Shall we dance?

di LadyGrief
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Insetti o Cenone? ***
Capitolo 2: *** Semplicemente... Perché?! ***
Capitolo 3: *** Destino ***
Capitolo 4: *** Paura? ***



Capitolo 1
*** Insetti o Cenone? ***


DISCLAIMER: I personaggi di questa fic non mi appartengono (purtroppo), tutto quello scritto qui di seguito è opera solo della mia irrefrenabile fantasia. Spero gradirete questa mia cosuccia, senza pretese, apparte offrire un momento sereno alla mia amata coppia: Sarah/Gil.

Buona lettura e lasciate un commentino se vi va! ^^

LadyGrief

 

P.S.: perdonatemi se il contesto della vicenda non rispecchia quello della serie televisiva

 

 

****

 

 

Erano le 19.00 del 31 dicembre. Era il giorno di San Silvestro, la Vigilia di Capodanno, e gli uffici della Scientifica di Las Vegas erano semideserti.  Se c’era qualcuno che si poteva ancora scorgere all’orizzonte, sicuramente stava raccogliendo la propria roba per andar via.

Tutti, tranne uno.

Seduto alla scrivania, nel suo inquietante ufficio/laboratorio/museo di Entomologia, Gilbert Grissom era chino su delle scartoffie a cui nessuno avrebbe dato retta in quei giorni.

Tutti, tranne uno.

Parevano per lui di vitale importanza. Un tossicodipendente morto per overdose nel suo monolocale, una prostituta accoltellata in un motel, un barbone senza nome e via discorrendo.

I turni serali erano stati sospesi. Chi voleva poteva andare a casa e prepararsi al grande evento. Non si parlava d’altro da più di una settimana.

L’uomo posò la stilografica e si levò gli occhiali, massaggiandosi gli occhi dolenti.

Voleva distrarsi, doveva togliersi dalla testa quel caso, quella donna, quell’uomo.

Poteva forse esser stato un segno del destino? Un avvertimento magari? O forse un incitamento?

Gil non lo sapeva. Per la prima volta, non sapeva. E ne era atterrito.

Le sue meste parole rimbombavano ancora nella sua mente, come un disco rotto… Parole esplose dalla sua bocca silenziosamente, represse da troppo tempo… Non poteva credere di essersi confessato con un demone, con un assassino.

 

“E’ triste, vero dottore?
I maschi come noi. Uomini di mezza età che hanno permesso al lavoro di consumare la loro vita. L’unico momento in cui tocchiamo gli altri è quando portiamo i guanti in lattice. Un giorno ci svegliamo, e capiamo che per 50 anni non abbiamo vissuto. Ma poi, d’un tratto, ci capita una seconda chance. Una donna giovane e bella, per cui proviamo qualcosa, ci offre un nuova vita insieme a lei. Ma abbiamo una grande decisone da prendere, perché dobbiamo rischiare tutto quello per cui abbiamo lavorato per averla. Io non ce l’ho fatta….Ma lei sì. Lei ha rischiato tutto e Debbie le ha mostrato una vita stupenda, vero? Ma poi se l’è ripresa, e l’ha data a qualcun altro, e lei si è sentito perso…così le ha preso la vita. Li ha uccisi entrambi, e ora non ha niente…”

 

Come aveva potuto? Come aveva fatto a cedere, a crollare? Come aveva potuto aprire la gabbia dei suoi sentimenti?

E poi il peggio… Sarah, al di là del vetro-specchio della sala per gli interrogatori, aveva ascoltato. Ogni sua parola, ogni sua dannata parola…

 

“Ero dietro al vetro… Sono arrivata in ritardo, ma per fortuna non mi sono persa il meglio.”

 

Quando Sarah pronunciò quelle poche parole, Gil sentì il suo mondo crollare. La sua barriera di plexiglass, eretta in tanti anni di solitudine, di ermetismo, di tristezza, distrutta. Puff, tutto alla malora.

In quel straziante momento della sua esistenza, non seppe che dire. Alla fine il colpo di grazia.

 

“Si, ho sentito quello che dovevo sentire e che tu avresti dovuto dirmi tempo fa… Non ad un estraneo, ma a me Gil! Come hai potuto?”

 

Non capì più nulla da quell’istante, o meglio, capì e ne rimase sconvolto. Capì ciò che avrebbe dovuto capire da tempo, e capì anche che era troppo tardi, ormai.

L’ultima cosa che vide prima di fissare il pavimento con insensato interesse fu il viso di Sarah rigato dalle lacrime, dopodichè i passi affrettati di lei lungo il vialetto della sua casa. La sua vuota casa, piena di insetti.

E’ vero, dopo un mese di tensione tra la giovane e lui, Sarah riconobbe che la situazione era diventata infantile e propose di metterci una pietra sopra, di dimenticare. C’era determinazione nei suoi occhi, venata di profondo risentimento, e Grissom ne fu intimidito per un attimo. Ma alla fine accettò, e ritornarono alle origini. Erano di nuovo colleghi.

Nelle settimane che seguirono, l’uomo finalmente (e sfortunatamente anche) riuscì a capire cosa Sarah aveva patito fino ad un mese prima. Bè, ora toccava a lui.

 

 

Il bussare alla porta lo riscosse dalle sue cupe elucubrazioni. Era Catherine Willows.

- Disturbo, Gil? – chiese la donna educatamente, rimanendo sulla soglia. Nonostante fossero amici di vecchia data, Grissom era pur sempre il suo supervisore.

L’uomo abbozzò un sorriso.

- Certo che no, Cath. Entra pure. –

Entò circospetta. Quell’ufficio le incuteva sempre un certo… disagio. E Gil lo sapeva bene.

- Non ti abituerai mai la mio ufficio, vero? – disse ironico.

- No, credo proprio di no! – rise. Notando poi le cartelle sulla scrivania, Catherine restò interdetta.

- Che ci fanno quelle lì, Gil? –

Grissom assunse un’espressione di puro stupore.

- Ehm, le sto controllando e firmando, forse? E’ la parte noiosa del mio lavoro. –

La donna mise le mani sui fianchi. Ecco che si preparava la tempesta…

- Non scherzare, Gil! Non osare dirmi che rimarrai qui, a marcire con i tuoi dannati insetti, durante l’ennesima Vigilia di Capodanno! E il Cenone?! Gil per una volta, fa uno sforzo, per l’amor del cielo! –

Era davvero esasperata. Incredibile voleva farlo di nuovo! Ogni anno la stessa storia, ma se pensava di scamparla anche sta volta, aveva sbagliato di grosso.

L’espressione sul volto dell’uomo si fece meno rilassata, più seria.

- Catherine, per favore, ne abbiamo già parlato. Non sono fatto per le occasioni mondane, lo sai. –

- Gil questa non è la solita “occasione mondana”! E’ la TUA occasione! Sam ha messo a disposizione del Distretto la sala ricevimenti del suo casinò (uno dei maggiori del Nevada, non so se mi spiego) per l’annuale Cenone di Capodanno come segno di riconoscenza per averlo scagionato dall’accusa di omicidio, capisci?? Non il solito desolante buffet preparato nella Sala Congressi all’ultimo piano con l’immancabile ascensore fuori servizio! Non puoi mancare, sarà perfetto! –

Gil sospirò. Sapeva dove voleva andare a parare… Ma lui non voleva, non se la sentiva.

- Catherine, ascolta. So che stai facendo questo per me, e ti ringrazio infinitamente. Ma è tardi ormai. E’ tutto finito, o meglio, non è mai iniziato nulla. –

Si agitava sulla sedia, come fosse irta di spine. Certi discorsi lo mettevano terribilmente a disagio, nonostante sapeva di avere davanti una persona fidata. Una sua amica… L’unica, probabilmente.

- Può iniziare adesso se lo vuoi, Gil! Perché devi sempre rendere difficile anche le cose più semplici, più… più naturali! L’amore non è una malattia, non devi curarti! Devi solo… lasciare che ti prenda… -

L’uomo sapeva che Catherine aveva ragione. Tremendamente ragione. Abbassò lo sguardo su quegli stupidi, inutili fascicoli.

Quando ella vide il suo viso quasi invecchiare sotto il peso della tristezza, la sua iniziale rabbia svanì.

Gil…

Ce ne aveva messo di tempo per capirlo, o meglio, capirlo in parte, e soprattutto c’era voluto tempo perché si fidasse di lei. Sapeva che era l’unica a cui permetteva di vedere il vero Gilbert Grissom, al di là della sua usuale maschera di integrità, di rigore, di compostezza. Vedere il fragile Gilbert Grissom, tormentato dai dubbi e dalle emozioni.

Si avvicinò alla scrivania e vi appoggio con delicatezza le mani, portandosi poi alla stessa altezza del viso di lui.

- Gil… - pronunciò con voce materna, nonostante fosse più giovane di lui, ma anche più forte.

Fece finta di non ascoltare.

“Ecco il Grissom bambino…povera me…” pensò Catherine.

- Gil… Gil, per favore, guardami. –

Egli si costrinse a sollevare lo sguardo.

- Gil ora ascolta tu me… Sarah merita la felicità. E la meriti anche tu. La felicità per lei sei tu, e lei lo è per te, lo sappiamo entrambi, non negarlo anche a te stesso. E’ tutto qui, non c’è nient’altro da aggiungere, e bada a non rovinare tutto un’altra volta. Stasera è la tua seconda possibilità, l’ultima. E’ un diritto di cui godono tutti, non privartene. Non fare stronzate. –

Si rimise diritta e si avviò verso la porta dell’ufficio.

- Catherine, io non… - iniziò, cercando un disperato appiglio, pur di non affrontare la realtà.

- Taci Gil! Và a casa, fatti una bella doccia, mettiti qualcosa di elegante (se non hai nulla, cosa che temo, passa da me e ti do uno degli abiti che Eddie ha gentilmente lasciato a casa) e alle 22.00 spaccate voglio vedere la tua regale persona al tavolo riservato alla Scientifica. –

I suoi occhi verdi erano infuocati. Gil dovette arrendersi.

- D’accordo. – si limitò a rispondere.

La donna sorrise soddisfatta.

- Vedi come è tutto più semplice quando collabori? Mi chiedo perché i sospettati non vogliano farlo mai! Bene, a stasera allora. – e oltrepassò la soglia con una strizzata d’occhio.

Gil deglutì, tremendamente agitato. Le serate mondane (checché ne volesse dire Catherine, quella lo era) lo mandavano nel panico più totale. Era bravo a trattare tarantole velenose, insetti di ogni genere, serial killer, assassini spietati, cadaveri in qualsiasi orribile stato, ma se c’era qualcosa in cui aveva sempre fatto fiasco era relazionarsi con gli altri. E i risultati, lo sapeva, erano evidenti.



Allora che ve ne pare? Lasciatemi un commentino se vi và, aggiornerò la settimana prossima ugulamente, ma spero di trovare qualche recensioncina prima... ^^
A presto, ciauz!
LadyGrief

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Capitolo 2
*** Semplicemente... Perché?! ***


Rieccomi, come promesso! Prima però, mando un GRAZIE speciale a leida e Beva che sono state così gentili da lasciarmi un commentino (grazie!), e naturalmente ringrazio anche chi ha letto la storia e basta.

Dunque, non avendo nient’altro da aggiungere (apparte il leggero dubbio che abbia reso Sarah un po’ OOC, fatemi sapere se è così e rimedierò), eccovi il secondo capitolo.

Buona lettura e recensite, please! (non siate timidi…^^)

LadyGrief

 

****

 

 

Fissava maniacalmente  l’armadio spalancato da più di mezz’ora, mordicchiandosi nervosamente l’unghia del pollice destro.

Sarah Sidle era nel pallone.

Perché aveva promesso a Catherine che sarebbe andata? Perché?

Ultimamente, non era molto in vena di festeggiamenti… Inoltre, dopo l’ultima esperienza con l’alcol, avrebbe anche dovuto lottare tutta la sera per non esagerare col vino e lo champagne.

La serata (meglio nottata) non preannunciava nulla di buono. Almeno sapeva che Grissom non ci sarebbe stato. Lui odiava le occasioni mondane, o comunque qualsiasi cosa prevedesse contatti umani fuori dal lavoro.

Sbuffò esasperata. Aveva deciso di non pensare più a lui, di ricominciare. Ma già prima di formulare questo suo proposito, sapeva che sarebbe risultato tutto vano.

Ed ora era lì, con solo la vestaglia, alla disperata ricerca di qualcosa da indossare. Qualcosa che fosse adatto all’occasione, s’intende.

Sarah non si poteva definire proprio femminile. Insomma, era una tipa acqua e sapone, tutto qui. Non aveva gonne, solo jeans e pantaloni di ogni genere, magliette semplici, senza scollature vertiginose o esageratamente attillate. Molte camicie, perché le adorava immensamente.

- Argh! Maledizione! – si ritrovò ad inveire contro l’armadio.

- Un secondo, ragioniamo. Se continuo a fissare l’armadio non è che il vestito giusto salterà tra le mie braccia! Devo calmarmi, dopotutto chi se ne frega di questo dannato Cenone! – disse con una risatina nervosa.

Iniziò dunque a scorrere tra i suoi abiti, uno ad uno.

Niente. Neanche uno straccio di gonna, o comunque qualsiasi cosa lontanamente elegante.

Abbattuta, si lasciò cadere all’indietro sul morbido materasso. Non poteva andarci, era inutile. Ora almeno aveva una scusa concreta! Avrebbe chiamato Catherine, sarebbe apparsa molto dispiaciuta, e le avrebbe spiegato tutto. Si, era la cosa migliore da fare.

Stava per afferrare il portatile sul comodino, quando la sua attenzione fu catturata da una grossa scatola bianca sul ripiano superiore dell’armadio.

Corrugò la fronte nello sforzo di ricordare cosa contenesse.

Nulla, vuoto totale.

La curiosità vinse e, lasciato il telefono, prese la scatola. Non era molto pesante, ma la maneggiava come fosse un ordigno pronto ad esplodere. L’appoggiò delicatamente sul letto e l’aprì.

Quasi le vennero le lacrime agli occhi quando capì cosa si nascondeva sotto gli strati di carta velina: era il vestito indossato al matrimonio di suo fratello James sette anni fa.

Non ricordava di averlo conservato…

Lo tirò fuori e, dopo averlo osservato a lungo, lo poggiò sul petto, guardandosi allo specchio di un’anta dell’armadio.

Era davvero stupendo… e pensare che fu proprio la sua attuale nuora ad aiutarla a scegliere! Sarah non se n’era davvero mai intesa di vestiti.

Ricordava bene quel giorno… Non aveva mai visto suo fratello così raggiante. E lo era anche lei, era una vera gioia sapere che James aveva trovato la felicità. Poi Lizzy, sua attuale moglie, era una donna davvero in gamba, le era sempre piaciuta, fin da quando gliel’aveva presentata il giorno del loro fidanzamento ufficiale.

Dopotutto… la sua famiglia erano solo Sarah e suo fratello maggiore Phill, che però viveva a New York da tempo, ma non mancò di certo al suo matrimonio.

Il faro di James  era sempre stata Sarah, una sorella, una madre, un’amica… Aveva fatto di tutto per proteggerla, fin da piccoli, e l’avrebbe fatto sempre.

Una lacrima leggera le scese sul volto, mentre sorrideva allo specchio, immersa nei ricordi.

Pensare al suo “piccolo” Jimmy (come lei adorava chiamarlo da bambino, attualmente alto 1,90 m) le aveva messo il buon umore.

Ma il problema era un altro: le sarebbe mai entrato quel vestito dopo sette anni?!

Iniziarono a sudarle le mani. Per una donna, tirare fuori vecchi indumenti e scoprire che non si chiude la zip è a dir poco distruttivo E’ la peggiore batosta possibile per l’autostima femminile.

Però il vestito era davvero una meraviglia, ricordò i complimenti di suo fratello quando la vide arrivare.

 

“Wow Sarah, se non fossi mia sorella pianterei Lizzy e scapperei via  con te! Sai dovresti vestirti così più spesso!”

 

Le sfuggì una risatina. Si, sapeva di avere un bel corpo, di potersi considerare bella, ma non era nel suo stile mettersi così in ghingheri. Preferiva passare inosservata.

Chissà come avrebbe reagito nel vederla…

- Stupida Sarah! Grissom non verrà, che ti salta in testa! –

Guardò l’orologio: già le 21.00.

- Cazzo! – fu il suo unico commento. Arraffò il vestito e la biancheria che aveva preparato sul letto e si fiondò in bagno, facendosi il segno della croce.

 

Dopo circa mezz’ora era di nuovo davanti allo specchio dell’armadio, stupita.

Non solo il vestito le entrava ancora, ma doveva riconoscere di essere un vero… schianto. Era color glicine, che sfumava man mano verso l’orlo, semplice, senza luccichii, paiette o altra roba pacchiana, la scollatura le ricadeva morbida sui bei seni, lasciando scoperte le spalle e le braccia sottili. Inoltre il particolare colore del vestito, così delicato, creava un meraviglioso contrasto con i suoi lisci capelli scuri e il suo volto forte. Non c’erano dubbi, Jimmy c’aveva azzeccato: WOW!







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Capitolo 3
*** Destino ***


****

 

 

 

- Tesoro, ti dispiacerebbe andare a vedere chi è? Mi sto vestendo! –

Una bimba sugli otto anni alzò gli occhi dal suo Top Girl (una ragazzina molto precoce) e lo ripose sul comodino accanto al suo morbido letto fucsia.

- Si mamma, ora vado! – rispose con voce allegra. Aveva già visto dalla finestra della sua stanza chi mai bussava alla loro porta a quell’ora e soprattutto alla Vigilia di Capodanno.

Fece così di corsa le scale, con un sorriso stampato in volto.

- Ciao zio Gil!!! Da quanto tempo!!! – e senza dare all’uomo nemmeno il tempo di rispondere al saluto, le si avvinghiò al busto.

Grissom rise divertito.

- Ciao Linsday, anche per me è un piacere rivederti! – e le sorrise dolcemente.

La bambina si staccò da lui, ridendo.

- Sai zio Gill, mi sa che hai messo su un po’ di pancetta! L’ultima volta riuscivo ad abbracciarti più facilmente! –

L’uomo portò automaticamente lo sguardo sul suo ventre, sorridendo di sbieco.

- Eh si, lo so piccola! Zio Gil sta diventando vecchio e flaccido! – la buttò sull’ironia, ma in fondo la sua voce era velata di consapevolezza. Gli anni cominciavano a farsi sentire sul serio.

Linsday però corrugò la fronte e Gil per un attimo vide Catherine davanti a sé.

- Ma che dici zio Gil, non sei affatto vecchio! Sei solo un uomo che ha raggiunto la mezz’età, e poi sei ancora affascinante, lo dice sempre anche la mamma! –

Grissom rimase un po’ interdetto.

- Oh… Bè, grazie Linsday! Comunque, dimmi, la mamma è in casa? –

(Dal piano di sopra) – Lins, chi è? –

La bimba si voltò verso le scale.

- Come stavo per dirti, è di sopra. – disse guardando l’uomo con una faccia… professionale – E’ zio Gil mamma!! –

- Immaginavo, scommetto che non ha trovato nemmeno uno straccio di abito nel suo desolato armadio!– rispose Catherine ridendo. Anche la bambina fece una risatina, mentre Grissom si finse offeso.

- Ehi, guarda che ci sento anche io! Ebbene sì, è così! – urlò di rimando.

- Accompagnalo su, Linsday! –

La piccola sfoderò un sorriso a trentadue denti, prendendo per mano Grissom.

- Andiamo zio Gil! Vedrai mamma che bel vestito si è messa! Sembra una principessa! -

- Lo supponevo. Tua madre è sempre bellissima… e ovviamente, tu sei proprio come lei! –

- Si, lo so zietto! – disse la piccola soddisfatta.

Piccola poi.

Gil si chiese se potesse davvero chiamarla ancora “piccola”.

Si fermarono davanti ad una porta socchiusa.

- Aspetta un attimo qui, zio Gil, vedo se mamma è ancora in desabiliè! (si scrive così?? boh… Ndme) – e si intrufolò nella stanza con un sorrisino furbo, lasciando Grissom senza parole.

Come diamine passava il tempo…

Cath che iniziò ad avere problemi con suo marito Eddie, la gravidanza indesiderata, l’alcol e la droga, sembravano ora così lontani, ricordi insignificanti.

Lei e Linsday erano felici adesso. La mancanza di una figura paterna certo si faceva sentire ogni tanto, ma a loro andava benissimo anche così. “E poi c’è sempre zio Gil!” esclamava sempre la vocetta allegra della bambina quando la madre era giù di corda. Tornava il sorriso ad entrambe.

Che ci fosse qualcosa tra i due?

No, nulla del genere. Solo un fortissimo affetto, che i più malevoli tramutavano in “storia”.

No, non c’era una “storia” tra il supervisore e la sua vice.

Amicizia. Tutto qui, semplice.

Grissom tese le labbra in un sorriso ironico: aveva capito che l’amicizia era un sentimento semplice, ma l’amore ancora no, benché il confine fosse davvero sottile. E lui l’aveva oltrepassato eccome, ma non con lei…

- Entra zio Gil! –

La bambina aprì la porta con fare teatrale, saltando poi sul letto con un agile balzo.

Dal grande armadio spalancato emerse Catherine, depositando uno smoking su di una poltroncina.

Grissom non potè non notare la sua eleganza e la sua bellezza, chiedendosi come Eddie poteva essere stato così stupido da lasciarsela scappare.

- Accidenti, Cath, stai benis… -

- Bando alle ciance Gil! – esclamò la donna – Sono già le 21.00 e tu sei ancora lì con i tuoi stracci! –

L’uomo alzò un sopracciglio e si guardò un attimo i vestiti.

- Ma… che hanno di male, sono gli stessi che avevo al lavoro stamattina. –

- No, Gil, sono gli stessi che hai dal turno di IERI sera, visto che decidesti di trascorrere la notte in laboratorio! – rispose stizzita.

Grissom sgranò gli occhi, mentre Linsday si godeva la scena ridacchiando.

- Davvero? – non faceva nemmeno caso a quando trascorreva la notte fuori di casa…

Sospirando: - Sì, Gil… -

- Oh… Allora se le cose stanno così… Non è che potrei farmi una doccia veloce? –

Se fosse stato un anime giapponese, ora si sarebbero viste Linsday e Catherine cadere a gambe all’aria.

- Diamine Gil, fai in fretta! Gli asciugamani puliti sono nel mobile sotto il lavandino… - e detto questo si scansò per fargli raggiungere il bagno.

- Grazie, sei una angelo! –

Lei lo guardò ironico.

- Bè…più o meno. – e chiuse la porta dietro di sé.

Madre e figlia si fissarono per qualche secondo, scoppiando poi a ridere.

 

 

 

****

 

 

Ore 21.30.

Dall’altra parte della città, in un quartiere di villette praticamente tutte uguali, destava particolare interesse una di queste.

Era l’unica nella quale non si udivano schiamazzi di bambini, risa di adulti un po’ brilli, vociare di famiglie troppo numerose, non si vedeva nessuno nemmeno sul tetto, intento magari a sistemare i fuochi d’artificio per la fatidica ora X.

No, niente di tutto ciò. Casa silenziosa e luci spente.

Era dal garage che provenivano segni di vita. Segni, anzi, di qualcuno piuttosto innervosito.

Una giovane donna, alquanto attraente, girava con forza e decisione la chiave nella sua apposita fessura, ma senza ottenere alcun risultato. L’auto singhiozzava per pochi attimi, poi sbuffava e si spegneva. A quanto pare, anche lei non aveva voglia di lavorare. Insomma, era o non era la Vigilia di Capodanno?!

- Dannazione, vuoi partire?! Cristo! -  ringhiò, sbattendo le mani sul volante.

Si sentiva già leggermente a disagio al pensiero di ciò che si accingeva a fare (un cenone, ma che le era saltato in mente?!), ci mancava anche quella.

E dire che si era agghindata di tutto punto, andando contro tutti i suoi principi di sobrietà e invisibilità. Insomma, già sentiva mille occhi puntati su di sé (ricordo a tutti che si trovava nel garage), figurarsi una volta arrivata a destinazione.

Santo cielo, se ne stava rendendo conto solo in quel momento.

Superfluo dire che fu presa dal panico, e la sua rabbia per l’auto capricciosa era improvvisamente svanita.

- Bene, a quanto pare il destino non vuole che vada alla “festa”! Benone! – disse al nulla.

Uscì dall’auto, tirò fuori dalla borsetta il cellulare ed si diresse verso il vialetto, dove c’era campo. Compose velocemente un numero e avvicinò l’apparecchio all’orecchio, mentre si stringeva meglio nel cappotto scuro.

 

 

 

****

 

 

- Insomma, Gill, ma quanto ci metti?! –

- Ancora qualche minuto! – rispose una voce maschile da dietro una porta.

-  Vorrei farti notare, principino, che sei lì dentro da più di mezz’ora! –

La donna scese dal letto su cui era stesa e si piazzò davanti alla porta del bagno con le mani sui fianchi.

- Ti assicuro che se farò ritardo per colpa tua, e io ODIO arrivare in ritardo, le tue preziose chiappe – qui Linsday rise – festeggeranno l’anno nuovo sul tavolo del dott. Robbins! –

- Ho capito Cath, ho capito! –

Catherine si lasciò cadere nuovamente sul letto.

- Sai mamma, così rischi di sgualcire il vestito! –

Le sorrise dolcemente: - Hai ragione tesoro…- mettendosi poi a sedere.

Con un po’ di esitazione, la bambina le si accostò.

- Mamma, posso farti una domanda? –

- Certo amore, dimmi. –

- Ma tu ami zio Gil? –

Catherine rimase spiazzata. Non si aspettava una domanda del genere, così di punto in bianco!

- Bè, voglio molto bene a zio Gil, tesoro, ma… Non sono innamorata di lui, no… - disse incurvando un po’ le labbra rosse.

- Però tu e lo zio vi vedete spesso e quando lui sta con noi tu sei felice, magari se lo sposi e sta sempre con noi sei felice sempre… - incalzò la bimba, guardandosi le mani.

La donna capì il perché di quella domanda…

- Oh tesoro, ma non devi pensare che sono felice solo quando viene a trovarci lo zio Gil! – esclamò, stringendola a sé – La mia felicità sei tu… -

- Davvero? –

- Certo! Parola! –

La piccola rise.

- Però potresti sposarlo lo stesso lo zio Gill… - era il suo desiderio segreto.

- Linsday, io e lo zio Gil siamo solo grandi amici. Ti spiego una cosa, e ricordala sempre: da una forte amicizia nasce solo un debole amore. Riesci a capirmi? –

- Si, mamma…- rispose mesta. Era arrivato il momento di rinunciare al suo sogno.

Catherine si accorse che la situazione stava prendendo una triste piega, e decise di provvedere.

- E poi…- disse con tono misterioso – lo zio Gil è già innamorato… -

- Dici davvero? Lo zio Gil?! – esclamò la bambina.

- Sssh! – l’ammonì indicando la porta.

- Ah già… E di chi è innamorato? –

- Di una ragazza molto carina e molto speciale. –

- Più bella e più speciale di te?! –

- Bè, per lo zio Gil sì. –

- Mmm… Non deve capirci molto di donne lo zio! – disse ridendo.

- Si, infatti! –

Tra le risa generali, squillò improvvisamente il cordless sul comodino.

- Ma chi diamine… - afferrò l’apparecchio – Pronto? –

La bambina ascoltava curiosa.

- Ciao Sarah, dimmi, che succede? –

- Catherine, non posso esserci al Cenone…Mi dispiace. –

- Che vuol dire che non puoi, qual è il problema? –

- Bè…- esitò – Ecco non parte la mia auto. Non posso certo arrivare fino al casinò a piedi. -

- Che guaio… No, non mi va, deve esserci tutta la squadra! –

- Lo so, Catherine, ma davvero, è mezz’ora che provo a metterla in moto eppure niente… Davvero, mi spiace molto… - disse cercando di apparire il più dispiaciuta possibile. Ormai era fatta!

In quel momento, Grissom uscì dal bagno.

- Diavolo, Cath, aiutami con questo aggeggio infernale… - disse, mentre lottava con il farfallino dello smoking.

Catherine stava per dirgli di aspettare un attimo, ma ebbe un’illuminazione. Una favolosa illuminazione.

- Tranquilla Sarah, verrai a quel Cenone. Ho trovato la soluzione. Tu resta lì. –

- Ma… - Sarah, non ebbe il tempo di aprire bocca, che dall’altro capo la donna aveva riattaccato.

- Maledizione! – inveì. La cosa le puzzava.

 

 

 

****

 

 

Certo, la cosa puzza eccome, che ne dite?XD Spero che la storia vi stia interessando, mando un GRAZIE a chi a recensito e a chi ha dato una sbirciatina a questa storiella. Scusate se sono breve, ma è già un miracolo se sono riuscita ad aggiornare!

A presto!

LadyGrief

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Capitolo 4
*** Paura? ***


****

 

 

 

Un sottile bip del cordless e la comunicazione fu interrotta. Due sguardi complici, due smaglianti sorrisi, due angeli inquietanti.

- Le vostre facce mi spaventano. – esordì con tono calmo Gil Grissom, mentre quasi si annodava le dita in mezzo al papillon dello smoking.

Il piccolo cherubino portò una mano davanti alla bocca per soffocare le risa, mentre l’altro angelo biondo si alzò dal letto suadente.

- Le nostre? E perché mai! Come sei sospettoso, ma ti comprendo, deformazione professionale… -

Un passo. Un altro.

- Il mio sesto senso – rispose l’uomo fissando il farfallino riflesso nello specchio – è in pieno all’arme, e io do sempre ascolto al mio istinto! –

Catherine e Linsday lo fissarono con occhi di fuoco.

Si rese conto di averla detta grossa.

- Bè, sì, quasi sempre… qualche volta. Ok, d’accordo, mai! Confesso. Ora perché non sputate il rospo anche voi? –

- Innanzi tutto – disse la donna mettendosi davanti a lui – fammi sistemare questo farfallino prima che tu ci rimetta le dita… -

- Grazie… - rispose con sollievo.

Pochi agili passaggi e il papillon ribelle fu domato.

- Perfetto. –

- Si, zio Gil, stai benissimo! Lo smoking di papà ti fa più giovane! –

Grissom rise.

- Lins! – la rimproverò la madre.

- Lascia stare Cath, ha detto solo la verità! –

La donna affondò i suoi occhi verdi in quelli azzurri di lui.

- Già, come dovrebbero fare TUTTI d’altronde. –

Touchè, Gil pensò l’uomo.

- Ora, tesoro, va in camera tua a metterti quel bel vestito che abbiamo scelto ieri, poi raggiungimi giù in salotto, ok? –

- Va bene mamma, ci vediamo zio Gil! – e con l’agilità di uno scoiattolo saltò giù dal letto e corse in camera sua.

- Raggiungimi? Ci vediamo? Cos’è siete in partenza? – domandò sorpreso.

Catherine fece finta di nulla, dirigendosi in bagno per sistemarsi il trucco.

- Cath, cosa significa? –

- Cosa significa cosa? –

- Non far finta di nulla, perché Linsday ha detto che ci vediamo zio Gil? –

Il suo tono di voce controllato di poco prima iniziò a vacillare.

- Ah, giusto. Devi andare a prendere Sarah. La sua auto a quanto pare (a differenza di qualcuno di mia conoscenza) ha deciso di prendersi un giorno di ferie. –

Grissom rimase a bocca aperta. Se fosse stato possibile, la sua mascella sarebbe arrivata sul pavimento.

- Puoi ripetere, scusa? –

La donna riavvitò il mascara e lo poggiò sulla mensola, stizzita.

- Insomma, Gil, non è difficile: tu ora esci da qui, scendi le scale, apri la porta, attraversi il vialetto, sali sulla tua auto, metti in moto, arrivi in fondo alla strada, imbocchi la prima a destra, sempre dritto, poi di nuovo a destra, percorri la rotonda, a sinistra, superi il parco, imbocchi la 5a strada fino al numero 120, parcheggi l’auto, scendi, bussi alla porta, carichi Sarah in macchina, rimetti in moto e raggiungi il casinò. Conosci la strada. –

Gil non sapeva cosa rispondere. Sbatteva le palpebre inutilmente, come per risvegliarsi da un incubo.

Poi iniziò a ridere. Era il suo modo per riprendere coscienza della situazione. Gli bastava ridere un po’, e riacquistava il controllo.

Era un’abitudine, però, che Catherine ancora non conosceva. Rimase, perciò, spiazzata.

- Non ci trovo niente da ridere, Gilbert. –

Nessuno lo chiamava mai con il suo nome completo. E quando a farlo era Catherine, non significava niente di buono. Si sforzò, allora, di darsi un contegno e di porre fine a questa sua bizzarra abitudine.

- Eh-ehm… Scusa Cath. Si, infatti, non c’è niente da ridere, la mia non era una risata di divertimento! Che diamine ti è saltato in mente? Sembra… sembra quasi che tu lo faccia apposta per mettermi in difficoltà, per farmi scappare via di nuovo, come ho fatto in tutti questi anni! –

La donna non l’aveva mai visto così… così… stanco.

Per un momento quasi si addolcì, stava quasi per dirgli che sarebbe andata lei a prenderla. Ma non poteva, non doveva. Era lui a doverlo fare. Non sapeva darsi una spiegazione, ma sentiva che era ciò che andava fatto.

- Perché Cath? Perché vuoi che mi faccia del male? Perché?! – le gridò praticamente in faccia, prendendola per le spalle. Lei non si ritrasse, la sua non era rabbia, ma paura. Gli prese con delicatezza le mani, rigide e fredde come il marmo, e le avvolse nelle sue.

- Non voglio farti del male, Gil. Voglio solo fare di te un uomo. Va a prenderla e bussa alla sua porta non come il suo supervisore, non come il suo capo, non come un uomo con vent’anni più di lei, ma come Gilbert Grissom. Meglio ancora come Gil e basta. –

Entrambi abbozzarono un sorriso.

- Fa che sia tu ad andarla a prendere, e non qualcun altro. –

Gil sollevò gli occhi dal pavimento e Catherine vide i suoi occhi cerulei brillare.

- Ci vediamo in sala. –

 

 

****

 

 

Tac – tac – tac – tac. Pausa. Tac – tac – tac – tac. Pausa.

Due paia di tacchi andavano su e giù nel salotto. L’unico ritmico rumore che infrangeva il dolce silenzio. Sarah di solito amava ascoltare ciò che aveva da dirgli, ma in quel momento stare ferma le risultava un’impresa titanica.

Perché Catherine aveva interrotto la comunicazione in quel modo? E poi, che diamine significava che aveva trovato la soluzione? Queste domande affollavano la mente di Sarah, rendendola estremamente ansiosa e agitata.

Tac – tac – tac – tac- Pausa. Tac – tac – tac – tac. Pausa.

Che volesse mandare la limousine del casinò?! Avrebbe fatto un’entrata in scena troppo appariscente per i suoi gusti! No, improbabile…

Tac – tac – tac – tac. Pausa. Tac – tac – tac – tac. Pausa.

Oh no… forse… Forse voleva mandare Grag a prenderla! Quel ragazzo è completamente cotto di lei, sarebbe disposto anche ad attraversare tutto il Nevada! Avrebbe flirtato con lei lungo l’intero tragitto da casa sua al casinò… No, Catherine non le farebbe mai una cosa del genere, non la metterebbe mai in imbarazzo volutamente. (-_-‘ Ndme)

Tac – tac – tac – tac. Pausa. Tac – tac – tac – tac. Pausa

Forse… e se fosse successo come tanti anni fa, al ballo del liceo? Se avesse aspettato tutta la notte invano, seduta in salotto a fissare la porta, sperando che da un momento all’altro piombasse il suo principe azzurro per farle da cavaliere? Da allora decise di non credere più alle favole. Dopotutto, la sua vita non lo era mai stata.

Tac – tac – tac – tac. Pausa. Tac – tac – tac – tac. Pausa

 

 

****

 

 

Non si era minimamente accorto di sfiorare i 100 km/h. La strada la vedeva quasi appena, quel tanto che bastava per non finire sui marciapiedi. Strabiliante come Las Vegas sembrava una città fantasma quella notte! Gil stringeva convulsamente le mani attorno al volante, le nocche erano livide ormai.

Perché era così agitato? Perché sentiva le budella attorcigliarsi sempre più man mano che si avvicinava alla fatidica meta?

La sua mente razionale non riusciva a trovare una risposta. O meglio, non voleva.

 

 

****

 

 

- Su, Linsday, sali in macchina che è tardi! –

- Eccomi, mamma. –

Allacciarono le cinture, poi Catherine mise in moto e si avviarono.

- Mamma… -

- Dimmi tesoro. –

- Alla fine lo zio Gil è andato a prendere la donna con cui hai parlato al telefono, vero? –

Cath alzò un sopracciglio, sorpresa.

- E tu come fai a saperlo? –

- Mamma, non sono mica stupida! L’avevo capito subito, quando hai detto che avevi trovato la soluzione!–

- Complimenti, tesoro, sei una perfetta erede! Anzi, potresti diventare il mio capo un giorno! –

- Contaci, mamma! –

Sorrisero, il pensiero di entrambe andò a Gil, chiedendosi cosa avrebbe combinato.

 

 

 

****

 

 

Uno stonato accordo di DO le fece storcere il naso. Non riusciva nemmeno a suonare il suo adorato pianoforte. Era straziante non poter ingannare il tempo! Risistemò il copritasti in velluto e richiuse con attenzione. Era il suo fragile cristallo. Rimase seduta sullo sgabellino, ripensando alle parole di Catherine al telefono.

 

 

Che guaio… No, non mi va, deve esserci tutta la squadra!

 

 

Bè, che non si sarebbe opposta era impossibile…

 

 

Tranquilla Sarah, verrai a quel Cenone. Ho trovato la soluzione. Tu resta lì.

 

 

Diamine, ma quale soluzione??

All’improvviso, Sarah ebbe una spaventosa illuminazione.

 

 

…deve esserci tutta la squadra…

 

 

Oddio… ciò significava che…

 

 

****

 

 

Aveva il dito sospeso a pochi centimetri dal campanello già da 3 minuti buoni. Si sentiva come al liceo, durante il ballo di fine anno.

Quella storia non lo toccava minimamente oramai, ma all’epoca…

Non è affatto piacevole per un adolescente (per un Grissom adolescente, poi, ancora di più) sentirsi dire dalla madre della tua presunta dama, proprio sulla soglia, che era venuto a prenderla già un altro cavaliere. Ci si sente veramente degli stupidi, e si finisce col non bussare più a nessuna porta.

Chiuse gli occhi, respirò, riaprì gli occhi, più sicuro. Aveva di nuovo il controllo, per il momento.

 

 

****

 

 

Il suono improvviso del campanello la fece sobbalzare.

Era come pietrificata, non voleva aprire. Non voleva sapere se le sue supposizioni fossero esatte.

Si ritrovò ad avanzare verso l’uscio contro ogni sua volontà. Passo dopo passo, lentamente, come se dall’altra parte ci fosse un serial killer ad aspettarla, con tanto di mannaia e visiera protettiva da saldatore.

Respirò profondamente. Ma che le prendeva, si stava comportando da sciocca! Magari, era… magari era Nick!

Aggrappandosi a quest’ultima possibilità, spalancò la porta.

Due occhi cerulei le fecero mancare un ennesimo battito. Ma sorrise cordiale e controllata. Come sempre.

 

 

****

 

 

Aveva suonato, ma nessuno gli aveva ancora aperto. Forse era riuscita a far partire la macchina?

No, l’aveva vista in garage mentre percorreva il vialetto.

Allora magari aveva preso un taxy?

No, si intravedeva la luce accesa da una finestra.

Oppure… oppure qualcuno era già lì per darle un passaggio e stava aspettando che fosse pronta per andare.

Si meravigliò di come questa opzione, invece che tranquillizzarlo, gli fece arrivare ancora più sangue al cervello. Si sentiva una sorta di vulcano, che esternamente appare sempre lo stesso, ma dentro la lava ribolle, pronta a venir fuori impetuosa.

Poi, la porta fu spalancata improvvisamente.

Due occhi nocciola gli fecero mancare un ennesimo battito. Ma sorrise cordiale e controllato. Come sempre.

 

 

****

 

 

NOTE D’AUTRICE: Chiedo venia per il ritardo, ma la scuola è un vero inferno dantesco!

Ora, questo capitolo è stato particolarmente impegnativo, non tanto per il contenuto, quanto per lo stile che ho voluto dargli: ho cercato di narrare i fatti il più simultaneamente possibile, per mostrarvi gli stati d’animo, i pensieri e le emozioni di tutti i personaggi “in diretta”. Spero di esserci riuscita e che gradiate il capitolo! Alla prossima, e grazie ai recensori, ai lettori e ai “preferitori” (0207pantera e leidia). Bye!


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