A Disaster.

di louissmile_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO QUATTRO ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


A walking disaster.
 
Capitolo uno:
Le strade di Londra riuscivano a essere sempre trafficate, nonostante fossero le undici di sera. Lavorare in un pub, non era di certo uno dei lavori che mi ero prefissata d piccola. Odiavo tutto di quel posto: quelle luci a intermittenza, quella musica troppo forte, l’odore nauseante degli alcolici e quelli che ci provano con le bariste.
L’aria era più gelida rispetto alle altre sere, le vie meno illuminate del solito e c’erano anche gli ubriaconi di turno. Sembrava strano ma la fila al music bar era più lunga del solito. Sorpassai tutti per poi entrare, ma una mano mi bloccò.
- Scusa, ma chi ti credi di essere? Fai la fila come gli altri. - disse il ragazzo di fronte a me. Era alto, molto alto, i capelli biondi e gli occhi di un azzurro quasi ipnotizzante, sembrava strano ma lui non era il tipo da lavorare in un pub.
-Lavoro qui. - sbottai cercando di passare.
-Si come loro, vero?- disse indicando un gruppo in disparte.
-Eveline, quando hai intenzione di entrare?- emerse Chuck, visibilmente instabile.
-Ah ma lavora qui?- chiese il ragazzo in imbarazzo.
-Si James, lei lavora qui. Eveline, James. James, Eveline. - Disse Chuck.
James mi porse la mano, sfoggiando un sorriso a dir poco mozzafiato.
-Scusa non lo sapevo. - si scusò.
-Beh ho cercato di fartelo capire parecchie volte. - risposi – adesso scusa, ma anch’io ho un lavoro.- dissi spingendolo per la spalla ed entrando.
***
 Caro diario.
Domani sarà il mio primo giorno di scuola. Precisiamo, nella nuova scuola. Sarà il mio ultimo anno.
Non conosco nessuno, ma conoscendomi non credo che farò amicizia molto facilmente.
Ho passato tutta l’estate a fantasticare su come sarebbe stato il mio ingresso, semplicemente pensavo che ogni giorno sarebbe stato come l’ultimo.
Non sono per niente agitata.
La realtà è che me la sto facendo sotto.
Catherine.
La scuola non aveva niente di diverso dalla mia vecchia scuola: i soliti parcheggi pieni, le squadre di football e le solite ragazza pompon.
Mi sarei ambientata come se niente fosse.
Errato.
Appena entrai, ebbi tutti gli occhi puntati addosso, questo era alquanto imbarazzante.
Trovai l’armadietto, dopo che i corridoi si svuotarono e la classe dopo esserci passata davanti almeno dieci volte. Quando entrai, ero molto imbarazzata e disorientata.
-Lei sarebbe?- mi chiese l’insegnate.
- Catherine.- risposi guardando prima la classe e poi le mie scarpe.
-Signorina Catherine, ci darebbe l’onore di dirci il suo cognome?- mi domandò.
- Catherine McGuire.-
-Signorina McGuire, occupi posto.- rispose.
Mi squadrarono tutti dalla testa ai piedi, ed era uno di quei momenti in cui volevo semplicemente sparire nel nulla.
-Scusi ma, dove mi devo sedere?- domandai.
Tutta la classe iniziò a ridere di me.
-Accanto a Simpson.- rispose senza badarmi di uno sguardo.
Un ragazzo alzò la mano sibilando un lieve “sono io”. Mi sedetti accanto a “Simpson”, il quale sfoderò un sorriso a trentadue denti.
-Bene ragazzi, fra tre settimane ci sarà il test di francese, spero che per lei signorina McGuire non sia un problema.- disse abbassandosi gli occhiali per osservare la mia reazione.
-No nessun problema.- risposi accennando un sorriso.
No, infatti, che problema c’era.
Ah si non so una parola di francese.
***
“- Ti prego George smettila, mi fai male. - urlai.
-Su piccolina stai, ferma. - sbraito verso di me. Cercai di scappare ma invano, io sarò pure piccola e veloce ma lui è così grande e forte.”
Mi svegliai, con la fronte madida di sudore. L’ennesimo incubo, sempre il solito che da anni ormai non mi abbandonava più.
Iniziare l’università per me, era un grandissimo traguardo. Significava non essere come George, significava non fare gli stessi errori di mio padre.
La West Hide University, era proprio come me l’aspettavo; le confraternite, i parcheggi sempre pieni e le file alla mensa, tutto sarebbe stato come quei film, che hanno un “felice e contenti” come finale, ed era tutto quello che volevo.
Solo il mio lieto fine.
Era una strana sensazione entrare in quell’aula così grande, dove nessuno mi conosceva o sapeva la mia storia.
Accesi il mio laptop per prendere appunti, quando accanto a me si sedette un ragazzo.
-Uh perfetto, potrai prendere appunti anche per me. - disse ammiccandomi.
-Scusami? Spero tu stia scherzando!- risposi scocciata.
Si mise a ridere, aveva un sorriso bellissimo gli si formavano delle fossette intorno alle guance e queste lo rendevano adorabile. Ero un tipo strano: la sua sicurezza, il modo in cui si vestiva e il suo profumo fecero attivare tutti i miei campanelli d’allarme.
Dovevo stargli lontano.
-Era un no quello?- mi sussurrò vicino all’orecchio.
Mi colse alla sprovvista e questo mi fece arrossire.
-Esatto era un no. – sbottai secca.
-Nessuno riesce a resistermi. - disse cantilenando.
Evitai il suo sguardo persistente, prendendo appunti mentre il professore spiegava.
-Allora io sono Tristan, Tristan Evans.- disse. –Tu hai un nome?-
-Sto cercando di seguire. - sbottai infastidita.
-Vuol dire che lo scoprirò.- rispose.
E questo mi spaventava.
***
L’ultimo anno al liceo è sempre stato elettrizzante per tutti. Spuntare nell’annuario, organizzare le varie riunioni e poi c’era il ballo.
Fare parte del comitato studentesco comportava proprio questo: e a me era stato assegnato il compito di organizzare il ballo.
L’ultimo ballo me lo ero sempre immaginato come una di quelle cose che ti saresti ricordato sempre, e organizzarlo era il mio progetto sin dal primo giorno in cui ho messo piede al liceo.
Ormai tutto l’occorrente era pronto da mesi, occupava un capannone della squadra di football.
Sapevo da mesi il vestito che avrei indossato, il colore delle mie scarpe, come mi sarei sistemata i capelli e chi mi avrebbe invitato: Cory.
Cory era il capitano della squadra di pallanuoto, il primo della classe, il capitano della squadra dei “ genii matematici”, dolce, bello: il tipico ragazzo, che vorresti t’invitasse al ballo.
Tutti gli accessori erano pronti: ora mancava solo l’approvazione del preside.
Bussai alla sua porta, ma quando entrai, vidi il mio peggior incubo.
-Clare entra pure. - disse il preside.
-Stone.- disse un’altra voce.
-Ball.- risposi secca sedendomi accanto alla sua sedia.
 -Che ci fai qui saputella? Non ti sarai mica messa nei guai?- esordì Connor.
Connor era il tipico ragazzo che ti avrebbe dato fastidio sin dal primo momento che lo avresti visto, si era carino ma era insopportabile. Lo aveva sempre odiato e non avrei mai cambiato idea.
-Non  mi sono messa nei guai…-
-Ah già quasi dimenticavo Clare Stone, la ragazza che non sbaglia mai niente. - esordì interrompendomi.
-Signor Ball.- lo rimproverò il preside.
-So benissimo, dove si trova l’aula punizione, non c’è bisogno che dica niente.- disse Connor uscendo.
Dopo aver fatto vedere il mio progetto, andai verso il mio armadietto, dove ad aspettarmi c’era Cory.
 
 
 
Questa è la mia prima storia a più capitoli, fin ora ho solo scritto OS.
Mi scuso per i miei eventuali errori e spero che la mia storia vi piaccia.
Louissmile_98.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


 
Capitolo due
Ritornare in quella casa, per me era sempre stato un incubo.
Quella casa era il mio incubo.
L’odore acre dell’alcool si sentiva sin dalla soglia della porta, ormai malandata per via degli anni. Il parcket ormai vecchio, strideva a ogni mio passo, alternato ad alcuni più lunghi per evitare le macchie di visky. La cucina era malconcia, circondata da bottiglie di ogni tipo, alcune piene mentre altre vuote.
George aveva distrutto questa casa, non me l’ero mai ricordata così. Quando ci siamo trasferiti, era un piccolo bijù, mia madre se ne prendeva cura per dimenticare tutto quello che George ci faceva ogni volta che alzava il gomito.
Purtroppo anche se avevamo cambiato casa, le abitudini sarebbero rimaste sempre le stesse.
Risalire le scale che portavano verso la mia stanza, faceva sempre uno strano effetto. Era come se un turbine di emozioni e ricordi, s’insinuasse dentro di me.
Ricordo tutte quelle volte in cui io e mia madre le salivamo di corsa per poi nasconderci da mio padre, ma non scorderò mai tutte le volte che quelle scale le dovetti salire da sola. Mia madre mi aveva promesso che quando avrebbe avuto un po’ più di coraggio e se ne sarebbe andata, mi avrebbe portato con sé.
 Non lo fece e mi abbandonò con George.
Lei ora si è fatta una nuova vita, in Texas, a coltivare cactus con il suo nuovo marito, i suoi tre figli, il suo cane e le sue due iguane, Betty e Jeena. Di tanto in tanto mi manda un cactus allegato a una lettera in qui, mi dice che gli manco.
Entrai nella mia stanza, ancora arredata con i poster dei gruppi che amavo a sedici anni, presi il mio laptop con gli appunti di storia e iniziai a scrivere quello che doveva essere il mio saggio di storia. George arrivò poco dopo che mi misi a lavoro sbraitando il mio nome.
- Isabel.- gridò.
Lo ignorai, ma quando sentii i suoi passi pesanti che salivano le scale, il panico prese il sopravvento e decisi di aprirgli prima che lui entrasse da se.
-Sei sorda vedo. - disse stringendomi fin troppo il braccio.
-No non lo sono. - risposi cercando di trattenere un gemito di dolore.
-Allora quando ti chiamo, devi aprirmi subito. - mi sbraitò contro per poi tirarmi uno schiaffo.
Mi portai istintivamente la mano sulla pelle rossa e calda, per cercare di alleviare il dolore.
-Esci adesso. - sputai acida.
Mi rannicchiai in un angolo cercando di calmarmi e non piangere, mi ero ripromessa che non lo avrei mai più fatto a causa sua.
                                               ***
Mi svegliai a terra, con i muscoli doloranti e un livido sul braccio che di certo non passava inosservato.
Cercai di ricordare quello che era successo, ma la mia testa era solo annebbiata.
Arrivai all’università in tempo per la lezione di storia, ma senza una scusa plausibile per non aver eseguito il saggio. Tristan si risedette accanto a me, come aveva fatto durante queste due settimane, sotto gli occhi di un gruppo di ragazze alquanto irritate per la sua scelta.
-Salve ragazza sconosciuta.- esordì sorridente.
-Che vuoi. -
-Afferrato, non è un buongiorno per te. Cos’è successo?! Ti si è rotta un’unghia?.-
-Non sono affari tuoi. -
-Tutto quello che ti fa star male, sono affari miei. - rispose con un fare deciso e serio.
-Non riuscirai a sfilare le mie mutande e considerarlo come un premio, né mi porterai a letto, quindi mi dispiace, ma hai sbagliato ragazza con cui provarci. -
Per un momento il suo viso si corrucciò, ma subito dopo scoppiò in una lunga e fragorosa risata, che fece girare tutta l’aula.
-Ma che cosa ti fa credere che io ti voglia portare a letto?- cercò di dire tra una risata e l’altra.
Ci rimasi abbastanza male per la sua affermazione, ma feci l’indifferente  e ciò sembrò non fermarlo per niente.
-Non che non lo farei, ma sinceramente  non credo che tu sia la tipica ragazza da una botta e via. - si spiegò.
Cercai di ribattere, ma in quell’istante era appena entrato il professore e i miei incubi tornarono a farsi presenti.
-Che hai?- esordì.
-E che, non ho fatto il saggio e…- cercai di rispondere.
-Green Isabel.- esclamò il professore.
Sbiancai di colpo e mi alzai. Sentivo il cuore pulsarmi nelle orecchie, l’ansia impossessarsi del mio corpo e pensavo di sudare freddo. Iniziai a scendere le scale per recarmi verso la cattedra e quel percorso, sembrava una scesa verso il patibolo, quando una voce mi scosto dai miei pensieri.
-Isabell, hai dimenticato qui il tuo saggio.- quasi urlò Tristan.
Salì di corsa arrivando al mio posto.
-Che diavolo stai facendo. - gli chiesi sussurrando.
-Fidati di me. - mi rispose porgendomi il suo saggio.
Lo firmai e lo consegnai.
Subito dopo il professore chiamò Tristan e lui si alzò tranquillamente. Aveva uno strano modo di camminare, alquanto buffo, era alto almeno tre volte in più di me, i suoi capelli così biondi avevano un non so che di particolare e il suo modo di vestire, così stravagante lo rendeva ancora più interessante.
Mi sarebbe piaciuto frequentarlo, se  non per il fatto che tutto quello che faceva, mi ricordava il mio passato.
Subito dopo la lezione di matemtica2, mi recai alla mensa mettendomi in fila insieme a tutti gli altri.
-Jake Cooper ti sta mangiando con gli occhi.- disse una voce dietro di me.
-Scusami?- domandai confusa, girandomi per guardare.
-Ah già, io sono Cassie Odere, frequentiamo fisica e matematica insieme. - esclamò.
Cassie era una ragazza abbastanza minuta, con dei capelli neri come la pece e degli occhi verdi davvero particolari.
-Oh sì, mi ricordo di te sei la ragazza che si siede sempre nella prima fila.-
-Si sono io, come ti stavo dicendo Jake Cooper, ti sta proprio mangiando con gli occhi.- disse indicandomi un ragazzo seduto due tavoli distante. –Ho visto come ti guarda, lo fa da un paio di giorni a questa parte.- concluse sorridendomi.
-Sinceramente non ci ho fatto molto caso. – dissi distogliendo lo sguardo dal tavolo di Jake.
-Uh sì, noto. - disse seria per poi scoppiare a ridere.
-Vieni, siediti con me. – esordì tirandomi dal braccio.
Iniziammo a parlare e a conoscerci meglio. Mi raccontò dei suoi genitori, vivevano a Brooklyn solo che lei odiava quel posto, era stanca di tutte le cene di galà e di tutte le ragazzine fin troppo snob per i suoi gusti.
-Ahah, e di te invece che mi racconti?- mi domandò.
Cercai di sviare il discorso, ma quando vidi il suo viso farsi sempre più curioso a ogni secondo che passava, decisi di parlargli anche se non lo avrei fatto nei minimi particolari.
-Beh, mi sono trasferita qui quando avevo solo quattro anni, mio padre è di una piccola cittadina a nord dell’Irlanda, mentre mia madre è  di una piccola  città dell’America meridionale. - dissi sorridente.
-Wow tu si che sei davvero interessante. - rispose tra un morso e l’altro.
-Mh, quel livido come te lo sei procurato?-
-Isabel.- esclamò Tristan scandendo ogni lettera per poi sedersi con noi.
-Ehi Tris, dov’è  Jeremy?- gli domandò Cassie.
-Sono qui, sono qui. - esordì  un ragazzo alle mie spalle.
Intuii subito che fosse Jeremy, era alto, i capelli corti e biondi scuri e sul braccio destro dei tatuaggi colorati. A primo impatto, non sembrava un tipo di università.
Lascò un lieve bacio a Cassie, per poi spostare lo sguardo su di me.
-E tu saresti?- mi domandò.
-Lei è Isabel, fa il corso di storia avanzata con me. mi precedette Tristan.
-E io l’ho conosciuta mentre facevo la  fila per il budino.- aggiunse Cassie sorridendomi.
-Beh io sono Jeremy, sono il cugino di Tristan e il ragazzo di Cassie.-
-Piacere. - gli risposi sorridendogli.
Piombò uno strano e imbarazzante silenzio.
-Ho sentito davvero tanto parlare di te, Isabel.- incalzò Jeremy.
Il panico s’insinuò dentro di me, ero terrorizzata all’idea che qualcuno sapesse di me, ma soprattutto avevo paura che qualcuno mi conoscesse a causa di George.
-Nel senso che Tristan, da quando ti ha visto non fa altro che parlare di te. – disse tra un morso e l’altro.
Non potei non arrossire a quell’affermazione, Tristano strabuzzo gli occhi e quasi non si affogo per essergli andato di traverso un sorso di aranciata, ma non potevo fare a meno di guardarlo e vedere che si era creato un rossore nelle sue guancie.
-Evans.- esordì  una voce alle mie spalle, che mi fece sobbalzare.
-Cooper.- rispose secco Tristan.
-Non mi presenti la tua nuova amica?-
-Non ne vedo il bisogno.-
Tristan sembrava cambiato. Voleva a tutti i costi che Jake non mi conoscesse.
cos’è carne fresca, non vuoi lasciartela sfuggire eh?- disse.
Tristan si alzò senza ribattere, uscendo dalla mensa.
Jake girò intorno al tavolo, per poi piazzarsi di fronte a me. Aveva gli occhi color nocciola, i capelli ben curati e tagliati in modo  esemplare, doveva provenire da una famiglia abbastanza ricca.
-Io sono Jake Cooper.- si presentò.
-Piacere, sono Isabell.- gli risposi sorridendogli.
-Si so chi sei, adesso scusami ma ora devo proprio andare, la mia lezione di medicina sta per iniziare.- disse sorridendomi. –Mi piacerebbe ancora parlare con te.- disse prima di lasciarmi.
***
Fini il mio pranzo, dato che avevo un’ora buca e che cassie aveva lezione, decisi di fare un giro al di fuori del palazzo.
Ormai l’estate stava lasciando poso all’inverno, lo si poteva facilmente notare dalle foglie degli alberi, che pian piano stavano assumendo una sfumatura tra il rosso e il giallo.
-Anche tu qui?- sussultai per poi vederlo.
Tristan.
-Ehi.- risposi con naturalezza. In tutta risposta si limitò a farmi un cenno e ad invitarmi a sedermi accanto a lui.
Stargli così vicino, mi faceva sempre uno strano effetto. Era come se non riuscissi a trattenere il rossore che si formava nelle mie guance.
-Mi piace venire qua, quando qualcosa non va per il verso giusto. - disse interrompendo quel silenzio.
-E cosa sarebbe andato per il verso sbagliato oggi?-
-Mi da solo fastidio Jake.- dissi irritato.
-Cioè. -
-Mi da fastidio che ora ti ha adocchiato. -
-Tristan, non posso mica nascondermi dal mondo. - gli risposi dolcemente.
Ciò però non lo fece sorridere.
-Non ti devi fidare di lui. - sputò duro.
-So benissimo badare a me stessa. -
-Non ti devi fidare. - disse guardandomi.
Aveva assunto un’espressione seria, i suoi occhi erano diventati di un blu scuro, erano quasi irriconoscibili. Non era il Tristan che conoscevo.
-Da quando dovrei prendere ordini da te?- gli chiesi alzandomi.
-Non lo conosci neanche. - rispose alzandosi di scatto e mettendosi di fronte a me.
La sua figura molto più alta della mia mi metteva timore, mi sentivo così piccola.
-Non conosco nemmeno te, perché continuare a parlarti?-
-Oh ma ti prego, hai lo sguardo perso come quello di tutte le ragazze che ha abbindolato, col suo fascino da ragazzo per bene, solo per portarsele a letto Isabel.- rispose irritato.
-Dacci un taglio Tristan.-
-Io lo conosco. - quasi urlò. -So che tipo è, tu non ti meriti uno come lui. -
-Mi conosci solo da due settimane, mi hai visto solo a lezione, non puoi dirmi chi mi merita o no.-
-Saranno anche due settimane, ma mi sembra di conoscerti da una vita. Tu ed io siamo più simili di quanto non sembra. - disse poi addolcendosi. –Non farti spezzare il cuore da lui. - disse guardandomi.
I suoi occhi erano tornati del suo colore naturale, era bello, dannatamente bello, quello che mi disse sembrava più una supplica che un avvertimento.
 Non potevo fidarmi.
-Tu non sai proprio niente di me. – gli risposi bruscamente prima di lasciarlo.
 
 
 
 
 
Salve, ok mi dispiace per non aver pubblicato prima il capitolo.
Si non scrivo benissimo e mi scuso per gli eventuali errori.
Spero vi piaccia e che recensiate.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Capitolo tre
“caro diario
È passata una settimana dal mio arrivo nella nuova scuola, sono sempre seduta vicino a Bradley. È davvero carino sai?  Non credo di essere alla sua altezza, insomma sono io. L’altro giorno ero proprio disperata mentre la professoressa Small spiegava uno dei tanti autori francesi che sarebbero stati presente nella verifica, l’unico ad accorgersi della mia disperazione era stato proprio Brad. Mi ha accarezzato la mano e sono certa che lui abbia sentito il mio cuore per quanto battesse forte.
Si è offerto di aiutarmi.
Sempre tua Catherine.”
 
-Mamma esco.-
- Dove vai?-
-Devo andare a fare il mio corso di francese.- gli risposi affacciandomi dalla porta che dava alla cucina.
-Non fare tardi, sai che poi.-
- si lo so ti prego non ricordarmelo sempre-
L’aria di fine settembre iniziava a essere fredda, le foglie a colorarsi e i viali a essere vuoti. Non ero mai stata a casa di un ragazzo e tutto ciò era così nuovo, che mi preoccupava. Con Bradley tutto sembrava più facile, più bello come se tutto ciò che mi turbava in un attimo, svaniva.
Mi stava facendo veramente bene la sua compagnia.
Arrivai fuori casa di Bradley e tutte le mie insicurezze si fecero sentire, ma prima che potessi tornare indietro, Bradley mi si parò davanti.
-Catherine cosa ci fai ancora qui fuori, entra inizia a far freddo.- disse sorridendomi
. -eh si arrivo.-
Entrai in casa e non riuscì a muovermi perché Bradley era lì davanti a me, con il suo sorriso timido e poi c’ero io con la mia goffaggine nel corridoio di casa sua.
- bene, ecco potremmo salire nella mia camera e iniziare a studiare.-mi propose grattandosi la testa timidamente.
Annuì semplicemente.
Salimmo le scale fino ad arrivare alla prima porta a destra, la sua stanza. Era tutto così ordinato, i libri, il letto, i vestiti, sembrava che tutta la sua vita fosse perfetta.
-allora secondo me potremmo benissimo cominciare dalla letteratura, magari con Dumas.- mi chiese.
Non riuscivo a parlare ero paralizzata da lui. Per fortuna le ore passarono, anche se c’erano stati parecchi silenzi imbarazzanti, anche se stranamente compresi tutto ciò che mi aveva spiegato. -bene ora che sembri aver stretto amicizia con Dumas, raccontami di te.-mi chiese sorseggiando il the.
-non c’è niente da dire su di me, mi sono trasferita dalla California e... -.
-non dirmi quello che mi hai già raccontato, dimmi altro parlami della vera Catherine.-
-cosa vuoi che ti dica?- gli chiesi ridendo.
-stai ferma così- disse correndo al piano di sopra.
Non lo sentì per un paio di minuti, m’iniziai a preoccupare.
-eccola.- sentì un urlo dalle scale seguito da un tonfo. Raggiunsi le scale,dove trovai Bradley a terra tutto sorridente con una polaroid in mano, vedere quella scena mi fece ridere e lui non perse l’occasione per scattare una foto prima che potessi dire A.
- uh guarda che sorrisone che hai.- disse guardandomi.
Arrossì involontariamente.
-Simpson dammi quella polaroid, non hai idea di quello che hai tra le mani.-esclamai.
-ah no?,vieni con me.- disse prendendomi la mano.
Salimmo le scale, lentamente senza nessuna fretta. Mi portò in una stanza buia, capì subito di cosa si trattava, era una camera oscura. Bradley accese una lucina rossa ,vidi tutte le miriadi di foto presenti, nel frattempo lui appese la foto che aveva scattato pochi minuti fa.
-ora è una delle mie preferite.-
-Brad devi farmi pure un corso di fotografia.- gli chiesi sorridendo.
- Mi piace Brad è particolare.-
- sono bellissime.- continuai senza far caso a ciò che diceva.
- come te.-

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Capitolo 4
*** CAPITOLO QUATTRO ***


CAPITOLO QUATTRO

- quanti precedenti penali hai ball?- sputai sistemando le sedie.
Sembrava alquanto irritato dalla mia affermazione, le nocche delle sue mani erano diventate bianche, le pupille dilatate e il suo sguardo era più duro.
- Stone, nemmeno io voglio organizzare questo ballo con te poiché le feste non fanno per me, non stai rendendo le cose molto facili quindi evita di aprire la bocca.- rispose in maniera secca.
- mi dispiace Connor, non intendevo offenderti. - dissi seccata.
In realtà non era mia intenzione trattarlo male, non avevo nessun motivo, anche se avevo tutte le ragioni per farlo. Mi aveva reso la vita, un inferno.
- Clare non siamo obbligati a parlare okay, sta solo zitta.-
Mi dava fastidio il modo in cui si comportava.
-mi dispiace. Lo disse con tanta naturalezza che quasi mi fece spaventare.
- nono hai ragione tu, meglio stare zitti. Abbassò la testa in segno d'approvazione.

* * *

Le settimane passarono molto velocemente, la sala per il ballo d'inverno iniziava a prendere forma e tutto ciò non poteva far altro che rendermi orgogliosa. In quest’arco di tempo io e Connor non avevamo parlato per niente, né tanto meno cercato di instaurare un qualche rapporto, in un certo senso iniziavano a mancarmi tutti i nostri battibecchi.
- è meraviglioso Clare.- disse d'un tratto poggiando entrambe le mani sulle mie spalle, era la prima volta che mi chiamava con il mio nome, sembrava molto più bello detto da lui. Arrossì involontariamente, riuscendo a balbettare solo un flebile "grazie".
- hai davvero mano per queste cose, credo che quest'anno andrò al ballo, non sarà mica così male, dato che l'ho organizzato io. -disse sorridendomi e togliendo le mani dalle mie spalle, mi sentii vuota ma cercai di riprendermi all'istante.
- non sei mai andato a un ballo?- gli chiesi sbalordita.
-mettiamola così, non ho mai trovato la ragazza degna, se così si può definire, da portare al ballo.-
- sembra quasi difficile da credere sai. - dissi - hai un sacco di ragazze che ti corrono dietro Connor, non credo che non ce ne sia una "degna". “- risposi ricalcando le ultime parole. Si avvicinò a me di scatto, il che mi fece accelerare il respiro.
- magari la ragazza con cui io voglia andare, non è alla mia altezza.- puntuallizò.
Era tremendamente sexy da vicino, anche se era sbagliato tutto ciò. Chiusi istintivamente gli occhi avvicinandomi a lui.
-Stone, cosa mi stai combinando.- sussurrò a contatto con il mio collo, tutta quell'intimità cominciava a spaventarmi.
- n-niente non farti strane idee ball.-
Rise fragorosamente e dovetti richiamare tutte le mie volontà per non sorridere.
- e tu con chi vai. - mi chiese riavvicinandosi.
- credo con Cory, niente di confermato. -
d'un tratto si staccò da me andando al tavolo degli attrezzi per lavorare a un'altro degli oggetti per il ballo. Era bianco in volto e le mani erano serrate in un pugno, con le nocche tutte bianche, i capelli ricadevano nella sua fronte.
-torniamo a lavorare Stone non ho tutto questo tempo da perdere con te.- sputò freddo.
E ritornammo a lavoro.

* * *

La sera non riuscì a chiudere occhio facilmente, lo avevo impresso nella mia mente, il suo profumo, il suo sorriso, i suoi occhi.
Cosa mi stava accadendo.
Sentii dei rumori provenienti dalla finestra, decisi di affacciarmi.
-Clare, scusa dovevo parlarti.
- Connor è tardi, mi parlerai domani. - dissi spazientita
. -ti prego scendi un attimo.- Chiusi la finestra sorridendo involontariamente dirigendomi verso la porta, mentre Connor riniziò a lanciare sassolini.
-diamine Clare.- Sorrisi a quella scena per poi avvicinarmi a lui.
- Connor sono qui,cosa vuoi?-
Sorrise prendendomi la mano, trasmettendomi brividi per tutto il corpo.
- vieni con me. -disse tirandomi.
Camminammo per venti minuti, iniziai a crede che mi volesse rapire ma poi arrivammo al lago della città.
-pensavo che potremmo... - iniziò a dire, il cuore mi martellava nel petto, avevo l'ansia che mi chiedesse tutto ciò che volevo sentire.
-potremmo stare qui e prendere spunto per qualcosa da aggiungere. -
Rimasi delusa, ma gli sorrisi.
- non è una cattiva idea sai.- dissi spingendolo amichevolmente per la spalla.
- non ho mai cattive idee mia cara clare.-
disse accarezzandomi la guancia. -
per tua conoscenza non ho nessuna denuncia, e che ti piaccia o no non sono chi credi che sia. - tutto ciò che disse, mi colse alla sprovvista tanto che all'inizio non seppi cosa dire.
- non lo credevo veramente. - gli dissi abbassando il capo.
-guardami Clare.- sussurrò
. - non sarà per caso che io ti piaccio?- disse allontanandosi e sorridendo.
-non succederà mai Ball.- dissi ridendo e cominciando ad andare
. - non ci metterei la mano sul fuoco.- disse prendendomi il polso e tirandomi a se.
-riuscirò a farti innamorare di me.
Disse al mio orecchio, dove lasciò un piccolo bacio e in seguito me.

 

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