Deranged: i pazzi crescono senza innaffiarli

di Shadow Eyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dagur ***
Capitolo 2: *** Caccia in deroga ***
Capitolo 3: *** Via col vento ***
Capitolo 4: *** Skadoosh! ***
Capitolo 5: *** Varúlfur ***
Capitolo 6: *** Creare un ponte ***
Capitolo 7: *** Squilibrati ***
Capitolo 8: *** I pazzi crescono senza innaffiarli ***



Capitolo 1
*** Dagur ***


Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli





Capitolo I: Dagur




“Dio deve amare la gente pazza.”
“Perché?”
“Ce n'è talmente tanta!”

- Rambo III





Alto nel cielo, in un trionfo di fulgido splendore, ardeva il sole in quel di Berk, arroventando gli elmi dei suoi di per sé già non molto brillanti abitanti.
Testa Bruta, Testa di Tufo e Moccicoso si sporsero oltre la banchina.
«Lo aiutiamo?»
I tre osservarono con scarso interesse Hiccup Horrendus Haddock III annaspare nelle limpide acque marine del porticciolo, tossendo e agitando le braccia magre nella loro direzione.
«Quanto tempo ho per decidere prima che anneghi?», domandò Testa di Tufo, ostentando un’inedita aria concentrata.
«A giudicare dai gorgoglii, non molto.», si premurò di rispondergli la sorella. «Come ci sarà finito laggiù?»
«Be’, è Hiccup, no?»
«Giusto.»
«Guardate come si dibatte!», rise Testa di Tufo, indicando lo sfortunato figlio di Stoick l’Immenso, «Se non fosse per il fatto che sta per affogare, penserei quasi che voglia dirci qualcosa…»
«Pensare? … A quest’ora?»
«Bah! Lasciamolo stare, è un perdente!», s’intromise Moccicoso, piuttosto seccato da quell’inutile discussione. «I veri uomini sanno cavarsela da soli!»
«Oh! Oh! Oh! Veri uomini, dici?»
Un urto violento alle loro spalle li proiettò in avanti, spazzandoli via dal molo.

Tutto quello che Hiccup fece in tempo a vedere furono tre massicce palle di cannone umanoidi schiantarsi attorno a lui, travolgendolo nell’impatto. Roteò fuori controllo nell’acqua, la gola e il naso incendiati dal contatto con il sale, che ne graffiò le pareti. Digrignò istintivamente i denti, sentendo i polmoni scoppiargli.
Che splendida mattinata. Non era mai stato un ragazzo devoto fino al parossismo ma, in giornate come quella, non smetteva mai di ringraziare Thor per aver accordato ai vichinghi delle vite generalmente brevi e cruente. Soprattutto a quelli che non erano considerati alla stregua di un singhiozzo all’interno della comunità.
Batté ciglio, sentendo alcuni granelli di sabbia vorticargli attorno e pizzicargli la pelle: con la sua vastità e quel suo alone di mistero e leggenda, il mondo marino aveva da sempre esercitato un immenso fascino sulla sua immaginazione. Se fosse riuscito a uscirne tutto d’un pezzo, non gli sarebbe affatto dispiaciuto escogitare un sistema per poterlo esplorare… Be’, magari evitando di annotare e di far leggere ai posteri di avere appena scorto le brache di Testa di Tufo galleggiare mollemente attorno alle ginocchia del proprio padrone.
Scalciando l’acqua, Hiccup riuscì a emergere poco prima di quelle due calamità itineranti, sputacchiando ovunque assieme a loro.
«Whoa!», boccheggiò Testa di Tufo, scrollando il capo in una maniera tipicamente canina. «Adesso riesco a sentire il mare nelle orecchie! È… bellissimo.»
Testa Bruta, al suo fianco, si tolse l’elmo, facendo cadere un pesciolino che vi era finito dentro.
«Amici!»
I tre sollevarono di scatto la testa verso la banchina.
«Oh. Sei tu.», sbottò Testa Bruta in un brontolio seccato.
«Cos’hai nella testa?!», ruggì Testa di Tufo. «Non siamo mica Hiccup!»
Il suddetto vichingo roteò gli occhi sospirando: un giorno, quando sarebbe diventato capo villaggio, avrebbe fatto presente a quei due quanto fosse stato appagante essere chiamato in causa sempre per i migliori esempi. Sul serio. E poi li avrebbe gettanti in pasto a un Incubo Orrendo.
«Quanto tempo…!»
Una figura imponente si ergeva, baldanzosa, sopra di loro. Hiccup impallidì, riconoscendo l’annuale causa dei suoi peggiori mal di stomaco: forse non sarebbe stato poi così male rimanere sott’acqua con i calzoni di Testa di Tufo.
Dagur della tribù dei Grandi Guerrieri, inenarrabile incarnato terreno della precarietà dell’equilibrio mentale e adorato figlio di genitori non troppo convinti della veridicità di quest’affermazione, li salutò giocherellando con una pietra. Aveva i lineamenti tirati in un'espressione concentrata che mise tutti in allerta; improvvisamente, le labbra gli si storsero in quella che per lui doveva essere un’ottima imitazione di un sorriso cordiale. Un gabbiano stramazzò sul colpo, precipitando nella baia.
«Com’è l’acqua?», chiese, tremendamente divertito da quello che stava accadendo sotto i suoi piedi.
«Fredda.», rispose Testa Bruta.
«E salata.», aggiunse Testa di Tufo, volenteroso. «È salata, vero?»
«Perché non l’assaggi?»
Mentre Testa Bruta se la rideva sotto i baffi guardando il fratello bersi una rinfrescante sorsata d’acqua marina, Moccioso riemerse, inalando quanta più aria possibile.
«Per Thor l’onnipotente! Cos’è successo?!»
«Dagur. Ecco cos’è successo.»
«Fratello…», lo ignorò Testa Bruta, con l’aria corrucciata tipica di chi sta compiendo un notevole sforzo mentale, «ma noi sappiamo nuotare?»
«No.»
«Oh… be’, ha senso.»
«Perché?»
«Perché stiamo affondando.»
«Oh… forte! Un attimo. No, non è forte! Non lo è per niente! Aiuto! Uomini in mare!», ululò Testa di Tufo, aggrappandosi con la foga di un derelitto alla sorella. «Voglio morire mutilato da un drago, non annegando come uno stoccafisso!»
«Cos’è uno stoccafisso?»
«Un… cosa? Non usare parole strane per confondermi, sorella!»
«Siete proprio ridicoli!», sbuffò Moccicoso, ridendo di gusto. «Certe volte mi chiedo fino a quale livello di idioz...Whoa! Cos’era quello? L’avete visto? Qualcosa mi ha afferrato il piede!»
Con un urlo che fu in seguito annoverato fra i meno virili mai sentiti a Berk dopo quelli di Gambe di Pesce, il prode vichingo guizzò fuori dall’acqua, finendo per abbattersi su Testa Bruta. La poveretta imprecò e, sotto il peso dei due valorosi compagni, colò miseramente a picco in un trionfo di bollicine.
Dagur, inebriato da quel glorioso caos, scoprì i denti in un ghigno, osservando il figlio di Stoick l’Immenso affannarsi per raggiungere i suoi compagni: «Ѐ senza alcuna speranza.»
Lanciò in aria il sasso che stava stringendo tra le dita e lo riafferrò al volo, saggiandone la consistenza. Un baluginio perverso gli accese lo sguardo.
A qualche metro da lui Hiccup, fin troppo in preda al panico per badare alle sue parole sprezzanti, stava cercando un modo per fermare Moccicoso e Testa di Tufo prima che costringessero involontariamente Testa Bruta ad ingollare tutta l’acqua del porto. Tuttavia i due non parevano proprio voler collaborare: da un lato Moccicoso sembrava essere refrattario a qualsiasi suo tentativo di fargli notare che, a toccarlo, erano stati dei pesciolini inermi e dall'altro Testa di Tufo… be’, era Testa di Tufo. Sarebbe stato sorprendentemente inquietante vederlo ascoltare qualcuno con attenzione.
Roteando gli occhi in un raptus di disperazione, Hiccup cercò di afferrare Testa Bruta prima che sparisse ancora sotto la superficie. Non appena riuscì a sfiorarle le dita, però, un lampo grigio si schiantò contro il dorso della sua mano, facendogli perdere la presa. Il rumoroso terzetto sprofondò ancora una volta tra i flutti mentre la risata isterica di Dagur prese a rimbombare in tutto il porto.
«Skaracchio, sono qui!», sentì esclamare il giovane vichingo sopra la sua testa.
Il familiare, inconfondibile ticchettio di una gamba di legno gli annunciò l’arrivo dell’armaiolo del villaggio. In un battito di ciglia, un paio di lunghi baffoni biondi comparvero nel suo campo visivo. Non era mai stato così felice di vederli.
«Oh! Oh! Oh! Eccovi, finalmente!», esclamò Skaracchio, ignorando saggiamente Dagur tenersi la pancia, tra gli sghignazzi. «Vi sembra il momento giusto per farvi un bagno? Per Odino, azioni tanto sconclusionate posso aspettarmele dai gemelli ma da te, Hic…»
Hiccup chinò lo sguardo balbettando qualcosa tra i denti. L’omone non parve farci caso e, dopo aver gettato senza tante cerimonie una rete da pesca sulle loro teste, li issò sul molo con l’aiuto di alcuni pescatori, sistemandoseli davanti in una fila che sapeva di adunata.
«Ascoltatemi bene: vi ho radunato qui perché… sai che le brache non dovrebbero portarsi arrotolate sotto le ginocchia, ragazzo?»
Testa di Tufo piegò il capo di lato ciondolando fra la sorella e Moccicoso, estremamente a suo agio nel suo essere fuori luogo. «Be’, a dire il vero…»
«Che io sia dannato se voglio davvero scoprire come ti siano finite laggiù!», lo interruppe Skaracchio, con un gesto sbrigativo della mano. «Tiratele su e assicuratele saldamente ai fianchi, questa volta. O ci devo pensare io con questo?»
«Va bene, va bene! Abbassa l’arma!», sbuffò Testa di Tufo, sollevando le mani in segno di resa. «… Anche se così si sta più freschi.»
Hiccup dovette far forza su se stesso per non ridere mentre guardava il compagno tirarsi su i calzoni lanciando un’occhiataccia all’uncino di Skaracchio.
«Bene! Dunque, stavo cercand…»
«Skaracchio!»
«Oh, Stoick!» Con un sorriso sghembo che permise al suo dente metallico di scintillare come un gioiello, l’armaiolo sventolò la mano. «Eccoli qua tutti interi! Che ti dicevo?»
Stoick e Oswald il Simpatico si fermarono a pochi passi da loro, sovrastando immediatamente tutti con la loro ragguardevole stazza. Hiccup cominciò a tremare, non sicuro se fosse a causa della loro imponenza o dell’ombra scura che stavano proiettando su di lui e i suoi compari.
«Cosa stavate facendo?», chiese Stoick, aggrottando le folte sopracciglia rossastre. «Siete zuppi!»
Hiccup aprì istintivamente la bocca, senza avere la più pallida idea di cosa dire. Per sua fortuna, fu battuto sul tempo da Skaracchio.
«Oh, sai come sono i ragazzi! Bramano avventura! Emozioni! Ma, soprattutto, sono molto stupidi!»
«Ehi!», ringhiò Moccicoso.
Hiccup si massaggiò la mano dolorante, grato all’armaiolo per aver ampliato il raggio della paterna delusione anche sugl’altri. Stoick l’Immenso, infatti, non mancò di rimproverare tutti con voce tonante, biasimando la loro condotta inadempiente durante la visita del capo tribù dei Grandi Guerrieri e di suo figlio.
Hiccup disegnò una striscia d’acqua con lo stivale, annuendo a tempo con le increspature nella voce di suo padre. Ormai era talmente abituato a non essere preso in considerazione da lui, da aver sviluppato una notevole abilità nel reagire meccanicamente alle sue ramanzine mentre, nella propria testa, tanti piccoli Hiccup ingaggiavano un selvaggio dibattito sull’arcano motivo della sua esistenza in un villaggio vichingo. Sollevò le iridi verdi su Oswald il Simpatico, chiedendosi se anche per Dagur fosse mai stato lo stesso. Seguì con discrezione lo sguardo dell’uomo stringersi e vagare su di lui e l’annoiatissima triade al suo fianco, incupendosi non appena si soffermò sul proprio erede dall’aria compiaciuta e decisamente asciutta.
«… E, per l’invincibile martello di Thor, cos’avevate in mente, branco di sciocchi?! Avete rischiato di lasciarci le penne!», proseguì Stoick, scuotendo il capo.
«Hai sentito, sorella? Stavamo per morire!»
I due gemelli si scambiarono il cinque.
«Spero che d’ora in avanti vi comporterete con maggiore riguardo nei confronti di voi stessi e dei nostri ospiti.», concluse il capo tribù dei Bifolki Pelosi, dando loro le spalle.
«Ma…!», tentò Hiccup, indicando Dagur con espressione eloquente.
«Non è il momento, Hiccup.», lo mise a tacere Stoick, allontanandosi con Oswald il Simpatico, che gli rivolse un gentile cenno del capo prima di sparire nelle strade polverose del villaggio.
«… Non è mai il momento con te, papà.»
Hiccup si strinse nelle spalle magre, chinando il capo. Tante piccole gocce d’acqua gli scivolarono lungo la zazzera umida, solleticandolo. A una a una si staccarono e precipitarono al suolo, svanendo come pallide ombre sotto il calore del sole.
Era tutta una vita che si ripeteva, con puntuale solerzia, la stessa scena: il sipario si sollevava su un bambino troppo minuto e maldestro per essere considerato un guerriero, un pari, e si chiudeva su un intero popolo deluso e strizzito, che non gli prestava mai ascolto.
Le dita gli si serrarono attorno alla stoffa umida della casacca. Con sorpresa, si rese conto che da anni, ironicamente, stava cercando di dimostrare di essere tutto quello che, invece, non era e non sarebbe mai stato. Fantastico. Di quel passo non ne sarebbe mai uscito vivo, da quel ginepraio.
Un brivido gelido gli carezzò la spina dorsale, spezzando il triste filo di quel ragionamento.
«Perché ho come il presentimento che la situazione stia per peggiorare?», si sentì mormorare tra i denti.
La pensante mano di Dagur si abbatté sulla sua spalla, stringendogliela in una morsa ferrea.
«Perché hai ragione!», gli rispose allegramente Testa di Tufo, allontanandosi con la sorella e Moccioso.
Hiccup si tese istintivamente verso di loro, come se avesse potuto afferrarli da quella distanza e frapporli fra lui e il suo persecutore.
«Bene, bene… dov’eravamo rimasti, Hiccup?»
Faticando a deglutire, il vichingo si voltò piano, con tutta l’aria di chi sta tentando di occupare meno spazio possibile. Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Dagur, ebbe la nauseante sensazione che la pelle gli fosse appena stata strappata via dalle ossa.

«Non ci posso credere.»
Testa Bruta sbuffò, colpendo con la punta dello stivale il sedere del fratello.
«Ma come ha fatto a incastrarci?», borbottò Testa di Tufo, sollevandosi in piedi.
«Sei tu a esserti incastrato in quello stupido cespuglio mentre cercavamo di scappare via.», gli sibilò lei di rimando, «E ora, per colpa tua, siamo fregati.»
«Vorrei farvi notare che sono davanti a voi e posso sentirvi.»
I due gemelli sollevarono lo sguardo su Skarakkio, che teneva ancora un tediatissimo Moccicoso stretto sotto l’ascella. Bisognava ammettere che, nonostante la mole, correva piuttosto rapidamente.
«Non che non mi fidi di Dagur…», cominciò l’armaiolo, mollando la presa sul giovane vichingo, facendolo cadere a terra. «No. Effettivamente non mi fido affatto.»
Il terzetto lo squadrò corrucciato.
«Piantatela di fissarmi così, branco di sfaccendati! Sarò breve: seguiteli e teneteli d’occhio. Se Hiccup dovesse trovarsi in difficoltà, intervenite. Intesi?»
«Ma è Hiccup!»
«Intesi?», scandì nuovamente il paziente Skaracchio, puntando loro contro l’uncino.
«Cavolo, con lui non funziona.»
«Uffa, che barba…», grugnirono in coro i gemelli.
«Così vi voglio!», esclamò con entusiasmo l’omone, spingendoli via. «E ora andate.»
I tre non lo videro grattarsi il capo, pensieroso. Sembrava voler aggiungere qualcos’altro alle istruzioni date, come se avesse avuto un pensiero che continuava a ronzargli fastidiosamente nel cervello ma che non riusciva in nessun modo ad afferrare.
Calciando rabbiosamente una pietra, Moccicoso scosse il capo: che perdita di tempo! Non aveva mai sopportato di dover fare da balia a quella sciagura ambulante di Hiccup. Cos’aveva fatto di male per meritarsi una piaga del genere? … A parte tutti i dispetti, gli insulti, le risse e i tentativi di dargli fuoco, ovviamente.
«Guardate! Sono laggiù!»
Alla voce di Testa Bruta, la piccola brigata si accovacciò dietro il muro di una casa, tenendo d’occhio Dagur e Hiccup allontanarsi dal villaggio.
«Cosa facciamo?»
«Stanno andando verso il bosco.», osservò Moccicoso, ingrugnandosi sempre più. «Anzi, mi correggo: più che altro, Dagur si sta dirigendo verso il bosco trascinando Hiccup. Ma guardatelo...! Ѐ imbarazzante.»
«Oh.», fiatò Testa Bruta con enfasi letargica. «… Dobbiamo salvarlo?»
«Avete sentito cos’ha detto Skaracchio…», sbuffò l’altro.
«Aspettate… aspettate!», disse testa di Tufo, spingendo indietro la sorella. «Seguitemi: se noi adesso aspettiamo, non sapremo più dove sono diretti, giusto?»
«Ah-ha.»
«E se non sappiamo dove sono, sarà più difficile trovarli.»
«Ah-ha.»
«E, se riusciamo a trovarli senza sapere dove siano…»
«… il salvataggio sarà doppiamente epico.»
«Esatto! E bam! Saremo tre eroi!»
«Già… geniale!»










.:~*~:.

Prima di procedere con le note, vorrei tanto aggiungere qui una piccola dedica. Ho ricominciato a scrivere e a frequentare di nuovo questo sito da poco e... In così poco tempo, per quanto assurdo possa sembrare, ho avuto la fortuna di trovare delle persone che sono state estremamente gentili con me. Vorrei dedicare questa storia a loro.
a u t u m n, Kiki75, Jack Frost beliver e Feel Good Incgrazie.

.:~*~:.

Eeeee ce la faranno i nostri eroi?

Sarebbe meglio dire: ce la farò io a gestire tutto senza combinare casini? XDDDD
Testa di Tufo è un genio. Lo pensiamo tutti, ormai. XD

E ora vai che si parte con le note~!
Prima di tutto, il titolo: “Deranged” è il soprannome originale che viene dato a Dagur nella serie. Tradotto alla perfezione con “Squilibrato”. XD Il sottotitolo, invece, è un proverbio italiano che penso alluda al fatto che i pazzi possono tranquillamente crescere nella follia senza aver ricevuto alcun incoraggiamento da parte altrui o essere stati educati per diventare tali. L’ho scelto perché secondo me rappresenta molto bene il personaggio di Dagur e il suo rapporto col padre. Vi prego, correggetemi se sbaglio! Non sono riuscita a trovare da nessuna parte una spiegazione a questo proverbio. O__O
Ma poi… io che scrivo una storia a capitoli! A CAPITOLI! *rotola ovunque nella stanza* E chi l’avrebbe mai detto?! TT___TT Ho il terrore di scrivere storie a capitoli e non l’ho mai fatto proprio perché temo di perdere l’ispirazione e lasciarle incomplete… o di non riuscire a trovare un modo decente per concluderle! *sigh* Ma oggi no! è___é No, questa volta sono piena d’energia e ce la farò!
Dunque! Il contesto: anche per questa storia sono tornata indietro nel tempo perché l’ho ambientata durante l’ultima visita di Oswald il Simpatico a Berk. Quindi credo si tratti di un anno prima degli eventi di Dragon Trainer o comunque di qualche mesetto prima. Per questo qui il povero Hiccup non viene considerato per nulla dai suoi compagni vichinghi. Spero di aver tenuto tutti IC ma, dato che qui compaiono tutti e tutti insieme, non so se sembra tutto credibile. Io li adoro… adoro anche Moccioso, sono sincera, nonostante il pessimo carattere… però un conto è questo, un conto è rappresentarli. XD Comunque sia, vorrei solo aggiungere che per molte cose mi rifaccio anche alle due serie.
Allora, come sempre lascio qualche informazione per chi volesse capire chi sono Dagur e Oswald. Il primo è un personaggio che compare per la prima volta nel quindicesimo episodio della serie animata: “DRAGONS – I Cavalieri di Berk”. È instabile, aggressivo, dominatore… e capo dei Grandi Guerrieri o berserker.
Oswald “Il Simpatico” è il suo sventurato padre; non compare mai fisicamente in nessuna puntata. Per quanto riguarda il suo aspetto, mi sono rifatta ai bozzetti presenti nella wikia. Caratterialmente ci lasciano intuire che fosse molto più diplomatico, pacifista e ragionevole del figlio.
Il rapporto che c’è tra loro in questa storia è un’interpretazione personale che mi sono fatta mettendo insieme tutti i piccoli frammenti che la serie mi ha lasciato. Ho pensato che Dagur, essendo il figlio del capo di una tribù dal passato sanguinario, violento, intraprendente fosse sempre stato pieno di disprezzo nei confronti dell’atteggiamento “politico” del padre. Credo che uno come lui possa vedere tutto questo come un segno di debolezza. Di mancanza di spina dorsale.
E Oswald, secondo me, era preoccupato e ben conscio della pericolosità dei modi di fare e di pensare del figlio... ma che infondo gli volesse bene e che abbia provato più volte a farlo ragionare senza davvero mai riuscirci. Non so, se avete qualche altra ipotesi mi farebbe davvero piacere sentirla! :) Speculare sul background dei personaggi secondari è una cosa che amo. XD
Bene, credo d’aver detto tutto!
Grazie per aver letto questo primo capitolo e al prossimo! C:

See ya,

Shadow Eyes

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Capitolo 2
*** Caccia in deroga ***


Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo II: Caccia in deroga




“La caccia è una forma collaterale della pazzia umana.”

- Theodor Heuss





Hiccup aveva soltanto tredici anni ma, in compenso, la sua vita faceva già abbastanza schifo. Peccato che non dessero alcun premio per questo genere di meriti; per lo meno avrebbe avuto qualcosa con cui riempire gli scaffali sui quali i suoi coetanei poggiavano invece armi, ossa e denti di drago.
Premette la schiena contro la corteccia ruvida di un albero, con il petto che bruciava. Era stanco di correre come un forsennato tra i cespugli per sfuggire a Dagur, che aveva avuto voglia di improvvisare una simpatica battuta di caccia e di usare lui come preda. Doveva trovare un sistema per toglierselo di torno. Forse sarebbe dovuto ricorrere ai vecchi, infallibili metodi vichinghi. Si accigliò; forse però gettare il figlio del capo di una delle tribù più bellicose al mondo giù da un dirupo, non era esattamente un colpo di genio. Non per Berk. Per i genitori di Dagur, forse sì.
«Trovato!»
Con la coda dell’occhio Hiccup fece appena in tempo a vedere il Grande Guerriero balzare su di lui, prima di ritrovarsi un coltello da caccia piantato a pochi centimetri da un orecchio.
«Sei morto.», commentò Dagur, battendogli una mano sulla guancia accaldata, «Di nuovo.»
«Già. Un vero peccato.», ribatté nervosamente Hiccup, «Sai, credo che tutte queste morti violente abbiano cominciato a farmi venire una certa fame. Non credi dovremmo…?»
Uno stormo cinguettante svolazzò fra le fronde verdi sopra le loro teste, facendogli rimanere il resto della frase bloccata in gola.
«Sei una preda troppo facile da catturare.» Dagur incrociò le braccia, seguendo con un po’ troppo interesse il volo del piccolo drappello di volatili. «Questo gioco sta cominciando ad annoiarmi.»
«Oh.», balbettò Hiccup, prendendo cautamente le distanze dalla lama accanto alla sua testa.
«Ti piace?», gli chiese il berserker, gonfiando il petto d’orgoglio. «Me lo sono fatto realizzare dal nostro armaiolo. È la prima arma che ho stretto in pugno! Guarda l’impugnatura: è di corno di yak. Notevole, vero? Gli ho chiesto di inciderci sopra una testa di lupo… Ho sempre avuto un debole per quelle bestie orgogliose e selvagge.»
Vinto dalla curiosità, Hiccup fece un passo verso l’arma, perdendosi fra gli elaborati intarsi incisi sulla superficie chiara del manico. Erano sottili, eleganti e catturavano i riflessi della luce attorno a loro, tracciando il vivido e terrificante profilo di un lupo con le fauci spalancate. Era straordinariamente realistico: poteva quasi sentire il suo fiato caldo sulla punta del naso.
«Ѐ di ottima fattura.», confermò a bassa voce, pentendosi un istante dopo di averlo fatto. Non aveva la minima intenzione di esaltare ulteriormente il suo padrone. Sbirciò con la coda dell’occhio la mimica facciale di Dagur e gli parve di notare un piglio fiero e attento alle sue parole. Probabilmente quel coltello aveva un valore particolare per lui.
«Ero certo che lo avresti apprezzato. So che ti piace lavorare nella forgia; si vede che te ne intendi. Sai, quando ero piccolo, i più forti e coraggiosi guerrieri della tribù mi hanno insegnato una cosa…», esordì Dagur, prendendo a misurare il terreno a grandi falcate a qualche metro da lui.
Hiccup seguì i suoi movimenti nell’erba tenera del bosco. Era escoriato, grondava ancora acqua per il bagno fuori programma di prima e non aveva più fiato in gola per muovere un altro passo. Sperò che non si trattasse di altri discorsi sulla caccia, perché ne aveva fin sopra i capelli.
«La caccia è da sempre il passatempo preferito degli uomini di guerra in tempo di pace.» Il Grande Guerriero lo fissò con un sorriso che gli fece torcere le budella nello stomaco. «Vale a dire nei periodi più o meno brevi in cui la caccia all'uomo non è aperta.», concluse, scoppiando a ridere. «Ho sempre pensato fosse un concetto divertente.»
«Oh. La barbarie.», borbottò Hiccup ai suoi stivali, che ricambiarono silenti il suo sguardo. «Già, certo. Un concetto spassosissimo.»
«Vero? Tu sei tutto strano e mingherlino, eppure anche il tuo sangue vichingo emerge sempre in questi casi.»
Le sopracciglia di Hiccup si aggrottarono, creandogli un solco sulla fronte sudata.
«Cosa intendi?»
«Oh, Hiccup, Hiccup, Hiccup…» Dagur gli si avvicinò, guardandolo dritto negli occhi. «Non lo vedi? Persino tu capisci l’eccitazione che deriva dall’affrontare corpo a corpo un nemico! Quel sottile piacere che deriva dal guardare la tua preda negli occhi fino a vederla esalare l’ultimo respiro! La sete di sangue e distruzione che ci scorre nelle vene!»
«Ah…» Le labbra sottili di Hiccup si stirarono fino a sbiancare. «deduzione interessante.»
In realtà, l’unica cosa che ormai gli era chiara era che Dagur vedeva e capiva solo quello che voleva vedere e capire.
«Sì.», riprese il berserker, afferrandogli le spalle con forza, «Non capisci? A questo mondo il potere è nelle mani solo di chi ha il coraggio di sporcarsele di sangue per afferrarlo! Uomini veri, vichinghi veri che non hanno paura di nulla, proprio come me e te.»
«Sai, credo che le analogie non siano esattamente il tuo forte.»
«Oh! Oh! Oh! Sei uno spasso!», latrò Dagur, scuotendo amorevolmente il capo. «Forza, Hiccup! Fa’ uno sforzo: noi due, insieme, siamo destinati a rimediare agli sbagli dei nostri genitori. Possiamo riportare in auge le nostre tribù! Non è meraviglioso?»
«Sì, è davvero tutto molto bello e vichingo, non c’è che dire ma c’è un piccolissimo problema…»
«Ovvero?»
Hiccup sollevò lo sguardo nelle iridi iniettate di sangue del giovane.
«Io non sono come te.»

«Ragazzi…»
Testa di Tufo si fermò al centro della radura, guardandosi attorno con occhi spaesati e confusi. Qualcosa gli urtò una spalla: era il naso di Moccicoso.
«Che altro c’è?», mugghiò il giovane, saggiando con le dita tozze l’entità del danno.
«Per caso vi ricordate cosa stiamo facendo qui?»
Con estrema lentezza e una calma sovrannaturale, Moccicoso sollevò entrambe le mani, tremanti e contratte, verso il gemello; piantò le pupille nelle sue per pochi, minacciosi istanti, inasprendo il proprio cipiglio in un’occhiataccia omicida.
«Mh.», mugolò Testa Bruta alle loro spalle, grattandosi il mento. «Ricordo solo che era noioso da morire.»
Fu la classica goccia che classicamente trabocca dal classico vaso. Moccicoso, impavido figlio di Stizza Bifolko Jorgenson, unico, invitto partecipante dei Giochi del Disgelo, era appena giunto sul labile confine tra una rissa senza quartiere e un omicidio premeditato.
«Cos’hai?», chiese Testa di Tufo, osservando stralunato la sua espressione spastica. «Oooh, ho capito!»
Fece un cenno d’intesa alla sorella, che gli si avvicinò annuendo. I due batterono allegramente il cinque sulle mani sollevate dell’amico.
«Vai così!»
Davanti ai gemelli che si sferravano una testata d’approvazione, Moccicoso poggiò il volto tra le mani, lasciando fuoriuscire dalla gola un rantolo frustrato. Era ormai quasi mezz’ora che camminavano nel bosco e non aveva ancora trovato la minima traccia di Hiccup e Dagur.
Perché Thor l’aveva fatto crescere con quei due idioti? Gli sarebbe bastato nascere qualche anno prima e, non solo se li sarebbe levati di torno, ma probabilmente avrebbe avuto anche qualche possibilità in più di fare colpo su Astrid. Era cosa risaputa, dopotutto, che le ragazze impazzissero per gli uomini dall’aspetto maturo.
«Stiamo cercando Hiccup!», eruppe improvvisamente, facendo sobbalzare i suoi compari. «Hiccup! Ve lo ricordate? È quel sacco d’ossa inutile che per qualche sventurata coincidenza è anche figlio del nostro capo villaggio!»
«Oh.», balbettò Testa di Tufo. «E perché?»
«Perché se Dagur lo scotenna poi Skaracchio scotenna noi. È facile, no?»
«Ah. Sì, be’, ha senso.»
«Voi e i vostri dannati piani senza né capo né coda!»
«Ehi.», lo rimbeccò Testa Bruta. «Sbaglio o eri d’accordo anche tu d’aspettare?»
«Certo!», annuì Moccicoso, alzando gli occhi al cielo. «Ma solo perché speravo che nel frattempo Dagur avrebbe almeno fatto saltare qualche dente a Hiccup! … Invece ora, per tutto il tempo che abbiamo perso a causa vostra, dovremo riportare quel che resta di lui al villaggio e passare il resto della nostra vita in compagnia degli Esiliati!»
Riprese fiato, sentendo la rabbia cominciare lentamente a sbollire all’interno del suo petto. I gemelli spostarono il peso da una gamba all’altra, in attesa di un qualsiasi segno che permettesse loro di capire che la tempesta fosse definitivamente passata.
Moccicoso tirò le spalle indietro, raddrizzando la postura. «Certe volte non vi sopporto; ma questo non vuol dire che non siamo più amici, chiaro?»
«Non preoccuparti Hiccup: sarà rapido e indolore. Per lo meno per me.»
«Mh?», Testa Bruta piegò il capo di lato. «Che hai detto?»
«Perché guardi me?», disse Testa di Tufo, «Era la voce di Dagur!»
I tre si fissarono a bocca aperta per un istante, precipitandosi subito dopo nella direzione del suono. Non appena scorsero Hiccup e Dagur, si nascosero dietro un cespuglio, riunendosi per stabilire cosa fare.
«Hiccup vi sembra in pericolo?»
Si sporsero appena in tempo per vedere Dagur schiacciargli la gola con l’avambraccio, spingendolo contro un albero.
«Nah, lasciamolo a Dagur.», propose prontamente Moccicoso.
«Ci sto!»
«Anch’io!»
«E poi a me è sempre stato simpatico…»
«Bravo ragazzo.»
«Certo, un po’ squilibrato, ma chi non lo è al giorno d’oggi?»
«Certi giorni mi sento squilibrata anch’io… è quando ti formicolano i piedi, giusto?»
La risata del Grande Guerriero li fece sobbalzare. Con le facce spaurite, si acquattarono più che poterono, serrando le mandibole.
«Cavolo…»
«Un momento:», disse Testa di Tufo, sollevando una mano, «se Skaracchio ci farà quello che Dagur sta facendo ora a Hiccup, non vorrei essere davvero nei miei panni quando torneremo al villaggio a mani vuote… o forse sì?»
Moccioso si batté la mano contro la fronte, chiudendola lentamente in un pugno.
«Mio fratello ha ragione.», concordò Testa Bruta. «Scarichiamo tutta la colpa su di lui e andiamocene!»
«D’accordo, suona come un buon piano, eccetto un dettaglio…» Testa di Tufo spinse la sorella via dal cespuglio, dritta contro il berserker furioso. «La colpa te la prendi tu.»

Hiccup avvertì un rapido spostamento d’aria e un suono indistinto che, curiosamente, non fu seguito da un pugno. Non che gli dolesse l’anima per la perdita, ovviamente.
Si azzardò ad aprire un occhio, mettendo immediatamente a fuoco le nocche di Dagur a pochi centimetri dal suo viso. Lo richiuse trattenendo il fiato.
«Che diavolo stai facendo?»
«Sto pensando a come farla pagare a mio fratello.»
Quell’inconfondibile voce roca.
«Testa Bruta?»
Il minuto figlio di Stoick l’Immenso spalancò gli occhi, esterrefatto, notando che l’unica cosa che aveva separato i suoi denti da una sanguinosa catastrofe non era stata la provvidenza divina, ma le mani di Testa Bruta, serrate attorno al polso di Dagur.
«Oh, ehilà, Hiccup.»
Di tutte le persone che avrebbe potuto immaginarsi comparire in quel momento per strapparlo dalle grinfie del Grande Guerriero, la sua scelta non sarebbe ricaduta su di lei nemmeno nella più selvaggia delle fantasie.
«Tu non hai idea di quello che stai facendo.», sibilò il berserker. Le sopracciglia rossastre gli s’inclinarono pericolosamente verso il basso, mentre cercava di recuperare le redini di quell’evento fuori controllo.
«Per niente.», confermò la ragazza, scrollando le spalle.
«Ti sei appena messa fra un cacciatore e la sua preda!»
«Preda? Ma chi, Hiccup?», fiatò Testa Bruta incredula, scuotendo il capo. «Oh, andiamo! Uno come lui non lo userei nemmeno per fare il brodo.»
«Fate pure come se non ci fossi.», commentò Hiccup, roteando gli occhi. «Tranquilli.»
«D’accordo…», disse Dagur, socchiudendo gli occhi, «qui c’è qualcosa che mi puzza.»
La Bifolka si annusò le ascelle. «Non sono io.»
«Stai cercando di confondermi!» Dagur emise in ringhio sommesso, tirandola bruscamente in avanti col braccio. «Levami le mani di dosso!»
Testa Bruta incespicò, arrivando a fronteggiarlo a pochi centimetri di distanza.
«Ragazzi, vi prego…», pigolò Hiccup, con poca convinzione.
Accidenti.
Cominciò a sentirsi mancare il terreno sotto i piedi. L’idea che, in un momento del genere, anche solo un sospiro troppo forte avrebbe potuto far scattare una reazione a catena disastrosa per entrambi, lo riempiva di un opprimente senso di impotenza. Non gli capitava spesso di pensarlo ma, dopotutto, nonostante l’atteggiamento, Testa Bruta era una ragazza e non voleva che si ritrovasse un occhio nero – o peggio – a causa sua.
«Sei sorda?», sussurrò malignamente Dagur, chinandosi in avanti per raggiungere il volto congestionato della gemella. «Ti ho detto di farti da parte! È una questione tra uomini!»
«Ah, sì?», sbottò lei, scoprendo i denti.
«Sì.», la scimmiottò il Grande Guerriero, storcendo le labbra, «Uomini. Quelli che non perdono tempo la intrecciarsi i capelli e a piagnucolare di continuo.»
«Quindi quella cosa che hai dietro la testa come la chiami, mh?»
Oh, fantastico.
Hiccup sentì le gambe cominciare a cedere sotto il peso della preoccupazione. Non gli piaceva per nulla l’increspatura aggressiva che si era sollevata nella voce di Testa Bruta. La vide cambiare postura, piantando fermamente le gambe nel terreno e voltando il busto verso il proprio avversario. Poteva quasi sentire sulla propria pelle la forza con la quale le dita pallide della ragazza si stavano serrando progressivamente attorno al polso di Dagur.
Con la mano libera che volò d’istinto ai suoi capelli intrecciati prima d’abbassarsi di scatto, il berserker, preso in contropiede, aprì la bocca per replicare più volte, non riuscendo ad emettere un solo suono. Uno spasmo gli stirò i lineamenti in una smorfia agghiacciante.
«Oh, ho capito. Vuoi giocare?», sibilò infine, liberando il proprio braccio con un violento strattone. «Io adoro giocare… il primo che sanguina perde!»
Entrambi portarono indietro il braccio, serrando il pugno. Hiccup sussultò alla devastante potenza dell’impatto tra ossa e pelle dei due contendenti, che urlarono con tutto il fiato che avevano nei polmoni. Ci furono dei gemiti di dolore. Un tonfo. E, infine, silenzio.
«Ops, ho vinto.»
Hiccup seguì con lo sguardo l’elmo di Testa Bruta rotolargli accanto alle caviglie, lontano dal capo biondo della sua proprietaria, che se ne stava immobile davanti a lui.
«T-Testa Bruta, stai bene?»
La giovane vichinga si sfiorò le nocche sbucciate con un ghigno pieno d’orgoglio e si voltò, ricambiando il suo sguardo attonito. Aveva uno zigomo visibilmente arrossato.
«Il prossimo è per te, idiota d’un fratello!», gridò poi, puntando l’indice contro un cespuglio dal quale fuoriuscirono i volti scombussolati di Testa di Tufo e Moccicoso.
«Non ci credo.», disse un pallido Jorgenson, raggiungendoli. «Non posso davvero crederci.»
«E voi due dov’eravate?», domandò Hiccup, cominciando a collegare la galante entrata in scena di Testa Bruta alla loro presenza nei cespugli.
«Noi? … Ehm…», balbettò Moccicoso, «Stavamo aspettando il segnale di Testa Bruta per intervenire. Già, proprio così! Si sarà dimenticata di darcelo mentre… ehm, mentre…»
«… Mentre era occupata a malmenare Dagur al posto vostro?»
«Esatto!», dichiarò Testa di Tufo, sorridendo. «Ѐ stata una mia idea!»
«Brillante
Dagur emise un grugnito di dolore; era caduto tra le foglie e se ne stava lì immobile, con un rivolo di sangue che gli colava dal labbro inferiore. Aveva lo sguardo sbarrato e smarrito, il corpo scosso da tremiti.
«Credo di averlo rincretinito del tutto.», commentò Testa Bruta, portandosi sul berseker con aria soddisfatta.
«Bel lavoro, sorella.», si complimentò Testa di Tufo. «Cosa aspetti ad usare quel pugno anche su di me? Voglio vedere che si prov… auch!»
Il gemello ruzzolò a terra, steso da un gancio della sorella.
«Quelle sono… stelle?», esclamò. «… Forte!»
«E adesso cosa facciamo?», le chiese timidamente Hiccup, stringendosi nelle spalle.
«Ovvio, no?», fu la risposta maliziosa di Testa Bruta. «Diamogli fuoco!»
«Ottima ide… cosa?! No! Noi non appiccheremo il fuoco a nessuno, chiaro?»
«Chiaro.»
Hiccup sbuffò. «Ora ritorniamo al villagio…»
«… e poi gli diamo fuoco! Sei un genio!», esclamò Testa Bruta, battendo un pugno sul palmo della mano.
«No, niente fuoco!»
«Quanto sei noioso!»
Ignorato dai ragazzi, Dagur si tirò in piedi, ancora scosso. Sollevò il palmo della mano: tremava.
«Non riesco a capire quello che mi hai fatto, seiðkona, ma giuro che te ne pentirai!», urlò, avventandosi sulla trionfante Bifolka.
Colta di sorpresa, Testa Bruta gli afferrò le mani, bloccandolo. I due intrecciarono le dita, cominciando a spingere in direzioni opposte in una prova di forza.
«Cosa c’è? Ti brucia perché una ragazza ti ha mandato a gambe all’aria?», lo provocò lei, faticando a respingere la sua avanzata. «Non sono così debole e lagnosa, adesso, vero?»
«Ammetto di averti sottovalutato.», concordò Dagur, spingendo con più forza. «Ma non accadrà più
Le tempie di Hiccup cominciarono a pulsare. Per l’amor del cielo, bastava davvero poco per accendere l’animosità di quei due. «Dobbiamo fare qualcosa!», gridò in direzione di Moccicoso e Testa di Tufo. «Finiranno per ammazzarsi!»
L’ardimentoso Jorgenson non rispose; sembrava provare un estremo interesse per le proprie unghie. Testa di Tufo, dal canto suo, era fin troppo impegnato a incitare Dagur per poter anche solo tenere conto della presenza gesticolante di Hiccup dall’altra parte del bosco.
«Ragazzi!»
«E va bene, va bene!», biascicò il gemello, spingendo Dagur e Testa Bruta.
In due inciamparono, cadendo all’indietro. Uno schiocco frustò l’aria, sollevando terra ed erba davanti agli occhi confusi di Hiccup.
«Ma cosa…?»
Appesi a qualche metro da loro, intrappolati da una robusta rete formata da una serie di corde intrecciate, Dagur e Testa Bruta tacevano, entrambi scombussolati.
«Ecco, problema risolto.», disse Testa di Tufo, scrollando le spalle. «Potete ringraziarmi più tardi.»
Hiccup, imberbe vichingo, aveva appena perso tre anni di vita. «Hai la più pallida idea di cosa hai fatto? Hai intrappolato tua sorella con un pazzo furioso!»
«Già, è vero.», mormorò il perspicace Bifolko, con aria meditabonda, «Quindi non ho risolto un problema. Ne ho risolti ben due! Voglio una statua di bronzo alta cinque metri, per questo!»
«Sai almeno cosa sia, il bronzo?»
«Certo che lo so! … No, non lo so.»
«Ci avrei scommesso. E poi come facevi a sapere che quella cosa fosse lì?»
«Io e Testa Bruta ci siamo rimasti intrappolati decine di volte. La piazzano sempre in quel punto durante la stagione di caccia.»
«Oh, Thor, dammi la forza!»
La stagione di caccia: ecco su cosa stava cercando di metterli in guardia Skaracchio! Voleva evitare di farli finire a ciondolare appesi a un ramo.
«Ti prego, dimmi che sai in che modo possiamo liberarli…!»
«Eh? E perché dovrei saperlo io? Skaracchio sa come disattivare la trappola… è lui che le costruisce! A cosa mi servirebbe imparare cose che possono benissimo già fare gli altri al posto mio?»
«Si chiama Testa di Tufo, mica Testa di Genio!», s’intromise Moccicoso, con un ghigno di scherno sulle labbra. «E poi non sei tu quello che inventa sempre cose strambe e poi va tutto a fuoco?»
«Già.», balbettò Hiccup. «Già.»
Testa di Tufo gli mise una mano sulla spalla. «E per questo, ogni tanto, ti stimo con tutto me stesso.»
«Hiccup!», lo chiamò Dagur, «Il coltello! Dammi il coltello!»
«E il mio elmo!», gli fece eco dalle spalle Testa Bruta.
«Va bene, questa mi suona come una pessima idea.», gli fece notare Hiccup. «Tu cosa faresti al posto mio?»
«Ti lascerei qui appeso a morire di fame! … Magari tormentandoti fino a quel momento con un bastone.»
«Un classico.», annuì Testa di Tufo.
«Oh, andiamo!», urlò il berserker, con gli occhi che minacciavano di fuoriuscirgli dalle orbite tanto sporgevano in fuori per la frustrazione. «Mi serve per tagliare le corde di questo dannato affare!»
Hiccup si voltò verso l’albero nel quale Dagur aveva conficcato il coltello pochi minuti prima. Sussultò: dell’arma non vi era alcuna traccia.
Oh, grandioso… ci manca solo che comincino a piovere capre dal cielo e potremo concludere degnamente questa giornata.
Doveva assolutamente ritrovarlo prima che il Grande Guerriero si rendesse conto della sparizione ma, nel frattempo, bisognava fargli credere che fosse lui ad avercelo.
«Potrei anche restituirtelo.», esitò, non sapendo come proseguire la frase. «M-ma chi mi dice che non lo userai per farle del male?», concluse impettito, indicando Testa Bruta.
Pregò Loki affinché offuscasse la vista di Dagur, impedendogli di vedere al di là del suo bluff. Anche se, a dirla tutta, l’obiezione che aveva sollevato era più che legittima, visto l’accusato.
«Pensi che voglia usarlo contro di lei?», biascicò il berserker esterrefatto, agitandosi sul posto facendo oscillare la trappola. «Sul serio?»
Hiccup, Moccicoso e Testa di Tufo incrociarono simultaneamente le braccia, fissandolo con un sopracciglio inarcato.
«D’accordo, come vi pare.» Dagur sputò verso di loro, centrando l’elmo di Testa di Tufo. «Sapevo che voi Bifolki non siete altro che un branco di codardi politichesi!»
«Politicanti
«Quel che è! Non vale nemmeno la pena stare qui a sprecare fiato. E comunque, Hiccup, se proprio vuoi saperlo, bastano i pugni per risolvere certe faccende.»
Testa Bruta gliene sferrò uno alle spalle. «Ha ragione!», confermò con brio.
I due contenenti si gettarono l’uno contro l’altra, aggrovigliandosi nelle maglie della rete.
«Eccoli che ricominciano!», esclamò Testa di Tufo, ignaro della saliva che gli stava scivolando davanti alla faccia. «Certo spettacoli non mi annoiano mai!»
Hiccup sollevò istintivamente le braccia nel tentativo di sedare la rissa. «Ragazzi, calmatevi! Ve le siete suonate a sufficienza per i prossimi anni! Vi tireremo fuori di lì al più presto, promesso!»
Un paio di mani robuste gli afferrarono i polsi, sollevandolo verso l’intreccio di corde.
«Non appena sarò fuori di qui, prenderò a calci la tua faccia.», ruggì Dagur, stritolandogli gli arti. «Promesso.»
«Non è una bella cosa da dire all’unica speranza che hai di uscire da lì.», gli ricordò Hiccup, improvvisando un sorriso diplomatico che mutò in una smorfia di dolore, non appena il berserker spostò la stretta sulla mano livida.
«Oh, ti fa male?», domandò il Grande Guerriero fingendosi dispiaciuto, aumentando subito dopo la violenza della presa con ferocia. «Bene
Hiccup si dibatté, sforzandosi di liberarsi, quando la gravità tornò stranamente a funzionare, tirandolo verso il basso. Atterrò con un tonfo, scorgendo sopra di lui Testa Bruta schiacciare il volto di Dagur contro la rete. Non era certo se l’avesse fatto per aiutarlo o per il semplice piacere di infastidire quello squilibrato ma, sinceramente, a lui andava bene lo stesso.
Si strinse il ponte del naso, sospirando. «Andiamo al villaggio.»
«Finalmente una buona idea!», sentì approvare Moccicoso alle sue spalle. «Ho fame.»










.:~*~:.


Povero Dagur, non se le aspettava proprio cinque dita di violenza dritte sulla faccia. XD Karma is a bitch.

E ce l’ho fatta~! :D *spara fuochi di artificio* E dopo una settimana esatta! Wow, spero di riuscire a proseguire così! ;__;
Devo dire che mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo! Spero sia tutto comprensibile…
Vorrei aggiungere qualche piccola nota per rendere un po’ più chiaro che cosa ho combinato questa volta. LET’S GO!
L'età di Hiccup: come ho detto, questa storia è ambientata un annetto prima degli eventi di Dragon Trainer, quando i personaggi avevano quindi tra i tredici e i quattordici anni (credo... perché la loro età non viene confermata nemmeno sulla wikia :|).
Quando Dagur chiama Testa Bruta “Seiðkona” intende, in un certo senso, il termine “strega”. Il Seiðr era un tipo di magia sciamanica praticata quasi solo esclusivamente da donne, di tradizione antico nordica e germanica. Si basava sulla comunicazione con gli spiriti e, a quanto ho letto, permetteva di prevedere il futuro ma anche di dispensare morte, sventura e malattia e di manipolare l’intelligenza e la forza di una persona. Ovviamente prendete con le pinze quello che sto dicendo, perché non sono affatto una storica… tutte queste informazioni le ho cercate su internet (wikipedia in primis e alcuni blog). Volevo far dire a Dagur qualcosa di storicamente attendibile… ma, in realtà, HTTYD non è uno show creato per ricreare in maniera storicamente attendibile la vita dei vichinghi quindi, questa, è stata una mia semplice premura. XD
Ah, e mentre stanno litigando ho fatto dire a Testa Bruta: «Quindi quella cosa che hai dietro la testa come la chiami, mh?», perché anche Dagur ha in capelli raccolti in una treccia.
Il titolo: allora, quando si parla di “caccia in deroga”, s’intende l’inclusione di una specie nell’elenco di quelle cacciabili, cioè una “deroga” al suo status di specie protetta. In questo caso era un riferimento al fatto che a Dagur piacesse l’idea della la caccia all’essere umano. Pazzo squilibrato.
«La caccia è da sempre il passatempo preferito degli uomini di guerra in tempo di pace. Vale a dire nei periodi in cui la caccia all'uomo non è aperta.», è una citazione da “La pulce all’orecchio” di Claude Duneton. Mi sembrava parecchio appropriata ad esprimere i sentimenti di Dagur. XD
Che altro dire... per qualsiasi commento, chiarimento o correzione non esistate a contattarmi! A me fa solo piacere! :)
Ancora, ringrazio chiunque abbia letto questo secondo capitolo e, in particolar modo, Kiki75! Grazie per la recensione e per aver seguito la mia storia! :) Spero di averti strappato un sorriso con questo capitolo. XD
Bene, alla prossima, dunque!

See ya,

Shadow Eyes

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Capitolo 3
*** Via col vento ***


Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo III: Via col vento




“Percepire un aspetto nuovo di se stessi
è il primo passo verso il cambiamento
del concetto di sé.”

- Carl Rogers, “Un modo di essere”




Il vento fresco smosse dolcemente le foglie degli alberi, facendole frusciare fra loro. I boschi di Berk erano gravidi di vita e pullulanti di piccoli insetti colorati e cinguettii musicali; una fulgida gemma verde incastonata in un territorio aspro e impraticabile per gran parte dell’inverno.
Uno scoiattolo balzò con grazia su un ramo robusto, percorrendolo con le narici frementi. Si fermò di fronte ad un curioso oggetto metallico, sfiorandolo con il muso.
«Per il martello di Thor! Ma quanto ci mettono?»
Il ramo vibrò sotto le sue zampe caute, facendolo fuggire via.
Dagur seguì la fuga dello scoiattolo senza degnare d’una risposta i lamenti di Testa Bruta.
«Sono ore che siamo bloccati qui!», sbuffò ancora la giovane, lasciando penzolare le gambe fuori dalla rete che oscillò di lato, sospinta dai suoi movimenti irrequieti.
«Mi stai facendo saltare i nervi con tutte queste lagne! Saranno passati sì e no cinque minuti!»
«Sul serio? Io ho già raggiunto il limite cinque minuti fa!»
«Ma non mi dire…!», grugnì Dagur. «Strano come il tempo voli, quando ci si diverte, mh?»
«Ma non ci stiamo… oh.»
«Piuttosto, voglio indietro l’elmo!»
«Manco morta, è il mio trofeo!»
«Non è il tuo trofeo. È il mio elmo!»
Il ragazzo fece un blando tentativo di afferrare il suo copricapo nascosto dietro la schiena di Testa Bruta, guadagnandosi un ceffone sul dorso delle mani.
«Sbaglio o le tue parole esatte sono state: “Chi sanguina per primo, perde”?», lo scimmiottò la Bifolka, sventolandogli l’elmo davanti agli occhi. «Questo quindi mi appartiene di diritto!»
«Non ho mai detto che avresti avuto in premio il mio elmo!»
«E che gusto c’è a vincere se non ottieni nulla, scusa?»
Dagur serrò le labbra in una linea carica di disprezzo, tentando di recuperare il controllo del resto dei muscoli facciali, che si stiravano e rilassavano come impazziti sotto il peso della repressione dei suoi istinti più violenti. Ignorò il naso all’insù di Testa Bruta che si arricciava progressivamente davanti a quel suo bizzarro comportamento e il rantolo esasperato che le sfuggì tra i denti; la sola vista di quel suo viso scarno lo irritava oltre ogni dire ma, in quel momento, non era nelle condizioni di poterle nuovamente saltare con le mani alla gola. «Cos’hai da fissare?»
«La tua faccia.», rispose la vichinga, con l’aria di chi sta costatando un’ovvietà. «Ѐ un disastro disgustoso.»
«Oh, ti stai divertendo?», sibilò Dagur. «Fa’ pure finché puoi perché, giuro, non appena sarò in grado muovermi come si deve…!»
«Sai che c’è? Mi piace.»
Le parole astiose che gli stavano risalendo in gola precipitarono all’istante. Testa Bruta gli rivolse un sorriso malizioso che le fece brillare gli occhi.
«Cavolo, dovresti vederti!», commentò subito dopo, scoppiando a ridere, «Basta davvero poco per zittirti.»
La mascella di Dagur sporse pericolosamente in avanti. «Non ti sopporto più.»
«No, io non ti sopporto più!»
Entrambi si scostarono per prendere le distanze ma riuscirono solo a ondeggiare all’indietro prima di ricadere in avanti, sbattendo fronte contro fronte. Si arrestarono ringhiando sommessamente e, quasi di tacito accordo, decisero di approfittare dello stallo per riposarsi un po’.
«Ho le braccia completamente intorpidite… qualsiasi cosa voglia dire.»
Dagur spostò lo sguardo sulla mano ferita di Testa Bruta, seguendo la linea irregolare delle nocche sbucciate; effettivamente anche lui era nelle stesse condizioni, anche se non era di certo il tipo da ammetterlo ad alta voce come lei. Dopotutto se l’erano date di santa ragione finché Hiccup e gli altri non erano svaniti del folto del bosco: sarebbe stato davvero insolito se non avessero avuto la muscolatura contratta e indolenzita.
«Tregua?»
«Per chi mi hai preso? Non esiste Grande Guerriero che faccia un’assurdità del genere!»
«D’accordo.», Testa Bruta roteò gli occhi. «Come ti pare.»
Si separarono con uno spintone, poggiandosi specularmente contro le corde della rete.
Dagur strinse le ginocchia al petto, guardando in cagnesco Testa Bruta seduta di fronte a lui giocherellare con il suo elmo. Si mordicchiò il labbro, sentendo ancora il sapore salato del sangue; non poteva credere che una ragazzetta mingherlina come lei l’avesse ridotto in quello stato. Non che lei fosse in condizioni migliori: l’ematoma sullo zigomo era largo e gonfio, come il resto dei lividi che le aveva procurato.
Due oltraggi nella stessa giornata, per di più perpetrati dalle ultime persone del villaggio che pensava avrebbero mai avuto il fegato di opporglisi. Certo che i Bifolki Pelosi erano una tribù bislacca: uno come Hiccup non avrebbe mai avuto posto tra i Grandi Guerrieri e, una come quella sottospecie di ramazza ambulante, ancor meno. Il figlio di un capo tribù così debole e inetto? Sarebbe stato una vergogna per l’intero clan. Figurarsi se ad essere compassionevole e diplomatico fosse il capo stesso!
Dagur serrò i pugni, affondando le unghie nei palmi. Anno dopo anno aveva seguito il padre firmare trattati e patti, piantando un chiodo nelle gambe della propria gente a ogni firma, bloccandola in un limbo che una cultura basata sulla guerra e il saccheggio rendeva invivibile. Così voci maligne, scontente avevano cominciato a serpeggiare nel popolo e a insinuarsi dentro la sua mente già precaria di natura. No, non avrebbe mai accettato un’onta del genere. Non era concepibile lasciar tramontare una stirpe fiera come il volo di un’aquila, privandola della linfa che l’aveva resa forte e indistruttibile: il sangue. Donne e negoziatori non avevano alcuno spazio tra i ranghi d'elite. Oh, ma non bisognava abbattersi. No. Presto le cose sarebbero cambiate.
Le sopracciglia folte gli si arcuarono, incupendogli i lineamenti.
Tuttavia, era costretto ad ammettere di aver visto una scintilla ardere negli occhi di Hiccup e Testa Bruta. Una fiamma che aveva visto brillare solo negli occhi degli scarti di una società che li teneva bloccati al suo margine; una fiamma che poteva alimentarsi solo nello sguardo di chi aveva qualcosa da dimostrare. Non era più certo che fosse legittimo considerare debole il figlio di Stoick l’Immenso e la cosa lo confondeva e lo preoccupava. Come poteva definire chi non temeva di alzare la testa dinanzi al giudizio del proprio popolo o suo? E una donna che affrontava un avversario di più grande e più forte di lei sapendo di non avere speranze? … Forse era davvero coraggio, quello.
Dagur guardò distrattamente i piccoli solchi che le unghie gli avevano scavato nelle mani.
O, forse, era semplice incoscienza.
Dei rumori nel fogliame circostante lo divelsero dai proprio pensieri, portandolo a mettere a fuoco gli alberi attorno. Sorrise non appena sentì un fruscio leggero in lontananza.
«Già di ritorno? Oh! Oh! Oh! Si vede che il terrore che ho instillato in loro li ha motivati per bene.»
Testa Bruta starnutì.

«Salute!»
Hiccup si voltò, grattandosi la punta del naso.
«Grazie Bucket.»
«Ehm…», l’omone si grattò il secchio sul capo, «Per caso è piovuto ed io non me ne sono accorto?»
«Oh?», Hiccup seguì il suo sguardo sui propri abiti umidi. «Ah, no, Bucket. Non preoccuparti, sono io ad aver fatto un bagno fuori stagione.»
«Ah, sì? Sta attento, la prossima volta! Mulch dice sempre che è pericoloso fare il bagno prima che siano trascorse tre ore dall’aver mangiato dei funghi velenosi.»
«Me ne ricorderò.», disse Hiccup, passandosi una mano dietro il collo. «Senti, Bucket… Per caso hai visto Skaracchio?»
«Sì. Credo di averlo visto vicino al molo.»
«Davvero?»
«O forse era ieri? Non riesco mai a distinguere il tempo che passa…»
«Non preoccuparti, grazie lo stesso! Ora devo proprio andare, a dopo!»
Bucket gli sorrise annuendo, salutandolo con la mano quando lo vide allontanarsi verso il villaggio.
Hiccup si lanciò sulla strada principale, superando Bifolki e Grandi Guerrieri intenti chi a chiacchierare chi a destreggiarsi nelle proprie attività quotidiane. Cercò di ricordarsi il percorso che di solito seguivano suo padre e Oswald durante la visita annuale: se la sua mente non lo ingannava, la visita consisteva nel giro completo del villaggio (sebbene da qualche anno Oswald avesse detto che non fosse più necessario farlo), il controllo dell’armeria, il banchetto nella Grande Sala e, infine, l’arena. Il piano era semplice: bisognava evitare come la peste tutti quei luoghi, ovviamente con discrezione – cosa che sarebbe risultata estremamente facile, poiché Moccicoso e Testa di Tufo l’avevano abbandonato all’ingresso del villaggio – e cercare Skaracchio per farsi spiegare come disattivare la trappola.
Raggiunse la forgia; l’odore del ferro e della cenere gli invasero le narici, facendolo sentire stranamente a casa.
«Skaracchio?»
Entrò all’interno della sua zona di lavoro, non trovando nulla a parte martelli e pinze sparsi sul bancone.
Fantastico.
Uscì sotto il caldo sole primaverile, sentendo immediatamente i suoi raggi delicati scaldargli la pelle. Forse avrebbe dovuto provare a casa sua? Si avviò rapidamente in quella direzione. Nella peggiore delle ipotesi, l’armaiolo era ancora in compagnia di suo padre e avrebbe dovuto inventarsi una scusa per allontanarlo da lui senza allertare Oswald e la sua tribù.
Assorto nelle proprie riflessioni, svoltò un angolo e urtò con la spalla qualcosa, inciampando e finendo a terra in una nuvoletta di polvere.
«Fa’ attenzione!»
«Scusami…», mormorò automaticamente in risposta.
«Hiccup?»
Quella voce. Non era possibile.
Si voltò, sentendo la terra ritrarsi da sotto i suoi palmi: era Astrid. Astrid Hofferson. Si era imbattuto in Astrid Hofferson. La temperatura nella strada parve inspiegabilmente salire di colpo, facendogli arrossare le guance e chinare lo sguardo.
Calma, Hiccup. Sangue freddo. Non morde mica… probabilmente.
Tossicchiò e si schiarì la voce, avendo la netta sensazione di avere appena ingoiato tutta la terra che aveva sollevato cadendo.
La ragazza lo afferrò per un braccio senza tante cerimonie e lo tirò su. Non ricordava di esserle mai stato così vicino. Per lo meno non consapevolmente.
«Cosa ci fai qui? Credevo fossi con Dagur.»
«Buffo che tu lo dica, in realtà è proprio a causa sua se sono qui.», farfugliò lui in risposta, sentendo le frasi disarticolarglisi sulla punta della lingua.
Si chiese se fosse il caso di raccontarle l’intero accaduto. Vista la tempra prona ai raptus di rabbia della fanciulla, forse sarebbe stato più saggio evitare di coinvolgerla, procurandosi magari anche qualche altro livido nel processo.
«Ti stavo cercando.»
«Sai, mi piacerebbe davvero restare qui ma credo proprio di dover andare da quella parte a fare cose… davvero vichinghe e virili e…», balbettò Hiccup, indicando un punto indefinito alle sue spalle per poi immobilizzarsi. «Potresti ripetere?»
«Ti stavo cercando. Mi manda tuo padre.»
Hiccup sbiancò, battendo ciglio. Come aveva fatto suo padre a scoprire tutto? Che qualche Bifolko l’avesse visto nel bosco e fosse corso ad avvertirlo? O forse c’era sotto dell’altro?
«D’accordo, d’accordo.», disse, premendosi le dita sottili sulla fronte. «Che cosa sta succedendo?»
«Tuo padre ha appena incaricato me e Gambe di Pesce di tenerti al sicuro e badare che Dagur…»
«Fammi indovinare: non faccia Dagur?»
«Il senso è quello.», confermò Astrid con la trillante nota di una risata nella voce. «Gambe di Pesce dovrebbe arrivare a momenti, c’eravamo dati appuntamento qua vicino.»
«Non posso credere che mio padre vi abbia ordinato una cosa del genere. Perché?»
La giovane Hofferson incrociò le braccia sul petto, inarcando un sopracciglio chiaro. «Dopo quello che ha combinato Dagur l’anno scorso, credo abbia tutte le ragioni di questo mondo per volerlo tenere d’occhio.»
Hiccup si ritrovò ad annuire suo malgrado, costernato. Le galline di Berk non erano più state le stesse, dopo aver passato un pomeriggio intero con Dagur. E nemmeno Gambe di Pesce.
«Dove sono Moccicoso e i gemelli? Tuo padre ha detto che Skaracchio ha mandato anche loro.», gli chiese Astrid, guardandosi attorno come se si aspettasse di vederli comparire da un momento all’altro.
Hiccup scrollò le spalle. Ecco spiegato perché quei tre fossero convenientemente sbucati da un cespuglio quando si era trovato in difficoltà.
«Moccicoso e Testa di Tufo saranno da qualche parte nel villaggio.», le rispose sovrappensiero, passandosi inconsciamente le dita sul dorso della mano gonfio e livido.
Lo sguardo di Astrid si assottigliò a quella risposta, colmandosi di disapprovazione ma perse ogni ostilità non appena notò l’ematoma. «Cos’hai fatto alla mano?»
«Nulla.», minimizzò Hiccup, nascondendo istintivamente il braccio dietro la schiena. «Ora dobbiamo sbrigarci a trovare Skaracchio, Testa Bruta è nei guai!»
«Cos’è successo?»
«Ehi, Astrid!»
La voce timida di Gambe di Pesce li raggiunse alle spalle, seguita dal suo pingue proprietario, che stava stringendo al fianco una piccola sacca.
«Oh, Hiccup, credevo…»
«… Fossi con Dagur? Già sentita.»
Gambe di Pesce scambiò un’occhiata stranita con Astrid, che gli annuì sorridendo, indicandosi.
«Il fatto è che è rimasto bloccato in una delle trappole nel bosco…»
«Oh, ottimo!», esclamò estaticamente la giovane Hofferson, sollevando un pugno. «Questo risolve tutti i nostri problemi!»
«… con Testa Bruta.»
«E questo ce ne crea altri.», terminò la ragazza, lasciando cadere il volto tra le mani. «Ma com’è successo?»
«Dovresti chiederlo a Testa di Tufo. Ora troviamo Skaracchio, facciamoci dire come si disattiva la trappola e andiamo di corsa a liberarli, prima che i Grandi Guerrieri scatenino un pandemonio alla ricerca del figlio del loro capo.»
«Se sono ancora vivi.», s’intromise Gambe di Pesce, deglutendo. «Quei due in una trappola sono come le teste di un Bizippo!»
Hiccup e Astrid lo fissarono, in attesa di un chiarimento.
«Pessima accoppiata! Le probabilità di mutilazioni più o meno gravi sono altissime.»
Riconoscendo la possibilità di quella cupa circostanza e rabbrividendo al sol pensiero, il terzetto setacciò di buona lena il villaggio alla ricerca dell’armaiolo, riuscendo finalmente a trovarlo nei pressi della capanna di Mildew.
«Skaracchio!», lo chiamò Hiccup, correndogli incontro. «Abbiamo bisogno…!»
«Hiccup! Sei ancora tutto intero!», esclamò l’omone, battendogli affettuosamente la mano sulla spalla. «Però, per la barba di Thor, non ti ho visto così malconcio da quando per sbaglio mandasti in fiamme metà della forgia!»
«Era soltanto un prototipo e se la valvola non fosse saltata, avremmo avuto una delle armi più letali che…»
Skaracchio inarcò un sopracciglio.
«… E comunque perché rinvangare un disastro avvenuto in passato quando possiamo prevenirne uno nel presente?», concluse Hiccup tutto d’un fiato, arrossendo furiosamente.
«Di quale disastro stai parlando?»
«Ricordi quelle trappole a rete che piazzate di solito nei boschi durante la stagione di caccia? Be’…»
«Ooh, le trappole! Ecco cosa avrei dovuto dirvi stamattina! Dunque, bisogna sbloccare il perno di sicurezza e rimuovere la barra di supporto dell’innesco. È più semplice farlo che spiegarlo, credetemi. Chi ci è finito dentro?»
I tre impavidi Bifolki parvero rimpicciolirsi sotto lo sguardo indagatore dell’omone.
 «Dagur e Testa Bruta!», squittì Gambe di Pesce, raggomitolandosi su se stesso, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Astrid e un sospiro da parte di Hiccup.
«Dagur e Testa Bruta, dite?», ripeté Skaracchio, grattandosi il capo con aria confusa. «Eppure sono sicuro d’aver visto Testa Bruta poco fa al porto!»
«Com’è possibile?», Hiccup si voltò verso i propri compagni.
«Magari qualcuno li ha trovati mentre tu eri via.», tentò Gambe di Pesce, congiungendo le dita con fare meditabondo. «E li ha liberati.»
«O Dagur potrebbe avere strappato a morsi la rete.», aggiunse premurosamente Astrid.
«Improbabile. Tuttavia, visto il soggetto, non completamente escludibile.»
«Sei sicuro fosse proprio Testa Bruta, Skaracchio?», chiese Hiccup.
«Sicuro come porto le mutandine di seta in questo momento!», affermò allegramente l’armaiolo.
Skaracchio: un uomo, mille colpi di scena.
«Be’, cosa sono quelle facce? Andiamo a controllare!», ordinò Astrid, marciando via trascinandosi dietro i suoi due imbambolati commilitoni. «Grazie mille, Skaracchio!»
«Heh. Reagiscono così solo perché non sanno quel che si prova a indossarle.»
I tre percorsero rapidamente la strada che portava al molo del villaggio, discutendo sul da farsi. Inizialmente Hiccup si limitò ad annuire, straniato da quella circostanza al limite dell’inverosimile. Guardò di sottecchi Astrid e Gambe di Pesce: gli faceva uno strano effetto camminare al loro fianco sentendosi realmente partecipe della conversazione. Normalmente lui diceva qualcosa, tutti lo ignoravano e lui si pentiva di aver anche solo fiatato finché, per redimersi, non tentava ancora di fare qualcosa, tutti correvano via urlando e lui non era più così certo di come sentirsi nei confronti del suo stesso popolo.
Non era uno sciocco, sapeva bene che Astrid e Gambe di Pesce erano con lui perché stavano espletando il loro dovere nei confronti di suo padre, niente più, niente meno. Tuttavia, non se la sentiva di indulgere troppo all’oggettività, in quel momento. Per lui era un’occasione più unica che rara, dopotutto.
«Eccola!»
La voce di Astrid lo riscosse, facendogli sollevare il capo. Scorse una figura ingobbita seduta sulle assi secche della banchina: aveva un aspetto sperduto, trascurato e non sembrava minimamente conscia dei dintorni.
«Testa Bruta!», la chiamò, raggiungendola, «Tutto bene? Dov’è Dag… Testa di Tufo?!»
Con somma sorpresa del terzetto, mista ad un vago senso di nausea, Testa di Tufo si voltò, facendo mulinare delle improvvisate quanto improponibili trecce bionde. Se ne stava raggomitolato su se stesso con aria mesta, infagottato nei vestiti della sorella.
«Ragazzi? Credo di non sentirmi tanto bene.», biascicò Gambe di Pesce, il viso paffuto di una malsana colorazione verdognola.
Astrid gli batté una solidale pacca sulla schiena.
«Come avete fatto a riconoscermi?», domandò Testa di Tufo, visibilmente confuso. «Nessuno ha mai notato la differenza!»
«Ehm…», Hiccup si costrinse a pensare ad una motivazione plausibile e non offensiva. «P-perché Testa Bruta…»
«Ѐ l’odore, vero?», annuì il gemello con un sospiro, «Accidenti. Lei si lava. Be’… ogni tanto.»
«Già.», le labbra si Hiccup si strinsero in una linea sottile. «Era esattamente quello che intendevo.»
«Sapete…», riprese Testa di Tufo, tornando a guardare il mare, «non sono mai stato separato da mia sorella per così tanto tempo.»
«Non è poi così tanto.», disse Astrid con gentilezza, accosciandosi al suo fianco nel tentativo di tirargli su il morale. «Ѐ passata sì e no un’ora.»
«Non credevo avrei mai potuto dirlo ma mi manca.», proseguì Testa di Tufo, con gli occhi fissi sul calmo mugghiare delle onde. «Però, se mi vesto come lei, mi sento meno solo perché così posso fingere di essere entrambi.»
Dinanzi a quel piccolo, mogio vichingo, Hiccup si passò mestamente una mano tra i capelli, sospirando. Che pasticcio! Non sapeva davvero cosa fare né tanto meno cosa pensare. Testa di Tufo era sempre stato un bambino vivace e combina guai; non gli era mai capitato di vederlo in quello stato. A essere sincero, non gli era mai capitato nemmeno di vederlo senza Testa Bruta alle calcagna. Gli erano sempre parsi un’unica, altamente infiammabile entità.
«Mi dispiace, Testa di Tufo.», mormorò, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Giurami che non le spiffererai mai quello che ho detto!», lo ammonì l’altro con un dito, «Chiaro?»
«Cristallino.»
«Crista… cosa?»
«Intendevo dire che il tuo discor… lasciamo perdere.»
«Che ne dici di darci una mano a tirarla fuori da quella trappola, invece che startene qui a deprimerti, mh?», gli propose Astrid, tirandolo su di peso. «Giusto, ragazzi?»
Quando gli occhi chiari della ragazza cercarono i suoi, incoraggiandolo a rispondere, Hiccup sentì lo stomaco in completo subbuglio. Si ritrovò ad aprire la bocca con tutta l’intenzione di dire qualcosa, o per lo meno grugnire un qualsivoglia tipo di suono indistinto in segno d’approvazione ma la sua mente era completamente vuota e silente.
«Mi sa che gli è entrata una mosca in gola.», sussurrò Testa di Tufo ad Astrid, con l’aria di chi la sa lunga. «Ci penso io, sono un professionista.»
Intrecciò le dita, tendendole davanti a sé per stirare la muscolatura sotto gli sguardi attenti della giovane Hofferson e Gambe di Pesce. Afferrò Hiccup alle spalle, con somma sorpresa di quest’ultimo, esercitando una forte pressione sul suo sterno a più riprese.
«Sto bene! Ouch! Sto bene!», disse in singhiozzi di varie tonalità la progenie di Stoick l'Immenso temendo che, se l’avesse strizzato a quel modo ancora una volta, gli sarebbero schizzati gli occhi fuori dalle orbite.
«Ѐ uscita? Va meglio, vero?»
«Sì. È… uscita. Grazie.», balbettò l’altro, respirando grandi boccate d’aria.
«Nessun problema. Io e mia sorella inghiottiamo spesso cibo o oggetti…»
«Oggetti?», gli fece eco Gambe di Pesce.
«… che non riuscivamo poi a mandar giù. Mio padre mi ha insegnato questo trucco per farli uscire fuori, invece. Forte, vero?»
Un rantolo fu tutto ciò che Hiccup riuscì ad emettere come risposta.
«Bene, ora che Hiccup è stato salvato da una mosca, che ne dite di andare?», propose Astrid, scandendo con un tono inquietantemente compassato l’ultima parola. «Abbiamo ancora una trappola da disattivare!»
A stento riuscirono a muovere un passo che un paio di pescatori li travolsero borbottando qualcosa, unendosi ad un assembramento concitato di uomini diretti alla banchina.
«Che cosa stanno facendo?», mugugnò Gambe di Pesce, apparentemente più a se stesso che a loro.
Hiccup percepì uno strano fermento attorno a sé; eccetto che per i Giochi del Disgelo o i draghi, era raro vedere così tanta agitazione al villaggio. Scandagliò la zona e, appena scorse una nave familiare attraccata al porto, tutto cominciò ad avere un senso. Una figura barbuta balzò oltre il parapetto, facendosi largo frettolosamente tra tutti i vichinghi radunatisi lì vicino. Gli abiti sgargianti e gli ampi gesti nervosi non lasciavano spazio ad alcun dubbio: era il mercante Johann.
Hiccup sventolò la mano in sua direzione, felice di vederlo nonostante fosse certo che mancasse ancora un mese alla sua periodica visita a Berk.
L’uomo stava allungando il collo a destra e a manca con gli occhi sgranati, quando notò finalmente il suo gesto. Sussultò platealmente, catapultandosi nella sua direzione.
«Oh, no. Guai in arrivo.», squittì Gambe di Pesce.
Johann si fermò bruscamente davanti ai loro sguardi perplessi, travolgendoli con una piccola ondata d’aria.
«Che mi venga un colpo, devo avere le traveggole!», fiatò pallido come un cencio, afferrando le spalle di Testa di Tufo. «Ti ho vista intrappolata in una rete trasportata da un drago!»
Testa di Tufo starnutì.










.:~*~:.

TAN-TAN-TAAAN! *suono drammatico*
E ci siamo! Ecco il terzo capitolo... porca misera, speravo di poter aggiornare più rapidamente. TT____TT Purtroppo sto cercando di studiare per quelle strane cose chiamate "appelli"... con scarsi risultati, ovviamente. Non ne ho davvero voglia. XD Comunque sono un po' rallentata. Per non parlare del fatto che mi hanno avvertita che adesso hanno cominciato a circolare spoilersssssss piuttosto pesanti sul film e quindi mi sto tenendo il più possibile alla larga dal web.
Ma andiamo alle spiegazioni! ... Credo di doverne fare un bel po', questa volta. *si arrovella*
Dunque! Questo è un capitolo nel quale ho voluto cominciare a far riflettere un po' Dagur su Hiccup and company. Questa storia è una what if...? e, quindi, proverò a rendere onore alla sua definizione cercando di mettere in scena un'ipotesi di cambiamento, per quanto semplice e non eccessiva. Io non credo affatto che Dagur possa diventare di punto in bianco l'amico del cuore di Hiccup etc. Ѐ troppo egoista, egocentrico e fuori di testa per questo però ho pensato che, date le giuste circostante, avrebbe potuto essere un ottimo amico/nemico. Alla Red e Toby, per intenderci. Arrivare a riconoscere il valore effettivo degli abitanti di Berk ma continuare comunque a credere che la priorità della supremazia bellica dei Grandi Guerrieri, sia la strada giusta.
Lo so... fosse per me il mondo sarebbe tutto rose, fiori e nutella ma le fanfiction servono anche a questo, no? No?! ... No?
...
Comunque sia, prometto che ogni nodo verrà al pettine. XD Spero solo di riuscire a fare un buon lavoro durante tutto il processo.
Oh, vorrei specificare che quanto ho scritto: “Donne e negoziatori non avevano alcuno spazio tra i ranghi d'elite”, è una mia mera ipotesi, perché in realtà nella serie non si specifica mai una cosa del genere. Io ho semplicemente notato che tra i Grandi Guerrieri che Dagur si porta dietro a Berk non ci sono donne… quindi inizialmente ho pensato non ce ne fossero proprio in quei ranghi. Però in “The Night and the Fury” Dagur stesso afferma di avere una sorella e che lei preferisca equipaggiarsi di scudo quando combatte, contrariamente a lui: quindi probabilmente le donne del suo clan possono anche diventare delle guerriere, esattamente come quelle di Berk, ma forse non possono entrare a far parte dei ranghi elitari dell’esercito… o forse, più semplicemente, a Dagur non piace avere una nave piena di esseri che potrebbero avere una sindrome premestruale da un momento all’altro e sono armati di asce. XD Boh, in realtà, come ho detto, sono tutte mie supposizioni.
Effettivamente si può scoprire qualcosina sulla situazione femminile in “Zippleback Down” (non sono riuscita a trovare l’episodio in italiano, quindi non ho idea di quale sia il titolo nella nostra lingua): infatti in questa puntata Testa di Tufo fa un discorso interessante e divertente sul perché Testa Bruta sia perennemente sul piede di guerra. Ora, non ricordo le parole esatta ma in soldoni afferma che è sempre arrabbiata e pronta a usare la violenza perché è una “donna in un mondo di uomini”. Per questo ho scritto che lei, come Hiccup, non lasciava che nulla la spaventasse anche perché aveva qualcosa da dimostrare.
In quella stessa puntata Skaracchio spiega come attivare e disattivare tipi di trappole, quindi le istruzioni che lascia verso la fine del capitolo ai ragazzi sono una mia maccheronica traduzione di quel che dice (sempre perché non so in che modo la mette in italiano).
Oh, poi: “Mulch dice sempre che è pericoloso fare il bagno prima che siano trascorse tre ore… etc”, è una citazione da: “Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano. Opera omnia”. Mi sembrava una frase che uno come Bucket avrebbe potuto tranquillamente affermare senza batter ciglio. XD
E se vi è parsa strana quella frase sulle galline di Berk e Gambe di Pesce… nell’episodio “Un Ospite Molto Scomodo” i ragazzi raccontano che una volta Dagur abbia rinchiuso Gambe di Pesce in una gabbia e l’abbia lasciato a digiuno per tre giorni, con Moccicoso che continuava a ripetere che il berserker fosse simpatico. Uno spasso, guarda. XD
Per quanto riguarda invece Testa di Tufo: giuro di non aver sniffato copertoni bruciati! Giuro! XD Ne “La Sconosciuta” è lui stesso ad affermare che qualche volta si è divertito ad andare in giro per il villaggio vestito come la sorella, senza che nessuno, a quanto pare, notasse la differenza. Mi sembrava un'intermezzo simpatico da inserire nel capitolo... oltre a un buon sitema per rappresentare quanto volesse bene a Testa Bruta cosa che, visto il personaggio, o avviene in maniera strana o non avviene affatto. XD Io l'adoro. ♡
Non nascondo di avere avuto qualche difficoltà a scrivere le reazioni dei personaggi nei confronti di Hiccup. Ok, nel primo film ci fanno capire che era un combina guai e che abbia fatto inavvertitamente molti danni al villaggio e ai suoi abitanti, però sono del parere che Astrid e Gambe di Pesce non l’abbiamo mai trattato male o messo da parte perché Hiccup è… be’, Hiccup. Ovvero, che l'abbiano escluso solo perché tutti gli altri bambini lo facevano (Moccicoso in testa). L'Astrid di inizio film credo possa pensare che, sì, effettivamente Hiccup è un ragazzino troppo impacciato per essere un buon guerriero e che possa diventare una minaccia per il benessere del villaggio se continua a voler uscire fuori dal suo ruolo all'interno della forgia ma non credo che abbia mai avuto risentimenti personali nei suoi confronti. Mentre Gambe di Pesce sprizza gentilezza da ogni poro… ma è anche un po' fifone e sensibile quindi, se non fosse stato per il fatto che Hiccup venisse messo da parte dai suoi coetanei, gli sarebbe stato amico di sicuro fin dall’inizio. Questo è quello che ho pensato... non fatevi problemi a correggermi, se lo ritenete giusto! Sono felice se mi date una mano a capire meglio i personaggi. :)
NOTES. NOTES EVERYWHERE!
Basta così. XD Concludo ringraziando mia madre in primis, perché ha sopportato con stoica fermezza tutti i miei scleri sul capitolo (ti voglio bbbene, ma'! ♡), La Prima Ultima per aver seguito questa folle, folle storia e, infine, chiunque abbia letto questo nuovo capitolo! :))

See ya,

Shadow Eyes

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Capitolo 4
*** Skadoosh! ***


Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo IV: Skadoosh!




“Amicizia:
il tacito accordo
fra due nemici
di voler collaborare
per un bottino comune.”

- Elbert Hubbard





«Piantala di starnutirmi addosso!»
Testa Bruta si passò il dorso della mano sotto il naso umido e arrossato, senza degnare d’uno sguardo un Dagur estremamente oltraggiato dall’altra parte della rete. «Che c’è, hai la memoria corta? Sei stato tu a spingermi in acqua stamattina.», gli rispose, scrutandosi con aria di sufficienza la mano sporca. «Oh! Guarda, questa caccola ti somiglia!»
Dagur ritrasse il collo con un guizzo quando si ritrovò a fronteggiare la spaventosa avanzata della mano della ragazza, decorata da una pittoresca opera d’arte estemporanea verdognola e molliccia. E gli somigliava davvero, per giunta!
«Ti ho detto di piantarla!», sbottò ancora e le spinse via il braccio, agitandosi sul posto con il naso adunco arricciato.
Per essere diventati da poco il probabile pranzo a sacco di un Incubo Orrendo o dei suoi cuccioli, stavano riuscendo a conservare un atteggiamento piuttosto rilassato. Non che non avessero provato a trovare una via di fuga, mentre il drago strappava senza alcuno sforzo il ramo al quale erano rimasti avvinti e prendeva il volo oltre la verde coltre degli alberi del bosco; Dagur aveva persino cercato di raggiungere il congegno metallico che manteneva la rete salda al tralcio, con l’intenzione di forzarlo ma era ben oltre la portata delle sue dita. Si era così lanciato contro le corde con una violenza inaudita e aveva preso a ringhiare come una bestia feroce, afferrandosi il capo fumante di rabbia e frustrazione. Gli ci erano voluti un paio di lunghi latrati, oltre ad uno schiaffo gentilmente offertogli da Testa Bruta, per uscire da quello stato. Nel frattempo le cime degli alberi erano sfumate in distese verdeggianti, a loro volta trasmutate, sotto il poderoso battito d’ali, in scogli e, infine, oceano.
Dagur strattonò una delle funi, facendo oscillare la rete e ottenendo quello che aveva tutto il tono di uno sbuffo seccato da parte del drago. La tirò ancora con forza, per il semplice gusto di infastidire il loro rapitore. Avrebbe dovuto avere le membra intirizzite dalle correnti gelide che lo lambivano, eppure sentiva a malapena il freddo, perso com’era a macchinare un sistema per trarsi fuori da quella situazione.
Testa Bruta invece si era rannicchiata con uno sbuffo, stringendo il suo elmo contro il petto. Aveva il corpo scosso da tremiti e le guance rosse si stagliavano sul bianco del suo volto tirato.
«Non posso credere che tu abbia pensato di affidare la mia pelle nelle mani di un mercante!», eruppe improvvisamente Dagur, continuando ad esaminare ogni fibra della trappola.
«Be’, neanche mordere le corde o cercare di strapparle a mani nude sono stati dei colpi di genio, se è per questo.», gli ricordò Testa Bruta con un ghigno canzonatorio.
Dagur serrò i denti, facendoli raspare gli uni contro gli altri producendo un rumore agghiacciante. Quel sacco d’ossa non sapeva mai quando era il momento di chiudere quella boccaccia larga; non riusciva davvero ad abituarsi all’idea che esistessero delle persone che non tremassero al sol pensiero di avere l’ultima parola con lui. La tribù dei Bifolki Pelosi, a quanto pare, non aveva davvero idea di cosa fosse una scala gerarchica.
Testa Bruta, dal canto suo, sembrava aver perso ogni interesse in lui e stava fissando un punto indefinito oltre le sue spalle. Il Grande Guerriero si voltò istintivamente seguendo il suo sguardo ma, attorno a loro, vi erano solo mare e cielo che abbracciavano, in una tavolozza infinita di tonalità di blu, l’intero orizzonte.
Masticò un’imprecazione e spinse la schiena con un certo slancio contro la rete, sorridendo soddisfatto al leggero gorgoglio nervoso dell’Incubo Orrendo, che assestò gli artigli contro il ramo.
«Affascinante…», borbottò Testa Bruta, sfiorandosi il mento con le dita, seguendo con attenzione il movimento delle ampie ali del drago. «Potresti rifarlo?»
«Cosa vai blaterando?»
Decidendo di ignorarlo, la ragazza si alzò in piedi e si gettò di peso sulle corde, facendo traballare nuovamente l’intera struttura. Uno strano odore cominciò a diffondersi nell’aria.
«Perdona il mio entusiasmo.», si scusò Testa Bruta, sollevandosi in piedi con un’espressione inquietantemente educata sul volto. «Tuttavia, sento di poter supporre che siano le correnti d’aria a sostenere il nostro peso quassù… non trovi?»
Le braccia del berserker ricaddero inerti sulla rete dinanzi a quell’exploit scientifico. Se la Bifolka gli avesse sferrato un colpo di ramazza in pieno volto l’avrebbe sconvolto molto meno. Non riusciva a capire cosa le stesse accadendo: ne aveva visti di deliri nella sua vita – diamine, il più delle volte ne era stato lui stesso il protagonista – ma mai che incrementassero il livello culturale di una persona. L’effetto, di solito, era l’esatto opposto.
«Dunque non sarebbe lecito pensare che, in quanto incognita fuori controllo, noi possiamo alterarne l’equilibrio a nostro vantaggio?», proseguì Testa Bruta, terminando la domanda tra i colpi di tosse. «Vedi, l’equilibrio… l’equilibrio…»
La frase le si smorzò improvvisamente in un balbettio inconsulto. Dagur vide gli occhi della ragazza perdere ogni barlume di lucidità e, in un battito di ciglia, se la ritrovò afflosciata scompostamente davanti ai piedi. Non riuscendo a stabilire di che tipo di morte subitanea si fosse trattato, la pungolò con la punta dello stivale. Nessuna reazione. Le afferrò di malagrazia i capelli, sollevandole il viso. A quel contatto violento, Testa Bruta tornò in sé, anche se parve impiegare qualche istante a mettere a fuoco la sua figura. «Che stai facendo? Levami le mani di dosso!»
Gli afferrò il polso, divincolandosi dalla sua presa. Dagur sentì la mano della ragazza bruciare attorno alla sua pelle gelata.
«Vorrei tanto sapere cosa accidenti mangiate da queste parti.», le sibilò, fissandola con un misto di stupore e disgusto mentre la lasciava andare. Non vi era più alcuna traccia di compostezza negli atteggiamenti della ragazza.
«Mangiare? Ieri ho mangiato pesce, poi la sera una zuppa di verdure…», cominciò Testa Bruta, sedendosi spaesata con la testa tra le mani. «Il giorno prima yak arrosto. Oh, e poi c’è la storia del vomito… ma quella è solo una voce. Più o meno.»
Un solco calcò il contorno della narice destra di Dagur. «Non. Voglio. Saperlo.», le intimò a denti stretti.
«E allora perché me lo chiedi?»
«Perché qualche istante fa stavi dicendo qualcosa di sensato sul come farci uscire da qui e ora sei di nuovo stupida come un troll!»
Prima che la ragazza potesse anche solo arrivare ad un’interpretazione logica della sua affermazione, Dagur si avventò su di lei, afferrandola e schiacciandola contro la rete.
«Forza, rifallo!»
«Che stai dicendo?»
«Pensa!», le ordinò, premendole il volo contro le corde. «O stai semplicemente cercando di farmi impazzire?»
«Non hai bisogno del mio aiuto, per quello!», rantolò la giovane, starnutendo sonoramente.
Una virata brusca dell’Incubo Orrendo li fece ruzzolare ovunque.
«Cosa c’è, ti dà davvero così tanto fastidio un po’ di turbolenza, maledetta bestiacci…» Dagur tacque, serrando le labbra in una linea sottile: spezzare l’equilibrio delle correnti, ma certo! Si sollevò, tirando assieme a sé anche Testa Bruta.
La Bifolka s’irrigidì quando si ritrovò naso a naso con lui, e non parve abbandonare l’allerta neanche quando la poggiò sulle funi con la stessa leggerezza con la quale l’aveva sollevata. «E adesso che c’è?», gli domandò infatti sulla difensiva, sostenendo il suo sguardo esaltato.
Il Grande Guerriero scoppiò a ridere, roteando gli occhi nelle orbite. «Bene, bene, bene… non riesco davvero a capire come tu faccia e, sinceramente, non m’importa nemmeno.»
«“Come faccia” cosa?»
«Come fai a pensare certe cose! D’altronde le streghe hanno un mondo tutto loro nella testa…»
«Tu sei tutto suonato.», borbottò Testa Bruta, cominciando a sembrare decisamente confusa.
«D’accordo, ascolta: per quanto mi faccia ribrezzo anche solo l’idea, siamo costretti a fare quella cosa che hai proposto prima.»
La giovane inarcò un sopracciglio a quella perifrasi. «Una tregua?»
«No. Una temporanea collaborazione tra nemici.»
«Tipo… una tregua?»
«Sì… no! Io non faccio tregue con nessuno!»
«Ti ascolto.», tagliò corto Testa Bruta, incrociando le braccia sul petto.
«C’è un modo per uscire vivi da tutto questo, anche se probabilmente ne porteremo i segni sui nostri corpi e nelle nostre menti per il resto della nostra vita.»
Un breve istante di silenzio attonito calò tra loro.
«Cosa stiamo aspettando!?», esclamò la vichinga, esaltata come non mai.
Dagur la guardò negli occhi e un fremito di eccitazione gli attraversò i lineamenti. Oh, sì, ne avrebbero viste delle belle tra poco.
Le porse la mano, siglando l’armistizio con una stretta energica.
«Un’isola.»

Gambe di Pesce aprì gli occhi, trovandosi a fissare il rassicurante, sfuocato viso tondo di Astrid.
«Oh, Astrid.», biascicò, mettendosi a sedere. «Non puoi neanche immaginare che sogno stranissimo ho appena fatto: stavamo discutendo con Hiccup – il che è già assurdo di per sé – sul come liberare Testa Bruta e Dagur da una trappola, quando improvvisamente ci ritroviamo Testa Bruta davanti, solo che non è Testa Bruta ma Testa di Tufo! E poi il mercante Johann ha detto che Testa Bruta e Dagur sono stati rapiti da un drago! Un Drago! Eppure non pensavo di aver mangiato così tanto, oggi…»
«Gambe di Pesce.», gli disse piano la ragazza, stringendogli una spalla. «Non era un sogno.»
Il prode Bifolko collassò di nuovo.
«Vengo con te.»
La voce di Hiccup lo riscosse dal torpore di quel piacevole oblio privo di pensieri, facendolo risvegliare.
«Be’, io di certo non starò qui ad aspettarvi con le mani in mano.», sentì dire ad Astrid.
«Oh, sei di nuovo in piedi… per modo di dire, ovviamente.»
Gambe di Pesce sollevò il capo, ritrovandosi Testa di Tufo comodamente seduto sulla sua pancia.
«Ti spiace…?», fiatò educatamente, accennando ad alzarsi.
«Veramente sì.», ammise Testa di Tufo, scostandosi con una scollata di spalle. «Sei parecchio comodo.»
Gambe di Pesce si tirò su, spolverandosi le vesti. «Ho paura di chiederti cosa mi sono perso…», mormorò, guardando il gemello, il quale, per fortuna, aveva avuto la decenza di sciogliere quelle orripilanti trecce che si era fatto. «Ma, d’altro canto, temo di non poter sostenere l’ansia di rimanere all’oscuro di tutto.»
«Eh?»
«Cos’è successo?»
«Oh… Johann ha detto che mia sorella sta volando da qualche parte con un drago. Un Incubo Orrendo, per giunta! Per la barba di Thor, non riesco ancora a crederci!»
«Mi dispiace, Testa di Tuf…»
«Tutte a lei le fortune! E poi Hiccup gli ha detto tipo: “Cosa?” e tu hai urlato come una femminuccia e sei svenuto.»
«Grazie per la sintesi illuminante.», sbuffò Gambe di Pesce, stingendosi il setto nasale tra le dita. «Ma io intendevo: cos’è successo dopo che sono svenuto?»
«Johann ha allontanato tutti i curiosi e ha detto che vuole andare a cercare il capo, per avvertirlo dell’accaduto.»
«Oh.»
Forse non sarebbe stato poi così male rimanere privo di sensi fino alla fine di quella stramba giornata.
«Gambe di Pesce!», Astrid lo raggiunse con un sorriso. «Stiamo andando a cercare Stoick. Vuoi unirti a noi?»
«Veramente preferirei di n...»
«Perfetto, andiamo!»
La giovane Hofferson l’afferrò con autoritario vigore per un braccio, trascinandoselo dietro fino a raggiungere Hiccup. Johann, a qualche passo da loro, si lisciò la barba, scrutandoli con quei suoi vitali occhi grigi segnati dal sole carichi d’apprensione. «Pronti?»
Astrid e Hiccup annuirono, ben consci che quella non fosse affatto una domanda.
«Ragazzi!», mugolò debolmente Gambe di Pesce, divincolandosi dalla presa dell’amica. «Aspettate! Detesto fare il guastafeste ma credo sappiate tutti che questo momento dell’anno è, come dire, particolarmente delicato. Hiccup, se tuo padre e Oswald non dovessero siglare il trattato, sarebbe guerra per Berk! Come pensate esattamente di comunicargli la notizia? “Scusate il disturbo, signori. Oh, salve, Oswald! Come stai? Tutto bene? Ah, a proposito: tuo figlio è caduto in una delle nostre trappole e ora è disperso chissà dove a causa dell’attacco di un drago. Ora, se non ti spiace, dovresti solo mettere una firmetta qui…!”.»
«Ѐ un indovinello?», chiese Testa di Tufo con aria meditabonda. «No, perché me la cavo abbastanza bene con quelli. Datemi un attimo…»
Il resto del gruppo si abbandonò ad un silenzio incerto. Il primo a spezzarlo fu Johann, che poggiò le mani sulle spalle di Gambe di Pesce, scuotendolo delicatamente.
«Mio giovane amico, nella mia vita ho solcato i sette mari e ho affrontato tempeste, ho esplorato le isole meno civilizzate del mondo e, una volta, ho anche lottato a mani nude contro un calamaro gigante e, oh, non sai quanto adori quell’aneddoto…! Tuttavia, non è questo il momento.», tagliò corto il mercante, ottenendo un sospiro di sollievo da parte di tutti. «Il punto è che posso assicurati che non esiste uomo su questa terra che non provi paura e che non esista uomo, su questa terra, più coraggioso di chi sa agire a dispetto di essa. Non è questo il momento di perdersi d’animo: posso ancora mettervi sulle tracce dei vostri amici ma dobbiamo far presto! Il drago era diretto ad est. Conosco bene quella zona, poche isole, alcune delle quali sono piccole e disabitate. Una, in particolare, è evitata da ogni navigatore come la peste, per la massiccia presenza di quelle dannate bestiacce nei dintorni.»
«Cosa ci assicura che li troveremo lì?», obiettò il giovane, «E cosa ti fa credere che li troveremo vivi?»
«Cosa ti fa credere il contrario?»
«Il buon senso?»
Sentì la presa delle dita di Johann allentarsi e lasciarlo andare.
«Be', quel che è certo è che Oswald potrebbe non tenere più fede al suo soprannome, dopo una notizia del genere.», mormorò Hiccup, stringendosi nelle spalle.
Gambe di Pesce sussultò, voltandosi verso quel notoriamente maldestro vichingo che, per una volta, non stava attirando su di sé gli sguardi di tutti per demerito.
Hiccup ricambiò la loro occhiata sorpresa esalando un lungo sospiro.
«Ma Johann ha ragione: non tutto è perduto e poi non abbiamo altra scelta, dobbiamo avvertire mio padre. Questa non è una questione dalla quale possiamo sperare di uscirne in pochi minuti e senza che nessuno se ne accorga. Ci penso io. Dopotutto, Dagur era con me ed era una mia responsabilità tenerlo lontano dai guai… per quanto ne sia lui stesso la principale fonte.» Fece una pausa. «Sentite, non fate quelle facce, posso sopportare due tirate d’orecchi nella stessa giornata. Ne ho passate di peggiori…»
Gambe di Pesce sentì le proprie guance avvampare di vergogna. Qualcosa gli si mosse nel fondo dello stomaco, l’urgenza di porgli le sue scuse per il comportamento esagitato di qualche minuto prima.
Prima che potesse aprir bocca, tuttavia, Johann sorrise, battendo una pacca affettuosa sulla schiena di Hiccup, avviandosi con lui verso il cuore del villaggio.
«Whoa…», fiatò Testa di Tufo, tirando una gomitata nelle costole ad Astrid. «Ma l’hai sentito?»
«Sì.», mormorò Astrid, assestandogli una gomitata di risposta nello sterno. «L’ho sentito.»
Gambe di Pesce chinò lo sguardo, tormentandosi le mani: aveva sempre considerato il figlio di Stoick poco più di un pericolo ambulante che, in un modo o nell'altro, riusciva sempre a coinvolgerli nei propri disastri. Deglutì. Oh, sarebbe stato così facile girare sui tacchi e andarsene; tuttavia, le ginocchia molli e la testa in tumulto gli suggerirono che probabilmente anche Hiccup era preoccupato e spaventato quanto lui. Eppure… eppure stava affrontando tutto da solo. Forse non era poi così sbagliato pensare di sostenerlo, no?
«Ah, comunque ho spinto io Dagur e mia sorella nella trappola quindi, tecnicamente, è colpa mia.»
L’affermazione schietta e inaspettata di Testa di Tufo fu uno schiaffo in pieno volto per i suoi due compagni.
«Cos’hai detto?», ringhiò Astrid, serrando i pugni.
«Be’, a dirla proprio tutta, è stato Hiccup a dirmi di fare qualcosa quando quei due stavano facendo a pugni.», replicò con semplicità il gemello, passandosi una mano dietro il collo. «Quindi: io li ho spinti ma è lui che ha pensato di fare qualcosa e me l’ha detto e… ora mi sento confuso. Pensavo di aver capito cosa fosse successo.»
Astrid e Gambe di Pesce sgranarono gli occhi, allibiti.
Per la barba di Thor, Hiccup non c’entrava nulla con quel pasticcio! … Per una volta, sì, ma bisognava comunque riconoscerlo. Quello che stava facendo – quello che gli stavano permettendo di fare – non era coraggioso. Era folle.

Dagur aveva pianificato ogni dettaglio. O, perlomeno, credeva d’averlo fatto. Le fiamme, tuttavia, erano state una sorpresa. Non perché non si fosse aspettato un ritorno di fiamma da parte del drago ma, come dire? … Quando è il drago stesso a prendere spontaneamente fuoco sotto i tuoi occhi, allora, be’, forse è il momento di prendere in considerazione l’idea di paura.
Per le ombre di Hel!
Era stato un frammento di secondo, in realtà: non appena l’isola aveva fatto la sua comparsa all’orizzonte, il Grande Guerriero aveva dato il via, assieme a Testa Bruta, a quante più oscillazioni brusche possibili, sballottando e deviando il percorso che stava cercando di seguire l’Incubo Orrendo, sicuro che il drago, per evitare di perdere il sostegno delle correnti d’aria, li avrebbe lasciati andare. Come previsto, dopo qualche minuto un forte ruggito gli aveva segnalato che la sopportazione della bestia era arrivata al limite e non solo: l’aria s’era ancora una volta impregnata di quell’odore sconosciuto, penetrante. D’improvviso, c’era stato fuoco ovunque sopra le loro teste e, in pochi istanti, in ogni altra direzione. Il calore era stato così intenso che a Dagur era sembrato di poter sentire il sangue evaporargli via dalle vene. Senza esitazione, si era così appiattito il più possibile sul fondo della rete, non riuscendo fare altro che ascoltare il ritmo del suo cuore, che martellava sempre più rapidamente contro la cassa toracica – era quello ciò che si provava prima della fine?
«Oh, sì! Sì!»
Dagur si voltò a quell’esclamazione e, al suo fianco, Testa Bruta sorrise dinanzi alla bellezza di quella pira mortale come solo un pazzo poteva fare. Stranamente, il senso d’oppressione al petto gli si allentò. Ci fu poi un sussulto e il berserker avvertì una sensazione simile ad uno strattone giù per l’ombelico, prima di precipitare fuori controllo tra le ceneri della rete, seguito da un urlo che non vi era altro modo per catalogarlo, se non come: “estaticamente divertito”.
Questa Bifolka non sa davvero cosa sia la paura.
L’impatto con l’acqua fu più doloroso di quanto avesse previsto e un flash bianco gli attraversò le pupille dilatate, mentre il sale marino penetrava in ogni ferita aperta che aveva sul corpo, sfregandola, facendola ardere. Sommerso dalla tetra vastità dell’oceano, Dagur serrò i denti, guardando le bolle d’ossigeno fuoriuscitegli dalle narici e dalla bocca risalire verso la superficie. Ignorando ogni segnale di pericolo che il suo cervello gli stava inviando, le seguì, emergendo appena in tempo per vedere una sfera infuocata piombare su di lui.
«Ah, ti piacerebbe, eh?»
Qualcosa gli sfiorò il braccio; i resti bruciacchiati della rete stavano galleggiando pigramente attorno a lui così, con gli occhi in fuori, il Grande Guerriero li afferrò e li scagliò con tutta la forza che gli restava in corpo contro il muso del drago. L’Incubo Orrendo si schiantò nell’acqua a qualche metro da lui, guizzandone fuori subito dopo con un’irruenza tremenda: qualcosa di un giallo brillante si stava agitando tra le maglie della rete strette attorno alle sue fauci.
«Non hai ancora capito con chi hai a che fare, eh? Lucertola dei miei stivali!»
Dagur mosse lo sguardo verso la spiaggia a qualche metro di distanza, gonfio d’adrenalina; se fosse riuscito a raggiungerla, avrebbe avuto qualche possibilità di sfuggire al drago nascondendosi nel fitto della boscaglia, e magari di prepararsi anche ad un contrattacco.
Senza indugiare oltre, si avviò dunque verso l’isola, notando a malapena la matassa di capelli biondi che gli comparve accanto. Testa Bruta infranse la superficie limpida d’acqua oceanica con un guaito, sforzandosi come poté di tenerne il naso al di fuori. Priva di supporti però, finì presto per annaspare e affondare ancora una volta, mentre il Grande Guerriero procedeva ad ampie bracciate verso la riva.
«Ehi!»
Dagur serrò le labbra; quel richiamo lo aveva fatto fermare suo malgrado. Girò il capo con un ringhio, scorgendo le dita sottili della Bifolka un attimo prima che sparissero nel blu dell’oceano; non gli ci volle uno sciamano per capire che non fosse affatto nelle condizioni per poterlo raggiungere.
Un problema in meno
, si disse, riprendendo a nuotare; ogni bracciata, tuttavia, gli costava uno sforzo di volontà immane e una rabbia che non aveva mai provato prese a formicolargli sottopelle, facendogli contrarre dolorosamente la gola. Non era mica colpa sua se quell’idiota non era in grado sopravvivere da sola… quindi perché stava avendo tutti questi ripensamenti?
«Ehi, capo! Mi servirebbe una mano, qui!»
Ruggendo infuriato, il berserker batté un pugno contro un’onda e fece dietrofront, tornando a recuperare i resti di Testa Bruta prima che si inabissassero completamente come una barca funeraria.
«Dove…?»
Un braccio emerse di colpo, sfiorandogli il naso e lui l’afferrò, usandolo per tirare di malagrazia la sua proprietaria fuori dall’acqua – ma, non appena vide quel suo lungo viso confuso, non ce la fece proprio e lo schiacciò per rappresaglia ancora una volta sotto la superficie salina. Così imparava a essere così tanto inutile, quella strega!
Soddisfatto dalle bollicine cariche d’invettive che ribollirono subito verso di lui, Dagur decise di porre fine quella punizione improvvisata e ripescò Testa Bruta, trascinandola con sé a riva.
La sabbia della spiaggia era bollente sotto i polpastrelli e il Grande Guerriero ne spostò manciate su manciate ad arco con l’avambraccio, trascinandosi in avanti fino a che i suoi muscoli gli permisero finalmente di alzarsi in piedi senza tremare.
«Patetica.», borbottò, gettando la Bifolka a terra.
E adesso…
Dagur riprese fiato, cercando di capire dove fosse finito l’Incubo Orrendo: non riusciva a scorgerne traccia da nessuna parte. Sorrise, gustandosi quel fervore che ancora gli gonfiava le vene, crepitandogli nel sangue come la fiamma di un falò.
«Cosa fai, scappi, bestiaccia? Hai paura di me?», gridò verso l’orizzonte. «Fai bene! Giuro che la prossima volta che ci incontreremo, avrò la tua testa!»
A quella sua stessa dichiarazione, il berserker sentì l’euforia della vittoria invadergli, inebriargli e dilatargli i sensi; cominciò a ridere e a ululare, tirando fuori tutto l’ossigeno che gli era rimasto nei polmoni. Con una naturalezza che apparteneva alla foga del momento, in maniera quasi inconsapevole, si ritrovò a cercare lo sguardo di Testa Bruta: quando vide i suoi occhi azzurri aprirsi verso il cielo, si chinò su di lei e la tirò su come se non fosse altro che una bambola di pezza, pronto a stringerla a sé, ma qualcosa di appuntito gli punzecchiò la pancia, facendolo sussultare. Perplesso, scostò la ragazza di qualche centimetro.
«Ma che
Non poteva crederci: stava ancora stringendo il suo elmo tra le mani!










.:~*~:.

Et voilà~, il quarto capitolo è pronto! :D

Lasciatemi fare questo sfogo: ho appena ricevuto la lieta notizia che la DreamWorks ha in progetto di fare una terza serie di DRAGONS dopo l'uscita del secondo film e che, pare (PARE perché non ho idea se la fonte sia ufficiale o meno) ci sarà il ritorno di Dagur, Heather e altri personaggi secondari! *_________________________________* YEEEEEEEEEEEEEEEEH!! XD *spara petardi e balla per tutta la stanza*
*ehm* Dunque, passo alle note! In questo capitolo ho fatto volare la fantasia a briglia sciolta, sono sincera. L’idea del drago mi è venuta pensando ai fantomatici furti di bestiame del primo film (quando i draghi portavano quel che potevano a Morte Rossa, rubacchiando anche pecore etc nel villaggio) e ho scelto l’Incubo Orrendo per una questione di convenienza. Sulla wikia c’è scritto che è tra le razze più inclini alla rabbia e quindi tra le più facili da provocare ma, soprattutto, l’ho scelto perché è capace di andare in autocombustione. Sempre sulla wikia viene riportato che il suo fuoco è un gel al cherosene (da qui lo strano odore che Dagur sentiva quando faceva innervosire il drago), difficile da spegnere e che il liquido che secernono dal corpo ha un effetto simile a quello del napalm.
Non sono sicura che Dagur conosca tutte le varie capacità dei draghi prima di diventare capo dei Grandi Guerrieri. I protagonisti imparano tutte queste cose durante il primo film… non so se anche i berserker facciano qualcosa del genere e istruiscano i ragazzi su come affrontare un drago. Non ne ho davvero idea, quindi mi sono presa questa licenza. Se sapete qualcosa in più, non esitate a farmelo sapere!
Ah, e il titolo è una mini-citazione dai film di Kung Fu Panda. X3 Per chi non li abbia mai visti, “Skadoosh!” è una esclamazione che Po, il protagonista, usa in entrambi i finali dei film quando sta per fare qualcosa di mitico. Come l’assurdità che hanno fatto Dagur e Testa Bruta rischiando di lasciarci le penne. XD E quella strana cosa gialla che resta incastrata nella rete quando Dagur la lancia contro il muso del drago è un’anguilla.
Oh, e a proposito di anguille! Lo strano comportamento di Testa Bruta non deriva dal fatto che sono imbottita di antiallergici. XD Nell’episodio “The Eel Effect”, quasi tutti gli abitanti del villaggio vengono infettati da questa malattia chiamata “eel pox” (sarebbe all’incirca “febbre/influenza dell’anguilla”… scusatemi, non so come l’abbiano tradotta in italiano), i cui sintomi sono starnuti, febbraH e delirio. In particolare, i gemelli si trasformano in una parodia simpaticissima dei gemelli Lutece di “Bioshock Infinite” (♡) e cominciano a fare esperimenti scientifici in giro per il villaggio e a parlare in maniera forbita. Ahahahah! X°D Ho trovato un’immagine della puntata, per farvi vedere che atteggiamento avevano (spero di non cannare con il collegamento): link
Non so se ogni volta che hanno la febbre alta delirano in questo modo stravagante... mi sembrava un'idea divertente quindi l'ho messa in atto così. *aggiunge l'ennesima voce all'elenco infinito di licenze poetiche* Oh, si sono ammalati entrambi i gemelli ma, visto che Testa Bruta è stata sballottata ed esposta alle correnti, ho pensato che sarebbe peggiorata prima del fratello. XD Demenza mia a parte, in questo capitolo ho provato a legare tutto col il tema del coraggio. Hiccup ha il coraggio di chi sa tenere fede alla propria natura. Dagur ha l’audacia che deriva da un forte orgoglio e dalla superbia. Testa Bruta, invece, come il fratello, ha quella forza che nasce dall’incoscienza e dalla testardaggine.
Nel prossimo mostrerò la reazione di Oswald… aaah, che bello, un capitolo che mi farà andare in corto circuito il neurone. Mi dispiace, Jimmy. ;____;
Bene, per oggi ho finito! Ringrazio come sempre chi ha letto questa robbbaccia e, in particolare, La Prima Ultima per aver messo questa storia tra le preferite... aw, non sai quanto la cosa mi renda felice! X3 E Cipress, per aver commentato il primo capitolo! Grazie ancora! :)

See ya,

Shadow Eyes

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Capitolo 5
*** Varúlfur ***


Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo V: Varúlfur




“I figli del lupo nascono coi denti.”

- Luigi Pirandello, “Liolà”




Hiccup si strinse nelle spalle, altalenando lo sguardo tra suo padre e Oswald “al-momento-non-poi-così-tanto Il Simpatico”. Sebbene fossero stretti tra le accoglienti mura domestiche di casa sua, non poteva fare a meno di sentire un forte senso di oppressione al petto e di rabbrividire al gelo che gravitava all’interno della stanza.
Johann era in piedi accanto a lui, le mani strette sui fianchi. Non aveva idea di come riuscisse a serbare sul volto un’espressione così rilassata; a quanto pareva, essere strangolato da un calamaro gigante era un’esperienza decisamente peggiore di quella che stava vivendo in quel momento.
Il mercante intercettò il suo sguardo, sorridendogli. Hiccup tentò di fare altrettanto ma le labbra gli si serrarono in una linea sottile. Avrebbe voluto ringraziarlo per averlo tirato fuori da quell’impaccio poiché, contrariamente a quanto aveva progettato di fare o dire, alla fine era riuscito a malapena a chiamare suo padre in disparte e a farfugliare qualcosa su Dagur, Testa Bruta, una trappola e la fatalità del destino prima che il mercante si frapponesse tra loro raccontando tutto ciò che aveva visto. Man mano che il resoconto procedeva, la furia silente nello sguardo di Stoick era presto mutata in apprensione e, infine, risolutezza non appena si era voltato a guardare la figura di Oswald impartire ordini in lontananza a due suoi sottoposti.
L’aria, di colpo rarefatta, sembrava anticipare i tuoni e i lampi di una grande tempesta. Hiccup si era preparato ad assorbire l’impatto della reazione di suo padre, ad incrociare nei suoi occhi delusione e rammarico, come accadeva ogni volta che doveva confessargli un suo misfatto. Aveva dipinto centinaia di scenari nella mente e poteva quasi sentire la sua voce stentorea ordinargli di farsi da parte; quel che non era riuscito a prevedere in alcun modo, tuttavia, era stata la mano massiccia di suo padre stretta con paterna autorevolezza attorno alla sua spalla. Il che l’aveva piacevolmente sorpreso e perplesso.
«Mio figlio “rapito” da un drago.»
La voce di Oswald spostò l’attenzione di tutti i presenti sulla sua figura cupa e mesta. L’uomo si passò una mano tozza sul mento, facendo sfrigolare la barba ispida.
«Ѐ colpa mia, signore.», disse Hiccup, facendo un passo in avanti e avvertendo chiaramente il silenzioso ammonimento di suo padre sul non procedere oltre. «Dagur è rimasto incastrato con Testa Bruta in quella trappola ed io non sono stato in grado di liberarli in tempo.»
Le iridi verdi di Oswald lampeggiarono, facendolo sussultare; le vide scivolare con austerità dal suo viso alla sua mano gonfia e livida, incupendosi. In quel momento, Hiccup ebbe l’inquietante impressione che fossero in grado di leggere ben oltre la sua ammissione. L’uomo tornò a fissarlo negli occhi per un lungo istante, prima che gli anni e l’angoscia prendessero il sopravvento tra le rughe che gli segnavano i lineamenti, facendolo sembrare incredibilmente vecchio e stanco. Alle sue spalle, Hiccup vide suo padre allentare cautamente la presa sull’elsa della spada.
«Ti credo, ragazzo.», dichiarò infine il capo della tribù dei Grandi Guerrieri, lasciandosi andare a un sospiro. «Ti credo. Sono certo che tu abbia fatto del tuo meglio per aiutarli.»
Hiccup si ritrovò a respirare ancora con uno spasmo, senza essersi reso affatto conto di aver trattenuto il fiato.
«Stoick.», proseguì Oswald, voltandosi verso il capo villaggio dei Bifolki Pelosi. «Non sarà facile gestire l’intera situazione; noi rimarremo qui ancora due giorni. Se questo mercante è certo di poter ritrovare mio figlio e la ragazza, attenderò. Procedete in fretta e non fatene parola a nessuno. L’armata saprà cos’è successo solo al vostro ritorno. Ora, se non vi dispiace, vorrei…»
Oswald allungò un braccio verso porta, che si spalancò di colpo davanti a lui. Astrid fece irruzione all’interno della stanza trascinando di peso Testa di Tufo, mancando di travolgere il capo villaggio nel processo di pochi centimetri.
«Signore, non è colpa di Hiccup! È stato…», le parole le si incastrarono tra i denti non appena notò la presenza di Oswald al suo fianco. Il gemello le sfuggì dalle mani e cadde a terra con un tonfo, accentuando il silenzio sconvolto all’interno dell’abitazione.
Hiccup vide la testa di Gambe di Pesce fare capolino dall’ingresso e svanire non appena incrociò il suo sguardo. Be’, doveva ammettere che la piega che stava prendendo l’intera situazione fosse molto bislacca e inaspettata.
Astrid raddrizzò la schiena dinanzi ai due leader, rassettando le vesti, il ciuffo ribelle di frangia e assumendo una postura rigida e rispettosa. «Vi chiedo perdono per l’intrusione.», riprese con voce ferma. «Ma Hiccup non ha nulla a che vedere con quello che è successo. Per una volta. È stato Testa di Tufo a intrappolare Testa Bruta e Dagur, quindi non è giusto che sia lui ad assumersene la responsabilità.»
Testa di Tufo, comodamente sdraiato sul pavimento con ancora indosso gli abiti della sorella, azzardò un saluto carico di nonchalance ai presenti, facendo alzare gli occhi al cielo ai membri della casata Haddock.
Oswald, a dispetto della gravità che trasmetteva, sorrise. «Pare che tu abbia dei buoni amici, Hiccup.», commentò. Il giovane poté chiaramente vedere la vena ilare nel suo sguardo spegnersi in un soffio. «Vorrei poter dire lo stesso di…»
«Troveremo Dagur, Oswald. Hai la mia parola.», disse Stoick, raggiungendolo accanto alla porta.
Il capo della tribù dei Grandi Guerrieri scoppiò in una risata amara. «Voi non avete la più pallida idea di chi sia mio figlio.», mormorò, uscendo dalla stanza. «Mi preoccuperei piuttosto per la ragazza intrappolata con lui.»
«Un momento…» Testa di Tufo si sollevò starnutendo sonoramente, grattandosi il capo confuso. «Hiccup ha degli amici?»

Accarezzata dal mormorio lieve delle onde, la spiaggia era calda e accecante: granelli di sabbia d’oro, bronzo, platino rilucevano infatti nei raggi del sole come un’immensa distesa di piccole gemme. Era un vero sogno. Risalendo poi lungo la duna costellata di garighe multicolori, la vegetazione cominciava a ricoprire il terreno in chiazze sparse disordinatamente, fino ad arrivare a creare formazioni boschive di dimensioni sempre più notevoli man mano che si proseguiva verso l’aria centrale dell’isola.
«Thor, che spreco.»
Testa Bruta se ne stava seduta con le gambe incrociate sotto le fronde odorose di un ginepro, le cui radici erano ricoperte da una miriade di rifulgenti fili dorati; i suoi capelli. Con un sospiro, la giovane fece roteare tra i denti una bacca e osservò quel mare così assurdamente azzurro da farle venire voglia di correrci vicino e bagnarsi le caviglie. Era esausta, sudata e odiava sentirsi così indifesa – forse infilare la testa bollente nelle acque fresche del litorale l’avrebbe aiutata a recuperare un po’ di lucidità. Dagur, tuttavia, era stato categorico: la spiaggia era un luogo esposto e privo di nascondigli. Se l’Incubo Orrendo fosse tornato a cercarli, non ci avrebbe messo molto a individuarli, se fossero rimasti allo scoperto e blablabla… A quel tizio piaceva un sacco il suono della propria voce.
« Che noia.»
La Bifolka Pelosa sentiva le piante dei piedi formicolarle per l’impulso di trasgredire i suoi ordini ma non era una stupida: la sua pelle valeva molto più della rabbia che avrebbe potuto scatenare nel suo compagno di disavventure… e poi avrebbe potuto escogitare una miriade di altri sistemi, meno mortali, per fargli perdere le staffe.
Chinò lo sguardo, cercando di concentrarsi sui propri capelli che finivano per sfuocarsi di tanto in tanto, disperdendosi nella sua mente che proseguiva verso altri orizzonti che non riusciva a riconoscere. Le sue dita sottili districavano ormai meccanicamente i nodi e lisciavano con cura le ciocche ribelli uscite fuoriposto. Guardò l’elmo di Dagur scintillare sotto la calura e notò che, al suo fianco, vi era uno strano cerchio pieno di simboli con un bastoncino dritto e sottile conficcato nel centro. L’ombra che proiettava sembrava quasi strisciare sul suolo a ogni minuto, avvinta a quel rametto. Le mani le si fermarono. Che cosa bizzarra… era certa che quel pastrocchio non ci fosse, quando si era seduta lì. O forse sì?
Un cupo ululato squarciò il silenzio del bosco.
Testa Bruta riprese a intrecciarsi i capelli, schiarendosi la gola. Era il segnale; Dagur stava tornando. Si lasciò andare a un ululato, cercando di modulare la voce nel tentativo di replicare quello di un vero lupo. Mh, niente male: stava migliorando.
Quando una decina di minuti più tardi sentì dei passi alle proprie spalle, non si voltò. Afferrò, invece, il nastro che aveva appoggiato sulla coscia e lo usò per annodare la spessa treccia anteriore.
«Non eri tu quella che voleva dimostrare che le ragazze non perdono tempo dietro ai loro capelli?», la rimbrottò Dagur, sovrastandola con la propria figura marziale; aveva due robusti bastoni stretti sotto l’ascella destra ed una pietra dalla curiosa colorazione grigio ramata nella mano sinistra. Testa Bruta aggrottò le sopracciglia, riportando la propria attenzione sul suo volto ferino segnato da strisce di fango e chiazze di sangue rappreso.
«Quello che volevo dimostrare mi sa che l’ha capito soltanto il tuo labbro spaccato.», gli sibilò di rimando, lanciandogli un’occhiata di traverso.
Spavaldo oltre ogni dire, il Grande Guerriero affrontò il suo astio sollevando il mento, squadrandola a sua volta dall’alto in basso. Non sembrava particolarmente impressionato dalla sua risposta. La giovane sbuffò, quando un forte olezzo di ferro e piante putride le fece contrarre le narici, distraendola da quella sfida non detta. Confusa, annusò l’aria: no, non si sbagliava, quell’odore pungente era proprio Dagur a emanarlo – le ricordava quasi quello dei boschi di Berk durante la stagione delle piogge.
«Ma dove accidenti sei stato? E poi perché questa fissa delle trecce, me lo vuoi spiegare?», si ritrovò a chiedergli d’impulso, «… Aspetta un attimo. Non venirmi a dire che anche tu hai paura dei miei capelli! No, perché Testa di Tufo è convinto che di notte si allunghino e lo controllino.»
Riuscendo a emettere solo una sorta di grugnito incredulo a quell’accusa stravagante, Dagur ridusse gli occhi verdi a due fessure, arricciando il naso.
«Io non ho paura di niente
«Certo, certo come ti pare.»
Testa Bruta gli rivolse una pernacchia di scherno, prima di ritrovarsi a fissare sui suoi abiti insudiciati. La lingua le ritornò immediatamente in bocca. Forse… sbagliava a prenderlo così alla leggera. Forse Dagur non stava mentendo sul fatto di non aver paura. La giovane batté ciglio: quelle macchie cremisi che gli costellavano braccia e gambe, dopotutto, le stavano raccontando una storia di scontri, di predatori e di prede, blandendo la sua immaginazione con la loro tetra forza evocativa. Presa com’era da quella fascinazione, ci mise un po’ ad accorgersi che Dagur le aveva piantato addosso uno sguardo fosco, intento a decifrare la sua espressione.
«Ehm… sveglia? Che facciamo?», si ritrovò a borbottare lei, rompendo la strana tensione che si era creata tra loro. Senza aspettare una risposta, si sollevò in piedi, spolverandosi i calzoni.
«Ho trovato un buon posto per accamparci. È al riparo tra gli alberi e vicino all’altura.»
Dagur le indicò qualcosa con un cenno secco del capo. La Bifolka socchiuse gli occhi, scorgendo in lontananza un colle ammantato di verde.
«Cosa…? Perché dovremmo andare così lontano? Quando verranno a prenderci…!»
Il berserker scoppiò in una grassa risata. «Oh! Oh! Oh! Voi di Berk siete davvero spassosi! … “Quando verranno a prenderci”, dici! Mi sembra quasi di sentire Hiccup.», la scimmiottò, avanzando di qualche passo con una nota sdegnosa nella voce. Senza alcun riguardo, le passò un braccio attorno alle spalle e, dopo averla stretta a sé, le indicò il bosco con gli occhi carichi di pura esaltazione. «Guardati attorno! Siamo su un’isola sperduta in mezzo all’oceano, completamente isolati. Mettiamo pure che ci sia la possibilità di essere soccorsi da qualcuno… quanto tempo pensi di poter aspettare qui prima di morire di stenti, mh?»
«Be’…»
«Inoltre, piccola, sciocca ragazza, le navi potrebbero giungere da qualsiasi direzione! Quindi, per segnalare la nostra presenza, dovremmo come minimo creare una pira in cima a quell’altura, o comunque in un luogo sopraelevato. Ci vorrebbero giorni, se non settimane…!»
«Così tanto!?»
«Oh! Oh! Oh! Certo! Per non parlare poi del fatto che il fuoco dovrebbe restare costantemente acceso… oltre a produrre un fumo abbastanza scuro da essere visibile da molto, molto lontano. Hai idea di quanta legna dovremmo raccogliere e bruciare?»
«Ma allora…»
«Esatto! È una follia anche solo pensare di fare qualcosa del genere nelle condizioni in cui ci troviamo!»
Testa Bruta avvertì un dolore sconosciuto al petto: era come se i polmoni le si fossero progressivamente accartocciati fino a diventare delle dimensioni di uno spillo. Per un istante faticò persino a respirare. Quindi? Che potevano fare? Doveva pur esserci un sistema per tornare a casa… no?
Cieco al suo scoramento, Dagur la strizzò ancora più forte contro il suo fianco, sfregandole inconsapevolmente la pelle del braccio con i grumi di sangue che aveva tra le dita. «Ora ascoltami con attenzione, perché questo è quello che faremo oggi: ci procureremo armi, cibo, acqua e raggiungeremo il riparo di cui ti ho parlato prima che cali il sole, chiaro? Ci sono animali di ogni tipo su quest’isola… Non ho visto draghi ma non per questo lo escludo. Dobbiamo quindi tenere gli occhi aperti, Bifolka, e prepararci al peggio.», le disse allegramente, gettandole in grembo i due bastoni che aveva recuperato, prima lasciarla andare. «Adesso per noi non esiste che la sopravvivenza. Siamo noi o loro, capisci? Non so cosa vi abbiano insegnato a Berk a riguardo, ma tieni ben a mente questo: se m’intralci, ti lascio indietro.»
Il Grande Guerriero si voltò senza aggiungere altro, avviandosi verso il folto del bosco.
Testa Bruta roteò gli occhi. Be’, un piano era pur sempre un piano. Meglio di niente.
Afferrò l’elmo che aveva poggiato accanto a quello strano disegno e, dopo aver trattenuto l’ennesimo starnuto, seguì le orme lasciate da Dagur sul terreno.

«Perché lui è qui?»
Hiccup serrò le palpebre, inspirando ed espirando. La dolce brezza marina gli carezzò le guance calde, cullandolo lontano dall’incredula presenza boriosa di Moccicoso alle sue spalle. Non aveva nessuna voglia di ascoltarlo.
Seguendo le istruzioni di Stoick – che era rimasto a presidiare Berk con Oswald – erano partiti cinque minuti dopo l’inizio del banchetto nella Grande Sala, riuscendo in questo modo a lasciare il porto con discrezione, coperti dal gozzovigliare alticcio degli abitanti del villaggio e dei Grandi Guerrieri.
«No, la domanda è: perché voi tutti siete qui?», intervenne Skaracchio mentre passava in rassegna il suo arsenale sul ponte della nave con precisione maniacale. «Una squadra formata da me, due pescatori, un pallone gonfiato, un mercante e cinque mocciosi inesperti… Grazie mille, Stoick.»
«Ehi, ti ricordo che io sono il vincitore…»
«… dei Giochi del Disgelo? E dimmi: quanti draghi hai ucciso durante i Giochi?»
Moccicoso strinse gli occhi in due fessure ostili.
«Mio figlio surclassa chiaramente tutti i suoi coetanei.», sbottò Stizza Bifolko con il petto gonfio di orgoglio, rabbonendo il degno erede. «Ѐ un dato di fatto.»
«Certo. Se ti piace crederlo, perché no?», borbottò Skaracchio, apparentemente più interessato a pulire una macchia su una delle mazze ferrate che a proseguire il discorso.
«Signori! Signori!» Testa di Tufo comparve alle spalle dei due Jorgenson e il circondò con le braccia. «Suvvia, sotterrate i vostri rancori e godetevi questa meravigliosa vista!»
Un silenzio imbarazzato calò sulla nave, mentre il giovane si portava a prua ad osservare l’orizzonte, dondolando sui piedi con le mani incrociate dietro la schiena. Nessuno aveva idea di cosa gli fosse preso e nessuno aveva la minima intenzione andare in fondo alla questione ponendogli delle domande. L’ultima volta che ci avevano provato, aveva dato il via una dotta disquisizione sull’io e il senso dell’esistenza. Dopo quell’episodio, tutto quanti avevano semplicemente preferito accettare l’idea che per un po’ avrebbe continuato a comportarsi in maniera molto bizzarra – probabilmente a causa dell’assenza della sorella – e a parlare con pacata educazione. Al massimo al ritorno l'avrebbero rinchiuso in casa di Gothi finché non fosse rinsavito.
«Tsk, Thorston.» Stizza Bifolko rabbrividì disgustato, scendendo sottocoperta.
Hiccup si mordicchiò l’interno della guancia, accoccolandosi sul ponte della nave con la schiena premuta contro le assi del parapetto. Un mal di testa tremendo gli stava impietosamente martellando il cranio da ore, ormai. Non sapeva cosa aspettarsi o, meglio, cosa sperare di aspettarsi da quella ricerca. Avrebbero trovato Dagur e Testa Bruta in mezzo al mare? Su un’isola? Oppure avrebbero ritrovato i loro resti sparsi ovunque? … Sempre se fossero davvero riusciti a trovare qualcosa.
Strinse le gambe ossute al petto. Non riusciva a smettere di chiedersi cosa sarebbe successo a Berk se fossero tornati a mani vuote. Oswald “Il Simpatico” era davvero una grande incognita. Se Dagur si fosse trovato nei panni del padre, avrebbe di certo approfittato dell’occasione per mettere a ferro e fuoco Berk – probabilmente abbandonando il proprio erede al suo triste destino. Oswald, d’altro canto… La sua reazione l’aveva a dir poco spiazzato: non credeva possibile che un Grande Guerriero potesse essere così ragionevole. Forse era davvero un vichingo sui generis, come faceva notare il suo soprannome.
Johann roteò lievemente il timone, facendo oscillare la nave tra le onde. Il suo mercantile non era grande o corazzato come le imbarcazioni del villaggio ma, in compenso, era eccezionalmente veloce.
Un sospiro leggero attirò l’attenzione di Hiccup: Astrid aveva le mani strette sul parapetto e lo sguardo perso nel mare. Il vento giocava tra i suoi capelli biondi, scostandole dalla fronte la lunga frangia e scoprendole quelle indomabili iridi fiere, che brillavano di un vivace e intenso turchese, quasi potessero assorbire e riflettere tutto il blu del cielo.
Hiccup deglutì a fatica, sentendo un familiare senso di vuoto alla bocca dello stomaco. Non riusciva davvero a capacitarsi di come guardarla sembrasse spazzare via dalla sua mente ogni pensiero, ogni ombra, riempiendola di una luce calda, che sapeva sempre di casa.
«Cos’hai da fissare?»
Un paio di sopracciglia corrucciate nella sua direzione lo scossero dalle proprie fantasticherie, facendolo sobbalzare.
«I-Io?», balbettò, potendo quasi vedere le proprie parole inciampargli sulla lingua e correre in cerchi in preda al panico.
Astrid girò il busto verso di lui, scrutandolo con quello che gli parve sospetto. O forse semplice perplessità. «Non farti pensieri strani.», borbottò dopo qualche istante di esitazione, incrociando le braccia sul petto. «Ho solo fatto quel che era giusto.»
«Pensieri strani? Chi, io? Non so di cosa stiate parlando, mia signora.», scherzò sardonicamente Hiccup, facendo spallucce.
Astrid sbuffò voltandosi, non riuscendo del tutto a nascondergli il sorriso che le era sbocciato sulle labbra.
«Che c’è, piccola? Lo strambo ti sta infastidendo?»
Moccicoso li raggiunse, lanciando un’occhiata di traverso al figlio del capo villaggio prima di sistemarsi accanto ad Astrid, cercando di gonfiare tutta la muscolatura visibile.
«Un’altra parola e ti butto in mare.», ringhiò la giovane Hofferson, scostandosi da lui sprezzante.
«Moccicoso.», lo chiamò Hiccup piano, facendo roteare con stizza la testa al suddetto vichingo. «Dove…»
Indicò il suo cinturone, al quale era assicurato un familiare pugnale dall’impugnatura bianca.
«Ti piace?», ghignò il Bifolko, sfoderandolo e giocherellandoci davanti ai suoi occhi sgranati. «L’ho trovato oggi nel bosco.»
«“Trovare” non mi sembra il termine più appropriato. Quel pugnale è di Dagur e tu l’hai rubato facendolo andare su tutte le furie! Cos’hai nella testa? La situazione era già abbastanza tesa senza che lui perdesse la testa anche per quello! E se avesse fatto del male a Testa Bruta?»
«Quanto sei lagnoso! “Rubare”, “trovare”… è lo stesso, ora è mio.»
«Quale parte di “è di Dagur” non riesci ad afferrare?»
Il giovane scrollò le spalle, con aria indolente. «E allora? Cos’avresti intenzione di fare? Strapparmelo con la forza?»
«Moccicoso.»
Astrid gli afferrò il braccio, glielo torse e lo rovesciò a terra con un solo, fluido, movimento.
Quando gli occhi azzurri del prode Jorgenson si spalancarono e videro il volto furente della ragazza chino su di lui, si addolcirono. «Ouch. Tu sì che sai come farmi girare la testa, dolcezza.», miagolò con sguardo allusivo, senza perdere un colpo.
Trattenendo un conato di vomito, Astrid gli schiacciò lo sterno sotto la suola dello stivale, recuperando il coltello di Dagur con uno strattone. «Requisito.»
Soffocando una risata nel palmo della mano, Hiccup scosse il capo. Forse non sarebbe stato poi così spiacevole, quel viaggio.











.:~*~:.

YEEEEEEEEE~AH, BABY! ♪ Eccoci qua con la partenza dei prodi eroi di Berk (???)! :D *lancia i coriandoli* Che Dream Team… ehi, ho scoperto che le fansss d’oltreoceano ritengono che Stizza Bifolko sia sexy. O____o Chi l’avrebbe mai detto. Personalmente non ho mai fatto caso al suo aspetto, visto che caratterialmente mi repelle. XD
Testa di Tufo comincia a delirare per la febbrah e tutto lo temono! Ahahahah! XD Io lo adoro. *abbraccia Testa di Tufo* Credo che, fra i gemelli, sia quello con il cuore più tenero… nonostante le stramberie. Tra l’altro, indossa ancora i vestiti della sorella, mannaggia a lui. X°D *sigh*
E poi Dagur! Oh, sì, finalmente il lato più squilibrato di lui comincia a venire a galla! Tuttavia, visto che il rating della storia è giallo e il genere non è un horror o splatter, non esagererò o farò descrizioni troppo esplicite di quello che combina sull’isola. Certe volte lasciare all’immaginazione i dettagli macabri è più inquietante che mostrarli. Bravo ragazzo, Dagur. Simpatico. Tutto suo padre! XDDDD
Oswald. Non lo so davvero. Non ho nulla a cui aggrapparmi, per la sua caratterizzazione, a parte un bozzetto del suo aspetto e quel che si dice di lui nella serie. Ho voluto tener fede alla natura del suo soprannome inglese, che sarebbe “The Agreable”, ovvero “Il Ragionevole”. Spero di essere riuscita a caratterizzarlo decentemente. Penso sia un uomo molto triste… perché ama suo figlio ma è consapevole di ciò che è (tra l’altro, ha notato il livido sulla mano di Hic e ha fatto due più due dopo quel che aveva visto la mattina quando Dagur era felicemente asciutto contrariamente agli altri bambini). “Varúlfur”, il titolo del capitolo, sta per “licantropo” o, più semplicemente, “uomo lupo” e l’ho usato come indizio per rivelare quel che Oswald dice fra le righe: “Voi non avete la più pallida idea di chi sia mio figlio.” Dagur è feroce e spietato come un lupo e non solo: nella tradizione nordica la figura del lupo rispecchiava quasi sempre valori che spaziavano dalla crudeltà, all’astuzia, all’inganno alla sete di sangue e all’istinto vendicativo. I berserker, inoltre, pare si vestissero con pelli di lupo e orso e bevessero il loro sangue per assorbirne la forza. Sinceramente ci vedo molto di Dagur in tutto questo. Sarebbe un ottimo leader in tempi di guerra (per nulla in tempi di pace)... e poi ce l'hanno fatto vedere solo, in un accampamento pieno di ossa e teschi di drago, quindi di certo sa come cacciare e sopravvivere per conto proprio. Davvero, una macchina da guerra.
E povera Testa Bruta… con la febbre, su un’isola e in compagnia di Kill Joy. XD Ogni tanto delira e crea meridiane. Ahahah! X°D Se vi siete mai beccati la febbre ad agosto sapete perfettamente come sta. XD … Come dite? Solo gli scemi si ammalano ad agosto? Ma io mi sono ammalat… oh.

Tra parentesi, l’isola è di tipo mediterraneo. Niente scimmie e banane, per intenderci. L’ho inventata di sana pianta perché non esistono mappe dell’universo di Dragon Trainer. Per il momento. Fra qualche mese probabilmente sì. *fissa Hiccup* Ho letto da poco Il Signore delle Mosche.... quindi, in parte, mi sono ispirata a quella storia per l'ambientazione e per l'idea della pira. Non so una ceppa di nulla sulla sopravvivenza, quindi perdonatemi se ho scritto strafalcioni a riguardo. ;___; Ho fatto qualche ricerca e dovrò farne ancora, prima di procedere col prossimo capitolo. Yep! *solleva il pollice con convinzione*
Avete visto i trailer in italiano del film? *-* Ci siamo quasi! Aw, ma come si fa ad aspettare fino ad agosto senza spoilerarsi tutto? TT____TT
Lasciamo perdere, va’! XD
Grazie a chi ha letto la storia, in particolar modo a Cipress che mi ha anche lasciato i suoi commenti. Grazie! :)

See ya,

Shadow Eyes

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Capitolo 6
*** Creare un ponte ***


Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo VI: Creare un ponte




A volte conviene morire per
essere un pochino rivalutati.

- Luciano De Crescenzo





La selce incideva le tenere venature verdi del bastone affondando, intagliandole, salendo, modellandole.
I movimenti della mano di Dagur erano veementi, sistematici e avevano tutta la sicurezza che derivava dall’abitudine. Con occhio attento il Grande Guerriero scrutò la punta acuminata che stava ricavando, soffiò via la segatura che la ricopriva e riprese a scalfirne la superficie irregolare con la pietra.
Nel suo piccolo accampamento improvvisato regnava la canicola del primo pomeriggio, scandita dall’infaticabile ronzio degli insetti. Lui e Testa Bruta erano riusciti a raggiungere di buona lena l’ampia grotta che aveva scovato durante la sua precedente perlustrazione; si trovava ai piedi dell’altura che sovrastava l’isola ed era circondata in ogni direzione dalla folta macchia di arbusti indigeni. Senza perdere un solo istante l’avevano setacciata, trovando al suo interno soltanto vecchie tracce di animali e un piccolo tunnel, che terminava con una fenditura nel terreno troppo buia per essere esplorata senza una fiaccola. Poco male, si era detto Dagur: sapere dove portava era un problema minore. Data l’ampiezza, era certo che nessun animale di grossa taglia sarebbe potuto fuoriuscirci e, una volta ottenuto il fuoco, avrebbe avuto tutto il tempo di controllare cosa ci fosse al suo interno.
Mormorando tra i denti, il berserker premette l’indice sulla punta, ormai aguzza, della sua arma, saggiandone la durezza e il filo. Il legno si piegò leggermente sotto la pressione del suo dito. Poggiò la lancia a terra; non andava bene ma, del resto, doveva ancora applicarle il tocco finale, se voleva considerarla pronta all’uso.
Non sarà una spada ma…
Sollevò il capo quando sentì il familiare strascichio di piedi di Testa Bruta avvicinarsi. Le lanciò un’occhiata furtiva mentre lo superava e gettava svogliatamente un mucchio di rami su una piccola catasta che aveva creato davanti all’ingresso della grotta. Le aveva ordinato di raccogliere legna, frasche e qualsiasi tipo di pianta secca presente nei dintorni, aspettandosi lagne su lagne e gesti sdegnosi. Con sua grande sorpresa, invece, la ragazza si era limitata ad annuire e quella era già la terza volta che faceva ritorno con le braccia cariche di sterpaglie. Per quanto sbuffasse e gli lanciasse occhiatacce sanguigne, non si era riposata un solo istante. Forse non era poi così inutile come pensava. Oppure era la paura di essere abbandonata a se stessa, a farle muovere le gambe così rapidamente. In ogni caso, si stava comportando come un ottimo gregario e lui stava cominciando ad apprezzarne la presenza al suo fianco. Non che lei avesse bisogno di saperlo, ovviamente.
«Ce ne hai messo di tempo…!», la salutò roteando gli occhi, solo per il piacere di vederla voltarsi lentamente verso di lui con lo sguardo livido e gonfio d’irritazione.
«Ne hai di fegato a parlare così, visto che sei rimasto seduto a grattarti la pancia per tutto il tempo, Grande Idiota dei miei stivali.», sbottò la giovane, scrollando il capo e lasciandosi cadere a terra con un tonfo.
«Oh, andiamo, Testa di Rapa…», fiatò Dagur con esasperata incredulità, avvicinandosi a lei con un sorriso sempre più largo e beffardo. «non dirmi che te la sei presa! Che c’è, la piccola, fragile femminuccia di Berk non ce la fa più?»
Sghignazzando senza ritegno, si sedette al suo fianco e afferrò un ciocco di legno piuttosto piatto e largo, ponendoselo davanti alle gambe. Afferrò poi una manciata di legnetti, muschio e li sbriciolò insieme sopra di esso.
«Testa Bruta.»
«Mh?»
«Mi chiamo Testa Bruta.», sibilò la Bifolka e le sue iridi assunsero le sfumature del mare in tempesta. «Vuoi sapere perché mi chiamo così?»
Prima che Dagur potesse anche solo aprire bocca, Testa Bruta torse il collo e gli sferrò una testata dritta contro la fronte, mandandolo a gambe all’aria.
Per la seconda volta nella stessa giornata, il berserker si ritrovò fissare il cielo con gli occhi che parevano volergli precipitare fuori dalle orbite. L’aveva fatto ancora, non poteva crederci! E dire che si era raccomandato di non sottovalutarla mai più.
Dannata, imprevedibile, violenta…!
Testa Bruta sogghignò, divertita dalla sua espressione e – cosa che gli fece serrare i pugni – non mostrò alcun segno pentimento per quello che aveva fatto.
Dagur si sollevò di scatto, poggiandosi una mano sulla parte lesa. Aveva ormai perso il conto di tutte le escoriazioni che aveva sul corpo, non solo per il gran numero ma anche perché quella ragazza aveva un eccezionale talento a procurargliene nuove di continuo. Dettaglio che, a dirla tutta, non gli dispiaceva affatto: Testa Bruta non gliela dava mai vinta e gli teneva sveglia quella parte irrazionale della mente che di solito a Berk era costretto a sopire. Così, contro ogni sua aspettativa, si ritrovò a ridere come un matto. «Sai cosa?», eruppe, sentendosi innaturalmente euforico. «Comincia a piacermi come ragioni!»
«Oh. Grandioso.», brontolò la giovane vichinga, schioccando con tedio la lingua. «Adesso non c’è più gusto nemmeno a infastidirti.»
Si scrutarono in silenzio per qualche istante, finché Testa Bruta distolse lo sguardo. Se ne stava seduta a gambe incrociate, ingobbita in avanti con le braccia strette attorno all’addome. A quella distanza, Dagur poteva chiaramente percepire il calore che il suo corpo magro strava irradiando tutto attorno a sé: era quasi come avere un piccolo falò acceso al suo fianco. La voltò bruscamente e le appoggiò una mano sulla fronte: era umida di sudore e bollente.
«Che c’è?», domandò lei sulla difensiva, scostandosi. «Sto bene.»
Il Grande Guerriero storse le labbra. No, si era sbagliato. Non era la paura a farla ancora muovere. Era l’orgoglio. Puro, semplice, egoistico orgoglio. Per la prima volta da quando erano stati costretti a stare insieme, scorse il baluginio di un sentimento familiare, qualcosa che creava un ponte tra loro, qualcosa che poteva fargli comprendere un po’ meglio quella ragazza appallottolata a un soffio da lui. Perché d’orgoglio, oh sì, ne era pregno fino alle ossa e avrebbe preferito farsi tagliare la testa, piuttosto che ammettere di essere stanco e disorientato quanto lei.
Senza dire nulla, recuperò la selce e la puntò dritta al petto di Testa Bruta.
«Ora ascoltami.» Piantò la punta acuminata della pietra nel ciocco che aveva davanti alle gambe, tracciando un solco dal centro ad uno dei lati. «Prendi un rametto robusto.»
La Bifolka inarcò un sopracciglio a quella richiesta ma si voltò verso la catasta e ne afferrò uno che sembrava fare al caso suo. Dagur la osservò rotearlo tra le dita, per controllare che fosse sufficientemente resistente e, solo allora, notò il pallore sempre più accentuato del suo viso, contrastato solo dal livido che le aveva procurato sullo zigomo. Con un grugnito, le strappò il bastoncino dalle mani e lo puntò al centro del pezzo di legno, dove iniziava la traccia.
«Guarda attentamente quello che faccio.» Mosse con forza il bastoncino lungo la guida che aveva inciso, avanti e indietro, facendo svolazzare attorno alle sue mani particelle di polvere e piccoli pezzi di segatura. «Vedi questi piccoli pezzettini di legno? Devi avvicinarli tutti a quel piccolo mucchio di muschio secco e ramoscelli che ho preparato. Più sfregherai, più saranno caldi e, più saranno caldi, più sarà facile che questo piccolo nido prenda fuoco.»
«Fuoco?», ripeté Testa Bruta, con gli occhi azzurri che presero a brillarle per l’interesse.
«Sì, fuoco.», annuì Dagur, soddisfatto di vederla così entusiasta. «Ne abbiamo bisogno per difenderci, cucinare e per completare quelle.»
Indicò con un cenno del capo le due lance improvvisate che aveva terminato di appuntire.
Un sorriso fiorì sulle labbra sottili della gemella a quel pensiero, allargandosi fino a scoprirle i denti. «Comincia a piacere anche a me come ragioni. Finalmente.»
Dagur si alzò in piedi, stiracchiandosi. «Naturalmente ci vorranno ore prima che tu riesca a produrre una vera e propria fiamma. È difficile per me, che sono un esperto, figuriamoci per te. Nel frattempo vado…»
Un’improvvisa ondata di calore contro la schiena lo fece sussultare. Si voltò si scatto verso la sua compagna d’avventure, che stava fissando con estatica gioia il bastoncino in fiamme.
«Sei stata tu…?»
Testa Bruta, con ragguardevole nonchalance, si spense un sopracciglio in fiamme. «No.»
«Ci siamo solo noi due su quest’isola!» Il berserker alzò gli occhi al cielo. «E comunque ti sembro forse tuo padre? Non sei nei guai!»
«Oh. Giusto.»
«Allora?»
«Be’, che posso dire… è un talento che abbiamo sempre avuto.»
«“Abbiamo”?»
«Sì, io e mio… fratello.», finì per mormorare Testa Bruta, ingobbendosi ancora di più in avanti.
«Seiðkona.», borbottò Dagur allontanandosi con un brivido.
Afferrò le due lance e attese che la giovane bruciasse parte della legna che aveva accumulato. Tenendole ben salde, le fece poi sporgere sulle fiamme, lasciando che il calore e le scintille ne lambissero la superficie finché non si annerì. Sfidando il calore del legno, saggiò nuovamente il taglio, stringendo il labbro tra i denti. «Mh, non male. Ora posso andare a caccia e a recuperare altra legna. Tu resta qui e bada al fuoco.»
«Cosa? E lasciare a te tutto il divertimento?»
«Non ho bisogno di una palla al piede. La caccia è fatta di silenzio e concentrazione… cose che tu non sei in grado di fare.»
«Ah, sì?», sbottò Testa Bruta, sfregando un bastoncino contro il tronco, facendolo incendiare di colpo. «E tu non sei in grado di fare questo!»
Dagur gonfiò il petto, ostentando un’aria di superiorità, anche se dentro di sé ardeva dalla voglia di capire come accidenti ci riuscisse. Magia. Questa ne era la conferma. Era finito su un’isola deserta in compagnia di una strega irascibile.
Si voltò verso il bosco e trasalì quando un bastoncino che Testa Bruta gli lanciò contro lo colpì alla nuca, sorridendo appena al tonk! che l’impatto produsse.

«Sono sicuro che questa volta funzionerà.»
«Ah, è così?» Skaracchio sollevò gli occhi azzurri su di lui, inarcando un sopracciglio cespuglioso. «Se non sbaglio, l’hai detto anche dieci minuti fa e poi abbiamo passato tutto il tempo a districare Astrid e Moccicoso da quel dannato aggeggio.»
«Già e gradirei che non accada mai più.», si premurò di sottolineare la giovane, delicata Hofferson, accarezzando distrattamente la superficie lucida della sua ascia.
«A me non è per niente dispiaciuto.», dichiarò Moccicoso sorridendo a trentadue denti, ritrovandosi subito dopo il filo dell’arma di Astrid puntato contro la gola.
«Mmh… forse ho fatto un errore di calibratura.»
«Ed eccolo che riparte!», sbuffò l’impavido Jorgenson, scuotendo il capo annoiato.
Nota mentale: evitare di riparare le proprie invenzioni in uno spazio angusto come il ponte di una nave, pensò tra sé Hiccup, chinando lo sguardo. Non era abituato ad avere intorno nessuno a parte Skaracchio, quando realizzava o rappezzava qualcosa e, le punte delle sue orecchie di un rosso quasi fosforescente, ne erano la dimostrazione. D’altronde aveva ben poco da fare al momento e, per placare un po’ i pensieri che si agitavano come vespe nella sua mente, preferiva tenersi impegnato con quel prototipo difettoso, piuttosto che prendere parte alle discussioni sulle armi, i draghi e la vichinghitudine che ogni tanto intavolavano i suoi coetanei.
Prese a tormentarsi tra i denti l’interno della guancia mentre la sua attenzione tornava alla sfera metallica che scintillava sul palmo della sua mano; curioso, eppure gli sembrava di aver calcolato bene ogni minimo dettaglio durante la progettazione. Il peso, la forma di ogni parte, la quantità di rete che poteva contenere, il meccanismo a molla che serviva ad espellerla all’esterno. Cosa accidenti gli era sfuggito?
«Permetti?»
«Uh?»
Una mano afferrò la sua piccola invenzione prima che potesse rendersene conto e, un istante dopo, Hiccup si ritrovò a fissare Testa di Tufo Thorston, calamità naturale del villaggio, mentre esaminava l’oggetto con una delicatezza e uno sguardo critico mai visti prima.
«Non credo sia una buona idea…», tentò Hiccup, allungandosi per recuperare la sfera.
Testa di Tufo scosse il capo schioccando ripetutamente la lingua sui denti e lo bloccò, come se nulla fosse, piazzandogli una mano sul volto e spingendolo di nuovo a sedersi.
«Mio giovane amico…», cominciò il gemello, facendo un ampio gesto con il braccio. «Non noti nulla d’insolito qui?»
«“Giovane”?»
«Ѐ chiaro! Hai dimenticato di aggiungere il meccanismo di sblocco della sicura. Una cosa del genere rende un’ottima idea come questa estremamente instabile!»
«Il coso della cosa?», intervenne eruditamente Moccicoso, estraendo dall’orecchio un pezzo di cerume e gettandolo via con una scrollata di spalle.
«Lo sblocco della sicura…», balbettò Hiccup, battendosi una mano sulla fronte. «Ma certo! Come ho potuto dimenticarmene?»
Fece per recuperare la propria invenzione quando qualcosa nell’espressione di Testa di Tufo gli fece accapponare la pelle e paralizzare il corpo: gli bastò un battito di ciglia e tutta l’ottusità e la sventatezza che lo caratterizzavano riemersero, travolgendo e annegando il suo inusuale buon senso.
«Oh… cos’è questo coso?»
«No, aspetta! Non toccare…!»
L’eco delle sue parole avrebbe continuato a rimbombargli nel cervello per un bel po’. La sfera esplose sparando una sottile rete metallica tutto intorno. Hiccup si sentì trascinare a terra e rotolò sulle assi della nave, ritrovandosi naso a naso con Testa di Tufo.
«Fantastico.»
«Ehi.», sibilò il gemello, fissandolo con gli occhi ridotti a due fessure. «Solo perché siamo legati insieme, questo non vuol dire che tu o questa situazione mi piacciate. Mh, oppure sì? Voglio dire, ne ho passate di peggiori… soprattutto con mia sorella. E tu non sei né rozzo né virile quanto lei, quindi… non lo so. Devi pensarci su. Più tardi ti farò sapere.»
Hiccup sospirò sonoramente. Fortunatamente per lui, Skaracchio arrivò immediatamente in suo soccorso tra le grasse risate di Moccicoso e del suo degno padre.
Grattandosi il capo con l’uncino, l’omone lanciò un’occhiata obliqua a Testa di Tufo e prese a districare con pazienza e rapidità la rete. «Credo dovremmo legarlo a testa in giù all’albero maestro… con Thorald l’Isterico ha sempre funzionato.»
«Ah, sì?»
Skaracchio tirò quel guazzabuglio metallico, liberandoli. «Be’, per lo meno dopo che sveniva non dovevamo più ascoltarlo.»
Hiccup non poté fare a meno di sorridergli mentre si tirava a sedere, raccogliendo fra le braccia la rete che l’armaiolo gli stava porgendo e cominciando a piegarla per la seconda volta.
Da quando erano partiti, avevano stabilito dei turni di rotazione per le vedette. Guidati dall’esperienza di Johann, Mulch e Bucket – soprattutto dei primi due – tutti i passeggeri sapevano in quale direzione si muovevano le correnti e dunque quali zone tenere d’occhio per trovare possibili rimasugli dei due dispersi. Il primo turno era toccato proprio a Hiccup e Skaracchio, che avevano passato un’ora a scrutare il mare e l’orizzonte senza riuscire a scorgere nulla a parte qualche sporadico gabbiano. Il secondo turno era toccato a Moccicoso e Mulch, il terzo lo stavano facendo Stizza Bifolko e Gambe di Pesce.
«Che fai? Perdi ancora tempo dietro quell’aggeggio?»
Ancora Moccicoso. Hiccup lo ignorò. Se quel che aveva visto Johann, ossia un Incubo Orrendo che stava trasportando la rete con Testa Bruta e Dagur ancora freschi e pimpanti al suo interno, corrispondeva alla verità, dubitava che il drago avesse avuto il tempo di fare uno spuntino a mezz’aria. A quel punto sarebbe stato davvero plausibile ipotizzare che fosse atterrato su una delle isole nei dintorni e poi…
«Ragazzi, io non ho ancora capito perché stiamo facendo tutto questo. Cioè, ok, d’accordo, troviamo la testa di Dagur e la portiamo a suo padre... e allora?», domandò Moccicoso in tutta la sua rifulgente insensibilità. «Non ha alcun senso!»
Mentre recuperava i frammenti della sfera, Hiccup poté quasi vedere Astrid sollevare il mento e digrignare i denti.
«La tua presenza su questa nave non ha senso. Se non vuoi aiutare, perché sei qui?»
«Perché non potevo mica lasciarti in mezzo a questo branco di zoticoni!», replicò mellifluamente il giovane Jorgenson, strizzandole l’occhio.
«Giuro che...!»
«Ehi… se mia sorella se l’è mangiata un drago, io mi prendo la sua camera.», li interruppe Testa di Tufo, grattandosi il mento. «Un momento… se la sua camera è già la mia camera, allora io non ho niente!»
«Testa di Tufo? Taci.», lo minacciò Astrid, la cui – scarsa – pazienza era ormai agli sgoccioli. «O la prossima cosa che vedrai sarà questo!»
Sollevò il pugno contro il naso del gemello che lo esaminò affascinato.
«Whoa…», disse Testa di Tufo, chinandosi in ogni direzione per guardarlo meglio. «Aspetta, aspetta! Fammi indovinare: c’è un dolcetto, là dentro? No? No… mh, allora cosa…»
«Ci siamo!»
La voce di Johann salvò il geniale vichingo da un incontro ravvicinato con le nocche di Astrid, che sentiva chiaramente ogni dito formicolarle per il mancato rilascio di violenza prima su Moccioso e ora su Testa di Tufo.
«Questa è la prima isola della lista!»
Tutti i piccoli vichinghi si precipitarono a poppa, travolgendo il buon Hiccup nel processo. La rete e i pezzi del marchingegno volteggiarono in aria, spargendosi nuovamente lungo il ponte della nave. Succhiando le labbra in una linea amareggiata, il figlio di Stoick si sollevò, raggiungendo il capannello di curiosi.
«Questa… è un’isola?»
«Sarà sì e no grande quanto il villaggio!»
Davanti ai loro occhi, si ergeva una piccola, graziosa isoletta che brillava dei riflessi dell’acqua circostante. Oltre la sabbia dorata, vi erano alberi di piccole dimensioni che disegnavano un cerchio verde che era possibile, a pochi metri, abbracciare con lo sguardo per intero.
«Be’, vi avevo detto che le isole di questa zona sono quasi tutte piccole e disabitate.», ricordò loro Johann, lisciandosi i baffi lucenti. «Poco male, no? Meno territorio da controllare!»
«Scommetto che posso fare l’intero giro dell’isola in meno di dieci minuti!», disse Moccicoso, tirando una gomitata nelle costole a Testa di Tufo.
«Dieci minuti? Io ce ne metto cinque!»
I due saltarono giù dalla nave, correndo e spintonandosi lungo la spiaggia.
«Ma non aveva il cuore spezzato per l’assenza della sorella?» Astrid li guardò accigliandosi, trattenendo il pensiero successivo tra i denti.
Hiccup la seguì verso il resto della ciurma, unendosi ai preparativi per lo sbarco.
«Datevi una mossa! Bucket, lascia perdere quel dannato sasso! Non parla, non ha parlato e non parlerà mai!», gridò Stizza Bifolko. «Prima finiamo, meglio è. Non sono abbastanza sbronzo per sopportarvi tutto il giorno.»
Nel parapiglia che nacque dalla sovrapposizione della voce allegra di Mulch, delle risposte stravaganti di Bucket, dei borbottii di Stizza Bifolko e della risata di Skaracchio, Hiccup ebbe qualche difficoltà a distinguere immediatamente un pigolio titubante alle sue spalle.
«Hiccup?»
Gambe di Pesce batté timidamente una mano sulla sua spalla, facendolo voltare.
«Ehm…»
Hiccup rimase in silenzio di fronte alla sua esitazione, preferendo attendere che trovasse con calma il modo giusto per esprimersi. Non aveva idea del perché ma temeva che, se avesse aperto bocca, l’avrebbe fatto in qualche modo scappare via.
«Volevo chiederti scusa, ecco.», buttò fuori tutto d’un fiato il pingue vichingo, tormentandosi le mani. «Mi sono lasciato prendere dal panico e ho dato per scontato che quel che è successo fosse tutta colpa tua.»
«Oh.»
«Astrid aveva ragione. Non è affatto così e non era giusto lasciarti affrontare tutto questo da solo. Per quel che vale, mi dispiace. Davvero.»
«Be’, io… grazie. Credo.», borbottò Hiccup, colto di sorpresa dalle scuse di Gambe di Pesce. Era strano, davvero molto strano, quanto una distanza sembrasse accorciarsi dopo una semplice parola.
«Questi sono tuoi, vero?» Gambe di Pesce gli porse con gentilezza i pezzi della trappola a molla.
Hiccup li prese, passandosi una mano dietro il collo.
«Grazie.»
Il sorriso con cui stava ricambiando quello del giovane gli raggiunse piano anche gli occhi, facendoglieli illuminare.

Dagur si piegò in avanti, i muscoli in tensione, pronti a dargli la spinta. Qualche altro piccolo passo e quella pingue bestiola piumata sarebbe entrata nella sua zona di caccia. Una goccia di sudore gli scivolò lungo il mento, staccandosi e infrangendosi sul ramo sul quale se ne stava appollaiato.
Solo qualche minuto prima aveva scovato nell’erba tracce fresche, impronte di quelli che avevano tutta l’aria di essere zoccoli e si era arrampicato sull’albero più vicino per vedere se riusciva a scorgere l’animale che le aveva lasciate. Nei dintorni, tuttavia, non sembrava essercene traccia.
Non appena si era chinato per scendere dalla sua postazione da sentinella, però, per un qualche scherzo del caso, una beccaccia era atterrata a qualche metro da lui. Non era certo uno di quei succulenti maiali selvatici che aveva intravisto tra i cespugli d’erica ma non era il momento di essere schizzinosi.
Non appena il volatile zampettò nei pressi del suo albero, balzò giù dal ramo con uno scatto felino, afferrando al volo la beccaccia la quale, non appena aveva avvertito il rumore, aveva tentato un decollo frettoloso. Strinse il collo della sua preda guardandola dibattersi tra le dita. I grandi occhi scuri, spalancati, incontrarono la fredda gioia dei suoi.
Stava già pregustando quella pingue beccaccia arrostita sul fuoco quando improvvisamente il terreno gli mancò sotto i piedi e si ritrovò proiettato in avanti. Sbatté contro la corteccia contorta di un ginepro, perdendo la presa sulla povera bestia arruffata, che svolazzò via zigzagando tra gli alberi.
Dagur scosse il capo e si sollevò con un grugnito, sentendo la schiena scricchiolare dolorante. Qualcosa l’aveva colpito alle spalle con forza. Qualcosa o qualcuno.
Pronto a scatenare tutta la sua furia contro l’aggressore, sollevò la lancia, quando intravide un lungo paio di corna ricurve a pochi passi da lui. Una capra selvatica lo stava placidamente osservando, masticando tra i denti dei piccoli ciuffetti d’erba appena brucati.
«Tu…!», sibilò, con la stessa enfasi con la quale si saluta un nemico di vecchia data.
La capra, se avesse avuto le sopracciglia, probabilmente in quel momento le avrebbe sollevate, tanta era la svogliatezza con la quale lo stava guardando.
«Lurida bestiaccia.», ringhiò Dagur tra i denti, avventandosi contro di lei, pronto a trafiggerla.
Un belato di scherno fu tutto quello che riuscì a sentire prima la capra si defilò sotto il suo naso, al galoppo tra i cespugli.
Bene. Sfida accettata.
Senza esitare un secondo di più, Dagur si lanciò all’inseguimento, schivando rami e calpestando il terreno con una smania sempre maggiore. La capra era agile, veloce e, in un battito di ciglia, l’aveva seminato tra la vegetazione. Dagur annusò l’aria, seguendo l’odore che ancora aleggiava nei dintorni. Un fruscio, un guizzo subitaneo nei cespugli ed eccola caricare a tutta forza contro di lui. Oh, ma questa volta era pronto. Rotolando su un fianco, schivò l’assalto, portandosi alle spalle della bestia dispettosa. Scagliò la lancia, colpendole di striscio un orecchio.
«Dannazione.»
Il tempo di recuperare l’arma, che la capra fuggiva in lontananza belando senza ritegno. Quando Dagur la raggiunse, era già arrivata presso l’altura e aveva cominciato a saltare da una sporgenza all’altra. Il Grande Guerriero si arrampicò dietro di lei, bramandone la carne e il sangue. Non vedeva l’ora di torcere il collo a quella bestiaccia barbuta. Anzi, no… prima le avrebbe spezzato ogni osso del corpo, poi le avrebbe tagliato la lingua e, solo allora, le avrebbe dato il colpo di grazia. Aveva firmato la sua condanna quando gli aveva fatto sfuggire la beccaccia. Nessuno si mette fra Dagur lo Squilibrato e la sua preda. Nessuno.
S’issò su una sporgenza, ritrovandosi faccia a faccia con la capra, che aveva ripreso a ruminare rumorosamente.
«Hai il fegato di aspettarmi?», abbaiò, avanzando con la lancia stretta in pugno. «Peggio per te…»
La capra storse il muso, lo aprì e ruggì con una potenza inaudita, facendo quasi ruzzolare Dagur giù dalla piccola montagna. Il berserker fu tentato di schiaffeggiarsi. Da quando in qua le capre ruggivano? Ma su che razza d’isola era finito? Se anche questo era opera di quella piccola strega…!
Quel po’ di colorito che la corsa gli aveva sparso sulle guance, fu drenato dalla comparsa improvvisa del muso squamato dell’Incubo Orrendo, che sovrastò la piccola figura della capra che continuava a masticare, notevolmente poco impressionata da tutto quello che le stava accadendo attorno.
Con gli artigli conficcati nelle rocce, il drago ruggì ancora a pieni polmoni, investendolo con un’alitata talmente rovente che pareva potergli sciogliere la pelle dalle ossa. L’Incubo Orrendo si lanciò in poi volo, facendo schioccare le mascelle poderose a pochi centimetri dal suo spallaccio sinistro. Qualcosa si mosse nella testa di Dagur e i più primitivi istinti di sopravvivenza entrarono in funzione, facendolo piegare di lato. La lancia seguì l’arco dei suoi movimenti, colpendo e scalfendo le scaglie della coda del drago. Con un poderoso battito d’ali, l’immensa creatura si portò lontano dal suo angolo di tiro.
Il berserker si affacciò oltre l’orlo della sporgenza, seguendo la planata dell’Incubo Orrendo attorno all’isola con il cuore che sembrava volergli saltare fuori dalla gola. Lo vide atterrare in una zona che conosceva fin troppo bene: voleva terminare il pranzo, a quanto pareva. E, per giunta, aveva osato ignorarlo per andare a cercare Testa Bruta!
«Tsk!»
Se c’era un avversario degno di essere affrontato, quello era lui. Assurdo. O quel lucertolone era un codardo o aveva uno strano senso dell’umorismo.
Si guardò attorno, in cerca della via più rapida per scendere. Quasi a voler esaudire il suo desiderio, la capra sfregò lo zoccolo a terra e lo incornò, cogliendolo alla sprovvista e gettandolo di sotto.
Urlando improperi più o meno fantasiosi, Dagur scivolò lungo il fianco roccioso del rilievo, riducendo come meglio poté i danni e, non appena raggiunse la radura, si lanciò in una corsa a perdifiato in direzione dell’accampamento.
Quel che vide quando lo raggiunse, fu il regno di Hel sulla Terra. C’erano lingue di fuoco ovunque, iridescenti, accecanti, che scivolavano tra gli alberi divorandone la corteccia e sulle rocce, erodendole tramite una sostanza gelatinosa che aveva quello stesso odore penetrante che aveva sentito quando il drago era andato in autocombustione.
Dagur si schermò il volto e cercò nei dintorni segni della presenza dell’Incubo Orrendo, mettendo da parte la nauseante impressione che gli occhi gli si stessero rinsecchendo nelle orbite a causa dell’eccessivo calore. Nulla. Sembrava essersi già defilato.
Maledizione.
La cenere gli cadeva sulle spalle come neve mentre avanzava verso l’ingresso della grotta, velato e reso spettrale dalla cortina di fumo che aleggiava nell’aria.
«Ehi!», urlò e il pulviscolo gli arse la gola, facendolo tossire. «Non fare scherzi, strega!»
Nessuna risposta.
Entrò nella spelonca, calciando via i residui di legna che erano sparsi disordinatamente al suolo: c’erano segni di lotta sparsi qua e là ma nessuna traccia di Testa Bruta. Tamburellò nervosamente le dita sulla lancia, sentendo i pensieri correre sempre più rapidamente, sconnessi, caotici.
E se…?
Fece per uscire, quando un piccolo cumulo bruciacchiato attirò la sua attenzione. Si avvicinò con cautela e raccolse da terra un pezzo di quello che era senza dubbio il gilet di pelle della ragazza – il resto era carbone. Serrò le dita attorno a quel residuo d’indumento; s’aspettava che gli bruciasse i polpastrelli ma non sentì nulla.
In silenzio, s’alzò in piedi e s’allontanò dalla grotta.
Dove…
Spostò gli occhi tra le fronde degli alberi, riempiendoli di riflessi di luce vermiglia. Il rombo dell’incendio era assordante ma nelle sue orecchie non v’era che un continuo, sordo ronzio.
Il piccolo brandello di veste gli scivolò via dalla mano e, poi, fu tutto rosso.











.:~*~:.

Si vede come mi sto divertendo come una pazza? XD
*accende il grammofono*
Bene, miei piccoli amici! Benvenuti a questa nuova puntata su Super Quark!
Ahahahah! X°D Ultimamente quando scrivo le note di fine capitolo mi sembra davvero di essere parte di un mini documentario… forse esagero e non dovrei controllare tutte queste cose. È più forte di me, però… non posso farci niente. TT______TT
Per scrivere tutto questo ho fatto davvero alcune ricerche sulla sopravvivenza (ricerche non ovviamente approfondite, giusto per avere un’infarinatura generale… alla fine, questa è un’avventura tra il fantastico e il comico, essere pignoli e realistici per queste cose non mi sembrava una buona idea). Quindi ho preso per buona la parte di trovare/creare un rifugio, andare a caccia (anche se in realtà si dovrebbe cercare di consumare meno energie possibile di giornata in giornata), trovare un sistema per recuperare l’acqua, etc. e poi ho cercato di mettere tutti insieme cercando di conservare l’atmosfera originale (idiota) della storia. Il tema che ho voluto inserire, questa volta, è la creazione di un legame (d’amicizia in questo caso)... certe volte basta un gesto o un pensiero, per creare un ponte tra due persone. Un po’ come hanno fatto Gambe di Pesce e Astrid (nel capitolo scorso) con Hiccup o Dagur (anche se a modo suo) con Testa Bruta. Spero davvero fosse tutto comprensibile!
Per quanto riguarda il sistema che usa Dagur per accendere il fuoco, è un metodo che ho trovato sul web e si chiama: “aratro di fuoco”. È più semplice a farlo che a spiegarlo, davvero. XD Anche se per accendere un fuoco con questo sistema serve legna secca, pazienza, dedizione, pazienza, bestemmioni e, ancora, pazienza. È difficilissimo accendere un fuoco così. XD I gemelli Thorston sono sempre andati a braccetto con gli esplosivi e le fiamme, però… mi piaceva l’idea che Testa Bruta riuscisse ad incendiare il bastoncino in un nulla. Così, tanto per convincere inconsapevolmente ancora di più Dagur di saper usare la magia (ricordo che per “Seiðkona” intende, in un certo senso, il termine “strega”. Il Seiðr era un tipo di magia sciamanica praticata quasi solo esclusivamente da donne, di tradizione antico nordica e germanica). XD In realtà è solo il mio triste umorismo a far da padrone in quella scena… di realistico non c’è nulla.
Oh! Quella cosa del poggiare il bastone ancora verde sul fuoco per indurirlo la fanno/facevano i pastori. True story, bro.
La selce che ha usato Dagur per affilare le lance, è una pietra che veniva anticamente utilizzata per questo scopo e non solo. Nello scorso capitolo ho scritto che a Testa Bruta fosse familiare perché ho pensato che l’avesse vista qualche volta al villaggio.
Per quanto riguarda la pallina che sta riparando Hiccup sulla nave… niente. Mi serviva e la sono inventata di sana pianta! X°D Non l’ho mai vista nel film o nella serie… per crearla mi sono ispirata tanto al suo scudo multi-uso. Non so assolutamente nulla di nulla su come funzionano queste cose… sono sempre stata una capra in fisica e non ho mai studiato meccanica, quindi prendete con le pinze il mio discorso sul quel marchingegno difettoso è gettatelo tra le fiamme e non rileggetelo mai più. MAI PIÙ.

Salvatevi almeno voi! XDDDDDD
Dagur. Dagur. Oddio. XD I mal di testa che mi fa venire lui non me li fa venire nessuno. ;____; Io spero sempre che la caratterizzazione vada bene e sia coerente con tutta la storia. Per capire un po’ compre potrebbe essere Dagur quando è amichevole (che parolone!) mi affido sempre alla puntata “La Notte e la Furia”. Lì in parte si vede come si comporta quando crede che qualcuno sia dalla sua parte o suo amico. È sempre euforico (anche se conserva quell’arroganza e prepotenza che lo caratterizzano), esaltato, è pronto a proteggere e addirittura a uccidere per quella persona e… invade tranquillamente il suo spazio personale senza battere ciglio. XD Non credo sappia leggere molti bene i segnali negativi che le altre persone gli inviano più o meno verbalmente. Quando trova Hiccup sull’isola è tutto abbracci, ululati, cameratismo e braccia intorno alle spalle mentre Hiccup è tutto ma-perché-sono-qui-oh-thor-salvatemi. Quindi o Dagur non se ne rende conto, oppure capisce solo quello che vuole capire.
Tra l’altro mi sembra che abbia la tendenza a dimenticare i nomi (soprattutto delle gente che non gli interessa)… infatti in quella stessa puntata chiama Moccicoso “Moccichetto”. XD “Testa di Rapa”… era… non lo so. Plausibile come insulto e deformazione del nome? No? … Meglio tacere. XP
Da quel che ho letto su wikipedia, nella mitologia norrena, il regno di Hel (dea degli Inferi, figlia di Loki) è la dimora dei morti ed è descritta come una landa oscura e gelata, sferzata dal vento e battuta dalle piogge. Non ci sono fiamme… ma volevo rendere l’idea della desolazione che c’era all’accampamento.
*rilegge tutto*
Per l’amor del cielo, chiudiamo questo papiro egiziano! Tutti alle scialuppe di salvataggio! XD *si getta in mare*
Grazie a tutti coloro che stanno seguendo questa storia con le loro letture silenti e a Kiki75 e a Cipress per avermi lasciato i loro commenti! Grazie, siete sempre molto gentili! :)

See ya,

Shadow Eyes

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Capitolo 7
*** Squilibrati ***


Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo VII: Squilibrati




Nella vita ci sono rischi che
non possiamo permetterci di
correre e ci sono rischi che
non possiamo permetterci
di non correre.

- Peter Ferdinand Drucker




«Fa’ la guardia alla nave.»
La guardia alla nave.
A quanto pare era stato degradato a cane.
Hiccup si lasciò andare ad un lungo, lento, sofferto sospiro. Le parole di Skaracchio gli galleggiavano ancora vivide attorno alle orecchie. Non poteva crederci. L’avevano davvero lasciato a fare da balia a una nave. Una nave. In realtà tutti quanti – compreso ovviamente lui – sapevano perché era rimasto lì. Indietro per l’ennesima volta. Escluso per l’ennesima volta.
Hiccup, si stiracchiò annoiato sotto i caldi raggi del sole. Forse non avrebbe dovuto far cadere in mare la mazza chiodata che gli aveva affidato Skaracchio. Certo, aveva la coordinazione di uno yak impagliato ed era il primo ad ammetterlo ma, in fondo, era inciampato… capitava a tutti, no? No, a quanto pareva no. Non ai grandi, prodi, pelosi Bifolki di Berk.
Si guardò attorno, concentrandosi svogliatamente su alcune delle casse di legno che Johann aveva lasciato sul ponte. Forse al loro interno avrebbe potuto trovare qualcosa per sistemare la sua trappola a molla. A conti fatti, con il meccanismo della sicura incompleto, quella che stava stringendo in pugno era una mina vagante. Doveva aggiustarla, sebbene fosse quasi portato a simpatizzare per la sua condizione. Una trappola difettosa e un vichingo difettoso, seduti mano nella mano. Romantico.
Si alzò in piedi passandosi una mano tra i capelli. Per lo meno avrebbe avuto qualcosa da fare, oltre all’entusiasmante attività del girarsi i pollici.
«Vediamo un po’…», mormorò tra i denti, aprendo un piccolo baule. Ci frugò per qualche istante dentro, stingendo le labbra quando non riuscì a trovar nulla che facesse al caso suo. Proseguì con le casse e i piccoli forzieri successivi, finché non recuperò una sottile cordicella nera.
Meglio di niente, rifletté, prendendola e chiudendo la cassa con un leggero tonfo.
Si appoggiò di spalle contro il parapetto, avvolgendo con cura la corda attorno alla piccola sfera, per impedire che si aprisse all’improvviso. Se fosse riuscita ad esplodere anche così avviluppata, si sarebbe arreso alla propria capacità di creare armi potenzialmente letali soltanto quando non ne aveva la minima intenzione.
Si voltò, poggiando i gomiti sul parapetto, sentendo il calore del legno penetrare attraverso la sottile fibra della sua casacca e scaldargli la pelle. Lasciò correre gli occhi verdi sull’isola, tamburellando ritmicamente con le dita. Un ticchettio sincopato accompagnò le varie battute e, pian piano, questa nota scordata attirò la sua attenzione. Arrestò i movimenti e si spose in avanti, guardando in basso: qualcosa stava galleggiando mollemente in prossimità dello scafo, colpendolo di tanto in tanto trascinato dalla corrente. Strizzò gli occhi, sforzandosi di mettere a fuoco quello strano groviglio di colore indefinito. Aveva tutta l’aria di una specie di corda.
«Non ti dispiace se ti lascio un attimo sola, vero?», chiese con uno sbuffo all’imbarcazione, accarezzandola distrattamente.
Saltò giù, atterrando con un tuffo fra gli schizzi d’acqua fresca. Si avvicinò a quella tentacolare stranezza e l’afferrò, raggiungendo la spiaggia con poche bracciate. Tossicchiando, si scostò le ciocche di capelli bagnati dagli occhi, esaminando con attenzione l’oggetto: sì, era proprio una corda, non c’erano dubbi, ed era piuttosto robusta. Possibile che…?
Con le dita sottili e veloci, sbrigliò quella matassa, riuscendo finalmente a distinguere entrambi i capi. Erano bruciacchiati e logori, come se fossero stati strappati con violenza.
«Dovremo erigerle una pira, vero?»
La voce di Testa di Tufo gli arrivò alle spalle, assieme ai passi e al chiacchiericcio del resto del gruppo. Hiccup si voltò, aspettandoli in silenzio.
«Non è mica morta!», sbottò Astrid, con tono piuttosto seccato. «O, perlomeno, non ne siamo certi.»
«Ѐ con Dagur, no?»
«Sì, ma…»
«Povera sorellina! Sarai sempre nei miei pensieri! Tutti i giorni!», eruppe drammaticamente Testa di Tufo. «… Tranne durante la settimana di Bork. E la giornata del Monco. Oh, e durante l’estate… fa troppo caldo per pensare. E…»
«Testa di Tufo?»
«Oh?»
«Taci da solo o vuoi una mano?»
«Ancora? Se ci fosse stata mia sorella, qui, mi avrebbe colpito e basta…», affermò il gemello, incrociando le braccia sul petto con fare canzonatorio.
Astrid roteò gli occhi sospirando. «Certi giorni…» Si voltò di scatto, mollandogli un pugno dritto sul naso.
Testa di Tufo barcollò dolorante. «… Ma allora mi capisci! Grazie, Astrid, sei una vera amica!», dichiarò commosso.
«Hiccup!», lo chiamò Skaracchio, catalizzando l’attenzione di tutti su di lui. «Cosa ci fai qui? Ti avevo detto di…»
«… di fare la guardia alla nave. Sì, sì, lo so.», tagliò corto il giovane figlio di Stoick con un gesto della mano. «Piuttosto, da’ un’occhiata a questa!»
Porse la corda all’armaiolo, che la controllò inarcando un sopracciglio.
«Dove l’hai trovata?»
«Galleggiava vicino allo scafo.»
«Mh.», lo sguardo di Skaracchio s’incupì, mentre rigirava tra le mani i resti della fune. «Potrebbe anche essere…»
Una miriade di teste comparvero attorno a loro, sbirciando l’oggetto in esame con espressioni curiose.
«Pensi che possano essere qui? Ma non abbiamo trovato alcun segno di loro sull’isola!», grugnì Stizza Bifolko, schioccando la lingua. «E, soprattutto, non abbiamo trovato alcun segno del passaggio di un drago!»
«Potrebbero anche essere su una delle isole qui vicino.», s’intromise Johann. «Le correnti possono averla trasportata fin qui.»
«Ragazzi.»
«Non ora, Hiccup.»
«“Non adesso, Hiccup”, “non c'è tempo, Hiccup”... non per essere incivile ma possiamo saltare alla parte in cui mi ascoltate?»
«Cosa c’è?»
«Temo di averli trovati.», replicò accigliato il giovane, indicando una sottile colonna di fumo nero in lontananza.

Gli era sfuggito di nuovo.
Dagur scartò un cespuglio di rovi, non riuscendo quasi più a distinguere i tronchi degli alberi che gli scorrevano accanto a velocità sempre maggiore, turbinando in una tela indistinta di fogliame e cortecce. Correva con lo sguardo di un dissennato e il vento che gli fischiava nelle orecchie, cercando tracce, frugando ovunque, pronto ad abbattere qualsiasi bestia avesse osato frapporsi fra lui e la sua ricerca.
Un ramo gli sfregò una guancia, si spezzò e cadde a terra, travolto dalla sua irruenza. I polmoni bruciavano, bramavano ossigeno, chiedevano tregua ma lui non si sarebbe concesso requie, no; la sua avanzata non si sarebbe arrestata se non di fronte al drago.
Aveva setacciato l’intera macchia di bosco vicino alla grotta, riuscendo a localizzare l’Incubo Orrendo in una piccola radura dove la vegetazione si diradava in piccoli gruppi irregolari d’arbusti. Non vi era copertura sufficiente per un agguato, così aveva caricato testa bassa ma, l’immensa creatura, spiegate le ali, l’aveva assalito con una fiammata ed aveva spiccato il volo, costringendolo a proseguire la caccia.
Dagur passò la lingua sulle labbra esangui. Più i minuti scorrevano, più le nocche impallidivano e il cuore si contorceva dalla frenesia; poteva quasi avvertire la lucidità dei suoi pensieri corrodersi, sfibrargli la mente e scavare nella sua parte più buia. Non aveva la minima cognizione di cosa lo stesse spingendo a muoversi con tanta foga. Sapeva solo di non aver mai tollerato gli affronti e, quel drago, attaccando il suo accampamento, oh sì, l’aveva fatta diventare una questione personale. Voleva la testa di quell’Incubo Orrendo, voleva vederlo contorcersi e annaspare nel proprio sangue e lo voleva adesso.
Urlò, chiamandolo, sfidandolo. Non gli importava chi avrebbe scovato chi. Quella bestiaccia era sull’isola perché voleva terminare quello che aveva cominciato, ne era certo, quindi se non fosse riuscito a stanarlo lui, tanto valeva farla uscire allo scoperto di propria iniziativa.
«Sangue chiama sangue, drago!», canticchiò il Grande Guerriero tra i denti, serrando convulsamente la presa sulla lancia. «Vieni fuori!»
Un boato esplose sulla sua testa, rovesciando una pioggia di scintille e schegge di legno incandescenti su di lui. Non seppe esattamente cosa accadde o come si ritrovò a ingoiare polvere riverso sul terreno. Un lampo bianco, rovente, l’aveva investito, spazzandolo via saettando fiamme ovunque. Non era stato in grado di capire da quale direzione fosse piombato ma una cosa era certa: la sua nuova nemesi era arrivata.
Dagur alzò lo sguardo, scorgendo i resti della sua lancia fumare in una macchia contorta sul terreno. Scoprì i denti e spuntò ma il sapore acre di terra bruciata gli rimase attaccato al palato.
Il terreno tremò sotto i palmi delle sue mani, percosso dalle ampie zampe purpuree dell’Incubo Orrendo che avanzava, terribile e impressionante, verso di lui. Il berserker lanciò un’occhiata alle sue spalle e un fremito d’eccitazione gli fece crepitare la spina dorsale.
«Era ora.»
C’era puzza di carne bruciata nei dintorni e poteva chiaramente avvertire le sue dita pulsare ustionate mentre le serrava nel terreno; ma non diede peso a nulla di tutto questo. Irrigidendo tutti i muscoli, rimase prono, in attesa.
Il lungo collo squamato del drago si protese verso la sua schiena, vibrando d’un ringhio basso e gutturale. Lo stava annusando.
Dagur ghignò, ruotando bruscamente su se stesso, e gettò una manciata di terra e cenere sulle narici dilatate del drago. L’enorme rettile scosse il capo, soffiando infastidito l’aria via dal naso e, prima che potesse aprire gli occhi, Dagur era sul suo muso con la mano serrata su una delle sue zanne ricurve. Facendo leva con le gambe fu un attimo e, con forza disumana, divelse il dente, avventandosi poi furioso contro gli occhi spalancati dell’Incubo Orrendo. Vibrò il colpo mirando una delle orbite e, ancora una volta, l’inferno deflagrò sotto i suoi piedi.
Con un ruggito violento il drago, ammantato di fuoco, spiccò il volo devastando il tetto di rami su di loro. Dagur atterrò con scioltezza e soffocò immediatamente le fiamme che gli lambivano gli stivali con la terra.
«Oh, cosa c’è? Ti ho fatto male?», domandò euforico al cielo, con l’adrenalina che gli aveva invaso e gonfiato le vene del collo. «Torna qui! Non ho ancora finito con te!»
Spostò per un fugace istante gli occhi verdi sul suo piccolo trofeo: fissò il liquido scuro colare lungo la zanna, ipnotizzato dai suoi foschi riflessi amaranto. Una miriade di piccole stelle riverberò su quella chiazza lucida mentre un olezzo pungente s’insinuava nell’ambiente circostante. Avrebbe riconosciuto quell’odore tra mille; senza guardarsi attorno, scattò in direzione del bosco, mentre una pioggia di liquido incendiario si abbatteva attorno a lui. To’, guarda… Qualcuno aveva deciso di mantenere le distanze.
Dagur non poté fare a meno di scoppiare a ridere sentendo lo spettro dei sensi dilatarsi al massimo della potenza; i suoi occhi erano iniettati di sangue e sporgevano in fuori nello sforzo di catturare e segnalare al suo cervello quali ostacoli evitare, le orecchie erano tese a catturare ogni fruscio, l’olfatto pronto a fiutare il minimo cambiamento nell’atmosfera e, più correva, più spingeva i muscoli a contrarsi, a dargli di più, ad aumentare la forza della spinta, sfrecciando nella macchia. Magni gli era testimone, se avesse potuto in qualche modo scatenare l’impeto brutale che gli ardeva nel petto, avrebbe fatto a pezzi l’intera isola. Era disumanamente insensibile a tutti i campanelli d’allarme che il suo corpo stava facendo trillare da tempo. Non sentiva sete o fame, né tanto meno la fatica della corsa o il dolore delle ferite. Aveva un solo obiettivo: raggiungere la zona più fitta del bosco, dove la vegetazione avrebbe coperto ogni sua traccia dall’alto. Questo avrebbe costretto il drago ad atterrare, a cercarlo e gli avrebbe dato l’opportunità di poterlo cogliere di nuovo alla sprovvista in un ambiente angusto.
«Uh?»
Qualcosa in quel perfetto meccanismo di moto spasmodico finì per incepparsi, facendogli mancare di poco una roverella. Una goccia di sudore gli colò lungo il collo. Cercò di reprimere il fiatone in brevi e silenziosi respiri, concentrandosi sull’ambiente circostante. L’udì ancora. Non c’erano dubbi.
«Non è possibile.»
Era un ululato.
Si guardò attorno, confuso. Era vicino, soffocato, quasi provenisse dal sottosuolo. Ne sentì un altro, questa volta più flebile. Si stava allontanando.
Riprese a muoversi, decidendo di seguire quel suono. Una palla di fuoco si abbatté a qualche centimetro da lui, spargendo sulla vegetazione quella nota sostanza gelatinosa abrasiva. Una piccola particella finì anche sul suo spallaccio, sfrigolando lievemente. Dagur piantò i talloni nel terreno e invertì la sua corsa, precipitandosi verso il terzo ululato, saltando tra le fiamme che gli sbarravano la strada.
Non capiva cosa stesse accadendo ma aveva il netto sentore di potersi fidare di quel richiamo. Non poteva trattarsi di un inganno della sua mente sconvolta, non era possibile… o forse stava davvero impazzendo; l’intera scena, dopotutto, era sovrannaturale al punto tale che non si sarebbe sorpreso di vedere dei lupi fuoriuscire dal terreno e caricare al suo fianco. O, peggio, dei lupi al comando della strega di Berk, di ritorno dalle ombre di Hel!
Cercò di scuotere via l’inquietante piega mistica che stava prendendo il suo ragionamento, procedendo a spron battuto tra il fumo e le braci, quando il suo piede s’incastrò sotto qualcosa; il berserker cadde in avanti e, con sua somma sorpresa, venne inghiottito dalla terra. O meglio, fece un capitombolo in un fosso nascosto dalle erbe spontanee. L’atterraggio, ovviamente, fu tutt’altro che gradevole. Dagur sbatté infatti sonoramente la schiena contro qualcosa di duro, sollevando uno sbuffo di polvere attorno a sé. Tra i colpi di tosse, vide un’ombra piegarsi su di lui.
«Ehi, deficiente, indovina un po’ dove porta il tunnel che hai trovato nella grotta?», lo salutò quest’ultima allegramente. «In tutta l’isola! Giuro, non fosse stato per quello, probabilmente ora sarei morta. O avrei delle cicatrici da urlo… accidenti!»
Dagur si tirò su ansante, socchiudendo le palpebre; nell’oscurità della fossa non era facile distinguere ciò che aveva davanti. Laggiù, infatti, riuscivano a malapena a filtrare dei flebili, solitari raggi di sole, che riempivano di giochi d’ombre i grovigli opalescenti delle radici che fuoriuscivano a qualche palmo dalla sua testa. Tra quei sottili fili di luce, tuttavia, pareva stagliarsi la figura bianca e spettrale di qualcuno molto simile a Testa Bruta e… per l’occhio di Odino! Non l’aveva vista così scarmigliata nemmeno dopo la caduta in acqua ore prima! La strega di Berk era seriamente più inguardabile del solito: aveva gli abiti stracciati in più punti e le braccia, le ginocchia e persino il volto erano costellati di graffi e fango. Non solo. Il Grande Guerriero notò che tra i capelli, arruffati in una gloriosa matassa bionda, le penzolavano anche dei piccoli rametti. Che fosse davvero un’apparizione? Oppure…?
Ammutolito, Dagur avanzò verso lo spirito, sopportando a stento il fastidioso torcesi di budella che la sua vista gli stava provocando e lo scrutò con diffidenza.
«Mh? Ho qualcosa sulla faccia?», gli domandò questi, tastandosi con circospezione i lineamenti. «Ho strisciato in queste gallerie per tipo… secoli prima che cominciassero ad allargarsi. Oh, non ci crederai mai ma a un certo punto c’era poca aria e credo di aver intravisto mio cugino Lars!»
Un risolino isterico rimbombò tra i denti del berserker, dapprima con incertezza, quasi stesse saggiando la saldezza della sua sanità mentale, poi aumentando gradualmente di volume, fino a trasformarsi in un latrato fragoroso che gli scosse tutte le membra.
«Che mi venga un colpo!», esclamò poi, passandosi nevroticamente le dita sulle guance, quasi a volersele riempire di pizzichi. «Sei davvero tu!»
Abbandonata finalmente ogni paranoia, Dagur si fece avanti e, sorridendo festante, afferrò Testa Bruta, stringendola a sé con una veemenza tale da fargli formicolare la punta ustionata delle dita.
«Oh, fantastico.» La Bifolka roteò gli occhi, lasciandosi tuttavia stritolare dal suo abbraccio da orso senza opporre resistenza. Gli tirò persino qualche virile pacca consolatoria – e vagamente condiscendente – sulla schiena. «La caduta l’ha fatto rimbecillire del tutto.»
«Un momento…» Dagur la scostò da sé di colpo, puntandole contro il dente del drago. «Cosa mi dice che non sei in realtà il frutto di una qualche bislacca stregoneria?»
«Non lo so.», disse Testa Bruta, scrollando le spalle. «Le illusioni possono fare questo?»
Gli sferrò un calcio nello stinco, sghignazzando senza ritegno mentre il Grande Guerriero saltellava su un piede, stringendosi la parte lesa.
«Brutta…!», ringhiò lui, ma mandò presto giù il resto degli insulti, abbassando sia la gamba che la zanna insanguinata. Il sospetto sfumò ancora una volta via dal suo sguardo e dal suo giudizio, lasciando posto alla gioia più selvaggia. «Allora sei reale!», esclamò, spalancando le braccia.
«Oh, Thor… non di nuovo.»
Dagur riacciuffò con fervore Testa Bruta, rischiando quasi di dislocarle tutte le ossa del corpo con la sua stretta.
«Ok, credo di stare per vomitare!», esalò la giovane, suonando tanto stremata quanto disgustata da quella sua eccentrica dimostrazione d’affetto.
Ridendo, il berserker la lasciò finalmente andare, poggiandosi le mani sui fianchi. «Ma come hai…? Aspetta, aspetta… lasciami indovinare: hai usato qualche altro tuo trucchetto, mh?»
«Uh, no, genio.», borbottò Testa Bruta, evidentemente presa in contropiede. «Te l’ho detto, ho usato le gallerie.»
Il Grande Guerriero aggrottò le folte sopracciglia, in un silenzio carico di stupore. «Allora come hai fatto a trovarmi?»
«Facile, ho seguito il fracasso che tu e il drago avete fatto. Oh, a proposito…»
Un tonfo sordo scosse l’intero tunnel, facendo cadere del pulviscolo dalla sua volta. Dei passi lenti, pesanti, riverberarono lungo le pareti, facendo vibrare i sassolini sparsi ai loro piedi.
«Non dovremmo tagliare la corda?»
«Cosa? E scappare come conigli? Mai!», ruggì Dagur, incupendosi. «Quel drago ce l’ho in pugno, aspetta e vedrai! Io non solo un debole! E poi…»
Per tutta la durata della tirata collerica del berserker, Testa Bruta rimase con la schiena poggiata sul fianco della galleria a rimirarsi le unghie. «Ah-ha, interessante.», borbottava casualmente di tanto in tanto, ascoltando gli scoppi che infuriavano sopra le loro teste. Il fuoco invase gradualmente il terreno scivolando, erosivo, lungo il fosso. Una goccia di lava cadde, atterrando ai piedi di Dagur, che solo allora si rese conto del pandemonio che regnava fuori dal loro rifugio.
«Altro da aggiungere?», gli chiese la Bifolka mentre un miasma incandescente invadeva tutto lo spazio circostante.
Il berserker guardò prima lei, poi l’uscita fiammeggiante della buca e, infine, ancora lei. Non c’era più modo di uscire da lì senza restare arsi vivi.
«D’accordo, nuovo piano: prima usciamo da qui e poi abbattiamo quel drago. Mh, come faremo ad orientarci qua sotto?», sbottò affacciandosi nella galleria. Ironicamente, l’unica cosa che riusciva ad avvistare era il buio pesto che regnava al suo interno.
«Conosco questi cunicoli come le mie tasche ormai.», rispose la gemella, starnutendo malamente. «Anche se in realtà non ho tasche.»
«Fa’ strada.», tagliò corto Dagur.
Non fece in tempo a voltarsi verso di lei che qualcosa di gelido gli piombò sul capo, schiacciandogli le orecchie. Poggiò istintivamente una mano sullo scalpo, pungendosi le dita. Era il suo elmo.
«Ti servirà.» Testa Bruta lo sorpassò. «Seguimi.»

Lo sciabordio calmo delle onde trasformava la visione dell’isola avvolta dalle fiamme in qualcosa che poteva appartenere solo al regno favoloso dei sogni. Un’immensa colonna di fumo svettava quasi oltre le nuvole, sporcando il cielo di volute dense e nere.
Il sole era a un’ora dal tramontare nelle acque limpide che circondavano il litorale, accendendo i profili degli alberi di rosso e oro, mescolandoli all’iridescenza delle fiamme che lambivano gran parte della zona orientale del bosco.
Skaracchio aveva stabilito che Johann e Hiccup – con estremo gaudio e tripudio di quest’ultimo – sarebbero rimasti sulla nave ad un centinaio di metri dalla costa, per evitare che l’unico mezzo che avevano per tornare in patria finisse anche solo per errore sotto le mire del drago. Non appena avrebbero ricevuto dei segnali di fumo prestabiliti dalla spiaggia, sarebbero dovuti tornare a prelevarli.
Hiccup guardò con la testa stretta tra le mani le figure dei suoi coetanei rimpicciolire mentre facevano rotta verso sud. Era stanco di quella storia. Gli parve si essere intrappolato nel classico incubo in cui si cerca di raggiungere correndo qualcuno o qualcosa ma si resta sempre fermi nello stesso punto. Il problema era che, il suo, non era l’incubo di una notte ma di una vita. Ad ogni passo che faceva verso di loro, quelli che avrebbero dovuto essere i suoi simili, veniva distanziato di altri cento. Non li avrebbe mai raggiunti, non li avrebbe mai convinti di essere all’altezza di tutte le loro aspettative se continuava a venire privato di ogni buona occasione per farlo. Sospirò esasperato, afflosciandosi sul corrimano.
«Su col morale, Hiccup!», disse Johann, «Ciascuno di noi ha un ruolo fondamentale. Solo perché non ti trovi in prima linea, non sei da meno di quelli che lo sono.»
Un silenzio pensoso fu tutto ciò che ottenne come risposta. L’uomo si voltò a guardare quella piccola figura demoralizzata poggiata al parapetto e inarcò tristemente le sopracciglia.
«Ehi, che ne dici se per passere il tempo ti raccontassi di quella volta che…»
«Perché no…», rispose meccanicamente il figlio di Stoick l’Immenso, non prestando la minima attenzione al resto del discorso.
Alzò il capo verso il bosco e lasciò che le fiamme gli brillassero nelle iridi silvane, riempiendogli la mente e il cuore. Si drizzò di colpo, lanciando un’occhiata rapida alle proprie spalle. Johann era ancora perso a raccontare chissà quale leggendario aneddoto. Tornò a fissare l’isola: era ancora in tempo, la spiaggia non era poi così lontana. Pochi metri a nuoto e sarebbe arrivato. Un minimo di sforzo e, per la prima volta, avrebbe potuto vedere un drago da vicino e forse avrebbe anche potuto…
Il più silenziosamente possibile, scavalcò il parapetto, lasciandosi scivolare in acqua. Quando Johann si accorse della sua fuga, era già a metà strada.
La corrente lo sospinse docilmente sulla riva con un tenue mormorio di schiuma bianca. I suoi stivali affondarono fra i granelli di sabbia, facendolo incespicare. Quello era il terzo bagno fuori programma nell’arco di una giornata. Era sicuro di stare battendo un record di qualche tipo.
Aveva molti dubbi sul da farsi: forse presentarsi davanti a tutti imbastendo una maschera di nonchalance come quando gli capitava di combinare qualche pasticcio a Berk non era esattamente un’idea brillante. D’altro canto, anche seguirli in incognito, per evitare che lo allontanassero e gli impedissero nuovamente di prendere parte alle ricerche, non gli suonava affatto come un piano migliore. Be’, a dirla proprio tutta, l’idea stessa di ritrovarsi da solo su un’isola potenzialmente mortale era decisamente infelice. Arrovellandosi su quei pensieri, avanzò verso il punto in cui aveva visto dirigersi il resto del gruppo. Non appena scorse le schiene dei suoi compagni d’arme, si acquattò dietro dei cespugli odorosi di mirto, colpito della sua reazione subitanea. Ottimo, quindi ci aveva pensato il suo inconscio a decidere per lui.
Sbirciò con cautela tra le foglie: Astrid, Gambe di Pesce, Testa di Tufo e Moccicoso erano schierati in silenzio alle spalle di Stizza Bifolko, Mulch e Bucket, in attesa che Skaracchio terminasse di esaminare qualcosa sul terreno. Tracce, con molta probabilità.
«Mh, non c’è dubbio, è un Incubo Orrendo.», annunciò l’armaiolo, tirandosi in piedi. «Forse siamo sulla pista giusta. L’istinto di Hic ci ha preso.»
«Tu dai fin troppo credito a quel marmocchio.», grugnì Stizza Bifolko.
Cori di entusiasmo misti a preoccupazione si levarono dalle file dei ragazzi, che presero a fissare intensamente le impronte tra i fili pressati d’erba come se il drago potesse materializzarcisi sopra.
«Incubo Orrendo. Solo i migliori vichinghi sono in gradi di affrontarli.», balbettò a mezza voce Gambe di Pesce, affondando il capo dietro lo scudo. «E non noi lo siamo. Tecnicamente non potremmo nemmeno definirci vichinghi veri e propri… non siamo ancora stati addestrati per tutto questo!»
«Che vai blaterando?», lo interruppe Moccicoso, tirandogli una gomitata. «Io sono nato pronto! E vichingo!»
«Io non ne sono certo. Ho sempre voluto fare il pulitore di pesci.», si premurò d’intervenute Testa di Tufo, facendo spallucce. «O il pirata. O magari l’addestratore di yak.»
Hiccup sorrise al sospiro di pura irritazione che sfuggì ad Astrid di fronte a quei discorsi insensati.
«Come dico sempre, la teoria serve a ben poco in questi casi.», disse Skaracchio, incrociando le braccia dietro la schiena. «Quello di cui avete davvero bisogno, è imparare sul campo. Questo tipo di drago ha davvero pochi punti deboli, quindi è fondamentale saperli sfruttare tutti a proprio vantaggio: uno di questi è la mandibola. Bisogna tenergliela ben chiusa, per renderlo in parte inoffensivo. Fidatevi, questo lo so per esperienza personale.»
«Oh. Facile.»
«Ma è anche in grado di appiccare fuoco a tutto il suo corpo!»
«Oh. Accidenti.»
«Restate quindi in formazione di difesa e osservate bene ciò che facciamo, chiaro?», concluse l’armaiolo, indicandoli a un a uno con l’uncino.
«Ha ragione.», concordò Bucket, annuendo con aria docile. «Aspetta un attimo… e cosa dovremmo fare esattamente per dare il buon esempio?»
«Darle di santa ragione a quel drago e recuperare i resti dei due mocciosi.», gli rispose Mulch con sobrio pragmatismo.
«Oh.», l’omone sollevò un piccolo sassolino chiaro, rigirandoselo tra le dita. «Temo che Dan non sia d’accordo con quello che dici, Mulch.»
«Dan è un sasso, Bucket.»
Skaracchio alzò gli occhi al cielo. «Andiamo, prima che compia una strage!»
Hiccup scivolò lentamente fra gli arbusti a qualche metro di distanza tra loro. Man mano che s’inoltravano nella macchia, cominciavano a comparire i segni sempre più inequivocabili del passaggio dell’Incubo Orrendo: rami spezzati, intere file di alberi in fiamme o semi-carbonizzati e tronchi mozzati. Hiccup sfiorò con le dita un mucchietto di cenere ai suoi piedi, cominciando a chiedersi il perché di tutta quella distruzione. Se il drago aveva mangiato Dagur e Testa Bruta, perché sarebbe dovuto rimanere sull’isola e perché avrebbe raso al suolo una così grande porzione di flora? Una goccia di sudore freddo gli scivolò lungo le vertebre della schiena. E se di draghi, sull’isola, ce ne fossero stati due e in quel momento stesse infuriando uno scontro tra loro? Si sarebbero trovati intrappolati tra due fuochi! Letteralmente.
Un mastichio rumoroso gli spezzò il filo del ragionamento. Il prudente figlio di Stoick si voltò alla sua destra, ritrovandosi a sfiorare con la punta del naso il pizzetto sbarazzino di una capra.
«Oh, Thor.», pigolò, sgusciando lentamente di qualche passo lontano da lei. «B-Buona, capretta. Buona.»
L’animale selvatico l’osservò a lungo con quelle stravaganti pupille orizzontali, masticando scompostamente con la mascella. Hiccup, che si era immobilizzato di fronte a quel piglio di pura austerità caprina, pregò gli dei che non belasse – allertando gli altri della sua presenza – e riprese ad allontanarsi carponi.
Strano, non ricordava che la consistenza dell’erba tra le dita fosse così impalpabile, né che il vento avesse preso a spirare con così tanta forza.
Oh.
L’intero mondo si capovolse attorno a lui, mentre ruotava nell’aere maledicendo tra i denti quella dannata capra. Non poteva credere che avesse atteso con machiavellica pazienza che si rilassasse e le desse le spalle, prima di colpirlo a piena potenza. Non si sarebbe più fidato di un ovino per il resto della sua vita.
Cadde oltre i cespugli, schiantandosi con il sedere a terra, salutato da otto teste girate drammaticamente nella sua direzione.
«Hiccup?»
«Ehilà…», mormorò, issandosi sulle braccia.
«Per l’occhio di Odino, ragazzo!», esclamò Skaracchio, avvicinandosi. «Che accidenti hai combinato?»
«Ehm… lunga storia. Decisamente noiosa.», tossicchiò Hiccup, lasciandosi rimettere in piedi dal fabbro.
«Fammi indovinare: ha a che fare con quella capra?», sbottò Moccicoso, sollevando imperiosamente il mento, strappando una grassa risata al padre.
Hiccup gettò un’occhiata oltre la propria spalla: la dispettosa bestiolina stava brucando beatamente accanto a un ginepro, dissimulando il proprio coinvolgimento da vera professionista. «Ecco…»
«Come sei riuscito a farti sconfiggere da quella stupida capra?!», ghignò l’impavido Jorgenson, raggiungendolo. «È l’animale più innocuo che potessi trovare!»
Si avvicinò alla capra selvatica con il petto in fuori e le armi spianate, finché non udì un fruscio oltre la corteccia contorta dell’albero vicino al quale stava banchettando. Sollevando lo scudo, Moccicoso si sporse oltre una piccola siepe antistante, quando un paio di lunghe corna gli sfiorarono una guancia.
«Mh?»
Con un ruggito furioso, qualcosa saltò fuori dalla boscaglia, travolgendolo. In pochi, rapidi istanti si ritrovò riverso nell’erba, con uno stivale premuto sul petto e la voglia di urlare come una femmina isterica dal terrore.
«Dagur?», fiatò Astrid, battendo ciglio.
«Dagur!», esclamò Moccicoso, coprendosi gli occhi che gli lacrimavano dallo spavento con le mani. «Grazie, Thor… te ne devo una!»
«Che Thor mi fulmini adesso!», borbottò Skaracchio grattandosi il capo. «Ho le traveggole!»
«Allora siamo in due.», si unì Stizza Bifolko, con tono diffidente.
Dagur sgranò le iridi sanguigne, sembrando identificare solo allora Moccicoso. Gli tolse il piede di dosso, facendosi da parte. Quando rivolse la sua attenzione ai presenti, Hiccup deglutì, ravvisando il lupo che si nascondeva tra le ombre del suo sguardo svanire man mano che si focalizzava sui loro volti.
«Se non credi ancora a quello che vedi, io sono sempre disponibile a prenderti a calci.»
Una folta chioma bionda fece capolino da una delle spalle del Grande Guerriero, che si voltò a guardarla arricciando le narici.
«Divertente.»
Per gli dei, tutti questo è assurdo…, trasecolò Hiccup, tirandosi istintivamente un pizzico sull’avambraccio umido. Sto sognando. Il drago ci ha polverizzati tutti e questo è lo stranissimo aldilà in cui questi due sono vivi e vegeti e si sopportano come vecchi amici…
«Ehi...», li salutò Testa Bruta, reggendosi debolmente attorno al collo di Dagur. Nel trambusto dall’aggressione, nessuno aveva fatto caso al fatto il berserker la stesse trasportando sulla schiena. Hiccup aggrottò le sopracciglia di fronte al suo aspetto malmesso: la ragazza aveva tutta l’aria di essere stremata e sull’orlo di perdere i sensi.
«Sorella!», urlò Testa di Tufo, correndo loro incontro. «Ti credevo morta!»
«Ti piacerebbe, perdente!»
I due si scambiarono un sorriso, finché la giovane non si accigliò, affacciandosi oltre le spalle di Dagur con uno sbuffo.
«Ehi…», proruppe, tra i colpi di tosse. «Quelli sono i miei vestiti?»
«Uh, no…?», negò platealmente il fratello, guardandosi nervosamente attorno.
«Certo... ed io sono Fungus.»
«E comunque stanno meglio a me!», borbottò Testa di Tufo sottovoce, incrociando le braccia sul petto.
«Ah, sì? Quando mi sarò ripresa, te la farò vedere io!», gli sibilò contro Testa Bruta. «Tutto questo è successo per colpa tua!»
«Mettiti in fila, ci sono prima io.», la bloccò il berserker, scoprendo i denti.
Il povero Testa di Tufo parve rimpicciolirsi sotto il cipiglio inquisitore della sorella e di Dagur.
«Uh… ragazzi?», s’intromise Gambe di Pesce, con tono conciliante. «Rimandiamo la violenza a quando saremo tutti a casa, lontani da qui e dal drago?»
Un rombo squarciò il silenzio, facendo perdere a tutti un battito.
Con il naso all’insù, Testa di Tufo indicò il cielo. «Oh. Be’, forse per quanto riguarda l’evitare il drago siamo un po’ in ritardo.»
Un diluvio rovente si riversò su di loro, illuminando l’intera area di riflessi vermigli. Hiccup non riuscì a muovere un passo; avvertì la temperatura salire sulla propria pelle, tagliandogli via il fiato dalla gola e accartocciandogli le vene, come se il sangue al loro interno fosse evaporato tutto via.
«Hiccup?», lo chiamò Astrid, scattando nella sua direzione. «Hiccup, spostati!»
Lo afferrò bruscamente, tenendolo stretto a sé con un braccio mentre rotolavano lontano da quelle spire infuocate. Con agilità e prontezza, si sollevò poi in piedi portando lo scudo sulle loro teste, impedendo che gli schizzi incandescenti dell’impatto li ferissero.
«Cosa accidenti ti è preso?», lo rimbrottò la giovane Hofferson con vigore, portandolo nuovamente alla realtà. «Datti una svegliata!»
L’Incubo Orrendo atterrò con uno schianto dinanzi a loro, spalancando le ali in fiamme con un fragoroso mugghiato. Hiccup fissò frastornato quell’immane creatura ignea, risucchiato nell’abisso annichilente che tempestava nelle sue pupille verticali. Tremò, schiacciato dalla paura e dalla soggezione. Non era la prima volta che vedeva un drago ma non era nemmeno stato mai così vicino alle sue fauci aguzze. Anche respirare troppo forte, gli pareva terribilmente sbagliato in quel momento. Cosa fare? Come agire? Non aveva mai visto nulla di più terribile e maestoso in vita sua.
«Ragazzi, che state facendo? In formazione!», abbaiò Stizza Bifolko, scansando gli artigli dell’Incubo Orrendo e lanciandosi all’attacco.
Il piccolo gruppo di inesperti Bifolki si riunì ai fianchi di Astrid, sollevando un compatto muro di scudi davanti alla visuale di Hiccup. Dagur si portò alle loro spalle con sguardo torbido, senza fiatare. Il giovane non era per nulla sicuro di voler sapere cosa stesse macchinando.
«Il bestione è a corto di fuoco!», rise Skaracchio da qualche parte di quel caos.
Hiccup non seppe esattamente cosa volesse dire, così si alzò in piedi, sporgendosi oltre le spalle larghe di Moccicoso.
«Che combini? Fatti da parte, Hiccup!», grugnì questi. «Lascia fare il proprio dovere a chi lo sa fare!»
Hiccup lo ignorò, concentrandosi con maggiore attenzione sull’Incubo Orrendo e capì. La forza e frequenza cui soffiava fiamme contro di loro erano sempre minori e, quelle che avrebbero dovuto essere sfolgoranti scaglie rosse, erano smorte, sbiadite. Notò anche una lunga ferita che gli lacerava le squame attorno all’occhio destro da parte a parte; il drago era esausto.
«Ragazzi… comincia a fare caldo, non trovate?», commentò casualmente Testa di Tufo, trascurando bellamente un ramo infuocato che bruciava a pochi centimetri dal suo elmo.
«Quell’Incubo Orrendo ha fatto terra bruciata ovunque.», mormorò Astrid, guardandosi attorno: l’incendio divampava ormai in ogni direzione, avviluppando e consumando la vegetazione circostante. Non ci avrebbe messo molto a circondarli.
«Non possiamo rimanere qui, dobbiamo andarcene o finiremo arrosto!», squittì Gambe di Pesce, rivolgendosi forse più a se stesso che ai suoi compagni.
La postura di Astrid s’irrigidì. «Hai ragione», disse, «ma finché il drago è qui, non possiamo andare da nessuna parte.»
Finché il drago resta qui…, Hiccup tastò istintivamente le tasche, ritrovandoci la consistenza di una piccola sfera. Si morse il labbro con forza; forse era folle ma avrebbe potuto funzionare! Trasse un paio di profondi respiri, sentendo le mani diventare sempre più fredde e sudate.
O la va o la spacca!
Scartò di corsa i suoi compagni, con lo stomaco che continuava a contrarsi ai loro richiami. Un brutale colpo di coda frustò l’aria, sollevando un enorme polverone. Skaracchio e Stizza Bifolko furono spazzati via dalla violenza dell’impatto, schiantandosi fra gli alberi.
Hiccup tossì, sentendo il sapore aspro della terra sulla lingua. Qualcosa lo tirò di lato, salvandolo dalla coda puntuta dell’Incubo Orrendo, che si abbatté a soffio da lui.
Dagur gli rivolse un sorriso disturbante. «Andavi da qualche parte?»
Il giovane Bifolko riuscì a contenere a stento la propria meraviglia: Dagur “Lo Squilibrato” che corre in sua difesa? Ormai la gravità dell'intera situazione era più che palese.
«Dagur, ascolta…»
Tra il pulviscolo e i detriti, Bucket e Mulch si erano frapposti tra la reptante creatura e Skaracchio e Stizza Bifolko, per dar tempo ai loro compagni di rimettersi in sesto e raggiungerli. L’Incubo Orrendo s’impennò tra le fiamme, battendo minacciosamente le ali.
«Guarda, Mulch! Hiccup ci sta salutando!», disse Bucket, sventolando cordialmente un braccio.
«Cosa?» Il pescatore rimase a bocca aperta, non appena costatò che il piccolo figlio di Stoick stava gesticolando disperatamente nella loro direzione, facendo loro cenno di allontanarsi.
«Fuori dai piedi!», sbraitò Dagur, facendosi largo tra i due. «Ehi, guarda un po’ chi è tornato a trovarti, bestiaccia!»
L’Incubo Orrendo tese il collo alla vista del berserker, scoprendo i denti ed emettendo un ringhio basso e minaccioso. Dagur non batté ciglio e scagliò con violenza inaudita un sasso dritto contro l’occhio ferito del drago, centrandolo in pieno.
«Ti sono mancato?»
Hiccup assistette alla scena con la sfera stretta nel pugno. Il tempo prese a congelarsi tutto attorno a lui, rendendo ogni cosa estremamente vivida e lenta. Vide Skaracchio e Stizza Bifolko strepitare qualcosa in sua direzione e il muso del drago calare come un’ascia sulla testa di Dagur. Non seppe esattamente cosa scattò nella sua testa ma, quando divenne consapevole del proprio corpo che si precipitava fra lui e l’Incubo Orrendo, era già talmente vicino da poter sentire l’alito ardente sul viso. Sciolse il nodo che vincolava la trappola, lanciandola contro le fauci del drago. Parti metalliche esplosero in ogni direzione, rilasciando la rete che si avvolse tutta attorno a quella fornace squamosa, serrandola in una morsa.
Hiccup tornò a respirare e scorse Dagur, rimasto impassibile di fronte all’assalto, avanzare verso di loro con qualcosa che aveva l’aspetto di una zanna, stretta fra le dita.
Un gorgoglio d’avvertimento riverberò alle sue spalle. Istintivamente fermò il Grande Guerriero con un braccio, voltandosi verso l’immensa creatura. Si guardarono negli occhi. Il drago e il vichingo. Un’eternità passò tra le loro iridi mentre il resto del mondo attorno a loro ammutoliva e tratteneva il fiato. Raddrizzando la schiena sinuosa, l’Incubo Orrendo si erse su in tutta la sua notevole mole, facendo sentire Hiccup nudo e insignificante; poi, con un poderoso battito d’ali, decollò, trapassando il fitto fogliame arso.
C’erano cenere, scintille e forme contorte annerite dal fumo ma il giovane non riusciva più a distinguere nulla di tutto quello. Fece qualche passo verso i volti scioccati del resto del gruppo; forse aveva qualche spiegazione da dare, qualche scusa da porgere ma, per quello, ora sapeva di avere tutto il tempo.
«Testa di legno che non sei altro!», borbottò Skaracchio con gli occhi lucidi, afferrandolo e stringendolo a sé con affetto.
«Ѐ stato uno scherzo!», si sentì minimizzare con ironia, «Era tutto calcolato nei minimi dettagli… Tutto…»
Voleva davvero compiacersi dell’esultanza, ascoltare le loro parole e persino godersi tutta la vertigine e il soffocante senso di nausea che lo avevano appena assalito ma tutto sembrava perdere di consistenza e attenuarsi in una torbida foschia. Si rese conto di avere una certa urgenza di svenire. E così fece.











.:~*~:.

Oo~h, 1, 2, 3, 4 fire's in your eyes and this chaos, it defies imagination! Oo~h, 5, 6, 7, 8 minus 9 lives! You've arrived at panic station!

Scusate.
*eh-ehm* Come disse Lord Micidial: “Sarò breve”.
Dunque! XD In questo capitolo ho cercato di legare i tre personaggi principali tramite il titolo: “Squilibrati”. Infatti tutte e tre hanno agito da folli dinamitardi, sì, ma per motivazioni differenti.
1) Dagur è una macchina da guerra (tra l’altro, mentre scrivevo “sangue chiama sangue” mi sono immaginata Dagur con la stessa espressione di Jack Torrance di Shining XDDDD “Weeeendy~!”), l’incarnazione di “Seek and Destroy” dei Metallica ed è stato folle a pensare di poter affrontare un Incubo Orrendo da solo, sebbene sia riuscito a dargli filo da torcere (oh, a proposito… non gli ha cavato l’occhio, l’ha solo sfregiato).
2) Testa Bruta ha strisciato e gattonato per metri e metri di tunnel claustrofobici quasi privi d'aria con la febbre alta per trovare Dagur.
3) Hiccup… ha sempre buone idee anche se spesso e volentieri si rivelano altamente rischiose. XD Qui è ancora alla ricerca dell’approvazione degli abitanti del villaggio e della sua identà come vichingo… però da già accenni di… Hiccupperia (???), mettiamola così. X°D Vi ricordo che questa “what if…?”, o meglio, “wtf…?” è ambientata circa un anno prima degli eventi di Dragon Trainer, quindi nessuno dei piccini ha più di tante nozioni suoi draghi e, soprattutto, non ha alcuna pietà di loro (tranne Hic che l’ha allontanato, ottenendo due piccioni con una fava: l’ha protetto e ha protetto anche tutto il resto del gruppo, aprendo una via di fuga).
Se non erro, il fatto di chiudere le mascelle all’Incubo Orrendo lo dice Skaracchio... ma non riesco a ricordarmi quando. O___o Comunque sia, queste e altre informazioni sui draghi e sui personaggi le ho tutte estrapolate dalla wikia inglese, per chi volesse controllare! ;) E, prima che mi dimentichi, quel “Magni”, invocato da Dagur, è la divinità nordica della forza, figlio di Thor.
Oh, e “La settimana di Bork”, Testa di Tufo che vuole diventare un pulitore di pesce e il fantomatico cugino Lars sono tutte piccole citazioni dagli episodi della serie! :)
Ok, per oggi ho finito! YAY! \*0*/
Come sempre, ringrazio tutto coloro che hanno letto anche questo capitolo! Spero davvero tanto che vi sia piaciuto! E, in particolare, Francesca Akira89 per aver aggiunto questa storia tra i preferiti! *____* Whoa, sono felicissima che ti stia piacendo così tanto! (ノ>▽<。)ノ
Mmh, se tutto procede da programma, dovrei riuscire a terminare questa storia poco prima dell’uscita del film. Il prossimo, quindi, sarà l’ultimo capitolo e spiegherò un po’ di cose… perché Dagur ha aiutato Hiccup, cos’ha combinato Testa Bruta all’accampamento, etc. QUINDI RESISTETE ANCORA UN PO’, LA FINE DELLO STRAZIO Ѐ VICINA!! XD

P.S.: Alla fine si scopre che è stata la capra ad aver orchestrato tutto fin dall’inizio.

See ya,

Shadow Eyes

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Capitolo 8
*** I pazzi crescono senza innaffiarli ***


Tua madre
Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo VIII: I pazzi crescono senza innaffiarli




Regola della vita è che possiamo, e dobbiamo, imparare da tutti.
Ci sono cose serie della vita che possiamo apprendere
da ciarlatani e banditi, ci sono filosofie che ci sono impartite da stupidi,
ci sono lezioni di fermezza e di legge che vengono dal caso
e da coloro che il caso ha scelto. Tutto è in tutto.

- Fernando Pessoa, “Il libro dell'inquietudine”





Berk era una pennellata soffusa di grigio nella foschia delle prime luci dell’alba. La nave di Johann oscillava lievemente, in un silenzio che sapeva di esausta allegria. Il ponte era disseminato di piccoli vichinghi addormentati e grandi, prodi vichinghi inebriati dallo scontro ancora fresco tra i loro ricordi.
Dagur rantolò, masticando tra i denti un’imprecazione.
«Ah, bentornato tra noi!», disse con un sorriso il mercante, gli occhi grigi persi nei primi accenni di verde dell’isola. «Ormai non manca molto!»
Il giovane si alzò, volgendogli un’occhiata cisposa senza degnarlo di una vera e propria risposta. Scrollò le spalle, spostandosi meccanicamente lungo un fianco della nave a fissare l’orizzonte. Erano passate ore da quando erano salpati da quel buco sabbioso dimenticato persino dagli dei e, finalmente, il viaggio era terminato. Tra l’indolenzimento delle membra, riuscì a sentire anche un po’ di felicità.
«Casa dolce casa!», esclamò Skaracchio da qualche parte alle sue spalle, inalando a pieni polmoni una grande boccata d’aria.
«Era ora!», grugnì Stizza Bifolko, dando inavvertitamente voce anche ai pensieri di Dagur al suo fianco.
Lo sbarco fu rapido e silenzioso, salutato solo da pescatori perplessi, che stavano preparando le loro imbarcazioni per una lunga giornata in mare. Dopo essersi congedati del resto della truppa Hiccup, Dagur, Testa Bruta e Skaracchio si diressero verso il centro del villaggio tra sbadigli e stiracchiamenti; una volta fatto rapporto ai capi villaggio, l’intera storia sarebbe arrivata finalmente alla sua conclusione.
«State per raccontare una delle storie più assurde mai sentite a Berk.», rise Skaracchio, lanciando un’occhiata significativa al trio malmesso alle sue spalle.
«E allora?», domandò Dagur, con una nota d’insofferenza nella voce.
L’armaiolo tacque, grattandosi il mento.«Allora non aspettatevi che tutti pendano dalle vostre labbra, quando la racconterete.»
La porta dell’abitazione Haddock parve quasi un miraggio intessuto da un sogno, nelle loro menti impigrite dalla stanchezza. Non appena la varcarono, furono accolti dagli occhi sgranati dei due capi villaggio, seduti vicino al braciere con i volti tirati e stanchi quanto i loro.
«Che Thor mi fulmini adesso!», mormorò Stoick l’Immenso, alzandosi di scatto. «Ho le traveggole!»
«Allora siamo in due.», concordò Oswald Il Simpatico, alzandosi a sua volta ma con meno impeto.
«Questa l’ho già sentita.», borbottò divertito Hiccup tra i denti.
«Guardate un po’ chi non ha fatto da spuntino a un Incubo Orrendo?», esordì di buon umore Skaracchio, salutandoli. «A quanto pare non avevi tutti i torti sulla destrezza di tuo figlio, Oswald!»
Dagur storse le labbra a quel commento, marciando impettito nella stanza. Incrociò lo sguardo sconvolto del padre, rispondendo con un secco cenno del capo.
«Credo che avremo molto di cui discutere.», disse Stoick con un’eloquente alzata di sopracciglia. «Allora, chi vuole cominciare?»
Il racconto fu un capolavoro di coralità teatrale, che si dipanò tra ampi gesti e imitazioni scenografiche, illustrando tutte le peripezie iniziate dal semplice capriccio di un drago. Skaracchio, Testa Bruta, Dagur e persino Hiccup, si alternarono tra particolari e spezzoni di frasi, travolgendosi gli uni con gli altri in un fiume variopinto di parole. Quando ebbero terminato, ci fu un trionfo di esclamazioni colorite e pacche sulle spalle.
«Figlio…» Oswald il Simpatico raggiunse Dagur e gli poggiò una mano tozza sulla spalla, recuperando un po’ di colore sul volto grigiastro. «Hai fatto qualcosa di straordinario.»
Il giovane sostenne il suo sguardo con rigido contegno, sebbene le nocche gli fossero completamente diventate esangui dopo quel breve contatto.
«Non. Toccarmi.», fu, infatti, il sibilo velenoso che gli strisciò tra i denti. «Lo sai che mi fa innervosire.»
«Certo.», sospirò con amarezza il capo tribù dei Grandi Guerrieri, lasciando cadere la mano lungo il fianco. «Lo so.»
Dagur fu tentato di scoppiargli a ridere in faccia. Era ridicolo. Non riusciva a sopportarlo, proprio non ce la faceva. “Il figlio di Oswald il Simpatico”, una volta era così che veniva chiamato tra i Grandi Guerrieri. Il figlio del capo, sangue del suo sangue. Gli faceva ribrezzo anche solo essere associato a quelle parole, eppure, nella sua vita, avevano giocato un ruolo fondamentale. Temuto e viziato, Dagur aveva passato l’infanzia a ingurgitare fiele negli strascichi della soffocante ombra del padre, ne aveva assorbito il fascino, ne bramava il possesso e, al contempo, ne aveva subito la vergogna e lo sprezzo di popolo fiero, che non aveva mai voluto seppellire il proprio orgoglio guerriero. Un’intera identità, la sua, divenuta deforme, morbosa, satura di rancore e che mandava il riflesso, negli occhi di un bambino, di un mostro incatenato.
«La tua fiducia in tuo figlio è stata ripagata, Oswald.», commentò Stoick, inconsapevole dello scambio di battute tra i suoi ospiti. Arruffò goffamente il capo di Hiccup, immobile al suo fianco. «Così come la mia. Per una volta.»
«Aw, dovevi proprio aggiungerlo, papà?», lo rimbrottò scherzosamente il figlio, arrossendo fino alla punta delle orecchie.
La narici di Dagur si arricciarono progressivamente davanti a quel nauseante quadretto familiare. Si trovava di fronte ad uno specchio di due realtà simili, tuttavia distanti tra loro. Due eredi di un potere immenso, due facce della stessa moneta. Avrebbe dovuto sentirsi vicino a Hiccup, legato a lui da quel cammino comune e, forse, un po’ lo era davvero, perché qualche ora prima non aveva permesso che morisse sotto i colpi dell’Incubo Orrendo.
Era buffo, grottesco forse ma, certe volte, quando guardava gli occhi di suo padre, non vedeva altro che gli occhi di un estraneo; erano del suo stesso, identico colore ma traboccanti d’emozioni completamente avulse dai suoi. La lucida follia, d’altro canto, che aveva spinto Hiccup a mettere in gioco se stesso per tentare l’impossibile, quella, oh sì, l’aveva riconosciuta e ci si era riconosciuto. Forse il figlio di Stoick non sapeva ancora chi fosse ma, un istinto viscerale, stava già intessendo nella mente di Dagur un’idea.
«Ci vuole ancora molto? Ho fame.», brontolò Testa Bruta, appoggiata con la guancia contro uno dei muri in legno di casa Haddock in cerca, a quanto pareva, di una posizione che le permettesse di dormire e restare in piedi allo stesso tempo. «E sete. E sonno. Oh, e fame.»
Dagur poggiò la mano sul suo viso scarno, ancora caldo per la febbre, mantenendoglielo premuto contro la parete. «Per le ombre di Hel, taci.»
La giovane scalciò debolmente nella sua direzione, borbottò qualcosa che sapeva d’insulto disarticolato e, nel tempo di uno sbadiglio, cominciò a russare piano, sostenuta solo dalla sua presa.
Oswald assistette a quel breve battibecco con una scintilla divertita nello sguardo; sembrava piacevolmente stupito da quell’interazione. «Dovresti mostrare più rispetto a chi ti ha salvato la vita, Dagur.», asserì con tono austero, invitando implicitamente il figlio a liberare la ragazza.
«Chi, questa qui?», il berserker schioccò oltraggiato la lingua, indicando la gemella con il braccio libero e gli occhi fiammeggianti. «Sono stato io a trascinarmela dietro per mezza isola! L’ho salvata io dal drago! Se non fosse stato per me…!»
Si fermò di colpo, chiudendo piano la bocca. Non era certo di aver mai visto una cosa del genere; il volto barbuto, segnato dal tempo di suo padre si era illuminato di una pace soffusa che parve irradiare gioia e orgoglio in tutta la stanza. Oswald non disse nulla e gli sorrise come mai aveva fatto nella sua vita, lasciandolo annichilito e confuso. La sua mano sul viso di Testa Bruta tremò e la lasciò andare.
«Mh? Ancora cinque minuti…», biascicò la ragazza, rannicchiarsi sul pavimento come un gatto.
«Thorston. Il giorno in cui riuscirò a capirli decapitatemi, perché sarò diventato un pazzo furioso.», affermò solennemente Skaracchio, scuotendo il capo.
«Qualcuno è decisamente stanco.», ridacchiò Stoick, avvicinandosi ai due. «Chi l’avrebbe mai detto…»
La frase rimase in sospeso fra loro e, Dagur ne era certo, avrebbe avuto tanti finali quante erano le teste presenti in quella stanza.
«Bene, dopo questa lunga chiacchierata, direi che meritate di mangiare a sazietà e riposarvi come il resto dei vostri compagni.», disse il capo villaggio dei Bifolki, poggiando i pugni sui fianchi massicci. «Non appena vi sarete svegliati, vi consiglio di farvi un bagno e raggiungere Gothi… ci penserà lei a rimettervi in sesto.»
Dagur si limitò ad annuire con la testa che gli ronzava sommessamente e lasciò l’abitazione senza degnarsi di aggiungere altro.
«Non credo che farà molta strada in quelle condizioni.», sentì costatare Skaracchio alle sue spalle.
«Non preoccuparti, ha solo bisogno di stare un po’ per conto proprio.», lo rassicurò Oswald. «Tornerà.»
Dagur si avviò per le strade polverose del villaggio, senza stabilire una vera e propria meta. Di streghe e magie ne aveva avuto fin sopra i capelli, quindi quella vecchia banshee poteva anche andare in malora, per quanto gli importava; non avrebbe allungato un solo dito su di lui.
Un brivido gli risalì lungo la schiena livida e sudata. Come ogni Grande Guerriero, non aveva mai rigettato l’idea della sofferenza fisica; accoglieva il dolore, lo abbracciava e lo soffocava lentamente. Sapeva che non era sufficiente ad abbatterlo, che non avrebbe potuto fare altro che passare; era solo una questione di resistenza. Così non batté ciglio quando una miriade di microscopici aghi gelidi gli trapassarono la pelle, anzi, gli angoli delle labbra gli vibrarono verso l’alto. Un formicolio irritante prese a circolargli nelle membra, aumentando d’intensità ad ogni passo. Era come se il suo corpo fosse appena tornato in vita dopo un annegamento: i polmoni sembravano esplodere a ogni respiro, le ferite pulsavano, le ustioni bruciavano come l’alito dell’Incubo Orrendo che gliele aveva procurate e ogni muscolo era contratto e gonfio di acido lattico. Era stanco, disidratato ma con la mente troppo sovrastimolata per poter anche solo prendere in considerazione l’idea del riposo. I suoi pensieri erano un vespaio impazzito, non riusciva a ragionare, a elaborare. Voleva solo fare a pezzi qualcosa. Qualsiasi cosa. O qualcuno.
«Oh.»
Un paio d’occhi grigi sporgenti fluttuarono nel suo campo visivo nella quiete del mattino. Non aveva mai avuto una buona memoria per i nomi.
«Tu devi essere Gobber, giusto?»
L’anziana donna continuò a osservarlo muta e con allarmante pazienza. A un tratto sollevò un braccio, facendolo sussultare. Non accadde nulla. Dagur azzardò una sbirciata attraverso le palpebre che aveva appena serrato: l’indice nodoso di Gothi era puntato insistentemente nella direzione del mare.
«Vuoi che me ne vada da dove sono venuto?», eruppe il Grande Guerriero, incredulo. «Be’, grazie tante, vecchia! Non c’è bisogno che me lo dica tu! Odio questo dannato posto e chi…»
Un secco colpo di bastone sullo scalpo gli fece sputare al vento il resto della frase. La donna sbuffò tenendogli il capo piegato verso il basso, disegnando nella terra la forma stilizzata di una capanna.
Dagur le rivolse un’occhiataccia. «Non dirmi che vuoi che venga alla tua lurida catapecchia! Oh, mi dispiace deluderti ma sappi che ne ho avuto abbastanza di streghe e magie! La tua apprendista mi ha già dato mal di testa per settimane!»
Ci fu un istante di genuina confusione sul volto di Gothi, che svanì come un’ombra tra le sue rughe. Puntò nuovamente il dito verso il mare, battendo più volte il bastone a terra per rafforzare il concetto.
«Puoi continuare a sollevare polvere quanto ti pare, non puoi costringermi!», abbaiò il berserker incrociando le braccia sul petto, con le guance congestionate dall’ira.
Nessuno seppe di preciso cosa accadde dopo. La leggenda, narra che quelle furono le ultime parole che Dagur rivolse a Gothi. Alcuni dicono che la donna l’abbia fissato negli occhi e che, un attimo dopo, il Grande Guerriero si fosse ritrovato in mutande alla sua capanna. Altri, nascondendo i boccali, giurano sulla testa dei loro figli che un golem sia fuoriuscito dalle viscere stesse della terra e l’abbia trascinato via. Pochi, infine, credono che la somma Gothi l’abbia steso a colpi di bastone e convinto a seguirla. Nessuno, in realtà, seppe mai la verità. L’unica cosa certa fu che a Berk, l’aneddoto del “Berserker Domato”, continuò a riecheggiare nei secoli.

Il cielo splendeva nel buio sopra le loro teste, coronato da una luna piena a metà. Non c’era una sola nube a oscurare quella notte, solo stelle, sparse in una miriade di cristalli che rilucevano quieti, a indicare il cammino a chi si era perso per strada, o tra i propri pensieri.
L’aria nel villaggio era frizzante, carica di un vociare allegro e frettoloso. C’erano Bifolki e Grandi Guerrieri ovunque, in pieno fermento per i preparativi della festa. Tra chiacchiere e battute, stavano pian piano trasformando la Grande Sala nel cuore del convito, sistemando con cura sedie, barili e varie vivande sui tavoli. Dopotutto, come aveva detto Johann: “Ogni grande avventura termina con un grande banchetto”.
Testa Bruta se ne stava seduta a gambe incrociate davanti all’ingresso di casa sua, gli occhi persi nel viavai della folla. Sebbene fosse passato un solo giorno dal loro ritorno e lei fosse più simile ad una mummia che ad una vichinga, a causa di tutte le fasciature e gli impiastri che aveva sparsi per il corpo, proprio non riusciva a concepire l’idea di dover rimanere ferma ad aspettare che ogni ferita guarisse. Aveva sempre amato il subbuglio che precedeva una festa e fremeva dalla voglia di prendevi parte assieme al fratello; peccato che al momento fosse intrappolata nelle spire di una Astrid Hofferson intenta ad intrecciarle i capelli con solerte minuzia. C’erano varie ragioni che potevano averla spinta a quell’improvviso capriccio: un improbabile guizzo di creatività, il bisogno di concertarsi o, al contrario, la necessità di evadere, di distaccarsi da un ragionamento dal quale non riusciva a venire a capo. Del resto esercitarsi ad acconciare i capelli era una delle poche cose che facevano insieme da quando erano bambine e Testa Bruta aveva imparato a riconoscere che, ad ogni suo modo di intrecciare, corrispondeva un particolare stato d’animo.
«Testa Bruta?»
La giovane puntellò i gomiti sulle cosce, ingobbendosi. Tutta quella trazione sul suo scalpo le fece intuire che la terza, era senza ombra di dubbio l’ipotesi corretta. Si mordicchiò il labbro inferiore, lanciando occhiate furtive nei dintorni; non le dispiaceva farsi acconciare i capelli, Astrid se la cavava – non bene quanto lei, ovviamente – ma aveva altri piani per la serata e la sua intrusione le stava costando molto tempo prezioso.
«Ehi, mi stai ascoltando?»
«Mh?»
«… Quindi ti sei sul serio gettata in un buco nel terreno senza avere la minima idea di quanto fosse profondo o di dove conducesse?»
«Sì.», le confermò Testa Bruta, facendo pigramente spallucce. «Ѐ così che ho trovato le gallerie di cui vi ho parlato prima… e non grazie a una mappa del tesoro.»
Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che le sopracciglia di Astrid si erano sollevate a quella sua ammissione.
«Che c’è? Pensavo che sarebbe stato più interessante raccontato così!»
«Hai mentito ai capi villaggio!»
«E allora? Lo faccio di continuo!»
Il sogghigno di Testa Bruta si trasmutò in una smorfia preoccupata, quando le mani dell’amica smisero di muoversi. Azzardò un’occhiata oltre la propria spalla, scorgendo le labbra di Astrid comprimersi in una sottile linea di disapprovazione, così tipica di lei. O, per lo meno, così tipica di tutte le loro conversazioni.
«… Comunque sia,», riprese con cautela la gemella, voltandosi, «sarò precipitata per metri e metri e, quando sono finalmente atterrata, credo d’aver appoggiato male i piedi, o qualcosa del genere.»
«Deve averti fatto molto male.», annuì la giovane Hofferson, riprendendo ad intrecciare.
«Puoi scommetterci, per un attimo non ho visto altro che bianco! Ma…»
«Niente cicatrici?»
«Niente cicatrici.»
«E poi come hai fatto a strisciare in quelle gallerie sotterranee con la caviglia in quello stato?»
«Uh, la butto lì: strisciando?»
Astrid sospirò.
«Cos’altro avrei dovuto fare? Quell’Incubo Orrendo è come se fosse sbucato dal sottosuolo! Non l’ho visto arrivare!»
«Ah-ha. Fammi indovinare: stavi dormendo invece di badare al fuoco come ti aveva detto Dagur?»
«Può darsi, ma non è questo il punto! Mi sono ritrovata improvvisamente davanti un drago gigantesco! Ho provato a recuperare la lancia che quel cretino mi aveva lasciato ma l’Incubo Orrendo l’ha schiacciata sotto le sue zampe enormi e l’ha polverizzata! Non sapevo che fare, così sono scappata verso gli alberi ma le fiamme mi hanno travolta e si solo appiccicate, letteralmente, ai miei abiti!» Testa Bruta si afflosciò su se stessa, sconsolata. «Ho dovuto gettare il mio gilet preferito per colpa di quello stupido drago. Non mi sembra neanche di essere me, senza. Capisci?»
«Uh, no.», fu l’allegra risposta di Astrid. «E credo sia meglio così.»
Un quieto silenzio calò fra le due, intervallato solo dal fruscio delle ciocche di capelli che venivano meticolosamente sezionate.
«Mh, è da un po’ che non vedo Testa di Tufo. Perché ho paura di chiederti dov’è finito?», sbuffò Astrid dopo qualche minuto, nascondendo una risata tra le parole.
«Ѐ una domanda a trabocchetto?»
Testa Bruta sentì le dita affusolate della giovane passarle tra i capelli, incastrandosi. Soffocò un gemito tra i denti, cominciando ad agitarsi sul posto.
«Oh, andiamo, smettila di sbuffare! Ho quasi finito!», la rabbonì la metodica Hofferson, sbrogliando i nodi tra le ciocche. «E, fidati, mi ringrazierai.»
«Non sbufferei, se tu non strattonassi così tanto! … Mi sembra di avere un Terribile Terrore tra i capelli.», borbottò in tutta risposta la gemella, incrociando le braccia sul petto.
«Oh? Cos’hai detto?» Astrid le tirò giocosamente una treccia, facendole sfuggire un’imprecazione.
Roteando gli occhi invocando pazienza, Testa Bruta si arrese, cercando di muoversi il meno possibile per permetterle di terminare la propria notevole opera.
«Ecco fatto!»
La prode Thorston ringraziò tutte le divinità a lei note per averle concesso la libertà. Si alzò in piedi, studiando la lunga treccia bionda; i capelli erano avvolti e annodati tra loro con eleganza ed equilibrio, lasciando intravedere tre piccole trecce che si univano a quella centrale, correndo tra le sue pieghe.
«Oh, è perfetta!», commentò Astrid, portandosi le mani al viso carica d’eccitazione.
«Ehi, ragazze!»
Sballottati tra Bifolki e Grandi Guerrieri, Gambe di Pesce e Hiccup parvero emergere come naufraghi in quella fiumana multicolore, avanzando verso di loro rossi in viso e tutti arruffati. Le salutarono con un cenno della mano e, quasi in sincrono, piegarono leggermente il capo di lato, osservando incuriositi la gemella.
Testa Bruta alzò gli occhi al cielo, liquidandoli con uno sgarbatissimo: «Allora?»
«Oh, perdonami! È solo che… be’, ti dona molto.», balbettò Gambe di Pesce, tormentandosi le mani paffute. «Comunque sia, siamo qui perché tra un po’ si darà inizio al banchetto e il capo ci vuole tutti riuniti nella Grande Sala!», prese poi a spiegare, quasi saltellando da una gamba all’altra, «Ci credete? Racconterà al villaggio la nostra impresa!»
«Già, lo yak non ha lo stesso sapore senza un pizzico di gloria vichinga.», disse Hiccup, imitando comicamente una posa virile.
Testa Bruta annuì brevemente e, per un folle attimo, le parve di vedere Astrid sorridere alle parole del novello eroe. La mascella quasi le cascò a terra quando la giovane Hofferson, intercettato il suo sguardo incredulo, raddrizzò la postura e si schiarì sonoramente la voce.
«Siete con noi?», chiese Gambe di Pesce, accigliandosi.
«Certo!», trillò immediatamente Astrid, scostandosi la lunga frangia dagli occhi. «Andiamo!»
«Io vi raggiungo più tardi…», disse Testa Bruta, rispondendo ai loro sguardi interrogativi con un mezzo ghigno. «Ho un appuntamento al quale non posso mancare.»
Si congedò con espressione sibillina, dirigendosi verso la Forgia.
Possibile che la signorina perfettina…?
Scosse il capo, scacciando quei pensieri. Aveva questioni ben più interessanti a cui attendere: lei e Testa di Tufo avevano progettato il furto del secolo!
Lo spiazzale antistante la fucina di Skaracchio era quasi deserto. Si guardò attorno, perplessa. Dove accidenti si era cacciato suo fratello? Avrebbero dovuto incontrarsi lì qualche minuto fa e poi lei avrebbe dovuto fare da palo mentre lui avrebbe frugato ovunque. Possibile che quel babbeo avesse deciso di fare tutto da solo?
Un gran fracasso proveniente da qualche parte all’interno della forgia, seguito da un ruggito irato, fu la risposta alla sua domanda.
Testa di Tufo saltò fuori da una finestra stringendo qualcosa sotto il braccio e si fiondò a rotta di collo verso di lei. «Ѐ dietro di me!», gridò, travolgendola e poggiandole qualcosa tra le mani. «Proteggilo come se ne dipendesse la tua vita… be’, e in un certo senso è così, perché io me la squaglio! Ciao, sei stata una brava sorella!»
Testa Bruta guardò a bocca aperta la figura del fratello traditore ormai ridotta a un fuscello oscillante in lontananza.
Quella dannata testa vuota...!
Abbassò lo sguardo sull’uncino di Skaracchio che stringeva in grembo; sobbalzò, quasi fosse incandescente e, sibilando tutte le più apotropaiche parolacce che le vennero in mente, nascose il corpo del reato tra i cespugli lì accanto.
«Tu!» Skaracchio comparve sulla soglia della fucina come un indemoniato, facendola impallidire dalla paura. «Dov’è?»
«“Dov’è” cosa?», gli fece eco lei, poggiandosi con ostentata noncuranza contro la parete esterna dell’abitazione alle sue spalle.
«Il mio maledetto uncino, ecco cosa!»
«Oh. Con me caschi male, sono fuori dai giochi. Ti pare che con questa gamba…?», sbottò la gemella, indicando la caviglia gonfia.
«Se non siete stati voi, allora chi…» Skaracchio si guardò attorno con le narici frementi come un cane da caccia.
«Nessuna idea. Be’, se hai finito, io andrei…»
Testa Bruta fece per allontanarsi, quando l’armaiolo si voltò nuovamente verso di lei.
«Se scopro che tu e quella peste di tuo fratello c’entrate qualcosa, vi spello vivi con questa mano!», l’ammonì, scrutandola con sospetto.
«Quale mano?»
Skaracchio guardò il moncherino, abbassandolo frustrato. «L’altra mano! Chiaro?»
«Chiarissimo!»
Testa Bruta rimase immobile con il cuore a mille, in attesa che l’uomo si allontanasse. Hah! Ce l’avevano fatta! Erano riusciti a sgraffignare il trofeo del secolo: il leggendario uncino di Skaracchio! C’era da vantarsene per settimane!
Soddisfatta e con le gambe ancora molli per la paura, si chinò a sistemare meglio l’uncino tra i cespugli, in modo che non fosse visibile. Dopo la festa o il giorno successivo, avrebbero potuto tranquillamente recuperarlo.
Stava per tirarsi su quando qualcosa di freddo le colpì il capo, bloccandole la visuale. «Ѐ stato Testa di Tufo!», gridò, sollevando le mani in aria in segno di resa.
Una grassa risata isterica la fece sussultare; si volse con gli occhi in fuori per lo spavento, ritrovandosi faccia a faccia con Dagur. Fermo davanti a lei con le mani sui fianchi, il Grande Guerriero continuava a sghignazzare senza ritegno, in tutta la sua rifulgente boria auto celebrativa.
«Ma ti ha dato di volta il cervello?!», fiatò Testa Bruta, arrossendo furiosamente più per l’imbarazzo della sua pavida reazione, che per essere stata colta sul fatto.
«Oh! Oh! Oh! Dovresti vedere la tua faccia!»
La Bifolka gli sferrò un pugno sul petto, recuperando un cipiglio compiaciuto quando lo vide piegarsi in due per il colpo – con un gemito, tra l’altro. Curioso, non l’aveva mai visto incassare così male. Forse aveva esagerato un pochino. Forse. Testa Bruta strizzò gli occhi nel buio della sera, esaminando la figura curva del berserker: oh, per la barba di Thor, se era ridotto male! Aveva lividi ovunque e, quelle che avrebbero dovuto essere le bende bianche delle medicazioni di Gothi, ora erano nulla più che stracci sporchi di terra e chissà cos’altro.
«Si può sapere dove sei stato? Sei... be’, sei più brutto del solito.», constatò con pragmatica schiettezza, inarcando un sopracciglio.
«E perché dovrei dirlo proprio a te? Piuttosto...» Dagur si erse di su lei con espressione altezzosa; emanava di nuovo quello strano odore che gli aveva sentito indosso sull’isola. «È così che mi ringrazi per averti recuperato l’elmo?»
«Cosa?» Testa Bruta si toccò la testa, ritrovando il familiare copricapo metallico a ricoprirgliela. «Dove l’hai trovato?»
«Nel punto esatto in cui te l’avevo fatto cadere due giorni fa con questo.», disse il Grande Guerriero, sollevando un pugno serrato vicino al suo naso.
La ragazza gli abbassò la mano e si tolse l’elmo, rimirando il suo riflesso sulla superficie lucida. «Non posso crederci, ormai ero convinta che avrei dovuto farmene fare un altro! … Migliore di quello di mio fratello, ovviamente.», mormorò, passandoci sopra la punta delle dita. «Pensi che mi porterà fortuna come il tuo?»
«Il mio… cosa?»
«Facci caso: avrei potuto morire in un migliaio di modi tremendi un paio di giorni fa e invece... sono ancora qui!»
A quell’affermazione, un’espressione di puro oltraggio si impadronì dei lineamenti di Dagur, che arricciò le narici, scuotendo il capo. Era facile notare i suoi cambiamenti d’umore: il suo volto era come il cielo estivo prima di un temporale, bastava un palpito e gli occhi si annuvolavano, avvertendo il mondo esterno che presto sarebbero piovute saette sulla testa di qualcuno.
«Forse per quelle come te sarà difficile da capire, viste le bislacche credenze a cui vi aggrappate…»
«Le mie… cosa?»
«La fortuna non esiste. Esisto io. Esiste la mia volontà. Ѐ grazie a me se non sei morta.», ringhiò lui, «Io ti ho salvata! Io ho trascinato il tuo penoso sedere a riva e l’ho fatto ancora quando non riuscivi nemmeno a reggerti in piedi! Tu sei sopravvissuta soltanto per un mio capriccio e di nessun’altro!»
Dagur si era avvicinato talmente tanto che Testa Bruta fu costretta a sollevare il mento per poterlo guardare ancora negli occhi. C’era qualcosa… un sentimento torbido, nascosto dietro le sue pupille dilatate e nere.
Si rimise l’elmo.
«Tu dovresti essere grata a me! Me! Dovresti inginocchiarti e baciare la terra su cui cammino…!»
Eccolo che ricomincia.
La giovane continuò a sostenere il suo sguardo in quel crescendo virulento di sdegno, senza ascoltare la minima parola. L’intera scena le era ormai così familiare che poteva quasi prevederne le battute; era chiaro che Dagur avesse una certa passione per le pretese insensate, gli scatti d’ira e che, al contempo, fosse completamente sordo ad ogni protesta o replica.
Testa Bruta spostò il peso da una gamba all’altra. Cominciava ad avere un certo languirono e il Grande Guerriero sembrava averne per ore e ore. Se non fosse stato per quella stupida caviglia, avrebbe potuto svignarsela senza che nemmeno se ne accorgesse.
«… per non parlare di quello stolto di mio padre! “Non devi essere così aggressivo, Dagur”! “Il trattato è importante, Dagur”! “Complimenti! Ora sei un’idiota come me, Dagur! …»
Un callido sorriso cominciò a delinearsi lentamente sulle labbra della gemella, quando un’idea geniale si fece largo, sgomitando, tra i suoi pensieri; forse sapeva finalmente cosa fare. Non ne era completamente certa, ma tanto valeva tentare. Aveva fame, dopotutto.
Con nonchalance, batté le ciglia chiare e fece un piccolo passo verso il berserker, fin troppo preso dal proprio discorso per notare il suo spostamento sospetto. Perfetto. La giovane si issò allora, malamente, sulle punte dei piedi e, trattenendo una risata, gli baciò la guancia, godendosi l’inevitabile deragliare delle sue parole, che finirono per schiantarsi l’una sull’altra fino ad ammonticchiarsi tutte sulla punta della sua lingua.
Paonazzo e colto alla sprovvista dal suo gesto, Dagur scoprì i denti, puntandole un dito contro il petto. «Cos’era quello?»
«Il mio ringraziamento.», ribatté lei con aria d’ovvietà. «Ti è piaciuto?»
«No, era… che schifo!»
«Ne vuoi un altro?», proseguì Testa Bruta, avvicinandosi con movenze maliziose.
«No!», sputò il Grande Guerriero, indietreggiando, «Stammi lontana!»
Questa volta toccò a lei ridere di quella sua reazione impacciata, e lo fece quasi fino alle lacrime.
«Ora dovresti vedere la tua, di faccia!», ululò, stringendosi la pancia tra le braccia. «Basta davvero poco per zittirti!»
Dagur inalò piano la fresca aria notturna, serrando le mani sui fianchi. Sotto il chiarore della luna, appariva pallido, quasi malsano, assorto in chissà quali pensieri.
Che gli prende, adesso?
I suoi occhi verdi, erratici, si mossero dai fili d’erba che circondavano la Forgia, al viso di Testa Bruta e ai suoi capelli chiari, soffermandosi poi per un lungo istante sull’elmo che le aveva ritrovato.
La giovane ammutolì di fronte a quel silenzio persistente e l’osservò a sua volta, stranita, afferrando e stringendo la lunga treccia che Astrid le aveva fatto tra le mani. Stranamente, quel gesto familiare per stemperare la tensione non le portò alcun conforto.
«Be’, perché te ne stai ancora lì imbambolata?», eruppe improvvisamente Dagur, tornando a gonfiare il petto con la solita prosopopea. «Stavi andando anche tu alla Grande Sala, no?»
«Non ero imbambolata, pensavo di aver intravisto un troll!», rispose con finta stizza la Bifolka, zoppicando verso di lui. «… Ma era solo la tua faccia.»
«Non tirare troppo la corda, carina.», le sibilò di rimando il berserker, maligno, prima di incamminarsi senza aspettarla.
«… Carina, eh?»
Inebriata e felice, Testa Bruta alzò lo sguardo verso il cuore del villaggio, sorridendo sotto la volta stellata.

Alto nel cielo, in un trionfo di fulgido splendore, ardeva il sole in quel di Berk, portando sull’isola l’inizio di un nuovo giorno.
Hiccup si stiracchiò sotto la coperta soffice e calda, lasciando che i muscoli, ancora un po’ indolenziti dal raffreddore, si sciogliessero dandogli una piacevole sensazione di pace. Assonnato, rotolò sulla schiena e rimase a fissare le travi del soffitto per qualche istante, godendosi il torpore delle prime ore del mattino.
Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire nelle orecchie quella variegata sinfonia di suoni che avevano vivacizzato i bagordi di poche ore prima; le acclamazioni, i canti e gli sghignazzi erano stati il coronamento di una notte a dir poco surreale. Perché, oh no, non riusciva ancora a capacitarsi che quell’immane banchetto fosse stato organizzato anche per celebrare lui, Hiccup. Il disastro ambulante di Berk, pluricondannato in via definitiva ai lavori alla Forgia per il resto della sua piccola, poco vichinga vita. Si chiese se fosse possibile d’ora in poi per lui vivere così; se, quella, sarebbe potuta diventare la sua quotidianità.
Sospirò stringendo la coperta tra le dita sottili. Non era uno sciocco. La mite condiscendenza con la quale l’aveva salutato il villaggio non gli era affatto sfuggita. Sapeva bene che per loro quella storia era assurda quanto lo era per lui, nonostante l’avesse vissuta sulla propria pelle. Forse era questo quello a cui si stava riferendo Skaracchio quando aveva detto loro di non alzare le aspettative sulla reazione del pubblico al loro racconto. Nessuno cambia opinione dall’oggi al domani. Quello era solo l’inizio di un lungo cammino.
Si sollevò e scese dal letto, percorrendo a piedi nudi la stanza per recuperare gli abiti sparsi disordinatamente nella stanza.
«Papà?»
Hiccup tese le orecchie e sbuffò, interrompendo per un istante la lotta che stava ingaggiando per uscire fuori dalla propria casacca: non arrivò alcun suono dal piano di sotto. Probabilmente suo padre stava attendendo a qualche faccenda da capo in giro per il villaggio.
Terminò di vestirsi e scese dalle scale a balzelloni, atterrando nell’ampio atrio. Aveva un languore che non vedeva l’ora di sedare con qualcosa di dolce; sperò di trovare ancora qualche mela nel cesto sul tavolo. Ancora pochi passi e...
Qualcuno bussò.
«Ovviamente.»
Rinunciando momentaneamente all’idea di fare colazione, si diresse verso la porta e l’aprì, ritrovandosi Astrid davanti l’uscio.
Chiuse la porta.
Astrid.
Astrid era venuta di propria spontanea volontà a bussare alla sua porta.
Astrid.
Astrid Hofferson.
Quella che la sera prima aveva tentato di smontarlo pezzo per pezzo perché le aveva per sbaglio rovesciato un bicchiere d’acqua addosso. Perché mai si era presentata al suo uscio? E poi perché era certo di averla appena vista stringere tra le mani qualcosa dall’aria inquietantemente simile ad un coltello?
Oh.
Be’, aveva senso. Era lì per terminare il lavoro.
Hiccup si gettò di schiena contro la porta, presto scossa dal possente pugno della fanciulla.
«Hiccup?», si sentì chiamare con impaziente perplessità dall’esterno, «Cosa stai combinando?»
D’accordo, sangue freddo, pensò, analizzando febbrilmente le opzioni che aveva: poteva provare a chiederle perdono in ginocchio e venire pestato oppure poteva aprire la porta e venire pestato. Gli scappò un gemito dalle labbra. O forse sarebbe stato meglio per la sua incolumità gettarsi fuori dalla finestra e correre verso le colline, rimanendoci fino alla maggiore età.
«Hiccup! Piantala, so che sei qui dietro!», gridò Astrid, spalancando con viril mano ferma la porta, travolgendo il buon figlio di Stoick nel processo. «Ma che…?»
Hiccup ruzzolò a terra, senza poter fare altro che fissare la Bifolka mentre marciava risoluta verso di lui.
«Cosa accidenti ti è preso?», sbuffò Astrid, scuotendo il capo biondo. «Sai cosa? Lasciamo perdere. Sono venuta a portarti questo.»
Lucente e terribile nel palmo della giovane, si stagliava il sapiente intaglio del profilo di un lupo. L’occhio immobile della belva era spalancato e sembrava quasi fissarlo dalla superficie chiara dell’impugnatura.
«Quello… è il coltello di Dagur. Oh, no, me n’ero completamente dimenticato!»
Hiccup si portò le mani nei capelli: aveva promesso al berserker che glielo avrebbe restituito non appena fosse riuscito a cavarlo fuori dalla rete! ... Peccato che quella parte del piano fosse lievemente mutata alla comparsa dell’Incubo Orrendo.
«Già, anche io.», confessò Astrid. «Avrei dovuto portartelo ieri al banchetto ma...»
In quella breve pausa imbarazzante che seguì quelle parole, Hiccup si rimise in piedi con le guance in fiamme.
«Da quel che mi è sembrato di capire, Dagur ci tiene molto a questo pugnale.», riprese la giovane, porgendoglielo. «Non credo sia saggio non restituirglielo.»
«Può darsi…», mormorò sotto voce Hiccup, rigirando con un brivido quel piccolo, agghiacciante capolavoro d’artigianato tra le dita. Non aveva alcuna voglia di parlare con il suo collerico proprietario, soprattutto se teneva conto del fatto che, l’ultima volta che gli si era avvicinato a causa di quel coltello da caccia, gli aveva quasi sbriciolato una mano.
«Preferisci che Dagur faccia ritorno a Berk uno di questi giorni per riprenderselo?», gli chiese Astrid con un ghigno divertito, poggiando le mani suoi fianchi.
«Assolutamente...!» Hiccup fece una pausa. «No.»
«Bene.»
Il giovane trasse un profondo respiro e assicurò il pugnale in una tasca interna del gilet. «A quest’ora sarà al porto con il resto dei Grandi Guerrieri. Meglio che mi sbrighi.»
Superò Astrid con lo sguardo basso, perso tra i propri pensieri e raggiunse la soglia, affacciandosi nella luce ospitale di Berk.
Un momento...
Arrestò il passo, esitante e cominciò a sentire il sudore invadergli i palmi delle mani. Se Astrid avesse voluto, avrebbe avuto a disposizione una miriade di espedienti e di motivazioni per cacciarlo nei guai con suo padre, con i berseker o con Dagur. Invece eccola lì, con quel suo prepotente senso di giustizia che soffocava ogni sentimento di rivalsa, anche quando era più che giustificato. Per quanto bizzarro e fortuito fosse, per una volta era stata dalla sua parte, senza alcuna esitazione. Sentì il cuore saltare un battito e, per un istante, ebbe paura di battere anche una sola volta le ciglia e scoprire che in realtà quello era un crudele scherzo della sua mente assonnata.
Si voltò a guardarla, facendo leva su tutta la sua fermezza per cercare quei profondi occhi azzurri con i suoi. «Mi dispiace.», disse, con un sorriso impacciato che andava ad allargarsi piano sul suo viso arrossato, quasi con cautela. «Per ieri, sai l’acqua e io, be’...»
«Hiccup...»
«Ti prego, aspetta.», caracollò frettolosamente, sollevando le mani. «Lasciami finire. Io... non ne combino mai una giusta. Invece tu sei perfetta, lo sei sempre stata. Mi hai aiutato, mi hai salvato da una pioggia di fiamme e... d’accordo, in realtà quello che ti sto dicendo suonava molto più sensato e suggestivo nella mia testa. Insomma, quello che vorrei dirti è: grazie. Per tutto.»
La meraviglia sui lineamenti di Astrid si sciolse in un grazioso rossore che andò a sfumarle le gote. Accolse con un solenne cenno del capo il suo ringraziamento, poggiandogli una mano sulla schiena che pareva bruciare con la stessa intensità di una fiamma. «Su, sbrigati!», sbottò, spingendolo senza alcun preavviso oltre l’uscio, lanciandolo verso il villaggio.
Hiccup incespicò con uno squittio di protesta ma, una volta recuperato l’equilibrio, non si fermò e lasciò che l’inerzia muovesse le sue gambe lontano da casa. Non si accorse che Astrid rimase a guardarlo trotterellare via con un mezzo sorriso.
Era incredibile come un solo gesto potesse metterti le ali ai piedi. Dagur, il pugnale, Berk intera furono spazzati via dai suoi pensieri, che mutarono sinuosamente fino a formare i familiari tratti di un viso. La vibrante euforia che gli invase le membra, mentre procedeva di corsa per le strade sterrate, gli fece venire una gran voglia di saltare e esultare. Magari a bassa voce, così da non distruggere in un colpo solo quel poco di dignità che si era appena guadagnato.
«Ehilà, Hiccup!»
«Ehilà!»
Finì quasi per inciampare nei suoi stessi piedi. Arrestò di colpo ogni movimento, sollevando un gran polverone e, temendo di aver perso una volta per tutte il senno, ripercorse i propri passi fino a ritrovarsi dinanzi una scena a dir poco pittoresca: i gemelli Thorston, con inedito savoir-faire, stavano penzolando a mezz’aria come degli insaccati, appesi a dei ganci fuori dalla Forgia.
«Non sono sicuro di volerlo sapere…», mormorò Hiccup, resistendo all’impulso di sfregarsi gli occhi. Quei due avevano l’ultraterrena abilità di fare apparire normali anche le situazioni più assurde.
«Abbiamo restituito l’uncino a Skaracchio.», disse Testa di Tufo, riuscendo in qualche modo a fare spallucce in quella scomoda posizione.
«Non fraintendere, è stato forte finché non l’abbiamo visto ieri al banchetto…», aggiunse Testa Bruta, piegando il capo di lato con le labbra strette in una linea di manifesto disappunto.
«Triste.», continuò Testa di Tufo.
«Malinconico.», rincarò Testa Bruta.
«Non era Skaracchio.»
«Proprio no.»
«Così stamattina glielo abbiamo riportato…»
«… E lui era felicissimo!»
«Avessi visto con che sorriso ci ha appesi qui!»
«E poi ci ha detto che doveva decidere cosa fare e se n’è andato.»
Hiccup ascoltò in silenzio quell’alternanza ritmata di frasi, stringendosi nelle spalle. «Vi rendete conto che probabilmente le state per prendere?»
Testa Bruta roteò gli occhi, facendogli il verso. «Certo! Ci credi stupidi?»
«A me sta bene, l’importante è che usi anche il fuoco!», concesse Testa di Tufo, annuendo tra se. «... O forse il martello?»
«Siete irrecuperabili.», sospirò Hiccup.
«Grazie!»
«Non era un… lasciamo stare.», tagliò corto il figlio di Stoick, «Sentite, io devo restituire il pugnale a Dagur, quindi ci vediamo più tardi al porto. Credo.»
«Oh, no! Oggi i Grandi Guerrieri se ne vanno! Voglio vedere le navi!»
«Ѐ colpa tua se ce le perdiamo!»
«Cosa? Ma se sei stata tu a…!»
Con la loro baruffa alle spalle, Hiccup riprese a camminare. Non poteva crederci: quanto tempo era passato? Tre giorni? Eppure, nonostante fosse passato così poco tempo, dovette ammettere a se stesso che gli era stranamente mancato vederli bisticciare.
Quando raggiunse il piccolo molo fu salutato dallo sciabordio tenue delle onde, nel quale svettavano le possenti imbarcazioni dei Grandi Guerrieri, adorne di scudi e fluenti strisce blu. C’era un gran viavai tra le navi e l’intera banchina era invasa da un glorioso accozzame di casse, bauli, otri e barili, alcuni dei quali – ne era certo – fossero di Johann. A quanto pareva il suo spirito mercantile gli aveva concesso di fare ottimi affari.
Le ampie figure di suo padre e Oswald si stagliavano nella folla, intente a dirigere le operazioni di imbarco. Hiccup si diresse verso di loro, badando a non inciampare o rovesciare nulla.
«Hiccup!» Una pesante braccio calò come una mannaia sul suo collo, circondandoglielo con forza. Quel grande figlio di un Grande Guerriero di Dagur aveva un’attitudine impressionante per gli agguati.
«Dagur! Che coincidenza!», riuscì a gorgogliare il minuto Bifolko, opponendo una fievole lotta contro la sua morsa ferrea. «Stavo proprio...»
«Scommetto tutto quello che ho su Dagur!»
Hiccup sentì la presa attorno al suo pomo d’Adamo allentarsi e ricadde sulle assi del molo come un bambolotto di pezza, oscurato dalla notevole stazza di Dagur. I due si voltarono, vedendo i gemelli Thorston dirigersi verso di loro con una camminata a dir poco eccentrica.
«Te l’avevo detto che avremmo fatto in tempo!», berciò Testa di Tufo alla sorella, sferrandole un paio di gomitate nelle costole.
«Ma se non la smettevi più di lagnarti!», fu la piccata risposta di quest’ultima, siglata da un sonoro pugno.
«Non le chiudete mai quelle bocche, voi due?», sbuffò Dagur, incrociando le braccia sul petto.
Testa di Tufo e Testa Bruta lo fissarono come se stessero valutando attentamente la sua domanda.
«No.»
«Proprio no.»
«Non sembrate malconci…», disse Hiccup mentre il Grande Guerriero alzava gli occhi al cielo.
«In realtà per giudicare dovresti dare un occhiata ai nostri sederi.», sussurrò Testa di Tufo, avvicinandosi a lui con aria cospiratoria. «Non sono un bello spettacolo!»
«Ah, no, grazie. Vi credo sulla parola.»
Dagur, fermo tra loro, digrignò rumorosamente i denti, prendendo a battere ripetutamente il piede a terra. «Per i ghiacci di Hel, sono stufo di aspettare!», abbaiò improvvisamente, facendoli trasalire. «Le partenze sono noiose quasi quanto voi Bifolki!»
«Possiamo sempre dare fuoco a Testa di Tufo per passare il tempo...», propose Testa Bruta.
«Ci sto!», esclamò il fratello, dandole il cinque. «Un momento...»
Il berserker seguì con lo sguardo il loro scambio di battute, nascondendo fra le ombre dell’elmo un’espressione inquieta. Si accostò a Testa Bruta, con le spalle larghe scosse da una risata soffocata. «Perché non diamo fuoco a te, invece?»
«Ci sto!», ripeté Testa di Tufo, aspettando un battimano da parte di Dagur che, ovviamente, non arrivò. Se lo diede da solo.
«Sì, potremmo...», controbatté con un’indifferente alzata di spalle la gemella. «Ma la tua testa di legno brucerebbe molto meglio della mia.»
Hiccup sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Quei due erano davvero come le teste di un Bizippo... chissà se i secchi d’acqua funzionavano anche con loro.
«Freia mi sia testimone: in tutta la mia vita», ringhiò Dagur, sembrando far forza su sé stesso per non infuriarsi. «non ho mai incontrato nessuno come te.»
«Puoi scommetterci che non ha mai incontrato nessuno come lei!», s’intromise ancora Testa di Tufo. «È l’unica a Berk che riesce a ruttare più forte di me e, modestia a parte, io sono un maestro, in quell’arte.»
Il Grande Guerriero lo stese con una testata, guadagnandosi immediatamente l’attenzione della sorella. Hiccup, sbalordito, si rimpiccolì dinnanzi a quell’atteggiamento ostile e pregò che suo padre e Oswald fossero sufficientemente distratti da non notare l’imminente spargimento di sangue.
Dagur allungò un braccio verso Testa Bruta e le prese la mano destra nella sua, osservando rapito la sottile cicatrice che le percorreva le nocche. «Tu sei pazza.», mormorò, stringendole le dita affusolate. «Mi piace.»
L’espressione che fece la ragazza a quella dichiarazione fu indescrivibile.
«Hiccup!» Stoick l’Immenso li raggiunse assieme a Skaracchio, attirando su di sé l’attenzione di tutti. «Ѐ ora figliolo, i Grandi Guerrieri sono pronti a partire!»
Con un sospiro di sollievo, Hiccup li accompagnò alle navi che oscillavano tranquillamente nell’acqua, mentre alcuni abitanti del villaggio aiutavano i berserker a caricare le ultime casse.
«Alla prossima, Hiccup.», disse Dagur, salutandolo con un brusco con un cenno del capo.
«A-Ah…» Il giovane tentennò, con lo stomaco contratto. «Aspetta!», esclamò infine, frugando convulsamente nelle tasche del gilet. Recuperò il pugnale e lo porse al suo legittimo proprietario, con la mascella dolorosamente irrigidita dalla tensione. Cosa temeva? Avevano affrontato un drago insieme, per Odino! Dagur, incredibilmente, aveva scelto di cooperare! … Doveva dargli credito almeno per quello.
«Oh.»
Hiccup si raddrizzò, azzardando un’occhiata diretta al Grande Guerriero; stava fissando il coltello da caccia con nient’altro che un indolente sopracciglio inarcato. Non l’aveva mai visto reagire con tanto distacco alla vista di un’arma, figurarsi una che sembrava essere suo orgoglio e vanto.
Dagur gli coprì le dita tremanti con la sua mano, chiudendogliele sull’impugnatura pallida del pugnale. «Ti concedo di tenerlo.», dichiarò, sollevando con sovrana alterigia il mento.
Hiccup guardò disorientato il pugnale e poi sollevò gli occhi al cielo. No, niente maiali volanti. «Ma…!»
Il berserker lo zittì con un cenno secco del braccio. «Ho visto come hai affrontato quel drago. Quella luce nel tuo sguardo… non mi sbaglio, oh, no. Qua dentro», disse, indicando il suo petto gracile, «c’è un lupo.»
Hiccup si mordicchiò l’interno delle guance; d’accordo, ora non aveva davvero più idea di cosa pensare o dire. Non era mai stato certo che Dagur fosse in grado di comprendere o interpretare le emozioni altrui. Certe volte gli dava tutta l’impressione di non comprendere appieno nemmeno le proprie. Tuttavia, non era neanche il tipo che mostrava interesse per qualcosa che non ritesse degna della propria attenzione; forse, quindi, aveva davvero visto del potenziale in lui.
«Ti… ringrazio?», balbettò infine in imbarazzo, tormentando l’impugnatura del coltello da caccia tra le dita.
«Oh! Oh! Oh!», rise allegramente Dagur, tirandogli una sonora pacca tra le scapole. «Io e te siamo destinati a grandi cose, lo sento!»
Con il vento in favore, le navi dei Grandi Guerrieri salparono. Hiccup aveva raggiunto il largo fianco del padre, lasciando scorrere lo sguardo silvano tra tutti quegli elmi e scudi. Le partenze avevano sempre un sapore dolceamaro; per alcuni erano sinonimo di euforia, di novità, d’avventura ma, per altri, erano anche un addio e, questo, riusciva sempre a tingere l’aura che le circondava di solenne rispetto. In quel momento, Hiccup seppe che si era chiuso un capitolo della sua vita e se n’era appena aperto un altro. Era un sentore impalpabile, completamente irrazionale ma poteva quasi sentire l’odore dell’inchiostro fresco sulla pergamena, che cominciava a narrare una nuova storia. La storia di Hiccup Horrendous Haddock III, apprendista fabbro di giorno, inventore di notte, scotennatore di draghi nel tempo libero.
«Ti mancherà molto, vero?», scherzò Skaracchio poggiandogli una mano sulla spalla, lo sguardo perso nelle vele in lontananza.
«Ogni giorno.»
I due si scambiarono un’occhiata complice e sorrisero, unendosi ai Bifolki Pelosi che tornavano alle proprie mansioni.
«Sai, credo di avere appena avuto un’idea per un nuovo prototipo...», cominciò Hiccup, fingendosi vago.
«Ah, sì? E di cosa si tratta?»
«Vedrai, Skaracchio... vedrai!»











.:~*~:.

[…] dovrei riuscire a terminare questa storia poco prima dell’uscita del film.” – Cit. Quell’idiota dell’autrice

Le ultime parole famose! X°D
Argh, porca p… papera, non ce l’ho proprio fatta. Quest’ultimo capitolo è stato davvero difficile da gestire e non avete idea di quante volte l’abbia riscritto! :X Se penso che l’intera storia è nata perché mi era venuta in mente la scena finale tra Dagur e Hiccup con il coltello...! *sigh* Nonostante fosse già bella che prestabilita, è stata quella che mi ha dato più gatte da pelare.
... Mamma mia, è strano dire “fine” dopo tutti questi mesi.
Dunque, quei pazzi dei protagonisti sono cresciuti un po’? Che dite? Se ho imparato qualcosa, andando all’università da fuori sede, è che in certi momenti della vita si comincia a cresce da soli, senza essere innaffiati o aiutati da qualcuno. Ci si incammina da soli per la propria strada e, ogni incontro o scontro che ci si para davanti, è un’opportunità per imparare qualcosa e crescere.
Tranquilli, lunge da me dire di avere capito qualcosa della vita alla mia età perché non è così… ma, questo pezzo della mia esperienza, ve lo voglio lasciare comunque qui.

- Passiamo alle note finali:
Psst, ehi... *si avvicina con aria circospetta* l’invenzione a cui allude Hiccup è quella che userà per catturare Sdentato. Un notevole miglioramento di quella che gli ho fatto usare io. Yeah! XD
Per chi se lo fosse chiesto, il papà di Dagur ha sorriso così perché è riuscito a fargli ammettere implicitamente di aver salvato e protetto di propria spontanea volontà una persona. È felice di vedere che c’è ancora del buono in quella pallina di scelleratezza che è suo figlio. Buon Oswald. Ha mandato un po’ in crisi il figliolo. X°DDD Oh e, ovviamente, la “lucida follia” che ha visto Dagur in Hiccup è, be’, un fraintendimento perché, sì, Hiccup corre dei rischi folli quando è necessario ma non contempla affatto l’intera gamma di violenza fisica e morale a cui arriva la pazzia di Dagur. Ma va’ a spiegarglielo…! XD
Ripeto, tutto quello che avete letto su Dagur e Oswald sono mie interpretazioni personali. Dati concreti sul loro rapporto (a parte le allusioni del figlio), purtroppo, non ne abbiamo. Che ne dite? Spero di essere riuscita a conservare una parvenza di sensatezza in tutto il discorso che ho fatto su di loro nel corso della storia.
E, prima che mi passi di mente: “Gobber” è il nome originale di Skaracchio… dato che Dagur sembra avere qualche problema a ricordarsi i nomi che non gli interessano, ho pensato fosse divertente che chiamasse così Gothi. Era solo un’idea, così… non uccidetemi. X°D E, a proposito, quando Dagur la definisce “vecchia banshee”, è una mia licenza poetica perché non ho idea se anche i vichinghi fossero a conoscenza di questi esseri fantastici. Non credo ma mi sembrava un termine calzante per il vocabolario di uno come Dagur, che ormai odierà tutte le sciamane di questo mondo! XDDDD
Mmh, che altro? Ah, già: in quest’ultimo capitolo c’è qualche piccola citazione dei capitoli precedenti perché, be’, ho recuperato tutti i fili che avevo sparso. Ad esempio “Che Thor mi fulmini adesso! Ho le traveggole!” / “Allora siamo in due.”, è un’esclamazione che ho fatto usare a Stoick e Oswald in questo capitolo e a Skaracchio e Stizza Bifolko nel capitolo precedente. “Basta davvero poco per zittirti”, invece, gliel’ho fatto dire a Testa Bruta anche nel terzo capitolo. E il “Tu sei pazza. Mi piace.” di Dagur è una mini citazione dal primo film. *-*
Per la scena del pre-festa, volevo solo aggiungere che c’è un headcanon che circola ormai in tutto il fandom: ad Astrid piace intrecciare i capelli e lo fa spesso e volentieri a chiunque le capiti a tiro. Mi sembrava un’idea carina per farle fare due chiacchiere con Testa Bruta (i loro contatti nel film e nelle serie sono pari a zero) e per farvi capire che, poverina, è un po’ in crisi anche lei perché non sa più che pensare di Hiccup. XD

Bene, è giunto il momento di calare il sipario! Mi sono divertita tantissimo e ho imparato un sacco di cose sulla cultura vichinga a non, durante le ricerche che ho fatto! (*´▽`*) Ho spremuto tutto il limone che mi ritrovo al posto del cerebro per scrivere questa storia a capitoli e spero con tutto il cuore di essere riuscita ad intrattenervi! ... Almeno un po’. Davvero.
Eeeeeee ringrazio infine wacciuweis per aver aggiunto la storia tre le preferite e kunoichi_chan009 e OnePotterhead per averla messa tra le seguite! Mi ha fatto estremamente piacere!! (≧∇≦) E, ovviamente, ringrazio chiunque abbia letto la conclusione della storia! Fatemi sapere cosa ne pensate, non vergognatevi! :)
E come dico sempre…

See ya,

Shadow Eyes

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