Dark past

di Cassyfireflies
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Il rumore di vetri che si rompevano e cadevano la fece svegliare.
Scattò fuori dal letto e capì subito chi aveva causato quel rumore.
Il posto vicino al suo era vuoto.
Si precipitò in bagno, aprì la porta.
La figura aveva le mani sul lavandino, l’ acqua usciva dal rubinetto, i vetri si muovevano tra essa e alcune schegge erano a terra.
Lei si appoggiò allo stipite della porta.
 
-Perché?
-non parlarmi.
Disse minaccioso il ragazzo.
-no Tom. È la terza notte  che mi alzo. L’altra sera perché hai preso a  calci una sedia, la sera scorsa perché sei uscito e sei tornato sbattendo la porta in malo modo e poco dopo hai urlato e questa sera hai rotto uno specchio. Che ti sta succedendo?
Disse lei avvicinandosi a Tom  che ritrasse il braccio quando lei provò ad accarezzarlo.
-che sta succedendo?
-sto bene. Non ha senso preoccuparsi. Torniamo a dormire.
Disse dirigendosi in camera da letto.
-Tom aspetta.
Disse lei implorante.
Tom la ignorò.
-Tom ascoltami una volta tanto.
Lui si fermò e tornò sui suoi passi.
Entrò in bagno e senza dire una parola la baciò.
Per un po’ si trovò stordita, ma poi cinse il collo di Tom.
Le labbra si staccavano lo stretto necessario per prendere fiato.
Cinque minuti dopo le loro labbra si staccarono.
 
-dai andiamo a dormire.
Disse lui in tono affettuoso mentre le cingeva un fianco.
 
Perché si comportava così? Voleva saperlo, anzi doveva saperlo. E non importa come, ma lo avrebbe scoperto.
 
Il mattino seguente:
 
A colazione i due non si rivolgevano la parola.
Sentirono la voce di una bambina e poi di un bambino.
-ciao mamma.
Disse il bambino strofinandosi l’ occhio sinistro per poi sedersi sulle sue cosce.
-hey Luke. Hai dormito bene?
Disse abbracciandolo.
-si. Te, mamma?
-mai dormito meglio.
Disse rivolgendo lo sguardo alla figlia che era seduta sulle gambe di Tom.
-e tu? Come hai dormito?
Le domandò.
-bene mamma.
Disse lei prendendo il pancake che aveva Tom nel piatto.
-sono conten…
-però ho fatto un’ incubo.
-che tipo di incubo?
Indagò Tom.
-era uno di quegli incubi paurosi dove ti svegli con le gocce fredde.
-sudavi freddo.
Concluse la ragazza.
-ma non avevo corso.
Disse la bambina.
I genitori sorrisero.
-Destiny per sudare non è necessario sudare.
Disse la ragazza.
-ecco un’ altra cosa che non sai, Destiny, possibile che non sai nulla?
Disse il bambino.
-Luke porta rispetto.
Disse Tom paziente.
 
Il pomeriggio stesso:
la ragazza andò a prendere i figli a scuola.
-restate qua, okey?
Disse dopo aver dato ai bambini la merenda.
-perché?  dove vai mamma?
Domandò Luke.
Sospirò.
-sto via per poco. Tra cinque minuti arriva Georg, ricordatevi che fino a quando sono sarà qua non dovete toccare il fuoco e non dovete litigare.
-dove vai?
Insisté Luke.
-torno presto.
Disse prendendo la borsa viola dal tavolo.
-ma dove vai?
- devo fare una visita medica.
-e non possiamo venire?
-no tesoro. Torno presto, te lo prometto.
-quando torni andiamo al parco con Alex?
Lei sospirò.
 
Perché doveva fargli tutte quelle domande?
 
-se i suoi genitori sono d’accordo, si.
Sorrise.
-te invece Destiny? Vuoi vedere delle tue amiche?
Domandò la madre.
-domani. Oggi voglio mangiare i pancakes .
Disse prendendone uno dal piano cucina.
-va bene tesoro. Ora vado.
Disse lei andando alla porta.
Prese le chiavi e uscì.
Salì in macchina e mentre usciva dal garage vide Georg.
Si fermò.
 
-ciao Georg!
Disse tirando giù il finestrino.
-ciao.
Disse Georg.
-ascolta; ho detto ai bambini che sarei andata a fare una visita. Se cominciano a fare domande tu non ne sai niente. Okay?
-va bene ho capito. A che ora tornerai?
-non lo so. Ti faccio uno squillo quando ho finito. D’accordo?
-d’accordo.
Disse lui.
Non osava chiedere che impegni avesse. Non lo aveva mai fatto e non avrebbe iniziato.
 
 
Arrivò in uno studio.
Odiava andarci.
Non sopportava doverlo fare.
Quando usciva era sempre stanca e si sentiva vuota.
Arrivò in una sala d’ attesa con delle sedie di metallo.
Un signore la chiamò e lei entrò.
-buongiorno Cassy, entra.
-buongiorno.
Disse entrando.
Sorrise.
Si toccò i capelli ondulati e si accomodò su una sedia.
Lui intanto prese un blocco e si sedette di fronte a lei.
-allora… racconta pure.
Disse lui appoggiando le braccia sul tavolo grigio e amorfo.
Il suo sguardo era agitato e lui se ne accorse.
-stai tranquilla. distendi i muscoli. Ci sei?
Lei distese i muscoli e fece un sospiro.
-si., ora si.
-bene. Ora possiamo iniziare.
Si era rilassata. Rilassata completamente.
 
Non aspettò che il dottore iniziasse a parlare.
Iniziò lei.
-sono stanca. Non mi sento bene ultimamente. Non sono più io. Sono fuori controllo e detesto doverlo dire, ma non mi vedo come mi vedevo prima.
-in che senso?
-caratterialmente sono la stessa, ma dentro, no.
-come si sente dentro?
-non mi dia lei, mi da fastidio, ho solo 24 anni. Comunque dentro mi sento come dire… no. No. Non ce la faccio.
Disse lei alzandosi e prendendo la borsa.
-Cassy calmati.
Disse il dottore alzandosi.
-no, io… non… non voglio raccontarglielo. Non voglio.
-cosi Cassy, non farai mai progressi.
-lo so ma non me ne importa. Non ho bisogno di parlarle.
Disse mettendosi le mani nei capelli, per poi frugare nella borsa e prendere gli occhiali da sole.
-Cassy calmati è solo un modo per parlare, per stare meglio. Ce la puoi fare, puoi dirmi come ti senti e cosa provi. Lo puoi fare.
-no. Non posso.
Disse infilandosi gli occhiali.
-non puoi o non vuoi?
Disse il dottore.
-mi suona come un ricatto questo. Lei non può obbligarmi. Lo so che non può farlo.
-non ti obbligo, ma ti farebbe bene parlare.
-non lo può sapere, magari sono obbligata a venire da lei. Non lo può sapere.
-lo so che non è cosi.
Disse, poi continuò:
-ma se proprio non vuoi parlare, ti lascio andare.
-bene. Allora vado.
Disse prendendo il cellulare di tasca.
Aprì la porta e usci.
Si diresse verso la macchina.
Sospirò e mise le mani sul volante.
Voleva urlare, spaccare tutto, rompere qualcosa, ma stava muta, come se non avesse niente.
Cercò il numero di Georg nella rubrica.
-pronto?
-Georg sono io. Ascoltami bene. Porta i bambini a casa tua, io…
-sei nei guai?
-no. Come puoi pensarlo? non sono nei guai. Tu fallo e basta.
-ma perché?
-fallo. Ti spiego tutto dopo.
-che succede?
-niente di grave. Non succede niente. Portali a casa tua. Dì loro che li verrò prendere il più presto possibile.
-sicura che non succeda niente?
-Georg quando avrò un problema te lo dirò, ora non ho problemi. Me lo fai questo piacere o no?
Per un tempo indeterminato non sentì niente.
-si. Ti faccio questo piacere.
-grazie. Lo so che per te è un’ obbligo. Sono in debito.
-ma quale debito? Non preoccuparti.
-non lo farò.
Disse e poi riattaccò.
Appoggiò la testa allo schienale.
-non possono vedermi cosi.
Si disse tra lei e lei.
Mise in moto e tornò a casa.
 
Arrivò:
c’ era silenzio, ma dentro di lei non era cosi.
Non poteva impazzire. Non poteva.
Era forte. Lo era sempre stata. Non poteva rovinare tutto, doveva tenere duro. Per lei, per Tom e per i suoi figli.
Appoggiò la borsa sulla cassapanca vicino alla porta e si diresse in camera.
Aprì un  cassetto e frugò tra le maglie.
Tirò fuori un flacone bianco con un tappo blu.
Pillole calmanti.
Aprì e ne estrasse una e la ingoiò.
Poco dopo non sentiva più niente era come se avesse azzerato le emozioni.
I suoi non sembravano stanchi, erano vivi, lucenti e puri come sempre.
Nascose velocemente il flacone e si si legò i capelli in una coda laterale.
Andò in bagno.
Accese l’ acqua, lasciò scorrere per un po’ mettendo le mani sotto al getto d’ acqua.
Poi mise le mani a ciotola e quando le sue mani furono piene di acqua si piegò leggermente e si  portò le mani sul viso così da rinfrescarsi.
 
Poco dopo andò a prendere i suoi figli.
-grazie Georg.
Disse mentre sorseggiava del succo mentre i suoi figli giocavano nell salotto.
-figurati Cassy.
-si, dovresti affidarci i tuoi figli più spesso, sono degli angeli.
Disse la ragazza di Georg, Brenda.
-sono solo dei bravi attori.
Scherzò Cassy.
-allora vuoi parlarmi del perché sono qui Luke e Destiny?
Disse Georg sorridente.
Il sorriso di Cassy si spense e abbassò lo sguardo.
-promettete di non aprire bocca con nessuno, neanche a Tom.
-promesso.
Dissero in coro.
-bene, mi fido. Ultimamente mi sento… bhe … diversa.
-in modo positivo?
Domandò Brenda incrociando le braccia.
-no, tutt’ altro. Va di male in peggio, ma non esteriormente, a livello estetico non ho ripercussioni, ma dentro è cambiato qualcosa.
-forse sei solo stanca, voglio dire; hai due figli a cui badare, un marito, la casa e il lavoro, forse sei stanca per quello.
Concluse Brenda.
-forse hai ragione.
Disse Cassy anche se non convinta.
-forse stai male.
Cassy lo sguardò come se la avesse insultata. I suoi occhi vivaci erano diventati quasi crudeli e Georg temette che da un momento all’ altro si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata a casa senza lasciagli spiegare meglio cosa voleva dire.
-grazie tante.
Disse alzando le braccia come per dire: “non hai concluso nulla”.
-non devi arrabbiarti. È normale stare male ogni tanto. Capita a ogni essere umano di sentirsi stano e stanco.
-lo dici per farmi un favore.
Disse calmandosi un po’.
-non lo dico per quello, lo dico perché è la verità. Tutti abbiamo dei momenti come quello che stai passando. Non è grave. Passerà in fretta, vedrai.
 
Voleva credergli, ma se non fosse andato così? avrebbe potuto andare come diceva lui, ma sarebbe potuto accadere l’ esatto contrario. Non sarebbe come sarebbe andata a finire la spaventava da se stessa e non aveva via di scampo.
La sera stessa:
avevano messo i figli a letto da un’ ora e  loro erano a letto cinque o dieci minuti.
-com’è andata oggi Tom?
-male.
-male? Come mai?
-non so mi sentivo diverso, ero strano.
-spiegati meglio.
Disse lei girandosi di lato in modo da vedere Tom.
-non ero io.
Tagliò corto lui.
Le si raggelò il sangue nelle vene a sentire quel “non ero io”.
Poco dopo quando si riprese parlò.
-non so cosa dire.
Disse lei.
-dì che andrà bene perché questa cosa mi farà uscire di testa prima o poi.
Anche a lei la avrebbe fatta uscire e non andava affatto bene quella situazione.
-andrà bene Tom e andrà bene al più presto.
Disse cercando di convincere anche se stessa.
-grazie. Te invece? Come l’ hai passata la giornata?
Disse Tom.
Male. Pensò.
-bene. Ho fatto le solite cose, niente di che.
Disse lei.
-sono contento che almeno uno di noi…
Le labbra di lei si fiondarono si fiondarono sulle sue.
Lei cinse il collo mentre lei si posizionava su di lui.
-ti amo.
Disse Tom mentre le loro labbra si staccavano lentamente.
-si, anche io ti amo, ti amo tanto.
Disse lei tornando vicino a Tom.
 
La notte:
sentiva delle risate lontane.
Conosceva quel posto.
Era nel liceo che aveva frequentato.
Era in un corridoio che ai lati presentava file di armadietti grigi.
Ad un certo punto sentì qualcuno che le accarezzava le punte dei capelli e lei si voltò.
Dietro di lei le luce erano spente e si vedeva poco la figura, ma riuscì a scorgere dei rasta.
Lei rabbrividì vedendo il buio.
Non era una cosa normale.
-dammi vita.
Disse la persona continuando a toccarle i capelli.
-Tom ti vivo. Che stai dicendo?
-non sono Tom.
Disse la persona mentre si trasformava e mentre veniva fuori dall’ oscurità.
-sono Connor.
Terminò poi.
Si irrigidì.
Non poteva essere vero.
-tu? Non sei reale.
Disse scuotendo la testa.
-e invece lo sono.
-no! Non è vero! Tu non devi esistere! Tu non… no! Tu no!
Le risate si avvicinarono mentre lei alzava il tono di voce.
-non sei reale! Non esisti! Non puoi essere vero! È un sogno! È solo un sogno! Tu sei un sogno!
-non è un sogno Cassy. È tutto vero.
Tanti ragazzi li circondavano.
Ridevano.
Ridevano in modo assordante.
Cassy li scrutò.
Avevano gli occhi bianchi e solo un puntino nero.
Era rivoltante e inquietante da vedere.
Fece una smorfia di disgusto che forse nascondeva anche paura.
Ogni tanto si sentiva il suo nome echeggiare
“Cassy, Cassy, Cassy”
-vaffanculo! State zitti!
Urlò lei  chiudendo le meni in dei pugni.
-Cassy tranquillizzati.
Questa voce la conosceva.
Si girò e sorrise vedendo che questa era reale, non era un’ altra persona.
-Tom dimmi che va tutto bene.
-da ora non andrà bene niente. Cassy stiamo…
-stiamo?
Le risate di fecero ancora più forti.
Sembravano più urla che risate.
-Tom?
Non capiva che cosa stesse succedendo.
Perché non parlava più?
La guardava e basta.
Avrebbe potuto parlare, tranquillizzarla, mentirle e dirle che sarebbe andata bene come aveva fatto lei prima di addormentarsi. Poteva fare qualcosa e invece lentamente perdeva colore, se ne stava andando. La avrebbe lasciata lì? Da sola?
-no, non andare via! Tom, Tom!
Si svegliò.
Si tirò su e appoggiò la schiena sulla testiera.
Guardò vicino a lei.
Tom dormiva.
Era tranquillo, calmo e beato o forse no?
-Cassy?
Si girò.
Era un sogno.
Disse accarezzandole il braccio.
-ho urlato?
-no, m ti agitavi nel letto.
Sospirò.
Era stanca. Aveva la mente provata da quell’ incubo.
-ho avuto paura.
-ci sono io qua adesso.
Disse accarezzandole la gamba.
-non sto bene, Tom.
Disse spostandosi i capelli da un lato.
-che cosa? Di  cosa hai bisogno?
Disse un po’ colto alla sprovvista.
Di un tuo abbraccio. Di te, della certezza che non scomparirai come nel sogno e che mi dici che andrà bene, ma disse:
-mi porti un bicchiere d’ acqua? Forse cosi andrà meglio.
-certo.
Disse lui spostando le coperte.
Poco dopo tornò con un bicchiere d’ acqua fresca.
-grazie.
Disse lei.
-di niente.
Disse lui tornando sotto le coperte sena staccale gli occhi di dosso.
-qualcosa non va? Ti turba qualcosa?
Perché glielo chiedeva’
-come mai questa domanda?
-bhe non hai mai fatto incubi.
-ma forse è normale fare incubi ogni tanto.
-forse hai ragione.
Aveva per caso detto che era normale il suo incubo. No non è normale fare gli incubi, non per lei. Lei non gli aveva mai fatti. Non era da lei.
Appoggiò il bicchiere sul comodino.
-Cassy ieri sera io…
-stai tranquillo. Era solo uno specchio. Domani ne comprerò uno nuovo.
-ma io…
-non scusarti. Scusarsi per qualcosa di grave è un bene, ma scusarsi per aver rotto uno specchio è sconsiderato.
Disse accarezzandogli il volto.
Tom sorrise.
Sembrava quasi un sorriso forzato, ma vedendo Tom sorridere sorrise anche lei indizionalmente.
-torniamo a dormire.
-non voglio dormire. Se faccio un’ altro incubo?
-vieni giù.
Lo fece e si rimboccò la coperta.
-facciamo cosi; io ti abbraccio così.
Disse cingendole la vita per coi avvicinarla a se-
-e poi ti stringo a me e per finire ti prometto che non farai incubi di alcun genere.
Lei sorrise.
-ma come fai a trovare le parole giuste?
-sono Tom Kaulitz per un motivo, non credi?
Disse lui appoggiando il mento sulla spalla della ragazza.
-allora dimmi che bene anche le prossime notti perché se lo dici tu ci credo di più.
-andrà una meraviglia Cassy, te non hai paura di niente, fatti forza, non può di certo fermarti un incubo… e sei bellissima.
Disse baciandole la fronte.
 
La mattina dopo:
-mamma, papà è sabato. Iniziano le vacanze estive!!! La scuola è finita!!!
Disse Destiny scendendo le scale.
-hai visto che se ti sbatti ce la fai?
Disse Tom.
-amore il linguaggio. Ha solo 9 anni.
-non è vero mamma. Io sono grande come te. L’ anno prossimo sarò la maestra e darò le note a chi mi sta antipatico e sposerò Giovanni.
-chi sarebbe Giovanni?
Domandò papà.
-il più bello della classe e stiamo insieme.
-ma lui lo sa?
La prese in giro Tom.
-si che lo sa e ieri mi ha fatto una treccia e mi ha detto che ho dei bei capelli e dopo mi ha baciata.
-hai capito la mia bambina?
Affermò la madre.
-si e sai che ha detto? Ha detto che saremo come voi due. Saremo giovani belli come me e che avremo tre figli bellissmi.
-hai capito il piccoletto?
Tom sorrise e le diede un bacio in fronte.
Poco dopo arrivò Luke.
-hey Luke, buongiorno.
Disse la madre mentre veniva verso il tavolo.
Aveva un’ aria diversa.
E non era dovuta al sonno.
-qualcosa non va?
Domandò Cassy.
-lasciami stare mamma!
Disse sedendosi su una sedia.
-no!
-rispetta tua mamma, Luke.
Disse Tom accigliandosi.
-stai zitto anche te!
-hey Luke non urlare a me,sai?! Sto perdendo la pazienza.
Cassy appoggiò il gomito sul tavolo e si passò la mano sulla fronte.
-e perdila la pazienza, non me ne frega niente!
-Luke, basta! Vai in camera tua e restaci!
Disse Tom indicando il piano superiore.
Questo si alzò e si diresse in camera.
-cos’ ha Luke?
-il suo pisellino non diventa dritto.
Tom e Cassy si guardarono.
-sei una bambina non dovresti dire certe cose.
-me le ha insegnate Giovanni.
-ma quante ne sa Giovanni? Siete solo bambini.
Asserì la madre.
-torniamo sulle cose serie e non sui piselli, sai cos’ ha Luke?
-ieri non ha dormito.
 
Poco dopo:
la madre bussò alla porta di Luke.
Il bambino stava giocando con l’ Ipad.
-posso entrare?
-sei già dentro.
-vero.
Disse sedendosi sul letto.
-perché sei arrabbiato?
-non lo sono.
-lo sei invece.
-non lo sono ti ho detto.
-metti via l’ Ipad e parliamo da persone civili.
-non voglio.
Disse continuando a giocare.
-o parliamo o non lo vedi per tre mesi.
-uffa.
Disse mettendo l’ oggetto accanto a se.
-bravo.
Disse dandogli un bacio sulla guancia.
-allora cosa c’è che non va?
-non ne voglio parlare.
-parlarne ti farà bene, amore mio.
-non parlo se non voglio.
-non hai dormito, non è cosi?
Lui abbassò la testa.
-si
Disse a denti stretti.
-e perché ti dà fastidio ammetterlo?
-perché non sai che cosa ha sognato.
-raccontami allora.
Lui gli raccontò il sogno.
Era simile al suo.
Alcuni dettagli erano differenti, ma il succo era quello.
-ho capito ed è per questo che sei arrabbiato?
-non ti sembra una buona motivazione?
-non saprei, dimmelo tu. Comunque era sol.
o un sogno, non era la realtà, quindi non arrabbiarti.
 
 
 
 
La sera:
erano le dieci di sera.
I bambini erano a letto da due ore.
-Tom?
-si?
-ho paura.
Disse lei avvicinandosi a lui.
-di cosa?
-di fare un’ incubo.
-perché ti preoccupi tanto?
Disse appoggiando la sua mano sulla guancia di lei.
-non lo so. Ho paura.
Disse afferrandogli il polso.
-allora addormentati cosi.
Disse abbracciandola.
 
Alle 3 e 38 di notte:
Cassy  si svegliò e non vide Tom.
Si guardò e lo vide sul balcone a fumare.
Si alzò-
Appoggiò la mano sulla sua spalla destra.
-tutto bene?
Lui gli porse la sigaretta e ne fece un tiro generoso.
-sono preoccupato.
-per il lavoro?
-no, per gli incubi.
-voglio dire… te, Destiny, Luke, io… perché?
-anche tu hai fatto gli incubi?
Fece un breve flashback.
-non ci credo. Tu hai rotto lo specchio, hai calciato la sedia e hai urlato per gli incubi. oddio Tom.
Disse abbracciandolo.
Come aveva fatto a lasciar perdere i suoi scazzi pensando che fossero per motivi futili?
I suoi occhi si inumidirono.
Iniziò a vedere appannato e quando chiuse gli occhi le scese una lacrima.
-stai piangendo?
-no.
Mentì.
-non devi piangere.
-ma cosa significano, perché noi?
Disse singhiozzante.
-Cassy…
Disse accarezzandole i capelli.
-dobbiamo essere forti.
Disse Tom stringendola a sé ancora di più.
-non voglio essere forte.
Disse mollando l’ abbraccio.
-ma che stai dicendo?
-sono seria.
Disse asciugandosi le lacrime col polso.
-e invece lo sarai.
Disse prendendola in braccio.
Lei avvolse i suoi fianchi con le gambe e gli cinse il collo con le mani.
Tom le tolse il ciuffo moro dall’ occhio destro mettendolo dietro l’ orecchio e poi la baciò.
 
 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


~~Due mesi dopo:
-Tom, vado da Roxie, okey?
Disse aprendo la porta.
-va bene e quando torni?
-non so. Quando sono sulla via del ritorno ti mando un messaggio. Ricordati di portare Destiny da Giovanni fra 5 minuti.
-va bene.
-ora vado.

Non stava andando da Roxie, ma stava andando dal suo psicologo.
Arrivò.
Si diresse nella solita sala d’ attesa.
Circa 10 minuti dopo venne chiamata, così si alzò e entrò nello studio.
Appoggiò la borsa sul tavolo e si sedette.
Si tolse gli occhiali da sole che lasciarono vedere degli occhi marrone cioccolato truccati con una riga di eyeliner oro e delle ciglia rese lunghe dal mascara.
Come era solito fare dallo psicologo prese un blocchetto, lo aprì e prese una penna.
Dopo di che aspettò che Cassy parlasse.
Lei si legò i capelli in una coda a lato morbida e poi iniziò a narrare.
-sono preoccupata, dottor Coleman, la mia quiete mi sta sfuggendo di mano.
-cosa ti dà questa sensazione?
-intanto non è una sensazione, ma è la verità, sta succedendo
Fece una breve pausa in cui sospirò.
-gli incubi. sono gli incubi che mi fanno sfuggire tutto.
-cosa succede negli incubi?
Gli narrò l’ incubo senza tralasciare alcun dettaglio.
Voleva capire cosa stava succedendo e magari lui aveva la risposta.
lo psicologo lesse tutti i suoi appunti più volte.
-considerando che è un sogno ricorrente e che lo fai da mesi dovresti prendere una medicina per tenerli lontani.
Altre medicine? Ne prendeva lo Lextotan, un calmante.
-mi dica il nome.
Le scrisse il nome si un figlio che poi firmò.
-questa medicina prendila con il calmante… Lextotan che ti ho già prescritto.
-e lei mi assicura che non farò mai più incubi?
-se le prenderai ogni sera accompagnandole con l’ acqua, si.
-okey.
Disse alzandosi.prese velocemente la borsa, gli occhiali e si slegò i capelli.
Uscendo si mise gli occhiali da sole e poi si precipitò a prendere la medicina.

Tornò a casa:
Luke era al piano al superiore probabilmente a giocare con l’ Ipad, invece Tom era in cucina al telefono.
Sentendo la porta aprirsi salutò Cassy alzando leggermente il capo.
Lei appoggiò la borsa e andò verso la dispensa e prese delle patatine.
Due minuti dopo Tom distanziò il cellulare dall’ orecchio e chiuse la chiamata.
-con chi eri al telefono?
Domandò mentre prendeva un piatto in cui versare le patatine.
-con Bill.
Disse grattandosi il la nuca.
-perché ho l’ impressione che mi stai raccontando una storia gonfiata?
-perché dovrei mentirti? In amore non ci si nasconde niente.
Non poteva risparmiarsi quelle parole?
Si che si mente se non vuoi sembrare una psicopatica a cui lo psicologo assegna medicine.
-mi fido allora.
-allora com’ è andata da Roxie?
-bene, bene.
Mentì lei.
-continuiamo a fare incubi.
Disse prendendo un po’ di patatine dal pacchetto.
-già.
Lui sospirò.
-pensi di fare qualcosa?
Domandò lei fissando Tom che teneva lo sguardo basso sul cellulare.
-per ora anche no.
-perché non vuoi fare niente? Io sono stanca di fare quell’ incubo. Mi spaventa a morte ogni volta.
-non voglio fare niente.
Disse lui.
.perché? perché non farai niente?
-perché di no, Cassy.
Disse alterandosi.
Lei si alzò e andò a passo spedito in camera.
-che hai adesso?!
Urlò Tom.
Anche lui adesso le urlava?
Nonostante lo nascondesse le dava fastidio quando le urlavano dietro, si sentiva piccola, non all’ altezza, detto in un modo diverso: odiava quando sentiva che le mettevano i piedi in testa e lei non poteva fare nulla.
Entrò Tom.
-scusa è che questi incubi mi fanno uscire di testa.
Disse sedendosi sul bordo del letto.
-fa niente.
-secondo te dovremmo parlarne con qualcuno.
-cosa intendi con “qualcuno”?
-quelle persone che ti leggono la mente… gli… psi.. ps… non mi viene la parola.
-psicologi? -esatto.
Disse schioccando le dita.
Lei lo faceva già.
-non saprei… forse si, ma anche no. Non lo so.
Disse passandosi una mando tra i capelli.
-ne parlerò con Georg. Lui sicuramente saprà cosa fare. Non che tu non sappia cosa fare.
Disse appoggiando il gomito sulla spalla della ragazza.
-non me la prendo. Non sono così permalosa mio caro. Quando pensi di andare da Georg?
Ci sarebbe andato l’ indomani.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Un mese dopo:
Georg gli aveva consigliato di andare semplicemente in farmacia chiedendo se esistessero dei rimedi agli incubi.
Lui lo fece, ma gli dissero che non ne avevano.

Allo stesso tempo l’ incubo di Cassy si faceva sempre più pauroso.
Non cambiava la “trama”, ma la spaventava sempre di più.
Le medicine avevano fatto effetto per una settimana, ma poi come per magia avevano finito di fare effetto.
Non era una cosa normale, era piuttosto anomala come cosa, per tale motivo stava tornando dallo psicologo.
Era un giovedì.
-allora Roxie ricordati che se torna Tom e io non ci sono non vedi dirgli dove sono. D’accordo? Giura che non cederai.
-ti giuro che non lo farò. Hai la mia parola Cassy.
Lei sorrise e poi uscì.

-le sue medicine non funzionano.
Disse frustata sbattendo il contenitore cilindrico sul tavolo.
Si tolse gli occhiali e lo guardò accigliata.
-può essere che abbia sbagliato, ma è raro che commetta erro…
-ascolti dottor Coleman lei non deve sbagliare.
Fece una pausa.
-ho bisogno di qualcosa di più pesante.
Disse lei accigliata sedendosi a peso morto sulla sedia mentre il dottore leggeva le indicazioni sul contenitore dei medicinali.
Finì di leggere.
-Cassy queste sono giuste, sei sicura di prenderle ogni sera? Dovrebbero fare effetto.
-l’ hanno fatto per una settimana, poi non l’ hanno fatto più. Lei capisce che sono questi incubi mi stanno rovinando? Sono stanca, preoccupata e stressata. Al lavoro non riesco quasi più a concentrarmi e sto iniziando a perdere i colpi. Lei è l’ unica persona che può darmi la cura.
-sai cosa penso?
Disse il dottore togliendosi gli occhiali e appoggiandoli sul tavolo.
-cosa pensa?
Coleman appoggiò i gomiti sul tavolo e distese le braccia sul tavolo.
-penso che sia…

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


nota iniziale:
scusate se sono stata assente, ma ho avuto impegni che mi hanno impedito di postare nuovi capitoli.
siccome scrivo dal cellulare a qua le storie, sul cellulare sono più avanti.
se riesco entro oggi posto un nuovo capitolo o forse 2.
spero di farcela.



 

~~Coleman appoggiò i gomiti sul tavolo e distese le braccia sul tavolo.
-penso che sia il passato che si sta facendo strada dentro di te. L’ hai respinto per tanto tempo e il fatto che non me ne hai mai voluto parlare ne è la prova. Il buio nel sogno potrebbe essere il tuo passato e in più l’ ambientazione riporta ad una scuola, quindi al tuo passato.
Lei rimase scioccata.
Il suo passato non era scuro.
A scuola era una ragazza socievole e piena di amici.
-e questa è la sua conclusione? Cosa centra mio marito? Anche lui fa il mio stesso incubo.
-bhe forse gli hai raccontato il tuo passato e anche lui ne è condizionato.
-non voglio che sia così. Adesso mi prescriva delle medicine più pesanti.
Lui prese un foglio e le prescrisse un’ altra medicina.
-paroxitina.
Pensò un’ attimo.
-ma è un’ antidepressivo.
-ti farà bene.
-ma io non ho bisogno di un antidepressivo.
-l’ antidepressivo scaccerà via per sei mesi i sogni.
-e se così non fosse?
-deve essere cosi, se non sarà cosi vieni immediatamente qua. Prendi la medicina con il calmante, d’accordo?
-va bene, io… grazie.
Disse prendendo la borsa e mettendosi gli occhiali da sole.
Quando fu alla porta si scusò per avergli alzato la voce e poi uscì.

Tornò a casa.
-ti giuro che è andata da Kaila.
-non ti credo.
Appoggiò la borsa ed entrò nella stanza dalla quale provenivano le voci.
-che succede?
Domandò togliendosi gli occhiali da sole.
-Cassy finalmente sei tornata .
Disse Roxie sollevata.
-dov’ eri finita?
-da Kaila. Posso andare dalle mie amiche o no?
Disse con un tono di sfida.
-perché non mi chiamato quando sei uscita.
-perché mi sono dimenticata.
Lui appoggiò la mano sul muro vicino allo stipite della porta.
-non ti credo.
Disse uscendo dalla stanza facendo spostare Cassy.
-ora puoi andare. Grazie per il favore.
Disse andando verso di lei.
-non mi devi niente Cassy. Non disturbarti.
Poco dopo Roxie usci e lei andò in camera.
Sapeva che Tom era li, ma doveva sdraiarsi.
Era stanca.
Entrò e vide Tom ricurvo sul cassetto dove teneva le medicine.
Si pietrificò.
-cosa sono queste?
Disse avvicinandosi alla ragazza tenendo il contenitore in mano.
-niente. Dammele.
Disse afferrandole.
Lui incrociò le braccia sul petto.
-cosa sono Cassy?
-niente.
-dimmi perché cazzo prendi quella roba!
Disse dando un pugno sul muro a pochi centimetri dallo stipite della porta dov’ era appoggiata Cassy.
Lei sobbalzò restando senza parole.
Non riusciva ad aprire la bocca per parlare.
Era scossa dal gesto compiutosi da Tom.
Osservò il muro.
Aveva lasciato le crepe e si vedeva che era opera umano.
-mi dispiace.
Disse vedendola spaventata.
Le diede un bacio in fronte e uscì dalla stanza.
Sapeva perché prendeva le medicine, lo aveva letto sopra, ma non capiva perché nasconderglielo.
Perché non glielo aveva detto? Perché? Bhe non lo capiva.
Lei si riprese piano piano e quando riuscì a muoversi piegò e posò i capi nel cassetto, poi si alzò e mise le medicine sotto al materasso.
In seguito si sedette sul letto a fissare quelle crepe sul muro bianco.
Ebbe un flashback in cui vedeva un armadietto grigio che veniva colpito da una mano chiusa a pugno, poi vide una mano che colpiva un muro color panna con così tanta forza da far oscillare un quadro sulla parete stessa. Quelle immagini si presentavano velocemente e si ripetevano.
Si distese sul letto e si fece piccola piccola piegando le ginocchia e curvando leggermente la schiena.
Entrò Luke.
-che hai mamma?
Lei si raddrizzò e si sedette in una frazione di secondo.
-ehm… ero stanca. Niente di che.
Sapevano entrambi che non era cosi.
Sembrava che avesse appena visto un cadavere, era preoccupata e impaurita eppure cercava di nasconderlo.
-perché stavi litigando con papà?
-non stavamo litigando, stavamo discutendo.
-tutto bene allora.
Disse il bambino sedendosi sul letto.
-benissimo. Alla grande.

Due mesi dopo:
prendeva le medicine alla sera come le aveva detto il dottor Coleman e facevano effetto.
Almeno per un po’ avrebbe smesso di alzarsi con il cuore in gola che gli batteva talmente forte che avrebbe potuto uscirgli da un momento all’ altro.
Quel pomeriggio avevano chiesto a Georg se poteva tenergli a casa sua e lui senza fare una piega aveva accettato.

-Cassy questa mattina ho chiesto ai bambini se fanno sogni strani in modo ricorrente e loro hanno detto di no.
-ah davvero?
-si davvero. Io credo che siano dovuti al passato.
Alè un’ sltro che sosteneva questa cosa.
-perché pensi questo?
-non lo so… sesto senso?
-come vuoi…
-perché prendi quelle medicine?
-cos’ è? Un’ interrogatorio?
-no, stavo solo… chiedendo, tutto qui.
-bene.
Disse appoggiando la schiena sullo schienale della sedia.
-sono calmanti, vero? Perché li prendi? Chi te li ha prescritti? Ne prendi altri?
-io… ehm… non ne voglio parlare.
Disse prendendo una ciocca di capelli e guardandone senza interesse la punta.
-per forza non ne vuoi parlare. Sei rompi quando fai cosi. Ti chiudi a riccio e metti le spine per non far sapere alle persone ciò che provi. Sei troppo orgogliosa per parlarne, vero?
-tu non sai niente.
-lo saprei se mi dicessi che cazzo succede dentro di te! Se prendi quella roba è palese che qualcosa non va!
-non sono sempre stata come ora, d’accordo? Ora abbiamo finito?
Disse alzandosi.
-no, non abbiamo finito.
-e invece si.
Disse dirigendosi in camera.
-scusa allora se mi preoccupo per te!
Urlò Tom facendo stridere la sedia sul pavimento.
Evidentemente si era alzato.
Cassy chiuse la porta.
Si sedette terribilmente e stranamente stanca sul letto e poi frugò sotto al materasso.
Proprio in quel momento però entrò Tom, con l’ intento di fare pace, ma quando vide che stava cercando qualcosa sotto al materasso si precipitò vicino al letto e immobilizzò i polsi della ragazza tenendoli in una mano.
-mi fai male imbecille.
Alzò il materasso ed estrasse 2 flaconi.
Li prese in mano e li gettò sul materasso, le lasciò i polsi e poi si alzò, chiedendole:
-a cosa ti servono?
Lei abbassò lo sguardo.
-allora?
Insisté Tom cercando il suo sguardo, ma invano.
-Cassy.
Lei continuava a non rispondere tenendo lo sguardo sul pavimento.
Lui le afferrò i polsi e con forza, dalla posizione in cui era seduta la fece sdraiare.
-lasciami.
Disse guardando a sinistra, così da non vedere gli occhi di Tom.
-no fino a quando non mi dirai perché prendi quei farmaci.
Le gambe dei due si sfioravano mentre i busti erano separati poiché Tom teneva le braccia muscolose tese.
Lei stette muta.
-dimmi perché!
Lei sussultò, ma replicò:
-smettila di preoccuparti! Sei assillante! Non te ne voglio parlare!
Lui sbuffò allontanandosi da lei.
-perché cazzo fai la stronza?
-hai finito adesso i farmi sentire inutile o vuoi continuare?
Disse cercando di lasciare la stanza, ma Tom le afferrò il polso e la costrinse a girarsi.
-perché le prendi?
Disse con un tono deciso.
-Tom ti prego, non obbligarmi a parlarne, ti prego.
Lui sentendo la voce implorante della ragazza allentò leggermente la presa al polso.
-voglio sapere.
-io… va bene. Siediti.
Disse guardando il letto.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


~~ questo capitolo è un po' corto. ieri non sono riuscita a postare 2 capitoli, scusate :( Quando Tom si accomodò sul letto, lei fece lo stesso.
Fece un respiro.
-io… per un lungo periodo della mia infanzia non mi piacevo e i compagni di classe non mi aiutarmi a convincermi che avrei dovuto piacermi.
Fece una pausa.
-in terza media sono andata in cucina, ho preso un coltello e… e mi sono… non mi piacevo e…
-ti sei fatta male, ho capito.
Una lacrima le scese.
Era difficile parlarne.
Si era tenuta dentro il suo passato per un tempo veramente prolungato, era un peso ma non voleva che le persone sapessero che dietro ad una ragazza sicura e determinata si nascondesse un passato fatto di insicurezza.
-esatto. Ho continuato per un’ anno intero. Mi prendevano in giro costantemente, mi  insultavano e ridevano di me ogni giorno.
Disse con una scorza di amarezza.
-non era affatto divertente. Durante quell’ anno in cui mi tagliavo mi sono detestata, ero depressa,  odiavo guardarmi allo specchio e ogni giorno iniziava in salita. Non ero come mi hai conosciuta.
-non devi continuare se non te la senti.
Disse come se non riuscisse a sentire cose.
Lo disturbava sapere quello che aveva provato.
Essere la vittima e non il bullo era una cosa completamente, due opposti.
-non mi sentivo all’ altezza e giravo a testa bassa. Decisi che al liceo le cose sarebbero cambiate, e così è successo, come sai ero…
-popolare.
-già e facevo tutto ciò che non avevo fatto alle medie, non potevo e non volevo mostrare debolezze. Ho iniziato a credere in me stessa da lì, quello è stato il mio punto di partenza.
Tom la interruppe:
-okey, da qui so tutto.
Ecco, qualcosa gli aveva detto, qualcosa.
-potevi dirmi prima ciò che hai passato.
-ma anche no.
-e le medicine? Che mi dici?
-le medicine…
Disse in un sospiro.
-quelle sono un’ altra cosa.
-ma…
-antidepressione e calmante. Ora ti prego, basta.
Disse ancora lacrimante.
Piangeva.
Piangeva ininterrottamente.
Era stato come riaprire la ferita e stava sanguinando, bruciava, faceva male.
-d’accordo, basta.
Disse stringendola.

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


tre gironi dopo:
Cassy tornò dal dottor Coleman dicendoli che aveva raccontato parte del suo passato.
-cos' hai prvato raccontandolo?
-cos' ho provato...
disse in un sospiro.
-è stato come togliersi un macigno dallo stomaco, ma è stato allo stesso tempo traumatico e difficile parlarne, poichè non ne ho mai parlato a nessuno.
-e gli incubi come vanno?
-non li faccio più, grazie a lei.
-dovere. Dopo i sei mesi prendi 2 pastiglie di antidpressivi. vuoi che te lo scriva?
-proceda.
lo fece.
-hai fatto pregressi Cassy. sono fiero di te.
-grazie.
disse alzandosi e ripiegando il foglio per poi metterlo in una tasca della borsa.
uscì.
quando fu fuori dallo stabile giurò di aver visto una faccia famigliare, ma non essendone sicura non ne diede peso e salì in macchina senza pensarci troppo.
poteva tranquillamente essere solo una senzazione.
-sono a casa!
annunciò chiudendo la porta.
appoggiò la borsa e si tolse gli occhiali da sole.
-stiamo guardando la tv.
lei si incamminò in salotto.
-che guardate?
domandò appoggiano la spalla sull' uscio della porta.
-drop dead diva.
-vi piace?
-si, mamma, lo adoro.
disse Destiny.
-sei tutta tua madre.
affermò Tom.
-è vero. anche io adoro quel programma.
suonarono al campanello.
-chi è' Tom hai ordinato la pizza?
-no che non l' ho ordinata.
-va bene.
disse andando al citafono.
poco dopo fecero la loro comparsa Bill e Georg.
-hey. siamo tutti in salotto. Entrate.
disse chiudendo la pora dopo che furono entrati.
-hey fra!
disse Tom alzandosi per scontrare la mano contro quella di Georg.
-hey Bill.
disse appoggiando il gomito sulla spalla del gemello.
-ciao Tom. i miei nipoti come stanno?
disse abbracciandoli.
-volevamo sapere come state.
sussurrò Georg a Cassy cercando di non farsi notare troppo da Tom.
-diciamo che va.
-andiamo in cucina,dai.
proprose Tom.
i bambini stettero lì.
si sedettero tutti

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