Shall we dance? di LadyGrief (/viewuser.php?uid=29009)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Insetti o Cenone? ***
Capitolo 2: *** Semplicemente... Perché?! ***
Capitolo 3: *** Destino ***
Capitolo 4: *** Paura? ***
Capitolo 1 *** Insetti o Cenone? ***
DISCLAIMER: I
personaggi di questa fic non
mi appartengono (purtroppo), tutto quello scritto qui di seguito
è opera solo
della mia irrefrenabile fantasia. Spero gradirete questa mia cosuccia,
senza
pretese, apparte offrire un momento sereno alla mia amata coppia:
Sarah/Gil.
Buona
lettura e lasciate un commentino se vi va! ^^
LadyGrief
P.S.:
perdonatemi se il contesto della vicenda non rispecchia quello della
serie
televisiva
****
Erano le
19.00 del 31 dicembre. Era il giorno di San Silvestro, la Vigilia
di Capodanno, e
gli uffici della Scientifica di Las Vegas erano semideserti. Se c’era qualcuno
che si poteva ancora
scorgere all’orizzonte, sicuramente stava raccogliendo la
propria roba per
andar via.
Tutti,
tranne uno.
Seduto alla
scrivania, nel suo inquietante ufficio/laboratorio/museo di
Entomologia,
Gilbert Grissom era chino su delle scartoffie a cui nessuno avrebbe
dato retta
in quei giorni.
Tutti,
tranne uno.
Parevano
per lui di vitale importanza. Un tossicodipendente morto per overdose
nel suo monolocale,
una prostituta accoltellata in un motel, un barbone senza nome e via
discorrendo.
I turni
serali erano stati sospesi. Chi voleva poteva andare a casa e
prepararsi al
grande evento. Non si parlava d’altro da più di
una settimana.
L’uomo
posò la stilografica e si levò gli occhiali,
massaggiandosi gli occhi dolenti.
Voleva
distrarsi, doveva togliersi dalla testa quel caso, quella donna,
quell’uomo.
Poteva
forse esser stato un segno del destino? Un avvertimento magari? O forse
un
incitamento?
Gil non lo
sapeva. Per la prima volta, non sapeva. E ne era atterrito.
Le sue
meste parole rimbombavano ancora nella sua mente, come un disco
rotto… Parole
esplose dalla sua bocca silenziosamente, represse da troppo
tempo… Non poteva credere
di essersi confessato con un demone, con un assassino.
“E’
triste, vero dottore?
I maschi come noi. Uomini di mezza età che hanno permesso al
lavoro di
consumare la loro vita. L’unico momento in cui tocchiamo gli
altri è quando
portiamo i guanti in lattice. Un giorno ci svegliamo, e capiamo che per
50 anni
non abbiamo vissuto. Ma poi, d’un tratto, ci capita una
seconda chance. Una
donna giovane e bella, per cui proviamo qualcosa, ci offre un nuova
vita
insieme a lei. Ma abbiamo una grande decisone da prendere,
perché dobbiamo
rischiare tutto quello per cui abbiamo lavorato per averla. Io non ce
l’ho
fatta….Ma lei sì. Lei ha rischiato tutto e Debbie
le ha mostrato una vita
stupenda, vero? Ma poi se l’è ripresa, e
l’ha data a qualcun altro, e lei si è
sentito perso…così le ha preso la vita. Li ha
uccisi entrambi, e ora non ha
niente…”
Come aveva
potuto? Come aveva fatto a cedere, a crollare? Come aveva
potuto aprire la gabbia dei suoi sentimenti?
E poi il
peggio… Sarah, al di là del vetro-specchio della
sala per gli
interrogatori, aveva ascoltato. Ogni sua parola, ogni sua dannata
parola…
“Ero
dietro al vetro… Sono arrivata
in ritardo, ma per fortuna non mi sono persa il meglio.”
Quando
Sarah pronunciò quelle poche parole, Gil sentì il
suo mondo crollare. La sua
barriera di plexiglass, eretta in tanti anni di solitudine, di
ermetismo, di
tristezza, distrutta. Puff, tutto alla malora.
In quel
straziante momento della sua esistenza, non seppe che dire. Alla fine
il colpo
di grazia.
“Si,
ho sentito quello che dovevo
sentire e che tu avresti dovuto dirmi tempo fa… Non ad un
estraneo, ma a me
Gil! Come hai potuto?”
Non
capì
più nulla da quell’istante, o meglio,
capì e ne rimase sconvolto. Capì ciò
che
avrebbe dovuto capire da tempo, e capì anche che era troppo
tardi, ormai.
L’ultima
cosa che vide prima di fissare il pavimento con insensato interesse fu
il viso
di Sarah rigato dalle lacrime, dopodichè i passi affrettati
di lei lungo il
vialetto della sua casa. La sua vuota casa, piena di insetti.
E’
vero,
dopo un mese di tensione tra la giovane e lui, Sarah riconobbe che la
situazione era diventata infantile e propose di metterci una pietra
sopra, di
dimenticare. C’era determinazione nei suoi occhi, venata di
profondo risentimento,
e Grissom ne fu intimidito per un attimo. Ma alla fine
accettò, e ritornarono
alle origini. Erano di nuovo colleghi.
Nelle
settimane che seguirono, l’uomo finalmente (e sfortunatamente
anche) riuscì a
capire cosa Sarah aveva patito fino ad un mese prima. Bè,
ora toccava a lui.
Il bussare
alla porta lo riscosse dalle sue cupe elucubrazioni. Era Catherine
Willows.
-
Disturbo, Gil? – chiese la donna educatamente, rimanendo
sulla soglia.
Nonostante fossero amici di vecchia data, Grissom era pur sempre il suo
supervisore.
L’uomo
abbozzò un sorriso.
- Certo
che no, Cath. Entra pure. –
Entò
circospetta. Quell’ufficio le incuteva sempre un
certo… disagio. E Gil lo
sapeva bene.
- Non ti
abituerai mai la mio ufficio, vero? – disse ironico.
- No,
credo proprio di no! – rise. Notando poi le cartelle sulla
scrivania, Catherine
restò interdetta.
- Che ci
fanno quelle lì, Gil? –
Grissom
assunse un’espressione di puro stupore.
- Ehm, le
sto controllando e firmando, forse? E’ la parte noiosa del
mio lavoro. –
La donna
mise le mani sui fianchi. Ecco che si preparava la tempesta…
- Non
scherzare, Gil! Non osare dirmi che rimarrai qui, a marcire con i tuoi
dannati
insetti, durante l’ennesima Vigilia di Capodanno! E il
Cenone?! Gil per una
volta, fa uno sforzo, per l’amor del cielo! –
Era
davvero esasperata. Incredibile voleva farlo di nuovo! Ogni anno la
stessa
storia, ma se pensava di scamparla anche sta volta, aveva sbagliato di
grosso.
L’espressione
sul volto dell’uomo si fece meno rilassata, più
seria.
-
Catherine, per favore, ne abbiamo già parlato. Non sono
fatto per le occasioni
mondane, lo sai. –
- Gil
questa non è la solita “occasione
mondana”! E’ la TUA occasione! Sam ha
messo a
disposizione del Distretto la sala ricevimenti del suo
casinò (uno dei maggiori
del Nevada, non so se mi spiego) per l’annuale Cenone di
Capodanno come segno
di riconoscenza per averlo scagionato dall’accusa di
omicidio, capisci?? Non il
solito desolante buffet preparato nella Sala Congressi
all’ultimo piano con
l’immancabile ascensore fuori servizio! Non puoi mancare,
sarà perfetto! –
Gil
sospirò.
Sapeva dove voleva andare a parare… Ma lui non voleva, non
se la sentiva.
-
Catherine, ascolta. So che stai facendo questo per me, e ti ringrazio
infinitamente. Ma è tardi ormai. E’ tutto finito,
o meglio, non è mai iniziato
nulla. –
Si agitava
sulla sedia, come fosse irta di spine. Certi discorsi lo mettevano
terribilmente a disagio, nonostante sapeva di avere davanti una persona
fidata.
Una sua amica… L’unica, probabilmente.
-
Può
iniziare adesso se lo vuoi, Gil! Perché devi sempre rendere
difficile anche le
cose più semplici, più… più
naturali! L’amore non è una malattia, non devi
curarti! Devi solo… lasciare che ti prenda… -
L’uomo
sapeva che Catherine aveva ragione. Tremendamente ragione.
Abbassò lo sguardo
su quegli stupidi, inutili fascicoli.
Quando ella
vide il suo viso quasi invecchiare sotto il peso della tristezza, la
sua
iniziale rabbia svanì.
Gil…
Ce ne
aveva messo di tempo per capirlo, o meglio, capirlo in parte, e
soprattutto
c’era voluto tempo perché si fidasse di lei.
Sapeva che era l’unica a cui
permetteva di vedere il vero Gilbert Grissom, al di là della
sua usuale
maschera di integrità, di rigore, di compostezza. Vedere il
fragile Gilbert
Grissom, tormentato dai dubbi e dalle emozioni.
Si
avvicinò alla scrivania e vi appoggio con delicatezza le
mani, portandosi poi
alla stessa altezza del viso di lui.
-
Gil… -
pronunciò con voce materna, nonostante fosse più
giovane di lui, ma anche più
forte.
Fece finta
di non ascoltare.
“Ecco
il
Grissom bambino…povera me…”
pensò Catherine.
-
Gil… Gil,
per favore, guardami. –
Egli si
costrinse a sollevare lo sguardo.
- Gil ora
ascolta tu me… Sarah merita la felicità. E la
meriti anche tu. La felicità per
lei sei tu, e lei lo è per te, lo sappiamo entrambi, non
negarlo anche a te
stesso. E’ tutto qui, non c’è
nient’altro da aggiungere, e bada a non rovinare
tutto un’altra volta.
Stasera è la
tua seconda possibilità, l’ultima. E’ un
diritto di cui godono tutti, non
privartene. Non fare stronzate.
–
Si rimise
diritta e si avviò verso la porta dell’ufficio.
-
Catherine, io non… - iniziò, cercando un
disperato appiglio, pur di non
affrontare la realtà.
- Taci
Gil! Và a casa, fatti una bella doccia, mettiti qualcosa di
elegante (se non
hai nulla, cosa che temo, passa da me e ti do uno degli abiti che Eddie
ha
gentilmente lasciato a casa) e alle 22.00 spaccate voglio vedere la tua
regale
persona al tavolo riservato alla Scientifica. –
I suoi
occhi verdi erano infuocati. Gil dovette arrendersi.
-
D’accordo. – si limitò a rispondere.
La donna
sorrise soddisfatta.
- Vedi
come è tutto più semplice quando collabori? Mi
chiedo perché i sospettati non
vogliano farlo mai! Bene, a stasera allora. – e
oltrepassò la soglia con una
strizzata d’occhio.
Gil
deglutì, tremendamente agitato. Le serate
mondane (checché ne volesse dire Catherine, quella lo era)
lo mandavano nel
panico più totale. Era bravo a trattare tarantole velenose,
insetti di ogni genere,
serial killer, assassini spietati, cadaveri in qualsiasi orribile
stato, ma se
c’era qualcosa in cui aveva sempre fatto fiasco era
relazionarsi con gli altri.
E i risultati, lo sapeva, erano evidenti.
Allora che ve ne pare?
Lasciatemi un commentino se vi và, aggiornerò la
settimana prossima ugulamente, ma spero di trovare qualche
recensioncina prima... ^^
A presto, ciauz!
LadyGrief
|
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Capitolo 2 *** Semplicemente... Perché?! ***
Rieccomi,
come
promesso! Prima però, mando un GRAZIE speciale a leida
e Beva che
sono state così gentili da lasciarmi un commentino
(grazie!), e naturalmente
ringrazio anche chi ha letto la storia e basta.
Dunque, non
avendo
nient’altro da aggiungere (apparte il leggero dubbio che
abbia reso Sarah un po’
OOC, fatemi sapere se è così e
rimedierò), eccovi il secondo capitolo.
Buona lettura
e
recensite, please! (non siate timidi…^^)
LadyGrief
****
Fissava
maniacalmente l’armadio
spalancato da
più di mezz’ora, mordicchiandosi nervosamente
l’unghia del pollice destro.
Sarah
Sidle era nel pallone.
Perché
aveva promesso a Catherine che sarebbe andata? Perché?
Ultimamente,
non era molto in vena di festeggiamenti… Inoltre, dopo
l’ultima esperienza con
l’alcol, avrebbe anche dovuto lottare tutta la sera per non
esagerare col vino
e lo champagne.
La serata
(meglio nottata) non preannunciava nulla di buono. Almeno sapeva che
Grissom
non ci sarebbe stato. Lui odiava le occasioni mondane, o comunque
qualsiasi
cosa prevedesse contatti umani fuori dal lavoro.
Sbuffò
esasperata. Aveva deciso di non pensare più a lui, di
ricominciare. Ma già
prima di formulare questo suo proposito, sapeva che sarebbe risultato
tutto
vano.
Ed ora era
lì, con solo la vestaglia, alla disperata ricerca di
qualcosa da indossare.
Qualcosa che fosse adatto all’occasione, s’intende.
Sarah non
si poteva definire proprio femminile.
Insomma, era una tipa acqua e sapone, tutto qui. Non aveva gonne, solo
jeans e
pantaloni di ogni genere, magliette semplici, senza scollature
vertiginose o
esageratamente attillate. Molte camicie, perché le adorava
immensamente.
- Argh!
Maledizione! – si ritrovò ad inveire contro
l’armadio.
- Un
secondo, ragioniamo. Se continuo a fissare l’armadio non
è che il vestito giusto
salterà tra le mie braccia! Devo calmarmi, dopotutto chi se
ne frega di questo
dannato Cenone! – disse con una risatina nervosa.
Iniziò
dunque a scorrere tra i suoi abiti, uno ad uno.
Niente.
Neanche uno straccio di gonna, o comunque qualsiasi cosa lontanamente
elegante.
Abbattuta,
si lasciò cadere all’indietro sul morbido
materasso. Non poteva andarci, era inutile.
Ora almeno aveva una scusa concreta! Avrebbe chiamato Catherine,
sarebbe
apparsa molto dispiaciuta, e le
avrebbe spiegato tutto. Si, era la cosa migliore da fare.
Stava per
afferrare il portatile sul comodino, quando la sua attenzione fu
catturata da
una grossa scatola bianca sul ripiano superiore dell’armadio.
Corrugò
la
fronte nello sforzo di ricordare cosa contenesse.
Nulla,
vuoto totale.
La
curiosità vinse e, lasciato il telefono, prese la scatola.
Non era molto
pesante, ma la maneggiava come fosse un ordigno pronto ad esplodere.
L’appoggiò
delicatamente sul letto e l’aprì.
Quasi le
vennero le lacrime agli occhi quando capì cosa si nascondeva
sotto gli strati
di carta velina: era il vestito indossato al matrimonio di suo fratello
James
sette anni fa.
Non
ricordava di averlo conservato…
Lo
tirò
fuori e, dopo averlo osservato a lungo, lo poggiò sul petto,
guardandosi allo
specchio di un’anta dell’armadio.
Era
davvero stupendo… e pensare che fu proprio la sua attuale
nuora ad aiutarla a
scegliere! Sarah non se n’era davvero mai intesa di vestiti.
Ricordava
bene quel giorno… Non aveva mai visto suo fratello
così raggiante. E lo era
anche lei, era una vera gioia sapere che James aveva trovato la
felicità. Poi
Lizzy, sua attuale moglie, era una donna davvero in gamba, le era
sempre
piaciuta, fin da quando gliel’aveva presentata il giorno del
loro fidanzamento
ufficiale.
Dopotutto…
la sua famiglia erano solo Sarah e suo fratello maggiore Phill, che
però viveva
a New York da tempo, ma non mancò di certo al suo
matrimonio.
Il faro di
James era sempre
stata Sarah, una
sorella, una madre, un’amica… Aveva fatto di tutto
per proteggerla, fin da
piccoli, e l’avrebbe fatto sempre.
Una
lacrima leggera le scese sul volto, mentre sorrideva allo specchio,
immersa nei
ricordi.
Pensare al
suo “piccolo” Jimmy (come lei adorava chiamarlo da
bambino, attualmente alto 1,90 m) le aveva messo
il
buon umore.
Ma il
problema era un altro: le sarebbe mai entrato quel vestito dopo sette
anni?!
Iniziarono
a sudarle le mani. Per una donna, tirare fuori vecchi indumenti e
scoprire che
non si chiude la zip è a dir poco distruttivo E’
la peggiore batosta possibile
per l’autostima femminile.
Però
il
vestito era davvero una meraviglia, ricordò i complimenti di
suo fratello
quando la vide arrivare.
“Wow
Sarah, se non fossi mia
sorella pianterei Lizzy e scapperei via con
te! Sai dovresti vestirti così più
spesso!”
Le
sfuggì
una risatina. Si, sapeva di avere un bel corpo, di potersi considerare
bella,
ma non era nel suo stile mettersi così in ghingheri.
Preferiva passare
inosservata.
Chissà
come avrebbe reagito nel vederla…
- Stupida
Sarah! Grissom non verrà, che ti salta in testa! –
Guardò
l’orologio: già le 21.00.
- Cazzo!
–
fu il suo unico commento. Arraffò il vestito e la biancheria
che aveva
preparato sul letto e si fiondò in bagno, facendosi il segno
della croce.
Dopo circa
mezz’ora era di nuovo davanti allo specchio
dell’armadio, stupita.
Non
solo il vestito le entrava ancora, ma doveva
riconoscere di essere un vero… schianto.
Era color glicine, che sfumava man mano verso l’orlo,
semplice, senza luccichii,
paiette o altra roba pacchiana, la scollatura le ricadeva morbida sui
bei seni,
lasciando scoperte le spalle e le braccia sottili. Inoltre il
particolare
colore del vestito, così delicato, creava un meraviglioso
contrasto con i suoi
lisci capelli scuri e il suo volto forte. Non c’erano dubbi,
Jimmy c’aveva
azzeccato: WOW!
|
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Capitolo 3 *** Destino ***
****
- Tesoro,
ti dispiacerebbe andare a vedere chi è? Mi sto vestendo!
–
Una bimba
sugli otto anni alzò gli occhi dal suo Top Girl (una
ragazzina molto precoce) e
lo ripose sul comodino accanto al suo morbido letto fucsia.
- Si
mamma, ora vado! – rispose con voce allegra. Aveva
già visto dalla finestra
della sua stanza chi mai bussava alla loro porta a quell’ora
e soprattutto alla
Vigilia di Capodanno.
Fece
così
di corsa le scale, con un sorriso stampato in volto.
- Ciao zio
Gil!!! Da quanto tempo!!! – e senza dare all’uomo
nemmeno il tempo di
rispondere al saluto, le si avvinghiò al busto.
Grissom
rise divertito.
- Ciao
Linsday, anche per me è un piacere rivederti! – e
le sorrise dolcemente.
La bambina
si staccò da lui, ridendo.
- Sai zio
Gill, mi sa che hai messo su un po’ di pancetta!
L’ultima volta riuscivo ad
abbracciarti più facilmente! –
L’uomo
portò automaticamente lo sguardo sul suo ventre, sorridendo
di sbieco.
- Eh si,
lo so piccola! Zio Gil sta diventando vecchio e flaccido! –
la buttò
sull’ironia, ma in fondo la sua voce era velata di
consapevolezza. Gli anni
cominciavano a farsi sentire sul serio.
Linsday
però corrugò la fronte e Gil per un attimo vide
Catherine davanti a sé.
- Ma che
dici zio Gil, non sei affatto vecchio! Sei solo un uomo che ha
raggiunto la
mezz’età, e poi sei ancora affascinante, lo dice
sempre anche la mamma! –
Grissom
rimase un po’ interdetto.
-
Oh… Bè,
grazie Linsday! Comunque, dimmi, la mamma è in casa?
–
(Dal piano
di sopra) – Lins, chi è? –
La bimba
si voltò verso le scale.
- Come
stavo per dirti, è di sopra. – disse guardando
l’uomo con una faccia… professionale
– E’ zio Gil mamma!! –
-
Immaginavo, scommetto che non ha trovato nemmeno uno straccio di abito
nel suo
desolato armadio!– rispose Catherine ridendo. Anche la
bambina fece una
risatina, mentre Grissom si finse offeso.
- Ehi,
guarda che ci sento anche io! Ebbene sì, è
così! – urlò di rimando.
-
Accompagnalo su, Linsday! –
La piccola
sfoderò un sorriso a trentadue denti, prendendo per mano
Grissom.
- Andiamo
zio Gil! Vedrai mamma che bel vestito si è messa! Sembra una
principessa! -
- Lo
supponevo. Tua madre è sempre bellissima… e
ovviamente, tu sei proprio come
lei! –
- Si, lo
so zietto! – disse la piccola soddisfatta.
Piccola
poi.
Gil si
chiese se potesse davvero chiamarla ancora
“piccola”.
Si
fermarono davanti ad una porta socchiusa.
- Aspetta
un attimo qui, zio Gil, vedo se mamma è ancora in
desabiliè! (si scrive così??
boh… Ndme) – e si intrufolò nella
stanza con un sorrisino furbo, lasciando
Grissom senza parole.
Come
diamine passava il tempo…
Cath che
iniziò ad avere problemi con suo marito Eddie, la gravidanza
indesiderata,
l’alcol e la droga, sembravano ora così lontani,
ricordi insignificanti.
Lei e
Linsday erano felici adesso. La mancanza di una figura paterna certo si
faceva
sentire ogni tanto, ma a loro andava benissimo anche così.
“E poi c’è sempre
zio Gil!” esclamava sempre la vocetta allegra della bambina
quando la madre era
giù di corda. Tornava il sorriso ad entrambe.
Che ci
fosse qualcosa tra i due?
No, nulla
del genere. Solo un fortissimo affetto, che i più malevoli
tramutavano in
“storia”.
No, non
c’era una “storia” tra il supervisore e
la sua vice.
Amicizia.
Tutto qui, semplice.
Grissom
tese le labbra in un sorriso ironico: aveva capito che
l’amicizia era un
sentimento semplice, ma l’amore ancora no, benché
il confine fosse davvero
sottile. E lui l’aveva oltrepassato eccome, ma non con
lei…
- Entra
zio Gil! –
La bambina
aprì la porta con fare teatrale, saltando poi sul letto con
un agile balzo.
Dal grande
armadio spalancato emerse Catherine, depositando uno smoking su di una
poltroncina.
Grissom
non potè non notare la sua eleganza e la sua bellezza,
chiedendosi come Eddie
poteva essere stato così stupido da lasciarsela scappare.
-
Accidenti, Cath, stai benis… -
- Bando
alle ciance Gil! – esclamò la donna –
Sono già le 21.00 e tu sei ancora lì con
i tuoi stracci! –
L’uomo
alzò un sopracciglio e si guardò un attimo i
vestiti.
-
Ma… che
hanno di male, sono gli stessi che avevo al lavoro stamattina.
–
- No, Gil,
sono gli stessi che hai dal turno di IERI sera, visto che decidesti di
trascorrere la notte in laboratorio! – rispose stizzita.
Grissom
sgranò gli occhi, mentre Linsday si godeva la scena
ridacchiando.
- Davvero?
– non faceva nemmeno caso a quando trascorreva la notte fuori
di casa…
Sospirando:
- Sì, Gil… -
-
Oh…
Allora se le cose stanno così… Non è
che potrei farmi una doccia veloce? –
Se fosse
stato un anime giapponese, ora si sarebbero viste Linsday e Catherine
cadere a
gambe all’aria.
- Diamine
Gil, fai in fretta! Gli asciugamani puliti sono nel mobile sotto il
lavandino…
- e detto questo si scansò per fargli raggiungere il bagno.
- Grazie,
sei una angelo! –
Lei lo
guardò
ironico.
-
Bè…più o
meno. – e chiuse la porta dietro di sé.
Madre e
figlia si fissarono per qualche secondo, scoppiando poi a ridere.
****
Ore 21.30.
Dall’altra
parte della città, in un quartiere di villette praticamente
tutte uguali,
destava particolare interesse una di queste.
Era
l’unica nella quale non si udivano schiamazzi di bambini,
risa di adulti un po’
brilli, vociare di famiglie troppo numerose, non si vedeva nessuno
nemmeno sul
tetto, intento magari a sistemare i fuochi d’artificio per la
fatidica ora X.
No, niente
di tutto ciò. Casa silenziosa e luci spente.
Era dal
garage che provenivano segni di vita. Segni, anzi, di qualcuno
piuttosto
innervosito.
Una
giovane donna, alquanto attraente, girava con forza e decisione la
chiave nella
sua apposita fessura, ma senza ottenere alcun risultato.
L’auto singhiozzava
per pochi attimi, poi sbuffava e si spegneva. A quanto pare, anche lei
non
aveva voglia di lavorare. Insomma, era o non era la Vigilia
di Capodanno?!
-
Dannazione, vuoi partire?! Cristo! - ringhiò,
sbattendo le mani sul volante.
Si sentiva
già leggermente a disagio al pensiero di ciò che
si accingeva a fare (un
cenone, ma che le era saltato in mente?!), ci mancava anche quella.
E dire che
si era agghindata di tutto punto, andando contro tutti i suoi principi
di
sobrietà e invisibilità. Insomma, già
sentiva mille occhi puntati su di sé
(ricordo a tutti che si trovava nel garage), figurarsi una volta
arrivata a
destinazione.
Santo
cielo, se ne stava rendendo conto solo in quel momento.
Superfluo
dire che fu presa dal panico, e la sua rabbia per l’auto
capricciosa era
improvvisamente svanita.
- Bene, a
quanto pare il destino non vuole che vada alla
“festa”! Benone! – disse al
nulla.
Uscì
dall’auto, tirò fuori dalla borsetta il cellulare
ed si diresse verso il
vialetto, dove c’era campo. Compose velocemente un numero e
avvicinò
l’apparecchio all’orecchio, mentre si stringeva
meglio nel cappotto scuro.
****
- Insomma,
Gill, ma quanto ci metti?! –
- Ancora
qualche minuto! – rispose una voce maschile da dietro una
porta.
- Vorrei farti notare,
principino, che sei lì
dentro da più di mezz’ora! –
La donna
scese dal letto su cui era stesa e si piazzò davanti alla
porta del bagno con
le mani sui fianchi.
- Ti
assicuro che se farò ritardo per colpa tua, e io ODIO
arrivare in ritardo, le
tue preziose chiappe – qui Linsday rise –
festeggeranno l’anno nuovo sul tavolo
del dott. Robbins! –
- Ho
capito Cath, ho capito! –
Catherine
si lasciò cadere nuovamente sul letto.
- Sai
mamma, così rischi di sgualcire il vestito! –
Le sorrise
dolcemente: - Hai ragione tesoro…- mettendosi poi a sedere.
Con un
po’
di esitazione, la bambina le si accostò.
- Mamma,
posso farti una domanda? –
- Certo
amore, dimmi. –
- Ma tu
ami zio Gil? –
Catherine
rimase spiazzata. Non si aspettava una domanda del genere,
così di punto in
bianco!
-
Bè,
voglio molto bene a zio Gil, tesoro, ma… Non sono innamorata
di lui, no… -
disse incurvando un po’ le labbra rosse.
-
Però tu
e lo zio vi vedete spesso e quando lui sta con noi tu sei felice,
magari se lo
sposi e sta sempre con noi sei felice sempre… -
incalzò la bimba, guardandosi
le mani.
La donna
capì il perché di quella domanda…
- Oh
tesoro, ma non devi pensare che sono felice solo quando viene a
trovarci lo zio
Gil! – esclamò, stringendola a sé
– La mia felicità sei tu… -
- Davvero?
–
- Certo!
Parola! –
La piccola
rise.
-
Però
potresti sposarlo lo stesso lo zio Gill… - era il suo
desiderio segreto.
- Linsday,
io e lo zio Gil siamo solo grandi amici. Ti spiego una cosa, e
ricordala
sempre: da una forte amicizia nasce solo un debole amore. Riesci a
capirmi? –
- Si,
mamma…- rispose mesta. Era arrivato il momento di rinunciare
al suo sogno.
Catherine
si accorse che la situazione stava prendendo una triste piega, e decise
di provvedere.
- E
poi…-
disse con tono misterioso – lo zio Gil è
già innamorato… -
- Dici
davvero? Lo zio Gil?! – esclamò la bambina.
- Sssh!
–
l’ammonì indicando la porta.
- Ah
già…
E di chi è innamorato? –
- Di una
ragazza molto carina e molto speciale. –
-
Più
bella e più speciale di te?! –
-
Bè, per
lo zio Gil sì. –
-
Mmm… Non
deve capirci molto di donne lo zio! – disse ridendo.
- Si,
infatti! –
Tra le
risa generali, squillò improvvisamente il cordless sul
comodino.
- Ma chi
diamine… - afferrò l’apparecchio
– Pronto? –
La bambina
ascoltava curiosa.
- Ciao
Sarah, dimmi, che succede? –
-
Catherine, non posso esserci al Cenone…Mi dispiace.
–
- Che vuol
dire che non puoi, qual è il problema? –
-
Bè…-
esitò – Ecco non parte la mia auto. Non posso
certo arrivare fino al casinò a
piedi. -
- Che
guaio… No, non mi va, deve esserci tutta la squadra!
–
- Lo so,
Catherine, ma davvero, è mezz’ora che provo a
metterla in moto eppure niente…
Davvero, mi spiace molto… - disse cercando di apparire il
più dispiaciuta
possibile. Ormai era fatta!
In quel
momento, Grissom uscì dal bagno.
- Diavolo,
Cath, aiutami con questo aggeggio infernale… - disse, mentre
lottava con il
farfallino dello smoking.
Catherine
stava per dirgli di aspettare un attimo, ma ebbe
un’illuminazione. Una favolosa
illuminazione.
-
Tranquilla Sarah, verrai a quel Cenone. Ho trovato la soluzione. Tu
resta lì. –
-
Ma… -
Sarah, non ebbe il tempo di aprire bocca, che dall’altro capo
la donna aveva
riattaccato.
-
Maledizione! – inveì. La cosa le puzzava.
****
Certo, la cosa
puzza eccome, che ne
dite?XD Spero che la storia vi stia interessando, mando un GRAZIE a chi
a
recensito e a chi ha dato una sbirciatina a questa storiella. Scusate
se sono
breve, ma è già un miracolo se sono riuscita ad
aggiornare!
A presto!
LadyGrief
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Capitolo 4 *** Paura? ***
****
Un sottile
bip del cordless e la comunicazione fu interrotta. Due sguardi
complici, due
smaglianti sorrisi, due angeli inquietanti.
- Le
vostre facce mi spaventano. – esordì con tono
calmo Gil Grissom, mentre quasi
si annodava le dita in mezzo al papillon dello smoking.
Il piccolo
cherubino portò una mano davanti alla bocca per soffocare le
risa, mentre
l’altro angelo biondo si alzò dal letto suadente.
- Le
nostre? E perché mai! Come sei sospettoso, ma ti comprendo,
deformazione professionale…
-
Un passo.
Un altro.
- Il mio
sesto senso – rispose l’uomo fissando il farfallino
riflesso nello specchio – è
in pieno all’arme, e io do sempre ascolto al mio istinto!
–
Catherine
e Linsday lo fissarono con occhi di fuoco.
Si rese
conto di averla detta grossa.
-
Bè, sì,
quasi sempre… qualche volta. Ok, d’accordo, mai!
Confesso. Ora perché non
sputate il rospo anche voi? –
- Innanzi
tutto – disse la donna mettendosi davanti a lui –
fammi sistemare questo
farfallino prima che tu ci rimetta le dita… -
-
Grazie…
- rispose con sollievo.
Pochi
agili passaggi e il papillon ribelle fu domato.
-
Perfetto. –
- Si, zio
Gil, stai benissimo! Lo smoking di papà ti fa più
giovane! –
Grissom
rise.
- Lins!
–
la rimproverò la madre.
- Lascia
stare Cath, ha detto solo la verità! –
La donna
affondò i suoi occhi verdi in quelli azzurri di lui.
-
Già,
come dovrebbero fare TUTTI d’altronde. –
Touchè,
Gil
pensò l’uomo.
- Ora,
tesoro, va in camera tua a metterti quel bel vestito che abbiamo scelto
ieri,
poi raggiungimi giù in salotto, ok? –
- Va bene
mamma, ci vediamo zio Gil! – e con
l’agilità di uno scoiattolo saltò
giù dal
letto e corse in camera sua.
- Raggiungimi?
Ci vediamo? Cos’è siete in partenza? –
domandò sorpreso.
Catherine
fece finta di nulla, dirigendosi in bagno per sistemarsi il trucco.
- Cath,
cosa significa? –
- Cosa
significa cosa? –
- Non far
finta di nulla, perché Linsday ha detto che ci
vediamo zio Gil? –
Il suo
tono di voce controllato di poco prima iniziò a vacillare.
- Ah,
giusto. Devi andare a prendere Sarah. La sua auto a quanto pare (a
differenza
di qualcuno di mia conoscenza) ha deciso di prendersi un giorno di
ferie. –
Grissom
rimase a bocca aperta. Se fosse stato possibile, la sua mascella
sarebbe
arrivata sul pavimento.
- Puoi
ripetere, scusa? –
La donna
riavvitò il mascara e lo poggiò sulla mensola,
stizzita.
- Insomma,
Gil, non è difficile: tu ora esci da qui, scendi le scale,
apri la porta,
attraversi il vialetto, sali sulla tua auto, metti in moto, arrivi in
fondo
alla strada, imbocchi la prima a destra, sempre dritto, poi di nuovo a
destra,
percorri la rotonda, a sinistra, superi il parco, imbocchi la 5a
strada
fino al numero 120, parcheggi l’auto, scendi, bussi alla
porta, carichi Sarah
in macchina, rimetti in moto e raggiungi il casinò. Conosci
la strada. –
Gil non
sapeva cosa rispondere. Sbatteva le palpebre inutilmente, come per
risvegliarsi
da un incubo.
Poi
iniziò
a ridere. Era il suo modo per riprendere coscienza della situazione.
Gli
bastava ridere un po’, e riacquistava il controllo.
Era
un’abitudine, però, che Catherine ancora non
conosceva. Rimase, perciò,
spiazzata.
- Non ci
trovo niente da ridere, Gilbert. –
Nessuno lo
chiamava mai con il suo nome completo. E quando a farlo era Catherine,
non
significava niente di buono. Si sforzò, allora, di darsi un
contegno e di porre
fine a questa sua bizzarra abitudine.
-
Eh-ehm…
Scusa Cath. Si, infatti, non c’è niente da ridere,
la mia non era una risata di
divertimento! Che diamine ti è saltato in mente?
Sembra… sembra quasi che tu lo
faccia apposta per mettermi in difficoltà, per farmi
scappare via di nuovo, come
ho fatto in tutti questi anni! –
La donna
non l’aveva mai visto così…
così… stanco.
Per un
momento quasi si addolcì, stava quasi per dirgli che sarebbe
andata lei a
prenderla. Ma non poteva, non doveva. Era lui
a doverlo fare. Non sapeva darsi una spiegazione, ma sentiva
che era ciò
che andava fatto.
-
Perché Cath?
Perché vuoi che mi faccia del male? Perché?!
– le gridò praticamente in faccia,
prendendola per le spalle. Lei non si ritrasse, la sua non era rabbia,
ma
paura. Gli prese con delicatezza le mani, rigide e fredde come il
marmo, e le
avvolse nelle sue.
- Non
voglio farti del male, Gil. Voglio solo fare di te un uomo.
Va a prenderla e bussa alla sua porta non come il suo
supervisore, non come il suo capo, non come un uomo con
vent’anni più di lei,
ma come Gilbert Grissom. Meglio ancora come Gil e basta. –
Entrambi
abbozzarono un sorriso.
- Fa che
sia tu ad andarla a prendere, e non qualcun altro. –
Gil
sollevò gli occhi dal pavimento e Catherine vide i suoi
occhi cerulei brillare.
- Ci
vediamo in sala. –
****
Tac
– tac –
tac – tac. Pausa. Tac – tac – tac
– tac. Pausa.
Due paia
di tacchi andavano su e giù nel salotto. L’unico
ritmico rumore che infrangeva
il dolce silenzio. Sarah di solito amava ascoltare ciò che
aveva da dirgli, ma
in quel momento stare ferma le risultava un’impresa titanica.
Perché
Catherine
aveva interrotto la comunicazione in quel modo? E poi, che diamine
significava che
aveva trovato la soluzione? Queste domande affollavano la mente di
Sarah, rendendola
estremamente ansiosa e agitata.
Tac
– tac –
tac – tac- Pausa. Tac – tac – tac
– tac. Pausa.
Che
volesse mandare la limousine del casinò?! Avrebbe fatto
un’entrata in scena
troppo appariscente per i suoi gusti! No, improbabile…
Tac
– tac –
tac – tac. Pausa. Tac – tac – tac
– tac. Pausa.
Oh
no…
forse… Forse voleva mandare Grag a prenderla! Quel ragazzo
è completamente
cotto di lei, sarebbe disposto anche ad attraversare tutto il Nevada!
Avrebbe
flirtato con lei lungo l’intero tragitto da casa sua al
casinò… No, Catherine
non le farebbe mai una cosa del genere, non la metterebbe mai in
imbarazzo
volutamente. (-_-‘ Ndme)
Tac
– tac –
tac – tac. Pausa. Tac – tac – tac
– tac. Pausa
Forse…
e
se fosse successo come tanti anni fa, al ballo del liceo? Se avesse
aspettato tutta
la notte invano, seduta in salotto a fissare la porta, sperando che da
un
momento all’altro piombasse il suo principe azzurro per farle
da cavaliere? Da
allora decise di non credere più alle favole. Dopotutto, la
sua vita non lo era
mai stata.
Tac
– tac –
tac – tac. Pausa. Tac – tac – tac
– tac. Pausa
****
Non si era
minimamente accorto di sfiorare i 100 km/h.
La strada la vedeva quasi appena,
quel tanto che bastava per non finire sui marciapiedi. Strabiliante
come Las
Vegas sembrava una città fantasma quella notte! Gil
stringeva convulsamente le
mani attorno al volante, le nocche erano livide ormai.
Perché
era
così agitato? Perché sentiva le budella
attorcigliarsi sempre più man mano che
si avvicinava alla fatidica meta?
La sua
mente razionale non riusciva a trovare una risposta. O meglio, non
voleva.
****
- Su,
Linsday, sali in macchina che è tardi! –
- Eccomi,
mamma.
–
Allacciarono
le cinture, poi Catherine mise in moto e si avviarono.
-
Mamma… -
- Dimmi
tesoro. –
- Alla
fine lo zio Gil è andato a prendere la donna con cui hai
parlato al telefono,
vero? –
Cath
alzò
un sopracciglio, sorpresa.
- E tu
come fai a saperlo? –
- Mamma,
non sono mica stupida! L’avevo capito subito, quando hai
detto che avevi
trovato la soluzione!–
-
Complimenti, tesoro, sei una perfetta erede! Anzi, potresti diventare
il mio
capo un giorno! –
- Contaci,
mamma! –
Sorrisero,
il pensiero di entrambe andò a Gil, chiedendosi cosa avrebbe
combinato.
****
Uno
stonato accordo di DO le fece storcere il naso. Non riusciva nemmeno a
suonare
il suo adorato pianoforte. Era straziante non poter ingannare il tempo!
Risistemò il copritasti in velluto e richiuse con
attenzione. Era il suo
fragile cristallo. Rimase seduta sullo sgabellino, ripensando alle
parole di
Catherine al telefono.
Che
guaio… No, non mi va, deve
esserci tutta la squadra!
Bè,
che
non si sarebbe opposta era impossibile…
Tranquilla
Sarah, verrai a quel
Cenone. Ho trovato la soluzione. Tu resta lì.
Diamine,
ma quale soluzione??
All’improvviso,
Sarah ebbe una spaventosa illuminazione.
…deve
esserci tutta la squadra…
Oddio…
ciò
significava che…
****
Aveva il
dito sospeso a pochi centimetri dal campanello già da 3
minuti buoni. Si sentiva
come al liceo, durante il ballo di fine anno.
Quella
storia non lo toccava minimamente oramai, ma
all’epoca…
Non
è
affatto piacevole per un adolescente (per un Grissom adolescente, poi,
ancora
di più) sentirsi dire dalla madre della tua presunta dama,
proprio sulla
soglia, che era venuto a prenderla già un altro cavaliere.
Ci si sente
veramente degli stupidi, e si finisce col non bussare più a
nessuna porta.
Chiuse gli
occhi, respirò, riaprì gli occhi, più
sicuro. Aveva di nuovo il controllo, per
il momento.
****
Il suono
improvviso del campanello la fece sobbalzare.
Era come
pietrificata, non voleva aprire. Non voleva sapere se le sue
supposizioni
fossero esatte.
Si
ritrovò
ad avanzare verso l’uscio contro ogni sua volontà.
Passo dopo passo,
lentamente, come se dall’altra parte ci fosse un serial
killer ad aspettarla,
con tanto di mannaia e visiera protettiva da saldatore.
Respirò
profondamente. Ma che le prendeva, si stava comportando da sciocca!
Magari, era…
magari era Nick!
Aggrappandosi
a quest’ultima possibilità, spalancò la
porta.
Due occhi
cerulei le fecero mancare un ennesimo battito. Ma sorrise cordiale e
controllata. Come sempre.
****
Aveva
suonato, ma nessuno gli aveva ancora aperto. Forse era riuscita a far
partire
la macchina?
No,
l’aveva
vista in garage mentre percorreva il vialetto.
Allora
magari aveva preso un taxy?
No, si
intravedeva la luce accesa da una finestra.
Oppure…
oppure qualcuno era già lì per darle un passaggio
e stava aspettando che fosse
pronta per andare.
Si
meravigliò di come questa opzione, invece che
tranquillizzarlo, gli fece
arrivare ancora più sangue al cervello. Si sentiva una sorta
di vulcano, che esternamente
appare sempre lo stesso, ma dentro la lava ribolle, pronta a venir
fuori
impetuosa.
Poi, la
porta fu spalancata improvvisamente.
Due occhi
nocciola gli fecero mancare un ennesimo battito. Ma sorrise cordiale e
controllato. Come sempre.
****
NOTE
D’AUTRICE: Chiedo venia per il
ritardo, ma la scuola è un vero inferno dantesco!
Ora, questo
capitolo è stato
particolarmente impegnativo, non tanto per il contenuto, quanto per lo
stile
che ho voluto dargli: ho cercato di narrare i fatti il più
simultaneamente
possibile, per mostrarvi gli stati d’animo, i pensieri e le
emozioni di tutti i
personaggi “in diretta”. Spero di esserci riuscita
e che gradiate il capitolo!
Alla prossima, e grazie ai recensori, ai lettori e ai
“preferitori” (0207pantera
e leidia). Bye!
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