Let's be unpredictable

di _coldwinter_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bad new ***
Capitolo 2: *** We have to speak. ***
Capitolo 3: *** Past is behind us. ***
Capitolo 4: *** Afternoon together. ***
Capitolo 5: *** I'll stay with you ***
Capitolo 6: *** He depends on your smile. ***
Capitolo 7: *** You are like a drawing ***
Capitolo 8: *** Leave me. ***
Capitolo 9: *** Angel and devil. ***
Capitolo 10: *** Trouble. ***
Capitolo 11: *** Can't stop thinking of you. ***
Capitolo 12: *** Alone. ***
Capitolo 13: *** Promises. ***
Capitolo 14: *** Beside you. ***
Capitolo 15: *** I love you too. ***
Capitolo 16: *** The only reason. ***
Capitolo 17: *** You are an idiot. ***
Capitolo 18: *** Lost in confusion. ***



Capitolo 1
*** Bad new ***


Cazzo, adesso sì che era tutto un casino. Mia madre in punto di morte. Mio padre licenziato. Non so davvero come avremmo fatto a continuare a vivere. I soldi che ci rimanevano non bastavano per le cure, ma non avrei permesso a mia madre di lasciarmi, di nuovo. Quando se ne era andata la prima volta non sapevo cosa fare, non sapevo se si sarebbe mai risvegliata, non sapevo se il coma me l'avrebbe ridata indietro sciogliendola dalle sue catene. Ma questa volta c'era una differenza: se se ne fosse andata non sarebbe tornata mai più. Non lo avrei permesso. Ma senza soldi come potevo fare? Mio padre non ci avrebbe messo poco a trovare un nuovo lavoro, e i nostri soldi non sarebbero mai bastati. Non siamo mai stati ricchi, abbiamo sempre avuto quel poco che ci bastava, ma ora i nostri risparmi non ci sarebbero mai bastati. Mi girai nel mio letto a guardare l'ora, erano ancora le 3.07. Non riuscivo a chiudere occhio, ma come tutte le altre fottute mattine sarei dovuta andare a scuola al suono della sveglia. Passai il resto della notte a rigirarmi nel letto senza trovare neanche un briciolo di sonno e tranquillità per poter dormire, così quando suonò la sveglia io non avevo dormito neanche cinque minuti. Premetti il tasto per disattivare il noiosissimo "Bi-bip! Bi-bip!" e scesi svogliatamente dal letto. Presi dei vestiti a caso dall'armadio e mi diressi in bagno per fare una doccia. L'acqua calda mi scrosciava sulle spalle, picchiettando. La doccia mi rilassava sempre, forse per i vapori caldi che mi facevano sempre sentire a mio agio, che mi facevano pensare ad altro, come un manto di nebbia che oscura tutti i pensieri. Uscii dalla doccia, mi asciugai, infilai i vestiti presi prima, e sciolsi i miei capelli color nocciola dalla coda che avevo fatto per non bagnarli. Presi la sacchetta dei trucchi e misi un filo di matita nera e una punta di mascara. Non mi piaceva truccarmi molto. Uscii dal bagno e andai in camera mia per indossare le vans con cui stavo tanto comoda. Poi scesi velocemente le scale di legno scricchiolanti e andai in cucina a prendere un succo di frutta, tanto per buttare giù qualcosa nello stomaco. Guardai l'orologio attacato al muro. Erano le 7.18 e io stavo morendo dalla voglia di rimettermi a letto e riprovare a dormire, ma non potevo. Presi la giacca a vento e la borsa con i libri, aprii la porta e me la chiusi alle spalle. Tirava un po' di vento e il cielo era grigio. Rispecchiava molto il mio carattere. Burrascosa. Spesso arrabbiata. Buia. Fredda. Come le altre fottute mattine avrei dovuto aspettare l'autobus per poi entrare in uno squallido edificio e seguire lezioni di cui non me ne fregava niente. Ma vabbè, questa era la mia vita, e dovevo farmela andare bene così. L'autobus arrivò dopo 45 lunghissimi minuti di attesa, e a quel punto ero in ritardo. Ci sarebbero voluti altri 15 o 20 minuti, quindi non avrei mai potuto fare in tempo ad arrivare a lezione. Pazienza. Arrivai a scuola che erano le 8.22. Ero in ritardo di una ventina di minuti, ma col freddo che faceva non mi andava di aspettare fuori la seconda ora, ed entrai lo stesso a scuola. Percorsi i soliti corridoi e salii le solite scale fino ad arrivare nell'aula di filosofia. Filosofia in prima ora proprio non la reggevo. Entrai in classe in ritardo e senza bussare, e per questo mi dovetti sorbire il cazziatone di Smith, quel vecchio psicopatico del prof. Mentre andai a sedermi al mio solito banco, l'ultimo a lato, sentii qualcuno fare lo spiritoso "Uh oggi la Walker vuole fare la trasgressiva" "Chiudi quella cazzo di bocca Hemmings" dissi con tono calmo senza neanche guardarlo in faccia. In tutto ciò il prof si stava beatamente godendo la scena. "Ahia, oggi è pure di cattivo umore" continuò quel deficiente. Era Luke Hemmings, una coglione totale, ma visto che era stato bocciato si sentiva figo. Non aveva capito un cazzo della vita. "Hemming, basta." "Walker, non mi dici tu cosa devo fare." La giornata era già cominciata male, poi con i suoi inutili commenti stava proprio migliorando. "Ma non hai un cazzo da fare nella vita oltre a rompere i coglioni?" gli urlai alzandomi in piedi in preda alla rabbia. Nella classe regava il silenzio. A quel punto finalmente quel demente del prof mise bocca nella discussione. "Basta ragazzi, moderate i termini. Dobbiamo riprendere la lezione." disse per fermare il litigio. Possibile che non avesse di meglio da dire? Bah, era un vecchio rincoglionito, bisognava aspettarsi di tutto da lui. La lezione riprese ma non mi degnai neanche di tirare fuori il libro. La filosofia proprio non mi andava giù. Finita la lezione mi alzai in fetta, presi la borsa e uscii velocemente dalla classe. Volevo andare in terrazza prima dell'inizio della nuova ora. Sentii dei passi dietro di me mentre varcavo l'uscio della porta e una mano mi strinse il braccio obbligandomi a girarmi. "Cazzo vuoi Hemmings?" chiesi con tono annoiato. "Tu non mi parli in questo modo. Ok?" quasi mi urlò in faccia, con i suoi occhi azzurri colmi di ira. "Perchè non dovrei? Hemmings, placati, ti senti Dio sceso in terra, quando non sei nessuno." ed era vero, da una parte, dall'altra no. Si comportava da strafottente con tutti, tranne che con i suoi amici. Tutta la scuola li conosceva, Luke Hemmings, Ashton Irwin, Michael Clifford, Calum Hood. Anche se erano conosciuti da tutta la scuola non avevano amici, tutti li scansavano, probabilmente per il loro caratteraccio. Diciamo che anche io non ero tra le più simpatiche della scuola, ma almeno non mi fingevo una strafiga che pensa di meritare che gli altri le lucidino le scarpe. Io ero semplicemente una ragazza da parete, preferivo starmene in disparte, spesso preferivo non essere notata, al contrario di quei quattro. "Perchè, tu pensi di essere molto meglio di me?" chiese lui alzando le sopracciglia, come se la risposta fosse scontata. "Non lo so, non spetta a me dirlo, ma almeno non mi comporto da cogliona come fai te coi tuoi amichetti" "Che c'è, oggi sei acida?" e a quella domanda avrei voluto rispondere di sì, ma mi limitai a un semplice "Non rompermi i coglioni, Hemmings." Intanto intorno a noi si era radunata un po' di gente a vederci litigare. Succedeva di rado che qualcuno litigasse con Luke Hemmings, nessuno aveva il coraggio di mettersi contro di lui. "Meglio se te ne vai prima che ti meni." fece lui con tono arrogante. "Dai picchiami, vediamo quanto sai fare." Non avevo idea di avergli appena dato il permesso di spaccarmi la faccia. Mi arrivò un pugno dritto sullo zigono, appena sotto l'occhio sinistro. Faceva male, ma la rabbia in me copriva qualsiasi dolore. "Grand'uomo che sei a picchiare una ragazza!" dissi con tono strafottente e appena indignato. "Cuciti la bocca o continuo." "Questo dimostra quanto tu sia stupido e codardo. Fanculo." Non mi ero accorta che ormai in torno a noi c'era parecchia gente che bisbigliava con gli occhi sgranati. Già, non succedeva spesso che qualcuno si mettesse contro Hemmings. Dopo le mie parole non aspettai neanche una risposta, mi girai e me ne andai. Camminando tirai fuori un pacchetto di sigarette e l'accendino. Quando mi giravano le palle fumavo, mi faceva star bene, mi faceva pensare ad altro. Andai al terzo piano, entrai nella vecchia aula inutilizzata e uscii dalla finestra, saltando un po' per arrivare su quello spiazzo sopra alla scuola chiamato "terrazzino" da chi ci veniva. Lo guardai un attimo, non c'era nessuno. Anzi, qualcuno c'era. E non era nessuno con cui avevo voglia di chiacchierare. Michael Clifford, uno degli amichetti di Luke Hemmings. Quel ragazzo è davvero strano. Non saprei da dove cominciare con le sue stranezze. La cosa più evidente sono decisamente i suoi capelli. Cambia colore almeno una volta al mese. Ora li ha verdi. Ma non quel verde che tutti si immaginano, quel verde evidenziatore, quel verde un po' da punk. É un verde scuro, un verde inaspettato. Ha gli occhi chiari, ma sorprendentemente scuri. Sembrano due voragini, sembrano inghiottirti, fanno paura. Anche di carattere è strano, ma in questo non sono nessuno per poter commentare, io sono forse più strana di lui. È seduto sul cornicione del terrazzino, con le gambe a penzoloni, a fumare una sigaretta. Mi guarda un attimo, poi fa "E quindi ti sei fatta prendere a pugni da Luke." Io gli rivolgo un'occhiataccia che se qualcuno avesse rivolto a me, mi sarei messa paura. "Ma vi leggete nella mente voi quattro?" chiedo con tono acido. "Macchè, soltanto dovresti aver capito che certe voci si spargono velocemente nella scuola." mi sorrise un attimo, poi "Non farci caso, reagisce sempre così." "Bella persona che è" dico sarcastica. "Lo dici solo perchè non sai cosa ha passato." cercò di difenderlo. "Che cazzo c'entra? Pure io sto passando un periodo di merda, ma non vado in giro a menare la gente per fare la spavalda." "Ah, mi dispiace. Vuoi parlarne?" "No, grazie. Meno ci penso e meglio è." risposi con una tristezza assurda nel cuore. Questa situazione a casa mi faceva stare malissimo. Non sapevo come sarei andata avanti senza mia madre. "Grazie lo stesso per l'interessamento" "Figurati." Non capivo perchè un ragazzo che forse non sapeva neanche come mi chiamassi si interessasse a me. Io l'avevo detto che era un tipo strano. Mentre stavo accendendo una sigaretta per distrarmi un po' sento una voce che mi fa sospirare. "Ancora tu?" era la voce di Luke Hemmings. "Te li cerchi proprio i guai eh." "Dai Luke, lasciala stare, l'hai assillata abbastanza per oggi." intervenì Michael Clifford. Non mi aspettavo neanche questo. Quel ragazzo è davvero insolito. Non sentii nessuna risposta da parte di Luke Hemmings. Per una volta era rimasto senza parole. Ciao a tutti! Ieri sera mi è venuta in mente questa storia e l'ho buttata giù, poi questa mattina l'ho perfezionata ed ecco qui il primo capitolo! Luke e Lola hanno entrambi un passato difficile, e forse è proprio questo a renderli così simili ma così diversi. Entrambi soffrono, ma i due reagiscono in modo diverso. Luke ha una maschera, una corazza che lo aiuta a non sbriciolarsi, a coprire i suoi veri sentimenti, Lola invece si lascia distruggere dagli altri, non le è mai interessato molto di se stessa, ma dopo la notizia di sua madre sta cercando la forza che è in lei per paura di crollare in pezzi, cone un vetro infranto. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, e cercherò di pubblicare il prima possibile il secondo. Intanto voi recensite così mi faccio un'idea di come vi sembra la storia e cerco di renderla migliore possibile! ;) Ciaoo ~Vic

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Capitolo 2
*** We have to speak. ***


Mi sedetti sul bordo del terrazzino con le gambe a penzoloni nel vuoto. Da qui si poteva vedere il cortile della scuola, il campo da pallavolo e un pezzo di strada. In cortile c'era un po' di gente. Chi stava in gruppo a fumare, chi seduto su una panchina a ripassare, e chi sul muretto a copiare i compiti dall'amico.
Da qui su non si sentiva quasi nulla di quello che dicevano, solo risate attutite dal leggero vento.
Stavo giocherellando con il fumo della sigaretta, ma non mi sentivo a mio agio. Sentivo uno sguardo bruciarmi addosso. Hemmings mi stava fissando, lo sentivo. Ho sempre odiato questa sensazione. Odiavo sentirmi controllata, mi sentivo come sotto un microscopio, come se qualcuno stesse osservando ogni mio minimo movimento. Odiavo ancora di più il fatto che ad osservarmi fosse Luke Hemmings, il ragazzo strafottente che si diverte a tirar pugni in faccia alla gente. Il rispetto sotto i piedi ce l'ha quel ragazzo. Però era dannatamente bello. Alto, magro, con i capelli biondi alzati in un ciuffo che le sue dita lunghe e sottili pettinavano in continuazione. La cosa più bella erano gli occhi, azzurri. Era un azzurro acceso, ma allo stesso tempo cupo. Questo perchè era sempre incazzato con il mondo. Ma guardandolo negli occhi si capiva tutto di lui. Quegli occhi azzurri ormai si portavano dietro stanchezza e sofferenza, non ridevano da tanto. Come i miei.
Sentivo il suo sguardo ancora puntato su di me, questa cosa non mi andava giù, così mi alzai in piedi, buttai a terra la cicca, la schiacciai, e mi sporsi dal terrazzino, saltando nella finestra rotta della vecchia aula al terzo piano.
Mi diressi nell'aula di biologia. Anche di questa materia non me ne fregava nulla. Entrai nell'aula e mi misi al mio solito banco. Era sempre lo stesso. L'ultimo a destra. Mi sedetti sullo sgabello girevole e tirai fuori il mio quaderno. Non fatevi venire in mente strane idee, tipo che stessi prendendo il materiale per prendere appunti. Assolutamente no. Quello era il mio quaderno. Non quello di scuola. Lì c'era tutto, tutti i miei sorrisi, tutte le mie lacrime, tutti i miei pensieri, tutti i miei ricordi. Di solito mi esprimevo tramite le canzoni, altre volte tramite i disegni.
La Richard entrò in classe, pronta per cominciare la lezione. Odiavo quella donna. Aveva capelli castano scurissimo, forse tinti, cortissimi, tagliati a caschetto scalato. Indossava degli occhiali con la montatura sottile e le lenti quadrate. Tappa e con un fisico normale. La cosa peggiore era la sua faccia. Un'espressione arcigna le marcava il volto tutto il giorno. Avrete capito che non era il tipo di prof che passa sopra a un impreparato.
Cominciò a parlare, non so neanche di cosa. Io invece aprii la copertina del mio quaderno. Cominciai a sfogliare pagina dopo pagina, a rivedere tutto quello che avevo scritto e disegnato. Arrivata a una pagina bianca presi una penna e cominciai a disegnare qualcosa. Quando disegnavo mi perdevo completamente, per gli altri non esistevo più, non esistevo più per nessuno, neanche per la mia mante, che invece di pensare al disegno pensava ai miei problemi. Alla fine dell'ora guardai davvero il disegno, per vedere cosa la mia mente mi avesse fatto disegnare, cosa la mia mano aveva tracciato correndo sul foglio. Era una croce con le assi spesse, e disegnati all'interno della croce c'erano fiori. Precisamente rose, piene di spine. Mi spaventai un attimo, non pensavo lontanamente che avrei disegnato una cosa del genere.
Suonò la campanella di fine ora, quindi chiusi il quaderno e lo misi nella borsa.
Uscendo dalla classe svoltai a sinistra e mi diressi verso il cortile, sperando di trovare Alex, la ragazza con cui seguo il corso di matematica. Sulle scale incontrai la persona che speravo di non vedere mai più. Luke Hemmings. Lui stava salendo, io stavo scendendo. Mi mancavano 8 scalini più o meno alla fine della rampa, ma nel momento in cui passammo una accanto all'altro mi fece lo sgambetto. Non feci intempo ad appoggiarmi a qualcosa e non cadere, quindi scivolai in avanti, di faccia. Fortunatamente mi parai il viso con le mani, ma rotolai giù per gli ultimi scalini, e mi ritrovai per terra tutta indolenzita e con il baccio desto insanguinato e completamente sfregiato. Mi tirai su, guardai un attimo il braccio, poi Hemmings. Quel coglione stava leggermente ridendo. Ma non era uno di quei sorrisi che fai in risposta a una battuta o a una scena comica, era un sorriso acido, come di vendetta.
"Vaffanculo stronzo" pensai tra me e me.
Il braccio mi bruciava, ma non mi andava di andare in segreteria e chiedere aiuto all'infermiera, quindi andai verso il bagno del piano terra per sciacquarmi via quel po di sangue che usciva dalle parti senza pelle.
Il bagno era completamente vuoto, per fortuna.
Quando bagnai il braccio sentii un pizzicore acuto. Strinsi i denti e continuai a farci scorrere sopra l'acqua, poi entrai in uno dei quattro bagni e presi un pezzo di carta igenica per asciugarmi.
Non pensavo più al dolore del braccio, ma ai dolori vari sparsi in tutto il corpo. Sentivo soprattutto male al collo, che si era piegato sotto il peso del mio corpo.
Mi sedetti un attimo sul davanzle della finestra con un piccolo salto. Non mi andava di seguire l'ora di matematica, volevo trovare qualcos'altro da fare, ma le opzioni erano due: o me ne andavo da scuola di nascosto, come facevo a volte, oppure mi nascondevo in cortile, magari sul prato, coperta da un albero.
Non mi andava di farmi il culo per non essere scoperta mentre uscivo dalla scuola, quindi optai per la seconda opzione.
Scesi dal davanzale di pietra e uscii dal bagno dalle mattonelle blu. Tirai fuori l'accendino e un pacchetto di sigarette, ne accesi una e rimisi tutto nella tasca dei pantaloni. Arrivata alla porta a vetri successe una cosa che non mi sarei mai aspettata.
"Ma cosa ti ha fatto di male quella ragazza?!" stava urlando sui quattro scalini fuori dalla porta un ragazzo con la pelle olivastra, i capelli castano scuro, e gli occhi di un marrone caldo e profondo: Calum Hood, uno degli amici di Hemmings.
"Niente, ma..." rispose Luke, ma fu interrotto dal ragazzo con i capelli verdi, Michael Clifford.
"Ma cosa? Poveraccia, non si merita quello che le stai facendo"
"Mi irrita. Non si deve permettere di parlarmi con quel tono!"
"E tu per questo le lanci un cazzotto e la butti giù per le scale?!" intervenne di nuovo Hood.
Stavano parlando di me.
Di me.
Ma perchè?
Perchè mi stavando difendendo?
Non sarebbero dovuti essere dalla sua parte?
Luke Hemmings si girò verso la porta. Solo ora mi accorsi di essere rimasta a fissarli con la bocca spalancata e le mani ancora appoggiate sulla maniglia mentre litigavano e ad ascoltare tutto quello che dicevano. Cazzo, ora sì che ero davvero nei guai.
Che gli avrei detto? Mi avrebbe di nuovo spaccato la faccia.
Luke cominciò a fare qualche passo verso di me. Io stavo lì dietro alla porta di vetro, a guardarlo mentre saliva le scale e si avvicinava alla porta. L'azzurro dei suoi occhi era pieno di ira. Non trasmetteva serenità, ma inquietudine. Aveva la fronte corrugata. Quell'espressione non prometteva nulla di buono.
Feci un passo indietro, staccando le mani dalla porta. Ero rimasta immobile a guardare la scena, non riuscivo a crederci, ma adesso dovevo accettare l'idea che quella porta era l'unico ostacolo che per ora gli impediva di spaccarmi del tutto la faccia.
"Luke, contieniti." era la voce di Calum. I suoi grandi occhi scuri erano sgranati, guardava la scena forse più spaventato di me.
Luke lo guardò un attimo senza voltarsi troppo, poi puntò di nuovo lo sguardo su di me.
Tirò la maniglia della pesante porta. La mia fine era vicina, me lo sentivo.
Mi rivolse uno sguardo disgustato, poi mi afferrò per un braccio, di nuovo, strattonandomi. Mi cadde per terra la sigaretta che avevo in mano, poi fui trascinata via dal ragazzo che, ne sono sicura, tra poco me l'avrebbe fatta pagare cara.
"Seguimi." disse con voce dura Luke.
"Mi stai trascinando. Come portei fare il contrario?"
Si girò a fulminarmi con lo sguardo.
Merda, dovevo imparare a tenere a freno la lingua.
Stupuda, stupida, stupida!
Ora si sarebbe incazzato ancora di più, ma è più forte di me, io dico le cose come stanno, in faccia.
Mi trascinò su per tre rampe di scale, e quando inciampai non ci fece caso e continuò a strattonarmi.
Attraversammo tutto il corridoio al terzo piano, quello dell'aula che dà sul terrazzino. Aprì la porta scricchiolante, e per spingermici dentro mi fece battere sullo stipite.
"Zitta, ragazzina." abbaiò lui, quando gemetti appena.
"Scusa eh" bisbigliai, sperando di non essere sentita.
"Muoviti, salta." disse spingendomi bruscamente verso il davanzale della finestra rotta.
Salii agilmente sulla lastra di pietra e poi con uno slancio atterrai sul muretto della terrazza. Mi scansai, e saltò anche Hemmings.
"Dobbiamo parlare." disse con voce piatta.
"Non ho nulla da dirti." risposi a tono.
"Ok, comincio io a parlare." disse di conseguenza. Nonostante quello che aveva appena detto il vento era l'unico suono che si sentiva. Mi sedetti a gambe incrociate sul muretto del terrazzino. Luke invece rimase impiedi, facendo lentamente qualche passo verso la mia destra, poi qualche passo verso la mia sinistra, e così via, guardando per terra.
Stavo per esclamare "Allora?" ma mi trattenni per non peggiorare la situazione, quindi aspettai paziente.
Aveva i capelli in disordine, gli occhi pieni di confusione. Potevo quasi sentire gli ingranaggi nel suo cervello lavorare, per decidere cosa dire. Pensai quasi di cominciare io a parlare, ma visto che era stato lui a portarmi qua spettava a lui cominciare il discorso, poi io avrei continuato, forse.
Aspettai ancora un po', poi disse, sempre guardando per terra "Perchè fai così?"
Sgranai gli occhi. "Così come, scusa?!"
"Non lo so, ma non riesco a capire che pensi."
"Perchè? Dovresti? Sai, di solito la gente non va in giro con un cartello con su scritto a cosa sta pensando." dissi sarcastica.
"Stupida, non in quel senso."
"Allora in che senso? Spiegati, non capisco."
"Immaginavo." sembrava stesse perdendo le speranze, ma sinceramente non riuscivo a capire che volesse da me.
"Senti, non ho tempo da perdere, quindi o parli, o me ne vado e lasciamo stare."
"Ok, calma!" alzò lo sguardo, poi disse "Più di preciso, non capisco cosa pensi di me."
"E quindi vuoi che te lo spieghi." tirai a indovinare.
"Già."
"E se non volessi?" chiesi con tono di sfida.
"Ti darei una lieve spinta e tu cadresti di sotto, spiaccicandoti al suolo."
"Tanto per cominciare penso che tu non abbia per niente rispetto della gente."
"Oddio, mica ti avrei spinta sul serio!" disse quasi scocciato, come se fosse ovvio che non lo avrebbe fatto.
"No, ma il cazzotto me lo hai dato. E lo sgambetto me lo hai fatto."
Abbassò lo sguardo.
"Credi che in questo modo avresti capito cosa penso di te?"
"No, io voglio sapere cosa pensi ora di me."
"Che sei un lurido coglione. Ecco che penso."
"Perchè non mi conosci."
"Mi spieghi dove vuoi arrivare con questa conversazione?" ora quella scocciata ero io.
Un attimo di silenzio, poi "Mi dispiace, per quello che ti ho fatto."
"Non me ne faccio nulla delle tue scuse." forse ero stata un po' troppo dura, ma sono fatta così. Io le cose le dico in faccia.
"Mi chiedo perchè ancora non ti ho buttata di sotto." disse guardandomi in cagnesco.
"So la risposta, se vuoi."
"Dai, spara."
"Perchè in fin dei conti non sei cattivo. Fingi soltanto. Hai una corazza addosso, perchè hai paura di cadere e di non avere un ancora a cui attaccarti. È per questo che fai il duro, perchè non vuoi che qualcuno lo faccia più di te. Hai paura che un giorno arrivi qualcuno che ti possa mettere i piedi in testa, e che tu possa crollare, affondare, andare sempre più giù, e non riuscire a tornare a galla. Hai paura di essere distrutto, per questo cerchi di distruggere gli altri."
Sgranò gli occhi, e subito dopo abbassò lo sgardo.
"Come fai a dire questo?" chiese con un filo di voce.
"Scusa?" chiesi per farmelo ripetere, non avevo sentito.
"Perchè dici così?" chiese più forte.
"Lo vedo nei tuoi occhi."
"C-come?" chiese stupito.
"Già, dai tuoi occhi si vede tutto. Si vede l'ira che cerca di nascondere la sofferenza, il bisogno d'aiuto, che nasconde una voragine facendola sembrare una piccola crepa."
Arrossì. Avevo centrato in pieno.
"Cazzate." disse lui giardando da un'alta parte.
"Certo." dissi con un tono di sarcasmo.
"Come vuoi tu." nascondendo un sorriso beffardo. "Comunque, non siamo ancora arrivati al punto."
"Ovvero?"
"Perchè ti comporti così?"
"Vale a dire perchè sono incazzata con te dopo che mi hai spaccato la faccia e mi hai quasi spezzato l'osso del collo?"
"Più o meno. Gli altri giorni non avremmo neanche litigato in classe."
"Sono cambiate delle cose." spiegai, sperando di non essermi spiegata abbastanza bene. Non volevo fargli capire cosa succedeva.
"Che genere di cose?"
"Problemi." risposi io, guardando un punto fisso nel vuoto.
"Vuoi parlarne?"
"Se tu mi parli dei tuoi." non mi andava di fargli leggere la mia storia se lui non mi faceva sfogliare le sue pagine.
"Lasciamo perdere, allora."
"Lasciamo perdere." gli feci eco.
"Hai da accendere?"
Gli tirai al volo il pacchetto di sigarette e l'accendino.
Avevo le idee parecchio confuse. Cosa voleva sapere davvero? Non penso che volesse sapere che genere di problemi avevo, nè cosa pensavo di lui.
"Che materia hai ora?" mi chiese all'improvviso.
"Matematica."
"Non ci vai?" cos'era tutto quest'interesse? Sinceramente parlare con Luke Hemmings non era il mio sogno nel cassetto.
"No." risposi disinvogliata. "Tu che avresti?"
"Inglese."
"Neanche te lo chiedo se ci vai." era raro vedere Hemmings o uno dei suoi amici a una lezione, quindi davo per scontato che la risposta fosse "no".
"Perchè ci stavi spiando prima?"
All'inizio non capii a cosa si riferisse, poi collegai.
"Non vi stavo spiando."
Mi lanciò un occhiataccia del genere "mi stai prendendo per il culo, vero?"
"Sul serio." risposi con fare innocente.
"E allora che stavi facendo?"
"Stavo andando in cortile per saltare l'ora di matematica, ma mentre uscivo ho visto te, Hood e Clifford, e ho sentito che litigavate, e il motivo del litigio ero io. Non potevo non ascoltare." dissi alzando le spalle.
Non ottenni nessuna risposta da Luke.
Si mise a sedere anche lui sul muretto, ma a qualche metro da me, e con la gambe a penzoloni.
"Grazie." disse passandomi le sigarette e l'accendino che gli avevo prestato prima.
"Prego."
Sentii la campanella suonare. Era già passata un'ora da quando ero venuta qui su trascinata dal ragazzo seduto accanto a me. Rimasi seduta là, a guardare le case più lontane dalla scuola che con i loro tetti di vari colori tingevano la città.
"Oggi hai davvero deciso di fare la trasgressiva?" mi chiese, inaspettatamente.
"Perchè?" chiesi confusa.
"Salti anche quest'ora?"
"Oggi non è giornata. Non ne posso più."
"È colpa mia?" chiese abbassando lo sguardo, forse sentendosi in imbarazzo, o forse in colpa.
"È di tutto."
"Se ti parlo di quello che mi è successo mi racconti cosa è successo a te?"
Fissai a lungo un punto nel vuoto, dalla parte opposta della scuola. Da qui si vedeva il parco vicino alla gelateria, e le case basse su due piani di questa zona di Sydney.
"Forse. Tu intanto comincia a raccontare."





NOTE DELL'AUTRICE :)
Ciao! :) sono tornata con un nuovo capitolo, spero che vi piaccia.
Qui succede un po' un casino. Luke in preda alla rabbia per l'accaduto in classe e in corridoio si vendica su Lola, un po' per soddisfazione personale, un po' per farle capire chi comanda. Ma poi succede qualcosa. Qualcosa che gli fa cambiare idea. Da una parte i sensi di colpa, dall'altra i suoi amici che lo spingono a ragionare, a fargli capire che quella povera ragazza non ha fatto nulla per meritarsi quel trattamento. Luke si accorge che Calum e Michael avevano ragione, e che alla fine Lola non era tanto male. Dopo aver parlato un po' Luke decide di potersi fidare di lei, di aprirsi, di parlare del suo passato con qualcuno che può capirlo. Cosa racconterà alla ragazza? Svelerà i fantasmi del suo passato? Cercherò di farvelo sapere il prima possibile ;) voi recensite, così posso sapere cosa ne pensate!
In fine volevo ringraziare Chamila, _sofiacaporale_ e JesyNelsonIsPerfect per le recensioni lasciate al 1º capitolo!
Bacii
~Vic

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Capitolo 3
*** Past is behind us. ***


"Ero piccolo. Avrò avuto massimo 6 anni. Vivevo con mamma e papà, come tutti gli altri bambini. Ma la sera la nostra casa si trasformava in un inferno. I vicini a volte si preoccupavano, per quello che sentivano. Mio padre era violento. Picchiava sempre sia me che mia madre. Per qualsiasi cosa: un parere diverso dal suo, un insignificante capriccio, una parolaccia partita per sbaglio, la stanchezza dopo una giornata pesante. Mia madre era quella che soffriva di più. La picchiava quasi tutte le sere. Cominciava con un'alzata di voce, poi con uno schiaffo, e da lì si scatenava l'inferno. Io mi andavo a rifugiare in camera, ma le pareti che mi dividevano da quella realtà non bastavano ad allontanarmela del tutto. Sentivo urla, pianti, botti, schiaffi. E a volte toccava anche a me. Bastava che chiedessi un gelato il pomeriggio per trovarmi davanti un uomo che mi urlava contro. Bastava che cadessi al parco e mi mettessi a piangere per beccarmi uno schiaffo in faccia. Poi un bel giorno mia madre si stufò di quella vita e se ne andò, lasciandomi con lui, con l'uomo che avrebbe rovinato la mia. Non glielo perdonai mai. Aveva avuto il coraggio di salvare la sua vita, ma non la mia. Lei se ne andò e non si fece più sentire, quindi io continuai a vivere con quell'uomo che non riconoscevo più come mio padre. Ormai ero rimasto solo io, quindi tutte le botte che non dava a mia madre le dava a me. Sono cresciuto tra schiaffi, botte, calci e pugni ogni sera, ogni fottuta sera. Non sono mai riuscito a mettermi in salvo da lui, a evitarmi quell'inferno. Ogni sera della mia vita le prendevo di santa ragione, e più diventavo grande più mio padre mi picchiava. Poi quando avevo circa 11 anni mi stufai di tutto quello che subivo per colpa sua, e provai a cambiare le cose. Uscendo da scuola non andavo mai direttamente a casa, ma mi fermavo da Ashton, o da Calum, o da Michael, e a volte avevo la fortuna di essere invitato anche a cena. Cercavo di stare a casa meno tempo possibile. In questo modo mi evitavo una buona dose di botte, ma non del tutto. Ho continuato a vivere così per un po', la casa dei miei amici era anche la mia praticamente. Adesso invece vivo soprattutto nel parco, per strada e al pub, e a casa torno solo la sera tardissimo, e la mattina esco presto, in modo da non incontrare quasi mai l'uomo con cui convivo." aveva la voce calma, parlava lentamente, quardando lontano, lo sguardo perso nel nulla. Forse non nel nulla, ma nei suoi ricordi, nel suo passato. Aveva le dita intrecciate appoggiate sulle gambe a penzoloni giù dal muretto, i piedi che toccavano appena le mattonelle per terra. Guardavo il suo profilo così preciso, il suo mento sottile, le sue labbra piegate in giù non troppo sottili, il suo naso sottile appena in su, i suoi occhi in questo momento spenti, ricoperti da una patina di ricordi da dimenticare, da cicatrici indelebili, da voragini profonde, da squarci irriparabili che ti solcano il cuore. Era perfetto, ma in questo momento su tutto il suo viso c'era un mantello di amarezza. Dopo qualche secondo di pausa a guardare lontano si girò verso di me.
"Hai sopportato tutto questo per così tanti anni?"
"Non ho potuto fare altro." rispose con amarezza.
"E tua madre? L'hai perdonata per averti abbandonato?"
"Come potrei?" disse di rimando spostando di nuovo lo sguardo in lontananza.
"Non ne ho idea." quasi bisbigliai, guardando anch'io lontano. "È per questo che sei così..." non sapevo come continuare.
"Impulsivo? Violento?" completò lui. "Sì, ho imparato a tenere sempre alta la guardia, a essere più forte di chi vuole esserlo con me."
"Ma io non ho mai detto nè pensato di voler essere più forte di te."
"Ma lo sei."
Lo guardai un attimo, rispose allo sguardo. "Ora parlami di te."
"Non mi sembra il caso, perdonami." dissi abbassando lo sguardo.
"Stronza." disse piano scendendo dal muretto.
"Scusa?" esclamai con una nota di incredulità nella voce.
Si stava allontanando quando disse "Non mi sarei dovuto fidare, lo sapevo."
Perfetto. Una persona mi affida le sue sofferenze, e io che reagisco in questo modo. Forse in lui c'era anche delusione.
Mi girai e mi sdraiai sul muretto, le gambe piegate, le mani sotto la testa, gli occhi rivolti verso il cielo.
Prima che si infilasse nella finestra per andarsene dissi piano "Mio padre è stato licenziato. Mia madre sta male. Sta per morire."
Non sentivo nulla, nessun rumore. Si era fermato a guardarmi.
"Quando lo hai saputo?" chiese incerto.
"Ieri sera l'hanno portata via." risposi sempre guardando il cielo.
"P-per questo oggi eri diversa dal solito?" chiese di nuovo con incertezza nella voce. Lo sentii scendere dal muretto con un piccolo salto, poi mettersi a sedere vicino a me.
Annuii appena, forse non se ne accorse neanche.
"Sai, in fin dei conti noi due siamo simili." disse Luke dopo un paio di minuti di silenzio.
"In cosa?"
"Per le nostre storie."
"Entrambi abbiamo sofferto e soffriamo ancora." dissi con un sorriso amaro.
"Però reagiamo in modi diversi."
"Già." affermai.
"Non hai mai pensato di cambiare per non affondare?" chiese con tono gentile, forse un po' curioso.
"No. Tu non hai mai pensato di cercare un'ancora per non affondare?"
"No. Le ancore all'inizo ti tengono, ma poi ti portano giù con loro."
"Forse hai provato le ancore sbagliate."
"Forse."
Rimanemmo in silenzio per un po', non so quanto di preciso.
"Perchè prima hai detto 'entrambi abbiamo sofferto'? È successo qualcosa anche a te?"
Sospirai, poi "Mia madre andò in coma quando avevo 12 anni. A quel tempo pensavo che non si sarebbe più svegliata." 
Silenzio. Ora c'era solo il silenzio. Non il silenzio che dà una sensazione di vuoto, ma quello che dà una sensazione di menti che pensano, che immaginano come andare avanti, come sopravvivere, come non essere trascinati sul fondo da un'ancora.
Eravamo lì in silezio, io sdraiata a guardare il cielo, lui seduto a guardare l'orizzonte.
La sua voce spezzò il silenzio che si stava facendo un po' pesante.
"Posso farti una domanda?" chiese gentilmente. Era strano sentirlo con quella voce. Di solito non parlava molto, ma quando parlava era incazzato o annoiato, quindi la sua voce era abbastanza cupa, per così dire.
"Dipende."
"Ti ho fatto male, oggi?"
"Oggi quando?"
"In tutti e due i casi..."
"Il pugno non mi ha fatto molto male, più che altro ero talmente incazzata da non accorgermene. La rotolata giù per le scale mi ha un po' indolenzita, ma poteva andarmi peggio."
"Mi dispiace, davv..." non fece in tempo a finire la frase.
"Prima Clifford mi ha detto una cosa a cui all'inizio non ho dato peso."
"Cosa?" chiese curioso.
"Non sai cosa ha passato." mi tirai su, per guardarlo negli occhi. Stava ancora guardando l'orizzonte. "Si riferiva a te." e a queste parole si girò a guardarmi. I suoi occhi azzurri nei miei occhi verdi. "E lì per lì gli ho risposto che non mi interessava. Solo ora capisco cosa intendeva."
Continuava a guardarmi negli occhi, e io reggevo il suo sguardo. Ricominciò a guardare l'orizzonte quando mi disse "Non è colpa mia. Io vorrei cambiare, ma non ci riesco." con frustazione nella voce. Voleva davvero cambiare.
"Se ti va, possiamo provare a cambiare insieme." dissi quasi in un sussurro.






NOTE DELL'AUTRICE
Ei! :) questo capitolo mi è piaciuto molto. Lo so che è corto, ma secondo me è molto importante, influirà molto sulla storia, non solo perchè tratta del loro passato, ma per il solo fatto che hanno deciso di fidarsi l'uno dell'altra. Come avete visto entrambi hanno avuto un passato difficile e pieno di momenti bui, ma come si puo bel notare reagiscono in modi diversi. Uno è chiuso in se stesso, poco fiducioso, frustato con il mondo, allontana chiunque possa indebolirlo, l'altrà è fragile, si lascia condizionare, si lascia distruggere, si fa passare tutto addosso.
Con questa conversazione si sono aperti e conosciuti meglio, hanno chiarito in seguito all'accaduto del giorno stesso, e forse sono pronti ad aiutarsi a vicenda.
Prima di andare via due cose:
1. Grazie mille a _sofiacaporale_ , Chamila, e 5sossaveme che hanno recensito il capitolo precedente e mi hanno fatto sapere cosa ne pensano
2. Lettrici fatevi sentire! Tutte voi che leggete, recensite e ditemi come vi sembra la storia, così posso anche capire se ci sono delle falde :)
Concludo qui, quindi baci e alla prossima!
~Vic

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Capitolo 4
*** Afternoon together. ***


"Senti, questa sera io e gli altri usciamo. Mi chiedevo se ti andasse di venire con noi." disse il biondo accanto a me mentre percorrevamo il corridoio del terzo piano per uscire dalla scuola.
La proposta mi sembrava insolita, ma accettai.
"Va bene. Dove devo venire?"
"Ti passo a prendere io. Ok?"
"A che ora?"
"20.30?"
"D'accordo." risposi sorridendo.
"Ora mi devi solo far vedere dove devo venirti a prendere."
"Alexander Street 9. Se ti va di accompagnarmi ti faccio vedere la strada."
"Certo." annuì sorridendo.
"Questo ragazzo è davvero strano" pensai tra me e me.
Oggi erano successe tantissime cose, che sinceramente mi avevano un po' scombussolata. Mia madre era praticamente in fin di vita, e questo già mi aveva buttato il morale in mezzo a un'autostrada, poi Hemmings mi aveva dato un cazzotto in faccia e mi aveva buttata giù dalle scale, e anche questo non aveva contribuito a migliorare la giornata, ma poco dopo aveva deciso di essere davvero se stesso con me, mi aveva permesso di aiutarlo a non distruggersi, e ora mi stava accompagnando a casa per poi uscire con me la sera. Perchè la mia vita non era tranquilla e lineare come quella delle altre ragazze? Me lo chiedevo sempre.
Uscimmo dalla porta principale della scuola e scendemmo i cinque scalini su cui poco fa Hemmings stava litigando con Hood e Clifford. Rivedo ancora quelle immagini vivide nella mia mente.
Ormai la scuola era deserta, erano rimasti solo i bidelli e forse qualche prof in aula professori.
Attraversammo lo spiazzo all'aperto davanti alla scuola e uscendo dal cancello dalle sbarre di ferro tinto di nero vidi Alex con i suoi amici.
"Ehy Alex!" la salutai. Lei si girò e mi rivolse un sorriso. Cavolo se era bella. Capelli lunghissimi e biondi, occhi verdi come un bosco in primavera. Era alta, magra, con i tratti del viso bellissimi, semplici, con il naso in su, le guance rosate, le labbra sottili distese in un sorriso. 
"Che fine hai fatto? A matematica non c'eri, ti ho aspetta per venti minuti, poi sono venuta via con loro!" disse indicando con in pollice i ragazzi alle sue spalle.
"Ero sul terrazzino."
Solo a quelle parole sembrò accorgersi del ragazzo qualche centimetro dietro di me, e a quel punto sgranò gli occhi.
"Possiamo parlare un attimo? Possibilmente da sole." disse lanciando un'occhiataccia a Luke che, vidi voltandomi un attimo, stava con lo sguardo abbassato, facendo finta di nulla.
"Ehm, va bene." le risposi fulminandola con lo sguardo.
Alex mi afferò per un braccio e mi portò dal lato opposto della strada, sull'altro marciapiede, poi mi spinse dietro un albero in modo che non ci potessero vedere.
"Ma che ti prende?" bisbigliò isterica.
"Forse la domanda giusta è cosa prende a te!" urlai involontariamente.
"Non urlare!" disse ancora bisbigliando. "Mi dici cosa ti salta in mente? Perché sei uscita con lui da lì? E perché non c'eri a matematica?"
"Non capiresti." le risposi abbassando lo sguardo. Mi dispiaceva risponderle in questo modo, ma era così.
"Spiegamelo allora, perchè è vero, non capisco, sinceramente!"
"Non saprei neanche come spiegarti! Penseresti che sono una matta!"
"Ma tu sei matta! Quel ragazzo è pericolosissimo, e non far finta che non sappia che ti ha picchiata!"
"C'è un motivo se lo ha fatto, ma ha chiesto scusa, e io l'ho perdonato! Tra l'altro non è cattivo come pensi tu! Ha passato gli stessi guai che sto passando io!"
"Ma guarda caso lui picchia la gente, tu non fai proprio niente! Quel ragazzo è pericoloso! E lo stesso vale per i suoi amici!"
"Te l'ho detto che non avresti capito!"
Stavamo entrambe urlando, scommetterei un occhio della testa che ci avessero sentite tutti, dai suoi amici, a Luke.
"Senti, non ti devi intromettere nelle mie faccende! Ok?" continuai io.
"Certo, poi quando ti ritrovi con un coltello nello stomaco però non ti pentire delle tue azioni!"
"Perfetto."
"Perfetto." fece eco lei.
"Ora dovrei andare." dissi dandole le spalle e cominciando a camminare con passo spedito.
"Vattene, ma poi non tornare quando ti servirà aiuto."
Neanche le risposi, ero troppo infuriata con lei. Possibile che non capisse? Come come tutti gli altri avesse una benda sugli occhi? Perché era così ostinata da non capire che in quel ragazzo le uniche cose negative erano la malinconia e la frustrazione?
Ritornai davanti al cancello della scuola, ma solo a quel punto mi accorsi che Luke non c'era più. E ora dov'era andato?
Rientrai nella scuola e girai a destra per andare in cortile. Arrivata sullo spiazzo con le mattonelle di cemento verde sbiadito mi guardai intorno, guardai anche dietro agli alberi, ma nulla, non c'era. Pensavo che potesse essere lì.
Allora entrai dentro l'edificio dalla porta secondaria e cominciai a correre in tutti i corridoi lanciando un'occhiata dentro ogni classe per vedere se c'era Luke. Al piano terra non lo trovai, provai anche nei bagni, ma non c'era. Così provai al piano di sotto dove c'erano i laboratori e l'aula video, ma non stava neanche lì, quindi risalii e andai al primo piano, poi al secondo, e in fine al terzo quando non lo trovai da nessuna parte. L'ultima speranza che avevo era di trovarlo nell'unica aula del terzo piano o al terrazzino. Percorsi il corridoio, ormai senza correre. Avevo il fiatone grosso per tutte le scale che avevo fatto correndo. Entrai nell'aula con la porta chiusa, la attraversai e mi infilai nella finestra rotta. Allungai un piede e lo poggiai sul muretto, poi saltai giù. Luke era lì, seduto sul muro, con le gambe a penzoloni e sopra appoggiate le mani intrecciate. Aveva lo sgaurdo perso nel nulla, la testa china. I piedi dondolavano a più di 15 metri di altezza, sotto di lui la scuola silenziosa.
"Vattene." disse piano, ma in modo che lo sentissi. Non mi aveva vista, non aveva distolto un attimo lo sguardo da quello che stava guardando. Mi aveva solo sentita.
"No."
"La tua amica ha ragione. Io sono pericoloso, non dovresti parlarmi, tanto meno passare del tempo con me." non era arrabbiato, era solo triste, forse deluso da se stesso.
"Hey, non mi interessa cosa pensa lei di te." gli dissi con tono gentile sedendomi accanto a lui.
"Dovrebbe invece." disse ancora senza guardarmi.
"Senti, io non penso che tu sia cattivo o pericoloso, penso solo che tu sia una persona buona a cui sono capitate cose cattive. Tutto ciò non è colpa tua."
"Lo dici solo perchè non mi conosci bene."
Qualche secondo di silenzio, poi dissi "Sai, Michael mi ha detto completamente l'opposto. Questa mattina, quando ero incazzata con te mi ha detto che reagisci sempre in quel modo..." ma non mi diede il tempo di finire la frase. "Appunto! È questo il problema! Faccio schifo, sono un mostro."
"Fammi finire. Mi ha detto anche che reagivi così e che potevi non sembrare una persona per bene solo perchè non sapevo cosa hai passato." A queste parole si girò a guardarmi. "Te l'ho già detto, se ti va, possiamo cambiare insieme, possiamo lasciarci alle spalle il nostro passato, possiamo migliorare."
"Non funzionerebbe."
"Perchè dici così?" chiesi incredula.
"Se neanche ci provi è ovvio che non otterrai risultati!"
"Io... Penso che sarebbe solo tempo sprecato."
"Non puoi saperlo."
"Posso farti una domanda?" chiese abbassando di nuovo lo sguardo.
"Spara."
"Dove la trovi tu la forza per andare avanti? Per cercare il lato buono oltre che in te anche in me? Non è già abbastanza difficile trovare quello che è in te?"
"Sinceramente non lo so, ma mi dispiace vedere la gente crollare come un castello di carte, e a volte per evitare questa sorte agli altri la causo a me."
"E accetti tutto questo?"
"Se è per una buona causa, sì."
"E io sono una buona causa?"
"Sì."
"Wow." disse dopo qualche secondo di silenzio.
"Wow cosa?"
"Io... Non lo so... Nessuno ha mai cercato di aiutarmi." Mi guardò un attimo negli occhi, poi sussurrò un "Grazie".
"Di niente. Mi fa piacere."
"Non ci credo."
"Perchè mai?"
"Non può farti piacere aiutarmi."
"E invece sì. Voglio dimostrarti che in te c'è qualcuno che tuo padre ha nascosto, c'è un ragazzo come tanti altri, che esce il pomeriggio, che ride con i suoi amici, che la sera va in discoteca, che si innamora, che si diverte, che aiuta gli altri invece di essere aiutato."
"Tu dici che in me possa ancora esistere qualcuno del genere?" con un barlume di speranza nelle iridi azzurre.
"Ne sono sicura."
I suoi occhi erano puntati nei miei, e li stavo guardando bene. Erano di un azzurro acceso, brillante, non quello che avevo visto prima, cupo e tenebroso. Era limpido, splendente. C'era emozione in quegli occhi che avevano sofferto a lungo, senza una pausa. C'era speranza in quegli occhi che per anni avevano visto solo la sofferenza. C'era una scintilla di gioia in quegli occhi che forse avevano finalmente trovato la pace.
"Andiamo, dai." dissi alzandomi e saltando giù dal muretto. Luke mi seguì a ruota. Presi la borsa con i libri che avevo appoggiato per terra e andai verso la finestra. Sentivo i passi del biondo dietro di me. Risalii sul muretto e mi intrufolai nella finestra rotta. Nel percorso dall'aula del terzo piano a fuori dal cancello della scuola nessuno parlò, poi io chiesi "Mi parli un po' di te?"
"Ti ho già detto tutto quello che c'è da dire su di me."
"Non è vero. Parlami del te... Di quel te nascosto."
"Non saprei da dove cominciare. Parlami prima tu della tua te nascoasta."
"Vediamo... Sono Lola Walker, ho 16 anni, sono nata a Sydney il 31 di ottobre..."
"Davvero sei nata ad Halloween?" mi interruppe ridendo.
"Eh già." risi.
"Ok continua." disse con un cenno della testa.
"Amo la musica, amo leggere, amo l'ippica ma non faccio equitazione e mai la farò..."
"Perchè no?" mi interruppe di nuovo.
"Non fa per me."
"Va bene, continua."
Mi guardava come se fossi la pagina di un libro di scuola da imparare a memoria per l'interrogazione, come se tutte le informazioni che uscivano dalla mia bocca fossero date storiche importantissime, anche queste da imparare a memoria. Questa cosa mi metteva un po' in soggezione.
Intanto continuavamo a camminare verso casa mia.
"Mmm... Da piccola invece di giocare con le bambole le distruggevo." dissi ridendo.
Luke scoppiò in una risata. Era bellissima, perchè era vera, spontanea.
"Davvero? Come facevi?" chiese continuando a ridere.
"Prendevo del bicarbonato, dell'aceto, e li mischiavo in un piatto o in un bicchiere. Questi cominciavano a frizzare e quando ci mettevo dentro la bambola di plastica questa cominciava a sciogliersi."
"Santo cielo, tu sei un genio del male."
Adesso io scoppiai a ridere.
"Poi non so, che altro vuoi che ti dica?"
"Mmm... Colore preferito?"
"Azzurro. Il tuo?"
"Non lo so, non ci ho mai pensato"
"Pensaci ora."
Un attimo di silenzio, poi disse "Il nero. Credo il nero."
"Ok. Che altro ti devo dire?"
"Non lo so, quando mi viene in mente qualcosa te la chiedo."
"Va bene, allora adesso parla tu." dissi sorridendo.
A questa frase sembrò un po' sperduto, come se non sapesse da dove cominciare, come se non sapesse chi è davvero.
"Ehm... Sono Luke Hemmings, ho 17 anni, sono nato a Sydney il 16 luglio e... Non so che altro dire." sembrava deluso di essere riuscito a dire solo queste cose.
"Passioni?"
"Mai avute."
"Ok, ti aiuterò io a scoprirle."
Mi rivolse un sorriso.
Girammo in Dudley Street.
"Siamo quasi arrivati."
"Allora non è difficile arrivare, dai. Basta fare un pezzo di St Pauls Street e poi tutta Dudley Street, no?"
"Dudley Street non devi farla tutta, poco dopo la seconda rotonda c'è Alexander Street, e io abito lì."
"Ah, capito." disse annuendo.
"Tu invece dove abiti?"
"Io non abito." disse abbassando la testa e puntando lo sguardo per terra. Avevo toccato un tasto dolente per Luke, quindi per parlare d'altro dissi "Dove andiamo sta sera?"
"Poi vedrai" rispose con un sorriso beffardo.
"Almeno mi dici come devo vestirmi?"
"Quindi per te è questo il problema? Non sai come vestirti?" chiese ridendo.
Sbuffai. "Quante storie che fai. Dimmi dove andiamo che fai prima."
"Puoi vestirti come ti pare, non sono necessari tacchi e vestito."
"Ok. Era tanto difficile?" Ridemmo entrambi.
La gente aveva un parere completamente sbagliato di Luke Hemmings. Sotto sotto non era male, era un ragazzo come gli altri, bisognava solo riuscire a conoscerlo. Diciamo che conoscerlo era la parte più difficile visto che tendeva ad allontanare chiunque, e di conseguenza gli altri neanche ci provavano a farselo amico, ma sotto quello sguardo duro, sotto quei vestiti neri, sotto quella pelle fredda c'era un ragazzo che aveva voglia di ridere. Ora il mio compito era quello di tirare fuori quel ragazzo che con il tempo si era fatto sempre più piccolo dentro l'armatura che si era creato per difendersi. Sarebbe stato difficile tirarlo fuori, ma non per questo non ci avrei provato.
"Di quà." dissi indicando con una mano la traversa. Camminammo lungo la salitella, se così si può chiamare, poi mi fermai davanti al numero 9 e tirai fuori le chiavi di casa dalla borsa.
"Ti va di entrare?"
"Se non disturbo..."
"No, tranquillo, mio padre torna tardi sta sera, prima vuole passare in ospedale." Forse non avrei dovuto accennare all'ospedale, perchè fece una faccia dispiaciuta.
"Dai, entra." dissi aprendo la prota di casa. Era una piccola casa su due piani, come le altre su questa strada. Davanti alla porta c'erano degli scalini di mattone rosso e intorno il prato. Intorno alla casa con le pareti bianco crema e il tetto spiovente di mattoni grigi c'era un piccolo giardino sopra al microscopico garage che si insinua sotto la casa dando sulla strada e che fa da pavimento per il giardino. Accanto alla casa c'era un bellissimo albero che faceva ombra su cui mi arrampicavo sempre quando ero piccola.
"Sicura che non disturbo?" chiese Luke titubante.
"Certo! Dai, vieni." gli feci cenno di entrare.
"Per prima cosa ti aiuterò a farti essere più sicuro di te stesso, a non farti sentire fuori posto."
"Ma io sono fuori posto."
"Non è vero. Ti ci rendi dicendo così. Perchè dovresti essere fuori posto?" chiesi dirigendomi verso l'angolo cottura. Presi il pane dalla busta di carta sul tavolo. "Aspetta, prima dimmi cosa ci vuoi nel panino."
"In quale panino?"
"In quello che ti sto preparando per pranzo." dissi come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
"Non ti disturbare, non ho fame."
"Su, dimmi che ci vuoi dentro." insistetti.
"Quello che c'è va benissimo." disse sbuffando.
Aprii il frigo e lanciai uno sguardo dentro.
"Ti piace il tonno?"
"Sì." rispose alzando le spalle. "Ma te l'ho detto, non devi preoccuparti."
"Lo vedi come sei? Non ti importa niente di te! Perchè?"
"Mio padre è da quando sono piccolo che mi disprezza e mi insegna a disprezzarmi."
"Ma non va affatto bene questo." dissi tagliando i due panini e riempiendoli di tonno sott'olio. "Così contribuisci molto nel distruggere il ragazzo solare che è ancora in te."
"Parliamo di te per una volta." disse sedendosi sullo sgabello girevole accanto al tavolo della cucina. "Come fai ad essere sempre così disponibile verso gli altri?"
"Te l'ho detto, preferisco passare sopra ai miei di problemi per aiutare gli altri con i loro."
"Ma perchè?"
"Perchè i miei mi hanno sempre insegnato così."
"In che senso?"
"I miei genitori sono sempre state persone molto gentili, e mi hanno cresciuta con la gentilezza," dissi passandogli il panino su un piatto di plastica e mettendomi a sedere daventi a lui, dall'altra parte del tavolo. "e quindi anche io ho assunto uno degli strani aspetti della gentilezza, credo. Diciamo che io metto sempre gli altri prima di me." mi stava ascoltando concentrato. Addentai il mio panino, poi ricominciai a parlare. "Non so come spiegartelo. Se per esempio ci fosse l'ultima dose di una certa medicina per curare una grave malattia, e sia io che te fossimo affetti da questa malattia terminale, sicuramente farei prendere a te quella dose per farti vivere, e io ne farei a meno."
"Ma allora non sei coerente." intervenne Luke mangiandosi un pezzo del suo panino. "Dici a me di avere più considerazione di me stesso ma poi sei la prima a non averne di te stessa."
"Perchè preferisco che tu ne abbia di te stesso. È un ragionamento strano, lo so."
"Tu davvero lo faresti?"
"Cosa?"
"Quello che hai detto prima."
"Lo sto già facendo."
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, il tempo di finire di mangiare.
"Che ti va di fare?" chiesi togliendo i piatti da tavola e buttandoli al secchio.
"Non lo so. Qualche idea?"
Pensai un attimo, poi "Sì, seguimi."
Uscii fuori di casa e sentii i passi di Luke che mi seguiva. Uscita dalla porta girai a sinistra e attraversai quel piccolo pezzo di prato. Arrivata al limite del giardino presi una piccola rincorsa e saltai, attaccando le mani a un ramo abbastanza orizzontale del grande albero che dalla strada arrivava fino nel giardino. Sollevati i piedi da terra tirai su le gambe e le misi con uno slancio sul ramo a cui ero attaccata con le mani e piano piano mi tirai su, poi mi misi in piedi in equilibro sul ramo e dissi a Luke "Dai, sali!" con un sorriso sulle labbra. Poi mi girai e cominciai ad arrampicarmi sui rami più alti. Sentii il ramo su cui mi ero arrampicata prima muoversi, e capii che stava salendo anche il biondo. Continuai ad arrampicarmi, finchè non trovai un ramo abbastanza comodo e resistente per poterci stare entrambi.
"Quante volte al giorno ti arrampichi, scimmietta?" chiese Luke ridendo e cercando di stare in equilibrio sul primo ramo, quello più basso.
"Veramente qui sopra non ci salgo da qualche anno" risposi ridendo. "Al contrario, mi sa che tu non ti sei mai arrampicato su un albero, vero?"
"Non ne ho mai avuto l'occasione."
"Bene, adesso ce l'hai, quindi muoviti e vedi di non cadere che poi mi tocca portarti all'ospedale." ridemmo entrambi.
Dopo poco arrivò anche lui sul ramo da cui si vedevano tutti i tetti delle case intorno a noi. Ci sedemmo uno accanto all'altro, poi dissi "Sul serio, stai attento a non cadere che poi è colpa mia" ridendo.
"Non mi faccio male per così poco" ribattè scherzando.
"Come vuoi tu, ma poi non lamentarti quando io non ti porterò all'ospedale e dovrai cavartela da solo."
"Tranquilla, me la caverò da solo, come sempre." all'improvviso il sorriso se ne andò dalle sue labbra.
"Hey, stavo scherzando." dissi subito sperando di rimediare.
"Lo so." rise, però non mi sembrava lo stesso sorriso di poco prima, sembrava più spento. "Da quant'è che vieni qua sopra?" mi chiese un attimo dopo.
"Da quando sono piccola, ma non so dirti da quanto di preciso. Qui ci venivo sempre per leggere. Mi mettevo su uno dei rami e rimanevo quà sopra a leggere i miei libri."
"Cosa ti piaceva leggere?"
"Un po' di tutto, soprattutto i fantasy però, e li adoro tuttora." risposi sorridendo. "Tu cosa facevi di solito quando eri piccolo?"
"Di solito andavo a Hyde Park con mia madre, e a volte veniva anche mio padre. Mi divertivo, quando mio padre non mi picchiava. E poi a volte andavamo al chiosco, e quando mio padre non c'era mia madre mi comprava il gelato. Poi sai già cosa successe, e non feci mai più nulla di divertente, o che almeno mi piacesse quanto andare al parco con mia madre."
"Capisco." abbassai lo sguardo "Mi è venuta un'idea!"
"Dimmi."
"Seguimi!"
Saltai abilmente giù dall'albero e corsi dentro casa. Presi al volo qualche moneta dalla borsa poi presi le chiavi dal mobiletto vicino alla parta e uscii di casa. Diedi una mandata per chiudere e afferrai Luke che si stava avvicinando per un polso trascinandomelo dietro. Scesi velocemente gli scalini e Luke mi fece "Hey! Dove stiamo andando?"
"Zitto e seguimi." risposi con un sorriso. Andai a destra, su per la salita, e quando eravamo quasi arrivati chiesi "Da quant'è che non prendi un gelato?"
"Dall'ultima volta che l'ho preso con mia madre. Perchè?" mi rispose cercando di non inciampare. Lo stavo ancora trascinando.
"Per questo." dissi fermandomi davanti alla gelateria all'incrocio. Mi guardò sorridendo.
Entrai, e il biondo mi seguì.
"Buonasera. Cosa posso darvi?" chiese cortesemente il gelataio.
"Due coni. Uno cioccolato e zabaione e l'altro... Come lo vuoi Luke?"
"Lo stesso." disse accennando un sorriso.
"Perfetto, ecco a voi." sorrise l'uomo dietro al bancone porgendoci due coni bianchi e neri. Posai i soldi sul bancone e presi e gelati, passandone uno a Luke. Uscendo dalla gelateria diedi un pugno leggero sulla spalla del biondo.
"Che copione che sei!"
"Ehy, io prendevo quei gusti molto prima che cominciassi a prenderli tu!"
"Che ne sai?"
"Te lo dico io!" disse rispondendo al pungno con una pacca sulla schiena. "Li prendevo sempre al chiosco, erano i miei preferiti."
"Quindi lo sono anche ora?"
"Non lo so, penso di sì. È da tanto che non prendo un gelato."
Ci gustammo il cono tornando a casa. Presi il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni per guardare l'ora. Erano già le 16.30, ma non avevo idea di quanto tempo avessimo passato a scuola prima di tornare a casa.
"Che ti va di fare?" chiesi a Luke aprendo la porta di casa.
"Non lo so, decidi tu." rispose con un lieve sorriso sulle labbra.
Quando rideva era davvero bello, era spontaneo, naturale, e i suoi occhi prendevano un altro aspetto, senza le ombre del suo passato a incupirli. Mi sarebbe piaciuto vederlo più spesso così.
"Non lo so neanche io, per questo te lo chiedo." accennai un sorriso.
"Che possiamo fare?"
"Boh, non saprei..." dissi alzando le spalle mentre andavo in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. "Vuoi?" chiesi indicando la bottiglia.
"No, grazie."
"Vediamo... Possiamo guardare un film."
"Va bene! Che film hai?"
A quella domanda andai in salotto verso il mobiletto di legno nero con sopra la televisione e aprii gli sportellini per leggere i titoli dei film al suo interno.
"Ti piacciono gli horror, vero? Aspetta, prima di rispondere sappi che devi dire per forza di sì." dissi ridendo appena.
"Ehm, sì. Penso che la risposta sia sì." disse ridendo anche lui. Venne verso di me e si chinò per vedere il film che c'erano. "Aspetta, perché avete solo film horror?" chiese perplesso.
"Non fare domande delle quali non gradiresti la risposta." dissi ridendo, con una nota interrogativa nella voce.
A quella risposta scoppiò a ridere. Perché la gente diceva di Hemmings cose così negative? È vero, all'apparenza poteva sembrare un ragazzo scorbutico e per niente socievole, ma non era affatto così! Con lui stavo passando un bellissimo pomeriggio, ci stavamo divertendo, stavamo ridendo tanto, stavamo bene. I commenti della gente erano assolutamente infondati, ma perché Luke non faceva nulla per fargli cambiare idea? Non lo so, forse il suo obbiettivo era proprio essere scansato e temuto dagli altri. Gli avrei fatto cambiare idea.
"Insomma, cosa vuoi vedere?" chiesi con finta impazienza.
"È uguale, scegli tu, basta che faccia molta paura."
"Ma almeno ti piacciono gli horror?"
Abbassò lo sguardo. "Non lo so, ma di certo mi piace la paura."
"Va bene, allora sceglierò il più pauroso!"
Mi sedetti sui talloni e lessi i titoli dei film impilati uno accanto all'altro. Feci scorrere l'indice sulle scatole dei dischi e mi fermai quando trovai quello perfetto. Aprii con il telecomando il lettore DVD e feci partire il film. Intanto Luke era rimasto lì, in piedi, a guardarmi.
"Siediti." dissi indicando con un cenno della testa il divano davanti alla TV. Si andò a sedere e io lo seguii. Mi sedetti accanto a lui con le gambe incrociate, poi mi venne in mente un'idea.
"Ma aspetta!" esclamai. "Dobbiamo fare atmosfera!" dissi scattando in piedi e andando a chiudere le finestre per fare buio. Quando mi rimisi seduta Luke si mise a ridere. "Dai, fai partire il film." disse ancora ridendo. Io premetti sul tasto "play" e il film partì.
Si vide una bambina sdraiata in un letto d'ospedale, ma questa all'improvviso scattò su, e solo a quel punto si vide il suo viso color della cenere, la sua pelle grinzosa, i suoi occhi completamente bianchi e venati di rosso. Io sobbalzai, invece Luke si mise a ridere, ma sinceramente non capivo cosa ci trovasse di tanto divertente, poi disse "Santo cielo, ma sembra che l'abbiano lessata!" ridendo.
A quel punto risi anch'io. "Come ti saltano in mente certe cose?"
"Non lo so, è solo l'impressione che mi dà." Ridemmo entrambi.
Andammo avanti così per il resto del film, a fare battute invece di incoraggiarci a non avere paura, e a ridere invece di tremare terrorizzati, finché non sentii delle chiavi girare nella serratura e la porta di casa si aprì. Entrò mio padre, madido di sudore, con il fiatone, e ansimante.
"Che succede, papà?" mi allarmai.
"Tua madre..." si interruppe cercando di respirare. Era appoggiato alla porta, con una mano sul petto.
"Papà, parla!" esclamai preoccupata alzandomi in piedi per andargli incontro. Aspettavo con ansia che finisse la frase. Cosa era successo a mamma? Sicuramente niente di buono. Mi si formò un groppo in gola e sentii un nodo allo stomaco.
"È peggiorata..." prese di nuovo aria. "Dobbiamo correre in ospedale."
Cielo, che poteva essere successo? Il cuore mi martellava a mille nel petto, la disperazione prese il sopravvento e senza accorgermene smisi di respirare. Mi mossi solo quando sentii la mano di Luke posarmisi sulla spalla.
"Mi dispiace Luke per aver rovinato tutto, davvero. Torna a casa, ci sentiamo domani."
"Scherzi? Vengo con te."
Cosa? Lo guardai negli occhi stupita. Non mi aspettavo neanche questo.
"Ok, allora sbrighiamoci. Poi mi presenterai il tuo... Amico." ci interruppe mio padre.




NOTE DELL'AUTRICE :)
Buonasera gente! Perdonatemi per il ritardo ma ho avuto pochissimo tempo a causa di tutte le verifiche e le interrogazioni degli ultimi giorni a scuola T.T perdonatemi ahaha
Ok passiamo alle cose serie lol in questo capitolo Lola e Luke continuano a conoscersi, sempre di più, e Lola fa capire al biondo che può fidarsi di lei, che in qualsiasi caso lo aiuterà, nonostante i suoi problemi. Ma, come avrete capito, i problemi non possono mai non esserci, infatti la madre della ragazza si è aggravata, e il piacevole pomeriggio che stava trascorrendo con Luke è andato a monti, poverina :(
Nel prossimo capitolo scoprirete cosa succederà in ospedale, e spero di non impiegare troppo nel pubblicarlo. Intanto spero che questo vi piaccia :)
Alla prossimaa
~Vic

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Capitolo 5
*** I'll stay with you ***


Corremmo fuori e salimmo velocemente in auto. Papà mise in moto e partimmo alla velocità della luce. Io ero spiaccicata sul posto dietro accanto a Luke, le dita che stringevano fortissimo il tessuto che ricopriva i sedili.
"Stai tranquilla, Lola." sentii Luke posare la sua mano sulla mia. Io senza pensarci la afferrai e la strinsi. Eccolo, adesso era lui la mia ancora. Solo lui poteva tenermi a galla in questo momento.
"Scusa." dissi lasciandolo velocemente quando mi accorsi che gli stavo stritolando la mano sinistra.
"Di niente." rispose un po' perplesso, forse senza capire il motivo preciso delle mie scuse.
Avrei voluto scoppiare in lacrime, buttare fuori tutta l'angoscia dentro di me che mi stava lentamente divorando, ma non lo feci, per me, per Luke, per papà, per mamma. Dovevo essere forte.
Cominciai a picchiettare a ritmo il piede per terra, cercando qualcosa da fare mentre quei pochi ma lunghissimi e interminabili secondi scorrevano. Smisi solo quando davanti a noi si stagliò il grande ospedale grigio. Non aspettai neanche che mio padre si fermasse del tutto per aprire lo sportello e scendere dalla macchina. Luke e papà mi seguirono a ruota.
Entrai velocemente dalla porta principale e tutti si girarono a guardarmi.
"Di là!" esclamò mio padre indicando la rampa di scale alla mia destra. Salii rapida gli scalini due a due, finché ansimante non arrivai in cima, seguita da mio padre che aveva un'aria preoccupatissima sul volto, e Luke, che sembrava preoccupato quasi quanto noi. Mio padre mi superò con passo svelto e deciso, guidandoci verso la stanza in cui era stata spostata mia madre.
Ci fermammo davanti alla porta giusta, e sentii la mano di Luke cercare la mia, e io gliela strinsi. Sapevo che capiva benissimo quello che stavo provando, quello a cui pensavo.
Un dottore si avvicinò a noi e chiese con fare annoiato "Chi state cercando?" proprio mentre mio padre stava appoggiando la mano sulla porta per aprire.
"La signora Walker. Siamo il marito e la figlia."
"E il ragazzo?"
"Un suo amico." disse indicandomi con un cenno della testa.
"Va bene. Comunque non potete entrare."
"Cosa?!" esclamai quasi urlando. Prima mi dicevano che mia madre stava più male di prima e poi non me la facevano neanche vedere? No. Avevo assolutamente bisogno di rendermi conto con i miei stessi occhi di quanto stesse male.
"È peggiorata troppo, non può ricevere visite per ora, ma appena ci saranno notizie vi avvertiremo."
Sentii la mano del biondo stringersi più salda intorno alla mia, come per tenermi meglio, per non farmi scivolare lontana da lui.
"Va bene, aspetteremo qui allora." si arrese mio padre.
"No!" intervenni con la rabbia e il dolore negli occhi, le lacrime che mi offuscavano la vista. "Io ho bisogno di vederla!"
"Mi dispiace, ma non è nelle condizioni di incontrare nessuno."
"Ma io sono la figlia!" insistetti con prepotenza. Sentii la mano di Luke stringersi ancora di più.
"Dai Lola, lascia stare. La vedremo domani." intervenne mio padre con il dolore che invadeva il suo sguardo come un'onda invade la spiaggia.
Non potevo crederci. Anche lui si arrendeva così facilmente. Possibile che non avesse neanche un po' di desiderio di vedere come stava la mamma?
Ero rimasta immobile, rigida, gli occhi fissi per terra, le braccia lungo i fianchi, i pugni serrati e la mano sinistra chiusa intorno a quella di Luke. Sentivo gli occhi pizzicarmi, bruciare come se qualcuno mi ci avesse messo dell'alcol invece del collirio. Non potevo piangere, non potevo permettermelo. Specialmente se dovevo aiutare Luke. Adesso il mio compito era quello di aiutarlo, non potevo mostrarmi debole. No, non potevo. All'improvviso sentii un braccio cingermi le spalle. A quel punto mi ripresi dai miei pensieri e mi accorsi che era stato Luke. Rimasi un attimo ferma, come in standby, poi senza pensarci gli lasciai la mano per buttargli le braccia al collo. Rimase un attimo spiazzato, non si aspettava una reazione del genere, ma senza pensarci troppo a lungo mi strinse a se. Era da ore che gli ripetevo che sarei stata la sua ancora, che lo avrei tenuto io, che ci sarei stata io per non farlo cadere, ma forse adesso anche a me serviva qualcuno che tenesse tutti i miei pezzi insieme per non farli sparpagliare per terra, e lui ci stava riuscendo. Ci stringemmo forte uno all'altro, e non so per quanto tempo rimanemmo così.
"Stai tranquilla." lo sentii bisbigliare. "Andrà tutto bene." mi sussurrò all'orecchio. Alzai la testa dalla sua spalla e mi asciugai gli occhi gonfi di lacrime, poi gli sussurrai un "Grazie" all'orecchio. Mio padre intanto era andato a sedersi in sala d'attesa e lo raggiungemmo camminando lentamente, il braccio di Luke ancora sulla mia spalla. Entrammo nella sala e ci sedemmo uno accanto all'altro sullo scomodo divano difronte a mio padre.
"Allora, me lo presenti questo giovanotto?" chiese con fare simpatico, forse per sciogliere un po' la tensione.
"Si chiama Luke Hemmings, viene a scuola con me, è..." cos'era? Non c'era un termine giusto per definirlo. Di certo non potevo dirgli che era il ragazzo che stavo provando a salvare dal suo passato. "un mio amico." dissi, cercando di avere un tono di voce sicuro.
"Piacere Luke, sono Daniel, il padre di Lola." disse allora l'uomo davanti a me allungandosi in avanti per stringere la mano al biondo.
"Piacere mio, signore." rispose Luke sorridendo. Non era il suo vero sorriso, era un sorriso finto, tirato. Forse neanche lui riusciva a sorridere in questa circostanza.
Guardai l'orologio attaccato alla parete, e le lancette indicavano le 17.15 in punto.
Rimasi lì, paralizzata sul divano, con la mente ferma, il braccio di Luke a cingermi le spalle e la mia testa appoggiata sulla sua spalla per qualche ora, finché non dissi "Non c'è la faccio più, vado a prendermi un caffè." e Luke non disse "Vengo con te."
Quando guardai l'ora si erano fatte le  19.30
"Luke, vai a casa." dissi in modo gentile. Non volevo che rimanesse qui con tutta quest'ansia addosso.
"No, non voglio lasciarti qui da sola."
"Tranquillo, ci sarà mio padre con me." dissi sorridendo per rassicurarlo.
"Lola, voglio rimanere. Io sarò in debito con te per il resto della mia vita, e tu in un solo giorno hai già fatto tantissimo per me. Neanche ti immagini da quanto tempo non ridevo così tanto in un solo pomeriggio."
"Luke, mi fa piacere aiutarti, non voglio niente in cambio, davvero."
Intanto eravamo arrivati davanti alla macchinetta del caffè. Inserii i soldi e digitai qualche tasto a caso.
"Senti, abbiamo fatto un patto. Tu aiuti me, io aiuto te. Non mi va di venire a meno a quello che ti ho detto."
"Ma tu per me oggi hai fatto più di quanto avresti dovuto. Penso che senza di te..." cercavo le parole giuste, ma in fin dei conti non c'erano parole giuste e parole sbagliate, lui era stato importantissimo e basta. "Non lo so, non avrei retto."
"Resterò con te in ospedale finché ne avrai bisogno."
Lo guardai negli occhi, con un accenno di sorriso sulle labbra, poi gli dissi un "Grazie." quasi spazientita. "Certo che quando vuoi sai essere testardo, eh?"
"La testardaggine ha i suoi lati positivi, se mi permetterà di aiutarti più spesso."
"Tieni." dissi porgendogli il secondo bicchiere di plastica pieno di caffè caldo.
"Hey, ma io non ne avevo chiesto uno!" disse ridendo.
"Vuol dire che mi obbligherai a bere ben due bicchieri di questa cosa che chiamano caffè?" chiesi scherzando.
"Dai, mi sacrificherò e ne berrò uno anch'io." disse ancora ridendo.
Tornammo con i bicchieri in mano nella sala d'attesa, dove mio padre stava giocherellando nervoso con la sua fede d'oro.
Ci risedemmo in silenzio sul divano di prima, e lentamente bevvi il mio caffè caldo che non poteva essere chiamato caffè.
La parete davanti a me era completamente di vetro, e si affacciava sul giardino dell'ospedale e su una piccola parte delle case sulla costa. Mi alzai e mi diressi lentamente verso la grande finestra. Ormai il sole era calato e del tramonto rimanevano solo poche striature violacee sul cielo che si stava facendo color della notte. C'erano poche chiazze di nuvole qua e là che rendevano quella enorme distesa blu più grigiastra. All'orizzonte ancora si scorgeva una lieve linea azzurra di luce. Azzurra come gli occhi di Luke. Quel ragazzo davvero non lo capivo, era particolare, complesso, come un nuovo macchinario appena creato da grandi scienziati, come una versione di greco molto difficile da interpretare, come una malattia a cui non si trova una cura, ma nonostante questo volevo aiutarlo. Era una brava persona, si meritava il meglio, non tutta quella sofferenza. Non sto scherzando, era davvero una persona fantastica, e me ne ero accorta in un solo pomeriggio. Il nostro rapporto era diventato così speciale nell'arco di poche ore. Eravamo passati dall'insultarci e picchiarci all'aiutarci e sostenerci. E lui per me stava facendo tantissimo. Nessuno dei miei amici e delle mie amiche sarebbe rimasto in ospedale con me così a lungo, ma lui lo aveva fatto, e mi aveva aiutata moltissimo, non poteva neanche immaginare quanto. Solo stringendomi la mano, solo poggiandomi un braccio sulle spalle, solo stringendomi a se, solo sorridendomi, mi aveva aiutata a non farmi distruggere dal dolore, a non far aprire ancora di più la crepa sul mio cuore, a darmi un barlume di speranza, speranza che mia madre migliorasse, speranza che mia madre non mi lasciasse. Senza accorgermene avevo lasciato cadere il bicchiere e avevo cominciato a piangere, e quando me ne resi conto papà e Luke mi erano affianco.
"Tutto bene?" chiese mio padre passandomi un fazzoletto e raccogliendo il bicchiere da terra. Non risposi a quella domanda, non gli sarebbe piaciuta la verità.
"Vieni un attimo." disse invece Luke posandomi una mano sulla spalla.
Mi girai verso di lui annuendo, e lo seguii quando cominciò a camminare. Non sapevo dove stesse andando, e non riconoscevo i corridoi a causa delle lacrime che mi impedivano di vedere chiaramente. Tiravo su col naso e mi tamponavo gli occhi con le mani, ma non serviva a nulla visto che le lacrime insistevano a uscire.
Quando il biondo si fermò mi accorsi che eravamo davanti alla porta del bagno, entrammo, e mi porse un altro fazzoletto. Mi asciugai le lacrime ma ancora singhiozzavo.
"Stai tranquilla, andrà tutto bene." disse con tono rassicurante.
"No, non andrà tutto bene."
"Vieni, siediti" indicò il davanzale della finestra accanto a se "e parliamone."
Mi avvicinai singhiozzante e appoggiando le mani con un piccolo salto salii, e lo stesso fece Luke.
"Cosa c'è che non va?" chiese il ragazzo accanto a me.
"Tutto." risposi con un filo di voce abbassando lo sguardo.
"Tua madre guarirà, non c'è niente di cui ti devi preoccupare."
"E invece no che non guarirà!"
"Perché no?"
Continuai a guardare in basso, senza rispondere.
"C'è qualcosa che non mi hai detto?"
Scossi la testa, anche se aveva ragione lui. C'era qualcosa che non gli avevo detto, forse per imbarazzo.
"Sii sincera." insistette lui. "Se vuoi che ti aiuti devo sapere come stanno davvero le cose. Io ti ho detto tutto di me, tutto della mia vita, e vorrei che tu facessi lo stesso con me." Non mi stava rimproverando, né si stava incazzando. Anzi, la sua voce era gentile.
"C'è una cosa che non ti ho detto."
"Se puoi, dimmela."
Potevo? No. Dovevo.
"Ti ricordi... Che mio padre è stato licenziato, no?"
Annuì, senza rispondere.
"Ecco, il vero problema è che non ci bastano i soldi per le medicine."
Rimase un attimo spiazzato da questa notizia.
"Potevi dirlo prima?!" esclamò quasi sconvolto.
"Che avresti fatto?" domandai alzando le spalle. Non stavo più piangendo, ma ero ancora scossa.
"Non lo so, qualsiasi cosa, ma ti avrei aiutata in qualche modo più concreto!"
"Ti posso dire una cosa?"
"Dimmi."
"Mi sembra di conoscerti da molto più di un pomeriggio. È bellissima questa cosa. Grazie." dissi lentamente, di nuovo abbassando lo sguardo.
"Lo stesso vale per me, ma non hai nulla di cui ringraziarmi. Sono io a essere in debito con te."
"E invece ho tantissime cose di cui ringraziarti!"
"Per esempio? Non ho fatto nulla per te, e invece tu hai fatto tantissimo per me."
"Questo lo dici tu. Davvero, non puoi immaginare quanto tu mi sia stato d'aiuto. Ti sei aperto con me, mi hai dato qualcuno con cui parlare di tutto, ci sei stato quando non c'è stato nessun altro, mi hai abbracciata quando non l'ha fatto nessun altro, mi hai preso la mano quando non l'ha fatto nessun altro, mi hai offerto una spalla su cui piangere e un cassetto in cui rinchiudere la malinconia, hai fatto più di quanto chiunque altro avrebbe mai fatto. Considerando che ci conosciamo da pochissimo è anche troppo. Grazie Luke, ti voglio bene." dissi accennando un sorriso e guardandolo negli occhi.
Lui mi abbracciò e mi sussurrò all'orecchio "Anch'io te ne voglio."
Lo strinsi più forte. Quelle parole mi fecero bene. Restammo abbracciati per un po', la mia testa appoggiata nell'incavo della sua spalla, la sua mano che mi accarezzava i capelli, le nostre braccia che ci tenevano uniti in un abbraccio che mi fece riprendere.
"Luke." lo chiamai.
"Sì?" chiese senza staccarsi dall'abbraccio.
"Non c'è bisogno che tu faccia niente per me e per mia madre, va già benissimo così."
"Non è vero, voglio aiutarti." Non sapevo più che dirgli, era davvero testardo. "Domani mi cercherò un lavoro." disse in fine.
Alzai la testa di scatto. "Stai scherzando spero!"
"Mai stato più serio di così. Voglio aiutarti a trovare i soldi per le cure."
"Quante volte ti devo ripetere che solo così mi stai aiutando molto più di quanto farebbe chiunque altro?"
"Non mi interessa quanto ti aiutano gli altri, mi interessa quanto ti aiuto io, e voglio fare tutto il possibile per farti tornare il sorriso."
"Ma se ci sei tu non posso non sorridere."
"Allora perché stavi piangendo?"
Sbuffai divertita. "Ma devi sempre far polemica?" dissi ridendo mentre scendevo dal davanzale.
"Hai scelto tu di sopportarmi."
"Hai ragione." risi.
Uscimmo dal bagno e Luke mi chiese "Ti va di fare un giro? Dovresti prendere un po' d'aria."
"Va bene, prima però fammi un attimo parlare con papà."
Tornammo in sala d'attesa e non feci in tempo ad aprire bocca che mio padre disse "Lola, mi dispiace, è tutta colpa mia!" quasi piangendo.
Gli andai incontro e lo abbracciai. "Ma cosa dici? Non è colpa di nessuno, è successo e basta."
"E invece è colpa mia, se solo non mi fossi fatto licenziare ora tua madre sarebbe già guarita."
"Non devi sentirti in colpa papà. Tu non hai fatto nulla di male. Supereremo tutto quanto e torneremo a essere una splendida famiglia." gli dissi abbracciandolo forte.
"Lo spero tesoro."
"Non ti devi preoccupare." lo rassicurai sorridendo. "Io e Luke andiamo a prendere una boccata d'aria. Chiamami al telefono se i dottori ti dicono qualcosa."
"Va bene. A dopo." ci salutò.
Appena uscimmo dall'ospedale l'aria fresca mi invase i polmoni.
"Va meglio?" chiese Luke.
"Sì, grazie." gli risposi sorridendo.
Era assurdo e fantastico come in poche ore le nostre vite si fossero intrecciate tanto da arrivare a questo punto.
"Sei sicuro di non voler andare a casa?"
"Se ti fa piacere rimango."
"Certo che mi fa piacere, ma ho paura che non faccia piacere a te."
"Ovvio che mi fa piacere, stupida." disse ridendo. Risi anch'io.
"Però, sul serio, non mi va che ti metta a lavorare solo per aiutarmi con le medicine. Non sarebbe giusto. In caso me lo trovo io un lavoro, non tu."
"Senti, quando hai accettato di aiutarmi io ho accettato di aiutare te, ed è quello che ho intenzione di fare. In oltre anche tu faresti lo stesso per me, quindi è tutto ok."
Sbuffai. "Ti farò cambiare idea."
"Non ci conterei."
"Ma questa sera dove vai a dormire?"
"A casa."
"Non hai paura di tuo padre?"
"Sì, ma faccio così da tempo, non preoccuparti."
"Mm..."
"Davvero, stai tranquilla."
Stavamo camminando nel silenzioso giardino dell'ospedale. L'orario delle visite era finito, ma chi ha parenti gravemente malati può rimanere, anche a dormire, e noi siamo rimasti, aspettando con ansia notizie di mia madre.
"Ecco, ho trovato un'altra domanda da farti!" esclamai rompendo il silenzio.
"Dai, spara."
"Hai qualche sport preferito?"
Ci pensò un attimo poi disse "Andare sullo skate lo consideri uno sport?"
"Oddio, ti prego! Io amo lo skate!" esclamai con un enorme sorriso sulle labbra.
"Davvero?" chiese sorpreso quanto me.
"Si! Peccato che io non sappia andarci..." farfugliai delusa.
"Sul serio?" chiese ridendo. "Ti insegno io se ti va."
"Certo che mi va!" esclamai di nuovo  ridendo.
"Dobbiamo solo trovare uno skate." continuò passandosi una mano tra i capelli biondi che, a differenza del solito, si erano un po' scompigliati.
"Nessuno dei tuoi amici lo ha?"
"Sì, ma sarebbe più bello se ne avessi uno tutto tuo, no?"
"Non ce n'è bisogno, posso tranquillamente accontentarmi di imparare con uno skate non mio."
"Come vuoi tu, ma attenta che potresti ritrovarti uno skate nuovo a casa." disse con un sorriso malizioso.
"Luke!" mi lamentai.
"Ammettilo che in fondo ti piacerebbe averlo!" disse ridendo dandomi un pugno sulla spalla.
Sbuffai, ma forse, dico forse eh, aveva ragione.
Ormai era quasi buio, e le luci nel giardino si accesero automaticamente. Guardandolo bene quel posto era davvero squallido. Le mattonelle per terra tutte sporche, la aiuole secche e non curate, il prato completamente rovinato, alcune delle luci fulminate.
"Hey, hai freddo?" chiese Luke mentre un brivido mi percorreva la schiena.
"Un po'. Tu no?"
"No." rispose alzando le spalle e, inaspettatamente, togliendosi la felpa nera rimanendo con una maglietta a mezze maniche blu scuro con uno smile e la scritta "Nirvana" in giallo. "Tieni." disse sorridendo e allungando il braccio per passarmi la felpa.
"Grazie, non ce n'era bisogno." risposi, anch'io sorridendo.
"Tranquilla, me la riporterai domani."
"Sicuro di non averne bisogno?"
Scosse la testa, e io gli rivolsi un sorriso in risposta.
Continuammo a passeggiare in silenzio, poi la mia voce ruppe il silenzio. "Posso farti una domanda un po'... Personale?"
"Su cosa?" chiese senza guardarmi.
"Sui tuoi genitori."
Si girò a fissarmi, e sentii le guance diventare calde. Fortunatamente era quasi completamente buio, se no si sarebbe accorto delle mie guance rosse come peperoni.
"Ok." disse poi, distogliendo il suo sguardo dal mio.
"Solo se non ti dà fastidio però." dissi subito sperando di alleviare la tensione. Perché si notava che era teso, non gli piaceva parlare della sua famiglia.
"Non ti preoccupare, chiedi pure."
"Tuo padre... Pensi che cambierà mai?"
"Non lo so, lo spero, ma non so se farò in tempo a vedere il suo eventuale cambiamento."
"In che senso?" chiesi un po' preoccupata. Che aveva intenzione di fare?
"Penso che me ne andrò di casa appena ne avrò l'opportunità."
"E quest'opportunità quale sarebbe?"
"Non so neanche questo, spero solo che arrivi." rispose con un'alzata di spalle. Continuava a essere teso, agitato.
"Ehy Luke, preferisci cambiare argomento?" chiesi con tono comprensivo.
"Ti offendi se ti dico di sì?" domandò con tono dispiaciuto.
"No, tranquillo, ti capisco."
"Scusami."
"E di che? Scusami tu, non sono stata delicata."
"Lentamente riuscirò ad aprirmi, a raccontarti tutto. Mi serve solo un po' di tempo. Non ho mai raccontato tutto quanto di me a qualcuno."
"Davvero? Neanche ai tuoi amici?"
"Sì, a loro sì, ma non proprio tutto."
"Senti, non mi va di metterti fretta, ok?" gli dissi con un sorriso sulle labbra. "Ti capisco benissimo se hai bisogno di tempo, dopo tutto quello che hai passato, e d'altronde anche io non ti avevo detto proprio tutto. In oltre ci conosciamo da poche ore, e mi sembra che abbiamo instaurato un rapporto abbastanza insolito, considerando che poche ore fa mi stavi picchiando, no? Nel senso, sei speciale, se no non sarebbe successo."
"No, sei tu a essere speciale, non io. Se fossi stata tu a trattarmi in quel modo probabilmente non ti avrei perdonata così facilmente."
"Ma è diverso! E lo è proprio perché tu sei speciale."
"Grazie Lol." disse piano fermandosi.
Ero un po' incerta, ma lo feci e basta. Gli misi le braccia intorno al collo, e lo strinsi a me. Si irrigidì un attimo, forse non se lo aspettava, poi mi strinse anche lui, e mi accorsi che stava sorridendo. Mi sentivo tappa ad abbracciarlo, gli arrivavo solo all'altezza della spalla. Sentii il suo profumo sulla mia pelle. Non era un profumo in particolare, ma era profumo di casa, profumo di protezione, profumo di sicurezza. Era bello stare tra le sue braccia, che mi stringevano forte, mi tenevano, come farebbe un'ancora.
Fu un lieve colpo di tosse a farmi tornare sul pianeta Terra. Alzai la testa dalla spalla di Luke e vidi che c'era mio padre, in imbarazzo, che stava lì, ad aspettare.
"Disturbo?" chiese quando sia io che Luke ci fummo accorti di lui.
"No, no." risposi staccandomi dall'accogliente abbraccio con il biondo. "Cosa succede?" Solo a quel punto mi accorsi che era lì per dirmi qualcosa, e che io poco prima gli avevo detto di avvertirmi appena ci fossero state delle notizie. Cercai di controllare il respiro, di non agitarmi troppo. Dovevo solo aspettare quell'istante che mi rispondesse.
"Niente, volevo solo chiederti se volevi qualcosa da mangiare." disse con un accenno di sorriso sulle labbra. La stanchezza e lo stress erano evidenti sul suo viso.
"Io niente, grazie. Tu Luke?"
"Neanch'io, grazie."
"Va bene. Vi aspetto su." continuò mio padre.
"Ok."
"Stavamo dicendo...?" chiese Luke quando mio padre si fu allontanato.
"Niente, ci stavamo abbracciando." dissi ridendo.
"Giusto." disse ridendo anche lui. "Cos'hai?" mi chiese quando vide che il mio sorriso era stato rimpiazzato da un'aria pensierosa.
"Ho paura."
"Tua madre guarirà Lola."
"Sto provando a crederci, ma so che è una bugia."
"Se il problema sono solo i soldi per le medicine non ti devi preoccupare. Già ti ho detto che mi troverò un lavoro e ti aiuterò con le spese."
"Luke, non puoi farlo. E non voglio darti responsabilità più grandi di te."
"Voglio solo aiutarti."
"Lo so, ma non voglio questo genere di aiuto Luke, così ti sfrutterei, e non voglio."
"Va bene, allora troverò qualcos'altro."
"Così mi piaci." dissi ridendo.
Era strano l'effetto che faceva su di me. Riusciva a farmi cambiare umore in un attimo, a consolarmi appena mi vedeva giù, a farmi ridere anche quando non ne avevo voglia. Non so come facesse, credo che nessun altro ci riuscisse.
Un telefono cominciò a squillare, e vidi Luke che si toccava le tasche. Tirò fuori il cellulare e rispose.
"Che succede Cal?"
Seguì un attimo di silenzio, poi Luke sgranò gli occhi e si portò una mano sulla fronte.
"Scusa, me ne sono completamente dimenticato!" continuò con tono allarmato.
Di cosa si era dimenticato di così importante? Speravo solo che non fosse qualcosa di grave.
"No, ora proprio non posso, sono in ospedale."
Ma certo! Dovevano uscire questa sera, e Luke mi aveva anche invitata! Che merda, adesso era colpa mia se il biondo non si era presentato all'appuntamento. Avevo fatto proprio una figuraccia.
"Macché! Mica per me, calmo! Sto qui con una mia amica, la madre è stata ricoverata." Seguì di nuovo del silenzio, poi Luke disse "Senti, mi dispiace, ma proprio non posso ora. Ci vediamo domani, ok? Cia'."
"Diamine Luke, mi dispiace! Dovevi uscire con i tuoi amici, è colpa mia se sei ancora qui! Vai da loro." cercai di farmi perdonare.
"Lol, calma, siete più importanti tu è tua madre adesso."
"Ma avevi un impegno..."
"Non mi interessa, gli altri possono aspettare."




NOTE DELL'AUTRICE :)
Weilaa(?) sono tornata con un altro capitolo ahah vi è piaciuto? A me personalmente sì, è coccoloso:3 anche se è un po' triste, qui Luke capisce meglio i sentimenti di Lola, nota come il suo umore cambi all'improvviso, come sorridente scoppi in lacrime per la preoccupazione, ed essendosi subito affezionato a lei cerca di consolarla in tutti i modi possibili. Non è dolce?:3 non pensate che sia tutto rose e fiori però eh ahah
Lettrici fantasma fatevi vive! Mi fa piacere sapere cosa ne pensate della storia, quindi visto che siete in tante a leggerla recensite!:)
Non allungo troppo perché se no vi annoio e in più devo andarmi a preparare che tra poco ho la cena di classe di fine anno ahah
Alla prossima, baci
~Vic

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Capitolo 6
*** He depends on your smile. ***


Luke rimase in ospedale con me ancora per parecchio tempo, infatti era notte fonda quando se ne andò. Quando eravamo rientrati ci eravamo seduti in sala d'attesa, sul piccolo divano, mano nella mano, uno appoggiato all'altra. Era strano come in questo pochissimo tempo si fosse creato un rapporto tanto speciale tra noi, ma era allo stesso tempo qualcosa di fantastico, qualcosa che mi aiutava a continuare ad alzarmi in piedi dopo essere caduta.
"Luke, è meglio che tu vada." bisbigliai al biondo quando vidi che si stava quasi addormentando sulla mia spalla.
"No, dai, rimango con te finché non ti danno notizie." rispose stropicciandosi gli occhi.
"Luke, stai morendo di sonno. Torna a casa."
"Ma non voglio lasciarti sola."
"Non sarò da sola. Davvero, vai a casa. Oggi ti sei stressato più tu che me." ribattei sbadigliando.
"Vado a casa se ci vai anche tu." disse all'improvviso, come per contrattare.
"No, io devo rimanere qui. Ti faccio portare a casa da mio padre."
"Non ce n'è bisogno."
"E invece sì, a meno che tu non voglia finire spiaccicato sotto una macchina."
Sbuffò sorridendo.
"Papà, mi fai un favore?"
Si girò verso di me e annuì.
"Ce la fai ad accompagnare Luke a casa?"
"Certo. Vieni." disse sorridendo e alzandosi in piedi. Si vedeva che era stanco, ma forse la tensione non gli dava abbastanza tregua per abbandonarsi tra le braccia del sonno.
"Grazie mille signore." disse il biondo alzandosi. "Buonanotte Lol." mi salutò dandomi un bacio sulla guancia.
"Notte." dissi in risposta.
Li vidi che si allontanavano, poi li guardai dalla vetrata uscire dall'ospedale.
Quando mio padre tornò io ero praticamente addormentata, e mi risvegliò da quello stato scuotendomi piano la spalla.
"Lola, i medici hanno detto che fino a domani non potranno darci notizie, tanto vale che torniamo a casa."
"Va bene." dissi stropicciandomi gli occhi impastati di sonno e di lacrime.
Durante tutto il tragitto fino a casa non mi accorsi di nulla, assolutamente di nulla, infatti mi ritrovai sdraiata sul mio letto senza ricordarmi nitidamente quello che avevo visto prima. Mi misi a dormire completamente vestita, e non sapevo neanche se avevo dato la buonanotte a mio padre.
La mattina la sveglia suonò regolarmente, e mi svegliai lentamente, ancora con troppo stress addosso. Presi il telefono dal comodino per spegnere la fastidiosa suoneria, e vidi che c'era un messaggio. Non avevo il numero salvato in rubrica, quindi non sapevo chi fosse.

18/02/14 01:54
Dormi bene, buonanotte Lol :)

"Luke." pensai. Solo lui con me usava quel soprannome. Nessuno mi aveva mai chiamata così, tranne il biondo che non so come se lo fosse fatto venire in mente. Posai il telefono e mi girai su un fianco per riaddormentarmi. Ero troppo stanca, la tensione della sera prima mi aveva sfinita. Ora avevo solo bisogno di riposarmi e poi di ritornare in ospedale per avere notizie di mia madre. Avrei saltato la scuola, pazienza. Appena liberai la testa dai miei pensieri un velo di nebbia ricoprì tutto, e il sonno mi riportò via con se. C'era solamente il nero, me ne accorsi. Invece di fare un sogno vidi tutto il tempo del nero, nero totale. Poi piano piano una luce cominciò a farsi spazio nelle tenebre e solo allora mi accorsi che lentamente stavo aprendo gli occhi. La luce del sole mi picchiava piacevole addosso, scaldandomi. Allungai le braccia e mi stiracchiai, e sentii la schiena scrocchiarmi. Mi tirai su appoggiandomi sui gomiti, poi allungai la mano per prendere il telefono e vedere l'ora. Avevo dormito fino a tardi, erano le 11 passate. Mi alzai stancamente dal letto e andai verso l'armadio per prendere dei vestiti. Scelsi delle cose senza dargli molta importanza e mi vestii pigramente. Avevo ancora gli occhi mezzi chiusi dal sonno, quindi scesi in cucina e mi presi un succo d'arancia. Notai che papà se ne era già andato, quindi decisi di farmi un giro prima di andare in ospedale da mamma.
Mi preparai velocemente, indossai la felpa nera che la sera prima Luke mi aveva prestato e uscii di casa senza neanche chiudere a chiave la porta. Cominciai a camminare lentamente tra le stradine intorno a casa mia, guardandomi intorno alla ricerca di qualcosa che attirasse la mia attenzione. Avevo la testa altrove quella mattina, la stanchezza e la preoccupazione ancora mi annebbiavano le idee. Continuando a camminare mi venne in mente che sarei potuta andare a scuola a trovare Luke, e possibilmente a parlare con Alexia, che c'era rimasta male per il fatto che non l'avessi ascoltata quando mi diceva che il ragazzo di cui mi stavo tanto fidando era pericoloso. Decisi di fare quello che avevo pensato, quindi cambiai direzione e mi avviai verso la scuola.
Quando mi trovai davanti al cancello guardai un attimo nel giardino per controllare se ci fosse Luke, ma del biondo non ce n'era traccia, quindi presi il telefono e inviai un messaggio al numero che mi aveva scritto questa mattina.

"Dove sei? Esci. ~Lola"

Poi mi sedetti sul muro di recinzione della scuola ad aspettare. Poco dopo si presentò davanti a me un biondino vestito completamente di nero e con gli occhi azzurri come il cielo.
"Come stai?" chiese sorridendo.
"Sto." ammiccando un sorrisetto. "E tu?"
"Bene, dai."
Scesi dal muretto e gli diedi un bacio sulla guancia.
"Hai incrociato tuo padre ieri sera?"
"No, già dormiva."
"Quand'è stata l'ultima volta che ci hai parlato in casa?"
Ci pensò un attimo su, poi rispose "Qualche giorno fa, sono tornato a casa la sera troppo presto e lui era ancora sveglio."
"Ma non sarebbe meglio affrontarlo?"
"Certo, e cosa gli dico? Ciao papà! Come va? Scusa se ti evito ma ci terrei a rimanere intatto?" chiese ironico.
Io risi, poi gli feci "Beh no, questo no, ma prova a chiarire con lui, no?"
"Per adesso va bene così, mi adatto."
Alzai le spalle, senza fare obiezioni alle sue idee.
"Con quale scusa sei uscito?" chiesi indicando con un cenno della testa la scuola dietro di me.
"Non ho usato nessuna scusa, sono uscito dalla classe e sono venuto qui." rispose come se fosse la cosa più naturale del mondo. Luke Hemmings non aveva mai avuto rispetto nei riguardi della scuola, aveva sempre fatto di testa sua, mancava spesso alle lezioni e le poche volte che ci andava chiacchierava oppure non seguiva.
"Come mai qui?" mi chiese.
"Stavo passeggiando e mi è venuto in mente di passare a scuola, così quando finiscono le lezioni posso anche parlare con Alex."
"Alex?" chiese cercando di ricordare chi fosse.
"La ragazza con cui ho litigato ieri, appena siamo usciti da scuola..."
"Ah sì, ho capito quale." disse annuendo. "Che devi dirle?"
"Un po' di cose." liquidai la domanda, per non dovergli dire che volevo parlarle di lui.
Passammo il tempo a chiacchierare lì fuori prima che suonasse l'ultima campanella.
Quando Alexia uscì io subito mi diressi verso di lei, dicendo a Luke "Ci vediamo tra poco, ok?" e lui annuì dirigendosi verso i suoi amici che stavano uscendo in quell'istante.
"Alex, devo parlarti." la fermai.
Lei alzò semplicemente le spalle come per acconsentire. "Magari non qui però." sottolineai.
"E dove?" chiese con noncuranza.
Mi girai e cominciai a camminare, dando per scontato che mi seguisse.
Quando arrivammo in un posto abbastanza appartato e lontano da sguardi indiscreti mi girai, e la ragazza davanti a me mi guardò con aria interrogativa.
"Non mi va di litigare con te, ok?"
Lei in tutta risposta alzò le spalle. Mi stava irritando il suo comportamento. Va bene che non ci eravamo dette belle cose, ma non aveva motivo di trattarmi come se fosse un muro.
"Vorrei soltanto che non smettessimo di parlarci solo perché sto facendo amicizia con Hemmings, ok?"
"E io vorrei soltanto che tu smettessi di non fidarti." rispose con impertinenza.
"Ma sei tu che devi fidarti di me! Luke è un ragazzo simpaticissimo! Se non ci credi passa un pomeriggio con noi, almeno te ne renderai conto!"
"Che? Ma sei matta? Io non lo passo un pomeriggio con lui!" esclamò con un espressione sul viso che era una via di mezzo tra lo schifato e il terrorizzato.
"Davvero Alex, non voglio che la nostra amicizia si rovini per così poco."
"Non è poco, Lola. Passando del tempo con lui diventerai come lui, e non voglio avere a che fare con gente del genere."
"Possibile che tu ti lasci condizionare così tanto da stupide voci che girano?"
"Anche tu ci credevi."
"Solo perché non avevo mai parlato con qualcuno che lo conoscesse bene!" esclamai spazientita.
"Con questo intendi dire che lo conosci bene?" chiese adesso praticamente schifata.
"Sicuramente meglio di te!"
"Non ti riconosco più." disse scuotendo la testa. "In un solo pomeriggio quel ragazzo ti ha rovinata."
"Ma vai a fanculo Alexia! Non pensavo che riuscissi a capire così poco della vita!" dette quelle parole mi girai e me ne andai irritata dal suo ragionamento. Perché non voleva capire che Luke era una persona fantastica? Che era sempre disposto ad aiutare? Che non era la gente a evitare lui, ma lui a evitare la gente? Che sapeva essere un ragazzo normalissimo, come tanti altri? Mi dava fastidio che si fidasse più delle voci provenienti dagli altri che di quello che le stavo dicendo io, io che ero sua amica. Tutte le volte che lei mi diceva qualcosa io mi fidavo di lei, adesso cosa le costava fidarsi di me? Per una volta, una sola volta, darmi retta e provare a guardare Luke non come lo guardavano tutti quanti, ma mettendo da parte paura o disagio le costava tanto? Se solo avesse voluto avrebbe potuto vedere il ragazzo che Luke era davvero. E se proprio le costava tanto smettere di ascoltare le voci che circolavano su Hemmings poteva almeno smettere di guardarmi come se fossi una criminale? In fin dei conti io ero sempre me stessa, avevo solo un amico in più, non penso che questo fosse un reato. Non potevamo semplicemente continuare a passare i pomeriggi insieme come due amiche senza farci troppi problemi? Non riuscivo a capire cosa non le andasse giù, era come se dovesse ingoiare un boccone amaro, ma quale era? Luke? Nessuno la obbligava  parlarci o a farci amicizia, quindi perché non poteva continuare a essere se stessa con me?
Tornai da Luke, e lo trovai dove lo avevo lasciato prima, solo che adesso era in compagnia.
"Questa è la tua felpa, grazie per ieri." dissi sfilandomela, essendomi ricordata solo in quel momento di averla addosso.
"Di niente." sorridendo, poi rivolgendosi ai suoi amici "Lei è Lola."
In risposta uno per uno mi dissero sorridendo il loro nome, anche se li conoscevo già.
"Calum." disse il moro con la pelle olivastra.
"Ashton." disse il ragazzo con un ricciolo biondo scuro davanti agli occhi.
"Michael." disse quello con i capelli verdi.
"Piacere." dissi, sorridendo anch'io.
"Sai, stavamo giusto parlando dello skate. Se ti va puoi imparare oggi."
Questa proposta mi spiazzò un po', non pensavo che Luke mi stesse prendendo così sul serio, ma l'idea non mi sembrò male.
"Certo. A chi dovrò fottere lo skate?" chiesi scherzosamente.
"A Mikey, il suo è praticamente nuovo. Va bene?"
"È a lui che deve andare bene l'idea di dire addio al suo skate." Ridemmo tutti quanti.
Luke era a posto. I suoi amici anche. Ma allora perché la gente li vedeva così di malocchio? Soltanto perché stavano sempre da soli? Non era possibile, non è un motivo valido per allontanare una persona. Forse c'era qualcos'altro, e forse un giorno l'avrei scoperto. O forse no.
Arrivammo fino a casa di Clifford ridendo e scherzando, e notai con stupore che da soli quei quattro ragazzi si divertissero molto di più di quanto davano a vedere a scuola, sotto lo sguardo di tutti.
"Vado a prendere lo skate, faccio subito." disse Michael entrando in casa. Era su tre piani, tutta bianca, il tetto spiovente di mattoni grigi e le numerose finestre della casa sistemate con una certa logica.
Il ragazzo uscì di casa sorridendo con uno skateboard con disegni colorati che non riuscii a vedere bene sotto braccio. "Non me lo rovinare eh, è nuovo!" disse scherzando Michael.
"Ma io te lo avevo detto, a tuo rischio e pericolo!" ribattei ridendo.
Passammo i cinque minuti seguenti a decidere dove era meglio andare in skate senza che mi uccidessi, e alla fine decidemmo che un posto valeva l'altro, quindi rimanemmo sul marciapiede davanti casa Clifford.
Mi spiegarono come salire e rimanere in equilibrio su quella tavoletta nera e mi fecero anche vedere come fare, ma i risultati non erano dei migliori. Alla fine qualcosa lo imparai, infatti quando il pomeriggio cominciava a lasciare il posto alla sera ero riuscita a fare qualche metro senza perdere l'equilibrio. Passare il pomeriggio con quei quattro ragazzi fu piacevole e divertente, infatti ci organizzammo per incontrarci anche il giorno dopo per continuare la discussione sulla musica che era andata avanti tutto il pomeriggio.
Ci stavamo salutando quando fummo interrotti da un uomo, e da uno sguardo, e da un'espressione pietrificata.
Un signore di mezza età stava camminando sul marciapiede nella nostra direzione, e Luke, appena lo vide, rimase immobile come una statua, con lo sguardo puntato sull'uomo che si stava avvicinando. Nei suoi occhi si leggeva l'ansia, la paura, il terrore.
"Luke. Cosa ci fai qui?" chiese l'uomo con disprezzo nella voce.
Il biondo rimase lì, immobile, pallido. Guardai gli altri ragazzi. Stavano tutti cercando di non farsi notare, di essere il più discreti possibile. Sembrava che tutti e quattro, compreso Luke, volessero nascondersi, scomparire con un "puff".
"Allora Luke?" insistette l'uomo, che sembrava cominciare a perdere la pazienza.
Luke lo stava guardando negli occhi, senza spostare lo sguardo. Nelle sue iridi azzurre si vedeva l'incertezza, l'insicurezza, la paura. Eppure non riuscivo a capire perché quell'uomo gli incutesse tanta paura e preoccupazione. Era un signore sulla cinquantina, altro, abbastanza muscoloso, con i capelli castani corti. Non sembrava avere un'aria tanto minacciosa, eppure i quattro ragazzi vicino a me aspettavano che succedesse qualcosa.
Dopo un po' Luke abbassando la sguardo disse "Sto con i miei amici, papà."
Papà.
Papà.
Quella parola di rimbombava nella testa, come se fosse una parola nuova, sconosciuta, mai sentita.
Papà.
Davanti a me c'era l'uomo da cui Luke cercava di fuggire, sia fisicamente che mentalmente. Quello era l'uomo che io cercavo di allontanare da suo figlio, l'uomo per cui provavo tanto disprezzo.
"E quella chi è? La tua ragazza? Ma guardati, sei un bambino, cosa vuoi sapere tu dell'amore?"
"Sicuramente più di te, che manifestavi il tuo amore picchiando tua moglie."
Quella frecciatina gli costò cara, molto cara. L'uomo avanzò a grandi passi e afferrò il figlio per il collo della maglietta, alzò un braccio, e un pugno arrivò dritto sullo zigomo del biondo, che cercò di non scomporsi. Subito dopo l'uomo digrignando i denti sussurrò all'orecchio del figlio "Non ti permettere mai più." per poi lasciarlo andare.
Subito dopo Luke si avvicinò a me, mi prese un braccio con la mano fredda e leggermente tremante e mi sussurrò all'orecchio "Andiamo." per poi cominciare a camminare. Gli altri ci seguirono automaticamente.
Nessuno parlò finché non arrivammo al parco, quando Hood interruppe il silenzio che cominciava a farsi pensante.
"Va tutto bene Luke?"
Il biondo annuì silenziosamente. Lo guardai bene, e sullo zigomo aveva un evidente livido violaceo, molto più scuro di quello che mi aveva lasciato il giorno precedente. Incerta allungai la mano verso il suo viso e gli toccai la chiazza viola con il pollice, poi con un sussurro gli chiesi "Ti fa tanto male?"
"Poteva andarmi peggio." rispose alzando le spalle.
Ci eravamo seduti tutti sotto un albero, e continuavamo a non parlare, ma a scambiarci semplici sguardi. A un certo punto il ragazzo che sorrideva sempre, Irwin, si avvicinò a me e mi fece un gesto con la mano, indicandomi di seguirlo.
Mi alzai guardandomi intorno, e mi accorsi che Luke stava osservando ogni mio movimento, ogni mia mossa.
Ashton camminava velocemente, e faticai a tenere il passo. Quando si fermò si girò e mi guardò negli occhi,  poi con voce sicura disse "Devi allontanarti da Luke."
"Cosa?" chiesi perplessa, forse pensando di aver capito male.
"Davi allontanarti da Luke, non puoi far parte della sua vita."
Quelle parole non sembravano uscire dalla sua bocca, dalla bocca di quel ragazzo gentile e sorridente.
Continuai a guardarlo con aria perplessa, quindi lui riprese a parlare, come se avessi risposto.
"Se non ci fossi stata tu non avrebbe risposto al padre, sarebbe stato zitto, si sarebbe preso il suo pugno quotidiano e basta, invece adesso quando tornerà a casa si beccherà un'altra buona dose di schiaffi e pugni."
"Quindi tu vuoi che continui a farsi trattare in quel modo da suo padre? Vuoi che continui a essere lo zerbino su cui quell'uomo può pulirsi i piedi?" chiesi sconcertata.
"No, ma non c'è altra soluzione."
"Voglio trovarla."
"No. Peggiorerai solo la situazione. Devi fargli vivere la sua vita, e tu devi tenerti la tua, senza immischiarti."
"Non avrà più una vita se andrà avanti così."
"Ho notato come ti guarda, come pende dalle tue labbra, come dipende dal tuo sorriso. Da quando lo conosco non l'ho mai visto così, e non voglio che diventi un burattino, non voglio che si faccia male quando i fili che lo fanno muovere si intrecceranno fino a non sciogliersi più. Se riesci a farlo rivivere sarai come una droga per lui, e nel momento in cui proverai ad allontanarti lui soffrirà di astinenza. Non gli è mai successa una cosa del genere, non è pronto. Uno dei due si farà male."
Solo dopo un po' che smise di parlare il mio cervello smise di analizzare tutte quelle frasi, che mi avevano fatto venire le lacrime agli occhi. Come poteva Ashton dirmi delle cose genere? Non capiva che volevo solo provare ad aiutare il suo amico? Non riuscivo a credere che preferisse vedere il biondo distrutto e sconfitto invece che forte e combattente. Stupita e indignata me ne andai, ma non per tornare dagli altri, bensì per farmi un giro, per riflettere su quello che stavo facendo, per controllare che non stessi davvero sbagliando.




NOTE DELL'AUTRICE :)
Ciao a tutti c: come va? Ho aggiornato prima del previsto, fate finta di essere contenti ahahahhah
Passando alle cose "serie", questo capitolo non mi è piaciuto molto, avrei voluto metterci più cose, ma non mi è venuto in mente nulla, quindi l'ho fatto un po' povero e credo anche più corto del solito. Però almeno qualcosa di interessante succede dai ahah per la prima volta vediamo il padre di Luke, e Ashton dice a Lola di allontanarsi dal biondo per non complicargli ancora di più la vita D: nel prossimo capitolo vi chiarirò bene le idee su quello che pensa Lola, quindi alla prossima :)
Prima di andare ringrazio  Sara_Aloia xperfoned e __rossacomeilsangue__
per aver recensito il capitolo precedente, e chiedo ai lettori fantasma di farsi vivi perché mi fa piacere ricevere recensioni e sapere se vi piace la storia
Detto questo, cercherò di aggiornare in poco tempo, byee

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Capitolo 7
*** You are like a drawing ***


Ero a casa, seduta sul mio letto, nel mio silenzio, dopo un altro giorno di assenza a scuola, quando il mio telefono vibrò. Allungai il braccio per prenderlo dal comodino, e sbloccai lo schermo vedendo un messaggio di Luke.

18/02/14 13:56
Ti va di vederci oggi pomeriggio? Esco con Mikey :) Luke xx

Mikey. Quel ragazzo era strano, ma simpatico. Ogni tanto aperto e scherzoso, altre volte chiuso e silenzioso. Se lo beccavi nel momento giusto era piacevole passare il tempo con lui.

18/02/14 13:59
No, forse ha ragione Ashton.

Non ebbi neanche il tempo di poggiare il telefono quando vibrò di nuovo.

18/02/14 13:59
Su cosa?

Non sapeva niente del pomeriggio precedente, non sapeva che fine avevo fatto, non sapeva perché quando Ashton era tornato da loro io non c'ero. Gli avevo soltanto detto con un messaggio che gli avrei spiegato tutto il giorno dopo, ma  non mi andava di farlo.

18/02/14 13:59
Niente.

Posai di nuovo il telefono, e il silenzio si fece nuovamente spazio nella mia testa. Avevo bisogno di silenzio, avevo bisogno di carta bianca per poter sistemare il casino nella mia testa. Tutto fu interrotto dal telefono che cominciò a vibrare ripetutamente, annunciandomi una chiamata. Aprii la telefonata, già sapendo chi ci fosse dall'altra parte del telefono.
"Lola, che succede?" chiese la voce di Luke preoccupata.
"Niente, davvero." insistetti.
"Cosa ti ha detto Ashton ieri? E perché è tornato senza di te?"
"Avevo bisogno di pensare un po'."
"Pensare a cosa?" insistette preoccupato.
"A niente, sto bene, davvero. Non ti preoccupare."
"Come faccio a non preoccuparmi? Ti lascio un attimo andare con Ashton e non torni più indietro, ti chiedo che succede e mi dici che va tutto bene, come se non fosse successo niente. Ti prego, spiegami."
Sbuffai. "Ci ho pensato su, e credo che quello che mi ha detto ieri Ashton sia vero, sia giusto. Hai già tanti problemi, non voglio creartene altri." detto questo attaccai, senza pensarci due volte. Non so cosa mi fosse saltato in mente, sapevo solo che era la cosa migliore da fare. Era meglio che lui vivesse la sua vita e io la mia.
Ritornai nel mio silenzio, ma prima spensi il telefono. Il silenzio era il mio mondo, il luogo, per così chiamarlo, in cui potevo fare piazza pulita e pensare ai miei problemi, riordinarli, oppure non pensare proprio. Il silenzio mi rilassava, ma a volte mi spaventava, mi riempiva gli occhi di lacrime, mi faceva tremare per l'agitazione. Sì, perché il silenzio era bianco, vuoto, completamente personalizzabile, ma anche così solo, così desolante, talmente tanto da riempire gli occhi di quella sensazione di angoscia, di tremore, di abbandono. La paura.

Il pomeriggio lo passai così, nel silenzio. Solo verso l'ora di cena, quando mio padre tornò a casa dopo essersi girato mezza Sydney alla ricerca di un lavoro, mi ricordai di avere un telefono. Lo accesi, e mi arrivarono un casino di notifiche, tutte di Luke. Erano soltanto suoi messaggi e sue chiamate, che però, notai, erano durate solo fino alle 4 del pomeriggio. Forse aveva capito che non avevo intenzione di riaccendere il telefono.
Cenai con mio padre, ma nessuno dei due parlò. Lui sembrava stremato, esausto, teso e mangiò in silenzio, poi mi diede velocemente la buonanotte e andò in camera sua. Non sapevo cosa fare per tutta la serata, così la curiosità vinse su di me e mi concessi di leggere i messaggi che Luke mi aveva inviato durante il pomeriggio.

"Ti prego spiegami che succede" diceva un messaggio.

"Che cazzo ti ha detto Ashton?" un altro.

"Per favore fammi capire cosa sta succedendo, non capisco che cazzo tu abbia."

"Giuro che se quel coglione di Ashton ti dice qualcos'altro lo meno."

"È tutta colpa mia, vero? Dimmelo se è così."

"Dimmi che succede e ti giuro che ti starò alla larga, se è questo che vuoi." e così via.

Mi dispiaceva che Luke stesse così, ma con una settimana si sarebbe già dimenticato di me, avrebbe continuato a camminare per la sua strada e io avrei ripreso la mia vita, con i miei problemi e tutto quanto. Tanto non avevo bisogno di aiuto, ne avevo sempre fatto a meno, e avrei continuato a fare così. Anche lui non aveva bisogno di aiuto. Lui aveva i suoi amici, loro sì che lo potevano aiutare. D'altronde io chi ero? Non lo conoscevo quanto loro, non lo avevo accompagnato durante la sua adolescenza e avevo già i miei di problemi da risolvere. E poi, noi ci conoscevamo da due giorni, quindi come potevo essere importante per lui? Non avevo fatto niente di speciale, avevamo passato del tempo insieme, bene, ma poi? Che altro? Non eravamo né migliori amici, né amici, né niente. Ecco cosa eravamo, il niente. Eravamo soltanto due tizi che provavano a risolvere uno i problemi dell'altro, forse per non pensare ai propri di problemi. Luke se la sarebbe cavata benissimo da solo, io in fin dei conti non servivo a nulla, ero solo uno sfogo, e lui lo era per me, quindi a che serviva tutta questa storia? I suoi amici potevano aiutarlo molto più di quanto potessi fare io, e una volta messo da parte questo problema sarei anche tornata a essere amica di Alex. Alex. Le avrei spiegato tutto, le avrei spiegato che avevo sbagliato, che era tutta una presa per il culo, che avevo dimenticato tutto quanto, avremmo fatto pace. In pochissimo tempo si sarebbe risolto tutto, e Luke si sarebbe dimenticato di me, si sarebbe dimenticato del casino che avevo combinato e non ci saremmo più sentiti. Potevo riavere indietro la mia vita. Sì, la mia vita. Quella piena di problemi, quella senza amici, quella da ragazza da parete, perché in fin dei conti quella era la mia vita.
Ma che cazzo stavo dicendo? Ormai la mia vita era cambiata, e quel cambiamento era proprio Luke. Come potevo pensare di prendere e rimuovere tutto? Saranno stati anche solo due giorni, ma ormai stavano là, non potevano andarsene.
Inviai velocemente un messaggio a Luke.

18/02/14 22:31
Domani ti spiego tutto, ok? Buonanotte, Lola xx

Neanche attesi una risposta, andai in camera mia e mi infilai nel letto, stanca dopo il casino che avevo avuto nella testa per tutto il giorno. La mattina seguente avrei deciso bene cosa fare.


Entrai nel cancello della scuola cautamente, sapendo che alla mia destra avrei visto i quattro ragazzi seduti sul muretto, ma quando rivolsi lo sguardo dove di solito erano seduti vidi che c'erano solo Calum e Michael.
"Dov'è Luke?" chiesi nervosa senza neanche salutare.
I due si scambiarono uno sguardo, incerti, poi il moro rispose "Di là." indicando il cortile. Io mi avviai, con passo sicuro, ma allo stesso tempo incerto. Davanti a me vidi una scena che non mi sarei mai aspettata di vedere. Sul fondo del cortile, vicino a un albero, Luke e Ashton si stavano urlando contro. Non feci caso a cosa stessero dicendo, non volevo sentire, ma semplicemente affrettai il passo, finché non mi ritrovai in mezzo ai due. Luke si ammutolì appena li separai, e sgranò gli occhi. Poi sorrise. Ashton invece sembrò non capire cosa stesse succedendo. Era certo che gli avessi dato retta, e la reazione di Luke ne era la prova.
"Lola." sentii bisbigliare Luke, stupito. Io gli rivolsi un sorriso d'intesa.
"Che cazzo ci fai qua? Porca puttana." mi sbraitò contro Ashton.
"Fino a prova contraria io ci studio qua." risposi con aria strafottente. Il mio cuore stava battendo a mille, forse un po' per l'agitazione, un po' per la paura.
"Ashton vattene." disse duro Luke all'amico.
"Vaffanculo. Fammi un fischio quando avrai acceso il cervello." gli rispose infine Ashton girandosi.
Quando si fu allontanato anche quelle dieci persone che si erano fermate a guardare la scena se ne andarono con fare annoiato.
"Scusa Luke." dissi in un sussurro. Il biondo si avvicinò e mi cinse con le braccia, mi strinse a se, e io mi risentii bene, mi risentii viva, a casa.
"Credo che tu debba spiegarmi qualcosa." bisbigliò Luke sorridendo.
"Andiamo in terrazza."
"D'accordo."
Salimmo fino al terzo piano, in silenzio, poi arrivati sulla terrazza della scuola Luke parlò. "Adesso mi spieghi che è successo?"
"Credo che tu sappia già tutto."
"Vorrei sentire la tua versione dei fatti." ammiccò un sorriso.
"Beh... Ieri Ashton mi aveva detto che era meglio se stavo lontana da te, che tu avevi la tua vita e io la mia, che con tuo padre non c'era niente da fare, che dovevi continuare a farti trattare in quel modo perché tanto non sarebbe mai cambiato nulla, e io riflettendo su tutto quello mi aveva detto avevo cominciato a credergli, pensavo che forse stavo solo peggiorando la situazione tra te e tuo padre, che dovevo starmene al mio posto, che tu avevi già i tuoi amici su cui contare, e che ci saremmo dimenticati subito una dell'altro, ma sono stata una stupida. Non so come abbia fatto a pensare questo. Tu ormai sei importante, troppo, e sarà impossibile rimuoverti dalla mia mente. Sei come un disegno: non sei più una bozza fatta a matita, sei il disegno in bella, con più di colore. Ormai stai lì, su quel foglio, completo, e non puoi più essere modificato."





NOTE DELL'AUTRICE :)
Non uccidetemi please ahah non so voi, ma io al vostro posto mi sarei presa un colpo a leggere l'inizio di questo capitolo lol volevo che Ash riuscisse a condizionare Lola, che riuscisse a farle cambiare idea per "proteggere" il suo amico, infatti c'è un motivo se si comporta così, ma lo scoprirete in futuro, non voglio farvi spoiler ;) questo capitolo mi sembra più corto degli altri, ma non sono riuscita a scriverci niente di più, scusatemi
Per finire ringrazio xperfoned JesyNelsonIsPerfect e Fra_loovva_one_direction per le recensioni al capitolo precedente, e chiedo alle lettrici fantasma di farsi vive e recensire lol
Ok vi lascio, alla prossimaa
~Vic

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Capitolo 8
*** Leave me. ***


Uscendo da scuola io e Luke decidemmo di saltare la prima ora di lezione, che era una noiosissima ora con la Parkinson, quella di inglese. Fuori dall'edificio erano rimasti solo Calum e Michael che stavano seduti sul muretto a fumare una sigaretta. Ashton non sapevo dove fosse, e non avevo intenzione di scoprirlo.
"Tutto bene?" chiese Calum a bassa voce.
Sia io che il biondo accanto a me annuimmo, poi ci andammo a sedere accanto agli altri due.
Rimanemmo in silenzio per tutta l'ora, nessuno osava parlare, ma il motivo non lo sapevo. Notai il livido sullo zigomo di Luke. Era evidente, e sembrava anche abbastanza doloroso. Pensare al suo livido mi fece tornare in mente le parole di Irwin. Perché voleva lasciare che il suo amico venisse trattato in quel modo dal padre? Non avrebbe dovuto volere il meglio per lui, invece che una sana dose di botte giornaliera? Non aveva senso. E poi cosa gli costava aiutare il biondo? Sembrava che non ci volesse neanche provare, che fosse solo uno spreco di tempo. La campanella suonò interrompendo i miei pensieri.
"Io entro. Voi che fate?" chiesi alzandomi dal muretto e riprendendo la borsa con i libri che avevo lasciato per terra. Ottenni solo la risposta di Luke, che restava fuori, come gli altri due.
Le seguenti ore di lezione furono uno strazio assurdo, quindi tirai fuori il mio famoso quaderno per testi di canzoni e disegni e presi una pagina bianca su cui iniziai a scrivere il testo di una canzone: Perfect Two

"You can be the hero and I can be your side kick
You can be the tear that I cry if we ever split
You can be the rain from the cloud when it's stormin'
Or you can be the sun when it shines in the mornin'"

Scrissi il testo con un pennarello colorato, poi lo decorai ripassando i contorni delle lettere con un colore diverso. Scritte del genere ricoprivano le pagine di quel quaderno, che conteneva tutto di me. Conteneva tutti i miei momenti di gioia, e quelli di dispiacere, quelli di serenità, e quelli di noia. Ecco, tra quelli di noia c'era il testo di Perfect Two.
La campanella dell'ultima ora suonò, quindi io con calma rimisi le mie cose a posto, poi uscii dall'aula per recarmi nel cortile della scuola.

"Ashton dov'è?" chiesi ai tre ragazzi seduti sul muretto davanti scuola.
"Non lo so." mi rispose Michael alzando le spalle.
"Perché?" chiese Luke con curiosità.
"Così, volevo parlargli." dissi senza dare molta importanza alle mie parole. "Vado a casa, ci si vede." salutai i tre sorridendo e uscendo dal cancello della scuola. I ragazzi sorrisero in risposta.
Tutti i ragazzi fuori scuola presero direzioni diverse, e io imboccai la solita strada che facevo per tornare a casa. La maggior parte dei ragazzi si dirigeva verso la zona più centrale di Sydney, verso il porto, io invece andavo verso la costa. A metà strada più o meno un bel ragazzo cominciò a camminare a circa due metri di distanza da me, e inizialmente non gli detti molta importanza, ma quando cominciò ad accorciare le distanze pensai che era abbastanza inquietante camminare con qualcuno alle calcagna. La preoccupazione mi invase quando "Ehy bella." mi chiamò con fare malizioso.
"Parli con me?" chiesi sperando di ricevere una risposta negativa, ma sfortunatamente stava parlando proprio con me.
"Vedi altre belle ragazze qui intorno?" fece avvicinandosi troppo per i miei gusti.
"Sì, guarda, ce ne sta una laggiù. Vai da lei." mentii, quasi ironicamente, per distogliere dal mio corpo il suo sguardo che mi stava bruciando addosso. Con mia delusione non si distrasse neanche il tempo di farmi fare un passo per allontanarmi da lui, anzi, si fece ancora più vicino, obbligandomi a farmi indietreggiare fino a toccare il muro alle mie spalle.
"Te l'hai mai detto nessuno che sei dannatamente sexy?" domandò ancora con un tono malizioso che non mi piaceva affatto, appoggiando le mani sulle mie spalle.
Quando avverto il pericolo non ragiono più, e faccio la prima cosa che mi passa per la testa. Per questo, appena finì la frase gli urlai "Vattene porco!" tirandogli uno schiaffo in faccia, ma fu più veloce di me e mi bloccò il polso. Il panico cominciò a invadermi quando mi fermò i polsi con una mano, e l'altra me l'appoggiò sul petto. Cercai di divincolarmi in preda al panico, cominciai a respirare affannosamente e il petto si alzava e si abbassava a un ritmo troppo veloce. Si avvicinò al mio viso, e cominciò a sfiorarmi la guancia con la punta del naso. Girai velocemente la testa dal lato opposto, ma questo gesto servì solo a farlo innervosire dei più.
"Se non opponi resistenza sarà tutto più facile." 
"Lasciami, cazzo, lasciami!" urlai con tutto il fiato che mi era rimasto. Non servì a migliorare le cose, infatti mi spinse con più forza ancora contro il muro.
"Lola!" sentii qualcuno urlare il mio nome. Non riuscii a riconoscere chi dalla voce, e con il bestione che avevo davanti non riuscii a vederlo, ma chiunque fosse speravo che facesse qualcosa, una qualsiasi cosa, per togliermi quel tipo da davanti.
Non feci in tempo a finire di formulare il pensiero che un pugno arrivò dritto sul naso del ragazzo davanti a me. Questo si scansò, e con mio stupore vidi Luke mentre gli dava un pugno nello stomaco. Io intanto spaventata stavo ferma, ancora appoggiata al muro a guardare incredula la scena.
"Non la toccare mai più!" sentii Luke urlare, dopo che era riuscito a buttare a terra il ragazzo. Mi aspettavo che si alzasse e lo lasciasse lì, che quello che gli aveva già fatto bastasse, e invece, con mia sorpresa, i suoi pugni si alzarono per poi ricadere con violenza sul viso del ragazzo ormai steso per terra con il viso ricoperto di sangue, probabilmente proveniente dal suo naso.
"Basta Luke!" urlai preoccupata per il ragazzo, ma il biondo non mi prestò attenzione, quindi mi avvicinai a lui con agitazione e gli toccai la spalla, sperando di riuscire a distratto da quella specie di mondo in cui era entrato. Sì, sembrava proprio un mondo tutto suo. Era assorto, concentrato, sentiva solo il battito del suo cuore e i suoi pugni che atterravano con violenza sul viso del ragazzo sotto di lui. Quando lo scossi con forza urlandogli di fermarsi all'improvviso i colpi cessarono, e Luke alzò lo sguardo, verso di me. Nei suoi occhi vidi qualcosa che non avevo mai visto prima. Quegli occhi azzurri erano diversi dal solito, avevano qualcosa che prima, ne sono sicura, non c'era. Si alzò in piedi lentamente, guardandosi le mani, poi il corpo a terra del ragazzo che intanto si stava toccando il viso insanguinato. Il biondo sgranò gli occhi e cominciò lentamente a scuotere la testa, come incredulo. Aveva un'aria strana, shoccata, e continuava a muovere lentamente la testa, come se non credesse ai suoi occhi. Non feci in tempo a poggiargli una mano sulla spalla che mi aveva già gridato "Lasciami! Sono un mostro! Guarda che ho fatto, guarda!"
"No Luke." dissi troppo piano per essere sentita mentre si girava e cominciava a correre. Non sapevo dove stesse andando, e cosa che sapevo ancor meno era cosa fare. Lanciai un'occhiata al ragazzo a terra, ma mi faceva troppa pena per lasciarlo lì, nonostante quello che mi aveva fatto. Cercai velocemente dei fazzoletti nella borsa, gliene lasciai qualcuno in mano, poi con fatica lo misi a sedere con le spalle appoggiate al muro. Vedendo che aveva cominciato a tamponarsi il viso con i fazzoletti che gli avevo lasciato mi girai e cominciai a correre. Adesso avevo bisogno di trovare Luke, nient'altro. Percorsi più strade che potevo in meno tempo possibile, finché non vidi il biondo seduto su un muretto basso, con lo sguardo perso sull'asfalto.
"Luke." sussurrai per richiamare la sua attenzione.
Alzò lo sguardo su di me, e con aria quasi supplichevole mi disse "Vattene Lola. Devi allontanarti da me. Sono pericoloso, guarda che schifo di persona che sono!"
"Luke, io..." mi inceppai. Mi dispiaceva vederlo così, abbattuto, arrabbiato con se stesso, sconfitto, deluso. Nei suoi occhi azzurri vedevo ancora il terrore per quello che aveva fatto. Sapevo che non se lo sarebbe perdonato tanto facilmente.
"Lola, faccio schifo. Guardami." alzò la voce allargando le braccia, come se così riuscisse a far vedere la parte di se stesso che stava guardando lui in quel momento. "Non posso permettermi di perdere il controllo di nuovo, non vicino a te. Se ti facessi di nuovo del male? Lo sai che non me lo perdonerei mai. Lo sai che mi sentirei in colpa per tutto il resto della mia vita. Non voglio che succede nulla, non voglio farti male, non voglio che tu abbia paura di me, e non voglio allontanarmi, ma devo."
"No Luke. No. Hai... Hai perso il controllo. Pazienza. Con il tempo riuscirai a..." ma che stavo dicendo? La lingua mi si impicciava, le parole non uscivano dalla bocca, le idee non venivano formulate dalla mente. Dicevo parole a caso, tanto per dire qualcosa, per non far pesare quel silenzio tutto sul ragazzo abbattuto davanti a me.
"Lascia stare, è inutile." sussurrò il biondo abbassando di nuovo lo sguardo.
"No Luke, non è affatto inutile. La gente non può neanche lontanamente immaginare cosa ti porti dietro da anni, quanta sia la sofferenza e la solitudine che ti ha sempre spinto verso il basso. La gente non immagina, la gente non sa. Lo hai picchiato? Pazienza, non lo hai fatto per passare del tempo libero, non lo hai fatto per vendetta personale, non lo hai fatto per far colpo su qualcuno, lo hai fatto per aiutarmi, ed è questo che per me conta." adesso lo sapevo cosa stavo dicendo, le parole mi uscivano fluidamente dalla bocca, le frasi si formulavano in modo sensato nella mia testa, la mia opinione mi era ben chiara, ero sicura delle mie idee. Appena finii di parlare mi avvicinai a Luke e gli strinsi le braccia intorno al collo, affettuosamente, e lui ricambiò subito, come se si trovasse in mare aperto e qualcuno gli avesse appena lanciato una ciambella di salvataggio. Sentivo che per una volta era sicuro di quello che stava facendo, che sapeva che quella era la cosa giusta al momento giusto.





NOTE DELL'AUTRICE :)
Saaalve *si nasconde per non essere scuoiata viva* povera Lola, tutte a lei capitano): e povero Luke, che si sente sempre sbagliato): nonostante l'ennesimo casino spero che il capitolo vi sia piaciuto e boh non so che altro dire rido
Poi ringrazio voglioluke, xperfoned ed Elisa_CrazyMofo per aver recensito il capitolo precedente e spero di aver soddisfatto la richiesta di Sara_Aloia che chiedeva di aggiornare lol
Per finire, lettrici fantasma, fatevi sentire! Mi fa piacere ricevere recensioni per sapere come procede secondo voi la storia:)
Quindi niente ahah alla prossima
~Vic

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Capitolo 9
*** Angel and devil. ***


E ora mi ritrovavo di nuovo lì, su quel divano scomodo e rovinato, in quella stanza fredda e desolata, in quell'ospedale che per me era tanto inquietante. Stavo di nuovo qui ad aspettare notizie di mia madre, ma ancora niente. Odiavo questo ospedale, cazzo. Ci volevano sempre ore, se non giornate, a darti uno straccio di notizia, che poi magari non ti cambiava neanche nulla. Non era la prima volta che mi ritrovavo qui ad aspettare ansiosa una microscopica notizia, che poi non arrivava, o che non mi chiariva la situazione di mia madre. Guardai l'ora dallo schermo del telefono, e decisi che era il momento di andare. Ero stanca e mi giravano le palle, la giornata che stava per finire era stata una delle peggiori, troppo incasinata per i miei gusti.
Arrivata a casa mi buttai sul letto sfinita, e rimasi immobile per qualche minuto, come se la mia testa non ci fosse più, come se i miei problemi non ci fossero più, poi mi accorsi che stavo ancora vivendo e mi tirai su stancamente. Alla fine andai a dormire senza aver cenato o fatto altro, non vedevo l'ora che la giornata finisse e non volevo farla durare più di quanto non fosse necessario.
Non feci in tempo a chiudere occhio che la sveglia era già suonata, quindi io mi ero tirata su dal letto svogliatamente, avevo mangiato una barretta per colazione, mi ero fatta una doccia, avevo indossato un paio di jeans, una maglia, e le vans, avevo preso la borsa con i libri, e mi ero catapultata nella fredda aria mattutina. In questo periodo le mattine erano sempre uguali: fredde, ventilate, con il cielo grigio e nuvoloso. Mi strinsi di più nella mia giacca e mi avviai verso la fermata dell'autobus, ma quando vidi che il mezzo che mi avrebbe portata a scuola non passava tolsi di torno la mia pigrizia e cominciai a camminare lentamente verso la scuola.
Sentii una mano toccarmi la spalla quando passai per il cancello nero dell'edificio. Mi girai e vidi Luke che mi sorrideva. Ricambiai con un sorriso flebile, poi "Buongiorno." gli sussurrai dandogli un bacio sulla guancia. Ogni volta mia accorgevo sempre di più di quanto fosse alto quel ragazzo, e la mia media statura mi metteva quasi in imbarazzo davanti a lui. "Io entro." gli dissi abbassando lo sguardo e ricominciando a camminare verso le porte a vetri davanti alle quali gruppetti di ragazzi si erano fermati a chiacchierare.
Alla prima ora di nuovo inglese con la Parkinson, che odio. Arrivai in classe e mi misi al mio solito ultimo banco dalla parte della parete, appoggiando i piedi sulla sedia accanto a quella su cui ero seduta. Rimasi un attimo a guardare le mie Vans blu, poi distolsi lo sguardo per prendere una penna e il mio solito quaderno appoggiandolo sulle gambe piegate per cominciare a disegnare qualcosa.
"Hey, è occupato?"
Alzai lo sguardo e vidi davanti a me Michael che sorrideva.
"No no." dissi togliendo i piedi dalla sedia e ricambiando il sorriso. Poi mi sedetti compostamente e mi concentrai su quella pagina ancora vuota. Cominciai a tracciare delle linee con la mano che scorreva sicura su quel bianco, su quel vuoto. La base del disegno cominciava ad apparire. Era una scritta che sembrava esplodere, circondata da disegni geometrici e forme concentriche. La prof intanto aveva cominciato a spiegare ma io me ne ero completamente sbattuta.
"Posso vedere?" mi distrasse una voce.
Mi girai, e trovai Michael che con fare curioso cercava di vedere cosa stavo facendo. Non ero molto convinta a fargli vedere il disegno se non tutto il quaderno, ma acconsentii.
"Ehm... Va bene." sorridendo.
Gli passai il quaderno, e lui rimase qualche secondo a fissare il disegno ancora abbozzato, poi, senza spostare lo sguardo, disse "Figo, mi piace." Accennò un sorriso poi cominciò a sfogliare tutto il mio quaderno. Sentii le guance arrossarsi, sperai che non si notassero troppo.
"Bella questa canzone." disse dopo un po'.
Allungai la testa per leggerne un pezzo e capire di quale stesse parlando.
"Sì, vero." Si stava riferendo a Somewhere Only We Know, dei Keane. Quella canzone mi piaceva molto.
Il ragazzo dai capelli verdi chiuse il quaderno e me lo poggiò davanti, poi chiese "Che musica ti piace?"
"Soprattutto i Green Day, poi altre canzoni varie. A te?"
"Qualsiasi band che sia rock e mi faccia sentire me stesso." rispose serio. "I Green Day mi piacciono un sacco. Canzone preferita?"
"Mmm..." ci pensai su, poi "Wake Me Up When September Ends e Boulevard Of Broken Dreams. La tua?"
"21 Guns."
"Avete finito di confabulare voi due?" una voce gracchiante ci interruppe.
"Veramente no." risposi con sfacciataggine. Dovevo ammetterlo, era una risposta nel mio genere.
"Se non le interessa seguire la mia lezione può anche accomodarsi fuori." continuò indignata.
"Ah sì? Michael, vieni con me?" chiesi alzandomi.
Annuì e mi seguì a ruota quando andai verso la porta. Ok, forse avevo fatto una figura di merda, ma va bene, non era la prima che facevo. D'altronde era stata lei a dirmi che potevo andare fuori, no?
Ci sedemmo sul davanzale di una delle finestre nel corridoio, e continuammo il nostro interessante discorso sulla musica, finché, stanchi di stare lì, non decidemmo di recarci in cortile. Rimanemmo lì, finché non vedemmo una bidella grassa e brutta avvicinarsi.
"Siete Walker e Clifford?" chiese annoiata senza neanche accorgersi che non saremmo dovuti essere lì.
"Sì." ripose Michael al posto mio.
"In presidenza, subito."
Avremmo fatto una brutta fine, ma ok, non era la prima volta.
Facemmo visita a quel caro del preside, un coglione svitato, completamente calvo, gli occhiali tondi appoggiati sul naso adunco, e il noioso vizio di congiungere il polpastrelli di una mano con quelli dell'altra ripetutamente. Alla fine non ci era andata tanto male, ci aveva solo detto di andare a prendere un libro in biblioteca e di leggerlo durante l'ora in più che avremmo passato a scuola come punizione. Salutammo, maleducatamente, e ce ne andammo. In biblioteca a essere sincera l'ultima cosa che c'era era l'indecisione sulla scelta. I libri erano pessimi, vecchi, noiosi, su idee, teorie, ideali e altre cose di tizi che non avevo mai sentito nominare. Alla fine presi un libro malandato sugli ideali di un vecchio politico, non trovavo di meglio. Michael invece prese un libro su una specie di filosofo, credo, che faceva riflessioni sulla vecchia Londra.
Andammo nella piccola aula per le punizioni, e trovammo un vecchio prof seduto alla cattedra, e all'ultimo banco Luke che scarabocchiava qualcosa su un pezzo di carta. Lo guardai con aria interrogativa, ma lui scosse la testa, come per dire che non era successo nulla. Mi sedetti all'ultimo banco al lato, Michael ultimo banco al centro. Non riuscivo a leggere una mazza con il prof che mi fissava come se fossi io il libro, e non quello che tenevo in mano. Finita l'ora di tortura il vecchio prof rugoso e barbuto ci liquidò, e io non ricordavo neanche su cosa fosse il libro che avevo provato a leggere.
"Come mai qui?" chiesi al biondo.
"Niente, mi hanno scoperto mentre cercavo di scappare. Voi?"
Michael mi rubò le parole di bocca, rispondendo "Perché è un genio."
Luke lo guardò incuriosito,  così l'amico cominciò a raccontargli la scena nei minimi dettagli, per poi concludere "Dovevi esserci amico, è stato fantastico!" ridendo. Subito dopo rise anche il biondo, ma era una di quelle sue risate fiacche, uscite dalle sue labbra perfette solo per far piacere agli altri, solo perché deve farle.
"Luke, posso parlarti un attimo?" gli chiesi direttamente.
"Certo. Mike ci vediamo dopo."
Appena ci fummo allontanati da Michael chiesi al biondo "Che succede?"
"Nulla, perché?" alzando le spalle.
"Sei strano. Sei... triste, credo."
"Nah, è solo una giornata un po' così. A te invece che succede?"
"È solo una giornata un po' così." alzando le spalle. I miei occhi verdi si incastrarono con i suoi azzurri, in quello sguardo ci scambiammo centinaia di emozioni, di pensieri, di ricordi, di delusioni. Era così che funzionava con Luke Hemmings. Bastava uno sguardo per capire tutto, ma spesso la gente nei suoi occhi si preoccupava di vedere solo il lato "cattivo", quello indifferente alle altre persone, quello impulsivo, quello nella penombra.
"Che fai oggi pomeriggio?" mi chiese il biondo dopo qualche minuto di silenzio.
"Niente."
"Ti va di venire con me e Mikey?"
"Dove andate?"
"Se vieni lo vedrai." rispose lanciandomi una strana occhiata.
"Va bene. A che ora?"
"Mm facciamo che alle 5 passo sotto casa tua."
"D'accordo. A dopo." dissi salutando con la mano e imboccando la strada verso casa mia.
Appena arrivai a casa neanche mi preparai il pranzo, ma mi buttai direttamente sul letto, sfinita. Non avevo fatto niente di tanto stancante durante la giornata, quindi non capivo a cosa fosse dovuto questo sonno. Passai tutto il pomeriggio sul letto a sentire la musica, senza degnarmi di aprire un solo libro. Mi alzai dal letto solo quando guardando l'ora scoprii che già si erano fatte le 16.45.
Mi alzai velocemente e aprii l'armadio. Notando che il tempo era decisamente migliorato e che la temperatura era abbastanza alta, decisi di mettermi un paio di shorts di jeans, una maglia blu larga, e le mie vans color jeans. Andai in bagno e mi sistemai i capelli color nocciola legandoli in una treccia che appoggiai sulla spalla sinistra, poi mi ritoccai il trucco per dare un po' di colore al mio sguardo che oggi era più cupo del solito, poi riandai in camera, presi la borsetta blu e ci misi dentro il portafoglio, il telefono e le cuffiette, poi presi le chiavi di casa e aspettai che Luke arrivasse. Alle 5 in punto sentii il campanello suonare, quindi scesi le scale e andai ad aprire la porta. Trovai davanti a me il biondo vestito con una maglia nera, dei pantaloni neri stretti strappati sulle ginocchia, e le sue immancabili vans, anche quelle nere. I capelli erano sempre alzati in un ciuffo e i suoi occhi mi stavano guardando come se fossi un alieno.
"Wow." se ne uscì
"Wow cosa?"
"Stai bene così." ammiccando un sorriso.
Sorrisi imbarazzata, poi "Grazie. Adesso me lo dici dove andiamo?"
"Ancora no. Sali in macchina." disse girandosi e dirigendosi verso una macchina nera davanti casa mia.
"È tua?" chiesi stupita.
Annuì.
Possibile che avesse una macchina? Sperai che avesse almeno la patente, anche se mi sembrava abbastanza improbabile. "Speriamo bene." pensai tra me e me.
In macchina nessuno dei due parlò. Io mi limitai a guardare fuori dal finestrino tutto il tempo, osservando le strade, le case, i piccoli negozi qua e là, i bambini che passeggiavano e gli adulti che tornavano dal lavoro. Lavoro. Chi sa in quanto tempo mio padre sarebbe riuscito a riottenere un posto di lavoro.
"Mike?" chiesi a un certo punto.
"Ci raggiunge là." Detta quella frase il silenzio tornò nella macchina, finché non arrivammo. C'era un edificio davanti a noi, un palazzo di quattro piani, ingrigito e scrostato con il tempo, con le finestre rotte o sbarrate, una porta di metallo grigio ricoperta di graffiti colorati.
"Cos'è Luke?" chiesi incerta.
"Vieni, ti faccio vedere."
Entrammo in quell'edificio. Non capivo cosa fosse, di certo non un palazzo di appartamenti, forse un vecchio ufficio abbandonato. Camminammo un po' nella penombra, le luci era tutte spente, o forse fulminate. Salimmo qualche rampa di scale e percorremmo qualche corridoio. Seguivo Luke, mi fidavo di dove andava e di ciò che faceva. Arrivammo davanti a un'altra porta, e lui con fare sicuro abbassò la maniglia ed entrò. Quella stanza stonava con il resto dell'edificio. Non era polverosa e in disuso come le altre stanze davanti alle quali ero passata, le due finestre erano spalancate, ed era arredata in modo completamente diverso. C'era una specie di scrivania su cui era appoggiato uno scatolone di cartone, un divano mezzo rotto, un tavolino basso in un angolo, delle scale di metallo sulla parete opposta che portavano al piano di sopra, e le pareti erano completamente ricoperte di graffiti di ogni genere e di ogni colore.
"Cos'è questo posto?" chiesi confusa.
"È qui che vengo quando qualcosa non va."
"Quindi oggi c'è qualcosa che non va." La mia non era una domanda, era più un'affermazione.
"Più o meno." Lo guardai con aria interrogativa, quindi continuò. "C'è sempre qualcosa che non va, soltanto che ho pensato che questo fosse il momento giusto per condividere questo posto anche con te, visto che oggi anche per te c'è qualcosa che non va. E non lo negare, me ne sono accorto."
"Cosa c'è una quella scatola?" chiesi cambiando discorso indicando lo scatolone sulla scrivania.
"Ehm niente." liquidò agitato la domanda. Mi stava nascondendo qualcosa.
"Dai, cosa ci sta?" domandai avvicinandomi alla scatola. Stavo per aprirla quando mi prese una mano.
"Davvero, non ci sta nulla." mi fermò.
"Ma su, fammi vedere." e la aprii. Trovai al suo interno delle bombolette spray, quelle con cui erano stati fatti i graffiti, pensai, e sul fondo, mi bloccai, ogni genere di droga.
"Luke, è roba tua questa?" chiesi sperando in un no.
"Di tutti i ragazzi che vengono qua."
"Chi ci viene qui oltre a te?" chiesi con voce tremante.
"Beh, Michael, Calum, e a volte Ashton."
Non sapevo cosa dire, c'ero rimasta di merda, non me lo aspettavo. Ero, forse, più che altro delusa.
"Lola," prese a parlare, con la voce che gli tremava un po' "io... io non sono l'angioletto che credi tu. Con gli anni ho trovato degli... sfoghi, come... violenza, o droga. Mi dispiace che tu mi abbia sempre visto come un bravo ragazzo che nella vita ha solo subito, ma anche io ho contribuito a far di me quello che sono oggi."





NOTE DELL'AUTRICE :)
Sono tornataaaa:D in effetti non me ne sono mai andata ma dettagli lol
Allora, parlando del capitolo, scusatemi se ci ho messo così tanto per scriverlo e il risultato non è stato neanche eccezionale. Non ho avuto molto tempo ma soprattutto non ho avuto neanche un'idea, solo alla fine mi è venuto in mente come concluderlo, ma non mi è piaciuto lo stesso. In più è corto e ci ho messo tanto a pubblicarlo perché è venuta una mia amica dalla Calabria e successivamente dei miei amici dal Canada, quindi il tempo che ho avuto è stato poco. Che altro dire? In questo momento della storia scopriamo anche la parte più fuori dagli schemi di Luke, mettendo da parte invece il suo lato premuroso verso Lola. Per finire ringrazio eminem5soslove, Elisa_CrazyMofo e Monchele98 per avere recensito il capitolo precedente e, visto che questa storia è letta da tantissime persone, volevo chiedere alle lettrici fantasma di lasciare una recensione, anche piccina piccina, che a me fa sempre piacere:3
Alla prossima, cercherò di essere più veloce ad aggiornare✌️❤️
~Vic

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Capitolo 10
*** Trouble. ***


Non volli ascoltare una parola di più, mi faceva male sentire quelle frasi così disconnesse provenire dalla bocca del biondo, mi facevano sentire inutile, facevano sentire tutto quello che stavo facendo inutile. Mi sarei aspettata magari una canna ogni morte di Papa in compagnia, non addirittura tutta una scorta. Quel ragazzo si stava uccidendo da solo, sia interiormente che fisicamente.
Uscita da quell'edificio che cominciavo a odiare tanto non sapevo dove andare, non avevo la più pallida idea di dove mi trovassi, quindi cominciai a girovagare senza curarmi di dove stessi andando. Presi una sigaretta e l'accesi, così potevo stare più tranquilla, pensare ad altro, distogliere la mente da tutti i miei casini. Possibile che i miei problemi aumentassero soltanto? Adesso si aggiungeva anche il fatto che non sapevo più come trattare Luke, come se non fosse successo niente o se dovessi cercare di fargli smettere di andare in quel posto. Ashton diceva che il biondo avrebbe fatto tutto quello che gli avrei consigliato per il suo bene, ma non mi sembrava propenso ad abbandonare quel luogo. Io, boh... Basta dovevo smettere di farmi tutti questi problemi, dovevo smettere di cercare sempre un rimedio anche ai problemi che non esistevano. Avrei provato a far cambiare idea a Luke, e se non ci fossi riuscita, beh, pazienza, avremmo continuato a essere amici.
Il sole cominciava a tramontare, e io non sapevo proprio dove andare, cosa fare, se fermarmi, se continuare, se chiamare mio padre, se continuare a camminare senza una meta. Scelsi l'ultima, quindi continuai a vagare per le strade meno popolate di Sydney finché non trovai un vecchio campo da basket circondato sui quattro lati da una rete metallica, con una specie di porta, sempre di metallo. Entrai e mi sedetti in un angolo del campo finendo di fumare la mia sigaretta e prendendo le cuffiette dalla borsa. La musica in quel momento ci stava proprio bene, mi avrebbe fatta rilassare e pensare ad altro, era proprio quello che mi serviva. Mi strinsi le gambe al petto, appoggiai la guancia su un ginocchio e rimasi così per un po', fin quando non sentii un clacson suonare e dei fari illuminarmi.
"Lola!" sentii qualcuno chiamarmi. Alzai lo sguardo, e vidi un uomo uscire dalla macchina. Era mio padre. "Che ci fai qui?" chiese quando fu abbastanza vicino. Mi alzai ed uscii dal campo di basket, poi gli risposi "Niente, stavo qui a fare un giro. Tu invece?"
"Tornavo a casa." abbassando lo sguardo dispiaciuto e capii che era ancora senza lavoro. "Dai, sali su." Disse facendomi un cenno mentre apriva lo sportello della macchina. Salii e spostai lo sguardo sulla strada. Ormai il sole non c'era più, era rimasta solo un po' di luce che sarebbe stata sostituita a breve dalla luce dei lampioni.
Mise in moto la macchina e partì. Durante il tragitto non spiccicò parola, fissava la strada con aria assente, pensierosa.
"Lola." mi chiamò a un certo punto.
"Si?"
"Sii sincera. Perché eri in quel campo da basket? Come c'eri arrivata in quella zona di Sydney?"
"Ci ero venuta con un mio amico, poi ci siamo salutati, e io sono rimasta lì."
"Questo amico è Luke?"
Annuii, sperando che il fatto che fosse Luke non fosse una cosa negativa.
"Tra te e quel ragazzo, c'è qualcosa?" chiese con aria incerta.
"Solo amicizia papà." risposi sicura.
"Sai, quando ti vedo con lui sei... Diversa. Sei più tranquilla, più felice."
"Sì, è vero." ammisi.
"Spero che non ti faccia soffrire."
"Non lo farà. È una bellissima persona... e mi vuole bene." perché era così, mi voleva bene, e si vedeva. Lo sentivo dai suoi abbracci, me ne accorgevo dai suoi sguardi, e le sue parole ne erano la prova.
"Ne sono felice." concluse mio padre con un sorriso. "Lola, ti prometto che troverò presto un lavoro, e appena succederà torneremo a essere una bellissima famiglia, una famiglia felice, e farò di tutto per farti tornare quel bel sorriso che avevi da piccola."
"Grazie papà, ma io..." Dovevo dirglielo. "Io penso che comincerò a lavorare."
Mio padre fermò la macchina all'improvviso, e si girò a guardarmi.
"No tesoro, non voglio. Ti giuro che tra poco riotterrò un lavoro per permetterci una bella vita, te lo prometto, ma non voglio che alla tua età già incominci  a sopportare tanto stress."
"Ma voglio farlo per noi, per la mamma."
"Poi ne riparleremo, ok?"
Sbuffai.
Ripartì ed arrivammo a casa in cinque minuti.
"Hai fame?" mi chiese entrando in casa.
"Un po', tu?"
"Abbastanza."
"Preparo qualcosa, tu vatti a riposare.
"Sicura?"
"Sì, sì, ci penso io." dissi dirigendomi verso i fornelli.
Preparai una pasta al pomodoro e un po' di insalata, apparecchiai e misi il cibo in tavola, poi, pronta per la cena, chiamai mio padre. Cenammo in silenzio, entrambi stanchi, e filammo subito a letto. In camera mia mi spogliai, misi il pigiama, sciolsi la treccia e presi il telefono dalla borsa, mettendomi subito dopo a letto per leggere un libro. Notai la notifica di un messaggio sullo schermo del cellulare, era da Luke, così lo sbloccai per visualizzarlo.

"Mi dispiace di averti delusa." diceva.

Non volevo crearmi di nuovo questi problemi, così misi da parte il telefono, misi da parte Luke, misi da parte me stessa, e mi dedicai un po' alla lettura. Andai a dormire tardissimo, e questo non mi giovò affatto per la mattina successiva.

Andando a scuola escogitai una "strategia". Pensai che fosse meglio se avessi tenuto il sorriso tutto il giorno, avrei fatto distrarre Luke e non avrei dato peso a ciò che era successo il pomeriggio precedente. Passai attraverso il cancello della scuola e, come previsto, trovai i quattro amici seduti sul muretto a fumare.
"Buongiorno." salutai sorridente.
"Di buon umore oggi?" fece Luke.
"Abbastanza." alzando le spalle, sempre sorridendo.
"Vuoi un tiro?" chiese accennando al pacchetto di sigarette.
"No grazie, oggi non ne ho bisogno."
"Ok, oggi sei decisamente di buon umore." ridacchiando. Gli altri seguirono alla risata, tutti tranne Ashton, che si alzò senza dire nulla e si diresse rapidamente all'interno della scuola senza guardare in faccia nessuno. Guardai con aria interrogativa gli altri tre, che alzarono le spalle.
"Oggi che fate? Entrate?"
Si scambiarono tutti un'occhiata, poi Luke rispose "Non penso. Tu che vuoi fare?"
Alzai le spalle.
"Andiamo al parco?" propose il biondo.
Noi tre rispondemmo di sì, quindi cercando di non dare troppo nell'occhio uscimmo dal cancello della scuola e imboccammo la strada verso il piccolo parco dietro alla birreria. Con la luce del sole era meno inquietante, e la pesante puzza di birra si notava di meno. La sera la birreria era occupata da gente che per bene proprio non era, di conseguenza, quel parco poteva non sembrare il luogo adatto per una sigaretta serale, ma di giorno aveva tutto un altro aspetto: era più fresco, luminoso, piacevole e rilassante, e potevi girarci dentro senza aver paura di essere stuprata da un momento all'altro.
Stavamo camminando a zigzag tra gli alberi, guidati da Michael che stava cercando un posto per sederci. Trovammo un tavolo da picnic e ci sedemmo tutti e quattro la sopra. Subito dopo successe una cosa strana, che mi insospettì. Calum mise una mano in tasca, e stava per chiedere "Ne volete?" quando fu interrotto da Luke che scuoteva la testa velocemente, sperando che non lo notassi. Il moro rimase con un'espressione contraddetta in faccia, e preferii non fare domande.
A un certo punto Michael propose di cantare qualcosa, quindi cominciammo a intonare Forever Young. Notai che i tre ragazzi avevano delle voci bellissime, cantavano da dio. Passammo il resto della mattinata a ridere e scherzare, finché quei tre pazzi non incominciarono una battaglia con i sassolini a causa di una battuta di Calum. Io mi limitai a guardare quella scena comica senza parteciparne, ridendo tutte le volte che qualcuno veniva colpito da un sassolini grigio. Smisero solo quando Michael e Luke riuscirono a riempire di sassi la felpa del moro, e il terzo si arrese, per poi sedersi sul tavolo sfilandosi la felpa per togliere tutti i sassetti dal cappuccio. Finita la loro guerra decidemmo di tornare a casa, quindi uscimmo dal parco e ognuno prese la strada di casa sua. Io e Luke prendemmo la stessa strada, Michael ne fece un pezzo con noi poi deviò in un'altra strada, e Calum ne prese dall'inizio un'altra ancora.
"Luke, dove vai adesso?" chiesi al biondo che camminava accanto a me per capire che intenzioni avesse.
"Vado a casa, mio padre non c'è."
"Sicuro?"
"D'altronde casa è sempre casa, no?"
Annuii, senza capire esattamente a cosa si riferisse.
"Dove abiti?"
Alla fine mi ritrovai a seguirlo, senza neanche sapere dove fosse casa sua: lo capii solo quando notai che tirò fuori le chiavi dalle tasche dei pantaloni. Mi guardai intorno, guardai le case, e notai che come zona era una bella zona, tranquilla, silenziosa, curata. Le case, tutte a due piani, avevano davanti un piccolo giardinetto, circondato da una staccionata di legno bianca e un cancelletto, anch'esso tinto di bianco. Con lo sguardo intravidi una vecchia signora su una sedia a dondolo nel suo giardino, che alzò lo sguardo quando ci vide passare, e fissò Luke con aria dispiaciuta quando vide che il biondo stava inserendo le chiavi nella toppa della porta. Il contatto visivo con la signora si interruppe, e io smisi di pensare al suo sguardo in pena. Entrai lentamente nella casa, guardandomi appena attorno, spostando lo sguardo su tutti i particolari di quella piccola casa, che di una famiglia felice mostrava ben poco. Solo su un tavolino di legno vicino al piccolo divano c'era una foto con la famiglia al completo, era l'unica in tutta la casa. C'erano una bella donna bionda, l'uomo che avevo già visto, un piccolo Luke che sorrideva, e altri due bambini che mi sembrarono appena più grandi del biondo. Spostai lo sguardo sul resto della casa e pensai che quando ospitava una famiglia ancora integra doveva essere molto più accogliente e ospitale. L'ingresso, il salotto e la cucina, che aveva la porta aperta e che quindi si poteva intravedere dall'ingresso, erano abbastanza piccoli, tutte e tre le stanze poco curate, anche a causa della poca vita in questa casa.
"Quindi?" interruppe i miei pensieri Luke.
"Che?" chiesi distrattamente.
"Resti?" specificò.
"Se ti va..."
"Vieni, andiamo a preparare qualcosa da mangiare." sorrise.
Mangiammo qualcosa al volo, poi propose di guardare se c'era qualcosa di interessante in tv, ma quando cominciò a stufarsi di fare zapping tra i canali, buttò il telecomando sul divano e prese a farmi il solletico, senza né motivo né preavviso. Cominciai a ridere e a divincolarmi tra le sue braccia che mi stringevano da dietro per farmi il solletico sulla pancia. Risi a crepapelle urlandogli di lasciarmi, scherzosamente.
"Ti odio." gli dissi quando mi lasciò.
"Anche io." scoccandomi un bacio sulla guancia. Mi prese in braccio mettendo una mano sotto alle ginocchia e tirandomi su, ma si immobilizzò, pietrificato, quando sentì delle chiavi girare nella toppa della porta di casa. La porta si aprì velocemente e la figura del padre di Luke si stagliò davanti a noi.
"Luke." lo chiamò con aria quasi divertita. Mi lasciò scendere dalle sue braccia velocemente, poi la voce dell'uomo si sentì di nuovo nella casa. "Che ci fa quella qua? È la tua fidanzatina?" Mi sentivo in imbarazzo, in quella casa ero di troppo. Abbassai lo sguardo con fare dispiaciuto.
"Quella ha un nome. E non è la mia ragazza." disse il biondo calcando molto sul "quella".
Luke mi appoggiò una mano dietro la schiena cercando di non farsi notare dal padre, e mi diede una leggerissima spinta, per farmi capire che mi conveniva andarmene.
"Sai che non voglio gente in casa mia." tuonò arrabbiata la voce dell'uomo.
"È... è meglio che io vada." dissi imbarazzata.
"Sì, sarà meglio." sottolineò il padre di Luke. Cominciai ad andare verso la porta quando sentii la voce del biondo.
"Questa è anche casa mia."
"No, non lo è più."
Aprii la porta di casa e lanciai uno sguardo dispiaciuto a Luke, che scosse impercettibilmente la testa. Non ebbi il coraggio di fare nient'altro, solo di girarmi e cominciare a correre, a scappare da quello che stava per succedere a Luke, perché sapevo cosa gli sarebbe successo. Non volevo sentire nient'altro di quella conversazione, non volevo sentire altre urla di suo padre, non volevo sentire altra paura nella voce del biondo, volevo solo far finta che non sarebbe successo nulla, ma sapevo fin troppo bene che era inevitabile quello che stava per accadere.
Senza accorgermene ero arrivata nel parco in cui avevo trascorso tutta la mattina, e mi fermai lì, mi stesi sul prato, a guardare i cielo, blu come gli occhi di Luke, e inevitabilmente i miei pensieri si rivolsero al biondo, a come lo avevo lasciato da solo, faccia a faccia con il padre, senza poter far nulla per aiutarlo.





NOTE DELL'AUTRICE :)
Ciaooo! Eccomi di nuovo qui:) comincio subito col chiedervi scusa se sono scomparsa così, ma nei giorni passati sono stata impegnata e IERI SONO ANDATA A MILANO URLOOO e anche se non sono riuscita a farmi firmare la copia del disco li ho visti è stato bellissimo, sono stata felicissima, ho pianto come una fontana mio dio.
Comunque, passando al capitolo, l'inizio non è eccezionale ma non sapevo cosa far succedere lol invece alla fine succede un po' un casino, immaginerete già cosa succederà a Luke, ma nel prossimo capitolo scoprirete mooolto di più su quello che gli accadrà e su come reagirà.
Ringrazio eminem5soslove e xperfoned per aver recensito il capitolo precedente e vi prego, lettrici fantasma, lasciate una recensione, anche piccina piccina🙏
Per finire vi lascio il mio Twitter. Sono @_lukeshugs, se vi va di seguirmi ricambio:)
Alla prossima
~Vic

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Capitolo 11
*** Can't stop thinking of you. ***


21/02/14 17:12
Chiamami appena puoi. Lola x

Continuavo a leggere quel messaggio, sperando prima o poi di ricevere una risposta da Luke, ma non dava ancora nessun segno di vita. Decisi di alzarmi dal prato, ripresi le mie cose, la borsa con i libri, il telefono, la felpa che mi legai alla vita, e uscii lentamente dal parco, con lo sguardo vago e i pensieri rivolti a Luke. Volevo assolutamente parlargli, volevo assolutamente chiedergli scusa per quello che era successo, perché mi sentivo in colpa, sapevo che se non ci fossi stata il padre non avrebbe reagito in quel modo, ma non avevo idea di come rimediare. Tornando a casa mi passò per la testa di andare da Luke, ma soppressi subito la pessima idea. Camminai fino a casa, solo lì mi fermai per aprire la porta, la richiusi alle mie spalle e ripresi a camminare guardando un punto fisso davanti a me, cercando di distogliere i miei pensieri dal biondo, senza alcun risultato. Arrivai in camera mia, sempre con lo sguardo vacuo, e mi buttai sul letto a peso morto. Quando la testa cominciò a martellarmi decisi di alzarmi e prendermi qualcosa in cucina, visto che non avevo pranzato. Mi presi del gelato allo zabaione e poi, visto che avevo ancora un po' di fame, anche una barretta al cioccolato. Provai tutti i modi per distrarmi, ascoltai la musica, mi misi a disegnare, accesi la tv, mangiai, ma niente riusciva a distrarmi da Luke, da cosa stava facendo in quel momento, se stava bene, o se stava male, se era ancora bello come prima, o se il suo volto era sfregiato e rovinato. Non ce la facevo più a tartassarmi con quelle domande, quindi salii in camera mia e tirai fuori da un cassetto il libro di matematica. Presi un foglio a quadretti, aprii il libro, e tentai di concentrarmi sul testo dei problemi, ma dopo un'ora che mi sforzavo di provare a pensare a come risolverli ci rinunciai, e la mia mente si catapultò di nuovo su Luke. Non potevo andare avanti così, non potevo pensare solo al biondo, se no l'agitazione avrebbe preso il sopravvento e io mi sarei ritrovata appiccicata al telefono sperando che mi rispondesse. Dovevo calmarmi.
Sentii delle chiavi girare nella porta di casa, poi la voce di mio padre salutarmi. Ricambiai, per poi scendere in cucina a preparare qualcosa per cena. Ci accontentammo di una cena leggera, al volo. Il problema arrivò quando mio padre mi chiese se avessi qualcosa, cercai di mentire, ma non ci riuscii, così mi toccò spiegargli cosa era successo oggi, ovviamente nascondendogli parecchie cose che non volevo venisse a sapere.
Andai a dormire ancora nervosa, e la mattina il suono nella sveglia come al solito riecheggiò nella stanza appena illuminata dai raggi del sole che passavano attraverso la finestra, svegliandomi. Mi preparai velocemente, molto più del solito, avevo voglia di andare a scuola, di vedere Luke, di abbracciarlo, di dirgli di non preoccuparsi, che tutto sarebbe finito per il meglio.
Per strada neanche aspettai l'autobus, decisi di andare direttamente a piedi per non sprecare tempo. La scuola adesso era a pochi metri da me, sentivo le voci dei ragazzi che chiacchieravano prima di entrare, e il cancello in ferro nero era sempre più vicino. Le gambe accelerarono il passo da sole, senza un mio comando, non stavo più nella pelle, volevo attraversare quel cancello e buttare le braccia al collo di Luke, stingerlo forte, dargli coraggio.
Mi mancavano pochi passi, massimo cinque o sei. Cinque o sei passi e lo avrei visto. Non ero pronta. Non lo ero affatto. Come avrei reagito lì per lì?
Un altro passo. E lui come si aspettava che avrei reagito? Forse non voleva che provassi pena per lui, o forse aveva bisogno di attenzioni, di aiuto.
Ancora un passo. C'ero quasi. Le ginocchia quasi mi tremavano, mi si formò un groppo in gola all'idea di come quel ragazzo dagli occhi azzurri come il cielo poteva essere stato ridotto.
Solo un altro passo. Un ultimo passo e mi sarei ritrovata all'interno di quel cortile, e precisamente alla mia destra, seduti sul muretto, avrei visto quei quattro ragazzi.
L'ultimo passo. Volevo davvero vedere come stava Luke? Forse no, ma dovevo, per lui, per la splendida persona che era, per la felicità che si meritava.
Poggiai per l'ultima volta un piede davanti all'altro, prima di fermarmi e girare i scatto la test verso destra. Ecco lì quei ragazzi. Vidi prima Ashton, appoggiato al muretto con le cuffie nelle orecchie, poi Michael, che stava accendendo due sigarette, una per se e una per Calum, seduto accanto a lui. Spostai lo sguardo appena oltre.
"Dov'è Luke?" chiesi allarmata, senza neanche salutare.
Tutti e tre sgranarono gli occhi vedendo la mia reazione, vedendo come ero rimasta stupita dall'assenza del biondo. Forse ai loro occhi la mia reazione era stata esagerata.
"Boh, forse oggi non viene." mi rispose Calum.
"Sul serio, non sto scherzando. Ditemi dove sta." entrando nel panico.
"Lola, calmati." mi fermò il ragazzo con i capelli verdi, che cominciavano a schiarirsi.
"No cazzo, non mi calmo!" urlai. "Ditemi dov'è Luke, per favore." quasi li scongiurai.
"Lola, dicci che succede." riprese Calum.
"Io... Luke... Vo-voi non sapete nulla?"
"Cosa?" chiesero in coro.
"Suo padre... Beh, ieri si è arrabbiato parecchio con lui."
"Merda. Dobbiamo andare subito da lui."
"Perché non ci ha detto niente?" quasi urlò Ashton.
"No. No, fermi!"
"Che?" si stupì Michael.
"Fermi! È meglio se non andare." Era una cosa che dovevamo risolvere io è Luke, loro non c'entravano nulla in quel caso, questa volta non potevano fare nulla per aiutarlo.
"Ma che cazzo stai dicendo?" sbottò Ashton.
Ormai erano tutti in piedi e stavano cercando di superarmi per uscire dal cancello, ma dovevo trovare un modo per fermarli.
"Hey, davvero, non sto scherzando. Questa volta è meglio se ne restate fuori."
"Walker ma che cazzo hai in quella testa? Luke si è affezionato a te, bene, ma non vuol dire che adesso esisti solo tu per lui. Noi siamo i suoi migliori amici, lo conosciamo molto meglio di te, tu non sai praticamente nulla di lui, quindi come puoi pretendere di metterti in mezzo?" urlò Ashton. Tutti si erano girati a guardare cosa stava succedendo, ma a me non importava degli altri. Mi stavano venendo le lacrime agli occhi.
"Senti, è colpa mia se suo padre si è incazzato con lui, non dovevo andare a casa sua, ho sbagliato, e ora devo rimediare. In questa faccenda voi non c'entrate nulla. Prima fatemi risolvere con lui, poi potrete passarci tutto il tempo che vi pare. Ok?"
"Ash, forse ha ragione." lo calmò Michael. "Lola è una ragazza intelligente e responsabile, saprà cavarsela." e vidi Calum annuire alle sue spalle. Ashton alzò una mano al vento, e si tolse di torno.
"Vai, appena puoi dacci notizie." mi disse Calum dandomi un colpetto sulla spalla. Mi girai velocemente e cominciai a camminare spedita verso la casa del biondo. Non sapevo se lo avrei trovato lì, ma non sapevo dove altro provare se no.
Accelerai il passo, sentii le gambe farmi male, i muscoli bruciare per lo sforzo di camminare il più velocemente possibile facendo passi lunghi. Quasi correvo, avevo un leggero fiatone.
Riconobbi la strada in cui mi trovavo, era vicina alla casa di Luke, ma pensai che fosse meglio chiamarlo prima di fare irruzione in casa sua, per precauzione.
Lo chiamai più volte ma non rispose mai, quindi mi ritrovai davanti alla porta di casa sua ad aspettare che qualcuno aprisse dopo che avevo suonato il campanello.
"Chi è?"
"Luke, sono Lola." riconoscendo la voce del biondo. Finita quella frase aspettai qualche secondo, ma non sentii più nulla.
"Luke, aprimi. Ho bisogno di parlarti!" quasi lo supplicai. Ancora nessuna risposta.
"Merda, apri questa porta!" urlai.
Pochi secondi dopo un ragazzo che quasi non riconobbi era davanti a me, con lo sguardo vuoto, a tenermi la porta aperta.
"Santo cielo, Luke!" esclamai con le lacrime agli occhi gettandomi sul suo petto. All'impatto lo sentii indietreggiare, come se mi fossi spinta verso di lui con troppa forza e lui avesse perso l'equilibrio. Lo circondai con le braccia e lo strinsi a me, ma non fui ricambiata. Alzai la testa e lo guardai in viso. Aveva il labbro inferiore spaccato, un occhio completamente pesto, uno zigomo arrossato, e aveva un'aria completamente trasandata, sciatta, non curata. La sua pelle era più chiara del solito, i suoi occhi erano atoni, persi, i suoi capelli, di solito tirati su in un ciuffo, erano scompigliati.
"Ti prego, dì qualcosa." gli chiesi con un sussurro flebile.
"Non credo di aver nulla di bello da dirti." disse piano senza guardarmi. La sua voce era strana, rotta, capace di affievolirsi da un momento all'altro.
"Luke, scusami."
"Non me ne faccio nulla delle tue scuse Lola." allontanandosi da me.
"Cosa stai dicendo?" avevo di nuovo le lacrime agli occhi, ero confusa, e spaventata dalle sue parole.
"Usciamo, facciamo due chiacchiere."
Annuii spaventata da quello che per lui potevano essere "due chiacchiere".
Appena fuori dalla porta di casa, attaccai il discorso.
"Luke, mi dispiace davvero tanto per quello che ti ha fatto tuo padre. Troveremo un modo per risolvere questa situazione, lo troveremo insieme, te lo giuro."
Mi interruppe. "No Lola, io non voglio aiuto, non voglio risolvere questa situazione, perché tanto andremo solo peggiorandola."
"Ma Luke, fino a ieri volevi fare qualcosa, volevi smetterla con questa storia!"
"Esatto, fino a ieri. Dopo quello che è successo non voglio più mettermi contro mio padre. Ha capito che c'è qualcosa sotto, ha capito che voglio smetterla di vivere in questo modo, e me l'ha fatta pagare. Si è incazzato come mai, non l'ho mai visto così furioso, e non voglio vedercelo mai più."
"Luke, se mi dai retta arriverà il giorno in cui potrai vivere in pace, senza dover star attento a tutto quello che fai, senza aver paura di tornare a casa."
"Quel giorno arriverà lo stesso, e non ci sarà bisogno di farmi ammazzare affinché arrivi. Guarda come sono ridotto, sembra che sia appena tornato da un incontro di box." disse accompagnato da una leggera risatina isterica, aprendo le braccia.
"Luke, io voglio solo aiutarti, non..."
Mi interruppe quasi urlando. "Tu  non mi stai aiutando Lola! Se non fosse stato per te, ieri a mio padre neanche avrei risposto, mi sarei preso il mio schiaffo e basta, invece mi ci sono messo a litigare. E sai perché? Sai perché? Guardami in faccia quando ti parlo!" urlò sollevandomi il mento con due dita. "Sei tu che in qualche modo mi fai credere che se mi ribellassi si risolverebbe tutto! Sei tu che in qualche modo mi dai la forza e il coraggio di rispondergli, di mettermi contro di lui!"
"Stai dando ragione ad Ashton." ammisi, forse più a me stessa che al biondo.
"No. Tu non hai capito cosa intendeva dire lui! Non sai perché ti ha detto tutte quelle cose!"
"E allora spiegamelo, dai. Magari questa stupida di Lola riesce a capire qualcosa. Magari questa stupida capisce che deve togliersi di torno, che tutto quello che sta facendo, che tutto quello che sta provando, è inutile! Dai, spiega!" Le lacrime mi scendevano abbondanti sulle guance, rigandomele.
"Non c'è nulla da spiegare. E smettila di piangere."
"Dai, su! Dimmelo che sono inutile! Dimmelo che non te ne frega un cazzo di me! Dimmelo che se me ne vado per te è meglio!"
"Lola, calmati."
"Come faccio a calmarmi? Mi stai dicendo che non servo a un cazzo  dovrei calmarmi?" ormai le lacrime avevano bagnato tutte le mie guance, e gli occhi si erano fatti rossi. "Dimmelo in faccia se non è così. Dimmelo."
"Lola, dovresti andare a casa. Sarebbe meglio."
Ed eccolo lì. Tutto quanto. Ogni singola parola. Tutto racchiuso in quelle due frasi. Tutto quello che gli avevo sputato in faccia appena prima confermato.
Scossi lentamente la testa, come incredula. "Non me lo aspettavo da te questo. No. Per niente. Non sono tanto offesa, quanto delusa. Speravo che la pensassi come me, che tu, come me, volessi il meglio per te, ma mi sono evidentemente sbagliata."
"Lola, io voglio il meglio per entrambi!" alzò di nuovo il tono della voce. "Ma io penso che stare accanto a te mi abbia cambiato, non sono più quello di sempre, sono anche più arrogante con gli altri, con i miei amici, quelli che mi conoscono da anni, e che da anni mi aiutano. Prima almeno con gli altri tre stavo bene, adesso neanche più con loro. Fattele due domande. Fattele! Perché sono cambiato così tanto in una settimana?"
"Luke, le persone subiscono continui cambiamenti in tutto l'arco della loro vita. È normale cambiare, è normale rendersi conto di non essere più come prima."
"Sarà anche normale, ma io non voglio essere la persona che sono diventato! Non mi sento più me stesso, mi hai cambiato nella persona che non sono. Sei tu che mi convinci che faccio bene a rispondere a mio padre, se tu che mi convinci che se solo lo voglio posso essere più forte di lui, sei tu che mi convinci che un giorno avrò un futuro più facile, ma sono tutte cazzate! È da quando sono piccolo che vivo in quel modo, perché adesso dovresti arrivare tu e peggiorare ulteriormente la situazione?" stava urlando, ma neanche tanto forte, però la sua voce mi arrivava nelle orecchie altissima e mai stata così arrabbiata. Quelle parole tutte insieme rimbombavano nella mia testa e mi recavano confusione, paura, incredulità, dolore.
"Scusami, scusami Luke. Io mi sono affezionata a te, volevo solo trovare un modo per non farti più soffrire, per farti godere la vita, per darti un tuo spazio, una libertà. Non avevo intenzione di rovinartela, la vita. Ma sai che? Te la sto davvero rovinando? Perfetto, me ne vado. Tu continuava vivere la tua vita, continua a farti prendere a pugni da tuo padre, continua a startene fermo con -Hey, papà, sono qui! Colpiscimi!- scritto in fronte. Continua, dai, e divertiti." L'ultima parola mi uscì più acida di quanto volessi. Con gli occhi gonfi e il viso bagnato mi girai e me ne andai, senza dire nient'altro, senza guardarlo in faccia, lasciandolo lì, da solo con se stesso, come lui aveva lasciato me.




NOTE DELL'AUTRICE :)
*corre a nascondersi in un angolino*
Si ok, sono stata perfida in questo capitolo. Molto perfida. Sorratemi, ma ce n'era bisogno. Diciamo che questo litigio era dall'inizio della fanfiction che volevo mettercelo, ma non c'ero mai riuscita ahah e ora che mi si è presentata l'occasione adatta non me la sono persa. Non so quando faranno pace (mi pare scontato che la faranno, quindi non vi anticipo nulla così lol) cooomunque, non fraintendete Luke, che poverino, dopo quello che gli ha fatto il padre la sera precedente non ha più il coraggio di mettersi contro di lui e quindi ha deciso di allontanarsi dalla ragazza che gli infondeva quel coraggio.
Passando alle recensioni, ringrazio eminem5soslove, xperfoned, sofy1906, Sniix e Monchele98 per aver lasciato un loro parere sulla storia c: e per favore, lettrici fantasma, considerando che siete davvero tantissime, perché non lasciate una recensione che a me farebbe molto piacere?
Beh detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto e cercherò di aggiornare al più presto
Ciaociao👋❤️

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Capitolo 12
*** Alone. ***


Un passo dopo l'altro, lentamente, cercando quel minimo di forza che mi restava in corpo, cercavo di arrivare a casa. Avevo gli occhi talmente gonfi di lacrime che non vedevo bene la strada, andavo a tentoni. Per distrarmi camminavo proprio nel centro della via, sulla linea bianca di sorpasso cercando di non perdere l'equilibrio. Di macchine ne passavano pochissime in quella zona, quindi andavo tranquilla. Avevo assolutamente bisogno di distrazioni, una qualsiasi cosa, anche la più stupida, per smettere di pensare a quel ragazzo, a Luke. Non pensavo potesse reagire in quel modo, non pensavo potesse trattarmi così male, non pensavo potesse mandare a puttane tutto quello che stavamo cercando di fare. Speravo fosse solo un litigio di quelli che si risolvono subito, uno di quelli in cui si mandano a fanculo i motivi per cui si ha litigato, ma sapevo che non era così. Quello per cui avevamo litigato non era una cosa tanto leggera, tanto facile da superare. Mi aveva chiaramente fatto capire che aveva paura di quello che sarebbe successo se avessimo continuato a essere amici, se io avessi continuato a spronarlo per farlo reagire ai comportamenti del padre. Forse aveva anche ragione lui. Se mi fossi allontanata, se avessi smesso di uscire con lui il pomeriggio, sarebbe tornato alla sua normalissima, per così dire, vita, e il padre, beh... il padre, non lo avrebbe più gonfiato di botte come aveva fatto poche ore prima.
Ero quasi arrivata a casa, riconoscevo la rotatoria all'incrocio di due vie.
Cercavo la forza per continuare a mettere un piede davanti all'altro, senza fermarmi, perché sapevo che se mi fossi fermata non sarei più riuscita a riprendere quel ritmo, a continuare a fare quel movimento ormai meccanico, mi sarei spenta, come un giocattolo scarico usato troppo a lungo.
Finalmente vidi la strada di casa mia, provai ad affrettare il passo per arrivare il prima possibile, per entrare nella mia casa, andare in camera mia e svuotarmi di tutto. Piangere. Urlare. Qualsiasi cosa di cui avessi avuto bisogno per sentirmi meglio. Le mie gambe non volevano saperne di fare passi più lunghi o più veloci, si limitavano a quello che potevano. Mi sforzai di trascinare ancora i piedi sull'asfalto grigio, scuro, come ero io in quel momento. Alzai lo sguardo e mi accorsi che solo qualche metro mi distanziava da casa mia, dal mio rifugio. Tirai velocemente le chiavi fuori dalla borsa, e appena davanti alla porta la aprii. Neanche il tempo di posare le chiavi sul mobiletto all'ingresso che ero già scappata verso la mia camera. Feci le scale quasi correndo, aprii la porta della mia camera e mi lasciai cadere sul letto, a pancia in giù. Allungai un braccio e afferrai il cuscino, lo avvicinai, e ci affondai dentro il viso, che stava ricominciando a bagnarsi di lacrime. Cominciai a singhiozzare, senza riuscire a smettere, e forse senza neanche volerlo. Quei singhiozzi, quelle lacrime, mi aiutavano a sfogarmi, tiravano fuori tutto il dolore che provavo, tutta la solitudine che avevo dentro, tutta la delusione che mi invadeva. Sentivo la sofferenza che mi scorreva nelle vene, insieme al sangue, che si insinuava in ogni parte del mio corpo, che mi faceva contorcere dal dolore, come se fosse dell'acido a corrodere i miei sentimenti, la mia felicità. La mia felicità. Ormai se ne era andata da un po', ed io ero rimasta lì da sola, a cercare nei ricordi, anche tra quelli sepolti, qualcosa, una qualsiasi cosa, anche la più insignificante, che mi regalasse un lieve sorriso, ma niente. Più il tempo passava, e più mi accorgevo che, in effetti, di motivi per sorridere ne avevo pochi, ma davvero pochi. Le dita di una mano bastavano e avanzavano per contarli.
Stavo cercando di divagare, di pensare ad altro, ma era davvero quello che volevo? Volevo pensare ad altro? Per un istante credetti di no, ma poco dopo mi resi conto che era quello che più desideravo. Anche se mi sforzavo il pensiero di Luke mi tornava vivido in mente, come se non potessimo separarci. Era come provare ad attaccare una calamita al frigorifero e sperare che cada: assolutamente impossibile. Ecco, una calamita. Metallo e calamita, questo eravamo stati io e Luke. Ma chi dei due era la calamita e chi il metallo? Chi era attratto dall'altro, talmente tanto da non potersene separare? Probabilmente io, che come una stupida mi ero illusa di aver trovato un amico, uno vero e che, ancora come una stupida, ero accasciata sul mio letto a piangermi addosso, a piangere per il metallo che io, da calamita illusa, ormai non potevo più raggiungere.
Le lacrime continuavano a scorrermi sulle guance, e i miei singhiozzi riempivano la mia stanza.
Una porta cigolò lentamente, poi "Lola?" sentii.
Non volevo alzare la testa dal cuscino, non volevo farmi vedere in quello stato, così fragile, così nuda.
Sentii qualcuno sedersi accanto a me e poi poggiarmi delicatamente una mano sulla schiena, lasciandomi una carezza.
"Lola, che succede?"
Alzai la testa, mi asciugai le lacrime, scossi velocemente la testa, e mi gettai tra le braccia di quell'uomo, di mio padre, l'unico che in quel momento potesse donarmi qualche secondo di serenità. Le sue braccia mi stringevano accoglienti, ma sapevo che c'era qualcosa che non andava, voleva sapere perché fossi ridotta in quel modo.
"Tesoro, stai tranquilla." mi bisbigliò all'orecchio continuando ad accarezzarmi la schiena. Cercai di smettere di piangere, e quando vi riuscii "Puoi spiegarmi che succede?"
Annuii silenziosamente, poi tossii appena per farmi tornare la voce e cominciai a spiegargli più o meno tutto.
"Ho litigato con Luke papà." e gli raccontai una storia simile a quella reale, non volevo che sapesse del passato di Luke.
"Andiamo in cucina, così puoi prendere un bicchiere d'acqua." sorrise appena, forse per darmi un po' forza, poi mi accompagnò al piano di sotto tenendomi sottobraccio. Mi sedetti sullo sgabello vicino all'isola, e mio padre mi porse un bicchiere di vetro pieno fino all'orlo. Feci qualche sorso cercando di calmarmi, e i singhiozzi si interruppero.
"Papà?"
"Sì?"
"Perché sei tornato prima oggi?" chiesi curiosa. Fece un grande sospiro, ma io lo interruppi prima che potesse parlare. "Hai trovato lavoro?" speranzosa.
Scossa la testa, sospirò di nuovo, e cominciò a giocherellare con le mani, fissandosele. "Tua..." Gli si ruppe la voce. "Tua madre." Aveva gli occhi lucidi, sperai non stesse per dire quello che avevo in mente. "Lola, devi credermi, io ho fatto di tutto per salvarla."
Colpita e affondata. Letteralmente.
Mi sentii sprofondare, all'improvviso sentii un vuoto, uno spazio incolmabile. Con mia sorpresa, non ci furono né lacrime, né singhiozzi. Solo rabbia, incredulità, e anche un po' di confusione. Presa dal panico mi alzai di scatto e uscii di casa e, una volta fuori, cominciai a correre, senza un motivo, senza una meta. Correvo a basta. Non pensavo. Non piangevo. Non provavo emozioni. Correvo e basta. Solo dopo un po', quando i muscoli delle gambe cominciarono a bruciare e a chiedere di fermarmi, nella mia testa le parole di mio padre presero forma. Solo in quel momento cominciai a immaginarmi la mia vita senza una guida, senza un supporto, senza un punto di riferimento, senza una persona importate come mia madre. E lì una lacrima mi solcò la guancia. Feci una smorfia, poi asciugai la riga bagnata con il polsino della felpa e mi accorsi di dove ero arrivata correndo. Avevo corso per le vie intorno a casa mia, e ora ero arrivata fino in quel luogo così tranquillo, quasi fuori dal mondo: l'Oceano. Ammirai un attimo la serenità che regnava su quella spiaggia, il rumore delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga, l'odore del sale spinto dal vento. E lì una lacrima mi rigò una guancia. Ripresi a correre, forse per pensare ad altro, forse per scappare da quella verità che mi avrebbe fatto soffrire. Il vento mi scompigliava i capelli, mi lasciava una carezza sulla pelle, mi avvolgeva piacevolmente. Sentivo le suole delle mie vans calpestare la sabbia, e affondare appena. Cominciai a rallentare, cosa che non fecero le mie lacrime, quando vidi qualcuno seduto sulla sabbia, con le gambe piegate e le braccia a cingerle. Mi fermai del tutto quando mi accorsi che aveva i capelli verdi. Solo una persona in tutta Sydney poteva averli di quel colore. Ero a una trentina di metri da Michael, e pensai di tornare indietro, quando si girò, mi vide, si alzò in piedi e cominciò a camminare verso di me. Non avevo idea di cosa avrei dovuto fare. Rimasi lì ferma, e aspettai che si avvicinasse.
"Hey, che ci fai qui?" mi chiese quando fu abbastanza vicino.
Scossi la testa, e cercai di nascondere gli occhi lucidi e arrossati.
"Che succede?" chiese poi fissandomi con uno sguardo indagatore. "È per Luke?"
"Anche."
"Quel coglione..." sussurrò tra se e se, ma lo sentii anche io. Io non la pensavo come lui, però. Aveva fatto una sua scelta, e mi aveva fatta soffrire, ma la vita era pur sempre la sua.
"Ti va di dirmi che succede?"
"Mia madre." dissi soltanto. Anche solo pronunciare quelle due parole mi aveva fatto male, perché io sapevo qual era il resto della frase.
"È peggiorata?"
"Magari solo quello." avrei voluto rispondere. Strinsi i pugni, le unghie mi si conficcarono nella pelle. Abbassai lo sguardo, e non riuscii a trattenere due lacrime.
"Oh no." capì subito Michael. Non me lo aspettavo, ma sentii due braccia cingermi. Mi irrigidii un attimo, poi ricambiai l'abbraccio, come per ringraziarlo. Restammo così per circa un minuto, poi lo sentii chiedermi "Ti va di parlarmene?"
Aspettai un attimo prima di rispondere. Volevo davvero parlargliene?
"D'accordo. Sediamoci." e ci staccammo dall'abbraccio, per poi sederci una accanto all'altro sulla sabbia.
"Di cosa... Beh, insomma, hai capito." cercando di nascondere l'evidente imbarazzo.
"Leucemia. Una cazzo di leucemia acuta." Ora stavo fissando il mare, più con rabbia che con dolore.
"Da quanto era malata?"
"Si era ammalata l'anno scorso, poi sembrava le fosse passata, invece poco tempo fa abbiamo scoperto che era di nuovo malata. Non ce l'ha fatta neanche a superare il primo ciclo di chemio." In quel momento l'ennesima lacrima mi rigò una guancia, e io con prontezza la asciugai.
"Merda." imprecò. "Mi dispiace un sacco."
"Non sai quanto dispiaccia a me."
"E con Luke come va?" cambiò argomento.
"Mi ha trattata di merda. E mi ha fatto capire che dovevo togliermi dal cazzo." Mi fermai un attimo, poi "Non so davvero che pensare. Mi ha sempre trattata così bene, mi ha sempre dato tutto l'affetto di cui avevo bisogno, mi ha sostenuta un sacco, e ha sempre dimostrato di volermi bene. In effetti, penso che tutto questo affetto me lo sono inventata, forse solo per cercare di convincere me stessa che in realtà qualcuno a preoccuparsi di me c'era davvero. Credo che in fin dei conti a lui non sia mai importato molto di me, sono stata io la stupida ad affezionarmi a lui."
"Questo non è vero. Lui ti vuole bene, davvero tanto."
"Se mi volesse bene non mi avrebbe trattato in quel modo del cazzo!" urlai. "Perché mi dovrebbe allontanare da sé? Non gli ho mai fatto nulla di male, ho cercato di aiutarlo in tutti i modi possibili, e lui mi caccia a calci in culo! Ti pare il modo di comportarsi?" l'ennesima lacrima della giornata mi rigò il viso. "Io gli voglio un bene, dell'anima, gli voglio bene come se ne vuole a un fratello, non potrei che volere il meglio per lui!"
"Lo so, lo so. È Luke che non lo sa."
"Come fa a non saperlo? Mi sono impegnata un sacco in questa settimana a farlo sentire meglio possibile, a farlo sentire più accettato del solito, a fargli abbassare la guardia. Se non se ne fosse accorto allora sì che sarebbe uno stronzo! Come può non essersi accorto del bene che gli voglio?"
"Lola, Luke è fatto così."
"Non è vero, non è fatto così. Me ne sono accorta, può sembrare superficiale, ma in realtà capisce le cose più a fondo degli altri."
"Io... non so che dirti. Non so come posso aiutarti." disse dispiaciuto. Dal suo tono di voce sembrava che volesse davvero aiutarmi.
"Mike, io penso che solo Luke potesse aiutarmi, ma ora lo devo rimuovere dalla mia testa, quindi fanculo a tutto, alla gente, alle amicizie, alla famiglia, a tutto." Finita la frase scoppiai a piangere, mi strinsi le gambe al petto e mi ci rannicchiai sopra, cercando di asciugare le lacrime che non avevano intenzione di fermarsi.
"Basta. Ti porto da Luke, non sopporto vederti così distrutta."
Non feci in tempo a ribattere che già mi aveva tirata su per un braccio e aveva cominciato a camminare portandomi dietro di sé.
"Michael, è una pessima idea."
"Non se ti farà stare meglio."
Digitò un numero sul cellulare e se lo porto all'orecchio.



*LUKE'S POV*
"Mike, non voglio chiamarla!" stavo urlando al telefono camminando avanti e indietro nella mia stanza.
"Lei ti ha dato tutto, e tu così ricambi! Ho provato a parlarci, tu sei l'unico che può distrarla!" anche Michael urlava, dall'altra parte del telefono. Perché era così ostinato? Con quella ragazza non volevo avere più niente a che fare, mi aveva quasi rovinato la vita più di quanto non fosse già nella merda. Sua madre se ne era andata, ci stava male, ok ma io cosa potevo farci? Mica sapevo far risuscitare i morti.
"Mike, io... Meno ho contatti con lei e meglio è."
"Mi spieghi che cazzo ti costa parlarci un'ultima volta? Darle un ultimo abbraccio? Sono più che sicuro che la faresti stare meglio. Ti stai comportando da coglione Luke."
"Senti, non mi va ok? Valla a consolare tu." e attaccai.
Posai il telefono sul comodino, mi sdraiai sul letto mettendo le mani dietro la testa, sbuffai. Perché non potevo avere un po' di tranquillità? Solo quello chiedevo. Mi ero promesso che sarei stato alla larga da Lola. Le volevo bene, quello non si può negare, ma sapevo che più le fossi stato lontano, meno avrei sofferto. Volevo che l'episodio con mio padre non si ripetesse più, e sapevo che se avessi continuato a stare accanto a quella ragazza la scena si sarebbe ripetuta e ripetuta, finché non mi fossi ritrovato sotto a tre metri di terra.
Mi alzai dal letto scuotendo la testa e mi diressi in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, poi tornai in camera mia, ma non feci in tempo a sdraiarmi sul letto, che sentii suonare al campanello. Mi picchiai una mano sulla fronte, pensando che fosse arrivato mio padre, e che con la sua pigrizia non avesse voglia di cercare le chiavi. Quando sentii il campanello suonare di nuovo mi alzai stancamente, uscii dalla mia camera chiudendomi la porta alle spalle e scesi le scale dondolandomi. Sbuffai prima di posare la mano sulla maniglia della porta e aprirla. Mi stupii nel constatare che ad aver suonato non era affatto mio padre, bensì Michael, che mi fissava in un modo strano: sembrava una via di mezzo tra lo schifato, l'incazzato, il deluso. Lo guardai sbigottito, e mi spostai solo quando "Dobbiamo parlare." disse.
Mi scansai da una parte per farlo passare, subito dopo lui fece lo stesso.
"Vai, entra." disse, non capii con chi stava parlando quando mettendosi da un lato mostrò la ragazza che il tempo di scambiarsi quelle due frasi era stata dietro di lui senza farsi vedere. Indossava una larga felpa grigia, dei jeans neri attillati, delle vans grigie e i capelli color nocciola le ricadevano davanti agli occhi. Gli occhi. Quegli occhi verdi. Se li stava stropicciando con i polsini della felpa e, me ne accorsi solo dopo un po', mi sembrava stesse anche tremando.
"Non hai niente da dire?" interruppe il momento il ragazzo dai capelli verdi.
"Mike, è meglio che te ne vada." lo fermai.
Annuì, poi, appena prima di girarsi "Vedi di trattarla come si deve."
Annuii e lasciai passare la ragazza, che continuava a stropicciarsi gli occhi bagnati.
"Lola." le sussurrai all'orecchio, cingendola con le braccia. "Tu sei una ragazza forte, e le ragazze forti non piangono, ok?"
"Lo dici tu questo." cercò di dirmi tra un singhiozzo e l'altro. Chiusi la porta con un leggero calcio, e posai di nuovo l'attenzione su quella ragazza, ora così fragile, così delicata, così indifesa. Forse Mike aveva ragione. Forse mi ero comportato da stronzo, ma d'altronde quella era stata la mia scelta. Promisi a me stesso che avrei aiutato quella ragazza a superare quel brutto momento, poi avrei ripreso la mia solita vita.





NOTE DELL'AUTRICE :)
Buonaseraa c: comincio subito con le scuse per il ritardo, ma spero che ne sia valsa la pensa lol
Anche questo capitolo è abbastanza incasinato, Lola si sente più sola che mai, e Luke continua a volerla evitare. Mike, beh, in questo capitolo mi sembra che abbia un ruolo un po' particolare. Ha provato  stare accanto a Lola, ma ha visto che il risultato non era eccellente, quindi ha cercato qualcuno che potesse tirarla un po' su. Voi cosa ne pensate? c:
Che altro dire? Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi lasciate una recensione🌸
Parlando di recensioni, OMMIODDIO, al capitolo precedente ne ho ricevute undici (tra recensioni recensioni e recensioni mandate per messaggio lol) e vi ringrazio davvero tanto tanto tantissimo, non pensavo di poter ricevere tutti questi pareri, e mi ha fatto davvero molto piacere, quindi spero che continuerete a scrivermi qualcosa sotto ogni capitolo c:
Che altro dire? I 5sos fanno il loro primo tour e io sto letteralmente sclerando. Mia madre ha deciso di mandarmici perché l'8 maggio è il mio compleanno, quindi me lo fa come regalo✨ Voi andrete? Se sì quando?
Ora mi dileguo, alla prossima❤️
~Vic

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Capitolo 13
*** Promises. ***


*LUKE'S POV*
"Merda Lola, merda!" sussurrai allarmato alla ragazza. "In camera mia." le dissi velocemente. Lei sembrò andare nel panico, e incespicò nei suoi stessi piedi mentre saliva le scale.
Il campanello suonò di nuovo. Mi accertai che Lola fosse entrata in camera prima di aprire.
"Giornataccia Luke. Vedi di non farmi arrabbiare oggi."
Annuii debolmente a mio padre, poi chiusi la porta appena fu entrato. Lo vidi dirigersi in cucina, quindi io mi sbrigai a salire le scale silenziosamente. Persi un battito quando sentii un singhiozzo di Lola provenire dalla stanza davanti a me, e mio padre chiedermi cosa fosse stato. Gli risposi agitato che ero stato io che mi stavo per strozzare ed entrai velocemente in camera.
"Luke, che cazzo faccio adesso?" mi bisbigliò la ragazza ancora in lacrime.
"Non lo so, zitta."
Presi un cd a caso e lo misi nello stereo, per poi far partire la musica, in modo che coprisse il suono delle nostre voci. Mio padre non doveva sapere che Lola era di nuovo a casa, merda. Mi guardai intorno agitato, poi "Salta dalla finestra."
"Cosa? Sei matto?" esclamò.
"No, ok, è una pessima idea. Non so come farti uscire da qui Lola, e devi andartene al più presto. Non voglio finire di nuovo nei guai."
"Io neanche lo voglio." Pronunciò quella frase in un modo strano. Sembrava fosse dispiaciuta davvero.
"Allora, intanto calmati, smetti di piangere."
"Non ce la faccio Luke, se no lo avrei già fatto. Non posso far finta di niente quando la mia vita sta andando a puttane."
Merda, dovevo trovare un modo per calmarla, se no mio padre l'avrebbe sentita.
Andai verso la finestra e guardai di sotto.
"Senti, non è tanto alto. Tu esci da qua, subito dopo io ti raggiungo uscendo dalla porta."
"Che? Te lo scordi che io mi butti dalla finestra!"
"Vuoi farmi finire di nuovo nei guai? È questo che vuoi?"
Scosse piano la testa.
"E allora salta." Non disse nulla. Chi tace acconsente, no? "Appena esco e chiudo la porta della camera tu salta, così eventuale botto o urlo si sentirà di meno."
Farse mi stavo comportando da egoista, prepotente, menefreghista, ma per una volta in tutta la mia vita volevo pensare a me stesso.
"Ok." disse in fine, sospirando. Le feci l'occhiolino prima di abbassare la maniglia della porta e uscire. Sbattei la porta più forte che potei, e sentii appena un lamento affievolito. Il cuore cominciò a battermi fortissimo, lo sentivo quasi uscirmi fuori dal petto. Il tempo si arrestò, percepii una quantità assurda di emozioni, nel mio corpo scorreva terrore, non più sangue. Feci un passo verso le scale e il mio battito tornò a essere regolare solo quando mi resi conto che mio padre non si era accorto di nulla. Scesi le scale, e l'ansia mi invase di nuovo quando "Io esco." e mio padre mi guardò malissimo. Uno sguardo che sembrava voler dire "Cosa? Non ti fa piacere stare a casa con il tuo caro papà che oggi essendo incazzato vorrebbe avere un punchingball su cui sfogarsi?"
Uscii dalla porta di casa prima che potesse dire qualcosa e andai verso la parte di giardino su cui si affacciava la finestra della mia camera. Vidi Lola seduta per terra, con la schiena appoggiata al muro della casa e le gambe strette al petto.
"Tutto bene?" sussurrai.
Annuì. "Non era tanto alto alla fine."
Le feci gesto con la mano di seguirmi, e cominciai a camminare verso la via sul retro della casa. Sentivo i passi di Lola che mi seguiva dietro di me. Mi fermai, e lei fece lo stesso, davanti a un giardinetto pubblico e mi andai a sedere sull'erba. Lola ripeteva esattamente tutte le mosse che facevo io, sembrava che fossimo una persona sola, lei il mio replay. Io mi sdraiai sul prato e mi accesi una sigaretta tra le labbra, invece lei rimase seduta, sempre con le gambe strette al petto. Si sedeva sempre così quando c'era qualcosa che non andava, quando aveva voglia di nascondersi, di smettere di vivere. L'avevo notato.
"Lola, lo sai che ti voglio bene, vero?" ruppi il silenzio, giocherellando con il fumo della sigaretta.
"Se mi vuoi bene perché mi fai stare così male? Perché non mi aiuti ora che ne ho bisogno?"
"Io... Io non posso."
La vidi con la coda dell'occhio fare uno scatto: si stava alzando in piedi, così cercai di essere più veloce di lei e l'afferrai per un braccio, obbligandola a sedersi di nuovo vicino a me.
"Lasciami."
"No. Voglio parlarti un attimo."
"Dimmi quello che devi dirmi, e muoviti, che sono stanca di essere presa per il culo."
"Ma che cazzo, ti è tanto difficile credermi?" alzai il tono di voce.
"Sì che mi è difficile, se prima dici di volermi bene, di volermi aiutare, e quando ho davvero bisogno di aiuto mi lasci da sola a marcire!"
Una lacrima le rigò il viso.
"Lo sai che mi succede se continuo a rispondere male a mio padre? Tu non sai di cosa è capace quell'uomo, tu non vieni picchiata tutti i giorni da tuo padre, tu non sai cosa significa stare alle elementari e vedere i genitori che venivano a prendere i miei amici, e io invece che facevo di tutto per non tornare a casa. Tu che cazzo ne vuoi sapere? Hai avuto un'infanzia tranquilla, come gli altri bambini, tu in tuo padre vedevi un eroe, un salvatore, io ci vedevo l'uomo che mi avrebbe distrutto la vita, ed è quello che sta facendo adesso."
"Luke, immagino cosa tu abbia passato, ma ti pare il modo di reagire? E pensi seriamente che non faccia tutto questo per aiutarti? Dovresti averlo capito ormai che per te mi farei il giro del mondo."
Quelle parole mi toccarono, risvegliarono qualcosa in me, mi confusero le idee più di quanto non lo fossero già.
"C-ci devo pensare, ok? Ora devo andare, che se no mio padre scazza. Ci si vede." e le lasciai un bacio sulla guancia, per poi girarmi e andarmene.
Perché quella ragazza trovava sempre il modo di incasinarmi le idee? Pensavo di aver deciso cosa fare, e invece mi ritrovavo di nuovo davanti a un bivio senza sapere quale strada scegliere. Ma forse era proprio questa la vita, il senso della vita. Le domande e i problemi di tutti i giorni, gli ostacoli da superare tutte le volte che si intraprende qualcosa, e il sudore mischiato alla soddisfazione per aver lottato per poi aver raggiunto un obbiettivo importante. Se quella era la vita, non ero pronto a viverla.



"Ash." dissi con voce ferma quando si fermò davanti a me.
"Volevo chiederti scusa."
"Che? Per cosa?" chiesi senza capire di cose stesse parlando. Sembrava quasi affranto. Perché tutte le persone che dovevano piangere venivano da me?
"Ho sbagliato. Non credo di essermi comportato bene."
"Spiega." ancora confuso.
"Ma te lo ricordi quando eravamo piccoli? Te li ricordi tutti i pomeriggi passati insieme? Tutte le cazzate che facevamo?"
"Ovvio. Come posso dimenticare?"
Si sedette su quel divanetto malandato accanto a me.
"Me la passi?" gli chiesi prima che ricominciasse a parlare indicando la scatola che era stata spostata per terra, e che ora era vicino ai suoi piedi. Quando me la porse la aprii, spostai tutte le bombolette spray colorate e sgranai gli occhi quando mi accorsi che sul fondo non c'era più nulla. Si erano fumati tutto quanto. Sconcertato richiusi la scatola e le diedi un calcio per spostarla dopo averla poggiata per terra.
"Ash, mi dici che succede?"
Mi puntò un attimo quei suoi occhi verdi addosso, poi annuì e prese a parlare.
"Hai presente quando ho parlato con Lola?"
Annuii ricordandomi il casino che aveva combinato.
"C'era un motivo vero se le avevo detto quelle cose."
Lo guardai con aria interrogativa, incitandolo a continuare.
"È che ultimamente ti vedo così attaccato a lei, stai benissimo quando passi il tempo con lei, si vede, sembri rinato." Accompagnava le parole gesticolando, e io lo seguivo attentamente. "Quella ragazza sembra che ti stia facendo bene, ti distrae per quel poco di tempo che può, ti svuota la testa dai casini, e io ne sono felicissimo, però mi sembra che tu stia dimenticando chi ti è sempre stato accanto. Io, Cal, e Mike ci siamo sempre stati, e sempre ci saremo. Te lo ricordi questo, vero Luke?"
"Ash non potrei mai dimenticarmi quanto mi siete stati accanto, lo sai."
"Ma il punto non è questo. È che ti sento, anzi, ti sentiamo, più distaccato da quando hai conosciuto Lola, e non vorrei ti dimenticassi di quella promessa."
"Quale?" chiesi confuso, cominciando a perdere il filo del discorso.
"Quella che ti ho fatto anni fa, al parco. Ti sarei sempre stato accanto, ti avrei sempre aiutato. Te lo ricordi?"
"Sì ma qual è il problema?"
"Che non la sto mantenendo. Più passano i giorni e più vedo che quella ragazza ti sta promettendo la stessa cosa che ti promisi io tempo fa. Le promesse si mantengono sempre, ma non è quello che io sto facendo. Vorrei solo che non ti dimenticassi che noi ci siamo sempre, per qualsiasi cosa."
Le labbra mi si incurvarono in un lieve sorriso e diedi ad Ashton un pugno affettuoso sulla spalla.
"Stupido che sei. Come puoi pensare che mi dimentichi di tutto quanto?"
A quelle parole ci abbracciammo, entrambi con un sorriso sulle labbra, e forse entrambi con il cuore più leggero. Mi aveva fatto bene sentire quelle parole venire da un amico che per me era tanto caro e importante. Era bello sapere che nonostante tutto, nonostante le incazzature, nonostante i litigi, nonostante le battutine acide, nonostante gli insulti urlati senza una ragione, ci fossero sempre delle persone accanto a me, che continuavano a sopportarmi con tutti i miei numerosi difetti. A quel pensiero mi sorse una domanda. Anche Lola faceva parte di quelle persone? Fino a due giorni prima avrei risposto di sì, ma in quel momento per me era un'incognita, un punto interrogativo in sospeso.
Uscimmo insieme da quel palazzo in cui Ash mi aveva dato l'appuntamento, quel palazzo che conteneva le sofferenze e gli sfoghi di tanti ragazzi. Prima di uscire dalla solita stanza lanciai uno sguardo alle pareti completamente ricoperte di graffiti, e mi soffermai in particolare su quello che aveva fatto Mike quando, beh... Quando era stato un brutto periodo per tutti e quattro.




NOTE DELL'AUTRICE :)
Hey c: comincio subito con il dirvi che questo capitolo mi fa veramente schifo, è scritto male, corto, confuso, e chi più ne ha più ne metta. Mi scuso se vi aspettavate di meglio, ma non sono davvero riuscita a fare di più.
Poi boh non so che dirvi, tra Lola e Luke la situazione è un po' incasinata, ma in qualche modo metterò tutto a posto lol invece spero di essere riuscita a chiarivi le idee sul perché Ash aveva detto quelle cose a Lola facendola allontanare da Luke.
Passo ai ringraziamenti perché non so che altro dirvi ahaha quindi, grazie mille a Sniix, Belictioner00, Elisa_CrazyMofo, S_V_A_G, Layla, xperfoned, Monchele98 e ohwsheeran per aver lasciato un parere sulla storia :) spero di trovare altre vostre recensioni e possibilmente anche una delle tantissime lettrici fantasma c:
Spero di riuscire a scrivere un capitolo migliore la prossima volta, e scusatemi ancora per il capitolo penoso :c

Ps: siete riuscite a prendere i biglietti per il concerto? Spero di si❤️ Io ci sono riuscita, ma ho dei posti merdosi, ma mi accontenterò ahahah
Per oggi ho finito dai
Ciaociao❤️
~Vic

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Capitolo 14
*** Beside you. ***


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Ormai si era fatta sera, il cielo era più scuro e cominciavo a intravedere qualche stella. Ero appoggiata al davanzale della finestra in camera mia, i vetri aperti, l'aria fresca che entrava nella stanza. Mi faceva sentire meglio chiudere gli occhi e respirare quel freddo che veniva dall'Oceano, mi distraeva, mi rilassava, e la mia mente vagava. Mi sentivo come l'asfalto quando viene colpito dalle gocce di pioggia, con centinaia di aghi che mi si conficcavano nella pelle. Sentivo quel dolore continuo, ma non fisico, mentale. Mi sentivo più sola che mai. Prima il litigio con Alexia, poi quello con Luke, e per finire la morte di mia madre, la persona più importante che chiunque possa avere accanto. Una madre, nonostante tutto, è la persona che vuole più bene a un figlio. E un figlio, nonostante tutto, vuole più bene alla madre che a chiunque altro. I miei pensieri, distrattamente, scivolarono sulla madre di Luke. Non riuscivo a immaginare come potesse essere, il biondo me ne aveva parlato poco e niente. Mi ritrovai a riflettere sul perché lo avesse lasciato. Probabilmente non per egoismo, una padre non può volere una cosa del genere per suo figlio. Forse la vita che voleva ricostruirsi a suo parere non era adatta a suo figlio, ancora piccolo.
Scossi la testa rendendomi conto che i miei pensieri erano sempre rivolti a Luke Hemmings, a quel ragazzo che mi stava complicando la vita più di quanto potesse immaginare. Sì, perché non si rendeva conto che con i problemi che già avevo essere illusa in quel modo mi faceva stare solo peggio.
"Basta." mi dissi tra me e me. Avevo bisogno di cambiare argomento, di pensare ad altro. Luke non era il centro dell'universo e non potevo distruggermi la vita a causa sua.
Allungai un braccio per afferrare il telefono dal comodino in legno accanto al letto, lo sbloccai e iniziai a scorrere nella lista dei nomi salvati in rubrica. Mi fermai sul nome Lost Alexia, incerta, poi mi decisi a premere sul suo nome. Portai il telefono all'orecchio, aspettai un po', e dopo quel ripetitivo "bip-bip" sentii la sua voce dall'altra parte del telefono.


Arrivata sulla spiaggia il vento forte della sera cominciò ad insinuarsi nei miei capelli, spostandomeli ovunque anche davanti al viso. Li scansai con una mano da davanti agli occhi che strizzai un po' per cercare di vedere qualcosa nel buio. Intravidi la figura di Alex seduta su un tronco lasciato lì dalle onde dell'Oceano. Mi avvicinai lentamente a lei, e la salutai con un sorriso accennato sulle labbra. Si alzò in piedi e mi strinse in un abbraccio, poi mi sussurrò all'orecchio "Come stai?"
Non risposi, non c'erano parole per descrivere come stavo.
"Alex?"
"Mm?"
"Io... Beh non so come dirtelo."
Mi guardò con aria interrogativa, come per chiedermi di continuare.
"Mi manchi." sputai fuori in un solo fiato.
La ragazza dai capelli biondi mi sorrise, almeno credo, non c'era abbastanza luce per vedere bene, poi mi sussurrò dolcemente "Anche tu." Rise appena, e con aria giocosamente sfacciata "Io te l'avevo detto che quell'Hemmings era un coglione!"
"Ecco, vedi, continui a sbagliare. Luke è una persona dolcissima, solo che abbiamo entrambi fatto un casino."
"A me non convince quel ragazzo." ammise.
"Anche a me all'inizio non convinceva. L'ha visto anche tu, da quando stavamo entrambi in quella scuola non avevamo mai avuto una conversazione vera e propria. Invece ora ho avuto l'occasione di conoscerlo, ed è stato qualcosa di strano, di speciale."
"Secondo me stai sbagliando." cercò di dire Alex ma la interruppi.
"Senti, basta parlare di Luke. Meno ci penso e meglio è, ok?"
Annuì.
"Cos'hai da fare questa sera?"
"Niente." risposi automaticamente, pensando che ultimamente stavo trascurando la mia vita. Non avevo più nulla da fare, né la sera, né il pomeriggio, considerando che i compiti li facevo una volta ogni morte di Papa e che non erano proprio il mio modo preferito per occupare le giornate.
"Perfetto. Allora ci andiamo a divertire!"
"Che?" chiesi stupita alzando le sopracciglia e quasi scoppiando a ridere per la ridicola proposta.
"Andiamo un po' a ballare!"
"Ma tu stai fuori!"
"Non accetto un no." ribatté.
"Davvero Alex, non me la sento proprio."
Sospirò al mio rifiuto. Mi dispiaceva dirle di no, ma proprio non ce la facevo. Non ero affatto un vena di andare a far festa.
"E se venissi a dormire a casa mia?" le proposi.
"Non do fastidio?"
"Macché, anzi."
Ci girammo e cominciammo a camminare verso la strada per tornare a casa. Ormai la notte era calata del tutto, saranno state le 21 circa, e il rumore delle onde che si infrangevano violentemente sulla spiaggia era l'unico suono che si sentiva.
"Ho bisogno di distrarmi, non posso distruggermi per mia madre. Devo trovare il modo per andare avanti, per continuare la mia vita, non posso andare sul fondo in questo momento." pensai tra me e me mentre tornavamo a casa.
Appena arrivate dissi ad Alex di aspettarmi in camera, che io sarei arrivata subito. In realtà volevo parlare un attimo con mio padre, dirgli che non poteva fare niente di più, perché sì, lui si sentiva in colpa. Si attribuiva la colpa della morte di mia madre, e della donna che lui amava. Ma si sentiva in colpa perché mi aveva sottratto una persona importante, senza sapere che lui mi bastava, che era un padre sempre presente, sempre disposto a tutto per la felicità altrui. Non si meritava tutto questo.

Salii in camera mia dopo cinque minuti, e trovai Alex a frugare nei miei cd.
"Hey, questo è nuovo?" mi chiese appena mi vide sulla porta.
Annuii dopo aver visto quale disco stava sventolando in aria.
La serata fu piacevole, ma c'era sempre quel nodo allo stomaco, quel groppo alla gola, quel pensiero assillante, quel dolore continuo, quel vuoto incolmabile. Non riuscivo ad adattarsi all'idea di essere sola. Quella fiamma si era lentamente spenta, fino a morire in un cumulo di cenere. Mio padre mi aveva proposto, solo se me la sentivo, di andare in ospedale, di decidere sul da farsi, ma non credevo di poter reggere a tutte quelle emozioni. Non potevo di nuovo permettere alle lacrime di battermi di nuovo, perché sapevo che non sarei riuscita a fermarle. Ormai mi avevano vinto quell'assurdo duello troppe volte, e io ero stanca di morire dentro.
Quando fu ora di andare a dormire le prestai tutto quello che poteva servirle, e una volta pronte ci stringemmo nel mio letto, una abbracciata all'altra, come due amiche vere.
Prima di addormentarmi pensai che lo aveva fatto a posta ad accettare subito di venire a casa mia, senza continuare a insistere sulla discoteca. Credo che volesse distrarmi, farmi ridere un po', forse anche consolarmi senza che me ne accorgessi.
Mi addormentai dopo un quarto d'ora circa, e la mattina successiva fummo svegliate dal mio telefono che squillava incessantemente. Allungai pigramente il braccio verso il comodino e senza neanche pensarci e feci scorrere il dito sullo schermo del mio iPhone rispondendo alla chiamata. Portai il telefono all'orecchio e sentii la voce di Michael urlare dall'altra parte.
"Lola, ma che cazzo di fine hai fatto?"
"Oh oh calmo." spiccicai assonnata. Avevo ancora la bocca impastata di sonno. Vidi Alex girarsi dall'altro lato e nascondere la testa sotto al cuscino.
"Ma-ma stavi dormendo?" si stupì.
"Ovvio cretino." lo presi in giro stropicciandomi gli occhi.
"Ma ovvio cosa che è mezzogiorno e un quarto!" ridendo.
"Cosa? No, non è possibile!" mi allarmai tirandomi su di scatto.
"Guarda l'ora se non mi credi." rise ancora.
"Merda Alex, svegliati, è tardissimo!" e quasi la buttai giù dal letto.
"Meglio se non ti chiedo chi è Alex."
La frecciatina mi lasciò spiazzata, ma mi sbrigai a rispondergli "Che? È una mia amica, cretino." sottolineando bene l'ultima parola.
"D'accordo, calma!" rise di nuovo.
"Insomma, che vuoi?" chiesi con aria giocosamente scocciata.
"Tra mezz'ora al parco, picnic con gli amici."
"No aspetta! Chi ti ha detto che vengo?"
"Lo dico io!" lo sentii ridere appena. Non capivo se mi stava prendendo in giro.
"Dai, che vuoi?" chiesi sbadigliando.
"Ti aspetto al parco, ci conto." Non feci in tempo a ribattere che già aveva attaccato.
Scesi dal letto pigramente, e sentii la voce di Alex chiamarmi. "Dove vai?" mentre si stropicciava gli occhi.
"Mi preparo. Muoviti che è tardissimo."
"Che ore sono?"
"Mezzogiorno passato. Sbrigati pigrona."
"Oh merda! Ma che sul serio?"
Annuii. "Perché?"
"Mezz'ora fa dovevo portare mia sorella dal dentista! Mia madre mi ammazza se scopre che me ne sono dimenticata!"
Detto questo saltò, letteralmente, giù dal letto, prese i vestiti che indossava il giorno prima e si cambiò velocemente.
"Ti rubo un attimo il bagno." e la vidi scomparire dietro la porta.
Io intanto mi scelsi dei vestiti dall'armadio, presi delle cose leggere perché fuori faceva caldo.
Quando Alex uscì le chiesi se veniva anche lei, ma mi rispose con "Sarà per la prossima volta."
Pensai che probabilmente fosse anche perché le persone con cui sarei uscita non le piacevano più di tanto.
Facemmo a cambio, io entrai nel bagno per fare le ultime cose e Alex tornò in camera per recuperare tutta la sua roba, tra cui il telefono, che stava per dimenticare sulla mia scrivania.
Appena uscì da casa mia, dopo esserci salutate, corsi a vedere l'ora e vidi di essere in ritardo, quindi presi una borsa a caso e ci infilai dentro le cose che a prima vista mi sembrarono quelle che mi sarebbero servite.
Uscii velocemente di casa e mi avviai con passo svelto verso il parco, il solito parco. Solo a metà strada mi venne in mente che, in effetti, non avevo idea di chi portasse il cibo. Forse dovevo portarmi qualcosa per pranzo? Ormai era tardi, in caso avrei rubato un po' del pranzo di Michael. Era già l'una, i ragazzi stavano lì da un quarto d'ora, ero abbastanza in ritardo. Arrivata davanti al parco entrai calpestando le foglie secche rimaste lì e il tappeto d'erba che stava appena ricrescendo. Mi guardai intorno cercando di capire dove potevano essere i quattro ragazzi, intanto avanzavo, magari alla ricerca di voci o qualsiasi altro rumore che potesse indicarmi la strada per raggiungerli. Avanzando a slalom tra gli alberi del parco cominciai a sentire delle voci, delle urla, delle risate, e il suono di una chitarra. Mi sembrava improbabile che i miei amici fossero lì, si sentivano troppe voci e troppa confusione, ma provai lo stesso ad avvicinarmi. Arrivai in un punto in cui gli alberi erano radi, il prato ricopriva tutta lo spazio di terra davanti a me che terminava con una specie di scalino, e poi tutta acqua. Era il laghetto con le tartarughe del parco, sapevo della sua esistenza, ma non mi ero mai addentrata così tanto tra gli alberi da poterlo vedere. Seduti sull'erba c'erano all'incirca una ventina di persone in cerchio a ridere, e uno di loro stava suonando la chitarra. Lo riconobbi come Luke. Accanto a lui Michael, altri ragazzi che non avevo mai visto, e sempre nel cerchio anche Calum e Ashton.
"Hey, chi si vede!" esclamò il ragazzo con i capelli verdi, ormai sbiaditi, indicandomi appena si accorse che mi ero fermata a diversi metri di distanza per osservarli. Tutti si girarono a guardarmi, alcuni mi sorrisero, altri mi salutarono. Mi avvicinai a loro timidamente, non mi aspettavo che ci fossero tutti quei ragazzi, pensavo che fossero solo loro quattro, Luke, Cal, Mike e Ash.
Ci scambiammo tutti quanti un giro di saluti, poi Michael mi fece spazio tra lui e Luke per farmi sedere.
"Lei è Lola ragazzi, una nostra amica." sorridendo, prese a fare le presentazioni Mike.
Li presentò uno a uno, facendo il giro. Indicò prima una ragazza dai capelli neri abbastanza lunghi, gli occhi castani, vestita con una gonna a vita alta, delle calze a rete e un paio di anfibi neri. Sopra indossava una giacca di pelle nera che copriva la maglia, anch'essa nera, che indossava. Mikey disse che si chiamava Lyzzy. Accanto a lei era seduta un'altra ragazza, Grace, con i capelli ricci e biondi, gli occhi una via di mezzo tra il castano chiaro e il verde. Mi sorrise quando Mike mi disse il suo nome, e io ricambiai. Accanto a lei sedeva un ragazzo con i capelli biondi rasati ai lati, e degli occhiali da sole scuri che si appoggiavano sul naso sottile. Lui era Charles, ma Charlie per gli amici. Allie era la ragazza con dei capelli lunghi e castani scuro tenuti tutti su una spalla, gli occhi castani incorniciati da un paio di occhiali con la montatura nera. Accanto a lei una ragazza magra e con i capelli biondo scuro, Angie, stava giocherellando con la bandana rossa che teneva in mano. Accanto a lei c'era Ashton. Tra lui e Calum c'era un'altra ragazza, Marta. Aveva i capelli ricci e biondi sulle punte, la pelle chiara e un velo di lentiggini. Accanto a Cal era seduto Franz, un ragazzo che da quello che avevo capito aveva origini tedesche, come Lyzzy, la ragazza seduta accanto a Mike. Poi Charlotte, una ragazza con i capelli scuri e lunghi e gli occhi azzurri con un filo di eye-liner nero a contornarli, era seduta tra Franz e Jaiden, una ragazza mora con dei bellissimi occhi verdi. Accanto a quest'ultima c'era Hope, gli occhi azzurri, i capelli biondi, magra e bellissima. Vicino a lei Beth, una ragazza magra, dalla carnagione chiara, i capelli castani e lunghi stava chiacchierando vivacemente con Kass, una ragazza con i capelli scuri appoggiati sulle spalle e dei bellissimi occhi azzurri. Quest'ultima era seduta accanto a Rick, un ragazzo alto, abbronzato, con i capelli castani e gli occhi verdi. Accanto a lui c'era Luke, al suo fianco io, e per finire Michael.
Dopo il giro di presentazioni e saluti Luke mi offrì uno dei panini che si trovava sugli strati di tovaglioli messi al centro del cerchio. Apprezzai il gesto, almeno ancora sapeva che esistevo.
"Mike, ti odio." esordii spenna ebbi finito di mangiare il mio panino con prosciutto e formaggio.
"Perché? Non ti stai divertendo?"
"Certo, ma mi manca il mio letto." e tutti scoppiarono a ridere sonoramente.
Ero curiosa di sapere dove quei quattro avessero conosciuto tutte quelle persone, che tra l'altro erano anche molto simpatiche. Ognuno aveva un suo carattere, un suo modo di fare, e non si faceva problemi a essere diverso dagli altri. Notai per esempio che Angie, Allie, Kass e Hope erano le ragazze più timide, più silenziose, più chiuse, invece Lyzzy, per esempio, era una completa pazza, ovviamente in modo scherzoso. Diceva la prima cosa che le veniva in mente, la sua risata era contagiosa, faceva le battute più squallide ma riusciva lo stesso a far ridere le persone. Passammo il pomeriggio in modo piacevole, a ridere delle battute di Lyzzy o delle frecciatine di Calum e Michael, a parlare di noi e a prenderci in giro, tutto ciò accompagnato dal suono della chitarra di Luke in sottofondo. Non sapevo che sapesse suonarla. Tutto fu molto divertente finché un cane non cominciò a correre verso di noi. Diciamo che non aveva l'aria di un cucciolo giocherellone, se non di un cane decisamente incazzato. Questo spaventò a morte Lyzzy, che prese a urlare in preda al panico, ma non fece antro che peggiorare la situazione. È pure vero che la scena aveva anche un lato comico, chiunque a vederci si sarebbe messo a ridere, infatti Lyzzy si era messa  correre, il cane a inseguirla, e tutti noi a corrergli dietro. Il cane, a seconda di chi gli passava a tiro, incominciava a inseguire ogni vita qualcuno, e alla fine ci eravamo ritrovati tutti completamente sparpagliati nel parco, a nasconderci dietro gli alberi. In effetti la cosa era risultata divertente per tutti -tranne che per Lyzzy- infatti qua e là si sentivano delle risate echeggiare nel piccolo bosco. Eravamo tutti sparpagliati, quasi tutti in coppie, e io chi avevo seguito? Luke, ovviamente. Qualcosa, non avevo ancora capito cosa, mi spingeva a seguirlo ovunque, qualsiasi cosa facesse. Non era nulla di volontario o spontaneo, solo un gesto meccanico. Non avevo fatto caso a come poteva esser successo, ma mi ero accorta solo dopo un po' che Luke mi stava tenendo per mano, e mi trascinava dietro di sé. La sua mano era fredda, la sua presa salda, e correva molto più veloce di me. Con le gambe lunghe che si ritrovava era il minimo. Durante la corsa ridevamo entrambi, che poi non si sapeva neanche perché correvamo, ormai il cane chissà dov'era finito.
Mi era venuto il fiatone e le gambe mi facevano male a forza di correre a quel ritmo troppo veloce per i miei gusti, e quell'attimo in cui mi distrassi appoggiai male il piede su una radice e persi l'equilibrio. Sentii il braccio di Luke tirarmi in avanti, e stavo per cadere, ma forse sentì che mi ero come bloccata e si girò in tempo per prendermi. Le mie mani si strinsero automaticamente attorno alla prima cosa che trovarono, ossia la sua maglietta. A causa del mio equilibrio che era andato a farsi fottere feci dei passi in avanti, essendo sbilanciata, senza riuscire a fermare le gambe e mi ritrovai a pochissimi centimetri dal viso di Luke. Non capii se il tempo si arrestò solo per me o se rimanemmo uno davanti all'altro per tutto quel tempo. Sentivo il suo respiro caldo sulle mie labbra, i nostri nasi si sfiorarono appena, e i miei occhi erano inchiodati nei suoi. Ci stavamo guardando a vicenda con intensità, con uno sguardo profondo, che voleva leggere tutte le emozioni dell'altro. E continuavamo a guardarci, trasmettendoci quelle emozioni che con le parole erano impossibili da spiegare, il suo respiro ancora sulla mia pelle.





NOTE DELL'AUTRICE :)
Buon salve❤️ come va?
IERI LUKEY HA FATTO 18 ANNI AIUTO PIANGO😭❤️
E i biglietti per Milano sono sold out😱
Ok la smetto di sclerare AHAHA passiamo alle cose "serie"
Vi è piaciuto il capitolo? A me stranamente sì, lo trovo più scorrevole delle altre volte, più leggero, e anche più lungo lol però vabbe questa è l'idea che dà a me, e in certi casi la mia opinione non conta ahah quindi ci terrei se mi diceste se vi è piaciuto c:
Parlando del capitolo in sé, Lola è ancora giù di morale, i problemi tutti lei ce li ha, però riesce a fare pace con Alexia (non vi eravate scordate di lei, veeero?😏) e Mikerowave il supereroe (lol) riesce a distrarla facendola uscire per passare un pomeriggio insieme con nuove persone. Sembrerebbe esserci riuscito, no? E la fine del capitolo? *non uccidetemi se volevate sapere che altro succedeva*
Poi ringrazio alcune mie amiche, Lucrezia, Gresia, Eleonora, Valentina, Marta, Carlotta, Sara, Francesca, Bettina e Silvia per aver sostenuto la storia e per aver anche partecipato ahaha
Ringrazio anche la decina di persone che ha recensito gli ultimi capitoli, e anche chi li legge, perché il primo capitolo ha superato le 1200 visualizzazioni urlo
Grazie di tutto, per i consigli, i pareri, le recensioni, e i complimenti c:
Vi lascio il mio Twitter in caso voleste chiedermi qualcosa. Sono @_lukeshugs e se mi seguite ricambio c:
D'accordo, ora ho finito ahah alla prossima❤️
~Vic


SONO RIUSCITA A METTERE IL BANNER URLO SPERO CHE VI PIACCIA E CHE SI VEDA BENE

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Capitolo 15
*** I love you too. ***


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"Tutto bene?" chiese appoggiandomi la mani sui fianchi. I nostri occhi continuavano a studiarsi gli uni con gli altri. Quell'azzurro liquido e cristallino mi scrutava intensamente, cercava di cogliere qualsiasi mio movimento, anche il più impercettibile. E io in quell'azzurro mi ci perdevo. In quegli occhi così belli vedevo di tutto, quel luccichio così spettacolare mi ricordava una distesa d'acqua sotto al sole, e quelle venature azzurre che si insinuavano nel celeste più chiaro, color del cielo, mi sarei fermata ore e ore a guardarle, a studiare l'effetto che creavano, ma sotto sotto, coperte da quello strato di cielo, di emozioni ce ne erano a dozzine. In quello scintillio avvertivo come della felicità, una felicità che non avevo mai visto in Luke: quella felicità non causata da una bella notizia, ma quella procurata dalla serenità e dalla tranquillità.
La sua voce mi riportò sulla terra ferma, e annuii con la testa in risposta alla sua domanda.
Il suo respiro caldo mi accarezzava dolcemente la pelle, la punta dei nostri nasi si sfiorava appena, le mie mani erano ancora strette attorno alla sua maglia grigia che sfumava al nero e le sue mani erano ancora poggiate sui miei fianchi per tenermi.
Sentivo il suo profumo sulla mia pelle. Non era un profumo in particolare, era dolce ma anche forte, comune ma anche speciale, era il profumo che aveva la sua pelle e quella di nessun altro. Era un profumo accogliente, che sapeva di casa, di sicurezza, di protezione, era quel profumo che da quando avevamo litigato non sentivo più.
Mise un braccio sotto al mio e mi aiutò a rimettermi in piedi in equilibrio, mi sorrise, e il nostro contatto visivo si interruppe.
"Grazie." gli dissi dopo essermi risistemata.
"Torniamo dagli altri, dai."
Ripercorremmo tutto il boschetto al contrario finché non arrivammo nello spazio di prato, dove trovammo tutti i ragazzi. Lyzzy era seduta con le gambe al petto, intanto Michael la stava accarezzando con una mano sulla schiena mentre rideva con gli altri dell'accaduto.
"Hey, ecco i fidanzatini che tornano!" urlò Charlie indicandoci appena ci vide.
A quelle parole persi un battito e sgranai gli occhi guardando Luke che scoppiò in una risata. Io lo imitai, per poi andarmi a sedere sul prato vicino agli altri.
Charlie continuò a fissare me e Luke per tutto il tempo. Che ci avesse visti tra gli alberi e avesse pensato ad altro?
Lyzzy era ancora sotto shock per quello che era successo poco prima, la sua paura per i cani andava ben oltre l'immaginabile.
"Io ho sete. Abbiamo qualcosa da bere?" si lamentò all'improvviso la ragazza riccia, Grace.
"A qualche metro da te c'è tutta l'acqua che vuoi." le rispose Rick riferendosi al laghetto delle tartarughe.
Grace rise ironicamente poi "Sai, ti vedo accaldato, potresti fartelo un bel bagno nello stagno."
"Sai che non mi hai dato affatto una cattiva idea?" A quelle parole Rick si avvicinò alla riccia e la afferrò per le braccia, subito dopo richiamò l'attenzione di Cal. "Mi aiuti bro'?"
Il moro non se lo fece ripetere due volte e si avvicinò rapidamente a Grace che stava cominciando a divincolarsi inutilmente. Calum la afferrò per le gambe e insieme i due ragazzi la alzarono da terra. Intanto la bionda aveva cominciato a urlare insulti e imprecazioni verso i due amici, che la ignorarono completamente. Una volta abbastanza vicini al laghetto urlarono perfettamente insieme "Uno... Due... Tre..." dondolando avanti e indietro la povera ragazza che continuava a urlargli insulti, e al "Via!" la lanciarono -letteralmente- in acqua. All'impatto volarono degli schizzi ovunque, e Grace rimase in acqua a sputacchiare tutta quella che le era finita in bocca.
"Coglioni, questa me la pagate." gli urlò incazzata nera mentre si alzava in piedi e usciva fuori dal laghetto. Tutti quanti scoppiammo in una sonora, e la riccia, nonostante fosse bagnata da quell'acqua sporca si unì alla risata. Si sedette di nuovo al suo posto e cercò asciugarsi il più possibile.
Riprendemmo a ridere e scherzare finché Calum non propose qualcosa da fare. "Potremmo fare il gioco della bottiglia."
"Macché, è un gioco stupido." gli rispose Marta.
"Non è vero, se si è in tanti viene una gran figata, e noi siamo in tanti!"
"Cal è un gioco da ragazzini dementi. Sul serio ti diverti con quella roba?"
"Ma che cazzo oh hai sempre da ridire." la rimbeccò il moro con aria seccata.
"Diteglielo anche voi che è un gioco demenziale." questa volta parlando a noi.
Era strana come discussione, sembrava quasi che in realtà non stessero parlando del gioco della bottiglia, bensì di qualcos'altro, che io non sapevo.
"Cal perché devi sempre fare il bambino piccolo? È un gioco di merda, facciamone un altro, no?"
"Ma sei tu che ti lamenti sempre di tutto! Ci scommetto un occhio della testa che se lo proponeva un altro di noi avresti accettato!"
"Dai ragazzi, basta. Possiamo fare altre cose." intervenne Charlotte per alleggerire la situazione.
"Zitta tu." la riprese Marta, e la discussione finì lì.
Nessuno si era azzardato a dire nulla, e io non volevo di certo essere l'impicciona di turno.




"D'accordo, io la riporto a casa allora." disse il biondo indicandomi.
"Tranquillo, ci penso io. Abito più vicino a lei." intervenne Mike sorridendo.
"Non ce n'è bisogno." cercò di dire il primo, ma venne subito interrotto dal ragazzo dai capelli verdi.
"Davvero, non ti preoccupare." sorrise di nuovo. Luke gli lanciò un'occhiataccia tremenda, se avesse potuto lo avrebbe fulminato con quel solo sguardo. Cercai di non darci troppo peso. "Noi andiamo, ci si vede."
Ci salutammo tutti quanti uscendo dal parco e ognuno imboccò la strada di casa. Appena fuori dal parco io e Michael girammo alla larga dal locale infestato da alcol e fumo che già cominciava a ospitare i primi ubriaconi.
"Ti sei divertita?"
"Altroché! Come fai a conoscere tutti quei ragazzi?"
"Oh beh, conoscenze varie." rispose alzando le spalle.
"Posso farti una domanda?"
Annuì.
"La discussione che c'è stata prima..."
"Oh... Quella tra Cal e Marta."
"Eh sì."
"È... una lunga storia."
"Ho tutto il tempo che ti serve."
"Diciamo che loro si sono sempre piaciuti, da quando si sono visti la prima volta. Forse proprio la prima volta no, però hanno subito instaurato un bel rapporto, come quello tra te e Luke, più o meno."
"Ah, capito."
"Hanno anche provato più e più volte a stare insieme, ma non sono durati mai a lungo. Con questo non intendo dire che non si amino o che litighino soltanto, ma non riescono a stare insieme più di tanto. Quel periodo in cui stanno insieme sono le persone più felici del mondo, sono incredibili, tutti sorrisi e allegria, ma nel momento in cui qualcosa va storto si allontanano, ovviamente non troppo, perché comunque non ce la fanno. Hanno bisogno di quel periodo in cui pensare e poi si riavvicinano."
"Questa volta qual è il motivo del litigio?"
"Di solito parte tutto da una piccolezza, Cal ci si incazza e va a distrarsi. In quest'ultimo periodo quando non passa il tempo con Marta o con noi lo passa con Charlotte, e a vederli insieme potrebbero quasi sembrare una coppia. Una cosa però è certa: a Charlotte piace Cal. Nonostante questo, può sembrare strano ma è così, Lottie e Marta vanno molto d'accordo. Non capirò mai voi donne."
"Pff, parla quello con la testa a posto." e risi appena. "Tu invece come sei messo a ragazze?"
Si grattò la nuca, come se fosse confuso. Dalla sua espressione lo sembrava.
"Anche qui storia lunga."
"Anche per questa storia lunga ho tutto il tempo che vuoi."
"Sicura eh?" chiese sperando in un "no" come risposta.
"Per tua sfortuna sì." e lì ridemmo.
"È un po' un casino."
"Racconta."
"Beh... Io... Aiuto non so come dirlo." e rise quella frase, come se avesse bisogno di smettere un attimo di parlare.
"Dai, vai al sodo, tranquillo. Dalla mia bocca non uscirà un fiato su quello che sentirò."
Mi sorrise quasi più sereno, poi riprese a parlare. "A me piace Lyzzy, da un bel po', ma non abbiamo mai avuto modo di stare tranquilli. Inoltre c'è in mezzo Franz. Anche a lui piace Lyzzy, ci prova da sempre con lei, e lei ha da sempre le idee confuse. A volte sembra che di Franz le interessi proprio poco, però quando non ci vediamo magari per un po' scopro che lei tutto quel tempo ci è stata appiccicata. Lyzzy mi ha sempre detto che è solo un amico di famiglia, ma lui la guarda come se fosse di sua proprietà e a me da fastidio. In più tratta Lyzzy di merda, appena non c'è va a puttane, non ci si può fidare di Franz su questo tema, ma per il resto è un ragazzo a posto, simpatico, l'hai visto anche tu."
Annuii spostando lo sguardo, pensando a quanto fossero affiatati tutti loro nonostante i litigi.
Mike si fermò davanti a casa mia, "Arrivati." disse sorridendo.
"No, aspetta. Finisci di raccontarmi."
"Cosa?"
"Di te e Lyzzy."
"Ma è questo in pratica. Noi... Ci vogliamo bene, e penso niente di più, ormai."
"Secondo me invece dovresti farti avanti. A mio parere non riuscirebbe a dirti di no."
"Cambiamo argomento, ok?"
"Altre coppie nel gruppo?"
"Angie e Ash. Loro sono fidanzati da un po', stanno benissimo insieme. Non credo che abbiano mai litigato, sono sempre d'accordo su tutto, sono molto affiatati, e quando stanno insieme ridono come pazzi, non ho mai visto nessuno divertirsi in quel modo."
"Che carini" pensai nella mia testa.
"Beh poi ci siete tu e Luke."
"Che?"
"Te e Luke, no?"
"No, no, per niente! Siamo solo amici, io non... No, no, davvero." scuotendo la testa.
A esser sincera non avevo mai pensato a me e Luke come fidanzati, e non pensavo minimamente che la gente potesse vederci come tali.
"Ok, ok. Ora è meglio che vada. Ci si vede." mi diede un bacio sulla guancia e mi sorrise, per poi girarsi e dirigersi verso casa sua.
Salii le scale fuori dalla porta di casa mia ed entrai. Appena dentro salutai velocemente mio padre che stava davanti al tavolo della cucina a leggere e completare fogli e schede, forse per l'ospedale. Oddio, l'ospedale. Sentii un nodo alla gola, subito cercai di togliermi quel pensiero dalla testa sapendo che non avrebbe portato niente di buono. Salii in camera mia a posare la borsa e togliermi le scarpe per stare più comoda. Intanto i miei pensieri si spostarono su Michael. Era simpatico quel ragazzo. Tra di noi c'era un rapporto particolare. Non eravamo proprio amici, ma neanche di meno. Ognuno aveva i suoi spazi e rispettava quelli dell'altro. A me andava bene così, mi piaceva così com'era.
Non feci in tempo a sistemarmi che sentii il campanello suonare e mio padre che mi chiedeva di andare ad aprire. Mi avviai verso la porta e quando aprii davanti a me vidi Luke.
"Hey, che succede?" gli chiesi appena lo vidi.
"Niente, volevo parlarti un attimo."
"D'accordo, entra." e mi spostai per farlo passare.
"Ciao Luke." lo salutò mio padre sorridendo appena vide il biondo.
"Salve signore."
"Beh... Vi lascio soli." ci rivolse un ultimo sorriso e poi lo vidi salire le scale.
"Che succede?" chiesi dirigendomi verso il divano e facendogli segno di sedersi vicino a me.
"Volevo portartici io a casa."
"Vabbe dai non è un problema."
"E invece sì. Volevo sfruttare quel po' di tempo che avremmo passato insieme da soli ma quel cazzone di Michael si è messo in mezzo."
"Aspetta, che ha fatto ora Mike?"
"Lui... Io... Niente." Le parole gli si intrecciavano in bocca, sembrava confuso, o a disagio. Tirò un sospiro.
"Hey lo sai che anche se abbiamo litigato se ti serve qualcosa io ci sono sempre, vero? Spiegami che succede."
"Sono geloso di Mike, di come si sta avvicinando a te."
"E perché mai?"
"Vedo che ti avvicini sempre di più a lui, e che invece ti allontani da me." Parlava lentamente, facendo particolare attenzione alle parole da usare.
"Sei stato tu a chiedermi di allontanarmi."
"Ho fatto una cazzata Lola. Ti prego, dimmi che sono ancora in tempo per rimediare."
"Sei un coglione Hemmings, ti odio." gli dissi, per poi abbracciarlo affettuosamente. Ricambiò l'abbraccio stringendomi tra le sue braccia magre e sottili ma muscolose al punto giusto.
"Ti voglio bene cretino."
"Anche io."






NOTE DELL'AUTRICE :)
*si va a nascondere in un angolino*
So che probabilmente vi aspettavate un bacio all'inizio del capitolo e forse anche alla fine, e mi dispiace se vi ho deluse ahahha ma per ora non è quello che ho in mente (forse). Comunque sia spero che vi sia piaciuto c:
A essere sincera in questo capitolo non succede molto, Lola conosce questi ragazzi, passa un pomeriggio con loro e ci si diverte insieme. Però alla fine aw Luke va a chiederle scusa per quello che ha combinato, che cucciolo lol
Non so che altro dire e sto scrivendo le note più inutili della storia di efp rido
Una cosa importante! Ringrazio tanto tanto tanto le persone che hanno recensito il capitolo precedente perché sono tante aw quindi grazie a jennygigioli, Monchele98, ashton_dimples, Elisa_CrazyMofo, Sofy1906, S_V_A_G, Sniix, Layla, EleLovesOneDirection, xperfoned, _thedirection1, holaholinas, e Sofy_Dini_Directioner
Spero davvero di trovare un'altra vostra recensione anche sotto questo capitolo, vvb
Ahaha ok me ne vado lol alla prossima c:
Byee❤️
~Vic

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Capitolo 16
*** The only reason. ***


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"Lola, possiamo parlare un attimo?" mi chiese mio padre appena Luke fu uscito di casa.
"Certo."
Andammo in cucina e ci sedemmo uno davanti all'altro su due sgabelli vicino all'isola.
"Che succede?" gli chiesi.
Intrecciò le mani e le appoggiò sul tavolo.
"Vorrei proporti una cosa."
"Ossia?"
"Sai, ho visto che nonostante gli sforzi da parte di entrambi sta comunque andando tutto a rotoli e non voglio che tu abbia un'adolescenza troppo complicata e piena di problemi, e vedo che non sei felice come io e tua madre abbiamo sempre sperato."
"Mm e quindi?"
"Beh, vedi, io e tua madre avevamo degli amici in America e quando hanno saputo cosa è successo ci hanno proposto di andare a vivere là. In America riuscirei a trovare lavoro più facilmente, avremmo una casa bellissima, mi hanno mandato delle foto della casa che vendono ed è davvero stupenda, sono sicuro che ti piacerebbe molto. Inoltre studieresti in un college di cui mi hanno parlato molto bene. Penso che lì potremmo ricominciare da capo e lasciarci alle spalle tutto quello che è successo, no?"
"Mi stai dicendo che andremo a vivere in America?"
"Se a te fa piacere penso che sarebbe la cosa migliore."
"E quando partiremmo?"
"Tra una o due settimane."
Una o due settimane. Così poco tempo per decidere, per organizzare la mia mente, per dire addio a tutto e tutti, per preparare le valige e andare incontro a una nuova vita. Una o due settimane. Troppo poco per una decisione del genere.
"Se... Se tu devi ancora decidere io preferirei pensarci un attimo, ti dispiace?" gli chiesi mentre mi alzavo dallo sgabello e mi dirigevo verso la mia camera.
"Certo tesoro." mi rispose, e la conversazione finì lì.
Appena entrata in camera mia mi sdraiai sul letto a peso morto e chiusi gli occhi.
Sarebbe stato stupendo ricominciare tutto da capo, vita nuova, casa nuova, scuola nuova, amici nuovi, ma chi glielo diceva a Luke che lo abbandonavo così all'improvviso? Lui era l'unica ragione per cui ancora rimanevo a Sydney, non ce la facevo a lasciarlo però, forse, sarebbe stata la cosa migliore. Avrei potuto cancellare tutto, strappare la pagina dal libro e ricominciare a scrivere la mia vita da capo. Mi sarei allontanata dai ricordi di mia madre che continuavo a vedere in continuazione. Ovunque mi girassi i ricordi di quella donna mi saltavano addosso, e io cercavo di farli rimbalzare contro la bolla che mi ero creata per allontanare tristezza e dolore, ma Luke, come facevo a lasciarlo? Io che gli avevo sempre detto che poteva contare su di me, io che gli avevo sempre detto che qualsiasi cosa fosse accaduta gli sarei stata accanto, io che gli avevo sempre detto che non me ne sarei mai andata.



24.02.14  7:23
Vieni a scuola oggi? Lola xx

Inviai il messaggio a Luke e sentii subito il telefono vibrare, segno che mi aveva risposto.

24.02.14  7:23
Perché?

Non aveva intenzione di venire, se no mi avrebbe dato direttamente la risposta, lo conoscevo.

24.02.14  7:24
Devo parlarti, è importante.

Aspettai la risposta che non arrivava, così ne frattempo ricominciai a prepararmi per uscire.
Il telefono vibrò nella tasca posteriore dei miei jeans.

24.02.14  7:26
D'accordo, ci vediamo al muretto.

Finii di prepararmi per andare a scuola, e cercai di arrivare con un po' di anticipo. Quando mi fermai davanti al cancello della scuola Luke era già lì, seduto con Mike, Cal e Ash.
"Buongiorno." mi salutarono quando mi videro, e io ricambiai.
"Luke, vieni un attimo?"
Annuì e scese dal muretto. Ci dirigemmo del cortile della scuola, e il biondo si appoggiò con la schiena al tronco di un albero.
"Che succede?" mi chiese quando vide che non parlavo.
"Non so come dirtelo." scossi lentamente la testa. "Tra una settimana parto per l'America." andai dritta al sodo, senza troppi giri di parole.
"Figo, quando torni?"
"Luke" non aveva capito cosa intendevo, o forse non voleva capirlo.
"Mh?"
"Vado, ma non torno più."
A quelle parole vidi i suoi occhi spegnersi, le labbra incurvarsi all'ingiù e schiudersi appena.
"Ma... Ma è già tutto deciso?"
Mi sbrigai a scuotere la testa. "No, no, ancora no. Mio padre prima vorrebbe sapere se per me va bene, ma io vorrei sapere cosa ne pensi tu."


*LUKE'S POV*
E cosa dovrei pensarne io? Dovrei essere d'accordo? Forse sì, per la sua felicità, ma come cazzo faccio a convincermi che lasciarla andare sia la cosa giusta?
Che poi, in questi casi, ci si fanno sempre tutte quelle promesse “ci terremo in contatto”, “non mi dimenticherò mai di te”, “faremo di tutto per incontrarci”, però si sa, che quando uno ci si ritrova dentro nella nuova vita, tutte quelle promesse vanno a farsi fottere.
Se lei parte io come faccio ad attraversare tutto l'Oceano per poterla vedere?
Ma d'altronde la vita continua a essere la sua, può anche chiedermi un consiglio, e io posso anche darglielo, ma poi è a lei che spetta decidere e io chi sono per impedirle di avere una vita migliore? Anzi, sarebbe anche cattivo da parte mia sapere che in America vivrebbe meglio ma non lasciarla partire perché la voglio accanto a me.
"Luke, ci sei?" mi distrasse dai miei pensieri.
"Mh? Ah sì, sì."
"Luke io non voglio andarmene."
"Perché no? Non sei felice di ricostruirti una vita?"
Scosse la testa. "Non se è senza di te."
"Non voglio impedirti di avere una vita migliore."
"Luke sei l'unica ragione per cui voglio rimanere qua."
"Lola non dirmi così. Non voglio essere io a impedirti di vivere una vita più tranquilla, senza tutti i problemi che hai qua. Hai questa possibilità, devi coglierla al volo. In America vivrai molto meglio, avrai amici migliori, che non si drogano, che non perdono il controllo per una qualsiasi cazzata, che ti staranno accanto e che ti tratteranno come meriti. Lola, pensaci bene perché è una possibilità unica, non dovresti lasciartela sfuggire."
"Possibile che non capisci? Luke, tu sei l'unico amico che voglio avere, l'unica persona di tutta Sydney che non voglio lasciare, l'unica persona da cui voglio ricevere attenzioni, mi dici come faccio ad allontanarmi da te?"
"Non devi rovinarti la vita a causa mia."
"Non sei d'aiuto così. Tu vuoi che me ne vada quindi?"
"Ovvio che non lo voglio, io ti vorrei accanto a me finché non sarò sotto tre metri di terra, ma so di per certo che in America ti troveresti molto meglio."
"Chiedimi di restare e io resto."
"Vorrei, ma non posso. Non posso essere io a decidere della tua vita, del tuo futuro e soprattutto della tua felicità."
"Quindi dovrei partire secondo te?"
"Devi fare quello che senti sia meglio per te Lol."
A quelle parole mi abbracciò, non feci neanche in tempo ad accorgermene che già avevo le sue braccia intorno e la sua testa appoggiata sul mio petto. Come avrei fatto senza i suoi abbracci?
"Io entro." disse indicando la scuola accanto a noi.
"No, io no. Poi... Beh... Fammi sapere che decidi."
"Puoi contarci. Sarai il primo a cui lo dirò." poi si girò e si diresse verso l'edificio. E io rimasi lì da solo, come meritavo di stare, evidentemente.


Due giorni dopo ci demmo appuntamento davanti al parco, sempre il solito, quello accanto al locale. Quella mattina non ci eravamo visti, lei era andata a scuola, non capivo come facesse ad andarci quando non le andava. Io ci andavo una volta sì e cinque no, e fortunatamente nessuno si accorgeva di nulla, in quella scuola di dementi. La aspettai seduto sullo scalino davanti al pub mentre giocavo con il fumo della sigaretta che tenevo tra le labbra. Guardai l'ora sul telefono, erano appena le tre e mezza. La avvistai da lontano mentre arrivava, il passo lento, sul viso un'espressione triste, desolata.
"Ciao Lol." la salutai con un sorriso sulle labbra cercando di tirare un po' su il morale.
"Lukey" ricambiò il saluto fingendo un sorriso.
"Come va?" ma sapevo già la risposta. Come doveva andare?
Si limitò ad un'alzata di spalle.
"Voglio portarti un un posto oggi." cambiai argomento.
"Dove?" chiese curiosa.
"Mm.. Sulla spiaggia, ma fidati di me se ti dico che è un posto incredibile. Però ti ci porto solo se mi fai un bel sorriso."
"Non è aria, forse dopo."
"Come mai? C'è qualcosa che non va?"
"La partenza. Non sono sicura di volermene andare."
Non sapevo come reagire, se dovevo essere contento perché aveva voglia di rimanere o se fare di tutto per convincerla a partire. Sapevo che qualsiasi fosse stata la sua scelta mi sarei sentito in colpa. Con quale coraggio potevo impedirle di andare verso la sua nuova e migliore vita? Però, con quale forza potevo consigliarle di partire e di lasciarmi a rimpiangere la sua lontananza e il vuoto che mi sarebbe rimasto?
"Voglio vedere se non ridi adesso." dissi nell'istante in cui cominciai a farle il solletico sulla pancia. La strinsi con le braccia per intrappolarla e continuare a farle il solletico, e lei rideva, rideva in un modo fantastico. Si sentiva solo quel suono meraviglioso, e avrei voluto che non finisse mai.
In qualche modo riuscì a divincolarsi dalla mia stretta e si allontanò di un paio di metri da me correndo e continuando a ridere.
"Comincia a correre che quando ti prendo sono guai." le urlai mentre si girava con la risata sulle labbra.
Cominciò a correre, e io subito dopo la seguii.
"Sempre se mi prendi!" urlò lei in risposta.
Riuscivo perfettamente a stare al passo, avevo le gambe più lunghe delle sue, facevo passi più grandi e veloci, ma a volte rallentavo per farle riacquistare distanza, non volevo che il "gioco" finisse troppo presto.
Dopo un po' però cominciò a rallentare per via del fiatone, e avrei fatto la figura dell'imbecille se non l'avessi presa, così l'afferrai da dietro e ripresi a farle il solletico sulla pancia, e lei ricominciò a ridere, e si piegò a metà dalle risate.
Urlò, sempre continuando a ridere, cose come "lasciami, ti odio, smettila, me la pagherai" e ridevo a tutte quelle che sarebbero dovute essere minacce di morte. Eppure anche mentre mi minacciava era così bella, con quel sorriso così dolce, quella risata così contagiosa, quegli occhi così vivi. Non osai neanche immaginare cosa avrei fatto senza di lei, mi rifiutai di pensarci, non potevo rovinare quel momento così perfetto, che forse non sarebbe tornato mai più.
Smisi di farle il solletico e la presi per mano, cominciai a correre dicendole "Vieni, ti faccio vedere un posto." e corremmo finché non arrivammo davanti alla spiaggia, quella spiaggia. Era sempre deserta, così silenziosa e così rumorosa, così rilassante e così piena di pensieri, e così bella che volevo condividerla con Lola. Sempre lì andavo quando avevo bisogno di pensare, di stare solo. Mi sedevo sulla sabbia e guardavo l'Oceano che si incontrava con il cielo, le onde che si infrangevano sulla spiaggia come i pensieri nella mia testa.




NOTE DELL'AUTRICE :)
Buonaseraa c: sono tornata lol
Che ve ne pare del capitolo? È più corto degli altri (?) però spero che vi piaccia lo stesso. Povera Lola combattuta tra una vita migliore e l'amicizia con Luke, aiut.
Non so davvero che dire sta volta hahaha
Boh grazie mille a Sofy_Dini_Directioner, holaholinas, jennygigioli, S_V_A_G, Layla, eminem5soslove, Ashton_dimples e Sniix per le recensioni, e mi scuso con tutte visto che vi aspettavate un bacio lol vabbe portate pazienza che prima o poi qualcosa ci sarà ahahah
Ora che ho finito di annoiarvi vi dico che spero di trovare delle vostre recensioni sotto al capitolo per sapere come vi sembra e buh basta ahaha
Alla prossimaa
~Vic


Ps: omg il primo capitolo ha superato le 1500 letture, io vi amo

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Capitolo 17
*** You are an idiot. ***


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Guardai davanti a me: una distesa di sabbia bianca si incontrava con il freddo oceano blu. L'unico rumore che si sentiva era quello delle onde che si infrangevano all'impatto con il bagnasciuga. Sulla spiaggia non c'era nessuno, solo qualche gabbiano che passeggiava qua e là, e noi. Era uno spettacolo fantastico, capivo perché a Luke piacesse tanto. Il vento mi passava delicatamente tra i capelli facendoli ondeggiare. Le nostre mani erano ancora una nell'altra, e quella libera la tenevo sul petto, mentre riprendevo aria. L'odore del mare salato trasportato dal vento mi faceva sentire libera come non mai.
"Ti piace?" mi domandò Luke guardando lontano.
"È bellissimo." risposi senza fiato per la tranquillità di quel paesaggio.
"Vieni!" disse stringendomi di più la mano e cominciando a correre, trascinandomi dietro di se.
Successe tutto così in fretta che non riuscii a realizzare cosa stesse succedendo, quindi mi ritrovai abbracciata a Luke completamente vestita in acqua. Anzi, non in acqua, ma sott'acqua. Non ero neanche riuscita a prendere fiato, quindi uscii con la testa per prendere aria e cominciai a tossire sputando quella che avevo ingoiato. Mi alzai in piedi di scatto, e mentre un'onda ci veniva addosso urlai "Sei un emerito idiota, Luke Hemmings!" con un tono da finta arrabbiata.
Lui rise e mi spinse di nuovo in acqua. "Lo so. Quindi sono giustificato se faccio questo." disse avvicinandosi a me e facendo la cosa che meno mi sarei aspettata. Mi appoggiò una mano dietro la nuca e avvicinò le sue labbra alle mie.
Sentii le guance scaldarmisi, ero sicura di star arrossendo, e sperai che Luke non se ne accorgesse. Ma in fin dei conti perché arrossivo? Di certo non perché non sapevo come reagire. Non me ne ero mai accorta prima di quel momento, ma speravo lo facesse.
Portai un braccio sulla sua spalla e con le dita giocai con i suoi capelli bagnati. Le nostre labbra intanto si accarezzavano con movimenti lenti e dolci. Le sue erano così morbide che le avrei baciate per il resto dei miei giorni. Quando la sua lingua chiese l'accesso non glielo negai.
Nella mia testa c'era il casino più totale. Non avevo mai provato tutte quelle emozioni contemporaneamente. Ero confusa per il suo gesto improvviso, ero felice per il nostro sentimento evidentemente reciproco, ero emozionata per quel bacio così dolce, ero spaventata per quello che sarebbe successo dopo.
Ero innamorata, ma possibile che non me ne fossi mai accorta?
Un'onda ci passò sopra, spingendoci sott'acqua, ma ciò nonostante continuammo a baciarci, rimanemmo lì, incastrati una con l'altro. Quando l'onda si infranse sulla riva e l'acqua si riabbassò un brivido mi percorse la schiena e mi allontanai dalle sue morbide labbra appoggiando la mia fronte alla sua. "Sei un emerito idiota, Luke Hemmings." gli ripetei dolcemente.
"Lo so." rispose come prima, ridendo.
Si tirò in piedi e poi mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi. L'acqua ci arrivava alla vita, e ogni volta che passava un'onda un gelo mi arrivava fino alle spalle. Uscimmo dal freddo oceano completamente zuppi e grondanti, e non potevamo neanche asciugarci, visto che il sole era coperto dalle nuvole. Appena le mie vans toccarono la sabbia asciutta le tolsi e mi strizzai i capelli con le mani, poi mi guardai un attimo intorno per controllare che non ci fosse nessuno oltre a Luke e con un rapido gesto mi sfilai la maglietta appiccicata alla mia pelle per poter strizzare anche quella. Un po' mi metteva in imbarazzo rimanere in reggiseno davanti al biondo, ma non mi andava proprio di beccarmi una polmonite per colpa sua. Subito dopo di me lui fece i miei stessi movimenti. Si tolse le scarpe e poi la maglietta.
Il leggero vento che prima era piacevole adesso mi faceva venire la pelle d'oca e mi rizzava i peli sulle braccia, facendomi tremare.
"Cazzo, le sigarette!" esclamai tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans una scatoletta di cartone afflosciato da cui uscivano pezzetti di tabacco imbevuto d'acqua salata. Luke rise alla mia imprecazione. Per fortuna che il telefono lo avevo dimenticato a scuola sotto al banco.
"Ti odio Luke." dissi scherzosamente.
"Perché? Per un pacchetto di sigarette afflosciato?" chiese ridendo.
"No, per la polmonite che mi verrà se non mi asciugo in fretta."
Rise di nuovo. "Ti rimarrà un bel ricordo di questa giornata?" chiese ora più serio.
"Non se dovrò stare rintanata in casa per i prossimi due mesi con una broncopolmonite bilaterale con versamento pleurico."
"Una broncopolmonite che?" chiese confuso.
"Broncopolmonite bilaterale con versamento pleurico. Una broncopolmonite grave, diciamo. L'ho avuta da piccola e non ci tengo a riaverla."
"Non ti tornerà, parola mia." disse alzando le mani e sorridendo.
"Sarà meglio per te." Guardai un attimo i vestiti gocciolanti di Luke, poi i miei, e infine chiesi "Come ci asciughiamo?"
"Non saprei."
"Dai, fai il serio! Non possiamo tornare a casa grondanti!"
"Perché no?" chiese alzando le spalle. Lo fulminai con lo sguardo. "Ok, calma. L'accendino ti funziona ancora?"
Lo tirai fuori dalla tasca e lo guardai storcendo la bocca. "È pieno d'acqua."
"Peccato. Allora dovremo tornare a casa bagnati."
Sbuffai. Strizzai un altro po' la maglietta e me la rimisi. Presi le scarpe e cominciai a camminare sulla sabbia verso la strada. Superai un gruppo di rocce e misi piede sull'asfalto ruvido. Mi tolsi con le mani la sabbia che si era attaccata ai miei piedi e mi infilai le scarpe. Sentii i passi di Luke che si stava avvicinando. Sentii la sua mano posarmisi sulla spalla.
"Hey, sei arrabbiata?" chiese dispiaciuto.
"No, sono solo... Non lo so, ma non sono arrabbiata."
"Lo sembri però." disse facendomi girare verso di lui.
"Tranquillo, non ho nulla."
Non sembrò molto convinto. Non ero arrabbiata, ero solo un po' seccata, e nervosa. Non mi andava di tornare a casa completamente zuppa, niente di più. "Luke, davvero, va tutto bene." dissi sorridendo.
"D'accordo." rispose, ancora senza convinzione.
"Da qui come si torna a casa?"
"Di là." disse indicando la sua sinistra. Camminammo per qualche minuto, e il biondo stette tutto il tempo in silenzio, con lo sguardo vacuo perso nel nulla, poi non riuscii a trattenermi e feci la domanda che mi stava martellando nella testa.
"Perché fai così?!"
"Così come?" chiese confuso guardandomi.
"Sei... Freddo."
"Non sono freddo, è solo che non capisco che ti succede."
"Te l'ho detto, non ho nulla!"
"Non è vero. Mi sarei immaginato una reazione un po' diversa."
"Come dovrei comportarmi? Almeno lo faccio e sei contento."
"Non devi comportarti come fa piacere a me, devi soltanto essere naturale!"
Rimasi in silenzio senza guardarlo, puntando lo sguardo davanti a me.
"Non hai niente da dire?"
"Cosa dovrei dirti? Ovvio che mi è piaciuto, solo che se adesso mi trovassi a casa, sul mio divano, e soprattutto asciutta mi sentirei meglio!"
"Quindi il problema è questo? Che sei bagnata?"
"Già." dissi con una smorfia.
"Ci siamo appena baciati, ed è stato il bacio più bello della mia vita, e tu stai a pensare che sei bagnata?!"
"Ma no! È soltanto che mi scoccia essere fradicia, il resto è stato perfetto."
"Come faccio a crederti se è da quando siamo usciti dall'acqua che tieni il broncio?"
Senza dargli il tempo di finire la frase mi girai velocemente verso di lui e lo baciai. Strinsi le mani sulla sua maglietta, e lo sentii mettermi una mano dietro la schiena dopo essersi ripreso da quell'attimo di stupore. Perdemmo entrambi l'equilibrio e ci ritrovammo appoggiati a una macchina parcheggiata sul ciglio della strada, ancora a baciarci. Passai le dita tra i suoi capelli spettinati e sentii quelli sulla nuca rizzarsi. Teneva le mani appoggiate sui miei fianchi, io invece una mano sul suo petto e l'altra tra i suoi capelli. Le nostre labbra si scontravano le une con le altre, le nostre lingue si intrecciavano dolcemente. Avrei voluto che quel momento non fosse mai finito, ma sentivo che forse ci stavamo spingendo un po' troppo in là. Mi allontanai e con un sussurro gli chiesi "Adesso mi credi?"
"Penso di sì." rispose con un sorrisetto malizioso.
Tornammo a casa in silenzio, mano nella mano, e quando arrivammo davanti a casa mia mi fermai.
"Entri?" domandai.
"C'è qualcuno?"
"E chi vuoi che ci sia?" chiesi dando la risposta per scontata.
"D'accordo."
Salii gli scalini e aprii la porta. Prima di entrare mi tolsi le scarpe ancora completamente bagnate, e Luke fece lo stesso. Le lasciai sullo zerbino, tanto nessuno ci avrebbe fatto caso.
Squadrai Luke da capo a piedi con aria perplessa. "Non so se i vestiti di mio padre ti stanno. Intanto vado a vedere se c'è una tuta per casa."
"Non ce n'è bisogno." disse rimanendo sulla porta.
"E invece sì, se non vuoi che ti venga un coccolone. Torno subito." dissi salendo velocemente le scale. Quando tornai in salotto Luke era ancora lì, davanti alla porta, proprio come lo avevo lasciato.
"Ti ho trovato dei pantaloni da calcio e una maglietta a mezze maniche che spero ti stia. Vanno bene?" chiesi con un lieve sorriso.
"Grazie, ma ti preoccupi troppo."
"Pensi davvero che ti lascerei in questo stato per qualche ora finché non torni a casa? Su, vai in bagno e cambiati."
"Dov'è?" chiese avviandosi verso le scale con aria un po' perduta.
"Prima a sinistra."
Prima di andare in camera a scegliermi dei vestiti asciutti aprii la porta di casa per controllare che le scarpe fossero al sole, che stava cominciando a spuntare da dietro le nuvole.
In camera presi degli shorts di jeans e una canottiera dall'armadio, tanto per stare in casa.
Mentre uscivo dalla mia camera difronte a me il biondo usciva dal bagno con i vestiti bagnati appoggiati su un braccio.
"Dammi, li vado a mettere al sole." dissi indicando il fagotto bagnato.
"Ci penso io, tranquilla." disse sorridendo mentre scendeva le scale. Gli sorrisi in risposta e mi diressi in bagno. Lì mi cambiai e mi asciugai i capelli con un asciugamano, giusto per togliere la gran parte d'acqua. Mi guardai allo specchio e sgranai gli occhi alla vista dell'oscenità riflessa. Avevo il mascara completamente sbavato, sembravo un panda, i capelli erano diventati completamente crespi e in mezzo erano rimasti intrappolati dei granelli di sabbia.
"Luke!" urlai quasi da pazza isterica.
"Che succede?" esclamò preoccupato irrompendo nel bagno.
"Perché non mi hai detto niente?"
"Cos'è che non ti ho detto?" chiese confuso e preoccupato. La sua faccia mi fece un po' ridere.
"Che sono ridotta in questo stato!"
"Avrei dovuto dirtelo? Sei carina in disordine." rispose innocente con un'alzata di spalle.
"Stupido." sbuffai. Aprii un cassetto e presi un dischetto e lo struccante. Luke rimase appoggiato alla porta su una spalla a guardarmi. Mi metteva un po' in imbarazzo, ma non commentai. Non mi truccai di nuovo, anche se c'era Luke per stare in casa non mi serviva. Rimasi con i capelli un po' umidi, non mi sarei di certo raffreddata per quello. Ora i capelli, che da asciutti erano lisci, erano pieni di boccoli a spirale che però sapevo benissimo si sarebbero afflosciati, o sarebbero diventati crespi.
"Che ti va di fare?"
"Non saprei. Che ore sono?"
"Mm... Le 17." dissi sporgendomi per guardare l'orologio in salone.
"Alle 18 devo uscire con gli altri. Ti va di venire?"
"Dove andate?" chiesi curiosa.
"Un po' al parco e forse più tardi al pub."
"D'accordo." dissi con indifferenza, anche se in realtà mi piaceva l'idea di passare la serata con quei ragazzi. Erano simpatici. Michael la prima volta in cui ci avevo parlato mi era sembrato un tipo strano, anche un po' inquietante, ma mi ero subito ricreduta. Calum mi era sempre sembrato un ragazzo a posto, simpatico, affettuoso, che sta sempre al gioco. Con Ashton inizialmente avevo avuto dei problemi, ma alla fine si era scoperto che semplicemente non voleva che Luke si dimenticasse dei suoi amici. Ora invece andiamo d'accordo, mi fa ridere un sacco quel ragazzo. E Luke è un caso a parte. Siamo passati dall'ignorarci all'insultarci e all'essere in un solo giorno grandi amici, e forse adesso qualcosa di più.
Mi risvegliai dai miei pensieri scuotendo leggermente la testa, e notai che Luke era rimasto a fissarmi. Odiavo quando mi fissava, ma lo faceva sempre.
"Cosa devo mettermi?" chiesi guardandomi i vestiti.
"Eh?" domandò scuotendo la testa proprio come avevo fatto io. Chissà a cosa stava pensando.
"Cosa devo mettermi?" ripetei.
"Va bene qualsiasi cosa, niente di elegante." disse con un'alzata di spalle.
"Ok. Io vado a prepararmi, se vuoi tu intanto fa qualcosa, come fossi a casa tua." dissi sorridendo ed entrando in camera mia chiudendomi la porta alle spalle.
Mi guardai nello specchio attaccato all'interno dell'armadio, e decisi di cambiare canottiera. Ne presi una nera, poi tolsi dalla stampella la felpa con la zip, anche quella nera, e la indossai lasciandola aperta. Non mi importava di essere vestita bene o con i colori abbinati, e gli altri non ci avrebbero fatto caso, o almeno non mi avrebbero criticata per quello che indossavo. Uscii dalla camera e rientrai nel bagno. Mi lavai almeno il viso e le braccia per togliere un po' di sale che mi era rimasto appiccicato alla pelle, poi mi spazzolai i capelli e li mossi con le dita cercando di togliere un po' della sabbia che c'era rimasta. Presi un elastico e mi feci uno chignon che mi venne malissimo, con tutte ciocche di capelli di fuori. Aprii il cassetto del mobile e tirai fuori la trousse dei trucchi. Misi un filo di eye-liner nero sulle palpebre, abbondante mascara nero, e stavo allungando la mano per prendere il fondotinta per coprire le lentiggini quando la ritrassi. Odiavo quel velo di puntini che avevo sul naso e sugli zigomi, ma a Luke piacevano, e in fin dei conti senza di quelle mi sarei sentita quasi nuda, quindi decisi di non coprirle. Uscii dal bagno e scesi le scale quasi saltellando, poi aprii la porta di casa e ripresi le vans nere che avevo lasciato fuori ad asciugare, ma appena le toccai mi accorsi che erano ancora bagnate. Sperai che quelle di Luke fossero asciutte. Io avevo altre scarpe e potevo prendermene un altro paio, ma lui non poteva tornare a casa a cambiarsi. Fortunatamente le sue erano solo umide, forse perché erano solo di tela, invece le mie erano anche imbottite. Diedi un'occhiata ai vestiti che a colpo d'occhio sembravano asciutti.
"Credo che le tue cose siano asciutte." gli dissi rientrando e correndo su per le scale per prendere un'altro paio di scarpe.
Guardai nell'armadio e optai per le Jeffrey Campbell nere con le borchie. Quelle scarpe mi piacevano perché con la suola così alta mi facevano sembrare con qualche centimetro in più di altezza. Mi riguardai un attimo allo specchio e mi accorsi di quanto mi disprezzavo, di quanto avrei voluto essere qualcun altro. Non solo per l'aspetto fisico, ma anche per il carattere, per la vita. Distolsi lo sguardo dallo specchio e riuscii dalla mia camera per andare da Luke, adesso che ero pronta. Lo vidi che stava in salotto a chiudere la porta con le scarpe in mano, e notai che era già vestito. Per fortuna le sue cose si erano asciugate.
"Ho messo i vestiti di tuo padre in un cassetto, va bene?"
"Sì sì, perfetto, grazie." dissi sorridendo.
"Cominciamo ad andare, gli altri ci raggiungeranno lì." disse infine.
 
 
"Michael, cosa hai combinato?" urlai appena vidi il ragazzo avvicinarsi. I suoi capelli, che l'ultima volta che avevo visto erano verdi, adesso erano lilla, e sul sopracciglio era stato fatto un piercing. I tre ragazzi si scambiarono dei sorrisi alla mia reazione sorpresa.
"A Hood non dici nulla?" mi riprese il ragazzo dai capelli adesso lilla.
"Cosa? Oddio, ma cosa state combinando? Mi spaventate così."
Risero tutti quanti, poi il moro si alzò la manica sinistra della felpa nera e mostrò un nuovo tatuaggio. Un ferro di cavallo era disegnato in nero sulla pelle olivastra.
"Se un giorno vi presenterete ricoperti di piercing e tatuaggi cercherò di non avere paura." scherzai ironica. Però, dovevo ammetterlo, Michael con quei capelli lilla e soprattuto con quel piercing stava fottutamente bene, e il tatuaggio di Calum era davvero bello.
Una volta seduti tutti quanti intorno al vecchio tavolo da picnic di legno ricoperto di scritte indelebili all'ingresso del piccolo parco ci salutammo sorridendo tutti quanti. Oltre a me, Luke, Ashton, Calum, e Michael, mi stupii di notare, c'era anche Lyzzy, la ragazza che avevo conosciuto poco prima e che da quanto ne sapevo piaceva a Mike. Era molto simpatica quella ragazza, aveva sempre la battuta pronta, ogni volta molto sorridente e scherzosa. Stavamo instaurando un bel rapporto, infatti durante la serata chiacchierammo parecchio.
A metà serata Ashton fece una delle due esibizioni battendo le mani sul tavolo a ritmo di musica, e cantando con quella voce così intonata e piacevole "American Idiot" dei Green Day.
Vidi Luke tirare fuori il suo telefono dalla tasca dei pantaloni, aggeggiarci un po', e forse scrivere qualcosa sulla tastiera. Appena lo rimise in tasca il telefono di Ashton squillò, segno che era arrivato un messaggio. Lo prese e lesse il testo del messaggio mentre noi continuavamo a chiacchierare. Giurerei che fosse stato Luke a scrivergli.
Appena dopo il riccio si alzò dalla panca di legno, lanciò un veloce sguardo a Luke e in fine esclamò "Io vado dentro -indicando il pub- a prendere qualcosa da bere. Chi viene con me?"
Tutti quanti, chi prima chi dopo, accettarono. Tutti, tranne Luke, che rimase sbracato sulla panca con le braccia incrociate sul petto.
Sgamato Hemmings.
 
 
 
 
NOTE DELL'AUTRICE :)
Salve bella gente c: che ne dite del capitolo? Volevate il bacio? E che bacio sia lol
Allora diciamo che questo capitolo lo avevo già pronto da un po' e a dirla tutta pensavo di metterlo più in la, ma non volevo andare troppo per le lunghe e quindi sono riuscita a incastrato qui. Ve piasa? ahah no ok spero di si :)
Poi boh spero di trovare un sacco di recensioni per questo capitolo ahah che tra l'altro è anche venuto chilometrico ma non mi andava di troncarlo lol
Sta volta i ringraziamenti saranno speciali, perché boh ve li meritate davvero ️ La storia è entrata nelle popolari sia dell'anno che di sempre per più recensioni recensioni positive, quindi davvero grazie mille a tutte le persone che hanno recensito i capitoli di questa ff aiut ancora non ci credo lol
Poi grazie a eminem5soslove, 5sosfam29, Layla, jennygigioli, _imapenguin_, drewsvirtualhug, Sniix e S_V_A_G per aver recensito il capitolo precedente
Se vi interessa il mio Twitter adesso è @ashtronzz, se mi seguite ricambio c:
Detto questo, alla prossima
~Vic
 
Ps: avete visto il piercing di Mike? Omfg secondo me ci sta da dio aiuto. E con i capelli asdfghjkl lilla stava da dio ma non ho ben capito che è successo, perché avevo visto una foto in cui li aveva fatti blu ma poco fa Ash ha messo una foto su insta e li ha lilla sbiadito (?) quindi buh lol

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Capitolo 18
*** Lost in confusion. ***


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"Hemmings, ritirati. Non sei capace." lo presi in giro per il fatto che mi fossi accorta di quello che aveva combinato.
"Cosa?" rispose facendo finta di non aver capito.
Risi quasi sbuffando, poi "Hai scritto ad Ash di andarsene insieme a tutti gli altri."
"Coma fai a saperlo?" chiese allarmato.
Scossi la testa ridendo.
"Ti odio Walker." disse poi portandomi un braccio intorno alle spalle, mentre rideva.
"Ti va di fare un giro?" mi chiese.
Annuii e ci alzammo dalla panca di legno. Io e il biondo facemmo qualche passo uno accanto all'altra, poi sentii il dorso della sua mano sfiorare appena il mio. Sentivo la sua pelle, era liscia, fredda, come se fosse morto. La sua mano si avvicinò di più alla mia, e io la presi, quasi stringendola, come se volessi che mai se ne andasse e, forse, era proprio di questo che avevo bisogno: della sua presenza.
Camminavamo senza una meta precisa credo, camminavamo e basta. I flebili raggi di luce che illuminavano appena il cielo non riuscivano a filtrare anche tra i rami degli alberi ed eravamo circondati da solo buio. Le figure slanciate e imponenti degli alberi ci circondavano, erano sparpagliati un po' ovunque. Si sentiva il suono delle cicale e quello dei nostri passi, delle nostre scarpe che pestavano l'erba e le foglie, facendole scricchiolare. Nessuno di noi due parlava, stavamo in silenzio, tenuti insieme da due mani intrecciate.
"Vieni, mettiamoci qua." disse fermandosi in un punto dove l'erba cresceva abbondante.
Lo vidi sedersi e poi sdraiarsi, portandosi le mani dietro alla nuca. Feci lo stesso stendendomi accanto a lui.
"Appoggiati qui." disse dopo pochi secondi battendosi una mano sul petto. Mi alzai sui gomiti per poi poggiare la testa sul suo petto.
"Lo senti?" mi chiese dopo pochi minuti di silenzio.
"Cosa?"
"Il mio cuore."
Annuii, sicura che se ne accorgesse. Batteva forte, velocemente. E quel battito irregolare rimbombava forte nel suo petto, sembrava quasi gli volesse uscire fuori.
Rimanemmo in quella posizione per ancora qualche minuto, aveva spostato una mano che teneva dietro la testa e l'aveva appoggiata sulla sua pancia mentre con le dita giocherellava con un ciuffo di capelli che mi era sfuggito dallo chignon. Continuavo a tenere la testa sul suo petto, con l'orecchio appoggiato per continuare a sentire quel battito di cui stavo studiando il ritmo, la velocità.
"Perché me?" interruppe il silenzio.
"Cosa?" chiesi confusa.
"Perché hai scelto me? Potresti avere chiunque altro. Invece hai scelto me." disse dopo poco con voce seria.
"È... complicato."
"Spiegamelo. Cercherò di capire."
"Non so se sono stata io a sceglierti. Cioè, è successo."
"Ma il perché, è questo che non capisco. Non ha senso."
"Non credo che ci sia."
"Ma io per esempio so perché mi piaci."
"Allora dimmi, perché ti piaccio?"
Trascorse qualche istante di silenzio prima che ricominciò a parlare.
"Sei una delle poche persone che è riuscita ad accettarmi con tutti i miei difetti, con tutti i miei brutti modi, e che mi ha fatto sentire come se fossi... normale. Hai cercato in tutti i modi di aiutarmi, hai un cuore d'oro. Sempre con il sorriso sulle labbra, sempre così forte e a dirla tutta ti invidio anche. Io non ci riuscirei a rialzarmi, non come fai tu."
Quell'ultima frase mi fece ridere piano.
"Perché ridi?"
"Per l'ultima cosa che hai detto. Io sono forte solo per te, perché so che se crollassi non riuscirei più ad aiutarti, e non posso permetterlo."
Passò altro tempo prima che Luke parlasse di nuovo.
"Mi sento come una scatola, una di quelle vecchie, per metterci i ricordi e gli oggetti che non si usano più."
Non capivo cosa intendesse, quindi aspettai che continuasse a parlare.
"Dentro di me sono rimasti solo i vecchi ricordi, quelli di quando ero piccolo. Ora ho smesso di vivere, sono come... spento. Sono vuoto di emozioni, di esperienze. Ho semplicemente smesso di vivere. Non sono più nessuno, non ho più dei gusti, delle passioni, un carattere. Sono un muro. Sono semplicemente un muro. La gente quando passa davanti a un muro non ci fa caso, non pensa “Hey, guarda, qui c'è un muro” perché è banale, non ha nulla di interessante, e sta lì solo perché ci deve stare. E anche io sto qua perché ci devo stare, perché ormai esisto, e non posso farci nulla. Tutto questo non ha senso. Se sono completamente inutile, perché esisto? Non sarebbe più facile se non ci fossi? Scomparirebbero anche tutti i problemi che porto, tutte le responsabilità che si sono presi i miei amici."
"Non è vero, io non la penso così."
"Dovresti invece."
Seguì un minuto di silenzio, poi con voce calma e piatta riprese a parlare.
"I muri possono vedere, sentire e parlare. E vedono e sentono. Però non parlano, perché nessuno li ascolterebbe. Si limitano ad essere presenti, a studiare le persone nei minimi dettagli, a scoprirne i segreti, i pregi, i difetti, ma non fanno domande. Non hanno neanche motivo di rispondere, visto che nessuno gli rivolge la parola. Si limitano a esistere, perché devono, e basta. Però gli piace curiosare su tutte le persone che gli passano davanti, ne osservano i gesti, i comportamenti, il modo di camminare, di snobbarli. Gli piace anche ascoltare pezzi di conversazioni, intrufolarsi per pochi istanti nel discorso di due persone colte, o di due adolescenti, o di due vecchiette che fanno la loro passeggiata mattutina. In quel modo i muri possono tenersi un minimo aggiornati -per quanto possibile- su quello che succede, su qualche novità, e magari anche su qualche pettegolezzo. Ma non si intromettono, perché la gente non farebbe comunque caso a loro. Alla gente non piace parlare con i muri, preferiscono tenerli là e sapere che esistono."
"Sai, invece a me piace parlare con i muri. Sono interessanti. Me ne piace uno in particolare. È ricoperto di murales, che lo nascondono completamente, che nascondo tutte le sue crepe. Ognuno di quel murales ha un significato, una storia, e una crepa causata da una sofferenza e io parlandoci e passando del tempo con quel muro, seduta accanto a lui, sto cercando di ripararlo, perché è troppo bello per lasciarlo cadere a pezzi."
E finita quella frase mi fece girare, alzai la testa per guardarlo negli occhi, e le nostre labbra si unirono, delicatamente, sfiorandosi appena, fino a quando non mi sussurrò un "Grazie." dolcemente.
Rimanemmo in quella posizione, lui sdraiato e io accoccolata sul suo petto per un po', dimenticandoci completamente degli altri, perché in momenti come questo, noi eravamo nel nostro mondo, quello con delle porte chiuse a chiave, quello impenetrabile e indistruggibile.

Erano passate esattamente due settimane e tre giorni da quando Luke mi aveva chiesto di provarci, di provare a creare qualcosa di più concreto, qualcosa di solido che andasse oltre l'amicizia e gli avevo dato un sì come risposta, senza pensarci a lungo. Volevo con tutta me stessa che andasse come sperato, che continuassimo a essere Luke e Lola, quei due pazzi scatenati dalle idee folli. Speravo anche che il nostro rapporto non cambiasse molto, non volevo che che diventassimo quelle coppiette sdolcinate che stanno sempre a sbaciucchiarsi, sempre, ovunque, in qualsiasi situazione. Volevo solo che rimanessimo noi stessi, e fortunatamente era quello che stava succedendo. Io ero sempre Lola Walker, la ragazza che se ne stava sulle sue, che non si faceva influenzare dal resto del mondo egoista e superficiale. Ed ero sempre la ragazza che cercava di aiutare Luke Hemmings con tutti i problemi che si ritrovava. E anche Luke era sempre sé stesso. Con me continuava a essere dolce, ma non in modo esagerato -sapeva che non mi sarebbe piaciuto- e continuava a ringraziarmi per qualsiasi cosa, anche per la più piccola. Ma continuava anche lui ad avere le sue giornate no. Solo pochi giorni prima, in corridoio, aveva perso il controllo con un ragazzino del secondo anno che aveva fatto l'errore di provocarlo, anche se, a dirla tutta, se l'era proprio andata a cercare. Stavamo in corridoio, volevamo andare ne piccolo bar della scuola dove in genere non vendono mai niente di che, solo qualche bibita troppo calda per essere bevuta e sacchetti di patatine un po' afflosciate. Insomma, stavamo passando in uno dei corridoi, più di preciso quello dell'aula di storia, quando abbiamo notato un gruppetto di ragazzini che farfugliavano parole che da dove eravamo noi era impossibile capire, e ci indicavano. A me, non turbò più di tanto, ma evidentemente a Luke diede parecchio sui nervi. Fatto sta che in un secondo si allontanò da me e prese a camminare verso quei cinque o sei ragazzi del secondo anno, e quelli all'improvviso si ammutolirono, sgranando gli occhi. In quel momento sentii un brivido percorrermi la schiena, sapevo già cosa sarebbe successo, ormai avevo imparato quasi tutti i comportamenti di Luke.
"Sapete che è maleducazione indicare con il dito?" la sua voce arrivò fino a me, fredda, impassibile e anche piena di sfacciataggine.
"Poco male." gli rispose a tono uno. Abbastanza alto e magrolino, i capelli castani che gli ricadevano davanti agli occhi scuri e la voce, che nonostante lo sforzo che faceva per nasconderlo, decisamente piena di paura.
"Fai il coraggioso? Dimmi di cosa stavate parlando, allora." un ghigno si formò sulle labbra di Luke. Io restavo vicino alla parete del corridoio, impassibile, ad osservare la scena. Non provavo pena per quei ragazzi. Insomma, in fin dei conti potevano anche risparmiarselo. Con questo non intendo dire che Luke stesse facendo la cosa giusta, solo che aveva ragione.
"Non sono cazzi tuoi, Hemmings."
"Qualsiasi cosa riguardi me e la ma ragazza sono cazzi miei." precisò il biondo, alzando il tono di voce e avvicinandosi pericolosamente al ragazzo che lo stava provocando.
Quello rispose con un'alzata di spalle, ma stava per girarsi quando fu spinto contro la parete da Luke. Lo afferrò per il colletto della maglia rossa che indossava, e un'espressione di terrore si dipinse sul volto del ragazzo. Il braccio del biondo si alzò e con un movimento agile e veloce lanciò un pugno dritto sul viso del ragazzo che si spostò al colpo. Un secondo brivido mi percorse la schiena.
"Non fai più il coraggioso, eh?" e un altro pugno lo colpì sullo zigomo.
"Luke, basta!" mi avvicinai a lui, nel panico. Gli posai una mano sulla spalla, e si girò a guardarmi. Occhi ghiacciati. Non quelli dolci della persona che mi sussurrava cose carine. Altro brivido.
"Luke non ne vale la pena. Lascia stare, dai."
Una marea di gente si era accalcata intorno a noi, lasciando però qualche metro di distanza.
"Sta volta non può passarla liscia." sussurrava uno. "Fossi in lui comincerei a correre, arriva la bidella." un altro. Altri con gli occhi sgranati, altri ancora che bisbigliavano tra di loro.
"Cosa sta succedendo?" tuonò la voce della bidella e tutti si ammutolirono. Il ragazzo del secondo anno, ancora attaccato al muro, girò lo sguardo verso la donna che si avvicinava a passo rapido verso di noi.
"Di nuovo tu, Hemmings?"
Ormai era stato beccato talmente tante volte che chiunque lavorasse nella scuola, dal preside ai bidelli, lo conosceva.
"Su, tutti in classe!" aveva gridato subito dopo. "Tu in infermeria e tu" indicando Luke, "in presidenza."
In qualche modo sarei riuscita a placare Luke, me lo giurai per l'ennesima volta. E adesso stavo camminando a passi lunghi e veloci attraverso uno dei corridoi della scuola. Secondo piano, pareti che da metà in giù erano tinte di un giallino pallido che cominciava a scrostarsi dal muro. Pavimenti impolverati. Ma in che razza di scuola ero stata rinchiusa?
Girai l'angolo per andare verso la classe dove Luke aveva passato l'ultima ora in punizione, come gli altri due giorni precedenti. Mettevo un piede davanti all'altro, vogliosa di un suo abbraccio, dopo la giornata di merda che avevo trascorso.
A quell'ora i corridoi erano deserti. L'unico suono che rimbombava tra quelle vecchie pareti proveniva dalle mie Vans, che battevano frettolosamente sul pavimento freddo.
Svoltato l'angolo, un Michael dal volto cupo e tempestoso avanzava nella mia direzione con passo affrettato.
"Trovatene un'altra." gli sentii dire a qualcuno alle sue spalle, non ero riuscita a vedere chi. Poi, più lontano da lui, intravidi un ragazzo, che allo stesso modo si avvicinava a passo veloce. Fu a quel punto che non ci capii più nulla. Il ragazzo a una decina di metri di distanza da Mike, faccia incazzata, occhi azzurri, capelli biondi, vestiti completamente neri, quindi decisamente Luke, si avvicinava sempre di più, senza fermarsi. Un carro armato, mi venne in mente questo paragone. Spostai di nuovo lo sguardo su Michael che evidentemente veniva verso di me, non aveva affatto intenzione di cambiare direzione. Questione di un secondo: appena fu abbastanza vicino mi afferrò le spalle, mi spinse contro il muro a dieci centimetri dietro di me, fece aderire il suo petto con il mio. Un alito sfuggitogli dalle labbra mi sfiorò appena il collo, subito prima di afferrarmi i polsi per stringermeli contro la parete dietro di me. Non feci neanche in tempo a rendermi conto del suo gesto quando le sue labbra sfiorarono le mie. Avevo il fiato grosso. Sgranai gli occhi. Alle sue spalle vidi Luke immobilizzarsi. Non riuscivo a muovere neanche un dito. Non riuscivo a spiegarmi assolutamente nulla di quello che stava accadendo.




NOTE DELL'AUTRICE :)
Salve bella gente c: come vanno le vacanze? Visto che siamo in tema, sorratemi se sono scomparsa per più di due settimane senza avvertire e poi spuntare dal nulla con questo capitolo indecente, ma pensavo che nonostante fossi andata alla casa al mare avrei avuto tempo per scrivere e mettere i capitoli, e invece no, quindi scusatemi :c
Beh per il resto spero che vi sia piaciuto e che l'inizio non sia stato noioso o sotto le vostre aspettative, ma mi piaceva l'idea di mettere tutto quello che pensava Luke di sé stesso e della sua vita. Invece per la fine c'è stato un piccolo "incidente di percorso" ahahaha ve lo aspettavate questo gesto improvviso di Michael? Lol
Grazie mille per le recensioni al capitolo precedente c:
Un'ultima cosa ahah se mi lasciate una recensione, anche piccina piccina, vi mando un virtual hug lol perché ultimamente stanno diminuendo, quindi, tu che stai leggendo, lascia una micro-recensione, che tanto non ti costa nulla ahah
Sto facendo delle note più lunghe del capitolo ma vabbs rido
Alla prossima bellezze💞
~Vic

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