There Are Roads Left In Both Of Our Shoes

di RiceGrain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


~ Prologo ~

~ Prologo ~

 

“Aspettami Marie!” le risatine di mia sorella mi indicavano la via come una scia di campanellini festosi.

Non c’era niente che mi imponesse tutta quella fretta…d’altronde cosa mai sarebbe potuto succedermi nel, seppur immenso, giardino di casa mia?

Eppure non mi sentivo affatto tranquilla. C’era qualcosa che mi inquietava e la parte peggiore era non capire cosa.

Era una bellissima giornata estiva, forse anche troppo calda per i miei gusti e in sottofondo potevo udire chiaramente il gorgoglio refrigerante della fontana che mia madre aveva fatto piazzare nel centro esatto del parco.

Era una sensazione che mi perseguitava da giorni ormai…come di essere perennemente osservata, scrutata, spiata.

Non era affatto piacevole.

“Evelyn corri!” trillò la voce argentina di Marie.

Affrettai il passo, diventando inquieta ogni secondo di più. All’improvviso il folto degli alberi attorno a me cominciò a farsi oppressivo, come se mi trovassi immersa in un labirinto verde scuro.

Percepivo la pressione di quella muraglia che si estendeva dappertutto e nonostante il caldo cominciai ad avvertire i brividi.

C’era decisamente qualcosa di inquietante nell’atmosfera.

D’un tratto mi resi conto che le risatine di mia sorella erano cessate e il mormorio della fontana solo un’eco lontana ed ovattata, come se la percepissi al di là di una stanza dalle pareti spesse.

Fu a quel punto che non mi limitai più a camminare svelta, ma presi a correre furiosamente, la paura che mi riempiva le orecchie e mi spingeva ad andare avanti.

Non avevo il coraggio di guardarmi alle spalle ma avvertivo distintamente la presenza di qualcosa…così forte da trapassarmi da parte a parte.

Qualcuno mi stava inseguendo. Ne ero più che certa.

Impegnata com’ero a correre, e ad uscire da quel labirinto di alberi, non mi accorsi di una radice sporgente e vi inciampai, finendo rovinosamente a terra.

Il cuore mi martellava furiosamente nel petto, rischiando di schizzare fuori da un momento all’altro, e con fatica riuscii a sollevarmi, quel tanto che bastava per rendermi conto che la mia gamba destra perdeva sangue.

La lunga gonna bianca si era strappata in più punti e accanto alla gamba ferita cominciava a macchiarsi di rosso scuro.

In silenzio cominciai a piangere.

“Marie!” presi a gridare, ma quello che mi uscii fu solamente un pallido tentativo disperato.

Riuscivo a stento ad avvertirlo io stessa.

Fu allora che udii distintamente un fruscio dietro di me.

Prima ancora di voltarmi, sapevo di non essere sola.

Lei era lì…statuaria e bellissima. L’incarnazione stessa della perfezione.

I lunghi capelli le scendevano ad accarezzare la schiena come una dolce e sinuosa onda vermiglia, attorcigliandosi in onde setose, il colore della pelle era quello dell’alabastro, e la consistenza sembrava fosse la stessa, e quegli occhi…così purpurei e dardeggianti da apparire come l’anticamera dell’inferno stesso.

“Ti sei fatta male?” la sua voce era un canto di una sirena, incantevole e pericoloso nella stessa misura.

Il mio volto era una maschera di terrore.

Non c’era niente di vagamente umano in quella creatura.

“Lascia che ti aiuti” continuò la sirena.

Ero combattuta…desideravo ardentemente lasciarmi toccare da quelle lunghe dita, diafane ed affusolate, di sentire sulla mia pelle il profumo che ero certa emanasse la creatura, ma allo stesso tempo un moto incontrollato ed indefinito di repulsione mi invadeva le viscere, contraendomi il respiro.

Non ebbi comunque neanche il tempo di pensare che la donna fu china sopra di me, i capelli rossi che le scendevano a coprire il volto perfetto.

 

Profumo di caramello…quella fu l’ultima cosa che avvertii.

 

 

Salve! Questa è la mia prima fanfiction sulla saga di Twilight e se devo essere sincera per adesso è ancora un po’ oscura per me…non so bene dove voglio andare a parare, ma dato che le idee sono tante e tutte spingono per farsi ascoltare, ho dovuto metterle per iscritto :D

Spero vi piaccia…

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Mi svegliai di soprassalto, spalancando gli occhi in preda al terrore e mi drizzai a sedere tra le coperte, lo sguardo vagante

Mi svegliai di soprassalto, spalancando gli occhi in preda al terrore e mi drizzai a sedere tra le coperte, lo sguardo vagante per la camera, sicura di trovarmi nel mezzo di un bosco ombroso.

Ma non c’era. Quello che riuscivo a vedere nell’oscurità della mia tranquilla camera erano soltanto mura, qualche vestito buttato alla rinfusa sul pavimento, e la scrivania col portatile.

Niente di più rassicurante, pensai. Quindi calmati Janine, davvero.

Mi passai una mano tra i capelli e li trovai bagnati di sudore attorno alla fronte.

Onestamente, non poteva continuare ancora per molto quella storia.

“Tesoro, magari ti aiuterebbe parlarne con qualcuno…un esperto forse…” la voce di mia madre era stata incerta quando qualche tempo prima a colazione aveva accennato l’argomento. La notte precedente mi aveva trovata accovacciata sulle mattonelle del bagno che piangevo a dirotto.

Mio padre aveva alzato lo sguardo preoccupato e mi aveva posato una mano calda sul braccio. “Non ci sarebbe niente di male Janine…magari ti aiuterebbe a capire qualcosa in più…”

A quel punto aveva lasciato cadere la conversazione. Sapeva di aver toccato un tasto dolente. Chi fossi io era un mistero per chiunque, compresa me stessa.

Il mio primo ricordo risaliva all’età di 5 anni, ed era il viso di mia madre bello e sorridente che mi guardava e mi prendeva in braccio.

Prima di ciò non c’era niente.

Un po’ troppo recente come primissimo ricordo in assoluto. Voglio dire, non avevo nemmeno flash o sprazzi di ricordi degli anni precedenti. Solo oscurità. Come se fossi stata nascosta nel buio e all’improvviso qualcuno avesse acceso la luce.

Il fatto è che io sono stata adottata e quindi la spiegazione più plausibile era che prima che qualcuno mi portasse all’orfanotrofio di Seattle e i Leaving mi prendessero con sé, io abbia subito una qualche specie di trauma che abbia spento la luce su quella primissima parte della mia vita. L’unica cosa che mi era rimasta erano i sogni. E di quelli ne avrei fatto volentieri a meno.

Non succedevano spesso per fortuna, e nemmeno con una qualche logica. Non c’erano ricorrenze particolari, o stati d’animo ben precisi che mi portavano a farli…semplicemente a volte capitavano.

Non riuscivo a spiegarmi il perché di quei sogni perché apparentemente erano senza motivo. C’era un bosco, o forse un giardino, ed io che mi trovavo a correre per scappare da qualcosa di indefinito e poi c’era lei…

E lì in genere mi svegliavo urlando.

Comunque stavo cominciando a migliorare. Non avevo neanche urlato adesso, limitandomi a squadrare l’oscurità circostante.

C’erano state volte, quando ero piccola, che non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine della donna dai capelli rossi che mi arrivava alle spalle e mia madre doveva tenermi la mano per tutta la notte e accarezzarmi i capelli perché riuscissi a tranquillizzarmi.

Forse è davvero il caso che vada da uno strizzacervelli. Mi alzai dal letto e scesi in cucina a prendere un bicchier d’acqua.

La casa era silenziosa e l’unico rumore che si sentiva era quello della pioggia fine che batteva sui vetri delle finestre. Un rumore in qualche modo confortante, che sapeva di casa.

Arrivai in cucina e preso un bicchiere aprii il rubinetto dell’acqua corrente. Lo sguardo mi cadde su una barretta mangiucchiata di “Caramello”, lo snack preferito di mio padre, che si era dimenticato sul ripiano della cucina. Cercando di non dare peso alla sensazione di nausea alla bocca dello stomaco, presi la barretta e la gettai nel cestino.

L’odore del caramello mi faceva venire da vomitare.

 

***

 

“Non hai fame?” alzai gli occhi dal mio piatto stracolmo e li rivolsi in quelli di Chenille.

Presi a rimestare svogliatamente nel mio purè. “No, oggi non ho appetito”

Il volto di Dan, accanto a me,  si illuminò. “Dai qua!” afferrò il mio piatto e inizio a svuotarne il contenuto nel proprio.

“Sei proprio un animale” esclamò Chenille schifata e io accennai un sorriso.

Quel giorno mi riusciva difficile dimostrare sentimenti allegri.

Credevo di averci fatto la pelle ormai, ma ogni volta che l’incubo tornava a perseguitarmi, passavo una giornata da schifo. Non tanto per il terrore provato durante il sonno, piuttosto per la frustrazione di non capire perché e la consapevolezza di non arrivare mai a scoprirlo.

“Problemi notturni?” mi chiese Libby, guardandomi preoccupata. Come al solito, lei capiva sempre.

Annuii vagamente e ricambiai il suo sguardo.

Nei suoi occhi scuri era evidente la preoccupazione. Cercai di ricambiare con uno sguardo altrettanto lampante, cercando di farle capire che non era importante, ma purtroppo i miei sguardi non sono mai stati troppo ciarlieri.

“Ti va di parlarne?” continuò lei, il cui tono preoccupato era la perfetta eco del suo sguardo.

Corrucciai le sopracciglia per tentare di sminuire la cosa “No, non c’è niente da dire. Solita storia…brutto sogno, risveglio brusco, mal di testa, non ho appetito.”

Capii che Libby non avrebbe lasciato perdere dal modo in cui annuì. Libby non lasciava mai perdere. Rientrava nelle sue mansioni di migliore amica non lasciare mai perdere. L’adoravo per questo, ma alcune volte avrei preferito solo essere lasciata stare.

Questo non potevo certo dirglielo però. Se talvolta mi comportavo da stronza bisbetica, non era certo colpa di Libby, che cercava invece di comportarsi nel miglior modo possibile nei miei confronti.

Quando andavamo alle elementari non era stato facile avere amici per me. Non che avessi qualcosa di strano, o fossi diversa, ma semplicemente gli altri bambini preferivano evitarmi. Solo Libby, aveva iniziato a sedersi vicino a me, a cominciare a chiedermi cose, a prestarmi le penne e fu così tanto ardita da propormi di entrare a far parte della sua societa segreta, che aveva il proprio covo nella soffitta di casa sua.

Anche se adesso non avevamo più 10 anni e le storie di fantasmi avevano perso gran parte del loro fascino, lasciando il posto alle confidenze di due adolescenti, la sua soffitta era ancora il posto dove ci andavamo a nascondere, quando tutto il resto del mondo faceva schifo. Libby è la classica persona che ti fa credere che le favole siano vere.  Era così quando avevamo 10 anni, ed era così quando ne avevamo 17.

Tra le due è sempre stata lei quella astratta, quella che si inventava le storie più fantasiose, io quella con i piedi ben piantati a terra.

“Hey gente…che facciamo questo week-end?” il tono esuberante di Chenille, riportò l’umore della tavolata a un livello accettabile.

Persino io trovai la forza di sorridere con più entusiasmo.

“Cinema?” propose Mark.

“Ah, ma per favore Stone…non riesci proprio a concepire l’idea di divertimento?” Dan gli dette una pacca scherzosa sulla spalla, mentre noi scoppiammo a ridere.

“Gita a LaPush?” fece Libby. Probabilmente non vedeva l’ora di ritrovarsi in riva all’oceano per trovare nuovi spunti appassionanti al romanzo sui pirati che stava scrivendo.

Stavolta fu il turno di Chenille di storcere la bocca.

“No, direi di no Libby…hai visto le previsioni?”

“Sì che le ho viste! Il vento che urla forte, le onde che si infrangono poderose sugli scogli, la pioggia che picchietta la sabbia, il fragore dei tuoni…” a questo punto del suo discorso, Libby aveva gli occhi che brillavano.

“Libby…magari un’altra volta, d’accordo?” Chenille stava già immaginandosi in riva all’oceano in mezzo ad una pioggia torrenziale, i capelli liscissimi in condizioni disastrose.

Improvvisamente, la mia attenzione fu catturata da due ragazze che si sedevano nel tavolo accanto al nostro.

Una era mia compagna di classe a Letteratura Inglese…Jessica Stanley, la tappetta ricciolona e pettegola; l’altra non l’avevo mai vista prima.

“Avete visto? E’ quella Isabella Swan!” Dan indicò con la testa la ragazza sconosciuta. “Era nella mia classe di inglese. Yorkie c’ha pure provato!” e scoppiò a ridere scuotendo la testa “Sfigato…”

“Sinceramente non mi pare un granchè…” commentò Chenille guardandola di sottecchi.

“Tutto questo casino per una normalissima ragazza…voglio dire, sono mesi che non si sente parlare d’altro. Sinceramente mi aspettavo che fosse almeno abbronzata…”

“…o bionda!” si inserì Mark, unendosi alla contemplazione della nuova arrivata.

“Esatto!” Chenille sembrò infervorarsi ancora di più nella sua discussione contro Isabella Swan, incoraggiata dal supporto di Mark.

“Non doveva venire da Phoenix?”

Ascoltai a malapena il resto dei commenti dei miei amici sulla nuova ragazza, lasciandoli come mormorio di sottofondo.

A me onestamente, Isabella Swan piaceva.

Ovviamente non era a proprio agio seduta a tavola con quei sette imbecilli degli amici della Stanley, si capiva lontano un chilometro.

Teneva lo sguardo basso e sorrideva quando qualcuno le rivolgeva la parola, sicuramente per cortesia più che per vero desiderio di sorridere.

Per una cosa dovevo concordare con Chenille…non aveva certo l’aspetto di una della “valle del sole”, con quella pelle color avorio e i capelli lunghi e scuri, ma tutto quell’insieme di cose mi piaceva.

Magari saremmo diventate amiche, chi poteva dirlo.

“Oddio che darei per sapermi muovere come Alice Cullen” esclamò ad un tratto Libby, facendomi distogliere lo sguardo dal tavolo affianco.

“Sembra che balli una musica tutta sua” continuò ed io guardai nella sua direzione, giusto in tempo per scorgere Alice che spariva dalla porta secondaria della mensa.

Libby aveva una teoria su Alice e il resto dei Cullen.

Per lei erano alieni.

In genere scherzavo sopra alle sue teorie fantasiose e sconclusionate. Libby vedeva il mistero e il soprannaturale dappertutto.

Tuttavia, su quella teoria in particolare non riuscivo a fare dell’ironia troppo pesante.

 I Cullen erano davvero strani.

Si erano trasferiti due anni prima dall’Alaska e attorno a loro c’era sempre stato un alone particolare, una sorta di campo magnetico negativo che portava chiunque ad allontanarsi.

Un po’ come ero io da piccola.

“A me non sembra così eccezionale…” Chenille riciclò il commento fatto poco prima su Isabella.

“Chenille, onestamente il tuo parere non conta. Per te non esistono ragazze carine all’infuori di te stessa” mi ritrovai a dire, prima che il mio cervello capisse effettivamente cosa stava facendo.

Subito me ne pentii quando mi accorsi del suo sguardo inceneritore, ma ormai il danno era fatto e comunque a Chenille le arrabbiature passavano presto. Mi avrebbe tenuto il muso forse per tutta l’ora successiva.

Non rimasi sopresa quando Mark e Dan non trovarono niente da obiettare al nostro battibecco.

Era evidente che a loro Alice piaceva, voglio dire…a chi non sarebbe piaciuta la sua bellezza devastante? In ogni caso nessuno di loro aveva mai fatto commenti troppo espliciti su nessuno dei Cullen.

Come se quei cinque non facessero veramente parte della scuola e fossero semplicemente un’entità a se’ stante.

Per nessuno i Cullen erano fonte di battute o scherzi.

Per qualche strana ragione la gente preferiva ignorarli.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


“Credi di poter passare a casa mia dopo scuola

Innanzitutto, scusatemi per l’enorme assenza dalle scene…faccio pena..scusate..è che l’ispirazione mancava, lo studio incombeva e ho lasciato perdere questa storia per un bel po’…ma adesso sono tornata! E stavolta non ci metterò i millenni prima di aggiornare, lo prometto!

Un grazie particolarissimo alla mia unica commentatrice, doddola93! Grazie mille per tutto quello che mi hai detto nel tuo commento, mi hai dato davvero un aiuto a ritrovare l’ispirazione e la voglia di continuare!

 

 

“Vieni da me dopo scuola?”mi chiese Libby non appena prendemmo posto al nostro solito tavolo nel laboratorio di Biologia.

Il chiacchiericcio dei nostri compagni era un mormorio talmente fastidioso per il mio mal di testa incalzante che fui quasi tentata di scappare in corridoio.

“Dio, devono proprio parlare così tanto?” esclamai massaggiandomi le tempie e sbattendo con noncuranza il quaderno sul ripiano del tavolo. ”Comunque non posso venire da te. Vado a Port Angeles con i miei. Sai mia madre quanto tiene alle gite in famglia e via dicendo.”

“Peccato, avremmo potuto goderci il temporale insieme..rovistare fra le vecchie cose della mia bisnonna in soffitta, cose così…”

“Libby, le cose della tua bisnonna le conosciamo a memoria. Ci abbiamo passato 7 anni con i gomiti immersi in quei vecchi bauli, non ne hai ancora abbastanza?”

“Per la verità no, Jan.”

Alzai gli occhi al cielo e iniziai a prendere appunti mentre il signor Banner iniziava la sua spiegazione sull’anatomia cellulare.

 

Era quasi impossibile trovare qualcosa di più noioso della Biologia, eppure esisteva…il signor Banner che la spiega. Quello era il top nella hit parade della Noia Mortale; dopo neanche 10 minuti di spiegazione, e dopo che mi ero persa nei suoi discorsi circa 25 volte, avevo rinunciato a prendere appunti, limitandomi a scarabocchiare cose senza senso ai bordi del quaderno.

Ci misi qualche altro minuto per la verità per rendermi conto che forse del tutto senza senso, quegli scarabocchi non lo erano affatto.

Sollevai la penna dal foglio e sbarrai gli occhi sulla pagina di fronte a me. Una miriade di lettere B, dalle forme più contorte, la ricopriva completamente.

Corrucciai la fronte confusa, forse avevo toccato il punto di non ritorno, mancava davvero poco e mi avrebbero internato.

B? Non conoscevo nemmeno nessuno il cui nome iniziasse per B, e poi…come diamine avevo scritto? Ero sicurissima di non essere capace di scrivere in quel modo così arzigogolato, ricercato…antico era l’aggettivo forse più appropriato.

“Cos’ha Edward?” Libby che mi sussurrava impercettibilmente all’orecchio mi fece distogliere lo sguardo dal quaderno.

Mi voltai due file più indietro e aggrottai le sopracciglia.

Edward Cullen ed Isabella Swan erano compagni di banco, ma lui sembrava tutt’altro che felice in proposito. Stringeva convulsamente il pugno sulla sua gamba sinistra, come se fosse sul punto di esplodere da un momento all’altro.

“Neanche mi ero accorta che la nuova ragazza fosse nella nostra classe. Banner non ce l’ha presentata…” mi limitai a commentare.

“…Dio che faccia che ha Edward…” aggiunsi poi.

“L’avevo detto che sarebbe successo. “ esclamò Libby continuando a sussurrare, nonostante la nota di un’eccitazione palpabile le colorasse la voce. “La sua parte aliena sta prendendo il sopravvento. La copertura sta per saltare Jan, e noi saremo testimoni! Dio, devo prendere appunti!”

“Finiscila stupida” le detti una gomitata e risi sottovoce.

“Non trovi che sia affascinante? Cercare di trattenersi, di contrastare la propria natura per non mettere in pericolo gli altri…”

Ok, Libby era partita.

“Libby, vuoi un consiglio? Metti tutte queste idee per iscritto e mandale al produttore di Roswell. Sai quanto amavo quel telefilm, potresti scrivere un ottimo sequel ed io ti sarei grata per la vita.”

“Non mi prendi sul serio Jan.”

“Ma come potrei?

Libby sbuffò e distolse lo sguardo dai nostri compagni “Banner ci guarda…” e riprese a scrivere.

 

Trascorsi il resto della lezione con la testa completamente sulle nuvole,  quella giornata era cominciata completamente distorta e man mano che andava avanti si faceva sempre più difficile da sopportare.

Ci mancava solo che iniziassi a sentire le voci, e poi tanto valeva che andassi a rinchiudermi in un manicomio con le mie stesse mani.

Mai fui più contenta, perciò, di udire il suono della campanella, che mi fece sbatacchiare il quaderno dentro lo zaino nel più repentino dei modi.

Per fortuna avevo un’ora libera adesso che avrei sicuramente impiegato in

biblioteca per portarmi avanti nella lettura di Dubliners di James Joyce, uno dei miei scrittori preferiti.

Quando richiusi lo zaino e alzai gli occhi per guardarmi attorno, notai che Libby e Mike Newton erano al tavolo di Isabella Swan.

Edward si era volatilizzato, invece.

Chissà perché, la cosa non mi stupì affatto.

 

Oddio, Mike iniziava già con i suoi patetici tentativi da “Sono-un-bravo-ragazzo-di-me-ti-puoi-fidare-non-voglio-portarti-a-letto” per accattivarsi le simpatie della nuova arrivata, e per l’ennesima volta mi chiesi cosa avessero i maschi al posto del cervello da non permettergli di notare che trucchi del genere con ragazze come Isabella Swan erano tutt’altro che vincenti.

“Serve aiuto per trovare la prossima lezione?” gli sentii dire non appena mi avvicinai al gruppetto, e l’espressione che accompagnava tale domanda avrebbe fatto venire la nausea a chiunque.

“Parti già all’attacco Mike?” intervenni io a quel punto, sorridendo leggermente.

“Ciao, sono Janine” aggiunsi poi, tendendo una mano ad Isabella.

“Bella” mi rispose lei, stringendomi la mano e sorridendomi, decisamente sollevata da quell’interruzione.

“Comunque devo andare in palestra, credo di potercela fare”

“Allora facciamo la stessa strada” esclamò Libby, rintrufolandosi nella conversazione.

“Spero per te che ti piaccia la pallavolo”

“Veramente la odio”

“Perfetto, ci intendiamo da subito Bella” continuò Libby sistemandosi gli occhiali sul naso e strizzando gli occhi, un gesto che faceva sempre quando era felice.

A quel punto, Mike ritornò all’attacco “Ci vado anch’io” esclamò al colmo dell’entusiasmo, come se avesse ricevuto la più grande notizia della sua vita.

Da dietro le sue spalle alzai gli occhi al cielo in direzione di Bella e lei scoppiò a ridere di rimando, proprio mentre il diretto interessato si voltava per vedere cosa stava succedendo.

“Allora ci vediamo ragazzi” mi affrettai ad esclamare, e zaino in spalla uscii dall’aula.

 

Il corridoio era semi deserto - immaginai che tutti fossero già alle loro rispettive lezioni - e il troppo silenzio che vi regnava mi stimolava pensieri di cui avrei fatto volentieri a meno.

Chi era B?? Aveva a che fare con i miei sogni ricorrenti? Forse quel passato tanto lontano e dimenticato stava tornando lentamente a farmi visita, in una maniera molto più definitiva stavolta.

Magari stavo iniziando a ricordare.

Sospirai sconsolata, perché non potevo essere una normale diciassettenne con problemi simili a quelli di tutti gli altri? L’acne e i fidanzati sarebbero stati un prezzo da pagare decisamente più accettabile  per gli anni burrascosi dell’adolescenza, rispetto a sogni inquietanti e sprazzi di memorie completamente dimenticate.

“Ciao Janine” mi voltai di scatto al suono di una voce talmente melodiosa, che per un secondo mi domandai se l’avessi udita veramente.

“R…Rosalie” riuscii a balbettare confusa, alla vista della ragazza probabilmente più perfetta su cui avessi mai posato gli occhi.

Da quando Rosalie Hale mi salutava?

Anzi, da quando Rosalie Hale salutava qualcuno che non fosse i suoi fratelli?

“Stai andando a studiare anche tu?” notai che stringeva un libro tra le mani e mi sorrideva amichevolmente.

Credetti di sognare.

Stava davvero sorridendo a me in quel modo così amichevole? La Regina delle Nevi, come era stata simpaticamente ribattezzata da Chenille?

“Beh veramente non proprio…leggo e basta”

“Oh, io devo ripassare Spagnolo”

Mi tenne la porta della biblioteca aperta sempre continuando a sorridere con quella perfetta inclinazione delle labbra carnose che mi stava facendo sentire inadeguata ogni istante di più.

C’era decisamente qualcosa di sbagliato in tutto ciò.

“Possiamo metterci lì” proseguì la mia deliziosa compagna di studio, indicandomi un angolino appartato, con un dito diafano e sottile.

Annuii stupidamente e seguii il suo incedere leggiadro verso il piccolo tavolo di legno scuro.

Se qualcuno dei miei amici mi avesse vista in quel momento, avrebbe stentato a credere ai propri occhi, del resto io stessa ero abbastanza restia a credere che ciò stesse capitando effettivamente a me.

Comunque, decisi di fare finta di niente. Aprii il mio libro e iniziai a leggere, tentando di ignorare l’incombente presenza di Rosalie seduta di fronte a me in un modo che avrebbe fatto invidia  a qualsiasi supermodella.

 

“Beh…” mi schiarii la voce dopo un po’, alzando gli occhi dalle pagine e notando che Rosalie aveva lo sguardo fisso su di me, il libro ancora chiuso.

“Non studi?”

“Già fatto, sono una lettrice veloce.”

“Ah…beh..io non ancora” e indicando con la testa il mio libro, mi reimmersi nella lettura.

Non saprei dire quanto effettivamente passò prima che la sua voce musicale tornasse a farmi distogliere l’attenzione dalle vicende di Eveline e dalla sua decisione di non partire con il suo bel marinaio.

“Non trovi anche tu che questa città faccia pena in quanto a bei ragazzi?”

Alzai di nuovo lo sguardo su di lei, gli occhi color topazio innaturalmente fissi. Per un attimo fui attraversata da un brivido.

“Non saprei, Rosalie. I ragazzi non mi interessano molto.”

Non battè ciglio.

“Poi tu hai Emmett, no? Ti assicuro che la quasi totalità della popolazione femminile di questa scuola ti detesta per questo”.

Le sue labbra scolpite tornarono a sorridere “Già”

Più tempo passava, più mi convincevo dell’assurdità della situazione.

“Hai detto che i ragazzi non ti interessano? Janine non ci credo…ci dovrà pur essere qualcuno”

Sorrisi incredula. Adesso dovevo pure convincere una completa sconosciuta della mia totale indifferenza verso il genere maschile di Forks?

“Ti giuro. Tanto non starò a Forks per sempre. Non ho bisogno di trovarmi un ragazzo.”

Il silenzio caddè nuovamente fra di noi, così ripresi a leggere per l’ennesima volta.

Rosalie non mi interruppe più, e quella quiete improvvisamente innaturale mi fece scivolare lentamente nel sonno.

 

 

“Nooooooooo!” il pavimento di marmo era così duro da farmi sanguinare le ginocchia quando vi scivolai sopra allo stremo delle forze.

 In quel momento non me ne importava niente del dolore fisico, non ora che il vuoto che mi si era aperto nel petto mi stava trascinando verso un abisso dal quale sapevo che difficilmente sarei riemersa.

 

“Nooooo!” aprii gli occhi spaventata e sconvolta, e trovai la faccia preoccupata di Rosalie a un centimetro dalla mia.

“Va tutto bene? Ti sei addormentata e poi hai cominciato a gridare”

Deglutii convulsamente e mi chinai a raccogliere il libro, scivolatomi dalle ginocchia.

“E’ tutto a posto. Ho solo avuto un incubo, mi capita spesso”

Per un attimo credetti di cogliere qualcosa nel suo sguardo di miele, ma l’istante successivo, qualunque cosa fosse era scomparsa.

“E’ meglio che vada” mi alzai e senza aspettare una sua risposta mi precipitai fuori.

 

Ero ancora agitata dalla nitidezza del sogno, stavolta era stato così vivo, reale…e completamente diverso da tutti gli altri.

Non la smettevo di ansimare e mi fermai contro la parete degli armadietti per prendere aria.

Il dolore che avevo provato in quel sogno era stato così intenso che mi fece scoppiare a piangere.

Non avrei mai potuto credere che si potesse provare un’ atrocità simile.

 

Dentro di me, qualcosa cominciò a risvegliarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


“Pen

“Pensavo di essere stata chiara Mark, non ci esco con te!” la particolare tonalità squillante della voce di Chenille mi fece immediatamente riprendere consapevolezza della realtà circostante.

Eravamo ancora a scuola.

Ed io ero ancora seduta sul pavimento con l’aria da disperata…o almeno fu quello che dedussi nel momento stesso in cui mi accorsi della pila di libri che crollava rumorosamente a terra dalle mani della mia amica.

In meno di mezzo secondo percorse il tratto di corridoio che ci separava e si inginocchiò proprio di fronte a me.

“Oh mio Dio, Janine!”

La preoccupazione era lampante nei suoi occhioni blu e gliene fui sinceramente grata.

Chenille poteva apparire come la tipica ochetta da concorso di bellezza, destinata ad una vita scialba di commessa nel centro commerciale cittadino, la verità era che nessuno si prendeva mai la briga di andare oltre con lei ed il suo punto di forza, d’altronde, stava proprio nel fregarsene.

“Sto bene” farfugliai in qualche modo, tentando di riprendere il controllo sulle mie facoltà psicofisiche.

“Non fare la sciocca” continuò lei, quasi intenerita dai miei eroici tentativi di mostrare una forza che palesemente non possedevo.

Mi strinse forte, finchè ogni singola nota fruttata del suo shampoo al melone non ebbe invaso le mie vie respiratorie e poi si tirò su, trascinandomi con sé.

“Sta bene ragazzi, sta bene” esclamò rivolta a Mark e Dan che nel frattempo avevano fatto capannello accanto a noi.

“Un brutto voto in Biologia, tutto qui. Sua madre la ucciderà probabilmente”.

Annuii, asciugandomi alla meno peggio le lacrime impiastricciate di mascara dal viso.

Non volevo sapere che aspetto avessi.

“Andiamo, ti porto a casa” mi sussurrò ad un orecchio, ed insieme ci avviammo verso l’uscita.

 

                                                           *

 

 

“Grazie di tutto Chenille” sorrisi alla mia amica mentre si rimetteva il cappotto, rimirandosi di fronte allo specchio di camera mia.

“Ti pare, spero solo che tu stia meglio adesso”

Stavo meglio, decisamente.

Un pomeriggio trascorso fra tazze di camomilla, pasticcini al pistacchio e una quantità clamorosamente industriale di riviste per teenagers in piena crisi ormonale, aveva sortito l’effetto desiderato.

I brutti pensieri, l’angoscia, l’inquietudine si erano calmanti, nonostante riuscissi a percepire fin troppo bene la temporaneità della situazione.

“Comunque dovresti fare come dicono i tuoi…vai da uno strizzacervelli, potrebbe aiutarti sul serio”

Non sapevo cosa risponderle onestamente e mi limitai a fissare l’oscurità fuori dalla finestra.

Probabilmente aveva ragione, probabilmente quella era l’unica cosa da fare anche se mi costava moltissimo ammetterlo.

Alla fine annuii, ma più che altro per chiudere lì quella conversazione e tentai un rapido sorriso.

“Ci vediamo domani a scuola”

“D’accordo”

Prese la borsa a tracolla e scomparve dalla porta.

 

Una volta sola, il panico cominciò ad impossessarsi gradualmente di me. Lo avvertivo a lievi ondate, come la spuma marina che si infrangeva sullo scoglio della mia anima.

Prima o poi l’avrebbe erosa.

“No!” mi imposi mentalmente.

Non succederà, stai tranquilla.

Ero letteralmente terrorizzata dall’idea di addormentarmi e di finire intrappolata in un altro dei miei incubi, avevo come la chiara sensazione che non ne sarei uscita troppo bene stavolta…ero ancora troppo scossa da quello che avevo avuto quel pomeriggio a scuola.

Accesi lo stereo ma scoprii ben presto che la musica invece di calmarmi mi innervosiva ancora di più.

Con un gesto stizzito lo spensi e mi alzai dal letto, decisa a farmi una cioccolata calda da bere di fronte alla Tv.

Purtroppo i miei avevano deciso comunque di andare a Port Angeles, mio padre aveva un importante colloquio di lavoro, ed anche se avevano insistito tantissimo per restare con me, li avevo convinti che davvero stavo bene e che non avrei avuto nessun bisogno urgente, me la sarei cavata…in fondo si trattava solo di uno stupidissimo sogno.

Adesso però cominciavo a rimpiangere le mie parole. L’idea di essere completamente da sola nella mia grande casa, piena di angoli bui, stanze vuote non mi era di molto aiuto.

Se qualcuno fosse entrato di nascosto, nessuno se ne sarebbe accorto, dal momento che non avevamo vicini di casa.

Mi avrebbero potuto seppellire nel bosco dietro il giardino con una facilità disarmante.

Ok, adesso finiscila Janine! Nessuno vuole ucciderti.

Il rumore della fiamma sotto al pentolino e il brusio della Tv accesa mi calmarono un poco, anche se non di tantissimo.

Forse avrei dovuto chiamare Libby.

Presi in mano la cornetta del telefono, e dopo qualche secondo la misi a posto.

Non potevo chiamarla adesso, non potevo proprio.

Avevo come la netta sensazione di dovermi tenere libera, di non poter avere altre occupazioni in quel momento, avevo come la netta sensazione di aspettare qualcuno.

 

Quando il campanello suonò repentino perciò, feci un salto assurdo.

Il cuore mi schizzò dritto in gola e tornò al suo posto nella cassa toracica in meno di una frazione di secondo.

Cercai di controllare la respirazione e preso il coraggio a due mani andai ad aprire.

Probabilmente erano i miei di ritorno da Port Angeles, si erano sicuramente scordati le chiavi di casa.

Fuori il temporale imperversava violento e brutale; quella che era una normalissima pioggia pomeridiana si era trasformata in un diluvio di dimensioni considerevoli, fu per quel motivo che dapprima non vidi chi mi stava di fronte, quell’oscurità bagnata si era inghiottita tutto.

Poi però un lampo luminoso e frastornante illuminò il bosco circostante, rendendo tutto più chiaro…ed allora lo vidi.

 

Mai, nemmeno nei miei sogni più sfrenati ero riuscita ad immaginare tanta perfezione; era semplicemente impossibile per un cervello umano concepirla…per questo quel ragazzo che mi stava di fronte, bagnato da capo a piedi, doveva appartenere per forza a qualche mondo sconosciuto.

Nel mio, creature di tale bellezza, non potevano esistere.

“Posso entrare?” mi chiese, mostrando una fila di denti bianchissimi.

Un altro lampo illuminò l’oscurità dipingendo sul suo volto alabastrino ombre inquietanti e il fragore del tuono che seguì mi scosse portandomi alla consapevolezza di non aver aspettato altro che lui.

 

Ebbene, eccoci qui con un altro capitolo :D Ci tengo a ringraziare enormemente la Dod per le cose meravigliose che mi dice sempre…tu lo sai quanto siano importanti le recensioni per chi scrive, quindi puoi capire l’effetto che mi fanno le tue, ogni volta mi riempi il cuore di felicità…sapere che quello che scrivo, nel quale metto gran parte di me stessa, piaccia così tanto a qualcuno…è semplicemente fantastico.

Ahahaha hai ragione per adesso corre parallela a quella dei nostri cari vampiretti, ma poi..chissà XD

Non ti preoccupare, adesso che aggiorno ti mando subito una mail!

Mi sa che ancora con questo capitolo non ho soddisfatto la tua curiosità..ma presto si scoprirà :D

Nel frattempo ti ringrazio ancora per tutto, dal profondo del cuore.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Non so dire esattamente quanti minuti effettivamente trascorsero prima che mi facessi da parte e lasciassi entrare quella sple

Non so dire esattamente quanti minuti effettivamente trascorsero prima che mi facessi da parte e lasciassi entrare quella splendida creatura nel mio ingresso, il quale adesso mi pareva più scialbo che mai confrontato allo splendore allucinante di quel ragazzo.

Mi sarei quasi aspettata di vedermi crollare sul pavimento dalla tensione, tanto i miei nervi erano tirati a quel punto mentre il mio sguardo si prendeva la libertà di girovagare su di lui e di assaporare ogni più piccola sfumatura di quel viso d’angelo d’altri tempi.

“Forse vuoi chiudere la porta?” mi fece notare ad un tratto, parlando con una melodia tale nel tono della voce da indurmi a credere di essere finita direttamente in paradiso e di stare parlando con uno dei suoi messaggeri angelici.

Io rimasi semplicemente pietrificata a fissarlo ancora e fu a quel punto credo che capì la portata dell’effetto che aveva prodotto su me, perché sorridendomi si affrettò a chiuderla lui la porta, prima di ritornare a guardarmi con un calore insolito in quegli occhi dorati.

“Io…ti conosco?” farfugliai finalmente, sostenendo a malapena il suo sguardo. C’era un non so che di familiare in lui. Come se qualcosa fosse finalmente tornata al suo posto semplicemente guardandolo.

Rimase per un poco in silenzio, soppesando le mie parole e poi finalmente sorrise e scosse la testa “No, non mi conosci. Sono nuovo in città.” Si passò una mano fra i capelli fradici d’acqua “Mi si è fermata la macchina proprio qui davanti e speravo di poter usare il telefono…posso?”

Di nuovo un brivido solo a fissarlo.

“Sì..certo che puoi” con non so bene quale parte di me stessa riuscii a fargli strada verso il salotto e a indicargli il telefono, poi mi dileguai in cucina.

 

Dire che il mio cervello fosse in tilt in quei momenti sarebbe proprio minimizzare la cosa perché mi ritrovai ben presto ad aprire e chiudere i cassetti senza un obiettivo preciso, a controllare la dispensa almeno 3 volte e ad accendere per poi rispegnere subito la tv senza nessun motivo apparente.

In poche parole sragionavo.

“Ok, allora passa a prendermi mio zio. È un problema se lo aspetto qui?”

Al suono della sua voce accanto a me, saltai in aria dallo spavento e mi voltai a guardarlo terrorizzata.

“Scusa, non volevo spaventarti.”

“No figurati” farfugliai io, tentando di riprendere a respirare normalmente. “Tuo zio hai detto?” mi voltai a guardarlo e provai una fitta allo stomaco.

Dio se era bello.

“Sì, non abita proprio qui in città. Forse lo conosci, è il Dr. Cullen”

Ma come avevo fatto a non pensarci prima? Naturale che fosse uno dei Cullen. La bellezza devastante era come un marchio di fabbrica per quella famiglia.

“Sì certo che lo conosco. Tu sei imparentato proprio con lui? Perché voglio dire, sì insomma…Emmett, Edward e gli altri…loro non sono davvero figli…” mi bloccai prima che la situazione potesse diventare ancora più imbarazzante.

Ma che cosa stavo dicendo? Grandioso Janine. Mettersi a parlare dei problemi di famiglia di un perfetto sconosciuto, davvero non potresti fare di meglio.

Fortunatamente il ragazzo sorrise e impercettibilmente si avvicinò.

“Sì è davvero mio zio. Fratello di mio padre per l’esattezza. Anche se i miei sono morti…beh un po’ di tempo fa ormai…” vagò un attimo con lo sguardo in cerca di chissà quale memoria lontana. “Quando stai troppo tempo da solo, puoi iniziare a stancarti e così eccomi qui. Voglio dire, qui a Forks. Certo non prevedevo che la mia macchina si mettesse a fare i capricci.”

Annuii, sono sicura come la più idiota delle idiote, a quel punto avrebbe benissimo potuto parlare di cose senza senso che avrei annuito lo stesso, e lui tentò un’altra volta di avvicinarsi.

“A proposito, non mi sono neanche presentato.”

Sorridendo, mi tese la mano. “Benjamin Cullen.”

Quasi non caddi a terra morta quando le nostre mani entrarono a contatto. Non c’era niente, niente di normale in quella stretta. Era forte, decisa ma soprattutto fredda come la neve, anzi molto di più. Esattamente come se avessi infilato la mano dentro al freezer.

Ma non era solo questo.

C’era anche un calore strano che ero sicura si fosse sprigionato nel momento stesso in cui la nostra pelle si era toccata. Un’energia forse. O qualcosa di infinitamente più complicato.

Ero sicura che anche lui avesse provato le stesse sensazioni, ma nonostante questo, quando alzai lo sguardo lo trovai a fissarmi come se niente fosse successo.

“Non vuoi dirmi il tuo?” esclamò invece, con un tono canzonatorio.

Solo allora mi resi conto di essere rimasta a guardarlo sbigottita per tutto il tempo della presentazione.

“Janine Leaving” balbettai e poi tolsi velocemente la mano dalla sua e la infilai in tasca, come se volessi cancellare quello che era appena successo, come se la scarica di adrenalina che avevo provato fosse sbagliata, o comunque impossibile e volessi semplicemente dimenticarla.

Forse non potevo semplicemente credere a quello che ogni singola parte di me stessa mi stava gridando di credere.

Quel ragazzo non era umano.

E ad una come me, abituata a stare con i piedi per terra, credere a spettri e cose simili non era consentito.

“Credo che mio zio sia arrivato” esclamò poi, nonostante nessuno avesse suonato il campanello.

Non feci neanche in tempo a stupirmi dell’assurdità di quell’affermazione, che davvero suonarono alla porta e a quel punto avevo letteralmente esaurito la mia scorta di incredulità che non riuscii nemmeno a scandalizzarmi più di tanto.

Andai ad aprire credendo di trovarmi in un sogno impazzito e salutai il Dr. Cullen, alla meno peggio, cercando quantomeno di formulare una frase corretta.

Aveva smesso di piovere, notai.

Brava, focalizzati sulle cose normali, ti aiuterà a non impazzire.

“Salve Janine. Credo che mio nipote sia qui.”

“Zio” lo salutò una voce alle mie spalle e voltandomi feci giusto in tempo a scorgere la sfumatura di qualcosa sul volto glaciale di Benjamin.

Come una sorta di messaggio nascosto trasmesso allo zio nel giro di un nanosecondo.

Volevo rinunciare a capire i Cullen, ma per qualche strana ragione sembrava che ciò mi fosse impossibile.

“Scusa per il disturbo Janine. Manderò qualcuno a portare via la macchina dal tuo vialetto.”

“Non preoccuparti”

“Allora ci vediamo”

Annuii e chiusi la porta dietro di loro.

Volevo solo addormentarmi e far cessare quella pazzia per sempre. Sogno, realtà, era come se tutto si fosse mescolato e non ci fosse più niente di vero, di autentico, nessuna certezza.

Ripensandoci, neanche io ero una certezza dal momento che neanche sapevo chi fossero i miei veri genitori, la mia vera identità.

 

Onestamente, come si faceva a restare sani mentalmente con un contorno del genere?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


“Allora, dormito bene

“Allora, dormito bene?” mi accolse la voce di Libby nell’abitacolo caldo e confortante della sua Polo arancione.

Ci doveva essere sicuramente del sarcasmo nella sua voce, se aveva notato le occhiaie scure che mi solcavano le guance neanche le avessi scolpite col martello, ma ero troppo stanca per ribattere qualsiasi cosa.

Mi chiusi lo sportello e mi accomodai sul sedile, sospirando rumorosamente.

“Se il buongiorno si vede dal mattino…” continuò lei, prima di inserire la marcia e di partire.

Onestamente, avevo dormito da schifo.

Anzi, non si può proprio dire che avessi dormito perché non l’avevo fatto. Ero stata tutta la notte a rigirarmi fra le coperte in pena, con un’unica immagine in testa…quella di Benjamin.

Non c’era stato verso che riuscissi a pensare ad altro, solo lui e le sensazioni irragionevolmente intense che avevo provato in quei pochi minuti che eravamo stati insieme.

Quando i miei erano rientrati, dopo solo un’oretta, li avevo salutati e molto candidamente avevo comunicato che non avrei cenato e sarei andata dritta a letto.

Beh a letto c’ero andata, che avessi dormito era tutta un’altra storia.

Fortunatamente Libby non era in vena di molte chiacchiere quella mattina e così potei passare i minuti del tragitto in macchina per arrovellarmi ancora un altro po’ il cervello su Benjamin.

Già, come se servisse.

Quel ragazzo era un autentico mistero. Di certo se ne avessi parlato a Libby sarebbe partita in quarta con le sue elucubrazioni e teorie una più inverosimile dell’altra su come arrivasse da un altro pianeta, o magari addirittura da un’altra epoca e avesse scoperto per caso un buco temporale e come io avrei finito per andare a vivere insieme a lui nel XVII secolo.

Ok, forse questa è la trama di Kate & Leopold…comunque ero certa che Libby non se ne sarebbe distaccata poi molto.

Arrivammo a scuola e Libby posteggiò al solito posto all’angolo, volgendomi uno sguardo strambo prima di scendere dalla macchina.

“Lo sai vero che quando vorrai parlarmene io ti ascolterò”

“Certo che lo so. Ma davvero, non c’è niente di cui parlare…solite cose. Mi annoio da sola”

“Jan stai bene? I tuoi hanno deciso di lasciarti sopravvivere dopotutto?” Dan si avvicinò a noi non appena mettemmo piede a terra.

“Sì, hanno pensato che magari gli servisse ancora una babysitter per il nascituro” scherzai io.

“Meglio così, mi sarebbe dispiaciuto non averti più attorno mostricciatolo” fece Mark scompigliandomi affettuosamente la treccia che mi ero fatta quella mattina, già penosa di per sé.

“Ti ringrazio Mark.” Sospirai, disfacendola del tutto e sciogliendo i capelli.

“C’ho messo un’eternità stamani a fare questo capolavoro di treccia che tu hai provveduto ad abbattere nel giro di un secondo”

Ridacchiò e mi passò un braccio attorno alle spalle “Lo sai che ti preferisco con i capelli al vento”

“Cosa?” scoppiai a ridere “E Chenille? Non pensi a lei? Le si spezzerà il cuore quando saprà che mi corteggi.

“Ah, possiamo sempre tenere le cose nascoste, no?” e mi fece l’occhiolino.

“Sei un caso perso Stone, sappilo.”

Ci avviammo tutti insieme verso l’ingresso della scuola e venimmo raggiunti a metà strada da Chenille che quella mattina si era fatta accompagnare dal padre.

Le sorrisi non appena si avvicinò e lei fece lo stesso, prima di lanciarsi in un dettagliatissimo racconto di quello che le era capitato la sera prima, ovvero il ragazzo di sua sorella aveva provato a baciarla nel retroscala e, disgrazia delle disgrazie, lei c’era stata.

“Onestamente..c’è qualcuno che può biasimarmi? Lo sapete tutti che ho una cotta per Trev da quando…”

“…a 5 anni ti tirò i capelli mentre giocavate a nascondino.” Finimmo io e Libby all’unisono, alzando gli occhi al cielo.

“Esatto! Non è colpa mia se Pat si è messa in mezzo portandomelo via. Io ero ancora troppo piccola. Ma adesso è diverso. Adesso finalmente lui si è reso conto che quello che c’è fra noi è innegabile…”

Bla, bla, bla.

Nessuno ovviamente la stava ascoltando più.

Chenille era capace di condurre dei monologhi allucinanti, nei quali si faceva domande e si dava risposte da sola, per ore e ore senza accorgersi che tutti quanti attorno a lei si erano dileguati.

Ormai c’era abituata e non se la prendeva nemmeno più e dato che lei era la classica persona che se la prendeva per tutto, questo dovrebbe darvi un’idea su quanto ormai tutti quanti, lei compresa, fossimo abituati a quelle sue filippiche senza fine.

“Guardate c’è la Swan” esclamò Dan, quando incrociammo Bella che si allontanava dal suo pick-up rosso fuoco.

“Oddio, ma con che cosa viene a scuola?” Chenille non era riuscita a contenere il suo disgusto alla vista del mezzo di trasporto di Bella.

“Oh finiscila Nille, a me piace” fece Libby prima di salutare la ragazza.

 

“Oh ciao…Libby” disse Bella, dopo un attimo di smarrimento negli occhi castani.

“Pronta per pallavolo? Oggi mi sa che ti toccherà giocare” continuò Libby sorridendole.

“Non dirmelo..ho avuto gli incubi per tutta la notte al pensiero”

Poi si accorse di me e mi sorrise. “Ciao Bella” feci io, passando poi a presentarle il resto della nostra allegra combriccola.

Mi sembrava un tantino più a suo agio rispetto al giorno prima ma era innegabile che qualcosa la turbasse.

Glielo leggevo nello sguardo, sfuggente e intimorito come alla costante ricerca di qualcosa che tuttavia sperava di non trovare.

Oh, al diavolo avevo già abbastanza problemi per me, non potevo mettermi ad analizzare pure quelli di Bella, altrimenti sarei impazzita.

 

Il resto della giornata passò abbastanza tranquillamente. Nessun mal di testa per fortuna e riuscii anche a divertirmi un po’ quando a Letteratura Inglese Matt Kingston iniziò a recitare l’Amleto in un modo così accorato che fece quasi commuovere il professor Mason.

A mensa poi ci sedemmo accanto a Jessica, Mike, Bella ed altri, ma lo facemmo più per non lasciare sola Bella in mezzo a quella massa di minorati mentali, che per vera volontà di condividere il pranzo con la gang della Stanley.

Cercai di essere quantomeno disponibile a chiacchierare con tutti, anche se con soggetti come Lauren Mallory seduta di fianco vi assicuro che l’impresa era ardua.

In più mi resi fastidiosamente conto che non facevo altro che voltarmi saltuarimente verso il tavolo dei Cullen.

Era più forte di me, non riuscivo a smetterla.

Il bello era che non riuscivo nemmeno a capire perché.

Ammetto che c’era una piccolissima parte che si domandava se Benjamin sarebbe stato presente, ed un’altra altrettanto minuscola che sperava di trovarlo lì, sorridente e bellissimo, in mezzo ai suoi cugini, ma in teoria una volta appurato che non era quello il caso, avrei dovuto smetterla di guardarli e concentrarmi sulle chiacchiere inutili dei miei compagni.

Invece no, non smettevo di guardarli, cercando chissà quale risposta a non so bene quale domanda, celata nella perfezione dei loro volti.

Cosa ancora più strana, notai che anche Bella si era voltata a guardarli, ed in qualche modo il suo volto si era incupito ancora di più.

Ad un tratto, i nostri sguardi che ritornavano frettolosamente sulla tavolata si incrociarono e come se fossimo entrambe state scoperte sul luogo di un misfatto ci sorridemmo a malapena, quasi vergognandoci a vicenda.

“…e così ho finito per mandarlo a quel paese” udii le ultime parole strascicate di qualcosa che aveva detto Lauren e che aveva provocato l’ilarità di Chenille e cercai di tornare a fare la persona normale.

Magari se mi impegnavo ci sarei riuscita.

Bella sembrò dello stesso avviso perché non si voltò più verso il tavolo dei Cullen, ma l’espressione che troneggiava sul suo volto candido era quella di un condannato alla forca, e non esagero davvero.

“Ok, sarà il caso di andare a Biologia” esclamò Libby, mettendo via la sua copia di A Midsummer Night’s Dream ed alzandosi dalla sedia.

Io la imitai, felice di aver trovato una via di fuga a quella tortura e dopo pochi istanti anche Mike e Bella fecero lo stesso.

“Che bello di nuovo Biologia” esclamò il nostro simpaticissimo compagno mentre ci incamminavamo nel corridoio pieno di studenti.

Era incredibile come non si separasse un istante che fosse uno dal fianco di Bella, neanche fosse la sua guardia del corpo.

Riuscivo a percepire l’irritazione di lei in maniera allarmante e non riuscivo a capire come facesse lui a non accorgersene.

Quando fummo sulla soglia della porta mi resi conto che l’agitazione di Bella si acuì in modo particolare, per poi svanire l’istante successivo, non appena mettemmo piede nell’aula.

Giurai a me stessa che c’avrei visto chiaro in quella storia, e ne avrei ovviamente messo a parte anche Libby. Non c’era nessuno migliore di lei nello scoprire misteri e strani segreti.

Comunque entrammo nell’aula e prima di dirigerci al nostro banco, io e Libby rimanemmo a chiacchierare un po’ con Bella al suo tavolo, dove fortunatamente per lei, considerando come si era comportato Edward il giorno prima, era sola.

Era inutile sperare che Mike ci avrebbe un po’ lasciato stare, andando a farsi i cavoli suoi, perché naturalmente rimase come uno stoccafisso a gravitarci intorno e a tentare di convincere Bella ad unirsi a noi alla gita a LaPush.

“Ma chi l’ha invitato Newton, scusa?” bisbigliai nell’orecchio di Libby quando suonò la campanella e ci andammo a sedere alla nostra postazione.

“Ne abbiamo parlato prima a mensa, Jan. Ne abbiamo parlato per l’intera durata del pranzo. Dan ti ha anche chiesto se potevi chiedere a tua madre di preparare i sandwich alla Leaving e tu hai annuito e detto che avresti riferito” mi rispose lei, guardandomi davvero come se fossi appena scesa da una navicella spaziale.

“Davvero?”

“Ma dove sei con la testa Janine Leaving? E soprattutto…perché non vuoi parlarmene?” lessi dispiacere negli occhioni neri di Libby e mi sentii immediatamente in colpa.

“Scusa Libby. Non so cosa mi stia prendendo in questi giorni. Oggi ci vediamo, ti va? Così ti spiego tutto…”

Lei annuì, leggermente più sollevata ma non risollevò più la questione per colpa di Banner e della sua interessantissima lezione sulla seconda parte dell’anatomia cellulare.

 

Quando uscii da scuola, due ore più tardi mi sentivo determinata a non lasciarmi abbattere da stupide sensazioni senza senso. Non potevo trascorrere il resto della mia adolescenza in questo stato di perenne ansia e timore di un qualcosa di non identificato. Non era giusto. Soprattutto nei confronti dei miei amici, che non ne potevano più di trovarsi di fronte una pazza visionaria anche abbastanza antipatica.

Anzi, soprattutto per me stessa, perché ero davvero stanca di seguire un tracciato così sottile ed incomprensibile, perso in chissà quale anfratto della mia memoria, del quale molto probabilmene non sarei mai venuta accapo.

Non so cosa fu a darmi quella determinazione, se fu dovuto alla lezione di educazione civica, o alle battute idiote di Mark che mi erano costate ben due richiami da parte del professore per via del tono delle mie risate, o forse a qualche molla che era scattata nel labirinto del mio cervello senza senso.

In ogni caso, quando uscii da scuola quel giorno e mi misi ad aspettare Libby appoggiata alla sua Polo, mi sentivo davvero diversa. Mi sentivo normale.

La cosa tragica o comica, dipende da che punto di vista la si vuole vedere, è che quella meravigliosa sensazione durò per circa 5 minuti scarsi.

Sì perché poi nel mio campo visivo Benjamin Cullen fece la sua comparsa e tutti i miei buoni propositi andarono allegramente a farsi fottere.

 

Ed eccomi di nuovo ad aggiornare!

Non so onestamente cosa sia successo che mi abbia fatto aggiornare così in fretta O.O però è successo ahuahauah..non so se ne siate contenti o meno di questo…probabilmente dopo questo schifo magistrale opterei per la seconda opzione, comunque eccoci qua :D

Un grazie infinito a tutti quanti leggono questa storia, l’hanno inserita tra i preferiti ed un grazie enorme va alla mia Dod!

Anche tu mi mancavi tanto tesoro! Spero che ti sia piaciuto anche questo di capitolo, anche se non è successo molto…ma è di transizione, diciamo così :D

Ti adoro sempre di più per tutte le meraviglie che mi dici, le quali sono una forte motivazione a scrivere (:

Alla prossima :*

 

 

 

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