La Principessa e la Draghessa (Ovvero: Il Principe e il Povero versione HP) di Alexia96 (/viewuser.php?uid=148596)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rose Weasley e Emily Dragan ***
Capitolo 2: *** Perché non... ***
Capitolo 3: *** Scambio di casa ***
Capitolo 4: *** Vari tipi di voci ***
Capitolo 5: *** 5. Verità a galla ***
Capitolo 6: *** Il talento di Lily ***
Capitolo 1 *** Rose Weasley e Emily Dragan ***
La
Principessa
e la Draghessa
(Ovvero:
Il
Principe e il Povero versione HP)
1.
Rose Weasley e Emily Dragan
La
piccola Rose aveva innanzi a sé l’enorme ingresso
del Ministero della Magia:
gli ascensori dorati; la fontana interamente in marmo bianco; le decine
di
persone che correvano senza mai scontrarsi, come gli ingranaggi di un
orologio
ben calibrato, senza la minima imperfezione. Tutti questi elementi
rendevano
quel luogo incredibilmente affascinante, e ogni volta che sua madre
parlava del
suo lavoro, Rose non ascoltava più di due parole,
perché immancabilmente
s’immergeva nei ricordi di quel posto magico, che sognava di
poter visitare
ogni giorno.
All’improvviso,
davanti ai suoi occhi si parò un grosso oggetto, alto e
incredibilmente rosso: suo padre.
“Non
siamo qui in gita” disse molto serio.
“Perciò non fermarti ogni due secondi,
intesi?”
Rose
annuì. Prese la mano di suo padre e si lasciò
portare verso uno degli
ascensori.
“Buongiorno
signor Weasley” salutò cordialmente una guardia
vicino agli ascensori. “E
buongiorno anche a lei signorina”
“Per
lei non è un buon giorno, la sto portando da sua
madre” disse Ron sempre con la
stessa espressione seria. La guardia abbassò lo sguardo
verso la bambina, e la
guardò con una faccia fintamente spaventata.
“Non
vorrei essere nei tuoi panni, piccola”.
La
bambina capì che la guardia stava scherzando, ma non
riusciva a sorridere. Lei
e suo padre entrarono in un ascensore vuoto, e una volta chiuse le
sbarre
dorate gli tirò il braccio, per ottenere la sua attenzione.
“Cosa
c’è?” sospirò Ron.
“Scusami”
pigolò Rose.
Ron
sospirò ancora. Sua figlia aveva il viso chino, ed era
intenta a fissarsi le scarpette
rosse che stamattina le aveva premurosamente allacciato. Non che lei
non
sapesse farlo, ma gli piaceva aiutare Rose a vestirsi, e lo avrebbe
fatto fin
quando non sarebbe stata abbastanza grande da vergognarsi a cambiarsi
di fronte
a lui. E questo sperava accadesse il più tardi possibile.
“Non
pensi di essere abbastanza grande e intelligente da sapere che in
questi casi
non ha senso chiedere scusa?”
“Lo
so” rispose lei a voce bassa.
Ron
sapeva che la bambina voleva dire altro, ma aspettò
pazientemente che fosse lei
a parlare. E dovette aspettare solo pochi secondi.
“Però
non è colpa mia se Matt mi ha buttato a terra!”
“Non
è un buon motivo per fargli mangiare le merendine di zio
George, non credi?”
disse saccente Ron. Si era preparato la risposta, ma non avrebbe mai
immaginato
che Rose avrebbe contrattaccato.
“Mamma
dice che non devo avere i vostri prodotti, ma tu me li regali
sempre” disse con
ancor più saccenteria Rose. “Perciò
è colpa tua”
Le
porte si aprirono su un corridoio pieno di maghi e streghe indaffarate,
che non
notarono la faccia scioccata del noto Ronald Weasley e il sorrisino
furbo della
bambina riccioluta accanto a lui. Ron la sollevò per le
ascelle e, sebbene non
fosse proprio piccola, la portò senza problemi fino alla
fine del corridoio,
vicino a una porta che segnava il nome di Hermione Weasley.
“Tu
non puoi veramente credere che la mamma darà ragione a
te” esclamò Ron a Rose,
ancora in braccio al padre.
“Mi
metterà in punizione, ma poi si arrabbierà anche
con te”. Un piccolo ghigno
spuntò nel volto della bambina. “Mamma ti
farà dormire sul divano”
Rose
aveva ragione, e Ron lo sapeva bene. Avrebbe tolto giochi e libri alla
figlia
per una settimana, ma lui si sarebbe ritrovato a dormire in quella
lastra di
pietra che quei venditori Babbani avevano osato chiamare divano.
“Hai
vinto, non dirò alla mamma cosa hai fatto” disse
Ron sconfitto.
La
bambina fece un sorriso dolcissimo e abbracciò forte il
padre, che però non
rispose con lo stesso entusiasmo. Rose si staccò da Ron
preoccupata: spesso
combinava dei guai, ma lui la perdonava sempre. Una volta aveva persino
fatto
volare via Leotordo per lo spavento (con un piccolo aiuto di
Grattastinchi e un
grosso secchio pieno d’acqua), ed era tornato solo dopo
parecchi giorni. Per
quell’occasione non era potuta andare dai nonni e dai cugini
per un mese, e si era
beccata una delle sfuriate più violente di Ronald Weasley.
Il giorno dopo,
però, era tornato il solito papà caloroso di
sempre.
Adesso
invece non la stava sgridando, e non dava segni di voler mostrare
affetto alla
figlia. Rose incominciò a pensare che forse
aveva esagerato un po’.
“Papino”
disse con voce flebile. “Sei tanto arrabbiato con
me?”
“Sì”
rispose leggermente alterato “Tu conosci le regole dei maghi
meglio di molti
adulti, sai che non bisogna esporsi di fronte ai Babbani
però continui a fare
magie di proposito!”
“Di
solito sorvolo sui guai che provochi, ma è la quarta volta
che ho dovuto far
cancellare la memoria ai tuoi compagni e alla maestra,
quest’anno. Sai quanto è
frustrante avere una figlia così intelligente che
però si comporta in modo così
infantile? Le tue azioni si riflettono su di me e su tua madre,
facendoci
sembrare dei pessimi genitori”.
Rose
si sorprese di avere gli occhi lucidi. Per essere una bambina di sette
anni le
capitava molto raramente di piangere. Ma la nota di delusione che
captò nella
voce del padre riuscì a riempirle gli occhi di lacrime.
Anche
Ron vide che sua figlia stava per piangere. Voleva farle capire di aver
sbagliato, ma aveva esagerato. Gli capitava spesso: i concetti che Rose
riusciva a esprimere gli facevano dimenticare di avere una bambina
davanti a
sé, non un adulto. La fece scendere dalle sue braccia, per
ricordarsi quanto
piccola fosse, e poi si abbassò lui per starle vicino.
“Io
ti voglio un mondo di bene” accompagnò la frase
con un dolce bacio sulla fronte.
“Sei la mia principessa, lo sai, ma devi cercare di
comportarti in modo più
regale e posato”.
Rose
si rasserenò a quelle parole, e rise.
“Ho
capito papà, devo controllarmi” disse Rose.
“Ma non è facile, sento la magia
che mi scorre dentro come un fiume!”
“E
questo mi fa molto piacere” disse Ron. “Ma anche i
fiumi devono essere
controllati, altrimenti rischiano di danneggiare le cose intorno a
loro”.
Rose
annuì, per far intendere che aveva capito il concetto.
Sapeva che era sbagliato
fare magie, e che metteva nei guai i suoi genitori più che
se stessa, ma era
più forte di lei: le piaceva la sensazione di forza che si
ritrovava in corpo
quando sprigionava la magia. Quando lo faceva, non era più
la bambina petulante
che risponde a ogni domanda della maestra; quando usava la magia, era
un
tornado in miniatura, capace di spaventare tutti quelli che la
prendevano in
giro. Non era giusto perché loro non potevano difendersi
alla stessa maniera,
le diceva sempre sua madre, e lei anche lo sapeva. Ma una parte di
sé (che i
suoi parenti chiamavano ‘Ronesca’) la faceva agire
d’istinto, senza ragionare,
causando così l’ennesimo guaio.
“Ora
entriamo da tua madre e le diciamo qualcosa per spiegarle
perché sei qui”
esclamò Ron.
“Forse
è meglio che mi porti con te in negozio, così non
dovremmo mentire alla mamma”
disse Rose con non curanza.
“Certo,
e magari nel frattempo ti faccio testare ogni prodotto Tiri Vispi
Weasley”
disse sarcasticamente Ron.
“Davvero?”
“Ovviamente
no, non voglio che i clienti scappino”.
“Perché
dovrebbero scappare?”. L’ultima frase non la
pronunciò Rose, e nemmeno Ron.
Hermione
era poco distante dai due, con molti fascicoli in mano e una faccia
perplessa.
“Hermione,
che bello rivederti” disse Ron cercando di distrarla.
“Ci
siamo salutati a casa nostra neanche due ore fa” disse
Hermione alzando un
sopracciglio. Brutto segno.
“Non
posso essere felice di vedere mia moglie?” esclamò
Ron contrariato.
“Perché
Rose è qui e non a scuola?” disse Hermione
ignorando il marito. Ron stava
velocemente elaborando una scusa, ma fu preceduto da Rose.
“A
scuola un ragazzino aveva i pidocchi, perciò ci hanno fatto
uscire prima. Papà
mi ha già controllato, non ho nulla, ma preferisce non
portarmi in negozio, per
sicurezza”. La risposta di Rose era stata esposta
così bene che Ron si chiese
se sua figlia gli avesse mai detto la verità, nei suoi sette
anni di vita.
“E
ho preferito portarla qua perché non mi andava di disturbare
i nostri genitori”
aggiunse Ron. “In fondo per te non è un problema,
no? Dici sempre che vuoi
passare più tempo con i ragazzi”.
“Sì,
ma non a lavoro” disse Hermione a bassa voce, rivolta solo a
Ron. “Non voglio
che sappia cosa sta succedendo in Romania”.
“Basterà
non dirle tutto, ma solo il minimo per non spaventarla”
bisbigliò Ron.
Hermione
annuì.
“D’accordo,
la controllo io” disse Hermione.
Ron
sorrise e baciò Hermione, un po’ per
ringraziamento, un po’ come premio personale.
Non è per niente facile imbrogliare sua moglie.
“Io
ora vado, ci vediamo più tardi”
Si
allontanò salutando le due da lontano, e Rose gli fece
l’occhiolino. Quella
bambina era impossibile da controllare!
Ma
non poteva fare a meno di amarla
anche per questo.
***
La
giornata era passata piacevolmente sia per Rose che per Hermione.
Entrambe si
adoravano a vicenda, e si divertivano anche solo parlando di quel che
facevano
a lavoro, o a scuola, nel caso di Rose. In generale non mentivano
l’una
all’altra, ma Rose sapeva che sua madre non poteva parlarle
di tutti i suoi
lavori, e Hermione sapeva che Rose combinava più guai di
quelli che le
raccontava; però non se la prendevano, e andavano avanti
come se non ci fosse
nulla da nascondere. Almeno fino alle quattro e dieci di quel
pomeriggio. In
quel preciso istante, dal camino dell’ufficio di Hermione
fuoriuscirono delle
scintille verdi, e si alzò la voce di un uomo.
“Weasley,
è in ufficio?” gracchiò
l’uomo. “Può rispondere?”
Hermione
si abbassò verso il camino e gli rispose. “La sto
ascoltando Crown”
“Una
famiglia rumena sta per arrivare nel suo ufficio, sai cosa fare,
vero?”
Hermione
annuì, e il volto scomparì così
com’era apparso. Lei si voltò verso la bambina,
che stava guardando fuori dalla finestra magica.
“Mi
dispiace Rose, ma per un po’ dovrai stare fuori dal mio
ufficio” disse Hermione
dispiaciuta.
Anche
Rose cercò di sembrare dispiaciuta per quella notizia, ma in
realtà stava
facendo i salti di gioia dentro di sé: aveva una scusa per
allontanarsi da sua
madre e curiosare in giro per il Ministero.
“So
cosa stai pensando, ma non puoi gironzolare per il Ministero”
disse Hermione a
Rose, distruggendole i piani che stava già formulando nella
sua piccola testa. “Dovrai
rimanere qui vicino, altrimenti non potrai leggere per una
settimana”.
“Ma
ho appena incominciato a leggere un nuovo libro di Mark
Twain…”.
“Motivo
in più per non disubbidirmi” sentenziò
Hermione.
“Che
cosa sta succedendo in Romania?”
Hermione non si
aspettava quella domanda. Era
riuscita a nasconderle tutte le pratiche che riguardavano il caso, come
aveva
fatto a capire che c’erano dei problemi?
“Perché
mi fai questa domanda?” disse cautamente Hermione. Forse Rose
aveva solo
intuito qualcosa, ed era meglio capire subito fin dove il suo intuito
l’aveva
portata.
“Tu
e papà avete bisbigliato a voce troppo alta” disse
tranquillamente lei. “Lo
fate spesso, pensate che io e Hugo non vi sentiamo, invece ascoltiamo
ogni
parola”. Si gustò la faccia imbarazzata della
madre per un po’, poi fece la
domanda che stava trattenendo da tutta la giornata.
“Zio
Charlie sta bene?”
“Sì,
sta bene” sospirò Hermione.
“Allora
perché dici che mi spaventerebbe sapere che succede in
Romania?” domandò Rose
dubbiosa.
“Ho
esagerato” disse Hermione ridendo. “Pensavo che
l’avresti trovato spaventoso
perché là ai bambini non è permesso
uscire, e non possono mangiare la
cioccolata”.
Rose
assunse una faccia così scioccata che Hermione non
poté evitare di scoppiare a
ridere.
“Ma
allora è il posto più brutto del
mondo!” esclamò inorridita Rose. “Come
fa lo
zio Charlie a viverci?”
“Dove
abita lui è come se non facesse parte della Romania,
né di qualsiasi altro
stato” spiegò Hermione. “È un
luogo libero”
“Che
bello” disse incantata Rose. “Quanto mi piacerebbe
andarci”
E
non era la prima volta che lo pensava. Quando immaginava il suo futuro,
vedeva
il Ministero o lo zio Charlie in groppa a un drago, e cercava mille
modi per
combaciare i due sogni; diventava Ministro e rendeva i draghi nuovi
mezzi di
trasporto, al posto delle scope; oppure spostava il rifugio dei draghi
in
Inghilterra, così da poter essere un impiegata ministeriale
di giorno e una
domatrice di draghi la notte.
“Se
il sogno ad occhi aperti è finito” la
canzonò Hermione “Ora dovresti uscire”.
Rose
sbuffò irritata, eseguendo quello che le venne ordinato. Non
ascoltò le istruzioni
di sua madre, ma la vide indicare una sala d’attesa dove di
solito vedeva gente
strana che aspettava di essere chiamata da un ufficio.
Incominciò a camminare
mentre sentiva che la madre chiudeva la porta del suo ufficio.
Hermione
poggiò la fronte contro la porta, frustrata. Non aveva
mentito alla figlia,
Charlie non correva nessun pericolo, dove si trovava ora. Una parte di
sé,
però, continuava a ripeterle che era stato stupido ridurre a
del cioccolato
mancato i disagi delle famiglie rumene in quel periodo. Si chiese
perché non le
aveva spiegato le reali condizioni della Romania. Non voleva
spaventarla? No,
Rose non si sarebbe spaventata di una cosa così lontana da
casa, soprattutto
dopo aver saputo che lo zio era al sicuro. La verità era
che, per quanto
volesse rendere i figli indipendenti, per quanto li spingesse a cercare
le
risposte a tutte le loro domande, non voleva che vedessero quanto il
mondo potesse
essere orribile e crudele. E sapeva troppo bene che una guerra era la
perfetta
sintesi di quello che voleva nascondere ai suoi figli.
***
Rose
era seduta in una poltroncina della sala d’attesa da circa
cinque minuti, ma
già non ne poteva più di stare ferma. Non
c’era nessuno con cui chiacchierare,
né qualcosa da leggere; gli unici oggetti presenti nella
stanza erano noiosamente ordinari
per trovarsi al
Ministero della Magia. C’erano cinque poltroncine di pelle e
un tavolo coperto
da una pesante e vecchia tovaglia verde, e sopra al tavolo una caraffa
di caffè
riempiva una tazza di ceramica ogni volta che qualcuno si avvicinava al
tavolo.
La
poltroncina dove Rose si era seduta era accanto alla porta
d’ingresso, messa in
modo tale che nessuno che aprisse la porta potesse vederla
dall’uscio. Infatti,
i due ragazzi che spalancarono la porta del salottino non videro Rose,
e non si
preoccuparono di controllare meglio.
“Sei
sicuro che non ci disturberà nessuno qui?”
“Tranquilla
Jessica, non viene mai nessuno in questo vecchio salottino”.
E
iniziarono a intrecciarsi le lingue in bocca, appoggiati alla porta
spalancata
che non faceva vedere loro Rose, ma che non copriva i suoni da loro
emessi.
L’ultima
volta che Rose si era ritrovata in una situazione del genere (era
successo più
di una volta), l’avevano sgridata pesantemente,
perché pensavano che lei li
stesse spiando di proposito. Quella volta non le aveva dato fastidio
essere
sgridato senza colpe, perché la faccia di suo zio Percy
mentre urlava, metà
arrabbiato e metà imbarazzato, l’aveva fatta
morire dal ridere; ma stavolta
sarebbe stata sua madre a rimproverarla, e non c’era niente
di divertente in
questo.
Scrutò
velocemente la stanza, e pochi attimi prima che la porta si chiudesse
Rose si
era già fiondata sotto il tavolo. La tovaglia non filtrava
neanche il più
piccolo raggio luminoso, così che lei non potesse
né vedere né essere vista.
Almeno, non dai ragazzi che gemevano poco lontani da lei.
“Wow!”
Rose
si voltò verso la fonte di quell’esclamazione, e
si ritrovò davanti a sé: con
altri vestiti, certo, e sperava di non fare quella faccia ogni volta
che
guardava qualcosa di straordinario, ma era proprio lei.
“E
tu chi sei?” disse meravigliata la bambina uguale a Rose.
“Chi
sei tu, piuttosto!” esclamò Rose quasi offesa. Si
riteneva unica, non le
piaceva proprio vedere un’altra lei.
“Mi
chiamo Emily Dragan” disse sorridente. “Qual
è il tuo nome?” ripeté poi.
“Rose
Weasley” disse cauta. “Come fai a essere uguale a
me?”
Il
sorriso andò via da Emily.
“Sei
tu che sei uguale a me!” esclamò indignata.
“Non
fare quella faccia, devi essere contenta di essere uguale a
me!”.
“Non
ho voglia di essere uguale a una bimba presuntuosa come te”.
Puntellò Rose con
l’indice, e ricevette una spinta tale da ritrovarsi a terra.
Con i capelli
sparsi sul pavimento e la spallina del vestito di Emily spostato, Rose
notò
qualcosa.
“Cos’è
quello?” disse Rose indicando una macchiolina sulla pelle.
“Mamma
dice che è una voglia” spiegò Emily
“Secondo mio papà assomiglia alla fiamma di
un drago, mi chiama ‘Piccola Draghessa’, anche se
mamma di che quella parola
non esiste. Tu non ce l’hai?”
“No,
non ho voglie” rispose Rose, allargando il colletto della
T-shirt per mostrare
la spalla sinistra.
“Oh,
ma allora non sei uguale a me” disse Emily sorridendo. Ora
che la sua unicità
era stata salvata, anche Rose sorrideva, curiosa di conoscere di
più la bambina
davanti a lei.
Note
personali (definirmi autrice è esagerato)
Se conoscete il romanzo citato
nel titolo, sapete già che cosa accadrà alle due
bambine. Ma che conseguenze ci saranno? Verranno scoperte? E per quale
motivo Emily era sotto il tavolo?!
Queste e altre domande avranno
risposta nei prossimi capitoli, perciò restate in ascolto!
Un grosso abbraccio,
Alexia96
|
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Capitolo 2 *** Perché non... ***
2
. Perché non…
Da
sotto un tavolo è difficile percepire cosa succede in una
stanza intera. Per
questo motivo Rose ed Emily continuarono a parlare tra di loro, anche
dopo che
qualcosa fu appoggiato sul tavolo, facendolo ondeggiare ritmicamente e
producendo
dei rumori insoliti.
“Scusa
se ti ho spinto” disse Rose porgendo la manina a Emily
“A volte non controllo
la mia magia”.
“Tranquilla,
non mi sono fatta niente!” disse Emily sorridendo. Si sedette
sulle ginocchia e
si sistemò la spallina del vestitino.
“Perché
eri nascosta qua sotto?” chiese Rose.
“Non
ero nascosta, mi stavo annoiando e mi sono messa a esplorare questa
stanza”
spiegò Emily. “Quando mi sono infilata qua, ho
sentito qualcuno che entrava, e
mi sono vergognata a uscire”. Dopo il suo racconto sorrideva
ancora, ma le sue
guance si erano colorate di rosso.
“Io
invece mi sono nascosta perché sono entrati due ragazzi che
si baciavano, e non
mi andava che mi vedessero”.
Si
sentì un forte colpo, e diverse urla. Rose distinse
chiaramente le parole
‘Mancanza di pudore!’ e ‘Licenziati in
tronco!’, poi cadde un silenzio strano,
imbarazzante. Dei passi e un nuovo colpo le fecero intuire che erano
sole nella
stanza.
“Forse
possiamo uscire” disse Rose “Credo che se ne siano
andati”. Lei ed Emily alzarono
la tovaglia di qualche centimetro, e videro che non c’era
nessuno. Uscirono dal
loro nascondiglio gattonando, e si alzarono. Rose si lisciò
il vestito, levando
un po’ di polvere che la fece starnutire.
“Să
vă binecuvânteze”
disse Emily.
“Che
cosa
hai detto?” domandò Rose stranita. Emily non
capì lo
stupore della bambina, poi sembrò rendersi conto di qualcosa.
“Scusa,
volevo dire salute” esclamò Emily “A
volte mi scappa qualche parola in rumeno”.
Il
volto di Rose s’illuminò.
“Tu
parli il rumeno?” domandò eccitata.
“Certo,
vengo dalla Romania” disse tranquillamente Emily.
Era
la prima volta che Rose incontrava una persona straniera, e che
riusciva a
parlarci. Una volta aveva incontrato un omone con una grossa barba
grigia che
doveva parlare con suo zio Harry, ma non faceva altro che gesticolare e
gridare
delle parole incomprensibili in uno strano e sconosciuto dialetto
russo. Zio
Harry cercava di farsi capire con qualche parola russa, e nel frattempo
chiedeva a chiunque passasse di trovare qualcuno che lo parlasse
veramente.
Probabilmente mescolò un po’ le due lingue,
perché a un certo punto i membri
del ministero non riuscirono a comprenderlo, e l’uomo russo
si arrabbiò tanto
da lanciargli un incantesimo che gli graffiò la faccia.
Questa bambina invece aveva
un’ottima pronuncia, migliore di quella di suo fratello Hugo.
“Romania?”
domandò eccitata Rose “E hai mai visto un
drago?”
“Sicuro!”
disse Emily “Mio papà conosce un uomo…
Forse lo conosci anche tu, si chiama
Charlie Weasley, è tuo parente?”
“Sì,
è mio zio!” esclamò felicissima Rose.
Per quanto adorasse suo zio Charlie, lo
aveva visto poche volte. L'ultima volta era venuto a trovarli per
Natale, due
anni fa.
“Mi
aveva detto che assomigliavo a sua nipote, ma chi pensava che eravamo
praticamente gemelle?”
“Già”
disse Rose “Chissà che faccia farà
quando lo scoprirà. Tu quando torni in
Romania?”
“Spero
mai” disse Emily, perdendo il cipiglio allegro tenuto finora.
“Perché
no?” chiese Rose, che avrebbe dato tutti i suoi averi (e suo
cugino James) per
poter andare in Romania. Poi le ritornarono in mente le parole di sua
madre.
“Perché
non puoi uscire da casa?”
“Esatto,
è terribile!” si lamentò Emily
“Soprattutto perché papà invece esce
ogni
giorno”.
“Lui
dice che non si diverte quando esce, però non smette! In
più non posso vedere
nessuno dei miei amici. L’unica cosa bella che posso fare
anch’io è andare da
tuo zio Charlie. Là posso giocare all’aperto, e
forse, se continuo ad aiutarli,
mi faranno cavalcare un drago”.
Gli
occhi e la bocca di Rose erano spalancati al massimo.
“Oramai
però non ha importanza, tanto mi sto trasferendo
qui”.
“Qui
in Inghilterra?” disse Rose sconvolta “Ma non vuoi
cavalcare un drago?”
“Non
sono sicura che si può fare davvero, penso me
l’hanno detto per scherzo” disse
Emily “E comunque non lo voglio fare”.
Preferì
non dirle che secondo lei era una pazza, e che al suo posto avrebbe
rinunciato
volentieri anche al cibo per due minuti vicino a un drago.
“Tu
come mai sei qui al Ministero?” chiese Emily a Rose.
“La
mia mamma lavora qui” spiegò Rose
“Però doveva parlare con una famiglia rumena,
e mi ha detto di uscire”.
“Allora
forse sta parlando con i miei genitori!” disse Emily
entusiasta “Andiamo da
loro?”
Rose
fece un cenno con la testa, e scortò Emily da sua madre. Una
volta vicina alla
porta, però, non bussò. Dall’ufficio
uscivano delle urla spaventose e confuse,
e qualcuno aveva buttato a terra una delle sedie che sua madre teneva
di fronte
alla sua scrivania, per i visitatori.
“È
il mio papà” sussurrò Emily
“Sta urlando in rumeno”.
“E
che dice?” domandò a bassa voce Rose.
“La
tua mamma è qua dentro?”
“Sì”
“Allora
è meglio non dirtelo”
Rose
stava per chiedere lumi sul perché, ma non ce ne fu bisogno:
stavolta era sua
madre a urlare.
“GUARDI
CHE CAPISCO BENISSIMO IL RUMENO, E NON SONO NESSUNA DI QUESTE
COSE!” tuonò
Hermione, spaventosa e arrabbiata come mai Rose l’aveva
sentita, e come mai
sperava di doverla risentire “Vi sto solo illustrando la
decisione della
Commissione d’Aiuto per la Romania, che tra l’altro
non ha niente a che fare
con il mio ufficio. Ambasciator non porta pena, o non si Schianta il
gufo per
la Strillettera, se preferite”.
“Mia
moglie è inglese, ha diritto di tornare a Inghilterra con
sua familia”
gridò il padre di Emily. Il suo
inglese era peggiore di quello della figlia, e con un accento molto
forte.
“Le
ho già spiegato che molti inglesi sono bloccati in Romania,
mio cognato in
primis” disse Hermione con tono pacato, molto diverso da
quello di prima “Date
le circostanze, siete fortunati a dover aspettare solo un mese di
verifica per
potervi trasferire qui”.
“Un
mese che dovremo trascorrere in Romania, senza sapere se passeremo la
verifica”
disse la voce di una donna, la madre di Emily. Il suo inglese, al
contrario del
marito, era molto pulito, ma risentiva di una cadenza strana, un
miscuglio tra gallese
e altro.
“Essendo
lei del Galles la verifica è solo una
formalità” spiegò Hermione
“Sono certa
che la passerete, a meno che non portiate con voi cuccioli di
drago”.
“No,
solo Draghessa” disse ridendo il padre di Emily.
“Nostra
figlia” chiarì la madre di Emily. Rose
s’immaginò la sua di mamma, dopo la
parola draghessa. A lei non piacevano i draghi: suo papà le
aveva spiegato che
aveva avuto una brutta esperienza con un drago; Rose le aveva risposto
che si
sarebbe fatta legare alla sua coda, pur di vedere un drago.
Si
è capito che a Rose piacciono i
draghi, vero?
“Uffa,
non posso ancora venire qua in Inghilterra” sbuffò
Emily irritata.
“Be’,
tra un mese potrai venire, non è un gran problema”
disse pratica Rose “Così
magari puoi vedere ancora i draghi…”.
“Non
vedevo l’ora di venire qua, mamma dice che ci sono dei parchi
grandissimi pieni
di giochi…”.
“E
forse zio Charlie te li farà cavalcare! Sarebbe
bellissimo!”
“E
potrò giocare con tutti i bambini che incontro, senza che la
mamma mi porti
subito a casa…”.
“Non
so che dare per vivere da te!”
L’ultima
frase l’avevano pronunciata contemporaneamente, guardandosi
dritte negli occhi.
Continuarono a fissarsi per qualche secondo, poi, a entrambe, venne
un’idea.
Un’idea assurda, pazzesca, molto complicata e che certamente
le avrebbe messe
nei guai se le avessero scoperte.
Ma
non sarebbe stato questo a fermarle, non il disubbidire ai genitori.
***
L’ufficio
di Hermione Weasley era sempre, impeccabilmente in ordine. Per lei era
fondamentale
mostrare la sua capacità d’organizzazione, e
niente era efficace come un
ufficio ordinato e pulito, in qualsiasi circostanza. Suo marito Ron e
il suo
amico Harry le facevano notare che una maniacale attenzione
all’ordine era
spesso indice di pazzia, ma in generale non osavano criticare le sue
decisioni
a riguardo. Si sa che i pazzi vanno assecondati, si dicevano.
Per
questo aveva una specie di tic all’occhio, al momento. Le
sedie e il divano che
lei teneva sempre nello stesso punto ora erano completamente fuori
posto, e le
sedie erano anche ribaltate. I rotoli di pergamena che aveva
diligentemente
compilato e ordinato sopra la scrivania erano diventati dei coriandoli
sparpagliati nel pavimento. La scrivania di solito immacolata
presentava una grossa
macchia d’inchiostro nero, finito anche nel suo vestito da
lavoro verde.
“Io
chiede scusa” disse lentamente la voce di un uomo
“Io no controlla mie mani e
mia rabbia”
Il
tic di Hermione sembrò peggiorare, ma se c’era una
cosa per cui era famosa (a
parte l’aver contribuito alla fine di Voldemort) era la sua
fermezza: se non
voleva perdere il controllo, nulla poteva distoglierla dal suo intento.
“L’importante
è che avete accettato il compromesso” disse
Hermione. Trasse un profondo
respiro, prese la bacchetta e con un elaborato movimento di polso
sistemò il
suo ufficio.
“Pero un mese è
troppo tempo!” esclamò di
nuovo l’uomo. Prima che potesse fare un qualche movimento, la
moglie gli mise
una mano sul braccio.
“Boris
è preoccupato perché gli scontri nelle strade
aumentano, così come gli attacchi
dei giganti” disse lei rivolta a Hermione “Teme che
ci possano attaccare nel
cuore della notte, senza darci la possibilità di
difenderci”
“Capisco
le vostre preoccupazioni, davvero” disse Hermione
“Noi inglesi abbiamo avuto lo
stesso problema, senza che nessuno Stato ci aiutasse”.
“E
tutta la Romania è grata dell’aiuto che ci state
dando”. Mentre sua moglie
diceva questa frase, Boris sbuffò alzando gli occhi al cielo.
“Mandare
Auror che uccide rumeni è aiuto? Grazie tante!”
esclamò Boris sarcastico “Fa
parlare me, Angel” aggiunse prima che la moglie potesse
parlare.
“Auror
attacca a maghi oscuri, ma anche a rumeni, senza guardare, senza
controllo!
Miei amici morti due mesi fa, Auror inglesi li uccide”
“Questo
lo ritengo improbabile” disse ferma Hermione “Il
Capo dell’Ufficio Auror è il
mio migliore amico…”.
“Potter,
sì, lui non controlla più Auror, chieda a
incapace!” gridò Boris.
“Signor
Dragan, non le permetto di mancare di rispetto ai miei cari!”
esclamò Hermione.
Stava avendo serie difficoltà a mantenere il suo
autocontrollo.
“E
io volio che guerra finisce, ma
prima
suo amico deve controllare Auror, o niente finisce!”
Boris
e Hermione si lanciavano sguardi di sfida, per vedere chi sarebbe stato
il
primo a continuare il diverbio, pronti a scaricare la tensione che
entrambi
sopportavano da mesi.
Perché
sì, Boris aveva ragione: gli Auror mandati da Harry erano
stati soggiogati
dalla Forza Oscura che stava cercando di impadronirsi della Romania.
Non erano
stati controllati grazie alla Maledizione Imperius, semplicemente erano
passati
al fronte nemico, senza una vera spiegazione. Auror impassibili e che
aveva
combattuto per anni le Forze Oscure in questo momento stavano
devastando le
città rumene, non fermandosi davanti agli innocenti, o ai
vecchi colleghi e
amici inglesi. E per questo Harry lavorava giorno e notte, e il solo
motivo per
cui non era andato personalmente in Romania era che il Ministro
preferiva che
lui rimanesse a Londra, per controllare anche gli Auror rimasti nel
territorio
inglese; nulla escludeva che il cambio di bandiera non potesse accadere
anche
ai membri rimasti in Gran Bretagna. Harry stava affrontando un periodo
difficile, e i rappresentanti delle altre nazioni non facevano altro
che aumentare
lo stress che si trascinava dietro. E se alcuni si erano mostrati
disponibili a
collaborare per terminare in fretta la guerra, altri si allontanarono
immediatamente; in particolare il ministro russo aveva aggredito il suo
amico,
tagliando così non solo il suo volto, ma anche ogni
possibile ponte fra Regno
Unito e Russia.
E
Hermione, come poche altre volte nelle loro vite, non poteva fare nulla
per
aiutarlo. Nulla, tranne che difenderlo nella discussione con Boris.
***
“Leggi
molto, sei allergica ai mirtilli, ti piacciono i draghi, il tuo cugino
preferito è Albus, quello che detesti è James
perché ti fa sempre un sacco di
scherzi” elencò Emily accucciata sotto il tavolo
dove si erano conosciute lei e
Rose.
“Tua
mamma si chiama Herr… Hemmi…”
“Chiamala
semplicemente mamma, non penso sia un problema” disse Rose
mentre si slacciava
le scarpette. “Sei sicura che non dovrò parlare il
rumeno?”
Emily
annuì.
“Non
conosco nessuno che lo parla, anche i miei amichetti parlavano inglese,
e la
mamma vuole che papà si eserciti, quindi parlo inglese anche
con lui”.
Emily
sfilò dalla testa il suo vestitino, producendo un dolce
tintinnio. Una catenina
d’oro stava oscillando attorno al suo collo, mentre un grosso
ciondolo ovale sbatteva
contro il petto della bambina.
“Cos’è
quella?” chiese Rose indicando la collana.
“Oh,
è il ciondolo di nonna Agnes” spiegò
Emily. “Me l'ha dato la mamma, è il suo
più caro ricordo della nonna”.
“Devi
darmelo, altrimenti poi si accorgerà dello
scambio”.
“Non
posso!” esclamò Emily. “Ho promesso di
non togliere mai la collana. In più”
aggiunse, “mi ha detto che nessuno deve vedere che ho io la
collana, neanche
lei”.
“Va
bene” disse Rose “Non parlerò mai della
collana, ma tu devi ricordarti di
vestirti e lavarti da sola”.
“Per
non far vedere la voglia, lo so”.
Le
due bambine finirono di spogliarsi e, in silenzio, ognuna mise i
vestiti dell’altra.
Una volta finito, uscirono da sotto il tavolo, soddisfatte.
Rose
non si conteneva dalla gioia. Continuava a sorridere, non diversamente
da come
aveva fatto Emily quando si erano incontrate; è questo la
rendeva ancora più
euforica.
“Ok,
quindi ora dobbiamo spiare l’ufficio di tua mamma e aspettare
che i miei
genitori escono” disse Emily “Poi io entro
nell’ufficio, mentre tu vai dai
loro, esatto?”
“Giusto!”
disse Rose. “e poi tra un mese tu devi fare in modo di essere
qui al Ministero,
così da poterci scambiare di nuovo”.
Era
un piano geniale. E sebbene non fosse tutta farina del suo sacco, Rose
non
riusciva a non compiacersi della sua capacità di escogitare
nuovi modi per
disubbidire ai genitori.
“E
sei sicura che funzionerà?” domandò
Emily.
“Nel
libro che ho letto funziona, e se non dimentichi i nomi dei miei
cugini, non ci
saranno problemi”.
“La
fai facile, hai un sacco di cugini” disse corrucciata Emily.
“Un
sacco di cugini con cui puoi giocare nel giardino della Tana,
all’aria aperta”
precisò Rose. “Mentre io invece
cavalcherò un drago!”
“Te
l’ho detto, era una battuta di tuo zio…”.
“Non
importa, lo convincerò io!”.
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Capitolo 3 *** Scambio di casa ***
3.
Scambio di
casa
Angel
e Boris Dragan avevano appena chiuso la porta dell’ufficio di
Hermione, quando
una vocina li fece voltare verso il fondo del corridoio di fronte a
loro.
“Ciao
mamma, ciao papà!”.
Rose/Emily
si avvicinò ai signori Dragan, raggiante.
“Allora,
com’è andata?” chiese la bambina,
cercando di sembrare la più curiosa
possibile.
“Mi
dispiace, piccola” disse la madre, inginocchiandosi di fronte
a lei. “Purtroppo
dovremo aspettare ancora un mese prima di trasferirci qui”.
“Oh”.
Cercò di sembrare dispiaciuta della notizia, ma subito
riprese il sorriso.
“Però tra un mese ritorneremo qui in Inghilterra,
vero?”
“Sì,
picola Draghessa” disse il
padre
“Allora
va bene!” disse Rose con un sorriso a trentadue denti.
I
due genitori si sguardarono confusi.
“Insomma”
continuò Rose, notando il loro stato d’animo,
“Volevo tanto venire qua, ma se
devo aspettare solo un mese, posso farcela. Soprattutto se andiamo a
trovare Charlie
Weasley”.
Boris
sorrise raggiante, e disse qualcosa in rumeno. Rose per un attimo
andò in
paranoia, ma poi ricordò le parole di Emily.
“Papà,
tra un mese sarai inglese, non puoi parlare rumeno”.
Stavolta
toccò ad Angel ridere, mentre Boris fece una smorfia tra il
seccato e l’offeso.
Poi prese Rose da sotto le ascelle e se la mise sulle spalle.
“Stavo
dicendo che tua era ottima idea, Draghessa”
disse Boris pizzicando il naso alla piccola.
Rose
lo trovò incredibilmente fastidioso, ma dovette starsi
zitta: era una delle
cose che Emily e il padre facevano sempre.
“Allora
andiamo!” disse Rose, e pizzicò a sua volta il
naso a Boris.
Così,
Angel e Boris avanzarono verso gli ascensori, più allegri di
come la loro
situazione permettesse; senza sapere che la vera
Emily li stava guardando dal salottino in fondo a quel corridoio dove
aveva
incontrato Rose.
Si
sentiva triste a doversi separare dai suoi genitori. Per lei non erano
solo
quello, non erano solo la sua mamma e il suo papà, erano
anche, e soprattutto,
suoi amici: sebbene le dispiacesse non passare del tempo con dei suoi
coetanei,
non avrebbe mai rinunciato al tempo passato con loro. E sì,
negli ultimi due
anni sono stati i suoi unici compagni di gioco, ma a lei non
dispiaceva. Perciò
dovette ricordarsi delle parole di Rose: è
solo un mese, sarò circondata da cugini e potrò
uscire quando mi pare e piace.
Più
serena, si accorse appena in tempo che Hermione era uscita dal suo
ufficio, e
che si stava dirigendo proprio verso di lei. Emily ebbe a malapena il
tempo di
sedersi su una poltroncina, che si aprì la porta.
“Ciao
mamma!” disse Emily/Rose.
“Ciao”
disse perplessa Hermione. “Non mi aspettavo di trovarti
qui”.
“Ho
pensato che non aveva senso andare in giro per questi uffici,
perché ormai li
conosco a memoria” disse Emily, ripetendo le parole che Rose
le aveva suggerito
di dire, conoscendo la natura dubbiosa della madre, e sapendo quale
risposta si
sarebbe aspettata di sentire.
Effettivamente
Hermione non sembrò stupirsi della risposta, che Emily non
avrebbe mai avuto il
coraggio di dire. I suoi genitori potevano anche essere suoi amici, ma
li
trattava sempre con rispetto e garbo, senza replicare o rispondergli.
“Dai,
andiamo a casa” Hermione fece un cenno con la mano, ed Emily
la seguì. D’istinto
stava per stringerle la mano, ma si fermò appena in tempo:
Rose le aveva
raccontato di come lei preferiva camminare da sola, senza che qualcuno
la
tenesse. Si diressero quindi fianco a fianco, senza però
toccarsi, verso gli
ascensori dorati.
***
Casa
Weasley era, in una parola, piena:
piena
di foto alle pareti; piena di giocattoli e merendine
dall’aspetto insolito;
piena d’affetto e calore umano sprigionato da ogni singolo
angolo della casa. Eppure,
nonostante ogni corridoio fosse ricolmo di oggetti, era tutto
perfettamente in
ordine. Era come se il caos e l’ordine coesistessero nello
stesso piano, senza
combattersi a vicenda per cercare di prevalere sull’altro.
Era un perfetto
ordine caotico. Ed Emily lo trovava splendido.
“Puoi
andare a giocare un po’ in camera tua, ma tra poco si
cena” disse Hermione
mentre appendeva il suo cappotto all’ingresso. “Ti
senti bene?” aggiunse, dopo
aver notato che sua figlia si era fermata in mezzo al salotto con una
faccia
sbalordita.
“Cosa?”
esclamò Emily distratta.
“Che
cosa stai guardando?” chiese Hermione alla bambina,
avvicinandosi a lei. Emily
cercò qualcosa da dire, ma per fortuna il rumore della porta
d’ingresso che si
apriva distrasse Hermione dal suo comportamento.
“Gli
uomini di casa sono tornati!” Ron entrò nel
salotto, insieme a un bambino col
viso pieno di lentiggini e un piccolo cespuglio rosso in testa. Emily
lo
riconobbe come Hugo, il fratello di cinque anni di Rose.
“Ciao
mamma!” esclamò Hugo pimpante. “Ciao Vose”.
Emily
scoppiò a ridere per la pronuncia del bambino, ma
capì subito di aver fatto
qualcosa di tremendamente sbagliato: Hermione la guardò
arrabbiata, mentre Hugo
sembrava sul punto di piangere.
“Rose!”
gridò Hermione. “Ti abbiamo detto mille volte di
non prendere in giro Hugo per
come parla!”.
Ron
rimase impassibile: Hermione prendeva sempre molto a cuore quel piccolo
difetto
di Hugo, perché lo aveva avuto anche lei, da bambina. Lui
invece, come Rose, lo
trovava buffo, e capitava spesso che scherzassero con lui su questo. Ma
mai
Rose era scoppiata così apertamente in una risata, tanto
forte da sembrare
offensiva.
“Io
non volevo prenderlo in giro” cercò di scusarsi
Emily. “Davvero, solo…”.
E
ora che posso dire?
pensò Emily.
“Dai,
in fondo Rose non ha fatto nulla di male” cercò di
aiutarla Ron. “Sta solo
sdrammatizzando”.
Hugo,
dal canto suo, sembrava ancora offeso.
“E
poi non stavo ridendo di te, Hugo” aggiunse Emily.
“E
di chi videvi?”
domandò Hugo,
sospettoso.
“Di…
un uomo che ho visto al ministero” inventò Emily
sul momento. “Che si chiamava
Hugo… e aveva delle corna blu sulla testa”.
Hugo
scoppiò a ridere, e anche Ron sembrò credere alla
bugia. Hermione invece
continuava a guardarla con serietà.
“Allora
non è vero che non sei uscita dal salottino” disse
Hermione fissandola con più
intensità di prima, tanto da sbarrare gli occhi. Ora Emily
doveva scegliere se
mentire alla finta madre, e probabilmente essere punita, o ammettere
che l’erre
moscia di Hugo era terribilmente buffa per lei.
“E
va bene” disse Emily. “Lo ammetto: sono andata in
giro per gli uffici”.
Hermione
sbuffò esasperata, ma era molto più pacifica di
prima.
“Chiedi
scusa a tuo fratello e andate di sopra, prima che cambi idea e ti
punisca”.
Ron
osservò Hugo andare al piano di sopra con Rose, che gli
chiedeva scusa per aver
riso di lui e gli prometteva che non si sarebbe mai ripetuta una cosa
del
genere.
Lui
e Hermione, invece si sedettero sul divano. Nel volto della moglie si
leggeva
ancora il turbamento per quello che era successo. Ron non ebbe il tempo
di
dischiudere le labbra che Hermione lo interruppe.
“Lo
so che ho esagerato” disse lei. “È
più forte di me: quando si tratta di Hugo,
divento iperprotettiva, attacco persino Rose, è incredibile,
sono una madre…”.
Ron
le tappò la bocca con un bacio. Hermione non
riuscì nemmeno a protestare che
subito lui prese a parlare al posto suo.
“Sei
una madre fantastica” completò Ron per lei.
“E se a volte preferisci schierarti
dalla parte di Hugo, piuttosto che da quella di Rose, non
c’è niente di male”.
Hermione
fece un sorriso stanco, e si appoggiò alla spalla del marito.
“A
volte dimentico la tua saggezza, sai?”.
“Penso
che con la barba avrei un’aria più intelligente,
che ne pensi?”.
Hermione
non rispose. Si alzò dal divano, e con un ghigno si
fermò proprio dietro di Ron.
“Penso
che prima dovresti preoccuparti di far crescere i peli sulla
testa”. E detto
ciò sfiorò un punto del capo di Ron in cui
cominciavano a mancare i capelli.
Ron
non reagì subito alla provocazione di Hermione. La moglie
era già in cucina
quando lui urlò: “NON sto perdendo i
capelli!”.
***
“Emily,
siamo arrivati” mormorò Angel
all’orecchio di Rose. La bambina mormorò
infastidita, mentre sentiva un treno fischiare nelle vicinanze.
Aperti
bene gli occhi, ricordò dove si trovava: erano su un treno
Babbano preso a
Berlino, la città dove erano atterrati con la Passaporta di
Londra. Saltò giù
dal suo sedile, uscì dallo scompartimento e scese
giù dal treno. Emily le aveva
detto che il suo villaggio non era bello come Londra ma Rose non
riuscì
comunque a non rimanere scioccata quando uscì dalla stazione.
Dragomirești era la città più triste che avesse
mai
visto. Le strade erano piccole e sudicie, senza alberi sui marciapiedi
o
cartelli che indicassero le vie. Quasi tutte le case avevano le
finestre
sbarrate da assi di legno marce, e i giardini incurati, con
l’erba secca. I
pochi volti che giravano per le strade tenevano il volto chino, senza
mai incrociare
lo sguardo con qualcuno. Il tutto era contornato da un’aura
grigia, un misto di
cielo plumbeo e nebbia fitta.
“Beh, siamo tornati” disse la madre, malinconica.
“Già” rispose Rose, e il suo tono
rasentava la
depressione cronica.
Il suono di quello scambio di battute fu l’unico che
sentirono per tutto il viaggio verso casa. Durante il tragitto, Rose
riuscì a
sbirciare attraverso qualche fessura di quelle assi di legno, e vide
che le
case erano tutte abitate. Ma anche se a ogni loro passo la luce del
Sole
scemava, da nessuna finestra usciva il minimo bagliore di una
lampadina, e dai
comignoli non usciva fumo che potesse presupporre un fuoco. Dopo dieci
minuti
di camminata si fermarono davanti a una villetta, che in confronto alle
altre
dimore sembrava una reggia.
“Voi sta qua” sussurrò Boris. Lui
attraversò il
giardino, e Rose lo vide estrarre la bacchetta. Anche Angel la
estrasse,
controllando che nessuno arrivasse da qualche vicolo o spuntasse
all’improvviso.
Dopo qualche altro minuto in cui Boris fece qualche
incantesimo alla casa, la porta si aprì. Angel
sospirò di sollievo, e spinse
Rose a entrare.
L’interno della casa era molto spoglio, ma pulito e
in ordine. Rose pensò che probabilmente la situazione dei
Dragan era la meno problematica
della città, e che tutto sommato non era molto peggio di
casa sua.
“Perché non vai di sopra a riposare?” le
disse
Angel. “Poi ti chiamo io per cenare”.
Rose annuì e salì le scale, ringraziando il cielo
che non salissero con lei, così che potesse ispezionare la
casa.
Angel e Boris invece si diressero verso la cucina.
Lei si avvicinò ai fornelli. Lui chiuse la porta con la
bacchetta, che emise un
bagliore giallo.
“Per fortuna
non ci sono stati attacchi, in nostra assenza”
disse Boris in rumeno.
“Dovresti parlare inglese anche quando non
c’è
Emily, lo sai?” disse Angel accennando un sorriso. Si
girò verso di lui, e vide
che il suo volto era contratto in una smorfia esasperata. Questo la
fece
ridere, e decise di accontentarlo.
“Ok, parliamo rumeno” gli disse. “Vuoi
parlare di
Quidditch?”.
“In dieci anni di matrimonio non abbiamo mai parlato
di Quidditch e vuoi farlo ora?” rispose Boris. “Sai
di cosa dobbiamo discutere”
Angel sospirò. Aprì la bocca, ma non
riuscì a
esprimere nulla. Si girò nuovamente verso i fornelli, e
prese a cucinare.
“Non puoi tenerti tutto dentro, devi sfogarti!”
esclamò Boris. Si avvicinò a lei e strinse
dolcemente le sue spalle.
“Per favore, dimmi qualcosa”. Lo
sussurrò appena, ma
Angel riuscì a sentire il dolore che quelle parole
nascondevano, l’angoscia e
la paura che ormai accompagnava ogni loro giornata.
“Che cosa dovrei dirti?”. Anche Angel
sussurrò, ma
nelle sue parole nulla era nascosto, si riusciva a percepire tutto
nella sua
voce tremante, e Boris si accorse che anche le spalle tremavano.
“Dovrei dirti che avevo voglia anch’io di
distruggere quell’ufficio, e magari anche di dare un pugno a
quella donna?”
Se sua moglie non stesse tremando, avrebbe anche
potuto ridere per quella confessione. Ma non c’era nulla di
divertente nel tono
della donna. Era un lamento, uno di quelli che sentiva spesso,
ultimamente.
“O magari” continuò, “dovrei
dirti che mi sento una
stupida a essere tornata qui, nonostante il pericolo che corriamo ogni
singolo
minuto trascorso in questa casa”.
Boris fece voltare Angel verso di lui. Come
immaginava, non una lacrima usciva dai suoi occhi, anche se erano
comunque
lucidi. Erano poche le cose che potevano farla scoppiare; ma anche con
quelle
lei resisteva. Voleva sempre mostrarsi forte ma sapeva, purtroppo, che
la loro
condizione la stava distruggendo.
“Oh, ecco un’altra cosa” disse alzando il
tono di
voce, guardandolo dritto negli occhi.
“Mi sento la madre peggiore del mondo per non essere
capace neanche di ritornare nel mio paese natale per mettere al sicuro
mia
figlia!”
“Questo non lo devi mai dire!” anche lui urlo,
conscio che l’incantesimo lanciato alla porta non avrebbe
permesso a Emily di
ascoltare, neanche se si fosse appoggiata alla porta.
“Non devi mai dire che sei una pessima madre,
perché
non è così. Da quando è iniziata
questa guerra, hai vissuto solo per Emily,
l’hai protetta meglio di quanto io avrei mai potuto fare, gli
hai dato quello
che molti altri bambini non hanno: una vita felice”.
“È vero che abbiamo il minimo indispensabile per
sopravvivere, ma non hai mai fatto mancare nulla a nostra figlia. Parla
l’inglese, è intelligente, non fa altro che
sorridere tutto il giorno, e questo
perché tu la proteggi dalla guerra sia fisicamente che
emotivamente”.
Angel sembrò rilassarsi, ma Boris notò che ancora
non era del tutto convinta.
“E se consideriamo che in tutto questo non hai mai
mancato di adempiere ai tuoi doveri coniugali” aggiunse
sorridendo Boris “sei la
madre e moglie migliore al mondo!”
Anche Angel sorrise, e lentamente rilassò i suoi
muscoli.
“Se lo sono, è solo merito tuo” disse
Angel,
appoggiando il capo contro il torace del marito.
“Sì, so di essere anch’io il migliore
marito del
mondo”.
Angel alzò lo sguardo verso Boris, e quasi gli rise
in faccia nel vederlo imitare la posa tipica dei supereroi americani.
“Sei sempre il solito scemo!”
“Non è per questo che mi ami?”
Angel annuì, e lo baciò.
***
Un
uomo correva senza sosta lungo un isolato
sentiero di campagna. Il volto era sudato e rosso, ma non accennava a
fermarsi.
A un certo punto, dal nulla comparve una villa immensa, circondata da
un
recinto murato. All’ingresso, un cancello in ferro battuto si
aprì cigolando,
permettendo all’uomo di entrare senza fermarsi. Lo stesso
accadde per il portone,
che si aprì mostrando la meravigliosa sala
d’ingresso, e con una stanza al
piano superiore. L’uomo si fermò
all’uscio, con il fiatone, piegato sulle
ginocchia.
Per la precisione si trovava in uno studio: le
pareti erano coperte da enormi librerie che non lasciano intere il loro
vero
colore, e una poltrona bordeaux era messa vicino a un caminetto acceso,
unica
fonte di luce ora che era calata la sera.
“Signore” disse ansante l’uomo,
rivolgendosi alla
poltrona “ I Dragan sono tornati”.
Continuò ad ansimare, senza che qualcuno desse segno
di averlo sentito. Poi, sentì ridere. Una risata gelida,
stridula, in grado di
far venire la pelle d’oca a chiunque la sentisse. Una figura
si alzò dalla
poltrona, e la luce del camino creò un’ombra
amorfa, che coprì l’uomo fermo
sull’uscio, tanto pietrificato da quel suono da non riuscire
a riprendere
fiato.
N.P.
Ammetto
sia passato un bel po’ di tempo dall’ultima
volta che ho pubblicato, ma ci siete ancora? Mi seguite? Se
sì, vi ringrazio, e
vi chiedo cortesemente di farmi sapere che ne pensate. Va bene
qualsiasi cosa,
davvero, anche un “OK”.
Se non mi seguite, perché non ne discutiamo insieme?
Basta mettere una recensione, così che io possa conoscere il
vostro punto di
vista e rispondervi.
Quindi, riassumendo: recensite!
Alexia96
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Capitolo 4 *** Vari tipi di voci ***
4.
Vari tipi di
voci
Crescendo
insieme a sei fratelli maggiori, Ginny Potter si era abituata a vedere
le cose
più assurde, soprattutto di prima mattina. Dagli esperimenti
esplosivi di Fred
e George alle esibizioni canterine di suo padre durante la doccia
mattutina,
nulla ormai riusciva a coglierla di sorpresa.
Anche
se, quella mattina suo fratello Ron e suo marito Harry ci andarono
molto
vicino.
“CHE
COSA È SUCCESSO QUI?”.
Aveva
appena sceso le scale, superando il salotto per dirigersi verso la
cucina,
quando con la coda dell’occhio vide qualcosa che la fece
bloccare sul posto.
Sul pavimento c’erano fogli stracciati e bottiglie di
Burrobirra e Whiskey
Incendiario che avevano macchiato il pavimento, il tappetto e buona
parte della
poltrona che una volta era di colore bianco. Il divano non era sporco
ma Ginny
non riusciva a togliere il suo sguardo da lui e chi lo occupava: Ron e
Harry,
sdraiati e abbracciati l’un l’altro, profondamente
addormentati. Il suo urlo
riuscì a svegliare Harry, che emise una specie di rantolo
mischiato a uno
sbadiglio. Harry cercò di alzarsi, ma si accorse troppo
tardi che Ron era sdraiato
sul suo petto, e lo buttò a terra con un grosso tonfo. Sul
momento non accadde
nulla; poi Ron s’issò di scatto, girandosi verso
Ginny.
“Non
è come sembra!” biascicò Ron.
“Non
hai cercato di tirare su il morare a Harry facendogli bere litri di
alcol e
distruggendo tutti i suoi documenti e il mio salotto?” disse
con tranquillità
Ginny.
“Esatto!”
rispose fermo Ron.
“Allora”
continuò Ginny “devo presumere che tu sia venuto
qua ieri sera con queste
bottiglie, hai fatto ubriacare Harry, gli hai confessato il tuo eterno
amore
per lui e avete passato una notte di passione selvaggia, pur sapendo
che io
dormivo un piano sopra di voi”.
Ron
si grattò il collo, mentre le sue orecchie
s’imporporavano insieme al viso.
“Qual
era la prima?”
“Cameratismo
nei confronti di Harry”
“Aggiudicata!”
esclamò Ron. Harry cercò di soffocare una risata,
senza però riuscirci.
“Tu
zitto, dopo arrivo anche da te” disse Ginny puntandogli il
dito contro. “Tu sei
in grado di tornare a casa?” chiese a Ron.
“Certo”
disse Ron. E non si mosse di un millimetro verso la porta,
né cercò la sua
bacchetta per materializzarsi.
“Riformulo
la domanda” disse Ginny cercando di non ridergli in faccia
“Hai la forza e il
fegato per tornare a casa da Hermione?”.
Ron
abbassò lo sguardo verso il pavimento, ancora più
rosso di prima.
“No”
disse Ron, e lo fece con la voce da cane bastonato. Ginny
sospirò esasperata,
mentre si chinava a raccogliere un foglio non troppo malridotto e
qualcosa con
cui scrivere. Trovato tutto l’occorrente, levò
qualche bottiglia dal tavolino
da caffè vicino al divano e scribacchiò
velocemente qualcosa. Una volta finito
si alzò e diede il foglio a Ron.
“Dallo
a Hermione, avrà pietà di te”.
Ron
mormorò un grazie, levò la bacchetta dalla tasca
e sparì in un pop.
Harry
continuò a fissare il punto in cui Ron era scomparso. Non
stava più ridendo e
Ginny costatò con tristezza che stava riprendendo lo stesso
umore nero che da
giorni lo appestava. Harry sapeva quanto facesse male alla moglie
vederlo in
quelle condizioni, ma non riusciva più a sopportare lo
stress che gli si era
accumulato sopra e questo, purtroppo, si rifletteva anche nel suo
comportamento
a casa.
“Conosci
un incantesimo per ripulire i fogli?” chiese Ginny. Si
sedette accanto a Harry,
che stava cercando la bacchetta in mezzo ai cuscini del divano.
“Io
no, ma Hermione sì” disse Harry. Recuperata la
bacchetta, fece un colpo secco
col polso, e le bottiglie sparirono. Un altro gesto, e i fogli si
raggrupparono
sopra il tavolino, spiegazzati e macchiati.
“Erano
molto importanti?”
“Sono
solo le novità arrivateci dagli Auror ancora sotto il
Ministero riguardo quello
che sta succedendo in Romania” rispose Harry.
“Quindi no, non sono importanti,
posso tranquillamente sostituirli con un foglio del mese scorso, o di
quello
prima ancora, non ci sarebbe differenza”.
A
Ginny stringeva il cuore sentirlo parlare così: rassegnato,
stanco, depresso.
L’Harry che aveva davanti era un uomo che nessuno che lo
conoscesse avrebbe mai
pensato di vedere. Un uomo senza speranza.
“Io
ho poche certezze nella vita, Harry” incominciò
Ginny. Strinse la mano di suo
marito, ma lui non diede segno di essersene accorto. “So che
non cucinerò mai
bene come mia madre, che mio fratello Ron non ha spina dorsale a
sufficienza da
affrontare sua moglie” e qui vide un accenno di sorriso nel
volto di Harry “e
so che tu non sei in grado di arrenderti. Sei troppo testardo per
gettare la
spugna”.
“C’è
chi la definirebbe perseveranza” mormorò Harry.
Strinse più forte la mano di
Ginny, e si voltò a guardarla. A volte non gli serviva
altro: se sentiva la sua
forza andarsene, se aveva bisogno di sentirsi meglio, se semplicemente
voleva
un po’ di conforto, doveva solo guardare Ginny. E basta.
Niente parole, scambi
di baci o carezze amorevoli. Gli occhi di sua moglie erano in grado di
riempirlo di conforto, senza dover aggiungere altro.
“O
meglio ancora coraggio” aggiunse Ginny, dandogli un bacio a
fior di labbra. Poi
un altro, più lungo. E un altro ancora. Forse quei baci
sarebbero sfociati in
qualcos’altro, ma furono interrotti da un coretto di acute
esclamazioni.
I
loro figli James, Albus e Lily stavano ammirando il caos del salotto
dalla
porta che lo collegava al corridoio, con le bocche spalancate dallo
stupore.
“Chi
è stato?” chiese sbalordito James. Di solito era
lui quello che combinava guai
del genere.
“È
stato papà?” domandò Lily.
“Per questo ha dormito sul divano?”
Ginny
rise, notando che sua figlia era molto vicino alla realtà.
“Diciamo
di sì” rispose Ginny, ridendo, e trascinando con
sé anche Harry.
***
Erano
già due settimane che Emily viveva in casa Weasley e
nonostante le iniziali
difficoltà, ormai si era adattata a quella nuova vita,
così diversa e migliore
alla precedente sotto tantissimi aspetti. Non era mai da sola, ma non
lo
trovava asfissiante come Rose, anzi lo adorava; i suoi genitori rumeni
le
mancavano, ma Ron e Hermione non le facevano mancare nulla,
né attenzioni né
altro; e soprattutto, non doveva rimanere chiusa in casa. A volte
passava il
pomeriggio sdraiata sul prato di casa a fissare le nuvole per ore,
senza
pensare a nulla tranne che a quanto si sentisse felice e libera in
quella casa.
Anche questa mattina si era alzata con questi sentimenti, ma le persone
attorno
a lei non rispecchiavano lo stesso umore. Hugo, con cui aveva legato
molto dopo
l’incidente dell’erre moscia, era seduto accanto a
lei tecnicamente per fare
colazione. In pratica stava dormendo con la guancia schiacciata contro
il
tavolo. Hermione invece era molto agitata, tanto che non riusciva a
rimanere
seduta due secondi senza poi scattare in piedi a prendere qualcosa o a
passeggiare nervosa attorno alla sedia. Infine, Ron non era ancora
sceso a
mangiare, cosa che aveva dell’incredibile, o così
aveva comunque imparato in
quei giorni.
“Mamma,
perché sei così agitata?” chiese Emily
intimorita. Hermione si voltò verso di
lei, senza però guardarla davvero.
“Nulla,
nulla… Non è successo niente… Non
è più un Auror, non è in
pericolo…” Continuò
a farfugliare finché la porta dell’ingresso non si
aprì. Emily la vide
spalancare gli occhi e scattare verso l’entrata.
Sentì il nome di Ron urlato
con forza, e la curiosità di vedere cosa stava succedendo la
spinse a sbirciare
i due adulti. Nascosta dietro una porta, vide Hermione furiosa e Ron
terribilmente dispiaciuto. Notò che aveva un foglio tra le
mani e anche
Hermione lo vide. Glielo strappò via con violenza e lo lesse
mantenendo quel
cipiglio seccato; ma una volta finito di leggere il foglio
sospirò triste e
abbracciò il marito. Emily si stupì del repentino
cambiamento d’animo, e si
stupì di sentirla dire: “Vai sopra a farti una
doccia, io avverto George che
arriverai in ritardo”. Ron la lasciò qualche
secondo dopo, e salì moscio verso
il secondo piano. Lo seguì con lo sguardo sporgendosi di
più, tanto che
Hermione si rese conto della sua presenza.
“Rose!”
esclamò Hermione “Hai origliato?”
“Ecco,
io…” balbettò Emily
“Sì, ma perché ero preoccupata per
papà, tu hai urlato, e
mi sono spaventata”.
Hermione
le sorrise dolcemente.
“Chiama
Hugo, prima di andare a scuola dobbiamo passare da casa di zio Harry e
zia
Ginny” le disse. Emily tornò velocemente in cucina
e diede un pizzicotto a
Hugo.
“Ahi,
Vose, mi hai fatto male!”
strillò il
bambino “Che vuoi?”
“Dobbiamo
andare dai cugini Potter, sbrigati!” esultò
estasiata Emily. Adorava i piccoli
Potter, soprattutto James. Per Rose era il contrario, ma
pensò che lo odiasse
soprattutto perché erano davvero simili. Albus e lei
passavano molto tempo
insieme solo perché doveva far finta di essere Rose: era un
ragazzino
simpatico, ma lei avrebbe voluto poter intensificare il rapporto con il
‘cugino’
più grande.
Era
ancora immersa in quei suoi giudizi quando Hermione suonò al
campanello di casa
Potter. Ginny aprì loro la porta con un sorriso vispo ma con
gli occhi stanchi.
“Ciao
ragazzi” disse allegramente “Che fate
qua?”
“Oggi
ho pensato di accompagnare io i ragazzi a scuola” disse
semplicemente Hermione
“Non è il mio turno, ma non ho voglia di arrivare
puntuale. Ogni volta poi mi
ritrovo da sola, è seccante”.
Ginny
li fece entrare, ed Emily credette di sentire un
‘grazie’ sussurrato
all’orecchio di Hermione.
“James
e Al stanno finendo di vestirsi” disse Ginny rivolta a Rose e
Hugo “Mentre
aspettate, potete andare in cucina, ci sono Lily e dei muffin ancora
caldi che
vi aspettano” Hugo sfrecciò senza dare il tempo di
dire altro. Emily invece
rimase un po’ indietro ad ascoltare le due donne.
“Harry
come sta?” bisbigliò Hermione.
“Bene,
ora è sopra a farsi una doccia” rispose Ginny
“Non è che potresti dare una
sistemata ai suoi documenti?”
“Certo!”
disse Hermione con un sorriso.
Emily
decise di dirigersi in cucina dove Hugo, tutto contento, stava
mangiando un
muffin al cioccolato. Lily invece sembrava fissare il vuoto. Non era la
prima
volta, ricordò Emily, che la ritrovava in questa posizione e
ogni volta che
distoglieva lo sguardo, faceva qualcosa di strano, come spostare le
persone o
cambiare la posizione degli oggetti nella stanza. Quando finalmente
smise di
contemplare le macchiette sulla parete, sembrò accorgersi
dei cugini.
“Ciao
Lily” disse educatamente Emily.
Lily
le lanciò uno sguardo confuso e spaventato. Svelta, scese
dalla sedia, le
strinse il braccio e la fece uscire dal salotto. Continuò a
trascinarla fino al
sottoscala, che aprì con la magia. Entrarono nella stanzetta
piena di polvere,
Lily richiuse tutto e accese una piccola lampada che pendeva dal
soffitto.
“Ti
ho sognata” disse tutto d’un fiato Lily
“Eri con una bambina uguale a te, vi
stavate scambiando i vestiti e volevate ingannare qualcuno”.
Emily
spalancò la bocca, scioccata, e cominciò a sudare
freddo.
“Era
solo un sogno Lily” cercò di spiegare Emily
uscendo dalla bocca una vocina più
acuta del solito “Non significa niente…”.
“Succederà
qualcosa di brutto se ascolterai quella bambina”
continuò agitata “Per favore,
non ascoltare quella bambina, va bene?”
Emily
vide che Lily era rimasta terrorizzata da quel sogno e anche lei ora si
sentiva
turbata. Annuì promettendo che non avrebbe dato ascolto a
nessuno che le
somigliasse, ma solo Lily si tranquillizzò con quelle
parole. Emily, invece,
ebbe il terribile presentimento che le sue parole potessero
corrispondere a
verità.
***
Un
corpo cadde a terra agonizzante dal dolore. Si rigirava, non riuscendo
neanche
a urlare per l’intensità della maledizione che
stava ricevendo. Attorno a lui
diversi uomini lo osservavano, impassibili, freddi e immobili.
“Basta
così” sentenziò una voce piatta fuori
dal cerchio formatosi attorno all’uomo.
L’uomo
si fermò e si sdraiò di schiena, ansimando forte,
gli occhi chiusi e la mano
sul petto. Dalla fronte scendevano piccole perle di sudore che
scivolavano giù
fino al pavimento di pietra. Un piccolo varco si aprì in
mezzo al gruppo di
spettatori e la voce di prima si avvicinò al centro.
Camminò, facendo
riecheggiare i suoi passi, unico suono insieme agli ansiti
dell’uomo a terra.
Arrivato ai suoi piedi, si chinò su di lui, uscendo la sua
bacchetta dalla
manica.
“Facciamo
un gioco, ti va?” domandò con la stessa
inespressiva voce. L’uomo continuò ad
ansimare ma lui fece come se niente fosse.
“Ora
ti farò delle domande, e tu dovrai rispondere con
sincerità” continuò
puntandogli la bacchetta alla gola “Prima domanda: come ti
chiami?”.
L’uomo
non smise di ansimare ma si voltò verso il suo carnefice e
lo squadrò da testa
a piedi.
“Forse
non sono stato chiaro con le regole di questo gioco. Se non rispondi
alle domande,
ricevi una penitenza”.
E
dalla sua bacchetta partì un raggio rosso che
inondò tutto il corpo dell’uomo a
terra, facendolo inarcare gemente.
“Ripeto
la domanda” disse ponendo fine all’incantesimo
“Come ti chiami?”
Dopo
qualche secondo ci fu una risposta: “Ryan…
C-clayton”.
“Vedo
che cominci a ragionare, Ryan” gli diede una pacca sulla
spalla, come fosse un
vecchio amico che ti fa i suoi complimenti quando gli parli dei
traguardi
raggiunti negli anni in cui non vi siete visti.
“Ora
ti faccio un’altra domanda facile: chi sono io?”
“Michael
Sparks, un lurido bastardo!” gridò riprendendo un
briciolo della sua forza.
“La
darò per valida” disse Michael, ora con voce
leggermente innervosita. Si alzò e
diede le spalle a Ryan, cominciando a girargli intorno.
“Terza
domanda: tu lo sai, dove ti trovi?”.
Ryan
riuscì a sollevarsi poggiandosi sui gomiti, così
da riuscire a guardarlo negli
occhi.
“A
casa tua, il tuo covo segreto”.
“Quarta
domanda: sai cosa cerchiamo?”.
“La
Corona di Sarah, un potente artefatto in grado di rigenerare le
ferite…”.
“…
e di centuplicare il collegamento tra il mago e la sua
bacchetta” terminò
Michael al suo posto “Ora ti farò
un’ultima domanda, quella che deciderà se
potrai andare a casa oppure no”.
Michael
si fermò di fronte a lui, in modo da guardarlo
dall’alto verso il basso, senza distogliere
lo sguardo dalla sua vittima.
“Dove
si trova la donna che la nasconde?”
Ryan
continuò a fissarlo dritto nelle pupille e ghignò.
“Per
questa temo che dovrò chiedere l’aiuto del
pubblico”.
Michael
scoppiò in una risata stridula e agghiacciante, che
levò definitivamente il
sorriso dal volto di Ryan. Continuando a ridere scagliò un
incantesimo contro
di lui, che cadde a terra con un tonfo secco.
“Questo
aveva davvero senso dell’umorismo!”
esclamò continuando a ridere “Portate via
questo cabarettista e andate a prendere un altro prigioniero”.
“E
i giganti?” pigolò uno degli uomini in mezzo al
gruppo. Non aveva la stazza
proporzionata alla voce che gli era uscita. “Eravamo sicuri
di trovare oggi la
Corona e…”.
“Mandateli
a distruggere qualche villaggio” disse agitando una mano con
noncuranza “Magari
uno confinante con qualche altro Stato, per spaventare un
po’”.
L’uomo
annuì e si allontanò di corsa, mentre Michael
riprendeva a ridere e ripeteva: “L’aiuto
del pubblico! Ah!”.
***
Rose
continuava a rigirarsi tra le coperte. Erano state le due settimane
più lunghe
della sua breve vita. La vita in Romania era monotona e grigia e, per
il
momento, non aveva visto neanche l’ombra di un drago.
Cominciava anche a
sentire la mancanza della sua famiglia. I signori Dragan erano davvero
molto
affettuosi, soprattutto Angel ma non erano i suoi genitori. Anche Hugo
e i suoi
cugini le mancavano, e i suoi zii e tutta la sua grande famiglia. Stava
davvero
cominciando a pentirsi di quello che aveva escogitato quando
sentì un suono
strano.
Da
lontano veniva un ruggito cavernoso, inumano. Rose si alzò
dal letto e si
affacciò alla finestra, per cercare di vedere qualcosa. Vide
una figura alta e
dalla forma strana, con attorno a sé delle fiamme
altissime…
Corse
fulminea fuori dalla cameretta e sfrecciò nella stanza dei
signori Dragan, che
dormivano profondamente. Rose non si scoraggiò e si
buttò di peso sopra Boris.
L’uomo, come risposta, disse una parola rumena
dall’aria poco pulita.
“Emily”
brontolò Boris, grattandosi la folta barba “Che
fai ancora svelia?”
“C’è
un drago là fuori” disse entusiasta Rose
“Posso uscire fuori a vederlo meglio?”
Boris
spalancò gli occhi e lanciò con poca
grazia Rose addosso alla moglie, svegliandola. Angel stava ancora
cercando di
capire qualcosa che sentì Boris urlare: “Dobiamo
andare, ora!”
Sollevò
Rose dal letto e la portò con sé nel salotto di
casa. La bambina sentì le urla
del drago più forti ma a esse si aggiunsero altri suoni:
urla, pianti e crolli.
“Che
succede papà?” domandò spaventata Rose.
Boris
la guardò altrettanto spaventato, incerto su cosa dire.
“No
paura, Emily, io qua, va bene?” Rose annuì poco
convinta. Angel li raggiunse
poco dopo, ora completamente sveglia.
“Dove
andiamo?” chiese a Boris mentre prendeva una scatola piena di
Polvere Volante.
“Da
Rosso, lui ci aiuta” rispose lui convinto. Prese un
po’ di polvere ma una
scossa lo fece cadere a terra, insieme alla polvere e al resto della
sua
famiglia. Un altro scossone fece cadere buona parte
dell’intonaco del soffitto,
imbiancando i capelli color fiamma di Rose e Angel.
“Emily,
qua!” urlò Boris e lei gli corse incontro,
terrorizzata. Anche Angel si
avvicinò a lui e lo abbracciò, coprendo insieme
il corpo della bambina. Rose
respirava a fatica, sia per il poco spazio che per il terrore che le
mozzava il
fiato. Sentì un’altra scossa, molto diversa dalla
precedente, e un rumore
assordante le riempì le orecchie. Da un piccolo spiraglio
tra le braccia dei
Dragan, vide che gran parte del soffitto era scomparso, così
come la canna
fumaria e la parete di fronte a loro. Ciò che aveva fatto
questo li osservava
con sguardo furente, e non era di certo un drago, si disse. Era un
gigante
dalla pelle grigia e grinzosa, con il capo pelato e piccolo come quello
di un
neonato. Lo vide muovere le sue enormi mani verso di loro, e Rose
urlò
terrorizzata, così forte da non sentire altro che la sua
voce terrorizzata.
N.P.
Salve
a tutti! So che è passato un po’ di tempo
dall’ultima volta che ci siamo
sentiti (ancora era il 2014!) ma vi prometto che, anche se lentamente,
finirò
questa storia! Anche perché se la interrompessi proprio ora,
potrei scatenare
qualche folla inferocita…
Prima
di salutarvi, vorrei ringraziare chi mi segue: BlackandLupin, C l a i r
e s,
Lux_Potterhead, Rebs96, tribute_potterhead e devina, che è
anche l’unica ad
aver recensito per ora :D
Perché
non seguite il suo esempio? Su, su…
|
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Capitolo 5 *** 5. Verità a galla ***
5.
Verità a
galla
Emily
si svegliò di soprassalto. Al piano di sotto qualcuno stava
trafficando con gli
arnesi da cucina e a giudicare dalle voci che arrivavano dalla porta
socchiusa,
era tutta la sua famiglia temporanea.
“Ron,
attento al forno!”.
“Hugo, smettila di aizzare i cucchiai contro di me!”
“Ma
papi, ho fame, non vesisto!”
Si
chiese perché tutta quell’agitazione per una
semplice colazione domenicale.
Controllò il calendarietto appoggiato nel comodino accanto
al letto per vedere
se aveva dimenticato qualche data speciale. Nel mese di maggio
c’erano due date
segnate da Rose: il due, squadrato in nero, e il ventisette, cerchiato
con
tanti colori sovrapposti. Dentro quell’arcobaleno di
pastelli, in piccolo,
lesse B-DAY.
Era
il compleanno di Rose. Doveva esserle sfuggito quando avevano
organizzato lo
scambio. O forse non le importava granché. Finse di non aver
sentito nulla e
scese verso la cucina in punta di piedi. Arrivata di fronte alla porta
della
cucina, si fermò. Hermione stava finendo di cucinare le
frittelle; Ron invece
sistemava in un piatto, ancora fumanti, i biscotti alla cannella che
piacevano
tanto a entrambe le bambine (anche se lui non lo sapeva); Hugo
completava il
quadretto con un mazzolino di fiori appena sradicati.
Emily
sorrise intenerita davanti a quella scena così dolce e piena
d’amore; tutti i
membri di quella famiglia si erano dati d’impegno per
preparare una perfetta
colazione di compleanno, e la festeggiata si trovava in un altro Stato.
Non
pensò che Rose fosse un’ingrata: lei voleva bene
alla sua famiglia, lo aveva
capito dal modo in cui gliel’aveva descritta. Non capiva
però tutto questo
desiderio di allontanarsi da qualcosa di così bello e
profondo.
Hermione
finì di spadellare le frittelle e si voltò,
vedendo così Emily nascosta dietro
la porta socchiusa.
“Rose!”
esclamò la donna. Ron e Hugo seguirono lo sguardo di
Hermione e videro la
bambina entrare in cucina con un sorriso a trentadue denti.
“Auguvi Vose!”
strillò Hugo correndole
addosso e stritolandola in un abbraccio. Emily ricambiò la
stretta fino a
sollevarlo in aria, ruotando su se stessa. Ron si avvicinò
di soppiatto ai due
bambini, poi li prese entrambi in braccio.
“Auguri
principessa!” disse Ron, schioccandole un bacio sulla
guancia. Anche Hermione
si avvicinò, baciandole l’altra guancia.
“Buon
compleanno, Rose!” disse Hermione “Vai veloce a
vestirti, così possiamo fare
colazione tutti insieme”.
“E
farle fare le scale?” esclamò Ron mettendo
giù Hugo “Non sia mai che la mia
principessa si sforzi in tale maniera!”
Hermione
alzò il sopracciglio sinistro e sbuffò,
prendendolo in giro.
“Sbuffa,
mentre io vado a vestire la mia piccola Altezza Reale” disse
fintamente
indignato, continuando lo scherzo.
Emily
rideva così tanto del battibecco tra i coniugi Weasley che
quasi non sentì
quello che disse Ron. Per sua fortuna riuscì a percepire la
parola ‘vestire’ e
intuire il pericolo.
“Non
c’è bisogno papà” disse
velocemente Emily “Ormai ho otto anni, posso vestirmi
da sola”.
“E
allora?” chiese Ron “Sai vestirti da sola da quando
avevi tre anni, non per
questo ho smesso di aiutarti”.
Emily
entrò nel panico. Cominciò a balbettare senza
sapere che dire. Per sua fortuna,
Hermione intervenne nella discussione.
“Forse
quello che vuole dire Rose, è che troppo grande per vestirsi
di fronte al
padre, e che vuole un po’ di privacy” disse
Hermione. Ron tornò a essere più
serio che mai, lasciando a terra Emily.
“Ha
ragione la mamma?” chiese quasi in sussurro Ron. Emily, pur
sapendo che questo
avrebbe ferito profondamente quell’uomo tanto buono e solare,
annuì e si
diresse immediatamente nella camera di Rose.
Ron
si sedette mogio sulla sedia più vicino a lui. Uno sbuffo
più violento di
quello di prima accompagnò il suo gesto.
“Andiamo
Ron, non puoi mettere il broncio perché tua figlia non ti
vuole in camera con
lei” esclamò Hermione con una punta di
esasperazione nella voce. Doveva
combattere quasi quotidianamente contro
l’iperprotettività di suo marito nei
confronti della figlia.
“Tu
non capisci Hermione” disse disperato Ron “Sai cosa
significa questo?”
“Che
forse Rose si vergogna a spogliarsi di fronte a qualcuno?”.
“Non
qualcuno, me!” sentenziò Ron, come se questo
bastasse a spiegare tutto il
melodramma che stava architettando. Dagli sguardi di Hermione e Hugo,
che
ascoltava la conversazione mangiucchiando biscotti (come già
detto da Rose,
loro due non si rendono mai conto di parlare a voce troppo alta, e
troppo
vicino ai figli), il discorso non era così chiaro.
“Mi
vede come maschio, non come padre!” disse amareggiato.
“Come uno del sesso
opposto”
“Che
vuol dire ‘sesso’?” domandò
ingenuamente Hugo.
Ron
si voltò velocemente verso Hermione e aprì bocca
ma lei fu più veloce.
“Parlaci
tu!” esclamò Hermione, uscendo di corsa dalla
cucina e lasciando Ron da solo
con un Hugo decisamente incuriosito.
***
“Buon
compleanno Rose!”
Emily
era appena uscita dal camino della Tana, e tutti i Weasley e i Potter
erano lì
davanti ad aspettarla per farle gli auguri tutti insieme.
“Bene,
abbiamo fatto gli auguri, ora possiamo tornare casa” disse
George Weasley
dirigendosi verso la porta.
“Meglio,
più torta per me!” esclamò Ron ancora
dentro il camino.
Emily
rise di gusto allo scambio di battute dei due, così come
tutti gli altri. Era
come se quel posto facesse diventare tutti più allegri e
spensierati. Anche lo
“zio” Harry, che finora aveva visto sempre stanco e
depresso, adesso sfoggiava
un sorriso a trentadue denti, nonostante fosse palese la spossatezza
che ancora
provava, segnata soprattutto da pesanti occhiaie e un colorito per
niente sano.
“Grazie
a tutti” strillò Emily, galvanizzata da tanta
allegria racchiusa in una sola
stanza. Tutti a turno vollero darle un bacio o un abbraccio; la signora
Weasley
ne diede in abbondanza di entrambi.
“Basta
nonna, non respiro!” disse ridendo Emily. La
“nonna” la poggiò a terra, dandole
un ultimo bacio.
“Ragazzi,
perché non andate a giocare in giardino mentre i grandi
sistemano per il
pranzo?”
La
proposta fu accolta da più di dieci urletti infantili, che
si precipitarono in
giardino. Emily stava finalmente per ammirare il giardino della Tana,
quando
all’ultimo secondo qualcosa le tirò il braccio.
“Ehi
Rose, aspetta, ti devo dire una cosa”
E
così si ritrovò trascinata su per le scale da
Albus Potter, il miglior amico di
Rose. Ma non il suo.
Era
molto dolce e amichevole ma non la entusiasmava stare con lui. La
copertura,
però, sarebbe saltata, se non l’avesse
accontentato.
Si
fermarono di fronte a una porta con su scritto
‘GINNY’ e Albus le fece segno di
entrare. Chiuse la porta e spiò dal buco della serratura se
per caso qualcuno
stesse origliando.
“Bene,
siamo soli, James non ci ha visto” disse Albus.
“Che
problema c’è se lo viene a sapere?”
chiese Emily al bambino che, nonostante
tutto, non aveva problemi con James.
“Se
venisse a sapere questo, mi prenderebbe in giro”
spiegò Al “Anzi, penso che
anche mamma e papà si arrabbierebbero”.
Emily
vide che stava tremando leggermente, mentre si torturava le mani e
tirava la
sua camicia.
“Che
cosa è successo?” chiese Emily, sinceramente
preoccupata.
“Prima
devi giurare” disse Al, sporgendo il braccio verso di lei.
Emily gli strinse
forte la mano e gridò: “Lo giuro!”
Albus
non disse nulla, né mollò la presa.
“Beh?”
esclamò Albus “E il resto?”
“Il
resto di cosa?” domandò confusa Emily.
“Il
resto della stretta segreta!”
Emily
spalancò gli occhi terrorizzata. Rose non le aveva parlato
di nessuna stretta
segreta. Sapeva del forte legame con Albus ma non pensava che fossero
tanto
uniti dal non rivelarle questo. Entrò nel pallone e Albus se
ne rese conto.
“Io…”
cercò di spiegare Emily “Non me la
ricordo…”.
“È
impossibile, l’hai inventata tu, me l’hai insegnata
e nessuno oltre a noi
due…”.
Si
fermò, come se si fosse appena accorto che il cielo era di
colore verde, e non
azzurro com’era sempre stato. Fissò Emily
intensamente, sempre con la stessa
espressione scioccata.
“Tu
non sei Rose!” esclamò infine Albus,
indietreggiando e indicandola sconvolto.
“Che
dici, è ridicolo!” balbettò Rose
cercando di scherzarci su, ma si rese conto da
sola che il suo tono di voce non era credibile.
“Davvero?”
le domandò scettico Al “E cosa è
successo lo scorso Natale a noi due?”
Emily
era sempre nervosa.
“Abbiamo…”
iniziò a dire, ma Al la fermò subito.
“Non
abbiamo fatto nulla, perché ho avuto il vaiolo di
drago!” le disse alzando la
camicia e mostrando la pelle butterata vicino all’ombelico
“Per fortuna mi è
rimasto solo questo e qualche scintilla quando starnutisco, ma
è stato comunque
bruttissimo e Rose non lo dimenticherebbe mai!”
Emily
si rassegnò all’evidenza dei fatti.
Tirò un grosso respiro e decise di
confessare tutto.
“Hai
ragione, non sono Rose” e fece vedere ad Albus la sua voglia
“Mi chiamo Emily
Dragan e vengo dalla Romania”.
Albus
spalancò la bocca sorpreso.
“Aspetta,
non stai usando una magia, sei davvero uguale a Rose!”
Emily
annuì e continuò a parlare: “Io e Rose
abbiamo solo questa voglia come differenza.
Appena mi ha visto ha pensato di scambiarci, perché io
volevo venire qua in
Inghilterra e lei voleva vedere i draghi da suo zio”.
L’umore
di Al sembrava essere completamente cambiato: dallo shock per
quell’estranea,
era passato alla meraviglia per la storia straordinaria.
“Wow!”
esclamò infine Albus, dopo qualche minuto passato ad
assimilare la notizia “Rose
è un genio”.
Emily
annuì concorde.
“Tra
due settimane circa tornerà con i miei genitori per
trasferirsi, e allora ci
scambieremo di nuovo!”.
“Aspetta
che lo sappiano gli altri…” disse elettrizzato
Albus, che uscì dalla porta
prima che Emily potesse fermarlo. Lei lo inseguì fino al
soggiorno, dove riuscì
a placcarlo. Gli mise una mano sopra la bocca per impedirgli di parlare
e
bisbigliò: “Non lo deve sapere nessuno, altrimenti
io e Rose saremo punite!”
Albus
mormorò qualcosa che somigliava vagamente a un ‘va
bene’ ed Emily lo lasciò
andare, permettendogli così di respirare meglio.
“La
prossima volta lavati le mani prima di tapparmi la bocca!”
gracchiò Albus “Mi è
entrata della cenere del camino!”
“Scusa”
disse colpevole Rose “Andiamo in cucina a prendere un
bicchiere d’acqua”. E si
avviarono verso la maniglia della porta per aprirla, ma la voce della
signora
Weasley gli fece cambiare idea.
“Non
è meglio se silenziamo la stanza?” chiese lei
preoccupata “Nel caso i bambini…”.
“Mamma,
non senti tutto il baccano che fanno?” le disse George
indicando la finestra
aperta dietro di lui “Non sentiranno nulla, e
finché non li chiamiamo, non
entreranno in casa neanche se gli tagliassero un braccio!”
Emily
e Albus avvicinarono le proprie orecchie alla porta, curiosi di sentire
il
resto della storia. Per sbaglio la scostarono di un paio di centimetri,
ma
nessuno dentro la cucina se ne accorse, così presero a
sbirciare e origliare
senza problemi.
“Che
cosa dicevi su Charlie, Harry?”
Harry
era seduto in modo tale che i due bambini non lo potessero vedere, ma
sentirono
che stava prendendo della carta; molta, molta carta: “Mi
è arrivata una sua
lettera quasi una settimana fa… se solo la
trovassi…”
Dai
suoni che riuscì a sentire, Emily pensò che
avesse fatto uscire centinaia di
fogli, e si chiese da dove diamine li avesse presi. Dopo un
po’, Harry esclamò:
“Accio lettera Charlie!”
Una
folata, ed Emily vide una lettera volare in aria. Il signor Weasley la
acchiappò
in aria e l’aprì.
“Dice
che sta bene, che non ci sono grossi problemi nella riserva e che sta
dando
tutto l’aiuto possibile agli Auror e ai civili”
riassunse Harry per loro.
“Non
ci sono segni di miglioramento?” chiese Angelina, la moglie
di George.
Harry
scosse la testa.
“La
situazione sta solo peggiorando” disse sconsolato
“Gli attacchi sono arrivati
fino in Transilvania, quasi al confine con
l’Ucraina”.
“E
speriamo rimangano lì” esclamò Percy,
poco distante da Harry e anche lui con
delle pesanti occhiaie “L’ultima cosa di cui
abbiamo bisogno e che in Ucraina
arrivi una guerra magica, oltre che quella Babbana in corso”
“Non
sapevo di questi attacchi in Transilvania” chiese Hermione,
preoccupata “Quando
ci sono stati?”
“Due
giorni fa un gruppo di giganti ha raso al suolo un’intera
città, senza lasciare
sopravvissuti”.
Ogni
parola di quella frase era pesante come un piccolo monte, e Harry
sentiva ogni
singolo grammo sulle sue spalle, ogni volta che doveva ripeterle; ma
era parte
del suo lavoro farlo.
“Gli
Auror hanno fatto il possibile, ma di Dragomirești* è rimasta solo
polvere”.
Emily si ghiacciò sul posto.
È
la mia città.
In
polvere.
Nessun
sopravvissuto.
Anche in cucina ci fu una reazione di angoscia a
quelle parole. Hermione impallidì e si portò le
mani sulla bocca.
“Oh, no!” esclamò a occhi spalancati
“I Dragan…”.
Tutti fissarono confusi Hermione, Albus compreso, che
aveva dimenticato di aver appena sentito quel cognome.
“Di che parli?” le domandò Harry.
“Una famiglia ha chiesto la cittadinanza qui… la
madre
era del Galles, non c’erano problemi”
cercò di spiegare Hermione, ma era
visibilmente provata nel farlo “Ma mi avevano detto di
rispedirli a casa, che
doveva passare un mese… e ora non ci sono
più”.
Ron la abbracciò da dietro, cercando di darle conforto
in qualche modo. Hermione si appoggiò alle sue braccia,
tremante, e continuò: “Avevano
una bambina dell’età di
Rose…”.
All’improvviso, fu come se Albus avesse appena capito
qualcosa di estremamente importante. Si voltò verso Emily, e
le vide il volto
ricoperto di grossi lacrimoni.
“Emily…” sussurrò Albus.
Emily continuò a piangere silenziosamente, senza dare
segno di aver sentito Albus. Tremava dalla punta delle dita fino alle
piccole
labbra, da cui cadevano a strapiombo goccioline di pianto e un
po’ di muco, che
cercava di fermare tirando su col naso. Tirò forte, cercando
di far smettere
questo pianto, ma più ci provava e più le parole
di Harry le risuonavano nel
cervello.
Due
giorni fa un gruppo di giganti
ha raso al suolo un’intera città, senza lasciare
sopravvissuti.
Di Dragomirești è rimasta solo
polvere.
E continuò a piangere, cercando invano
di fermarsi,
finché non ebbe un singulto. Dalla piccola fessura della
porta vide George
accorgersi della loro presenza.
“Rose, Al!” esclamò andando ad aprire la
porta. Anche
Ron si avvicinò e quando vide sua figlia in lacrime, si
precipitò a sollevarla
da terra e ad abbracciarla forte. Anche Ginny corse verso Albus, che
era
comunque pallido e spaventato. Ron si sedette su una sedia, poggiando
Emily su
un suo ginocchio. Hermione si avvicinò subito alla bambina,
asciugandole subito
le lacrime.
“Rose, calmati” le disse dolcemente “Va
tutto bene”
Ma la bambina non accennava a fermare il suo pianto;
anzi, stava aumentando.
“Che cosa avete sentito?” chiese ad Albus Harry,
una
volta avvicinatosi a lui e a Ginny.
“Noi…” cominciò a dire Al,
titubante “Hai detto che
non c’erano sopravvissuti, ma neanche uno?”
Harry scosse la testa, mesto. Emily intensificò il suo
pianto, ormai incontrollabile.
“Non piangere, principessa, c’è il tuo
papà” tentò di
consolarla Ron.
Ma non era suo padre, lui, e lei non era la sua
principessa. Entrambi erano morti e ridotti a una manciata di polvere.
“No…” disse Emily tra un singulto e
l’altro.
“Cosa?” chiese Ron confuso.
“Non sono una principessa, sono una draghessa!”
strillò tutt’in un fiato.
Hermione scattò al sentire quelle parole. Si
chinò su
di lei e cominciò a parlare a bassa voce, come se fosse una
conversazione solo
tra loro due.
“Che cosa hai detto di essere?” le
domandò, con la
voce sottile di chi non voleva farsi sentire, o di chi non ha la forza
di
esprimere un concetto troppo orribile.
“Una draghessa” scese dalle gambe di Ron e lo
guardò
in faccia. Doveva farlo. Dovevano saperlo.
“È così che mi chiama il mio
papà” continuò Emily.
“Io non ti ho mai chiamato così” disse
Ron, sempre più
confuso.
Emily aveva tanta voglia di correre, lontano da quella
stanza. Erano brave persone, non lo meritavano…
“Perché tu non sei il mio papà, e io
non sono Rose”
Tutti si guardarono confusi, come se la persona
accanto ne sapesse più di loro, che invece erano
all’oscuro della verità. Solo
Hermione continuava a fissare Emily, inginocchiata a terra per averla
più
vicina.
“C-che vuol dire che non sei Rose?”
Emily fece un respiro profondo e, come poco prima con
Albus, fece vedere la voglia a forma di fiamma sulla spalla.
“Io mi chiamo Emily Dragan” ora non c’era
uno sguardo
che non la perforasse “Io e Rose ci siamo scambiate al
Ministero…” vide
Hermione elaborare, davanti a sé, tutte quelle informazioni,
che combaciavano
alla perfezione, come pezzi di un indovinello nascosto.
Hermione era paralizzata a terra. Tutte le persone
dentro la cucina avevano smesso di fiatare, come se quel semplice gesto
fosse
talmente rumoroso da bloccare il pensiero di Hermione. Alla fine, emise
un
sussurro ancora più fiele degli altri: “Rose era
là?”
Emily annuì.
Fu come una ghigliottina, quel semplice gesto con la
testa. Ron cadde a terra, accanto a sua moglie, mentre Hermione
spalancò la
bocca, terrorizzata, mentre emetteva un urlo silenzioso, che perforava
l’anima,
invece che i timpani. Alla fine si accasciò accanto a Ron, e
fece uscire l’urlo
che il suo volto stava esprimendo senza fiato. E fu un urlo straziante,
carico
di dolore, amarezza e disperazione.
“ROSE! LA MIA BAMBINA!”
Ron la strinse, appoggiando il proprio capo sulla sua
folta chioma. Non per consolarla, ma per nascondere le proprie lacrime,
che
uscivano copiosamente, bagnando i ricci di sua moglie. Piangevano
entrambi e si
stringevano l’un l’altro, come se questo fosse
l’unico modo per sopravvivere. L’aria
non serviva a niente, il quel momento: solo la vicinanza con
l’altro, il
contatto, riusciva a dare loro una parvenza di senso, in una situazione
che
senso non ne aveva neanche un po’.
La loro bambina era morta.
Morta.
Morta.
Nessun altro pensiero riusciva a entrare nelle loro
menti.
Morta.
E davanti a questo strazio, Emily non ce la fece più.
“Mi dispiace…” disse tra le lacrime, e
corse via dalla
stanza.
Da quelle urla.
Da quel dolore.
* Dragomirești è una vera città della
Transilvania,
vera regione della Romania(vera terra di Dracula? Chi lo
sa…). Si trova davvero
vicino all’Ucraina e, se ho fatto i conti giusti, Rose compie
otto anni il 27 maggio
2014, mentre in Ucraina viene attuata, purtroppo, una vera rivoluzione,
che
porterà a molte troppe vittime morte per
davvero, e non solo in questa
fanfiction. Morti che restano morti.
P.S.: Se v’interessa saperlo, anche
Dragan è un vero
cognome rumeno.
Potete
dire e fare quello che volete, ma sappiate che sono straziata tanto
quanto voi!
E non solo per quello che avete appena letto(non picchiatemi!), ma
anche per
quanto tempo ci ho messo! Sì, perché noi
fanwriter non siamo mai felici di
ritardare nello scrivere un capitolo!
Detto
questo, cercherò di velocizzarmi, esami permettendo.
(Maledetto
Giovanni Gentile!! Ma se gli esami di maturità sono un
lascito del Fascismo, e
il Fascismo e stato rese illegale, perché esiste ancora!?!?)
Ringrazio
tutto coloro che mi stanno seguendo e che si fanno sentire, e spero che
questo
capitolo vi sia piaciuto!
Alexia96
|
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Capitolo 6 *** Il talento di Lily ***
6. Il talento di Lily
Il giardino della Tana mostrava il meglio di sé, in primavera: i fiori sbocciavano sul prato erboso, morbido come un cuscino; gli uccellini cantavano gioiosi, riempiendo l’aria di musica; persino i nani, di solito molto dispettosi, si sdraiavano sull’erba e oziavano in tranquillità.
Sarebbe stato un perfetto angolo di paradiso, se non fosse per un piccolo, quasi impercettibile, difetto: una bimba piangeva.
Nascosta tra le radici di un grosso albero, Emily poteva vedere il bellissimo paesaggio che da giorni sperava di poter ammirare, ma non la rallegrò come immaginava. Non poteva, non dopo la notizia che i suoi genitori erano morti.
Continuava a cercare di non pensarci, e immancabilmente i volti di sua madre e di suo padre spuntavano davanti ai suoi occhi, sfacciatamente felici e abbracciati l’un altro. E questo le portava altre lacrime, e altri lamenti, che però soffocava quanto più possibile. E quando riusciva a fermarsi, poteva sentire Hermione urlare il nome di Rose, straziata. Forse era quello, a farla sentire così male, pensò Emily. Il fatto che era morta una bambina, che doveva essere qui a festeggiare il suo compleanno, e che invece non avrà mai otto anni.
Mentre pensava tutto questo, sentì un tonfo vicino a lei, e una voce lamentarsi: “Ci mancava solo questa!”.
Emily riconobbe la voce e uscì dal suo nascondiglio. Harry, che doveva averla seguita, aveva il piede incastrato in una radice e sembrava non riuscisse a liberarsi. Rassegnato, alzò il capo e vide Emily poco distante.
“Emily, che cosa ci fai qui?” le disse “Potresti farti male”.
Emily non rispose. Harry, intanto, continuava a tirare la gamba per liberarsi, ma senza successo. La bambina allora andò verso di lui e, infilando le sue manine sotto la radice, riuscì a spostarla un poco, permettendogli di rimettersi in piedi.
“Grazie” disse Harry, e si sedette sulla stessa radice dov’era rimasto intrappolato. “Perché sei scappata?” domandò poi a Emily. La bambina continuò a non parlare.
“Non avere paura, non succederà nulla di brutto” la rassicurò Harry, ma fu lui a spaventarsi. Emily cominciò a tremare violentemente, come in preda alle convulsioni; impallidì di colpo, e vide i suoi occhi riempirsi di lacrime.
“I-io non c-ce la faccio a p-parlare” balbettò tra le lacrime Emily “N-non ci riesco, perché piango e…”.
Non riuscì a finire la frase perché era semplicemente troppo, per lei. Scoppiò a piangere, andando incontro al petto di Harry, che la strinse forte a sé. Si sfogò a lungo, bagnando completamente la camicia dell’uomo e impiastricciandola di muco.
Dopo dieci minuti pieni, Emily riuscì a calmarsi e a smettere di piangere.
“Mi scusi signor Potter, le ho macchiato la camicia…” mormorò Emily con la voce ancora roca dal pianto.
“Non preoccuparti, ormai è vecchia” la rassicurò. “E non chiamarmi signor Potter. Io sono Harry, solo Harry”.
Emily alzò lo sguardo verso di lui: le stava sorridendo ma gli occhi, verdi come mai li aveva visti, erano tristi e lucidi, quasi sul punto di versare fiumi di lacrime.
“Non è arrabbiato per quello che ho fatto?” domandò Emily, sinceramente preoccupata. Stava soffrendo molto in quel momento, ma ciò che veramente la angosciava era la convinzione di essere responsabile per quello che era successo.
“No, non sono arrabbiato, perché non credo che sia colpa tua” affermò Harry. La bambina lo guardò stranita, come se le sue parole fossero assurde o insensate.
“Ma Rose…”.
“Ora voglio che mi ascolti attentamente”. Prima di continuare prese un grosso respiro, ed Emily era certa che lo fece perché, nonostante volesse sollevarle il morale, anche lui aveva una voglia matta di piangere.
“Quello che è successo ai tuoi genitori e a Rose… è orribile, e tutti noi siamo tristi per questo. Voi due non sapevate quello che stava succedendo, sicuramente avevi capito che c’erano dei problemi, ma di certo non pensavi che ci fosse una guerra in corso. Se davvero vuoi un colpevole, prenditela con me”.
“Perché, tu sei buono…” cominciò a dire Emily ma Harry le parlò sopra: “Avevo il compito di fermare questa guerra, e non ci sono riuscito. Sono morte tante persone, tra cui mia nipote”. Harry fece una pausa e prese altri grossi respiri.
“Tu sei solo una bambina, non prenderti colpe che non hai”.
Restarono in silenzio per qualche minuto. Harry continuava a stringere Emily a sé, e lei si aggrappò con tutte le sue forze alle sue spalle, fino a quasi lacerargli la pelle.
“Che ne dici di tornare dentro?” propose Harry dopo molto altro tempo. Emily non sembrava entusiasta dell’idea.
“Non posso andare dentro, ci sono i signori Weasley, loro…”.
“Ron e Hermione sono stati distrutti quanto te da questa notizia, e come te si riversano colpe inutili, che non porteranno indietro chi è morto” continuò Harry. “Parlare insieme, forse, vi farà sentire meglio”.
Emily si prese qualche istante per riflettere, ma alla fine accettò la proposta di Harry. Entrambi si spostarono con cautela da sopra le radici dell’albero e si diressero verso la Tana. Passarono davanti alla finestra del salotto, dove vide gli altri ragazzi seduti e attenti ad ascoltare le parole di Ginny, che probabilmente stava spiegando il motivo di tutta quell’agitazione. Notò che mancavano solo Hermione, Ron e Hugo.
Superata la finestra, non si diressero verso la porta principale; invece, Harry portò Emily a una porta di servizio che li fece entrare direttamente in cucina. I due restarono fermi sulla soglia: Harry vide che anche Hugo adesso era in lacrime, abbracciato alla madre, e non riusciva a muoversi davanti a quella scena così straziante; Emily, dal canto suo, non riusciva a trovare il coraggio di avvicinarsi alla famiglia che aveva contribuito, anche se inconsapevolmente, a distruggere.
Fu solo perché Hugo spostò lo sguardo su di Harry che la situazione si sbloccò.
“Zio, che stai…”.
Smise di parlare quando vide accanto a lui Emily, diventando subito pallido. Anche i suoi genitori cambiarono in volto, mostrando qualcosa che la bambina non si aspettava di vedere: compassione.
“Ehi, Emily…” disse Ron, con un groppo in gola che trasformò la sua voce di solito allegra in un suono stanco, che sembrava provenire da lontano e non dall’uomo di fronte alla bambina; che entrò in cucina cauta, come se si aspettasse che scattasse un allarme per ogni suo movimento brusco.
Una volta di fronte ai tre, Emily credette di aver percorso una maratona, per come le batteva il cuore. Cercò di pensare a qualcosa di carino da dire, a delle scuse o alle condoglianze che di solito si usano in quelle occasioni. Solo una cosa, però, le sembrava giusta da dire in quel momento, in grado di riassumere tutto ciò che sentiva.
“Fa così male…”.
Un sussurro semplice, che arrivò dritto al punto, trasmettendo tutto il dolore non solo per la morte dei suoi genitori, ma anche per quella di Rose, e la paura per quello che sarebbe stata la sua vita dal quel momento in poi.
Emily era sul punto di scoppiare a piangere di nuovo, ma le lacrime non ebbero il tempo di attraversare le sue guance che Hermione la abbracciò stretta, seguita da Ron.
E subito dopo, Hugo scoppiò.
“Pevchè l'abbvacciate’” urlò il bambino, allontanandosi dai genitori. “È colpa sua se…”.
“Non ha più colpe di noi due, che non ci siamo nemmeno resi conti dello scambio” gli rispose Ron, asciugandosi le lacrime con le nocche della mano. Con quegli occhi gonfi e rossi, e il fatto che era piegato sulle sue ginocchia, sembrava anche lui un bambino da consolare.
“Non è vevo, Vose è morta pev colpa sua!”.
“Rose non è morta”.
Lily, che si trovava a metà strada tra il salotto e la cucina, si era fatta sentire da tutti quanti, guadagnandosi un sacco di sguardi scioccati e tristi.
“Tesoro” disse Harry, “so che è brutto quello che è successo, ma non devi mentire a tuo cugino su una cosa del genere”.
Lily rispose con un grosso respiro, e scosse la testa, come se si aspettasse quella risposta. “Non mento, io so che Rose è viva, solo che non so dov’è”.
Nessuno sembrava crederle, ma all’improvviso Emily scattò in aria, come se qualcosa di molto importante le fosse appena tornato in mente.
“Quel sogno…tu sapevi dello scambio!” esclamò indicandola. Dopo qualche attimo, lei annuì.
“Pensavo che non fosse ancora successo” spiegò. “A volte vedo cose segrete che sono già successe, a volte cose che ancora devono avvenire”.
“Aspettate, Lily è una veggente?!” esclamò George avvicinandosi alla bambina. Anche Ginny si avvicinò, e si mise accanto alla figlia.
“Lily, se stai mentendo…” incominciò Ginny ma la bambina la interruppe.
“Zio George e zio Ron scommettono su quale Casa di Hogwarts andremo, e so che entrambi sbaglieranno su Albus”.
“Ehi!” esclamarono i due interessati.
“Sai in quale Casa andrò?” domandò Al, sbucando da dietro lo zio.
“Sì, so in quale casa andranno tutti, tranne la mia” rispose Lily “Non so perché ma non riesco a vedere il mio futuro”.
Albus stava per fare un’altra domanda ma venne interrotto da Hermione: “E come sai che Rose è ancora viva?”.
Lily chiuse gli occhi e assunse un’espressione corrucciata, come se si stesse sforzando: “Mentre la mamma spiegava cos’era successo, io ho visto Rose che correva in un prato, e c’erano due signori che la chiamavano Emily”.
Emily rimase a bocca aperta.
“Ma quindi anche la mia mamma e il mio papà sono vivi!”. Appena pronunciò quelle parole sentì come se le avessero tolto un macigno da sopra le spalle. Ma Lily glielo fece ricadere addosso: “Non lo so, potrebbero anche essere altre persone, non ti lasciavano mai a casa di qualcun altro?”.
“Beh, sì, a volte mi lasciavano con qualcuno…” le lacrime stavano per tornare a rigare il suo volto ma durò solo per un secondo: “Con tuo zio Charlie! Lo avresti riconosciuto se era lui, no?”.
“No, non era lui!” esclamò entusiasta Lily. Se già la notizia che Rose stava bene aveva tranquillizzato tutti, con questa si era arrivati quasi a festeggiare. D’istinto Emily abbracciò Hermione. E d’istinto lei la strinse forte al petto
Boris aveva ancora un braccio fasciato, una caviglia slogata e la testa che non smetteva di girare ma nonostante tutto si sentiva estremamente felice: davanti a lui sua figlia e sua moglie si rincorrevano, e ridevano di cuore. Non aveva mai visto Emily correre così veloce, e vedere come Angel si sforzasse per starle dietro lo fece ridere di gusto. Purtroppo, anche le sue costole erano state strapazzate, e finì col trasformare le risate in gemiti di dolori.
“Ehi fenomeno, vedi di non sforzarti” disse Charlie, avvicinandosi a lui. Aveva con sé due bicchieri pieni di liquido ambrato, e ne porse uno a Boris.
“Mi conosci, io duro come roccia!” esclamò, prendendo subito dopo un bel sorso dal bicchiere.
“Sei stato letteralmente stritolato dalla mano puzzolente di un gigante, qualsiasi roccia si sarebbe trasformata in polvere, sei più duro delle scaglie di un drago!”.
Charlie non stava affatto esagerato. Nel momento in cui quel gigante aveva distrutto il loro tetto, riuscì ad attirare la sua attenzione e a permettere ad Angel ed Emily di scappare, ma non ebbe nemmeno il tempo di lanciare un incantesimo che il gigante lo aveva già afferrato; se sua moglie non avesse lanciato delle luci segnalatrici, probabilmente sarebbe diventato una marmellata d’uomo. Per fortuna, in pochissimo tempo gli altri membri della resistenza e gli Auror inglesi intervennero immediatamente.
“Ancora grazie per tua accoglienza, Rosso” disse dopo un po’ Boris, cercando di non pensare più a quel ricordo.
“Non dirlo neanche, sapete che il rifugio è aperto a chiunque abbia bisogno di un posto sicuro, non solo ai draghi” rispose Charlie; dopo un altro sorso continuò dicendo: “Almeno finché non vi trova il signor Wang… ma lo sai, con la vista che si ritrova basta mettersi a tre metri di distanza per non farsi beccare”.
I due risero, e continuarono a parlare tranquillamente, mentre poco più in là Emily e Angel continuavano a rincorrersi; a qualche centinaio di metri c’era l’edificio principale del rifugio per draghi, da dove venivano i rumori di decine di persone che lavoravano a pieno ritmo; e ancora più lontano, di fronte ai cancelli di pesante piombo che separavano i draghi dal mondo esterno, un centinaio di uomini erano in formazione d’attacco, attenti a sentire le parole dell’uomo in testa al gruppo.
“La donna mi serve viva. Uccidete tutti gli altri”.
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