Mi avvicinai alla bibliotecaria. Era una donna sorridente e pacifica. Non alzava mai il tono di voce – non perché era in biblioteca eh – ed era gentile con tutti.

«Dovrei aver lasciato il mio libro di trigonometria qui in giro, ne avete visto uno?» Chiesi, cercando di essere più gentile che potevo anche se mi riusciva difficile mantenere la calma quella mattina.

«Dovresti vedere lì in quell’angolino.» Mi consigliò. Indicò una libreria in penombra, sopra l’enorme libreria spiccava la scritta ‘Libri perduti’.
Le sorrisi e mi avviai verso quella libreria. La biblioteca del Dalcrest era enorme e più volte mi ero rifugiata lì, quando non avevo altro da fare.

«Il mio libro aveva una copertina blu…» Dissi, cercando tra gli scaffali. Fin’ora non avevo trovato niente, un libro di chimica, di fisica e persino uno sull’autostima! Insomma, di tutto…Ma il mio libro di trigonometria era sparito!
Sbattei i piedi a terra e continuai a cercare.

Un tonfo attirò la mia attenzione. Mi girai e vidi che dalla libreria alle mie spalle era caduto un libro. Mi accigliai e mi chinai per vederlo.
Era il mio libro. Aveva la copertina rigida in blu e spiccava l’enorme scritta in rosso ‘Come imparare la trigonometria in 100 step’.

Lo presi in mano e mi avvicinai allo scaffale da cui era – accidentalmente – caduto il libro.
«Hai trovato quello che cercavi?» Una voce mi sorprese. Dietro di me non c’era nessuno e davanti a me c’era una libreria. Chi mi stava parlando? Stavo immaginando tutto?

«Certo.» Risposi guardandomi intorno. Chi era questo ragazzo che mi stava provocando? Di sicuro era un ragazzo, era una voce maschile.
Era una voce profonda, forse fin troppo. C’era un idiota che mi stava prendendo in giro. Quella voce era troppo profonda e troppo malfatta.

«Perché non la smetti di nasconderti dietro una libreria?» Chiesi ironica, girando su me stessa.
«Sono dietro la libreria da cui è caduto il libro.» Era una voce malfatta. C’era solo un’ipotesi: un coglione stava modificando la sua voce.

«Non hai il coraggio di mostrare la faccia?» Scoppiai in una piccola risatina e sentii ridere anche lui dall’altra parte. Mi sedetti ai piedi della libreria, dandogli – tecnicamente – le spalle.

«Mi piace il mistero e mi piacciono le belle ragazze. Cosa pensi?» Se dovessi dirgli cosa pensavo in quell’istanti, sarei risultata maleducata. Mi morsi la lingua e mi trattenni dal mandarlo a quel paese.

«Penso che se ti vedessi in quest’istante ti prenderei a calci per i tuoi stupidi giochetti.» Dissi accennando un sorrisetto. Mi rilassai e poggiai la testa sullo scaffale.

«Calma, tigre.» Alzai un sopraciglio a quello stupido sopranome.
«Chiamami un’altra volte tigre e non avrai neanche tempo di dire una sillaba, perché io sarò già lì a prenderti a calci in culo.» Gli dissi schietta. Non sentii nient’altro per pochi secondi.

«Bel temperamento, mi piaci.» Mi prese in giro. Scossi la testa divertita e sorrisi leggermente aggiustandomi i capelli castani.

«Come m’immagini?» Continuò. Aprii la bocca e la richiusi non sapendo cosa dire. Come me l’immaginavo? Chiusi gli occhi e immaginai una specie di ragazzo che si divertiva a fare l’idiota in biblioteca con una ragazza.

«T’immagino basso, grasso, con l’acne e l’apparecchio. Il tipico topo da biblioteca. Ci ho azzeccato?» Di solito non ero così acida.

Una risata sinceramente divertita interruppe l’atmosfera.

«Oh, no mi spiace. Sei sempre così insopportabile?» Arricciai il naso e sussurrai un udibile ‘no’.
«Io t’immagino alta, snella, con dei bei fianchi, dei lunghi capelli mori con riga a lato, un viso a cuoricino e due occhi color cioccolato.» Alzai la testa dallo scaffale. Come faceva a sapere com’ero fatta? Mi spiava per caso? Mi alzai da terra e per un momento pensai di raggirare la libreria e di vedere chi fosse quel ragazzo che – apparentemente – sapeva com’ero fatta.

«Come hai fatto?» Chiesi accigliata. Questo giochetto incominciava seriamente a stancarmi. Guardai il mio orologio, potevo rimanere ancora qualche minuto e in fondo era divertente prendere in giro quel ragazzo.

«Ti ho vista.» Rispose divertito. Quindi lui mi aveva visto, ma io non potevo vedere lui.
«Non so chi tu sia.» Gli feci notare, estraendo il mio cellulare. Forse lo conoscevo. Anche se a pensarci bene, non conoscevo nessuno con così poco sale in zucca da provocarmi in una delle mie giornate no.

Ripensavo a quella telefonata e ancora mi maledicevo per aver risposto a mio padre. Perché avevo risposto? E soprattutto, perché non avevo spento il cellulare come facevo ogni sera?
- Tuo fratello ritorna a casa per conseguire gli studi. – Quelle poche parole erano bastate per mettermi di cattivo umore.
- Fammi sapere quando si sprecherà a essere un buon fratello. – gli avevo risposto con un diavolo per capello. Era da tempo che non vedevo mio fratello maggiore, da quando avevo due anni e i miei genitori si erano separati. Per il brutto rapporto che aveva con papà, il giudice aveva preferito affidarlo a nostra madre.
Perché dopo vent’anni d’assenza, era ritornato?

«Ti sei incantata a immaginarmi? So bene di essere irresistibile ma fino a questo punto…» Il ragazzo peccava di modestia. Mi ridestai da quella mattina e scossi la testa ridacchiando.

«Te l’hanno mai detto che sei di una modestia incredibile?» Scherzai. Da come parlava doveva essere un bel tipetto.
M’immaginai un ragazzo alto e muscoloso, magari con qualche tatuaggio sparso qua e là, sguardo magnetico, con capelli biondi e occhi verdi.
Da ora, avrei immaginato quel misterioso ragazzo così.

«Ti hanno mai detto che sei più sexy, quando sei arrabbiata?» Sorrisi compiaciuta a quel complimento. Perché stavo sorridendo? Insomma, non sapevo neanche chi si celasse dietro quella libreria e io rimanevo lì seduta a bearmi delle stupidaggini che diceva.

La compagnia di Caroline faceva male. Un tempo, non mi sarei mai sognata di fare una cosa del genere.

«Ti hanno mai detto che sembri più nerd, quando adeschi ragazze in una biblioteca?» Il mio umorismo si poteva tagliare col coltello, eppure lui non sembrava per niente scalfito…Anzi, mi sembrava piuttosto divertito.

«No. Di solito bastano due parole che le ragazze già cadono ai miei piedi.» Troppo modesto e ora stavo diventando anch’io curiosa. Era davvero così irresistibile?

«E’ un modo per abbordare?» Chiesi con un pizzico d’ironia. Per la prima volta, sentii chiaramente una risata. Una vera risata cristallina.

«Per una volta, in realtà, sto provando a parlare civilmente con una ragazza.» Il suo tono si era fatto più duro. Come si comportava di solito con le ragazze?

«Preferisco i fatti alle parole.» Continuò con un tono più malizioso. Roteai gli occhi e scossi la testa. I ragazzi erano sempre i soliti.

«Credo che per oggi ti dovrai accontentare solo delle parole.» Dissi guardando nuovamente l’orologio. Ora sì che ero in un ritardo pazzesco.

Mi alzai da terra e afferrai la mia tracolla. Presi il mio libro e a passo felpato superai quella libreria.
Lui era già sparito. La mia attenzione ricadde su un giubbotto. Curiosa mi avvicinai e lo presi tra le mani.
Era un giubbotto di pelle con qualche borchia. Mi guardai attorno. Non c’era nessuno, se n’era già andato e aveva lasciato a terra il suo giubbino.
Lo presi in mano e in silenzio mi avviai verso la porta.

«Signorina, trovato quello che cercava?» Chiese la bibliotecaria gentilmente. Sobbalzai e le sorrisi annuendo.
«Certo.» Risposi, con un’alzata di spalle. La signora indossava un lungo cardigan e una gonna lunga. Sembrava uscita da un film degli anni cinquanta.

«E quel giubbotto?» Chiese la signora con lo sguardo assottigliato. Deglutii in imbarazzo e mi sistemai i capelli – uno dei miei tanti segni di nervosismo –.

La bibliotecaria era sempre stata una signora taciturna e non faceva mai domande, perché mai ora le stava facendo tutte quelle domande?
«E’ mio.» Risposi sicura di me, uscendo dalla biblioteca. Dozzine e dozzine di studenti erano in giro per il campus.

Diedi un’altra occhiata al mio orologio. Il mio caffè si era già fatto freddo. M’incamminai verso la caffetteria e mi chiesi perché avessi preso quel giubbotto da terra.

«El, hai saputo la notizia?» Mi affiancò l’altro mio fratello. Stefan era il fratello migliore che una ragazza potesse desiderare: sempre gentile, disponibile e con un sorriso sul volto. Per non parlare di quanto fosse fico: alto, con dei muscoli ben piazzati, gli occhi verde foglia e dei capelli castani tirati su col gel.

«Ovvio. Non vedi come sono contenta?» Chiesi ironica accennando un sorriso tirato. Stefan mi sorrise. A pensarci bene, non mi ricordavo neanche come fosse fatto l’altro mio fratello.
Non lo vedevo dall’età di tre anni e le poche volte che papà lo incontrava era sempre lui ad andare a Londra – dove c’era anche mamma –.

«Elena, potresti per un secondo mettere da parte il tuo odio sviscerato verso Damon?» Chiese guardandomi dritto negli occhi e prendendomi per le spalle. Più volte venivamo scambiati per fidanzati, per i nostri atteggiamenti romantici.

«No. Stefan, non lo conosco. Non so neanche com’è fatto. Non ha passato un solo Natale con noi e con papà, non è voluto venire neanche al mio diciottesimo con mamma. Per me, loro sono morti.» Chiarii.
Non riuscivo a non provare odio per quella donna che aveva completamente stroncato la nostra vita e quella di papà.
«La mia famiglia siete tu e papà. Damon può perfettamente andare a farsi fottere.» Dissi amorevolmente. Stefan prese una boccata d’aria.

«Dobbiamo andare a prenderlo in aeroporto.» Disse Stefan. Alzai gli occhi al cielo. Aveva ventidue anni, non poteva prendere uno stupido taxi?

«No. Dovete andare a prenderlo in aeroporto. Io non verrò.» Dissi con un enorme sorriso. Non capivo perché lui, invece, era così contento di rivederlo.

«E’ nostro fratello e in tutti i casi lui ha deciso di lasciare Londra per recuperare il tempo perduto.» Mi ricordò. Questa cantilena era insopportabile.

«Poteva perfettamente rimanere a Londra, per quanto mi riguarda.» Ero piatta. Non sapevo neanche com’era fatto fisicamente. In giro per casa c’erano solamente foto di quand’era un moccioso.
Chiusi gli occhi per prendere un respiro e calmarmi. Perché Stefan non mi stava appoggiando come sempre? Lui era, persino, contento di rivederlo! Come se anni d’assenza potessero essere recuperati. Illuso.

«Elena, non fare così. Il giudice quando si separarono…» Ecco, iniziava il solito discorsetto noioso del ‘non è colpa sua, la colpa è del giudice’. Quante volte l’avevo sentito? Ah sì, ogni volta che imprecava contro suo fratello.

«Stefan non mettere in mezzo altre persone. Il giudice ha deciso di affidare Damon alla mamma, questo non significa che non poteva venire a trovarmi. Non mi hai mai chiamato, non mi ha mai mandato una lettera.» Alzai il tono di voce.

«Non c’era mai quando ne avevo bisogno. Non farmi la predica, Stefan. Sei un grande fratello e ti voglio bene, ma non puoi prendere decisioni per me. Sono maggiorenne.» Gli ricordai.
Mi saliva la rabbia ogni volta che ripensavo a quand’ero piccola e chiedevo a Babbo Natale di rivedere il mio fratellone, quando volevo passare una giornata con lui, quando avevo avuto la prima delusione in amore e lui non c’era mai.
Damon non sapeva chi ero, non potevo essere sua sorella. Non mi conosceva. Non sapevo cosa amavo e odiavo delle persone.

«Lui non si ricorda neanche il mio nome. Non sa neanche quand’è il mio compleanno. Ti devo ricordare quella volta che per il mio sedicesimo compleanno mi ha chiamato una settimana in ritardo? O quando mi ha chiamato Elisa e non Elena?» Potevo elencargli tutte le volte che mi aveva promesso da bambina che sarebbe venuto a trovarmi, tutte le volte che non rispondeva alle mie chiamate…E con gli anni quell’amore fraterno che provavo per lui si era tramutato in un odio profondo.

«No, me lo ricordo.» Stefan aveva lo sguardo cupo. Non aveva la benché minima idea di quanto avessi sofferto il suo ‘abbandono’.

«Chi mi sosteneva sempre? Chi mi consolava? Tu, perché sei tu il mio unico fratello.» Erano parole pesanti, lo sapevo. Era uno sfogo ingiusto. Mi stavo sfogando con una persona che non aveva colpe.

«Elena, ti stai sfogando col fratello sbagliato.» Disse freddo. A quelle parole mi sentii ferita, non voleva supportarmi? Credo proprio di no.

«Ti sfido a dirgli queste cose in faccia all’aeroporto.» Propose con un sorrisino divertito. Ci pensai su e in effetti non era una brutta idea.

«Pensi che non abbia il coraggio di farlo, Stefan?» Chiesi leggermente piccata. Lui scosse la testa e scoppiò in una piccola risatina.

«So che hai il coraggio, ma so che non glielo diresti mai senza una buona occasione perché in fondo tu vuoi rivederlo, vuoi tirargli uno schiaffo e vuoi abbracciarlo per poi piangere la sua mancanza.» Digrignai i denti. Non mi avrebbe convinto.

«Stefan non provare a convincermi.» Dissi con lo sguardo basso. Sapevo che se avessi incontrato i suoi occhi color verde foglia avrei ceduto e non volevo cedere per nessuna ragione al mondo.

«Elena, per una buona volta metti da parte il tuo orgoglio!» Mi rimproverò. Alzai gli occhi al cielo.
Quella conversazione stava diventando decisamente noiosa. Arrivammo entrambi in caffetteria e dopo averlo salutato con un bacio sulla guancia mi sedetti al tavolino, dove Caroline mi stava aspettando.

«Sei in ritardo di venti minuti!» Mi sgridò Caroline. La testa mi stava scoppiando e non ce la facevo più a sentire persone che mi sgridavano.

«Dove hai preso quel giubbotto?» Non mi diede il tempo di risponderle in malo modo, perché già aveva notato quel giubbino di pelle.

«Ho ritrovato il mio libro e ho trovato questo giubbotto.» Risposi, prendendo la tazza di caffè che la bionda mi stava porgendo. L’afferrai e ne presi un lungo sorso.
Arricciai il naso.

«E’ terribile.» Dissi, poggiando la tazza sul tavolino. Era troppo amaro, io bevevo solo caffè con almeno due bustine di zucchero e Caroline lo sapeva bene.

«Amaro, proprio come te oggi.» Battuta stupida da parte di Caroline. La fulminai con lo sguardo e presi una bustina di zucchero.

«Come mai hai perso tutto questo tempo? Non è che hai incontrato qualcuno d’interessante?» Care aveva una fissazione per il gossip e più volte aveva provato ad appiopparmi alcuni dei suoi amici.

«Diciamo che ho avuto una specie di scontro. Non ho proprio voglia di parlare, sono di cattivo umore.» Dissi, bevendo un altro sorso di caffè che ora era poco più dolce.

«Non si notava. Elena, sputa il rospo. Cosa sta succedendo?» Chiese prendendomi una mano.

Questo era uno di quei momenti tra amiche. Le sorrisi. Veramente ero troppo nervosa, mi stavo rovinando una bellissima giornata solo per colpa di Damon! Stupido fratello!

«Mio fratello ritorna a casa.» Dissi a denti stretti, stringendole la mano. Caroline si accigliò. La mia amica mi aveva capito?
«Stefan è già qui.» Rettificare: la mia amica non aveva capito niente. Sospirai pesantemente e mi diedi mentalmente della scena.

«Mio fratello Damon! Damon sta ritornando!» Sbuffai ansiosa. Caroline strabuzzò gli occhi, lei non amava particolarmente mio fratello anche se tecnicamente non l’aveva ancora conosciuto.

Care mi era stata vicina, durante i miei pianti notturni e le volte in cui mi sentivo terribilmente sola.
«Damon? Quel Damon? Quello stronzo? Cattivo? Quello a cui non gliene frega niente del suo ruolo di fratello maggiore?» Chiese ancora. Aggrottai le sopraciglia e scoppiai in una risatina. Caroline era la finezza.

«Perché, scusa, quanti Damon conosci?» Chiesi ironica. Quella era la prima battuta ironica che avevo fatto senza sembrare cattiva o acida.

«Vedi, come ti ho risollevato l’umore?» Le sorrisi. Era la mia migliore amica e mi sopportava sempre anche nei momenti peggiori.

«Sì, comunque.» Dissi, abbassando lo sguardo.
«Damon Salvatore sta ritornando.» Sussurrai a denti stretti.
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: Prima fan fiction sulla Delena, visto che io sono Bamon…però uno strappo alla regola una volta tanto non fa niente, giusto?
Mi presento. Sono Alessandra e potete chiamarmi Ale o Alex come fanno i miei amici.
Quest’idea è nata dal nulla più totale. Sinceramente non so se possa valere qualcosa, se qualcuno di voi ha dei consigli sono ben accetti e se qualcuno vuole dirmi di ritirarmi completamente dal mondo della scrittura.
Metto in chiaro alcuni punti:
- Elena è sorella a Stefan e Damon che nella fan fiction sono sempre fratelli.
- Ho pensato che i tre “fratelli” abbiano tutti due anni di differenza l’uno dall’altro. Perciò quando i loro genitori si sono separati, Damon aveva sei anni, Stefan aveva quattro anni ed Elena aveva due anni.
- Il giudice ha affidato Damon alla madre per via dei difficili rapporti che già allora esistevano.
Ora ho una domanda per voi: Elena è troppo OOC? A me sembra abbastanza IC, così come Caroline però se voi avete dei consigli sono ben accetti.
Spero che la storia vi possa piacere. A presto!
Alessandra

 

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Capitolo 2
*** Welcome, Damon! ***


Capitolo due.
Welcome, Damon!
 
Ero seduta su un muretto del campus vicino alla caffetteria con accanto il mio libro, ritrovato il giorno prima.
L’odio sviscerato che provavo per la trigonometria era pari all’odio che provavo per Damon. Non riuscivo neanche a studiare per il nervoso.

«Non ce la farò mai…» Brontolai, gettando a terra l’evidenziatore. Io e la trigonometria eravamo due cose completamente distanti l’una dall’altro.

Non c’era nessuno ad aiutarmi: Caroline non era la più indicata quando si parlava di argomenti scolastici, Stefan era nella mia stessa situazione e Bonnie – l’unica persona che poteva aiutarmi – era a un seminario a Boston per una settimana.
Il test era questo venerdì, oggi era mercoledì. Mi rimanevano pochi giorni per studiare.

E’ impossibile! Pensai stringendomi nella mia felpa. Eravamo appena ritornati dalle vacanze natalizie e dopo neanche una settimana avevo già un test che di sicuro non avrei passato.

Raccolsi i miei capelli in una coda disordinata e chiusi il libro arrabbiata. Lanciai il libro alle mie spalle ed estrassi il mio cellulare dalla tasca del jeans.

«Da quando in qua i libri volano?» Chiese una voce ironica. Che battuta squallida. Mi girai e incontrai due occhi ghiaccio con venature azzurrine. Occhi magnetici e irresistibili. Anche se mi erano familiari, dove avevo visto quegli occhi?
Mi persi per qualche istante nelle due pozze colore mare e mi soffermai anche sul volto del ragazzo: zigomi poco pronunciati, sguardo tentatore e due labbra che ogni donna sognerebbe di baciare.

Le gambe erano fasciate in un jeans stretto, sopra aveva una maglietta nera a maniche lunghe da cui si intravedevano gli addominali.

«Sei incantata, ragazzina?» Strabuzzai gli occhi e lo guardai in cagnesco. Mi aveva chiamato ragazzina?
«In realtà, stavo riflettendo su quanto potesse essere squallida la tua battuta. “Da quando in qua i libri volano” – scimmiottai un po’ per imitarlo – è la migliore che la tua piccola mente ha partorito?»
Il suo volto era un misto di stupore e curiosità. Probabilmente non aveva avuto mai questo trattamento da una ragazza. Un bel faccino non faceva una brava persona.

«Ne ho di migliori, tranquilla.» Ammiccò. «Semplicemente non mi capita tutti i giorni di imbattermi in una ragazzina capricciosa che lancia i libri in aria.» Continuò con tono divertito.

Okay…Già, ero nervosa di mio per il ritorno di Damon se poi anche uno sconosciuto mi provocava la situazione non migliorava.
«Dammi il libro.» Gli ordinai scrutandolo con attenzione. Il ragazzo – di cui non sapevo e non volevo sapere il nome – diede uno sguardo al libro.

«Come imparare la trigonometria in 100 step…mm, interessante eh?» Mi sfottò. Non volevo ridarmi il libro? Scesi dal muretto e glielo strappai – letteralmente – dalle mani.

«Bel temperamento.» Accennò un odioso sorrisino. Ero sicura che se in questo momento ci fosse stata Caroline mi avrebbe rimproverato per il mio comportamento infantile nei confronti di quel magnifico sconosciuto.

Gli diedi le spalle e mi sedetti nuovamente sul muretto, riprendendo a studiare. Iniziai a leggere un problema.
Mi resi conto che lo sconosciuto si era seduto affianco a me e mi osservava insistentemente.
Per i primi dieci minuti lasciai perdere, anche se era piuttosto difficile studiare una materia che già odiavo con un fico che mi osservava. Diciamolo…Quel ragazzo era proprio bello.

«Vuoi una fotografia?» Chiesi acida dopo un po’. Piegò le sue labbra in un ghigno, mise su un espressione pensierosa e sembrò rifletterci pochi istanti.
Ora gli meno un ceffone. Pensai fissandolo in cagnesco.

«Tranquilla, mi ricorderò di te. Ho memorizzato ogni piccolo particolare del tuo corpo. Se vuoi però…una fotografia non guasta.» Continuò ammiccando.

Alzai gli occhi al cielo. Avevo incappato in un idiota con un corpo magnifico. Fin’ora non ero riuscita a trovare una cosa buona di quella giornata.
Damon sarebbe ritornato a momenti, questo idiota non mi fa studiare, Stefan non mi appoggia…Cos’ho fatto di male?
Pensai, mettendomi le mani nei capelli quasi esasperata.

«Micina, dovresti calmarti e rilassarti un po’. Magari facciamo un po’ di conversazione…» Cercò di dissuadermi.
Micina? Andiamo un sopranome meno idiota no, eh? Fin’ora quel ragazzo si era rivelato un completo idiota e stava peggiorando la mia giornata – già penosa –.

«Conversazione? Sei spuntato dal nulla. Non ricordo di averti mai visto qui al college.» Dissi, alzando lo sguardo.
Mystic Falls era un piccolo paesino e il Dalcrest College era un college dove non c’erano molti pionieri.

«Be’…Parli tu che sei qui sola soletta a studiare la trigonometria in 100 step!» Fece ironia. Accennai una risatina…Almeno il corvino aveva un po’ di senso dell’umorismo quando voleva.

«Siamo al Dalcrest College, qui non succede mai niente.» Dissi scuotendo la testa. Questa volta fu lui a trattenere una risatina.

«Sto studiando per un test di trigonometria» Continuai.
«L’avevo notato…» Commentò ironicamente. Alzai gli occhi al cielo.

«Sei sempre così ironico, misterioso ragazzo?» Cantilenai divertita, indietreggiando. Lui arricciò le labbra – secondo me, leggermente divertito – e io gli rivolsi un sorriso di sfida.

«L’ironia fa parte del mio essere.» Accennò un sorriso smagliante. «Sei sempre così acida, misteriosa ragazza?» Chiese col mio stesso tono.
Assottigliai lo sguardo e feci finta di pensarci su.

«Non tutti hanno un buon carattere. Tu sei il solito fighetto della situazione? Quel ragazzo idiota che si porta nel letto tutte le ragazze del college?» Chiesi sinceramente divertita.
Dentro di me, volevo solamente andarmene a casa mia e provare a studiare quella materia…Ma la parte meno razionale, mi diceva di rimanere lì a sfottere quel tanto misterioso quanto irresistibile sconosciuto.

«Pensi veramente questo di me? Mi offendi, sai?» Mi schernì. Aprì la bocca, ma la richiusi non avendo altro da dire.
Scossi la testa e ritornai a concentrarmi sul problema. Il ragazzo rimase lì a fissarmi ancora per un po’.

«Non ci vuole molto a risolvere quel problema.» Disse con un ghigno in volto. Mi girai verso di lui, pronta a dirgliene quattro ma mi bloccai quando vidi quelle pozze color azzurro cielo che mi fissavano seriamente.

«So come si fa. Calcolo l’angolo mancante e calcolo i due lati b e c con la teoria del coseno.» Affermai, scarabocchiando sul libro i calcoli e sperando con tutta me stessa che non avessi sparato una grande cazzata.
Lo sconosciuto non disse nulla, m’incitò a provare a risolvere il problema…Sbagliato.
Per un momento pensai di buttare quel libro all’aria e di imprecare in tutte le lingue che conoscevo.

«Non lanciare ancora il libro.» Mi avvertì lo sconosciuto, prendendomi le mani. A quel tocco sussultai leggermente imbarazzata. Il contatto con la sua pelle era piacevole.

«Non lo lancio, tranquillo!» Dissi con acidità. L’estraneo mi sfilò la matita dalle mani e iniziò a scarabocchiare anche lui qualcosa – per me erano solo segni senza senso, ma apparentemente avevano un significato –.

«Ecco a te, la soluzione.» Disse, porgendomi sia il libro che la matita. Sorpresa, osservai la soluzione.
Dovevo calcolare i due lati b e c con la teoria dei seni! Ecco, perché non usciva!
«Sei molto bravo in trigonometria?» Chiesi curiosa. Lui arricciò il naso e sbuffò leggermente.
«Queste sono stupidaggini da primo anno…Non sono un portento, ma queste cose elementari posso farle.» Molto modesto!

«Allora potresti aiutarmi, non credi?» Chiesi usando il tono più gentile e persuasivo con cui mi rivolgevo ai ragazzi.
I suoi lineamenti sembrarono addolcirsi per poi indurirsi ancora di più. Mise su un ghigno.

«Hai un pennarello?» Chiese. Aggrottai la fronte. Che razza di domanda era? Anzi, che razza di risposta era alla mia domanda?
Non ci feci caso e frugai nella mia borsa. Trovai un pennarello nero. Era indelebile, ma glielo porsi ugualmente.
Lui mi sorrise – con un sorriso a trentadue denti – e tolse il tappo dal pennarello. Mi prese la mano e iniziò a scrivere qualcosa sul suo dorso.

Che sta facendo? Brutto idiota! Pensai osservandolo. Dopo poco chiuse il pennarello e lo infilò nella mia tracolla.
«E’ il mio numero. Chiamami se ti serve una mano.» Disse ammiccando e scendendo dal muretto. Per un momento, ebbi l’impulso di mandarlo a quel paese.

«E’ indelebile il pennarello, idiota!» Commentai leggermente piccata. Lo sconosciuto – di cui non sapevo neanche il nome – mi sorrise con uno di quei sorrisi ammalianti.

«Il mio ricordo così sarà indelebile.» Battuta ad effetto. Questa si poteva salvare, era quanto meno accettabile!
Sorrisi leggermente e mi aggiustai la coda di cavallo.

«Ci vediamo presto, piccola.» Mi salutò con un bacio sulla guancia, mi rivolse un’occhiata enigmatica e si allontanò.
Fermi tutti! Pensai. Uno sconosciuto mi ha abbordato, l’ho insultato, lui mi ha aiutato, l’ho ringraziato e insultato nuovamente e ora mi ritrovo il suo numero telefonico sulla mano!?

Wow, stavo facendo progressi. Il giorno prima incontravo un tizio strano in biblioteca, oggi un tizio ancora più strano e per completare il tutto…Damon arrivava a Mystic Falls!
Di male in peggio.

Raccattai le mie cose e mi avviai in caffetteria, dove stava Caroline.
Lo squillo del mio cellulare mi fece ridestare dai miei pensieri per ora rivolti a quel ragazzo. L’avevo beffeggiato e insultato, nonostante il mio comportamento mi aveva dato il mio numero di telefono.
Era Stefan il mittente della chiamata.

«Stefan, qualche problema?» Risposi alla chiamata frettolosamente. Potevo sentire la sua risata dall’altra parte della cornetta.
– Elena, stiamo andando all’aeroporto. Veniamo a prenderti? Sai bene che possiamo ancora fare marcia indietro. – Mi chiese cauto. A quelle parole saltai su tutte le furie.

«Stefan quale parte del ‘Damon per quanto mi riguarda può anche andare a farsi fottere’ non è chiaro?» Tuonai arrabbiata.
Feci segno a Caroline di alzarsi. L’orario scolastico per me era finito da un pezzo, non avevo altre lezioni per quel giorno e anche la mia amica.
La bionda annuì e iniziò a raccattare le sue cose.

– Ho afferrato il discorso, El. Potresti come minimo farti trovare a casa al nostro ritorno dall’aeroporto? – Mi chiese con tono supplichevole. Chiusi gli occhi, questo potevo forse farlo.
«Vedrò di esserci.» Sibilai a denti stretti, attaccando giù. Caroline mi venne incontro sorridendo come non mai, per chissà quale motivo.

Era veramente troppo eccitata, insieme ci dirigemmo verso la mia automobile nuova di zecca. Poggiai la mia tracolla nei sedili posteriori seguita da Caroline.
Mi accomodai al posto del guidatore e la mia amica accanto a me, da bravo passeggero qual’era.

«Cos’è successo?» Chiesi. Lei mi guardò accigliata. Di regola, era lei che doveva – apparentemente – chiedermi notizie su mio fratello e non il contrario!

«Bhe…Sto organizzando un ballo per la nostra confraternita, sai faccio parte del comitato…» Quando Caroline iniziava a parlare nessuno la fermava più.

Anche al liceo faceva parte di tutti i comitati, quello delle cheerleader, quello dei balli e delle parate. Il più delle volte trascinava anche me nei suoi comitati.

«Che ballo è?» Chiesi curiosa, imboccando il cartello su cui c’era scritto a caratteri cubitali “Mystic Falls”.
«E’ ancora una sorpresa.» Trillò contenta. Le sorrisi di rimando. Caroline riusciva sempre a tirarmi su.
L’atmosfera fu spezzata dalla suoneria del mio Iphone. Care prese la mia borsa e prese il mio cellulare.

«E’ Stefan.» Annunciò Caroline, guardandomi. Sbuffai e presi il cellulare in mano. Sapevo bene che non dovevo parlare al telefono mentre guidavo, ma uno strappo alla regola non faceva mai male, giusto?

«Stefan ti ho già detto che non vengo all’aeroporto. Ora dovreste essere già lì, secondi i miei conti!» Sbuffai infastidita.
– Elena, non so come ma Damon non è su quell’aereo! Sono scesi tutti i passeggeri e lui non c’era! – La voce di mio fratello Stefan mi arrivò forte e chiara. Alzai gli occhi al cielo. Possibile che avesse dato buca a papà e Stef ancora una volta?

«Vi ha dato buca. E’ normale, no? Come da copione.» Alzai gli occhi al cielo. Damon li aveva dato buca. Lo sapevo…Come il Natale 2005. Da quel Natale avevo completamente smesso di credere a tutte le stronzate che Damon mi rifilava.

– No, Elena. Questa volta è successo qualcosa, qualcosa di serio! – Questa volta non c’era da scherzare. Cos’era successo?
– Damon doveva stare su quell’aereo, oggi. E non c’è. Persino mamma, non sa dove sia perché a Londra non c’è! – Continuò prima che potessi dir qualcos’altro.

«Vi raggiungo.» Sussurrai a denti stretti, chiusi la chiamata e lasciai il telefono nelle mani di Caroline che mi guardava confusa.
«Quel coglione di Damon non c’è all’aeroporto. Gli è successo qualcosa.» Dissi a denti stretti. Stavamo per imboccare la stradina che portava a Mystic Falls e controllai con lo specchietto che non ci fossero macchine.

«Tieniti forte, sto per fare un testacoda.» L’avvertii. Care sgranò gli occhi.
Il cellulare riprese a squillare e io maledivo mentalmente Damon. A me cosa importava di lui? Era sparito…E in fondo era preoccupata. Come potevo essere preoccupata per un’idiota?

«Stefan, sto venendo all’aeroporto.» Dissi con il cellulare tra le mani.
E’ inutile, stiamo venendo noi. Manca poco. Ritorna a casa. – Mi chiuse la chiamata in faccia. Gettai il telefono da qualche parte e cambiai nuovamente marcia con Caroline che bestemmiava la mia guida e Damon.
«Ti accompagno a casa.» Dissi, imboccando la strada per casa sua. Aggrottò la fronte.

«E tuo fratello, Damon?» Chiese spaventata. Non era una cosa di tutti i giorni che una persona spariva magicamente dall’aeroporto.
«Sarà una delle sue trovate. Ti chiamerò appena avrò notizie.» La implorai. Lei annuì e per il resto del tragitto rimanemmo zitte, ognuna di noi con i pensieri rivolti altrove.
Da un lato volevo spaccare la faccia di Damon – sperando che non abbia ereditato la bellezza di famiglia – e da un altro ero spaventata perché questa volta sembrava una cosa seria.

«Tranquilla, ti chiamo. Ci sentiamo più tardi, Care» La rassicurai. Lei prese la sua borsa e mi rivolse un sorriso.
«Fammi sapere, altrimenti chiederò a mamma di aiutarci.» Mi disse chiudendo lo sportello dell’auto. La madre di Caroline faceva parte delle forze dell’ordine di Mystic Falls e forse avrebbe potuto aiutarci.

Con un diavolo per capello, arrivai a casa mia dove era già parcheggiata la Camaro di mio padre. Parcheggiai in fretta, presi la borsa e aprii la porta di casa.
Corsi verso il salotto e quello che vidi mi lasciò senza parole.

«Micetta, ci rivediamo.» Quella voce. Quegli occhi. Era il ragazzo di oggi? Quello che mi aveva aiutato con la trigonometria?

«Cosa ci fai a casa mia?» Chiesi stizzita e avvicinandomi a lui con aria incazzata. Stefan mi guardò sorpreso e papà scoppiò in una fragorosa risata.
«Elena, tesoro, per qualche motivo Damon è arrivato ieri e si è fermato a casa di un suo amico.» Mi spiegò papà abbracciandomi.

Io non avevo ancora capito granché. Ricambiai l’abbraccio di papà e lo strinsi più forte.
Mi guardai attorno. Quel ragazzo io l’avevo già visto oggi, papà si era rivolto a lui come se fosse di famiglia…Ecco, dove avevo già visto quegli occhi!

«Tu!» Gli puntai un dito contro. «Sei un maledetto stronzo! Ti è piaciuto provarci con tua sorella oggi?» Urlai arrabbiata.
Non lo vedevo da quando avevo due anni, non mi ricordavo neanche come fosse fatto e lui osava prendermi in giro! Perché ero sicura. Ero sicura che lui sapeva chi ero realmente.
Sapeva che ci stava provando con sua sorella minore!

«Damon, cos’hai fatto?» Chiese Stefan che era all’oscuro di tutto.
Guardavo in cagnesco Damon e poi Stefan e infine il mio sguardo assassino cadde anche su papà.
«C’è stato solo un piccolo equivoco.» Disse strafottente. Piccolo equivoco?
«Tu questo lo chiami “piccolo equivoco” – imitai il suo tono di voce – ci hai provato con tua sorella! O mio Dio!» Continuai sconvolta.

«Elena, devi solamente rimanere calma.» Cercò di tranquillizzarmi papà. Lo guardai arrabbiata, stava difendendo Damon? Lo stava veramente difendendo?

«Fatemi capire…Damon ci ha presi tutti quanti in giro, ci ha provato con me oggi a scuola, vi ha fatto prendere un colpo all’aeroporto e tu dici a me di rimanere calma?» Gli urlai più arrabbiata ancora.

«Mi piacciono questi giochetti. Sono rilassanti.» Disse con un sorrisetto da ebete in faccia. Oh…Bene, voleva morire! Quello che io dovrei chiamare “fratello”, voleva una morte lenta e dolorosa da parte mia, giusto?

«Oh, Damon, caro e mio amato fratellino, sai dove puoi metterti questi giochetti?» Chiesi ironica.
«Non essere così scortese, Eli…» Lo bloccai prima che mi facesse ribollire la rabbia.
«Elena! Mi chiamo Elena.» Lo corressi amabilmente. Damon si avvicinò molto – troppo – lentamente a me.
«So come ti chiami, sei mia sorella.» Grugnì a bassa voce. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Gli sorrisi amabilmente.

«Forse di sangue sono tua sorella e forse saprai il mio nome, però ti posso assicurare che persino un estraneo potrebbe essere un fratello migliore di te.» Parole pesanti, anche se dopo averle dette mi sentii molto meglio.
Mi aggiustai la camicia di jeans e rivolsi ai tre uomini di “casa” un sorriso a trentadue denti.

Stefan aveva gli occhi sgranati, pensava che non avessi il coraggio di dirgli in faccia ciò che pensavo? Be’, si sbagliava.
Papà mi guardava come se non fosse a conoscenza del mio sviscerato odio per Damon, pensava che farlo ritornare qua avrebbe cambiato i nostri rapporti? Be’, si sbagliava.
Damon mi fissava serio, forse fin troppo. Con i pugni serrati e le nocche che stavano diventando bianche. Gli lanciai uno sguardo di sfida.
Pensava che ritornando a casa, potesse diventare un buon fratello? Si sbagliava.
E infine c’ero io. Pensavo che Damon non facesse – persino con sua sorella – quei giochetti insopportabili? Mi ero sbagliata anch’io.
Tutti ci eravamo irrimediabilmente sbagliati.

«Con permesso, vado in camera.» Afferrai la tracolla e salii le scale. Lanciai la borsa a terra non appena entrata in camera.
Mi privai immediatamente della camicia di jeans e dei miei anfibi. Sciolsi i capelli e mi sfilai la maglietta.
Ci voleva una bella doccia per scaricare la tensione. Probabilmente papà e Stefan erano ancora sconvolti per la mia scenata, ma non ce la facevo più.
Stava per sbagliare il mio nome! Mi stava per chiamare Elisa! Al sol pensiero mi innervosivo ancor di più.
Entrai in bagno e mi tolsi anche la biancheria intima. Entrai sotto la doccia. Amavo stare ore e ore sotto alla doccia, magari canticchiando qualcosa.
Il getto dell’acqua calda mi accarezzava il corpo, presi un po’ di bagnoschiuma e iniziai ad insaponarmi.
Come primo incontro con mio fratello non poteva andare peggio. Dopo vent’anni d’assenza non si era neanche pregato di darmi delle scuse decenti per ogni volta che mi aveva dato buca.
Finii di sciacquare i capelli.
Amavo avere in stanza anche il bagno. Essere l’unica ragazza in casa aveva i suoi risvolti positivi: avere il bagno privato in camera era solo uno dei tanti.
Strizzai i capelli per togliere l’acqua in accesso. Avvolsi attorno al mio corpo un asciugamano e iniziai a pettinare i miei capelli.
L’Iphone era sul lavandino e segnava due chiamate perse. Lo sbloccai e vidi che erano di Caroline. Sorrisi. La mia migliore amica era sempre pronta a sentirmi.

La chiamai. Al quarto squillo mi rispose.
Risolto tutto, Ele? – Mi chiese. Accennai una piccola risatina amara. Eccome, se avevo risolto la faccenda! Anche meglio di come potevo immaginare.
«Caroline non puoi immaginare com’è stato l’incontro con quel…» Presi un respiro e con i capelli bagnati e l’asciugamano sul corpo uscii dal bagno.

Mi bloccai non appena vidi Damon nella mia stanza.
– Elena! Elena, rispondi! – Sentivo la voce di Caroline. Lasciai cadere il telefonino e non m’importò che si potesse rompere.

«Sparisci da camera mia!» Gli urlai rabbiosa. Non appena mi resi conto che io ero completamente nuda davanti a lui, arrossii a disagio.

Non riuscivo a farmi vedere da lui in quello stato, lui non era Stefan. Non era mio fratello, non riuscivo a fidarmi di uno sconosciuto. Perché lui era un estraneo per me.
«Mm…Come sei nervosa…» Mi prese in giro. Teneva in mano il mio intimo e per un momento ebbi la voglia di prenderlo a pugni.
Puoi prenderlo a pugni per me, mi suggerì la mia coscienza. Se persino la mia coscienza mi stava consigliando di prenderlo a pugni un motivo ci sarà giusto?

«Damon, sparisci da camera mia. Da casa mia. Anzi, già che ci sei sparisci dalla mia vita.» Gli urlai contro. In quel momento forse avevo esagerato.
I suoi occhi celesti mi scrutavano seriamente e i sensi di colpa iniziarono a farsi sentire. L’avevo ferito volutamente? Sì.
Ora avevo solo voglia di scoppiare a piangere e di vendicarmi di tutti quegli anni in cui mi aveva lasciato da sola, senza di lui.

«Questa un tempo era camera mia. Tecnicamente questa è anche casa mia. Per quanto riguarda la tua vita, mi spiace…» Si avvicinò a me e il mio cuore iniziò a battere sempre più velocemente. «Credo che avrai la mia compagnia per un po’.» Si divertiva a prendermi in giro? Sì.

Mi divertivo a essere presa in giro da lui? No, per niente.
«Chi ti ha mandato? Stefan? O forse papà ti ha minacciato di rispedirti a Londra se non fossi venuto a scusarti?» Chiesi ironica, dandogli la spalle.
Nessuna risposta. Avvertii soltanto due mani poggiarsi sul mio collo. Brividi percorsero il mio corpo. Non seppi descrivere quell’emozione.

«Mi hanno obbligato a vedere come stavi…» Sussurrò a voce bassa e roca. E terribilmente sexy. Avevo un fratello troppo provocante, questo era ovvio.

«…Ammetto che non mi è dispiaciuto seguire il loro consiglio questa volta…» Continuò. Sentii le guance andarmi a fuoco. Stava alludendo a questa situazione? Noi eravamo fratelli, non dovremo avere problemi a farci vedere in queste condizioni. Eppure non ce la facevo.

«Hai finito di provocarmi? Sai, Damon, spero vivamente che quando mi stavi corteggiando al college non sapessi chi ero.» Dissi, girandomi e trovando il suo volto a pochi centimetri da me.
Dal mio tono trasudava rabbia, odio e anche un pizzico di speranza.
Lui sorrise. Un ghigno strafottente che lasciava intravedere i denti bianchi.

«Questo rimarrà un mistero…» Mi sussurrò in un orecchio, poggiando le sue mani sui miei fianchi. Strinsi i denti e irrigidii ogni muscolo del mio corpo.

«Damon, sparisci.» Sibilai arrabbiata.
«Non mi dai neanche il benvenuto? Un abbraccio e un bacetto?» Chiese. Giuro che nei suoi occhi vidi della malizia. Assottigliai gli occhi e mi avvicinai a lui.
«Fottiti.» Sussurrai gentilmente.

Accennò un sorrisino, per poi continuare a giocare con il pizzo del reggiseno che teneva in mano.
Fronteggiai il suo sguardo senza problemi, finché lui non si girò di spalle e si avviò verso la porta.
Finalmente… Pensai, sorridendo vittoriosa. Prima di chiudere si girò un’ultima volta.

«Per la cronaca, il tuo invito è ben accetto.» Ammiccò, riferendosi al mio gentile invito di andare a farsi fottere. Digrignai i denti e strinsi i pugni.
Chiuse la porta e io mi stesi sul letto esausta.
Bentornato, Damon. Pensai con un sorrisetto che non portava niente di buono.

 





Angolo dell'autrice: Eccomi! Ritornata dopo cinque giorni, ho cercato di aggiornare il più presto possibile. Inizio con i ringraziamenti...Che ne pensate? Ringrazio le 6 buone anime che hanno recensito, ovvero Smolderina78, Leonessa, NikkiSomerhalder, Horse_, PrincessOfDarkeness e AleDic. Le 5 buone anime che l'hanno inserita nelle preferite e le 10 che l'hanno inserita nelle seguite. Ovviamente un ringraziamento va anche a tutti i lettori silenziosi!
Ora tralasciamo i ringraziamenti e parliamo un po' del capitolo.
Non avete idea di quanto mi piaccia scrivere di quei due, mi sto appassionando! La scena più bella è stata quella in cui Elena capisce che il ragazzo che ci ha provato con lei era sua fratello! Voi come avreste reagito? Avete trovato giusta la reazione di Elena? Personalmente, l'Elena del telefilm credo avrebbe reagito in modo anche peggiore, ma visto che questa Elena è la mia visione di lei ho pensato di immedesimarmi in lei perciò credo che la sua reazione sia giusta.
Per non parlare, di quando lei lo incontra al college! La scena che ho amato di più credo sia quella in cui lui le scrive il numero di telefono sulla mano *-*. Andiamo? Chi di noi non sogna che un Damon Salvatore (o un Ian Somerhalder) faccia quella scenetta? Me lo immagino a fare una cosa così  però. XD
E per voi? Qual è la scena che vi è piaciuta di più?
Ci risentiamo alle recensioni! Un bacio, vi amo!
Cucciolapuffosa

 

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Capitolo 3
*** Can I be a good brother? ***


Capitolo tre.
Can I be a good brother?
 
La sveglia segnava l’1.48, era notte fonda e tra poche ore avevo un test che non avrei superato.
Ero stesa sul mio letto e invano cercavo di esercitarmi con gli esercizi. La trigonometria era solamente un ammasso di numeri e angoli inutili. Sbadigliai.

Avevo sonno e il mio cervello non resisteva più a tutti quei numeri. Non ce l’avrei mai fatta. E se chiedessi aiuto a Damon? Quell’ipotesi sfiorò il mio cervello solamente pochi istanti, cancellai quella stupida idea e ritornai a concentrarmi sul libro.

Qui, in casa non riuscivo a concentrarmi. Ieri avevo deciso di rimanere a casa, ma sfortunatamente – la fortuna non girava mai dalla mia parte – gli idraulici erano venuti ad aggiustare alcune tubature, rendendo tutto più difficile.
Anche oggi, sarebbero ritornati. Se il test fosse andato male, era solo colpa loro.

La colpa è anche tua e del tuo orgoglio. Perché non chiedere aiuto a Damon? Mi suggerì la mia coscienza.
No! Non avrei mai chiesto aiuto a Damon dopo la brutta litigata avuta due giorni fa. La tensione era palpabile in casa e molte volte mi ero rifugiata da Caroline e anche nell’alloggio del college.

L’alloggio non l’avevo mai usato, visto che Mystic Falls era praticamente venti minuti di macchina dal Dalcrest.
1.58 – segnava ora l’orologio. Erano già passati dieci minuti. Dieci minuti che avevo sprecato pensando a chi? A quell’odioso di mio fratello!

Gli occhi li sentivo pesanti e il letto mi stava chiamando. Potevo poggiarmi pochi istanti, giusto? Non mi sarei addormentata.
Sai bene che ti addormenterai non appena poggerai la tua testa sul cuscino. Mi ricordò, ancora, la mia coscienza odiosa che oggi era più antipatica del solito.
Sbadigliai ancora. Mancavano due minuti alle due e meno di nove ore al mio test. Presi il libro e sgattaiolai fuori dalla mia camera.

Scesi le scale, cercando di non far svegliare nessuno della famiglia. Passai davanti la stanza, dove dovrebbe dormire Damon.
Era aperta. Aggrottai le sopraciglia e mi affacciai. Il letto era intatto…Dov’era andato? Tenevo in una mano il cellulare e nell’altra il libro. Per mezzo secondo valutai l’opzione di chiamare Damon e chiedergli dove fosse, scacciai quel pensiero e scesi le scale.

Aveva ventidue anni! Poteva cavarsela da solo! Anche se – tecnicamente – parlando, Damon quando voleva sapeva essere molto cocciuto.
Mi avviai verso la cucina. E preparai una tazza di caffè fumante che mi avrebbe tenuta sveglia, più tempo possibile.
Il caffè bolliva sul fuoco lento e – per confermare le mie teorie – andai in salotto: di Damon nessuna traccia.

Una sorella normale cosa avrebbe fatto in una situazione del genere? Ovvio, avrebbe chiamato suo padre e avrebbe chiesto spiegazioni…Ma io non ero normale perché non esistevano ragazze che odiavano il proprio fratello.
Forse dovevo chiamare papà e per una volta fare la cosa giusta.
No, altrimenti i rapporti tra papà e Damon peggiorano… Riflettei. Allora capii cosa fosse la cosa più giusta: chiamarlo al cellulare.

Presi il mio cellulare e composi il numero che avevo sulla mano. Eh già, quell’odiosa scritta non se n’era ancora venuta.
Stupido pennarello indelebile! Lo maledii, aspettando una sua risposta. Primo squillo. Secondo squillo. Andai in cucina per prendere il mio caffè.

Per fortuna mi rispose al quinto squillo.
Pronto? – La sua voce mi arrivò forte e chiara. Presi un enorme sospiro e mi diedi della scema. L’avevo veramente chiamato? L’avevo fatto veramente?

«Damon, non so dove tu sia, ma ti consiglio di ritornare a casa perché non ti voglio parare il fondoschiena!» Risposi gentilmente. Avevo usato un tono deciso e fermo con un pizzico di finta gentilezza che non guastava mai.

Piccola so badare a me stesso – Presi la tazza di caffè e mi strozzai quasi. Da micetta a piccola? Cambiava sopranome?
Mi avviai così verso le scale.

«Badare a te stesso? Hai un cervello di un dodicenne in un corpo di un ventiduenne.» Sbottai, alzando forse – sicuramente – il tono di voce.
«In un magnifico corpo di un ventiduenne.» Sussurrò una voce roca alle mie spalle. Persi quasi il respiro. Era alle mie spalle.
Le sue mani si posarono sui miei fianchi e poggiò il suo volto nell’incavo della mia spalla. Trattenni il respiro.

«Sei sbronzo?» Chiesi, scuotendo i capelli e tenendo in mano la tazza del caffè e nell’altra il mio cellulare. Sentii un mugolio in risposta.
Okay…Damon era sbronzo. Perfetto, ero alle prese con un fratello brillo e un test di trigonometria!

«Mai stato più sobrio in vita mia, piccola.» Soffiò leggermente sul mio collo. Oh certo…Ci provava con me – sangue del suo sangue – e diceva di essere sobrio.
Quando sentii le sue labbra solleticare il mio orecchio, lasciai andare la tazza a terra che si frantumò in mille pezzi.
Damon sembrò quasi ridestarsi e si allontanò da me tenendo una mano sulla testa. Aveva le pupille abbastanza dilatate…Era fatto di qualcosa, ma per fortuna non era completamente andato.

Sperando che nessuno si fosse svegliato, mi accovacciai a terra per raccogliere i cocci della tazza e pulire a terra.
Damon mi fissava serio con sguardo duro. Riuscivo a fare bene poco con lui che mi fissava in quel modo. Presi un coccio in mano, ma mi tagliai leggermente il dito e ne uscì fuori un po’ di sangue.

«Maledizione…» Sussurrai a denti stretti, succhiando l’indice per farlo smettere di sanguinare. Solo allora, Damon sembrò acquistare un po’ di lucidità.
Si sedette accanto a me, prendendomi entrambe le mani e guardandomi dritto negli occhi.

«Potresti tagliarti. Lascia fare a me.» Sussurrò. Per un secondo, vacillai. Dovevo lasciare un Damon poco sobrio con del vetro tagliente in giro? Non se ne parlava!

«Da quando t’importa?» Chiesi, continuando imperterrita a raccogliere cocci e non guardandolo negli occhi. Lo spiai leggermente, aveva le mani strette a pugno e la mascella tesa.

«Elena, lascia fare a me.» Disse serio, togliendomi di mano i cocci. Alzai la testa di scatto e incontrai i suoi occhi azzurri così diversi dai miei. Era la prima volta che sentivo il mio nome – corretto – pronunciato da lui…Ed era piacevole.
Lasciai a terra i cocci e alzai lo sguardo, sfidandolo. Io avevo lasciato i cocci, ora cosa avrebbe fatto?
Si alzò da terra e aggrottai le sopraciglia. Cosa stava facendo? Mi porse una mano e l’accettai insicura.
Mano nella mano mi portò in cucina, dove bagnò un fazzoletto con un po’ d’acqua. Io ero seduta sul tavolo e l’osservavo divertita.
Si avvicinò a me e mi prese delicatamente la mano, iniziando a tamponare il piccolo taglietto non lasciando mai il mio sguardo.
Era una situazione piuttosto imbarazzante, soprattutto per me che rimanevo lì a fissarlo con aria scocciata.

«Mm…» Mugolai soltanto una volta finito. Presi la scopa e iniziai a togliere tutti i cocci dal pavimento, mentre lui provava – non riuscendoci – a togliere il caffè da terra.

«Non sei un grande casalingo, sai?» Lo presi volutamente in giro. Mi avvicinai e con una spugna bagnata iniziai a tamponare un po’ sul tappeto.
Mi osservava in silenzio. Avevo i capelli legati in una coda alta da cui sfuggivano diverse ciocche. Damon silenziosamente prese una ciocca dei miei capelli e li posò dietro il mio orecchio.

«Piccola, sei tu che hai fatto cadere la tazza di caffè…» Commentò ironico. Mi alzai da terra e mi diressi in cucina.
Le 2.32. Perfetto, avevo sprecato altro tempo. Non ribattei e presi il mio libro di trigonometria.
Non feci in tempo a fare due scalini, che la voce di Damon mi ridestò dai miei pensieri.

«Hai bisogno di una mano, vero?» Chiese strafottente. Alzai gli occhi al cielo. Mi morsi un labbro per non rispondere.
«Posso fare da sola.» Ribattei acida, girandomi verso di lui. Dovevo ammettere che mi aveva abbastanza sconvolta la sua proposta di aiuto. Lui non era quel genere di fratello, non mi sembrava il fratello che passava notti in bianco per aiutarmi…A pensarci bene non mi sembrava proprio un buon fratello.

«Oh, vedo come puoi fare da sola.» Si avviò verso il salotto, sapendo che io lo stavo seguendo. Quanto detestavo dover dargli ragione! Non potevate neanche immaginare quanto mi dia fastidio.
Si sedette sul divano e accese la lampada che vi era accanto. La casa era completamente buia, solo sul divano c’era un po’ di luce.
Mi fece cenno di sedermi. Con l’espressione dura e l’eccitazione nello stomaco mi sedetti sul divano il più lontano possibile da lui.

«Non mordo mica» Commentò ironico. Arricciai il naso e mi avvicinai di più a lui, porgendogli il mio libro. Lui in tutta risposta chiuse il libro e lo scaraventò alle sue spalle. Lo guardai storto. Cosa stava facendo?

«Io dovrei studiare con quel libro.» Dissi acida. Come voleva aiutarmi? Mi stava prendendo in giro? La cosa più divertente, però, era un’altra: mi ero fidata di lui!

«No, invece.» Ribatté sicuro. Tutta questa sicurezza mi dava il nervoso e mi provocava dei nodi allo stomaco. Lui era uno delle poche persone che fin’ora erano riuscite a fronteggiare il mio sguardo arrabbiato.
Era uno tosto. Sicuro di sé. E non credo mollasse facilmente.

«Secondo me, sei troppo nervosa. Le nozioni le sai, devi solamente scacciar via il nervosismo.» Continuò. Aggrottai le sopraciglia. Mi fece segno di poggiarmi a lui.
Completamente impietrita poggiai la testa sul suo petto marmoreo.
«Ora chiudi gli occhi.» Lo ammonii con lo sguardo.

«Non voglio chiudere gli occhi.» Dissi con un sorrisetto divertito. Il suo sorriso alle mie parole sparì velocemente, lasciando posto ad un ghigno strafottente.

«Elena, chiudi gli occhi! Non è difficile, cazzo!» Sibilò arrabbiato. Dopo avergli rivolto un’ultima occhiataccia chiusi gli occhi, anche se ero completamente rigida.
Iniziò ad accarezzarmi lentamente i capelli. Non avevo capito a cosa serviva questa sua idea, ma lo lasciai fare.

«Devi rilassarti. E’ inutile studiare troppo, ora devi solamente cercare di far uscire fuori il tuo nervosismo.» Disse. Be’…Forse per una volta, non aveva avuto una brutta idea.
Cercai di sciogliermi un po’ e ammisi a me stesse che in effetti l’ansia che avevo accumulato in quei giorni si stava dissolvendo lentamente.
Mi rilassai sempre più, sotto le carezze di Damon. Stavo bene. Credevo di poter rimanere così per tanto tempo.

«Sei sveglia?» Mi chiese dopo un po’, cercando di non far trapelare l’ironia della sua voce. Perché doveva parlare? E perché aveva smesso di accarezzarmi i capelli?

«Mm…Sì…» Mugolai, sistemandomi meglio. Era comodo stare su di lui, in effetti.

«Potrai mai perdonarmi?» Chiese curioso, abbandonando finalmente il suo tono derisorio e usando un tono serio.
Ci pensai su. Dopo vent’anni voleva essere un buon fratello? Dopo tutto questo tempo?

«Non basta comportarsi da fratello una tantum, sai?» Gli chiesi, aprendo finalmente gli occhi. Il mio tono era canzonatorio, ma non riuscivo a essere gentile…Ogni volta che vedevo i suoi occhi, però, qualcosa mi diceva di fidarmi.

«Posso essere un bravo fratello? Per te?» Chiese. Quelle parole. Da quanto tempo sognavo che mio fratello mi dicesse quelle parole? Da troppo tempo.
E ora? Come me ne facevo delle parole? A me non servivano le parole. Io volevo solo un fratello, non chiedevo altro. Volevo entrambi i miei fratelli al mio fianco.

«A me servono i fatti, Damon. Non le parole.» Chiusi gli occhi. Li chiusi perché sapevo che avrei ceduto se avessi incontrato quelle due pozze color mare.
Lo sentii sospirare e spiando vidi che mi osservava con un ghigno strafottente sulla faccia. Iniziò ad accarezzarmi i capelli e mi beai delle sue attenzioni. Dai capelli si spostò ad accarezzarmi col dorso della mano il volto, per soffermarsi – forse più del dovuto – sulle mie labbra.
Cosa stava facendo? Il mio cuore iniziò a battere sempre più velocemente. Spostò la sua mano sul mio collo, iniziando a sfiorarlo lentamente. Mi lasciai sfuggire un verso e poi con calma sprofondai in un sonno profondo.
 
Mi stiracchiai lentamente e aprii gli occhi. La mia sveglia segnava le 8.13. 
Per le nove dovevo stare al Dalcrest e oggi sarebbe venuta Caroline a prendermi in macchina. Oggi, la mia è off-limits perché serviva a papà, la sua Camaro lo aveva lasciato a piedi.

Stropicciai gli occhi e il sole penetrò dalla tenda di camera mia. Un momento…Camera mia? Come c’ero arrivata in camera mia?
Ieri mi ricordavo solo di essermi appisolata su Damon. Un momento…Appisolata su chi? Mi alzai velocemente dal letto – forse troppo – e un mal di testa lancinante mi colpì, colpa della serata precedente.
Il mio cellulare era poggiato sul comodino con vicino il mio libro. Ero coperta dalle lenzuola del mio letto a due piazze e tutto sembrava intatto.

Damon mi aveva portato in camera?
Scacciai quei pensieri e legai i capelli in un’alta coda. Non li avevo legati questa notte? Perché ora erano sciolti?
Mi fiondai sotto la doccia e stranamente ero di buon umore e non ero neanche agitata per il test che avrei dovuto sostenere. Che dire…La “chiacchierata” con Damon mi aveva aiutato.

Amavo stare sotto la doccia per ore, ma non potevo fare tardi. Non lavai i capelli, visto che erano ancora puliti.
Indossai l’intimo e mi specchiai. Due grosse occhiaie solcavano il mio viso. Avevo riposato – bene – ma per poche ore e questo era il risultato.

Presi dall’armadio un leghins nero, a cui abbinai una maglietta larga bianca a stampo con un giacchetto di jeans che arrivava a metà busto.
M’infilai velocemente le converse bianche e corsi verso il bagno per cercare di coprire quelle occhiaie.
Misi un po’ di fondotinta e anche del fard per adottare un colorito meno cadaverico. Pettinai i miei capelli e li lasciai liberi dietro la schiena. Non mi truccavo molto per una giornata scolastica: solamente del mascara water-proof e un lucidalabbra che rendeva più piene le mie labbra.

Presi la tracolla e il mio cellulare.
In cucina c’erano papà – intento a cucinare delle uova con bacon –, Stefan che beveva una tazza di latte – e Damon che era stravaccato su una sedia.

Mi avvicinai a papà e gli lasciai un sonoro bacio sulla guancia. Presi poi una brioche dal tavola.
«Come ci sono arrivata ieri in camera mia?» Chiesi guardando Damon e addentando la brioche. Stefan alzò le spalle ignaro di tutto e papà fece finta di continuare a cucinare anche se in realtà moriva dalla voglia di sapere cosa stavamo nascondendo io e Damon.

«Oh, il cellulare…Elena» Disse con un sorrisino divertito. Salvato in calcio d’angolo. Socchiusi gli occhi e aprii la chiamata.

«Caroline, esco fuori…Scusa l’attesa.» Dissi, salutando tutti con la mano e prendendo la mia tracolla. Uscii fuori di casa ma non c’era la mia amica ad aspettarmi.

«Perché non sei fuori?» Chiesi aggrottando le sopraciglia. Controllai l’ora. Erano le 8.32 – contando una ventina di minuti per arrivare al Dalcrest avrebbero fatto giusto in tempo.    – Questo volevo dirti. Non posso venire oggi al college, ho la febbre. – Disse tra uno starnuto e un colpo di tosse.
Alzai gli occhi al cielo e mi sedetti sulla veranda con la testa fra le mani. Una volta tanto che potevo avere un buon risultato in trigonometria, non avevo un passaggio! Non era giusto!

«Oh, Care…Non preoccuparti. Riposati, piuttosto.» Le consigliai, chiudendo il contatto. Andiamo, ma che razza di sfiga avevo? Papà aveva la mia macchina, Stefan non si muoveva da casa perché doveva studiare qualche materia e Damon…be’ di sicuro non avrei chiesto a Damon un passaggio!

Chiusi gli occhi e cercai di calmarmi. Non potevo saltare quel test, altrimenti avrei dovuto recuperarne due la prossima volta e non ne avevo proprio voglia!
Fui ridestata dal clacson di un auto.
Damon era nella sua Camaro Blu e mi sorrideva divertito. Quanto odiavo questa situazione.
Mi sistemai meglio la tracolla e mi avvicinai a lui.

Damon ha un auto, tu hai bisogno di auto…Fai due più due! Mi suggerì la mia coscienza. Non l’avrei ascoltata – come succedeva il più delle volte – e avrei ripetuto il test.

Sicura di non essere brava anche in matematica oltre alla trigonometria? Sbaglio o la mia coscienza mi stava dando della stupida?

Scossi la testa e mi avviai verso Damon che aveva un ghigno soddisfatto in volto.

«Non vuoi un passaggio, piccola?» Chiese. Da Elena a piccola? Perché non mi chiamava col mio nome e basta?
«Preferirei rimanere bloccata qui che accettare un passaggio da te.» Risposi con un sorrisetto di sfida. Damon – ovviamente nel suo look total black – abbassò gli occhiali da sole e mi guardò con quegli occhi penetranti e magnetici.

«Non fare l’orgogliosa. Il mio college è poco più lontano dal tuo.» Disse, aprendo lo sportello. Mi morsi il labbro.
«Sono le… - guardò il suo cellulare – 8.40. Che hai deciso?» Chiese con tono canzonatorio. Alzai gli occhi al cielo ed entrai in macchina, anche se sapevo che me ne sarei pentita presto.
Salii in macchina e non potei non vedere il sorriso allargarsi sul suo volto. Forse aveva vinto una sfida, ma non la guerra.

«Damon, tu sai per caso come sono arrivata in camera mia?» Chiesi ancora, fissando la strada avanti a me.

«Be’…Eri completamente spalmata su di me e ho pensato di portarti in camera…Tranquilla non è successo niente.» Ammiccò. Non sapevo se essere disgustata per quello che stava pensando o se essere contenta del fatto che si era preoccupato per me.
«Se volessi fare qualcosa, chiamami hai il mio numero.» Perché ogni cosa che mi diceva prendeva una piaga strana e perversa?

«Damon non ti chiamerei, neanche se fossi l’ultimo uomo sul pianeta e io fossi l’unica speranza per creare una nuova generazione.» Sibilai con un sorriso enorme sul volto. Damon assottigliò lo sguardo e poi scoppiò in una fragorosa risata.

«Piccola, non sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto.» Disse, svoltando a sinistra sulla statale.
«Oh, immagino…Soltanto che non tutte le ragazze sono come me.» Sorrisi, sapendo di essere anch’io molto modesta. Lui mi squadrò pochi istanti.

«Non tutte le ragazze sono scontrose, antipatiche, acide…» Disse. Lo stavo per mandare al quel paese.
«…e incredibilmente sexy, attraenti e maliziose contemporaneamente.» Continuò la frase, lanciandomi un’occhiatina divertita.
Ci stava provando con sua sorella?

«Giusto…E non tutti i fratelli ci provano con le loro sorelle che non vedono da più di quindici anni.» Ribattei piuttosto incattivita. Il sorriso di Damon scomparve all’istante e indurì i lineamenti.
«Mm…Per una volta sola, Elena, potresti smetterla di incolparmi?» Chiese con una finta ironia. Mi morsi un labbro e feci finta di pensarci.
Stavo per rispondere ma m’interruppe bruscamente.

«Non morderti in quel modo il labbro.» Disse, stringendo la presa sul volante. Lo guardai sorpresa e lasciai andare il mio labbro da quella tortura.
«Perché?» Chiesi curiosa. Damon era un mistero. Non lo conoscevo e non sapevo neanche cosa amava fare e i suoi modi di fare. Anche se quel poco di cui ero a conoscenza mi affascinava, aveva un carattere particolare.
«Sei sexy.» Rispose, leccandosi il labbro. Fui invasa dal disgusto più totale. Stava facendo il galletto con sua sorella?

«E non tutti i ragazzi sono come me, ovvero irresistibile e anche rispettoso delle donne.» Si corresse. Il mio sguardo era ancora duro. Questo suo lato da bravo fratello non gli calzava affatto o forse ero io che non ero abituata a questo suo lato?

«Potresti dire un ‘grazie’ e per una volta accettare che abbia fatto qualcosa per te, come farebbe un buon fratello?» Sbottò vedendo la mia incertezza. Aveva colpito nel segno. Non mi fidavo, non riuscivo a pensare che volesse diventare un buon fratello e non avevo tutta questa voglia di credergli.

«Il punto è che tu non sei un normale fratello.» Dissi con un pizzico di cattiveria. Damon invece colse solo il sarcasmo della frase.
Io, nel frattempo, mi chiedevo tra quanto tempo arrivassimo! Insomma, oggi il tragitto per il college sembrava più lungo del solito!

«Se per quello neanche tu sei una normale sorella. Sei attratta da me.» Affermò con un’alzata di spalle. A quelle parole mi strozzai con la mia saliva. Io ero attratta da lui? Pft. Si faceva canne? O qualcosa di più pesante?
«Damon, parliamoci chiaro, non sarei attratta da te neanche se dovessi scegliere tra te  e un babbuino decerebrato.» Dissi sorridendo.
Babbuino decerebrato? Insomma, tra tutti gli insulti che potevi dire questo è il migliore? Disse la mia vocina, scoppiando a ridere.
O andiamo! Questo è il primo che mi è venuto in mente! Pensai con espressione confusa. Nella mia testa la mia coscienza rideva come una stupida.
Sto parlando da sola? Pensai ancora. Damon mi faceva un effetto strano. Possibile che riusciva a darmi il nervoso in questo modo? Mi dava al cervello e avevo voglia di prenderlo a schiaffi.
Sì, stai parlando da sola. Confermò le mie teorie la mia coscienza. Chiusi gli occhi e scossi la testa. Stavo parlando da sola, perfetto!

«Piccola, io sceglierei te – in qualsiasi situazione –, neanche se dovessi scegliere tra una top model e te.» A quelle parole mi addolcii leggermente e per un secondo considerai l’ipotesi che quel ragazzo fosse bipolare. Non era normale, anzi noi non eravamo fratelli normali.
Passavamo dall’insultarci a farci dei complimenti in meno di un minuto.
Arrossii leggermente, sentivo le guance in fiamme e istintivamente abbassai la testa per non fargli vedere il rossore.

«Sono riuscito a far arrossire la mia sorellina…Wow! Non sei poi così tosta come credevo.» Mi prese in giro. In risposta gli arrivò un bel pugno sul braccio.
Damon fece una faccia corrucciata – mi stava prendendo in giro – e poi scoppiò in una risata.

«Non che non mi piaccia che una donna abbia il controllo, eh…Ma mi serve ancora quel braccio.» Disse distogliendo per pochi secondi lo sguardo dall’entrata del college – finalmente arrivati! – e guardare me negli occhi.
«Le donne hanno il controllo sul tutto, Damon.» Gli ricordai, specchiandomi sul vetro dell’auto. Avevo un aspetto presentabile, anche se quelle occhiaie non sarebbero sparite molto presto.

«Non con me, tesoro.» Ammiccò per poi scendere dall’auto. La prima cosa che pensai fu: se un giorno dovessi per qualche strana ragione innamorarmi di lui, non riusciremo mai a comprenderci!
Quel pensiero si fece strada in me ed ebbi un sussulto. Io e Damon fidanzati…Bleh! Che immagine raccapricciante!
Damon mi aprì la portiera e mi porse la mano. Alzai lo sguardo e valutai l’opzione di alzarmi senza accettare la sua mano o provare a fare la brava ragazza e prendergli la mano.

Andiamo! Sappiamo entrambe che vogliamo accettare la sua mano. Quindi, ELENA SALVATORE, accetta quella mano! Mi rimproverò la mia coscienza.
Afferrai incerta la mano e scesi dall’auto.

Wow, mio fratello che mi accompagna a scuola! Quante volte l’ho sognato? Pensai. Mille sguardi si posarono su di noi e sorrisi quando mi ricordai che da piccola volevo che Damon mi accompagnasse a scuola per rendere gelose le mie amiche di avere un fratello bello come lui.
Sospirai a quel ricordo e cercai di non farci caso.
Damon chiuse la portiera e mi sorrise.

«Questo è quello che fa un buon fratello.» Dissi guardandolo. A quelle parole strabuzzò gli occhi. Non si aspettava che gli dicessi una cosa del genere? In effetti non volevo dirgli niente, ma quando vidi quegli occhi azzurri che mi fissavano non connessi più la bocca al cervello.

«L’hai detto tu, no? Preferisci i fatti alle parole.» Si aggiustò la giacca e si tolse gli occhiali. I suoi occhi scrutarono attentamente tutti quelli che ci stavano fissando e ridacchiò leggermente quando vide Matt che lo inceneriva con lo sguardo.

«Credo che il tuo ragazzo sia geloso di tuo fratello.» Sghignazzò tra una risata e l’altra. Lo seguii anch’io a ruota.
Tutt’un tratto però la sua risata cristallina si fermò e il suo sguardo si assottigliò. Quello sguardo duro non era rivolto a me, era rivolto a qualcuno dietro di me.

«Damon.» Lo salutò una voce. Mi girai e vidi un ragazzo alto, con capelli scuri e un orecchino all'orecchio destro con due occhi grigi. Faceva leggermente paura. Damon gli sorrise divertito – anche se si vedeva che il suo sorriso era forzato – e gli diede una pacca sulla spalle.

«Enzo.» Fece un cenno. Io era in mezzo ai due ed ero in netto imbarazzo. Chi era quel ragazzo? Forse era l’amico da cui Damon si era rifugiato il giorno del suo arrivo.

«Non mi presenti la tua nuova fiamma?» Chiese con un luccichio strano negli occhi. Aprii la bocca per ribattere, ma Damon mi bloccò.
«Lei è Elena. Elena vai in classe.» Disse freddo. Mi sorpresi del tono che usò. Dov’era finita la sua gentilezza? Gli alzai il dito medio, gli sorrisi e mi allontanai da lì.
Dovevo liberare la mente per il test e questo significava liberarla da Damon! 
 






Angolo dell'autrice: Dopo cinque giorni spaccati, ritorno ancora a rompervi! Contenti? *rumore di grilli*
In tutti i casi, inizio con i ringraziamente, grazie alle 5 buone anime che hanno recensito, ovvero Smolderina78, PrincessOfDarkeness90, NikkiSomerhalder, Darla19 e Atlentide08. Grazie alle 11 buone anime che hanno inserito la storia tra le preferiti e le 15 che l'hanno inserita nelle seguite! E infine ringrazio tutti i lettori silenziosi!
Finiti i ringraziamenti, riprendiamo i discorsi seri: il capitolo! Che ne pensate? Vorreste anche voi un fratello così? IO SI'! Damon che ritorna sbronzo è il massimo, anche se secondo me lui era già attratto da Elena. Caroline che da buca a Elena è il massimo e così lei è costretta ad andare con Damon. In Macchina poi volano scintille tra quei due! Per non parlare di quant'è dolce Damon (dolce non è la parola che lo descrive, però non mi viene altro in mente XD). Voi gli dareste un'altra chance oppure sareste ferme come Elena? Io SI', solo perchè è lui ovviamente ^-^
E infine...COLPO DI SCENA *rullo di tamburi*...Entra in scena ENZOU!!!! Lo amo. Quel ragazzo è magnifico e ho deciso di inserirlo. Ora una piccola domanda...Caroline la vedete meglio con Enzo o con Stefan? Io la vedo meglio con Enzo, anche perchè lo Steroline non mi piace gran ché. Giusto, per sapere la vostra opinione.
Ci sentiamo alle recensioni!
Bacioni, Cucciolapuffosa.

 

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Capitolo 4
*** Race Illegal! ***


Capitolo quattro.
Race Illegal!
 
Ero in macchina con Caroline e sprizzavo gioia da tutti i pori. Il test di trigonometria era andato anche meglio del previsto! Avevo ricevuto i risultati dopo tre giorni che l’avevo fatto e avevo preso il massimo punteggio.
Da un lato ero contenta di aver superato il test col massimo, ma da un lato ero infastidita perché sapevo bene che dovevo ringraziare Damon. Molto probabilmente senza di lui, l’ansia mi avrebbe preso alla sprovvista e avrei fallito.

«Elena! Non mi stai ascoltando.» Mi ridestò una voce. Caroline stava guidando verso Mystic Falls e da quando l’avevo raggiunta in caffetteria stava blaterando su non-so-che e non avevo capito niente!

«Già…Care, non ho capito molto. Riassumi tutto in poche parole?» Chiesi io, sbattendo gli occhioni con finta innocenza. Lei alzò gli occhi al cielo e sterzò verso destra.
«Oggi, al campus ho incontrato un ragazzo.» A quella parole m’interessai maggiormente alla conversazione. Un ragazzo? Da quanto Caroline non usciva – seriamente – con un ragazzo? Da circa cinque mesi, da quando lei e Stefan avevano rotto.
La loro storia non avrebbe funzionato, ma in tutti i casi erano rimasti migliori amici. Non sempre l’amicizia si trasformava in amore, anche se io ci speravo.

«Abbiamo parlato e parlato e parlato per ben due ore!» Trillò contenta. Parlato? Caroline che parlava per due ore con un ragazzo senza combinarci niente?
Forse stava perdendo il suo tocco, pensai con un ghigno.

«Caroline di cosa avete parlato bene più di un ora?» Chiesi curiosa. Non riuscivo io ad intavolare un discorso sensato con lei per tutto questo tempo!
Lei arrossì e mi accennò un sorrisino diabolico. Quel sorriso non portava niente di buono, questo significava che mi avrebbe cacciato in un guaio gigantesco e che alla fine ci avrei rimesso io.

«Di molte cose, ma non è questa la parte interessante…» Sussurrò con un pizzico di malizia. Ecco, la Caroline che conoscevo da tempo! C’era di sicuro qualcos’altro sotto.

«Mi ha invitato a una festa, stasera.» Chiusi gli occhi. Una festa e io non ne sapevo niente? C’era dell’altro. Che festa era?
«Cosa non mi stai dicendo?» Indagai. Lei si morse il labbro continuando a guidare, imboccò la via di casa mia e cercava – in modo pessimo – di depistarmi.
Non era una festa organizzata dal college, l’avrei saputo perché di sicuro Matt mi avrebbe chiesto di accompagnarlo e anche perché le feste erano aperte a tutti.

«Ecco, lui non è della nostra università. E’ più grande di un paio di anni.» Ammise. Ecco, dov’era la fregatura. Era una festa organizzata da un altro college e a giudicare dal suo comportamento – troppo evasivo – non era una festa aperta, probabilmente era organizzata da qualche confraternita.

«Dove si fa la festa?» Chiesi, facendo la disinteressata. In realtà, mi piaceva l’idea di andare a una festa. Non ce la facevo più a rimanere a casa persino il Sabato sera, mi annoiavo alle feste delle ragazze del college e il nostro gruppo in quel periodo era troppo occupato con le domande su alcuni stage!
Bonnie era ancora a Boston, Stefan era impegnato fino al collo con gli esami, Tyler non si faceva più sentire…Insomma, era tutto un casino! Uno strappo alla regola, una volta tanto si poteva fare giusto?

«Vicino al MFE’s College.» Rispose con un sorriso enorme. Questo nome mi era familiare, forse fin troppo…Carburai le informazioni che avevo e cancellai immediatamente l’idea di andare a quella festa.

«Non ci verrò neanche sotto tortura. E’ il college di Damon!» Sbottai io. Lei mi pregò in tutti i modi possibili e immaginabili, fin quando non sfoderò la sua arma segreta: labbruccio tremolante.

«Si tiene vicino al boschetto del MFE’s College, non lì.» Mi spiegò Caroline. In effetti…Non era una brutta idea.
«E poi…Diciamocelo, Damon che partecipa a una festa di una confraternita?» Chiese la bionda, scoppiando a ridere seguita a ruota da me. Uscii dalla macchina e presi la mia tracolla.
«Caroline, mi vieni a prendere tu alle dieci, okay?» Confermò e la salutai, tutta contenta entrando a casa con le chiavi.
La prima cosa che decisi di fare era andare a ringraziare Damon, dopotutto lui mi aveva – stranamente – aiutata.
I tre uomini di casa erano riuniti in cucina. Presi la rincorsa e mi catapultai tra le braccia di Damon che mi prese al volo con un sorriso provocatorio stampato in volto.
Okay…Questa reazione era stata esagerata! Gli saltai – letteralmente – addosso, allacciai le gambe alla sua vita e Damon posò le sue mani poco sopra il mio sedere.

«Ho una notiziona!» Urlai contenta ma col fiato corto per la scenetta che avevo appena fatto davanti ai miei familiari.
Damon mi fece scendere e inarcò un sopraciglio.

«Oh, be’…Se volevi saltarmi addosso, forse dovremo salire…» Ammiccò leggermente. Lo fulminai con lo sguardo e alzai gli occhi al cielo. Possibile che dovesse cogliere sempre un doppio senso in qualsiasi cosa faccia?
«Ho preso il massimo a trigonometria!» Urlai contenta, saltellando su me stessa contenta. Damon strabuzzò gli occhi e senza rendersene conto mi prese per i fianchi facendomi girare.
Scoppiai a ridere e lui mi seguì a ruota. Non mi ero mai resa conto che la sua risata fossi così cristallina e orecchiabile.
«Cosa vi è successo?» Proruppe Stefan. Mi resi conto che quella scenetta l’avevano vista anche papà e Stef. Mi morsi un labbro e sbuffai, sperando che Damon dicesse qualcosa.

Era divertente, però, vedere papà con la lista della spesa in mano con la bocca aperta a forma di O e Stefan con un espressione sconvolta.

«Sai, fratellino, ho pensato di aiutare la mia piccola in trigonometria.» Okay…Mi aspettavo una risposta qualsiasi, ma mai mi sarei aspettata tanta gentilezza nel dirlo.
Un momento…La mia piccola? Insieme a piccola, si è aggiunta mia? Pensai fulminandolo con lo sguardo. Gli assestai un piccolo schiaffetto sul braccio che lo fece ridere.

«La smetti di chiamarmi piccola! Mi irrita.» Dissi scocciata. Scrollai le spalle e mi tolsi il maglioncino bianco che indossavo sopra il vestito blu con leggera scollatura a cuore.

«Va bene…Preferisci micetta?» Chiese ironico.
«Sai dove potete andare tu e i tuoi insopportabili sopranomi, Damon?» Chiesi io con un sorrisetto da perfetta stronza in faccia.
Era strano come riuscissimo a cambiare i nostri rapporti in pochi secondi, un momento prima gli saltavo addosso e lui faceva il gentile e pochi istanti dopo ci stavamo dando guerra come se non ci fosse un domani!

«Sai che non si risponde a una domanda con un’altra?» Feci finta di rifletterci su, mentre sul viso di Stefan si dipingeva un sorrisetto.

«Ora tu hai risposto alla mia domanda con un’altra, quindi non vedo dove sia il problema.» Mi aggiustai i capelli e mi sedetti sul tavolo, guardandolo con aria di sfida. Damon abbassò gli occhiali da sole – che indossava costantemente – e se li tolse completamente. Si avvicinò a me e si posizionò a pochi centimetri da me. La nostra posizione era piuttosto scomoda.
Io ero seduta sul tavolo e lui mi avvicinò a sé. Aggrappai le mie gambe alla sua vita e alzai la mano per dargli uno schiaffo, ma lui mi bloccò la mano.

«Touchè, Elena.» Scandì per bene il mio nome e si allontanò con un insopportabile sorriso stampato in volto.
Papà mi fissava ancora sconvolto, mentre Stefan tra poco si strozzava per le risate. Mi aggiustai il vestito e scesi dal tavolino.
Era il momento di chiedere a papà della festa.

«Papino…» Lo adulai leggermente sbattendo gli occhi. «Posso andare a una festa questa sera?» Chiesi con finto tono dolce.
Mio padre era uno dei migliori padre del mondo, ma per quanto riguarda l’argomento “feste” non era molto accondiscendente.

«Dove, Elena?» Chiese, continuando a cucinare il pranzo. Lanciai uno sguardo sia a Stefan che a Damon in cerca di qualche aiuto. Stefan scosse la testa, ritornando sul suo libro Cime tempestose e Damon mi sorrise come un idiota.
Molto probabilmente, se avessi detto dove si sarebbe tenuta la festa mio padre non mi avrebbe mandato perciò optai per una mezza bugia.

«A una confraternita del college.» Non avevo detto una bugia, per lo meno avevo optato per una mezza bugia. Si teneva al college, ma non al mio di college.
Stefan – infatti – si accigliò ma con un’occhiataccia gli feci capire di non aprire bocca. Più tardi, avrei pensato ad una scusa anche con lui.

«Una feste del college? Elena…» Sospirò pensandoci, mentre il mio io interiore festeggiava convinta di aver avuto il suo permesso.
«Non se ne parla. Sei piccola, non voglio che tu vada a queste feste. Mi metti ansia.» Disse irreprensibile. Sgranai gli occhi e decisi di giocare la mia ultima carta.

«Stefan verrà con me. Dai!» Lo pregai. Essere l’unica figlia femmina a volte era una tortura, non potevo usare l’auto di sera, non potevo andare alle feste senza un ragazzo! Era assurdo!

«Per tua sfortuna, Stefan ha un appuntamento con Lexi!» Disse papà. Il mio sorriso sparì all’istante. Stefan usciva con Lexi? Era quella ragazza alta, bionda, occhi scuri che frequentava il mio stesso corso di letteratura?
«Perché non mi hai detto che la frequenti?» Chiesi piccata. Ovvio…Stefan non doveva dar conto a me per le sue relazioni, ma ogni volta che usciva con qualche ragazza di solito me lo diceva. Perché questa volta non me l’aveva detto?
«Non ho avuto ancora modo di dirtelo. Anche perché è la prima volta che usciamo.» Mi spiegò. Annuii e gli lanciai un’occhiataccia per dirgli ‘ora sostieni tutte le cazzate che dirò e poi ne riparliamo’.
Damon tra noi era quello più calmo. Era seduto a tavola e si divertiva a vedere quei battibecchi.

«Allora ci andrò da sola!» Ribattei a denti stretti. Ogni volta che c’era una festa a cui Stefan non andava anche io – per mio padre – non potevo andare.

«No. Elena lo faccio per la tua sicurezza.» Ripeté fino alla nausea. «Ora possiamo sederci e mangiare come fanno tutte le altre famiglie normali?» Chiese alzando forse un po’ troppo la voce.
Con un diavolo per capello mi stravaccai sulla sedia e incrociai le braccia sotto il seno, fulminando sia papà che Stefan.
Mangiavamo in silenzio e la tensione era palpabile. Ogni occasione – per me – era buona per mandare frecciatine a mio padre per provare a convincerlo ma era irremovibile.

«Elena, tu non andrai a quella festa! Punto e basta.» Tuonò papà. «Ora passami il sale, per favore.» Presi il sale e lo feci rotolare brutalmente per la tavola.
«Cosa c’è, ti dà fastidio che la principessina di casa non abbia avuto quello che voleva?» Intervenne Damon, provocandomi. Lasciai cadere la forchetta nel piatto e bevvi un sorso d’acqua.

«Damon, non è il momento per le tue battutine idiote. E non chiamarmi principessina di casa.» Grugnii tra i denti, mangiando un pezzo di lasagna. Lui invece era soddisfatto. Perché era quello il suo intento! Lui amava infastidirmi e io amavo rispondergli per le rime.

«Va bene, principessina. E’ brutto quando capisci che il mondo non gira intorno a te.» Continuò ancora. Aprii la bocca per rispondergli sgarbatamente, ma mio padre interruppe il nostro scambio amorevole di battute.
«Damon, potresti smetterla di dire sciocchezze?» Per un momento la rabbia che provavo per papà si dissolse debolmente.

«Ho detto la verità. Il mondo non gira intorno a lei.» Fece spallucce, prendendo un boccone di pasta.
Assottigliai lo sguardo e analizzai le diverse opzioni che avevo in mente: ucciderlo, lanciargli la forchetta o replicare cercando di essere meno offensiva possibile davanti a papà.

«Damon…te lo ripeterò un ultima volta. Non me ne può fregar di meno cosa pensi di me. E figurati che pensavo potessi diventare un fratello decente…» Sbuffai. Sapevo di aver colto l’orgoglio di Damon. La faccenda del buon fratello gli stava dando la testa e mi piaceva prenderlo in giro.
«Elena…te lo dirò una sola volta. Non me ne può fregar di meno cosa dici di me. Figurati che pensavo potessi diventare una ragazza meno rancorosa.» Mi provocò con un sorrisetto. Ci guardavano in cagnesco e tra poco uno dei due sarebbe salito addosso all’altro per prenderci a cazzotti.

«Sapete che mi è venuta in mente una grande idea?» Intervenne papà, distogliendo Damon e me dalla nostra litigata.
«Sentiamo.» Lo incoraggiò Stefan, mentre prendeva un sorso d’acqua.
«Elena andrai a quella festa!» Annunciò papà. Io feci un sorriso vittorioso rivolto a Damon e Stefan sorrise contento anche per me.
Lo ringraziai e presi un bicchiere di coca cola.

«Ovviamente accompagnata da Damon!» Tuonò ancora più contento. La sorpresa mi prese alla sprovvista. Sputai il liquido che avevo in bocca sulla persona che avevo di fronte a me, ovvero Damon.

«ELENA!» Grugnì arrabbiato, togliendosi la coca cola dalla faccia. Io soffocavo ancora per la notizia shock, papà mangiava guardandoci come se fossimo degli extra terrestri e Stefan rideva a crepapelle.

«Elena, cosa?» Lo provocai con un angelico sorriso. Batté i pugni sul tavolo e mi rivolse un’occhiata infuocata.
«Io non andrò alla festa con lui.» Dissi, guardando Damon in modo indecifrabile. In questo momento l’unica cosa che volevo fare era litigare con lui per poi fare pace e riprenderci ancora in giro.
«Io non andrò alla festa con lei. Ho già altri programmi.» Disse lui, fissandomi e scrutandomi. Saremo andati a finire male.

Elaborai quelle parole e sorrisi. Questo significava che lui non mi avrebbe accompagnato? Dentro di me festeggiavo contenta, sperando che papà mi lasciasse andare da sola.
Per un momento pensai che forse era meglio dirgli che veniva anche Caroline, il problema era se papà avesse chiesto informazioni alla madre di Care. Lì, ci sarebbero stati grossi guai.
«Elena, allora non si fa niente.» Disse.
Oh, no papà. Oggi si gioca a modo mio. Pensai con un sorrisetto diabolico sul volto.
 

Ero ancora indecisa su cosa indossare quella sera. Ero davanti allo specchio e osservavo il mio riflesso. Il vestito che avevo deciso di indossare era senza ombra di dubbio perfetto.
Indossavo un vestito aderente nero che arrivava sulla coscia. Era completamente in pizzo, lasciava la schiena scoperta e la scollatura era a cuore.
Indossai dei bei tacchi, non troppo difficili da portare col cinturino così era più semplice camminarci sopra.
Arricciai leggermente i capelli e misi degli orecchini a cerchio. Un po’ di trucco – solo del mascara, della matita e del lucidalabbra – e il gioco era fatto.
Mi assicurai che la serratura fosse chiusa a chiave e presi il mio cellulare per comporre il numero di Caroline.
Primo squillo. Secondo squillo.

Elena, tesoro, vengo a prenderti tra pochi minuti, okay? Convinto tuo padre? – Chiese a raffica. Ecco…Piccolo problemino, papà non mi aveva dato il permesso però avevo un piano.
«Care…passa dal retro. Devo uscire dalla finestra.» L’avvertii, mettendo dei cuscini sotto il piumino. Capii chiaramente che era rimasta leggermente sconvolta, probabilmente ora stava boccheggiando ed elaborando una risposta coerente.

Tu cosa? Elena, sei un genio! – Trillò contenta. Fin’ora avevo organizzati diversi piani e bene o male erano tutti andati a buon fine, se volevano escludere la volta in cui mi ero fatta male al braccio e la volta in cui avevo preso una sbronza colossale.

«Fammi uno squillo. Devo ingegnarmi per scendere dalla finestra.» Staccai il telefono e mi specchiai. Presi quasi un colpo, quando mi resi conto che alle spalle avevo Stefan che mi osservava divertito.

«Cosa mai in ghingheri?» Chiese ironico. Era sull’uscio della porta e papà poteva passare da un momento all’altro. Gli presi la mano e lo tirai dentro la stanza e chiusi nuovamente a chiave la porta.
«Come hai fatto ad entrare?» Chiesi io con lo stesso tono. Stefan si sedette sul letto e iniziò a ticchettare con le dita sul comodino: stava aspettando una risposta.

«Sto andando a quella festa, okay?» Dissi scocciata. Ora mi aspettavo la sua paternale, anche se poi mi resi conto che ora era lui a dovermi delle spiegazioni.
«Sono entrato con una forcina. Ti ricordi, me l’hai insegnato tu?» Risi a quel ricordo. Avevo dieci anni e lui dodici, mi chiese come facevo a entrare sempre in camera sua per vedere i suoi film e gli rivelai il mio segreto.
Mi sedetti accanto a lui e mi accoccolai sulla sua spalle, sperando di fargli pietà e di non fargli rivelare il mio piano a papà.
«Non hai un appuntamento di cui non mi hai avvertito?» Feci l’offesa. Lui scoppiò in una risata e mi scompigliò i capelli.
«La mia piccola sorellina. Mi ricordo di quando avevi quattro anni e correvi nuda per il giardino!» Mi prese in giro. Mi aggiustai i capelli e gli diedi un cazzotto sulla spalla.

«Si, comunque. Sto provando a uscire con Lexi e tu non dovresti fuggire per andare a questa fantomatica festa.» Mi rimproverò. Sbuffai e mi schiaffai un cuscino in faccia. La paternale era arrivata! Perché per una volta non poteva aiutarmi? E non chiudeva il becco?

«Esiste davvero?» Mi chiese ancora. Questa era una cosa che odiavo di Stef! Doveva sempre sapere tutto e cercare di dissuadermi, ma in fondo lo volevo bene anche per questo piccolo – grandissimo in realtà – difetto.
«Esiste e ti conviene assecondarmi.» Partii in quarta, provando a difendermi. Stefan mi rivolse l’occhiata da fratello apprensivo. Mi dovevo far venire in mente un’idea…L’illuminazione mi venne quando vidi una fotografia che ritraeva me, Stef e papà.

«Non mentirò a papà.» Feci un sorriso maligno, ora sì che giocavo. E giocavo sporco, se necessario.
«Allora sarò costretta a far vedere a Lexi quelle foto.» Commentai alzandomi dal letto, per dirigermi verso l’armadio e afferrare una camicia che fungeva da pigiama.

«Quali?» Chiese. Mi girai verso di lui e distrattamente iniziai ad allacciare la camicia. Scossi leggermente i capelli e battei le ciglia. Okay…Non era un comportamento che solitamente avrei adottato, ma in casi estremi…Estremi rimedi!
«Quelle in cui io ero vestita da principe e tu da Cenerentola.» Mi ricordavo ancora quando papà le aveva scattate. Avevamo deciso di scambiarci i ruoli.

«Elena, so bene che non le mostreresti mai a Lexi…però ti aiuterò, perché sono tuo fratello.» Disse, abbracciandomi. Finalmente mi stava appoggiando!
Mi tolsi velocemente la camicia e gli baciai una guancia contenta.

«Allora, papà si sta facendo la doccia. Ora potresti sgattaiolare via.» Mi consigliò. Annuii, presi il mio cellulare e me ne andai via da lì.
«Per qualche emergenza, chiamami.» Sussurrai, scendendo le scale. Mi sentii fortunata…Almeno non avrei dovuto calarmi dalla finestra e rischiare di spezzarmi l’osso del collo!
Non feci in tempo neanche a chiamare Caroline, che vidi da lontano una macchina venirmi incontro. Salii in macchina vittoriosa con la mia amica che mi guardava sconvolta.
Probabilmente non credeva che il mio piano riuscisse bene! E in effetti neanche io ci credevo molto!

«Wow, ragazza! Sei il mio nuovo idolo!» Disse, battendole il cinque. Ammiccai leggermente e chiusi lo sportello. Ce l’avrei fatta!

«Dai entrambe sappiamo che anche tu avresti potuto architettare un’idea del genere!» Feci spallucce. Caroline annuì e la squadrai meglio anch’io.
Indossava un bel vestito rosso che scendeva morbido sui fianchi con dei tacchi argentati abbinati agli orecchini. Mi morsi il labbro, il rosso le donava…Io, invece, preferivo i colori più scuri.

«Hai ragione!» Trillò, dando tutto gas. Parlavamo del più e del meno e mi resi conto che il tragitto per il college che frequentava Damon era molto simile al mio.
«Sai…In realtà pensavo…» Mi bloccai non appena sentii il mio cellulare vibrare. Era Stefan. Aggrottai le sopraciglia. Erano passati a malapena dieci minuti e già mi aveva scoperto? Avevo messo in conto l’idea che potesse scoprirmi, ma non così presto!

«Stefan, qualche problema?» Chiesi allarmata, mentre Caroline rideva. Il mio piano era stato già sventato?
- Mi devi un favore enorme! – Strillò dall’altra parte della cornetta. Cosa stava succedendo? Iniziò a raccontarmi di come papà aveva bussato alla porta di camera mia e lui – per sua sfortuna e per mia fortuna – era ancora lì.
«E cos’hai fatto?» Chiesi scoppiando a ridere. Non mi preoccupai minimante…Aveva preso a raccontarmi la storia alla lontana e nei minimi dettagli, ciò significava che alla fine non mi aveva scoperto.

- Ho imitato la tua voce, dicendo che non volevi uscire e tante stupidaggini varie! – Sbottò tra una risata e l’altra. Presi un sospiro e iniziai a festeggiare mentalmente per quanta fortuna avessi avuto.
«Ti voglio bene, Stef!» Dissi, chiudendo la chiamata. Caroline parcheggiò l’auto ed entrambe fummo costrette a scendere dall’auto e andare a piedi verso il boschetto.
Sentivo la puzza d’alcool lontano un miglio, ma non mi dava fastidio. Non ero astemia, riuscivo a sostenere bene l’alcool anche se per quella sera preferivo non bere, altrimenti papà si sarebbe accorto della mia scappatina.

«Quello lì – indicò un ragazzo che mi era familiare – è il tipo che mi ha invitata.» Annuii e mi concentrai meglio sul ragazzo. Non aveva la nostra età, ma aveva un suo fascino con quell’orecchino…L’orecchino. Dove l’avevo già visto?

«Damon.» Lo salutò una voce. Mi girai e vidi un ragazzo moro, con due occhi grigi. Faceva leggermente paura. Damon gli sorrise divertito – anche se si vedeva che il suo sorriso era forzato – e gli diede una pacca sulla spalle.
«Enzo» Fece un cenno.
Ecco, dove l’avevo già visto! Era l’amico di Damon, se amico si poteva definire visto la tensione che c’era tra i due. C’era qualcosa tra i due, una tensione palpabile anche nell’aria.

«Caroline è davvero un bel tipetto…» Commentai. La mia voce uscì più stridula del previsto. Poi un pensiero attanagliò la mia mente: E se Damon fosse alla festa?
La mia amica aggrottò le sopraciglia.

«Tranquilla, non preoccuparti…E’ un tipo apposto!» Mi assicurò. Il mio problema non era “se era o non un tipo apposto” – ovvio era anche importante visto che frequentava la mia migliore amica, ma lei era grande e poteva cavarsela da sola – il mio vero problema era che avevo un senso d’inquietudine che non mi abbandonava.
C’era qualcosa di losco in Enzo. Lo sentivo.

«Hai ragione. Enzo è un tipo apposto.» Dissi soprapensiero per poi mordermi la lingua. Lei non mi aveva accennato al suo nome.
«Come fai a sapere che si chiama Enzo?» Chiese. Accennai un sorrisino e alzai gli occhi al cielo. Ora dovevo darle spiegazioni…Che palle.

«Ehm…Damon lo conosce e li ho visti insieme una volta…» Fui piuttosto vaga, ma lei sembrò accontentarsi di quella spiegazione. Mi prese per mano e ci facemmo spazio tra la folla per arrivare dal diretto interessato.
«Ecco la mia sublime e affascinante Caroline.» Le baciò il palmo della mano. Sbaglio…o Care stava arrossendo? Strabuzzai gli occhi e ridacchiai leggermente.
Enzo spostò l’attenzione dalla mia amica a me e mi osservò leggermente spaesato. Accennai un sorriso e sperai con tutta me stessa che non mi riconoscesse.
Lo imploravo con lo sguardo di tenere la bocca chiusa e per pochi istanti sembrò capire le mie frecciatine.

«Elena, ci rincontriamo.» Rabbrividii quando sentii dalle sue labbra il mio nome. «Damon non è qui al momento.» Specificò subito dopo. Il mio cuore perse un battito e mi ritenni fortunata: Damon non mi avrebbe scoperto.
Tra i tre, Caroline era quella che capiva sempre meno.

«Dura ancora fra voi?» Chiese ancora. A quelle parole volli sotterrarmi. Io…insieme a mio fratello? Neanche per sogno.
Deglutii e vidi di sottecchi Care sgranare gli occhi. Le lanciai un’occhiatina per dirle ‘sostieni il gioco’ e lei annuì come risposta.

«Non hai idea di come si vogliono bene. Un amore così stretto!» Commentò Caroline sorridendo. Sapevo che quella situazione la divertiva, mentre io volevo scappare da lì a gambe levate.

«Strano…Damon ha la fama di essere un gran donnaiolo a Londra.» Arricciai il naso e mi chiesi perché fargli credere che fossimo fidanzati! Decisi di continuare il suo gioco, solo perché mi ricordavo il tono duro e fermo di Damon. Se voleva continuare quella farsa, un motivo c’era di sicuro.

«E’ cambiato, sai? Tutti cambiano.» Replicai piccata. Okay…Questa reazione da “fidanzata gelosa” era esagerata, mi era venuta più che altra spontanea. Con quante ragazze era stato, mio fratello?
Cancellai quel pensiero e scossi leggermente i capelli.
Presi un drink – che mi aveva gentilmente offerto Enzo – e mi girai a osservare meglio quella festa. La musica non aveva un volume molto alto e ancora non capivo perché questa festa era stata organizzata vicino al bosco!
Capii tutto quando vidi diverse macchine arrivare che si sistemarono in fila indiana all’entrata del bosco.
Il boschetto vicino la MSE’s College aveva diverse stradine interne percorribile sia a piedi che in macchina che portavano tutte al ponte Wickery Bridge.

«Enzo…E’ una gara clandestina?» Chiesi leggermente impaurita. Caroline era andata a cercarsi un grosso guaio. Lui mi sorrise, con uno di quei sorrisi persuasivi e fastidiosi.

«Tu partecipi?» Intervenne Caroline, stringendosi maggiormente a lui. Enzo le toccò leggermente il viso col dorso della mano per poi scuotere la testa.

«Questa l’ho organizzata io.» Ammiccò. Sgranai gli occhi e la bocca. Lui le organizzava? Iniziai a respirare. Cosa poteva succedere? Io non partecipavo a quelle stupide gare e nessuno di mia conoscenza avrebbe osato andarci…Quindi potevo mettermi l’anima in pace.

«Di solito le fidanzate dei partecipanti, quelle con più coraggio, vanno insieme al loro ragazzo.» Mi lanciò un’occhiatina. Cosa stava dicendo? Cosa voleva farmi capire?
Damon era qui? A fare questa gara?
Cosa farebbe una sorella normale? Chiamerebbe il padre e farebbe sgomberare la zone, o ancora meglio se ne scapperebbe a gambe levate da lì. Ero tentata di andarmene da lì, ma se Damon voleva fare una sciocchezza del genere doveva – come minimo – passare sul mio cadavere.

«Enzo, te lo chiederò una volta sola. Damon gareggia?» Chiesi seria. Non mi piaceva l’idea che mio fratello frequentasse un delinquente e non mi piaceva l’idea di un Damon ferito mortalmente in una gara del genere.
Perché poi parteciparvi? Solo per lo sfizio?

«Mm…Non so se gareggia. Ho la vista annebbiata di alcool.» Mi aggiustai i capelli e lo fissai pochi istanti. Non era sbronzo, era sobrio. Perfettamente sobrio.

«Enzo, o me lo dici o ti faccio smaltire la tua sbronza.» Lo minacciai. Lui scoppiò a ridere e non accennò minimamente a rispondere.
Da lontano vidi l’inconfondibile chioma di Damon con i suoi due occhi color azzurro ghiaccio con venature azzurre.
Col cuore che batteva all’impazzata, lasciai Caroline – sperando di averla lasciata in buone mani – con Enzo e corsi a perdifiato verso Damon che era salito su un SUV nero.
Aggrottai la fronte. Dove aveva preso quel SUV? Lui aveva una Camaro d’epoca blu! Cercai di calmarmi e lo vidi appoggiato allo sportello.
Quando mi vide sgranò gli occhi e indurì i lineamenti. Probabilmente non si aspettava la sua piccola sorellina in un luogo del genere.

«Cosa ci fai qui?» Sibilò fra i denti, prendendomi per il polso. Per un istante, fui tentata di sputargli in faccia e di avvertire papà ma cancellai quell’idea perché significava essere scoperta e mandare i piani all’aria di Damon.

«Sai…quella festa?» Annuì. «Sono venuta. Non dirlo a papà.» Lo misi subito in guardia. Vidi i suoi occhi dilatarsi e contrarre la mascella. A breve sarebbe scoppiato e mi avrebbe mandato sicuramente a quel paese iniziando a urlare.

«Chi ti ha invitato?» Chiese fra i denti. Alzai gli occhi al cielo. L’avevo appena beccato a gareggiare in una gara clandestina e lui mi chiedeva chi mi aveva invitato a quella festa? Che problemi aveva quel ragazzo?

«Mi ha invitato Caroline, che a sua volta è stata invitata da Enzo.» Spiegai a denti stretti. «Piuttosto…Di chi è questo SUV?» Gli urlai in faccia. Damon alzò gli occhi al cielo e aumentò la presa sul mio polso.

«Vai a casa, Elena.» Era minaccioso e i suoi occhi erano la parte che mi faceva più paura. Iniettati di odio e di paura. Non l’avevo mai visto così, era un suo lato affascinante e tenebroso che mi faceva paura ma che – contemporaneamente – mi attraeva.

«No, finché non mi dici di chi è questo SUV. L’hai rubato?» Chiesi a bassa voce. Lui roteò gli occhi, mentre il suo respiro era accelerato e la vena del suo collo pompava a dismisura.

«Hai una così bassa considerazione di me?» Fece ironia. Aprii leggermente la bocca e mi morsi un labbro. Era una situazione così complicata. Mio fratello frequentava dei delinquenti – in effetti, Damon aveva l’aspetto di un tipo che faceva queste cose –.

«E’ di Enzo, va bene?» Sbottò infine. Sospirai. Una cosa l’avevamo assodato. La macchina non l’aveva rubata…Ora dovevamo assodare un altro punto: perché gareggiava?

«Perché gareggi?» Chiesi ancora sospettosa. Damon mi lasciò finalmente il polso e aprì lo sportello da guidatore.
«Elena, sparisci. Tra poco gareggio e non posso parlare.» Mi ordinò. Da quando lui poteva ordinarmi qualcosa? Già era tanto se provavo a sostenerlo.
Non risposi e lui entrò in macchina. Enzo, nel frattempo, stava per dare il via alla gara. Feci finta di andarmene per non fare insospettire Damon.
Appena vidi che distolse lo sguardo, feci la cosa più idiota che potessi fare: salii sull’auto a bordo del passeggero.

«Elena scendi, ora! Hai ancora pochi minuti per andartene!» Mi strillò contro, accendendo il motore. Il mio cuore martellava impaurito. Lo stavo facendo? Stavo veramente partecipando a una corsa clandestina? Perché? Ah già, da quando mio fratello aveva deciso di sfracellarsi senza chiedermi cosa ne pensassi a riguardo!
Quando Enzo disse che la gara era iniziata, Damon imprecò a bassa voce e partì velocemente.
Io tenevo gli occhi chiusi e cercavo di appiattirmi completamente al sedile. Aprii un occhio solamente per vedere a quanto stavamo andando.
Stavamo sfiorando i 280 kilometri orari per accelerare sempre più. Damon sterzò bruscamente, prendendo un vicoletto piuttosto buio.

«Pe-perché lo fai?» Chiesi, cercando di mostrarmi sempre sicura di me. La situazione era critica. Avevo una paura matta di non uscirne viva e mi maledicevo per quanto fossi stata impulsiva.
«Allacciati la cintura.» Sbuffai e mi allacciai la cintura, cercando di mantenere la calma. I finestrini erano aperti e il vento mi scompigliava i capelli.
La velocità aumentava sempre di più così come il panico. Era una sensazione bruttissima, pensavo e ripensavo ai momenti che avevo avuto prima che Damon venisse a casa.
Stava qui da sì e no una settimana circa e già si cacciava in un guaio del genere!

«Se sopravivremo, dopo ti uccido io.» Mi minacciò a denti stretti sterzando bruscamente. Probabilmente in palio c’era dei soldi, ma ero curiosa di sapere a cosa gli servivano quei soldi!
Il traguardo era pericolosamente vicino. C’era tanta gente che faceva il tifo. Cosa c’era di divertente in gare del genere?
C’è gente che darebbe di tutto per un instante in più della vita e c’è gente – come Damon – che la giocava come se fosse una cosa che poteva riavere. Ma non era così.

Tagliò il traguardo e frenò al più non posso.
Non potevo stare lì. Mio fratello stava gettando all’aria la sua vita e io ero lì a guardare.






Angolo dell'autrice: I'm come back! Contenti, amici? Non credo. IN tutti i casi, non so se avete notato che questo capitolo è più lungo degli altri. Ora mi direte? A noi che ce ne importa? Sinceramente, volevo sapere se li preferiti così lunghi o più brevi. Cosa ne pensate? 
Tralasciamo il capitolo - tranquilli per pochi secondi - e passo ai ringraziamente. Grazie alle 4 anime che hanno recensito il capitolo, ovvero Smolderina78, NikkiSomerhalder, Darla19 e PrincessOfDarkness90. Grazie anche alle 14 anime che hanno inserito la storia nelle preferite, ai 20 che l'hanno inserite nelle seguite e all'uno che l'ha inserita nelle ricordate. Un grazie va anche a tutti i lettori silenziosi! Sono contenta - e non smetterò mai di ringraziarvi - che la storia vi piaccia!
Ora lasciando i ringraziamente, passo al capitolo. 
Una bella gara clandestina a Mystic Falls, che ne pensate? Elena poi, che (chissà per quale ragione) fa la pazzia del secolo e sale in macchina con Damon. Più in là saprete (visto che io lo so già eheheh) perchè ha partecipato alla gara. Giuseppe invece è un padre molto oppressivo! Secondo voi, ha ragione o torto? Magari, Elena però non doveva fuggire! Sembra che il padre non l'abbia scoperta.
Stefan non so perchè ho avuto la grande idea di farlo uscire con Lexi. Diciamo che lei rimaneva come personaggio per lui e allora l'ho inserita. Ho notato che qualcuno di voi mi ha suggerito il triangolo Enzo-Caroline-Stefan, credo di inserirlo se possa piacervi come idea.
Be'...Non ho altro da dire. Ci sentiamo presto.
PS. Quante di voi, pensano che il ragazzo della biblioteca sia già sparito? 
Cucciolapuffosa

 

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Capitolo 5
*** You are that small ray of sunshine ***


Capitolo cinque.
You are that small ray of sunshine.
 
Ero in biblioteca e sfogliavo svogliatamente un libro. Ero nell’angolo più buio della libreria, seduta a terra con un libro sulle gambe.

Ero nello stesso posto in cui quel misterioso sconosciuto mi aveva “adescato”. Ora che ci pensavo era da più di una settimana che non andavo in biblioteca. Anche se a pensarci bene, ora non potevo fare altro visto che ero in punizione per la bellezza di tre settimane.

Fin’ora era passata solo una settimana in cui non facevo altro che evitare Damon.
Insomma…Era un fratello odioso che stava buttando all’aria la sua vita. Dopotutto…a me che importava se si sfracellava su una macchina?
E la cosa che mi faceva più rabbia era che lui non aveva avuto il mio stesso – ingiusto – trattamento.
Serrai i pugni ai ricordi di quella sera.

Caroline mi aveva accompagnato a casa non appena l’avevo recuperata. Le avevo raccontato sommariamente quello che era successo e il suo unico commento fu “se vuole rovinarsi la vita sono problemi suoi”.
Ma non era così,dannazione! Damon era pur sempre mio fratello! Non potevo – non volevo – che si rovinasse la vita per qualche stupidaggine.

«Elena, fermati dannazione!» Imprecò Damon, camminando dietro di me a passo svelto. Era uscito dalla sua Camaro e m’inseguiva a grandi passi, ma io ero in vantaggio di un bel po’ di metri.
Presi il mio Iphone e composi il numero di Stefan, sperando che fosse già ritornato dal suo appuntamento.
Mentre componevo il numero, sentii due forti braccia prendermi per la vita e sbattermi – in modo rude – contro la porta di casa.
Damon era a pochi centimetri da me e teneva la sua presa salda sui miei fianchi. I suoi occhi pieni di rabbia, le nocche erano bianche e la fronte corrugata. Era – leggermente eh – arrabbiato. Eppure tra i due ero io quella che doveva essere arrabbiata!

«Ora, mi ascolterai.» Sibilò duro. Avevo le mani libere e la prima cosa che mi venne in mente fu quella di schiaffeggiarlo. Alzai la mano, ma mi bloccò prima che la mia mano toccasse la sua guancia.

«Non. Provarci. Più.» Digrignò i denti con gli occhi che fiammeggiavano di rabbia. Il mio cuore perse un battito, non avevo mai visto Damon così arrabbiato. Non riuscii neanche a replicare, perché m’interruppe bruscamente.

«Tutti quelli che ci hanno provato non sono vivi per raccontartelo, capito?» Continuò serrando la presa sul mio polso. Sapevo – o almeno ci speravo – che quella fosse una semplice minaccia, ma in quel momento lui era terribilmente serio.

«Ora potremo parlare civilmente?» Chiese. Alzai finalmente lo sguardo e per poco non gli scoppiai a ridere in faccia.

«Cosa c’è da spiegare? Vuoi morire? Muori. Non me ne importa niente.» Mi pentii subito di aver detto quelle parole. Cosa avevo detto? Gli avevo veramente detto che non me ne sarebbe importato se fosse morto?
I suoi occhi diventarono tutt’un tratto più cupi e freddi. Il distacco tra di noi lo sentivo sempre più vicino. Volevo scusarmi, ma ero troppo orgogliosa per ammettere di esser troppo impulsiva.

«So bene che quello che ora hai detto è una cazzata.» Sibilò avvicinandosi pericolosamente al mio volto. Oh sì, lo sapevo anch’io.

«Chi te lo assicura?» Chiesi ironica. Mi stavo comportando male, anzi mi stavo comportando da stronza. Ma non l’avrei mai ammesso.

«Perché sei salita in macchina se ti avevo detto di non salire?» Chiese duro. Alla sua domanda fui presa alla sprovvista. Non avevo una vera risposta…Perché l’avevo fatto? Forse non volevo avere la sua morte sulla mia coscienza? O forse ho pensato che se doveva morire era meglio morire con lui che vivere coi sensi di colpa?
Non lo sapevo e non volevo saperlo. Scavare nel profondo dei miei sentimenti, significava cambiare idea su Damon e quello su cui avevo sempre pensato su di lui.
Non potevo permettermelo.

«Sai che non si risponde a una domanda con un’altra?» Grugnii tra i denti. Damon ispirò il mio profumo. Lui era così vicino e potevo sentire il suo buon odore. Sapeva di vaniglia, menta e fumo.

«Smettila di morderti il labbro.» Mi ordinò. Aveva cambiato il tono di voce. Era roca, più sensuale e mi stava provocando, ancora!

«Perché?» Chiesi fra i denti. Lui mi scrutò pochi istanti, per poi inspirare ancora il mio profumo e poggiare le sue fredde labbra sul mio collo. Rabbrividii a quel contatto.

«Perché mi fai venir voglia di morderti il labbro.» Non sapevo se essere disgustata dalle sue avances o se essere sorpresa da come riuscisse a farmi perdere la concezione del tempo.

«Damon…Damon, fallo ancora e non vedrai la luce del sole.» Lo minacciai. Damon sorrise e si leccò il labbro. Era solo uno stupido donnaiolo incallito!
Presi il mio Iphone e andai alla rubrica.

«Chi chiami?» Mi chiese Damon. Non avevo neanche voglia di parlargli perciò gli mostrai il display. Il corvino strabuzzò gli occhi e mi sfilò il cellulare di mano per chiudere la chiamata.

«Come ci entriamo in casa,eh?» Lo provocai, sapendo che non aveva un’idea migliore della mia.
«Forse con queste!» Disse ovvio, mostrando delle chiavi. Assottigliai lo sguardo e gli feci cenno di aprire quella maledetta porta. Aprì lentamente la porta e a passo felpato – provando a non fare rumore – ci avviammo verso le scale.

«Dove credete di andare?» Una voce ci fece sobbalzare. Chiusi gli occhi. Era papà. Ora sì che eravamo nei guai fino al collo.

«Damon…» Lo fissò per pochi istanti. «Grazie per averla recuperata.» Sia io che Damon eravamo a bocca aperta.
Fatemi un po’ capire…Io ero andata a una festa di nascosto, Damon faceva una gara clandestina, venivamo beccati al ritorno e mio padre lo ringraziava?

«Cosa?» Chiese Damon più sconvolto di me.
«Non sei andato tu a recuperarla per portarla a casa?» Chiese con fare indagatore. Ah bene…Io volevo dissuaderlo dal fare una cazzata, però papà lo ringraziava!

Sentii la rabbia salire in me a dismisura e per un momento ebbi voglia di rompere tutto quello che avevo sotto il mio raggio visivo.
«Ovvio. Non avrei permesso alla mia sorellina di girare da sola a quest’ora.» Quelle parole bastarono per odiare Damon ancora di più. Gli piaceva fare il doppio gioco, non era vero?

Incontrai gli occhi di Damon e per un momento fui tentata di raccontare a papà la verità, ma non lo feci.
Io non mi abbassavo ai suoi livelli.
«Elena in punizione per tre settimane. Niente amici. Non credevo potessi arrivare a tanto per una stupida festa.» Disse calmo, ma la delusione si sentiva dal suo tono di voce.

«Non è questo. E’…E’ il fatto che io non posso fare niente! Niente feste al college, coprifuoco a mezzanotte…Sono maggiorenne!» Gli urlai contro. Con Stefan non aveva mai fatto così!

«A questo punto avrei preferito andare a vivere da mamma!» Sbraitai. Vidi gli occhi di papà allargarsi. Mi portai una mano sulla bocca…O mio Dio, cosa avevo appena detto? Non lo pensavo veramente.

«Papà…» Tentai di spiegarmi. Ma capii che era inutile. Insomma…qualche volta le parole forti ci volevano! Ero la sua unica figlia femmina, ma non significava che non potevo fare quello che facevano tutti gli altri coetanei!

«Elena è tardi. Vai a riposare.» Mi consigliò, salendo via per le scale. L’avevo deluso…Forse non l’avrebbe mai ammesso, ma l’avevo deluso. Anzi, ferito. Ed era anche peggio.
«Piccola…Vedrai che…» Lo interruppi bruscamente. Non avevo voglia di sentirlo.

«Smettila!» Gli urlai, divincolandomi dalla sua stretta. «Tu non sei stato scoperto. E’ questo l’importante, giusto?» Damon mi guardò assorto pochi secondi, per poi lasciare la presa sul mio polso.

Arrabbiata per quei ricordi, scaraventai il libro il più lontano possibile da me. Sentii una voce ridacchiare. Chi era?

«Nervosetta, oggi eh?» Ghignò una voce alle mie spalle. Presi un sospiro e mi rilassai. Riconobbi quella voce distorta e irreale: era quel ragazzo di due settimane fa. Mi sedetti meglio e mi appoggiai alla libreria.
«Non sono in vena di giochetti.» Lo avvertii. Lo sentii ridere. Mi chiesi istintivamente perché stesse ridendo, ma sapevo bene che se gliel’avessi chiesto sarei risultata acida e incattivita.

«Anche la prima volta che ci incontrati eravamo qua e tu eri nervosa.» Sorrisi a me stessa. Quello sconosciuto si ricordava del nostro primo incontro? Sorrisi ancora e arrossii leggermente. Mi sentii fortunata del fatto che non potesse vedermi.

«Scommetto che il tuo battito è accelerato, che sei rossa e che ti stai mordendo il labbro.» Commentò, non riuscendo a trattenere una risata divertita. Aprii la bocca, curiosa di chiedere come faceva a sapere questi particolari ma preferii non chiedere.

«Qual è il tuo nome?» Chiesi vaga. «Tu sembri sapere molto di me, mentre io so poco se non niente.» Gli spiegai con un fil di voce. Insomma…Dov’era finita l’Elena Salvatore sicura di sé che rispondeva a tono a suo fratello? Puf. Sparita. Per colpa di due parole dette da uno sconosciuto.

«Oh, be…Non ho molto da dire su di me.» Si mantenne misterioso. Sorrisi leggermente. Questo ragazzo era misterioso, vago e me lo immaginavo con uno sguardo penetrante e magnetico.

«Almeno il tuo nome, mh?» Gli proposi. Sinceramente, non me poteva fregar di meno della sua vita privata ma almeno il suo nome lo volevo sapere.

«Io…sono…Ian. Mi chiamo Ian.» Ripeté come per auto convincersi. Me lo ripetei in mente alcune volte. Ian?
Scoppiai a ridere e forse ero sembrata anche maleducata, ma il suo nome era cos’ strano.

«Ian? Scusa, ma che razza di nome è Ian?» Chiesi, cercando di trattenere le risate. Anche lui si unì a me. Si stava prendendo in giro da solo? Lo sapeva?
«Non mi rappresenta, mentre il tuo nome è perfetto per te.» Continuò. Aggrottai le sopraciglia. Non gli avevo detto come mi chiamavo.

«Come fai a sapere come mi chiamo?» Chiesi curiosa. Quel ragazzo era una continua fonte di mistero e mi stava intrigando.

«Mi tengo informato, Elena.» Era strano. Lui mi stava facendo uno strano effetto e stranamente il suo modo di parlare, come scandiva ogni parola mi faceva calmare e mi trasmetteva un senso di calma e pacatezza.

«E come mai il mio nome mi rappresenterebbe?» Chiesi con una punta di malizia. Lui l’avvertì subito, per trattenere una risatina.

«Il nome Elena deriva dal greco, significa raggio di sole. Il nome Elena rappresenta una donna sicura di sé, della sua forza, consapevole del suo fascino. Una donna che riesce facilmente a imporsi se non lo fa è solamente per rispettare la libertà altrui.» Disse con voce saggia.

Rimasi a bocca aperta. Il mio nome significava raggio di sole? E lui mi avrebbe paragonato a un raggio di sole?
Quella fu la prima volta che Elena Salvatore rimase senza parole. Era strano. Non avere altro con cui ribattere. Era così…strano, non avere la parola fino all’ultimo.

«Mi rappresenterebbe? Stai cercando di adularmi?» Lo presi in giro. Non mi veniva in mente altro da dirgli.
Un ‘grazie’ sarebbe bastato, sai? Mi suggerì la mia coscienza che ritornò all’attacco. Presi un sospiro e scossi i capelli.

«No, però ti rappresenta. Sei auto conformista. Non sei come le altre ragazze. Mettila in questo modo…» Rifletté sopra pochi istanti per poi riprendere il suo discorso. «Cos’è il mondo per te?» Chiese.
Cos’era il mondo per me? Cosa c’entrava con il mio nome e con la sua etimologia? Quel ragazzo diventava sempre più strano e affascinante ogni volta che parlava.

«Perché?» Chiesi. Non era una risposta valida, ma nessuno mi aveva mai chiesto cosa ne pensavo del mondo. Insomma…chi intavolerebbe mai un discorso sul mondo? Nessuno, a parte Ian.

«Rispondi.» M’invitò. Ci riflettei. Cos’era per me il mondo?
«Il mondo è quel posto incompreso. Un posto pronto a giudicarti per qualsiasi cosa tu faccia. Un mondo in cui tu non sei giusto, in cui la società ti pregiudica…Non so, nessuno me l’ha mai chiesto.» Dissi, per poi scoppiare in una risata cristallina.
La bibliotecaria mi mandò un’occhiataccia, per poi riprendere il suo lavoro. Ah, giusto…Ero pur sempre in biblioteca e dovevo cercare di non fare troppo rumore.

«Per me, invece, il mondo è la terra degli orrori, delle ingiustizie, della tristezza. La società ti pregiudica, ti rende debole e ti distrugge. Distrugge ogni singola forma di auto conformismo per renderti uguale alla massa.» Rimasi a bocca aperta da quelle parole.
Erano quasi poesia, ma dal suo tono avvertivo anche un lieve senso di rabbia…Lui era arrabbiato con la società. C’era qualcosa che mi nascondeva, qualcosa che gli era successo.

«E questo cosa c’entra col fatto che il mio nome mi rappresenta?» Chiesi cercando di spostare il discorso verso qualcosa di meno pesante e più leggero.

«Mettila così…In questo mondo ingiusto, dove tutti seguono la massa c’è qualcuno, c’è un piccolo raggio di sole che brilla e che si distingue dalla massa.» Mi spiegò. Fui incantata da quella spiegazione così bella…così romantica.

«Quel piccolo raggio di sole sei tu.» Continuò con tono leggero. A quelle parole, il mio cuore fece un balzo. Aveva sprecato tante parole…per farmi un complimento? Ma non era il solito complimento che mi faceva Matt o qualcuno dei miei corteggiatori, era un complimento vero e sincero.

«Ti ho lasciato senza parole, eh? Wow, ho lasciato senza parole Elena Salvatore. Mi dovrei sentire fortunato.» Aggrottai le sopraciglia. Passava dall’essere romantico all’essere schietto.
Proprio come Damon…NO! Non dovevo pensare a lui! Anche se questo cambio di umore e modo di fare me lo ricordava parecchio.

«Sarà la prima e l’ultima volta, Ian.» Sbuffai alzando gli occhi al cielo. Lo sentii ridacchiare.
«Quindi…Non mi hai ancora detto perché sei nervosa.» M’invitò. Ci riflettei…Dopotutto con chi potevo sfogarmi? Caroline era fuori luogo, Stefan ancor meno perché mi avrebbe ripetuto ‘te l’avevo detto’ fino alla nausea e poi…Poi basta! Non volevo sfogarmi con gente di cui conoscevo il volto e soprattutto che mi avrebbe giudicato!

«Se…se ti parlassi di quello che mi è successo, tu non mi giudicheresti?» Chiesi. Perché volevo confidarmi con un tipo di cui non sapevo neanche che faccia aveva? Forse perché mi ispirava fiducia?

«Chi sono io per giudicare le tue scelte?» Quella risposta mi piacque. Presi una boccata d’aria e valutai cosa dirgli. Avrei omesso alcuni dettagli – come la gara clandestina – però potevo parlargli del brusco rapporto che avevo con mio fratello.

«Io e mio fratello abbiamo…abbiamo disubbidito a nostro padre. Ma papà è convinto che lui sia uscito di casa per venirmi a recuperare da una festa a cui non potevo andare.» Raccontai brevemente. «Il punto è che alla fine io ho litigato con papà e sono stata messa in punizione per tre settimane, mentre quello no!» Sbottai, guadagnandomi una sgridata da parte della bibliotecaria.

«Chi sarebbe quello?» Chiese con una sottile ilarità nella voce. Assottigliai lo sguardo e per un momento pensai che quel ragazzo era tarato, anche se nella sua voce trapelava molta ironia.

«Damon. Si chiama Damon. Damon è mio fratello.» Gli spiegai con un sorriso sforzato. Perché sorridevo? Dopotutto lui non poteva vedermi! Controllai il mio orologio. Tra poco sarei dovuta ritornare a casa.

«Perché dici il suo nome con tanto odio?» Chiese ancora. Roteai gli occhi e sbuffai. Quel ragazzo faceva troppe domande.
«Io ti sto parlando dei miei problemi…e tu? Tu non hai alcun problema? Nessun fratello antipatico? Nessun padre offensivo?» Feci ironica. In risposta ottenni solamente il silenzio. C’era qualcosa…Gli era successo qualcosa, forse non a lui ma a qualcuno che amava.

«Si chiamava Katherine.» Disse. Lo sentii sospirare e io m’immaginai un bel ragazzo che sorrideva amaramente.
Persi un battito. Chi era Katherine? Era…sua sorella?

O forse è la sua fidanzata? Mi suggerì la mia coscienza. Non sapevo il perché, ma quella coscienza mi stava dando il tormento. Ian fidanzato? Perché dovrebbe essere fidanzato? Insomma…Parlava e flirtava con me, perciò avevo dato per scontato che fosse single, giusto?

«Chi era Katherine?» Mi morsi la lingua non appena mi resi conto di quello che avevo detto. Perché avevo usato il passato? Be’…Anche lui aveva usato il passato, però potevo essere più delicata, più gentile! Mi maledii e aspettai una risposta.

«Era la mia ragazza. Era antipatica, scontrosa, cattiva…Era sola contro il mondo.» Mi rispose. Persi un battito…Era morta? O si erano solamente lasciati? Perché era sola? Cosa intendeva con ‘contro il mondo’?
Avevo tante domande, ma non volevo chiedergliele. Sapevo di essere indelicata e molto spesso quello che dicevo feriva le persone, anche se non era mia intenzione.

«Capisco…Sai, non sei l’unico che ha perso una persona cara.» Gli dissi. Lo sentii ispirare, probabilmente era sollevato dal fatto che non facessi molte domande.

«Chi hai perso?» Chiese con un fil di voce. Stavo veramente confessando le mie paure a uno sconosciuto? A questo punto potevo confidarmi con Damon!

«E’ diverso da Katherine…Lui è vivo, Damon è accanto a me da un paio di settimane, eppure per me è come morto. Non riesco a percepirlo come mio fratello, sento che non sono legata a lui.» Avevo la voce incrinata. Non sentivo niente…Ian sembrava si fosse eclissato. Dopo un po’ lo sentii deglutire.

«Perché non gli dai un’altra chance?» Chiese. Alzai gli occhi al cielo. Perché tutti quanti mi dicevano di dargli una seconda possibilità? Loro non sapevano di come lui mi avesse ignorata per tutto questo tempo, così come la donna che mi aveva messo al mondo…mi aveva abbandonata a mio padre e si era portata con sé il figlio prediletto.
Sia io che Stefan avevamo i ricordi sfocati di lei e Damon. Damon allora era piccolo…E l’aria in casa non era delle migliori, però col tempo…con gli anni poteva almeno sprecare un po’ del suo tempo per la sua famiglia!

«Non capisco perché mi dite tutti la stessa cosa. Tu daresti un’altra possibilità al tuo peggior nemico?» Chiesi. Silenzio. Ecco, avevo ragione. Tutti quanti, quando vedevano la situazione dall’esterno ti dicevano ‘no, ma dai! Perdonalo!’ ma se loro non vivevano quella vita che senso aveva giudicare?

«Non dico che dovresti dargli un’altra chance, ti sto consigliando di…di guardare un’altra prospettiva.» Un’altra prospettiva? C’era un’altra prospettiva? Un lato positivo di questa situazione esisteva veramente?

«Dovresti, almeno, parlargli. Chiarire la situazione.» Spiegò. Ian non poteva capire. Non poteva capire. Quando mi aveva aiutato in trigonometria, avevo veramente sperato che potesse cambiare…Ma ora, con le sue battutine, con quella gara clandestina aveva mandato tutto all’aria.

«E’…complicato.» Sospirai. Presi l’Iphone. Avevo quattro chiamate da un numero non memorizzato in rubrica e diversi messaggi. Li ignorai e vidi che ore erano.
Tardi. Mi alzai da terra e raccolsi le cose in silenzio. Una parte di me era curiosa di conoscere questo Ian e di vederlo in faccia, ma un’altra parte aveva paura di rimanere delusa…E se magari fosse solamente un’idiota che si divertiva a prendermi in giro?
Pian piano raggirai la libreria, ma lui non c’era. A terra c’era solo un biglietto con sopra una bella scrittura.

“Non saprai mai chi sono. Non m’ingannerai, tesoro.          I.” Presi il biglietto, lo accartocciai e lo infilai nella borsa. Quel ragazzo mi aveva sorpreso. Mi aveva liquidato con un biglietto e se l’era svignata.
Un punto per lui.
Uscii dalla libreria. Nel campus giravano poche persone. Il pomeriggio la maggior parte degli studenti era riunita o nelle diverse confraternite o se n’era già andata a casa.

Da lontano avvistai una Camaro. Non poteva essere la sua Camaro, no? Non ci parlavano da una settimana, avrebbe potuto – come minimo – cercare di giustificarsi con me e invece non aveva fatto niente.
Damon ormai stava diventando un chiodo fisso nella mia mente. Mi stava completamente offuscando la mente, non riuscivo a pensare ad altro…Riuscivo solo a mitigare l’odio per lui. E l’odio non era l’amore.
L’amore finiva. Poteva finire da un momento all’altro, per una bugia o per delle incomprensioni, mentre l’odio no. L’odio verso una persona poteva solo crescere o poteva tramutarsi in altro.

Costatando che io e Damon eravamo fratelli, oltre il bene fraterno – che non avevamo – il mio odio non poteva trasformarsi in altro.
L’odio era duraturo, non poteva finire. Poteva solamente trasformarsi in altro. E io non volevo che si trasformasse in bene. Non ne avevo intenzione.
Passai accanto alla Camaro incurante, visualizzando alcuni messaggi da whatsapp. Superai di poco la macchina, ma qualcuno mi prese violentemente il polso costringendomi a girarmi.
Damon mi scrutava seriamente con gli occhi fiammeggianti di rabbia. Lui era arrabbiato? Sbaglio o tra i due quella che poteva essere arrabbiata ero io?

«Molla la presa, Damon.» Sussurrai a denti stretti, avvicinandomi pericolosamente a lui. In quel momento stavo placando la voglia matta di sbatterlo contro la macchina e urlargli contro di tutto e di più. Insomma…Che razza di rapporto avevamo?

«Sali in macchina, Elena.» Replicò freddamente. Lanciai uno sguardo allo sportello del passeggero aperto e poi spostai la mia attenzione nuovamente verso di lui. Stavo valutando le diverse opzioni che avevo, ma mi ricordai che quella mattina avevo deciso d’indossare le mie nuove Converse blu con la zeppa incorporata.
Gli calpestai il piede con forza. Damon soffocò un gemito, sorrise freddamente e aumentò la presa sul mio polso.
Trattenni un piccolo lamento. Non avrei alzato il piede dal suo se lui non avesse lasciato la presa sul mio polso.

«Molla la presa, Damon.» Ripetei io guardandolo negli occhi. Non gliel’avrei data vinta per nessuna ragione al mondo. Il corvino mi guardava con gli occhi fiammeggianti. Ero sicura: se gli sguardi potessero uccidere, io a quest’ora sarei già cinque metri sottoterra.

«Al tre entrambi molliamo la presa, okay?» Chiarì guardandomi. Sospirai. Non mi fidavo molto e non avrei mollato la presa fin quando non avrei sentito la pressione sul mio polso diminuire.
«Uno.» Disse guardandomi. Sorrisi leggermente, sapevo bene che anche lui non si fidava di me. Eravamo a pochi centimetri di distanza e se qualcuno non sapesse del nostro legame di parentele probabilmente ci avrebbero scambiato come una coppia di fidanzati che litigavano.

«Due.» Continuò. Aggrottai le sopraciglia. Perché aveva detto due? Da copione, io dovevo dire due, poi entrambi contemporaneamente dovevamo dire tre e lasciare la presa!

«Non dovrei dire io due? Come da copione da film?» Feci l’ironica. Sul suo viso si formò una smorfia divertita. Il mio umorismo non mi abbandonava neanche in momenti delicati e insopportabili come questi.
«No…Se fossimo in un film, questa litigata si concluderebbe con un bacio.» Il suo tono di voce era incredibilmente serio e roco. Sentivo le gambe diventare molli e il mio peso intensificarsi. L’aveva veramente detto?
Sperai che non vide in me il leggero sgomento e scossi i capelli. Non mi sarei mai – e quando dicevo mai, intendevo MAI in questa vita – debole sotto il suo sguardo.

«Oh, andiamo. So che hai dei metodi particolari per abbordare le ragazze, ma persino con tua sorella? Se vuoi baciarmi, basta dirlo.» Ammiccai infine con un sorrisetto. La sua reazione mi lasciò completamente senza parole.

«Se volessi baciarti, non lo farei di certo qui. Ti prenderei in braccio a mo’ di sposa, ti caricherei con la forza in macchina e ti porterei lontano da qui.» Sussurrò vicino al mio orecchio. Si abbassò leggermente e lasciò un casto bacio sul mio collo. Spostò i capelli di lato e continuò a torturarmi il collo per pochi minuti.

Elena, quello è tuo fratello! Riprendi il controllo di te stessa! Mi rimproverò la mia coscienza. Stavo cedendo a mio fratello? A mio fratello?!
«E dopo?» Lo provocai con un sorrisetto. Soffiò leggermente sul mio collo e mille brividi percorsero la mia schiena. Potevo sentirmi in questo modo con mio fratello?

«Dopo ti bacerei. In un posto in cui saremmo solamente noi due. Soli soletti.» Le mie labbra si incurvarono e sospirai pesantemente.
Entrambi lasciammo le diverse prese. Io tolsi la mia scarpa dal piede e lui lasciò il mio polso. Ci guardammo pochi istanti. Ero in netto imbarazzo, mentre lui era completamente a suo agio.

«Vuoi salire in macchina, ora?» Insistette. Roteai gli occhi al cielo…Damon non riusciva a cambiare idea. Anzi, era sempre più cocciuto e testardo. Testardo come un mulo!

«Neanche per sogno, Damon.» Risposi a tono, incrociando le braccia al seno. Lui si guardò attorno e accennò un sorriso divertito.
Mi prese per i fianchi e mi caricò in spalla come un sacco di patate.

Aprì lo sportello e mi poggiò sui sedili posteriori. Chiuse con forza lo sportello e salì sul sedile del guidatore. Diede gas e partì a tutta birra allontanandosi dal campus.

«Con le maniere forti si ottiene tutto. Giusto, Elena?» Fece un sorrisetto divertito. Sbuffai innervosita e gli lanciai un’occhiataccia truce.
«Questa non è la strada di casa.» Costatai. Avevamo imboccato una strada di campagna, portava verso le altre piccole cittadine.

«Lo so.» Rispose semplicemente, aumentando la velocità. Dove mi stava portando? Io dovevo ritornare a casa e non potevo neanche andare a trovare Care, tutta per colpa della mia punizione.

«Devo ritornare a casa, Damon. Ritorna indietro.» Intimai seriamente. Dalla litigata con mio padre non gli stavo più parlando. Mi sentivo in colpa e sapevo bene che ero nella parte del torto, quelle parole le avevo dette con lo scopo di ferirlo. Ero stata cattiva, però anche lui con le sue ansie da genitore apprensivo aveva stancato.

«Tranquilla, piccola. Goditi il viaggio.» Disse divertito, girando a destra. Ancora non ci credevo…Mi aveva caricato sui sedili posteriori della macchina come un sacco di patate e mi stava portando solo Dio sa dove.
«Questo è un rapimento.» Gli feci notare. Damon alzò gli occhi al cielo e si mise gli occhiali da sole. Svoltò a destra e sbuffò vistosamente.

«Oh, andiamo Elena…Per una volta sto facendo la cosa giusta, non fare così!» Lui fare la cosa giusta? Lui non faceva mai la cosa giusta. Mi dovevo preoccupare? Sì.

«Tu? Fare la cosa giusta?» Scoppiai a ridere di gusto. Di tutto quello che poteva dire, ‘fare la cosa giusta’ era la cosa più stupida e idiota che potesse dire.
«Un weekend per aggiustare il nostro rapporto. Fidati, ce la posso fare.» Era così convinto…E dopotutto cosa poteva succedere? 










Angolo dell'autrice: Dopo cinque giorni sono qui, puntuale come sempre. Avevo il capitolo pronto già da ieri, però ho pensato di postarlo oggi con calma. Inizio come sempre dai ringraziamenti: Grazie alle 5 buone anime che hanno recensito, ovvero Smolderina78, AleDic, Darla19, NikkiSomerhalder e PrincessOfDarkness90. Alle buone 14 anime che hanno inserito la storia tra le preferite, alle 24 che la seguono e l'uno che l'ha inserita nelle preferite. E un grazie a tutti i lettori silenziosi!
Passando al capitolo: Il ragazzo della biblioteca torna all'attacco con Elena! E come si chiama? IAN. Questo nome mi è venuto in mente per caso XD, che le fa capire - almeno secondo me - che è un po' interessato a lei. Il complimento del raggio di sole io lo amo! *O* Non so voi! Ian - ragazzo misterioso - accenna anche a una certa Katherine! Chissà...Tutte coincidenze?
Elena parla a lui del fratello con molta distanza e poi dopo la scena....come chiamiamo la ElenaxIan...Aiutatemi a trovare un nome a questa ship! XDXD Dopo incontra Damon, con la scena Delena...COSA SUCCEDERA' IN QUESTO WEEKEND? Sorpresa.
Ci sentiamo alle recensioni!
Bacioni!
Cucciolapuffosa

 

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Capitolo 6
*** We are the mistake of one night ***


Capitolo sei.
We are the mistake of one night.
 
Ancora non ci credevo. Damon mi aveva proposto un weekend tra fratelli per aggiustare il nostro rapporto. Il nostro rapporto già faceva schifo, se lui voleva peggiorarlo io non ero nessuno per fermarlo.
Si era fermato in una locanda e aveva prenotato una stanza. Già per la scelta – molto scadente direi – della locanda aveva perso un paio di punti che aveva guadagnato con l’idea di passare con me quel weekend.

«Dai, piccola! Accenna un sorrisetto!» Mi spronò. Io in risposta mi misi comoda sul sedile. Non sopportavo l’idea di dover passare con lui questi due giorni e non sopportavo neanche l’idea di stare con lui nella stessa macchina.
La locanda era in piena campagna e lui ora stava guidando per chissà dove. La campagna stava lentamente scomparendo lasciando posto a una stradina piccola e dissestata che imboccava verso l’autostrada.
Erano pochi minuti aveva detto, anche se per me erano i minuti più lunghi di tutta la mia vita.
Il silenzio in macchina era opprimente. Non avevo voglia di parlare con lui, anche se sapevo che era inevitabile. Dovevo parlare con lui riguardo quella gara. Così farebbe ogni sorella, giusto? Prima parlerebbe con Damon e poi cercherebbe di aiutarlo.
Sì. Per una volta dovevo fare la cosa giusta.

«Perché hai fatto quella gara?» Chiesi alzando lo sguardo. Damon teneva lo sguardo fisso sulla strada e serrò la presa sul volante. Colsi l’opportunità per guardarlo meglio. Indossava dei jeans che gli fasciavano perfettamente le gambe, una camicia nera con i primi bottoni slacciati e ai piedi delle anonime Converse. I capelli erano spettinati e gli occhi…quei magnifici occhi era coperti dai suoi Reyban neri.

«Mi servivano dei soldi.» Ripeté quasi stufo. Sbiancai leggermente…Non voleva rivelarmi i particolari, ma io non mollavo. Volevo sapere di più.

«Posso farti un’altra domanda?» Chiesi ancora con un sorrisetto divertito. Aspettando la sua risposta, mi osservai meglio allo specchietto.
Avevo un abbigliamento abbastanza anonimo: uno skinny jeans a sigaretta, una maglietta bianca con sopra un cardigan a maniche lunghe abbastanza pesante e ai piedi degli anfibi.
Ero più che anonima.

«Se ti dicessi no, tu me la chiederesti ugualmente no?» Fece l’ironico. Avevo notato che l’umorismo non lo abbandonava mai, neanche nei momenti più tristi.

«Perché hai fatto credere a Enzo che fossimo fidanzati?» A questo volevo una risposta. Una risposta seria. E non accettavo un “no” come risposta.

«Perché ti da fastidio? Insomma…Non vorresti un fidanzato come me?» Ammiccò leggermente. Scoppiai a ridere di gusto. Damon…Damon era sempre il solito ed enigmatico Damon, con i suoi modi di fare e le sue risposte piene di ironia.
«Non c’è un motivo. Sei la mia sorellina, no? Semplicemente, Enzo guarda troppo.» Continuò. Per un secondo sorrisi, Damon si preoccupava per me. Sbuffai e mi morsi un labbro.

«Damon, mi prometti di non fare più gare clandestine?» Era una richiesta particolare. Diversa. Forse era una richiesta anche esagerata, però dentro di me sapevo…sapevo che se si fosse ferito, non me lo sarei mai perdonato.

«Troppe domande, Elena.» Mi liquidò. Entrammo in una piccola cittadina. Dov’eravamo finiti? Un cartello con scritto ‘Benvenuti a New Orleans’ chiarì ogni mio dubbio.
Sgranai gli occhi. Mi aveva portato a New Orleans? Una delle città con maggior tasso di delinquenza in tutta America?
Decisi di non replicare sulla scelta della città, ma avrei ugualmente insistito per una sua promessa.
«Te lo chiederò una sola volta, Elena. Perché sei salita in quella macchina, sapendo che probabilmente non ne saremo usciti vivi?» Chiese lui, parcheggiando al primo posto libero vicino un bar.
Lo guardai di sottecchi e assottigliai lo sguardo. Non amavo le domande, tantomeno se non sapevo dare una risposta. Questa era una delle tante volte.
Non avevo una risposta da dargli. O forse sì? Di sicuro non volevo dirgli che ero preoccupata per lui.

«Non so…Sono sempre stata attirata dalle gare clandestine.» Accennai un sorriso. L’umorismo macabro era di famiglia. Uscì dalla macchina e sbatté con forza lo sportello. Dopo di che aprì la mia portiera e mi fece cenno di uscire. Presi la mia tracolla e uscii dalla macchina.

Era una giornata piuttosto calda per essere agli inizi di Febbraio. Il sole illuminava con i suoi deboli raggi New Orleans. Non ero mai venuta lì. Papà era sempre stato iper protettivo.

«Ah, sì? Hai per caso l’istinto suicida tipo Bella di Twilight?*» Chiese alzando un sopraciglio. Ero bloccata tra il suo corpo e la Camaro. A pochi centimetri di differenza i nostri nasi quasi si sfioravano. Si tolse gli occhiali da sole e mi squadrò con più attenzione.

«Sì.» Sussurrai debolmente. La sua vicinanza mi faceva completamente perdere la testa e non riuscivo neanche più a contrastarlo come facevo di solito.

«Perché invece non dire che eri preoccupata per me?» Si avvicinò ancora di più, inspirando il mio profumo. Iniziò a giocherellare con una ciocca dei miei capelli, scostandone il resto di lato.

«Forse perché non lo ero?» Lo schernii. Ridacchiò e mi ritrovai a pensare a quanto fosse bello mentre rideva. La sua risatina di scherno era cristallina e contagiosa.

«Smetterò di fare gare…» Disse improvvisamente, prendendo il mio viso tra le sue mani. Incontrai i suoi occhi color cielo e mi persi dentro. Era così profondi, velati da una leggera tristezza.
La sua maschera d’indifferenza la usava solo per constare me e il resto del mondo. Sapevo – e ne ero quasi certa – che lui non era sempre così odioso. Oggi, ad esempio, si stava comportando quasi civilmente…Questo era il vero Damon. E io ero intenzionata a scoprire ogni sua piccola sfaccettatura del suo carattere.
Volevo conoscere mio fratello. Avevo deciso.
Persa nei miei pensieri e nei suoi occhi, non mi resi conto che i suoi occhi guardavano intensamente le mie labbra.

«Solo se dirai che ci tieni a me.» Continuò. Deglutii…Se sapeva – e lo sapeva – che ero preoccupata per lui e che in qualche modo strano e perverso ci tenevo a lui, perché voleva che glielo dicessi apertamente?

«Perché vuoi che io lo ammetta?» Sibilai con un pizzico di veleno. Detestavo le persone che usavano il loro charme e i loro modi di fare per farmi ammettere qualcosa che non avrei mai detto neanche sotto tortura.
Damon mi fissò intensamente. Non l’avevo mai visto così serio in quelle settimane.

«Perché ho bisogno di sapere che c’è qualcuno che tiene ancora a me. Perché voglio sentirtelo dire, Elena.» La sua voce era quasi incrinata. Così incrinata che metteva la pelle d’oca. Pensava che nessuno teneva a lui? Forse era per il brutto rapporto che aveva con i genitori o forse era per la mancanza di un padre in tutti quegli anni.

E io? Io avevo solo peggiorato la situazione, facendogli capire quanto lo odiassi. Anche se non era vero. Perché nel mio profondo…sapevo che non potevo odiarlo. O meglio lo odiavo, ma di un odio così particolare e contrastante che mi teneva occupata la notte a pensare a lui e a questo sentimento che sentivo dentro di me ogni volta che lo vedevo.

«Io…io ci tengo a te. Non voglio che tu faccia quelle gare, perché ti voglio qui con me. A litigare, per poi fare pace…Pizzicarci e prenderci in giro, ridere fino alla nausea per poi litigare furiosamente il giorno dopo.» Dissi guardandolo negli occhi. Non sembravamo neanche fratelli…Nonostante in quel momento non lo stessi odiando, non riuscivo a sentire con lui una connessione emotiva o di sangue.
Sembrava che stessi parlando con un normale ragazzo…Troppi anni di lontananza facevano male.

«Questo volevo sentire.» Soffiò quasi sulle mie labbra. Quella situazione era sbagliata…Non potevamo avvicinarci più di così, già questa vicinanza era sbagliata.
«Damon…potresti…anzi, potremo andarcene? Sai, vorrei vedere New Orleans.» Gli spiegai debolmente. Damon si scostò da me con un sorrisetto. Quel sorrisetto odioso glielo toglierei dal volto a suon di cazzotti.
«Mm…Cosa vorresti fare?» Chiese grattandosi la nuca. Alzai gli occhi al cielo e mi morsi un labbro pensierosa. Cosa facevano due comuni fratelli in situazioni come queste? Ma dai, chi volevo prendere in giro…Questa situazione “calma” tra noi due non sarebbe durata a lungo!

«E’ tardi per mangiare…Facciamo una passeggiata, ti va?» Proposi. La mia coscienza urlava come un’ossessa di lasciar perdere quell’idea folle e di farsi riaccompagnare a Mystic Falls, ma decidi di ignorarla – come facevo la maggior parte delle volte – e passare quel weekend con lui.
Annuì poco convinto e mi prese la mano. Quel contatto mi fece irrigidire non poco. Era anche questa una cosa che facevano i fratelli? Con Stefan di certo non passeggiavo mano nella mano in città. E se per questo con Stefan non provavo questo senso di adrenalina e passione che provavo solo ed esclusivamente con Damon.

«E’ strano stare così…con te.» Dissi guardandolo. Nella mia voce – inizialmente speravo di usare un tono serio – si distinse un pizzico di ironia. Damon ghignò e si scostò il ciuffo dalla fronte.

«E’ strano parlare così…con te.» Aggrottai le sopraciglia. Perché era strano parlare con me? Damon notò la mia incertezza e ridacchiò divertito.

«E’ strano parlare con te senza insulti, senza prenderci in giro…Fa un effetto particolare anche a te?» Mi spiegò meglio. In effetti stare a New Orleans con lui in pace faceva uno strano effetto. Sapevo che quello che provavo non era giusto, perché sapevo bene che le farfalle nello stomaco, il formicolio alle mani ogni volta che mi toccava, i brividi sulla schiena quando mi baciava il collo…Non erano emozioni che si provavano con i fratelli.
Non erano le stesse emozioni che provavo con Stefan. Con Stefan mi sentivo a disagio a volte, altre volte mi piaceva prenderlo in giro e mi divertivo con lui…ma mai e poi mai mi sarei sognata di immaginare Stefan che mi baciava il collo.
La sola immagine mi faceva accapponare la pelle disgustata.

«Più o meno…» Camminammo così, mano nella mano per un paio di minuti. Sfruttai quei minuti per osservarlo meglio e poi osservare meglio me. All’apparenza non sembravamo fratelli. Lui era alto, piuttosto slanciato con un corpo che potrebbe far invidia a chiunque, due iridi color ghiaccio e i capelli scuri simili alle piume di corvo.
Io invece ero di una bellezza mediocre rispetto a Damon. Non ero alta quanto lui, non avevo un fisico scolpito – un filino di pancia l’avevo ma mi piaceva il mio corpo –, i fianchi erano simili a delle piccole conche, il seno abbastanza pronunciato nell’insieme, dei capelli lisci castani che arrivavano dietro la schiena e due anonimi occhi color cioccolato.
Non sembravamo affatto fratelli…Forse la gente non ci faceva caso, ma io rispetto a lui mi sentivo piuttosto mediocre.

«A cosa pensi?» Mi ridestò Damon. Scossi leggermente la testa e lo guardai confusa. «Non mi ascoltavi, avevi lo sguardo vacuo…A cosa pensavi?» Chiese ancora. Ricordai quello a cui pensavo e arrossii leggermente.

«Pensavo a quanto non ci assomigliamo…Tu sei…Sei…» Bellissimo? Figo? Magnifico? Fantastico? Sexy? Avevo molti aggettivi con cui descriverlo, molti dei quali non erano molto positivi.
«Io sono?» Mi spronò con un sorrisetto. Mi morsi un labbro e alzai lo sguardo.

«Tu sei stronzo, antipatico, anche un po’ coglione a volte…però hai una bellezza disarmante e io mi sento non so…più brutta…» Scoppiai in una piccola risatina, sentendomi in netto disagio.

Il suo sguardo si assottigliò sempre più e iniziò a squadrarmi da capo a piedi. Incrociai le braccia sotto al seno e sentii le mie guance andare in fiamme molto lentamente.

«Elena forse non ti rendi conto…anzi sono sicuro che non ti rendi conto di quanto tu sia provocante. Sei provocante quando ti mordi il labbro, sei sexy quando sfoderi la tua espressione confusa perché nel tuo insieme sei ingenua ma al contempo bellissima. E ora, in questo momento, se non smetterai di morderti il labbro andremo entrambi a finire male.» Sussurrò tutto molto lentamente, scandendo per bene tutte le parole. Aveva gli occhi ridotti a due piccole fessure e mi fissava intensamente.

«E sai perché andremo a finire male?» Se il tono di prima era fermo e deciso, questo era roco e sensuale. Le gambe divennero improvvisamente molli e il mio battito accelerò le pulsazioni.
Scossi la testa. Perché andremo a finire male?

«Perché ti bacerei qui. Ti sbatterei contro la vetrina di un negozio e ti bacerei fino a farti perdere il respiro.» I nostri nasi si sfioravano. La mente diceva di tirargli uno schiaffo e di allontanarlo, mentre il cuore…il cuore mi diceva di baciarlo e di mandare tutto all’aria.

«E allora fallo.» Lo incoraggiai con un sorriso. Lo sguardo di Damon mutò da duro a sorpreso. Probabilmente non credeva neanche alle sue orecchie.

«Lo farei, se non fossimo fratelli.» Rispose. Questa volta tra i due ero io quella sorpresa…Damon Salvatore da quando in qua aveva rispetto per le parentele? Avevo perso persino il conto di tutte le volte che ci aveva provato con me…e ora?
«Sei incorreggibile Damon.» Lo provocai dandogli una leggere pacca su una spalla. Si scostò da me e mi prese nuovamente la mano.

«E se stasera andassimo nella nuova discoteca di New Orleans?» Mi chiese. I miei occhi s’illuminarono alla parola “discoteca”…Poi ci ripensai. Dovevo andare in discoteca con dei jeans?
«Non credo sia una buona idea…Insomma, devo andare in discoteca con degli anfibi?» Chiesi, scoppiando a ridere. Poco dopo anche Damon iniziò a ridacchiare, scompigliandomi affettuosamente i capelli.
«Mm…Forse…e dico forse, ho una sorpresa per te…» Rimase piuttosto vago. Strabuzzai gli occhi Damon che mi faceva una sorpresa?

«Ho pescato dal tuo armadio un paio di vestiti…Suppongo possano andare bene.» Continuò con fare annoiato. Un momento…Damon era entrato in camera mia? E aveva preso dei vestiti? Aveva scelto anche l’intimo?
«Come facevi a sapere che avrei accettato di venire qui? E se non avessi accettato?» Chiesi. Avevo sparato una grande cazzata. Sapevo bene che alla fine avrei ceduto alla sua idea e fin’ora potevo dire che il weekend si stava prospettando migliore del previsto.

«Se tu non avessi accettato…ti avrei portato qui di peso, no?» Damon aveva usato il suo solito umorismo a doppio taglio. Una cosa che avevo notato andando in giro con lui era il modo in cui la gente guardava me e Damon. E nel farlo non erano neanche indiscreti!

Damon a prima vista non dava l’impressione da bravo ragazzo – e non lo ero affatto – ma la gente non poteva basarsi sull’apparenza. Vedere come la gente ci guardava mi mandava in bestia, anche se il più delle volte era divertente vedere i loro volti colmi di paura.
«Portato di peso? Mm…Si può fare.» Commentai divertita.
 

Eravamo di fronte alla discoteca. Fin’ora questo weekend stava andando a gonfie vele. Damon aveva avuto persino buon gusto nello scegliermi i vestiti. Aveva scelto un vestitino verde smeraldo molto chiaro che arrivava poco sotto il sedere, abbellito da alcune pietruzze sulla scollatura.  Ai piedi avevo dei tacchi color marrone scuro simili al colore dei miei capelli e sugli occhi avevo optato per uno smooky eyes. Aveva gusto e aveva pensato a tutto – si era persino ricordato dei miei trucchi – .

Sinceramente, all’inizio avevo pensato che tutto quello che stava facendo fosse stata
un’ improvvisata…Però quando mi avevo mostrato i suoi piani, quando mi parlava delle sue intenzione e quando mi aveva mostrato tutto l’occorrente per passare con lui quel weekend mi ero ricreduta.
Damon per una volta aveva deciso di fare le cose per bene.

Anche lui non era da meno, quella sera la sua bellezza era abbagliante. Aveva indossato una camicia bianca con i primi bottoni aperti da cui s’intravedeva la tartaruga, dei pantaloni blu e delle scarpe di cuoio molto eleganti. Faceva la sua figura, il mio fratellone.

Entrammo nella discoteca. Quella sera era piuttosto appariscente, o almeno avevo avuto quell’impressione dato che sentii diversi occhi puntati su di me.
Mi ricordai della faccia che avevo fatto quando vidi l’intimo che Damon mi avevo preso da mettere sotto quel vestito. Era color carne completamente in pizzo a taglio a brasiliana. Lo volevo uccidere, quando li vidi cercava di trattenere le risate.

«Elena, cerca di…cerca di farti notare il meno possibile.» Aveva un tono duro. Sorrisi al pensiero che mi passò per la mente. E se fosse geloso? Ma lui non poteva essere geloso, perché eravamo fratelli…però avevo il diritto di essere possessivo.
Mi accomodai con lui accanto a uno dei tanti divanetti. Avevo una visione quasi completa di quell’enorme discoteca.
Ovviamente, la puzza di fumo e alcool divagava ovunque ma non mi dava così fastidio. C’erano diversi ragazzi – bei ragazzi – in particolare uno che mi fissava insistentemente, gli ammiccai leggermente sbattendo i miei occhi da cerbiatta. Di solito funzionavano.
Era un ragazzo abbastanza alto, con capelli scuri e un sorriso magnetico in volto. Damon invece si era già dato da fare con una biondina.

Si lanciavano occhiate maliziose, lei l’aveva già puntato dalla nostra entrata. La squadrai meglio: era alta, bionda con due occhi color lapislazzulo, una bella terza di reggiseno imbottito, bloccata in un tubino rosso fuoco che le arrivava all’inguine.
Chiusi gli occhi, immaginando Damon con quella. Brividi di disgusto attraversarono il mio corpo. Quella discoteca pullulava di ragazzi e ragazze di ogni tipo, in particolare di ragazze con mini vestiti addosso che si strusciavano addosso a tutti.

Il Dj, però, era bravo. Remixava diversi pezzi piuttosto vecchi, rendendoli con la nuova tecnologia più moderni.
Stufa di quelle occhiatine tra me e quello sconosciuto e tra Damon e quella bionda ossigenata decisi di prendere in mano la serata.

«Damon…ti andrebbe un ballo?» Chiesi, fissando quella ragazza con aria di sfida. Era una questione tra me e lei, lo stavo facendo apposta e mi divertiva vedere la faccia della ragazza.
Damon invece ci pensò su pochi istanti per poi prendere la mia mano e guidarmi in pista. Inizialmente ballavano quasi separatamente, ma vicini. Io ancheggiavo semplicemente.
Decisi di cambiare strategia non appena vidi quella ragazza avvicinarsi a noi. Eh no! Pensava di avvicinarsi a…No, un minuto, ero davvero così ossessionata da mio fratello?

«Forse è meglio se ballassimo più vicini.» Sussurrò Damon, poggiando le sue mani sui miei fianchi e mi trasse vicino a lui. Poggiai le mie mani sul petto, leggermente sconvolta da quel gesto così avventato.
Non dissi niente, mi strinsi a lui e gli sorrisi leggermente. Iniziammo a ballare lentamente, troppo lentamente per trattarsi di una canzone qualsiasi.
Con lui lì che mi stringeva a sé, senza dire niente, soltanto guardandoci negli occhi scompariva tutto quanto. Scomparsero il tipo di musica che non era adatto al nostro ballo lento e romantico, le persone che ci circondavano e il posto dov’eravamo.
Perché in quel momento eravamo solo io e lui. Senza quella bionda e senza quel bell’imbusto. Eravamo io e Damon.

«E’ bello ballare così…» Disse, spostando una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio. Si soffermò pochi secondi sul mio viso per poi ritornare a guardarmi intensamente. Non riuscivo a parlare…Dov’era l’Elena senza peli sulla lingua? Oh, era sparita nel momento in cui Damon era così vicino a me.

«E’ bello stare così…con te.» Ammisi sospirando. La parte della ragazza triste per quel riavvicinamento non mi calzava affatto, ero contenta e spensierata nelle sue braccia.
Cambiavo completamente con lui. Fin’ora, fino a quando non era ritornato non ero così schietta.
Ero una brava ragazza e una brava figlia, certo avevo i miei problemi e avevo risentito il distacco da mia madre però avevo sempre mantenuto la facciata da ragazza buona.

Ma da quando avevo saputo dell’arrivo di Damon – ovvero a inizi Dicembre – ero cambiata. Ero più irascibile e nervosa, arrabbiata per il suo ritorno e da qui a due settimana del suo arrivo ero diversa – almeno così mi dicevano un po’ tutti –, ero diventata più ribelle, più schietta e più sfacciata.
Damon tirava fuori un’altra parte di me. Damon tirava fuori la parte peggiore di me.

«A cosa pensi?» Sussurrò a bassa voce facendomi girare. Sentivo diversi sguardi, ma non più su di me, bensì su di noi. Probabilmente era strano vedere due persone ballare così intensamente un lento sotto una canzone metal. Ma noi eravamo così, eravamo speciali e diversi.
«Tiri fuori il peggio di me, lo sai?» Chiesi, rispondendogli indirettamente. Damon ghignò soddisfatto. Si divertiva con me e io – anche se non l’avrei mai ammesso – mi divertivo con lui quando non ci dichiaravamo guerra.

«E tu tiri fuori il meglio di me. Siamo pari, piccola.» Ammiccò. Sussultai alle sue parole…Io tiravo fuori il meglio di lui? Notò il mio sgomento e ridacchiò leggermente.
La musica metal era conclusa e al suo posto fu messo un bel lento. Wow…Ora c’era un’atmosfera diversa, più speciale e romantica.
I nostri fianchi combaciavano e ballavamo uno sull’altro, completamente persi negli occhi dell’altro.

«Ti chiedi come fai? Come fai a far uscire la parte migliore di me?» Chiese divertito. Se in quel momento qualcuno mi avesse chiesto di descrivere Damon Salvatore in una parola, ne avrei usata solo una: sexy. Incredibilmente sexy, che ti faceva perdere completamente la testa.
«In effetti, era questo il mio pensiero…» Dissi. Damon stava per rispondermi, ma qualcuno ci interruppe.
«Amico, potresti concedermi un solo ballo con lei?» Una voce ironica dietro di me impedì a Damon di rispondere. Con un diavolo per capello mi girai scontrandomi con il ragazzo a cui avevo mandato occhiatine precedentemente. Non era niente male da vicino.

Damon mi lanciò uno sguardo che ricambiai. Potevo concedergli un ballo dopotutto…Non mi dispiaceva.
L’approccio dello sconosciuto mi era piaciuto: si era rivolto al mio partner con ironia ma senza maleducazione con un tono divertito da cui trasudava anche sensualità.

«Troverò qualcuna con cui ballare, tranquillo.» Rispose, invece, acido Damon adocchiando quell’insopportabile bambina troppo cresciuta.

Bambina troppo cresciuta? E’ questo il meglio che ti viene in mente? Mi chiese la mia coscienza, prendendosi gioco di me.
Mi mollò lì allontanandosi da me e avviandosi verso quella ragazza. Mi girai e iniziai a ballare con quel ragazzo.
Ancheggiavo sensualmente in mezzo alla pista da ballo. Il ballo mi era sempre piaciuto, da piccola papà mi diceva che la mamma voleva che andassi a danza.

Il mio sguardo nel frattempo vagava anche intorno a tutti i presenti. Mi ripetevo che mi guardavo attorno per vedere se c’era qualcuno d’interessante, ma in realtà era solo una scusa per non dire a me stessa che cercavo una chioma nera e due occhi color ghiaccio.

«Piacere, sono Kol.» Si presentò, baciandomi il dorso della mano. Un gentiluomo sembrava dai modi di fare. Era diverso da Damon. Oh, ma andiamo! Perché facevo questi paragoni?
Damon non si sarebbe presentato con tanta eleganza. Mi ricordo il nostro primo incontro quando non sapevo neanche che era mio fratello. Si era presentato con una battuta squallida, ma con un sorriso irresistibile.

«Sono Elena.» Risposi guardandolo nelle due pozze color marrone fuso. Per quanto guardassi quegli occhi e provassi a specchiarmi dentro non sarebbero mai stati all’altezza dalle due pozze color mare a cui ero abituata.

«Ti va un drink?» Proposi indicando il bar. Lui mi sorrise e mi porse la mano. Aveva un’aria inquietante, ma dei modi di fare galanti. Aveva un suo charm in fondo.
Mi sedetti ad uno sgabello con lui accanto.

«Cosa vuoi? Io prendo qualcosa di leggero.» Disse. Per lui non era la serata per ubriacarsi, ma per me? Per me non c’era un limite. Potevo bere quanto volevo…La colpa sarebbe ricaduta su chi? Oh, su Damon.
«Qualcosa di forte, molto forte.» Precisai con un sorrisetto malizioso in volto. Credo che tutte quelle luci mi abbiano dato alla testa. Kol scoppiò in una risata cristallina e mi squadrò da capo a piedi.

«Non sembri il tipo che si ubriaca facilmente, quindi non credo farà male un cocktail no?» Mi chiese. Infatti non ero il tipo che diventava sbronza per un drink. Potevo reggere un paio di bicchieri.
Kol me ne porse uno, brindammo e bevvi in un solo sorso. Poggiò il suo bicchiere e iniziò a battere le mani molto lentamente.

«Sei una tipa tosta, eh?» Commentò con una leggera malizia nella voce. Annuii sicura.
«Non hai idea.» Risposi mantenendo un’aria molto enigmatica. Un ghigno si formò sulla sua bocca…Non era il suo ghigno. Lui non era lui. Kol non era Damon. Io volevo ubriacarmi con mio fratello, non con quello sconosciuto.
«Cosa ti porta a New Orleans?» Chiese con un sorrisetto. Già…Cosa mi portava lì? A quella domanda solo una risposta, anzi un nome. DAMON.

Era lui che mi aveva trascinato in quello che doveva essere un bel weekend per noi due. E invece? Ero con Kol che poverino si era ritrovato sulla mia strada e che ora doveva sopportarmi sia da sobria che da ubriaca.
«Un viaggio…Sai mi sei simpatico, Kol.» Dichiarai, dandogli una pacca sulla spalla. Kol si scostò i capelli dalla fronte e si aggiustò la camicia.

«Sarei molto sfacciato, se ti chiedessi il tuo numero di telefono?» Scossi la testa. Mi piaceva Kol, mi era simpatico. Presi il suo cellulare e memorizzai il mio numero di telefono.
«Quando passi da Mystic Falls fammi un fischio.» Ammiccai, per poi girarmi verso il bar.
Richiamai l’attenzione del barman con un fischio.

«Una tequila, grazie.» Ora avevo capito cosa avrei fatto quella serata: mi sarei ubriacata. Di Damon neanche l’ombra e questo mi stava mandando in bestia. Probabilmente era con la biondina.

«Stiamo cercando di dimenticare qualcuno?» Chiese Kol. Scossi la testa, prendendo in mano il drink che mi aveva appena portato il barista. «Non c’entra quel ragazzo con cui ballavi,uhm?» Colpita e affondata.
Quasi mi strozzai con la mia tequila. Alzai gli occhi al cielo, non appena vidi il volto soddisfatto di quel ragazzo.

«E’ mio fratello.» Chiarii. Kol strabuzzò gli occhi e scoppiò a ridere. Una risata cristallina. Era così divertito dalla mia affermazione? Bevvi in un sorso la fine della mia tequila e lo guardai leggermente scossa.

«Quindi…innamorata di tuo fratello?» Continuò imperterrito. Sbarrai gli occhi ma non risposi. Come potevo essere innamorata di quello stronzo? Bha.

«Una vodka pesca e cola.» Ordinai ancora. Kol sospirò pesantemente, mentre il barista mi guardava leggermente perplesso. Gli porsi una banconota, fin quando gli mostravo i soldi continuava a servirmi anche se sospettavo che tra qualche bicchiere si sarebbe rifiutato di assecondare qualche altra mia richiesta.

«Non mi hai ancora risposto.» Scoppiai a ridere. Io innamorata di Damon? Era uno scherzo? Damon non era il mio tipo. O meglio, era il tipo delle mie fantasie più profonde. Bello da mozzare il fiato, comportamento da ragazzo stronzo – qual’era – e un sorriso da lasciar a bocca aperta.
Credo che l’effetto dei cocktail stava avendo la meglio su di me. Ridevo senza alcuna ragione, persino Kol non riusciva più a calmarmi.

Ordinai un altro cocktail, non avevo più nomi in mente…Specificai al barista di voler qualcosa di forte, molto forte.
«Vuoi una risposta? Non me ne frega niente. Io detesto Damon Salvatore, e sai perché?» Kol scosse la testa, alzando le spalle. Bevvi un altro sorso. «Perché sono completamente e maledettamente ammaliata da lui e dai suoi modi di fare. E so bene che lui è mio fratello, ma che ci posso fare? Quello si diverte con i suoi giochetti!» Sbuffai.

L’alcool mi aveva fatto perdere la testa. Completamente.
Stavo veramente parlando di Damon a un perfetto sconosciuto? E cosa ancor più strana ma di maggior importanza: avevo detto che ero ammaliata da Damon? Stavamo scherzando?

«Elena, sei leggermente ubriaca…» Mi disse Kol, prendendomi per le spalle. Ma io non vedevo un solo Kol, ne vedevo quattro. Chi dei quattro era quello vero?
Chiusi gli occhi e una volta riaperti vidi Kol parlottare con qualcun altro. Chi era?

«Elena, andiamo a casa.» Quel tono l’avrei riconosciuto ovunque. Anche da ubriaca. Era il mio Damon. Un momento…Avevo definito Damon mio?
Perché lo è! Tuonò la mia coscienza, ubriaca anche lei.

Avevo un forte mal di testa, ma riconobbi una chioma scura come piume di corvo parlare con Kol.
«Cos’hai fatto, stronzo?» Gli urlò Damon, prendendolo per il collo della camicia. Erano vicinissimi e Damon era completamente andato di testa. Non era ubriaco quanto me, però aveva bevuto di sicuro qualcosa.

«Ti piace far ubriacare le ragazze? Che intenzioni avevi? Lei è mia!» Grugnì Damon. Un momento…Mia? Lei era mia? L’aveva veramente detto o la mia sbronza mi stava provocando allucinazioni serie?
Dopo poco sentii due braccia trascinarmi via di lì. Era Damon e mi sembrava piuttosto incazzato.
Il viaggio in macchina era stato piuttosto silenzioso da parte di Damon. Guidava la Camaro tenendo lo sguardo fisso sulla strada e più volte avevo provato a catturare la sua attenzione, ma niente.

«Oh, andiamo Damon! Come sei rigido oggi!» Lo presi in giro. Davanti a me c’era quella squallida locanda illuminata debolmente da un lampione.
Damon appoggiò un suo braccio intorno alla mia vita, mentre io poggiai uno sulle spalle.
Camminavo a tentoni e sentivo Damon imprecare costantemente a bassa voce.

«Elena non hai idea cosa ti farei in questo momento. In tutti i sensi.» Sussurrò duro. Davanti a me avevo una rampa di scale che si muoveva…Si stava muovendo realmente o me lo stavo immaginando?

«Siamo alle giostre?» Chiesi ironica. Damon sgranò la bocca e si schiaffò una mano in fronte. Mi prese allora in braccio a mo’ di sposa. Avevo lo stomaco in subbuglio, sentivo la tequila combattere contro la vodka ed entrambi avrebbero avuto la peggio su di me.
Damon aprì con me in braccio a fatica la porta di quella camera e chiuse la porta alle sue spalle lanciandomi un’occhiataccia.

«Elena, ce la fai a mantenerti in piedi?» Mi chiese, scuotendomi leggermente. Io avevo la testa nell’incavo del suo collo e lo fissai infastidita.
Annuii. Damon mi guardò leggermente seccato e mi poggiò a terra. Quando, però, sentii le mie gambe a terra la stanza iniziò a girare velocemente.
Per poco non caddi a terra, ma Damon mi afferrò prontamente trattenendo le risate. Nessuno mi aveva detto che ero divertente quand’ero ubriaca.

«Oh, certo vedo come ti mantieni in piedi.» Poggiai le mani sul torace di Damon. Era così bello ed era anche mio fratello.
«Mm…Tranquillo, una sbronza passa.» Ammiccai sorridendo. Era più che sicura che l’avevo sconvolto ed ero sconvolta anch’io. I ruoli si erano invertiti? Questa volta ero io che ci provavo con lui?

«Non hai idea di come tu mi stia facendo impazzire, Elena.» Sussurrò stringendo la presa sui miei fianchi. Stavo completamente perdendo la testa. Mi aiutò a rialzarmi e mi guardai intorno.
La stanza finalmente aveva smesso di girare, ma la sbronza non era passata. Damon era lì che mi fissava attentamente.
«Perché dovevi ubriacarti?» Mi urlò con gli occhi fiammeggianti. Roteai gli occhi. Già ero ubriaca, se poi lui urlava peggiorava solamente la cosa!

«Perché mi andava! Perché volevo ubriacarmi con mio fratello! E mi sono ridotta a ubriacarmi col primo sconosciuto!» Gridai più forte. Stavo completamente uscendo di testa.

«Ah, bene…La colpa ora è mia,eh?» Non capivo perché mi urlava contro. «Tu sei ubriaca e la colpa è la mia, giusto?» Si era avvicinato a me e mi puntava contro il dito arrabbiato. La vena sul suo collo pulsava fortemente e gli occhi tra poco rischiavano di uscirgli fuori dalle orbite.

«Sì! La colpa è sempre tua! Tu sei la causa di questo mio comportamento idiota!» Lo accusai. Un momento…Perché lo stavo accusando di queste stronzate? Non stavo parlando io, era l’Elena ubriaca che aveva preso il sopravento su di me.
«Io sono la causa? NO. Sei tu che mi stai mandando alla follia.» Ero contro il muro e lui era a pochi centimetri da me con il volto contratto in una smorfia sexy.

«Sei tu con le tue maledette labbra, i tuoi occhioni da cerbiatta…Sei così…Mi stai tentando! E non posso permetterlo!» Grugnì. Non era arrabbiato più con me, ora era arrabbiato con sé stesso e con la sua moralità.
«Non puoi permetterti cosa, Damon?» Mi leccai sensualmente il labbro inferiore. Ora ero nel pieno della mia sbronza e probabilmente il giorno dopo non mi sarei ricordata niente di tutto ciò.

«Non posso permettermi di cedere.» Sussurrò toccando i miei capelli. Sembrava quasi incantato. Io, invece, ero completamente incantata da lui già da un pezzo. Ero andata di testa.

«Perché non cedi solo per una sera?» Lo tentai. I suoi occhi cambiarono…Se prima cercava di trattenersi ora stava lentamente cambiando idea.

«Al diavolo le mie convinzioni!» Sbottò. Portò le sue mani sui miei fianchi e si avvicinò a me. Sentii le sue morbide labbra sulle mie. Sapeva di fumo, cuoio e vaniglia.
Un’essenza gustosa. Tutta da assaggiare.

La sua lingua cercò la mia e la trovò immediatamente. Ci baciavamo con passione ardente, con una passione che ti bruciava. Dimenticai tutto quanto: dimenticai che lui era mio fratello, che non dovevo cedergli e che non era giusto.
Dimenticai tutto.

Ora c’eravamo solo io e lui che ci stavamo baciando appassionatamente. Continuando a baciarci ci spostammo sul letto. Spinsi Damon sul letto, ero sopra di lui.
Sbottonai lentamente la sua camicia e mi fiondai sulle sue labbra. Le mani di Damon scorrevano per la mia schiena e in un momento di disattenzione ribaltò le posizioni.

«Si gioca a modo mio.» Grugnì accarezzandomi il volto. Che errore. Eravamo un errore madornale. Insieme stavamo segnando la fine del nostro inizio.
Damon abbassò la slip del vestito che sfilai immediatamente. Cosa stavo facendo? Se fossi in me, non avrei mai baciato Damon.

«Sei bellissima.» Sapevo bene che quello era un mio momento di debolezza e che Damon si stava in un certo approfittando di quella situazione, ma non riuscivo a fermarlo.

«Te lo dico solamente perché probabilmente domani non ricorderai niente…» Si fermò un secondo guardandomi. «Sei l’errore più bello della mia vita, Elena.»
Chiusi un momento gli occhi ed elaborai le sue parole. Già…Domani non avrei ricordato niente molto probabilmente e questo “noi” sarebbe già scomparso.

«Mi fermo qui.» Decretò Damon guardandomi negli occhi. «Non sei sobria.» Mi ricordò. Ci infilammo sotto le coperte e già la mia mente vagò altrove.
Non mi sarei ricordata di niente dopo questa sbronza colossale. Non mi sarei ricordata di questo errore.
Perché noi eravamo questo: l’errore di una notte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*NB. Non ho niente contro la saga di Twilight, semplicemente la battuta calzava a pennello! Andiamo, chi non s’immagina Damon dire una battuta del genere? Io me l’immagino ^^
 
ANGOLO DELL’AUTRICE: I’m come back! Con un giorno d’anticipo! ^^ Contenti? *palla rotola nel deserto*
Ho deciso di aggiornare prima perché avevo il capitolo già pronto e anche perché non ce la facevo più dalla voglia di farvelo leggere!
Inizio dai ringraziamenti. G
razie alle 7 anime che hanno recensito lo scorso capitolo (wow non immaginavo 7 persone), ovvero NikkiSomerhalder, PrincessOfDarkeness90, Smolderina78, Darla19, Mad_Dary, NadiDelenaLove e MiaTersicore23.
Grazie alle 17 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, grazie alle 27 che l’hanno inserita nelle seguite e all’uno che l’ha inserite nelle ricordate.
Un grazie ovviamente è rivolto anche a tutti i lettori silenziosi!
Finito i ringraziamenti, passo al capitolo.
Quanti di voi hanno sognato questa scena, alzasse la mano? *Alzo entrambe le mani* Scusate, ma vi giuro quando la scrivevo avevo gli occhi a cuoricino. Credo che tra quei due ci sia molta passione. Per non parlare della frase ‘perché noi eravamo questo: l’errore di una notte’…Mi salgono le lacrime agli occhi.
Elena ubriaca è il massimo…Com’è che si dice? In vino veritas. Perciò la verità è più che evidente. Per non parlare di Damon, un cucciolo proprio :3, che dice che lei è l’errore più bello della sua vita perché il giorno dopo probabilmente non si ricorderà niente…Sarà ma questa scena mi ricorda tanto la 2x08…Lui si “dichiara” ma lei non se ne ricorda! OMG, ho le lacrime agli occhi! *-*
Cosa ne pensate voi del capitolo? Probabilmente molti di voi penseranno ‘mm carino’, altri ‘mm che schifo’ e altri ancora magari staranno sclerando come me! XD
Ci sentiamo alle recensioni!
Cucciolapuffosa <3

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Capitolo 7
*** I'm a mistake. ***


Capitolo sette.
I’m a mistake.
 
Un gran mal di testa mi accompagnò per tutta la notte. Non avevo chiuso occhio, ad accezione di un’oretta di sonno dalle cinque alle sei del mattino.
Il mio Iphone segnava le 9.57. Damon mi teneva a stretta a sé. Io avevo la testa poggiata sul suo petto, le sue mani erano sui miei fianchi e le nostre gambe erano intrecciate.
Sorrisi leggermente. Damon era così sereno mentre dormiva.
Ero coperta dal lenzuolo ed ero solo in intimo. I ricordi della scorsa notte era sfocati, ma ben definiti.
Ricordavo di essermi completamente ubriaca, di aver provocato Damon e poi… di esser saltata su di lui!?
Dovevo schiarirmi le idee, chiedere cosa fosse successo a Damon e cercare di godermi l’ultimo giorno di libertà con mio fratello, per poi ritornare al “carcere” ovvero a casa a Mystic Falls.

«Elena…» Mugugnò Damon stringendomi ancora più a sé. Sorrisi leggermente e gli scostai un ciuffo di capelli nero dal volto. Sbatté diverse volte gli occhi e mi toccò il volto con sguardo vacuo, perso e smarrito. Cosa gli stava succedendo?

«Damon…cos’hai?» Sussurrai dolcemente, massaggiandomi le tempie con le mani. Lui mi guardò confuso per poi scuotere la testa.

«Niente…Pensavo a ieri sera…Ti ricordi qualcosa?» Chiese. Aveva il respiro pesante e la voce incrinata. Ora ne ero certa: ieri era successo qualcosa. Dovevo solamente capire cosa…I ricordi di ieri sera lottavano nella mia testa e mi facevano un male cane. Chiusi gli occhi e cercai di trattenere le lacrime per quel maledetto mal di testa.

«Diciamo…So solo che ho un mal di testa infernale.» Grugnii infastidita. Mi tolsi di dosso il lenzuolo e scesi con fretta dal letto. Fui presa alla sprovvista da diversi cerchi alla testa, la stanza stava girando sempre più velocemente, oltre all’emicrania si aggiungeva anche un fastidioso dolore alla pancia.

«Piccola, guardami…» Mi disse Damon. Mi teneva per le spalle e mi fissava con aria comprensiva. Questi erano i postumi della sbornia colossale del giorno precedente.

«Questa è colpa tua, eh!» Commentò ironico, spostando i miei capelli dal volto. Mio Dio, doveva essere così puntiglioso persino quando ero in pessime condizioni?
Alle sue parole, un flash della sera precedente si fece spazio nelle mia mente.

«Ah, bene…La colpa ora è mia,eh?» Non capivo perché mi urlava contro. «Tu sei ubriaca e la colpa è la mia, giusto?»
Perché ieri sera stavamo inveendo uno contro l’altra per capire di chi era la colpa? Feci qualche passo e mi avviai a passo veloce in bagno. Legai i miei capelli in una coda malfatta, mi chinai sul wc e vomitai tutte quelle schifezze alcoliche che avevo ingerito il giorno precedente.
Da dietro sentii due mani poggiarsi sulle mie spalle e massaggiare lentamente. Chi era? Perché Damon mi stava massaggiando le spalle, mentre vomitavo anche l’anima?

«Cosa stai facendo?» Sibilai, cercando della carta igienica per pulirmi il volto. Prima che potessi replicare, vomitai ancora. Cosa avevo bevuto ieri di così pesante per farmi stare come uno zombie il giorno dopo?

«Ti sto aiutando. Non hai sempre sognato di condividere una sbornia con tuo fratello?» Mi chiese, porgendomi della carta igienica. Mi sciolse i capelli e li legò in una coda alta di cavallo.
Arricciai il naso alla sua domanda. Come faceva a sapere che avevo sempre sognato di condividere con lui una sbornia o magari i postumi? Possibile che volesse veramente essere mio fratello?
Un altro flash prese posto nella mia mente.

«Perché mi andava! Perché volevo ubriacarmi con mio fratello! E mi sono ridotta a ubriacarmi col primo sconosciuto!» Gridai più forte. Stavo completamente uscendo di testa.

Ieri sera gli avevo urlato questo? Perché cazzo avevo fatto una stupidaggine del genere? Aggrottai le sopraciglia. Gatta ci cova. Damon non me la stava raccontando giusta, ma lui non sapeva che io stavo ricordando.
Mi sorse allora un dubbio: perché non mi diceva fin da subito quante stronzate avevo fatto la sera precedente? Cosa mi stava nascondendo?
Meglio per lui che era una stupidaggine, altrimenti sarebbe finito in guai seri con me. Già il nostro rapporto era più che conflittuale se lui ometteva anche dettagli importanti non saremo andati lontani.

«Stai meglio?» Mi chiese, porgendomi una mano. Mi avvicinai al lavandino e mi sciacquai la bocca. Il sapore di vodka e tequila non era il massimo. Mi lavai i denti e mi lavai anche il volto.
Mi specchiai. Avevo due enormi occhiaie che mi solcavano il volto, i capelli sparati all’aria ed ero in intimo. Un momento…chi mi aveva tolto il vestito verde acqua?
Chiusi gli occhi e ricordai una scena alquanto raccapricciante della sera precedente.

«Si gioca a modo mio.» Grugnì accarezzandomi il volto. Che errore. Eravamo un errore madornale. Insieme stavamo segnando la fine del nostro inizio.
Damon abbassò la cerniera del vestito che sfilai immediatamente.

Un momento…Cosa significava che si giocava a modo suo? Indurii i lineamenti e mi sentii a disagio. Damon mi aveva tolto il vestito?
«Damon…noi, cioè io e te…Noi abbiamo fatto quello che penso?» Chiesi, specchiandomi nei suoi occhi color mare. La cosa che mi faceva più paura era un’altra: non ero disgustata all’idea di aver compiuto quell’enorme cazzata. Forse…perché volevo? O mio Dio, che razza di mente perversa avevo? Con mio fratello?
Mille brividi percorsero il mio corpo immaginando quella situazione.

«Oh, no…» Disse tra una risata e l’altra. Ci rimasi leggermente male a quella reazione spropositata. Era solo una domanda a cui doveva rispondere o sì o no. Capivo di non essere il massimo della bellezza a cui aspirava Damon, ma non pensavo di essere così ripugnante.

«Oh, bene. Forse per te va meglio quella biondina insopportabile?» Sputai veleno, uscendo dal bagno e dirigendomi verso il borsone. Presi il mio vestito verde da terra e lo riposi con stizza nella borsa.
Afferrai l’intimo e l’ultimo cambio rimanente. Non capivo perché quel commento mi avesse dato tanto fastidio. Insomma…a me cosa importava se a Damon piacevo o no?

«Elena…non intendevo…Non intendevo in quel senso!» Replicò guardandomi dalla testa ai piedi. In quel momento non sapevo se volessi dargli uno schiaffo o  fargli rimangiare le sue parole.

«Quindi non intendevi che tu non potresti mai essere attratto da me? Sono sicura che preferisci le bionde formose.» Sbuffai infastidita. Un lamo di malizia attraversò i suoi occhi e un sorrisino divertito comparse sul suo volte.

«Dovrei interpretare questa scena, come una scenetta di gelosia?» Mi chiese avvicinandosi. Aguzzai lo sguardo e sospirai pesantemente.
«Elena non abbiamo fatto quello che pensi, perché eri ubriaca e io non mi approfitto delle ragazze.» Disse seriamente. Con quelle parole capii che Damon non avrebbe mai approfittato di nessuna ragazza, anche se probabilmente di ragazze nel suo letto ne aveva avute parecchie.

«Ma se non fossi stata ubriaca, forse potrei pensarci…» Ammiccò leggermente. Assottigliai maggiormente lo sguardo e gli diedi un leggero schiaffo sul braccio.

«Vado a prepararmi…» Lo liquidai velocemente con un sorrisetto divertito in volto. Chiusi la porta del bagno e mi tolsi l’intimo.
M’infilai velocemente sotto la doccia. Mi sarei data solo una sciacquata, ma non avrei lavato i capelli. Presi il bagnoschiuma della locanda e lo insaponai su tutto il corpo.
Damon non me la stava raccontando giusta. Il mal di testa stava lentamente passando e i ricordi si facevano sempre più chiari e nitidi.

«Sei tu con le tue maledette labbra, i tuoi occhioni da cerbiatta…Sei così…Mi stai tentando! E non posso permetterlo!» Grugnì. Non era arrabbiato più con me, ora era arrabbiato con sé stesso e con la sua moralità.
«Non puoi permetterti cosa, Damon?» Mi leccai sensualmente il labbro inferiore. Ora ero nel pieno della mia sbronza e probabilmente il giorno dopo non mi sarei ricordata niente di tutto ciò.
«Non posso permettermi di cedere.»

Non poteva permettersi di cedere? La scorsa notte lo stavo istigando a lasciarsi andare con me? L’alcool mi aveva dato alla testa…Anche se la parte più remota del mio cuore batteva all’impazzata.
Mi sciacquai nuovamente e continuai a pensare a ieri sera. Damon mi aveva detto che non avrebbe mai approfittato di me, eppure sentivo di aver un altro profumo addosso. Il mio profumo abituale che usavo era sparito.
Posai una mano sulla bocca e leccai il labbro inferiore. Le mie labbra sapeva tanto di fumo, cuoio e vaniglia.

Scossi la testa incerta e uscii dal box doccia. Mi asciugai velocemente e indossai l’intimo bianco senza troppi fronzoli.
Damon aveva scelto un jeans con i risvolti strappato sulle ginocchia, una canotta rosa e da sopra un bel maglioncino bianco abbastanza pesante e ai piedi ovviamente i miei anfibi.
Pettinai i miei capelli sciogliendo i nodi che si erano formati quella notte e li legai in un’alta coda. Oggi non erano il massimo i miei capelli, avrei dovuto lavarli al più presto.
Tolsi con un po’ d’acqua il trucco in eccesso della sera precedente, lasciando solo la matita nera e del mascara che non ero riuscita a togliere del tutto senza il mio struccante.
Uscii dal bagno e vidi Damon stravaccato sul letto.

«Pronta per una giornata indimenticabile?» Chiese con un ghigno in volto.
Prontissima.
 


La mattinata era passata nel migliore dei modi. I ricordi della sera precedente erano ancora spezzettati, anche se a volte mi ritornavano in mente per merito di Damon e di alcuni suoi modi di fare.
Il corvino oggi era più strano del solito. Aveva innalzato un muro d’indifferenza che mi dava fastidio. Era sempre il solito Damon con le sue battutine, i suoi modi di fare però c’era qualcosa in lui che era cambiato.

Qualcosa che non riuscivo ad identificare per via di questa sua indifferenza insopportabile. Eravamo seduti ad un bar. Il mio Iphone segnava le 16.23. Per ora non m’interessava di ritornare a casa, stavo bene lì a New Orleans.

«Che ne pensi di una camomilla? Di solito funziona per far passare il mal di testa.» Ammiccò Damon, sfottendomi. Quell’odioso mal di testa non mi aveva abbandonato per tutto il giorno, ma cercavo di sopportarlo.
Ero seduta in un bar all’aperto, molto carino e grazioso. Da lontano un ragazzo mi guardava con un’enorme sorriso in volto. Cercai di capire dove avevo già visto quel ragazzo. Aveva le spalle larghe, occhi scuri così come i capelli, sopraciglia folte ma non troppo e uno sguardo magnetico.

Mi era familiare. Un momento…Come si chiamava quel ragazzo che avevo accalappiato in discoteca?
«Piacere, sono Kol.» Si presentò, baciandomi il dorso della mano. Un gentiluomo sembrava dai modi di fare. Era diverso da Damon. Oh, ma andiamo! Perché facevo questi paragoni?
Lo salutai. Lui in risposta si alzò dal suo tavolino e venne verso di me sempre col sorriso in volto.

«Elena, ci rincontriamo.» Mi salutò. Il suo sguardo si soffermò pochi istanti sul mio volto e poi squadrò velocemente il mio corpo. Lo fece con discrezione, cercando di non farsi notare. Niente a che fare con Damon. Damon quando mi squadrava lo faceva con calma e senza paura che me ne potessi accorgere.

«Kol, giusto?» Chiesi con un sorrisetto incerto. Lui annuì divertito, mentre io diedi un’occhiata dentro. Damon era in coda ed era piuttosto spazientito di aspettare, aveva davanti a sé quattro persone, nel giro di dieci minuti sarebbe ritornato qui.
Un minuto…Perché mi preoccupavo di questo? Damon non aveva incontrato Kol? O forse sì?
Massaggiai con due dita le tempie e rivolsi un altro sorriso a Kol.

«Fammi indovinare…Stai smaltendo la sbornia?» Chiese ironico. Scoppiai a ridere annuendo. La mia risata fu presto contagiosa, anche Kol si unì a me scuotendo la testa divertito.

«Diciamo…Ho la testa pieni di spezzoni di ieri sera.» Confermai. Gli feci cenno di sedersi qui. Dopotutto che male c’era a scambiare due chiacchiere con un amico?

«Posso?» Mi chiese. Annuii ancora, mostrandogli un altro sorriso. Kol si accomodò e si guardò attorno alla ricerca di qualcuno…Chi stava cercando?
«Sembrerò invadente…ma aspetti qualcuno? Vedo che ti guardi attorno.» Chiesi, posando il mio Iphone nella borsa.
«Non aspetto nessuno…Mi sembra solo strano che tuo fratello non mi abbia ancora aggredito. Sei da sola?» Strabuzzai gli occhi. Perché dovrebbe aggredirlo? Nella mia mente si fece spazio un altro brutto ricordo.

«Ti piace far ubriacare le ragazze? Che intenzioni avevi? Lei è mia!» Grugnì Damon. Un momento…Mia? Lei era mia? L’aveva veramente detto o la mia sbronza mi stava provocando allucinazioni serie?
Dopo poco sentii due braccia trascinarmi via di lì.

«Oh mio Dio, Kol scusalo per ieri!» Partii in quarta ricordandomi della grande scenata di Damon. Mi sorpresi vedendo Kol così calmo e per niente spaventato.
Le parole di Damon vorticavano però ancora in mente. Quel ‘Lei è mia’ era stato detto con tanta rabbia che faceva paura. Non era una frase da fratello protettivo, no…Era la frase di un ragazzo geloso.

«Tranquilla, non mi sono fatto niente. Anche se sono sorpreso che ti lasci qui sola soletta.» Commentò divertito. Dalla faccia sembrava stesse pensando che mio fratello se ne fosse completamente uscito di testa – in effetti lo stavo pensando anch’io. –

«Vedi Damon è…Come posso spiegartelo? E’ complicato. Ha queste reazioni spropositate. E’…» Non feci in tempo a continuare che Kol m’interruppe con un sorriso enorme in volto.
«Damon è solamente innamorato di te?» Mi provocò. Quasi non mi strozzai con la saliva. Damon innamorato di me? Oh, andiamo! Mi aveva mollato per anni, a malapena sapeva il giorno del mio compleanno e lui pensava che fosse innamorato di me?

«Posso assicurarti che fino a due giorni fa ci odiavamo.» Risposi divertita. Continuammo a scherzare per pochi minuti. Improvvisamente vidi Kol irrigidirsi e accennare un ghigno.
Mi girai e vidi che Damon era dietro di me con una camomilla e probabilmente un liquore in mano. Un momento…Perché beveva del liquore nel pomeriggio?

«Sarei rimasto lì se avessi saputo che eri in dolce compagnia, Elena.» La sua voce era dura, fredda, senza alcun sentimento. Dal suo volto credo sia leggermente arrabbiato. Si sedette all’altra sedia libera e mi porse la camomilla.

«Oh, stavamo solo scambiando due chiacchiere. Sei un po’ protettivo nei confronti di tua sorella, eh?» Chiese con una punta di ironia. Damon si sedette meglio sulla sedia e iniziò a squadrarlo lentamente con un ghigno disgustato sul volto.
Bevve un sorso di quello credevo fosse Bourbon e rivolse uno sguardo di sfida a Kol.

«Sono iper protettivo nei suoi confronti. Soprattutto con quelli conosciuti in discoteche poco raccomandabili.» Rispose tranquillamente. Io bevvi in silenzio la camomilla guardandoli di soppiatto. Entrambi non perdevano occasione per punzecchiare l’altro…Peggio delle litigate tra Stef e Damon!

«Volevo solamente salutarla.» Kol si alzò da sedere, si avvicinò a me e mi lasciò un semplice bacio sulla guancia sotto lo sguardo vigile di Damon che osservava tutto attentamente.
Si allontanò sorridente e io presi un sospiro. Continuai a bere la mia camomilla in silenzio, mentre Damon beveva il Bourbon con un’espressione indecifrabile in volto.

«Cos’hai?» Chiesi ad un certo punto, stufa di quel silenzio. Damon alzò gli occhi al cielo e posò il bicchierino sul tavolino, con lo sguardo assottigliato.

«Devo per forza avere qualcosa?» Sbuffò. Ora ne ero certa: aveva qualcosa. Lo capivo…Evitava in tutti i modi il mio sguardo, era ansioso, nella sua voce non trapelava nient’altro se non ironia tagliente e i suoi lineamenti era induriti.

«Fino a pochi minuti fa era più sciolto.» Gli feci notare, finendo di bere la camomilla. Iniziò a giocherellare con i suoi occhiali Reyban, senza degnarmi di una risposta. Aspettai un paio di minuti, in attesa di qualche segno di vita da parte sua nei miei confronti.

Nessun segno. Spostavo il suo sguardo ovunque, beveva a sorsi il suo Bourbon e giocherellava con i suoi occhiali.
«Damon non ho tempo per i tuoi giochetti idioti. Ti ha dato fastidio la presenza di Kol?» Chiesi, sapendo che era quello il motivo. Al suo nome, il volto di Damon cambiò totalmente…Rilassò per pochi secondi le spalle per poi irrigidirle, le sue mani erano chiuse a pugno e il suo ghigno era scomparso.

«Semplicemente non mi fido. Lo conosci da poco…Non hai idea di quello che poteva farti ieri, eri completamente ubriaca.» Grugnì tra i denti. «Poteva approfittare di te.» Continuò. Lo guardai truce. Era vero: non conoscevo Kol, ma mi ricordavo quello che mi diceva ieri sera. Non aveva dato segno di volersi approfittare di me.

«Fidati non avrebbe fatto niente. Mi ricordo quello che è successo in discoteca più o meno. Sei tu che sei partito con una sparata di gelosia contro Kol!» Sbottai con una punta di ironia nella voce. Peccato che Damon non avesse colto l’ironia nella mia voce, anzi forse si era innervosito ancora di più.

«So cosa pensano gli uomini quando vedono una ragazza mezza ubriaca in una discoteca di New Orleans. Vuoi saperne più di me?» Chiese alzando la voce. Chiusi gli occhi. Se doveva fare una scenata o dovevamo fare una delle nostre litigate non volevo sorbirla in un bar!

«Ah sì? Se sai cosa pensano gli uomini di una ragazza mezza ubriaca in discoteca, perché mi hai lasciato da sola?» Sul suo volto c’era lo sgomento. Non riuscivo a capire perché avesse preferito lasciarmi lì con Kol per un ballo se poi era così geloso.

«Ti ho lasciato due minuti ballare con quel tipo. Ti ho perso di vista due minuti, dannazione! E ti ritrovo ubriaca!» Sbraitò, alzandosi da sedere. Due minuti? I suoi due minuti non corrispondevano ai miei due minuti!

«Forse avrai perso la cognizione del tempo con quell’adorabile biondina.» Sorrisi amabilmente, prendendo la mia tracolla. Gli diedi le spalle e a testa alta mi allontanai da quel bar.
Damon mi fu subito accanto e si piazzò davanti a me con espressione dura. Era un fratello troppo protettivo e a volte – nella maggior parte dei casi – insopportabile.

«Anche tu non hai perso tempo, eh?» Disse incrociando le braccia al petto. Sospirai pesantemente.
«Damon non me ne importa niente di Kol. A malapena so come si chiama, a me importa di te! Sei mio fratello, ma sembra che tu te ne sia dimenticato in tutti questi anni.» Sputai con rabbia. Era quello il problema. Non riuscivo a mandare giù il problema principale: la sua totale assenza in quegli anni.

«Non mi sono dimenticato di te.» Tuonò puntandomi un dito contro. A quelle parole la mia bocca si aprì sconvolta. Lui non si era dimenticato di me? Era serio? Volevo replicare ma m’interruppe.

«Anche se non ti ho mai contattato, non significa che mi sia dimenticato di te!» Sospirai alle sue parole e non capivo dove stesse andando a parare. Dove voleva arrivare?

«E con questo?» Chiesi infastidita. Lui scosse la testa divertito e si avvicinò a me. Iniziò a giocherellare con i miei capelli.
«Con questo voglio dire che non mi sono dimenticato di te neanche per un secondo in quegli anni in cui ero segregato a Londra.» Grugnì prendendomi per i polsi e inchiodando il suo sguardo serio negli occhi. Segregato?
Per un momento ebbi quasi la sensazione che a Londra fosse successo qualcosa, qualcosa che l’aveva cambiato…E io non sapevo cosa. Non sapevo niente di lui e di quegli anni che ricordava con tanto odio.

«Cosa ti è successo?» Questa volta la mia voce non era più determinata, era quasi un sussurro. I suoi occhi lampeggiavano di rabbia e la sua presa s’indurì. Quello non era il mio Damon, il Damon dolce e talvolta stronzo che mi stava facendo cambiare radicalmente idea su di lui.

«Hai paura? Ti-ti ho spaventata?» Sibilò a un palmo dal mio volto. La ragazza orgogliosa e sicura di sé stessa avrebbe risposto per le rime, ma ora quella ragazza si era dissolta lasciando spazio a una me diversa…più fragile, più intimidita.

«Non ho paura di te. Ho paura di questo lato di te.» Chiarii. Damon mi guardava assorto, spostò il suo sguardo dai miei occhi alle mie labbra.

«Ora…devi fermarmi…Elena.» Sussurrò avvicinandosi sempre di più a me. Il mio cuore batteva all’impazzata e l’odore di Damon m’inondò le narici. Era un odore familiare.
Un flash di ieri sera prese posto nella mia mente.
Un’essenza gustosa. Tutta da assaggiare.
La sua lingua cercò la mia e la trovò immediatamente. Ci baciavamo con passione ardente, con una passione che ti bruciava. Dimenticai tutto quanto: dimenticai che lui era mio fratello, che non dovevo cedergli e che non era giusto.
Dimenticai tutto.

Persi quasi il respiro a quel ricordo di ieri sera. Ero così ubriaca che non aveva ancora riordinato i miei ricordi.
Chiusi un momento gli occhi, cercando di mantenere la calma e di mantenermi dal piangere.
Mi ero ubriacata con Kol, Damon aveva minacciato Kol e poi ritornati in quella squallida locanda l’avevo baciato? Mio Dio, avevo baciato mio fratello!
Il senso di colpa m’investì completamente, sapendo di aver commesso un errore madornale. Aveva baciato mio fratello e la cosa peggiore era che l’avrei baciato ancora e ancora.
Perché io volevo baciarlo. L’altra sera era solo il pretesto per baciarlo, sperando di dimenticare tutto il giorno dopo.

«Elena, cos’hai?» Mi chiese Damon, prendendomi il viso tra le mani. Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi color mare. Lui non mi aveva detto niente, non aveva intenzione di dirmi niente perché lui lo considerava un errore.
Lui considerava me un errore da cancellare.

«Cos’ho? Mi stai chiedendo cos’ho? Sono stanca, veramente stanca. Quanto tempo volevi aspettare prima di dirmi che ieri ci siamo baciati? Pensavi che non me lo sarei ricordato?» Gli urlai. La cosa che mi faceva più rabbia era il suo modo di interagire con questa situazione. Se non mi fossi ricordata tutto nei minimi dettagli – perché ora sapevo perfettamente cos’era successo la scorsa notte – lui non mi avrebbe detto niente e avrebbe continuato la sua squallida vita!
Damon allargò leggermente gli occhi e scosse la testa inumidendosi le labbra.

«Speravo che non me ne facessi una colpa.»Strabuzzai gli occhi. Perché dovrei fargliene una colpa? Entrambi avevamo ceduto, non solo lui.

«Non te ne farei una colpa. Speravo solamente che tu avessi la decenza di dirmi almeno che quando ero ubriaca ci siamo baciati!» Gli rinfacciai. Mi dava alla testa il suo comportamento…Perché era ceduto solamente quando io ero ubriaca? Perché non mi aveva mai baciato da sobria?

«Non te l’ho detto e non te l’avrei mai detto, sai perché?» Questa volta alzò anche lui la voce attirando su di noi diversi sguardi. Scossi la testa e strinsi i pugni. Le nocche delle mie mani erano quasi bianche e a breve sarei scoppiata e avrei detto tutto quello che mi passava per la mente su Damon.

«Perché so come sei fatta. So che hai pensato che hai fatto un errore ed è la verità. Sei solamente uno stramaledetto errore! Se non mi avessi provocato con la tua finta innocenza e i tuoi occhioni da cerbiatta, ora non avremo questo problema.» Tuonò. Le sue parole mi avevano lasciato con la bocca asciutta. Non avevo niente da dire e niente con cui ribattere. Mi aveva considerato un errore. Lui lo pensava veramente. E quello fu la cosa peggiore: avere la certezza che Damon mi considerasse solo un errore.

«Io sarei un errore? Fammi capire, nella tua testa bacata io ti avrei provocato e l’errore sono io! No, Damon! L’errore siamo noi!» Avevo detto quella frase di getto e mi pentii immediatamente di aver detto una stronzata del genere.
Quel ‘l’errore siamo noi’ l’aveva ferito, lo potevo chiaramente vedere dai suoi occhi. Lasciò la presa su di me e irrigidì i lineamenti. Perché non voleva far notare che stava soffrendo? Perché fingeva che tutto andasse bene?

«Non c’è un noi, non c’è mai stato. E non m’importa. Non m’importa quanto mi sia sentito bene quando le tue labbra erano sulle mie. Non m’importa quanto mi sia sentito appagato con te fra le mie braccia. Non m’importa di te e basta!» Sputò le parole con veleno, ma sapevo che non le stava pensando.
Sentivo gli occhi pungermi. Quel weekend che doveva essere solamente un modo per migliorare il nostro rapporto, l’aveva solamente peggiorato.

«Sai cosa? Non voglio migliorare il mio rapporto con te, perché più siamo insieme e più ci facciamo male. Non l’hai notato? Non hai notato come m’influenzi negativamente?» Chiesi abbassando il tono di voce.

«E tu hai notato come m’influenzi positivamente? Siamo due calamite, c’influenziamo reciprocamente. E’ un problema questo?» Sussurrò avvicinandosi al mio orecchio.
Chiusi gli occhi, non riuscivo a trattenere più le lacrime. Tutto quello era un problema, un’enorme problema! Noi eravamo il problema, perché noi creavamo i nostri problemi.

«Damon siamo fratelli. Questa cosa che non ha ancora un nome, è destinata a finire sul nascere.» Gli spiegai. Quelle parole facevano più male dicendole che sentendole. Stavo mettendo una fine a questo ‘noi’.
«Non puoi, perché ritornerai da me. So che ritornerai da me per qualche motivo.» Cercò di convincermi. Manteneva sempre la sua aria da duro e dal suo tono fermo non traspariva nessuna emozione in particolare.

«Damon, proverò a dirtelo un’ultima volta. Insieme siamo una bomba ad orologeria, prima o poi esploderemo danneggiando noi e chi ci sta intorno. Insieme siamo l’inizio e la fine.*» Dissi, asciugando una lacrima che mi solcò la guancia. Presi un sospiro e a passo lento me ne andai di là.
«Dove vai?» Mi urlò Damon preoccupata. Mi morsi un labbro.

«Prendo un autobus e ritorno a Mystic Falls.» Risposi a gran voce, per poi correre verso la fermata degli autobus a testa bassa. Cosa avevo fatto? Avevo chiuso con Damon, prima ancora di iniziare con lui.

Aveva ragione, io ero un errore.
 
 
 
 






*NB. Frase presa dalla canzone ‘Fragili’ dei Club Dogo feat. Arisa. Secondo me, ci stava benissimo, non so cosa ne pensate voi? ^^
 
ANGOLO DELL’AUTRICE: Sono tornata dopo cinque giorni. Dai…qualcuno aspettava un altro mio aggiornamento fuori dal programma? *silenzio*
Comunque prima di parlarvi del capitolo, ringrazio le 8 (Wow, aumentate sempre più) anime che hanno recensito, ovvero MiaTersicore23, Smolderina78, NikkiSomerhalder, NadyDelenaLove, PrincessOfDarkeness90, Darla19, Delena 233 e Vally94. Ringrazio le 22 anime che l’hanno tra le preferite, le 34 che l’hanno inserita nelle seguite e l’uno che l’ha inserita tra le ricordate. Un grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ora passo al capitolo. Molte di voi secondo me volevano uccidermi per lo scorso così ho pensato di farle ricordare tutto a poco a poco. La gelosia di Damon ritorna anche all’attacco contro il povero Kol XDXD (lo amo troppo ù.ù).
Personalmente, a questi due li sto amando troppo. Chi lo sa che non diventi anch’io una fan delena sfegatata! *saltella contenta*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Piccola domanda: qualcuna di voi voleva uccidere Elena per il suo discorso sugli sbagli? Io sì ^^
Credo che avete il permesso di presentarvi con forche e mazze sotto casa mia per obbligarmi ad aggiustare le cose tra quei due XD.
A prestissimo!
Bacioni.
Cucciolapuffosa

 

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Capitolo 8
*** Do you prefer die slowly or kiss me with passion? ***


Capitolo otto.
Do you prefer die slowly or kiss me with passion?
 
Ero nuovamente in biblioteca, questa volta non in compagnia di Ian bensì in compagnia di Caroline. Dalla mia “magnifica” gita a New Orleans erano passati un paio di giorni e ogni giorno che passava era sempre peggio per me.
I sensi di colpa per quello che aveva fatto crescevano, ma non erano opprimenti. Convivevo con quel senso di colpa e potevo continuare a conviverci per sempre…Il punto era: perché i miei sentimenti tanto sbagliati quanto forti non li rinnegavo?

Perché sentivo che quello che c’era tra noi era reale, così reale che mi faceva accapponare la pelle e che m’impegnava la mente ogni notte.

«Elena! Elena!» Mi ridestò Caroline con voce bassa, eravamo pur sempre in biblioteca. Annuii leggermente scossa e la invitai a continuare. Avevamo un’ora buco per via dell’assenza del prof. Collins.

«Sì, Care?» Chiesi facendo la finta tonta. Evitavo le sue domande da diversi giorni e pensavo che rifugiandomi in biblioteca avessi risolto momentaneamente il problema. Lei non contenta mi aveva seguito e insisteva ancora.

«Mi hai detto che una volta tornata da New Orleans hai chiarito subito con tuo padre, giusto? Sei resistita una settimana in punizione senza dargliela vinta, come mai hai deciso di chiarire?» Caroline faceva troppe domande.

Dopo aver abbandonato Damon a New Orleans avevo preso il primo autobus di linea per Mystic Falls e sinceramente una volta ritornata a casa non avevo voglia di sostenere lo sguardo di mio padre.

Entrai in casa e sbattei furiosamente la porta. Avevo bisogno di bere un po’ d’acqua e di farmi una bella doccia.
Mi avviai in cucina, lasciai a terra la mia tracolla e aprii il frigorifero. Presi la bottiglia dell’acqua e ne versai un po’ in un bicchiere.
Avevo baciato mio fratello, me l’ero svignata e ora ero a casa mia. Sperai con tutto il cuore di essere sola, ma udii dei passi.

«Non mi vuoi parlare ancora per molto, tesoro?» La voce di papà mi arrivò chiara e limpida. Sbuffai. Ora in quel momento non avevo voglia di fare nient’altro, se non chiarire con lui e chiedergli poi un abbraccio.

Bevvi l’acqua, presi la tracolla e me ne andai via da lì asciugando una lacrima. Stava andando tutto
male per me. Perché Damon doveva ritornare? Non sapevo neanche perché stavo piangendo. Forse avevo paura di perderlo? Be’…L’avevo perso, io l’avevo allontanato ma l’avevo fatto per una buona ragione: eravamo fratelli. Fratelli di sangue…Chi si lascerebbe mai andare col proprio fratello?

Urtai senza volerlo la spalla di papà e corsi verso la mia camera. Volevo urlare. Buttai la tracolla a terra e mi lasciai andare a peso morto sul letto, prendendo un cuscino e stringendolo a me.
Sentii una leggera pressione sul letto. Non ero sola. Mi tolsi il cuscino dal volto e vidi che accanto a me c’era papà.

«Cos’è successo durante questo weekend?» Chiese, guardando il soffitto. Troppe cose da poter raccontare.

«In realtà è stato un bel weekend. Questo…questo mio modo di fare non è dovuto al weekend.» Mentii, sospirando. Di sicuro non potevo dirgli di aver baciato suo figlio – nonché mio fratello – e di averlo poi mollato a New Orleans.

«Allora, lui dov’è?» Continuò. Tirai un po’ su col naso e riflettei bene prima di rispondere. Non gli avrei
detto di averlo lasciato a New Orleans…Non credo ne sarebbe molto contento.


«Sono ritornata prima. Ho…» Mi bloccai. La mia voce s’incrinò. Non potevo più continuare. Aspettai che lui mi dicesse qualcosa.

«Elena quest’età è l’età delle grandi cazzate. L’età in cui tutto ciò che ti dico è proibito, è l’età migliore.
Sai perché? Perché dalla più grandi cazzate nascono quegli amori, quegli amori che sembrano insignificanti ma che valgono più di tutto.» Quelle parole dette da lui mi avevano lasciato senza parole.


«Cosa stai cercando di dirmi?» Chiesi con la voce ridotta in un flebile sussurro. Mio padre aveva capito? E soprattutto cosa aveva capito?

«Hai lo sguardo vacuo, non mi parli più come una volta, cambi d’umore…Piccola, non voglio spiegazioni quando ti deciderai a parlarmi io ti ascolterò, ma questi sono i sintomi di una ragazza innamorata.» Okay…Ora mi aveva completamente lasciato senza parole e basita. Innamorata? Stavamo scherzando?

«Spero però che sia quel ragazzo che vedo sempre alle partite di Stefan.» Continuò ironico. Chiusi gli occhi cercando di trattenere un conato di vomito, non appena capii che si riferiva a Matt.
«Papà, grazie.» Dissi sincera. «E scusa per quello che ti ho detto. Non voglio andare da mia madre…Sto bene qua con te, Stefan e Damon.» Pronunciare il suo nome fu la parte più difficile.

«L’ho già dimenticato. Ma non ti illudere…Sei ancora in punizione, ancora una settimana!» Ammiccò per poi alzarsi dal letto. Almeno la punizione era scontata, mi rimaneva solo una settimana al posto di due.

Ancora non ci credevo. Mio padre mi aveva perdonata e poi mi aveva anche parlato amichevolmente dell’amore. Quella conversazione era del tutto raccapricciante.

«Care fidati il discorso tra me e papà non è stato gran che. Poi…il weekend è andato peggio del previsto.» Cercavo di evitare l’argomento ‘weekend con Damon’ da troppo e lei non mi avrebbe lasciato più tempo.
«Cosa può essere successo?» Fece l’ironica, chiudendo il libro di filosofia energicamente. Cosa poteva essere successo? Oh, be…Potevo risponderle con ‘Ho baciato mio fratello, poi l’ho scaricato e non mi sento in colpa nonostante quello che ho commesso sia uno dei peccati peggiori al mondo’. Già m’immaginavo la faccia che avrebbe fatto nel momento in cui le avrei detto quelle parole.

«Diciamo che per ora l’ho allontanato. Ho un buon motivo per farlo…» Sussurrai, mettendo a posto il libro di trigonometria e prendendo il cellulare per vedere se c’erano messaggi.
Ce n’era uno, da parte di papà. Non lo aprii neanche, cosa poteva essere di così importante?

«Ma andiamo! Tuo fratello è un figo, possibile che non riusciate a comunicare?» Ironizzò ancora, alzandosi. Feci spallucce, seguendola.
Camminavamo una affianco all’altra. Oggi non era una gran bella giornata, le nuvole ricoprivano il cielo e a breve sarebbe venuto un grande acquazzone.

«Cosa stai insinuando?» Chiesi, entrando nel parcheggio. Lei rise leggermente, mentre io aprivo la portiera della mia Camaro.

«Sto insinuando che c’è qualcosa che tu non mi stai dicendo. Cos’è successo in questo weekend? Non mi parli più di Damon in modo negativo, anzi sembra che tu l’abbia cancellato completamente dalla tua testa; però ci sono dei momenti in cui hai lo sguardo perso nel vuoto!» Sbraitò. Accesi il riscaldamento e partii poco dopo.

Non avevo niente. Non avevo più voglia di parlare di Damon perché ogni volta che qualcuno lo nominava mi veniva in mente il suo bacio, il sapore delle sue labbra e l’emozioni che avevo provato.
A volte perdevo la concentrazione e mi beavo pochi secondi delle mie fantasie. Niente di così strano, dopotutto.

Chi c’è in queste fantasie? Ecco, la mia coscienza tornava all’attacco nel migliore dei modi. Sterzai bruscamente e cercai di levarmi quella voce dalla testa.

«Non c’è niente di male a vagare con la fantasia, sai?» Dissi, continuando a mantenere lo sguardo sulla strada. Caroline alzò un sopraciglio. Non aveva bevuto una singola parola di quello che avevo detto fin’ora.

«Stai cercando ti toglierti qualcuno dalla testa. Chi?» Alzò il tono di voce. Indurii la presa sullo sterzo e osai poco di più sull’acceleratore. Prima che potessi rispondere, mi salvò in calcio d’angolo il mio cellulare.

«Salvata per il cellulare!» Mi rimproverò la mia amica sbloccando il cellulare. Lesse il messaggio, niente d’importante a giudicare dalla sua espressione.

«Il primo è di tuo padre. Dice che è bloccato ancora a New York e che arriverà domani mattina con il primo volo disponibile.» Il lavoro di papà era molto impegnativo, aveva un’agenzia importante e più volte era costretto a spostarsi.
Un momento il primo? Di chi era il secondo messaggio.

Care continuava a spulciare nei messaggi e strabuzzò gli occhi ad un certo punto.
«Cosa significa ‘Smettila di evitarmi. Non riuscirai a ignorarmi per sempre.’ da parte di Damon?» Mi chiese posando il mio Iphone nella tracolla. Maledii me stessa. Perché Damon doveva ritornare sempre? Era una persecuzione. Ovunque andassi o qualsiasi cosa facessi lui c’era sempre, era onnipresente!

«Elena mi vorresti rispondere? Cosa sta succedendo tra te e Damon? Perché lo ignori? E chi cerchi di levarti dalla testa, lui per caso?» La voce della mia amica si alzò di un paio di ottave.

«Dio, sì! Sto cercando di togliermi Damon dalla testa! Contenta, ora?» Le risposi infastidita. La faccia di Caroline era sconvolta. Aveva la bocca aperta, tra poco la mascella toccava terra.

«E perché?» Chiese ancora. Mio Dio, bastava fare due più due! Davvero non ci arrivava? O lo faceva apposta a fare la finta tonta?

«Perché sì. Voglio solo togliermi Damon dalla testa. Punto e basta.» Risposi dura, girando verso destra. Caroline iniziò a tamburellare con le dita sullo sportello, pensando a chissà cosa.
«Se vuoi togliertelo dalla testa un modo ci sarebbe.» Proruppe dopo poco. Aggrottai le sopraciglia.

«Dovresti solamente partecipare ad un’iniziativa per single. Me l’ha consigliato Enzo. Posso assicurarti che non c’è alcun trabocchetto. E’ solo un incontro dove puoi conoscere altri single…Io ci andrò.» Mi disse. Innanzitutto era un’idea completamente idiota! Perché mai Enzo doveva consigliare a Care un ritrovo per single?

«Vedi, tra me e Enzo non ha funzionato gran che. Mi ha mentito un paio di volte per andare a questi incontri per cercare chissà quale ragazza…» Lasciò cadere lì il discorso. Era un’idea folle però poteva funzionare.

«E tu quindi hai deciso di presentarti a questi incontri anche tu per fargliela pagare?» Continuai io al posto suo. Come idea non era male, dovevo solamente convincere papà.

«Non si svolge di sera. Sono solo degli incontri in cui ognuno parla dei suoi problemi, quelli che preferisce, nessuno giudica e può dire nulla. Sono tutti single e ci sono attività molto divertenti.» Quel divertenti alle mie orecchie suonava in modo molto inquietante. Anche se da come me ne parlava sembrava tipo un gruppo di supporto per single…Un momento, mi voleva iscrivere ad un gruppo di supporto?!

«Caroline ma è…sei completamente uscita di testa? Un gruppo di supporto per i single? Andiamo, non è normale!» La spronai ridendo. Eravamo all’entrata della nostra città.

«Mia madre oggi ritorna tardi. Che ne pensi se vengo un po’ da te?» Mi bloccai subito. In effetti non era una cattiva idea…E poi, era pur sempre un metodo per evitare Damon!
Senza farmelo ripetere due volte cambiai strada. Un tuono squarciò la quiete. A breve sarebbe iniziato un acquazzone di quelli epici.

Parcheggiai l’automobile e iniziai a frugare nella mia tracolla alla ricerca delle chiavi di casa, finché non mi ricordai di averle lasciate sul comò di camera mia.
Bussai alla porta con Caroline dietro di me, che cercava di non bagnarsi visto che fredde goccioline d’acqua iniziarono a cadere lentamente su di noi.
La persona che aprì la porta fu la prima persona che in quel momento potevo vedere: Stefan. Presi un sospiro ed entrai subito, mentre Care rimase ferma sull’uscio della porta.

Dopo che i due si lasciarono, i loro rapporti si erano quasi “raffreddati”. La mia amica con Stefan era sempre in imbarazzo, mentre lui si divertiva a vederla arrossire – secondo me gli piaceva ancora –.
«Entra, non vorrai bagnarti?» Le porse una mano Stef. Caroline mi scoccò un’occhiataccia ed entrò in quella casa che per lei era una seconda dimora tante le volte che ci era entrata.

«A cosa devo la vostra presenza?» Chiese Stefan ironico. Caroline rise nervosamente, mentre io scuotevo i capelli leggermente umidicci.

«Sai non abbiamo nient’altro da fare se non ammirarti Stefan.» Gli risposi divertita. Feci cenno alla mia amica di seguirmi. Mi diressi verso il soggiorno e mi buttai a peso morto sul divano chiudendo gli occhi e beandomi di quel silenzio.

Quando aprii gli occhi, vidi Caroline rimanere a bocca aperta senza una ragione. Li chiusi nuovamente togliendo il leggero cappottino che indossavo.
«Bentornata, Elena.» Il mio cuore ebbe quasi un sussulto. Damon era a casa. Aprii di scatto gli occhi, vedendo il corvino seduto sulla poltrona alla destra del divano e Caroline che l’osservava come incantata.

«’Lena dove lo nascondevi questo bel ragazzo?» Si rivolse a me la mia amica sedendosi sulla poltrona alla sinistra del divano. Si prospettava un pomeriggio più lungo del previsto.
Arrivò persino Stefan che si sedette accanto a me.

«Da nessuna parte.» Risposi acida, guardando Damon sorseggiare il suo Bourbon. Il corvino mi rivolse un occhiolino che Stef notò rivolgendo poi a me uno sguardo perplesso.
La tensione nel salotto era palpabile e l’avrebbe percepita chiunque.

«Mi nascondeva nell’armadio. Sai, Barbie, la nostra Lena è molto gelosa.» Intervenne Damon. Aprii la bocca e cercai di mantenere la calma e celare l’irritazione.
Primo: lui non poteva chiamarmi ‘Lena’. Solamente i miei amici potevano farlo e lui era tutto fuorché mio amico!

Secondo: perché aveva chiamato Caroline con quell’odioso sopranome? Barbie! Solo io potevo avere degli odiosi sopranomi.

«Gelosa? E di cosa? Forse è Damon che non capisce quand’è il momento di chiudere e gettare tutto alle spalle.» Dissi, alludendo al nostro “pacifico” weekend. Ci scambiavamo occhiate di fuoco sotto lo sguardo divertito della bionda e quello confuso di mio fratello.

«In realtà Damon, è Stefan quello geloso in famiglia…Almeno così ti ricordo!» Disse Care non nascondendo l’astio in quella frase. Quando erano fidanzati, Stefan andava a braccetto con la gelosia.
«Posso assicurarti, Caroline, che Damon sa essere molto testardo e ossessivo quando vuole.» Rincarò la dose Stef. In quel momento volevo quasi correre ad abbracciarlo e ringraziarlo per sostenermi tra quei due che mi stavano dando battaglia.

«Oh, fratellino come siamo gentili oggi! Cosa c’è? Il tuo coniglietto Joe è scappato con Alice nel Paese delle Meraviglie?» L’ironia a doppio taglio di Damon era ritornata. Quella situazione era del tutto insostenibile.

Mi alzai dalla poltrona e andai verso il banchetto dei liquori amato da Damon. Versai un pizzico di Bourbon. Non avevo voglia di bere, però mi divertiva vedere l’espressione del corvino mutare da divertita a infastidita.

Mi risedetti e accavallai le gambe.
«Da quando bevi bourbon? Non lo odiavi?» Mi chiese Caroline. Lei tra le nostre amiche era quella che amava bere e buttarsi tutti i problemi alle spalle con l’alcool.

«Elena attenta, non verremo fare entrambi la fine dell’ultima volta.» Ammiccò. Okay…Quella frecciatina era troppo. Se non fosse stata presente la mia amica, ora sarei saltata addosso a Damon bestemmiandogli contro senza fine.

«Io eviterei. Se questa volta volessi ubriacarmi, sceglierei qualcun altro come partner per dopo.» Che stronza che ero. Damon a quelle parole diventò più duro e alzò lo sguardo fiammeggiante di rabbia.
«Cosa sta succedendo?» Chiese Care che povera non sapeva niente di quella situazione, così come Stefan che mi guardava sospettoso.

«Credo che ci siamo persi un passaggio, Caroline.» Continuò Stefan. Sia io che Damon eravamo ora in imbarazzo. Gli lanciai uno sguardo carico di ilarità e ironia che ricambiò immediatamente.

«Stavamo solo dilungando…Niente d’importante, giusto Elena?» Il suo tono freddo mi scalfì dentro. Si era offeso per la mia risposta troppo brusca?

Lui offendersi? Mi pigli in giro? E’ Damon Salvatore, non il primo sconosciuto idiota che passa! Mi ricordò la coscienza. Ecco, in questi momento la lodavo e l’ascoltavo.

Sei così idiota che parli da sola! In altri momenti la odiavo. Sbuffai vistosamente e pensai ad un modo per svignarmela via da qui il più presto possibile.

«Prendo degli stuzzichini.» Mi congedai in fretta da lì e mi avviai verso la cucina. Presi un vassoio e qualche piattino che riempii con i primi stuzzichini che mi capitarono tra le mani.
«Quel weekend serviva per farvi migliorare il vostro rapporto fraterno, non per mangiarvi con gli occhi l’uno con l’altro trattenendo la voglia di saltarsi addosso.» Una voce mi spaventò alla mie spalle. Mi girai e mi trovai faccia a faccia con Stefan.

Voglia di saltarsi addosso? Trattenni un altro conato e gli rivolsi un’occhiataccia.
«Ti ha fatto qualcosa? Ti vedo più strana.» Continuò. Ovvio che non mi aveva fatto niente…Credeva che Damon fosse un pazzo psicopatico?

«Oh andiamo! Sono viva, non mi ha fatto niente. Non voglio saltargli addosso. Non lo mangio con gli occhi. E…» Avrei continuato ancora a lungo, se non mi fossi resa conto che Stefan aveva mollato Damon in compagnia di Caroline!

«Perché li hai lasciati lì?» Chiesi guardinga. Non mi fidavo di Stefan, almeno non in quel momento. Mi guardava con aria divertita, sembrava stesse assistendo ad un film.

«Mm…Quei due stanno bene là soli.» Commentò con le braccia incrociate al petto. Avevo capito il suo intento: vedere se ero un minimo gelosa di quei due e io non ero affatto gelosa. Liquidai Stefan con un gesto della mano e lui se ne andò verso il salotto con un sorrisino sul volto.
Finii di preparare quella specie di aperitivo e a passo lento uscii dalla cucina. Feci pochi passi. Un altro lampo squarciò il cielo.

Erano per lo più le cinque del pomeriggio e non c’era un po’ di sole. Arrivai in salotto e improvvisamente accompagnato da un altro lampo saltò la corrente.

Spaventata lasciai cadere a terra il vassoio. Tutto quanto si era frantumato e non c’era niente che potesse farci luce.
Per fortuna le luci d’emergenza si accesero, illuminando debolmente l’ambiente.

«Tutto bene?» Chiese subito Damon, scrutandomi seriamente. Annuii solamente e insieme a Caroline raccogliemmo velocemente i cocci per rimetterli sul vassoio che era rimasto intatto per fortuna.
«Cosa si fa? Credo che la corrente sia saltata non solo a noi.» Intervenne Stefan. Caroline alzò le spalle e si alzò da sedere.

«Cosa possiamo fare secondo te se non c’è corrente?» Chiese Damon gesticolando scocciato e bevendo un sorso di Bourbon. Ma quanto beveva? E come faceva a rimanere sobrio?
«Giochiamo a ‘Preferiresti’?» Chiese entusiasta Caroline, battendo le mani. Risi alla sua proposta accettando. Posai il vassoio sul tavolino e mi sedetti sulla poltrona.

Tra le diverse domande una più stupida dell’altra non facevamo altro che ridere. Persino Damon si divertiva a fare quel gioco idiota. Per la maggior parte del gioco erano stati Stefan e Caroline a fare domande, ora però avevano incoraggiato Damon a fare una domanda a qualcuno di noi.

«Preferiresti morire lentamente o baciarmi con passione?» Damon si portò il bicchiere alle labbra e mi fissava seriamente. Era riferito a me? Parlava con me?
Il mio cuore iniziò a battere velocemente. Stefan e Caroline si lanciarono un’occhiata imbarazzata e poi si girarono verso di me.

«Mi sto riferendo a te, Elena.» Continuò il corvino. Il mio cuore perse un battito. Che razza di domanda era? Era una risposta scontata.
«Se stai cercando di provocarmi, puoi smetterla ora.» Risposi inacidita. Mi alzai da sedere, presi il vassoio e sbattei i piedi a terra infastidita. «Ah, Damon…sei un grande coglione.» Conclusi, allontanandomi.

Posai il vassoio nel lavabo. Mentre toglievo i cocci dal vassoio, sentii alcuni passi. Ignorai chiunque fosse appena arrivata e continuai quello che stavo facendo.

Quando sentii due mani poggiarsi sui miei fianchi, mi girai di scatto lasciando tutto quello che stavo facendo. Non c’impiegai molto a capire di chi fossero quelle mani.

Damon era di fronte a me, mi fissava con un ghigno in volto e uno strano luccichio negli occhi.
Quella domanda mi aveva dato al cervello. Perché? Perché continuava a provocarmi nonostante gli avessi detto che dovevo lasciarmi tutto alle spalle?

«Evapora.» Dissi soltanto, reggendo il suo sguardo di sfida. Damon trattenne a malapena una risata. Mi trasse a sé con forza e indietreggiammo lentamente.
In quel momento pensai come avesse liquidato Caroline e Stefan. Con che scusa se l’era svignata senza dare nell’occhio? Non credo – o almeno spero – che quei due l’avessero lasciato andare via senza una domanda!

«Mh…Ti hanno mai detto che sei una stronza assurda?» Soffiò sul mio collo, iniziando a lasciare una scia di umidi baci sul collo. Irrigidii i muscoli del corpo e cercai di non lasciar sfuggire nessun gemito di piacere.

«Probabile.» Sussurrai con voce incrinata. Quel ragazzo mi stava facendo impazzire. Più volte mi aveva detto che lo stavo portando alla follia, io personalmente credevo fosse il contrario.

«Ti butterei giù da un ponte e ti salverei allo stesso tempo.» Mugolò, strofinando il suo naso sul mio collo. Sospirai pesantemente. «Mi farai diventare pazzo.» Continuò ancora, spostando le sue mani sulla mia schiena.
Iniziò lentamente a spostarle su e giù, provocandomi diversi brividi. Nascosi il mio volto nell’incavo del suo collo.

Dopo poco mi scostò da sé e mi prese in braccio. Allacciai alla sua vita le gambe e lo strinsi a me sospirando e inalando il suo buon profumo.
Mi poggiò sul bancone della cucina e continuò a torturarmi molto lentamente il collo.

«Mm…quindi preferiresti morire piuttosto che baciarmi, eh?» Non riuscii a trattenere una risatina.
«Damon siamo fratelli. E’…» Volevo continuare, ma le sue labbra erano sul mio collo. Lentamente iniziò a stuzzicarlo con i denti. Inarcai leggermente la schiena e portai i capelli sul lato opposto.

«Cosa stavi dicendo, Elena?» Ansimò pesantemente, guardandomi negli occhi con un pizzico di malizia. Gli sorrisi divertita e scossi la testa.
«Stavo dicendo che è sbagliato. Non puoi venire qui e baciarmi il collo come se…» M’interruppi
nuovamente sentendo le sue mani insinuarsi sotto la mia maglietta e iniziare a giocare col gancetto del reggiseno.

«Come se…?» Mi spronò, continuando il suo lavoro. Spostai le mie mani sulle sue braccia e lentamente le scostai. Gli accarezzai i capelli neri, disegnai lentamente con la mano il suo profilo e gli toccai le labbra morbide.

«Come se fossimo due ragazzi normali…» Dissi, riprendendo il discorso e il mio contegno che l’avevo perduto poco tempo fa.

Troppe emozioni in poco tempo. Piacere, brivido e tanta passione che mi consumava lentamente.
«Ma lo siamo.» Insistette. Slacciai le gambe dalla sua vita e gli sorrisi sorniona. Ora giocavamo un po’ a modo mio. Scesi dal bancone della cucina e iniziammo a indietreggiare fino ad arrivare accanto al frigo.
Damon si trovava tra il muro e il mio corpo. Avevo la mia mano sugli addominali di Damon e lo fissavo incantata.

«Lo saremo, ma siamo fratelli.» Dissi avvicinandomi forse troppo alle sue labbra. Ero fusa. Persa. Se qualcuno non ci avesse interrotto al più presto, sarebbe finita molto male. Lo sentivo.

Il corvino prese la mano – quella che non era sui suoi addominali – e la strinse. Con l’altra afferrò il polso e portò la sua mano all’altezza del cuore.
Pompava sangue e batteva veloce. Mi ritrovai a pensare a quanto fosse bravo a nascondere quei sentimenti che mi stavano spaventando sempre più.

«Lo senti?» Chiese. Annuii sicura e lo guardai negli occhi. Sorrise divertito. «E’ questo l’effetto che mi fai, Elena.» E di sicuro non era un effetto che una sorella aveva su un fratello.

«Vuoi evitarmi ancora per molto?» Grugnì, ribaltando le posizioni. Ero contro il muro e lui mi teneva bloccata le mani. Mi morsi il labbro, sperando in qualcosa o almeno sperando che la corrente riprendesse a funzionare.

«Ce la farò.» Dissi convinta. In realtà non era affatto convinta, anzi ero più che sicura che quest’idea non avrebbe avuto buon esito.

«Ne sei sicura, Elena?» Provò a dissuadermi. Non saremo mai andati lontani di questo passo. Diedi uno sguardo prima ai suoi occhi e poi alle sue labbra.

«Neanche un ultimo bacio?» Continuò. Con quelle parole, la mia calma e compostezza si era dissolta lasciando spazio alla mia passione e desiderio.

Incrociai i suoi occhi. Avevamo la mia stessa scintilla, anche lui stava pensando quello che pensavo io. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò con trasporto.
Il suo sapore era ancor più buono da come lo ricordavo. Da sobria potevo controllare me stessa e sapere fin dove potermi spingere.

Le mie mani erano tra i suoi sottili capelli neri, mentre le sue vagavano sulla mia schiena. Circondai la sua vita con le mie gambe. Damon spostò le sue mani sulle mie cosce mantenendomi salda a lui.

Fece qualche passo e ci allontanammo dal muro. Eravamo vicino ai fornelli e Damon mi teneva ancora in braccio. Avevo le braccia attaccate al suo collo e continuavamo a baciarci sempre più appassionatamente.
La sua lingua vagava nella mia bocca e la mia nella sua. Eravamo quasi una sola persona. La presa sulle mie cosce s’intensificò leggermente e continuò a indietreggiare fino ad arrivare al tavolo della cucina.

Ci staccammo leggermente e ansimanti ci guardammo nuovamente. Non riuscii neanche a formulare un pensiero sensato che le sue labbra erano sulle mie più affamate di prima.
Tutto si era dissolto, perché noi non eravamo in quella cucina. Quei due ragazzi non erano Damon ed Elena, i due fratelli che si odiavamo. No, in quella stanza ora c’erano solo due ragazzi comuni che si baciavano con passione senza pensare al dopo.
Quasi mi mancò il respiro dopo pochi minuti.

Ero sopra il tavolo della cucina e Damon mi stringeva possessivamente a sé. Il mio corpo aderiva perfettamente al suo e in quel momento dimenticai tutto.
Dimenticai che lui fosse mio fratello, perché non m’importò. Per quei minuti mi ero dimenticata sia chi fosse lui sia chi fossi io.

Al diavolo, tutto quello in cui pensavo! Cosa m’importava? In quel momento non mi sentivo in colpa e ne ero sicura: non mi sarei sentita in colpa neanche dopo aver finito di baciarlo.
«Questo è l’ultimo.» Misi in chiaro, guardandolo negli occhi. Stavo sbagliando. Mio Dio, eccome se stavo sbagliando però non riuscivo a fermarmi.

Forse Caroline aveva ragione, forse il mio era un problema che poteva essere curato…Era un problema serio essere innamorato di mio fratello – sangue del mio sangue –? Eccome se lo era.
Dovevo cercare di allontanarmi da lui. O meglio, allontanare ogni istinto che vada contro l’etica di tutti i giorni.

«Io voglio combattere. Sai per cosa? Per la mia felicità. Ed è ora che mi sento felice.» Mormorò seriamente. Quelle parole dette da lui avevano un suono sublime simile alle campane.
Voleva combattere per la sua felicità, perché lui ora si sentiva felice con me. Perciò si sentiva bene con me.
Vuole combattere per me.

«Non possiamo cambiare il mondo. Siamo fratelli, non possiamo cambiarlo…» Sussurrai guardandolo negli occhi.

«Siamo la fine.» Disse, guardandomi. Annuii sicura. Non potevamo farci niente. Mi morsi un labbro. Dovevo andare avanti e trovare qualcun altro con cui uscire.
«Questo era il nostro ultimo bacio.» Dissi.

Tanto sapevo che avevo sparato la più grande cazzata a questo mondo.

 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Amatemi plebee! AAHHAHHAHAH
Ovvio sto scherzando, o forse! Ora…chiunque mi chiedesse il vero primo bacio tra loro è accontentato. Forse le scene faranno schifo e mal descritte e magari se me lo diceste cercherei di migliorare.
Inizio dai ringraziamenti:
Grazie alle 5 buone anime che hanno recensito, ovvero PrincessOfDarkness90, Smolderina78, Darla19, NadyDelenaLove e NikkiSomerhalder.
Grazie alle 24 anime che hanno inserito la storia tra le preferite, grazie alle 38 che l’hanno inserita nelle seguite e grazia anche all’uno che l’ha inserita nelle ricordate.
Grazie a tutti i lettori silenziosi. :3
Passo al capitolo e inizio a scocciarvi di meno, contenti? *palla di grano rotola nel deserto*
Elena è irremovibile, o così crede. Caroline è convinta che sia successo qualcosa, così come Stefan inizia a nutrire i primi dubbi.
Per non parlare di Giuseppe! Cosa fai? VUOI CHE ELENA SI FIDANZI CON MATT?
La mia mente è completamente andata, lo so ù.ù
Non so se conoscete il gioco ‘Preferiresti’…Dai due opzioni di solito ridicole e ti fai due risate con gli amici sentendo le risposte degli altri! XDXD
Poi la parte finale…Io sto vomitando scene Delena a gogò e i miei occhi escono fuori delle orbite quando scrivo di quei due!
Chi di voi sta sclerando e mi sta amando con tutto il cuore? **Nessuno**
AHAHAHAH…Be’, ora giusto per fare un po’ di conversazione a voi quando inizia la scuola? A me domani *O*
Ah…Forse alcune di voi vorranno un piccolo spoiler?
Dirò che il gruppo di supporto per single ci saranno anche Damon e Ian.
Ora mi ucciderete, lo so.
:3
A presto! 

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Capitolo 9
*** He is my drug. ***


Capitolo nove.
He is my drug
 
Avevo un mal di testa pazzesco quel pomeriggio. Niente era riuscito a migliorarlo. Ora ero in cucina e stavo bevendo una tisana che aiutava a distendere i nervi. Avevo preso un’aspirina un’ora prima, ma non aveva fatto effetto.
Da oggi in poi ero libera. Completamente libera dalla punizione. Ieri era l’ultimo giorno di punizione, quindi oggi potevo fare qualsiasi cosa volessi con Caroline.

L’aspettavo da circa dieci minuti, ma lei non si era ancora fatta viva. In casa c’eravamo solo io, papà e Stefan. Damon era via, in giro per Mystic Falls probabilmente cercando di abbordare qualche ragazza.
A quel pensiero il mio stomaco fece diverse capriole. Era insopportabile quella sensazione che mi attanagliava il petto e lo stomaco ogni volta che sentivo Damon portare in casa – o meglio in camera da letto – una ragazza.

Da quando ci eravamo detti in un certo senso ‘Addio’ ogni sera c’era una ragazza diversa. Una settimana equivaleva perciò a sette ragazze diverse ogni sera. Papà non si accorgeva di niente col sonno pesante che aveva e Damon le cacciava via all’alba probabilmente.
Avevo scoperto quella tresca solamente dopo un paio di giorni che ci eravamo… “lasciati”.

Erano le 5.43 della mattina ed ero in cucina per prendere un bicchiere d’acqua. Camera mia oltre ad essere la più spaziosa era anche la più calda di tutta casa. Finii il bicchiere d’acqua, sbattei più volte le palpebre e mi avviai verso la porta per ritornare in camera mia. Mi bloccai non appena sentii due voci, di cui una l’avrei riconosciuta sempre in qualsiasi circostanza.

Damon indossava solo i boxer ed accompagnava alla porta una ragazza. Era alta e slanciata, i lunghi capelli rossi scendevano in una pettinatura scompigliata – ma al contempo le donava un’aria maliziosa – e i due occhi verdi erano la cosa più spettacolare che avesse. La odiavo. Non solo perché lei era – tecnicamente – cento volte meglio di me, ma la odiai perché stava baciando avidamente – il mio – Damon.

Indossava solamente una gonna gialla canarino inguinale e sopra un top striminzito. Finito – finalmente – quel bacio, la ragazza presa dall’attaccapanni il suo capotto e sorrise complice a Damon.

Non ci impiegai molto a fare due più due e capire cosa quei due avessero fatto nella camera del corvino. Trattenni a stento un conato di vomito, pensando che una settimana prima avevo baciato appassionatamente Damon in cucina!
«Mi è piaciuto.» Disse la ragazza complimentandosi. Si morse sensualmente il labbro, aspettando una risposta di Damon. Non disse una parola: emise solamente un grugnito. Aveva il volto stanco, però si era divertito a giocare con quella finta rossa.

Quando stava per uscire, lei si girò nuovamente.
«Mi chiamo Mandy.» Chiarì. Potei giurare a me stessa che nei suoi occhi c’era un pizzico di acidità così come nel tono di voce. Aggrottai le sopraciglia e mi chiesi il perché di quella specificazione.
«Mm…E con ciò?» Rispose duro Damon. La rossa infastidita di quel comportamento – senza un apparente motivo – gli alzò il dito medio. Né io né lui capimmo perché diventò tutt’un tratto più schietta.

Si girò di spalle e io sperai con tutto il cuore che quella se ne andasse al più presto da casa mia. Proprio nel momento in cui mise il piede fuori dalla porta, Damon la prese per un polso obbligandola e girarsi.
«Perché hai specificato che ti chiami Mandy? Me l’avevi già detto.» Il tono duro che usò mi procurò un po’ di sollievo. Quello che avevano fatto per lui non era importante, era solo piacere.

«Perché l’ho specificato?» Fece ironica. «Perché mi ha dato fastidio che non hai usato il mio nome. Io non mi chiamo Elena.» Sbatté i piedi a terra e se ne andò.

Quella fu una doccia ghiacciata non solo per me, ma anche per Damon. Scoprire che lui aveva chiamato quella ragazza col mio nome mi faceva piacere, però da un lato era inquietante.

Pensava a me quando aveva scambiato il nome Mandy con Elena, però mi faceva uno strano effetto. Dopo quella sera, decisi di non scendere più per nessun motivo nel cuore della notte per qualcosa. Preferivo morire di sete che incappare in un altro siparietto del genere.
Ero disgustata. Damon faceva…Anzi, no. Damon usava – perché lui usava – quelle ragazze senza un minimo di riguardo. Trattenni un conato e bevvi un altro po’ di tè.

Finii di berlo e presi il mio smartphone. Erano le 4.53 del pomeriggio e Care sarebbe passata a prendermi da un momento all’altro.

Non credevo ancora alla grande stronzata che avevo fatto. Avevo veramente deciso di andare ad un gruppo di supporto per cercare di migliorare questa mia “dipendenza” verso Damon? Mi chiedevo ancora da cosa invece fosse affetta Caroline.
Non c’era niente di cui dovevo preoccuparmi, giusto?


Io e Caroline eravamo in una stanza d’attesa con diversi divanetti rossi, ben arredata ma un po’ piccola. Inizialmente insieme a noi c’erano diversi ragazzi – uno più strano dell’altro – che sono stati chiamati uno per volta per entrare dentro.

Dopo i primi dieci minuti di attesa avevo iniziato a diventare più nervosa. Non capivo perché dovessimo aspettare tutto questo tempo e non avevo più intenzione di rimanere in quella mini stanza ancora per molto!
«Caroline, perché siamo ancora qua?» Sbottai, dondolandomi sulla poltroncina rossa. Lei roteò gli occhi e mi lanciò un’altra occhiataccia. Da quando eravamo entrate lì non facevo altra che riempirla di domande su domande.

Stavo per ribattere, ma un signore col camice bianco con sopra una targhetta su cui c’era scritto ‘Dottor MaxField’.
Aveva una faccia strana…quasi inaffidabile. Ci sorrise incoraggiante e salutò Care come se già la conoscesse. Da quanto tempo la mia amica frequentava quel corso?

«Caroline entrerai prima tu.» Iniziò il medico. Lo interruppi sul nascere e mi alzai dalla sedia per raggiungere a grosse falcate quei due.
«Non ho intenzione di aspettare qui un altro minuto. Chiaro?» Ringhiai inferocita, mettendomi una mano nei capelli. Non avrei aspettato più, se quel tipo non mi avesse fatto entrare insieme a Caroline me ne sarei andata via. E già che c’ero l’avrei mandato a quel paese.

«Non è questa la procedura. Vedi signorina è una procedura diversa, più complicata…» Iniziò lentamente a spiegarmi la procedura, anche se sinceramente non me ne poteva fregare di meno.
«Io non voglio seguire la procedura. Non ho alcuna intenzione di aspettare un minuto di più.» Continuai. MaxField mi fissò incuriosito pochi istanti per poi porgere sia a me che a Care due mascherine di quelle che si trovavano nei saloni di bellezza.

Cosa ci faceva lei con una mascherina? Fortunatamente, non era la sola ad avere quell’espressione sconcertata anche Caroline guardava il medico di sottecchi.
«Indossatele.» Disse semplicemente. Strabuzzai gli occhi e lanciai uno sguardo alla mia amica bionda. Lei si fidava di quel tipo? Sicuro che aveva una laurea? Una vera laurea?
Lei alzò le spalle e s’infilò la mascherina. Sospirai e la indossai.

Il dottore ci prese per mano e ci condusse lentamente in un’altra stanza. Sbuffai vistosamente.
La presa sulla mia mano diminuì e lo stridio della sedia mi fece capire che Care si stava sedendo. Non capivo ancora il perché di tutto quel mistero…Insomma perché non poteva vedere in faccia gli altri ragazzi?
«Fai due passi indietro, cara.» Disse il dottore, toccandomi la spalla. Annuii e feci due piccoli passi tastando le mani a vuoto intorno a me, sperando di trovare un appiglio e aggrapparmi ad esso fin quando non avrei avuto un’idea di com’era quella stanza.

«Un altro passo.» Continuò. Seguii il suo consiglio. Il mio piede urtò qualcosa – molto probabilmente la gamba della sedia –.
«Puoi sederti.» Finì. Sospirai e prima di sedermi, tastai con le mani la superficie su cui mi stavo poggiando. Mi sedetti e con stizza mi spostai i capelli da una spalla all’altra.

Maxfield si allontanò da me – o almeno così sospettavo visto il ticchettio delle scarpe sul pavimento –.
«E’ un nuovo metodo. Nessuno di voi sa chi ha accanto, né sa il loro nome. Potete parlare del vostro problema apertamente, senza la paura che qualcuno vi giudichi perché qui nessuno può giudicare l’altro.» Disse il medico. Era ufficiale: Caroline mi aveva portato da uno svitato che doveva – apparentemente – guarirmi da questa specie di ossessione per Damon.

«Qualcuno vuole iniziare?» Insistette. Alzai gli occhi al cielo. A cosa serviva quella mascherina? Quando l’avrei tolta, avrei ugualmente saputo i problemi di quei ragazzi.

«A cosa servono le mascherine, se non per conciliare il sonno? Sa, ho studiato molto in questa settimana e non ho tempo per riposare, se sono qui ci sarà un motivo no?»  Feci schietta, incrociando le braccia sotto il seno. M’immaginai Caroline lanciarmi un’occhiata di fuoco e il dottor Maxfield sorridermi in modo inquietante. Mi ricordava tanto i professori dei film che volevano controllare l’umanità, forse era per la sua faccia e i suoi modi di fare troppo strani che mettevano i brividi.

«Vedi, se qualcuno ti dicesse che ha ucciso sua sorella perché non voleva dargli dei soldi per comprare della cocaina…Come reagireste?» Mi chiese con tono enigmatico. Al sol pensare che fossi in quella stanza con un assassino mi fece venire i brividi.

«Sono in stanza con un assassino? Non lo so. Non ancora, per lo meno.» La mia voce si affievolì man mano. Non volevo sembrare a quei ragazzi troppo scontrosa. A quella mia risposta si levarono diversi vocii e mormorii.
«Vedi, gli occhi di una persona rivelano tutto. Anche se la tua bocca dice a quel ragazzo che non era colpa sua, ma della cocaina che ormai aveva preso il sopravento…i tuoi occhi saranno ugualmente colmi di paura e guarderanno quel ragazzo di soppiatto e con diffidenza. E questo qui, da me, non deve succedere.» Chiarì in tono più duro. Non potevo guardare la sua faccia, ma ero sicura che quell’odioso sorriso che teneva perennemente in volto era scomparso.

«Mm…» Sibilai qualcosa inviperita, mentre mi volevo sotterrare dalla vergogna. Benedii di indossare quella mascherina come gli altri, altrimenti mi sarei sentita un’emerita idiota. Avrei avuto tanti occhi su di me, che mi guardavano sconvolti per il mio modo di interagire col dottore molto brusco.

«Ho capito.» Dissi poi a voce più alta. Come idea non era male. Anch’io non volevo dire a Caroline di quella piccola tresca con Damon, già m’immaginavo lo sguardo spiazzato e la bocca spalancata.

«Quando avrete tolto la mascherina, nessuno dovrà chiedere qualcosa a qualcuno. Dovrete sorridere e uscire con un peso in meno. Qui potete dire tutto ciò che pensate senza aver paura di niente e nessuno.» Chiarì ancora. Fui sollevata. Nessuno mi avrebbe chiesto niente, anche se dubitavo che Care non mi avesse fatto domande.

«Toccherò la spalla di uno di voi. Lui o lei dovrà parlare del suo problema. Può parlarne senza costrizioni e nei modi che preferisce.» Il ticchettio delle scarpe accompagnava la voce del dottore. Il ticchettio si fermò improvvisamente e sentii sospirare.

«Sono innamorata di un ragazzo.» Aprii leggermente la bocca, non appena mi resi conto di chi fosse la voce. Era la mia amica…Era innamorata di un ragazzo? E io non sapevo niente? Non mi aveva detto niente. Sentii una strana fitta all’altezza dello stomaco…Perché Care non si era fidata di me?
In quel momento ebbi la tentazione di togliermi la mascherina e di parlare – da sole – da qualche altra parte.

«Lui però non mi vuole. Abbiamo un rapporto particolare.» La sua voce s’incrinò. Sembrava stesse trattenendo le lacrime. «Sono la sua amica di…letto.» L’ultima parola la disse con una voce sottile e tremolante.
Ebbi quasi un colpo. La mia migliore amica – anzi, la ragazza che consideravo come una sorella – era innamorata di un tipo di cui era amica di letto? Perché mai aveva accettato quella follia?

Perché ne è innamorata. E l’amore rende ciechi, sciocchina! Disse la mia coscienza in finto tono mieloso.
«Non hai mai pensato di frequentare altre persone?» Chiesi di getto, torturandomi le mani. Non avevo la più pallida idea se avevo la possibilità di fare domande mentre avevamo sugli occhi la mascherina.

«Se non vuoi rispondere, puoi astenerti.» Intervenne il dottore, forse vedendo il disagio della bionda.
«Perché non voglio. Io non voglio vedere nessun altro se non lui. Non voglio sentire nessun altro. E questa passione la consumiamo sempre. E’ una passione irrefrenabile, ma per lui non si può trasformare in altro.» Commentò la mia amica con voce tremante. Volevo aiutarla, ma in che modo? Non potevo parlarne e lei non sembrava molto predisposta ad essere aiutata da me.

«Scusate il rita…» La porta scricchiolò rivelando qualcuno di cui non potevo vedere la faccia. Appena sentii quella voce, gelai sulla sedia. Non poteva essere Damon, eppure la voce sembrava la sua.

«Oh, bene. In ritardo come al solito, mh?» Commentò il medico. Non sentii più una parola fuoriuscire dalla bocca di quel ragazzo, solo lo stridio di una sedia – segno che si era accomodato – e un insistente tic procurato dallo sbattere un piede per terra in segno di nervosismo.

«Ora che sei arrivato anche tu, possiamo continuare.» Disse, sbuffando. «Vuoi continuare tu, ora?» Continuò, probabilmente riferendosi al nuovo arrivato di cui io volevo sapere ardentemente il nome e il volto.
«L’ho sognata ancora. Mi stava dicendo che stavo sbagliando tutto, che sbagliavo a tradirla in modo così scandaloso. Dio, la sogno ogni notte e sto impazzendo. Ormai devo tenermi occupato per non sognarla.» Grugnì infastidito. Arricciai il naso. Quella voce era la voce del ragazzo della biblioteca. Era Ian?

Era lui che era entrato in netto ritardo? Ma quella voce non poteva essere quella di Ian, quella voce assomigliava in maniera incredibile a quella di Damon.

«Parli di Ka-Katherine?» Chiesi in un sussurro. Quella voce falsa e irreale era la sua. Perché tramutare la voce anche in un gruppo di supporto? Caroline poteva aiutarmi ad identificare Ian? O forse non potevo chiederle niente delle sedute precedenti a cui non avevo partecipato?

«Sì, parlo di lei.» Moderò il tono di voce, ma era in evidente imbarazzo. Probabilmente non pensava di incontrarmi qui, in quel gruppo di supporto. In tutti i casi, non era una partita leale. Lui sapeva che frequentavo quel corso, sapeva che faccia avevo…Era ingiusto! Io non avevo neanche il piacere di sentire la sua vera voce!

«E tu? Come mai qui?» Ribatté con ironia. Sbiancai sul posto. Oh, non potevo assolutamente dire il vero motivo della mia presenza lì. Oltre alla presenza di Ian, c’era anche Caroline.
«Infatti, tu come mai ti sei unita a noi?» Intervenne il medico. Immaginai tanti occhi puntati addosso a me, tutti pronti ad accusarmi di aver compiuto il peccato peggiore che potessi mai fare e rabbrividii.

Mi ritornarono in mente le parole di Maxfield. Aveva detto che ognuno poteva interpretare il suo problema in modo soggettivo.
Presi un respiro e pensai per bene alla risposta da dare.

«Soffro di dipendenza.» Dipendenza morbosa e sbagliata verso mio fratello Damon Salvatore. Continuai nella mia mente. La mia era una dipendenza, vista da un certo punto di vista. Ero dipendente da Damon, come un cocainomane era dipendente dalla sua droga.

Perché mi ero lasciata baciare da lui? E perché mi ritrovavo sudata e col cuore a mille quando mi svegliavo da un sogno che aveva lui come protagonista?
«Sei dipendente? Dove hai la testa?» Mi urlò contro una voce che riconobbi come la mia migliore amica. Mi morsi un labbro…Aveva intenso in…in modo completamente sbagliato!
Ian invece sembrava stesse calmo, non aveva detto niente ma sentii chiaramente il suo respiro mozzato alla mia rivelazione.

«Da quanto?» Chiese piuttosto pacato il dottor Maxfield, che tra Ian e Care sembrava quello che avesse in mano il controllo della situazione. Oh, da quanto ero dipendente? Da quando mi ero resa conto che Damon iniziava a mancarmi troppo, non mi stuzzicava più ed evitava il mio sguardo.

Lo so che avevo chiesto io di chiudere tutto, ma pensavo che valessi qualcosa per lui – oltre ad essere sua sorella – e che continuasse a irrompere nella mia vita. E invece mi aveva lasciato…Anche se tecnicamente non eravamo mai stati insieme.

«Poco.» Risposi. Il pensiero di Damon mi torturava da quando avevo saputo del suo ritorno, ogni volta che chiudevo gli occhi m’immaginavo il suo volto e ora…ora era un mese circa che l’avevo qui con me e non ce la facevo più. Non ce la facevo ad averlo così vicino, eppure sentirlo così lontano da me.

«Poco? Ti sembra una risposta da dare? Potresti andare in un centro per disintossicarti. Per migliore questa dipendenza…O…» La voce metallica di Ian aveva iniziato a parlare a macchinetta, mentre io sorridevo come un’ebete.
Disintossicarmi? Era una barzelletta, vero? Sorrisi leggermente, cercando di rimanere più seria possibile. 
Caroline non aveva detto più niente, forse era ancora scioccata. Insomma…le avevo fatto credere di essere drogata. La cosa che speravo di più era che in quel corso non ci fossero spie…Mancava solo la voce che Elena Gilbert fosse dipendente dalla droga.

«Bene. Hai mai pensato che questa aggressività dipendesse da lui?» Mi chiese il dottore con una sottile ilarità. A quelle parole persi il respiro. Dipendesse da lui? Cosa intendeva?

Sembrava quasi che MaxField avesse capito la verità, ovvero che io non ero dipendente da droghe ma da una persone.
«Per lui intendo la droga. Parlerò come se la droga fosse una persona, okay?» Disse con tono calmo. Sospirai e forse in quel momento mi sentii più a mio agio.

«Io…Non prendo grandi dosi di lui. Le ho prese a poco poco. E’ tutto iniziato per un errore.» Dissi ricordando il weekend
a New Orleans. Perché da lì avevo completamente perso il senno, per non parlare del bacio appassionato in cucina.
Sorrisi inconsapevolmente, ricordando la piacevole sensazione delle labbra di Damon sulle mie.

«E tu, Ian? Ti stai disintossicando da questa Katherine?» Chiesi con una punta di malizia. Non sapevo per quale motivo questa ragazza mi stava così antipatica. Era un’antipatia a pelle, neanche la conoscevo ma sentivo di detestarla.
«Non posso disintossicarmi di lei senza una cura. E questa cura non ne vuole sapere di me.» Rispose con voce bassa. Gli costava dover raccontare i suoi segreti, come costava a me raccontare di questa strana dipendenza.

Non capii la parte della cura. Esisteva una cura? Una cura a questa Katherine? Non feci in tempo a replicare, poiché intervenne un’altra voce.

«Come si chiama la cura?» Era la voce di Caroline, tagliente e leggermente divertita da quella situazione che giocava a suo favore visto che nessuno più si concentrava sul suo problema – che era simile al mio per la differenza che io non ero ancora a questi livelli –.
Non ancora perlomeno. Scherzò la mia coscienza, anche se c’era veramente poco da scherzare.

«Preferisco non risponderti. Piuttosto tu invece, come mai sei amica di letto di una persona che ti considera solo un tappetino?» Chiese cattivo.

Come sospettavo, tra quei due non correva buon sangue. Si odiavano di cuore. Quella seduta passò così, tra le loro battutine e insulti e tra i problemi degli altri ragazzi. In particolare mi colpì la storia di un ragazzo: era traumatizzato. Appena lasciato con la sua ragazza che gli aveva rivelato di essere solo il suo passatempo, perché lei non era neanche etero.

Era stata una batosta dura per il ragazzo. Nonostante tutto no riusciva a non pensarla sempre, sfogando la sue tristezza nei disegni di cui lei era la musa.
Una storia troppo triste.

MaxField fece uscire lentamente tutti dalla sala. Ogni volta toccava la spalla ad uno di noi, che si toglieva la mascherina e se ne andava via nel silenzio più totale.
Finalmente sentii qualcuno toccarmi la spalla. Mi tolsi velocemente quella mascherina, sperando almeno che fosse rimasto qualcun altro. Anche se in fondo volevo vedere in faccia almeno uno di quei ragazzi, così da poter almeno capire che faccia avesse.

«Siamo solo noi, Elena.» Disse in tono calmo. Aveva fatto uscire tutti lasciando solo me. Stupido MaxField! Mi alzai e con stizza mi avviai verso la porta.
«Elena credo che dovresti spiegare alla tua amica il tuo vero problema.» Mi pietrificai sull’uscio della porta. Feci qualche passo indietro e mi morsi il labbro. Chiusi la porta accertandomi che nessuno avesse notato qualcosa.

«Il mio vero problema?» Feci la fintatonta. A volte sbattere le ciglia e ripetere quello che gli altri dicevano facendo finta di non capire ritornava molto utile.

«Non fare la parte della stupida. Hai capito benissimo. Nessun drogato ammetterebbe mai di essere dipendente. Piuttosto direbbe un’altra cazzata pur di non dire il suo vero problema.» Mi lasciò senza parole. Inumidii le labbra e pensai al da farsi.

«Non avevate detto che quello che succedeva qui, rimaneva qui?» Chiesi, non nascondendo la noia e il fastidio. Il suo sorriso – se possibile – si espanse ancora di più.

«Qui, le persone sanno che sei una drogata e deve rimanere qui questo “segreto”, se così vogliamo chiamarlo. Ma entrambi sappiamo che non è così. La tua amica è seriamente preoccupata. Parlale del tuo vero problema e se ti va, parlane anche con me.» Ammiccò alla fine. Rimasi sconvolta dalla perfetta analisi di MaxField, forse non era uno strizzacervelli così pessimo come pensavo.

«Ogni volta che parlerò della droga parlerò di lui.» Chiusi così il discorso, uscendo dalla porta e sapendo che aveva capito perfettamente quello che gli avevo detto.

Ogni volta che qualcuno mi chiederà di parlare di droga, io parlerò del suo sorriso. Pensai con il cuore a mille.
Caroline era fuori dalla porta e mi guardava seria, con sguardo imperscrutabile. Mi sentivo a disagio, ma non facevo trasparire niente.

«Vogliamo rimanere qui ancora per molto?» Chiesi ironica, spezzando la tensione che si era creata. Lei strabuzzò gli occhi e non disse niente. Non c’era più nessuno in quella saletta d’attesa, solo noi due.
Deglutì faticosamente e iniziò a giocare con un braccialetto che aveva al polso cercando di scaricare il nervosismo.

«Mi sai dire solo questo? Come hai potuto nascondermi una cosa del genere?» Strillò, sbattendo i piedi a terra e lasciando cadere la borsa firmata. Sospirai pesantemente e ricordai le parole di MaxField.
Giuro che per un istante avevo pensato di dirle tutto e di togliermi un peso, ma non ce la feci.

«Questo è il peggiore sbaglio che tu potessi commettere! Innamorarti di tuo fratello! Chi mai oserebbe commettere un peccato del genere?!»

M’immaginai la reazione di Caroline e decisi di non optare per la verità.
«E’ stato un grosso errore.» Dissi con gli occhi che iniziarono leggermente ad inumidirsi. Perché avevo gli occhi lucidi? Dopotutto a me cosa importava? Non me ne importava niente di Damon.

Allora stai per piangere, sapendo che non sarà mai tuo? Mi chiese la mia coscienza. Ora stavo per scoppiare. Non poteva andare peggio di così. Non potevo essere così emotiva ora…Mi morsi il labbro e provai a trattenere le lacrime.
Incontrai gli occhi chiari e limpidi di Caroline e non ce la feci più. Non ce la feci più. Le lacrime iniziarono a uscire dagli occhi senza una ragione precisa.

Forse bastava un pianto per liberarmi da tutta quell’ansia che mi ero accumulata. La guardai e lei non mi disse niente, si avvicinò a me e mi strinse a sé come solo una sorelle saprebbe fare.

«Supereremo questo insieme.» Sussurrò Caroline. Rafforzai la presa su di lei e nascosi il mio volto nella sua maglia rosa confetto. Nonostante pensasse che ero dipendente da droghe, lei voleva aiutarmi.

Non potevo essere così meschina con lei. Dovevo raccontarle la verità, solo non ora e non oggi.
«Fidati Care, non è così semplice come pensi.» Dissi alludendo alla complicata dipendenza che si era creata tra me e Damon.
Oh, sì…Lui è la mia droga.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Salve mondo. Sono tornata con questo capitolo!
Contenti?
Ringrazio le buone anime che hanno recensito: NikkiSomerhalder, Smolderina78, NadyDelenaLove, Darla19, Vally94 e PrincessOfDarkeness90.
Grazie alle 25 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, alle 40
 (WOW, SIETE FANTASTICI!) che l’hanno inserita nelle seguite e all’uno che l’ha inserite nelle ricordate.
GRAZIE anche a tutti i lettori silenziosi. ^^
So che è una domanda azzardata ma…Mi volete uccidere per questo capitolo?
Elena si rende conto di tutto! (Dovrebbe essere una cosa bella no?), poi c’è questo misterioso Ian che compare e scompare e per un momento lei pensa che quello è Damon.
Mm…Il mistero s’infittisce.
Il dottor MaxField lo ritroviamo qui come psicologo! Abbiamo scoperto gli altarini: Caroline è amica di letto di un ragazzo (vediamo se indovinate chi è?^^), Elena dice chè è dipendente da droghe pur di non far capire a Ian e Care la verità (ma MaxField capisce tutto ehehehehe) e poi Ian…Questa misteriosa ragazza e questa ancor più misteriosa cura. La ragazza è Katherine, cosa le è successo secondo voi? E cos’è questa “cura”?
Non ho altro da aggiungere.
Ci vediamo tra cinque giorni.

PS: Qualcuno di voi sostiene il Bamon, oltre al Delena? Ora mi linciate, ahahahah.
Cucciolapuffosa :*

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Capitolo 10
*** You're the best mistake of my life. ***


Capitolo dieci.
You’re the best mistake of my life.
 
Camminavo verso casa a passo svelto. Ero appena uscita dalla piccola palestra di Mystic Falls. Mi tenevo in forma, ma la palestra della mia città non era delle migliori. Piccola, con pochi attrezzi però meglio di niente.
Il piccolo venticello mi scostava i capelli e penetrava fin sotto le ossa. Mancava poco a casa, quando mi scontrai con un’altra ragazza.

La riconobbi subito: era una mia compagna di corso, non l’ho mai sopportata. Era troppo…troppo tutto! Detestavo i suoi modi di fare tutti dolci e positivi, detestavo i suoi capelli biondi che arrivavano sotto il suo prosperoso seno, detestavo gli occhi verdi da gatta e più di tutto…Detestavo lei, e basta.

«Elena, è da un po’ di tempo che non ti vedo a francese sai?» Mi disse gentile con la sua vocina stridula. Arricciai il naso e presi un sospiro. Non dovevo essere maleducata con lei, dovevo solamente calmarmi.

«Sì, ho cambiato corso.» Risposi. Volevo sembrare normale, calma e pacata…Anche se in realtà ero sembrata solamente acida. Non frequentavo più francese da un po’, avevo cambiato non appena lo iniziai. Era un corso noioso con un professore insopportabile.

«Ci vai al ballo organizzato da Caroline?» Mi chiese ancora cercando di mantenere il mio passo. Rallentai e aspettai che mi affiancasse. Sapevo che Care aveva organizzato qualcosa per domani sera – ovvero per il 14 Febbraio – ma non pensavo avesse deciso di organizzare uno di quei balli liceali che odiavo!

«Siamo al College. Non ci sono più balli.» Le feci notare, girandomi per guardare nei suoi due occhi verdi. Lei mi sorrise e si arrotolò su un dito una ciocca di capelli. Odiavo quel gesto…Doveva essere sensuale? O forse lo faceva con ingenuità? Oppure aveva l’intenzione di farmi notare quanto lei potesse essere perfetta?
Grugnii infastidita e raddrizzai la mia schiena.

«Non è propriamente un ballo. Chiamalo piuttosto un’incontro per single. Caroline ha organizzato quest’evento come un’anti San Valentino!» Trillò contenta. Roteai gli occhi…Care mi stava completamente assillando da una settimana con questa storia dell’anti San Valentino.

Per lei era un’occasione per dimenticare il suo amico di letto, per me…be’ io non avevo un motivo per partecipare a quel
“ballo”, secondo la bionda era un’occasione per distrarmi dal mio problema.
«Mm…» Mugolai come risposta per poi girarmi e continuare a camminare. Nonostante i miei modi bruchi, lei non si arrese. Continuò a starmi dietro, parlandomi alle spalle e cercando di attirare la mia attenzione.

Mi fermai nuovamente. Perché Rebekah cercava di attirare la mia attenzione? E soprattutto perché con me oggi era così gentile? Di solito, era gentile con tutti – all’apparenza – ma sapeva trasformarsi in una vera vipera quando voleva.
«Mi chiedevo se tu avessi un accompagnatore.» Cambiò tono di voce. Ecco a voi, la crudele e insopportabile Rebekah Mikealson!

«E’ una festa per single. Care ha specificato che nessuno deve avere un accompagnatore, proprio perché dovremo conoscerlo là.» Le spiegai gentilmente. Era un’iniziativa che aveva programmato con Enzo. Non sapevo per quale motivo, ma sospettavo che lui fosse il suo amico di letto anche se lei mi aveva specificato che non era lui.
«Oh, siamo già arrivate tesoro!» Commentò acidamente. Eravamo davanti il portico di casa mia. Stavo per aprire bocca per risponderle per le rime, ma un rombo di macchina ci fece ridestare.

Dalla Camaro blu uscì Damon. Sbatté con forza la portiera e si avviò verso di noi. Rebekah cambiò immediatamente il modo di fare passando da modalità acida a modalità puttana.
Sbatteva le ciglia e mise in fuori il petto. Sbuffai infastidita. Damon si fermò a pochi centimetri da me.
Iniziò a squadrarmi attentamente, indugiando troppo per i miei gusti sul mio seno. Dopo spostò lo sguardo su quella vipera.

Per un momento volli sprofondare. Io non ero niente in confronto a lei. Lei aveva i capelli lisci perfettamente in ordine, un sorriso smagliante in ogni occasione, indossava dei pantaloni di pelle lucidi e una giacca che metteva in risalto le sue forme.

In quel contesto mi sentii tremendamente fuori luogo. Io era l’opposto di Rebekah. Ero appena uscita dalla palestra, ero sudata e senza trucco. Indossavo solo dei legghins scuri con sopra un largo impermeabile verde scuro e i capelli erano legati in una coda da cui sfuggivano diverse ciocche.

«Non mi presenti la tua amica?» Chiese Damon, guardandomi con un sorrisino malizioso. Sulla mia bocca si formò un ghigno infastidito. Si notava lontano un miglio che non potevo neanche sentirla nominare a Rebekah e lui…lui voleva che io gliela presentassi?

«Posso presentarmi da sola. Non ho bisogno di nessuno.» Disse scostandosi i capelli e mettendo il petto in fuori. Quei due avevano molto in comune.
Entrambi erano egocentrici, insopportabili e maledettamente belli. Sarebbero una coppia…una coppia perfetta.
«Sicura di te?» Chiese Damon, sbuffando e alzando gli occhi al cielo. Lei gli fece l’occhiolino e si morse il labbro. Lo stava mangiando con gli occhi.

«Forse dovremo sentirci più spesso. ‘Lena perché non mi hai mai presentato il tuo bel ragazzo?» Si rivolse a me. Sapevo bene cosa frullava nella mente complicata e cattiva della bionda, stava già programmando il piano per “soffiarmi” Damon.

«Lui è Damon Salvatore, mio fratello.» Feci le presentazioni. Rebekah non appena sentii il suo cognome fece un sorrisetto poco rassicurante e se possibile diventò ancora più sicura di sé.
«Allora credo che ti vedrò domani all’Anti San Valentino?» Chiese. Aprii leggermente la bocca. Stava invitando Damon all’anti San Valentino sotto il mio sguardo? Mi aggiustai i capelli e guardai Damon nei suoi occhi color mare.

«Non credo che parteciperò…» Disse con un ghigno. Presi un sospiro di sollievo. Non era però molto sconvolto dalla notizia di una festa, forse Enzo gliene aveva già parlato.

«Forse potrei cambiare idea per te…» Continuò ammiccando. Oh, questo era troppo. Non avrei assistito ad altre scenette del genere.

«Io entrerei. Rebekah spero di rivederti presto. Damon…tu…tu puoi rimanere fuori di casa per me.» Aprii velocemente la porta, la lasciai socchiusa e salii velocemente in camera mia. Non avevo mai sentito una sensazione così…sgradevole. Avevo visto Damon provarci con un’altra ragazza di fronte a me.

Brutto stronzo. Entrai in camera mia, lasciai cadere il borsone della palestra, accelerai il passo verso il bagno, ma scivolai su qualcosa.
Caddi a terra e battei il ginocchio a terra. Dio, che dolore! Oltre ad essere caduta a terra, era anche bagnata.
Bagnata? Da quando camera mia era bagnata!? Lanciai un urlo per richiamare l’attenzione di qualcuno. Mi misi a sedere, il pavimento era completamente bagnato. Si era formata una piscinetta di almeno quattro centimetri d’acqua.
«Cos’è successo?» Mi girai e incontrai gli occhi di Damon. Persi il respiro, vedendolo lì che mi squadrava attentamente. Possibile che papà non si sia reso conto che camera mia era completamente allagata? Il corvino a passo lento entrò in stanza e mi porse una mano. La strinsi e cercai di alzarmi, anche se il dolore al ginocchio persisteva ancora.
Ero su una sola gamba e mi tenevo stretta a Damon. Mi guardai attorno e la mia attenzione ricadde sulla porta del bagno aperta. Dal lavandino scendeva acqua, probabilmente qualche tubatura si era rotta.

«Credo che si sia allagata la stanza.» Risposi, lasciandogli la mano. Mi scostai da lui e cercavo di mantenere l’equilibrio su un piede.

Saltellavo cercando di non poggiare l’altro a terra. Tenere distesa la gamba mi faceva male, probabilmente tra poco sarebbe spiccato sul ginocchio un grosso livido violaceo.
Damon mi fissava in silenzio con un sopraciglio alzato.

«Smettila di guardarmi. Mi innervosisci.» Sbottai io, avviandomi verso il bagno incorporato nella stanza per prendere un paio di asciugamani. Quando ritornai con un paio di asciugamani tra le mani, Damon scoppiò a ridere.
«Vorresti asciugare il pavimento con due asciugamani? Ti facevo più perspicace, sorellina.» Mi schernì. Lasciai la presa sugli asciugamani, poggiai il piede a terra – ignorando il leggero dolore al ginocchio – e a grandi falcate lo raggiunsi.
«Sentimi bene, devi smetterla con queste battutine idiote. Se non hai meglio di fare, non venire qui per perdere tempo, va da Rebekah sarà disponibile. Okay?» Gli urlai contro. Pochi passi ci separavano e il mio sguardo lampeggiava di rabbia.

«Sei nervosa oggi? Cos’è gelosa?» Mi chiese ironico come sempre. Aprii la bocca e poi la richiusi. Mi morsi il labbro e poi mi accasciai a terra, tenendo tra le mani il ginocchio.
Damon subito cambiò espressione da divertito a preoccupato.

«Cosa ti fa male?» Usò un tono di voce serio. Chiusi gli occhi e serrai la bocca, cercando di trattenere le risate. Era divertente prenderlo in giro. Gli indicai il ginocchio.
«Usciamo da qui.» Disse, porgendomi nuovamente la mano. Questa volta però al posto di afferrarla e usarla come appiglio per rialzarmi da terra, la tirai verso di me facendo perdere l’equilibrio al corvino.

Scivolò e lo ritrovai sopra di me a pochi centimetri di distanza. Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. Una situazione piuttosto imbarazzante. Ero poggiata sui gomiti e lo guardavo assorta.
Damon era sopra di me, ma non mi faceva male. Le mani erano poggiate sul pavimento poco distanziate dai miei fianchi.
«Non sono gelosa.» Dissi a un centimetro dalle sue labbra. Non rispose, era troppo occupato a fissarmi in modo anche
indiscreto.

«Perché mi fissi?» Chiesi più docilmente, mentre cercavo di attirare la sua attenzione. Non avevo niente di particolarmente bello addosso, non avevo trucco…Ero io, al naturale.

«Perché sei bella. E una persona bella merita di essere guardata.» Rispose spontaneo. Aveva smesso di squadrarmi, ma guardava le mie labbra mentre io guardavo i suoi occhi.

La sua risposta era stata così spontanea che mi lasciò senza parole. Cosa potevo replicare? Niente, se non ringraziarlo – cosa che non avrei mai fatto –.

«Mi metti in soggezione.» Sussurrai flebile. Dalla labbra spostò l’attenzione sui miei capelli. Iniziò a giocare con una ciocca…Non sapevo più che fare. La bocca non era più connessa al cervello. In quel momento io volevo solamente fare una cosa: baciarlo. Volevo assaggiare le sue labbra.

Questo era l’effetto che Damon aveva su di me: mi rendeva debole, fragile…Con lui non riuscivo a mantenere l’aria da stronza e indifferente che mi permetteva di tener testa a chiunque.
«Mi piace vederti in soggezione.» S’inumidì le labbra. «Fermami, Elena. Fermami o non miglioreremo mai questo rapporto.» Mi avvertì. Era nelle mie mani. Quello che poteva succedere era nelle mie mani.

Damon era così vicino, il suo respiro mi solleticava il collo, le sue labbra gonfie e rosee sembravano soffici e i suoi occhi erano infuocati dalla passione.

Oh, al diavolo tutto quanto! Pensai. Poggiò le sue labbra sulle mie e si sistemò meglio su di me, stringendomi per i fianchi.
Le mie mani si spostarono sui suoi capelli lisci. Mi sosteneva per i fianchi e mi abbandonai completamente.
Le sue labbra erano così soffici. Troppo soffici. Era sbagliato, noi eravamo sbagliati, i nostri sentimenti erano completamente sbagliati.

Mi ero innamorata di mio fratello? Può una vittima innamorarsi del suo aguzzino? Può una persona innamorarsi di un
ricordo? Può una sorella innamorarsi di suo fratello? 
«Siamo sbagliati.» Sussurrai.

«Siamo le persone sbagliate al momento sbagliato, eppure non mi sono mai sentito meglio in vita mia con un’altra persona e in un altro momento.» Sussurrò, prendendo tra le mani il mio viso.
Eravamo così sbagliati, due cose sbagliate non facevano una cosa giusta, vero? Cosa dovevo fare? Continuare tutta la vita in questo modo? Coltivando questa insana passione sul pavimento?

«E’ vero. Siamo sbagliati, sono sbagliata e mi sento un errore…ma cosa possiamo farci? Saremo sempre qui punto e a capo.» Dissi con sguardo truce. Damon non rispose, mi accarezzò la guancia e sospirò.
«Raga…O mio Dio, cos’è successo qui?» Una voce ridestò sia me che Damon. Stefan era sull’uscio della porta e ci guardava sospettoso. Damon si tolse da sopra di me e sorrise sghembo a Stef.

«La stanza di Elena è allagata.» Rispose con un’alzata di spalle. Si alzò e mi porse una mano che afferrai prontamente. Barcollavo leggermente, ma Damon mi strinse a sé migliorando il mio equilibrio.
«Forse dovremo chiamare papà…» Intervenni io. Inspiegabilmente tra Damon e Stefan c’era più tensione del solito. Tra quei due non c’era mai stato un gran rapporto – ovvio non catastrofico quanto il mio di rapporto con il corvino – ma oggi era peggio del solito.

Si incenerivano con gli sguardi ed entrambi erano troppo tesi. C’era qualcosa, c’era un segreto che quei due non volevano dirmi.
«Sta posando la spesa. Venite!» C’incoraggiò Stefan uscendo dalla mia camera e precipitandosi giù per le scale. Insieme a Damon uscimmo da camera mia.
«Damon posso farcela da sola ora…» Sussurrai. Lui scosse la testa e mi aiutò lentamente a scendere le scale. Il ginocchio si stava gonfiando pian piano.

Papà mi venne incontro con espressione preoccupata. Per lui rimanevo sempre la sua bambina, nonostante avessi quasi diciannove anni.
«Oh, piccolina. Credo che per questi giorni dovremo un po’ arrangiarti. Potrei dormire sul divano e tu potresti prendere la mia stanza…» Papà iniziò a parlare – o meglio a farneticare – sul trovare una situazione provvisoria.
Stefan stava chiamando gli idraulici, mentre papà continuava a farneticare ad alta voce, girando in tondo per la cucina.
«Non credi di essere un po’ troppo vecchio per dormire sul divano?» Intervenne Damon con sottile ironia nella voce. Cosa stava dicendo mio fratello?

«Elena potrebbe stare in stanza con me. Siamo fratelli dopotutto?» Ammiccò leggermente. Mi morsi il labbro e quasi si fermò il respiro. Cosa voleva fare? Non poteva fare una cosa del genere.
«Sai Damon…» Iniziò papà. Non voleva appoggiare un’idea del genere? «E’ una grande idea!» Continuò felice. «Il problema è che non credo che entrambi entriate nel tuo letto.» Commentò ancora, non lasciandomi il tempo di dire o fare niente.

«Prenderò un sacco a pelo. Così tu potrai dormire comodo e anche mia sorella. Posso sacrificarmi.» Gli diede man forte il corvino. Sorrisi e scossi la testa divertita.
Damon riusciva ad ammaliare chiunque con il suo fascino e la sua parlantina, non mi stupiva che un tipo come lui avesse scelto la facoltà di economia.

«Sapevo che farti venire qui era una grande idea. Tu e ‘Lena state socializzando e migliorando il vostro rapporto.» Eccome se avevamo migliorato il nostro rapporto, pensare che lo odiavo e ora pendevo dalle sue labbra.
La cosa più strana era l’alternanza tra passione e odio. Quei due sentimenti si alternavano in noi con una facilità impressionante.

Persino quando lo baciavo, non riuscivo a non fargli qualche battutina o a riprenderlo come facevo sempre. Perché in fondo ancora non riuscivo a perdonargli tutto.
Non potevo perdonargliela. Almeno non ancora, ma tra poco avrei ceduto. E quei sentimenti di odio si sarebbero trasformati in altro.
«Papà io non credo…» Non riuscii neanche a replicare, il campanello suonò interrompendomi. Alzai gli occhi al cielo e vidi da dietro Stefan diversi signori con degli attrezzi.
Fa’ che sia un lavoro veloce. Fa’ che sia un lavoro veloce. Pensavo tra me e me.

«Stefan dove vai?» Chiesi, non appena Damon lasciò la presa su di me per andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Mio fratello si girò guardandomi sorpreso e aggrottò le sopraciglia.
«Come sai che sto andando da qualche parte?» Chiese evasivo. Lo guardai perplessa. Stava citando una frase di uno di quei vecchi film gialli? Oh, ma andiamo! Cosa c’era che non voleva dirmi!?

«Hai la giacca in mano e le chiavi della macchina.» Gli feci notare reggendomi al muro del salotto. In questi tempi Stef era sempre così strano, evasivo e non parlava mai più di tanto. Frequentava tanti corsi al college e aveva sempre un impegno diverso.

«Ne sei sicura? Ne sei proprio sicura, Elena?» Continuò. Stava usando l’ironia a doppio taglio di Damon?
«La smetteresti di prendermi in giro? Dove stai andando?» Chiesi ancora col tono di voce più alto. Stefan sbuffò vistosamente e s’infilò la giacca.
«Vado a studiare da un amico, okay? Papà mi ha dato il permesso.» Mi rispose sistemandosi la stanza. Assottigliai lo sguardo…C’era qualcosa che non andava. Mi stava mentendo, ma non insistetti più di tanto.

«Pronta per questa convivenza ancor più ravvicinata?» Sussurrò una voce calda. Si fermò il respiro a mezz’aria, quando sentii le braccia di Damon circondarmi la vita.
Mi morsi un labbro e poggiai la testa sulla sua spalla.
«Prontissima.» Affermai guardandolo negli occhi.
Che qualcuno mi aiuti. Pensai sospirando pesantemente.
 

Stavo zappando tra i canali e sbuffavo annoiata. In tv non c’era mai niente d’interessante. Stufa di quei programmi idioti presi il cellulare. Erano solo le 10.29 di sera. Quella sera non avevo proprio voglia di andare a dormire. Il guasto alle tubature era stato più problematico del previsto.

Gli idraulici sarebbero ritornati domani per aggiustare le tubature, ma per un paio di giorni ero segregata in camera di Damon. Che gran casino!
Composi il numero di Caroline, almeno le avrei detto che io non sarei mai venuta all’Anti San Valentino. L’ultima cosa che volevo era vedere Damon strusciarsi addosso a Rebekah Mikealson!
Primo squillo. Secondo squillo. Terzo squillo. Quarto squillo.

- Ehi, ‘Lena! – Mi rispose Caroline. Aggrottai le sopraciglia. Perché aveva l’affanno? Erano le 10 di sera. E fino a prova contraria Care faceva jogging solo durante il weekend e il più delle volte mi trascinava con sé.

«Ehi, Care.» La salutai. Aveva ancora il fiatone e sentivo che stava cercando di trattenere delle imprecazioni. Intuii la situazione dopo pochi secondi…L’avevo interrotta durante una delle sue sedute di letto?
«Ho interrotto qualcosa?» Chiesi ancora investigativa. Morivo dalla voglia di scoprire chi fosse questo misterioso ragazzo per cui aveva una cotta. L’unica persona che mi veniva in mente era Enzo, il ragazzo stronzo e sulle sue. Solo un tipo così poteva fare un patto del genere con una ragazza!

- Se n’è andato da poco. Sto solamente cercando di rendermi presentabile, mamma sta ritornando dalla cena di lavoro! – Strillò. M’immaginai una bionda in tanga correre per casa cercando di ripulire il caos che regnava sovrano su tutto.

«Peccato. E io che pensavo di averti colta sul fatto. Ero già con le chiavi della macchina in mano, pronta per smascherare questo stronzo.» Feci l’ironica. Sul mio viso comparse un sorrisetto, curiosa della risposta della mia amica.
- Ti fa male passare tutto questo tempo con Damon. Hai preso il suo insopportabile umorismo. – Mi disse ridendo. Era un tiro mancino mettere in ballo Damon. Solo dopo qualche minuto realizzai che lei non sapeva la “bella” situazione mia e di mio fratello.

«Mm…Sono troppo occupata ora per pensare a Damon, sai?» Feci, scoppiando in una risatina nervosa. La sentii ridacchiare, per poi calmarsi improvvisamente.

- Dimmi che non ti stai facendo canne da qualche parte. – Disse seria. La mia risata s’intensificò. Per Caroline ogni volta che ridevo troppo o che avevo degli sbalzi d’umore era sempre perché o volevo farmi qualcosa o perché mi stavo facendo qualcosa.
Il suo pensiero principale era quello.

«Mio Dio, no! Care, hai così poca fiducia in me?» Ci scherzai sopra. Sentii la porta sbattere. Stefan era rientrato dal suo misterioso appuntamento di studio.

Corse velocemente verso camera sua, ignorandomi completamente.
«Non si saluta più?» Gli urlai alzandomi dal divano. Salii anch’io lentamente le scale e mi ritrovai davanti alla stanza di Damon.

- Chi non saluta più? – Mi chiese Caroline. Oh, giusto lei era ancora in linea! Mi diedi mentalmente della stupida e mi schiarii la voce.
«Stefan…E’ ritornato da una sessione di studio serale che è durata più del solito.» Risposi non curante. «Comunque non credo di venire al tuo Anti San Valentino…» Cambiai argomento. Diedi le spalle alla porta della camera di Damon e mi sedetti per terra già pronta per sorbirmi la sua ramanzina.

- Come? No, tu devi venire. Insomma cosa ti ha fatto cambiare idea? A me sembrava di averti quasi convinto! – Sbottò al telefono. Cosa potevo dirle? Sai Care, non vengo al tuo ballo perché Damon forse ballerà tutta la sera con Rebekah troia Mikealson?

«Io…non me la sento. Ecco…Non ho un vestito.» Commentai pigramente. La bionda sbuffò dall’altro capo del telefono.
- Te ne presterò uno allora. Andrai a fare shopping. Non lo so come farai! Ma una cosa la so: tu verrai a quel ballo che ti piaccia o no. – Tuonò, mi augurò la buona notte e mi chiuse il telefono in faccia.
Mi alzai da terra e scossi la testa. Domani sarei dovuta andare a prendere un vestito, o ancora meglio farmelo prestare da Care…Lei ne aveva tanti reduci dei concorsi di Miss Mystic Falls a cui io non partecipavo più da anni.

Deglutii. Dovevo entrare nella camera di Damon…Di male in peggio. Aprii la porta. Damon non c’era, forse era in bagno.
Indossavo una maglietta larga bianca e dei boxer da donna. Di solito, quando dormivo non indossavo il reggiseno ma costatando che avrei dovuto dormire con Damon non volevo essere così…così esposta.
Feci qualche passo. Non era più la stanza del mio fratellone. Era la stanza di un uomo. Papà l’aveva arredata nuovamente non appena aveva saputo del suo ritorno. Ora era sui toni più scuri, le tende con spiderman erano state sostituite da tendaggi rosso sangue. Al lato della stanza c’era ovviamente il suo Bourbon.
Il letto non era così piccolo come ricordavo, non era a due piazze ma era piuttosto largo per essere il letto di una sola persona.

Sorrisi immaginandomi tra le braccia di Damon, lasciando che il suo buon profumo m’inondasse le narici.
«Impaziente di passare le notte con me?» Mi chiese una voce. Sobbalzai e mi girai. Aprii la bocca e rimasi bloccata, anzi diciamo…completamente incantata da quella visione. Damon con i capelli ancora umidi, con qualche gocciolina che gli cadeva sulle spalle con solo un asciugamano in vita.

«Oh, andiamo…Non pensavi che ti sarei saltata addosso, se tu ti fossi presentato così?» L’ironia era l’unico sentimento che poteva mascherare l’imbarazzo di quel momento.

«Forse sì, forse no.» Rispose vago, avviandosi verso l’armadio. Estrasse dal comodino dei boxer neri. Mi girai di spalle e lo sentii  ridacchiare.
«Elena Salvatore imbarazzata…Dovrò segnarlo.» Ammiccò. Odiavo quei momenti in cui non avevo niente con cui replicare. Rotei gli occhi e aspettai con le mani in mano che si muovesse.
Sentii il tonfo dell’asciugamano. Probabilmente aveva già fatto…O era un trabocchetto idiota per farmi imbarazzare ancora di più?

«Potrei girarmi?» Non mi rispose. Mi girai e lo vidi a torso nudo con dei boxer neri che lo fasciavano alla perfezione.
Controllati Elena. Non hai più sedici anni! Mi ripetevo in mente, cercando di distogliere lo sguardo da lui anche se era difficile.

Controllarsi? Oh, ma andiamo! Come fai a controllarti con un pezzo d’uomo così?! Ruggì la mia coscienza. Deglutii vistosamente e posai il cellulare sul comodino.

Il letto era piuttosto antico – quello era l’unico particolare che non era cambiato – con un piumino nero scuro.
La nostra casa era stata una pensione, o almeno così mi aveva raccontato papà. L’aveva ricevuta in eredità da giovane e non aveva mai pensato di venirci a vivere, non prima almeno di sposarsi e avere noi.

«Non avevamo un discorso in sospeso, noi due?» Fece Damon sorridendo maliziosamente e sedendosi sul bordo del letto. Lo guardai truce e mi sedetti anch’io sul letto ma il più possibile lontano da lui.

«Cosa fai? Cerchi di allontanarti da me? Ci sarà sempre qualcosa che ci riporterà insieme, Elena.» Disse guardandomi negli occhi. I miei occhi si persero nei suoi color blu mare. Erano così profondi, velati da un pizzico di tristezza e amarezza. Avevo sempre pensato che mi nascondeva qualcosa, ma mai e poi mai avrei sospettato che fosse qualcosa di serio…Eppure i suoi occhi non mentivano.

«Siamo noi che decidiamo cosa è possibile fare o no della nostra vita. E io non voglio passare tutta la mia vita…» La mia voce si affievolì sul finale. Cosa stavo per dire? Una grande cazzata.
Stavo per dirgli di non voler passare con lui tutta la mia vita? Stavo veramente dicendo una cosa così cattiva?

«Cosa? Non vuoi passare tutta la vita ad aspettare un amore irrealizzabile?» Continuò lui per me. Mi tolse completamente le parole di bocca. Cosa poteva dirgli? Aveva ragione.
Non potevo aspettare tutta la mia vita un amore del genere. Almeno così credevo io, mentre lui…Nelle sue pozzi celeste vedevo la determinazione e la convinzione che noi ce la potevamo fare.

«Non è un amore irrealizzabile. Devi solo crederci, Elena.» Sembrava che stesse incoraggiando più sé stesso che me. Scossi la testa e scoppiai in una risata amara.

«Non è che non voglio, chiaro? Non posso. Non possa aspettare un amore così…» Non trovavo quasi più le parole per descrivere qualcosa di così travolgente come il nostro strano rapporto.
«Così come? Dillo, Elena. Sono curioso…» M’incoraggiò alzando di poco la voce e alzandosi con uno scatto repentino dal letto.

«Così passionale, così perverso, malsano e dipendente…Non posso vivere un amore proibito. Sono…» Avevo alzato la voce. Prima che potessi finire la frase, Damon salì con un agile balzo sul letto, mi trasse a sé e mi baciò.
Saremo finiti sempre così? Ogni volta che cercavo di fare un discorso serio, avremo concluso sempre in             questo modo? Non potevo, non potevamo basare la nostra vita su quest’amore.
La sua lingua percorreva la mia bocca. Aveva un alito diverso, ora sapeva anche di menta fresca. Mi stesi completamente
sul letto con lui sopra di me.
Le sue mani percorrevano la mia schiena fino ad arrivare ai miei fianchi. Ci guardammo negli occhi e non seppi più cosa
dirgli.

Tutto il discorso che avevo in mente si era dissolto. Baciò lentamente il mio collo, punzecchiandolo anche con i denti. Alzai leggermente la maglietta e lui la sfilò completamente.

Lasciò una scia di baci prima sulle scapole, per poi sposarsi sulla pancia. Massaggiò lentamente le mie spalle e inarcai la schiena, completamente abbandonata fra le sue braccia.

Damon si sedette meglio sul letto e io ebbi l’opportunità di incastrarlo contro la tastiera del letto. Ero a cavalcioni su di lui e tenevo le mie mani sul suo viso.

Mi avventai nuovamente sulle sue labbra morbide. Qualche gemito mi sfuggì. Eravamo troppo passionali e mi resi conto che stava accadendo l’impensabile…Mi stavo innamorando lentamente di mio fratello.
Le sue mani strinsero il mio sedere e mi strinsi ancora di più a lui. Damon inspirò il mio profumo e dalla sua bocca uscì
un gemito gutturale.

Iniziò gradualmente a giocare sul mio collo, per poi iniziare lentamente a mordicchiare e a succhiare provocandomi del leggero dolore mischiato al piacere allo stato puro.
Inarcai la schiena e portai i capelli alla spalla destra, inclinando ancor di più il collo. Sospirai pesantemente.

«Se sei un errore, sappi…che sei l’errore più bello della mia vita.» Sussurrò con vece strozzata vicino al mio orecchio. Mordicchiò leggermente il lobo destro e migliaia di brividi percorsero la mia schiena.
Mi faceva sempre lo stesso effetto.

«Insieme siamo qualcosa di incontrollabile. Qualcosa che è destinato ad aver fine, perché è troppo potente e troppo ingiusto…» Iniziai. Nei suoi occhi vidi un lampo di delusione ma non gli diedi tempo di replicare.  «Ma voglio rischiare…

Voglio spingermi oltre tutto quello in cui credo. Voglio rischiare con te.» Finii ad un soffio dalle sue labbra.
Avrei rischiato. Non m’importava di non poter avere la storia perfetta. Non volevo un principe e non volevo un castello.
Volevo lui. Lui e basta.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’ “autrice”:
Tornata per voi con questo capitolo. Amatemi ù.ù
Sono stata brava, vero? Bhe, diciamo che Elena si è decisa finalmente
Perciò voglio una bella statua…Cosa ne pensate voi?
Ops…Prima i ringraziamenti!
Grazie a Horse_, Smolderina78, NikkiSomerhalder, Darla19, Adelaide94, PrincessofDarkness90 e Niandelove.

Grazie alle 28 anime che hanno inserito la storia tra le preferite, grazie alle 45
(OMG *----* 45?!) che l’hanno inserita tra le seguite e all’uno che l’ha inserita nelle ricordate.
Grazie ovviamente ai lettori silenziosi!
Stop per ora ai ringraziamenti.
Passo al capitolo.
Mi state amando? AHAHAHAHAAHAH. Io sì, mi sto amando XD
E sapete perché? Perché Elena ha capito! Ha avuto l’illuminazione divina e ha capito che deve rischiare! Ovvio non pensate che ora sarà tutto liscio come l’olio.
Ian non sparisce con Katherine ;)
E non pensate che Damon parteciperà all’Anti San Valentino di Care solo perché Elena è costretta ad andarci.
Damon Salvatore non si fa convincere facilmente ;)
Ho finito questo mio piccolo sclero. Grazie per il vostro appoggio, vi amo <3
Ci sentiamo alle recensioni!
Cucciolapuffosa

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Capitolo 11
*** You save me ***


Capitolo undici.
You save me.
 
Erano le 3.56 del pomeriggio. Seduta a terra, sfogliavo svogliatamente le pagine del libro di spagnolo. Non credevo ancora a quello che avevo gli avevo confessato. Gli avevo veramente detto che lo desideravo? Bhe…Non proprio, però quello era il succo della questione.
Ero stata un’idiota, ma per una volta volevo ascoltare il mio cuore e mettere da parte la mente per pochi istanti.
Damon era…Era quel ‘proibito’ che mi faceva impazzire. Che mi torturava la mente giorno e notte.

«Studi?» Una voce che avevo ormai memorizzato mi fece alzare la testa del libro. Ian. Era dal gruppo di supporto che non lo sentivo. Avevo avuto poche opportunità per venire in biblioteca durante la settimana.
«Ci provo.» Risposi non curante. Una parte di me voleva sapere se Damon avesse intenzione di venire all’Anti San Valentino. Per un momento avevo pensato di saltarlo e rimanere a casa, magari stuzzicandolo e finire come ieri sera però avevo pensato alla reazione di Caroline se non fossi presentata e non avevo proprio voglia di sorbirmi un’altra sua ramanzina.

«Non hai proprio tempo da dedicarmi?» Chiese. Sbuffai e chiusi il libro. Non avevo molta fretta di studiare. Mi sedetti meglio e mi stiracchiai.

«Mm…Forse.» Risposi sorridendo. Quel ragazzo m’incuriosiva sempre. Ero curiosa di scoprire com’era fatto e chi era in realtà.
«Sentiamo un po’…Non hai intenzione di rivelarmi chi sei?» Sentii la sua risata cristallina e scossi la testa arresa. Non mi avrebbe mai svelato la sua identità, la scelta era quella di indagare per conto mio e provare a capire chi fosse…ma mi mancavano due elementi fondamentali: il tempo e la voglia.

Mi piaceva il mistero che avvolgeva Ian. Una volta svelato il mistero poi non c’era più magia, perciò mi accontentavo di parlargli.
«Non puoi usare almeno la tua vera voce?» Chiesi. Questa volta fui io a ridere. La voce che metallica che improvvisava ogni volta mi faceva divertire ed era difficile prenderlo sul serio.

«Come sai che questa non è la mia vera voce?» Fece ironico. Roteai gli occhi al cielo. Mi stava prendendo in giro? Persino un bambino di due anni poteva capire che quella voce era finta e manomessa.
«Non sono così idiota, come pensi.» Dissi ridendo. M’immaginai Ian sorridere e sospirai annoiata, in attesa di una sua risposta.
«Non lo penso, infatti.» Ridacchiò. Ci furono diversi minuti di pieno imbarazzo, in cui nessuno dei due diceva niente. Fu lui a rompere quel silenzio che mi metteva in terribile disagio.

«Quindi…dipendente di cocaina? O di droghe leggere? O ancora meglio, fumi marijuana?» Chiese ridendo. Mi raggelai sul posto e pensai a cosa rispondere.

Anche se quella non era la vera voce di Ian, capii che era teso e che la sua risata era solo un diversivo per non far notare che
quell’argomento lo infastidiva.

«MaxField non aveva detto di non parlare dei nostri problemi? Non ti facevo così ribelle, Ian.» Ci scherzai su, cercando di depistarlo. Ero brava a girare le carte in tavola, ma lui era ancora più bravo di me.

«Andiamo, Elena…Non ti facevo così ligia alle regole. Non hai l’aria da perfettina, sai?» Anche se il suo tono era ironico, era riuscito
ugualmente a rigirare la mia domanda a suo favore.
«Non ho l’aria da perfettina? Cosa intendi?» Chiesi seccata.
«Non credo che una ragazza che si droga di cocaina sia la brava ragazza che fa tutti i compiti, no? O stai cercando di convincermi del contrario?» Mi lanciò una frecciatina. Non aveva dopotutto tutti i torti.

«Infatti non sto cercando di farti cambiare idea. E tu? Sei il ragazzo da telefilm, lo sciupa femmine di prima categoria che s’innamora della ragazza ingenua? O forse vuoi farmi credere il contrario?» Rigirai le carte. Da come parlava di questa Katherine, non era una ragazza molto stabile…e ormai era morta.

Sapevo poco, troppo poco e lui non ne voleva parlare.
«Mm…Credo che sia la prima volta che una ragazza mi stia dando della femminuccia.» Costatò divertito. Sorrisi e mi morsi un labbro. Interpretò il mio silenzio, probabilmente come un invito a continuare…Si schiarì la voce.

«Non venivo qui un tempo.» Aggrottai le sopraciglia. E con questo? Riflettei pochi istanti su quello che aveva detto. Perché venire a vivere proprio in questa cittadina se un tempo viveva in una città più grande e migliore di questa?
«E come mai sei qui allora? Cosa ti ha portato in una cittadina come questa?» Chiesi curiosa della sua risposta.
«Ho sempre vissuto qui. Ho vissuto altrove solo per lei, una volta morta non c’era alcun motivo per rimanere lì.» Disse con semplicità. Rimasi sconvolta…Parlava della morte di quella ragazza come se fosse qualcosa di leggero e inutile.

«Sei così superficiale? La ragazza che dici di amare è morta e tu lo dici così?» Lo stavo provocando, ma era quello il mio intento. Volevo vedere fino a quanto riuscisse a parlare del suo passato.

«E come lo voglio dire? Devo dire che si è buttata da un ponte perché era completamente pazza? Devo dire che si è suicidata sotto il mio sguardo? E’ questo che vuoi sentire?» Urlò. La bibliotecaria c’intimò di abbassare la voce, ma io ero troppo sconvolta. Ian aveva assistito alla morte di Katherine.
Mio Dio, che cosa raccapricciante! Era come se assistessi alla morte di Damon. Mille brividi percorsero la schiena. Sentii dei passi allontanarsi e capii che Ian se ne stava andando.
Presi il mio Iphone e la tracolla e mi alzai da terra. In biblioteca c’eravamo solo io, due ragazzine che studiava e la bibliotecaria, di Ian non
c’era traccia.

La porta della biblioteca era socchiusa. Non poteva esser andato così lontano. Uscii di corsa da lì e mi guardai attorno.
Diversi studenti uscivano dai campus e dalle lezioni. Era complicato cercare una persona di cui non sapevi neanche il volto! Sbattei i piedi a terra stizzita e vidi l’ora.

Le 4.22. Perfetto. Sbuffai infastidita e a grandi passi mi avviai verso la caffetteria dove Caroline probabilmente mi stava aspettando già da un paio di minuti. Una bionda intenta a messaggiare col cellulare sedeva in un tavolino qualsiasi.
Indossava un pantalone nero aderente, una maglia color bianco panna e da sopra una giacca pesante.
La salutai e mi avvicinai a lei, sedendomi al tavolino. Iniziò – come suo solito – a straparlare del suo Anti San Valentino, ma la mia testa
era altrove.

Perché Katherine si era suicidata? Perché farlo davanti a Ian, poi? Per farlo soffrire di più? Per liberarsi di lui?
Scacciai subito l’ultimo pensiero dalla mia testa. Nessuna persona rinuncerebbe alla propria vita, solo per liberarsi di un ragazzo opprimente. Oltre il fatto che Ian mi sembrava quel ragazzo che aveva la mia stessa politica di vita: ‘vivi e lascia vivere’.  

«Ti stavo dicendo che il mio compagno di letto è Bruno Mars e che presto mi porterà con sé in tour.» Le parole di Caroline erano sconnesse nella mia mente, ora ero troppo occupata a darmi delle risposte che non potevo più chiedere.

«Oh, brava.» Le dissi, giocherellando con la matita HB della mia amica. Lei aggrottò le sopraciglia e mi diede un pugnetto su un braccio.

«Cosa c’è?» Sbottai infastidita, massaggiandomi il braccio. Il sorriso sulla bocca della mia amica si allargò a dismisura.
«A chi pensavi? Secondo te, il mio amico di letto è Bruno Mars?!» Scoppiò a ridere, seguita a ruota da me. Non avevo voglia di raccontare a Care i particolari della mia conversazione di Ian. Era una storia privata e si vedeva che lui non voleva più cacciare fuori l’argomento.

«Mi ero leggermente distratta!» Mi difesi io, guardando la mia amica raccogliere le sue cose. Dove stava andando? Mi aveva detto che aveva già finito i preparativi per questo “ballo”!
«Dove vai?» Le chiesi. Ero ancora seduta al tavolino, mentre lei era già pronta per andare chissà dove.

«Ehm…Stasera c’è il ballo. Shopping. Vestiti. Tacchi. Saldi.» Aveva gli occhi quasi spiritati. Ogni volta che parlava di shopping le si illuminavano gli occhi e parlava a macchinetta, proprio come ora. Mi prese per un braccio e mi trascinò via da lì.

«La mia tracolla, Care!» Le feci notare, cercando di liberarmi dalla sua presa. Mi lasciò il braccio e con le dita iniziò il suo can down.
«Ti do’ cinque secondi per prendere le cose.» Proclamò. Mi maledii mentalmente, afferrai il mio libro, il mio cellulare e aprii frettolosamente la tracolla.

«Tre…Due…Uno…ZERO!» Mi urlò in faccia. Io avevo appena aperto la tracolla e avevo infilato dentro il libro.
«Perché vai così di fretta? Chi cerchi di evitare?» Le chiesi, chiudendo la tracolla e prendendo dalla tasca dei jeans il cellulare.

«Nessuno. Semplicemente…ci sono i saldi!» Mi rispose sforzando un sorriso. Non me la raccontava giusta, molto probabilmente il suo amichetto gironzolava per il college e non voleva incontrarlo.
«Te la sei cavata, Forbes!» L’ammonii divertita, scuotendo la testa ormai rassegnata.
 Forse…un pomeriggio con la mia migliore amica può aiutarmi. Pensai, seguendola.
 

La porta della camera di Damon era socchiusa. Mi sarei preparata in camera sua, visto che la mia era fuori uso per un paio di giorni.
Non avevo speso molto e il vestito che avevo preso era perfetto. Posai le buste e mi sedetti sul letto. La mia attenzione ricadde sul comodino: c’era una fotografia che ieri non avevo visto.

Raffigurava Damon e un’altra ragazza: capelli biondi lunghi e sottili raccolti in una coda alta, occhi color lapislazzulo, pelle chiara e un sorriso sul volto. Erano…carini. Non sapevo che Damon avesse avuto una relazione…
Osservai la foto, fin quando non sentii la porta cigolare. Mi girai di scatto e posai sul comò la fotografia. Damon vestito completamente di nero mi guadava con un misto di malizia e divertimento.

«Fatto shopping?» Mi chiese non lasciando il mio sguardo. Avevo le mani dietro la schiena e cercavo di rimettere in piedi quella stramaledetta foto.

«Sì.» Lo liquidai, mordendomi il labbro. Si avvicinò sempre più con aria misteriosa. Non sapevo cosa mi attraeva in lui…Dopotutto, quali pregi aveva? Era egoista, presuntuoso e insopportabile. Però quando ero con lui mi sentivo completa…I suoi difetti sembravano intensificarsi a volte, ma non mi dava fastidio.

Lui era perfetto, perfetto nelle sue imperfezioni. Perfetto per me che non cercavo la persone perfetta in tutto per tutto, no…Cercavo quella persona che tirasse fuori di me la parte più remota e più nascosta. Cercavo lui.

«Ci andrai a questo discusso ballo?» Chiese, alzando lo sguardo al cielo. Per un secondo pensai di buttare all’aria i piani che avevo per stasera, però cambiai subito idea. Non potevo cedere, solamente perché me lo chiedeva lui.

«Non è un ballo. E’ un’Anti San Valentino!» Puntualizzai allontanandomi dal comodino. Sospirai quando vidi la foto stabile vicino al lume. Estrassi dalla busta il mio vestito e iniziai ad ammirarlo, con Damon dietro di me che mi cingeva i fianchi.
Il suo respiro era sul mio collo. Era piuttosto difficile rimanere calma con lui dietro di me che osservava ogni mio più piccolo spostamento.

Cercai di ignorarlo e guardai il vestito. Era diverso dal solito: completamente rosa in lino morbido arrivava sopra le ginocchia, era a bretelle doppie e sotto il seno c’era un cinturino doppio che si chiudeva in un fiocco dietro le spalle con scollatura a V.
Quel vestito era tanto bello quanto semplice. Non c’era pizzo, non c’erano decorazioni o pietruzze. Niente di niente.

«Mi piace.» Proruppe Damon, stringendo la presa sui miei fianchi. Poggiai la testa sulla sua spalla e sorrisi con aria stronza.
«Peccato che tu non verrai…» Lanciai lì il discorso, alzando le spalle. «Dovrò trovare un accompagnatore...Care mi voleva presentare un amico.» Continuai poggiando il vestito sul letto. Mi girai: il viso di Damon era a pochi centimetri dal mio.
«Stronza.» Sibilò divertito. Allacciai le mani intorno al suo collo e ridacchiai.

«Stronzo.» Replicai assottigliando lo sguardo. Sospirò profondamente e mi rivolse un
sorriso.

«Testarda.»
«Testardo.» Feci io.

«In momenti come questi faccio fatica a non baciarti qui e subito.» Grugnì. Le sue labbra sfioravano le mie, ma non osava muoversi. Io guardavo le sue labbra, mentre lui i miei occhi – o almeno provava a non guardarmi le labbra –.

«Fallo.» Dissi semplicemente. Aggrottò le sopraciglia, era sconvolto dalla mia affermazione. «Non sarò di certo io a fermarti.» Lo invitai. Si morse sensualmente il labbro e scosse la testa divertito.

«Non eravamo fratelli? Dov’è finita la tua etica morale signorina Salvatore?» Mi prese in giro. Non trattenni una risata. Dov’era finita la mia etica? Non lo sapevo. La mia etica e i miei pensieri si eclissavano completamente con lui accanto.

«Oh, vuoi giocare?» Lo provocai. Annuì con sufficienza. Sciolsi le braccia dal suo collo e mi allontanai da lui.
«Dove vai?» Mi chiese con gli occhi che tra poco uscivano dalle orbite. Mi girai innocentemente e sbattei gli occhi da cerbiatta che funzionavano sempre con tutti.

«A prepararmi. Manca poco alla festa…Hai detto che non vuoi venire all’Anti San Valentino? Per me va bene, ma non mi convincerai a non andare per rimanere qui con te.» Gli dissi, uscendo da lì. Entrai velocemente in camera mia. Il bagno era completamente fuori uso e la polvere regnava ovunque. Diverse tubature erano state smontate per essere sostituite con delle nuove.

Aprii il cassetto per prendere l’intimo e sgattaiolai fuori. Il bagno di casa era enorme, con una bellissima vasca.
La usavo poche volte, perché preferivo usare il bagno in camera. Oggi – visto che il mio bagno era fuori uso – dovevo usare quello e non mi dispiaceva affatto.
Aprii la fontana e la posizionai sull’acqua calda. La vasca si stava lentamente riempiendo. Mi tolsi gli anfibi e i jeans, seguiti dalla maglietta e poco dopo dall’intimo. Mi legai i capelli in uno chignon abbastanza alto così da non bagnare i capelli, mi assicurai che la porta fosse chiusa ed entrai nella vasca.

Ero immersa tranquilla nella vasca con una marea di schiuma a circondarmi. Potevo rimanere così a vita quasi quasi. Chiusi gli occhi e mi rilassai pochi istanti.
Era così bello rimanere nella vasca e rilassarti senza avere altri problemi per la testa. Aprii di scatto gli occhi, non appena sentii la porta aprirsi.

Non feci in tempo a realizzare quanto stava succedendo che Damon subito richiuse la porta.

«Damon!» Strillai d’istinto, portando le ginocchia avanti. Stavo diventando rossa, lo sentivo. Le guance mi andavano in fiamme. Il corvino
rideva di gusto. Si tolse lentamente la maglietta.

Deglutii. Cosa stava facendo? Si sfilò velocemente le scarpe e i calzini e mi guardò divertito.
«Devo continuare?» Mi chiese con una punta di malizia. Lo stava facendo apposta? Ero tutto un fuoco. Mi sentivo in imbarazzo, ma al contempo volevo che continuasse.
«Sparisci. Da. Qui.» Scandii bene le parole, ma il corvino non ci fece caso. Ghignò soltanto e si sbottonò i pantaloni. Se possibile diventai ancora più paonazza.

Era…Una bella visione, anche se mi sentivo completamente a disagio.
«Ti avverto: togliti i boxer e inizio ad urlare, in casa ci sono papà e Stef.» Dissi, lanciandogli un’occhiata di fuoco. In tutti i casi, i boxer che indossava erano bianchi perciò sarebbero diventati trasparenti.

Mi maledii mentalmente. Fosse stato per me, me la sarei subito svignata ma non avevo niente con cui coprirmi a portata di mano.
«Nervosa?» Mi chiese col sorriso che si allargava sempre più. Si avvicinò a me e capii qual’era la sua intenzione. Entrò anche lui in vasca e
l’imbarazzo – per me – era alle stelle.

«Se non esci subito da qui…» Non terminai neanche la frase, Damon fece scontrare le sue labbra sulle mie. Inizialmente ero completamente rigida, mi sciolsi solamente quando le sue mani si poggiarono sui miei fianchi e mi trasse a sé.
Mi lasciai trasportare dal momento e lo baciai con trasporto. Ero in una vasca e stavo baciando mio fratello. Wow.

Le sue mani si spostarono poco sotto i miei fianchi e mi strinse a sé maggiormente. Inarcai la schiena e ripresi fiato dopo pochi minuti.
«Dicevi, Elena?» Chiese con aria da stronzo. Presi un grosso sospiro e mi leccai le labbra. Sentivo ancora il suo sapore in bocca. Gli diedi le spalle imbarazzata per non fargli vedere il mio colorito.

«Dicevo che se non esci subito da qui, sarò costretta…» Non riuscii neanche a continuare. Damon iniziò a massaggiare le spalle, sciogliendo i nodi. Lasciò qualche bacio sulle spalle. Così rilassata mi poggiai alla sua spalla e lui si poggiò alla vasca. Ero stesa completamente su di lui.

«Potrei rimanere così in eterno.» Farfugliai chiudendo gli occhi. Non m’importava di essere così esposta a mio fratello, non mi sentivo più in imbarazzo. Prima avevo le braccia incrociate al petto, ora invece erano intrecciate a quelle di Damon.
Mi sentivo incredibilmente bene.

«Fosse per me, potremo continuare il nostro discorso più tardi.» Ecco, una delle sue battutine inopportune che rovinava completamente l’atmosfera calma e dolce che si era creata.

«Mm…» Mugolai soltanto chiudendo gli occhi. Non avevo idea di quanto tempo stessi impiegando. Se ora ci fosse stata Caroline, avrebbe definito questo una perdita di tempo…Io invece la definivo un impiego utile e differente del tempo.
Stavo bene tra le sue braccia. Mi chiesi anche come avesse fatto ad entrare se io avevo chiuso a chiave la porta. Quello era l’ultimi dei miei
problemi ora.

Aprii gli occhi. Gli occhi color ghiaccio di Damon mi scrutavano silenziosamente.
«Perché mi fissi?» Gli chiesi con la voce più alta di un’ottava. La sua risata riecheggiò nel bagno e mi strinse più a sé.
«Ti fisso perché sei uno spettacolo. Sbaglio o te l’avevo già detto? Mm…Elena capisco che tuo fratello sia così sexy e che provochi in te sensazioni particolari, ma non pensavo ti piacessero i miei complimenti.» L’umorismo non l’abbandonava mai. Neanche in momenti come questi. Decisi di cambiare posizione nella vasca, mi girai lentamente e mi ritrovai faccia a faccia con Damon.

«Quindi io non ti suscito neanche un’emozione? Neanche un po’?» Chiesi con aria innocente. Lo abbracciai lentamente, strofinando la testa sulla sua spalla.

«Ruffiana.» Grugnì teso come un violino. Mi piaceva fargli perdere completamente il controllo. Che gusto ci sarebbe altrimenti a provare una passione del genere con mio fratello? 

«Credo si stia facendo tardi.» Dissi con una finta espressione distrutta. Mi allontanai da lui e mi guardai bene attorno. L’asciugamano – più vicino – era sul mobiletto dietro la vasca. Allungai il braccio e lo presi.
Mi alzai – sotto lo sguardo vigile di Damon – e lo avvolsi intorno al corpo il più velocemente possibile.

Uscii dalla vasca e sorrisi al corvino che aveva in volto un ghigno divertito. Presi la biancheria e un altro paia di asciugamani e feci una corsa verso camera sua.

La chiusi a chiave e presi un sospirone.
Guardai l’orario. Erano le 8.57. Uhm…Caroline sarebbe venuta a prendermi tra pochi minuti. Non potevo fare tardi per un solo motivo: non volevo assolutamente rivelare a Care il mio piccolo “imprevisto” e non volevo dirle una bugia.

Mi asciugai frettolosamente, infilai l’intimo – facendo fatica ad allacciare il reggiseno – e presi in mano il vestito.
Avevo preso anche un paio di calze color carne, visto che non faceva ancora caldo. Infilai le calze e subito dopo il vestito.
Allacciai la zip e mi guardai allo specchio. Avevo fatto un’ottima scelta. Sciolsi i capelli e dei morbidi boccoli scesero lungo le spalle.
Devo farmi più spesso i boccoli. Pensai, ricordando la scelta inusuale che avevo fatto ieri pomeriggio. Mi stavo asciugando i capelli e avevo
pensato di arricciarli per una volta.

Aprii la porta e mi guardai attorno. Damon era ancora in bagno. Dall’armadio della mia stanza estrassi un paio di tacchi – non molto alti, visto che non avevo proprio voglia di passare un’intera serata su dei trampoli – e poi presi il mio beauty case.

Infilai i tacchi – erano più comodi di quanto ricordassi – ed uscii.
Le 9.06. Caroline probabilmente sarebbe venuta a prendermi a momenti. Mi truccai velocemente, giusto un po’ di mascara per allungare le ciglia, del fard per rendere le guance più rosee e del lipgloss pesca.

Scossi leggermente i capelli per dare un effetto più pomposo e presi la pochette che era una sorta di prestito da parte della mia amica.
Stefan era già giù e parlottava con papà.

«’Lena sei di festa anche tu?» Chiese papà squadrandomi da capo a piedi. Annuii sapendo che mi avrebbe lasciato andare, visto che anche Stef sarebbe venuto.
Aveva un istinto di protezione verso i miei confronti a volte esagerato, però mi ricordavo che ero sua figlia e che sono l’unica donna in una
casa di uomini. Quindi…Questa “iper gelosia” era giustificata.

«Mm…Stefan vedi di non perderla di vista.» Si raccomandò papà, che provava a cucinare qualcosa. Presi il cordless e avviai la chiamata per il Grill.
«Salve…Sono Elena Salvatore, ordino una pizza con salsiccia e piccante e una birra piccola, grazie. Via dei fondatori.» Chiusi il fisso e lo porsi a papà.
«La tua cena sta per arrivare.» Dissi ironica. Non mi fidavo affatto a lasciare papà da solo – o con Damon – alle prese coi fornelli.
«Grazie, tesoro. Occhi aperti.» Mi mise in guardia, spegnendo il fornello e prendendo in mano la pentola. Annuii.
La vibrazione del telefono mi fece aprire la pochette. Un nuovo messaggio da Caroline.

Muovi il culo. Siamo già in ritardo! Con affetto, Care :*:*
Era la finezza quella ragazza.
«Stefan ti serve un passaggio? Caroline sta fuori!» Gli dissi prendendo il cappotto bianco. «Vengo con voi.» Disse prima di sparire da
dietro la porta. Era sempre più strano suo fratello. Mi abbottonai il cappotto e quando alzai lo sguardo incontrai gli occhi color ghiaccio di
Damon.

«Vuoi veramente uscire da qui in questo modo?» Mi chiese. Era barricato davanti la porta e mi scrutava insicuro sul da farsi.
«Sono già in ritardo. Potresti spostarti?» Replicai con un tono che non ammetteva in risposta una negazione.
«Tuo padre ti fa uscire così?» Commentò ancora. Aprii la bocca leggermente sconvolta. A grandi falcate mi avvicinai sempre più a lui.

«E’ anche tuo padre. E…Ti avverto togliti da qui o giuro che faccio sfondare la porta da Caroline.» La mia voleva sembrare una minaccia, ma in risposta lui scoppiò in una risatina.

«Damon, lasciala respirare! Non è più una bambina.» Intervenne papà dalla cucina. Sorrisi vittoriosa e inclinai la testa, aspettando una possibile reazione da parte di Damon.
Non disse niente, si tolse solamente dall’entrata e mi fece cenno di andar via. Aprii la porta e la richiusi con forza.

Se era geloso – perché lo era, lui era geloso – perché non voleva venire con me a questa stramaledettissima festa?
Caroline era in macchina che sbraitava con quel poverino di Stefan che la sopportava sempre. Entrai sbattendo la portiera.
«Colpa di Damon.» Sbuffai soltanto, lanciando un’occhiataccia a Caroline che le intimava di non chiedermi niente.
Quei pochi minuti di viaggio furono i più imbarazzati e lunghi della mia vita. Caroline e Stefan non facevano altro che cercare di scherzare sulla loro relazione passata, ma alla fine si mettevano entrambi in imbarazzo.
Non appena arrivammo mi catapultai fuori da quella macchina e a passo veloce liquidai quei due. Caroline mi aveva detto che aveva organizzato questa “festa” al centro ricreativo del campus vicino alla caffetteria.

La festa precedeva meglio del previsto. Anche se era un’Anti San Valentino si erano già formate diverse coppiette che ballavano innamorate al centro della pista.
Il cappotto lo posai su una delle sedie che giacevano ai lati della pista e portai con me la pochette.

Andai verso il buffet, mentre guardavo quegli innamorati ballare. Provavo una certa invidia per loro. Io non potevo ballare con Damon, ero sua sorella. Non potevo baciarlo in pubblico perché ero sua sorella. Non ero neanche la sua fidanzata a pensarci bene!
«Splendore, sola sta sera?» Chiusi gli occhi e mi maledii mentalmente fino alla nausea. Matt – capitano della squadra di football – mi sorrideva divertito. Stava provando ad attaccare bottone con me da una vita e sinceramente mi aveva stufato.

Era stato una vecchia fiamma del liceo, ma ancora non capiva che era tutto finito tra noi.
«Per stasera sì.» Dissi subito, non rivolgendogli uno sguardo. Matt Donovan era una di quelle persone che se gli davi una mano si prendeva tutto il braccio. Alzava la confidenza a seconda di come ti comportavi.

«Dai, Elena. Ti prometto un solo ballo e ti lascio in pace!» Mi pregò. Mi girai e incontrai i suoi occhi blu…Mi fece quasi tenerezza. Sospirai pesantemente e annuii sorridendogli. Cosa poteva succedere per un ballo?
Mi guidò in pista. In effetti non era così sgradevole come avevo immaginato. L e mani le aveva sempre sui fianchi, non aveva fatto commenti idioti…Si stava comportando bene, forse più di quanto potessi desiderare.

«Ti ricordi i balli scolastici?» Mi chiese ridendo. Annuii divertita. Ogni anno eleggevano la reginetta del ballo e a scuola si scatenava l’inferno! Tra ragazze del primo anno più agguerrite che mai e altre che si rendevano ridicole…c’era sempre da ridere a quei balli!

«Vuoi da bere?» Mi chiese a un certo punto, allontanandosi da me. Mi guardai attorno. Caroline ballava con Enzo, sotto lo sguardo incuriosito di Stefan. Forse…Potevo passare un altro po’ di tempo con Matt, no?

«Un alcolico qualsiasi.» Lo liquidai velocemente, guardandomi attorno. Di Rebekah non c’era traccia. Per un momento pensai che Damon si fosse portato a casa la Mikealson ma scacciai subito quel pensiero.
Matt ritornò subito dopo con un paio di drink. Lo bevvi tutto in un sorso. Non dovevo fare la fine di New Orleans. Non dovevo ridurmi in quello stato un’altra volta solo per dell’infondata gelosia!
 

Non avevo idea di quanto tempo fosse passato, ma di una cosa ero certa: non sarei mai più venuta a degli eventi organizzati da Caroline! La musica lenta era completamente sparita da almeno un’ora e più. Il rock pompava a tutto volume e la gente ormai incominciava a
puzzare d’alcool.

Sinceramente, mi stavo chiedendo come avesse fatto Care a convincere i prof a lasciarle campo libero…La mia amica sapeva essere molto esaustiva e probabilmente la buona media e condotta l’avevano avvantaggiata.
Sicuramente non avrebbe più avuto il permesso di organizzare altre iniziative dopo questo fallimento. Sarebbe stato meglio andare in una
discoteca a questo punto!

Avevo scaricato Matt dopo venti minuti circa perché era diventato troppo lagnoso. Aveva incominciato a parlare del nostro passato, cercando di farmelo rimpiangere.
Caroline era completamente andata insieme ad Enzo, Stefan era chissà dove con chissà chi.

Presi dalla pochette il mio Iphone: le 11.43. Avevo passato più di tre ore a parlare con quelli più sobri che trovavo e a maledire la mia migliore amica.
«Elena!» Matt veniva verso di me a passo veloce. La camicia leggermente sbottonata e l’aria stanca. Per fortuna, non era così ubriaco come sembrava.

«Matt.» Lo salutai stancamente. In questo momento volevo solamente trovare un passaggio per ritornare a casa mia. Il passaggio verso la terra promessa era proprio di fronte a me.
Bastava chiedere a Matt il favore di riaccompagnarmi a casa, no? Cosa poteva succedere?

«Mi faresti un favore?» Chiesi sbattendo le ciglia. Lui mi guardò incerto…Il mio cambio d’umore istantaneo doveva averlo messo in guardia.
«Solo dopo un altro ballo!» Fece l’ironico. Tanto…un minuto in più un minuto in meno…Qual era il problema? Annuii e gli presi la mano. Lo guidai in pista e inizia a muovermi lentamente, cercando di non essere troppo provocante. Matt poteva farsi strane idee.

La pochette era legata con un laccetto al mio polso, perciò non era neanche d’intralcio. Forse la serata poteva migliorare!
Lui mi assecondò senza mai esagerare e lo ringrazia più volte  - mentalmente – per questo suo comportamento…più maturo del solito.
«Ti diverti?» Mi chiese una voce che non era quella di Matt. Caroline saltava sui suoi tacchi e mi urlava parole incomprensibili per via della musica alta.

«Non immagini quanto!» Le urlai in risposta. Una risposta piuttosto acida, ma ben le stava. Mi aveva mollata per il suo amico di letto – che a mio modesto parere doveva essere Enzo –!

«Oh, andiamo!» Mi spronò ridendo. Scossi la testa…Come potevo arrabbiarmi con la mia migliore amica? Alzai gli occhi al cielo. Non riuscii a ribattere, perché la vidi aggrappata a Enzo mentre si baciavano appassionatamente.

Volevo ucciderlo in quel momento. La mia amica era completamente ubriaca e lui se ne stava quasi approfittando. Lasciai Matt in pista e mi avviai verso quei due.
Appena Care prese una boccata d’aria, io catturai l’attenzione di Enzo che mi guardava incuriosito.

«Sono già occupato.» Ammiccò. «E non lo farei mai con la ragazza di Damon.» Continuò ridendo. Gli pestai un piede col tacco e lo guardai seriamente.

«Non APPROFITTARTI della mia amica, chiaro?» Gli urlai. Era impossibile aveva una comunicazione civile in quel caos. Lui mi guardò di soppiatto e poi scoppiò in una fragorosa risata.

«Come potrei approfittarmi della ragazza che amo?» Mi rispose. Urlava per farsi sentire, ma non era arrabbiato. Strabuzzai gli occhi e la bocca.
Aveva detto…che l’amava? L’aveva detto veramente? Non me l’ero immaginato?

«Come, scusa?» Chiesi io. Se Enzo l’amava, non poteva essere lui il ragazzo di cui era innamorata ma che non ricambiava…Allora chi era? E Care stava cercando di far ingelosire questo fantomatico ragazzo usando Enzo e i suoi sentimenti?
Domani avrei dovuto parlare con Caroline, seriamente.

«Tienila d’occhio. Non è stabile quando è ubriaca!» Dissi ironica, facendogli l’occhiolino. Mi allontanai tra la marmaglia di gente e uscii fuori di là.

Faceva fresco, ma potevo resistere per pochi minuti. Vidi l’orario…I minuti passavano velocemente.
«Tutto bene?» Matt posò sulle mie spalle il mio morbido cappotto. Sorrisi. Di Matt in fondo mi mancavano la sua gentilezza e la sua dolcezza a volte diabetica.
«Pensavo avessi freddo.» Mi disse, alzando le spalle. Gli sorrisi. Per una volta, non gli avevo detto niente di offensivo e non avevo
accennato alcun ghigno ironico. Solamente un sorriso, un normale sorriso.

«Diciamo che non ce la faccio più a stare lì dentro.» Dissi ridendo. La musica così alta mi aveva fatto venire un grosso cerchio alla testa.
«Ho la macchina qui vicino. Se vuoi ti accompagno a casa.» Propose. I miei occhi s’illuminarono. Non sembrava ubriaco, anzi forse era più sobrio di me…perciò perché non accettare il passaggio?

«Oh sì. Sei stato la mia salvezza. Sarei impazzita lì dentro!» Scherzai, mandando un messaggio a Stefan.
Ho un passaggio a casa. Ritorna con Care e non farla guidare! Premetti invio e lo posai nuovamente sulla pochette.
Salii sul pickup di Matt e mi misi la cintura. Teneva quella vecchia bagnarola dai tempi del liceo. Avevamo fatto le gite più belle lì sopra.

La strada era quasi deserta, ad eccezione degli ubriachi che andavano in giro verso la mezzanotte!
Guardavo dritta sulla strada, quando ne imboccammo un’altra costeggiata dagli alberi. Mystic Falls collegava col boschetto che era un’aria naturale dove vi erano diversi animali selvatici.

«Cervo!» Dissi a Matt, vedendo in lontananza un cervo. Matt distolse lo sguardo e mi guardò interrogativo.

«Cervo davanti a te!» Strillai, prendendo lo sterzo e cercando di cambiare rotta. Il biondo capii il mio avvertimento e cercò di sterzare verso sinistra.

La ruota del suo pickup slittò leggermente sul terriccio. Sterzò troppo verso sinistra e il parabrezza – con l’intera macchina - andò a scontrarsi contro un albero.
Lo schianto fu abbastanza forte. I vetri avanti saltarono in mille pezzi. Mi riparai gli occhi e portai le ginocchia avanti cercando di proteggermi.
Matt sembrava stesse bene, se non avesse perso la conoscenza.

Io invece mi sentivo piuttosto dolorante. La schiena era a pezzi e i vetri per fortuna non erano andati negli occhi.
Probabilmente sanguinavo leggermente dalla testa, ma in quel momento non era la cosa più importante…Dovevo tenere gli occhi aperti e chiedere aiuto a qualcuno. Le lacrime si formarono velocemente e iniziarono a bagnarmi il viso. Il respiro era mozzato e irregolare. Cercai di sganciare la cintura, ma non riuscivo a toglierla. Ero bloccata in quell’abitacolo completamente rotto e il caldo era opprimento.

Speravo che qualcuno si fermasse o che qualcuno chiamasse il 911 o il 118. Ma la strada era deserta.
«Aiuto…» Volevo urlare, ma la voce mi uscì in un udibile sussurro. Non avevo voce per urlare, ero troppo spaventata.
Mi rincuorai solamente quando vidi dei fanali illuminare l’abitacolo. Poggiai la testa all’indietro e sospirai.

Qualcuno mi avrebbe aiutato, ora.
«Cos’è successo qui?» Tuonò qualcuno. Non poteva…Non poteva essere la sua voce. Eppure io l’avrei riconosciuta tra mille.

«Elena!» Mi si fermò il respiro. Damon era qui…Qui per me. Aprii debolmente gli occhi e annuii.
La macchina era chiusa e lui non poteva forzarla. L’unica cosa da fare era sforzarmi e prendere la chiave per aprire lo sportello. Allungai la mano e la sfilai.

«Elena…Rimani ferma. Non fare movimenti bruschi.» Mi avvertì, mantenendo la calma. Da dove la prendeva tutta questa calma? Io ero completamente nel pallone e non ce la facevo più a mantenere le lacrime che avevano iniziato a scendere copiose dagli occhi.
Presi la chiavi della macchina e stancamente le lanciai fuori dal finestrino ormai in mille pezzi. Damon le afferrò prontamente e aprì la portiera.

Socchiusi leggermente gli occhi.

«Non chiudere gli occhi, principessa.» M’intimò bruscamente. Sorrisi leggermente e continuai a tenere gli occhi aperti. Mi aveva chiamato principessa? Che nomignolo banale.

«Ti tiro fuori.» Disse. Entrò col mezzo busto in macchina e sganciò la cintura. Mi prese in braccio e finalmente uscii dall’abitacolo.
Sentivo addosso tutti i piccoli pezzettini di vetro, li sentivo anche fra i capelli e mi dolevano le mani leggermente arrossate.
«Riesci a mantenerti in piedi?» Mi chiese lentamente. Lo guardai e annuii. Lasciò la presa su di me, ma il mio equilibrio con i tacchi era più precario di come lo ricordassi.

Le ginocchia erano molli. Caddi a peso morto all’indietro ma Damon mi sorresse prontamente.
«Okay, non ce la fai.» Commentò ironico. Persino in un momento come questo lui era sempre ironico. Mi accarezzò i capelli e pulì dal mio viso un rivolo di sangue.
«Come…mai…sei…venuto?» Chiesi. La testa era completamente senza sostegno, ero tra le braccia di Damon e lo guardavo stanca.

«Dal tuo telefono si è attivata la chiamata. Sentivo solo musica a tutto volume…e ho pensato di venire a prenderti.» Mi spiegò, accarezzandomi la guancia. Doveva aiutare anche Matt…Anche lui era ferito, forse più gravemente di me.

«Mi sono fermato e ti ho vista lì in quelle condizioni. Ho avuto paura di perdere anche te.» Confessò con un sorrisino in volto. Perdere anche te. Chi aveva perso prima di me? C’era qualcun’altra che aveva perso?

«Aiuta Matt…per favore…» Balbettai, aggrappandomi al suo giubbino di pelle. Lui diede uno sguardo veloce alla macchina e annuì.
«Ora, principessa. Mi assicuro che stai bene e lo aiuto, okay?» Damon Salvatore che parlava dolcemente? Wow…Finalmente avevo scoperto un lato di lui che mi era del tutto oscuro.

«Mi hai salvato…» Dissi con un fil di voce, mentre mi adagiava sull’erbetta con un sorriso tenue in volto.
«Ti salverei sempre.» I suoi occhi enigmatici e con un velo di mistero rispecchiavano persino al buio.

«Grazie, Damon…» Lo ringraziai con un fil di voce. Lui mi avrebbe salvato sempre e io mi sarei sempre lasciata salvare da lui.
 
 







Angolo dell’autrice:
I’m back! Cosa ne pensate di questo bel capitolo? *.*
Ma prima i ringraziamenti!
Grazie a Smolderina78, NadyDelenaLove, NiandelLove, Darla19, NikkiSomerhalder e PrincessofDarkness90.
Siete le migliori!
Grazie ai 29 che hanno inserito la storia tra le preferite, i 47 (volete farmi rimanere secca? OMG *-*) che l’hanno inserita nelle seguite e l’uno che l’ha inserita nelle ricordate.
GRAZIE A TUTTI I LETTORI SILENZIOSI: LE VISITE del primo capitolo sono più di mille e gli altri capitoli sono più di quattrocento!
Grazie veramente. Vi amo <3
Ora piccolo spazio in cui sclero:
COSA NE PENSATE? Si parte dal mistero Ian-Katherine, qualcuno di voi ha già delle buone ipotesi? Io so già tutto ^^
Il ragazzo confessa tutto o non proprio a Elena in un momento di rabbia.
Più in là, vediamo una foto di Damon con una misteriosa ragazza bionda…Mm…Cosa si fa ora? Avete idee?
La scena della vasca da bagno è asnvainjikrfsngliuhilawnw.
*sfogo di pazzia da parte dell’autrice*
Cè quei due in bagno. Damon in vasca. Schiuma. Tanti baci! *-*-*
*morta*
*resuscita per voi*
Il ballo non è un vero e proprio ballo…e qui c’è il tragico incidente della nostra Elena, forse potrà servirvi inutile…Invece, è da qui che i nodi tornano al pettine.
Damon ha avuto di perdere lei, oltre a chi? Quella frase rimarrà nella mente di ‘Lena per un po’…Facendola impazzire.
Matt…Bho, Matt è stato piuttosto utile XD
Okay, vi ringrazio di cuore ancora XD.
Spero vi sia piaciuto, GRAZIE ANCORA.
PS. Se vedrete il mio nickname cambiare da Cucciolapuffosa a Non ti scordar di me non vi preoccupate sono sempre io ;)
Cucciolapuffosa

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Capitolo 12
*** Oh my God, isn't possible! ***


Capitolo dodici.
Oh my god, isn’t possible!
 
Il mio collo era indolenzito, la schiena mi doleva e avevo un grosso cerchio alla testa. Il mio cuore batteva ancora forte ricordando cos’era successo.
La macchina di Matt completamente frantumata con me e lui dentro, i vetri rotti e le ruote che slittavano sul terriccio avevano occupato i miei sogni in quei giorni.

Non riuscivo più a dormire, i sogni – o almeno quelli che lo sembravano – finivano tutti allo stesso modo: io e Matt in quella stramaledetta macchina.
Avevo un nodo alla gola e gli occhi arrossati reduci dal brutto sogno. Guardai l’orologio sul comodino: erano le 10.43.
Damon aveva chiamato un’ambulanza per me e Matt, solo che a differenza mia – me l’ero cavata con qualche punto alla testa – il biondino non se l’era cavata così bene come me. Non avevo sue notizie, nessuno mi voleva dire niente, facevano finta di non sapere niente…E i dubbi mi assalivano completamente.

Nella mia mente tutto aveva un risvolto negativo. E i ‘se’ e i ‘forse’ mi stavano ammazzando lentamente. Se non avessi chiesto a Matt di accompagnarmi a casa, ora non sarebbe successo nulla. Se non avessi urlato contro Matt per fargli notare il cervo, forse se ne sarebbe accorto lui?

Troppe domande, poche risposte.
Ero in camera di Damon. Le coperte nere mi avvolgevano completamente e la debole luce della stanza era scaturita dal piccolo lume sul comò. Cosa sarebbe successo se Damon non ci avesse aiutato? Saremo rimasti lì su quella strada per quanto tempo? Per tutta la notte? O solo per poche ore?

Sbattei più volte le palpebre e mi misi a sedere. Sentivo la pioggia picchiettare, era una pessima giornata sia per il mio umore che per il brutto tempo.
Papà mi aveva tassativamente proibito di uscire da un paio di giorni e le mie giornate le passavo con Damon e Stefan. Care mi mandava alcuni messaggi in cui si scusava ripetutamente per avermi lasciato andare via con Matt – la rassicuravo sempre dicendole che la colpa non era assolutamente sua – così come gli altri miei amici. Tuttavia sentivo che c’era qualcosa che mi stavano nascondendo.

Non ce la facevo più a rimanere chiusa nella stanza di Damon.
Già…Damon. La prima serata l’avevo passata in pronto soccorso, lui non mi avevo lasciato un momento. Sorrisi, ricordando la scenata che aveva fatto.

«Non me ne può fregar di meno se dovete metterle dei punti. Io non mi muovo da qui.» Tuonò arrabbiato, tenendomi la mano. Il mio cuore batteva all’impazzata…Non avevo la più pallida idea di cosa dire. Non volevo che mi lasciasse, volevo che mi dicesse che sarebbe andato tutto bene…Che mi rassicurasse che tutto quello che stava succedendo non fosse stata colpa mia. Volevo che mi mentisse, che mi aiutasse con una bugia, che riuscisse a far scomparire il senso di colpa che in me era troppo opprimente.

Matt era stato trasportato via, prima di me. Non avevo capito molto della sua situazione, so solo che era grave…Almeno lo pensavo, visto le facce preoccupate dei medici.

«Damon…» Lo chiamai debolmente. Lui si girò immediatamente, guardandomi negli occhi. Dai suoi occhi limpidi e trasparenti traspariva la paura…Aveva avuto paura di perdermi. Lui non aveva idea della paura che io avevo avuto, solo pensando che quell’incidente fosse stato diverso. Se non avessi avuto i riflessi pronti per coprirmi il volto dai vetri? A quest’ora probabilmente non ero fuori pericolo.

«Dimmi, principessa.» Rispose, avvicinandosi alla barella. Le nostre mani erano intrecciate, i miei capelli erano pieni di vetri e i miei occhi arrossati. Strinsi forte le sue mani e me le portai all’altezza del cuore.

«Sarai nel mio cuore anche lì, mentre mi metteranno i punti…Okay?» Gli dissi, guardandolo dritto negli occhi. Annuì leggermente indispettito.
«Andatevene ora, o giuro non la lascio più andare.» Disse sospirando pesantemente. La mascella tesa, i muscoli delle braccia rigidi e la bocca chiusa in una linea.

«Possiamo procedere.» Sbuffò il medico, spingendo la barella. Damon mi teneva le mani e io non volevo lasciarlo lì, con la preoccupazione. La porta della sala operatoria aspettava solo noi.

«Damon…Vai tranquillo…Non mi succederà niente…» Dissi, tirando un po’ su col naso. Il corvino ammorbidì la presa sulle mie mani e alzò la testa. Guardò i due infermieri che lo fissavano uno con impazienza e uno con comprensione.

«La tua ragazza starà bene. Fidati.» Gli sorrise quello che sembrava più anziano. Aveva gli occhiali sul naso e un sorriso tirato in volto.
«Mi fido. La lascio nelle tue mani.» Disse soltanto, con i muscoli rigidi e gli occhi assottigliati in due fessure. Mi lasciò la mano, mi accarezzò l’ultima volta i capelli e a passo serrato si allontanò.

Rimase lì fermo per non so quanto tempo, l’unica cosa che sapevo era che una volta uscita da lì Damon era ancora lì e mi stava aspettando.

Girai  la testa verso destra e lo vidi. I capelli spettinati, gli occhi socchiusi e il respiro regolare. La camicia aveva i bottoni aperti lasciando intravedere il suo petto ed era stravaccato sulla poltrona in velluto rosso carminio in una posizione piuttosto innaturale. Chissà se aveva bevuto ancora...Avevo notato che Damon aveva una passione per l’alcool in particolare per il Bourbon, ma MAI e poi MAI l’avevo visto quasi ubriaco.

Dimessa dall’ospedale, papà mi aveva – letteralmente – segregato in stanza di Damon fino a quando la mia non sarebbe ritornata agibile.
«Damon, non andare da lei!» Dalla camera sentii la chiara voce di Stefan che urlava contro il corvino. Un groppo in gola mi bloccò il
respiro. Perché non poteva venire da me? Cosa sapeva Stefan?


«Io posso andare dove voglio. E voglio andare da Elena, chiaro?» La voce di Damon era strana, più sbilenca e meno ironica del previsto. Deglutii. Mi volevo alzare e controllare quello che stava succedendo ma i punti potevano saltare da un momento all’altro.

«Vuoi farti vedere da lei in queste condizioni? Pensaci, sei suo fratello più grande cosa penserebbe se ti vedesse in queste condizioni?!» Continuò imperterrito Stefan. Stanca di quei due che litigavano fuori dalla porta – e anche curiosa di sapere cosa Damon avesse – mi
alzai dal letto.


La testa mi girava, ma non troppo vorticosamente. Appoggiandomi al muro come sostegno, mi avvicinai alla porta e la aprii leggermente.

Stefan era davanti alla porta e Damon di fronte a lui. Mi venne quasi un colpo a vederlo in uno stato del genere.
Capelli spettinati, occhi rossi e sguardo vacuo. In mano una bottiglia di chissà quale liquore. Non si reggeva in piedi, camminava a tentoni e rideva senza motivo.

«Io voglio vederla, devo consolarla! Quando saprà…» Cosa dovevo sapere? Cosa non voleva dirmi? Anzi, cosa la mia famiglia non voleva dirmi?

«Damon!» Lo riprese Stefan. Il corvino si portò una mano alla testa e il mio cuore perse un battito. Ridurre così una persona era…era qualcosa di…di orribile! Vedere una persona che amavi in quello stato, ti faceva stringere il cuore.
Amavi? Lo amavo?

Damon fece ancora qualche passo avanti, ma il suo equilibrio era più precario del solito. Uscii dalla porta e gli andai incontro a braccia aperte.

«Elena?» Mi chiese. Era più una domanda. Lo abbracciai e cercai di sorreggerlo anche se era pesante. Stefan strabuzzò gli occhi.
«Elena, penso io a Damon. Papà ritornerà tra pochi istanti, prenderà un colpo se ti vedrà in piedi con i punti che hai messo meno di ventiquattro ore fa.» Mi mise in guardia.

«Penso io a lui. Fammi…Fammi solamente parlare con lui.» Gli dissi con un sorriso forzato. Damon gli rivolse un sorriso divertito – tipico di lui – e io gli rivolsi il mio sguardo più dolce.
«Elena, il tempo che vado a prendere del tè per fargli smaltire la sbornia.» Disse, scendendo più velocemente possibile le scale. Annuii
leggermente e presi il volto di Damon tra le mani.


«Cos’hai fatto?» Chiesi deglutendo. Lui sospirò pesantemente e mi sorrise, iniziando a giocare con i miei capelli. Oh, bene…Era completamente andato di testa.

«Ho bevuto qualcosa al Grill.» Rispose alzando le spalle. I suoi occhi celesti erano completamente appannati dall’alcool.
«Cosa intendi per qualcosa?» Gli chiesi, sorridendogli dolcemente.
«Tanti…Forse troppi…bicchieri…» Ridacchiò prendendomi le mani. Gli accarezzai il volto.

«Damon promettimi una sola cosa: non fare cazzate. Solo questo.» Dissi, guardandolo dritto negli occhi. Sbatté più volte le palpebre e prese un po’ d’aria.

«Ci proverò.»
Non avevo mai visto in una situazione così strana. Così debole, preoccupato, strano…Mi guardava persino con occhi diversi. Non aveva più gli occhi di un ragazzo che prova un sentimento tanto sbagliato quanto passionale con la sorella, no…Sembrava che lui stesse rivivendo qualcos’altro, qualcosa che io non sapevo con occhi diversi, forse con occhi più consapevoli.

Accanto alla poltrona c’era il suo immancabile tavolino di liquori con un bicchierino vuoto da cui s’intravedevano solamente qualche goccia di chissà quale liquore.

Dalla bocca di Damon uscì un flebile lamento e si stiracchiò. Non sapevo dormisse sulla poltrona…Pensavo dormisse con mio padre, o sul divano…Ma MAI avevo pensato che passasse le nottate ad osservarmi.

Papà si era mostrato quasi più contento dalla reazione di Damon, molto protettiva nei miei confronti forse anche troppo per un fratello. Stefan…Stefan sembrava invece aver un occhio di riguardo sia per me che per lui.
Aveva capito qualcosa? Anche se fosse a me non importava. Damon e io eravamo legati da un sentimento strano, perverso e forte…Troppo forte.

«Ben svegliato.» Lo salutai sorridendogli. Il corvino mi sorrise e si alzò dalla poltrona. Si sistemò malamente i capelli e si avvicinò al letto.
«Buongiorno.» Rispose penetrante come al solito. «Dormito comoda?» Chiese con un pizzico d’ironia indicando il suo letto.
«Certo…» Mentii deglutendo. Non avevo intenzione di parlare dei miei giornalieri incubi, piuttosto in questo momento volevo sapere cosa stavano cercando di nascondermi sia lui che papà che Stefan.

«Io vorrei andare all’ospedale…Sai, vorrei visitare Matt…» Gli spiegai sorridendogli. Se prima Damon aveva un tenue sorriso in volto, ora era sparito in pochi secondi. Lo guardai interrogativa…Perché aveva cambiato repentinamente umore?
«Riposa ancora…Ricordi cosa ti ha detto il medico?» Cercò di dissuadermi. Questa scusa stava diventando davvero una cantilena. Ogni giorno, ogni giorno in cui volevo o uscire o andare a trovare Matt mi rifilavano sempre la stessa scusa che mi stava dando al cervello.

«Andrò domani allora...» Dissi lentamente, seguendo attentamente tutti i suoi movimenti. I suoi occhi non erano più appannati dall’alcool, anzi era lucidi. Lucidi e misteriosi, forse più del solito.

«Scendo giù, dico a papà che sei sveglia, mi faccio un caffè forte e poi…continuiamo i nostri discorsi.» Ammiccò, lasciandomi un bacio sulla fronte poco distante dai punti. Il suo tono enigmatico e misterioso mi confondeva ulteriormente.

«Chi hai perso?» Chiesi spontanea. Damon era sull’uscio della porta, ma si congelò sul posto. Si girò e nei suoi occhi color mare finalmente vidi un’altra emozione: la confusione. Era confuso. Allora c’era qualcuno, c’era qualcuno che aveva perso e di cui io non sapevo l’esistenza.

«Quando mi hai salvato…hai detto ‘ho avuto paura di perdere anche te’. Chi hai perso, Damon?» Gli spiegai, citando le sue parole. Era un bravo attore, ma si era tradito. Avevo visto lo sgomento iniziale, anche se solo per pochi secondi…Avevo visto la sorpresa. Pensava che non avessi sentito quelle parole?

«E’ stata una frase detta di getto. Ho avuto paura di perderti e basta.» Mi rispose con un’alzata di spalle. Non ci credevo, non riuscivo ancora a crederci. Damon non diceva mai nulla a sproposito. Gli era scappato quell’ ‘anche te’ che aveva di sicuro un significato.
«Se lo dici tu…» Feci un sorriso sforzato e lo osservai sparire dal mio raggio visivo. Notai che la sua fotografia con quella ragazza non c’era più. Dove poteva averla mai messa?
Mi alzai lentamente dal letto e iniziai a curiosare nel comodino. Sapevo che non avrei dovuto farlo, conoscendo com’era fatto il corvino ma volevo andare in fondo a queste faccende.

Dovevo prima capire chi aveva perso e perché io gli ricordavo quella persona e poi capire perché tutta la famiglia era così misteriosa nei miei confronti.
Nel comodino c’erano solamente delle chiavi, diverse cartacce…Ma niente di veramente importante. La mia attenzione ricadde su un fogliettino, un piccolo post it, conservato nell’angolino più remoto del cassetto. Era tutto stropicciato. Al tatto era ruvido, sembrava che
sopra ci fosse caduta dell’acqua.

Più che acqua sembrava fosse caduta qualche goccia…Delle lacrime. Forse erano delle lacrime.
Forgive me if you can.Era scritto in modo chiaro ed elegante. La scrittura non era quella di Damon. La scritta era stata fatta con cura e con calma. Quel biglietto era stato recapitato a Damon da qualcuno, probabilmente una ragazza.

Ridussi quel bigliettino ad una pallina di carta – così come l’avevo trovato – e lo rimisi apposto.
In questo momento volevo solamente capire perché tutti quanti mi nascondessero qualcosa. Volevo urlare, volevo sapere cosa non mi volevano dire e soprattutto perché mi stavano nascondendo qualcosa!

Dovevo sfogarmi, volevo rompere tutto quello che c’era intorno a me, piangere e togliermi di dosso quel senso di inquietudine che mi perseguitava.
Tre giorni passati a letto, leggendo e perdendo tempo. Non ce la facevo più.

Mi diressi verso l’armadio di Damon. Iniziai a frugarci dentro alla ricerca di qualcosa che magari potesse andarmi bene. Trovai solamente un pantalone della tuta e un felpone rosso. Non era il massimo, ma volevo solamente uscire da casa.
Mi tolsi il mio caldo pigiama e m’infilai velocemente la tuta. Strinsi il pantalone in vita e sciolsi i capelli legati in una coda malfatta. Li scossi leggermente per dargli un’aria più presentabile e mi guardai allo specchio.

Si vedeva che non riuscivo a dormire più la notte. Sotto gli occhi avevo due profonde occhiaie, le mie labbra erano screpolate a furia di mangiucchiarla e la felpa di due taglie in più maschile mi rendeva quasi scheletrica.
Presi un post it e una penna dal comò di Damon e abbozzai un bigliettino in cui dicevo che ero uscita per fare un giro, nel caso in cui il mio piano funzionasse.

Mi calai il cappuccio e infilai dentro i capelli. Cercando di fare meno rumore possibile, scesi le scale e mi guardai attorno.
Papà e Damon erano in cucina, si sentivano le due voci che litigavano animatamente. Non mi avrebbero sentito. A piccoli passi mi avviai verso la porta, ma origliai uno spezzettone della loro conversazione.

«Dille la verità!» Urlò Damon, sbattendo a terra qualcosa. Le voci iniziarono a sovrapporsi e iniziai a capirci sempre meno.
«Non ne ho intenzione per ora! Ne uscirebbe distrutta!» Continuò. Quelle parole mi fecero preoccupare. Da cosa sarei uscita distrutta? Cosa non sapevo?

La mia frustrazione si quadruplicò se possibile, aprii la porta, presi un sospirone e me la chiusi alle spalle.
Mystic Falls era completamente deserta. Era una mattinata piovosa, la pioggia era incessante ed era diventata quasi una cantilena alle mie orecchie.

Con il cappuccio calato, la testa bassa e le mani in tasca camminavo silenziosamente osservando le macchine passare e le persone muoversi velocemente verso i loro posti di lavoro.
Il posto più vicino per ripararmi, dove possibilmente non mi costringessero a ritornare a casa.
Un solo nome mi venne in mente.

MaxField. La seduta di gruppo è tra pochi giorni, non credo mi farà molti problemi se vado da lui prima no? Pensai, accelerando il passo. Lo studio di MaxField non era molto lontano da casa, dovevo solamente oltrepassare la Via dei Fondatori continuare il percorso verso la tenuta dei LockWood e alla sinistra c’è il suo posto di lavoro.

Camminavo in silenzio con tanti punti interrogativi per la testa.
La pioggia mi bagnava silenziosamente. Ero quasi fradicia, quando potevo mi riparavo sotto i cornicioni dei pochi negozi che costeggiavano la via.

Il tempo rispecchiava il mio umore. Pessimo, quasi sotto i piedi. Non capivo cosa papà non voleva dirmi e cosa Damon cercasse di occultarmi.
Sospirai profondamente. Chissà la faccia di Damon, quando non mi vedrà a letto. Sia a lui che a papà sarebbe venuto un colpo.
Infreddolita alzai lo sguardo. Era lo studio di MaxField. Entrai dentro e sospirai non appena sentii l’aria calda circondarmi. Aveva acceso il riscaldamento, per fortuna.

Era una giornata piuttosto morta, visto che nella sala d’attesa non c’era nessuno. Mi avvicinai alla porta dove riceveva i pazienti.
«Signore è già occupato, il dottor MaxField. La seduta dovrebbe finire tra pochi minuti.» Intervenne una vocina squillante alle mie spalle. Sobbalzai e mi girai. Incontrai due occhi verdi foglia. La ragazza indossava un pantalone nero e una magliettina bianca da cui s’intravedeva il reggiseno nero.

I capelli rossi raccolti in una treccia di lato ordinata e un sorriso accogliente in volto. Dove l’avevo già vista?
«Mi chiamo Mandy.» Chiarì. Potei giurare a me stessa che nei suoi occhi c’era un pizzico di acidità così come nel tono di voce. Aggrottai le sopraciglia e mi chiesi il perché di quella specificazione.

Quel piccolo flash mi fece ricordare dove l’avevo già vista. A casa mia. Con Damon. Mi girai e calai il cappuccio. Era sorpresa, mi aveva scambiato per un maschio…Assottigliai gli occhi.
«Grazie…» Sussurrai flebile per poi accomodarmi. Quella ragazza era il mio perfetto opposto, sembrava composta, educata e gentile. Anche se quella sera non mi aveva dato l’impressione di così brava ragazza.

Sospirai pesantemente, massaggiandomi le tempie. Mandy iniziò a scartavetrare dei documenti. Per quanto fosse stata gentile con me oggi, non riuscivo a non guardarla con leggera stizza.
Pensare lei con Damon mi faceva venire la pelle d’oca.

«Arrivederci.» Una ragazza dai capelli scuri salutò timidamente sia me che Mandy per poi sgusciare via. Mi alzai e a testa bassa mi avviai verso la porta.

«Ora posso entrare?» Chiesi con tono acido. La ragazza non rispose in modo scontroso o con superiorità come immaginavo, anzi fu fin troppo gentile. Annuì con un sorriso un po’ tirato in volto. Non me l’aspettavo così matura e con un po’ di sale in zucca.
Entrai dentro. MaxField era seduto su una sedia. Osservai l’ambiente. Non c’erano più le sedie disposte in cerchio. Ora c’erano solamente una scrivania con diverse scartoffie e una poltrona in blu scuro di pelle.

«Non mi ricordo di voi…Vi ho già avuto come paziente?» Chiese il dottore, guardandomi perplesso. Deglutii e abbassai il cappuccio, accennando un sorriso. MaxField mi guardò dapprima sconvolto, per poi sorridere gentilmente.

«Oh, Elena…Sapevo che saresti venuta prima.» Disse, come a congratularsi con sé stesso per la sua brillante supposizione. «Mi spiace per l’incidente.» Continuò. Arricciai il naso e aggrottai le sopraciglia. Cosa ne sapeva lui dell’incidente?
Le voci a Mystic Falls si spargevano così velocemente?
«Non ci è successo niente di grave.» Lo rassicurai. Parlai anche per Matt, avevo dato per scontato che stesse bene.
Il dottore mi guardò ancora più sconvolto di prima e mi fece cenno di sedermi sulla poltrona. Mi sedetti e presi un sospirone.

«Se sei venuta qui ci sarà un motivo, no? Parlami. Da qui non esce niente.» Mi chiesi se quel ‘Da qui non esce niente’ sia il suo motto. Ero stata qui solo una volta – con questa due – ma aveva ripetuto come minimo dieci volte quelle parole.
«So per certo che qualcuno mi sta nascondendo qualcosa.» Dissi, evitando il suo sguardo indagatore. Iniziò a prendere appunti, facendomi segno di continuare.

Per evitare di passare tutta la seduta ad evitare i suoi sguardi, iniziai a fissare il soffitto – più precisamente su una crepa.
«Mettiamo caso che una persona X, mi abbia detto di aver avuto paura di perdermi. Quella persona mi ha fatto capire che ne aveva persa un’altra molto importante.» Gli spiegai. La voce mi tremava leggermente e il mio respiro si fece pesante.
Non volevo fargli nomi, preferivo che sapesse solamente il minimo indispensabile per aiutarmi.

«Quando questa X mi guarda, non mi guarda più come faceva prima. Sembra che stia guardando un film, come se sapesse quasi la fine e che la voglia cambiare.» Continuai. Spostai velocemente lo sguardo dalla crepa al medico. Il suo viso non era affatto cambiato. Era sempre lo stesso, prendeva appunti e nel suo volto non c’era una traccia di sgomento, sembrava mi stesse capendo.

«So che può sembrare strano, ma questa situazione è raccapricciante. Sembra che lui mi guardi con la paura che prima o poi le sue paure si avverino. Sono stata chiara?» Chiesi, mordendomi il labbro.

«Ho capito. Hai l’impressione che questa persona abbia già vissuto questo momento. Come se una persona in passato, abbia fatto una brutta fine e ti senti come se fossi il suo doppelganger.» Annuii e riflettei sulle sue parole.

«Cos’è un doppelganger?» Chiesi, cercando di trattenere le risate. Era una parola strana, mai sentita. MaxField smise di scrivere e si tolse gli occhiali da vista per poggiarli sulla scrivania.
«Deriva dal tedesco. Il doppelganger secondo le credenze è un gemello maligno, in relazione con la bilocazione.» Aprii leggermente la bocca. Questo pazzo credeva che avessi un doppel…dopper…Insomma quello che aveva detto!

«La bilocazione è l’obliquità, Elena.» Strabuzzai gli occhi. Stare contemporaneamente in due posti? Era una presa in giro, vero?
«So cos’è l’obliquità. Solo non capisco…cosa c’entra l’obliquità con il mio problema?» Gli chiesi guardandolo negli occhi. Aspettavo qualche segno di cedimento o almeno di incertezza, invece non fece una piega. Rimase composto, si aggiustò il camice e mi sorrise divertito.

«Dici che questo ragazzo X ti guarda con aria nostalgica, giusto?» Mi chiese. Aggrottai lo sguardo. Damon mi guardava come se stesse vivendo in un film, mi guardava con nostalgia…con tristezza.
Annuii e gli feci cenno di continuare.

«Ora, questo ragazzo X secondo te ha mai avuto la possibilità di incontrare un tuo doppelganger?» Mi chiese. Questo tizio…mi stava veramente chiedendo se Damon avesse mai avuto la possibilità di incontrare un mio sosia?
«Ehm…diciamo che ha vissuto tutta la sua vita altrove ed è ritornato qui da poco.» Dissi, cercando di nascondere il rossore che mi colse all’improvviso parlando di Damon.

«Magari nel posto in cui ha vissuto fin ora ha conosciuto il tuo doppelganger e tu gliela ricordi semplicemente.» Alzò le spalle. Aveva sganciato una bomba nucleare. Stava insinuando che un mio doppione gironzolava allegramente per Londra e che Damon se ne sia innamorato? Ciò significava che io gli ricordavo questo “sosia” e che in realtà…io non significavo nulla per lui?
Il mio cuore prese quasi un tuffo e smise di pompare per qualche secondo. Scacciai quel pensiero dalla mente, Damon non era così meschino e approfittatore.

Ehm…Ti dimentichi di un particolare: non esistono sosia di persone in giro per il mondo! Mi mise in guardia la mia coscienza.
«Sentiamo, MaxField, per inventarti queste idiozie…vi siete specializzate in qualcosa? Avete veramente la laurea in psicologia?» Ironizzai, cercando di trattenere le risate.

«Sono laureato in psicoanalisi, nel paranormale e anche psicologia.» Mi trattenevo a stento dal ridere. C’era qualcuno – ad eccezione di MaxField – che si laureava veramente in quella branca?
«Ehm…Sono venuta qui solo per un consiglio, non per farmi credere di avere un doppione nel mondo che gironzola a piede libero!» Gli feci notare, sospirando pesantemente e massaggiandomi le tempie.

«Elena, se questa persona ti osserva come se stesse rivivendo qualcosa di già vissuto – o almeno questa è la tua sensazione – significa che magari un tempo era innamorato di una ragazza che gli ricordi.» Disse semplicemente. Ci pensai su e mi venne quasi la pelle d’oca…Damon mi aveva sostituito con un’altra delle sue conquiste?
No. Non poteva essere così…Quello che vedevo negli occhi di Damon era reale. Venire qui da MaxField non mi aveva fatto bene, mi avevo solamente fatto venire più dubbi.

«Grazie per la seduta.» Dissi alzarmi con stizza. «Quanto le devo?» Chiesi pensando che la seduta di gruppo era stato una specie di regalo di Caroline, visto che poteva portare un’amica. Ma ora? Questa era una seduta a tu per tu.
«Oh, Elena vai tranquilla. Considera questa seduta come un regalo da parte mia, okay?» Strizzò un occhio in modo buffo e mi calai su il cappuccio.

La pioggia continuava a picchiettare sempre più forte. Con le mani dentro le tasche e la testa bassa uscii dallo studio del dottore e mi avviai verso casa.
Quella seduta potevo risparmiarmela. Mi ero immaginata tutto? O forse, Damon aveva veramente la testa altrove? Forse, gli ricordavo quella ragazza della foto…ma eravamo completamente diverse. Lei bionda, io mora. Lei occhi color lapislazzulo, io occhi color cioccolato. Lei quasi piatta ma con un bel seno proporzionato, io con delle forme più accentuate.

Non poteva essere lei il mio “doppione”. La testa mi scoppiava e stavo morendo di freddo. Starnutii e accelerai il passo. Probabilmente mi sarei presa una di quelle influenze epiche da lì a poco.
Mystic Falls era diventata più attiva da quando ero uscita: alcuni vecchietti camminavano sotto gli ombrelli, i negozi erano aperti e le macchine gironzolavano per la cittadina.

Svoltai verso la via dei Fondatori e vidi da lontano casa. La polizia non c’era, ciò significava che papà non aveva dato di matto. I vetri di casa erano integri, quindi niente zuffe tra fratelli…Quindi forse papà e Damon avevano capito che non ce la facevo più a passare un’altra giornata in quella casa!

Ero vicino il porticato e alzai lo sguardo. Una scritta mi colpì dritto al cuore. Sentii gli occhi pizzicarmi, il cuore cessare di battere anche
solamente per pochi secondi.

Tutti i dubbi che avevo si erano dissolsi e trasformati in sicurezza. Non era possibile, io non potevo…Non volevo crederci.
Le mie lacrime si mischiarono alla pioggia, il mio viso era tutto rosso e il respiro irregolare. Non poteva essere vero. Avevo visto male.
La paura si era trasformata in altro, in sentimenti diversi che si mischiavano tra loro facendomi sentire la persona peggiore del mondo.
Il mio corpo era immobilizzato. Non riuscivo a fare un passo. Provai a muovere la gamba, ma caddi sulle ginocchia completamente
incredula.

Mi avevano mentito. Ora tutto ritornava. Ritornavano le litigate tra Damon e Stefan, ritornava il litigio sentito oggi tra Damon e papà, ritornava il motivo per cui mi avevano convinto a rimanere in casa.

Ma prima o poi sarei venuta a sapere della notizia, avrei solamente preferito…preferito che mi fosse stato detto e non che lo scoprissi così.
Ero fradicia, ma non m’importava. I sensi di colpa mi stavano completamente mangiando viva.
La porta di casa si aprì, Damon teneva in mano un sacco della spazzatura e aveva lo sguardo inizialmente perso per poi trasformarsi in preoccupato.

«Cosa fai sotto la pioggia?» Tuonò potente. La sua voce mi arrivò solamente come un lontano eco. Non riuscivo più a vedere quello che mi succedeva. Casa mia era sparita, il quartiere si era dissolto…C’eravamo solo io e i miei sensi di colpa.

«Elena!» Mi chiamò ancora, scendendo e bagnandosi completamente. Indossava una maglietta nera e dei jeans qualsiasi. La maglietta era appiccicata ai suoi addominali, i capelli sottili erano fradici e lo sguardo era fermo.
Mi scosse per le spalle, ma non riuscivo a dire niente. Non riuscivo a capacitarmi di quello che avevo appreso da pochi minuti.

«Parlami. Perché stai piangendo?» Mi urlò ancora, sedendosi di fronte a me. Tutto di lui trasudava paura, preoccupazione e anche nervosismo. Voleva sapere cosa mi stava succedendo, aprii la bocca ma non ne uscì alcun suolo.

«Okay…Non riesci a parlare, ma almeno fammi capire.» Mi supplicò prendendomi le mani. Io riuscivo a parlare, semplicemente non sapevo cosa dire. Non avevo parole per descrivere come mi sentii in quel momento.
«Damon…» Singhiozzai, aggrappandomi alla sua maglietta bagnata. Il mio petto si alzava e abbassava ai battiti impazziti del mio cuore.

«Dimmi, Elena.» Continuò, guardandomi con i suoi occhi color ghiaccio. Tirai un po’ su col naso e gli indicai quella carta.
V’invitiamo ad unirvi alla famiglia Donovan in questo tragico lutto che vede coinvolto il suo primogenito, Matt Donovan. ‘Vola più lontano che puoi’.
Il mio naso era arrossato e non riuscivo più a controllare le lacrime.

«Damon, dimmi che non è vero!» Urlai, nascondendomi con la testa nel suo petto. Mi strinse a sé, senza dirmi una parola. Quel silenzio uccideva. Mi uccideva lentamente, facendomi sentire sempre peggio.
«E’ morto. Non può essere morto! E’ stato un incidente banale! BANALE, hai capito?» Urlai ancora più forte stringendomi a lui, pregando che non mi lasci. Era morto. Matt era morto.

Il mio amico d’infanzia, la persona con cui avevo condiviso la mia adolescenza mi aveva lasciato. E la colpa era mia, solamente mia. Colpa mia e dei miei soliti capricci, se solo non avessi sterzato io e avessi lasciato a lui il controllo dell’auto.
Se solo non fossi stata così stupida, da accettare il suo passaggio.

«NON PUO’ ESSERE.» Gridai, lasciando andare tutta la mia frustrazione in un urlo strozzato.
«Lo supereremo. Non è colpa tua.» Mi rincuorò. Sentivo dal suo tono di voce che non lo diceva solo per dire, lo diceva perché ci credeva. Ero io, io non potevo crederci.
«Perché lui, e NON IO? Perché, Damon?!» La gente intorno a noi ci guardava preoccupata. Gli automobilisti continuava il loro percorso, ad eccezione di un paio che si fermavano per accertarsi che tutto vada bene.

«E’ stato deciso così dal destino. Doveva accadere, tu non potevi farci niente.» Continuò. Non potevo farci niente? Non era possibile. Oh mio Dio, era morto.
«Mio Dio, non è possibile!» Sibilai coprendomi la bocca con le mani in prendi a dei profondi singhiozzi. «E’ morto. Ed è solamente colpa mia.» Continuai.

«Non è colpa tua. Doveva succedere…Matt non vorrebbe vederti in queste condizioni.» Mi disse. Se Matt fosse stato qui, io non sarei in questo condizioni.
Per quanto mi dessero fastidio i suoi modi di fare, per quanto mi infastidisse, per quanto volevo che sparisse dalla mia vista…MAI e poi MAI avrei voluto che ci lasciasse in questo modo così banale…Per un incidente stupido.

«Non puoi capirmi. Ora, non puoi capirmi.» Dissi asciugandomi le lacrime. «Se è morto, se ora lui non è qui è colpa mia. Solo MIA!» Urlai più forte.
Era morto un mio amico, una delle persone che avevano segnato la mia infanzia.
Era veramente morto…E la colpa era solo mia
 
 
 
 
 
Un ringraziamento a Smolderina78, Adelaide24, NikkiSomerhalder, NadyDelenaLove, Bea_01, Horse_, PrincessOfDarkness90 e Darla19 per aver recensito e per incoraggiarmi sempre.
Un ringraziamento alle 32 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, alle 50 che l’hanno inserita nelle seguite e all’uno che l’ha inserita nelle ricordate.
Un Ringraziamento speciale va a tutti i lettori silenziosi.
 




Angolo dell’autrice:
Finiti i ringraziamenti, si passa a questo capitolo.
Sono sicura che molti di voi abbiano pensato che il grande segreto sia una possibile adozione di Elena e invece vi tocca la morte di Matt!
Quante di voi hanno capito da subito che Matt era morto?
Allora, premetto due cose:
La prima – Anche se Elena non sopportava Matt, io ho provato ad immedesimarmi in lei. Se almeno io, perdessi un ragazzo che conosco da quand’ero piccola e con cui avevo passato la mia adolescenza, questo avrebbe inciso molto su di me.
Pensando che l’incidente in un certo senso è avvenuto anche per merito suo, io mi sentirei in colpa…Anche se ingiustamente.
E’ una questione psicologica, non so se riuscirò a gestire bene la situazione. Se volete darmi dei consigli o delle dritte le accetterò tutte senza problemi.
La seconda – La questione del doppelganger. Nel telefilm è una copia esistente di qualcun’altra, ma facendo alcune ricerche il termine doppelganger esiste veramente ed è per l’appunto un gemello maligno in relazione con l’obliquità.
Perciò MaxField – studioso del paranormale, come Alaric nel libro – crede che esista un doppelganger di Elena e che Damon l’abbia conosciuto.
Questo non è frutto della mia fantasia, potrebbe realmente esistere – quando la scienza si evolverà, magari scopriremo che è realmente possibile sdoppiarsi.
Spero di essere stata più esaustiva possibile.
Vi chiedo solamente un favore: se non vi è chiaro qualcosa, chiedete. :)
Tralasciamo.
Ora, il capitolo forse è un po’ malinconico però mi piace. Strano, visto che di solito li trovo molto obbrobriosi.
Damon è irresistibile, per voi? Il mistero Katherine s’infittisce. Ian sembra eclissarsi per ora. Giuseppe sembra essere sempre più nervoso.
E i flashback? Vi sono piaciuti? Ve lo vedete Damon ubriaco? O un Damon preoccupato? Ci vediamo tra cinque giorni,
vi adoro a tutte/i.
Ci sentiamo alle recensioni.
Bacioni, belle!
Cucciolapuffosa

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Capitolo 13
*** For Katherine. ***


Capitolo tredici.
For Katherine.
 
Ero seduta su una piccola sediolina scomoda nella chiesa di Mystic Falls. Tenevo gli occhi socchiusi e massaggiavo le tempie col pollice e l’indice.
In quei giorni non riuscivo più a parlare con qualcuno senza che il volto di Matt si materializzi sotto il mio sguardo.
Non credevo fosse possibile che Matt…Una delle persone più importante – e anche più odiose – delle mia adolescenza ci lasciasse solo per quel banale incidente. Per era banale. Era stato banale, stupido…Insignificante. Era stata solamente la mia incoscienza a provocare quell’incidente che era costato la vita a Matt.

I genitori del ragazzo nonostante la dura perdita, non m’incolpavano di niente. Anzi, mi avevano ripetuto fino alla nausea che non era stata colpa mia.
Però non ci credevo. Non credevo alle parole dei suoi genitori, non credevo alla parole della mia famiglia..Non credevo più a niente. Perché sapevo che la colpa era solo mia. Mia e di nessun altro.

Vickie Donovan – la sorella – non aveva fatto altro che lanciarmi sguardi carichi di odio e ogni momento – e quando dicevo ogni momento, intendevo sempre e costantemente – non faceva altro che farmi sentire peggio con le sue battutine a doppio taglio.
Non volevo partecipare al suo funerale. Perché andare al suo funerale sarebbe significato rendersi conto di averlo lasciato andare veramente…Significava ammettere a me stessa che lui non c’era più e che io ci potevo fare niente.

Eppure…Ora, mi trovavo nella chiesetta di Mystic Falls con il respiro irregolare e con il cuore a mille a guardare la funzione in onore di Matt.
«E ora qualche parola dall’amica di Matt, dalla compagna di viaggio di questo orribile incidente.» Disse il prete alzando lo sguardo su di me. Tanti paia di occhi si posarono su di me e mi sentii ancora peggio.
Ero seduta accanto a Caroline, anche, lei scossa – se non più di me -  dalla brutta notizia. Ero appoggiata alla sua spalla e debolmente mi asciugavo le lacrime.
Mi raddrizzai immediatamente sentendomi a disagio. C’erano tante persone – mai viste tante in una chiesa –, tutta i concittadini erano rimasti scioccati e intristiti nel perdere Matt Donovan che era sempre disposto a farti un sorriso, anche nei momenti più raccapriccianti.
Mi guardai attorno. Tra tutte quelle persone, non trovavo quella giusta. Non vedevo quella che col suo sguardo mi aveva convinta ad andare al funerale di Matt. Non trovavo quella persona che era riuscita a farmi alzare dal letto per prendere una boccata d’aria.
Non trovavo Damon. Non era una persona da funerale. Non aveva partecipato e io non avevo insistito. Con me c’erano papà e Stefan, ma la sua mancanza ora la sentivo. Era in momenti come questi che si doveva comportare come un fratello…E non come il ragazzo travolto da una passione lacerante con la sorella.
Ora volevo solo mio fratello maggiore, pronto a sostenermi.

«Vai…Ti accompagno.» Mi girai di lato e vidi Stefan porgermi la mano e un sorriso malinconico. Mi alzai da sedere e presi per mano mio fratello. Ogni volta che Damon mancava – anche quand’ero piccola – lui non mi aveva lasciato, mi avevo solo incoraggiata e confortata.
A testa bassa mi avvicinai al prete. Il mio cuore perse un battito quando vidi la foto sorridente di Matt. Era la foto del terzo anno, me la ricordavo. Io ero dietro la macchinetta con il fotografo e facevo facce buffe per farlo ridere.
Tirai un po’ su col naso e presi un grosso sospiro.

«E’ molto strano parlare di Matt, qui in questa circostanza. Non pensavo di dire qualcosa in sua memoria, sinceramente.» Dissi con una nota malinconica nella voce. «Matt era quel ragazzo testardo, impulsivo e a tratti insopportabile. Quel ragazzo che si travestì da principe azzurro, quattro anni fa, per farmi una sorpresa il giorno di San Valentino. Quel giorno fu…fu diverso, ecco. Mi sentii veramente spensierata e contenta…» Iniziai a giocherellare con un braccialetto per paura di continuare.

I presenti nella chiesetta non dissero niente. Nessuno parlava o mormorava. Tutti erano concentrati su di me e su ciò che stavo dicendo. Istintivamente abbassai lo sguardo per asciugare due lacrime che erano sfuggite al mio controllo.
Era così complicato cercare di mostrarsi forti in momenti duri come questi. Volevo sembrare forte, dura e magari poco scalfita da quella notizia struggente…Ma non ce la facevo.

Mostravo sempre una facciata di bronzo con chiunque mi desse fastidio o magari quando non volevo che le persone sapessero il mio umore…Ma oggi, in quella chiesetta, non riuscii a trattenermi.
La mia voce tremava a ogni parola, gli occhi erano gonfi e rossi e il respiro spezzato cercando di non scoppiare a piangere da un momento all’altro.

Rialzai lo sguardo solamente quando mi sentii più sicura.
Il discorso che volevo continuare, però, si eclissò completamente. Sulla soglia della chiesa a braccia conserte con sguardo serio e per nulla scalfito c’era lui.
Era venuto. I suoi occhi celesti chiaro simili al mare cristallino mi fissavano incuriositi. Per quanto cercasse di nascondere le sue emozioni, io riuscivo a vederle e a percepirle.

Non era un grande amico di Matt, ma la morte di un ragazzo che fino a due giorni gironzolava per Mystic Falls a chi non faceva effetto?
Il suo sguardo mi diceva ‘Continua! Devi continuare il tuo discorso per Matt!’.
«E pensare che quel bene giorno ora coincide con il giorno della sua morte.» La mia voce s’incrinò leggermente. «Mi fa accapponare la mente.» Squadrai la maggior parte dei presenti in sale. Il mio discorso forse non era il più strappalacrime possibile, ma quello che volevo
dire erano poche cose per me significative.

«Matt era solare, divertente…E anche stressante. Però…ora che non c’è più mi manca. Mi manca tanto. Mi manca il ragazzo che ci provava costantemente con me, mi manca il ragazzo gentile che mi aveva chiesto un ballo con timidezza, mi manca il ragazzo sorridente sempre pronto a donarmi un sorriso.» M’interruppi.

Gli occhi mi pizzicavano e la testa mi girava. Quel discorso era più lungo di quello che mi ero immaginata. Anzi, pensavo di fare scena muta…ma più parlavo più le parole erano naturali.

«Non ho intenzione di dirvi che passerà o che prima o poi supereremo questa tragedia, perché è una gran cazzata. TUTTI, tutti noi, sappiamo che questo evento ci ha segnato in un modo o nell’altro.» La mia voce era partita con sicurezza ma si era man mano affievolita. «Ora non so più cosa provare. Non so se odiarmi, se consolarmi o se cercare di andare avanti…Non lo so, ma è questo il punto. La vita andrà avanti, ma non significa che ci dimenticheremo di Matt.» Continuai, guardando negli occhi Damon. Guardandolo negli occhi riuscivo a sentirmi meglio. Il disagio spariva così come alcune occhiate colme di ribrezzo che qualcuno mi rivolgeva.

«Se gli vuoi tanto bene come sostieni, perché lo trattavi sempre male? Perché non gli hai concesso un’altra opportunità? Perché? Perché?!» Vickie tra i suoi familiari era probabilmente la più disperata di tutti. Mi odiava. E quando dicevo che mi odiava, intendevo che se avesse la possibilità di incenerirmi con lo sguardo lo farebbe senza problemi.
«Vickie so che sei sconvolta, sicuramente più di tutti noi…Solamente perché non gli ho voluto dare una secondo possibilità non significava che non gli volessi più bene.» Dovevo chiarire questo punto.

«Amare una persona, significa vivere in corrispondenza dell’altra. Sentire le cose che fa l’altro, condividere la sua aria e sentirsi meglio ogni volta che incontri il suo sguardo.» Dissi, sospirando. «Non amavo Matt. E se qualche volta non sono stata così gentile con lui ci sarà stato un motivo, magari m’infastidiva o mi provocava…Ma con questo non vuol dire che non gli ho voluto bene. Tutto ma non dire che non gli ho voluto bene…» Le lacrime ormai erano partite incontrollate e non riuscivo più a fermarle.

«Se non gli avessi voluto bene, a quest’ora me ne starei a casa a vedere America Next Top Model con Caroline. Invece sono qui con un senso di colpa opprimente che non fa che aumentare con i vostri sguardi!» La mia voce si alzò di qualche ottava.
Sussurrai un semplice ‘ho finito’ e barcollante e con la testa che scoppiava mi allontanai dal prete.
Mi sedetti nuovamente accanto a Care e infilai le mani tra i capelli, cercando di calmare il mio respiro.

«Hai fatto un bel discorso…Sei forte, ‘Lena.» Mi disse la bionda, scuotendomi delicatamente per un braccio. Le sorrisi e le strinsi la mano.
La funzione continuò, ma la sensazione di sentirmi osservata non era sparita…Forse era accentuata. Non riuscivo a sopportare tutti quegli sguardi che mi perforavano la schiena.
Mi alzai da lì e a passo lento passando dall’uscita al lato della chiesetta me ne andai da lì. Come facevo a non sentirmi in colpa, se le persone mi facevano pesare così tanto quella situazione?

La mia Camaro era a pochi passi da lì. Entrai in macchina e allacciai la cintura. In quel momento volevo solamente fuggire da Mystic Falls, mi bastava anche solo allontanarmi pochi istanti per andare da qualche altra parte dove gli occhi non fossero puntati su di me. Mi venne un lampo di genio e feci riscaldare il motore.
Sapevo dove andare, anche se non sapevo perché ero convinta di trovarlo lì. Mi fidai del mio intuito.
 

La biblioteca del Delcrast era deserta, persino la bibliotecaria se n’era andata o allontanata per pochi minuti. Mi guardai attorno.
Era veramente inquietante. Non c’era nessuno. Le sedie erano sui diversi banchi capovolte, i libri erano perfettamente inseriti nelle mensole e i documenti che la libraia di solito teneva sulla scrivania si trovavano, probabilmente, nei cassetti.
Avevo gli occhi colmi di lacrime. Mentalmente mi davo della stupida. Perché? Perché ero andata lì? Forse speravo di incontrare Ian? Speravo di incontrarlo in una stupida biblioteca?

Diedi un calcio alla prima cosa che mi capitò a tiro. Lo sgabello che avevo colpito rotolò sul pavimento.
Strano, ma mi sentii meglio. La rabbia, i sensi di colpa e la frustrazione sembravano trasferirsi dal mio corpo all’oggetto che colpivo. Mi sentivo più leggera. Presi in mano il primo libro che mi capitò sotto tiro e lo scaraventai il più lontano possibile di me.
Lo sguardo mi ricadde poco più lontano su un libro: Cime tempestose. Sorrisi inconsapevolmente. Era il libro preferito di Matt, mi regalò la sua copia per il mio compleanno – sapeva quanto ci tenessi ad averla.

Scaraventai a terra anche quella.
Venni distratta da un suono stridulo. La porta si era aperta. Mi girai di scatto e osservai l’ambiente circostante.
Era abbastanza devastato. Non mi ero resa conto di aver buttato a terra un paio di libri e qualche sedia.
Mi ero comportata da stupida. Non aveva senso buttare tutto a terra, il senso di colpa e la paura ritornavano sempre all’attacco più forti di prima.

Un tonfo sordo catturò nuovamente la mia attenzione. Un libro era caduto da uno scaffale…Da quando in qua i libri cadono magicamente dagli scaffali?
«Ian?» Nessuna risposta, se non un altro libro che cadeva a terra con un tonfo sordo. Cosa stava succedendo? Le luci che prima illuminavano debolmente la biblioteca si spensero.
Lanciai un urlo e feci diversi passi indietro con il cuore in gola. Mi ritrovai spalle al muro – più precisamente spalle ad una libreria.
Per un secondo pensai di darmela a gambe. Altri libri caddero dalla libreria, soffocai un altro urlo.

«Spaventata?» Mi chiese una voce finta che avrei riconosciuto tra mille. Il mio cuore iniziò a rallentare i battiti e il mio respiro si fece più regolare.
«Dove…Dove sei?» Gli chiesi. La sua voce sembrava lontana, non si trovava quindi alla libreria dietro di me.
«La libreria da dove hai preso Cime Tempestose.» Mi rispose a bassa voce. A piccoli passi mi diressi verso quella libreria.
Deglutii e mi sedetti a terra, stando di fronte alla libreria. Ian era lì dietro? Sospirai e tirai poco più giù il vestito nero che si era leggermente alzato.

«Ian?» Singhiozzai. Nessuna risposta. Mi stava prendendo in giro? Era una vendetta? O qualcosa del genere? Perché non mi stavo divertendo.
«Mi dispiace per l’incidente. E mi spiace per quel ragazzo…» Disse. Nella sua voce non c’era un pizzico d’emozione. Era sempre così tutto d’un pezzo? Non si lasciava mai andare? Non aveva mai versato lacrime per qualcuno? Neanche per quella Katherine?

«Hai mai pianto per una persona?» Chiesi in un sussurro. Cercai di essere il più dolce possibile in quella domanda, mi ricordavo ancora la brutta sfuriata che aveva fatto la scorsa volta e non volevo che si ripetesse.
«Piangere per una persona significa inevitabilmente ricordarsi di quella persona. E ricordarsi di quella persona significa soffrire e provare dolore.» Disse con un tono piatto. A cosa serviva quel discorso preso così alla lontana?

«Il provare dolore è qualcosa che dovremo affrontare tutti. Ma piangere per una persona significa esternarlo e le persone godono nel vedere altre persone soffrire.» M’immaginavo una persona come Ian fare un discorso freddo del genere…E non faceva una piega.

«Il mio è un consiglio. Non mostrare le tue debolezze alle persone, le sfrutteranno contro di te.» Continuò con voce più sciolta. Aveva depistato la mia domanda. Non voleva dirmi la verità, ma io già la sapevo.
Come avrei reagito alla morte di Damon? Se in più si fosse svolta sotto i miei occhi? Aveva pianto per Katherine, ma non voleva mostrare quella sua piccola debolezza a me o a qualcun altro.

«Ciò significa che non hai pianto il giorno della sua morte? Non c’è un giorno in cui non pensi a lei?» Chiesi, asciugandomi le lacrime. Nonostante avesse deviato la mia domanda iniziale io non demordevo. Volevo sapere cosa gli era successo e cosa più importante…Volevo sapere come aveva fatto a superare la morte della ragazza che amavi.

«Due anni fa. E’ morta due anni fa. Tra venticinque giorni ci sarà il suo terzo anniversario di morte.» Disse con voce leggermente incrinata. Il mio cuore ebbe un tuffo…Non lo facevo così romantico, anzi non lo facevo così attaccato a un ricordo.

«Era una ragazza caparbia. Dura. Insopportabile. Testarda. Impulsiva. Instabile. Lunatica. Credeva di non essere abbastanza perché la gente le faceva credere di essere sbagliata, mentre erano loro che erano sbagliati.» Aggrottai le sopraciglia. Come riusciva ad amare un concentrato di difetti? Da come mi stava descrivendo quella ragazza, sembrava una capricciosa bambina in un corpo da adolescente.

«So cosa stai pensando…E sì, l’amavo così. Con i suoi tanti difetti e i suoi pochi pregi.» Confermò i miei pensieri. Chissà da quanto tempo non raccontava questa storia, forse non l’aveva mai raccontata…Forse per la prima volta la stava raccontando a me.

«I suoi difetti peggiori erano altri…Non li considererei però dei veri e propri difetti, era ossessionata dalla sua morte…» Sussurrò con un filo di voce. Quelle parole mi colpirono dritto al petto.
Cercai di metabolizzare le sue parole, sperando di non aver capito bene. La sua ragazza, o almeno la ragazza che amava, era ossessionata dalla sua morte?

«Pensi sia una cosa stupida?» Mi chiese, sentendo che non davo segni di vita. Mormorai un udibile ‘no’.
La bocca era asciutta, non avevo parole per consolarlo. Ma ancora non capivo cosa c’entrava i problemi psicologici di questa ragazza con la sua morte suicida.

«Quando la conobbi era una ragazza timida e piena di difetti. Nessuno le si avvicinava, per me era una sfida. Volevo scoprire cosa avesse quella gracile ragazza.» Disse con un pizzico di malinconia. Sorrisi leggermente. Non mi aspettavo un gesto così umano da Ian. Non l’avevo mai visto in faccia, ma da come si descriveva e da come si comportava con me non sembrava un tipo così…Così affabile per i problemi altrui.

Nella sua finta voce non distinguevo nessun sentimento in particolare, se non l’ironia. Questa era la prima volta che sentivo la sua voce un po’ più incrinata del solito.
«Quando lo scoprii non capivo la gravità della situazione. Era ansiosa, non usciva da casa, non si circondava di persone per paura di perderle…Era inavvicinabile.» Mentre parlava, iniziai a mettere insieme i pezzi del puzzle.
L’ossessione della morte ti faceva perdere la ragione, era un ossessione mentale. Non ne uscivi facilmente.

«Si è suicidata per questo? Per la sua ossessione?» Chiesi. Avevo la pelle d’oca…Non avevo mai sentito una storia più raccapricciante di quella.
Ian non mi rispose. Non produceva rumore, non sentivo il suo respiro pesante…Sembrava che stessi sola in una stanza a parlare da sola.
Distolsi lo sguardo da quella libreria e guardai altrove.
Com’era riuscito ad affrontare quella perdita? Da come ne parlava si capiva che non aveva ancora superato il trauma – ecco perché andava al gruppo di supporto come me – e che soffriva per lei, anche se erano passati più di due anni dalla sua morte.

«No.» La voce dura di Ian mi distolse dai miei pensieri. No? Cosa no? Arricciai il naso e m’inumidii le labbra, riflettendo bene su cosa dire e dosando le parole. Non volevo essere troppo dura, né acida o fuori luogo.

«Cosa no?» Gli chiesi, riportando la mia attenzione su quella libreria. Era strano parlare con una persona da dietro una libreria, ma ci avevo fatto quasi l’abitudine.
«Si è suicidata per mettere fine alla sua agonia. E la cosa peggiore…La cosa peggiore era che io ero lì e non ho fatto niente.» Era arrabbiato. Distinguevo il tono malinconico da quello furioso.
Aveva troppa rabbia repressa, aveva il senso di colpa della morte di Katherine addosso – anche se lui non poteva fare niente in quel momento – e non riusciva a perdonarsi.

«Perché mi hai raccontato la tua storia?» Chiesi tremante. Lo sentii sospirare.
«Perché sono due storie simili. Dovrai imparare a convivere con questo ricordo che rimarrà in noi per sempre. Sono cose che segnano, ma che non possono condizionarti a vita.» Disse semplicemente. Prima o poi, sarebbero passati mesi e anni…Matt non mi perdonerebbe se ora fosse qui. Lui vorrebbe che continuassi a vivere cercando di non condizionarmi a vita.

«Con questo non voglio dire che devi dimenticarti del tuo amico. Io non mi dimenticherò mai di Katherine…Non voglio neanche dirti di smettere di soffrire, perché ora è ancora presto. Voglio solo dirti di non mostrare le tue lacrime in pubblico.» Aveva ragione. Ragione su tutto quanto. Potevo piangere a casa, in camera mia o magari sulla tomba di Matt; ma non potevo dare la soddisfazione di mostrarmi debole e vulnerabile sotto lo sguardo di chi mi voleva male perché godeva nella mia sofferenza.

Vickie magari vedendomi così triste ci godeva. Forse si consolava col mio dolore, ma non potevo permetterglielo. Non potevo perché altrimenti non ne sarei mai uscita.

«Io non lo faccio. Non mostro la mia costante tristezza a nessuno.» Aggiunse con il tono di voce più bassa di un’ottava.
Dovevo raggirare quella situazione, vedendola da un altro punto di vista. Questo tragico evento mi aveva segnato. Era stato una doccia fredda in piena estate. Era stato un fulmine a ciel sereno.
Una brutta pugnalata, ma non volevo rimanere a terra. Ero ferita, ma non potevo rimanerlo a vita. Potevo solo cicatrizzare la mia ferita, cercare di conviverci…Per poi farla sparire col tempo dalla mente, ma il segno rimaneva. Ma non rimaneva sulla pelle, rimaneva nel cuore.

«Perché hai mostrato la tua tristezza a me?» Chiesi curiosa, soprapensiero. Mi morsi la lingua non appena finii quella frase. Sentii uno scrocchio – forse di dita – e un sospiro.
«Non ho mostrato la mia tristezza. La sto condividendo con te. La stiamo condividendo.» Commentò con ironia. Sorrisi e tirai su col naso. Riusciva a tirarmi su il morale, mentre io non riuscivo a strappargli un sorriso o una semplice risata.

«No…Tu stai condividendo la tua tristezza. Io non ho ancora parlato…» Gli feci notare. Mi schiarii la voce. «Ma te ne parlerò ora.» Continuai.
Si alternarono diversi momenti di silenzi e imbarazzo. Non sapevo neanche io da dove iniziare. Lui da dove aveva incominciato? Dal principio.

«Sai perché penso sia colpa mia? Perché volevo che evitasse un cervo che era uscito dal bosco. Ho preso il volante e ho sterzato, però Matt non è riuscito a controllare l’auto.» Dissi cercando di mantenere la calma. Prendevo lunghe boccate d’aria e trattenevo le lacrime al ricordo di me e Matt in quella macchina a pezzi.

«Giuro…Giuro che non ho pensato che potesse morire. A parte i vetri frantumati stavamo benone…» Singhiozzai con gli occhi lucidi. C’erano incidenti peggiori, incidenti mortali da cui non avevi scampo. Morire per una sterzata era raccapricciante.
Pensare che la vita era sempre così imprevedibile. Fino a due giorni fa vedevo Matt correre dietro un pallone, mentre ora potrò vederlo solo in una fotografia sulla sua lapide.

«Pensavo fosse tutto un brutto sogno. Ieri ero uno straccio…Ero a terra, chiusa in una stanza con la copia di Cime Tempestose che lui stesso mi regalò.» Raccontai tremante. Provavo a trattenere i lacrimoni, ma era troppo difficile. La gola bruciava, gli occhi pizzicavano e il respiro si faceva incontrollato.
«Ora non so per quale motivo sono in una biblioteca a parlare con una persona del dolore che entrambi stiamo provando.» Dissi divertita.

«Il dolore sparirà, bisogna solo imparare a conviverci.» Conclusi, svuotandomi di un grande peso. Gli occhi, però, erano ancora arrossati a gonfi.
Mi strofinai le mani e sbattei più volte le palpebre. Ian non diceva niente, forse non voleva sentirmi? Voleva solo qualcuno disposto ad ascoltarlo senza obbiettare?

«Lo ripeto: il tuo nome ti dona.» Riflettei sulle sue parole e scossi la testa divertita quando ricordai uno dei nostri primi incontri. Sapeva l’etimologia e il significato del mio nome.
«Una persona normale che si faceva influenzare dalla massa, a quest’ora un’altra persona si starebbe preoccupando di cosa gira sul suo conto per paura di macchiare la sua facciata finta e fasulla che va bene per la società.» Disse con una chiara punta di acidità nella voce. Odiava in modo sconcertante la società, lo ribadiva sempre. Forse in un certo senso, Katherine aveva deciso di fare quel gesto attentato anche per colpa delle persone che le remavano contro.

Forse era debole, timida e con scarsa autostima di sé stessa…Troppo fragile per sopportare le voci che giravano su di lei.
«Ma a te, a te non te ne frega niente né della società né delle persone. Sai per certi versi me la ricordi…» Persi il respiro. Era un complimento? O forse voleva farmi notare alcuni difetti che non avevo mai notato?
«Sei incerta a volte come lei per certi versi e anche impulsiva…Hai polso fermo e non ti lasci convincere da nessuno.» Disse con nostalgia.
Abbassai la testa mentre le mie guance si colorarono di rosso.

«La cosa che mi ha affascinato di più di te è la tua tenacia e la tua forza di andare avanti. Se al posto tuo ci fosse Katherine…» Si fermò pochi secondi per  pensare a cosa dire e poi fece un profondo sospiro. «…Non si sarebbe comportata così. Si sarebbe demoralizzata. E io non ho paura di perderti come lei, perché so che tu sei una ragazza dura. Non ricadresti mai nei suoi errori.» Continuò.

Il mio cuore iniziò a battere più velocemente e un sorriso più largo si dipinse sul mio volto. Non dovevo commettere gli stessi errori di quella ragazza. Non potevo e non dovevo rimanere chiusa in me stessa.
Dovevo solamente parlare con qualcuno, cercare di reggere gli sguardi che la gente mi lanciava, reggere le voci che si mormoravano in paese…Lo facevo per loro. Per Ian. Forse lui non se n’era accorto, ma nel suo tono si sentiva un pizzico di paura. Paura che magari anch’io lo lasciassi.

E poi…Lo facevo per un’altra persona che non avevo conosciuto.
Per Katherine.
Volevo fare quello che lei non era riuscita a fare.
Che la società e le persone maligne si fottessero. Io non cederò.
 
 
 
 




Ringraziamenti:
Grazie a Smolderina78, NikkiSomerhalder, Bea_01, NadiDelenaLove, PrincessofDarkness90 e NianDelLove.
Grazie per sostenermi sempre.
Grazie alle 35 persone che hanno inserito la storia tra le preferite.
Grazie alle 51 persone che l’hanno inserita nelle seguite.
Grazie alle 4 persone che l’hanno inserita nelle ricordate.
E un immenso GRAZIE a tutti i lettori silenziosi!
 
Angolo dell’autrice:
Finiti i ringraziamenti,
passo al capitolo.
Bello ricco, no?
Finalmente il mistero o la parte che forse vi avrà dato più grattacapi è stato parzialmente svelato.
Il problema Katherine.
Allora…Forse siete rimaste deluse? Lo so che non corrisponde alla Kat del telefilm, altrimenti sarebbe stata la copia cattiva di Elena.
E’ un po’ OOC.
Ho preso spunto un po’ dal libro: capricciosa, insopportabile e ci ho aggiunto alcuni condimenti che spesso troviamo nelle ragazze.
La sua ossessione per la morte è la tanatofobia, ovvero la paura della morte che ti attanaglia la mente e sei finito.
Se volete dirmi la vostra opinione sul mistero Katherine e se vi è piaciuta la “soluzione” parziale fatemelo sapere ;)
Sono curiosa di sapere se qualcuno di voi l’aveva pensato o ci era quasi arrivato.

Il funerale di Matt. Ho capito che non vi è importato molto di quel poverino XD e pensare che nel telefilm lo stimo tantissimo.
Lo so che molti lo considerano un personaggio “inutile” però a pensarci bene lui è sempre pronto ad aiutare i suoi amici buttandosi nelle avventure più strane e pericolose!
Perciò lo stimo ù.ù
Elena al suo funerale fa il discorso…Allora, probabilmente fa schifo e non vi piace ma io non posso farci granché perché questo produce la mia mente! (MOLTO CONTORTA ù.ù)
Eccovi qui il capitolo che spero vi sia piaciuto.
A me, boh, non fa né caldo né freddo. Sinceramente ogni cosa che scrivo mi sembra una schifezza poi ci siete voi che mi tirate su il morale! XD
A prestissimo! E grazie, grazie, grazie.
Non finirò mai di ringraziarvi.
Ci sentiamo alle recensioni :*:*
Cucciolapuffosa
PS. Se postassi un'altra storia, sempre Delena, voi cosa fareste? 

 

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Capitolo 14
*** Never, Elena. ***


Capitolo quattordici.
Never, Elena.
 
Ero  seduta sulla poltroncina comoda dello studio del dottor MaxField. Era appena finita la seduta di gruppo, ma gli avevo chiesto se potevo trattenermi nel suo studio altri dieci minuti. Il mio problema principale era l’attrazione illecita per mio fratello e ne parlavo come se ne fossi una droga…ma ora non ci badavo più di tanto, durante le sedute o rimanevo in silenzio o parlavo di come mi sentivo in questi tempi.
Erano passati cinque giorni dalla morte di Matt e solamente due dal discorsetto che avevo fatto con Ian.
Non era venuto alla seduta di gruppo, ma non mi stupivo…Lo sapevo. Me l’avevo detto ieri, l’avevo rincontrato nella biblioteca. Ormai era diventato una cosa normale parlare con lui in libreria in un piccolo angoletto senza vedergli la faccia ma sentendo la sua finta voce.
Mi piaceva parlare con lui. Mi piaceva parlare con una persona di cui non immaginavo neanche la faccia…Era più semplice sfogarsi con lui, non sapendo il suo volto.

«Elena, mi sorprende che vuoi parlarmi. L’ultima volta ti ho visto piuttosto perplessa da quello che ti ho detto.» Mi disse in confidenza, togliendosi gli occhiali da vista. Annuii e alzai gli angoli della bocca per formare un tenue sorriso.
Dovevo essere il più concisa possibile, avevo detto a Caroline di aspettarmi fuori. Dovevo ancora parlare con lei…per via del piccolo problema con Enzo. Perché baciare Enzo se non era il suo amico di letto? Scacciai via quel pensiero dalla mente e mi concentrai su altro.

«Volevo dirvi che…che mi sento meglio.» La mia voce tremava all’inizio, ma cercai di darle un tono più sicuro. Dopo la chiacchierata con Ian, avevo deciso di non mostrarmi più debole…Almeno sotto gli occhi delle persone. Aveva ragione. Non potevo mostrarmi debole. Non volevo versare lacrime, non volevo sfogare la mia rabbia…No. Volevo andare avanti con la mia vita, come farebbe una persona forte.

«Oh, finalmente un’emozione diversa dal tormento, dall’agonia e dalla tristezza di questi giorni. Come sei riuscita a incanalare questi sentimenti in qualcosa di positivo?» Mi chiese con quel suo insopportabile sorriso.
Riflettei sulla sua domanda. Incanalare i sentimenti? Emozioni come la rabbia e la tristezza non si potevano convertire in altro.
La rabbia poteva solamente trasformarsi in furia. La tristezza mutava nell’agonia e nell’ignoto cercando di aggrapparsi a qualcosa di sicuro. I sensi di colpa venivano soppressi ma non cancellati.

Come poteva pensare che avevo sostituito quei sentimenti con qualcos’altro?
«Non ho incanalato proprio niente.» Risposi sulla difensiva. Mi resi conto di esser stata troppo avventata. Una persona poteva sfruttare questa mia impulsività contro di me. E io non volevo che qualcuno stia contro di me.

«Io…Ho seguito il consiglio di un amico.» Continuai iniziando a torturarmi le mani nervosamente. MaxField mi guardò con circospezione.
«E cosa ti ha detto quest’amico?» Era curioso. Dal tono di voce trasudava la curiosità. Quell’uomo era bizzarro, veramente bizzarro…Però era una persona di cui potevi fidarti. O almeno dava questa impressione.

«Mi ha detto di non esternare certi sentimenti, altrimenti non riuscirò mai a superare questa fase della mia vita.» Dissi serenamente. Non mi facevo più problemi ad ammettere che questo forse era il periodo più brutto della mia vita.
Forse la separazione dei miei dovevo considerarlo come l’evento più triste della mia vita, ma ero troppo piccola per ricordare. Ora, non ricordavo com’era mamma. Non si era fatta viva per tanto tempo, non vedo perché dovevo soffrire per lei.

«Questo tuo amico è molto saggio. Ma non puoi trattenere i tuoi sentimenti con tutti…Ci sarà pur una persona con cui vuoi confidarti, no?» Provò a farmi ragionare. Sospirai e chiusi gli occhi.
Immaginai di ispirare un forte odore di fumo, alcool e cuoio. Immaginai dei profondi occhi cristallini color mare squadrarmi sfacciatamente.

Damon. Pensai, aprendo gli occhi. Con lui potevo confidarmi…Forse poteva capirmi, anche se in quel momento l’unico che sembrava potesse capirmi era proprio Ian. Forse ci accomunavano due morti una più raccapricciante dell’altra.

«C’è una persona.» Dissi, assottigliando lo sguardo. Non capivo dove volesse arrivare. Il dottore annuì enigmaticamente, toccandosi il mento con aria pensierosa.

«C’è una persona…E questa persona, per caso, è collegata alla tua dipendenza? Se vogliamo ovviamente avvalorare la tua storiella.» Aprii la bocca e cercai di dire qualcosa, ma dalla mia bocca non usciva nessun suono.
Non riaffrontavo quell’argomento con MaxField da un po’. Aveva sicuramente capito che non era dipendente – potevo usare una scusa più credibile – ma non aveva mai osato farmi domande così specifiche come ora.

«Mm…E se per caso questa persona fosse la mia droga? Come dovrei agire?» Chiesi con un filo di voce. Lui mi sorrise, con un enorme sorriso a trentadue denti.
«Oh, non ho mai dato una risposta più semplice di questa Elena. Nessuno di noi può dirci cos’è giusto e cos’è sbagliato. Il tempo che abbiamo su questa terra è veramente poco, perciò non possiamo sprecarlo pensando se qualcosa sia giusta o sbagliata.» Disse. Mi stava suggerendo di non nascondere quello che provavo per Damon? Mi stava veramente suggerendo una cosa del genere?

«Non credo abbia capito la situazione…» Dissi ironica, estraendo dalla tasca il mio cellulare. Quelli che dovevano essere pochi minuti si erano trasformati in dieci minuti abbondanti.
«Oh, Elena l’ho capita benissimo. Non userò mezzi termini: non voglio sapere chi sia né perché la vostra relazione sia così complicata, ma se ti fa sentire bene…Non vedo perché devi farti tutti questi problemi.» Disse calmo e pacato. Sospirai. Avevo inquadrato la situazione ma non del dettaglio.

Mi costava pensarlo ed ammetterlo a me stessa, ma MaxField aveva ragione. Perché dovevo farmi tutti questi problemi? Lui non se ne faceva…Potevo combattere tutto, potevamo combattere tutto…Giusto?
«Avete proprio ragione.» Dissi saltando giù dalla sedia. Wow. L’avevo detto ad alta voce? Era strano dire quella frase. Quando Care mi aveva trascinato lì, non pensavo di potergli dare ragione su qualcosa.

«Mi fa piacere che ti stia aiutando. Alla prossima seduta.» Mi congedò. Feci un semplice cenno ed uscii da lì. Care non era in sala d’attesa. A passo veloce uscii di lì, evitai di salutare Maddy – quella ragazza seppur gentile e cortese con me non la sopportavo – e uscii fuori.
Caroline appena mi vide mi venne incontro con lo sguardo arrabbiato.
«Potevi dirmi che i tuoi pochi minuti equivalevano a una mezzoretta!» Disse dandomi un pugnetto sulla spalla. Le sorrisi e iniziammo a camminare in silenzio.

«Forse noi dovremo farci due chiacchiere…» Mi precedette Caroline, battendomi su tempo. Inarcai un sopraciglio. Non ero io che dovevo dirle una cosa del genere? Di cosa voleva parlarmi?
«Questa tua dipendenza…Mi spieghi da cosa è nata?» Aveva lo sguardo confuso, ma seriamente preoccupato.
Su, Elena. Diglielo. Dille che la tua dipendenza è Damon. M’incoraggiò la mia coscienza. Mi torturai il labbro, pensando a un modo per svelarle l’essenziale.

«Poco.» Risposi. Non era questa la risposta che mi ero immaginata. Inizialmente avevo pensato di farle un discorso lungo e un po’ contorto, ma tutto quello che avevo in mente si era dissolta nel momento che la mia bocca si collegò al cervello.

«Coincide per caso dall’arrivo di tuo fratello in città?» Persi il respiro. Le mie gambe si fermarono istantaneamente, mentre la mia amica continuava a camminare come se non avesse detto niente, come se non avesse innescato una bomba ad orologeria.
Beccata. 1 a 0 per Caroline. Mi  rinfacciò la mia coscienza. Non avevo proprio idea di cosa risponderle. Accelerai il passo, per raggiungere Care che era poco più lontana di me che mi fissava con aria divertita.

«So che superare quello che è successo a Matt…non è semplice, ma voglio sapere cosa sta succedendo.» S’impose seriamente questa volta.
«C’è un ragazzo…Vedi, c’è un ragazzo che non deve sapere che ho questo problema di dipendenza.» Le spiegai. Caroline s’irrigidì leggermente.
«Damon c’entra qualcosa in questa storia?» Insistette ancora. Perché spostava il discorso sempre verso mio fratello? La mia amica Caroline avrebbe reagito in modo diverso, sconsiderato ed estroso già dalla parole ragazzo.
Non aveva mai sopportato Damon. O almeno, più gli anni passavano più io le parlavo male del mio fratellone assente, più il mio odio cresceva più il suo si fomentava.

Quindi…Perché ora spostare il discorso interamente su di lui? Cosa sapeva Caroline che io non sapevo?
«Perché t’interessa così tanto di Damon? Non è detto che c’entri in questo discorso!» Le feci notare, con il tono più nervoso. Parlare di Damon mi rendeva sempre nervosa, mi faceva sudare le mani e il cuore martellava in petto.
«Perché è anche lei affascinata da me, no?» Una terza voce intervenne e io sbiancai completamente. Damon era nella sua Camaro blu e mi sorrideva divertito con i Reyban poggiati sul naso e il suo sorrisetto insopportabile in volto.
Caroline alzò gli occhi al cielo e alzò la testa in modo altezzoso. Quei due non si sopportavano proprio, eh?

«Affascinata da un bastardo? Oh, grazie ma passo.» Disse, agitando la mano avanti e indietro.
«Acidella, Barbie? Sai dove potresti sfogare questa tua insoddisfazione?» Fece l’ironico. Questa battutina di Damon calzava a pennello. A quanto pare, il suo umorismo tagliente non l’aveva abbandonato.

«Ho perso qualche passaggio.» Dissi dando voce ai miei pensieri. Entrambi erano sui posti di combattimento, rigidi e sembravano potessero saltarsi addosso da un momento all’altro.
«Cosa mi nascondete?» Chiesi, scoppiando in una risatina nervosa. Stranamente nessuno dei due scoppiò a ridere. Anzi, era estremamente seri…Okay, era certo. Quei due non me la raccontavano giusta.

«Io niente.» Alzò le spalle la mia amica, con un enorme sorriso. «E tu, Damon? Hai per caso qualcosa da dirle?» Disse in tono di sfida la mia amica. Aggrottai le sopraglia. Sapevo che Damon mi nascondeva qualcosa, ma non pensavo che Care potesse mai saperne qualcosa.
Da come parlava sembrava sapesse dei particolari a me ancora oscuri. Sospettavo che fosse stato innamorato a Londra, ma speravo che un giorno ne parlasse con me e non con Caroline.

«Ho una proposta: vieni con me a fare un giro?» Chiese guardandomi con quegli occhi penetranti. E bravo Damon che aveva sviato alla grande i miei sospetti e quelli della mia amica!
Anche se sentendo la sua proposta, pensai di accattonare tutti questi segreti per qualche ora e salire in macchina.
«Mm…Potrei pensarci, Salvatore.» Dissi incrociando le braccia al petto. Sul suo volto si dipinse un ghigno vittorioso e rivolse un’occhiata divertita alla bionda.

«’Lena ci vediamo domani mattina. Mi avevi promesso che ritornavi al college, non hai scuse.» Disse con aria finta minacciosa. Le sorrisi e annuì, lasciandole un bacio sulla guancia.
«Vai tranquilla, Barbie. Non le salterò addosso, non la sequestrerò, non le ficcherò un paletto nel cuore stile Buffy l’ammazza vampiri. Okay?» Alzai gli occhi al cielo e aprii lo sportello.

«Non dargli retta.» Intervenni. Avevo la sensazione che da un momento all’altro sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale tra quei due.
Mi rivolse un sorriso e un’occhiata furente a Damon, per poi sbuffare e allontanarsi a piccoli passi. Deglutii e allacciai la cintura di sicurezza.
La mia schiena aderiva perfettamente al sedile, i muscoli erano rigidi e le mani chiuse a pugno. Mi faceva uno strano effetto salire in una macchina.

«Non ci succederà niente. Ti porto in un posto.» Mi rassicurò, poggiando la sua mano sulla mia e stringendola leggermente. Lo guardai e annuii. Ero sicura, con lui non mi sarebbe successo niente.
 


Quando scesi dalla macchina mi sentii meglio. Un peso in meno sul cuore.
Chiusi con forza lo sportello e mi guardai attorno. Mi aveva portato al suo college? Eravamo seri? Perché mi aveva portato al college dove lui tecnicamente doveva “studiare”?
«Perché siamo qui, Damon?» Gli chiesi. Nella mia mente regnavano ancora diverse domande che volevo fargli…Ma ero sicura che gli avrei
rovinato il suo buon umore.

Domani avrei parlato con Caroline, sperando che almeno lei volesse dirmi cosa mi stavano nascondendo entrambi.
Damon sbatté fortemente la portiera e mi sorrise enigmatico, porgendomi un borsone. Lo afferrai e gli rivolsi uno sguardo interrogativo.
«Seguimi e lo scoprirai.» Alzò le spalle e iniziò a camminare lentamente avanti a me. Avevo due opzioni: o obbligarlo a riportarmi a casa o passare con lui quel pomeriggio.

Sbuffai e lo seguii in silenzio. Non ero venuta mai al suo college, escludendo quella festa in cui l’avevo beccato a fare una gare clandestina.
Il Dalcrest era molto meglio, anche se più piccolo mi piaceva di più. La struttura era più accogliente e più moderna.
Damon mi fece cenno di girare a sinistra. Lo seguii in silenzio e mi guardavo attorno. I ragazzi mormoravano qualcosa di incomprensibile e le ragazze avevano le bocche spalancate e gli occhi assottigliati a due fessure.

«Siamo arrivati.» Damon si fermò e mi aprì la porta, invitandomi ad entrare. Mi aveva portato in una palestra?
Era enorme, equivaleva al centro ricreativo – dove avevamo tenuto l’Anti San Valentino – del Dalcrest. Un’area riservata alle attività di gruppo, a cui partecipavano le ragazze – con addosso striminziti vestiti – e un’altra con attrezzi da palestra pesanti.
«Vai a cambiarti.» Ammiccò, indicando con un dito gli spogliatoi. Mi avviai verso gli spogliatoi. C’erano solamente tante gallinelle insopportabili che si preoccupavano d’imbottire il reggiseno – già push up – con la carta igienica.

Alzai gli occhi al cielo e aprii il borsone curiosa di vedere cosa c’era dentro: una canottiera bianca, dei pantaloncini normalissimi, una bottiglia d’acqua, un accappatoio e alcuni dei miei prodotti per la doccia.
Perché aveva preparato tutto l’occorrente per venire in palestra? E perché mi aveva portato con sé?
Mi tolsi le Converse e i jeans, li piegai e l’infilai nel borsone. Subito dopo sfilai il maglioncino viola. Indossai velocemente i pantaloncini e la canotta, mi legai i capelli e mi allacciai nuovamente le scarpe.

Chiusi il borsone e uscii dallo spogliatoio guardandomi attorno.
Gli occhi di tutti erano puntati su di me. Io ero alla ricerca di Damon. Lo riconobbi immediatamente, stava maneggiando con qualcosa.
Lo squadrai per bene. Aveva dei pantaloni della tuta che arrivavano alle ginocchia. La canotta bianca lasciava intravedere perfettamente il suo corpo.
Mio Dio. Veniva spesso ad allenarsi in quella palestra?

Con tutti questi paia di occhi a fissarlo? Continuai con un pizzico di gelosia. Quelle ragazze stavano facendo esercizi per riscaldare i muscoli, c’era chi lo faceva per allenarsi veramente ma la maggior parte di loro si piegava in avanti mostrando tutta la mercanzia che avevano per far colpo.

Visione schifosa. Pensai con la pelle d’oca. A passo lento mi avviai verso Damon. I ragazzi mi osservavano chi con aria divertita, chi con perplessità e chi con malizia.
«Pronta?» Mi chiese Damon, girandosi di scatto. Teneva in mano dei guantoni da pugilato…Cosa voleva fare?
«Perché mi hai portato qui?» Gli chiesi andando dritta al sodo e avvicinandomi pericolosamente a lui. A separarci erano pochi centimetri.

Le sue labbra erano contratte in un ghigno divertito, le braccia erano incrociate al petto – i muscoli erano più evidenziati – e i suoi occhi erano puntati nei miei.
«Stai cercando di essere forte, l’ho capito…Ma con me non devi esserlo.» Mi rispose con un tono più basso di un’ottava. Suonava minaccioso, ma non m’impauriva affatto…Anzi, mi divertiva fronteggiarlo.

«Non sto cercando di essere forte. Lo sono.» Lo sfidai guardandolo duramente. Avevo sparato una grande cazzata. Non ero forte, cercavo di essere forte…Volevo stare bene, ma non stavo bene. Più il tempo passava e più i miei sentimenti sembravano peggiorare e tormentarmi. Non li esternavo ma si facevano sentire. Ed erano sempre più forti e contrastanti.
«Oh, ma andiamo…Non vorrai dirmi che hai già dimenticato che Matt è morto per colpa tua?» Ci scherzò su. Le mie labbra si serrarono in una linea sottile, gli occhi quasi fuoriuscivano dalle orbite e le mani erano serrate a pugno.

«Non è colpa mia.» Sussurrai a denti stretti, cercando di non far fuoriuscire una lacrima. Non dovevo mostrarmi debole, ma in quel momento non volevo piangere. Non volevo sfogarmi.
Volevo solamente urlare contro a mio fratello fino a quando non si fosse rimangiato le parole che aveva detto.

«Ah, no? Ne sei sicura, Elena?» Continuò ironico. La rabbia che inizialmente provavo nei miei confronti, rabbia per me stessa e per i miei atti impulsivi, si stava trasformando in rabbia nei confronti di Damon.
Perché doveva essere così meschino? Perché voleva rinfacciarmi la morte di Matt?
«Sicura come il fatto che in questo momento vorrei tirarti un pugno dove non batte il sole.» Dissi furiosa. Il suo ghigno si trasformò in un sorriso soddisfatto.

«E’ questo che voglio sentire. Voglio sentire la tua rabbia! Sfogati con me!» M’incitò divertito, porgendomi i guantoni. Voleva che mi sfogassi?
Infilai quei guantoni e presi un grosso sospiro.
«Dai tira un pugno! Non mi farai male!» M’incoraggiò, mettendosi i guantoni anche lui. Lo guardai in modo truce e gli tirai un pugno sul braccio destro.

Scoppiò in una risata divertita.
«Oh, ma andiamo! Non sai fare di meglio?» Mi provocò. Caricai un’altra volta e gli tirai un pugno più forte che parò prontamente. La mia rabbia aumentava proporzionalmente al suo divertimento.
Un pugno, seguito da un altro e un altro ancora. La violenza non era mai la soluzione, ma sentivo che la rabbia scivolavano via e man mano mi calmavo.

Damon bloccò un altro pugno, spostò velocemente le sue mani sui miei fianchi e fece aderire la mia schiena al suo corpo.
«Ecco. Ora sì che ti stai sfogando. Solo così puoi lasciarti andare, senza mostrarti debole agli occhi altrui.» Sussurrò gelido al mio orecchio. Il suo alito non sapeva più di cuoio, ora sapeva di menta. Odore magnetico e penetrante.

Mille brividi percorsero la spina dorsale.
«Mi basta poco per capirti, Elena. Non dimenticarlo mai.» Continuò, ammorbidendo di poco il tono. Chiusi gli occhi e gli calpestai un piede.
Lasciò istintivamente la presa sui miei fianchi. Io mi divincolai dalle sue braccia e mi girai velocemente, ora eravamo faccia a faccia.
«Sei una stronza, lo sai?» Mi chiese avvicinandosi. Iniziammo a girare in tondo stando a qualche metro di distanza. Inchiodò i suoi occhi
color ghiaccio nei miei color cioccolato. Persi completamente l’orientamento e iniziai a indietreggiare.

Le ragazze – che mi stavano incenerendo con lo sguardo – erano scomparse e i ragazzi – che sbavavano come dei cagnolini – si erano dissolti. I muri erano spariti e iniziai ad indietreggiare.
«E tu un bastardo, vero?» Dissi, non guardando dove mettevo i piedi. Inciampai su un peso e persi momentaneamente l’equilibrio.
Le braccia di Damon mi sorressero prontamente. Ero stesa sulla cassa per gli addominali, Damon completamente su di me. Teneva fermi i polsi ed era a pochi centimetri dal mio viso.

«Sei debole e fragile. Non mostrarti forte, non con me.» Ripeté ancora. Alzai gli occhi al cielo e accennai un sorrisino sghembo. La presa che aveva sui miei polsi era forte, una morsa d’acciaio.
«Mm…Sai cosa vorrei fare?» Chiesi con voce più lenta. Negli occhi del corvino balenò la malizia. Allentò momentaneamente la presa e spostò le mani sui miei fianchi.
Probabilmente l’attenzione era su di noi e tutti quelli in palestra ci fissavano incuriositi ma a me non importava. Anzi, mi piaceva. Dovevo far capire a quelle oche che Damon era off limits per loro.

«Cosa?» Chiese retorico. Aveva la voce profonda e qualche goccia di sudore impregnava i suoi capelli. Era bellissimo anche da sudato con la tenuta sportiva e col respiro a mille per via dei nostri “esercizi”.

«Distruggerti.» Risposi, spingendolo via da me. Mi rialzai velocemente e portai i guantoni all’altezza del viso. Voleva farmi sfogare? Bene. I giochi erano aperti.
Il suo sguardo era sia divertito che eccitato. Gli piacevano questi miei cambiamenti repentini d’umore e rimaneva sempre più affascinato dai miei movimenti attentati.

«E’ una sfida, Salvatore?» Mi chiese, alzandosi. Alzai le spalle non curante, invitandolo ad avvicinarsi con un cenno del capo. Non se lo face ripetere due volte e si avvicinò spaventosamente a me.
«Prendila come vuoi.» Risposi dura.

«Cerca di farmi cadere.» Mi spiegò. Aggrottai le sopraciglia. Dovevo farlo cadere? Annuii semplicemente e respirai profondamente. Davo per scontato che i miei pugni non gli facessero male, perciò partii alla carica contro di lui.
Parava ogni mio colpo, ma non controbatteva. Io tiravo e lui parava. Non mi attaccava, rimaneva e con un impertinente sorrisetto in volto.
Assestai un altro pugno, seguito questa volta da un calcio. Persi momentaneamente l’equilibrio – abbastanza precario già di mio -, Damon leggermente sorpreso parò il calcio e bloccò il mio piede tra le sue mani.

Si fece più avanti e mi tirò completamente a sé. Le mie braccia circondarono il suo collo e la sua mano si era spostata sulla coscia attirandomi ancor più vicino al suo corpo.
Il mio cuore era a mille, perché ogni cosa che facevo finiva sempre nello stesso modo? Io con Damon in una posizione scomoda o imbarazzante.

«Dovremo venire più spesso in palestra…» Sussurrò sulle mie labbra, prima di indietreggiare lentamente bloccandomi in un angolo della palestra. Si guardò attorno, come per accertarsi che non ci sia nessuno che potrebbe riconoscerci come fratello e sorella e poi si avventò sulle mie labbra.

Inizialmente mi baciò dolcemente, senza fretta…Poi iniziò lentamente a succhiare il labbro inferiore, giocandoci un po’.
Lo lasciai fare. Ero completamente andata. Ero lì, immobile e baciavo Damon con tutta la passione che potevo avere. Al suo solito sapore si era aggiunta la menta, una buona essenza nell’insieme.
Spostai le mani dal suo collo ai suoi fianchi spingendolo di più verso me. Non oppose molta resistenza, si avvicinò e m’incastrò completamente tra il suo corpo muscoloso e il muro.

Sciolse il bacio e si spostò sul collo. Lasciò una scia di baci umidicci vicino all’orecchio, morse lentamente il lobo destro facendomi gemere.
Inarcai la schiena e lo strinsi più a me.
«Sei in-incredibile…» Mugolai, stringendo il tessuto della sua canotta quando iniziò a mordere e succhiare un lembo di pelle.
«Non dovrei continuare a sfogarmi?» Chiesi ancora, quando acquistai un po’ di contegno che pensavo di aver perduto fino a pochi minuti
fa.

Damon si staccò gentilmente da me e iniziò a toccare il collo, in particolare la parte dolorante. Portai istintivamente una mano, domani avrei avuto una chiazza enorme sul collo da coprire con qualcosa.

«La mia Elena…» Soffiò sulle mie labbra. Ghignò divertito e sospirai. L’effetto che mi faceva rimaneva sempre lo stesso. La parte che detestavo in lui si stava rimarginando, ma a volte ritornava all’attacco più forte di prima.
«Sono ancora qui, su sfogati.» Mi provocò. Come potevo sfogarmi e lasciar andare via tutta la mia frustrazione, se ero bloccata tra lui e il muro?
«Hai vinto tu, questo round.» Gli concessi questa vittoria momentanea. Se all’inizio non potevo cedere, ora volevo cedere tra le sue braccia.

«Con questo vuoi dire che ce ne sarà un secondo?» Commentò divertito, toccando ancora il mio collo.
«No. Ce ne saranno altri.» Lo liquidai con una spallata e mi tolsi i guantoni. Dovevo farmi una doccia. Ringraziai mentalmente Damon per aver preso il mio accappatoio e i miei prodotto da bagno.
«Dove vai?» Mi chiese osservandomi da capo a piedi, sembrava un cane che guardava l’osso. Sorrisi tra me e me, mi faceva piacere che su di lui avessi tale ascendente.

«A farmi una doccia.» Risposi girandomi di spalle e camminando lentamente – tipo moviola – verso gli spogliatoi. Di ragazze non c’era più nessuna, ad eccezione di un paio che si stavano rivestendo. I ragazzi erano ancora in palestra con gli attrezzi.
Aprii il borsone e presi un asciugamano con cui mi asciugai il sudore in fronte. Mi ritenni fortunata, visto che ero sola nello spogliatoio e che potevo fare tutto con molta calma.

Mi sfilai la canotta e i pantaloncini, li ripiegai e li posai nel borsone. Presi il mio accappatoio e i prodotti e a piccoli passi entrai in doccia, lasciando l’occorrente lì vicino. Aprii l’acqua ed aspettai che si scaldasse. M’infilai sotto il getto d’acqua calda e iniziai lentamente a massaggiarmi il corpo, soffermandomi sui miei capelli. Erano lunghi e pieni di nodi, perciò impiegavo molto tempo a sciacquarli.
Iniziai a canticchiare a bassa voce, beandomi di quella situazione. Quando sarei uscita Damon mi avrebbe di sicuro rimproverato per quanto tempo avevo perso ma non m’importava, mi piaceva stare ore sotto la doccia cantando a volte a squarciagola e altre volte sotto voce.

Chiusi gli occhi e risciacquai i capelli. Persi quasi il respiro quando sentii due mani poggiarsi all’altezza dei miei fianchi. Un alito fresco mi alitava sul collo e un petto marmoreo combaciava sulla mia schiena.
«Dio, Damon!» Ringhiai, cercando di coprirmi. Non osai girarmi. Ero rossa sia dell’imbarazzo sia della rabbia. Quando sarei uscita dalla doccia mi avrebbe sentito.

«Sì, Elena?» Mi chiese con voce lenta e roca. Il mio respiro era corpo e quella doccia mi sembrava troppo piccola per due persone. Il calore si stava espandendo sia nell’ambiente che in me.
Non avrei mai più avuto il coraggio di guardare Damon in faccia da quel momento.

«Esci subito da qui, o giuro che non avrai nemmeno il tempo di dire ‘ba’ che sarai già a terra dolorante.» Sussurrai minacciosa, con l’acqua che ci bagnava.
«Non mi spaventi.» Commentò, stringendo le sue mani attorno alla mia vita. Mi girai lentamente, cercando di coprirmi. Lo avrei ucciso. Ne ero sicura.
Il nostri corpi combaciavano e ringraziai il cielo che Damon indossasse quel misero asciugamano bianco a coprirgli l’essenziale.

«Sei…» Iniziai rabbiosa, ma non riuscii a ribattere. Damon iniziò a massaggiarmi le spalle dolcemente. Mi rilassai pochi istanti e spostai con un gesto secco i capelli dal volto.
Prese un po’ di bagnoschiuma e iniziò a spalmarlo sulla schiena. Le sue mani erano dolci e il suo tocco paradisiaco.
Non saremo andati lontano. Gli sorrisi maliziosa e presi un po’ di shampoo. Misi le mani nei suoi capelli lisci e iniziai ad insaponarli lentamente. Erano delle sensazioni diversi. Mi faceva venire la pelle d’oca.

«Sei morbida.» Grugnì Damon, bloccandomi tra quelle mura che mi sembravano piccolissime in quel momento. L’acqua bagnò anche lui. Tante goccioline scendevano dai suoi capelli e gli occhi brillavano ancora di più.
«Non lasciarmi.» Dissi a denti stretti, finalmente lasciando da parte la mia aria da ragazza forte. Anche i suoi occhi si addolcirono momentaneamente.

«Non lo farò.» Ispirò il mio profumo e mi strinse a sé. Era la prima volta che Damon mi abbracciava e non c’era sensazione migliore. Mi sentivo protetta, accettata e non avevo paura di mostrare il mio lato debole.
«Mai, Elena.» Continuò, prendendo il mio viso tra le mani e baciandomi dolcemente sotto la doccia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Ringrazio a Smolderina78, NikkiSomerhalder, NadyDelenaLove, LucreziaSoranno, Bea_01 e PrincessOfDarkness90.
Grazie alle 37 persone che l’hanno inserita nelle preferite, grazie alle 53 nelle seguite e 4 nelle ricordate.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Capitolo Delena da scleri, peggio della 6x01! *-*-*-*
Ora non so chi di voi l’abbia vista, ma non voglio anticiparvi niente.
Se poi volete fangirlizzare con me, io sono qui! Okay…Sono ancora nel pallone più totale, ma tranquille non sono sempre così.
Per fare un po’ di conversazione: CHI DI VOI HA SEGUITO LA DIRETTA? Chi di voi ha invece visto la puntata coi sub? Chi non l’ha proprio vista, invece? XD
Finito, il momento pazzia più totale passo al capitolo.
Elena si chiuse in sé stessa seguendo il consiglio di Ian, ma Damon vuole che si apra con lei. Qualcuno di voi ha capito le sue intenzioni? Scommetto quello che volete che forse ci siete quasi arrivate! ;)
Care è strana. Perché fa così? Perché odia così tanto Damon? Cos’è successo tra i due? Altri dubbi? Avete ipotesi? Sarei curiosa di sapere le vostre idee!
Poi…Per chiunque voleva le scene Delena, sono tutte qui! Messe in questo capitolo! Omiodio Damon sudato! E poi in doccia! Voi che reazione avreste avuto? Sareste impazzite, come me quando ho scritto il capitolo?
E soprattutto le scene “hot” se così vogliamo chiamarle, vi sono piaciute? O faccio proprio schifo :o? AHAHAHAHAHA.
Be, ho finito.
Vi ringrazio infinitamente.
Un ultimo dettaglio: Forse vi sarete accorte di un piccolo cambiamento, non sono più Cucciolapuffosa, ho cambiato il mio nickname in ‘Non ti scordar di me’ perciò non spaventatevi! XD
Ci sentiamo alle recensioni <3
 
Non ti scordar di me.

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Capitolo 15
*** Return in London. ***


Capitolo quindici.
Return in London.
 
Leggevo distrattamente il libro di storia sul letto di camera mia. In quel momento non avevo voglia di fare niente. Almeno…Non volevo sprecare la mia attenzione su una cosa inutile come la storia.
Dovevo concentrarmi su quello che stava succedendo tra me e la mia amica. Caroline era così strana, dopo la strana chiacchierata di tre giorni fa non riuscii più a parlarle.

Ogni volta che cacciavo fuori l’argomento lei mi depistava o mi liquidava con una scusa. Oggi non mi aveva rifilato nessuna scusa. Oggi era tutto degenerato. Eravamo in una situazione vergognosa: avevamo litigato.
Ma non una semplice litigata. Una di quelle che si chiarivano nel giro di pochi giorni, no, era una litigata seria. Così seria che aveva – secondo me – rotto in qualche modo il nostro solido rapporto.

«Care! Rallenta!» La chiamai accelerando il passo. I ragazzi del college ci fissavano sconvolti e mormoravano tra di loro parole alle mie orecchie incomprensibili.
Caroline sulle sue zeppe e con la borsa in spalla non si girava neanche alle mie parole, continuava spedita verso il centro ricreativo.
Sbuffai e iniziai a correre. Mi benedii mentalmente per aver indossato delle scarpe comode. Non sarebbe stato il massimo correre con i miei stivali a tacco alto su quel prato. Finalmente rallentò. Eravamo arrivate al centro ricreativo, prima che potesse aprire la porta mi piazzai avanti a lei con sguardo serio.

«Potresti rallentare?» Le chiesi con un pizzico di nervosismo. Aveva fatto finta di non  vedermi fino ad ora, ma lei mi guardava interrogativa. Come se non sapesse che volevo parlare del suo comportamento.

«Qualche problema?» Fece la finta tonta, arricciandosi una ciocca di capelli al dito. Quando faceva così sembrava una di quelle oche starnazzanti del liceo. Adoperava la tattica del ‘sbatti ciglia e sorriso finto’ o quando provava a scollarsi di dosso un ragazzo appiccicoso o quando cercava di nascondere qualcosa.
Fino a prova contraria, io non ero un ragazzo appiccicoso…Perciò i miei sospetti erano più che fondati. Lei mi stava nascondendo qualcosa. Lei con Damon, perché anche lui mi nascondeva qualcosa.

Avrei dovuto fare un discorsetto anche con lui, ma non riuscivo più a guardarlo in faccia senza arrossire ricordando il piccolo inconveniente della doccia. Al ricordo rabbrividii piacevolmente. Una delle esperienze migliori della mia vita. Scacciai dalla mia testa Damon e ritornai a concentrarmi sulla mia migliore amica.

In quel momento era meglio chiarire con lei, d’altronde mio fratello si comportava spesso così.
«Sì. Altro che se ce ne sono di problemi. Ce ne sono troppi! A partire da te e dai tuoi strani modi di fare…Perché mi stai evitando?» Le chiesi curiosa, incrociando le braccia sotto il seno. Care si morse un labbro e guardò scocciata altrove. In realtà non era scocciata. No…Lei stava temporeggiando, aspettando una buona scusa da defilarmi questa volta e riprendere ad ignorarmi.

«Ehm…Finito di riflettere?» Continuai divertita. Mi piaceva mettere in difficoltà la mia amica, soprattutto per vedere le sue risposte e i suoi modi strambi per dissimulare la verità.
Care non si faceva più sentire. Prima ci sentivamo su whatapp o su face book…Ora – da tre giorni a questa parte – non ne voleva quasi più sapere di me.

A cosa dovevo questo cambiamento così repentino?
«Non ho niente da dirti…Anzi, sono io che vorrei delle spiegazioni.» Disse, guardandomi negli occhi. Se il suo tono all’inizio della frase era incerto si era trasformato. Ora era divertita anche lei.
Eravamo simili. Troppo simili. Entrambe ci  divertivamo a metterci in difficoltà ma il più delle volte erano per questioni futili. In questo momento non era qualcosa di futile, no, era qualcosa di serio. Troppo serio.

«Oh, no. Non puoi rigirare le carte in tavola, chiaro?» M’imposi. Mi ricordava Damon. In modo spaventoso e inquietante me lo ricordava, nel modo in cui in questi giorni mi depistava e nel modo in cui aveva cercato di rigirare le carte in tavola provando a disorientarmi.

La cosa che lei non sapeva era che non m’ingannava. Quei giochetti idioti non funzionavano con me, Damon ormai aveva rinunciato a farli capendo che non sarebbe mai riuscito a depistarmi.  Care, invece, non faceva mai questi giochi. Li detestava anche lei. Un'altra cosa strana in lei, pensai mentalmente.

«Io non  sto rigirando le carte. Forse sei tu che mi devi delle spiegazioni. Mi avevi detto di avere un problema con un ragazzo. E’ per questo che ti ho consigliato di venire con me a queste sedute.» Mi fece notare, guardandomi arcigna. Ci era riuscita. Era riuscita a spostare l’argomento da lei a me. Il punto era che io non volevo parlare di me. Volevo solo la mia amica, volevo indietro la mia migliore amica.

«Ora salta fuori che sei dipendente. Questo ragazzo ti spinge a fare cose che non vuoi? Non capisco più niente! E ti assicuro che anche Damon ci sta capendo veramente poco!» Sputò fuori con leggero veleno. Inizialmente abbassai lo sguardo ferita da quelle parole. Era la mia amica d’infanzia e non le avevo raccontato niente di quello che mi stava capitando?
Dopo aver elaborato meglio le sue parole, mi resi conto del suo passo falso. Rialzai il volto e assottigliai gli occhi.

«Damon? Perché metti in mezzo Damon? A ogni cosa che diciamo Damon deve essere presente in modo o in un altro. Mi spieghi cosa diamine confabulate tu e Damon alle mie spalle?» Le chiesi alzando il tono di voce. Non avevo idea di quante volte avevo detto il nome Damon, ma quando ero nervosa andavo in iperventilazione e non riuscivo più a produrre delle frasi di senso compiuto senza o urlare o uscire fuori dai gangheri.

«Perché ci stiamo preoccupando per te. Io mi sto preoccupando per te! Non ti rendi conto di quanto sia cambiata dal suo arrivo?» Continuò arrabbiata. Ero cambiata? Io ero cambiata? Qualcuno la stava illudendo – e su questo aveva tutte le ragioni del mondo di essere frustata e arrabbiata – ma niente poteva giustificare il comportamento che avevo con Enzo.
Non poteva illuderlo, come questa persona – di cui volevo sapere ardentemente il nome per spaccargli la faccia – faceva con lei!

«Non sono io quella che illude le persone. Cosa stai facendo con Enzo? Pensi che provare a star con lui, ti faccia smettere di pensare al tuo amico di letto?» Moderai il tono, guardandomi attorno. Non volevo urlare. Non volevo che i nostri segreti fossero sventolati al Delcrest e a tutti quelli che passavano per il centro ricreativo.

«Chi sei per impicciarti nella mia vita?» Quelle parole mi lasciarono di stucco. Chi ero? Come chi ero? Ero la persona che l’ascoltava sempre, la persona che era con lei nei suoi momenti peggiori, ero la sua migliore amica.

«Sono la tua migliore amica!» Le urlai con gli occhi sgranati. Quelle parole fecero più male del previsto. Non mi sarei mai immaginata una litigata così con Care. A dire il vero non mi ricordavo una nostra vera litigata.
«Vogliamo discutere qui? Dove tutti possano sentirci? Vuoi che tutti sappiamo della mia vita?» Mi disse con un pizzico di rabbia. Io non volevo proprio niente. Non volevo che gli altri la prendessero in giro, benché meno volevo che qualcuno – che non sia io – sappia della sua vita privata.
No. Volevo solamente chiarire la faccenda. Faccenda che si sarebbe dovuta chiarire o qui o altrove. Ma dovevo chiarirla oggi.

«Voglio parlarli! Non capisci che voglio aiutarti? Sono o non sono la tua confidente?» Le chiesi accennando un sorriso tirato.
«Casa tua o casa mia?» Mi chiese. Sul suo viso non c’era una traccia neanche di un piccolo sorrisino. Neanche uno tirato o fasullo. Niente.

«Casa mia. Verso il pomeriggio tardi.» Le dissi.
Quel giorno fu il primo giorno in cui me ne andai in macchina con Stefan.

Se non avessimo chiarito al più presto quella situazione, il nostro rapporto d’amicizia – che durava da più di quindici anni – si sarebbe completamente rotto. Ora era solamente scheggiato e si poteva ancora riparare, ma tra poco – molto poco – non avremo potuto fare più niente per salvare la nostra amicizia che stava lentamente affondando come il Titanic.

Chiusi di scatto il libro e lo posai sul letto. Non me ne andava bene una.
A partire dalla litigata con Caroline ai modi di fare strani di Damon.
Ancora non capivo come mai Care mettesse in mezzo sempre Damon e non capivo perché gli stesse remando contro – anche più del solito
–.

I primi tempi in cui iniziai a sentire la mancanza del mio fratellone, lei mi rincuorava…E lo difendeva. Diceva che era grande, che lui mi voleva bene in fondo.

Secondo i miei calcoli, ora lei doveva dirmi ‘te l’avevo detto’ e festeggiare il fatto che io e Damon ci eravamo ravvicinati – forse anche più del previsto –.
Mi alzai dal letto e mi specchiai. Indossavo il mio pigiama – un pantalone largo a fiorellini e una canotta rosa –. In casa preferivo stare comoda e i jeans non erano il massimo della comodità.
Misi le mie comode pantofole, mi legai i capelli e uscii dalla camera. Mi avviai verso le scale, ma la tentazione di entrare nella stanza di
Damon era forte. La porta era aperta, forse stava studiando – cosa più che bizzarra per lui – o magari riposava.

Volevo solo vedere se era lì e sapere cosa stava facendo.
O vuoi trovare informazioni su quel biglietto? Mi fece notare la mia coscienza. Quel biglietto in bella calligrafia su cui c’era scritto ‘Forgive me, if you can’ non l’avevo dimenticato. Affatto.

Spesso mi ritrovavo a pensare a quel biglietto e non sapevo cosa dire o pensare. A Londra si era pur fatto una vita! Aveva avuto degli amici! E aveva avuto…almeno una ragazza. E forse quel biglietto significava qualcosa.

Forse c’entrava in qualche modo quella ragazza della fotografia scomparsa. Sul comodino di Damon avevo visto una foto che lo ritraeva con una bionda dagli occhi lapislazzuli.
Alzando gli occhi al cielo e sapendo che mi sarei pentita al più presto di quello che stavo per fare, feci qualche passo indietro e mi ritrovai sull’uscio della porta della camera di Damon.

Sospirai quando mi resi conto che non c’era. Entrai nella camera e mi guardai attorno. Sul comodino non c’era più traccia di quella fotografia.
Così feci la cosa più idiota che potessi fare in quel momento: iniziai a frugare dappertutto. Nell’armadio non c’era niente, così come negli scaffali. Mi sedetti sul suo letto e aprii il cassetto del comò.

Niente d’interessante, ad eccezione di quel fogliettino spiegazzato riposto accuratamente nell’angolino del cassetto.
Osservai quel comodino. Aveva due cassetti, aprii il secondo. Anche lì non c’era niente, se non scartoffie e vecchie lettere intestate o a Stefan o a papà. Le osservai. Io non gli avevo mandato una sola lettera e non l’avevo mai chiamato.

Dalla scrittura che quelle lettere avevano, capii che non aveva alcuna voglia di parlare con loro. Probabilmente era stato costretto da mamma.
Osservai meglio il cassetto, aveva una profondità minore di quanto sembrava dall’esterno. Iniziai a toccare il fondo del cassetto e notai ai lati delle piccole fessure in cui potevano entrarci solo delle dita.

Le infilai e sollevai lentamente quel piano. Come potevo dimenticarmi che era a doppio fondo? Prima di ristrutturare la stanza nel 2004, era mio quel cassetto!

«Hai per caso sbagliato stanza?» Trasalii a quella voce e misi velocemente apposto il ripiano dando distrattamente un’occhiatina alle lettere cercando di non lasciare le mie tracce. Mi girai di scatto, chiudendo contemporaneamente il cassetto e sfoggiando un sorrisino a Damon.

«Mm…Se non mi vuoi qui, posso andarmene.» Dissi con un sorriso a trentadue denti. Damon sgranò gli occhi sorpreso, chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò al letto con passo felpato. Perché era così sexy anche quando camminava?
Si sedette lentamente sul letto, io ero vicino al comò sorridente. Aveva la testa poggiata sul cuscino e mi fissava divertito.

«Resta.» Sussurrò prendendomi delicatamente per i fianchi e portandomi sopra di lui. Le mie mani scorrevano sul suo petto, contornando la forma degli addominali che s’intravedevano dalla maglietta bianca.
«Rimango.» Concordai, spostando le mani vicino all’attaccatura dei capelli. Mi piaceva toccargli i capelli sottili come i fili d’erba. Mi piaceva stare lì, sopra di lui a coccolarlo. Mi piaceva fare le fuse contro il suo petto. Mi piacevano i suoi abbracci che mi facevano sentire piccola e fragile. Mi piaceva lui.

«Preferisco stare sopra le ragazze.» Disse con ironia. Sbuffai ricordandomi i suoi approcci iniziali quando voleva migliorare il nostro rapporto “fratello-sorella”.
Inclinai la testa e sfoggiai un dolce sorrisino. Damon sussurrò qualcosa di incomprensibile e con uno scatto repentino ribaltò le posizioni. Perché perdevo così facilmente la concentrazione con lui vicino?

«Ti hanno mai detto che sei sexy con il pigiamino a righe?» Fece beffardo. Aprii la bocca per ribattere però mi resi conto di com’ero vestita. Ero abbastanza ridicola. Ero in stanza con un ragazzo – sotto di lui – e indossavo il mio bellissimo pigiama.
Bhe…Ringrazia che non hai indossato quello con le pecorelle! Intervenne la mia coscienza. Alzai gli occhi al cielo. Il pigiama con le pecorelle era un pigiama caldissimo che avevo comprato un Natale fa.

«Sì.» Risposi alzando le spalle. La sua faccia era sconvolta e leggermente incuriosita. La bocca aveva assunto la forma a “o” e le sue sopraciglia erano aggrottate.
«Stefan aveva invitato Tyler a casa, non lo sapevo e sono uscita di camera in pigiama. Se non sbaglio quattro mesi fa più o meno…» Dissi, facendo mente locale.

«Mm…Ti diverte mettermi in difficoltà?» Mi chiese sorridendo. Come avevo già detto, mi piaceva vedere le persone a disagio. Soprattutto con persone come Damon o Caroline che farebbero di tutto per non mostrarsi in imbarazzo o disagio.
«Non sai quanto.» Commentai. «Ma non quanto mi piace baciarti.» Continuai, prendendogli il viso tra le mani. Il corvino sorrise divertito. Con un braccio circondò il bacino e l’altro lo poggiò sulla tastiera del letto.
Si avvicinò sempre più a me. Mi beai del suo buon odore e aspettai che le sue morbide labbra si poggiassero sulle mie.
Damon si avvicinò sempre più e lasciò un semplice bacio all’angolo della bocca, troppo
vicino alla bocca. Assottigliai lo sguardo.

«Un bacetto? E’ il massimo che sai fare, Salvatore?» Lo sfottei, sperando che in qualche modo facesse cadere la facciata da angioletto e mostrare la facciata da stronzo che lo caratterizzava.

«Oh so fare di meglio, ma noi siamo fratelli…» Sbattei un paio di volte le ciglia e mi alzai sui gomiti per guardarlo meglio. Mi avvicinai a lui, anzi mi avvicinai alla sua bocca lentamente.

«Quindi non vuoi baciarmi? Neanche a questa distanza, Damon?» Stetti al suo gioco. I nostri nasi si sfioravano e i nostri respiri erano un tutt’uno.
Aspettavo una sua risposta al più presto. Io non sarei rimasta lì per sempre ad aspettare che mi baciasse.
Non ero fedele agli stereotipi del tipo ‘il ragazzo deve baciare per primo la ragazza’. Se volevo baciarlo, lo facevo. Ma ora volevo piegare la sua volontà e ridurla in tanti piccoli pezzettini.

«No-non riuscirai a tentarmi.» All’inizio balbettò incerto, ma il suo tono si fece più duro alla fine. Oh. Tosto il ragazzo, ma non quanto me.
«Non potremo stare neanche a questa vicinanza sai?» Gli feci notare, posando le mani sul suo petto e allontanandolo da me. Damon si scostò da me. Mi alzai dal letto e mi guardai attorno.
Il mio occhio cadde poco più lontano sulla sua borsa della palestra. Mi venne in mente un’idea geniale.

«Damon non fa caldo?» Gli chiesi depistandolo completamente. Damon aggrottò le sopraciglia divertito e alzò le spalle scuotendo la testa.
«Ho un po’ caldo. Potrei prendere una tua maglietta? Mi farà da vestito!» Trillai contenta. Il corvino annuì alzando gli occhi al cielo. Mi tolsi le pantofole e presi i lembi della maglietta.

Lo vidi sbiancare e deglutire leggermente quando si rese conto di quello che stavo facendo.
«Cosa fai?» Mi bloccò. Lo maledii mentalmente e mi girai verso lui sorridendo ingenuamente.
«Mi cambio qui, no? Siamo fratelli dopotutto…Non dovrebbe farti alcun effetto.» Sorrisi trionfante e aprii il suo armadio. Presi una sua camicia, una nera che mi andava piuttosto larga.

Damon si alzò dal letto e incrociò il mio sguardo, quasi sfidandomi. Pensava che non avrei avuto il coraggio di farlo?
Mi sfilai la canotta e la lanciai in un punto indefinito nella stanza. Rimase fermo con i muscoli più tesi, ma gli occhi guizzavano sul mio corpo.

«Non eri tu che parlava di moralità? Non credo sia un buon comportamento fissare tua sorella in questo modo.» Usai un tono indignato ma divertito. Lui mi sorrise con un ghigno ma non mi disse niente.
Mi girai di spalle e mi tolsi anche i pantaloni, rimanendo in intimo di spalle. Mi chinai per raccogliere la sua camicia che avevo poggiato vicino all’armadio e la infilai.

Avvertii i suoi passi, ma feci finta di non sentirli. Mi girai e come previsto era dietro di me che mi squadrava in modo imperscrutabile.
«Mi aiuti ad abbottonare la camicia?» Gli chiesi indicando la camicia. Deglutì e si avvicinò ancora di più. Con le mani tremanti iniziò ad abbottonare i primi bottoni della camicia. Io gli sorridevo divertita e sbattevo di volta in volta le ciglia con aria innocente.

«Ce la fai? Ti vedo insicuro…» Usai un tono più basso e più consapevole. Ero più maliziosa, volevo risultare ironica e maliziosa contemporaneamente.
«Sei una traffichina.» Commentò. Lasciò la camicia abbottonata a metà e mi guardò negli occhi. I suoi occhi color mare si fusero nei miei color cioccolato.

«Hai vinto questo round.» Interruppe il nostro contatto visivo, per stringermi a sé. Fece combaciare le sue labbra. Era un bacio più aggressivo e più passionale.
Avevo vinto io, come sempre. Mi lasciai anch’io trasportare. Ero spalle al muro. Le sue mani s’insinuarono sotto la maglietta accarezzandomi lentamente il seno. Gemetti in silenzio, rispondendo al bacio sempre con più sentimento.

Riprendemmo fiato dopo pochi minuti. Ci scambiammo uno sguardo divertito. Non riuscii neanche a lanciargli una battutina, perché Damon mi prese per le cosce e fece ricongiungere velocemente le nostre labbra.
Spostai le mie mani sul suo collo, mentre la sua presa sulle cosce s’intensificò. Sempre in quella posizione iniziò a indietreggiare verso il letto. Mi poggiò con delicatezza, ma non gli permisi di fare alcun movimento poiché mi misi a cavalcioni su di lui.

«Mi piaci di più quando fai l’aggressiva.» Grugnì Damon, iniziando a giocare col lembo della sua camicia. Sbottonò il primo bottone e mi guardò.

«Dovrei chiederti il permesso o no? D’altronde sono tuo fratello.» Continuò, facendo presa sulle mie natiche.
«Forse, dovresti…» Dissi, spostandomi da sopra e mettendomi più comoda sul suo letto. Circondò il mio punto vita con un braccio e lasciò sulle mie labbra un bacetto a stampo, per poi approfondirlo lentamente.
Mi stavo innamorando di mio fratello. Oh, ma cosa dico! Io ero già innamorata di mio fratello!

«Elena sei…» Una terza voce ci fece ridestare. Mi staccai da Damon col fiato corto. Il petto martellava in petto. Stefan era sull’uscio della porta con lo sguardo quasi spiritato senza parole.

«Non ti hanno insegnato a bussare?» Grugnì Damon infastidito. Solo dopo essersi reso conto che quello non era un semplice sconosciuto e che noi non eravamo soli in casa alzò gli occhi al cielo.
Mi abbottonai velocemente la camicia e guardai Stefan con sguardo supplicante. Non doveva pensare male.
«Non trarre conclusioni affrettate…» Dissi, alzandomi dal letto e allontanandomi da Damon. Gli occhi di Stefan se possibile si allargarono ancora di più. Abbottonai la camicia e raccolsi velocemente i miei vestiti sparsi un po’ ovunque per la stanza.

«Non devo trarre conclusioni affrettate? Cazzo, vi stavate baciando! Siete fratelli! Dio, cos’è questo?» Tuonò indicando sia me che Damon. Noi due ci scambiammo uno sguardo ma non dicemmo niente.

«Elena, sono qui! Cosa…Cosa sta succedendo?» Caroline entrò nella stanza di Damon più euforica del solito. Ci scambiammo uno sguardo. Pregai che Stefan non dicesse niente di quella situazione alla mia amica.
Stefan abbassò la testa e alzò gli occhi al cielo.

«Niente che possa interessarsi.» Disse freddo, lasciando la stanza. Il mio cuore perse quasi un battito. Stefan sapeva di noi. Era sempre convinto delle sue ipotesi, non ci avrebbe sostenuti.
Eravamo già noi contro tutto, ora avevamo contro anche Stefan. Perfetto di male in peggio.

«Oh, porca…Stefan!» Urlò Damon, lanciandomi un’occhiata consapevole e uscendo dalla camera per raggiungerlo.
«Sono arrivata in uno delle litigate tra fratelli?» Chiese la bionda interrogativa. Oh, peggio. Molto peggio. Questo non era una litigata semplice tra fratelli, era una bomba a orologeria che era scoppiata in quel preciso momento.

«Oh, niente di grave. Andiamo in camera mia.» Dissi uscendo dalla stanza. Caroline annuì. «Prendo qualcosa da mangiare…Ve-vengo subito.» La liquidai scendendo le scale a due a due. Le voci di Stefan e Damon si sentivano già da lì. Mi fermai dietro la porta e decisi di ascoltare la litigata aspettando il momento migliore per intervenire.
«Cosa state facendo? Damon sei il fratello maggiore! Cazzo, controllati!» Gli urlò contro. Non era colpa di Damon, non era colpa nostra…Non era colpa di nessuno. Questa cose capitavano e basta e non potevi farci niente.

«Cosa sto facendo? Mi sto innamorando di mia sorella! Non me ne fotte niente che è mia sorella. E tu non puoi dirmi che è sbagliato, perché entrambi sappiamo perfettamente che per questo, per questo sentimento finiremo per distruggerci. Ma è questo che vogliamo, vogliamo un amore che ci consumi fino alla fine.» Sorrisi alle sue parole. Damon quando voleva sapeva essere romantico, anche se in un modo tutto suo.

Non era il massimo della dolcezza, ma il significato di quello che voleva dire contava. Non era bravo ad esprimere i sentimenti, ma ora ci stava riuscendo e io ne ero contenta.
Ero contenta di sentirgli dire quelle parole.

«Non è…Sai anche tu che questo è sbagliato. Non potete…Non potete essere una coppia normale. Non avrei mai dovuto appoggiare papà, era meglio se rimanevi a Londra!» Sputò contro Stefan. Ero sicura che quelle parole avevano colpito l’orgoglio e i sentimenti di Damon. Perché poteva dire tutto quello che voleva, poteva dire che in realtà non mi voleva bene, poteva dire che non voleva Stefan come fratello…Ma in fondo sentire quelle parole da Stef avevano fatto il loro effetto.

«Cosa c’è Stefan sei per caso geloso che tu non sia più il primo punto di riferimento di Elena?» Anche se ribatteva con ironia, riuscivo a sentire la sua tristezza e amarezza. Stefan poteva risparmiarsi quella battutaccia.

«Non è questo il punto. Smettila di rigirare la frittata!» Grugnì Stefan, sbattendo le mani contro il tavolo. Sapevo bene che quelle reazione era giustificata e non osai immaginare cosa sarebbe successo quando Caroline sarebbe venuta a sapere di tutto questo.
«Oh, tranquillo…Quando me ne sarò andato, potrai riconquistare il tuo posto!» Sbraitò. Quelle parole furono una doccia fredda, furono un pugno allo stomaco. Damon sarebbe ritornato a Londra? Mi avrebbe lasciato di nuovo?
Era passato poco tempo, a malapena due mesi…Non poteva già andarsene. Il cuore iniziò a martellarmi in petto.

Tutto quello che stavo passando: le belle parole, le sorprese, le gentilezze…I nostri momenti più intimi si alternavano nella mia mente. Perché?
«Non ho bisogno di aspettare la tua partenza!» Grugnì. Okay…Era troppo. Era veramente troppo. Salii le scale e aprii la porta di camera.
Caroline leggeva distrattamente una rivista che lasciò cadere a terra non appena mi vide in lacrime sull’uscio della porta.

«Elena! Cosa..Non hai preso da mangiare? Perché piangi?» Fece tante domande a raffica ma non risposi ad una. L’abbracciai soltanto, sperando che non facesse tante domande. Smise di parlare e ricambiò subito l’abbraccio.
«Se ne va! Se ne va!» Singhiozzai col cuore in gola. Care si allontanò da me e mi rivolse un sorriso tenue.

«Chi?» Mi chiese nel modo più delicato possibile.
«Lo sapevo! Lo sapevo! Sapevo che se ne sarebbe andato! Lo pensavo ma mai avrei immaginato…» Mi abbracciò prima che potessi continuare. Aveva già capito tutto. Era o non era la mia migliore amica?

«Ti senti meglio?» Mi chiese sorridendomi. Annuii e mi asciugai le lacrime con il bordo della sua camicia. Mi sedetti sul letto, lei chiuse la porta e mi seguì a ruota. Mi prese le mani e sospirò.

«Ne parliamo?» Presi un grande sospiro. Ora era uno di quei momenti in cui dovevi scegliere qual era la cosa più importante in quel momento: la verità o optare per una mezza bugia.
«Ti giuro non pensavo che si sarebbe comportato così…Forse ho capito male, però le loro parole…No, ho sentito bene! Se ne va! Capisci?
Mi lascia qui come ha fatto più di quindici anni fa!» Dissi, prendendomi i capelli tra le mani. Dovevo calmarmi e parlare con calma, altrimenti Care non avrebbe capito niente.

«E’ lui il ragazzo? Avevi paura che Damon se ne vada e ora ne hai avuto la conferma?» A quelle parole una sola idea mi alzò in mente: raccogliere la palla al balzo. Caroline mi aveva proposto la bugia perfetta per giustificare il mio comportamento.

«Hai inventato questo storia della dipendenza per non dirmi che avevi paura?» Il suo tono si addolcì. Annuii poco convinta…Avevo ritrovato la mia amica e stavo per perdere mio fratello.

«Se ne va.» Mi abbracciò ancora.
Damon se ne sarebbe andato, sarebbe ritornato a Londra. Io sarei rimasta a Mystic Falls. Perché le persone che amavo dovevano sempre lasciarmi?
 
 
 





Grazie a Smolderina78, NikkiSomerhalder, Bea_01, Darla19, NadyDelenaLove, PrincessOfDarkness90 e NianDelLove.
Grazie ai 38 che hanno inserito la storia nelle preferite, grazie ai 53 che l’hanno inserita nelle seguite e grazie ai 4 che l’hanno inserita nelle ricordate!
Grazie anche ai lettori silenziosi!
 
 
Angolo di Non ti scordar di me:
Uè, i’m back! Happy? Oh, sì immagino quanto!
Bhe…Non so chi di voi mi scrisse che in una recensione che voleva vedere la reazione di Stefan quando veniva a sapere della tresca…Be’ ECCOLA QUI!
Giuro ho immaginato la scena e ridevo come una scema!
Tralasciando Stefan e le sue crisi di mezza età, passiamo a Caroline.
Care – già nella puntata mi ha un po’ deluso non so voi – ora pure nella mia storia mi deludi? E sono pure la scrittrice, quindi… -.-‘’
Non so, questa Caroline che ho scritto non so se sia molto IC. Ho messo il flashback giusto per farvi capire la stranezza della bionda. Cosa le è successo? Perché fa così?
Oltrepassando Care, passo al DELENA! Ma io come faccio a non impazzire se mi escono fuori quelle scene (scritte forse in modo pietoso) ma immaginate sono la ME.RA.VI.GLIA.
Chi di noi non immagina un Damon aka Ian che ti prende in braccio e ti bacia? :Q_____ *-* IO SI’. AHAHAHAHAHAAH.
Poi…Per il finale. Ora se volete potete uccidermi, potete rintracciarmi e venire da me con forche e forconi! :’)
Damon ritornerà a Londra? Sinceramente non lo so neanche io XD, quindi è aperto il banco scommesse. Come andrà a finire? Voi cosa vorreste?
Vi annuncio che ‘Amore Proibito’ sta per giungere al termine (o almeno dai miei calcoli) mancano sì e no sei/sette capitoli. Ho il finale nella mia testolina, che può sembrare bacata delle volte ma in realtà sforna idee geniali a volte! XDXD
C’è un problema: ho in mente un sequel! Ma solo se lo volete voi. Altrimenti devo rivoluzionare tutto quanto! :’)
A presto, ci sentiamo alle recensioni.
Non ti scordar di me.

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Capitolo 16
*** It's only appearance. ***


Capitolo sedici.
It’s only appearance.
 
Stesa sul letto fissavo il soffitto con gli occhi chiusi. La testa mi pulsava, le parole di Damon mi perseguitavano e non riuscivo a chiudere occhio senza pensare al momento in cui sarebbe partito. Non volevo chiedergli spiegazioni, no, preferivo aspettare…Volevo vedere quanto tempo impiegava a dirmi che mi avrebbe lasciato qui mentre lui sarebbe ritornato alla sua vita a Londra.

Mi ero barricata in stanza da un paio di giorni, uscivo solo a intervalli regolare per prendere il cibo e quando potevo uscivo con Caroline che provava a tirarmi su il morale. Papà aveva provato a parlarmi, ma non volevo sentirlo. Stefan tutto il contrario. Anche lui non ne voleva sapere di me, mentre io volevo parlarci e se possibile chiarire con lui quella situazione imbarazzante.
Perché con Stefan mi facevo tutti questi problemi? Con Damon bastava poco, veramente poco per aprirmi come se fosse il mio migliore amico. Avevo sempre avuto un buon rapporto con Stef, ora…mi vergognavo.

Mi vergognavo a parlargli di Damon. Mi ricordavo ancora quando per la prima volta ammisi di avere una cotta per Matt, quanti anni avevo? Sì e no quindici o quattordici? Glielo confessai senza problemi e lui ne fu più che contento. Perché non potevo andare da lui a dirgli ‘Sono innamorata di Damon, Stefan. Ti prego, aiutami a non farlo andare a Londra’.
Non potevo solo perché non mi avrebbe capito, né aiutato. Almeno non questa volta. Non mi avrebbe appoggiato. Fin ora mi aveva appoggiato – quasi – sempre nelle mie cazzate, mi aveva persino aiutato quella volta che volevo andare alla festa con Care e aveva imitato il mio tono di voce per coprirmi!

Sospirai e presi il cellulare.
Tre chiamate perse da Caroline. Dieci messaggi da Caroline. Due notifiche di face book sempre di Care. E due messaggi vocali – da quando non mi mandava più messaggi a ora che me ne mandava dieci e più al giorno –.
Sbuffai. Notai però che solo uno dei due messaggi era della bionda, uno era di un altro numero. Aggrottai le sopraciglia, premetti il tasto e avvicinai il telefono all’orecchio.

- Non ho idea di cosa ti sia successo. Non ho idea del perché tu non voglia più vedermi o parlarmi. E’ per Stefan? Per quello che è successo? Dimmi qualcosa. Mi basta un segno, una parola, una sillaba. Parlami, Elena. Due giorni di silenzio. Due, cazzo! -  Finito il messaggio vocale. Damon. Mi aveva mandato un messaggio…Aveva aspettato due giorni sperando che bollissi la rabbia – perché lui pensava fossi arrabbiata con lui per quello che era successo con Stefan – ma si era stufato.

Aprii Wathsapp e cliccai sulla sua chat vuota.
- Sto benone. Devo…devo solo calmarmi. – Dissi con la voce tremante. Alzai il pollice. Il messaggio vocale si era inviato, ma non l’avevo visualizzato. L’ultimo accesso risaliva a più di due ore fa.

Cancellai tutti i messaggi di Caroline e indossai le cuffie. Partì una canzone qualsiasi. Non potevo passare tutta la vita ad evitare Care, a ignorare Damon e a non parlare con Stefan.
Dovevo trovare una situazione semplice ma efficace.
E dovevo smaltire tutte queste bugie che stavo raccontando. Se prima raccontavo diverse balle a Stefan, magari giustificando alcuni dei
miei comportamenti ora non dovevo più farlo…Tanto sapeva già tutto.

Dallo sguardo che aveva quando ci aveva visti baciarci, sembrava che avesse perso più di dieci di vita in quei secondi.
Soffocai un urlo sul cuscino e cercai di calmarmi. Quante bugie e sotterfugi! Dovevo rivelare la verità a Caroline, dovevo parlare con Stefan e chiare anche con Damon. Che casino.

«Sparisci, Salvatore.» Non poteva averlo fatto veramente, pensai alzandomi dal letto per avvicinarmi alla porta.
«Barbie mi spiace ma non vuole vedere nessuno. Non vuole vedere me, perché vorrebbe vedere te?» Le chiese acido. Damon era sempre così. Avevo notato che come si comportava con me era un’eccezione. Una vera eccezione. Con gli altri non si risparmiava battutine cattive e litigate furiose.

«Posso assicurarti che mi vorrà vedere. Sono la sua migliore amica.» Ribatté sicura di sé la ragazza. Una cosa era certa: era venuta a trovarmi, stava facendo un ritardo colossale al college…Come potevo cacciarla, se si comportava così con me?
«Patetica.» Commentò acido. Alzai gli occhi al cielo. Mi dava fastidio questo comportamento freddo che aveva con la mia amica. Anche se lei non scherzava affatto, Damon non gli scendeva giù. Ora più che mai lo detestava.

«Tu sei appostato dietro la sua porta da non so quanto tempo e quella patetica sarei io?» Fece divertita. Il mio cuore iniziò a battere più velocemente e mi sentii tremendamente in colpa. Perché diamine si comportava così? Perché faceva finta che tutto andasse bene, quando il mio mondo stava cadendo in mille pezzi?

«Oh, mi hai ferito nel profondo.» Disse. Non sentii più niente, solo un ‘idiota’. Mi avvicinai alla porta per aprirla ma Caroline mi precedette. Era vestita di tutto punto e mi fissava arcigna.
«Stronza, hai idea di quante chiamate e messaggi ti abbia lasciato?» Mi urlò, chiudendosi la porta alle spalle. Roteai gli occhi e mi sedetti nuovamente sul letto. Care posò la sua borsa a terra e mi puntò un dito contro con aria minacciosa.

«Uhm…Me ne hai mandati un paio forse?» Feci innocentemente. La bionda si avvicinò al mio letto e prese un cuscino dal mio letto.
Il ticchettio delle sue scarpe non faceva altro che aumentare il mio mal di testa, aprii la bocca per dirle di togliersi quelle stupide scarpe o di andarsene subito da camera mia ma mi arrivò una cuscinata in volto.

«Un paio? Più di dieci messaggi! Ho fatto due isolati a piedi su queste scarpe che mi stanno ammazzando e tu mi sai dire solamente ‘me ne hai mandati un paio forse?’» Imitò il mio tono di voce. Mi diede un’altra cuscinata e un’altra ancora. Io trattenevo a stento le risate. Da piccole facevamo sempre i nostri epici pigiama party e finivano tutti allo stesso modo: sia io che lei sommerse di piume.

«La prossima volta ti risponderò, okay?» Le dissi sbuffando e non rispondendo alla sua provocazione.

«Vuoi smetterla di deprimerti per quello? Oh, manco fosse il tuo fidanzato!» Sbottò, tirandomi un’altra cuscinata. Persi quasi dieci anni di vita quando mi ricordò che non ero la sua ragazza ma che in realtà ero solo la sua sorellina e nient’altro. Almeno questo per lei. Noi non eravamo solo “fratelli”. Oh, no. Eravamo…Eravamo un tutt’uno. Se era sbagliato quello che provavano, eravamo un errore. Un solo errore che insieme non poteva essere più giusto.

«E’ mio fratello. Non ti sarebbe dispiaciuto se Stefan stesse per partire per Londra lasciando te e me da sole?» Le chiesi, alzandomi a sedere. Sapevo che il tasto ‘Stefan’ per lei era un tabù. Per qualche motivo i buoni rapporti che avevano dopo la loro rottura si erano completamente spezzati.

«E’ logico che mi sarebbe dispiaciuto…Ah, cos’ha Stefan? Era piuttosto incazzato quando mi ha aperto la porta.» Mi fece notare. Ora dovevo inventarmi un’altra bugia.
Pensa. Pensa una scusa, cavolo! Pensavo tra me e me. Cosa potevo dirle?
Care, ha visto io e Damon che pomiciavamo alla grande sul letto e ora non so se è arrabbiato o schifato da noi. Tu che ne dici?
No, non potevo dirle una cosa del genere.

«Forse ha litigato con Lexi…» Buttai lì lasciando il discordo in sospeso. Mi sentii un’emerita idiota non appena vidi l’espressione turbata della mia amica. Ops…Mi ero dimenticata di avvertirla di Stefan. Un tempo mi aveva detto che usciva con Lexi, me l’aveva confessato quando stavo provando a convincerlo a lasciarmi andare alla festa.

«Stanno insieme?» Chiese subito. Aggrottai le sopraciglia e scossi la testa. Di sicuro non potevo saperlo, non avevo prestata molta attenzione a Stefan in quei tempi.

«Potresti indagare?» Continuò sfoderando i suoi occhioni. Oh, certo. Quella era la situazione migliore per chiedergli se frequentava Lexi!
Un momento…Perché Care voleva sapere di Stefan?
«Perché non glielo chiedi tu? Cosa t’interessa?» Le chiesi sbuffando. La ragazza alzò gli occhi al cielo e si arrotolò su un dito una ciocca di capelli.
«Non interessa a me. A una mia amica potrebbe interessare.» Alzò le spalle come niente fosse, cercando di riprendere il discordo che aveva lasciato in sospeso.

«Chi?» Ero curiosa. Niente di più. La bionda cercò di nascondere lo sgomento che la mia domanda aveva scaturito in lei.
«La tipa del corso di spagnolo…» Rispose a bassa voce. Corso di spagnolo? Era una classe di trenta alunni circa!
«Un po’ più precisa?» La spronai ridendo.

«Ivy…» Non sapevo parlasse con quella ragazza. Feci mente locale. L’ultima volta che l’avevo vista aveva i capelli scuri sciolti sulle spalle e indossava un vestito carino. Mm…Non era così bruttina, però non le avevo mai parlato.
«Mm…Vedrò di fare qualcosa.» La storia puzzava. Non me la dava a bere Caroline. Lasciai perdere quell’argomento per pochi secondi.

«Sei venuta qui solo per farmi la predica e per l’interrogatorio su Stefan? O c’è altro?» Le chiesi fingendomi scocciata. In realtà non mi dispiaceva quella sorpresa – se così volevamo chiamarla eh –.

«Sinceramente sono venuta qui per tirarti fuori dalla stanza. Perciò…alza il culo da là ragazza. Si fa shopping!» Mi urlò. Tra poco mi faceva fuori il timpano. La fulminai.
«Non mi convincerai ad uscire dalla mia stanza neanche se una bomba nucleare stesse per esplodere proprio di fronte a me. Chiaro?» Chiarii incrociando le braccia al petto. Roteò gli occhi e si sedette accanto a me. Mi prese le mani e mi guardò con sguardo da cucciolo bastonato.

«E se ti dicessi che ho un appuntamento?» A quelle parole cambiai istantaneamente idea. Care un appuntamento? Notizia più che piacevole.
«Parlando di appuntamenti…Noi dovremo chiarire un paio di cose. Tu, Enzo e il tuo amico di letto.» La bionda mi guardò corrucciata. «Non capisco…Sei innamorata del tuo amico di cui non mi vuoi dire l’identità, ma passi molto tempo con Enzo…Non ti sembra di illuderlo?» Le feci notare guardandola seriamente. Finalmente stavo chiarendo questa piccola parentesi che mi ronzava in mente da un
po’.

«Non lo sto illudendo. Io...Io sto provando a uscire con Enzo.» Rimasi a bocca aperta. Mi ero persa qualche passaggio? Ora usciva con Enzo?
«E mentre tu esci con Enzo…» Okay, stavo veramente per esplodere. Io forse non ero migliore di lei. Anzi, non lo ero. Stavo con mio fratello, più o meno. Ci baciavamo. Era un reato giusto? Oddio, quanti problemi su problemi!
«No! Non pensare male. Sto chiudendo questa strana relazione con il mio…mio amico.» Disse. La guardai negli occhi…Era sincera. Si capiva dal tono di voce che aveva usato e anche dai suoi occhi. Gli occhi erano o no lo specchio dell’anima?

«In questo caso…Penso di poter fare un’eccezione!» Dissi, alzandomi per afferrare delle cose dall’armadio. Indossai velocemente un pantalone di jeans sbiadito, una maglietta con scollo a barca a righe bianche e nera e da sopra un cardigan.

«Oh, sei la migliore ‘Lena!» Trillò contenta. Infilai gli anfibi, sciolsi i capelli e afferrai il mio cellulare.
«Muoviti prima che cambi idea!» Le risposi alzando gli occhi al cielo e aprendo la porta. Damon non era dietro la mia porta. Mi guardai attorno. La porta di Damon era chiusa, così come quella di Stefan.

«Su, muoviti!» Continuai, prendendole la mano e trascinandola giù per le scale. Aprii la porta e la trascinai letteralmente fuori da casa mia.
«Mm…Andiamo a fare un po’ di shopping, dai staremo fuori poco. Te lo prometto.» Mi rincuorò, prendendomi per un braccio. La giornata era piacevole. C’era il sole e poche nuvole lo coprivano. Il cielo era limpido, ma in lontananza si vedevano alcuni nuvoloni. Tra un paio d’ore sarebbe scoppiato un acquazzone.

«Entriamo qui, su!» Mi fece entrare in un negozio, uno dei tanti in cui oggi saremo entrate. Iniziò a curiosare ovunque, mentre io mi sedetti su una poltroncina.
«Cosa ne pensi di questo?» Mi chiese indicando un vestitino rosso fuoco scollato sul davanti. Non mi piaceva affatto. Scossi la testa.
«Gli do un bel due.» Dissi sorridendo. Lei in risposta m’ignorò e continuò ad afferrare quanti più vestiti le sua mani permettevano di
prendere alla volta.

Entrò nel camerino, mentre io mi guardavo attorno. Era un negozio carino dopotutto, molto meglio di tanti in cui mi aveva trascinato precedentemente.
Dopo pochi minuti se ne uscì fuori con un abbinamento tutto nuovo: pantalone nero in pelle e top giallo fluo con profondo scollo sul davanti.

«Un quattro e mezzo.» Dissi con ovvietà. Ero molto critica per quanto riguardava i vestiti, ma lo ero anche di più quando si trattava di un appuntamento. Per di più, un appuntamento con un figo come Enzo!
Questo abbinamento già era meglio, ma non aveva nulla di speciale. Indossava una canotta bianca e da sopra una gonna a vita alta nera che scendeva stretta fino alle ginocchia.

«Sei e mezzo.» Di questo passo non ce ne saremo più andate da quello stupido negozio.
«Devi provare tutto quello che hai adocchiato? Saranno più di una decina di completi!» Sbuffai da fuori il camerino. Quant’era cocciuta la mia amica! Chiusi gli occhi e sbuffai. Non mi rispose, ciò significava che saremo rimaste lì per molto tempo. Più tempo di quanto potessi immaginare.

Aprii la cartella dei messaggi: era intasata di sms. Mi cadde l’occhio su wathapp. Avevo diversi messaggi. Quando vidi un messaggio da parte di Damon, l’aprii immediatamente. Aveva risposto al mio messaggio vocale.
- Non chiuderti in te stessa. – Era la sua risposta. Sospirai e digitai la risposta.

- Perché passi il tempo dietro la porta della mia camera? Mai sentito parlare della privacy? – Premetti invio e aspettai una risposta che non tardò ad arrivare nel giro di poco tempo. Era online.

- E tu perché passi il tempo in camera tua piangendo? Mai sentito parlare di fratelli che si preoccupano per le loro sorelle? – Spalancai la bocca quando vidi la sua risposta. Tirare in ballo la faccenda tra fratelli non migliorava il mio umore, anzi lo peggiorava.
- Troppe domande, Damon… - Chiusi wathapps e alzai lo sguardo. Care era fuori dal camerino e mi sorrideva.
Questa volta era il turno di un vestitino azzurrino a balze con qualche pietruzza a decorarlo sul davanti. To’…Era accettabile, forse un po’ troppo infantile e bambinesco per via delle balze ma in sé per sé era guardabile.

«A questo ci sta un sette pieno.» Commentai ironica. Lei sbatté i piedi in  terra iniziando a borbottare. Stavo per consigliarle un vestito, ma il mio cellulare squillò.
Lo presi e vidi il numero: era uno Sconosciuto.

«Ritorno subito. Rispondo alla chiamata. Provati quello nel frattempo.» Le indicai un vestito che all’apparenza mi sembrava carino.
Lei annuì.
«Non te ne andare poi!» Mi rimbeccò entrando in camerino. Il cellulare squillava insistentemente e presa dalla curiosità risposi.
«Pronto?» Chiesi. Dall’altra parte del telefono si sentiva poco e niente. Solo un silenzio insopportabile.
- Con chi parlo? – La voce dall’altro capo era piuttosto ovattata. Mi innervosii maggiormente a quella domanda idiota.

«Mi hai chiamato tu perciò suppongo sia tu che mi dovresti dire con chi ho il piacere di parlare!» Sbottai infastidita. I giochetti mi davano fastidio, soprattutto se ero già nervosa di mio.

- Sbaglio o sei un po’ nervosetta tigre? – Commentò la voce. Ci misi veramente poco a fare due più due.
«Ian? Chi ti ha dato il mio numero?» Chiesi in quarta. Ero curiosa più che al massimo. Come faceva a conoscermi? Come aveva il mio numero di cellulare? Non mi ricordavo di averglielo lasciato.

- Un uccellino mi ha detto che hai qualche problema a sfogarti con le persone in questi giorni. – Sempre ironico e sempre più idiota. Era senza ombra di dubbio Ian.
«Come fai a sapere…Un momento, da dove mi stai chiamando? Potrei rintracciare il numero sai?» Dissi contenta di aver un asso nella manica. Lo sentii ridacchiare.

- Non ti scomodare, piccola. Sono in una cabina pubblica. Non sono così stupido come credi. – Stava ridendo. Di me. Ancora. Sbuffai, anche se tra me e me mi chiedevo dove arrivava l’astuzia di quello sconosciuto.

«Mm…Ora che hai finito di sghignazzare, potrei sapere il reale motivo della tua chiamata?» Fui concisa e veloce. Ero fuori il negozio e lanciai un’occhiata a Care. Si stava guardando allo specchio. Il vestito che le avevo consigliato le ingrossava i fianchi.

«Cosa ne pensi?» Mi chiese, alzando il tono di voce. Alzò così tanto il tono di voce che diverse persone nel negozio si girarono verso di noi.
Le indicai il telefonino e mostrai con le dita il numero tre. Lei mi annuì, prese un altro vestito ed entrò nuovamente nel camerino.
- Te l’ho detto. Un uccellino mi ha detto che hai problemi a sfogarti. E’ giusto? – Mi chiese. Chi poteva avergli detto una cosa simile? Forse Caroline sapeva chi era questo misterioso individuo?

«E tu cosa potresti fare per questo problema?» Feci ironica. Ridacchiò ancora.
- Potrei aiutarti. Cos’hai? -  Ci riflettei su prima di rispondere. Mi allontanai dal negozio e attraversai la strada. Di fronte a me c’era un piccolo parchetto, ci andavo spesso da bambina.
Non era cambiato di una virgola. Le altalene erano sempre lì, poco più lontano c’era lo scivolo su cui avevo fatto una delle mie migliori
cadute.

- Ti sei incantata? Dove ti trovi? – Mi chiese con una nota divertita nella finta voce. Alzai ancora gli occhi al cielo.
«Sono al parchetto vicino la via dei Fondatori. E’ un bel posto.» Dissi con nostalgia. Papà mi aveva portato lì fino ai dieci anni. Era da tempo che non mi fermavo ad osservarlo. M’immaginai una piccola Elena che scorrazzava di qua e di là con un giovane Giuseppe Salvatore a correrle dietro cercando di mantenere il passo.

- Scommetto che è un posto pieno di ricordi. – Disse. La nota ironica era sparita, lasciando spazio finalmente a un tono più serio. Quando si parlava di ricordi o di questioni familiari era sempre serio. Non amava scherzaci sopra per qualche ragione.
Dopotutto neanche io amavo parlare di me e della mia famiglia. Avevo avuto una bella infanzia, ma la mancanza di mamma la sentivo. La cosa che mi dava più fastidio però era la sua indifferenza.

«Oh, sì. Puoi dirlo forte…» Sussurrai. Attraversai la strada e mi avvicinai all’altalene. Mi sedetti su una di esse, che cigolò lentamente. Erano abbastanza resistenti e io non ero così pesante.
- Come io ho i miei ricordi, tu hai tuoi. – Mi fece notare. Sospirai. I suoi ricordi non erano come i miei. Io potevo rivivere quei momenti in qualsiasi istante se lo volessi…Lui, lui non poteva più passare del tempo con Katherine.

«Mi dispiace per lei. Veramente.» Dissi. Non disse niente. C’era solo un’assordante silenzio. Un silenzio frustante. Che mi dava al cervello. Che non riusciva a comunicarmi niente.
- Tranquilla. Lei è morta. Cosa posso farci io? – Usò l’ironia per mascherare la sua tristezza. Ogni volta che parlavo con lui mi sorprendevo di quanto fossimo simili. Sotto un certo punto di vista, entrambi preferivamo rimanere nell’ombra senza mostrarci troppo e mascheravamo la tristezza con altri sentimenti.

«So che ti senti in colpa. Non fingere.» Gli dissi. Non doveva fingere. Mi infastidiva. E come infastidiva me, forse anche Damon si infastidiva – per non dire incazzato – ogni volta che mi chiudevo in me stessa.
Perché ogni ragionamento che facevo doveva riportarmi sempre a Damon?
- Non fingo. Non con te. Non ne ho bisogno. Mi capisci, mi capisci anche per telefono, anche non sapendo il mio volto, anche non conoscendomi da molto tempo. – Disse calmo. Quella parole crearono in me diverse sensazioni: stupore, incredulità…E anche piacere. Come faceva a lasciarsi andare facilmente con me? Sembrava mi conoscesse da una vita, quando in realtà lo conoscevo a malapena da due mesi.

«E’ curioso come siamo riusciti ad abbattere i nostri problemi contando solo sulle nostre forze e sull’aiuto di un quasi sconosciuto.» Dissi, iniziando a dondolarmi pian piano sull’altalena. Il vento mi sferzava i capelli, sentivo il calore debole del sole scaldare la mie pelle. Stavo bene lì.

- Abbiamo un certo feeling. Cosa ci possiamo fare? – Ammiccò dal telefono e io mi ritrovai ad alzare gli occhi al cielo. Possibile che dovesse fare sempre così?
«Già…» Concordai con lui, soffocando una risata divertita.
- Non mi hai ancora detto il motivo per cui non ti sfoghi con le persone che ti vogliono bene. Le fai soffrire così, lo sai? – Disse. Cambiò tono di voce in poco tempo, dal tono adulatorio al tono serio e insopportabile. Il tono che non sopportavo, perché ogni volta che qualcuno
usava con me quel tono significava che avevo torto.

«Non posso avere i miei segreti?» Chiesi sulla difensiva. Sbuffò rumorosamente. Si susseguirono pochi istanti di silenzio che per me furono lunghi, troppo lunghi. Io sentivo solamente i rumori della strada. E basta.
Per un momento mi chiesi se mi avesse riattaccato in faccia. Solo il suo respiro pesante in certi punti mi faceva capire che lui era ancora lì.

- Puoi avere tutti i segreti che vuoi, questo non ti giustifica. Non puoi far soffrire le persone che tengono a te. – La voce ferma. Non ammetteva repliche. Volevo sapere come facesse a sapere tutto di me, ma evitai di chiederglielo almeno per ora. Non era il momento adatto. La situazione era delicata, eravamo entrambi su un filo di piombo e a breve saremo scoppiati chi per una ragione chi per un’altra.
Poteva cercare di ingannare chiunque, ma io capivo che non stava bene. Capivo dal suo finto tono di voce che non stava bene e che sarebbe scoppiato tra poco.

«Tu non sei da meno, però.» Dissi. «Il tuo silenzio è assordante. So perfettamente che il silenzio è silenzio, ma io nel tuo mutismo non riesco altro che a vedere e a sentire una persona che mi sta urlando di aiutarla! Peccato che tu sia troppo occupato a pensare a me che a farti aiutare!» Continuai alzando il tono di voce. Mi stavo leggermente scaldando, ma il suo tono di voce fermo mi aveva fatto salire il
sangue al cervello.

- Non ho bisogno del tuo aiuto! Sei tu che respingi le persone che ti amano, cazzo! - Anche il suo tono di voce si alzò leggermente. Sentii anche un tonfo sordo, forse aveva dato un pugno alla cabina telefonica o a qualcosa che gli era capitato sotto tiro.

«E tu respingi le persone che ti vogliono bene!» Replicai sempre più seccata. L’aria tese che avvertivo fu spezzata dalla sua risata.
- Piccolo avvertimento, Elena: nessuno mi vuole bene. – Quelle parole dette da lui con quella finta voce – anche se incrinata – faceva venire la pelle d’oca. Pensava che nessuno gli volesse bene?

- Nessuno mi ama. NES-SU-NO. Solo Katherine mi ha mai amato e se n’è andata! – Scoppiò. Ecco, ora era arrivato il momento dello sfogo di Ian.

«E io? Sarei lo scarto di Katherine? Che cazzo, Ian! Posso capire il tuo comportamento. Hai perso la persona che poteva essere l’amore della tua vita ma non puoi dirmi che solo lei ti ha amato. Io ti amo a modo mio. Non ti amo come amo Damon, ma ti amo. Ti amo come un fratello!» Mi dava alla testa il suo modo di fare. E sentendo le sue parole ero solo scoppiata.
Forse non lo potevo amare come Katherine, anzi ero sicura di non poterlo amare come lei…Ma l’amore c’era. Amore sotto diverse forme. L’amore per Stefan. Era amore fraterno, ma era sempre AMORE.

 - Chi è Damon? – Che razza di domanda era? Perché mi chiedeva di Damon? Rielaborai le parole dette e mi resi conto del grande passo falso che avevo fatto. Mi ero lasciata sfuggire il nome di mio fratello.
«Non conosco nessuno Damon.» Risposi cercando di mantenere la calma.
- Hai detto Damon. – Replicò.

«Ti vuoi appendere su un nome? Hai sentito solo il nome del mio discorso o forse il tuo cervellino è riuscito a comprendere qualcos’altro?» Gli chiesi più aggressiva. Seguì il silenzio. Perché non chiudevo la boccaccia che mi ritrovavo? Perché?
- Senti…Io non volevo dire…Come te lo spiego? – Parlava più a sé stesso che a me. Lo bloccai sul nascere anche se era divertente vedere Ian in netta difficoltà.

«Ogni persona ha un limite di sopportazione per tutto. E il tuo momento di sfogare tutto era arrivato…E sei semplicemente scoppiato. Sono contenta che tu ti sia sfogato con me.» Lo rassicurai.
- E tu vuoi finire come me? Vuoi finire sulla soglia della sopportazione per poi scoppiare? E se io non fossi lì quando scoppierai? – Mi chiese divertito. Rimasi senza parole. Giusta osservazione. Non riuscii neanche a rispondere, perché una Caroline arrabbiata veniva verso di me a grandi falcate.

«Mi hai mollato lì da sola per più di mezz’ora!» Strillò arrabbiata. Mi trattenni dal ridere. Avevo passato così tanto tempo a parlare con Ian? Non me n’ero resa conto a mia discolpa.
- Credo che la tua amica ti stia reclamando. – Commentò. Sorrisi e lanciai uno sguardo implorante a Caroline.
«Grazie, Ian. Ci sentiamo…» Chiusi il telefono e sfoggiai la mia espressione da cucciola bastonata.
«Ian? Chi è? Lo conosco? Oh, sì…Potrei organizzare un’uscita a quattro, magari Enzo sarà d’accordo…» Iniziò a blaterare sulle cose più stupide che potessi sentire. Partendo da un appuntamento a quattro fino ad arrivare al giorno del nostro matrimonio.
Wow, Caroline viaggiava di fantasia in maniera incredibile!

«Ehi, rallenta! E’ il tipo della biblioteca…Te ne ho parlato.» Le ricordai. Avevo accennato all’esistenza di una ragazzo sconosciuto della biblioteca.

«Biblioteca?» Mi chiese arricciando il naso.
«Sì. Viene anche al gruppo di supporto. Al primo incontro è arrivato in ritardo.» Provai a farla ricordare. La faccia che fece quando capì fu memorabile. Inizialmente era arrabbiata, poi l’arrabbiatura passò al fastidio…E infine si tramutò in dolcezza.
«Non ti fidare troppo. Non sai mai chi c’è dietro.» Scossi la testa rassegnata. Care sarebbe rimasta la mia amica iper protettiva per tutta la vita.

 
Alla fine Caroline non era riuscita a trovare niente d’interessante, ad eccezione di un vestito che avevamo trovato dopo non so quanti giri di negozi mi aveva costretto a girare. Ero sotto il portico di casa e io le stavo dando dei semplici consigli per la sua uscita. Speravo che tra quei due nascesse qualcosa ora. Lui inizialmente non mi era affatto simpatico, ma non era così malaccio una volta che lo conoscevi.

«Sei la migliore, ‘Lena!» Disse sorridendomi. Oh, lo sapevo. Quale ragazza accompagnava un’altra ragazza in giro per non so quanti negozi! Solo io potevo fare una cosa del genere per la mia migliore amica.

«A domani Caroline!» La salutai. Aprii la porta ed entrai. Mi chiusi alle spalle la porta e mi guardai attorno. Sospirai pesantemente e mi avviai verso le scale.
«Elena!» La voce di papà mi ridestò, perciò scesi i due gradini che avevo salito e mi avviai verso il salotto. Perché in salotto c’erano tutti?
E per tutti in tendevo papà, Damon e Stefan? Mi guardavano in tre modi diversi tra loro: papà mi fissava con pazienza e gentilezza, Stefan non mi aveva proprio degnato di uno sguardo e Damon aveva gli occhi che gli brillavano.

«Perché questa riunione di famiglia? Forse c’è qualche viaggio di cui non so niente?» Chiesi. La frecciatina era diretta a Damon. A quella parole, il corvino si sedette meglio sulla sedia e mi fissò interrogativa.
«Vorrei saperlo anch’io il perché di questa riunione. Manca solo la mamma.» Commentò acido Damon che teneva in mano un bicchierino di Bourbon.

«Non si può più parlare con i propri figli? Voglio capire cosa ci sta succedendo.» Disse papà sorridendo. Gli anni si facevano sentire, ma se li portava bene. Aveva sessant’anni ma ne dimostrava dieci di meno.
«Uhm…Cosa ci sta succedendo?» Gli chiesi sedendomi sul divano il più possibile lontano da Damon. Stefan posò finalmente lo sguardo su di me, era seduto sulla poltrona proprio di fronte al divano su cui ero seduta.
«Ah, ditemelo voi.» Disse papà alzando le spalle. «Non so cosa sia successo ma in pochi giorni è successo il finimondo.» Continuò con calma. Il finimondo? Né io né Stefan né Damon avevamo capito qualcosa di quello che ci aveva detto.

«Elena non ti ho mai vista così giù di morale…So che l’incidente di Matt ti ha portato a riflettere, ma questa tua tristezza mi fa sentire impotente.» Disse rivolgendosi per primo a me. «Per non parlare di Stefan, stai con la tua famiglia un giorno sì e un giorno no quando ci vorrai presentare questa famosa Lexi?» Chiese papà.
Damon sogghignò divertito.

«Già, Stefan. Presentaci questa famosa Lexi.» Intervenne con la sua ironia a doppio taglio. Aggrottai la fronte. Quei due non me la raccontavano giusta. Proprio NO.
«Damon tu non sei da meno. Ti sei chiuso in te stesso e non accenni a parlami. Sembra che tu sia ritornato in questa casa solo per chiarire con tua sorella. Io sono tuo padre.» Rimarcò seriamente.
«Oh, papà…Vedi se prima il problema era il rapporto distante che c’era tra Damon ed Elena, ora è molto intimo. Non ne hai idea.» Questo era un colpo basso. Un tiro mancino che da parte di Stefan non mi sarei mai aspettata.

«Almeno io parlo con mia sorella, tu non vuoi neanche ascoltare i suoi problemi.» Situazione imbarazzante. Mi sentivo fuori luogo. Perché facevano finta che non fossi lì presente?
«Non parlare di me in terza persona. Io sono qui.» Dissi scocciata, incrociando le braccia al petto infastidita. Sia Damon che Stefan portarono la loro attenzione su di me.

«Oh, be scusami se sto cercando di difenderti!» Ribatté seccato il corvino, posando il bicchiere – ormai vuoto – di Bourbon.
«So difendermi da sola.» Replicai. Con lui non riuscivo a non essere acida. L’idea che non mi avesse parlato del suo ritorno a Londra mi dava alla testa e questo suo modo di interagire con me – ovvero cercare di provocarmi – non migliorava le cose.

«Uhm…Finita la quiete? Siete già in alto mare sommersi di problemi?» Chiusi gli occhi infastidita. Perché Stefan tirava fuori il suo senso dell’umorismo nei momenti più sbagliati?!
«Stefan chiudi quella boccaccia, altrimenti vengo a chiudertela io a suon di pugni chiaro? Sai che lo faccio.» Commentò Damon alzando il tono di voce. Stef però non si diede per vinto, anzi la sua vena ironica sembrò rafforzarsi.

«Oh, andiamo ti sembro così idiota da credere alle tue finte minacce e alle tue bugie?» Replicò. Bugie? Forse bugia…Anzi, io non la chiamerei bugia la nostra…Piuttosto omettere una verità che poteva sconvolgere e ferire.
«Bugie? Non piangere sul latte versato. Quel che è successo è successo.» Strano ma vero: stavo difendendo Damon.
«Giusto dimenticavo l’avvocatessa di Damon. Ti sei rammollito? Forse l’amore fa male…» Lo canzonò Stefan. «Ah, no. Si dice che troppo amore uccide le persone.» Con quell’affermazione Damon scattò contro il fratello. Cosa aveva detto Stefan di così eclatante per farlo
scattare in quarta?

«Troppo amore uccide le persone, anche un pugno nel posto sbagliato uccide una persona. Vorresti provare?» Grugnì Damon.
«COSA VI STA SUCCEDENDO? Cos’è successo alla mia famiglia?» Urlò papà catturando l’attenzione di tutti e tre.
«Succede che tuo figlio è un grande coglione!» Sbottò Damon. Non capivo ancora perché era così arrabbiato. Non riuscivo a giustificarlo…Perché accanirsi in modo così brutale verso Stef? Aveva esagerato, ma non così tanto!

«Non usare queste parole in casa mia.» Sibilò duramente papà.
«Avrò preso questo gene da te.» Sputò con veleno Stefan. In che razza di famiglia mi ritrovavo? Mentre quelli si gridavano di tutto e di più io ero lì e li fissavo in silenzio.
«Stefan! Non eri tu quello più rispettoso della famiglia? Elena non era la più spensierata? Damon non era il più sfrontato? Che fine hanno fatto i miei figli?» Urlò.

Quella famiglia stava andando lentamente in pezzi. Io ero già frammentata di mio, Stefan e Damon si distruggevano a vicenda con queste battute insopportabili…E papà, invece, di preoccuparsi di noi e dei nostri sentimenti si preoccupava dell’apparenza della nostra famiglia.
«Che fine abbiamo fatto? Ce lo stai chiedendo? Stiamo crescendo. Questa famiglia è in completo fallimento e non ce la faccio più a sorridere e annuire a ogni stupidaggine che voi dite.» Urlai per attirare l’attenzione.

Tutti e tre gli uomini di casa si girarono verso di me e mi guardarono confusi.
«Questa famiglia perfetta è solo apparenza. Stiamo cadendo in pezzi e non possiamo farci niente.» Alzai le spalle e me ne andai via dal salotto.

E’ solo apparenza. Pensai tra me e me.
 
 
 
 
 



Grazie a Smolderina78, Dreamer_Vampire, NianDelLove, NikkiSomerhalder, Bae_01, Darla19, PrincessOfDarkeness90, Horse_ e Delena 223.
Vi giuro quando ho visto 9, sono caduta dalla sedia! SIETE LE MIGLIORI.
Grazie alle 56 persone che hanno inserito la storia tra le seguite.
Grazie alle 38 persone che l’hanno inserita tra le preferite.
Grazie alle 5 persone che l’hanno inserita tra le ricordate.
GRAZIE A TUTTI I LETTORI SILENZIOSI. SIETE MITICI.
 





Angolo dell’autrice:
Tadaaan! Sono qui, belle! Non vi libererete MAI di me!
E da quanto prospetto…ci sarà sicuramente il sequel, perciò mi dovrete sopportare per tanto – troppo – tempo!
Faccio così…Parlo prima del capitolo.
Elena versione tristezza mode ON. Povera…Molto amareggiata per Damon che ritornerà a Londra! Ovviamente, se volete uccidermi prima dovete trovarmi ;)
Non supererò mai la PLEC a cui vorrei regalare tanti kili di ciambelle così non mi separa più il Delena. Stupido Alaric (per chi avesse visto la puntata capirà) per gli altri I’M SORRY FOR THE SPOILER!
Comunque Care ritorna all’attacco più carica del solito. Bella la litigata tra lei e Damon, quei due sono il top. Peggio di Bonnie e Damon fra un po’ che sembrano finiti nello spot del mulino bianco in TVD -.-‘’ .-.
La chiacchierata Ian-Elena è bellissima. Ormai suppongo abbiate capito chi sia Ian perciò…Cosa ne pensate di quell’obbrobrio che dovrebbe essere una scena fondamentale della storia? Fondamentale perché Elena dice di amare Damon a IAN! *.* *-*
Impazzisco. Ritornando a fare i seri: per concludere il capitolo in bellezza ecco la riunione che definirei EPIC (citando lo Stelena di Caroline) della famiglia Salvatore.
Scusate per le parole scritte, ma quando ci vuole per me ci vuole. Stefan ha esagerata con la frase ‘troppo amore uccide le persone’ per me, anche se per Elena la reazione di Damon è esagerata. VOI COSA NE PENSATE?
Tenete ben a mente i litigi in famiglia Salvatore, perché sono piuttosto importante. Oh…Già che ci sono quante ragazza shippano fino alla morte la Enzoline? Io SI’ ^^ ^-^
Li amo. Almeno la Plec ha fatto qualcosa di buono almeno.
Diciamoci la verità: chi di voi non stava sbavando come un’ossessa mentre Enzo “parlava” con la strega portiera? Io ero nel pallone! :) ;)
Wow, l’angolo autrice mi è uscito proprio male HAHAAHAHAHAH.
Non ho veramente altro da dire, se non il fatto che siete troppo gentili e troppo lusinghiere. Vi adoro troppo, troppo TROPPO! 9 recensioni per me è un record e lo è ancora di più raggiungere a soli sedici capitoli quasi cento recensioni. Per me, il massimo sarebbe superare le 9 recensioni ma già ora sono ALLE STELLE.
QUINDI GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE. Oh, vi ho già detto grazie?
A prestissimo ragazze/i. Ci sentiamo alle recensioni,
Non ti scordar di me.

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Capitolo 17
*** Our love is the love that will consume us. ***


Capitolo diciassette.
Our love is the love that will consume us.
 
Era pomeriggio inoltrato. A Mystic Falls c’era un clima umidiccio che m’impediva di uscire fuori da casa mia.
Oh, sì…In quel momento avrei pagato oro per sfuggire da casa. Tra mio padre che provava a parlarci, tra Stefan e Damon che non facevano altro che mandarsi a quel paese a vicenda e Caroline che mi mandava cento messaggini al minuto per i consigli sul suo appuntamento con Enzo la situazione non era delle migliori!

Entrai in cucina. Ebbi quasi un deja-vu. Papà, Damon e Stefan. Stessa stanza. Oh cazzo. Ero fregata. Un’altra di riunione di famiglia? A distanza di due giorni? Non mi piaceva affatto questa novità.
Sbuffai e camminai fino al frigo. Presi del succo di frutta e ne versai un po’ nel bicchiere. Mi sedetti sul bancone della cucina e iniziai a sorseggiarlo lentamente spostando lo sguardo dai miei fratelli a papà.
«Potremo parlare civilmente?» Intervenne papà. Perché l’ultima volta non avevamo parlato? Altro che. Non avevamo fatto altro che parlare e parlare e ancora parlare! Meglio di così, cosa poteva desiderare?
«E di cosa? Di quanto Stefan sia ipocrita?» Chiese Damon con un sorrisetto insopportabile. Tutto quest’accanimento verso il fratello ancora non lo capivo.

«Sarà ipocrita ma almeno non è come te.» Sottolineai io dura. Damon strabuzzò gli occhi, mentre Stefan…imprecò sottovoce? Oh, andiamo! Sapevo che era incazzato con me per avergli nascosto tutta la storia tra e Damon ma non poteva appoggiarmi? L’avevo difeso!

«E io come sarei?» Chiese Damon alzandosi da sedere. Si avvicinò lentamente a me. Ma quant’era sexy la sua camminata?
«Insopportabile. Con problemi di grandezze. E bugiardo.» Dissi con un sorriso. Stef trattenne una risatina.
«Tu non ridere, idiota.» Sbottò duro Damon puntandogli il dito contro.
«Perché non ci facciamo una bella pizzata questa sera? Magari andiamo a Seattle, vorrei parlarvi…Non voglio la mia famiglia in pezzi.» Disse papà. Questa volta fui io a roteare gli occhi. Ancora con questa storia della famiglia felice? Ormai tutta Mystic Falls sapeva della situazione disastrosa dei Salvatore.
Tre figli viziati che hanno tutto con un padre assente. Ormai le persone mormoravo queste voci. Gente insopportabile con pregiudizi di cazzo.

«Se vuoi salvare le apparenze di una delle famiglie fondatori puoi rinunciarci. Io non voglio saperne niente.» Fui chiara e concisa. Anche se l’idea di passare un Sabato a casa non era più alettante di passarlo in pizzeria con papà e quei due trogloditi dei miei fratelli.
Care aveva il suo appuntamento ed era un fascio di nervi. Io patteggiavo per Enzo. Chiunque sia l’amico di letto era solo un lurido. Come potevi approfittarti di una ragazza innamorata di te solo per piacere? Solo una persona ridicola poteva comportarsi così.

«Io ho altro da fare per stasera…» Commentò acido Damon giocherellando con delle chiavi. Aveva altro da fare? Forse preparare le valigie per Londra? O magari prenotare un volo aereo?
«Io non ho programmi però m’inventerò qualcosa.» Dissi scendendo dal bancone della cucina. Il mio telefono iniziò a vibrare insistentemente. Perché Caroline mi stava chiamando? Fin’ora si era solo limitata ai dei banali messaggini.
Stavo per rispondere alla chiamata, ma il campanello della porta iniziò a suonare insistentemente. Sapendo che gli uomini di casa non si sarebbero mossi dalla cucina, chiusi la chiamata in faccia alla mia amica - l'avrei chiamata più tardi - e mi diressi verso la porta.
Aprii la porta e non riuscii a trattenere una risata sinceramente divertita. Avevo le lacrime agli occhi. Caroline era sull'uscio della porta con il cellulare in mano, un borsone a tracolla e i capelli sparati all'aria.

Wow...Nervosetta la ragazza? Era da secoli che non la vedevo così nervosa per un primo appuntamento. L'ultima volta risaliva a un po' di tempo fa, quando usciva con Stefan.
«Care...Come mai qui?» Chiesi cercando di smettere di ridere. Mi fulminò con lo sguardo, ma non mi rispose. Mi porse il cellulare con aria arrabbiata. Alzai gli occhi al cielo.

Afferrai il suo cellulare e vidi che c'era un messaggio da parte di Enzo. Dentro di me iniziai a sperare che quel deficiente non avesse veramente fatto quello che temevo: annullare l'appuntamento poche ora prima che incominci.
Aprii la casella e lessi il contenuto del messaggio.
Un mio amico ha bisogno di un po' di svago. E' un po' depresso in questi tempi. Che ne dici di portare un'amica? Un doppio appuntamento?

Avevo la bocca spalancata e il cuore che batteva velocemente. Non era venuta a casa mia per dirmi una cosa del genere...Vero? Non voleva veramente chiedermi ciò che sospettavo stesse pensando nella sua testolina bacata?

«Ti prego! E' urgente. E tu sei la prima a cui ho pensato.» Piagnucolò. Non risposi neanche, perché le arrivò un altro messaggio da parte di Enzo.
Non ti arrabbiare dolcezza. Vestiti carina ;)
Porsi il cellulare alla diretta interessata che si affrettò a rispondere.

«Potresti chiedere a Bonnie di accompagnarti!» Le proposi. Uscire con Enzo e un suo amico non faceva parte dei miei piani per quella sera. A pensarci bene non avevo proprio piani per stasera.
«Oh, no. Sei tu che mi accompagnerai. Tieni occupato l'amico di Enzo, okay?» Mi disse con aria minacciosa. Alzai un sopraciglio.
Cosa intendeva con 'tieni occupato l'amico di Enzo'? E poi chi era questo? Non sapevo neanche che faccia aveva.

«Non ti sto dicendo di farci chissà che...Solo di parlarci e di dargli una possibilità.» Continuò con tono più triste. Sapeva bene che non uscivo molto da quello che era successo a Matt.
Non era solo lui il motivo per cui non uscivo, semplicemente avevo perso la voglia di uscire. Non mi andava più. Avevo perso la voglia di fare un po' tutto, la mia mente era occupata da una sola parola: Londra.
Londra e Damon. Una combinazione orribile. Schifosa. Raccapricciante. E tutti gli aggettivi e gli epiteti peggiori che non mi venivano ora in mente!

«Dare una possibilità a chi?» Stefan era appena uscito dalla cucina e squadrava con circospezione sia me che Care. Da quando aveva scoperto il mio piccolo segreto qualsiasi cosa succedesse in casa riguardava - secondo lui - sempre me e Damon.
«A un amico. Entrambe abbiamo una vita sai?» Ribatté sulle sue Caroline. Quei due non li avrei mai capiti. Fino a pochi mesi fa era un tutt'uno, dove c'era uno c'era l'altro...Ora quasi non si parlavano più.
«Oh, la vita di Elena è molto complicata...Ma la tua? Non eri una ragazza ordinaria?» Frecciatina insopportabile diretta a me e frecciatina idiota a Caroline. La gelosia fa brutti scherzi.

«Lo ero. Si cambia vento, Stefan. Si cambiano le persone con cui stare.» Decretò infastidita con una scrollata di spalle.
Okay...Avevo perso qualcosa. Probabilmente una lite che Care non mi aveva raccontato.
«Su entra.» Le dissi facendo un cenno del capo. Caroline entrò in casa con passo sicuro e io chiusi la porta alle mie spalle.
«E' un sì quindi?» Mi chiese speranzosa. Come facevo a dirle di no se mi faceva quell'espressione da cucciolo bastonato che sfoggiava ogni volta voleva averla vinta su qualcosa? E soprattutto possibile che in più di quindici anni di amicizia, ancora cedevo a quella stupida espressione?
«Un sì a cosa?» Oh ma ero perseguitata dalla sfiga. Prima Stefan e la sua imboscata, poi Damon e la notizia del ritorno a Londra, Care con il suo doppio appuntamento e ora...Damon che spuntava all'improvviso?

«Usciamo con i nostri amici. Non si può più fare?» Chiesi con sarcasmo. Damon sollevò il labbro superiore, formando quel ghigno che mi piaceva da impazzire.
«Attenta a non bere troppo. Non vorrai finire come l'ultima volta, no?» Mi rispose con la sua insopportabile ironia. Aprii leggermente la bocca, pensando a cosa dire. Come aveva osato fare riferimento a quel disastroso weekend a New Orleans? Ero ubriaca marcia - era vero - ma era lui che aveva ceduto! Io non ero nel pieno controllo delle mie facoltà sia fisiche che mentali.

«Tranquillo questa volta concluderò qualcosa.» Ammiccai, presi per mano Caroline e salimmo su per le scale. Sapevo di averlo lasciato senza parole. E sorprendentemente mi ero lasciata da sola senza parole! Avevo seriamente detto che se mi fossi ubriacata non mi sarei limitata a quella bacetto con uno sconosciuto?
Oddio, stavo male.

«Okay...So che il vostro rapporto è peggiorato, perchè tu hai saputo che partirà per Londra. Ma questa battutina non l'ho capita.» Disse Caroline non appena era entrata in camera. Scossi la testa e aprii il mio armadio. Se dovevo passare una serata con questo ragazzo, tanto valeva sperare che fosse carino e che io fossi presentabile.
«Un riferimento al nostro viaggio a New Orleans. Niente di preoccupante.» La liquidai velocemente. Mi ricordai di non aver detto a papà della mia improvvisa uscita.
Uscii dalla camera con un 'vengo subito, Care' e scesi a due a due gli scalini della grande gradinata di casa Salvatore.

«Papà?» Chiesi con tono interrogativo entrando in cucina. Papà stava bevendo una tazza di tè fumante. Si girò verso di me e mi fece un sorriso tirato.
«Mi ritiro ufficialmente dalla riunione di famiglia. Ho un'uscita con Caroline.» Dissi girandomi di spalle per ritornare al più svelto dalla mia amica.
«Elena, potremo almeno parlare noi due come persone civili? Cosa ti succede? Sei così triste. Non c'è bisogno di fingere con me...Mostri un sorriso per evitare che altri possano accorgersi della tua tristezza.» Disse papà. Mi fermai sul posto, completamente raggelata dalla sua affermazione e mi girai verso di lui.

«Io sto benone. Veramente. E per quanto riguarda questa famiglia...» Incomincia. Lui sospirò. «Come ho già detto siamo alla deriva.» Finii sorridendogli timidamente.
Me ne andai da lì a passo mogio. Stefan era nero di rabbia per chissà quale motivo e Damon...Bho, Damon si era eclissato.
Stavo per dirigermi verso camera mia, ma due forti mani mi presero per il bacino. Qualcuno mi prese in braccio come se fossi un sacco di patate e ci misi veramente poco per realizzare chi fosse quest'individuo.

«Mettimi giù. Mettimi giù, Damon! Giuro che quando scendo...» Iniziai a scalciare, maledicendolo in tutte le lingue che conoscevo e definendolo con epiteti poco degni di una ragazza.
Mi mise giù e chiuse la porta alle sue spalle. Eravamo in bagno? Seriamente? Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi chiari e trasparenti, blu come il mare.
Ma non erano i soliti occhi a cui erano abituati, sembravano il mare in tempesta. Erano colmi di così tante emozioni che non riuscivo neanche io a definire.

«Non usciremo di qui fino a quando non mi dirai cosa ti sta succedendo.» Disse chiaro e tondo sedendosi comodamente sul tappeto e poggiando la schiena alla porta.
«Non mi sta succedendo niente. Ora fammi uscire o inizio ad urlare.» Replicai freddamente. L'avrei fatto. Avrei urlato con tutta la voce che avevo se fosse servito per farmi uscire da quel bagno con Damon dentro!
Stare lì con lui non faceva bene nè alla mia salute fisica nè alla mia salute mentale.

«Non riuscirai neanche a urlare una sillaba.» Commentò alzandosi lentamente. Solo a me sembrava che si stesse muovendo a rallentatore tipo scene dei film?
«Ah sì, e perchè?» Chiesi curiosa, avvicinandomi. Damon mi strinse a sé tenendomi per i fianchi. Stavo diventando rossa...Lo sentivo. Sentivo le guance andarmi in fiamme e il cuore aumentare le pulsazioni.
Oh, ma perché Damon Salvatore mi faceva quest'effetto?

«Tu prova ad urlare e ti bacio.» Disse serenamente. Pensava che avrei creduto a una cosa del genere? Che razza di minaccia era? Chiudi la bocca o ti bacio? Facevamo i seri?
Aprii la bocca per urlare ma le sue labbra catturarono le mie in un lungo e lento bacio, diverso dagli altri. Diverso perchè era più lento, meno urgente...Più calmo. Con meno passione ardente, con più amore.

«Mi mancava.» Sussurrò a un centimetro dalle mie labbra. Mi resi conto di essere ceduta di nuovo al suo fascino.
«Cosa?» Chiesi con respiro mozzato. Sapevo cosa intendeva, però volevo sentirglielo dire. Mi piaceva vedere la sua espressione confusa, mi piaceva vederlo in difficoltà. Mi piaceva e basta.
«Le tue labbra, i tuoi occhi, questo sorrisetto che ti spunta ogni volta che sto vicino a te, la tua parlantina accelerata. Mi mancavi anche se eravamo vicini.» Commentò divertito. Non era questa la risposta che mi aspettavo. Mi aspettavo più una risposta classica del tipo 'mi mancava baciarti'. Questa era la tipica risposta che avrebbe dato un donnaiolo come lui, mentre...questa volta aveva detto qualcosa di più
romantico. Di più...dolce.

E non mentiva. Non lo diceva solo perchè sapeva che volevo sentirmelo dire. Lo diceva perchè lo pensava veramente.
«Damon, fammi passare.» Suonava più come supplica che come minaccia, ma quegli occhi mare così fermi mi disabilitavano completamente. Perdevo completamente la cognizione del tempo e non riuscivo più a controbatterlo.

«Elena, parliamo. Se è per Stefan...» Non era per Stefan. Non era colpa di nessuno. Anzi, la colpa c'era ma non era nè mia nè di Stef. Era solamente sua. Era lui che voleva lasciarmi. Era lui che se ne voleva andare a Londra. Sbuffai cercando di calmarmi, non dovevo esplodere. Non potevo rovinare la serata alla mia amica.

«Non è per Stefan. Io voglio semplicemente...Voglio una vita normale.» Mi morsi la lingua dopo la grossa cazzata che avevo appena sparato. Lui aggrottò le sopraciglia. Forse non mi aveva creduto?
«E io non posso darti una vita normale?» Mi chiese prendendomi una mano. Ora il discorso si stava facendo più serio. Una vita normale?
Lui mi stava veramente dicendo che voleva darmi una vita normale? Eravamo un incesto. Era reato. Come faceva a non capirlo? «Noi
siamo un incesto, è reato...Non possiamo sposarci, non possiamo...Non possiamo e basta, Damon.» Fosse per me, manderei tutto all'aria. Potevo vivere con lui sempre e in qualsiasi istante basta che me lo avesse chiesto. Il punto era la sua bugia: non capivo perchè si ostinava a mantenermi segreta la sua partenza.

«Noi contro il mondo. Siamo noi contro tutti. Qual è il problema?» Disse alzando di poco il tono di voce. Chiusi gli occhi, cercando di trovare le parole giuste per fargli capire quello
che provavo.

«Damon tu sei...sei la luce che mi sveglia il mattino, fastidiosa ma meravigliosa. Sei la barca nel mare in tempesta. Sei fastidioso ed egoista. Sei...Sei tutto quello che non avrei mai desiderato in vita mia, eppure ora mi trovo qui con te alle prese con i miei sentimenti che mi logorano nel profondo.» Dissi con voce leggermente spezzata. Finalmente vidi la sua espressione cambiare. Era più serio e anche più distaccata. Il mio discorso lo aveva lasciato senza parole, forse l'aveva...Ferito?

«Ma siamo una bugia. Siamo la menzogna. E non voglio basare un rapporto nell'ombra. Non voglio che tu mi menta. Voglio solo la verità. C'è qualcosa che non mi hai detto?» Gli chiesi guardandolo intensamente negli occhi.
Il suo volto era rigido, ma gli occhi l'avevano tradito. Nei suoi occhi c'era tanta confusione. Troppa. C'era qualcosa. E quel qualcosa era Londra, probabilmente.
C'era qualcosa lì a Londra, qualcosa nella sua vecchia vita che non voleva dirmi. E io non ero nessuno per dirgli di raccontarmi i suoi segreti.

«Se la vedi così, non potremo mai stare insieme. E' questo che stai cercando di dirmi?» Esattamente. Anche se mi rivelasse la sua partenza, il problema non sarebbe risolto. Anche se decidesse di stare con me e di buttarsi quell'assurda decisione alle spalle, saremo punto e a capo.
«Io...» Volevo dirgli di sì, ma non potevo. Non potevo fare una cosa del genere a lui e a me. Ammettere a me stessa di non poter rinunciare a Damon sarebbe la mia condanna.

«Sei stata chiara, Elena. Cristallina.» Disse stringendomi a sè. Il mio respiro accelerò. Cosa voleva fare?
«Ma non ti ascolterò. Non ora. Non quando ho capito di provare qualcosa per una donna.» Soffiò lentamente sulle mie labbra. Uscì dalla porta lasciandomi lì da sola.
Presi un respiro di sollievo. Avevo avuta paura che mi dicesse di voler gettare tutto alle spalle.
Però non avevamo ancora chiarito. Avevamo fatto di tutto, ma non avevamo chiarito un bel niente.
Sbuffai e uscii dal bagno con un colorito più rosso. Entrai nella mia camera. Caroline aveva steso sul mio letto il suo vestito. Un momento...Perchè aveva portato tutto l'occorrente per prepararsi a casa mia? Io pensavo che se ne sarebbe andata!

«Rimani qui a prepararti per caso?» Le chiesi ironica. Lei mi fulminò con lo sguardo e iniziò a correre da un lato all'altro della stanza alla ricerca di chissà cosa. Osservai il suo vestito. Una meraviglia.
Era un vestito particolare, la scollatura a cuore lasciava intravedere le sue forme. Scendeva morbido sui fianchi e lasciava la schiena scoperta. La cosa che mi piaceva di più era il suo colore: un bel corallo che s'intonava perfettamente agli occhi chiari della mia amica.

«Da dove hai preso questo vestito? Non mi ricordo di avertelo consegnato e approvato!» Dissi guardandola arcigna. Caroline si girò verso di me e alzò le spalle divertita.
«Mentre tu eri al telefono col tuo amico, io ho trovato l'abito adatto.» Commentò. Io mi avvicinai all'armadio e iniziai a frugare tra i vestiti. Non avevo proprio intenzione di spendere tanto tempo per prepararmi per un perfetto sconosciuto.
«E' almeno simpatico?» Le chiesi implorante. Un tipo come Enzo non poteva non avere degli amici interessanti giusto?
 

Ero fuori dalla macchina di Caroline e ancora non credevo che avevo veramente fatto una stronzata del genere. Tutti mi sarei aspettata ma di accompagnare Caroline ad un appuntamento come sostenitrice morale proprio no!
Alla fine, però, aveva veramente ragione su una cosa: quell'abito le stava una favola! Era stretto nei punti giusti ma non troppo, i capelli biondi risaltavano come piccoli brillanti e gli occhi s'intonavano perfettamente alla sfumatura corallo della gonna del vestito.

Sospirai pesantemente e presi dalla mia pochette il cellulare. Il ragazzo con l'amico ancora non si faceva vedere.
Io avevo optato per qualcosa di diverso. Niente vestiti troppo eleganti o troppo ingombranti. Avevo optato per un completo gonna e vestito. La gonna scendeva con delle svasature fino alle cosce di un bel viola e la maglietta - da dentro - era nera con una semplice stampa. Ai piedi degli anonimi stivaletti neri.
Niente vestiti scollati, né collane o gioielli. Tuttavia quell'outfits era perfetto per un appuntamento non troppo importante - almeno per me, per Care quell'appuntamento era la sua strada di fuga dall'ossessione dal suo amico di letto -.

«Non ti ringrazierò mai abbastanza.» Mi disse ancora Caroline. Mi stava dicendo quella frase da quando avevamo iniziato a prepararci. E io ogni volta rispondevo la stessa cosa.
«Meglio per te che l'amico di Enzo sia un bel tipo.» Ripetei ancora per la centoquarantesima volta più o meno. Giocherellavo col mio Iphone e accidentalmente aprii il contatto di Damon. Era uscito poco prima di me. Non l'avevo neanche incrociato, l'ho sentito semplicemente avvertire papà sul fatto che usciva.

Chissà dov'era e soprattutto con chi era.
Chiusi il telefono solamente quando Care mi diede una gomitata, segno che probabilmente stavano arrivando. In realtà davanti a noi c'era solo Enzo.

Giuro che se era una balla, la uccido. Pensai sforzando un sorriso per non nascondere il mio sgomento vedendo il ragazzo da solo.
«Splendida.» Commentò, facendo il baciamano a Caroline. Come poteva pensare solamente di 'dare un'opportunità' a quel figo da paura?
«Oh, hai portato lei?» Disse non appena notò la mia presenza. Stavo per rispondergli per le rime - pensava che non fossi l'amica giusta da portare con sé? Ero io la sua migliore amica - ma Care s'indispettì e s'irrigidì, forse più di me.
«E' la mia migliore amica, Enzo. Se non ti sta bene la sua presenza ce ne andiamo.» Commentò risoluta. Sorrisi quando vidi l'espressione del ragazzo addolcirsi. Era andato completamente per Caroline.

«Non intendevo questo, dolcezza.» Commentò divertito. Abbassai di poco lo sguardo e quando lo rialzai pensai di aver avuto una tremenda allucinazione. Non poteva essere vero.
Vi prego tutto, ma non questo. Avevo veramente così tanta sfiga? O forse era il destino che giocava le sue carte in nostro favore?
L'amico di Enzo era Damon!?

«Cosa ci fai lui qui?» Partì subito in quarta Caroline. Io ero ancora immobile, fissava un punto indefinito attorno a noi e carburavo quello che stava succedendo in quell'istante.
«Cosa ci fa lei qui?» Ripeté Damon indicando me. Il suo tono era sorpreso. Neanche lui sapeva che qui ci sarei stata io?
Sorrisi quando capii che sia Enzo che Caroline volevano appiopparci qualcuno. Peccato che mi avevano appioppato mio fratello!
Fratello di cui sei completamente e incondizionatamente innamorata? Continuò la mia coscienza che si faceva viva nei momenti meno opportuni.

Io presi qualche secondo per ammirare Damon. Cavolo, si era messo in tiro! Jeans, camicia nera con i primi bottoni aperti e delle scarpe eleganti in cuoio.
«La domanda giusta è un'altra. Cosa ci facciamo noi due qui, se l'appuntamento è il vostro?» Chiesi io, girandomi verso la bionda e il moro. I due si scambiarono due sguardi confusi e incrociarono le braccia.
«Cosa ne potevo sapere che avrebbe portato tuo fratello?» Mi chiese con stizza. Mi ricordai anche che Enzo sapeva che io e Damon fossimo fidanzati, ma lui non sembrò affatto sorpreso dalle parole della mia amica.

«Non credo che dispiacerà a Damon, dopotutto voi non dovevate...rafforzare il vostro rapporto?» Ammiccò Enzo verso Damon. Solo a me la frase sembrava piuttosto maliziosa e con un senso piuttosto perverso?
«Credo proprio che sarà una lunga serata.» Commentai avviandomi verso l'entrata del pub. Fa che questa serata sia più breve di come immagini.
 

Come non detto. Erano le dieci e stavamo ancora sorseggiando dei liquori. Damon ovviamente sorseggiava il suo amato Bourbon, Enzo si limitava a qualche sorsata dal bicchiere di Care e io qualcosa di leggero.
Non era la serata per ubriacarsi. Dovevo assicurarmi che Enzo non facesse stupidaggini con la mia migliore amica e non volevo finire male con Damon. Io da ubriaca col corvino poteva finire solo in un modo: male, molto male.

«Quei due ci hanno imbrogliato, eh?» Mi chiese Damon sedendosi accanto a me. Prima era seduto di fronte e mi squadrava con attenzione, ora invece sedeva pericolosamente vicino a me e la mia gamba sfiorava la sua. Già quel contatto mi mandava in tilt.
Nel pub ormai pochi erano ancora lucidi e sobri. Molti ragazzi erano con le loro fidanzate, certe ragazze ballavano sui cubi completamente sbronze...Chi più ne ha, più ne metta. La prima parte della serata - quella in cui siamo andati a mangiarci qualcosa al ristorante del pub - era andata meglio di quanto mi aspettassi, ora c'era la parte peggiore: cercare di rimanere sobri. Una di noi due doveva pur sempre guidare.

Sapendo che Caroline non sarebbe rimasta sobria ancora a lungo, per quella sera dovevo fare io l'adulta responsabile.
«Lei mi ha incastrato. Non sarei mai venuta qui. Uhm...Vedere la propria migliore amica pomiciare con qualcuno non è un bello spettacolo sai?» Scoppiammo entrambi e ridere. Mi girai e vidi che quei due erano già spariti.
Scorsi la testa bionda di Caroline in mezzo alla pista con un Enzo che la teneva salda per i fianchi. Le note della canzone erano metallare, ma quei due formavano un'atmosfera a sè. Ballavano uno vicino all'altro, senza ricadere nel volgare parlando come se stessero a casa loro. Scossi la testa divertita.

«Sono belli non trovi?» Mi chiese Damon risvegliandomi dai miei pensieri. Stranamente, sì. Approvavo questa nuova coppia, eppure ero sempre stata molto critica nei confronti dei ragazzi della mia amica.

«Sono in sintonia.» Risposi, poggiando il bicchierino sul tavolo e accavallando le gambe. Damon non mi rispose, bevve ancora del Bourbon e si leccò lentamente le labbra. Lo stava facendo apposta? O forse era sempre così sexy e me ne accorgevo solo ora?
O - l'ipotesi più credibile per me - l'alcool mi stava appannando la vista e io me ne stavo completamente uscendo di testa?
«Non balli?» Cercò di attaccare bottone Damon. Sbuffai. Non avevo voglia di ballare, non avevo proprio voglia di stare lì in quel momento. Fare l'amica mi andava bene, ma rimanere lì da sola come un'idiota a fissare quei due rendendomi conto di quanto volessi stare lì con Damon come una coppia normale non era il massimo delle mie aspirazione per un Sabato sera.

«Okay...Ho capito. Siamo i due amici spalla di quei due...Ma ora non hanno più bisogno di noi, giusto?» Mi fece notare. Abbassai leggermente la testa e annuii convinta.
«Su, dai. Ti porto in un posto.» Decretò alzandosi da sedere. Ero tentata di seguirlo, ma non potevo lasciare Caroline. Questa scena mi era già familiare e non volevo ripetere il finale.

Damon probabilmente capì cosa stesse passando per la mia mente, poiché sospirò e si sedette vicino a me nuovamente.
«Non ci succederà niente. Io sono completamente sobrio. Guido piano...Ed Enzo potrebbe riaccompagnare Barbie a casa sua.» Disse fissandomi. Sapevo perfettamente che lui non era Matt, ma non potevo lasciare lì Caroline...Mi aveva pregato per stare lì con lei, che figura facevo se me ne andavo dal pub per seguire mio fratello chissà dove?

«Su, vieni. Lascio un messaggio a Enzo.» Continuò ad insistere. «Oh, ma andiamo! Stanno appiccicati! Di sicuro non ritornerà a casa sua per stasera!» Commentò divertito. Mi alzai e mi accertai che Damon scrivesse il messaggio ad Enzo.
Mi allontanai da lì solamente quando vidi che l'aveva effettivamente mandato.
«Sentiamo...Ora dove mi porti? La notte è giovane!» Dissi alzando le braccia al cielo con aria teatrale. Damon sogghignò e scosse la testa.

«Segreto, piccola. Guido io.» Ammiccò ed entrò in macchina. Mi sedetti sul posto da passeggero e mi allacciai la cintura. Mantenni stretta la presa intorno allo sportello e guardavo fisso la strada.
Dal brutto incidente facevo fatica a stare per molto tempo in macchina. Le immagini di Matt si susseguivano sempre nella mia mente e
non potevo farci nulla.

«Elena...» Sussurrò con molta calma il mio nome. Aveva la mano sul cambio automatico e mi guardava con aria comprensiva. Feci così la cosa che mi avrebbe calmato in un momento del genere, misi la mia mano sulla sua e la strinsi.
«Lo so...» Non conclusi neanche la frase, tanto sapevo che aveva capito. Io sapevo che lui non era Matt, sapevo che non sarebbe morto, sapevo che tutte le mie paranoie si sarebbero eclissate nel momento in cui avrebbe fermato la macchina.
Mi resi conto che stava guidando verso il ponte di Wickery Bridge che portava verso l'Old Wood. Perchè stavamo andando lì? C'era
qualcosa di speciale?

In tutti i casi non feci domande, doveva rimanere concentrato sulla guida. Damon rimase sempre calmo e io mi rilassavo sempre più. Se era calmo lui che era alla guida, perchè non dovevo esserlo io?
Dall'incidente di Matt non avevo più guidato. Avevo tassativamente deciso di non guidare più la macchina e se potevo evitavo di salire anche a bordo del passeggero.

«Siamo quasi arrivati.» Mi avvertì svoltando verso destra. L'Old Wood di notte era molto inquietante, si vedeva poco e niente. Eravamo circondati da alberi, la stradina era piccola e dissestata e la paura non faceva che aumentare sempre in più. Mi guardavo attorno alla ricerca di qualcosa che mi avrebbe potuto calmare...Magari un palo della luce, una cabina telefonica...Qualcosa che mi avrebbe potuto aiutare in caso di necessità.

«Vengo qui spesso. Tranquilla.» Mi rassicurò. Spense il motore e scese dalla macchina. Lo seguii in silenzio e mi resi conto che quel posto era il posto della mia infanzia. Perchè mi aveva portato lì? E sopratutto come faceva a sapere che lì andavo da bambina?
«E' la vecchia fattoria dei Salvatore...» Sussurrai con gli occhi sbarrati. Non venivo più qui da quando avevo dieci anni. Papà mi portava spesso con Stefan, passavamo anche gli interi weekend lì a giocare.
«Come facevi a sapere che questo posto...» E' il luogo della tua infanzia? Continuò la mia coscienza. Ero così sorpresa che non riuscivo a
continuare la frase.

«Non ricordi che sono nato prima di te?» Mi chiese allontanandosi da me per avvicinarsi al vecchio pickup di papà. Era fermo lì da anni, nessuno più lo guidava.
Damon si sedette sul cofano e mi fece cenno di avvicinarmi. Guardai prima il cofano e poi lui, feci passare lo sguardo più volte dalla macchina a mio fratello e alla fine salii anch'io.
«E' un bello spettacolo, vero?» Mi chiese. Le stelle. SI vedevano chiaramente e brillavano in cielo. Certe stelle brillavano di più di altre, ma
non era questo l'importante. Era l'effetto che insieme creavano.

Uno spettacolo che lasciava senza parole. Esistevano ancora dei posti come questi in natura? Non più. Dove potevi osservare il cielo pieno di stelle? Da nessuna parte. Solo in piccoli luoghi di paradiso come questi la fauna e la flora rimaneva incontaminata.
Se solo Mystic Falls avesse più cura dei suoi beni. L'Old Wood potrebbe diventare anche zona protetta.

«E' magnifico. Ti lascia senza parole...Tu sei già venuto qui?» Gli chiesi. Damon sorrise. Uno di quei sorrisi nostalgici e tristi che solo a vederli ti facevano venire un nodo allo stomaco.
«Ero piccolo. Quanti anni avevo? Tre anni forse? Mi ricordo di questo luogo solo perchè l'ho visto in foto più volte. E quando ero a Londra, ho pensato che se un giorno fossi ritornato qui dovevo ritrovarlo.» Sospirò. Era un nuovo lato di Damon, un lato nuovo...Un lato che mi
piaceva. Mi piaceva come il suo lato scorbutico, come il suo lato stronzo...

Ti piace lui e basta? Su, svegliati! Mi prese in giro la mia coscienza.
«Come l'hai ritrovato?» Gli chiesi curiosa.
«Appena sono arrivato qui. Ho preso il volo precedente apposta. Volevo trovare questo luogo e illudermi che la nostra famiglia sia sempre la stessa. Ma evidentemente non è così.» In fondo sapevo che era legato alla famiglia. Voleva far credere a papà, o a me e Stefan che non gliene importava niente di noi...Ma non era così. Altrimenti non sarebbe qui.

«Erano bei tempi.» Non mi ricordavo molto di mia madre, a dire il vero l'ultima foto che avevo visto risaliva a molto tempo fa. Sospirai.
«So che vorresti vederla.» Proruppe Damon ad un certo punto. Aggrottai le sopraciglia e lo invitai a continuare con un cenno. «Nostra madre intendo. So che vorresti rivederla, anche solo per...per urlarle contro qualcosa.» Era la prima persona che mi parlava di mamma. Be'...Mamma era una parola grossa. Lei per me era una sconosciuta. Non avevo mai voluta sentirla, anche se mi chiamava spesso e quando avevo compiuto diciotto anni mi ero completamente rifiutata di sentirla ancora.

Non avevo digerito il fatto che avesse portato via solo Damon. Non che io volevo lasciare papà, ma se Damon era stato lontano da me per così tanto tempo la colpa era sua. Sua e anche di mio fratello.
Entrambi avevano ignorato sia me che Stefan. Però Damon ora stava cercando di migliorare, mentre lei...lei continuava la sua vita perfetta
lontana da qui e lontana da noi.

«Hai mai pensato di voler ritornare a Londra?» Chiesi con voce sottile. Damon si poggiò sui gomiti e mi squadrò per bene. Gli era sembrata davvero così strana come domanda?
«Mm...Non ci ho mai pensato...» Farfugliò. Deglutii e mi feci coraggio. Dovevo affrontare la verità dura e cruda, così come si presentava.
«Ti ho sentito parlare con Stefan...» Dissi. Mi guardò confuso e mi resi conto di esser stata un po' troppo generica. «...la sera in cui ha
scoperto di noi. Ho sentito del tuo ritorno a Londra, quanto tempo avresti aspettato a dirmelo?» Gli chiesi ancora. La sua bocca si schiuse
e s'inumidì le labbra. Sospirai aspettando una risposta.

Mi ero rovinata la serata che si stava prospettando perfetta, ma non potevo rimanere con quel groppo in gola per molto.
«Te l'avrei detto.» Replicò duro. Quelle parole mi fecero saltare su tutte le furie. Me l'avrebbe detto?
«Tu mi dici che mi avresti detto del tuo ritorno a Londra? Ne parli come se fossi una sconosciuta? Dopo quello che sta succedendo tra noi, tu non ti preoccupi neanche di parlarmi? Che razza di persona sei?» Gli urlai scendendo dal cofano della macchina. Damon mi squadrò con attenzione e rifletté su cosa dirmi.

«Elena, dove vai?» Mi fermò per un polso, ma mi divincolai dalla sua stretta.
«Non mi toccare! Sei sempre il solito bastardo egoista che pensa solo a sé!» Gli urlai. Il cielo che prima sembrava sereno fu squarciato da un lampo. Sarebbe incominciato a piovere da un momento all'altro.
«Sarei un bastardo egoista, eh? Io? Sono ritornato qui per te. Volevo aggiustare il nostro rapporto. Pensavo di trovarmi davanti una
ragazzina capricciosa...» Sgranai gli occhi e la bocca quando sentii le sue parole. Pensava di trovarsi davanti ad una mociosetta?

«E poi? Poi cosa, Damon?» Lo incoraggiai. Mi girai di spalle e iniziai ad accelerare il passo per raggiungere la macchina.
«Poi mi sono trovato davanti ad una donna. Una donna dagli occhi color cioccolato e dal sorriso magnetico.» Continuò. Non mi girai, sospirai soltanto e continuai a camminare.

«Io invece pensavo fossi cambiato!» Urlai. Nessuna risposta. A passo più lento mi avviai verso la macchina.
Dietro di me iniziai a sentire dei passi che si facevano sempre più veloci, fino a quando due forti mani non si posarono sui miei fianchi.
«Sparisci!» Gli ordinai cercando di trattenere le lacrime. Damon scosse la testa, mi superò e si mise davanti a me.
«No. Ora mi ascolterai.» Disse, lasciando la presa sui miei fianchi e facendo qualche passo all'indietro per allontanarsi da me.

«Non avrei mai immaginato di venire qui e di ritrovarmi te come sorella. T'immaginavo diversa, t'immaginavo più...bambina.» Fece un passo verso di me, mentre io indietreggiavo di uno. «All'inizio volevo andarmene da qui, poi ti ho conosciuto. E ti ho conosciuto non come mia sorella, ma come una normale ragazza che mi odiava.» Continuò. A ogni frase corrispondeva un passo suo in avanti e uno mio
indietro.

«Ti vedevo così fragile all'esterno, eppure sei così forte. Sei una stramaledetta stronza. Mi fai impazzire. Mi fai uscire fuori dai gangheri. E non solo ora, mi facevi questo effetto anche due mesi fa.» Le sue parole erano quasi musica che nella mia mente si ripeteva come una cantilena. Come una dolce melodia. Come lo scampanellio delle campane.

«Cazzo, non puoi immaginare quanto mi sia incazzato quando ho capito che provavo qualcosa per te. Ero così frustato, perchè l'unica mia chance di ritornare ad amare era andata in fumo.» Mi urlò. La sua unica chance di ritornare ad amare ero io? Sentivo le farfalle nello stomaco.
Come potevo odiare ed amare una persona allo stesso tempo? Come si poteva essere così dipendenti da una persona che odiavi
intensamente fino a pochi mesi fa?

«Quando ho saputo che anche tu provavi qualcosa, qualcosa che non l'odio...mi sono sentito diverso. Tu mi hai reso vivo. Cazzo, e sarò anche stronzo e bastardo...Ma questo stronzo ti sta amando. Ti sta amando sul serio!» Gridò. Un altro lampo squarciò il cielo. Piccole goccioline di pioggia iniziarono a bagnarci ma non ci facemmo caso.
Io ero completamente persa nei suoi occhi. Occhi color mare. Occhi in cui potevo affogare. Mi aveva detto che mi amava. Era tutto sparito.
Era tutto sparito.

La pioggia non c'era, come noi non eravamo bagnati, come le stelle erano sparite...Come se tutto quanto intorno a noi fosse completamente svanito nel nulla.
«Perchè allora mi fai soffrire così? Perchè mi dici così se vuoi andartene a Londra e lasciarmi qui?» Gli gridai in faccia. Ero appoggiata alla macchina e lui mi teneva debolmente per le spalle.

«Partirò per Londra tra poco, sì, ma ci andrò solamente per pochi giorni e voglio che tu venga con me.» Sussurrò a pochi centimetri dalle mie labbra.
Spalancai la bocca e il mio cuore fece quattro capriole. Voleva che io venissi con lui a Londra? Anche solo per pochi giorni?

«Io...» Iniziai a balbettare frasi diverse e sconesse tra di loro. Tutto pensavo ma mai e poi mai avrei immaginato una proposta del genere da parte di Damon.

«Non dire niente.» Fece combaciare le nostre labbra e non riuscii più a ribattere. Non potevo farci niente. Lo amavo. Lo amavo in un modo tanto strano e perverso che non era legale, ma non potevo farci niente.
Ci stavamo baciando sul cofano di una macchina, dopo esserci insultati e successivamente dichiarati...Non mi sarei mai immaginata un amore così, eppure non l'avrei cambiato per nulla al mondo.

Il nostro è un amore che ci consumerà.
 
 
 
 
 




 
Grazie a NikkiSomerhalder, PrincessOfDarkness90, Bea_01, VampireDreamer e Smolderina78.
Grazie alle 39 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le 59 che l'hanno inserita nella seguite e le 5 che l'hanno inserita nelle ricordate.
Ah, grazie per il traguarda che mi avete fatto raggiungere: per me 100 recensioni per soli 16 capitoli è un record.
E infine un grazie a tutti i lettori silenziosi. VI AMO.
 
 
Angolo di non ti scordar di me:
Capitolo di tredici pagine di word. Amatemi! ^-^ Okay...Vi dico che se il capitolo vi fa schifo non è colpa mia ma del mio piccolo e momentaneo blocco che è durato pochi giorni. In breve: so cosa scrivere, ma non riesco a buttarlo giù carta e penna. Fino a oggi. Quindi questo capitolo è il lavoro di più o meno sei ore di lavoro ininterrotto al computer.
Con questo giro di parole voglio scusarmi per eventuali errori, che correggerò tutti dal primo all'ultimo quando la storia sarà completa!
Finito il mio preambolo, passo al capitolo.
Oh...Non c'è molto da dire se non: NON STATE SCLERANDO COME MATTE? IO SI'! *-* Giuro non immaginavo di scrivere un Delena Rain Kiss...A dir la verità non mi sarei mai immaginata di scrivere sul Delena, perciò tutto può succedere ^-^
Cosa ne pensate? Ovvio spero mi perdoniate il linguaggio colorito, però...Voi vi immaginereste Damon Salvatore elegante e romantico farvi una bella dichiarazione d'more tipo scene da film rosa? IO NO. Ed è proprio per questo che ho improvvisato questa dichiarazione che forse fa acqua da tutti i pori! XDXDXD
Parto dal finale perchè è la parte che mi è piaciuta di più. Poi saliamo con l'Enzoline! Quante fan di questa nuova ship ci sono? IO SONO COMPLETAMENTE ANDATA PER QUEI DUE. Sono l'amore! *-*
Be'...Ho veramente finito.
Però spreco due paroline sulla puntata: sono solo io che non ci sta capendo niente? Ho poche teorie e sospetto che Sarah (che odio ^-^) sia imparentata con la mia amata Bonnie. Voi che ne pensate? Per chi non avesse visto la puntata SORRY FOR THE SPOILER. Do per scontato che fino a sabato abbiate avuto l'opportunità di vedere la puntata.
Ho concluso veramente, ci sentiamo alle recensioni!
PS. GRAZIE ANCORA.
Non ti scordar di me.

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Capitolo 18
*** Dream of Elena. ***


Capitolo diciotto.
Dream of Elena
 
Quale immane stronzata stavo per fare? Ah, già…Stavo per scendere da un aereo che mi portava dritto dritto verso casa di mamma a Londra, una città oltreoceano che fin’ora non avevo mai voluto vedere. Possibile che mi ero lasciata convincere così facilmente?
Non mi sarei mai scordata la faccia di Stefan e papà alla mia richiesta.

Mangiucchiavo controvoglia il cibo che avevo nel piatto e lanciavo sguardi fugaci a Damon che si divertiva a mettermi in imbarazzo. Avevo deciso di andare pochi giorni con lui a Londra, sia perché lui me l’aveva chiesto sia perché…volevo chiarire con mamma. Damon aveva ragione. Non la vedevo da anni e la sua indifferenza mi faceva male, ma non davo a notarlo. Tutto l’odio che esternavo per Damon, preferivo non mostrarlo per la donna che mi aveva messa al mondo.

«Voglio andare da mamma.» Proruppi improvvisamente, posando la forchettata di pasta sul piatto. Damon non fece una piega, anzi mi guardò sorpreso e con un pizzico di ammirazione nello sguardo. Pensava che non avrei accettato.
Stefan mi guardò a bocca aperta, ma non disse nulla. Papà stava mangiando un pezzo di pane, che gli andò di traverso quando sentì la notizia.

Iniziò a tossire e poi bevve un po’ d’acqua. Era diventato bianco come un lenzuolo. Perché suonava così strana come richiesta?
«Co-come mai? Fin’ora non avevi…non volevi parlarle…» Balbettò papà sorridendomi timidamente e pulendosi gli angoli della bocca col tovagliolo.

«Lo so, ma una persona…» Soffermai il mio sguardo poco più del dovuto sulla figura di Damon seduta accanto a me. «Mi ha fatto capire che voglio parlarle…Entrambe abbiamo fatto degli errori giusto? Lei è stata poco presente per i primi dieci anni della mia vita e io non ho voluto provare a ricucire il rapporto con lei nel corso di questi ultimi.» Continuai innocentemente.
Era la prima volta che parlavo di mamma in modo così pacato senza uscire fuori dai gangheri. Guardai negli occhi papà. Era
spaventato, glielo si leggeva in faccia. Forse…aveva paura che preferissi rimanere con mia madre che con lui?


«Si tratta di pochi giorni. Mamma ha insistito a lungo per questo viaggio, ogni volta che le parlavo mi chiedeva sempre se le avessi consegnato quel volo aereo...ho solo avuto ora l’opportunità di dirglielo.» Intervenne Damon. Da sotto il tavolo, posò la sua mano sulla mia coscia. Quel contatto non faceva per me, mi mandava in tilt. Iniziai a diventare rossa quando iniziò ad accarezzare l’interno coscia.

«Tesoro, stai bene? Ti vedo accaldata.» Mi fece notare papà che aveva riacquistato un colorito meno cadaverico. Diedi un leggero calcio alla gamba di Damon per fargli capire di smetterla. Recepì immediatamente il messaggio, ma non spostò la mano dalla coscia. In fondo, mi infondeva coraggio quel piccolo contatto.

«Starò meglio quando mi darai il permesso di volare a Londra.» Cercai d’insistere. «Stefan già lo sapeva...Non credo che tu eri l’unico a non saperlo.» Gli feci notare, incrociando le braccia sotto al seno. Papà sospirò pesantemente, mentre Stefan aggrottò le sopraciglia probabilmente pensando a come facessi a sapere di quel piccolo dettaglio.

«Lo sapevo. Damon me ne aveva parlato, solo non immaginavo che…che tu accettassi.» Dissi incerto. Gli sorrisi speranzosa. Il suo sguardo si addolcì.
«Sarà un’opportunità per aggiustare il rapporto con tua madre…» Sussurrò, versandosi un altro bicchiere d’acqua. «E va bene, mi hai convinto!» Tuonò infine.

Dov’era tutta la mia convinzione? Mi aveva abbandonato nel momento in cui l’aereo stava atterrando. Nel momento in cui realizzai di trovarmi in Europa e non più sul suolo americano che mi era tanto familiare.
Deglutii e rimasi ferma ancora pochi secondi, mentre Damon mi guardava divertito. Si era già slacciato la cintura e si affrettò a prendere i bagagli a mano.

Perché non avevo seguito il consiglio di papà che mi aveva dato prima di partire?
Il nostro volo partiva tra un’oretta circa, ma papà e Stefan erano più impauriti di quanto immaginassi. Erano sempre alle calcagna e ogni momento era buono per ricordarmi che potevo anche cambiare idea, quasi avessi paura di rincontrare mamma.
Perché dovevo avere paura? Cosa poteva farmi? E poi…Il biglietto aereo era stato un suo regalo, un viaggio per due persone andata e
ritorno.


«Credo che dovremo avviarci.» Disse Damon, col borsone in spalla. Era neutro come sempre. Salutò con un cenno del capo Stef e papà e si avvicinò verso le hostess che erano già pronte a mettere le mani sul mio Damon.

«Te l’avrò detto e ripetuto almeno cento volte…Non sei obbligata ad andare, potremo…potremo…» Neanche papà sapeva cosa dire. Sorrisi istintivamente e lo abbracciai d’istinto. Ricambiò l’abbraccio con una stretta forte.

«La mia bambina…» Sussurrò con gli occhi lucidi. O mio Dio, manco dovessi partire per una spedizione in Norvegia.
Sciolto l’abbraccio, deglutii e guardai nella direzione di Stefan. Stava litigando con la macchinetta. Mi avvicinai e gli sorrisi leggermente.

«Sono fiero di te e di questa tua scelta. Condivido tutte le tue scelte…o alcune.» Disse con un sorrisino amaro, alludendo a Damon.
«Stefan, non ho fatto…quello che pensi.» Provai a spiegargli. Avevo pochi minuti, ma l’aeroporto era l’unico posto dove potevamo parlare civilmente senza dare troppo nell’occhio.
«Quindi non sei innamorata di tuo fratello?» Mi chiese, dando un pugno alla macchinetta che finalmente gli restituì gli spiccioli.

«Non…Non l’ho fatto a…Non so come succedono…Quando mi specchio nei suoi occhi, vedo la mia felicità.» Sussurrai. Stefan mi guardò incerto pochi minuti, poi sospirò.
«Attenta a quella hostess.» Disse indicandone una dai capelli biondi raccolti in uno chignon e dal sorriso finto. «Ci sta provando.» Il suo
tono era sia ironico che amaro. Scossi la testa e gli lasciai un bacio sulla guancia.


Feci qualche passo in avanti e osservai per bene quella hostess. Non era un po’ troppo anziana per Damon? Noi eravamo diretti a Londra, nessuno sapeva del nostro legame fraterno.
A passo spedito, mi avviai verso Damon e la guardai con aria divertita.

«Pronto per il nostro viaggio, amore?» Gli chiesi, sfoggiando uno sguardo trionfante alla bionda.
«Sei pronta, amore?» Mi sfottò. Tutto il viaggio era passato così. Nessuno dei due riusciva a smetterla di prendersi in giro o smetterla di arrabbiarci per cose stupide per poi fare pace dopo pochi minuti.

«Mi prenderai in giro per sempre per quello stupido sopranome?» Gli chiesi slacciandomi la cintura di sicurezza e prendendo in mano il mio bagaglio a mano.

«Oh, andiamo…Vederti gelosa è un evento troppo importante per non essere ricordato.» Continuò a prendermi in giro. Uscimmo dall’aereo e io osservavo nei minimi dettagli l’aeroporto. Eravamo partiti in piena notte, visto che i voli aerei erano molto limitati…E secondo i miei calcoli ora a Londra erano più o meno le due e mezza del pomeriggio, mentre da noi erano le nove del mattino.
«Scombussolata per il fuso orario?» Mi chiese Damon sorridendomi. Scossi la testa…Non l’avvertivo, almeno non ancora. Mi fermai alle macchinette, però mi ricordai che non avevo ancora fatto il cambio di moneta. Mi sarei portata una bottiglietta d’acqua ma non potevo né igienizzante per le mani liquido né alcuna bibita.

Alzai le spalle e frugai nella borsa alla ricerca di uno specchietto. Più di dieci ore di volo in uno scomodo aereo con Damon che scocciava e con un bambino che russava a tutta forza, non erano il massimo per me.
Per fortuna non mi ero truccata molto. Con la mano tolsi quel poco di matita sbavata e mi sciolsi i capelli. Almeno il clima in Febbraio a Londra non era tanto male.

Damon mi aveva ripetuto fino alla nausea che lì, Febbraio è piuttosto secco ma sempre fresco.
Posai lo specchietto e notai che un ragazzo mi fissava in silenzio appoggiato alla macchinetta.
«Tieni.» Disse con tipico accento inglese, porgendomi una bottiglia d’acqua. Sorrisi leggermente in imbarazzo.
«Non dovevi.» Gli risposi, facendogli segno di tenersi la bottiglia. Ridacchiò cercando di non darlo a notare, forse per il mio accento.
«Ho visto che ti sei avvicinata alla macchinetta, ma evidentemente non sei di qui…» Ammiccò e io in pochi istanti lo squadrai. Niente male: capelli ricci e occhi verdi, sorriso smagliante e due fossette a dir poco adorabili ai lati della bocca.

«Tieni la mia. Non l’avevo neanche aperta.» Continuò, porgendola. La presi in mano e gli sorrisi.
«Grazie.» Gli risposi cortesemente. Aprii la bottiglietta d’acqua e bevvi un lungo sorso d’acqua. Mentre bevevo mi guardai attorno nella speranza di vedere Damon, ma era ancora bloccato ai bagagli che probabilmente non erano ancora arrivati.

«Di dove sei? Il tuo accento mi incuriosisce…» Provò ad attaccare bottone il londinese. Chiusi la bottiglietta d’acqua e la riposi nella borsa.
«Mystic Falls, una piccola cittadina dell’America. Tu, londinese, vero?» Gli chiesi appoggiandomi al muro e sorridendogli.
Si mise una mano tra i capelli ricci e li sistemò, ma come effetto ottenne il contrario. Sembrava avesse in testa una massa di capelli che non aveva neanche pettinato, anche se non gli stavano male i capelli al naturale.

«Londinese d’origine. Piacere, sono Gabriel.» Si presentò porgendomi la mano. L’afferrai sicura e gliela strinsi con un grande sorriso. Mi era simpatico dopotutto.
Si sfilò la felpa che indossava e si guardò intorno.

«Oh…Che bel tatuaggio.» Gli dissi. Il mio sguardo cadde sulla parte interna del braccio. Era un bel tatuaggio e aveva – per me – un significato molto personale.
Era una K scritta in lettere eleganti, avvolta dal filo spinato da cui fuoriuscivano piccoli goccioline di sangue.

«Grazie…» Era curioso. Non avevo mai visto un tatuaggio così particolare. «Sei qui da sola?» Riprese il discorso. Scossi la testa ma non feci in tempo a rispondere, perché già un’altra voce che conoscevo troppo bene rispose per me.
«E’ con me. Giù le mani, Gabriel.» Mi girai e vidi Damon sorridere con un ghigno divertito. Si conoscevano?

«Damon Salvatore. Non pensavo fosse così adorabile la tua ragazza.» La parola adorabile mi fece accapponare la pelle, mentre rivolgevo uno sguardo interrogativo sia a Damon che a quel ragazzo. Come faceva a conoscere Damon?
«Oh, se fosse la mia ragazza non la porterei mai qui con così tanti occhi che possono fissarla. E’ la mia sorellina.» Commentò freddamente. Gabriel strabuzzò gli occhi e alzò un sopraciglio in modo ambiguo.

«Lei è…» Non gli fece finire neanche di parlare che lo interruppe con un gesto secco della mano.
«A maggior ragione devi tenere le grinfie lontano da lei. Ci siamo intesi?» Continuò freddamente. Lui annuì divertito, poi i due si scambiarono una pacca sulla spalla. Ma da quanto tempo si conoscevano per essere così amici?

«Come mai qui, Gabe?» Assunse un tono più confidenziale. Avevo perso qualche passaggio.
«Sono arrivato da poco. Ti avevo parlato di quello scambio culturale un tempo, no?» Disse alzando le spalle. Quei due non me la raccontavano giusta. Si mandavano sguardi eloquenti e il corvino era piuttosto rigido anche se aveva .

«Me lo ricordo.» Rispose prendendo la mia valigia tra le mani.
«Ed Enzo? Tutto bene con lui?» Chiese ancora. Una cosa che mi ero chiesta era come faceva a conoscere Enzo.
«Enzo viveva qui?» Intervenni io. I due mi guardarono leggermente divertiti. Ero completamente nuova da queste parti e rincontrare vecchi amici della vecchia vita di Damon – anche se tanto vecchia non era – mi faceva piacere.

«Oh sì…Originario di Londra, si è trasferito da un po’. Avevo quattordici anni quando se ne andò con i genitori.» Commentò Damon, stringendomi in una forte stretta.
«Noi andiamo, Gabe.» Continuò facendomi segno di muovermi. Lui fece un lieve cenno del capo che fungeva da saluto e sospirò
pesantemente.

«Dovremo rincontrarci tutti…Una riunione? E’ ritornato il grande Damon Salvatore!» Tuonò spostandosi dalla macchinetta e accelerando il passo venendo verso di noi. Il grande Damon Salvatore? Era così gettonato a Londra?
«Mm…Sì, magari. Mi piacerebbe rivedere Rick.» Commentò calmo, ma non degnando di uno sguardo a Gabriel.

«Organizzo tutto io. Magari potremo fare una delle nostre vecchie gare…» Il tono di Gabriel era piuttosto sognante, ma Damon bloccò il passo e troncò quell’entusiasmo sul nascere.
«Non se ne parla. Salutami da parte mia Rick. Non si fa niente.» Disse acido prendendomi per una mano e stringendomela forte. «Elena, andiamo.» Continuò trascinandomi via da lì.

Salutai Gabe e guardai Damon. Passo veloce, occhi sbarrati e colorito pallido. Era agitato, tremendamente agitato.
«Non vuoi rivedere nessuno di loro?» Gli chiesi interrogativa. Damon deglutì.
«Non ci tengo.» Stava chiaramente mentendo. Si vedeva chiaramente che voleva rivederli ma c’era qualcosa che non voleva dirmi o più
semplicemente…non voleva portarmi con sé.

«Potrei rimanere a casa, se è questo il problema…» Sussurrai con la testa bassa. A quelle parole Damon mi prese il viso tra le mani, facendo combaciare la sua fronte con la mia e i nostri nasi si sfioravano.

«Voglio passare questa vacanza con te. Senza problemi, una sola vacanza senza problemi o litigate. Credi sia possibile?» Mi pregò seriamente. Senza litigate e senza problemi? Oh, era qualcosa di strano…Quasi impossibile per noi due. Le nostre litigate duravano poco, al massimo qualche giorno. Mentre i nostri problemi sussistevano sempre.

«Proviamoci.» Sussurrai. Facemmo qualche altro passo e la porta scorrevole si aprì. Lasciai la mano a Damon e mi guardai attorno. Com’era fatta mia madre?
Avevo visto solo alcune foto di mia madre.

Una donna dai lunghi capelli mori e dagli occhi color cioccolato con poche rughe d’espressione correva a passo spedito verso di noi. Indossava dei jeans scoloriti a zampa d’elefante, sopra un cardigan blu e da sotto s’intravedeva una bella camicia bianca. Gli occhi scuri contornati da una matita verde erano lucidi.

Elisabeth Gilbert in Salvatore era davanti a me e mi guardava con gli occhi che la brillavano.
Una persona normale forse avrebbe odiato una madre del genere, una madre indifferente, una madre fredda…Una donna che mi aveva lasciato e abbandonato per i primi dieci anni della mia vita.

Ora hai quasi vent’anni…Da quanto vuole parlarti e tu non gliel’hai permesso? Mi suggerì la ma coscienza. Era da più o meno sette anni che voleva parlarmi? E ora…Ora non volevo litigare con lei.

Quel viaggio a Londra era la mia opportunità, l’opportunità di chiarire tutto con mia madre. Tutto quello che volevo dirgli, tutto quello che volevo urlarle si era dissolto. Il mio cuore batteva veloce, non me la ricordavo così simile a me.
I suoi capelli erano di una tonalità poco più chiara della mia, la sua pelle era nivea – molto più chiara della mia – e il sorriso…Il sorriso era
la cosa che mi ricordavo di lei. L’unica cosa che non mi aveva abbandonato di lei, il suo sorriso era stampato nella mia mente. Quel sorriso
che a volte mi fermavo a osservare nelle sue foto, ora lo vedevo di fronte a me.

Feci la cosa che mi venne più spontanea in quel momento.
Feci un passo verso di lei col cuore in gola e l’abbracciai. Sentii una lacrima bagnarmi la maglietta, si era commossa.

Gli occhi iniziarono a pizzicarmi e neanche io riuscii a contenermi. Un paio di lacrime sfuggirono al mio controllo mentre la stringevo a me. Era…Era la mamma che volevo sempre con me.

«Mi sei mancata tanto…» Sussurrò. La sua voce era chiara, il tono non era americano…Ormai aveva preso quel buffo tono londinese, ma mi piaceva.

«Io…Ti voglio bene, mamma.» Risposi a bassa voce. Non avrei mai immaginato di dire quelle parole a mia madre. No, mai. Mai avrei pensato di dirle quelle parole, mai. Eppure ora ero lì abbracciata a lei e non mi ero mai sentita così contenta.
 


Londra era diversa da come me la immaginavo. L’avevo sempre immaginata cupa, più triste e le nuvole coprivano sempre il cielo. Si respirava un’aria diversa.

«Ti piace qui?» Mi chiese Damon. Eravamo seduti su una panchina vicino ad uno dei quartieri più chic di Londra, almeno così a detta del corvino.

«Non è l’America. Però…mi piace. Ho sempre sognato di visitarla e ora sono qui…con te.» Continuai accoccolandomi a lui. Damon inspirò il mio profumo e giocherellò con qualche ciocca dei miei capelli.
«E’ bello stare così.» Sospirò guardandosi intorno. Aggrottai le sopraciglia e lo invitai a continuare. «Mettila così…Mi piace poterti baciare per poi litigare con te, senza che qualcuno ci additi come reato.» Spiegò per poi scoppiare a ridere. Scossi la testa divertita e mi alzai dalla panchina.

Mamma era a casa, nella sua nuova casa che si trovava nel centro di Londra. Avevamo molto da dirci, ma entrambe non volevo chiarire questa faccenda ora così quando aveva proposto a Damon di farmi fare un giro a Londra non potei non accettare contenta.
Il fuso orario non era il massimo, anche se ora lo avvertivo ancora per poco.

«Mm…Piace anche a me, sai…» Dissi maliziosa, avvicinandomi a lui e prende dolo per il colletto della camicia.
Il corvino si sedette sulla panchina e mi trascinò completamente su di sé. Eravamo due irresponsabili, mamma poteva passare di là da un momento all’altro e noi ci baciavamo appassionatamente come se fossimo la coppia più normale al mondo.

«La gente ci sta fissando.» Mormorai ridendo. Ero sulle sua ginocchia e avevo le mani nei suoi morbidi capelli.
«Allora diamogli qualcosa da fissare seriamente…» Grugnì infastidito. Combaciò le sue labbra sulle mie. Possibile che ogni volta che lo baciavo sentivo sempre le farfalle nelle stomaco?

Ogni volta che le sue labbra si poggiavano sulle mie sembrava sempre la prima volta. Il sapore di cuoio, tabacco e menta sapevano di lui.
La sua lingua cercava la mia e io la sua. Sentivo mancarmi quasi il respiro, ma ero certa di una cosa: morire per mano di Damon sarebbe stata una morte dolce.

«Forse dovremo rimanere qui per più di quattro giorni…No?» Mi chiese, toccandomi maliziosamente i fianchi.
«Forse dovremo farci una passeggiata…No? Vorrei visitare Londra.» Dissi alzandomi dalla panchina. Perché avevo la sensazione di essere fissata? Anzi non era una sensazione…La gente ci guardava incuriosita, certi invece erano schifati…Altre invece volevano stare
sicuramente al mio posto.

Lui non si tocca. Pensai squadrando attentamente quelle ragazze. Sembravano quasi una coppia normale, anche se sia io che lui sapevamo che non era affatto così.
«Non ti ho mai chiesto…Che college hai scelto qui? A Mystic Falls segui qualche corso di economia, giusto?» Gli chiesi guardandolo.
"Sì...Tu, invece, come mai hai deciso di rimanere in quella mediocre cittadina?" Mi chiese curioso. Sorrisi...Non avevo mai pensato di rimanere a Mystic Falls, eppure ora era lì la mia vita.

«Ho sempre sognato di prendere medicina, ma…equivaleva a lasciare Stefan e papà, non me la sentivo…» Lasciai in sospeso il discorso. Medicina era un sogno, un vero e proprio sogno, tanto più studiarla a Londra. Era un’aspirazione che risaliva fin da piccola, mi documentavo sulle migliori università perché pensavo di raggiungere sia Damon che mamma lì.
Magari avrei dovuto dare una rispolverata a quelle vecchie scartoffie che avevo chiuso in uno scatolone pieno di ricordi nel seminterrato.

«E hai lasciato perdere, giusto?» Mi chiese. Annuii, diventando rossa sulle guance. Non era stata una delle idee migliori che avessi avuto abbandonare il mio sogno per la famiglia, ma non mi pentivo di questa scelta.
«Su, cammina…» M’intimò con finta serietà, gli presi la mano e iniziammo a camminare, diretti chissà dove.
 


«Damon, giuro se mi fai cadere ti uccido!» Gli urlai, facendo lentamente due passi in avanti. Non era così semplice camminare con due mani sugli occhi. Damon aveva tanto insistito per farmi una sorpresa e mi ero lasciata convincere.
Era da più di un isolato che lo minacciavo di morte in qualsiasi momento. Aveva insistito per coprirmi gli occhi, fin da quando eravamo scesi alla fermata dei pullman.

«Stai ripetendo questa cantilena da più di dieci minuti.» Si lamentò. Probabilmente alzò gli occhi al cielo.
«Cosa ti rispondo ogni volta?» Continuò probabilmente stufo di quelle mie assurde minacce che non potevano spaventare neanche una mosca.

«Di fidarmi di te?» Questa scenetta si ripeteva da più o meno dieci minuti e si sarebbe ripetuta all’infinito. Dove diavolo mi stava portando?

«Giusto.» Di solito non replicavo più alla sua affermazione, ma questa volta replicai.
«Dovrei fidarmi di una persona che a malapena riesce ad orientarsi nella città in cui ha vissuto più o meno tutto la sua vita?» Lo provocai. Avevamo preso due di quei pullman rossi a due piani – che di solito vedevo nei film – perché il primo su cui mi aveva costretto a salire ci aveva portati da tutt’altra parte.

«Attenta a destra, c’è un palo.» Mi disse, a piccoli passi ci spostammo verso sinistra. Sbuffai vistosamente, meglio per lui che quella fosse una sorpresa per cui valeva la pena di farmi fare la figura della pazza per Londra.

«Siamo arrivati.» Dalla sua voce era completamente scomparsa la nota ironica e divertita di prima, ora c’era solo un tono serio e fermo. Cosa…Che tipo di sorpresa era?
Feci un passo avanti e aggrottai le sopraciglia. Mi aveva portato al parco? Sentivo del terriccio sotto i piedi, non ero su un marciapiede ma su dell’erbetta o qualcosa del genere.

«Mi hai portato ad Hyde Park?» Gli chiesi con la voce che trapelava curiosità da tutti i pori. Hyde park era uno dei parchi più grandi di Londra, pieno di verde e dalla tipica aria inglese che ti affascinava.
Lo sentii ridacchiare e pensai di aver fatto c’entro.

«Meglio, piccola. Molto meglio.» Mi canzonò. Allora cosa aspettava a togliermi le mani dagli occhi?
«Ah sì? Il London Eyes?» Era la ruota panoramica di Londra, da cui si poteva vedere tutta la città. Era uno spettacolo che ti lasciava senza parole.

«Vuoi sentire cos’ho da dirti? O no?» Sbottò divertito. Annuii. Si alternarono pochi istanti imbarazzanti – almeno lo erano per me – mentre lui rifletteva su quello da dirmi.

«Sai cosa sono i sogni?» Mi chiese. Soffiò sulla parte scoperta del collo facendomi accapponare la pelle.
«I sogni? I sogni sono fantasie strane e irrealizzabili. Qualcosa che t’immagini per cercare di colmare qualche mancanza.» Risposi con la
voce leggermente tremante.

«I miei sogni sono irrinunciabili, sono testardi, ostinati e resistenti. E i tuoi, Elena?» Continuò. Ci stavo veramente capendo poco di quel discorso.

«Sono persistenti, onnipresenti e irrealizzabili.» Dissi concisa incrociando le braccia al petto.
«Ed è qui che ti sbagli. Il tuo sogno non mi sembra irrealizzabile…Devi solo avere il coraggio di realizzarlo.» Commentò col suo tono fastidiosamente sicuro di sé.

«Damon…Non capisco…» Volevo delle spiegazioni, ma tutte le spiegazioni che volevo si dissolsero non appena il corvino tolse le sue mani dai miei occhi.

Aprii la bocca sconcertata. Non poteva aver veramente…Non poteva veramente aver fatto, non poteva avermi portato qui.
«Mio Dio, Damon dimmi che questa non è…» Il corvino – prima mi dava le spalle – si mise davanti a me e mi scosse leggermente per le spalle.

«Lo è. Pensi che non ti conosca? Durante i giorni in cui eri chiusa in camera tua cosa pensavo facessi?» Mi chiese incatenando i suoi occhi color mare nei miei color cioccolato. Scossi la testa e alzai le spalle, non ci avevo mai pensato. Cosa poteva fare quando ero rinchiusa nella mia stanza? Forse viveva la sua vita?

«Passavo un po’ di tempo nello scantinato. Una bambina Elena voleva fare il medico, giusto? Ho trovato tante foto ed opuscoli di università…Avevi dei bei sogni…» Lasciò il discorso in sospeso, perforandomi lo stomaco con quegli occhi. Era quasi impossibile sorreggere il suo sguardo, ti faceva sentire in colpa senza il minimo problema…Anche se non avevo fatto niente. Ti metteva troppa soggezione.

«E ora? Che fine hanno fatto i tuoi sogni?» Continuò. Sembrava tanto la mia coscienza, sembrava si stesse comportando da grillo parlante.

«Li ho messi da parte per vedere la realtà.» Risposi calma. All’apparenza ero normale, composta ma dentro di me stavo esultando dalla gioia. Damon passava i pomeriggi a scartavetrare i miei vecchi ricordi?

«Tu li hai messi da parte e io te li porgo ora su un piatto d’argento.» Disse spostandosi in modo teatrale. Fece un mezzo inchino e indicò l’enorme edificio che s’innalzava davanti a me. Era enorme ed imponente, di dimensioni mastodontiche di un bianco gesso.

«Questa è l’University College of London.» Sussurrai con la bocca spalancata. «Era il mio sogno.» Continuai stupefatta.
Avete presente quando da bambina ti chiedevano cosa avresti voluto fare da grande? Ecco, quell’università era il mio sogno da bambina.

Ed ora io mi ritrovavo quel sogno davanti ai miei occhi.
 
 
 




Grazie a NikkiSomerhalder, Bea_01, Smolderina78 e PrincessOfDarkness90.
Grazie ai 42 che hanno inserito la storia nelle preferite, grazie ai 5 che l’hanno inserita nelle ricordate e ai 59 che l’hanno inserita nelle seguite.
Grazie a tutti I LETTORI SILENZIOSI!
 
Angolo di Non ti Scordar di me:
Sono tornata! Forse avrete notato che ho sgarrato di un giorno, ma non è una casualità perché ho iniziato la storia in estate e mi era più semplice aggiornare ogni cinque giorni…Ora con la scuola e le attività mi è tutto più difficile, perciò…Vi arrabbiereste se posterò ogni 6/7 giorni?
Poi…Passo al CAPITOLO.
Be’….Lo trovo scialbo e abbastanza insignificante, è solamente un capitolo di passaggio nel prossimo ci sarà la cosiddetta rimpatriata di amici di Damon e lì casca l’asino! XD
Poi…Piccoli flashback ci fanno capire come ha reagito la famiglia Salvatore alla grandissima notiziona di Elena. Ed ecco…Compare mamma Salvatore. Forse avrete notato un particolare…Il cognome è ELISABETH GILBERT IN SALVATORE. Cosa vorrà dire? Vi ho confuso le idee? Cosa ne pensate di questo mistero ancora aperto? AHAHAHAHAHAHA.
Questo Gabe…Boh. Non ho idea da dove sia saltato fuori. E’ un personaggio abbastanza fondamentale, perché più o meno aiuterà Elena. Non fa parte di TVD, perciò voi potete immaginarlo come volete, lui per me sarebbe la fotocopia spiccicata di Harry Styles (^-^) so che non c’entra molto però volevo metterlo LOL.
E poi TADAAAAN! Ecco che salta fuori un’altra cosuccia: il sogno di Elena. E voi? Voi cosa rispondevate al famoso cosa farai da grande? Io rispondevo sempre dicendo di voler diventare ballerina XDXD
Così…il nostro bellissimo Damon la porta all’University College of London. Per chi non lo conoscesse è l’università più prestigiosa di Londra, dove si è laureato anche Gandhi.
Ho concluso. Spero di sentirvi nelle recensioni!
Ah…Mi auto sponsorizzo (XD) dicendovi che ho pubblicato una OS romantica da un po’ e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate.
Mi farò viva prestissimo, vi amo!
Bacioni,
Non ti scordar di me.
 
 
PS Quasi dimenticavo, cosa fondamentale: QUALCUNA DI VOI STA SU WATTPAD? 

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Capitolo 19
*** Don't wreck me. ***


Capitolo diciannove.
Don’t wreck me.

 
Osservavo in silenzio la casa di mia madre, ovvio non era come la casa classica di papà però mi piaceva. Era molto accogliente. Mi ero svegliata da poco e – ancora in pigiama – mi trascinavo stancamente verso la cucina.
Mi fermai davanti alla porta di Damon, era sveglio e stava urlando al telefono con qualcuno. Voleva andare avanti e ignorare la sua telefonata probabilmente personale ma la tentazione era troppo forte.

«Alaric non mi convincerai. Non voglio venire…No, no. E’ lungo il fatto. Non posso…» La voce di Damon suonava quasi stanca e abbastanza nostalgica. Non  capivo perché era così schivo nei confronti dei suoi amici che sembravano conoscerlo bene e sapevo – ne ero certa – che gli volevano bene e che lui ne voleva loro…Quindi perché non volerli incontrare?
«Ho promesso. Non voglio più farlo. Non sono solo a Londra. Sì, è una ragazza…E io non voglio portarla lì…Perché? Perché non la voglio in quel luogo, Alaric!» Urlò arrabbiato. Probabilmente tirò un pugno. Non mi voleva portare con sé per chissà quale ragione.
L’avrei convinto in un modo o in un altro.
Me  ne andai da lì e mi avviai verso la cucina. Mamma era seduta ad una sedia e leggeva il quotidiano. Non appena notò la mia presenza si alzò e venne verso di me cauta.

«Dormito bene, piccola?» Mi chiese sorridente. Credo di non averla mai vista così sorridente, eppure di foto ne avevo viste molte sia prima della mia nascita sia dopo il loro divorzio.
«Non so ancora…Vorrei solo che tu provassi a vivere qui con me, nel caso volessi provare il test di medicina.» Mi disse avviandosi verso i fornelli. Spalancai la bocca e deglutii. Test di medicina? Non avevo ritirato i moduli dell’iscrizione, a pensarci bene non mi ero neanche messa in coda per i test.

«Io non ho…Come…Perché pensi che voglia iscrivermi?» Le chiesi incerta. Il suo sorriso svanì leggermente e scosse i suoi capelli scuri.
«Ieri ho parlato con Damon…Mi ha dato dei moduli d’iscrizione per quell’università e mi aveva detto che non erano per lui, perciò ho pensato fossero tuoi.» Mi spiegò. Ecco cosa aveva fatto verso il pomeriggio tardi. Io ero ritornata a casa per riposarmi, lui era rimasto un po’ in giro…Aveva fatto quello? Mi aveva ritirato i moduli d’iscrizione per il prossimo semestre?
«Sarebbe troppo complicato, io sono in America…» Non trovavo neanche io una buona scusa per non provare ad entrare in quell’università.

«Potresti sostenere gli esami online. Sai quante etnie sono presenti a Londra?» Mi chiese, scoppiando a ridere in una risata genuina.
Esami online? Era possibile farli online?
Lei vide il mio sorriso e i miei occhi illuminarsi, non disse niente…Mi porse solamente i moduli di iscrizione e le brojour del college.
«Se volessi, in caso decidessi di provare questa follia, un alloggio…» Non riuscii neanche a finire la frase, mamma mi abbracciò contentissima con le lacrime agli occhi.
Credo che non avrei mai finito di ringraziare Damon per quella sorta di regalo che mi aveva fatto. Avevo chiarito con mia madre, mi incoraggiava a realizzare i miei sogni…Cosa c’era di meglio?

«Su, bevi il tuo latte.» Disse, non appena sciolse l’abbraccio. Spense il fornello e mi porse una tazza di latte fumante. Vi immersi dentro lo zucchero e iniziai a sorseggiare lentamente, guardando un punto indefinito nella stanza mentre riflettevo su Damon e sul perché non volesse andare dai suoi amici.

«Ti sei incantata?» Mi chiese mamma, sventolandomi una mano sotto il naso. Scossi la testa e bevvi un altro sorso di latte. Ouch, era bollente. Mi alzai da sedere e andai verso il frigo. Presi il cartoccio di latte e ne versai un po’ nella tazza sperando che diventasse poco più freddo.
«Stai pensando alla tua relazione con Damon?» A quelle parole il mio cuore sprofondò giù. Lasciai la tazza che si frantumò in mille pezzi, mentre rimanevo a bocca aperta alle parole di mia madre.

«Mio Dio, attenta!» Urlò alzandosi con uno scatto felino e afferrando uno strofinaccio. Iniziò a togliere i cocci e io la guardavo calma. Perché non mi stava aggredendo? Perché non mi…Perché non mi stava dicendo che stavo compiendo una delle azioni peggiori della mia vita?
«T-ti aiuto…» Balbettai incerta, aiutandola con i cocci e togliendo il latte da terra. Fissavo il pavimento ed evitavo il contatto visivo.
Forse lei non aveva capito tutto…Forse alludeva a qualcos’altro, forse avrò sentito male!
«Tutto bene? Tra te e Damon non va bene? Eppure mi sembrate affiatati…Avete migliorato molto il vostro rapporto.» Disse stringendomi le mani. Sospirai profondamente. Non sapeva di noi. Alludeva solamente al rapporto fratello sorella che stavamo migliorando.

«Oh, sì…Solo non capisco perché non voglia rivedere i suoi amici. Hai mai sentito parlare di un certo Alaric?» Le chiesi, rimanendo in piedi.
I suoi occhi diventarono vacui – per pochi secondi – sbiancò vistosamente e per un momento ebbi la paura che svenisse lì in cucina.
«Sì…Era un suo amico. Elena, ti chiedo un favore, stai attenta ai suoi amici.» Sussurrò a bassa voce. «Non sono molto raccomandabili.» Disse sforzando un piccolo sorriso.

«Chi non è raccomandabile?» Intervenne Damon, già vestito e con sguardo curioso. Mamma scosse la testa e alzò semplicemente le spalle.
«Vestiti, facciamo un bel giretto a Londra.» Mi ammiccò. Annuii sicura e mi alzai precipitandomi verso il corridoio che portava alla mia camera. Mi fermai nuovamente davanti a quella di Damon e decisi di entrare.

Era abbastanza semplice, molto disordinata e con pochi poster, con colori sempre scuri e il piumoncino rosso sangue. Ora capivo perché nella nostra casa si era scelto la stanza più cupa, probabilmente gli ricordava quella che aveva qui.
Mi avvicinai all’armadio, su una parete c’erano tante incisione fatte probabilmente con un taglierino…Cosa stavano a significare? Ne erano tantissime.
Avevo la pelle d’oca. Non avevo mai visto questo suo lato così inquietante. Il mio sguarde cadde sul suo comodino, sopra c’era il suo cellulare.

Ero troppo tentata, così feci la cosa più idiota che potevo mai fare in quel momento. Vidi le ultime chiamate e premetti il tasto di chiamata verso il contatto salvato come ‘Alaric’.

Pochi squilli, rispose subito.
- Amico hai già cambiato idea? – Tuonò una voce potente e divertita. Mi morsi un labbro, l’avevo fatto? Che cazzo stavo pensando mentre facevo una cosa del genere?
Presi un sospiro e mi feci coraggio. Ormai il guaio l’avevo fatto, ora almeno terminavo il mio piano completamente campato in aria.

«Mi spiace per te, ma non stai parlando con Damon.» Dissi divertita. Mostrare il lato di me più schietto di solito mi faceva guadagnare molti punti coi ragazzi. Sentii il respiro pesante di Alaric e probabilmente stava riflettendo su chi potesse avere il telefono del suo amico.
- E tu chi saresti? – Chiese scocciato. Come si permetteva questo maleducato di parlarmi così? Non aveva capito un cazzo. Non mi facevo intimidire da una voce grave o da metodi bruschi o rudi. Ormai avevo imparato le tecniche del mestiere, avendo come fratello Damon
Salvatore.

«Sarò la ragazza che ti farà il culo non appena ti incontrerà, se non mi porterai più rispetto.» Sbottai. Detestavo dare ragione a mia madre, ma forse quei tipi non erano il massimo della compagnia per Damon.
- Aggressiva. Ora hai la mia attenzione. Chi sei, dolcezza? – Mi chiese in un tono più ragionevole e anche più civile. Con loro bisognava essere toste e sfacciate? Oh, aveva trovato pane per i suoi denti.

«Sono la ragazza che Damon ha portato a Londra. Ti parlo in diretta da camera sua.» Dissi divertita. Lo sentii ridacchiare.
- Bene, bene…La ragazza di Damon, è da molto che non ne ha una fissa. M’incuriosisci. – Fece. Aggrottai la fronte…Damon aveva mai avuto una ragazza fissa? – Hai la mia attenzione solo perché ti sei intrufolata nella sua stanza e gli hai fregato il cellulare. Wow, Damon Salvatore giocato da una ragazza! – Continuò eccitato. Magari non sarà il massimo dell’affidabilità, però almeno era simpatico.

«Voglio sapere cosa gli hai proposto per stasera. Proverò io a convincerlo a venire.» Dissi seria. In realtà non sapevo se l’avrei convinto, ma la voglia di sapere qualcosa in più sulla sua vita mi sta uccidendo.
- Una rimpatriata, al vecchio posto. – Disse calmo. Vecchio posto? E dov’era? Non potevo neanche trascinarlo lì con l’inganno visto che
non sapevo dove si trovava! – Anche se fargli cambiare idea non sarà una semplice impresa. – Era così sicuro che non l’avrei convinto?
Oh, be’ non mi conosceva affatto. Non aveva idea di com’ero quando m’impuntavo su qualcosa.
«L’ora?» Chiesi scrollando le spalle.

- Per le dieci? Noi stiamo sempre lì. Posso scommettere tutto, ma non credo che Damon si lasci convincere da una donna…- Oltre che poco raccomandabile, era anche maschilista! Perfetto, di male in peggio. Questo Alaric perdeva punti ogni volta che apriva bocca.

«Io ho i miei metodi. A stasera.» Non riuscì neanche a replicare, gli chiusi il telefono in faccia e cancellai la chiamata. Ora dovevo solo convincere Damon ad andare a questo posto.
Niente di più facile di così.

 
Ancora non credevo di aver visitato quasi tutta Londra. Mi sembrava un sogno. Era tutto troppo surreale. La cosa che mi era piaciuta di più era il giro che avevo fatto sul London Eyes.
«Sto per salire sul London Eyes. Non è emozionante!?» Chiesi entusiasta. Da lassù potevi vedere tutta Londra. Era qualcosa di spettacolare. Certo, la fila era lunga più di tre metri però ne valeva senza ombra di dubbio la pena.
Mi ero distratta pochi secondi e Damon se l’era già svignata. Mi guardai attorno e lo vidi parlare con uno della manutenzione della ruota o magari un addetto, non ne avevo idea. Io rimasi in fila – che si muoveva ogni morte di papa – e di tanto in tanto cercavo di
oltrepassare qualche signore disattento.


«Vieni.» Disse Damon, raggiungendomi e porgendomi la mano. Strabuzzai gli occhi. Non avrei lasciato quella fila per niente al mondo. Volevo salire sul London Eyes e lasciare ora la fila equivaleva a rifarla dopo e io non ne avevo proprio voglia.

«Perderemo il posto, Damon.» Gli feci notare, facendo un altro passetto avanti. Lui mi squadrò da capo a piedi e alzò gli occhi al cielo. Odiava quando lo faceva.
Mi sorrise enigmaticamente e scrocchiò la lingua sul palato. Quanto cazzo era sexy? Rimasi pochi secondi ammaliata da lui, ma non mi lasciavo convincere.

«Oh no che non lo perderemo. Lo perderemo solamente se non ti muovi, dolcezza.» Disse porgendomi ancora la mano. Mi stava prendendo in giro?
«Damon, giuro che se mi…» Non finii neanche la frase, Damon mi aveva già preso la mano e condotto fuori dalla fine.

«Io NON farò NUOVAMENTE quella DANNATA FILA, CHIARO?» Gli urlai seguendolo. Dove stavamo andando? Stavamo scavalcando dall’esterno la fila. Un momento…Cosa stava progettando?

«Ecco, la mia bella compagna.» Disse divertito, sorridendo all’addetto. Gli porse due biglietti. Da dove saltavano fuori quei biglietti? Non li avevamo ancora fatti!
«Venite.» Disse cortese il ragazzo che aiutava l’addetto ai biglietti. Ci fece strada tra la fila e alla prima cabina libera ci fece entrare.
Eravamo solo due in una cabina? Ma non poteva trasportare almeno dieci persone?


Non replicai neanche, le porte si chiusero e lentamente la ruota continuò il suo giro.
«Credo di essermi persa un passaggio…» Disse soprapensiero, avvicinandomi alla vetrata. Damon mi cinse i fianchi e lasciò un bacio umido sulla spalla per poi risalire sul collo.

«Ho prenotato questa cabina per un giro. Solo noi due.» Soffiò vicino al mio orecchio, mille brividi percorsero la mia schiena.
«Perché hai prenotato questa cabina?» Sussurrai girandomi verso di lui. Il mio bacino aderiva al suo, il mio petto era sul suo e i nostri occhi erano incatenati l’uno nell’altra.

«Perché in una cabina con più persone non potevo fare questo…» Le sue labbra sfioravano le mie, passarono pochi istanti prima che le mie labbra si avventarono sulle sue. Era come il primo bacio, il nostro primo bacio. Era uguale, la stessa passione e gli stessi sentimenti.
Noi eravamo reali.

«Hai avuto una bellissima idea.»
Avevo ancora la pelle d’oca a ripensare alle sue parole. Ero in camera mia e mi ero appena asciugati i capelli, li avevo stirati con la piastra che avevo trovato in bagno e ora indossavo il mio pigiama. Non avevo idea di cosa volesse fare Damon quella sera, perciò toccava a me andare da lui e convincerlo ad andare dai suoi migliori amici.
Uscii dalla camera degli ospiti e mi avviai a passo cauto da Damon. Teneva la porta aperta, era seduto alla scrivania e stava facendo
qualcosa in modo intenso visto che non aveva sentito il mio arrivo.

«Troppo occupato per passare un po’ di tempo con me?» Il ragazzo sobbalzò sulla sedia e mi sorrise enigmaticamente.
«Trovo il tempo, tranquilla.» Ammiccò. Posò quello che stava scrivendo sotto il suo computer e si avvicinò a me. Chiuse la porta alle sue spalle e ghignò guardandomi ancora assorto.
«Cosa vuoi fare stasera? Io un’idea ce l’avrei.» Dissi con lo sguardo ammaliatore. Di solito funzionava sempre. I suoi occhi seguivano ogni mio più piccolo movimento.

Mi fece cenno di continuare e sorrisi sapendo che l’avrei convinto.
«Andiamo al vecchio posto dai tuoi amici?» Chiesi sbattendo gli occhi e giocherellando con il collo della sua camicia rigorosamente nera. Mi guardò leggermente scioccato e scosse la testa.

«Non credo sia una buona idea. Insomma ti annoieresti…E, un momento, come fai a sapere del vecchio posto?» Forse in quel momento mi stava odiando, sapevo quanto ci tenesse alla sua privacy.
«Ho fatto una piccola telefonata ad un certo Alaric. Si vengono a sapere molte cose. So che vuoi rivedere i tuoi amici.» Dissi guardandolo negli occhi. Sospirò pesantemente e iniziò a massaggiare la testa col pollice e l’indice.

«Non mi conoscevi prima. Sono stronzo, lunatico e perché no, anche, bipolare…Ma quello che ero prima e che facevo prima non è paragonabile a come sono ora.» Tuonò fissandomi negli occhi. Incuteva timore, ma non me la sarei scappate a gambe da lui…L’avrei fronteggiato fino a quando non mi dava una risposta positiva.

«Sai, cosa ti dico? Non me ne frega un cazzo di chi eri prima.» Risposi con un sorrisetto che probabilmente lo aveva solo infastidito di più.
«Tu sei una persona a parte. Non sei scappata da me, sei qui, mi fronteggi e hai il coraggio di mandarmi a quel paese senza paura.» Nella mia mente, tante me in miniatura mi facevano un applauso e avevano appena stappato lo spumante.

«Proprio perché sono diversa, non dovresti aver paura di mostrarmi il tuo passato.» Dissi avvicinandomi pericolosamente al suo volto. Il mio piano era di destabilizzarlo o di destabilizzarmi da sola? Mi toglieva quasi il fiato la sua vicinanza.
«Andremo solamente per un saluto.» Mi disse, dandomi una pacca sul sedere. Gli saltai completamente addosso con uno scatto felino, portando le braccia sul suo collo e allacciando le gambe alla vita.

Ed esattamente in quel momento la porta si spalancò. Io e Damon girammo lo sguardo e vedemmo mamma fissarci con aria quasi comprensiva.
Okay…Non era il massimo essere beccati da una madre, però almeno ci beccasse in qualcosa di veramente compromettente!

«Cosa mi sono persa, ragazzi?» Sospirai e Damon sciolse la presa sui miei fianchi lasciandomi lentamente. Per fortuna puntava sull’ironia e non sul discorso morale e noioso che mi ero già sorbita con Stefan.

«Ho solo convinto Damon a rincontrare i suoi amici.» Le spiegai sorridente. Il sorriso che aveva sul volto sparì pochi secondi per poi ricomparire poco più tirato di prima.

«Forse è meglio che vado a prepararmi.» Dissi notando gli sguardi di fuoco che quei due si stavano mandando. Mamma mi sorrise e si scostò dalla porta.
«Niente di troppo scollato, niente maglie con scollo profondo, niente jeans attillati che ti fasciano il tuo bel sedere, niente tacchi vertiginosi, niente trucco accentuato, niente…» Io e mamma ci trattenevamo dallo scoppiargli a ridere in faccia.

«Damon è come dovrebbe girare? Non può mettere neanche del rossetto?!» Sbottò mamma. Non mi ricordavo che fosse così alla mano e così moderna. Se ora ci fosse stato papà, probabilmente avrebbe dato ragione al corvino.

«Mm…Potresti indossare i pantaloni della tuta, con sopra una mia felpa.» Fece ironico. Scossi la testa e gli ammiccai leggermente.
«Niente di troppo vistoso. Ho afferrato il discorso.» Me ne uscii ridendo e lasciai socchiusa la porta. Non me ne andai da lì, volevo sapere cosa si dicevano.

«Pensavo la smettessi con quelle gare.» Lo mise in guardia mamma. Gare? Quali gare? Cosa non sapevo? Perché avevo pensato che fosse una buona idea farlo rincontrare con i suoi amici?
«Solo un saluto. Non farò niente di azzardato.» Le promise Damon. Quel ‘niente di azzardato’ mi aveva messo in allarme. Cosa aveva fatto un’altra volta? Aveva mai fatto qualcosa di troppo azzardato?

«Io…So che non ne parliamo mai, però Ka…»
«Non voglio sentire ragioni.» Proruppe Damon seriamente. Me ne andai da dietro la porta e mi precipitai in camera. Indossai una canotta bianca che infilai dentro i jeans a vita alta, misi da sopra un bel giubbotto di pelle pesante e indossai dei normali tacchi neri.
Mi avvicinai ai miei trucchi. Damon aveva detto niente di troppo vistoso giusto? Misi poco mascara e un pizzico di matita, però al rossetto non rinunciai.

Misi un bel po’ di rossetto rosso che evidenziava perfettamente le mie labbra. Presi il cellulare e mi guardai un’ultima volta allo specchio.
Stavo per uscire dalla camera, quando mi ricordai di non aver messo il profumo. Ne spruzzai un po’ anche sui capelli e li pettinai ancora una volta. Era perfetto.
Guardai la sveglia sul comodino. Era ancora presto, mancava più di un’ora all’appuntamento con Alaric. Sbuffai non curante e uscii dalla camera.

Damon non si era cambiato, ad eccezione che al posto della camicia scura indossava una maglietta bianca con sopra il suo immancabile giubbotto di pelle. Strabuzzai gli occhi e pregai che in questo ‘vecchio posto’ non ci siano troppe ragazze.
«Sei sicura? Possiamo ancora cambiare idea.» Mi fece notare sfoggiando quell’insopportabile sorriso che avrei strappato a furia di pugni dalla sua faccia. Scossi la testa. Non avrei cambiato idea. «Spero rimarrai così convinta anche dopo che ti avrò portata lì.» Commentò gelidamente.

Oh, non hai idea di quanto possa essere testarda a volte. Pensai trionfante.
 

«Sbaglio o ti avevo detto di non  indossare vestiti troppo…troppo tutto!» Sbottò camminando svogliatamente. Aveva parcheggiato l’auto di mamma un bel po’ di isolati e ora camminavano nella periferia di Londra. Perché avevo la sensazione che mia madre aveva ragione?
Perché dovevano incontrarsi in un luogo così raccapricciante come questo? Sembrava un set per un film horror.
«Oh, andiamo! Indosso solamente dei jeans, la maglia non è neanche troppo scollata…E non tengo trucco troppo pesante!» Dissi stufa. Questa solfa di come mi ero vestita si stava ripetendo da quando eravamo usciti da casa!

«Oh, ma tu non vedi ciò che vedono i maschi.» Disse inorridito. Alzai un sopraciglio e lo incitai a continuare. «A te sembrano degli anonimi jeans, a me sembrano dei jeans che fasciano perfettamente il didietro. A te sembra una normale canotta bianca, a me sembra una canotta che fa intravedere il tuo reggiseno. A te sembra un rossetto rosso, a me sembra solo un colore infernale che mi sta facendo perdere la testa.» Grugnì avvicinandosi a me. Il mio respiro era corto e lo guardavo incerta.

«Ti sta facendo perdere la testa?» Lo provocai. Trattenne un sorrisino e mi prese lentamente le mani.
«Non hai idea di quanto vorrei baciarti. Quel rossetto poi...Sei una stronzetta.» Disse beffardo. Oh lo sapevo. Ero fatta così, non c’era bisogno che me lo dicesse qualcuno.
«Su, siamo quasi arrivati. Non voglio perdere le staffe ora.» Disse riprendendo a camminare. Non voleva perdere le staffe? «Non ho perso la calma quando ti ho visto addosso solo con uno striminzito asciugamano, posso resistere ad un rossetto.» Sbuffò, guidandomi in un
vicolo buio.

In silenzio proseguimmo per quel vicolo fino a quando non vidi delle luce che illuminavano debolmente quella parte periferica ed inquietante di Londra.

«Cos’è? Un set degli orrori?» Commentai ironica. Notai che non eravamo soli. Ai lati della stradina c’erano diversi ragazzi e ragazze. Ora capivo cosa intendeva mia madre con ‘poco raccomandabili’. Avevano una faccia da delinquenti, ma non mi facevo influenzare dalle apparenze.

«Una vecchia pista di motocross.» Disse guardandosi attorno come faceva un bambino che cercava i regali di Natale. Gli mancava così tanto questo posto? Era squallido!
«Mm…Entriamo?» Gli chiesi guardandolo. Annuì e mi prese per mano. La staccionata era semi distrutta. C’erano svariati dossi uno più alto dell’altro e varie moto.
«Sei la ragazza di Damon Salvatore, chiaro? Qualsiasi cosa succeda, fai SEMPRE il mio nome.» Tuonò minaccioso. Per un secondo mi fece quasi paura, però mi ricordai chi fossi. Ero Elena Salvatore, accidenti! E mi facevo intimorire da mio fratello!

«Ti sembro il tipo di ragazza che si fa problemi a dare una ginocchiata nel posto sbagliato a qualcuno?» Dissi tirandolo per il braccio. Lo sguardo di Damon era beffardo e preoccupato al contempo.
«In questo posto, una ragazza o è stupida o è stronza. Poche partecipano a questi giochi.» La parola giochi mi aveva trasmesso una sensazione piuttosto inquietante. «Meglio fare la stupida. Le stronze sono sempre le più sfregiate.» Mi spiegò. Annuii come un’idiota sperando che non fosse veramente caduto nel mio tranello. Pensava che mi sarei finta stupida per stare con i suoi amici? Oh, si vedeva che non mi conosceva a fondo.

Mi guidò verso l’interno e mi resi conto di quanto potesse essere esteso quell’ex campo di motocross. Damon si fece strada tra diverse persone e alla fine m’indicò un gruppo di ragazzi che probabilmente dovevano essere i suoi amici.
Le mie conferme arrivarono solamente quando due ragazzi – dell’età di mio fratello – si fecero avanti per salutarlo calorosamente, ripetendo un centinaio di volte la frase ‘Damon Salvatore è tornato, gente!’.
Nessuno si rese conto di me, ero rimasta qualche metro più dietro e sorridevo come una scema. Ero contenta di averlo convinto a venire.
Avevo capito  che gli era mancato questo posto per quanto lugubre e strano possa essere.

Damon si allontanò ancora di più e si avvicinò di più ad altri due ragazzi. Bene ora toccava a me entrare in scena. Non ero stronza fino al midollo, però quando mi arrabbiavo davo il meglio di me. Sorrisi a me stessa e mi calai nella mia parte.
«Damon che fai? Non mi presenti nessuno dei tuoi amici?» Dissi schiettamente avvicinandomi lentamente a loro. Wow, non c’era una sola ragazza lì. Ne fui quasi sollevata.

Tanti occhi si girarono verso di me e iniziarono a squadrarmi da capo a piedi. Mi ricordai di quell’Alaric così mi schiarii la voce.
«Chi di voi è Alaric?» Chiesi innocentemente, mentre Damon mi fissava con gli occhi che andavano in fiamme. Probabilmente dopo quella serata mi sarei dovuta sorbire la solfa del corvino sul mio comportamento ma non mi importava.
«Io, dolcezza.» Parlò un ragazzo dagli occhi color nocciola e dai capelli biondi. Teneva fra i denti una sigaretta ed era seduto sulla staccionata. Se non fossi già “sentimentalmente” impegnata con Damon, oserei dire che questo tipo è abbastanza sexy.
«Credo di aver vinto la scommessa. Damon è qui.» Dissi avvicinandomi a lui e sfilandogli di bocca la sigaretta e aspirando un po’ di nicotina.

Fumavo poche volte, non ne ero dipendente.
«Te la sei scelta bene, Damon.» Si complimentò l’amico. Il corvino mi lanciò un’occhiata di disapprovazione che ricambiai con un cenno del capo.

«Direttamente dall’America, la sua ragazza. Piacere.» Affermai. Damon si affiancò a me e mi cinse i fianchi. Mi trovavo tra le sue gambe e la sua stretta era forte e possessiva.
«Mm…M’immaginavo una ragazza così al tuo fianco, Dam! Mi piacete.» Decretò il ragazzo. «Come ti chiami, dolcezza?» Mi chiese, prendendomi la mano e facendo uno scialbo baciamano degno di un film in bianco e nero di bassa lega.

«Elena. Si chiama Elena.» Intervenne Damon, lasciandomi un bacio sul collo. «Jesse, occhi apposto.» Si raccomandò freddamente ad uno di loro.
Passò più di mezz’ora e il clima era molto più rilassato di prima. Damon si era lasciato andare, anche se alcune mie risposte magari un po’ troppo schiette non gli erano andate proprio a genio.
«Ti fermi qui per molto?» Chiese Alaric, bevendo un sorso di birra. Damon invece sorseggiava come sempre il suo Bourbon. Scosse la
testa.

«Poco. Parto dopodomani.» Wow, due giorni e sarei già ritornata a casa. Peccato, un vero peccato. Sarei dovuta ritornare più spesso lì, da mamma e da quei ragazzi che all’apparenza potevano sembrare raccomandabili però in fondo non erano niente male.
Continuammo così per un po’, fin quando non calò uno strano silenzio. Un giovane ragazzo dalla pelle ambrata si avvicinò a Damon con un sorrisetto di scherno.

«Chi non muore si rivede. Ritorni dopo più due mesi? Cosa ti è successo?» Lo schernì questo ragazzo che non avevo mai visto. Damon irrigidì la presa su di me e indurì la mascella.
«Sono ritornato. Pensavi di liberarti di me, facilmente?» Rispose Damon. Osservavo gli occhi di quello sconosciuto e gli occhi del corvino e sorprendentemente capii. Capii che forse era proprio lui quel “passato” che voleva nascondermi.

Cos’era successo con quel tipo?
«E questa bella ragazza? Come ti chiami, principessa?» Perché tutti i ragazzi provava ad abbordare in questo modo squallido? Un bel sopranome non migliorava la squallida presentazione.
«Farti tre quarti di fatti tuoi, no eh?» Ridacchiai. Lo lasciai basito per pochi istanti, mentre sul viso del corvino comparse un sorriso sinceramente divertito.

«Allora lo chiedo a Damon. E’ una botta e via o…» Damon lasciò immediatamente la presa sui miei fianchi e si avvicinò al ragazzo prendendolo per la maglia.
«Niente botta e via. Non ti avvicinare a lei o ti ammazzo.» Aprii la bocca per quella minaccia inaspettata. Mi aspettavo qualsiasi minaccia, ma non una cosa del genere. E la cosa peggiore era un’altra: il suo tono era incredibilmente serio.
«Wow, wow…Rimani calmo. Sono qui in pace.» Replicò dandogli una spinta. Damon lo guardò seriamente e schioccò la lingua sul palato.

«Parla.» Disse piatto.
«Volevo solo chiederti se ti va una gara. E’ da tanto che non gareggio con te, no? Magari la tua ragazza potrebbe…» Damon lo interruppe sul nascere, mentre io aggrottai le sopraciglia. Qualcosa non quadrava.
«Niente gare. Non gareggio più.» Disse severamente con gli occhi che guizzavano da lui a me. Gareggiare? Cercai di trattenere lo sgomento, anche se in realtà volevo sapere di cosa stavano parlando.

«Perché?»
«Ho promesso.» Aveva promesso? A chi? «Andiamocene Elena.» Continuò prendendomi per la mano e trascinandomi via di lì. Mi dimenai dalla sua stretta e gli presi la mano.
«Cosa sta succedendo, Damon?» Gli chiesi avvicinandomi al suo viso. Gli occhi di Damon si socchiusero un istante.
«Gare idiote. Ho promesso di non farne più.» Mi rispose. Ci riflettei su, volevo replicare ma Ric si avvicinò a noi.

«Damon, su, sai bene che vuole solo provocarti. Aralo sul campo da battaglia e te lo togli davanti.» Campo da battaglia? Quanti segreti non sapevo? L’unico che poteva darmi una risposta sensata in quel momento era proprio Alaric.
«Che tipo di gare?» La mia voce uscì con un debole sussurro. Mi guardai attorno e iniziai ad associare i pezzi del puzzle.
«Gare di moto clandestine.» Le mie teorie erano confermate. Ecco perché aveva partecipato a quella gare di macchine…Lo faceva anche a Londra. E lui aveva promesso di non farne più solo a una persona.

A me. Mi aveva promesso di non farne più e probabilmente da allora aveva mantenuto la promessa data. Mi girai verso Damon e m’inumidii le labbra.
«E’ pericoloso e non voglio che tu faccia una cosa del genere, lo sai…» I suoi occhi erano cupi, quasi vuoti. Anzi, delusi. Pensava che gli avrei fatto una ramanzina su cos’era giusto e cos’era sbagliato?
«Però tu non sei l’unico a sbagliare, Damon. Ho sbagliato anch’io. Ora sono qui, in questo luogo, con te. Non sono nessuno per dirti di non partecipare…» Incominciai. Il suo sguardo ad ogni mia parola si animava sempre più. «Ma se vuoi mantenere quella promessa sarò io a
scioglierla. Fai questa stupida gara, perché so che vuoi farlo. So che vuoi sentirti come prima.» Dissi seriamente.

Era sorpreso, si vedeva. Lo sgomento sul suo viso era più che evidente.
«Prepara la moto, Ric.» Proruppe improvvisamente. «Damon Salvatore, quello vero, è tornato.» Il biondo esultò contento e si avviò verso gli amici. Il corvino fece marcia indietro.
Eh, no…Non avevo ancora finito.
«Damon, un’ultima cosa.» Gli dissi. Sul suo viso spuntò un sorrisino, non riuscii a dire niente perché le sue labbra furono sulle mie rubandomi completamente le parole, il fiato e la voglia di dirgli quello che pensavo.

«Sapevo che avresti reagito così.» Disse guardandomi orgoglioso. «Siamo due persone complicate eh?» Continuò.
«Molto complicate. Ah, non ho finito…» Gli presi il braccio e lo guardai negli occhi. «Sappiamo che siamo sbagliati, che quello che facciamo è sbagliato…Ora, anche, questa gara è sbagliata. Ma non sarai solo tu a fare questo errore.» Sul suo volto prima si dipinse l’incertezza e poi la consapevolezza. Aveva capito dove volevo arrivare.

«Mai.» Disse solennemente, iniziando a camminare. Sbuffai e accelerai il passo mettendomi avanti a lui.
«Perché?»
«Perché è un punto di non ritorno, io sbaglio da sempre, sbaglio da tutta la vita. Ma non voglio rovinarti la tua per una fottuttissima gara, chiaro?» Grugnì con gli occhi infervorati.

«Sbagliamo insieme. Facciamo quest’errore insieme. Iniziamo a condividere i nostri errori. Dove vai tu, vado io. Secondo te ti lascerò compiere una cosa del genere da solo? Con la paura di vederti morire sotto i miei occhi?» Gli urlai posando una mano sul suo petto. Il suo cuore batteva all’impazzata, ma non sarebbe mai arrivato ai livelli del mio che in questo momento minacciava di uscire dal petto.
«Sono le stesse parole che mi hai detto quella sera.» Grugnì arrabbiato, riferendosi a quella volta che l’avevo colto con le mani nel sacco mentre stava per fare una gara clandestina.

«Non è cambiato nulla da allora, eh?» Sputò. No. Questo non l’accettavo. Non mi tenevo una battuta così cattiva che aveva fatto più male del previsto.
«Sai che ti dico? Vai, fai questa gara, sfracellati ma non rimarrò qui a guardarti!» Gli urlai incazzata nera. «E sai perché non rimarrò a guardare?»

«Non vuoi avere la mia morte sulla coscienza? Forse il tuo cuore non ne può reggere un’altra? Bhe, notizia flash neanche io posso sopportare un’altra persona morta per COLPA MIA.» Urlò. Persi quasi il respiro a quelle parole e non perché mi aveva praticamente confessato che qualcuno era morto per colpa sua, ma perché aveva tirato in ballo Matt.
«No, coglione! Non posso reggere di perdere te e basta! Perché ti amo. Perché ti amo. E ora vai e sfracellati, non m’importa!» Gli diedi una spallata e a grandi passi  mi avviai verso l’uscita.

Continuai a camminare fino a quando non sentii due grandi mani sui fianchi. Mi girai e mi scontrai con gli occhi di ghiaccio di Damon.
«Sei la persona più insopportabile di questo pianeta, vorrei soffocarti, ucciderti però dopo mi rendo conto che non sarei nessuno senza di te. Perché mi rendi così lunatico e complicato che mi fai uscire di testa, mi fai perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Detesto sentirmi così, detesto essere debole sotto i tuoi occhi…» Sputò con rancore. Perché mi aveva rincorso? «DETESTO essere innamorato, ma non posso farci niente! Detesto essermi innamorato di una ragazza come te, perché sei troppo. Troppo in qualsiasi circostanza.» Continuò.

«E sognavo questo? Secondo te, da bambina, volevo condividere questo amore insopportabile e proibito? Detesto anch’io questa situazione, però ogni cosa che faccio mi riporta a te.» Continuai tirando un po’ su col naso. Stavo rigettando l’anima in quelle parole. Ogni parole diventava sempre più sofferta e sempre più dura da dire, perché era vera.
Detestavo essere innamorata di Damon Salvatore.

«Odio il tuo amore malato e malsano, ma non posso farne a meno!» Gli urlai. Mi prese il viso e mi baciò con foga. La sua lingua danzava nella mia bocca, la mia saliva si era mischiata alla sua. Avvertivo il fastidioso odore pungente del suo dopobarba ma non m’importava. Feci scorrere le mani sulla sua schiena stringendolo più a me, mentre indietreggiavamo.
Aveva ragione. Ragione su tutto. Damon stava alimentando un fuoco che non si sarebbe mai spento se alimentato da lui. Era questo il fastidio che provavo all’altezza dello stomaco. Altro che farfalle nello stomaco, sentivo solo un profondo e viscerale vuoto che si colmava solamente con la sua presenza.
«E io non posso fare a meno di te.» Grugnì.
Avevo le labbra arrossate e non solo per via del mio rossetto. Aveva mordicchiato le mie labbra, ci aveva giocato e per poco non  mi era uscito un po’ di sangue dal labbro inferiore.
Tolsi il rossetto dalla sua labbra e lo guardai negli occhi.

«Sei pronta per questa ennesima prova?» Mi chiese stringendomi la mano. Stavo per farlo. Stavo per gareggiare fianco a fianco di Damon Salvatore.
«La moto è pronta!» Disse trionfante Alaric vedendoci arrivare. Sorrisi istintivamente e m’inumidii le labbra.
«Gareggio con lei.» Gli comunicò Damon sedendosi sulla moto e facendomi cenno di sedere. Deglutii, non potevo tirarti indietro. Non ora.
«Amico sei sicuro? Non hai voluto far gareggiare…» Damon lo freddò con una brutta occhiata.

«Viene con me.» Replicò ancora. Mi sedetti sulla moto e mi aggrappai a lui. Sentii qualcosa circondarmi la vita. Era una cintura?
«A cosa serve?» Chiesi ad Alaric. Lui sospirò e mi guardò forse più che sorpreso, preoccupato.
«A tenerti attaccata a lui. Tieniti stretta, dolcezza.» Mi rassicurò. Mi strinsi maggiormente a Damon.
«Non aver paura. Prendi il casco.» Ordinò il corvino. Chiusi il casco e mi spostai i capelli dietro. Ero pronta. Si partiva per la stupidaggine del secolo.

«Ti arerò, Damon.» Disse quello sconosciuto salendo sulla sua moto. Notò anche me e sorrise divertito. «Vuoi farla gareggiare con te? Non sarà troppo pericoloso?» Alzò un sopraciglio enigmaticamente. Sapevo cosa stava facendo, voleva far sentire in colpa Damon per farlo andare più piano…Oh, non aveva capito niente. Quello che faceva lui, la facevo anch’io.
«Zitto e pensa a vincere.» Grugnii infastidita. Non replicò più. Chiusi gli occhi e mi appoggiai alla schiena di Damon stringendolo più forte
che potevo.

Sentivo intorno a me tante urla di incoraggiamento e il ragazzo che dettava l’inizio della gara era quasi sovrastato da tutte quelle voci.
Capii che aveva dato l’inizio quando Damon schizzò veloce come la luce già dalla montagnetta di terra. Andava veloce, sentivo il vento sferzarmi i capelli ma non osavo aprire gli occhi e vedere la velocità che stava raggiungendo.
Non parlavo, né dicevo niente. Non dovevo fargli perdere la concentrazione. L’ansia saliva in me troppo velocemente.
Il corvino fece una curva larga, o almeno così sospettavo visto l’inclinazione che la moto aveva preso. Chi si aspettava una cosa del genere, io no di certo. Pensavo sarebbe stata una vacanza a Londra normale come la altre e invece ora ero su una moto a fare una gara del genere.

«Sto perdendo velocità…» Lo sentii mormorare.
«Non ho paura. Aralo Damon. Fallo per me.» Gli sussurrai all’orecchio. Detto fatto, mi prese in parola. La velocità con cui andavano prima non era paragonabile a questa.

Il mio cuore batteva all’impazzata, il mio respiro era sempre più irregolare. Non ce la facevo più a tenere gli occhi chiusi, li aprii e mi guardai attorno.
Damon guidava la moto con controllo, girai di poco la testa dietro. Quello sconosciuto era distanziato da noi da un bel po’ di metri. Il
traguardo era veramente vicino.
Ce l’avevamo quasi fatta.

Un’ultima montagnetta e il gioco era fatto. Sentii la moto alzarsi da terra. Non mi sarei mai scordata l’adrenalina che provai in quel momento.
Ebbi così tanta paura che per un secondo pensai di non atterrare intera a terra. Sospirai solamente quando le gomma della moto toccarono terra con un bel tonfo.
Damon sembrò perdere di poco l’equilibrio, ma lo recuperò dopo poco. Un ultimo sforzo. Chiusi gli occhi, le gomme frenarono di botto producendo uno stridio insopportabile, del fango macchiò probabilmente le mie scarpe.

La cintura che mi teneva stretta a Damon si sciolse e aprii gli occhi. Ricominciai a respirare regolarmente, mi tolsi il casco e lo abbracciai.
«Sbagliamo insieme Damon.» Ripetei ancora, prendendo il suo viso tra le mani.
«Basta poco, veramente poco per distruggerci. Mi basta una parola per farti crollare e un bacio per farti diventare più forte. Alimenti le mie giornate. Non smettere mai, Elena.» Disse a pochi centimetri dal mio volto.
Aveva ragione, bastava poco per distruggerci. Bastava una sola parola sbagliata da parte dell’altro per autodistruggersi.
E si sapeva, l’autodistruzione poteva essere rimandata ma non poteva essere eliminata.

«Sarai tu la persona che metterà fine alla mia vita. Ti sento nella pelle Damon, non c’è sensazione peggiore e migliore nello stesso tempo. Non distruggermi.»

Intorno a noi non c’erano più i suoi amici a congratularsi, non sentivamo più le urla e le imprecazioni del suo avversario. Non sentivamo più niente.

«Ci proverò.»
Quel ci proverò non mi convinceva. Mi avrebbe distrutta, ne ero certa.
 
 
 
 







GRAZIE A NikkiSomerhalder, Smolderina78, Bea_01 e Katherina23.
Grazie alle 43 PERSONE che hanno inserito la storia tra le PREFERITE. Grazie alle 59 che l’hanno inserita nelle SEGUITE.
Grazie alle 5 che l’hanno inserita nelle ricordate.
Grazie ai lettori silenziosi che leggono soltanto.
 
Non ti scordar di me:
Hi, girls <3
Eccomi qui. Forse siete dispiaciute dal fatto che non aggiornavo più? Oh, be’ tranquille sono qui! Come avrete ben notato questo capitolo è una bomba, nel vero senso della parola. E’ il più lungo che abbia mai scritto, più di una decina di pagine di Word. E’ bestiale, però mi piace. E anche molto.
Spero che vi piaccia quanto sia piaciuto a me. E vi assicuro che è difficile che dica che mi piace quel che ho scritto.
Che dire…Elena si è dichiarata, sempre nella peggiore della situazioni però fa niente. XD Le parole tra quei due non sono bellissime? *-* Voglio dirvi che le ho scritte io e non chiedetemi come la mia mente escogiti cose così complicate, perché non lo so neanche io!
Sto partendo dalla fine…Perché? Oh perché è la parte MIGLIORE!
Veramente sto super euforica per due motivi: primo, questi due sono la mia droga. Uno più dipendente dell’altro e secondo, la storia sta per finire!
S’inizia il conto alla rovescia tra poco. Mancano tre capitoli più l’epilogo suppongo. Però tranquilli, il sequel esiste! E’ in work :3
Sinceramente non ho altro da dire, Ouch! Mi stavo dimenticando di Mamma Elisabeth! Chi non stima quella donna con le sue battutine un po’ a doppio senso? Ha capito qualcosa per voi? Mm…Chissà. Chissà.
E voi? COME VORRESTE L’EPILOGO? Qualcuna di voi INDOVINERA’ cosa la mia mente ha progettato?
Bhe, GRAZIE ANCORA.
VI AMO <3
Ci sentiamo alle recensioni, belle.
Non ti scordar di me.

 
 

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Capitolo 20
*** Congratulations Damon! ***


Capitolo venti.
Congratulations Damon!

Il mal di testa pungente, dovuto a quanto avevo bevuto la sera precedente, non mi aveva abbandonato un solo momento. Eravamo rientrati piuttosto tardi, mamma dormiva profondamente e non l’avevamo svegliata. Lo stomaco era sotto sopra, ero in camera di Damon sotto le coperte e provavo a prendere sonno. Guardai il cellulare, le 3.21 della mattina. Ero in quel letto da una mezz’oretta ma no riuscivo a prendere sonno. Non perché mi fosse passato il sonno, ma perché il mal di testa e la nausea non mi abbandonavano.

Il corvino, invece, ronfava profondamente.
Come faceva? Aveva ingurgitato tante di quelle schifezze che io a quest’ora sarei già in iperventilazione. La tequila faceva a cazzotti con la pizza che avevo mangiato più o meno sei ore fa. E non sarebbe finita bene per me.
Mi tolsi di dosso le coperte e corsi verso il bagno. Ringrazia il cielo che il bagno era di fronte la camera di Damon e che la camera di mamma era in fondo al corridoio. Volevo evitarmi la ramanzina sul ‘io ti avevo detto che non erano raccomandabili’.

Accesi la luce e mi china sul wc. Vomitai quasi l’anima. Lo stomaco mi faceva sempre più male e il cerchio alla testa si stava intensificando. Non poteva andare peggio di così.
Scaricai e mi alzai da terra. Avevo due occhiaie spaventose e i capelli lisci come spaghetti erano sparati all’aria alla bene e meglio. Ero un orrore.
Aprii l’acqua e mi sciacquai la bocca che sapeva ancora di tequila e qualche altro alcool. E pensare che mi ero ripromessa di non fare cazzate nel periodo in cui sarei andata a Londra. Chiusi l’acqua e trascinai stancamente i piedi verso la camera di Damon.

Non feci neanche in tempo a rimettermi a letto che una fitta mi travolse. A gattoni raggiunsi nuovamente il bagno. Probabilmente avrei passato lì quella nottata e di sicuro per un bel po’ di tempo non avrei mai più voluto vedere un solo goccio d’alcool.
Ad un certo punto sentii due mani poggiarsi sulle spalle. Mamma?

«Perché non mi hai svegliato?» Sospirai. Era solamente Damon con una voce impastata dal sonno e gli occhi ancora socchiusi. Era in boxer e a malapena si reggeva in piedi. Perché lo trovavo estremamente sexy anche dopo un post sbronza, mentre io sembravo una gatta uscita da un combattimento all’ultimo sangue?

«Eri…» Non riuscii neanche a finire che mi chinai sul water continuando a vomitare schifezze. Damon non disse niente, chiuse la porta e si sedette vicino alla vasca guardandomi assorto. Ero una visione così bella persino mentre vomitavo?
Scaricai nuovamente e mi poggiai al muro vicino al wc, in caso dovessi vomitare nuovamente.

«Dicevi?» M’incoraggiò sorridendo. Ero sobrio, o almeno di sicuro lo era più di me che in quel momento non riuscivo a vedere altro se non il mio vomito.
«Eri così immerso nel sonno che non ti ho voluto svegliare…» Gli dissi usando un pezzo di carta igienica per pulirmi gli angoli della bocca.
Le mattonelle del pavimento erano fredde e scomode, però mi sentii stranamente meglio. Il mal di testa sembrava essersi attutito, mentre il mal di stomaco persisteva sempre più forte.

«E’ la seconda volta che ho a che fare con un’Elena ubriaca.» Mi fece notare. Sorrisi lentamente e mi appoggiai al lavandino. Volevo alzarmi e se possibile riposare un paio di ore, ma era tutto più difficile con la vista annebbiata e lo stomaco sotto sopra.
«Nuove esperienze, no? Damon Salvatore prova a tenere a bada una ragazza completamente sbronza…» Feci ironia, appoggiandomi sulle gambe e guardandolo di traverso.

Il corvino alzò gli occhi al cielo e si alzò lentamente. O forse mi sembrava tutto più lento?
«Tra i due dovresti essere tu quella responsabile, giusto?» Mi chiese, avvicinandosi lentamente a me. Io quella responsabile? Scherzavamo?
«Faccio con te gare clandestine, a Mystic Falls mi vedono come un’assassina, vado da un cazzo di psicologo, la mia famiglia sta andando a rotoli…Ti sembro una ragazza responsabile, casa e chiesa?» La sbronza mi rendeva più intraprendente del solito e mi faceva dire tante stupidaggini una dopo l’altra.
Damon strabuzzò leggermente gli occhi.

«Mh…Credo ti sia dimenticata un altro tuo piccolo problema.» Mi corresse. Un altro? Non ne avevo già abbastanza? Gli feci cenno di continuare. «Ho sentito che ti piace molto sniffare? Preferisci droghe leggere o pesanti?» Mi chiese divertito. Strabuzzai gli occhi.
E questa stupidaggine da dove l’aveva presa? Avevo fatto tante stupidaggini – lo ammettevo – ma non avevo mai fatto uso di sostanze del genere.

«Uhm, gira voce che sono una drogata? Bene. Qualcos’altro da aggiungere ai miei problemi.» Ammiccai leggermente. Il corvino mi squadrava attentamente.
Ero così brilla da non ricordare che io stessa avevo messo in giro quella voce? Tutta colpa di Caroline e di MaxField. E anche colpa di Ian. Se non fosse stato lì a quella seduta, forse non avrei raccontato quella balla. Un momento…Damon come faceva a sapere della mia bugia?

«Seriamente, ora. Mi spieghi perché non me l’hai detto.» Aveva una voce profonda e se non fossi completamente andata forse avrei provato un po’ di timore.
«E tu? Da chi l’hai saputo?» Gli chiesi. Sembrò pensarci su qualche istante.
«Dalla Barbie.» Ora capivo perché Caroline era sempre sulle difensive e metteva sempre in mezzo Damon ai suoi discorsi.

«Si chiama Caroline.» Gli ricordai. Non avrebbe mai imparato il suo nome? Era snervante sentire quell’odioso sopranome. E soprattutto era snervante sentirlo pronunciare da lui.
«Non cambiare argomento.» Mi disse.
Roteai gli occhi al cielo. Se non avessi un mal di testa così forte, mi sarei inventata una buona scusa sulla mia indipendenza…Ma ora mi guardavo e mi rendevo conto di com’ero ridicola. Persino da ubriaca dovevo mentirgli?

«Vedi, non volendo ammettere di essere dipendente da te ho inventato la cazzata del secolo. Ovvero che sono dipendente da una droga.»Scoppiai in un risolino. Mi alzai da terro velocemente, forse troppo velocemente.
La stanza iniziò a girare troppo velocemente per me, vedevo tre Damon muoversi…Un momento tre Damon? Damon era solo uno, o sbaglio?

«Elena, cos’hai?» Mi chiese. La sua voce mi sembrava lontana, quasi fosse un lontano eco. Mi sentivo lontana. Ero lì, in bagno ma la mia testa era lontana. Dovevo prendere un’aspirina o qualcosa del genere.
«Sto…Sto bene…Credo solo di dover…» Non riuscii neanche a finire la frase che aprii nuovamente la tavolette del wc e vomitai ancora e ancora. Non c’era sensazione peggiore di quella, sentivo tutto quello che avevo ingerito uscire fuori di me con troppa irruenza.
Mi specchiai e guardai il mio colorito. Ero cadaverica, una visione raccapricciante. Dietro di me, c’era Damon che osservava attentamente i miei movimenti. La stanza, però, riprese a girare e rimanere in piedi era qualcosa di troppo difficile.

Mi lasciai cadere nelle braccia di Damon quasi a peso morto. Volevo solo dormire, ma questo mal di stomaco non mi faceva chiudere occhio.
«Meglio per te che non vomiti nel mio letto.» Sbottò divertito. Scaricò nuovamente, spense la luce e chiuse la porta alle sue spalle. Lentamente si avviò verso la camera che chiuse accuratamente.

«Dovevo impedirti di bere tanto.» Sembrava che stesse parlando più con sé stesso che con me. Io annuii ancora con la testa su di giri e mi tolsi di dosso le coperte. In quella stanza faceva troppo caldo, ma addosso sentivo una sensazione di freddezza fastidiosa.
Non volevo neanche immaginare la mia situazione quella mattina. Vidi l’ora al cellulare. Si erano fatte le 4 del mattino, potevo concedermi ancora qualche ora di meritato sonno. Damon, invece, non si rimise a letto. Era seduto sulla sedia vicino alla scrivania e abbozzava qualcosa su un pezzo di foglio, probabilmente finiva di scrivere qualcosa…A pensarci bene anche ieri pomeriggio stava scrivendo qualcosa.

Aveva l’espressione concentrata, ma era stanco. Il mio sguardo vagò su tutte quell’incisioni, ne erano molte. Cosa indicavano?
«A cosa corrispondono tutte queste linee?» Gli chiesi giusto per fare un po’ di conversazione. Damon posò la penna e rivolse un’occhiata malinconica a quei segni che probabilmente aveva per lui un significato.

«Rappresentano il passare dei giorni da tot giorni a questa parte.» Disse piano, sbadigliando. Era stanco, perché non si stendeva qui con me?
«Perché non ti riposi con me?» Chiesi con un filo di voce, girando la testa verso di lui. Lo stomaco andava meglio del previsto, ma sentivo il bisogno di vomitare e rigettare via tutte le schifezze che avevo ingerito.

«Devo assicurarmi che tu stia bene. Se hai una ricaduta e hai bisogno del mio aiuto, ma sto dormendo? Tranquilla, quando vivevo qui mi sbronzavo peggio di te ora…So cosa si prova, nessuno c’era eppure avevo bisogno di qualcuno.» Mi disse abbozzando un sorrisetto. Sbattei più volte le palpebre, era possibile? Stava veramente parlando Damon Salvatore? Il ragazzo egoista che un tempo ci provava con sua sorella? Non era possibile.
Ora sembrava…Sembrava più umano. Più incline ai problemi degli altri, prima era quasi un pezzo di ghiaccio. In quegli occhi azzurri vedevi solo il vuoto e l’oblio, vedevi la confusione e l’incertezza per qualcosa…Ma non vedevi nemmeno un briciolo di compassione. Ai primi tempi avevo quasi paura che fosse apatico, ma non lo era. Era solamente chiuso, molto chiuso in sé stesso per una ragione a me ancora oscura.

«Non distruggermi.» Ripetei ancora. Non sapevo perché, ma sentivo il bisogno di ripeterglielo ancora. Avevo il presentimento che mi stesse nascondendo qualcosa e non credo esistesse sensazione peggiore di quella.
«Ci proverò.» Mi sorrise per poi darmi le spalle e continuare a scrivere qualcosa su un pezzo di carta. Non capivo cosa significava quel ci proverò. O era sì o era no. Non poteva esistere un ci proverò.

«Perché non mi assicuri che non mi distruggerai?» Gli chiesi con un filo di voce, le palpebre si stavano facendo pesanti e avevo un sonno pazzesco.
Non chiusi gli occhi fino a quando non incontrai gli occhi di Damon.
«Perché quando scoprirai la verità mi odierai.» Sussurrò. «Ma sono troppo egoista per dirti di stare lontana da me.» Caddi completamente nel sonno più profondo, mentre quelle parole si facevano troppo lontane.
 

Venni svegliata da un fastidioso rumore che mi perforava i timpani. Aprii gli occhi e mi resi conto che era semplicemente la suoneria del mio cellulare, perché mi sembrava così forte? Mi stava mandando in pappa il cervello, completamente stufa e con un cerchio alla testa peggiore di quello che avevo questa notte risposi alla chiamata.

«Pronto?» Mugolai. Massaggiavo la testa col pollice e l’indice, sperando che in qualche modo il mal di testa potesse attutirsi.
- Brutta stronza non mi fai neanche una chiamata! – Mi urlò una voce troppo familiare. Mio Dio, mi ero dimenticata di Caroline! Le avevo detto della mia partenza, tra tutti forse lei era quella che aveva reagito meglio.
«Dove cazzo vai?» Mi urlò. Eravamo sedute in un bar e la guardavo divertita. Sganciare la bomba era stata l’idea più stupida che potessi prendere in quel momento, ma non avevo altre idee.

«Londra, Europa.» Le dissi bevendo un sorso di caffè. Care strabuzzò gli occhi e sgranò la bocca. Certo che nessuno si aspettava questa decisione!
«Lo so…ma…Insomma…Londra…Elena, dimmi che non te ne vai con Damon.» Dopo tanti tentativi era riuscita finalmente a dire una sola frase di senso compiuto. Sorrisi contenta. Oh, Damon non se ne sarebbe andato.
«Sono pochi giorni con Damon e mamma a Londra. Ritorneremo.» A quelle parole i suoi occhi si allargarono maggiormente. Ops, non le avevo detto che il corvino non si trasferiva lì? Già, non le avevo detto di aver origliato la parte sbagliata della conversazione tra i due.

«Questa mi è nuova.» Mi disse Caroline guardandomi di sottecchi.
«Oh, andiamo è anche un’ottima opportunità per visitare Londra! Non era un tuo sogno vederla?» Le chiesi sfottendola. I suoi occhi si assottigliarono e le sue labbra si piegarono in una smorfia di disapprovazione.

«Appunto! Il mio sogno.» Mi guardò con un debole sorriso che poi si ampliò sempre più. «Fai tante foto, okay?» Continuò addolcendosi.

«Potresti non urlare?» Le chiesi con la voce ancora impastata dal sonno. Avevo la testa che scoppiava e gli occhi erano gonfi. I capelli sparati all’aria e il sole m’infastidiva. Aveva una nausea pazzesca e di sicuro da un momento all’altro sarei dovuta andare in bagno.
Non avevo mai sentito sensazioni peggiori di queste.

- Non urlare? Sei partita da tre giorni e non mi chiami una volta. Domani già riparti! – Sbottò inacidita al telefono. Certo che non saremo andate lontano così. Il mal di testa peggiorava ogni parola che mi diceva e non accennava a migliorare il suo tono di voce assordante.

«Sto smaltendo una sbornia colossale, a breve correrò a vomitare…Puoi abbassare quella cazzo di voce?» Grugnii mettendomi a sedere. Dalle tende filtrava il sole, mi alzai dal letto e le chiusi. Mi sedetti sulla sedia vicino alla scrivania e mi resi conto che quella lettera che Damon stava scrivendo non c’era più.
- Uuu…Fatto le ore piccole con qualcuno? E brava la mia amica, i Londinesi sono dei gran fighi! – Si congratulò. Oh quanto avrei voluto scherzare con lei, ma i sintomi post sbronza si facevano sentire.

«Dovrei farti conoscere Gabriel…Lui sì che è un figo da paura.» Le dissi. A pensarci bene Gabriel la sera precedente non si era fatto vivo. Meglio così, altrimenti come gli spiegavamo che ero diventata improvvisamente da sorella la ragazza di Damon?
- Mm…Comunque le chiamate costano molto, ti ho chiamato solo per dirti che ho chiuso tutto col mio compagno di letto. – Confessò. Finalmente una buona notizia! Aveva chiuso con quello stronzo, ora finalmente potevo chiederle il nome di questo idiota.

«Sono contenta per…» Non finii neanche perché una fitta mi colse alla sprovvista.
- Tutto bene? – Mi chiese con voce preoccupata. Non dovevo preoccuparla, sapevo che lo avrebbe detto a Stefan e quello era il più grande dei miei problemi, perché lo avrebbe riferito a papà e avrei detto addio alla possibilità di ritornare da mamma.

«Sto bene. Ora quando ritornerò faremo un bel party, così ti racconterò Londra nei dettagli okay?» Le chiesi improvvisando un tono scherzoso.
- Non vedo l’ora. A prestissimo, ‘Lena. – Mi salutò chiudendo la chiamata. Vidi anche l’ora. Quanto avevo dormito?! Erano quasi le dodici! Mi alzai da sedere e mi trascinai stancamente verso la cucina.

Mamma mi guardava con un’espressione vagamente divertita, mentre leggeva il quotidiano. Odiavo quello sguardo da ‘io te l’avevo detto’.
Mi sedetti intorno al tavolo e mamma mi porse una tazza con chissà quale intruglio dentro.
«Funzionava con le sbornie quand’ero giovane.» Mi disse sorridendo. La guardai incuriosita. Come sapeva che mi ero ubriacata da far schifo? Lei dormiva.
«Tesoro, non sono nata ieri. Vi ho sentiti rientrare e ti ho anche sentita vomitare l’anima questa notte.» Disse guardandomi. Alzai gli occhi al cielo. Almeno non aveva iniziato con la paternale, a quest’ora se fossi con papà non potevo più uscire di casa per – come minimo – due settimane.

«Almeno Damon è rimasto sobrio.» Commentò divertita. Bevvi un sorso di quell’intruglio. Aveva un sapore orribile.
«Comunque ho fatto un paio di ricerca su quell’Università. Si dovrebbe pagare una retta annuale per poter frequentare quella scuola.» Mi disse sorridendo e porgendomi dei moduli. Li guardai. Non era veramente il momento per pensare a una cosa del genere.
Non avevo proprio, non avevo la voglia e la costanza di ricominciare qui una vita. E cosa ancora più importante: quanto costava questa retta?

«Mamma, non voglio…Non voglio pesare sulla famiglia, la retta costerà una fortuna…» Ouch, un’altra fitta. Bevvi un altro po’ di tisana. Bruciava in gola, ma attutiva tutta quella nausea.
«Potrei chiedere una…una borsa di studio.» Mi disse toccandomi la mano. Scossi la testa e le sorrisi ricambiando la stretta.

«In caso cambiassi idea, tienimi un posto libero in casa okay?» Feci scherzosa. Lei si alzò dalla sedia e posò il quotidiano. In casa c’era uno strano silenzio. Dov’era Damon?

«Mamma, Damon dov’è?» Ero più che convinta di ritrovarlo in stanza con me a dormire  o sveglio intento a fare qualcosa.
«Mi ha detto che andava al cimitero.» Alzò le spalle e annuii poco convinta. Perché doveva andare al cimitero? Mi avviai verso il bagno e mi sfilai velocemente il pigiama che finì sul pavimento seguito a ruota anche dall’intimo.

Una doccia fredda dopo la sbronza aiutava sempre giusto? O almeno lo speravo. L’acqua fredda sembrava migliorare la mia situazione sia mentale che fisica. Avevo i ricordi confusi, tutto era appannato dall’alcool e i dolori di pancia andavano poco meglio.
M’insaponai il corpo e feci due passate di shampoo. Una sola non bastava affatto. La sera precedente avevo sudato come ché. Sciacquai velocemente i capelli e uscii dalla doccia.

Presi il phone e iniziai velocemente ad asciugarli cercando di essere il più veloce possibile, volevo vedere Damon e volevo capire perché fosse andato al cimitero. I nonni da parte materna erano ancora vivi, perciò chi poteva andare a trovare al cimitero?
Avvolta da un accappatoio uscii dal bagno e mi precipitai in camera degli ospiti. Afferrai le prime cose che mi capitarono sotto mano: un leghins nero, una maglia a mezze maniche e una felpa bianca bella calda. Allacciai gli anfibi e legai i capelli in una coda malfatta.

Non mi guardai neanche allo specchio, sapevo di essere inguardabile ma non avevo proprio tempo di truccarmi.
Presi il mio Iphone e mi catapultai verso la porta di casa.
«Dove vai?» Fui bloccata dalla voce di mamma che mi guardava arcigna con uno strofinaccio in mano. Sfoggiai uno dei miei sorrisi falsi migliori e sbattei le ciglia in modo convincente.

«Un giro per Londra, Damon mi ha mandato un messaggio.» La rassicurai. Non mi aveva creduto. Glielo si leggeva in faccia. Lei non era come papà, non cascava alla prima cazzata che dicevo.
«Torna presto.» Mi disse. I miei occhi s’illuminarono. Aveva capito tutto. Sapeva che sarei andata al cimitero ma non m’impedì niente, anzi in un certo senso mi aveva dato il via libera.

Ciò significava che al cimitero c’era qualcuno, qualcuno di cui magari non sapevo neanche l’esistenza.
Uhm…Devo solo chiedere informazioni. Niente di più semplice, no?
 

Rettifico tutto quanto. Non era affatto semplice orientarsi in una città come Londra. Era enorme e la gente in un giorno infrasettimanale non ti degnava di uno sguardo. Solamente un signore mi aveva aiutato ed era persino straniero!
Un italiano mi aveva dato informazioni, anche se sospettavo che in realtà stava cercando di abbordare in modo abbastanza squallido. Per non parlare di come comunicavo, avevo provato con google traduttore, con i gesti…Ma niente!

Alla fine mi ero ridotta a comprare una cartina in uno stupido negozietto! Peggio di una turista. In tutti i casi, prendendo diversi bus ero finalmente riuscita ad arrivare al cimitero.

Era un posto abbastanza inquietante. Immerso in natura, non era neanche pavimentato. Vi era una recinzione a distanziare la natura dal cimitero vero e proprio.
A piccoli passi guardandomi attentamente attorno mi addentrai nel cimitero. C’erano un po’ di persone, ma se non ci fossero state sarebbe stato il luogo perfetto per girare un film horror.

In particolare mi colpì una tomba con un angelo sopra e una bella dedica. C’erano tanti fiori diversi a rendere quell’ambiente lugubre poco più vivo.
Era strano passeggiare in un luogo in cui ti sentivo così estranea. Vedevi la gente che piangeva sulle tombe e bambini piccoli che chiedevano ai loro genitori cos’era successo a quelle persone, mentre io ero lì per cercare mio fratello.
Probabilmente a quest’ora era già ritornato a casa. Mi diedi mentalmente della stupida per cosa stavo facendo. Non mi fidavo a tal punto di Damon da iniziare a pedinarlo? Che razza di ragazza ero? Umh…A pensarci bene non ero la sua ragazza, ma una sottospecie. Sta di fatto che il succo della questione era quello.

Un brutto capogiro mi prese alla sprovvista e fui costretta ad appoggiarmi ad una panchina. Stupida sbornia passata solo per metà.
Da ora in poi non mi sarei mai più ubriacata in quel modo!
«Stai bene?» Mi chiese una voce. Un momento…Dove avevo già sentito quella voce? Aprii gli occhi di scatto e incontrai due occhi verdi foglia che m scrutavano attentamente.

Il ragazzo era vestito in modo impeccabile, un bel jeans, una camicia e delle scarpe eleganti. I capelli ricci ricadevano morbidi e aveva un malinconico sorriso dipinto sul volto.
Gabriel.
Cosa ci faceva lì?

Ringraziai me stessa mentalmente per non aver dato voce ai miei pensieri. Perché una persona doveva andare al cimitero? Probabilmente era venuto a trovare qualcuno.
Gli sorrisi leggermente e mi alzai dalla panchina un po’ barcollante. Gabriel mi fu vicino sorridendomi timidamente.
Stranamente non mi sembrava sempre così timido, o forse mi facevo condizionare troppo velocemente dalle persone?

«Sto benone. Solo un cerchio alla testa.» Gli dissi. In tutti i casi poggiai la mia mano sulla sua spalla, giusto per avere un appiglio più sicuro. Forse a breve sarei finita a terra.

«Come mai sei qui? Non eri dell’America?» Mi chiese con un sorrisetto beffardo. Annuii e nel frattempo provavo ad inventarmi una scusa buona. Di sicuro dirgli ‘sono venuta a pedinare mio fratello di cui sono profondamente innamorata’ non era una delle mie idee migliori.
«Sì…Solo che…Oh, lascia perdere. Tu? Sei con qualcuno, la tua famiglia?» Buttai lì un discorso a casa per depistarlo. Sembrò abboccarci. Sul suo volto si dipinse un’espressione di vero dolore. Ahia, avevo toccato un tasto bollente.
Mi complimentai con me stessa per la mia solita delicatezza. Potevo almeno essere poco più dolce, no? Invece, ero partita in quarta immergendomi in un discorso ancora più complicato.

«No, da solo. Sono venuto a trovare mia sorella.» Schiusi la bocca sentendo il discorso farsi ancora più pesante di come potevo immaginarmi. Aveva perso una sorella? Ouch, certo non potevo essere più indelicata.
Rafforzai la presa sulla sua spalla come a trasmettergli il mio dispiacere.

«Mi spiace molto.» Dissi sforzando un semplice sorriso. Anche se da sorridere c’era veramente poco. Nell’anticamera del mio cervello mi sfiorò l’idea di chiedergli se avesse incontrato Damon, ma mi resi conto che in quel momento non era il massimo metterlo in mezzo.
Così mi limitai a stringerlo in un abbraccio.

«Sarà stato difficile sopportare la sua perdita.» Gli dissi sorridendo amaramente. Lui ricambiò l’abbraccio incerto.
«Molto. Anche Damon non la prese bene, non so se ha superato il trauma…» Commentò stringendomi. Damon aveva preso molto male la perdita della sorella di Gabe? Perché? Sciolsi l’abbraccio e lo guardai leggermente stralunata.

«L’hai per caso incontrato?» Chiesi ingenuamente. Lui annuì. «Io dovrei raggiungerlo…Potresti…Potresti dirmi dove l’hai visto?» Gli chiesi cercando di non dare a vedere com’ero rimasta turbata da quella notizia.
«Cammina dritto fino alla fine del viale. Dietro la lapide c’è una scultura di un angelo morto in un groviglio di rose.» Avevo i brividi e per un momento pensai di chiedergli il perché di quella strana scultura e non una più semplice e comune.

«La riconoscerai di sicuro.» Mi disse. Ovvio, come facevo a non accorgermi di una lapide del genere.
«Quella K sta per il suo nome, vero?» Gli chiesi dopo aver fatto pochi passi in avanti. Annuì e mi salutò con un ceno del capo.
Sospirai e iniziai a percorrere il viale. Non c’erano tracce di sculture così inquietati, c’erano solo di begli angeli che spiccavano il volo o lapidi abbastanza semplici ornate di bei fiori.

Forse Gabriel mi aveva dato delle informazioni sbagliate. Man mano che percorrevo il viale vedevo le lapidi farsi sempre di meno. Perché avevano deciso di mettere là da sola quella ragazza?
Il terreno era incolto, spiccava solamente un grande albero da cui s’intravedeva una strana scultura. Un ragazzo era in piedi alla tomba.
Damon era di spalle. Avrei riconosciuto ovunque quel taglio di capelli. Perché era così provato per la sorella di Gabriel? Per Matt, fu tanto solo convincerlo a
venire al funerale.

Mi avvicinai a piccoli passi, avevo quasi paura ad avvicinarmi. Quel piccolo angolo era così intimo. Sembrava qualcosa a parte in quel grande e spoglio cimitero.
Ero vicina e iniziai a focalizzare meglio l’intera scena. La lapide era piuttosto piccola rispetto alle altre, mentre la scultura dell’angelo soffocato dalle spine era enorme, raggiungeva quasi l’altezza di Damon.
L’occhio cadde anche sul nome della ragazza. Ebbi un vero colpo al cuore.
Katherine Pierce. 1994-2012.
Un angelo soffocato dalle spine di una rosa.

La foto ritraeva una ragazza dai capelli biondo cenere legati in una treccia accurata, gli occhi color lapislazzuli dalle piccole pagliuzze dorate e una bocca contratta in un timido sorriso.
Forse in quel momento mi resi conto cosa volesse significare sentirsi completamente distrutti. Perché ora iniziava a ritornare tutto.

«Da-Damon…» A malapena avevo la voce per parlargli. Si girò verso di me e sgranò gli occhi celesti. Perché ora mi sembravano diversi? Mi sembravano più veri, meno falsi…Quella strana sensazione che avevo, quel biglietto…I racconti nella libreria.
Il nome coincideva. Eppure mi sentivo ridicola e stanca. Troppo stanca.

«Elena, Elena cosa ci fai qui?» Mi chiese avvicinandosi a me. Mi prese la mano ma ritrassi la mano quasi col cuore in gola.

«Cosa…Io…Non lo so…Voglio solo sapere perché. Perché, Damon? Ti prego, dimmi solo il perché.» Avevo la voce incrinata e gli occhi lucidi. Era un’impresa difficile vedermi piangere. Togliendo le situazioni gravi e shoccanti, come il funerale di Matt…Non avevo mai pianto, non per una bugia che poteva sembrare sciocca ma che lasciava senza fiato.

Mi aveva mentito per mesi. Mi aveva raccontato balle su balle. Storie inventate. Tutto senza un motivo…Senza una ovvia ragione.
«Perché cosa? Spiegati.» Mi disse. Faceva ancora il finto tonto? Sperava di continuare con le bugie per molto? Quando mi avrebbe rivelato quanto egoista era stato?

Ora iniziavamo a tornare anche le sue parole. Ritornava tutto, nei minimi dettagli. Tutto quanto prendeva posto nell’immenso puzzle di bugie che avevo sotto i miei occhi.
Sapeva che mi avrebbe fatto a pezzi una volta saputa tutta questa verità. E la cosa che faceva più male era un’altra: capire che una persona a cui stavi affidando il tuo cuore – per non dire di averlo già affidato – lo aveva distrutto con estrema facilità.

«Perché? Perché mi hai distrutto ora? Perché hai fatto passare quasi tre mesi? Perché fingerti un’altra persona? Perché…Perché tutto.» Avevo la pelle d’oca anche se avevo addosso una felpa in pile. Sentivo il freddo nella pelle e sentivo il cuore cadere giù pezzo dopo pezzo.
«Era iniziato come un gioco…Non avrei…» Quelle parole fecero male. Fecero troppo male. Sentirsi dire ‘era iniziato come un gioco’ ti faceva capire quanto inutile fossi nella vita di quella persona.

«Un gioco? Sono solo un gioco? Mi fa piacere…» La mia voce era un debole sussurro.
«No, no, non hai capito. Era tutto un gioco, non pensavo di continuare la falsa per molto. Ti avevo visto in biblioteca e mi avevi solo affascinato…» Cercò di spiegare.

«Ti avevo affascinato? Perché fare il finto tonto su tutto? Perché raccontarmi di Katherine, volevi essere consolato? Te la ricordo? Oh mio Dio, tutte le belle parole sull’anti conformismo...Le belle parole…» Ritornava anche quella strana statua e quella frase sulla lapide. Un angelo soffocato dalle spine di una rosa. Dovrebbe significare una ragazza distrutta dalle sue stesse mani, si era uccisa con le sue stesse mani. Soffocata dalla più bella delle rose: soffocata dal significato della vita.

La vita era un circolo che doveva concludersi in un solo modo: la morte. Non accettava questo piccolo particolare e sentirsi oppressa dalla paura di poter morire da un momento all’altro l’aveva fatta andare via, letteralmente.
Aveva paura di perdere lentamente la vita, ma si era fregata con le sue stesse mani.

«Sei…Non hai idea di cosa ho provato quando ti ho vista, per un momento ti ho vista così gracile che mi hai riportato lei nella mente, ma MAI Elena, MAI ho pensato di sostituirti con lei.» Strano, questa era l’idea che mi stavo facendo.
In un certo senso, io e Katherine eravamo molto simili. Troppo simili. Eravamo due persone fragili in un certo senso. Lei era più fragile di me, molto più fragile all’esterno. Eppure anche se era così debole era resistita diciotto anni con la sua terribile fobia.

Non volevo immaginare un solo giorno nella sua vita. Completamente oppressa dalla società e dalla paura di morire. Che vita aveva vissuto? Vita per modo di dire, non aveva ancora iniziato a vivere. Non del tutto, almeno.
E io…Io forse sembravo il suo opposto. Più schietta, più aggressiva. Forse Damon poteva giustificarsi dicendo che in realtà io e Katherine eravamo due persone
completamente diverse, ma in fondo eravamo fatte della stessa pasta.

Entrambe strane e diverse. Diverse in senso positivo. Almeno per me. Per me l’essere diversa non era una colpa, per lei sì. Per questo io resistevo in una società fatta di sorrisi falsi e di modelle dal corpo perfetto, lei no. Non aveva resistito. E non sarebbe resistito ancora per molto.
Io, invece, prima resistevo. Ora mi sentivo fatta a pezzi. Sentirsi il suo rimpiazzo era una cosa inquietante. MaxField aveva ragione.
Ora ritornavano le parole di Damon. Avevo paura di perdere anche te. Era da lì che mi ero accorta che in lui c’era qualcosa che non andava. C’era qualcosa che tra noi non andava, non andava perché non aveva abbassato ancora del tutto la guardia. Era qui che aveva sbagliato.

«Ian mi aveva…Anzi, tu mi avevi detto di sentirti in colpa per la sua morte perché si è svolta sotto i tuoi occhi, giusto?» Annuì con gli occhi sbarrati e i muscoli del corpo tesi. «Dimmi ora, come ti senti ora che hai visto sotto i tuoi occhi la mia distruzione? Dimmelo su.» Lo incoraggiai.
Non era lui che mi aveva distrutta, non era lui che non doveva distruggermi…Ero io che non dovevo autodistruggermi. Mi stavo distruggendo, fin da quando l’avevo conosciuto.

Fin da quando l’avevo visto la prima volta, quel giorno di Gennaio, dovevo stare attenta. Non dovevo permettere di fregarmi da sola.
Essermi innamorata di lui mi aveva portato a quella situazione pietosa. Mi aveva portato a vivere in quella situazione rovinosa che toglieva il fiato, come quelle rose toglievano la vita a quell’angelo.

«Mi sento una merda. Ma sono fatto così, sono egoista. Faccio l’egoista con tutti, ho fatto l’egoista anche con te. E mi sento uno schifo. E’ questo che vuoi sentire?» Disse avvicinandosi pericolosamente al mio volto. Erano esattamente queste le parole che volevo sentire, ma il vuoto che avvertivo all’altezza del petto era sempre più forte.

Mi sentivo una stupida, mi sentivo ridicola. Avevo fatto tanto per non cedere a Damon, per non lasciarmi tentare…E ora tutto quello in cui speravo si era dissolto come un castello di carte.

«Ho preferito mentirti per tenerti vicina. Sapevo che avresti reagito così, ma tu sai come sono…Sai che mi comporto da bastardo e non posso farci niente.» Continuò.
«Il mio primo sbaglio è stato incontrare innamorarmi di te, sei entrato nella mia essenza, nella pelle…Ti sentivo dentro e sentire un pezzo di cuore lacerarsi è la cosa…più straziante che possa provare.» Dissi alzando lo sguardo.

Sembrava così dispiaciuto, allora perché non riuscivo più a guardarlo senza avvertire un fastidioso fuoco bruciare sempre più forte fino ad arrivare al cuore? Cos’era quella sensazione?
«Quel ci proverò, quel ci proverò è stata la cosa più vera che abbia mai detto. Come quel ti amo urlato all’aria. Come quel bacio rubato durante la tua sbornia. Come tutto quello che ho fatto in tua compagnia.» Disse toccandomi il volto col dorso della mano. «Ogni momento, ogni parola, ogni istante mi hai fatto sentire vivo. Vivo dopo due anni a intagliare su un cazzo di muro il contare dei giorni che passavano senza di lei. Ora sto vivendo. Sono un fuoco che brucia indomabile e tu sei l’acqua che mi spegne, che mi controlla.» Lo controllavo?

«Però non mi manovri in senso negativo. Non sei un burattinaio e io non sono un burattino. Mi controlli completamente, mi streghi, mi mandi in confusione, mi lasci senza parole…E non me ne frega un cazzo se ho fatto la stronzata più grande che potessi inventarmi, ti amo. Ti amo. E lo ripeterò fino a quando ne avrò la forza. Il punto è che non ti merito!» Urlò allontanandosi da me e scagliando un pugno all’albero. Il battito del mio cuore iniziò a battere sempre più velocemente. Tutte quelle belle parole, non potevano restituirmi tre mesi vissuti su una stupida menzogna.

«Non merito nessuno. Sono un assassino. Non sono riuscito a salvare Katherine, l’ho vista morire sotto i miei occhi. E ora…Ora nei tuoi occhi, vedo di aver ucciso anche te. Ho ucciso nuovamente la donna che amo!» Aveva ragione. Su tutto. O quasi. Sbagliava su un punto. Un punto fondamentale.

«Non sei tu che hai ucciso me. Sono io che mi sono condannata da sola. Ho segnato la mia condanna il giorno in cui mi sono innamorata di te. Non c’è sensazione peggiore di essere innamorata di TE, DAMON SALVATORE!» Gli urlai. Volevo urlare, spaccare tutto, gridare e piangere.
«Sei distrutta. Un’autodistruzione» Mormorò guardandomi. «E io ancora una volta sono rimasto qui a guardare…» Probabilmente il senso di colpa stava crescendo in lui, sul suo viso vedevo la preoccupazione allargarsi sempre di più. E volevo consolarlo, baciarlo e stringerlo a me…Ma ogni volta che mi avvicinavo pensavo a tutte le bugie che mi aveva raccontato.

Partendo dalla prima volta che incontrai “Ian” fino alla sua chiamata, per non parlare della volta in cui l’avevo incontrato al gruppo di supporto. Questo significava che…che anche Caroline mi aveva mentito. Lei sapeva che Ian non esisteva, si spiegava l’odio sviscerato nei confronti di mio fratello. SI spiegava il mettermi costantemente in guardia da lui.

«Mi hai rotto, Damon.» Dissi con un filo di voce. «Complimenti.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Hi girls <3
Se pensate che sono un’illusione rimanete tranquille e non vi agitate, sono veramente io. Forse vi aspettavate il capitolo domani? Oh, ho finito prima del previsto di studiare fisica perciò c’era il computer che mi diceva di postere…Quindi se volete per qualche ragione uccidermi per questo capitolo – se vogliamo definirlo così ^^ - non prendetevela con me ma col computer ^-^
In tutti i casi, grazie per le belle recensione. Grazie in particolare a Katherine23, Smolderina78, NikkiSomerhalder, PrincessOfDarkness90, Skizzino84 e NianDelLove. Siete l’amore, voi con le vostre recensioni! *-*
Grazie alle 45 anime sante che hanno inserito la storia tra le preferite, grazie alle 62 (aumentano ogni volta, aw) che l’hanno inserita nelle seguite e alle 5 che l’hanno inserita nelle ricordate.
Uh, già che ci sono ringrazio i lettori silenziosi, anche se non vi fate sentire so che ci siete :)
Finito il momento dei ringraziamenti, comunico con estrema tristezza (o forse dovrei dire sollievo per voi?) che inizia il conto alla rovescia.
- 2 + l’Epilogo.
Molti di voi vogliono sapere cosa ho pensato, be’ vi lancio una sfida: secondo voi, ora che tra i due si è arrivati a un punto di non ritorno cosa succederà? Ed Elena e Damon sono fratelli?
Spero che la storia non vi abbia deluso e veramente ringrazio ancora tutti quelli che hanno dedicato anche solo due minuti per leggere questa storiella.
Vi amo, a presto. <3
 
Ps. Quasi  dimenticavo…Chi di voi sta ballando la conga con una camicia a quadri, Miss Cuddles e l’Ascendente in mano? Io sì, sto accelerata dalla puntata! DAMON IS BACK! *-*
Non ti scordar di me.

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Capitolo 21
*** Without you. ***


Capitolo vent’uno.
Without you.
 
A testa alta camminavo per i corridoi del Dalcrest con un macigno sullo stomaco che mi opprimeva giorno e notte. Sentivo tutto troppo distante da me e avevo la mente piena di ricordi. A dispetto degli altri giorni, oggi avevo un malumore peggiore del solito, colpa non solo di Londra ma anche di quella maledetta lettera.
Camminando mi scontrai contro qualcuno.

Oh, ma che cazzo tutte a me. Pensai alzando gli occhi al cielo e raccogliendo i libri che mi erano caduti. Incontrai due occhi scuri e un sorriso gentile. Chi era quel ragazzo? Sbuffai e mi rialzai da terra guardandolo svogliatamente.
Feci un passo verso destra con l’intenzione di superarlo, ma lui ne fece uno analogo al mio. Così mi spostai verso sinistra. Ad ogni mio movimento lui ne faceva uno identico.
E’ una presa in giro? Mi dissi tra me e me.

«Ti sposti?» Gli chiesi dura, guardandolo negli occhi. Lui piegò le labbra in una smorfia, perché quel sorrisetto idiota mi stava dando al cervello?
«Non volevo urtarti. Mi spiace. Piacere, sono Liam.» Lo guardai di sottecchi. Faccia da ragazzo per bene, sorriso idiota e vestiti firmati. Il solito ragazzo appena arrivato con la puzza sotto il naso. O almeno, a prima impressione non faceva una grande figura. Non con me, orse adescava le altre ragazze ma non me. Perché io non volevo il buono, io volevo il cattivo. Il proibito.

«Mh…» Mugugnai qualcosa di incomprensibile persino per me e me ne andai da lì, urtandogli la spalla. Convinta di averlo allontanato mi avviai verso la caffetteria.
Caroline era seduta ad un tavolino con accanto Enzo. Lei era praticamente spalmata su di lui e si sussurravano qualcosa nell’orecchio. Solo io li trovavo troppo dolci? Mi veniva quasi la nausea.
Anzi, a pensarci bene da quasi un mese tutto quanto mi dava la nausea. Sembrava che le persone si divertissero a prendersi gioco di me. Ovunque andavo vedevo coppiette felici camminare mano nella mano, vedevo coppie anziane passeggiare a braccetto commemorando i vecchi tempi. Possibile che mi accorgevo di tutte queste piccolezze solo ora?

«Mi fate vomitare.» Proruppi poggiando la borsa sul tavolino. Non avevo idea di come quei due siano diventati degli insopportabili fidanzatini da telefilm, sta di fatto che non ce la facevo più a vederli così…così contenti.
«Mh…Credo proprio che tra te e Damon va peggio del previsto eh?» Mi chiese Enzo, stringendo a sé Caroline. Perché avevo la brutta sensazione che lui sapesse di noi? Assottigliai gli occhi e sbuffai. Ogni giorno la stessa solfa, quei due dovevano inventarsi qualcosa da fare al più presto invece di rompere a me.

«In realtà non va proprio. Dovevi vedere la mia faccia quando ha detto che si sarebbe trasferito al dormitorio dell’Università.» Sorrisi amabilmente. Quello stronzo dopo Londra aveva provato a chiarire, ma sono completamente uscita dai gangheri. Ormai voleva parlarmi da più di due settimane, io mi limitavo o a chiudergli la porta in faccia o ad ascoltarlo facendo finta di non ascoltarlo quando invece sentire le sue parole mi faceva sentire più inutile di quel che ero in realtà.

«Uhm…Mi ha raccontato che il viaggio di ritorno non è stato il massimo.» Replicò ancora. Trattenni un sorriso divertito. Mandarlo a quel paese in aereo era stata la trovata più intelligente che potevo fare.
«Non è vero.»

«Quindi non hai dato spettacolo in aereo?» La bionda cercava di trattenere le risate, anche se c’era veramente poco da ridere.
«Ti ha raccontato tutti i dettagli, vedo…» Dissi poggiando la testa sulla mia tracolla. Anche se mandarlo a quel paese lì davanti a tutti mi aveva tolto un grande peso dal cuore. In un certo senso avevo “rotto” con lui, no? Tecnicamente non stavamo insieme, ma quello che provavamo era quell’odioso sentimento che ti rovinava completamente.

L’amore dicono che aiuti le persone, che le rende migliori…Io e Damon eravamo un’eccezione? L’amore mi aveva distrutto. Le sue bugie una dopo l’altra mi avevano lasciato senza parole. Nel suo piano tanto intelligente quanto contorto aveva pensato a tutto per farmi cedere.
Tenevo gli occhi chiusi e ascoltavo svogliatamente la musica. Volevo solamente ritornare a casa mia, vestirmi, uscire con Caroline e bere fino a quando non mi sarei completamente ubriacata da dimenticare tutte quelle bugie che mi aveva raccontato.

«Sei sveglia?» Mi chiese toccandomi le punta delle dita. Se si fosse avvicinato poco di più, avrebbe ricevuto un grosso ceffone.
«No.» Dissi girandomi dal lato opposto e guardando il panorama. Mancava veramente poco. Il comandante aveva detto che a breve saremmo atterrati.
«Perché non mi vuoi ascoltare? Parliamone, non puoi ignorarmi per sempre.» Disse con voce seria. Ah no?
«Ti ho ignorato per tutti questi anni, perché pensi che non possa ignorarti ora?» Gli chiesi girando lo sguardo. Incontrai quei due occhi mozzafiato. Ora mi sembravano più limpidi e più sinceri, perché maledizione doveva avere uno sguardo così penetrante?

«Perché mi ami. Io ti amo. Di un amore strano e dipendente di cui siamo solo vittime. Siamo schiavi in questo gioco e non hai idea di come mi senti ora.» Scandì lentamente quelle parole. Mi fecero un strano effetto, sentivo quasi le forze venir meno e il cervello azzerarsi.
«Oh, so come ti senti ora. Ti senti in colpa. E tu sai come mi sento io? Mi sento un giocattolo rotto, rotto in mille pezzettini, niente e nessuno potrà rimetterli apposto. Fammi un favore, chiudi quella bocca. Peggiori solo le cose.» Grugnii infastidita dai suoi discorsi idioti e senza senso. Strinse i pugni e contrasse la mascella. Sapevo che non avrebbe mollato, primo o poi però si sarebbe stufato.
Si alternarono momenti di silenzio imbarazzanti. 

«Come stai?» Strabuzzai gli occhi. Cosa aveva detto? Mi aveva veramente chiesto se stessi bene? Oh, voleva vedermi esplodere. Mi vedeva bene? Mi vedeva felice?
Non ce la feci tu e mi slacciai la cintura. Avrei cambiato posto.

«Dove vai?» mi chiese afferrandomi saldamente il polso. Mi girai verso di lui e avvicinai il mio volto al suo. Pochi centimetri mi separavano dalle sue labbra, ma non cedevo.

«Me ne vado il più lontano possibile da te.» Mi liberai della sua presa e mi guardai intorno, cercando un sedile su cui sedermi. Non me ne poteva importare che il mio posto era il C23, ne avrei trovato un altro libero.
«Non sai rispondere ad una stramaledetta domanda?» Alzò il tono di voce e diverse persone ci guardarono di sottecchi. Perfetto, stavamo dando spettacolo in un aereo. Di bene in meglio.

«E tu sei così idiota da fare domande così scontate? Come sto? Tu, dopo avermi mentito per mesi, vuoi sapere come sto?» Gli urlai in faccia. Ero scoppiata e la bomba ad orologeria non era ancora esplosa. Mancava veramente poco e la mia pazienza sarebbe sparita.
«Come sto? Io non sto e basta. Non sto proprio, sento la testa da un’altra parte. Sento la terra sotto i piedi mancarmi. Sento l’amore sgretolarsi e trasformarsi in odio, odio profondo per me. Mi odio per questi sentimenti, non odio te, odio ME.» Damon si slacciò la cintura, scese da sedile e mi prese per le spalle. I miei occhi color nocciola si persero nei suoi azzurri ghiaccio.

«Preferisco morire sapendo di essere odiato da te, che vivere sapendo di esserti completamente indifferente.» Sussurrò lentamente.
Mi scostai da lui e gli tirai uno schiaffo.
La mano bruciava ed era rossa, mentre guardavo sconvolta il viso di Damon tirato ed irato.

«Questo me lo sono meritato.» Grugnì scuotendo la testa. Oh, fosse per me dovrei riempirgli la faccia di schiaffoni altro che uno schiaffetto In tutti i casi, lo ignorai e continuai il discorso che avevo lasciato in sospeso..
«Il punto è questo. Non ti odio capisci? Per quanto voglio odiarti non ce la faccio e la colpa è solo tua.» Avevo la voce incrinata e gli occhi lucidi.

«Smettila di fare così, parliamone civilmente. La gente ci sta fissando.» Voleva parlarmene civilmente?
«Oh andessero a quel paese la gente e ciò che pensano. Vaffanculo tu!» Gli urlai.
Dopo avergli urlato tutto quanto mi sentii incredibilmente meglio. Molto meglio.
«Non hai idea di ciò che so.» Sorrise Enzo divertito, lasciando un bacio sul collo di Caroline.

Così mi ritrovai a guardare quei due abbracciarsi e litigare per poi fare pace. Ordinai un caffè forte e li guardavo leggermente infastidita. Perché dovevano fare tutte queste effusioni in pubblico?
«Avete finito?» Chiesi piccata. I due si stavano baciando appassionatamente e io stavo lì come una statua a sorseggiare il mio caffè.
Ero il terzo in comodo tra quei due così presi la mia borsa e mi alzai da lì. Avrei trovato un’altra amica con cui uscire, visto che Caroline era evidentemente troppo impegnata per stare con me.

«ELENA! Dove vai?» Mi urlò la bionda correndo sui suoi tacchi e vedendo verso di me a grandi passi. Alzai gli occhi al cielo e rallentai il passo.

«Cosa ti prende? Neanche saluti più?» Mi chiese piccata. Era lei a essere arrabbiata? Veramente? Lei mi mollava per un ragazzo ed ero io ad avere torto?

«Eravate così occupati che non ho voluto disturbare.» Risposi guardandola negli occhi. La guardai aprire la bocca leggermente sconvolta.

«Elena, sai bene…Sai bene che in questo momento Enzo è…Cerca di capirmi.» Mi supplicò. Cosa dovevo capire? Che un ragazzo era più importante della nostra amicizia?
«Ci provo…Ci provo veramente, ma non capisco come tu non ti renda conto di come mi senti in questo momento!» Le urlai infastidita. Perché nessuno poteva capirmi? Perchè non provava per un secondo ad immedesimarsi in me?

«Cosa devo capire? Niente. Perché non c’è da capire. Io, invece, non capisco come tu non sia felice per me!» Mi disse. Perché non ero felice per lei?
«Vorrei essere felice per te, vorrei essere felice per una qualunque cazzata. Te lo giuro, Care. Vorrei essere felice come lo sono sempre stata, ma non c’è la faccio. Tutta questa vostra dolcezza, la vostra felicità mi fa schifo.» Le dissi cercando di essere il più chiaro possibile. Lei strabuzzò gli occhi. «Tutta questa felicità mi sta dando la nausea, perché tu non la vedi...Ma io sento la solitudine e la tristezza traspirare da tutti i pori della mia pelle.» Continuai guardandola dritta negli occhi.

«E io non dovrei essere felice per te? Questo è egoismo. Non pensavo potesse cambiarti così, gliel’avevo detto che non doveva…» Alzai di scatto lo sguardo. Cosa gli aveva detto? Cosa lei non mi stava dicendo?
«Cosa, Care?» Le chiesi con un fil di voce. Lei scosse la testa, era diventata improvvisamente più pallida. Ero certa, mi stava nascondendo qualcosa.

«Io sapevo di Ian. Sapevo che Damon veniva a quel corso per quella Katherine…» Mi disse avvicinandosi.  Le avevo raccontato di tutte le bugie che mi aveva raccontato e – per fortuna – non fece molte domande…Ora ritornava il suo insolito disinteressa.
Sospettavo che mi avesse mentito, ma non capivo perché non me l’aveva detto da subito. Dopotutto lei non sapeva quanto…quanto fosse importante quella notizia. Non poteva capire cosa provavo per Damon…Allora perché non mi aveva detto niente?
«E…forse potrà schifarti, anzi, potrebbe sconvolgerti…Il punto è che Damon è malato, malato di qualcosa troppo complicato da spiegare. L’unica cosa che ti chiedo è…» Mi bloccai alle parole Damon è malato. Non poteva essere malato, dovevo aver frainteso. Malato come?

«Malato…Cosa…Damon è sano, ha una salute…» Iniziai a farneticare tante frasi sconnesse l’una dall’altra. Neanche io capivo cosa stavo dicendo, provavo a collegare tutto quello sapevo…Ma non capivo le parole della mia amica. Non c’era spazio per l’affermazione di Care nel puzzle delle risposte.

«Malato di un sentimento strano…Voleva essere curato…Cerca di capirlo è un uomo, prova determinati sentimenti e…» Questo discorso preso tutto alla lontana non quadrava. Voleva andare a parare da qualche parte, ma dove?
Iniziai a collegare le parole della mia amica.
Un sentimento strano, qualcosa da curare, il silenzio della mia amica.

«Damon ha chiesto aiuto a MaxField per far chiarimento ai suoi sentimenti? Voleva farsi curare? Tu sapevi…Tu sapevi che mi amava, sapevi quello che provava! Perché non hai mai…» Non conclusi la frase rendendomi conto di essermi messo nel sacco da sola.

«Come fai a sapere che era innamorato di…Oh, Dio.» Si fermò e mi guardò negli occhi. I suoi occhi chiari mi scrutavano seriamente. Aveva capito. Glielo si leggeva in faccia.
«Dio mio, provi le stesse cose.» Disse portandosi le mani alla bocca.
«Non partire in quarta…Pensa…Pensa che siamo due esseri umani, possiamo sbagliare…» Non conclusi più la frase. Stavo per sparare tante stupidaggini. Bugie e bugie. Detestavo le bugie ma non facevo altro che mentire alla mia migliore amica.

Che razza di persona ero diventata? Mi contraddicevo da sola.
«Non è quello. Elena sono dei sentimenti, sentimenti compromettenti…Io sono stata la prima a sbagliare, ma…Oh, cazzo, siete reato. Capisci? E’…sbagliato, sbagliato…Cos’è uno scherzo della natura?» Aprii la bocca per replicare ma non dissi latro. Mi aveva appena dato dello scherzo della natura?
Sì. L’aveva fatto.
«Sai dirmi solo questo? Mi sai solo fare la predica? Ho scoperto che il ragazzo che amo mi ha mentito per mesi...E tu sai dirmi solo questo? Mi sai solo dire che sono uno scherzo della natura?» Le chiesi con le lacrime agli occhi. Vidi il suo sguardo appannarsi e gli occhi farsi
lucidi.

Si avvicinò a me e mi prese la mani.
«Non pensavo che fosse ricambiato, non avevo idea di nulla. Insomma lo odiavi, come potevo mai pensare che…che lo amassi anche tu.» Disse con la voce tremante. Mi morsi un labbro, non volevo piangere. Non davanti a tutti i collegiali e agli occhi dei professori che camminavano a passo veloce per raggiungere le loro classi.

«Perché hai mantenuto il segreto? Perché non mi hai raccontato di Katherine…Perché non mi hai detto niente di questo suo amore malsano?»  Chiesi con le lacrime agli occhi.
«Perché…non potevo. Non potevo e basta. Ora non stiamo parlando di me, stiamo parlando di te e di questa malattia. E’ un’ossessione malata!» Mi disse abbassando la voce. Era questo che la mia amica pensava di me, pensava fossi malata che dovessi essere curata. Ma io stavo bene, ero normale, non avevo colpa di niente.

«Non potevi? Cosa ti tratteneva? Cosa? Su cosa mi hai mentito anche tu?» Insistetti alzando un po’ troppo il tono di voce. Care abbassò gli occhi e io iniziai a pensare alle sedute da MaxField.
La bionda non aveva mai fatto il nome del suo amico…Forse…Forse io lo conoscevo e lo conosceva anche Damon. Ecco il perché del suo silenzio.

«Hai così paura del mio giudizio da stringere un patto con Damon? Vi siete garantiti l'uno il silenzio dell'altra?» Chiesi stupefatta. C’era solo una cosa che poteva garantire il silenzio di Care: un segreto più grande.
«Un momento…Lui sapeva chi era…Lui lo sa! Ecco perché tu…Chi è? Voglio sapere chi è il tuo scopamico.» Dissi ferma impedendola di continuare.

I suoi occhi si allargarono a dismisura. Aveva gli occhi lucidi, probabilmente sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro…Ma volevo sapere. Dovevo sapere e soprattutto sperare che le mie teorie siano sbagliate.

«Non credo ti piacerà saperlo.» Sussurrò coprendosi il viso diventato rosso con i lunghi capelli biondi. Aprii leggermente la bocca e iniziai a collegare tutte le informazioni che avevo.
Oh, no. Questa non me la poteva fare.
Mi girai di spalle e continuai a camminare verso una meta non definita. Ora in quel momento volevo spaccare tutto quanto.

«Dove corri?» Mi urlò correndo e provando a raggiungermi. Iniziai ad accelerare il posto. Guardai l’orologio, facevo ancora in tempo ad arrivare alla fermata dell’autobus e ritornare a casa prima.
Quella mattina mi aveva accompagnata Stefan, ma in questo momento era a lezione o da qualche altra parte perciò non poteva riaccompagnarti a Mystic Falls.

«Perché corri? ELENA!» Gridò così forte che alcuni ragazzi si girarono per guardarla e squadrarla da capo a piedi. Le mie guance s’imporporarono leggermente e distolsi lo sguardo.
Deglutii e sbattei più volte le palpebre.

«Prima vuoi sapere di me e del mio ex scopamico e ora che fai? Te ne vai via?» Aggrottò la fronte. Non volevo più vederla, non riuscivo più a guardarla negli occhi.
«Non…Non voglio parlare con una persona che fa sesso con mio fratello!» Le urlai, dandole le spalle. Non potevo credere che Damon fosse così meschino. Mi aveva mentito su Katherine e ora mi mentiva anche su una cosa così…così complicata.
Care non era mai stata innamorata di qualcuno che io non conoscessi e soprattutto avrei notato – o almeno intuito – che la mia amica avesse una relazione così con qualcuno.

A tutto questo c’era una sola spiegazione.
«Era Damon il tuo amico di letto, vero? Tutta questa storia…Lui pensava di dimenticarmi così? Tu non so…eri affascinata da lui? Spiegami, illuminami...Questa sembra l’unica soluzione plausibile a tutti queste vostre bugie!» Le urlai in faccia.
Care riprese colore alle mie parole e iniziò a ridere sempre più forte. Cosa c’era di divertente?
«Oh, no…» Non riusciva neanche a fare una frase di senso compiuto. Le sue risate erano troppo forti. Perché non ci stavo più capendo niente?

Proprio in quel momento, Damon passava di lì con la sua solita aria strafottente. Per la prima volta in questi giorni volevo parlargli e sfogarmi contro di lui.
Strano, ma vero…Stava venendo verso di me?
«Potremo…» Non gli feci finire la frase, la mia mano partì in quarta ma non sentii l’impatto con la sua pelle. La sua mano era avvolta sul mio polso e mi scrutava seriamente. Non era la prima volta che fermava un mio schiaffo ma questa volta sembrava fuori di sé.
Gli occhi erano scavati, i capelli disordinati e il ghigno strafottente era scomparso…Sul suo viso non c’era niente, né una smorfia, né un sorriso.

«Capisco che sei incazzata con me, ma perché vorresti schiaffeggiarmi ora?» Mi chiesi con voce incolore. Perché avevo l’irrefrenabile voglia di riempirgli la faccia di pugni e poi baciarlo fino a quando non perdevo il respiro? Mi chiedeva perché? Volevo schiaffeggiarlo per tutto quanto, per le sue bugie e per  i suoi sotterfugi…Più di tutto, però, desideravo baciarlo e assaggiare di nuovo le sue labbra.

«Perché…Perché non capisco…Insomma, da quanto va avanti questa “relazione”? Perché con la mia migliore amica?» Chiesi ad entrambi. I due si guardarono negli occhi e sul viso del corvino comparve un sorriso divertito.
«Barbie, spiegale che noi…» Che noi? Perché si era fermato improvvisamente? Il suo sguardo si era focalizzato su un punto indistinto che si muoveva in lontananza.
A passo lento si avvicinò a quell’individuo e lo afferrò per il colletto iniziando a discutere con lui animatamente.
«Ora spiegherai per bene a tua sorella quanto tu sia stronzo e ipocrita.» Commentò duramente. Perché Stefan guardava Damon con sguardo infuocato? Cosa stava accadendo?

«Stef…Spiegami…Care tu invece…Oh, no. Non. Può. Essere.» Scandii con calma ogni parola e il mio sguardo vagò dapprima sulla bionda e poi su mio fratello.
Ora capivo…capivo perché quei due si erano lasciati. Le uscite serali di Stef, le uscite con questa fantomatica “Lexi” che probabilmente lo copriva…Erano tutte bugie. Altre bugie.

In quel momento pensai ad una cosa sola: perché faceva con me il moralista? Lui usava una ragazza innamorata di lui solo per del piacere e poi…Poi lui faceva il quarto grado a me e Damon sulla nostra insana relazione?
«Siete…Anzi no, sei un’ipocrita. Un vero ipocrita. Chi sei per giudicare la mia vita, Stefan? Ci avevi fatto capire quanto ti ripugnasse questa situazione incresciosa tra me e lui – indicai il corvino – e ora…ora vengo a scoprire questo?» Dio, perché la mia famiglia stava cadendo a terra pezzo dopo pezzo e io ero lì a guardare senza poter far niente?

«Uh, Stef, credo che non sarei più il fratello preferito…» Commentò sarcasticamente Damon. Lo freddai con un’occhiataccia.
«Deve farti veramente pena la tua vita, se perdi tempo a giudicare la mia vero?» Gli chiesi. Forse quella frase fece male, fece più male di quanto potessi immaginare. Vidi il volto di Stefan irrigidirsi e fare un passo verso di me provando a spiegare…Ma a spiegare cosa esattamente? Cosa voleva spiegarmi? Era una situazione così chiara e limpida ora che sapevo tutta la storia.

«Siete…Sono…Lasciamo perdere.» La mia voce era ridotta in un debole sussurro. Mi girai di spalle e lentamente iniziai a camminare verso la fermata del pullman del college.
Era a pochi passi da lì. Come immaginavo né Care né Stef replicarono, rimasero lì fermi. Probabilmente Caroline mi avrebbe chiamato più tardi per sistemare quella situazione…come chiamarla? Fastidiosa? Strana? O scomoda?
Diedi un’occhiata agli orari, erano le 12…Il prossimo pullman sarebbe passato tra un’oretta circa. Potevo aspettare, in questo momento l’importante era schiarirmi le idee.

Mi avevano mentito tutti. Dal primo all’ultimo. Partendo da Care, la mia migliore amica. Come aveva potuto nascondermi una cosa del genere? Mi aveva veramente nascosto il fatto che il suo amico di letto era mio fratello? Per quanto pensava di mantenere questo segreto?
Continuando fino ad arrivare a Stefan, il fratello moralista che mi aiutava e consolava sempre e in qualsiasi circostanza. Persino lui, mi aveva mentito.

E poi si arrivava a Damon, la persona da cui tutto mi sarei aspettata ma mai…MAI che mi nascondesse un segreto del genere. Sdoppiarsi in due persone differenti per prendermi in giro…Era, era qualcosa di orribile. Per non parlare dei consigli che mi dava.
Prova a perdonare tuo fratello. Diceva sempre Ian. Usava lo pseudonimo di Ian per nascondersi e per ripararsi da me. Per cercare di instaurare un buon rapporto con me.

A pensarci bene…io non ero da meno. Forse era la peggiore lì in mezzo. Avevo mentito alla mi migliore amica, a mio fratello e continuavo ad ingannare mio padre. Continuavo ad ingannare me stessa. Continuavo a ripetermi quanto odiassi Damon, ma non era questa la realtà. Tutt’altro invece.

Ero la peggiore. Tra tutti quelli che mentivano, io ero la peggiore. Dicevo bugie su bugie, mentivo a me stessa…per non parlare del senso di colpa per Matt.
Matt. Anche lui sembrava…sembrava prendersi gioco di me. L’avevo sognato e persino lui non era fiero di quello che stavo facendo. Erano sogni, eppure sembravano così reali.

«Chi sono diventata?» Sussurrai quella frase più volte, con le mani nei capelli e con le lacrime salate che mi bagnavano il volto.
«Chi sei diventata? Sei diventata la persona più forte che abbia mai conosciuto, sei la persona che mi ha schiaffeggiato, sei la persona dal sorriso pronto e incoraggiante, sei la persona più stronza e insopportabile del mondo…Sei la persona che mi ha fatto ritornare ad amare.» Sobbalzai sentendo la sua voce. Perché era qui? Era seduto sulla panchina della fermata dell’autobus e mi squadrava attentamente cercando di mantenere un tono duro  e non far trasparire nessuna emozione.
Non risposi.
Mi limitai a fissarlo come facevo da diversi giorni.

«So che non vuoi parlarmi…Puoi almeno sentirmi? Non dirmi niente, ascoltami e basta okay?» Mi propose alzando le spalle. Mi sedetti meglio sulla panchina e portai le gambe al petto annuendo solamente.
Dopotutto andavamo avanti così da quanto esattamente? Da settimane. Non vedo perché ora dovrei cambiare idea.
«Credo di aver fatto tante cazzate fin ora…E continuerò a farne altre.» Mi disse divertito. «Pensandoci bene una delle più grandi è stata quella di pensare di poterla aiutare.» M’interessai di più a quella conversazione. Si riferiva a Katherine. «Pensavo di aiutarla ad uscire da quella fobia, in realtà la peggioravo soltanto. E quando ho trovato quel biglietto forgive me, if you can capii di aver perso tutto di quello di cui avevo bisogno.» Continuò seriamente e con sguardo perso nel vuoto.

Ecco a cosa si riferiva quel bigliettino. ‘Perdonami, se puoi’ si riferiva al gesto che stava per compiere. Al suo gesto estremo…che…che l’aveva portata alla fine della sua agonia.
«Sai la vita è fatta così: nasci, cresci, muori. Ma mi ripetevo che quella non doveva essere la sua fine, perché avrebbe potuto ancora guarire…Ne sono sicuro. Su una cosa però mi sono ricreduto.» I suoi lineamenti si addolcirono e alzai di poco lo sguardo.
«Non era lei a dipendere da me e da ciò che facevo, ero io a dipendere da lei. Ma dipendevo da lei come farebbe un fratello, avevo una costante paura che lei facesse qualche stronzata. Con te non è così. Qualsiasi stronzata o cazzata farai so che io sarò lì per farla con te.» Tutte quelle belle parole non mi poteva aiutare, non ora. Non quando avevo scoperto di tutti questi sotterfugi.

Cosa c’era  e chi mi teneva lì a Mystic Falls? Solamente mio padre. Gli altri…Gli per me erano come morti, tutti.
«Perché noi sbagliamo insieme, giusto?» Mi chiese avvicinandosi e prendendo la mia mano nella sua. Intrecciai le dita alle sue e alzai lo sguardo. Poteva sembrare una cosa normale? Non lo era. Non lo era affatto, non volevo sentirmi il rimpiazzo di questa Katherine…Non volevo più avere a che fare con i miei fratelli né parlare con Caroline.

«Sbaglieremo sempre…» Sussurrai. Il suo sguardo si illuminò. Era la prima volta che gli rivolgevo la parola dal viaggio a Londra. Da allora, ogni sera mi sentivo con mamma…Mi teneva aggiornata su come andasse la sua vita lì e mi parlava anche di quell’università. Era diventato il suo pensiero fisso e da poco lo era diventato per me. Mi chiedeva sempre se mi era arrivata quella lettera, ma ogni giorno che passava la mia delusione aumentava e le sue speranze si affievolivano. Non bastavano delle referenze e un buon curriculum. Sospirai e ripresi a sentire il discorso del corvino.

«Continua a sbagliare per me, per noi.» Continuò Damon. Spostò la mia mano sul suo petto all’altezza del cuore. «Potrà sembrarti strano, ma persino io posso amare.» Disse con voce incrinata. Non dovevo dargli retta, sarei caduta nell’inganno. Mi sarei fatta distruggere ancora e ancora e non potevo permettermelo.
Mi alzai da lì e mi sistemai i capelli, cercando di evitare il contatto visivo con i suoi occhi.

«Guardami.»
«Noi sbagliamo, l’hai detto anche tu…Ora, però, decido di continuare a sbagliare da sola, senza di te.» Non volevo sbagliare con lui, volevo solo sbagliare da sola. Senza nessuno. Senza l’aiuto di una persona che mi possa distruggere, che mi possa mentire e che si possa prendere gioco di me.

«Lasciami in pace, Damon…» Continuai. Era l’unico modo per riuscire a vivere una vita normale.
«Questo è un errore!» Alzò la voce scrutandomi attentamente. Oh, ma come faceva ad essere così idiota? Sapevo tutto. Sapevo che stavo sbagliando e che probabilmente mi stavo comportando come Katherine, ma volevo solo staccare la spina, chiudere gli occhi, riaprirli e rendermi conto che tutto questo fosse solo un incubo. A partire dal ritorno di Damon, fino ad arrivare all’incidente di Matt superarlo e continuare a cancellare qualsiasi momento mi abbia fatto sprofondare in questa situazione stagnante e complicata.

«Allora lasciami sbagliare SENZA DI TE! Voglio poter sbagliare e rimediare da SOLA. Non voglio più dipendere da TE. Lasciami stare.» Lo stavo quasi supplicando. Supplicavo ad un ragazzo di lasciarmi in pace, wow, non l’avrei mai immaginato.
Finalmente era arrivato il pullman. Alla fermata c’ero solo io, le porte si aprirono e mi feci forza. Lasciai la mano di Damon e mi avviai verso la porta aperta del pullman.
Salii il primo scalino, ma una mano mi prese il polso. Non mi girai neanche e alzai gli occhi al cielo.

«Lasciami vivere…» A quelle parole lasciò la presa sulla mia mano e io salii completamente sul pullman.
Vuoto. Proprio come lo ero io in quel momento.
 

La casa mi sembrava così spoglia, così incolore. Tutto mi sembrava triste e grigio. O era nero, o bianco o grigio. Il rosso era sparito, non c’era più amore e passione. Non c’era il giallo, la luce non m’illuminava più. Non c’erano più il rosa, il verde o il celeste.
C’ero solo io. Io alle prese col nero, col bianco e il celeste.
Fu proprio quando entrai in casa che vidi l’unica speranza di ritornare a vedere a colori.

 
 
 
 
 






Hi beautiful girl! <3
I’m here only for you!
Scusate ma sono in passione inglese MODE ON.
Coooooomunque ho riletto il capitolo e mi sono detta ‘E’ finita sul serio?’ Oh mio Dio, non ci credo ancora.
Questa è una delle prime fan fiction che finisco.
Il conto alla rovescia scende: -1 CAPITOLO + L’epilogo.
Ci credete? IO no.
In tutti i casi, passo velocemente ai ringraziamenti.
Grazie alle 7 buone anime che hanno recensito: Nikkisomerhalder, NianDelLove, Bea_01, Katherina23, PrincessOfDarkeness90 e BunnyDelena. Un doppio ringraziamento a Batuffoloventisette e Randalb976 che hanno letto tutt’un fiato la storia <3
Siete mitiche *-*
Uh, quasi dimenticavo le 43 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le 63 che l’hanno inserita nelle seguite e le 6 che l’hanno inserita nelle ricordate: GRAZIE ANCHE A VOI.
E infine i lettori silenziosi. Il primo capitolo arriva a più di 2000 visualizzazioni!
Ora…Credo di avervi ringraziato tutte/i, se mi fossi dimenticata qualcosa mi spiace. E mi scuso in anticipo per questo capitolo magari un po’ pesantuccio.
Come avrete notato, c’è un salto temporale di un mese. E la situazione è più che statica. Elena è chiusa in un suo mutismo e ora scopre pure la tresca tra i suoi fratelli, mah. Povera figlia, tutte a lei! :’)
Quindi…Come trovate le reazioni di tutti i personaggi? Elena ha reagito bene per voi? E Caroline che fa la moralista? Stefan è quello che in questa fan fiction mi sta dando alla testa. La frase di Elena la amo. ‘La tua vita deve far schifo se perdi tempo a giudicare la mia?’ Frase giusta al momento giusto.
Forse io avrei reagito un po’ come Elena, anzi forse peggio.
Comunque tengo due notizie e poi me ne vado, ve lo giuro: Prima notizia (che non è una vera e propria notizia) DAMON IS BACK! YEEEEEEEEEH.
Seconda notizia (questa è una vera e propria notizia) ho deciso di creare il trailer di questa fan fiction! Che ne pensate? Sto provvedendo e appena potrò lo posterò (sperando di riuscire a metterlo nell’angolo autrice) quante di voi vorrebbero vederlo ipoteticamente?
Ora, me ne vado.
Ve se ama, raga :’) <3
PS Qualcuna di voi sta su Tumbrl? Io ci sono <3
Non ti scordar di me.

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Capitolo 22
*** Goodbye, Damon! ***


https://www.youtube.com/watch?v=h0q9ZfM-4rU
Trailer. Vi prego di vederlo, copiate l’URL su google e guardatelo. Spero vi piaccia. Buona lettura, ci sentiamo sotto xoxo
 
 
Capitolo ventidue.
Goodbye, Damon!
 
La vita cambiava velocemente. Troppo velocemente. Si passava da un momento in cui odiavi con te stesso qualcuno al momento in cui ti rendevi conto di come quel qualcuno potesse completarti. Mi ero resa conto di quanto cattiva potessi essere stata con Damon e sapevo che in questo momento lui aveva tutte le ragioni del mondo per non volermi più parlare.
L’avevo sconvolto. Quasi lasciato senza parole. Anzi mi aveva tolto completamente le parole di bocca. Quello che mi aveva detto era la cosa più brutta che potesse dirmi e mai mi sarei aspettata da lui quelle parole così amare e così vere al contempo.

Sai meglio di me, l’ascendente disgustosamente positivo che hai su di me…Ora stai usando quest’ascendente contro di me. Grazie Elena, grazie per avermi distrutto. Spero che tu sia contenta. Quelle parole mi vorticavano in mente da una settimana.
Ero consapevole dell’ascendente che avevo su di lui, ma non avrei mai voluto utilizzarlo contro di lui. A dir la verità, io non avevo proprio utilizzato il mio ascendente su di lui per distruggerlo…Semplicemente, la notizia che gli avevo dato lo aveva distrutto.
Era arrivato il momento della verità. Ero dietro la porta della cucina e tenevo stretta tra le mani la lettera. Era troppo importante e ancora non credevo che a breve avrei realizzato il mio sogno. Era Domenica e stranamente Damon era ritornato a casa per il weekend.
Quale occasione migliore per non parlare a tutta la famiglia e rivelar loro la mia fantastica notizia? Forse, un normale pranzo di famiglia non era una cattiva idea per rivelare quella bomba ad orologeria che stava per scoppiare da un momento all’altro…Peccato che non avevo valutato l’elemento negativo della situazione: Damon, sentimenti, situazioni equivoche.

Ecco, quello sì che era un problema.
Ero arrabbiata con Damon, anzi più che altro ero arrabbiata con me stessa. Mi ero data la zappa su piedi da sola innamorandomi di lui, ma in quel momento l’unica soluzione per guarire da questa strana situazione era quella.
Entrai in cucina e la situazione era sempre la solita. Tesa. Tesa più che mai. Stefan ed io ormai non ci parlavamo più, ancora non potevo credere di come fosse riuscito a mentirmi per così tanto tempo e soprattutto non riuscivo a credere che si fosse approfittato così di Caroline – anche se lei era del tutto consenziente – e non avevo ancora elaborato il fatto che Caroline avesse fatto un patto con Damon.

Lei non raccontava niente a nessuno di quei sentimenti, lui non rivelava a quattro venti e a me la sua situazione scomoda con Stef.
«Perché cinque coperti?» Chiesi. Eravamo quattro, perché cinque? Stefan incrociò le braccia al petto, mentre Damon alzò gli occhi al cielo e iniziò ad imprecare sotto voce. No, basta con i segreti. Vi prego, non ce la facevo più. Già mantenere il mio di segreto non era il massimo, dover cercar invece di scoprire altri segreti era ancora peggio.

«Oh, Elena…Volevo appunto parlarti di questo…» Disse papà. Notai anche che era più in tiro del solito. Io indossava la maglietta del pigiama, dei normali leghins e ai piedi le mie caldissime pantofole. Lui invece era tirato a lucido, un bel pantalone scuro abbinato ad una camicia bianca e i capelli con la piega più sistemata del solito.

«Già anch’io ho una grande notizia…» Continuai guardandolo negli occhi, sperando che capisse alla svelta a cosa volevo andare a parare.
«Giuseppe, sono tornata…Ho chiuso la…» Una donna dal grande sorriso fece il suo ingresso in cucina. Teneva in una mano le chiavi di casa e nell’altra un cappottino nero. I capelli neri e lisci  erano raccolti in’ordinata crocchia, vestita elegantemente in un tailleur bordò e poche rughe d’espressione a coprirle il volto.

Chi era quella donna?
«Sono Jo. Tu devi essere Elena, giusto?» Mi chiese gentile e cordiale. Mi girai verso i miei due fratelli che mi guardarono senza dire una
parola e alzarono le spalle.

«Chi sei?» Le chiesi un po’ acida. Vidi gli occhi di papà sgranarsi. Convinta di averla indisposta nei miei confronti sforzai un sorriso.

«Vedo che non vi ha ancora parlato di me.» Disse mantenendo in volto quel sorriso così…così tutto. Troppo insopportabile. Aveva più o meno l’età di papà, niente a che vedere con mamma che aveva parecchi anni in meno di papà.
«Per questo ho organizzato questo pranzetto.» Intervenne papà. Assottigliai gli occhi e iniziai a fare due più due. Pranzo elegante, famiglia al completo e un coperto in più. Significava una sola cosa: discorsetto noioso sulla vita e poi piazzare in casa quella donna come nuova fidanzata di papà.

«Bene. Mi accomodo.» Dissi sedendomi accanto a Stefan di fronte a Damon. Jo – visibilmente a disagio – era alla destra del capotavola. Papà iniziò a servire la pasta, ma prima di metterne un po’ nel mio piatto mi fece un sorriso.
«Elena che ne pensi di cambiarti?» Mi chiese. Dovevo cambiarmi? E per che cosa? Fare colpo sulla nuova fidanzata di papà? Oh, no grazie. Potevo farne a meno.

Stavo per rispondergli di sicuro in modo sgarbato, ma Jo intervenne prontamente.
«Non fare così, lasciala stare. E’ casa sua dopotutto?» M’illuminai alle sue parole. Già aveva acquistato qualche punto in più. Tenevo stretta tra le mani la lettera e non la lasciai un minuto.
Iniziammo a mangiare in silenzio, o almeno io mangiavo in silenzio, mentre Jo e papà si comportavano come due piccioncini, neanche avessero ancora sedici anni.

«Mh…Posso dire una cosa?» Chiesi, interrompendo i loro discorsi alquanto noiosi per me. Tutti si girarono verso di me, persino Damon che fin’ora era stato il più disinteressato al pranzo mi guardò incuriosito.
Mostrai a tutti la lettera, ma non capirono. Ad eccezione di papà, che praticamente sapeva tutto ed era rimasto entusiasta della mia idea.

«Oh, hai ricevuto la risposta!» Mi disse contento, stringendo la mano di Jo che si limitò a farmi un sorriso. Damon e Stefan invece sembrarono non capire. Presi un sospiro. O ora o mai più.
«Aprila, no?» Mi chiese Damon ignaro di quello che quella busta poteva contenere. Deglutii e con le mani che tremavano aprii la busta. Spiegazzai meglio la lettera e lessi tutt’un fiato ciò che c’era scritto.

«Sì, cazzo!» Urlai contenta alzandomi da sedere troppo contenta per rimanere calma. Persino papà si lasciò andare ad una sana risata e ad un lungo sospiro.
«C’è l’ho fatta!» Dissi a papà che mi guardava con gli occhi ricolmi di orgoglio. Era fiero di me e probabilmente mamma avrebbe iniziato a festeggiare non appena le avrei raccontato quella notiziona.

«Cosa sapete voi che io e lui non sappiamo?» Chiese Damon indicando anche Stefan con un cenno disgustato. Quei due avevano una situazione ancora più disastrosa della mia col corvino.
Ecco, ora dovevo dire la verità. La verità. Oh, non avevo il coraggio di far accettare a me stessa la verità, figuriamoci a dirla a qualcuno!

«Ho fatto domanda per…» Mi bloccai provando a rimanere calma. «…l’University College of London.» Lo stupore che si dipinse sul volto dei due era impagabile, ma mai e poi mai mi sarei dimenticata lo sguardo ferito di Damon.

«Te ne vai?» Soffiò lentamente Damon con gli occhi aperti. Sbiancai. Sospettavo che avesse una reazione del genere, ma che mantenesse così a freno la voglia di spaccare tutto non lo immaginavo proprio.
«Il mio volo parte tra una settimana…Il tempo di...» Non feci in tempo a completare la frase, Damon si alzò con un gesto secco dalla sedia facendola cadere a terra con un tonfo. Mi venne la pelle d’oca.
«Buon pranzo.» Disse semplicemente uscendo dalla sala da pranzo diretto chissà dove. Sentii lo sbattere della porta. E capii quanto idiota potessi essere stata.

Ora sì che l’avevo perso.

Credo che in quel momento lui mi abbia odiato. Mi abbia odiato come non aveva mai fatto in vita sua e faceva bene. Meritavo tutto il suo odio e la repulsione, ma volevo andare a Londra e più di tutto volevo guarire. Volevo guarire da questo strano sentimento che…che non era lecito. E forse andare via dal luogo che aveva causato tutto questo poteva aiutarmi.

«Damon?» Lo chiamai ancora. Non potevo rimanere lì ancora per molto. Mi rimanevano solo quattro ore per convincerlo ad uscire dalla stanza per salutarmi…O per parlare. Almeno un’ultima volta prima di partire.
Avevo già provato a parlargli ma non era stata una grande idea. L’unica cosa che avevo ottenuto erano solo parole scottanti che avevano ferito più del previsto.

«Mi odia…» Sussurrai più a me stesse che agli altri. E ora? Cosa potevo fare? Sapevo che quella notizia lo aveva schoccato e lasciato senza parole, però volevo parlargli. Strano…Fino a pochi giorni fa avrei dato tutto per non incontrarlo, tuttavia in un momento delicato come questo  non potevo ignorare per sempre la realtà.

«E’ solo scosso…Lui era venuto qui per te, per risolvere le vostre tensioni…E ora sei tu che te ne vai. Sbollirà la rabbia.» Provò a consolarmi papà, eppure le sue parole non mi rassicurarono per niente. Stefan forse mi poteva perdonare, perchè così si sarebbe comportato un fratello…Con Damon, invece, era tutta un’altra storia. Non c’era proprio un termine di paragone. L’amore di Stefan per me non aveva niente a che vedere con quello di Damon.

Tra me e Damon c’era passione, ossessione perversa e malsana e soprattutto…c’era amore, troppo amore che uccideva e annientava le persone fino al midollo.
«No. Non puoi capire. Mi odia, mi odierà…Vado, vado a parlargli…» Dissi frettolosamente alzandomi da tavola e sfilandomi le pantofole. Non avevo neanche tempo di vestirmi, afferrai degli stivali, li chiusi velocemente e afferrai una giacca di pelle per coprire la maglia del pigiama.

«Elena, non puoi andartene così! Nel bel mezzo del pranzo! Ritorna qui!» La voce di papà m’impedì di uscire dalla porta. Questa volta non l’avrei avuta vinta, ne ero certa.
«Lasciala andare, papà. Lei riuscirà a gestire al meglio la rabbia di Damon in questo momento.» Gli consigliò Stefan. Demordeva ancora, ma persino Jo gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e si rilassò lentamente.

«Chiarisci con Damon.» Disse papà seriamente. Sospirai e mi chiusi la macchina alle spalle.
Aprii la portiera della macchina di papà e infilai le chiavi nella toppa. Mi allacciai la cintura e iniziai a respirare profondamente. Non poteva succedermi niente, era giorno pieno ed era quasi impossibile non vedere un animale sbucare nelle vicinanze.
Feci retromarcia e iniziai a gironzolare per Mystic Falls sperando con tutto il cuore che non si fosse allontanato troppo da lì. Sospirai pesantemente e iniziai a riflettere. Dove poteva andare Damon in un momento del genere?

Ci sono, pensai facendo immediatamente retromarcia e avviandomi verso il boschetto. Mi ricordavo più o meno qual era la strada. Presi lentamente il sentiero ed era piuttosto illuminato, perciò non dovevo essere troppa tesa. Non c’era alcun pericolo.
Parcheggiai la macchina non appena vidi la Camaro di Damon azzurra metallizzata situata vicino un albero. Sapevo che lui era lì.
La vecchia fattoria Salvatore, mi aveva portato lì la sera del doppio appuntamento con Caroline ed Enzo. Sorrisi a quel ricordo e a
piccoli passi mi avvicinai alla sua macchina. Damon non era nella sua macchina. Continuai a camminare e lo vidi. Steso a terra che
fissava il vuoto.


Mi avvicinai lentamente, causando un piccolo fruscio che udì sicuramente. Damon, però, non si girò: mi ignorò completamente e continuò a fissare il cielo.
«Che vuoi?» Mi chiese, non degnandomi di uno sguardo. Mi sedetti accanto a lui e mi stesi anch’io. Il suo corpo s’irrigidì, la mascella si strinse e serrò i pugni.

«Parlarti.» Suonava ridicolo. Io volevo parlargli dopo avergli esplicitamente detto che no lo velevo più vedere? Scoppiò in una piccola risatina e si sistemò i capelli con un gesto annoiato.
«Parlarmi? Seriamente? Oh, grazie ma ho capito tutto.» Sorrise lentamente, mettendosi a sedere. Io non mi mossi da terra, continuai a fissare il cielo limpido.

«Ho capito quanto tu voglia avere una storia normale.» Continuò. Mi sentivo una persona orribile e lo ero.
«Damon…» Sussurrai alzandomi e scrutandolo attentamente negli occhi. Il suo sguardo così limpido non aveva più segreti. Gli occhi erano il riflesso dell’anima e in questo momento vedevo quanto dolore stava attraversando il corvino che provava a celarlo e forse…agli occhi di qualcun altro sarebbero stati dei normali occhi celesti, ma non per me. Perché io vedevo la tristezza e la delusione nei suoi occhi e sapere che quei sentimenti opprimenti glieli avevo causati io peggiorava il peso che mi portavo sul cuore.

«No. Non fare così.» Disse con voce quasi gutturale. Non fare cosa? Lo guardai interrogativa. Io non stavo facendo niente.
«Sai meglio di me, l’ascendente disgustosamente positivo che hai su di me…Ora stai usando quest’ascendente contro di me. Grazie Elena, grazie per avermi distrutto. Spero che tu sia felice.» Senza parole. Ero rimasta senza parole e non c’erano altre parole che potessero farlo sentire meglio, perché non c’era niente che potessi fare per aiutarlo.

«No, no…Io non sto facendo niente, ho semplicemente…» Seguii con lo sguardo tutti i suoi movimenti. Si stava alzando? Smisi di parlare e mi alzai dall’erba e iniziai ad urlagli contro cercando di attirare la sua attenzione. Perché non mi voleva ascoltare?

«Non mi lasciare qui!» Niente. «Ascoltami. Voglio parlarti!» Continuava a camminare, ignorandomi completamente e facendo finta che io non esista.
«Damon! Non me ne frega un cazzo se non vuoi ascoltarmi! Me ne vado, sì, ma lo faccio per i miei sogni, per me…E per te! Lo faccio per TE!» Si fermò e si girò verso di me con gli occhi iniettati di pura rabbia. Mi fissava lentamente, mi venne la pelle d’oca vedendo tutta l’ira che cercava di contenere.

«Lo fai per me? Lo fai per TE. Ti giuro, in questo momento, potrei essere segregato a kilometri di distanza da te ma MAI e poi MAI dimenticherò me, te e i miei sentimenti.» Urlò facendo retromarcia e raggiungendomi lentamente. Gli occhi azzurri erano spalancati e avevo la netta sensazione che a breve avrebbe perso completamente la calma.

«E secondo te, è questo che voglio?» Gli urlai provando a sovrastare la sua voce,  ma fu tutto inutile. Se possibile s’innervosì ancora di più. La vena sul suo collo pulsava fortemente e mi strinse per i polsi avvicinando il mio volto al suo. I respiri accelerati si fusero così come i miei occhi si persero in quegli occhi color lapislazzuli.

«Sì. Tu vuoi dimenticare ME e i TUOI sentimenti SBAGLIATI. E io mi chiedo PERCHE’. Perché vuoi buttare all’aria quello che senti?» Già. Perché volevo dimenticarlo? Non c’era un vero e proprio motivo. Perché io non volevo dimenticarlo, dovevo e basta. Dovevo dimenticarlo, altrimenti non sarei mai riuscita ad andare avanti.

«Non voglio chiaro? Devo. Devo e basta. Devo dimenticarti perché siamo fratelli. Siamo fratelli, chiaro? E non posso farci niente!» Gli urlai. I suoi occhi persero lentamente il solito luccichio e si spensero lentamente, facendomi sentire ancora più idiota ed inutile.
«Hai fatto la tua scelta. Stammi bene. Buon viaggio, Elena!» Commentò pacato, mi lasciò un semplice bacio sulla guancia e a passo lento se ne andò.
Rimasi lì immobile cercando di elaborare quanto avevo sentito. Realizzai quanto accaduto solo quando sentii il rumore della sua Camaro sfrecciare via dalla foresta.

Bussai nuovamente alla porta di camera sua, ma nessuno mi aprì o rispose. Mi bastava solo un cenno, un qualcosa, un saluto. Volevo solamente salutarlo e basta. Nient’altro. Ma lui non voleva saperne di me, così come io non dovrei più volerne sapere di lui.

«Damon, so che sei lì…» Sussurrai, continuando a battere lentamente le nocche sulla porta. Probabilmente stava dormendo o stava perdendo tempo, ignorandomi.
Aprii la borsa ed estrassi una penna e un piccolo taccuino da cui strappai una pagina.
Aprimi, voglio salutarti. Abbozzai velocemente una scrittura decifrabile e infilai quella paginetta di taccuino sotto la porta. Aspettai pochi secondi, fin quando non sentii un fogliettino sfrecciarmi sotto la mano. Mi aveva risposto!
Non dovresti essere già in un aereo diretta a Londra? La sua scrittura rispetto alla mia era più accurata e ligia. Deglutii. Già, non ero riuscita neanche a dirgli di aver cambiato i programmi.

Se sono ancora qui, vuol dire… Scrissi frettolosamente e lasciando incompleta la frase. Sapevo che stavo facendo la cosa sbagliata e che mi ero ripromessa di non mentire più, ma in quel momento era l’unico modo per farlo uscire dalla stanza.
Cosa? Non era ingenuo, non si lasciava ingannare. Sorrisi pensando al nostro primo incontro, sorrisino di scherno e lingua lunga. Più che un’incontro era stato una specie di scontro. Avevo lanciato un libro all’aria e lui era intervenuto con una battuta squallida, tipica di chi voleva abbordare una ragazza.

Fai due più due. Era ridicolo parlare così con una persona. E ancora più ridicolo era il mio modo di parlare con lui. Una normale ragazza cosa farebbe? Chiederebbe al padre di aiutarla facendo uscire Damon dalla stanza a pedate, mentre io cosa facevo? Il contrario. L’esatto contrario. Avevo suggerito a papà di lasciar sbollire a Damon la rabbia.

Che idea del cazzo!

Rimani a Mystic Falls? Ero tentata di risponde con un semplice sì, anche solo per vederlo e per salutarlo poi immaginavo i suoi occhi spegnersi lentamente non appena gli avrei detto che in realtà avevo solo posticipato il volo. Scossi la testa e mi morsi il labbro.

Non potevo.

Il volo è tra poco. L’ho posticipato. Mi sarei pentita presto di avergli scritto così, ma non volevo mentirgli. Aspettai la sua risposta per circa dieci minuti. A breve me ne sarei dovuta andare via da lì. Cosa potevo fare? Diedi un’occhiata al mio cellulare.

«Elena, i tuoi ultimi bagagli li abbiamo caricati!» Mi urlò papà da giù. Avevo imbarcato la maggior parte dei bagagli, mi alzai da terra ed entrai un’ultima volta nella mia stanza vuota. Era spoglia, non c’era più niente. Ad eccezione dell’enorme letto. Non c’era più un poster, o una lampada.

Presi le ultime cose che avevo lasciato in camera e le infilai in borsa.
Damon non aveva più risposto al mio ultimo messaggio, così strappai un altro foglietto di carta dal taccuino.

Ti amo. Grazie di tutto, Damon. Ripiegai il bigliettino e lo infilai sotto la porta. Presi un sospirone e sentii gli occhi bruciare. Mi ero ripromessa di non piangere. Lui non voleva salutarmi e io dovevo rispettare questa sua scelta, così come lui stava rispettando la mia volontà.  
«Grazie di tutto, Damon…» Sussurrai con voce spezzata.
 


Il viaggio in macchina era stato veramente troppo silenzioso. Nessuno parlava, c’era solo un silenzio teso e cupo. Papà guidava in silenzio ma potevo vedere i suoi occhi celati da una velati da una nota malinconica. Stefan, invece, guardava fisso davanti a sé torturandosi le mani nervoso.

Mi sarebbe mancato, anche, lui. Dopotutto rimaneva sempre mio fratello.
Persino Caroline non era riuscita a conferire un pizzico di allegria in macchina. Ancora non credevo che di lì a poche ore avrei completamente abbandonato il suolo americano per vivere a Londra, da mia madre. L’ultimo dei miei pensieri stava diventando realtà.
L’aeroporto era pieno di persone. Al mio volo ormai mancava meno del previsto. Avevo appena pesato la mia unica valigia – le altre le avevamo imbarcate – e ora l’avevo appena imbarcata.

Papà e Stefan mi sorrideva falsamente, a differenza di Caroline che non faceva niente per nascondere la sua tristezza. Era questo che apprezzavo di lei. Fingersi felici per questa decisone non mi avrebbe fatto partire con un peso in meno sul cuore perché sapevo che sarei mancata a loro e sapevo che loro sarebbero mancati a me.

«Sono orgoglioso di te. Londra era il tuo sogno e pensare che ora…Wow, stai per andare a Londra per realizzare un tuo sogno. Devi essere felice, bambina!» Mi disse papà prendendomi il viso tra le mani. Ero l’unica dei suoi tre figli a lasciarlo, ma Mystic Falls non era più per me.
Cambiare città mi avrebbe fatto bene e studiare medicina a Londra era la cosa migliore che potesse capitarmi.

«Sono felice.» Dissi con la voce spezzata. Volevo veramente essere felice, ma lo sarei stata di più se Damon fosse venuto a salutarmi. Non era uscito da camera sua e la cosa faceva male, molto male.

«E perché questi occhietti così tristi?» Mi guardò indagatore papà. Lui era l’unico ad essere veramente felice per me, forse triste per la partenza…Ma soddisfatto della piaga che la mia vita stava prendendo.
«Non c’è un motivo. Sono solo emozionata…Care sta piangendo, Stefan si sta emozionando e…» Non completai la frase. Non potevo nominare Damon. Perché lui non era qui. Era a casa, probabilmente occupato con qualche ragazza o impegnato col cellulare.

«Damon è peggio di te. Non si è fatto convincere a venire qui, eh?» Mi chiese papà. E come potevo convincerlo? Era quasi impossibile dissuaderlo. Scossi la testa. «Almeno vi siete salutati?» Continuò.

«Sì…L’ho salutato…» Mentii mentre una lacrima solcava la mia guancia. L’abbracciai d’istinto e lui ricambiò la stretta più forte. Le sue braccia circondavano il mio bacino e mi strinse a sé protettivo.

«Elena…» Mi chiamò una sottile voce. Caroline e dietro di lei c’era Stefan. Papà sciolse l’abbraccio e mi sorrise.
«Vado a prendere una bottiglietta d’acqua.» Ci avvertì, frugando nelle sue tasche probabilmente alla ricerca di spiccioli. «Salutatela, ragazzi.» Si rivolse ai due, prima di avviarsi verso il bar dell’aeroporto. La situazione era più statica del previsto. Ci guardavamo negli occhi a disagio, cercando parole che non avremo mai trovato perché non c’erano parole adatte per dire addio a qualcuno.
Sapevo che quello non era un vero e proprio addio, ma di sicuro non li avrei più visti come li vedevo ora. Così lasciai tutto alle spalle le bugie e i segreti e li abbracciai forte stringendoli.

Ormai le lacrime erano partite in quarta e non potevo farci niente. Caroline invece era scoppiata a piangere non appena aveva messo piede nell’aeroporto e Stefan, persino lui, stava versando delle lacrime cercando sempre di contenersi.

«Mi mancherete.» Sussurrai braccata dal loro abbraccio che sapeva tanto di familiarità. Perché erano la mia famiglia e nonostante tutte le bugie che ci eravamo raccontati l’uno con l’altro non potevamo ignorarci per tutta la vita.

«Stai facendo la scelta giusta, ‘Lena.» Mormorò Care con lo sguardo sicuro di sé che stonava con l’aria triste che l’avvolgeva. «Solo…Io…Stef, chiediglielo tu.» Passò la parola al ragazzo che sciolse l’abbraccio e mi guardò come faceva un fratello maggiore con una sorellina.
Perché Damon non mi guardava così? Mi chiesi, mordendomi un labbro e asciugando velocemente un paio di lacrime che erano sfuggite
al mio controllo.

«Damon non verrà lo sai?» Mi toccò il braccio comprensivo. In realtà io ci speravo. Ci speravo fino in fondo.
«Lui…lui non vuole guarire…» Continuò. Neanche io lo voglio. Neanche io volevo guarire, ma dovevo. Dovevo concedermi un’altra possibilità di vivere una vita normale come tutti gli altri.

«In questo momento guarire è l’ultimo dei miei pensieri.»  Dissi sinceramente. «Ora ho solo bisogno di mio fratello Damon e di qualche sua parola. Nient’altro.» Commentai con le lacrime che bruciavano nuovamente e che m’imploravano di lasciarle libere e dare così sfogo a tutta la repulsione e la tristezza che avevo in quel momento e che avevo accumulato in quei mesi.

«Mi mancherai, sorellina.» La mani di Stefan strinsero lentamente il mio corpo, ma quelle mani non erano le sue. E il profumo di dopobarba fresco di pino non potevo scambiarlo con quello di vaniglia, cuoio e tabacco. E i suoi occhi verdi non potevo sostituirli con due pietre lapislazzulo che lasciavano senza fiato.

Semplicemente? Stefan non era Damon.
Sciolsi l’abbraccio e mi catapultai nelle braccia di Caroline.
Rimasi tra le sue braccia più tempo di quanto potessi immaginare. E quando lo sciolsi, iniziai a vedere tutto più lentamente. La via dell’aeroporto mi sembrava lontana e avevo la sensazione di lasciare le cose in sospeso. Non poteva finire così la storia tra me e Damon, senza una chiacchierata o senza un abbraccio.

«I passeggeri del volo delle 5.40 per Londra sono attesi al check in.» La voce metallica interruppe il flusso dei miei pensieri, mi asciugai le lacrime e misi a tracolla la mia borsa.

Perfetto. Ora dovevo imbarcami e dovevo voltare pagina. Niente di più semplice no?
«Credo che…che dobbiamo salutarci…» Dissi. Li avevo già abbracciati, ma volevo salutarli un’ultima volta.

«Chiamami non appena arrivi, okay tesoro?» Si raccomandò papà sorridendomi e dando una pacca sulla spalla a Stefan.
«Mi dispiace di averti…» Non le feci finire neanche il discorso. L’abbracciai e la rassicurai.

«Ti voglio bene, scema.» Le dissi ridendo tra le lacrime. Piangevo, eppure non riuscivo a rimanere seria. Era una situazione così strana, ero contenta di aver chiarito con lei ma non volevo lasciarla.

«Ti voglio bene anch’io, idiota.» Commentò lasciandomi un bacio sulla guancia. «Mi raccomando una sola cosa: occhi aperti. A Londra ci sono bei ragazzi.» Mi fece l’occhiolino e mi sorrise allontanandosi. Mi avviai lentamente verso il check in. Non mi girai e continuai a
camminare dritto verso di me. Se mi fossi girata, avrei cambiato idea vedendo gli occhi dei miei parenti.

«Signorina, la fila inizia lì.» Mi disse un anziano signore sorridendo. Annuii spaesata e mi misi in coda. Controllai nuovamente la mia borsa per sicurezza: niente oggetti metallici, niente oggetti appuntiti o niente di liquido. Avevo con me solo il cellulare e nient’altro.
La fila avanzava lentamente, ma mancavano poche persone. Presi il cellulare per spegnerlo ma un messaggio catturò la mia attenzione.

Non ti imbarcare. Esci da quella dannata fine e dai il tuo addio. Xoxo Care

Cosa significava? Perché non mi dovevo imbarcare? E soprattutto cosa significava quel dai il tuo addio? Chiusi quel messaggio e posai il cellulare in borsa. Quando alzai la testa, mi scontrai con due occhi chiarissimi in lontananza.
Persi un battito. Intorno a me tutto iniziò a muoversi più lentamente, i battiti del mio cuore dapprima regolari iniziarono a diventare sempre più veloci, la mia bocca schiusa era asciutta.

«Signorina, dovete posare qui la vostra borsa. Deve passare per il controllo…» La fastidiosa hostess mi sorrideva gentilmente e mi prese delicatamente le mani, cercando di sfilarmi la borsa dalle mani.

«Oddio. Non può…Scusi, ho dimenticato...Insomma, mi dia la mia borsa.» Dissi seccata, sottraendomi dalla presa gentile della ragazza che mi guardava perplessa.

Uscii il più velocemente possibile dalla fila per il checkin e quando lo vidi tutto sembrò riacquistare colore.
La sua figura imponente scrutava tutti i presenti attentamente. I capelli scuri ricadevano in ciuffi disordinati, il fisico era più slanciato dal suo solito look total black e le mani serrate in due pugni, stringeva così fretta la presa che le nocche delle dita erano bianche.

Damon si concentrava su tutti i presenti e quando incontrò i miei occhi si fermò pochi istanti a guardarmi dalla testa ai piedi, quasi ad accertarsi che quella fossi veramente io.

Iniziai a correre veloce tra la folla che o mi spintonava o mi intimava di stare più attenta. Il corvino, invece, aveva i piedi bloccati e gli occhi fissi su di me. Muoveva solo il suo sguardo in base ai miei movimenti.
Presa da troppe emozioni in quel momento lasciai cadere a terra la borsa e mi buttai tra le braccia di Damon che mi strinsero a sé e mi alzarono delicatamente da terra.

Mi prese il volto e stampò sulle mie labbra un tenero bacio a stampo.
«Sei qui…» Costatai toccandogli il volto. Mi soffermai sui suoi morbidi capelli. Lui era qui in aeroporto, mi aveva raggiunto.
«Sono arrivato in tempo.» Mi disse guardandomi negli occhi.

«Arrivato in tempo per cosa?» Gli chiesi. Ero completamente spossata e non soltanto dalla sorpresa di vederlo qui davanti a me che mi guardava con i suoi occhi blu mare.

«Per questo.» Sussurrò. Le sue labbra furono sulle mie in pochi secondi, la sua lingua s’intrufolò velocemente nella mia. Le mie mani vagarono per la sua schiena e le sue strette al mio bacino mi tenevano a lui in una morsa senza fine.

Il sapore delle sue labbra era sempre lo stesso. Il suo dopobarba muschiato e forte non mi infastidiva affatto, anzi mi mandava in estesi.

«Odio dirtelo ma ti amo…Ti amo fino allo stremo delle forze.» Mormorai inspirando il suo buon odore. Cercai di memorizzare ogni suo più piccolo particolare e ogni nostro momento.

«Sono egoista e narcisista, ma non con te. Non voglio essere egoista con te.» Mi disse, si avvicinò nuovamente alle mie labbra e mi baciò. Ma un bacio meno passionale, più dolce…Più calmo e meno urgente. Un bacio diverso, aveva una nota diversa, sapeva di addio.
Approfondimmo il bacio e per poco non sentii il respiro bloccarsi. L’inizio della fine, eravamo l’inizio della fine.

«Addio, Elena.» Commentò con voce gutturale.
Incassai le sue fredde parole e deglutii, sforzando un sorriso che non arrivò mai.
«Addio, Damon.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Good Evening world! <3
I’M BACK.
- 0.
Già. I capitoli sono effettivamente finiti. E potete meditare vendetta contro di me. Rimane però un piccolo epilogo, e poi potete rintracciarmi e architettare piani malefici per scovarmi ovunque io mi trovi in questo momento.
Ringrazio le 6 magnifiche ragazze, NikkiSomerhalder, Fallen in Love, NianDelLove, PrincessOfDarkness90, Batuffoloventisette e BunnyDelena.
Grazie anche le 48 persone che l’hanno inserita nelle preferite, le 6 che l’hanno inserita nelle ricordate e le 66 che l’hanno inserita nelle seguite.
Allora, la storia è conclusa. Conclusa veramente. -0 + L’Epilogo. Siete tristi come me? AHAHAHAHAH. Okay, no probabilmente starete festeggiando come delle ossesse. XD
Passando al capitolo, anche io odio Elena (sia nella season 6 che negli ultimi miei capitoli) volevo far vedere la decisione un po’ troppo drastica come possa cambiare velocement eperchè quando una persona ce l’hai vicina non ti poni il problema di perderla ma quando capisci che quella persona non sarà più con te al tuo fianco inizi a porti domande e grattacapi. Spero che siate rimaste con la suspense fino alla fine e sono più che certa che vi aspettava un finale del tipo ‘non partire’ e lei innamorata più che mai si lasciava facilmente convincere. Eh no, io sono cattiva e non volevo un finale del genere.
Elena, goodbye! *faccio ciao con la mano* *fate ciao con la mano* *consolo Damon*
La nostra protagonista vola a Londra, sorprese? E pensare che tutte voi pensavate che fosse Damon ad andarsene quando Elena aveva sentito/origliato la sua conversazione con Stefan.
Bhe, cosa ne pensate?
Vi chiedo un favore: non uccidetemi e siate più clementi possibili XD.
Poi…Non ha a che fare col capitolo, ho fatto il trailer! *-----* O meglio, mi sono fatta fare il trailer dalla mia migliore amica, spero vi piaccia. L’avete visto? Se volete lasciare qualche opinione o nella recensioni o nel video le farebbe molto piacere ^^
E infine…Sponsorizzo una mia nuova storia.
Lascio qui un abbozzo di trama, spero che passiate a darle un’occhiata.
Elisabeth Sheila Miller è una normale ragazza che vive una vita normale, fino a quando non arriva Damon Salvatore.
Dopo anni d’assenza, ritorna a Mystic Falls convinto di poter ripristinare i ricordi di Elena con un semplice viaggio nel passato.
Un semplice incantesimo, niente di più semplice no? 
Svolto l’incantesimo qualcosa va storto.
Damon è sparito nel nulla ed Elisabeth con lui.
Dove saranno finiti? Damon riavrà la sua Elena? Elisabeth ritornerà dai suoi genitori?
Dalla storia:
«Siamo ancora a Mystic Falls,no?» Costatai. 
«Non siamo nella tua Mystic Falls. Ma nella Mystic Falls del 2009. Oggi è il giorno in cui i fratelli Salvatore sono tornati a Mystic Falls dopo 171 anni d’assenza.» 
-
«Mamma aveva ragione! Sei solo uno stronzo!» Gli urlai.
«Questo stronzo ti sta aiutando. Chiudi quella bocca se vuoi ritornare a casa integra.»
-
«Fammi capire…Mia madre non sa che sono sua figlia e in questo momento è nel 1994 con te e mio padre versione psicopatico killer?» Gli urlai contro.
-
Damon vorrà ripristinare i ricordi di Elena o qualcuno gli farà cambiare lentamente idea?
Spero mi sosteniate come avete fatto con questa storia <3
Poi…Poi, boh, basta XD
Grazie ancora e ci sentiamo alle recensioni
Non ti scordar di me.

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


Epilogo.
 
La sveglia produceva quell’insopportabile tic che mi stava dando alla testa. Così molto stancamente spensi con un colpo secco quell’aggeggio maledetto. Segnava le 6:00 del mattino, la lezione all’Università iniziava verso la mattinata inoltrata ma quel giorno impostai l’orario presto – anche più del solito –.

Mi tolsi le coperte di dosso, misi le pantofole e m’infilai la mia calda vestaglia viola. Mi stiracchiai e come ogni giorno – da due mesi a questa parte – diedi un’occhiata ai messaggi, nella speranza di vederne uno solo suo.
Era quasi – per non dire che lo era – da masochisti guardare ogni mattina il suo profilo su whatsapp e non avere il coraggio di mandargli un solo e semplice ciao per paura di scoprire la sua reazione. Il nostro non era stato un addio normale, non era stato strappalacrime né indimenticabile…Era stato freddo. E come avevamo deciso nessuno dei due aveva più cercato l’altro.

L’università era perfetta, meglio di come potevo immaginarmi e vivere con mamma era stata un’idea a dir poco geniale! Era sempre alla mano ed evitava di fare domande, rimaneva solo ad ascoltare o i miei pianti quasi sfogo o le mie piccole soddisfazioni per quanto riguardava il College.

Mi strinsi nella vestaglia e trascinai stancamente il mio corpo verso la cucina. Probabilmente mamma stava ancora dormendo, perciò presi quasi un colpo quando la trovai sveglia a preparare il caffè.
Perché era già sveglia?

«Non è presto?» Le chiesi sforzando un tenue sorriso. Lei arricciò le labbra e si spostò da davanti gli occhi una ciocca di capelli.
«Non dovrei chiedertelo io? Sono le sei del mattino ‘Lena, altri incubi?» Mi chiese chiudendo il gas e porgendomi la tazza di caffè che rifiutai gentilmente.

«No…Niente in particolare, volevo svegliarmi presto e basta.» Dissi con una scrollata di spalle e aprii il frigorifero. Presi il latte scremato e ne versai un po’ nel bicchiere.
Mamma mi fissava ancora incerta, la sua bocca era contratta in una linea dura e i suoi occhi erano assottigliati in due piccole fessure.

«Sai che non sei costretta a stare qui da me?» Aggrottai le sopraciglia. Cosa…Cosa significava? Nessuno mi obbligava a stare lì con lei, anzi, io avevo avuta quell’idea e ne ero più che soddisfatta e felice.

«Cosa ti fa pensare che non mi trovi bene da te?» Le chiesi, sedendomi di fronte a lei. Non mi ero mai lamentata, passavamo il pomeriggio insieme e a volte facevamo anche delle video chat con papà e Stefan…Ovviamente Damon non aveva voluto mai parlare con me o con mamma…La chiamava solamente in determinate ore del giorno ma non avevo mai voluto origliare i loro discorsi, sta di fatto che lui non le aveva mai chiesto di passarmi il telefono anche solo per chiedermi come stavo.

«Elena, amore, io…Ti vedo spenta, ti vedo più cupa...Cos’è successo quando siete ritornati a casa tu e Damon? Non mi scorderò mai il tuo volto quando sei ritornata dal cimitero.» Mi disse stringendomi forte la mano. Mi venne la pelle d’oca e gli occhi iniziarono a pizzicarmi lentamente…Di questo passo sarei scoppiata a breve.

«Non siamo più in buoni rapporti. Una litigata di troppo…» Lasciai il discorso in sospeso e feci un lungo sorso dal bicchiere di latte scremato. «Piuttosto…hai mai sentito parlare di una certa Katherine?» Le chiesi dirottando l’argomento altrove da me e indirizzandolo verso Damon.

Lei strabuzzò gli occhi e sembrò quasi colta alla sprovvista.
«Mh…Mi è familiare come nome…» Commentò calma e pacata come sempre.
«E’ la sorella di un mio amico…So che si vedeva con Damon…» La sfidai con lo sguardo. I suoi occhi brillarono un momento di puro terrore e deglutì profondamente. Non voleva dire niente, probabilmente non voleva tradire la fiducia di Damon…Forse era un loro segreto.

Nessuna delle due replicò più. Io bevevo in silenzio il latte, mentre mamma si alzò da sedere e iniziò a lavare lentamente la tazzina del caffè evitando il mio sguardo.

«Ecco perché ero sconvolta.» Ruppi il silenzio che si era creato, visto che stava diventando troppo imbarazzante. A quelle parole si girò di scatto e mi ricordò tanto Damon. Questi modi di fare a volte bruschi, erano tipici del corvino.
«Sconvolta?» Mi chiese pulendosi le mani su uno strofinaccio. Annuii semplicemente e le porsi il bicchiere ormai vuoto.
«Ho saputo di Ka-Katherine e della sua…» Come potevo dirlo senza suonare odiosa e insensibile? «Della sua deceduta.» Dissi infine deglutendo e abbassando a disagio lo sguardo.

«Era una brava ragazza.» Aveva un tono piatto. Sembrava aver rimosso i ricordi di quella ragazza dalla sua mente.
«Io…Be’…Sapere che Damon non mi ha mai…Oh, insomma non mi ha detto che la ragazza che ama è morta!» Suonava molto strano dirlo ad alta voce, anche perché io non avevo alcun diritto su di lui. Non più almeno.

«E’ triste come storia. Venire a Mystic Falls gli ha fatto più che bene!» Disse mamma quasi sollevata. La pelle iniziò a diventare più rosea e il colorito quasi cadaverico stava lentamente scomparendo.
«Davvero?» La voce mi uscì più alta del previsto.
«Quando siete venuti qui l’ho visto così…così vivo. Non puoi immaginare come sono stata…sono stata contenta di vedere negli occhi di mio figlio l’amore nei tuoi confronti.» Disse con gli occhi che le brillavano. A quelle parole persi il respiro. Lei era contenta di vedere negli occhi di suo figlio l’amore per me, l’altra sua figlia?

Aprii la bocca ma mamma continuò il suo discorso prima che potessi dire qualcosa di cui mi sarei pentita.
«Il vostro legame lo ha salvato.» Sorrise. Stava alludendo al nostro legame fraterno. Senza ombra di dubbio. Lei non poteva sapere di…di noi.
«Anche se non capisco una cosa…Perché ti ha dato così fastidio il fatto che era innamorato?» Il suo tono prese una sfumatura più ironica e più maliziosa. Solo con mia madre potevo fare certi discorsi.

«Sono…Boh, non lo so…Definiamolo istinto di protezione.» Ci scherzai su mentre in gola si formava un grosso groppo in gola per quest’enorme bugia che avevo appena detto. Istinto di protezione? Altro che istinto di protezione. Ero gelosa, gelosa marcia di Katherine…E anche arrabbiata per le sue bugie.

Troppi sentimenti troppo contrastanti tra loro era difficili da controllare senza commettere un errore.
«Oh, è già tardi per me…» Disse alzandosi frettolosamente dalla sedia e sciacquarsi le mani. Diedi un’occhiata all’orologio. Era già passata una mezzoretta, ma per me era ancora presto per andare all’università.
Mi avviai così verso il bagno pronta per farmi una bella doccia calda così da rilassare tutti i miei muscoli intorpiditi.

Sfilai il mio caldo pigiama e anche la vestaglia e raccolsi i capelli in un altro chignon così da non bagnarli.
L’acqua scrosciava lentamente, mentre m’insaponavo con il mio bagnoschiuma preferito. Mi venne in mente quella volta in palestra…Mi stavo insaponando e improvvisamente mi sono ritrovata in doccia con Damon.
Cullata da quel ricordo mi sciacquai e sospirai pesantemente. Non  sarei andata da nessuna parte comportandomi così.
 

Le vie di Londra erano cupe e il cielo era coperto da grosse nubi grigie. Era il quarto giorno con quel tempo orribile. E pensare che era Aprile, a breve sarebbe arrivato Maggio e non c’era ancora uno sprizzo di sole.
Come ogni giorno passai davanti a quel luogo. Deglutii pesantemente e le lacrime mi pizzicavano gli occhi.

Ogni giorno passavo per quella strada e ogni giorno sentivo il macigno all’altezza dello stomaco farsi più opprimente. Quella lettera stava diventando un mio pensiero fisso e…non andava affatto bene.

«Elena, su! Vuoi passare il resto della tua vita davanti a questo maledetto cimitero?» Dissi sbattendo un piede a terra. Un momento…Stavo veramente parlando da sola?
In questo caso c’era solo una cosa da fare…Chiamare Caroline.
Mi sentii fortunata ad avere la promozione sui minuti America Europa, avevo a disposizione un tot di minuti ogni mese per parlare gratuitamente con la mia migliore amica.

Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
- Pronto? Chi è? – La voce di Caroline mi arrivò alle orecchie in modo lontano, quasi stanco. Oddio, controllai l’ora all’orologio…Erano le otto, questo vuole dire che in America erano circa le due del mattino!

«Sono la tua amica…Non ti ricordi più di me?» Feci ironica. Di solito la chiamavo in orari decenti sia per me che per lei ma ora avevo bisogno di lei, a prescindere dal nostro fuso orario.

- Elena? Sai che ore sono? Le due e zero sei del mattino! – Disse stralunata. Mi morsi un labbro incerta…Forse potevo richiamarla più tardi. – Però se mi hai chiamato a quest’ora…ci sarà un motivo, giusto…- Suonò più come un’affermazione che una domanda. La sentii sbadigliare e farfugliare qualcosa.

«Con chi sei? Dimmi che sei sola, per favore.» La supplicai stringendo le mie mani in due pugni.
- Mh…’Giorno Elena, da’ te è giorno vero? – Subentrò una terza voce che riconobbi immediatamente. Alzai gli occhi al cielo e maledissi Caroline e gran voce.
«Enzo? Perché sei…» Non terminai neanche la frase. Caroline ed Enzo. Due di notte. La mia amica aveva avuto una notte…particolare.
- Devo proprio spiegarti tutto nel dettaglio? – Disse lamentandosi stancamente.

«Risparmia i dettagli. Care ho bisogno di parlarti…Io sono qui di fronte a…E sono tentata ad entrare…Però è sbagliato, io devo sapere cosa c’è…»
- Primo: smettila di balbettare. Tu non sei insicura. Secondo: sono passati mesi, possibile che la mattina passi sempre davanti a quel cazzo di cimitero? – Quasi urlò dall’altro capo del cellulare. Sbuffai e deglutii. Non ero riuscita a cambiare strada, era diventata un’abitudine.

«No. Non è questo il punto. Io voglio sapere cosa c’è in quella lettera.» Le dissi chiaramente. Quel pensiero mi stava mangiando viva. La mente era occupata da quella lettera, perché Damon l’aveva scritta a Katherine? Era una specie di sfogo?
- Dio, stai diventando completamente pazza! Perché non apri quella stramaledetta lettera e ti togli il pensiero? – Mi chiese, sbadigliando.

Secondo lei non avevo mai pensato di andare lì ed aprirla? Non l’avrei mai fatto. Era qualcosa di Damon  per Katherine, qualcosa che lei non ha potuto leggere…Qualcosa di troppo privato per me.

«Ma è…E’ qualcosa di privato. Damon le ha indirizzato quella lettera e io non sono nessuno per…per aprirla e leggerla…» In realtà speravo che in quella lettere fosse menzionato almeno una volta il mio nome o almeno che avesse accennato alla mia esistenza. E sapevo che era un discorso egoista e insensato ma ero fatta così e nessuno poteva più cambiarmi.

- Mi hai chiamato per un consiglio, giusto? Aprila. Leggi solo le prime righe...Non ti dico di leggerla tutta, leggi l’inizio. Almeno ti togli il pensiero…- Sospirai. – Di cosa state parlando? – Intervenne Enzo. Scossi la testa e mi morsi un labbro incerta sul da farsi.

«Grazie del consiglio, Care. Scusami per l’orario. Ti stringo forte.» Chiusi la chiamata e tirai un po’ su col naso.
Non posso farlo, pensai.
Eppure anche sapendo che era una delle azioni più sconsiderate che potessi fare, mi ritrovai a camminare a grandi passi verso il cimitero, verso la tomba di Katherine.

L’angelo quasi soffocato dalle spine era sempre lì, i fiori erano sparsi un po’ ovunque per via del forte vento che tirava in quei giorni e una lettera bianca stropicciata spiccava su una delle radici dell’albero ricoperta da poche foglie.
Mi avvicinai e mi sedetti a terra.
«Katherine…Non ho idea di cosa dirti, so solo che voglio chiederti scusa.» Non era strano parlare con una tomba, no, sembrava di mantenere ancora un rapporto col defunto anche se non l’avevo mai conosciuta.
La sua storia era molto triste. Così triste che tutto veniva messo in dubbio. Le mie sicurezze erano state messe in dubbio…Non c’era peggio di niente della morte? No. Non c’era niente di peggio che essere ossessionati dalla propria morte.

Tremai leggermente e mi strinsi maggiormente nei miei abiti caldi.

«Scusa per tutto. Per come mi sto comportando, per il mio atteggiamento ostile, per come ho trattato Damon…Già, Damon…Ti chiederai perché ti sto chiedendo scusa per come ho trattato Damon? Perché forse da lassù – indicai il cielo che mi sovrastava – ora starai pensando che era meglio che Damon incontrasse un’altra ragazza.» La mia voce tremava leggermente. Forse in questo momento, Katherine ovunque si trovi mi stava ascoltando e stava sorridendo, o magari mi stava odiando per quanto possa essere egoista e interessata solo ai miei interessi.

«Una ragazza meno incasinata, più gentile, più dolce. Magari volevi per lui un amore più sano. Un amore meno malato, un amore più vivo e genuino…» Mi bloccai un attimo e presi una grande boccata d’aria. «Però ci sono io. Ci sono io con i miei problemi, con i miei difetti, con le mie colpe…E con tutte le mie bugie. Ci sono solo io. Un disastro. E so che forse ti sembrerò melodrammatica, perché tu, tu sai veramente cosa significa sentirsi oppressi da qualcuno…ma, in questo momento, mi sto sentendo oppressa, mi sto sentendo debole.» La voce mi uscì in un debole sussurro.

Accarezzai debolmente la lapide di Katherine e con coraggio continuai.
«Mi sto sentendo debole in confronto al…al mondo. Mi sento piccola, una piccola ed inutile particella che vaga nell’Universo ignara di ciò che le succederà. E mi sento persa, mi sento spaesata perché so che lui, l’uomo che amo, non potrà mai avere una vita con me. Perché so che, prima, due mesi fa mi sentivo al sicuro nelle sue braccia.» Gli occhi iniziarono ad inumidirsi e il cuore iniziò a battermi velocemente.

«Quelle braccia che mi accarezzavano erano le braccia del diavolo. E io stavo bene lì, nell’Inferno…Fin quando non ho…ho fatto la decisione che mi sembrava più giusta. E se questa decisione non ti piace o non la condividi scusami ancora, scusami per tutto.» Liberai quasi un peso dal cuore. Volevo sfogarmi e parlare con lei, anche se non la conoscevo. Anche se non l’avevo mai vista e non sapevo neanche della sua esistenza avevo il bisogno di farle sapere che mi dispiaceva per lei.

«Un’ultima cosa…Scusami se leggerò quella lettera, ma ho bisogno di leggerla. Vorrei solo percepire tutto l’amore che lui provava per te.» Avevo la voce ridotta ad un udibile sussurro. Intorno a me tutto era silenzioso. Non c’erano persone a quell’ora, era tutto un assordante silenzio.

Già, un assordante silenzio. Perché io preferivo ad un silenzio assordante che un chiacchiericcio silenzioso. Perché lì in quel momento, da sola, senza nessuno c’eravamo solo io e Katherine. E nel silenzio sapevo che qualcuno mi stava ascoltando, qualcuno che poteva trovarsi a migliaia di distanza da me…Qualcuno che da lassù vegliava su di me e mi ascoltava lasciandomi da sola nelle mie amare certezze e nei miei grattacapi.

Il chiacchiericcio era silenzioso, perché nel suo rumore c’erano solo tante troppe parole che vagavano senza meta. Ed erano parole sprecate, frivole, erano i soliti cliché, le solite sciocchezze che non volevo più ascoltare.
Presi la lettera tra le mie mani e l’aprii lentamente. Era incrostata di un po’ di terra e ancora impregnata di acqua.

- Cara Elena, -

Presi quasi un colpo quando vidi l’intestazione di quella lettera. Perché era intestata a me? Non era una lettera per Katherine?

- Ora siamo in aereo e tu stai dormendo placidamente sulla mia spalla. Sinceramente, non ho la più pallida idea del perché sto scrivendo questa lettera. Anzi, so perché ti sto scrivendo…il punto è che non voglio ammetterlo. -
Aveva iniziato a scriverla durante il viaggio verso Londra, mi ero appisolata. Sorrisi leggermente e continuai la lettura.
- Quando ti ho guardato negli occhi, ho visto tutto quello che provavi per me. E ti giuro mi sono sentito una persona di merda, perché ti sto mentendo. Ti sto mentendo in continuazione, ma tu non lo sai. Non lo saprai fino a quando non te lo dirò e io non voglio dirtelo. Non voglio rivelarti la verità. Perché una volta averla saputa mi odieresti.
Odieresti per davvero. –

Si stava riferendo a tutte le sue bugie, ma ancora non capivo. Non capivo il vero motivo di quella lettera.

- Hai i capelli scompigliati e un tenue sorriso ad illuminarti il volto. Sembri così rilassata, sembri calma e in pace con te stessa eppure so, per certo, che dentro di te ci sono tanti spettri. Spettri che ti spaventano ma non vuoi ammetterlo.
Ognuno di noi ha dei fantasmi del passato, ognuno di noi ha dei segreti…Tu hai i tuoi e io ho i miei. Ma questi segreti mi stanno pesando troppo. E ogni volta che incontro i tuoi occhi mi sento un verme. Un brutto bastardo.
Uno stronzo. –

E lo eri, eri un bastardo e uno stronzo. Anche complicato e pieno zeppo di segreti. Ma io non ero di meno. Forse ero anche peggio di lui, ma quello era il problema minore.

- E so perfettamente che tu sei peggio di me. Sei ancora più stronza e lunatica di me, sei vendicativa e schietta. E forse è proprio questo che mi ha fatto – La frase era incompleta, ma la lettera continuava. Questa volta la scrittura era più delineata.

- Ti stavi svegliando e ho dovuto chiudere di fretta questa cosa che sto scrivendo. Ora siamo a casa, a casa mia. E io mi trovo nella mia stanza, nella stanza che ospita la maggior parte dei miei spettri.
Perché voglio aprirmi con te, ma non in modo diretto. Preferisco farti arrivare il mio messaggio in modo trasversale, attraverso questa “lettera”. – Era una delle sue caratteristiche. Ciò che faceva, tutte le sue azioni erano già programmate ed ideate, seguivano sempre una
loro logica…Proprio per questo volevo capire come mai lui avesse scritto questa lettera per me e l’avesse lasciata sulla tomba di Katherine.

- Inizio dalla bugia che…che è quella di cui mi pento di più.
Eri così bella in biblioteca, ti avevo osservato e mi avevi ipnotizzato. I tuoi capelli che ondeggiavano ogni tuo passo, i tuoi piccoli fianchi, il tuo profilo perfetto e l’espressione pensierosa dominava sul tuo volto. Così ho pensato ‘proviamo ad abbordarla’ ma tu al mio primo approccio mi hai capire chiaramente che detestavi questi modi di fare. E mi hai messo così la pulce nell’orecchio.
Poi quando ho saputo che quella ragazza che avevo accalappiato in biblioteca e che avevo aiutato in trigonometria era mia sorella si erano quasi aperte le porte del Paradiso.
Perché avevo capito che potevi essere la mia salvezza. –

Le sue parole calda e sofferte, calcate nel foglio duramente e leggermente sbavate, scivolavano dalla mia bocca lentamente. Elaboravo lentamente tutte le sue parole e le immagazzinavo nel cervello e le ripetevo fino allo sfinimento.
Potevi essere la mia salvezza. Quella frase mi dava i brividi.

- Ma tu sembravi odiarmi. Anzi mi odiavi. Mi odiavi dal profondo e quando ho iniziato a costruire uno straccio di rapporto fraterno, mi sono praticamente scavato la fossa da solo. Sai perché? Perché avevo iniziato a guardarti con degli occhi diversi, occhi quasi più consapevoli. Perché ti giuro ho provato tutto per te, ho cercato di trovare dei sentimenti che cercassero di non farmi sentire completamente sbagliato.
Non era affetto. No. Non provo per te del semplice affetto, tantomeno del sano istinto di protezione fraterno. Perché un fratello normale non vorrebbe spaccare la faccia a tutti gli esseri presenti sulla faccia della terra che possono osservarti nei tuoi piccoli dettagli. Un normale fratello controllerebbe la sorellina minore e l’aiuterebbe, io non voglio aiutarti.
Non voglio vederti con nessuno.
Scartato l’affetto, passai all’odio. Come potevo odiare una ragazzina a cui non avevo mai parlato? Come potevo cercare odio in un sentimento completamente diverso? Sorpassato l’odio, mi soffermai sul desiderio. Eri solo quel pensiero perverso che aveva preso posto nella mia mente? Era solo volerti con me per una sera? Oh, no. Non lo era.
Non lo era perché ho visto passare dall’alloggio del mio college tante ragazze, ma nessuna di loro eri tu. Nessuna aveva quei maledetti occhi color cioccolato che ti scavano all’interno lasciandoti senza parole. Nessuna aveva quei morbidi capelli color mogano così lucidi dove quasi potevi specchiarti.
Nessuna aveva quel sorrisetto stronzo che si forma sulle tue labbra quando parli con qualcuno.
Nessuna aveva quei tuoi modi di fare, nessuna aveva la tua lingua insolente e la tua schiettezza.
Nessuna eri tu.
Perché tu sei tu e basta. Sei unica e fidati sei unica nel tuo genere, ma non perché sei la solita perfetta ragazza che dopo un po’ stanca.
Sei acida e cinica. Sei cattiva e vendicativa con me. Sei decisa nelle tue scelte, sei un’orgogliosa del cazzo, sei determinata e quando vuoi sei anche fredda.
Sei un maledetto concentrato di difetti che sono perfetti. Perfetti per me. Perché guardami. –

Dio, le sue parole erano quasi poesia. Non pensavo fosse così…così…Non trovavo una sola parola per racchiudere una parola per racchiudere quel talento che aveva. Riusciva ad esprimersi in una semplice lettera concetti e parole che io non sarei mai riuscita a spiegare in quel modo che sembrava semplice ma non lo era affatto.

Rilessi un passaggio che mi aveva particolarmente colpito. Si chiedeva cosa provava per me? Io non avevo avuto dubbi. Non riuscivo a vedermi con lui in altre situazione, non riesco a immaginarmelo come mio fratello né come mio amico.
Lui doveva essere il mio uomo e nient’altro. Allora perché ora non sono lì con lui? Perché lui è mio fratello. E non c’era niente che potessi fare per cambiare questo.

Definivo il destino una tela su cui dipingere, qualcosa che puoi scrivere e che se non ti piace potevi sempre cancellare e ricominciarlo. Ma non era così, perché nel caso mio era così e basta.
Non potevo fare altro.

Con il cuore a metà continuai a leggere.

- Ti sembro una persona normale? Non lo sono. Sono complicato, un rebus troppo complicato, così complicato che pensavo che nessuno sarebbe mai riuscito a risolverlo…Poi sei arrivata tu e hai fatto crollare le mie certezza. E’ giusto per te?
No. NON è affatto GIUSTO.

TU. TU NON ERI NESSUNO PER SMUOVERMI. PER SRADICARE IN ME LA CONVINZIONE DI NON POTER PIU’ AMARE. –
Qui si sbagliava, io non ero una semplice persona. Ero quella persona. Quella persona che s’incontrava forse una sola volta sulla vita, o forse ero l’ennesima ragazza che ha provato a fargli dimenticare Katherine ma non ci era riuscita.
Eppure nelle sue parole percepivo solo tanta tristezza e tanta sofferenza. Perché sì…Perché lui provava odio, odio non verso di me, verso sé stesso e verso i suoi sentimenti.

Una lacrima – seguita da altre – sfuggì al mio controllo.
Perché? Perché? Perché avevo pensato di venire qui e di leggere quella lettera? Come potevo alzarmi di lì e buttarmi alle spalle tutto quello che stavo leggendo?

- Già, perché ho amato. Credo di aver amato solo una ragazza. E quella ragazza non sei tu. -
Queste credo siano state le parole che mi abbiano ferito di più, chiusi di scatto la lettera con il petto che si muoveva ritmicamente ai battiti del mio cuore. Guardai la lapide di Katherine, le avevo promesso di leggere solo l’inizio della lettera…ma quella lettera era per me. E dovevo finire di leggerla, anche a costo di ritrovarmi il cuore in tanti piccoli pezzetti.

- Perché l’amore è un sentimento dolce, calmo, che ti fa sentire completo. Che ti fa sentire bene. Ed è qui che mi sbagliavo. Perché tra tutti i sentimenti che ho preso in considerazione per te, avevo pensato anche all’amore. Ma non era amore.
Sì, c’è stato un tempo in cui la parola amore sembrava essere l’unico sentimento adatto a noi due.
Ho amato una volta nella mia vita e credo che forse non potrò più amare. Ho amato Katherine e l’ho amata col cuore, l’ho amata come un fratello ama la sorella, come un padre ama la figlia e anche come un marito ama la propria moglie.

Forse il nome Katherine sarà familiare, per questo ti chiedo perdono. Perché ho mentito, ma ora…Ora se ritornassi indietro non cambierei niente. Lascerei le cose così come sono e non le cambierei, perché le scelte che ho fatto mi hanno reso la persona che sono adesso. E mi sta bene.
Sì, sarò sincero l’ho amata…E quello che provo per te non è quello che provavo per lei. No, perché i sentimenti per lei erano diversi. Erano genuini, buoni, mi avevano reso una persona migliore, una persona normale…Non andavo più a quelle gare che odiava tanto, avevo iniziato a bere di meno…Ero cambiato completamente, ma non so ancora se in meglio o in peggio.
Con te…Oh con te, ho mandato tutto a farsi fottere.
Perché con lei mi trattenevo, perché con lei avevo paura di ferirla, avevo paura di compiere la mossa sbagliata e l’ho fatta. Con Katherine ho sbagliato, lei sapeva cosa voleva farne della sua vita…Ero io che non sapevo cosa volevo fare della mia vita. E ancora oggi non ho la più pallida idea di cosa un giorno farò. Lei aveva una sua concezione della vita e io avevo la mia.
E con questo non voglio dire di non aver provato niente per te. Solamente quello che provo non è amore.
Perché l’amore è un sentimento che ti rende felice…Che ti fa sentire tre metri sopra il cielo.

E l’ho capito tardi, per te provo un sentimento che non credo sia stato provato da qualcun altro oltre a noi.
Tu mi rendi debole e vulnerabile. Mi fai sentire piccolo e senza parole, mi lasci con l’amaro in bocca. Ma un amaro sublime. Un amaro di cui sono dipendente, ne sono completamente schiavo. E so che tu sei schiava di me come io lo sono di te.
Siamo entrambi schiavi e non riusciremo mai a ribellarci. Non ce la faremo perché siamo troppo dipendenti da questo malsano sentimento che non si classifica sotto il semplice sostantivo di ‘amore’.

Questo strano sentimento che mi lega a te mi sta facendo uscire di testa. Perché non ti amo da impazzire, ma sono impazzito per amarti.
Perché ho provato ad amarti, ma non ho avuto risultati. Stavo impazzendo per amarti, ma non ci riuscivo. Non riuscivo ad amarti, perché non ti amo. Perché non so dare uno stramaledetto nome a noi e a quello che siamo. Non siamo l’incesto, non siamo il reato. Siamo Elena e Damon e siamo schiavi l’uno degli altri.

Noi siamo il proibito. E mi piace. Mi piace quel proibito. Non siamo le coppie normale che cercano l’altra metà, io non cerco la metà che mi completi. Perché noi non cerchiamo una metà, siamo due persone complete. Due persone con un passato, con mostri che ci tormentano e con storie mai gettate alle spalle.
Tu sei la mia ancora, la persona che mi dice di sbagliare, la persona che vuole sbagliare con me e per me.- Dio, no. Non poteva scrivermi questo. Non poteva dirmi veramente quelle cose. Non poteva dire tutto quello che io non volevo ammettere.

E ora stavo piangendo e stavo bagnando quella lettera, mentre il cuore batteva forte e la testa era piene delle sue frasi. Piena dei suoi sentimenti senza nome, piena del nostro proibito.

Piena di lui. Perché ora la mia testa pensava a lui, solo a lui e non potevo farne a meno. Aveva ragione. Completamente ragione. Non ero la ragazza da storie romantiche, né da storie zuccherose con un buon lieto fine.
Perché in questa merda di società, dove prima ti criticavano e poi quando morivi si fingevano tristi per te, non esisteva nessun lieto fine.

Lieto fine dove? Dove vedevano un lieto fine? Non c’era niente di lieto nella nostra fine. La nostra era una fine drammatica, dura e cruda. Una fine che ti faceva capire quanto la vita potesse essere ingiusta e come i buoni rimanessero fottuti nella vita.
Eravamo solo delle vittime. E le vittime erano vittime e rimanevano tali, dovevi avere solo la forza di provare a combattere e io quella forza non l’avevo più.

L’avevo esaurita. Avevo impiegato la mia forza per superare i sensi di colpa opprimenti per Matt, avevo continuato a resistere per superare il segreto della mia amica…E ora non avevo più niente.

Almeno mi sentivo vuota, ma non lo ero. C’era lui. Damon che mi era sempre accanto, accanto in modo strano ma c’era.
E la mia forza aumentava. Aumentava rispetto alla sua. Non ero mai stata brava in matematica, ma quelle poche cose che sapevo me le ricordavo.

La proporzionalità. La proporzionalità diretta eravamo noi, rappresentava noi, perché all’aumentare delle x aumentano le y e al diminuire delle x diminuivano anche le y.

Eravamo le x e le y. Lui diventava più forte, io producevo la mia forza che mi permetteva di combattere contro tutto e contro tutti.
Ma ora che eravamo separati, lui non produceva più la mia forza e io mi stavo spegnendo lentamente. Mi stavo spegnendo, il fuoco che mi alimentava si stava esaurendo e di me sarebbe rimasto solo la cenere.
Diedi un’occhiata veloce alla fine della lettera, ancora un’altra scrittura, ciò significava che l’aveva scritta in un altro momento.

- Hai capito che non potrei mai racchiudere il mio sentimento per te sotto la parola ‘amore’? Non riuscirei ad esprimere bene il concetto e definirlo amore era come minimizzare noi e quello che sentiamo.

Per Katherine era, invece, amore. Era un sentimento meno impellente, meno passionale, meno dipendente…Meno TUTTO.
E questo sentimento mi prende allo stomaco e mi attanaglia la testa.
Stasera ti ho osservata, ho assistito alla tua sbornia colossale e ti sono stato accanto e ti ho tenuto i capelli mentre vomitavi l’anima. E quando ti sei finalmente addormentata, ti ho visto piccola e finalmente ho visto in te quel pizzico di vulnerabilità che ti mancava.
Credo che questa sera mi sono reso conto di come potessi sorprendermi. Quel tuo sbaglieremo insieme ha acceso in me un sentimento che sono riuscito subito ad analizzare. Mi sentivo strano, con un nodo alla gola e con l’ansia che saliva alle stelle…I sensi di colpa.
Mi sento in colpa per tutto questo, sia per le mie bugie sia per questo sentimento. Un sentimento soffocante.

Tu mi soffochi, mi soffochi lentamente e rendi questa tortura più dolce e questa fine più leggera. Perciò continuerò questo gioco. E quel tuo Non distruggermi è suonato alle mie orecchie come una canzone dolce e velenosa al contempo, dolce perché ti ho sentito sotto la pelle, ti ho sentito dentro di me e velenosa perché so che ti sto avvelenando, con queste mie piccole dosi di ‘amore’ ti sto avvelenando.
E’ la prima volta che scrivo una lettera e credo sia un vero schifo. Spero solo che un giorno magari anche lontano da ora tu possa leggerla e possa comprendere quale sentimento mi lega a te. La lascerò nel luogo meno ovvio in cui cercare, nel luogo in cui nessuno potrebbe mai arrivarci ma so che tu una volta saputo di tutto questo saprai già dove cercare.

Siamo collegati e ormai non possiamo allontanarci, non più. Non ora che avverto tutto quello che provi sulla mia pelle. Sei una delle cose più odiose che mi siano capitate nella vita, sai? Eppure non lascerei mai che nessuno si prenda il mio piccolo diamante grezzo. Sì, tu sei il mio diamante grezzo.

Non sei appariscente, ma non ti nascondi. Non ti occulti dietro le persone, anzi hai la faccia tosta e sai farti valere…Ma la tua voce e le tue convinzioni rimarranno sempre sepolti dalla merda che ci gira intorno.
Siamo due diamanti nella merda, bambina.

E solo due persone come noi, potevano scegliersi tra tante.
Amarsi da morire fino a odiarsi a morte. Solo noi possiamo.
D S.

In quel momento mi sentii vuota. Inutile. Le lacrime scorrevano sulle mie guance ininterrotte ma non provavo ad asciugarle. I capelli mi oscuravano la vista ma non avevo intenzioni di scostarli. Il mascara mi dava un fastidio immane agli occhi, ma non volevo muovermi.
Intorno al cimitero regnava un fastidioso silenzio, non c’era un solo signore. Non c’era nessuno. Nemmeno una misera persona.

C’ero solo io, Katherine e Damon. E ora capii. Capii perché aveva lasciato quella lettera, capii perché Damon non cercò di occultarmi quella lettera. Lui voleva che io mi ricordassi di quella lettera perché sapeva che un giorno l’avrei letta, sapeva che un giorno avrei cercato quella lettera.

Perché Damon voleva che io fossi a conoscenza di quello che lui provava per me.
Chiusi gli occhi e sospirai. Nonostante tutto, nonostante i suoi sentimenti mi aveva lasciato andare. Aveva lasciato che io crescessi e imparassi a crescere da sola…Ma ora come potevo crescere senza l’uomo che mi aveva aiutato a cambiare?

Grazie Damon, grazie perché io sono ancora in piedi e perché in tutta questa merda io mi sono salvata. Grazie per il nostro proibito.
 
 
TO BE CONTINUED…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 -0
Ecco la fine di questa fan fiction.
Per una volta non voglio scherzare e non voglio neanche parlare o commentare questo capitolo/Epilogo, perché non c’è niente da dire.
E’ finita e voglio dirvi che ho amato col cuore questa fan fiction perché è quella fan fiction in cui ho messo tutto quello in cui credo fortemente.
Perché io credo in ogni singola parola che ho messo su penna e carta, perché so che un giorno le parole che ho scritto possano in un modo o in un altro arrivare a qualcuno. E sono contentissima del fatto che a voi sia piaciuta questa fan fiction perché non ci speravo veramente più di tanto.
Non ci sarà nessun conto alla rovescia e sapete, forse ora vi starete preoccupando. Starete forse pensando ‘Con questo vuol dire che non farà più un sequel?’ e la mia risposta è un sonoro NO.
E’ un no perché ho in mente un piccolo seguito che spero possa piacervi, ma per me – solo per me credo – Amore Proibito finisce qui.
Cè questa storia potrebbe concludersi qui. Anche la storia più tormentata non deve avere un lieto fine, non per forza. Perché non sarebbe molto realistica, per i miei Elena e Damon non ho mai optato per un comune lieto fine perché io non credo al lieto fine in questa società e non posso farci niente.
I buoni rimangono sempre fregati e in questa storia ci sono le mie idee…E so che molti di voi mi diranno magari ‘Io leggo ff perché voglio immaginare un finale positivo, qualcosa che magari non potrebbe accadere qui nel nostro mondo’ e io dico che allora questa non è la storia giusta, perché non sono una tipa che ama i lieto fine.
Lo metto in chiaro da subito: non ho idea se questi due poveri avranno un vero e proprio lieto fine.
MI SCUSO SE QUALCUNA DI VOI CI SIA RIMASTA MALE, MA VERAMENTE QUESTO FINALE MI SEMBRAVA IL PIU’ SENSATO.
E’ sensato perché nella vita reale è così. Le persone affrontano situazioni complicate e non sempre ne escono vincitori.
Spero vi sia arrivato il messaggio e che vi sia piaciuta la lettera di Damon a Elena. Personalmente non immaginavo un Epilogo così, perché non immaginavo di creare questo sentimento che per me NON è amore.
L’amore come ha già detto Damon è gentilezza, premura, è un qualcosa di buono che ti fa sentire sollevato…Che ti fa sentire una persona migliore, che ti rende migliore.
Ora…Guardiamo Elena e Damon. Vi sembrano persone migliori da com’erano? Per me sono le stesse, con storie e psicologie difficili da capire. E mi piacciono molto, mi piacerebbe perdere ore nelle loro mentalità un po’ chiuse e complicate da decifrare e ho intenzione di riscrivere questa storia approfondendo la loro mentalità perché rileggendo i primi capitoli ho notato che mancano alcuni dettagli che voglio chiarire.
Analizzando Elena: è una ragazza emotivamente complicata, la situazione familiare è quella che ha inciso sulla sua personalità e l’odio per Damon è solamente uno escamotage per giustificare quest’odio che prova per qualcuno e quel ‘qualcuno’ non ha un nome. Insomma nessuno di voi non ha mai provato odio senza un reale motivo?
Damon invece è più che altro traumatizzato, la morte di Katherine l’ha lasciato senza parole, si sarà chiesto perché la società spinge i ragazzi fino a quella situazione. Perché la tafofobia non è altro che la paura di morire e vivere ogni giorno con l’ossessione della sua morte può essere solo causata da una concezione di vita diversa dal normale.
Caroline, invece, è l’adolescente che crede di aver tutti contro senza un reale motivo. Pensa che essere innamorata di un ragazzo che la vuole solo per piacere sia la cosa peggiore che potesse capirle. NO, stare in macchina con una persona, farci un incidente e venire a sapere che tu sei sopravissuto mentre lui NO è traumatico. Elena ne risentirà in futuro di questo, perché ora è giovane ma immaginiamo tra un paio di anni…Certe cose hanno ripercussioni in futuro su una persona.
Stefan è l’adolescente comune, l’adolescente che tutti quanti vorrebbero essere diciamo pure così. Perché non ha problemi, vuole divertirsi e vivere appieno la sua vita.
E poi l’ultimo personaggio che voglio analizzare è Giuseppe Salvatore. Giuseppe è complicato, reduce da un matrimonio finito male e con troppi impegni per la testa per badare ai suoi figli. E’ il tipico adulto che cerca di sentirsi ancora giovane. Questo di solito capita con le persone che non hanno vissuto appieno la loro adolescente (il contrario di Stefan, in breve).
Ora dopo tutto questo… Chiarimento (?) Parentesi (?) Insomma dopo qualsiasi cosa fossero queste spiegazioni, voglio solo farvi capire che i miei personaggi sono reali e complicati perciò non possono avere un finale scontato per come sono fatta.
Accetto ovviamente altre opinioni! CHIUNQUE PUO’ DIRMI SE NON GLI E’ PIACIUTO QUESTO FINALE E OVVIO VORREI SAPERE PERCHE’.
Tutto qui, non ho altro da dire.
Uh, l’ultima cosa un ringraziamento va a quelli che mi hanno sostenuto, grazie ai 49 che hanno inserito la storia tra le preferite:
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E poi scusate se vi rompo ancora XD, un ringraziamento speciale a:
PrincessOfDarkeness (che segue tutte le mie storie con affetto), NikkiSomerhalder (spero che non ti abbia deluso questo finale), Horse_ (che ha azzeccato più o meno quasi tutti i segreti di questa storia), NadyDelenaLove (che mi segue dall’inizio, inizio), Smolderina78 (ti adoro <3), NianDelLove (con le sue recensioni adorabili *-*) e Bea_01 (che mi imbarazza sempre con tutti i suoi complimenti). E poi grazie anche a chi mi ha fatto sapere la sua opinione più in là, come Atlantide08, TheVampireHeart, BunnyDelena,
FallenInLove…E tutti gli altri! VERAMENTE NON RIUSCIRO’ MAI A DIRVI GRAZIE.
Per quanto riguarda il sequel, posterò un capitolo (anche se non sarà un vero e proprio capitolo XD) in cui vi farò sapere quando lo posterò o se l’avrò già postato.
PS: Grazie anche a Mostro che con le sue canzoni mi ispira sempre! <3
Alle recensioni, care.
Vi amo <3
Alessandra.

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Capitolo 24
*** SEQUEL. ***


Ragazze,
se leggerete questo avviso vuol dire che questa storia probabilmente vi ha appassionato a tal punto da tenerla ancora nelle preferite/ricordate/seguite.
Voglio solo dirvi che ho postato il sequel di questa storia. E ho pensato di avvertirvi. Troverete la storia nel mio account, il titolo è: 'AMORE PROIBITO:un fiammifero batte le tenebre?'
Vi auguro buona lettura e spero che lasicate qualche opinione.
:*:*:*

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