Deranged: i pazzi crescono senza innaffiarli di Shadow Eyes (/viewuser.php?uid=42277)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dagur ***
Capitolo 2: *** Caccia in deroga ***
Capitolo 3: *** Via col vento ***
Capitolo 4: *** Skadoosh! ***
Capitolo 5: *** Varúlfur ***
Capitolo 6: *** Creare un ponte ***
Capitolo 7: *** Squilibrati ***
Capitolo 8: *** I pazzi crescono senza innaffiarli ***
Capitolo 1 *** Dagur ***
Deranged:
i pazzi crescono
senza innaffiarli
Capitolo I: Dagur
“Dio deve amare la
gente pazza.”
“Perché?”
“Ce
n'è talmente tanta!”
- Rambo III
Alto nel cielo, in un trionfo di fulgido splendore, ardeva il sole in
quel di Berk, arroventando gli elmi dei suoi di per sé
già non molto brillanti abitanti.
Testa Bruta, Testa di Tufo e Moccicoso si sporsero oltre la banchina.
«Lo aiutiamo?»
I tre osservarono con scarso interesse Hiccup Horrendus Haddock III
annaspare nelle limpide acque marine del porticciolo, tossendo e
agitando le braccia magre nella loro direzione.
«Quanto tempo ho per decidere prima che anneghi?»,
domandò Testa di Tufo, ostentando un’inedita aria
concentrata.
«A giudicare dai gorgoglii, non molto.», si
premurò di rispondergli la sorella. «Come ci
sarà finito laggiù?»
«Be’, è
Hiccup, no?»
«Giusto.»
«Guardate come si dibatte!», rise Testa di Tufo,
indicando lo sfortunato figlio di Stoick l’Immenso,
«Se non fosse per il fatto che sta per affogare, penserei
quasi che voglia dirci qualcosa…»
«Pensare? …
A quest’ora?»
«Bah! Lasciamolo stare, è un perdente!»,
s’intromise Moccicoso, piuttosto seccato da
quell’inutile discussione. «I veri uomini sanno
cavarsela da soli!»
«Oh! Oh! Oh! Veri uomini, dici?»
Un urto violento alle loro spalle li proiettò in avanti,
spazzandoli via dal molo.
Tutto quello che Hiccup fece in tempo a vedere furono tre massicce
palle di cannone umanoidi schiantarsi attorno a lui, travolgendolo
nell’impatto. Roteò fuori controllo
nell’acqua, la gola e il naso incendiati dal contatto con il
sale, che ne graffiò le pareti. Digrignò
istintivamente i denti, sentendo i polmoni scoppiargli.
Che splendida mattinata. Non era mai stato un ragazzo devoto fino al
parossismo ma, in giornate come quella, non smetteva mai di ringraziare
Thor per aver accordato ai vichinghi delle vite generalmente brevi e
cruente. Soprattutto a quelli che non erano considerati alla stregua di
un singhiozzo
all’interno della comunità.
Batté ciglio, sentendo alcuni granelli di sabbia vorticargli
attorno e pizzicargli la pelle: con la sua vastità e quel
suo alone di mistero e leggenda, il mondo marino aveva da sempre
esercitato un immenso fascino sulla sua immaginazione. Se fosse
riuscito a uscirne tutto d’un pezzo, non gli sarebbe affatto
dispiaciuto escogitare un sistema per poterlo esplorare…
Be’, magari evitando di annotare e di far leggere ai posteri
di avere appena scorto le brache di Testa di Tufo galleggiare
mollemente attorno alle ginocchia del proprio padrone.
Scalciando l’acqua, Hiccup riuscì a emergere poco
prima di quelle due calamità itineranti, sputacchiando
ovunque assieme a loro.
«Whoa!», boccheggiò Testa di Tufo,
scrollando il capo in una maniera tipicamente canina. «Adesso
riesco a sentire il mare nelle orecchie! È… bellissimo.»
Testa Bruta, al suo fianco, si tolse l’elmo, facendo cadere
un pesciolino che vi era finito dentro.
«Amici!»
I tre sollevarono di scatto la testa verso la banchina.
«Oh. Sei tu.»,
sbottò Testa Bruta in un brontolio seccato.
«Cos’hai nella testa?!», ruggì
Testa di Tufo. «Non siamo mica Hiccup!»
Il suddetto vichingo roteò gli occhi sospirando: un giorno,
quando sarebbe diventato capo villaggio, avrebbe fatto presente a quei
due quanto fosse stato appagante essere chiamato in causa sempre per i
migliori esempi. Sul serio. E poi li avrebbe gettanti in pasto a un
Incubo Orrendo.
«Quanto tempo…!»
Una figura imponente si ergeva, baldanzosa, sopra di loro. Hiccup
impallidì, riconoscendo l’annuale causa dei suoi
peggiori mal di stomaco: forse non sarebbe stato poi così
male rimanere sott’acqua con i calzoni di Testa di Tufo.
Dagur della tribù dei Grandi Guerrieri, inenarrabile
incarnato terreno della precarietà dell’equilibrio
mentale e adorato figlio di genitori non troppo convinti della
veridicità di quest’affermazione, li
salutò giocherellando con una pietra. Aveva i lineamenti
tirati in un'espressione concentrata che mise tutti in allerta;
improvvisamente, le labbra gli si
storsero in quella che per lui doveva essere un’ottima
imitazione di un sorriso cordiale. Un gabbiano stramazzò sul
colpo, precipitando nella baia.
«Com’è l’acqua?»,
chiese, tremendamente divertito da quello che stava accadendo sotto i
suoi piedi.
«Fredda.», rispose Testa Bruta.
«E salata.», aggiunse Testa di Tufo, volenteroso.
«È salata, vero?»
«Perché non l’assaggi?»
Mentre Testa Bruta se la rideva sotto i baffi guardando il fratello
bersi una rinfrescante sorsata d’acqua marina, Moccioso
riemerse, inalando quanta più aria possibile.
«Per Thor l’onnipotente! Cos’è
successo?!»
«Dagur.
Ecco cos’è successo.»
«Fratello…», lo ignorò Testa
Bruta, con l’aria corrucciata tipica di chi sta compiendo un
notevole sforzo mentale, «ma noi sappiamo nuotare?»
«No.»
«Oh… be’, ha senso.»
«Perché?»
«Perché stiamo affondando.»
«Oh… forte! Un attimo. No, non è forte!
Non lo è per niente! Aiuto! Uomini in mare!»,
ululò Testa di Tufo, aggrappandosi con la foga di un
derelitto alla sorella. «Voglio morire mutilato da un drago,
non annegando come uno stoccafisso!»
«Cos’è uno stoccafisso?»
«Un… cosa?
Non usare parole strane per confondermi, sorella!»
«Siete proprio ridicoli!», sbuffò
Moccicoso, ridendo di gusto. «Certe volte mi chiedo fino a
quale livello di idioz...Whoa!
Cos’era quello? L’avete visto? Qualcosa mi ha
afferrato il piede!»
Con un urlo che fu in seguito annoverato fra i meno virili mai sentiti
a Berk dopo quelli di Gambe di Pesce, il prode vichingo
guizzò fuori dall’acqua, finendo per abbattersi su
Testa Bruta. La poveretta imprecò e, sotto il peso dei due
valorosi compagni, colò miseramente a picco in un trionfo di
bollicine.
Dagur, inebriato da quel glorioso caos, scoprì i denti in un
ghigno, osservando il figlio di Stoick l’Immenso affannarsi
per raggiungere i suoi compagni: «Ѐ
senza alcuna speranza.»
Lanciò in aria il sasso che stava stringendo tra le dita e
lo riafferrò al volo, saggiandone la consistenza. Un
baluginio perverso gli accese lo sguardo.
A qualche metro da lui Hiccup, fin troppo in preda al panico per badare
alle sue parole sprezzanti, stava cercando un modo per fermare
Moccicoso e Testa di Tufo prima che costringessero involontariamente
Testa Bruta ad ingollare tutta
l’acqua del porto. Tuttavia i due non parevano proprio voler
collaborare: da un lato Moccicoso sembrava essere
refrattario a qualsiasi suo tentativo di fargli notare che, a toccarlo,
erano
stati dei pesciolini inermi e dall'altro Testa di Tufo…
be’,
era Testa di Tufo.
Sarebbe stato sorprendentemente inquietante vederlo ascoltare qualcuno
con attenzione.
Roteando gli occhi in un raptus di disperazione, Hiccup
cercò di afferrare Testa Bruta prima che sparisse ancora
sotto la superficie. Non appena
riuscì a sfiorarle le dita, però, un lampo grigio
si schiantò contro il dorso della sua mano, facendogli
perdere la presa. Il rumoroso terzetto sprofondò ancora una
volta tra i flutti mentre la risata isterica di Dagur prese a
rimbombare in tutto il porto.
«Skaracchio, sono qui!», sentì esclamare
il giovane vichingo sopra la sua testa.
Il familiare, inconfondibile ticchettio di una gamba di legno
gli annunciò l’arrivo
dell’armaiolo del villaggio. In un battito di ciglia, un paio
di lunghi baffoni biondi comparvero nel suo campo visivo. Non era mai
stato così felice di vederli.
«Oh! Oh! Oh! Eccovi, finalmente!»,
esclamò Skaracchio, ignorando saggiamente Dagur tenersi la
pancia, tra gli sghignazzi. «Vi sembra il momento
giusto per farvi un bagno? Per Odino, azioni tanto sconclusionate posso
aspettarmele dai gemelli ma da te, Hic…»
Hiccup chinò lo sguardo balbettando qualcosa tra i denti.
L’omone non parve farci caso e, dopo aver gettato senza tante
cerimonie una rete da pesca sulle loro teste, li issò sul
molo con l’aiuto di alcuni pescatori, sistemandoseli davanti
in una fila che sapeva di adunata.
«Ascoltatemi bene: vi ho
radunato qui perché… sai che le brache non dovrebbero
portarsi arrotolate sotto le ginocchia, ragazzo?»
Testa di Tufo piegò il capo di lato ciondolando fra la
sorella e
Moccicoso, estremamente a suo agio nel suo essere fuori luogo.
«Be’, a dire il
vero…»
«Che io sia dannato se voglio davvero scoprire come ti siano
finite laggiù!», lo interruppe Skaracchio, con un
gesto sbrigativo della mano. «Tiratele su e assicuratele
saldamente ai fianchi, questa volta. O ci devo pensare io con questo?»
«Va bene, va bene! Abbassa l’arma!»,
sbuffò Testa di Tufo, sollevando le mani in segno di resa.
«… Anche se così si sta più
freschi.»
Hiccup dovette far forza su se stesso per non ridere mentre guardava il
compagno tirarsi su i calzoni lanciando un’occhiataccia
all’uncino di Skaracchio.
«Bene! Dunque, stavo cercand…»
«Skaracchio!»
«Oh, Stoick!» Con un sorriso sghembo che permise al
suo dente metallico di scintillare come un gioiello,
l’armaiolo sventolò la mano. «Eccoli qua
tutti interi! Che ti dicevo?»
Stoick e Oswald il Simpatico si fermarono a pochi passi da loro,
sovrastando immediatamente tutti con la loro ragguardevole stazza.
Hiccup cominciò a tremare, non sicuro se fosse a causa della
loro imponenza o dell’ombra scura che stavano proiettando su
di lui e i suoi compari.
«Cosa stavate facendo?», chiese Stoick, aggrottando
le folte sopracciglia rossastre. «Siete zuppi!»
Hiccup aprì istintivamente la bocca, senza avere la
più pallida idea di cosa dire. Per sua fortuna, fu battuto
sul tempo da Skaracchio.
«Oh, sai come sono i ragazzi! Bramano avventura! Emozioni!
Ma,
soprattutto, sono molto
stupidi!»
«Ehi!», ringhiò Moccicoso.
Hiccup si massaggiò la mano dolorante, grato
all’armaiolo per aver ampliato il raggio della paterna
delusione anche sugl’altri. Stoick l’Immenso,
infatti, non mancò di rimproverare tutti con voce tonante,
biasimando la loro condotta inadempiente durante la visita del capo
tribù dei Grandi Guerrieri e di suo figlio.
Hiccup disegnò una striscia d’acqua con lo
stivale, annuendo a tempo con le increspature nella voce di suo padre.
Ormai era talmente abituato a non essere preso in considerazione da
lui, da aver sviluppato una notevole abilità nel reagire
meccanicamente alle sue ramanzine mentre, nella propria testa, tanti
piccoli Hiccup ingaggiavano un selvaggio dibattito
sull’arcano motivo della sua esistenza in un villaggio
vichingo. Sollevò le iridi verdi su Oswald il Simpatico,
chiedendosi se anche per Dagur fosse mai stato lo stesso.
Seguì con discrezione lo sguardo dell’uomo
stringersi e vagare su di lui e l’annoiatissima triade al suo
fianco, incupendosi non appena si soffermò sul proprio erede
dall’aria compiaciuta e decisamente asciutta.
«… E, per l’invincibile martello di
Thor, cos’avevate in mente, branco di sciocchi?! Avete
rischiato di lasciarci le penne!», proseguì
Stoick,
scuotendo il capo.
«Hai sentito, sorella? Stavamo per morire!»
I due gemelli si scambiarono il cinque.
«Spero che d’ora in avanti vi comporterete con
maggiore riguardo nei confronti di voi stessi e dei nostri
ospiti.», concluse il capo tribù dei Bifolki
Pelosi, dando loro le spalle.
«Ma…!», tentò Hiccup,
indicando Dagur con espressione eloquente.
«Non è il momento, Hiccup.», lo mise a
tacere Stoick, allontanandosi con Oswald il Simpatico, che gli rivolse
un gentile cenno del capo prima di sparire nelle strade polverose del
villaggio.
«… Non è mai il momento con te,
papà.»
Hiccup si strinse nelle spalle magre, chinando il capo. Tante piccole
gocce d’acqua gli scivolarono lungo la zazzera umida,
solleticandolo. A una a una si staccarono e precipitarono al suolo,
svanendo come pallide ombre sotto il calore del sole.
Era tutta una vita che si ripeteva, con puntuale solerzia, la stessa
scena: il sipario si sollevava su un bambino troppo minuto e maldestro
per essere considerato un guerriero, un pari, e si chiudeva
su un intero popolo deluso e strizzito, che non gli prestava mai
ascolto.
Le dita gli si serrarono attorno alla stoffa umida della casacca. Con
sorpresa, si rese conto che da anni, ironicamente, stava cercando di
dimostrare di essere tutto quello che, invece, non era e non sarebbe
mai stato. Fantastico. Di quel passo non ne sarebbe mai uscito vivo, da
quel ginepraio.
Un brivido gelido gli carezzò la spina dorsale, spezzando il
triste filo di quel ragionamento.
«Perché ho come il presentimento che la situazione
stia per peggiorare?», si sentì mormorare tra i
denti.
La pensante mano di Dagur si abbatté sulla sua spalla,
stringendogliela in una morsa ferrea.
«Perché hai ragione!», gli rispose
allegramente Testa di Tufo, allontanandosi con la sorella e Moccioso.
Hiccup si tese istintivamente verso di loro, come se avesse potuto
afferrarli da quella distanza e frapporli fra lui e il suo persecutore.
«Bene, bene… dov’eravamo rimasti,
Hiccup?»
Faticando a deglutire, il vichingo si voltò piano, con tutta
l’aria di chi sta tentando di occupare meno spazio possibile.
Quando i
suoi occhi incrociarono quelli di Dagur, ebbe la nauseante sensazione
che la
pelle gli fosse appena stata strappata via dalle ossa.
«Non ci posso credere.»
Testa Bruta sbuffò, colpendo con la punta dello stivale il
sedere del fratello.
«Ma come ha fatto a incastrarci?»,
borbottò Testa di Tufo, sollevandosi in piedi.
«Sei tu a esserti incastrato in quello stupido cespuglio
mentre cercavamo di
scappare via.», gli sibilò lei di rimando,
«E ora, per colpa tua, siamo fregati.»
«Vorrei farvi notare che sono davanti a voi e posso sentirvi.»
I due gemelli sollevarono lo sguardo su Skarakkio, che teneva ancora un
tediatissimo
Moccicoso stretto sotto l’ascella. Bisognava ammettere che,
nonostante
la mole, correva piuttosto rapidamente.
«Non che non mi fidi di Dagur…»,
cominciò l’armaiolo, mollando la presa sul giovane
vichingo, facendolo cadere a terra. «No. Effettivamente non
mi fido affatto.»
Il terzetto lo squadrò corrucciato.
«Piantatela di fissarmi così, branco di
sfaccendati! Sarò breve: seguiteli e teneteli
d’occhio. Se Hiccup dovesse
trovarsi in difficoltà, intervenite. Intesi?»
«Ma è Hiccup!»
«Intesi?»,
scandì nuovamente il paziente Skaracchio, puntando loro
contro l’uncino.
«Cavolo, con lui non funziona.»
«Uffa, che barba…», grugnirono in coro i
gemelli.
«Così vi voglio!», esclamò
con entusiasmo l’omone, spingendoli via. «E ora
andate.»
I tre non lo videro grattarsi il capo, pensieroso. Sembrava voler
aggiungere qualcos’altro alle istruzioni date, come se avesse
avuto un pensiero che continuava a ronzargli fastidiosamente nel
cervello ma che non riusciva in nessun modo ad afferrare.
Calciando rabbiosamente una pietra, Moccicoso scosse il capo: che
perdita di tempo! Non aveva mai sopportato di dover fare
da balia a
quella sciagura ambulante di Hiccup. Cos’aveva fatto di male
per meritarsi una piaga del genere? … A parte tutti i
dispetti, gli insulti, le risse e i tentativi di dargli fuoco,
ovviamente.
«Guardate! Sono laggiù!»
Alla voce di Testa Bruta, la piccola brigata si accovacciò
dietro il muro di una casa, tenendo d’occhio Dagur e Hiccup
allontanarsi dal villaggio.
«Cosa facciamo?»
«Stanno andando verso il bosco.»,
osservò Moccicoso, ingrugnandosi sempre più.
«Anzi, mi correggo: più che altro, Dagur si sta
dirigendo verso il bosco trascinando Hiccup. Ma guardatelo...! Ѐ
imbarazzante.»
«Oh.», fiatò Testa Bruta con enfasi
letargica. «… Dobbiamo salvarlo?»
«Avete sentito cos’ha detto
Skaracchio…», sbuffò l’altro.
«Aspettate… aspettate!»,
disse testa di Tufo, spingendo indietro la sorella.
«Seguitemi: se noi adesso aspettiamo, non sapremo
più dove sono diretti, giusto?»
«Ah-ha.»
«E se non sappiamo dove sono, sarà più
difficile trovarli.»
«Ah-ha.»
«E, se riusciamo a trovarli senza sapere dove
siano…»
«… il salvataggio sarà doppiamente
epico.»
«Esatto! E bam!
Saremo tre eroi!»
«Già… geniale!»
.:~*~:.
Prima di procedere con le note, vorrei tanto aggiungere qui una piccola
dedica. Ho ricominciato a scrivere e a
frequentare di nuovo questo sito da poco e... In così poco tempo,
per quanto assurdo possa sembrare, ho avuto la fortuna di trovare delle
persone che sono state estremamente gentili con me. Vorrei dedicare questa storia a loro.
a u t u m n,
Kiki75, Jack Frost beliver e Feel Good Inc…
grazie.
.:~*~:.
Eeeee ce la faranno i nostri eroi?
…
Sarebbe meglio dire: ce la farò io a gestire tutto senza combinare casini?
XDDDD
Testa di Tufo è un genio. Lo pensiamo tutti, ormai. XD
E ora vai che si parte con le note~!
Prima di tutto, il titolo: “Deranged”
è il soprannome originale che viene dato a Dagur nella
serie. Tradotto alla perfezione con “Squilibrato”.
XD Il sottotitolo, invece, è un proverbio italiano che penso
alluda al fatto che i pazzi possono tranquillamente crescere nella
follia senza aver ricevuto alcun incoraggiamento da parte altrui o
essere stati educati per diventare tali. L’ho scelto
perché secondo me rappresenta molto bene il personaggio di
Dagur e il suo rapporto col padre. Vi prego, correggetemi se sbaglio!
Non sono riuscita a trovare da nessuna parte una spiegazione a questo
proverbio. O__O
Ma poi… io che scrivo una storia a capitoli! A CAPITOLI! *rotola
ovunque nella stanza* E chi l’avrebbe mai detto?! TT___TT Ho
il terrore di scrivere storie a capitoli e non l’ho mai fatto
proprio perché temo di perdere
l’ispirazione e lasciarle incomplete… o di non
riuscire a trovare un modo decente per concluderle! *sigh* Ma oggi no!
è___é No, questa volta sono piena
d’energia e ce la farò!
Dunque! Il contesto: anche per questa storia sono tornata indietro nel
tempo perché l’ho ambientata durante
l’ultima visita di Oswald il Simpatico a Berk. Quindi credo
si tratti di un anno
prima degli eventi di Dragon Trainer o comunque di qualche mesetto prima.
Per questo qui il povero Hiccup non viene considerato per nulla dai
suoi compagni vichinghi. Spero di aver tenuto tutti IC ma, dato che qui
compaiono tutti e tutti insieme, non so se sembra tutto credibile. Io
li adoro… adoro anche Moccioso, sono sincera, nonostante il
pessimo carattere… però un conto è
questo, un conto è rappresentarli. XD Comunque sia, vorrei
solo aggiungere che per molte cose mi rifaccio anche alle due serie.
Allora, come sempre lascio qualche informazione per chi volesse capire
chi sono Dagur e Oswald. Il primo è un personaggio che
compare per la prima volta nel quindicesimo episodio della serie
animata: “DRAGONS
– I Cavalieri di Berk”. È
instabile, aggressivo, dominatore… e capo dei Grandi
Guerrieri o berserker.
Oswald “Il Simpatico” è il suo
sventurato padre; non compare mai fisicamente in nessuna puntata. Per
quanto riguarda il suo aspetto, mi sono rifatta ai bozzetti presenti
nella wikia. Caratterialmente ci lasciano intuire che fosse molto
più diplomatico, pacifista e ragionevole del figlio.
Il rapporto che c’è tra loro in questa storia
è un’interpretazione personale che mi sono fatta
mettendo insieme tutti i piccoli frammenti che la serie mi ha lasciato.
Ho pensato che Dagur, essendo il figlio del capo di una
tribù dal passato sanguinario, violento, intraprendente
fosse sempre stato pieno di disprezzo nei confronti
dell’atteggiamento “politico” del padre.
Credo che uno come lui possa vedere tutto questo come un segno di
debolezza. Di mancanza di spina dorsale.
E Oswald, secondo me, era preoccupato e ben conscio della
pericolosità dei modi di fare e di pensare del figlio... ma
che infondo gli volesse
bene e che abbia provato più volte a farlo ragionare senza
davvero mai riuscirci. Non so, se avete qualche altra ipotesi mi
farebbe davvero piacere sentirla! :) Speculare sul background dei
personaggi secondari è una cosa che amo. XD
Bene, credo d’aver detto tutto!
Grazie per
aver letto questo primo capitolo e al prossimo! C:
See ya,
Shadow
Eyes
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Capitolo 2 *** Caccia in deroga ***
Deranged:
i pazzi
crescono senza innaffiarli
Capitolo II: Caccia
in deroga
“La caccia
è una forma collaterale della pazzia umana.”
- Theodor Heuss
Hiccup aveva soltanto tredici anni ma, in compenso, la sua vita faceva
già abbastanza schifo. Peccato che non dessero alcun premio
per questo genere di meriti; per lo meno avrebbe avuto qualcosa con cui
riempire gli scaffali sui quali i suoi coetanei poggiavano invece armi,
ossa e
denti di drago.
Premette la schiena contro la corteccia ruvida di un albero,
con il petto che bruciava. Era stanco di correre come un forsennato tra
i cespugli per sfuggire a Dagur, che aveva avuto voglia di improvvisare
una simpatica battuta di caccia e di usare lui come preda. Doveva
trovare un sistema per toglierselo di torno. Forse sarebbe dovuto
ricorrere ai vecchi, infallibili metodi vichinghi. Si
accigliò; forse però gettare il figlio del capo
di una delle tribù più bellicose al mondo
giù da un dirupo, non era esattamente un colpo di genio. Non
per Berk. Per i genitori di Dagur, forse
sì.
«Trovato!»
Con la coda dell’occhio Hiccup fece appena in tempo a vedere
il Grande Guerriero balzare su di lui, prima di ritrovarsi un coltello
da caccia
piantato a pochi centimetri da un orecchio.
«Sei morto.», commentò Dagur,
battendogli una mano sulla guancia accaldata, «Di nuovo.»
«Già. Un vero peccato.»,
ribatté nervosamente Hiccup, «Sai, credo che tutte
queste morti violente abbiano cominciato a farmi venire una certa fame.
Non credi dovremmo…?»
Uno stormo cinguettante svolazzò fra le fronde verdi sopra
le loro teste, facendogli rimanere il resto della frase bloccata in
gola.
«Sei una preda troppo facile da catturare.» Dagur
incrociò le braccia, seguendo con un po’ troppo
interesse il volo del piccolo drappello di volatili. «Questo
gioco sta cominciando ad annoiarmi.»
«Oh.», balbettò Hiccup, prendendo
cautamente le distanze dalla lama accanto alla sua testa.
«Ti piace?», gli chiese il berserker, gonfiando il
petto d’orgoglio. «Me lo sono fatto realizzare dal
nostro armaiolo. È la prima arma che ho stretto in pugno!
Guarda l’impugnatura: è di corno di yak. Notevole,
vero? Gli ho chiesto di inciderci sopra una testa di lupo…
Ho sempre avuto un debole per quelle bestie orgogliose e
selvagge.»
Vinto dalla curiosità, Hiccup fece un passo verso
l’arma, perdendosi fra gli elaborati intarsi incisi sulla
superficie chiara del manico. Erano sottili, eleganti e catturavano i
riflessi della luce attorno a loro, tracciando il vivido e terrificante
profilo di un lupo con le fauci spalancate. Era straordinariamente
realistico: poteva quasi sentire il suo fiato caldo sulla punta del
naso.
«Ѐ di ottima fattura.», confermò a bassa
voce, pentendosi un istante dopo di averlo fatto. Non aveva la minima
intenzione di esaltare ulteriormente il suo padrone. Sbirciò
con la coda dell’occhio la mimica facciale di Dagur e gli
parve di notare un piglio fiero e attento alle sue parole.
Probabilmente quel coltello aveva un valore particolare per lui.
«Ero certo che lo avresti apprezzato. So che ti piace
lavorare nella forgia; si vede che te ne intendi. Sai, quando ero
piccolo, i più forti e coraggiosi guerrieri della
tribù mi hanno insegnato una cosa…»,
esordì Dagur, prendendo a misurare il terreno a grandi
falcate a qualche metro da lui.
Hiccup seguì i suoi movimenti nell’erba tenera del
bosco. Era escoriato, grondava ancora acqua per il bagno fuori
programma di prima e non aveva più fiato in gola per muovere
un altro passo. Sperò che non si trattasse di altri discorsi
sulla caccia, perché ne aveva fin sopra i capelli.
«La caccia è da sempre il passatempo preferito
degli uomini di guerra in tempo di pace.» Il Grande Guerriero
lo
fissò con un sorriso che gli fece torcere le budella nello
stomaco. «Vale a dire nei periodi più o meno brevi
in cui la caccia all'uomo non è aperta.»,
concluse, scoppiando a ridere. «Ho sempre pensato fosse un
concetto divertente.»
«Oh. La barbarie.», borbottò Hiccup ai
suoi stivali, che ricambiarono silenti il suo sguardo.
«Già, certo. Un concetto spassosissimo.»
«Vero? Tu sei tutto strano e mingherlino, eppure anche il tuo
sangue vichingo emerge sempre in questi casi.»
Le sopracciglia di Hiccup si aggrottarono, creandogli un solco sulla
fronte sudata.
«Cosa intendi?»
«Oh, Hiccup, Hiccup, Hiccup…» Dagur gli
si avvicinò, guardandolo dritto negli occhi. «Non
lo vedi? Persino tu capisci l’eccitazione che deriva
dall’affrontare corpo a corpo un nemico! Quel sottile piacere
che deriva dal guardare la tua preda negli occhi fino a vederla esalare
l’ultimo respiro! La sete di sangue e distruzione che ci
scorre nelle vene!»
«Ah…» Le labbra sottili di Hiccup si
stirarono fino a sbiancare. «deduzione
interessante.»
In realtà, l’unica cosa che ormai gli era chiara
era che Dagur vedeva e capiva solo quello che voleva vedere e capire.
«Sì.», riprese il berserker,
afferrandogli le spalle con forza, «Non capisci? A questo
mondo il potere è nelle mani solo di chi ha il coraggio di
sporcarsele di sangue per afferrarlo! Uomini veri, vichinghi veri che
non hanno paura di nulla, proprio come me e te.»
«Sai, credo che le analogie non siano esattamente il tuo
forte.»
«Oh! Oh! Oh! Sei uno spasso!», latrò
Dagur, scuotendo amorevolmente il capo. «Forza, Hiccup!
Fa’ uno sforzo: noi due, insieme, siamo destinati a rimediare
agli sbagli dei nostri genitori. Possiamo riportare in auge le nostre
tribù! Non è meraviglioso?»
«Sì, è davvero tutto molto bello e
vichingo, non c’è che dire ma
c’è un piccolissimo problema…»
«Ovvero?»
Hiccup sollevò lo sguardo nelle iridi iniettate di sangue
del giovane.
«Io non sono come te.»
«Ragazzi…»
Testa di Tufo si fermò al centro della radura, guardandosi
attorno con occhi spaesati e confusi. Qualcosa gli urtò una
spalla: era il naso di Moccicoso.
«Che altro c’è?»,
mugghiò il giovane, saggiando con le dita tozze
l’entità del danno.
«Per caso vi ricordate cosa stiamo facendo qui?»
Con estrema lentezza e una calma sovrannaturale, Moccicoso
sollevò entrambe le mani, tremanti e contratte, verso il
gemello; piantò le pupille nelle sue per pochi, minacciosi
istanti, inasprendo il proprio cipiglio in un’occhiataccia
omicida.
«Mh.», mugolò Testa Bruta alle loro
spalle, grattandosi il mento. «Ricordo solo che era noioso da
morire.»
Fu la classica goccia che classicamente trabocca dal classico vaso.
Moccicoso, impavido figlio di Stizza Bifolko Jorgenson, unico, invitto
partecipante dei Giochi del Disgelo, era appena giunto sul labile
confine tra una rissa senza quartiere e un omicidio premeditato.
«Cos’hai?», chiese Testa di Tufo,
osservando stralunato la sua espressione spastica. «Oooh, ho
capito!»
Fece un cenno d’intesa alla sorella, che gli si
avvicinò annuendo. I due batterono allegramente il cinque
sulle mani sollevate dell’amico.
«Vai così!»
Davanti ai gemelli che si sferravano una testata
d’approvazione, Moccicoso poggiò il volto tra le
mani, lasciando fuoriuscire dalla gola un rantolo frustrato. Era ormai
quasi mezz’ora che camminavano nel bosco e non aveva ancora
trovato la minima traccia di Hiccup e Dagur.
Perché Thor l’aveva fatto crescere con quei due
idioti? Gli sarebbe bastato nascere qualche anno prima e, non solo se
li sarebbe levati di torno, ma probabilmente avrebbe avuto anche
qualche possibilità in più di fare colpo su
Astrid. Era cosa risaputa, dopotutto, che le ragazze impazzissero per
gli uomini dall’aspetto maturo.
«Stiamo cercando Hiccup!», eruppe improvvisamente,
facendo sobbalzare i suoi compari. «Hiccup! Ve lo ricordate?
È quel sacco d’ossa inutile che per qualche
sventurata coincidenza è anche figlio del nostro capo
villaggio!»
«Oh.», balbettò Testa di Tufo.
«E perché?»
«Perché se Dagur lo scotenna poi Skaracchio
scotenna noi. È facile, no?»
«Ah. Sì, be’, ha senso.»
«Voi e i vostri dannati piani senza né capo
né coda!»
«Ehi.», lo rimbeccò Testa Bruta.
«Sbaglio o eri d’accordo anche tu
d’aspettare?»
«Certo!», annuì Moccicoso, alzando gli
occhi al cielo. «Ma solo perché speravo che nel
frattempo Dagur avrebbe almeno fatto saltare qualche dente a Hiccup!
… Invece ora, per tutto il tempo che abbiamo perso a causa
vostra, dovremo riportare quel che resta di lui al villaggio e passare
il resto della nostra vita in compagnia degli Esiliati!»
Riprese fiato, sentendo la rabbia cominciare lentamente a sbollire
all’interno del suo petto. I gemelli spostarono il peso da
una gamba all’altra, in attesa di un qualsiasi segno che
permettesse loro di capire che la tempesta fosse definitivamente
passata.
Moccicoso tirò le spalle indietro, raddrizzando la postura.
«Certe volte non vi sopporto; ma questo non vuol dire che non
siamo più amici, chiaro?»
«Non
preoccuparti Hiccup: sarà rapido e indolore. Per lo meno per
me.»
«Mh?», Testa Bruta piegò il capo di
lato. «Che hai detto?»
«Perché guardi me?», disse Testa di
Tufo, «Era la voce di Dagur!»
I tre si fissarono a bocca aperta per un istante, precipitandosi subito
dopo nella direzione del suono. Non appena scorsero Hiccup e Dagur, si
nascosero dietro un cespuglio, riunendosi per stabilire cosa fare.
«Hiccup vi sembra in pericolo?»
Si sporsero appena in tempo per vedere Dagur schiacciargli la
gola con l’avambraccio, spingendolo contro un albero.
«Nah, lasciamolo a Dagur.», propose prontamente
Moccicoso.
«Ci sto!»
«Anch’io!»
«E poi a me è sempre stato
simpatico…»
«Bravo ragazzo.»
«Certo, un po’ squilibrato, ma chi non lo
è al giorno d’oggi?»
«Certi giorni mi sento squilibrata
anch’io… è quando ti formicolano i
piedi, giusto?»
La risata del Grande Guerriero li fece sobbalzare. Con le facce
spaurite, si
acquattarono più che poterono, serrando le mandibole.
«Cavolo…»
«Un momento:», disse Testa di Tufo, sollevando una
mano, «se Skaracchio ci farà quello che Dagur sta
facendo ora a Hiccup, non vorrei essere davvero nei miei panni quando
torneremo al villaggio a mani vuote… o forse sì?»
Moccioso si batté la mano contro la fronte, chiudendola
lentamente in un pugno.
«Mio fratello ha ragione.», concordò
Testa Bruta. «Scarichiamo tutta la colpa su di lui e
andiamocene!»
«D’accordo, suona come un buon piano, eccetto un
dettaglio…» Testa di Tufo spinse la sorella via
dal cespuglio, dritta contro il berserker furioso. «La colpa
te la prendi tu.»
Hiccup avvertì un rapido spostamento d’aria e un
suono indistinto che, curiosamente, non fu seguito da un pugno. Non
che gli dolesse l’anima per la perdita, ovviamente.
Si azzardò
ad aprire un occhio, mettendo immediatamente a fuoco le nocche di Dagur
a pochi centimetri dal suo viso. Lo richiuse trattenendo il fiato.
«Che diavolo stai facendo?»
«Sto pensando a come farla pagare a mio fratello.»
Quell’inconfondibile voce roca.
«Testa Bruta?»
Il minuto figlio di Stoick l’Immenso spalancò gli
occhi, esterrefatto, notando che
l’unica cosa che aveva separato i suoi denti da una
sanguinosa catastrofe non era stata la provvidenza divina, ma le mani
di
Testa Bruta, serrate attorno al polso di Dagur.
«Oh, ehilà, Hiccup.»
Di tutte le persone che avrebbe potuto immaginarsi comparire in quel
momento per strapparlo dalle grinfie del Grande Guerriero, la sua
scelta non sarebbe
ricaduta su di lei nemmeno nella più selvaggia
delle fantasie.
«Tu non hai idea di quello che stai facendo.»,
sibilò il berserker. Le sopracciglia rossastre gli
s’inclinarono pericolosamente verso il basso, mentre cercava
di recuperare le redini di quell’evento fuori controllo.
«Per niente.», confermò la ragazza,
scrollando le spalle.
«Ti sei appena messa fra un cacciatore e la sua
preda!»
«Preda? Ma chi, Hiccup?»,
fiatò Testa Bruta incredula, scuotendo il capo.
«Oh, andiamo! Uno come lui non lo userei nemmeno per fare il
brodo.»
«Fate pure come se non ci fossi.»,
commentò Hiccup, roteando gli occhi.
«Tranquilli.»
«D’accordo…», disse Dagur,
socchiudendo gli occhi, «qui c’è
qualcosa che mi puzza.»
La Bifolka si annusò le ascelle. «Non sono
io.»
«Stai cercando di confondermi!» Dagur
emise in ringhio sommesso, tirandola bruscamente in avanti col braccio.
«Levami le mani di dosso!»
Testa Bruta incespicò, arrivando a fronteggiarlo a pochi
centimetri di distanza.
«Ragazzi, vi prego…», pigolò
Hiccup, con poca convinzione.
Accidenti.
Cominciò a sentirsi
mancare il terreno sotto i piedi. L’idea che, in un momento
del genere, anche solo un sospiro troppo forte avrebbe potuto far
scattare una reazione a catena disastrosa per entrambi, lo riempiva di
un opprimente senso di impotenza. Non gli capitava spesso di pensarlo
ma, dopotutto, nonostante l’atteggiamento, Testa Bruta era
una ragazza e non voleva che si ritrovasse un occhio nero – o
peggio – a causa sua.
«Sei sorda?», sussurrò malignamente
Dagur, chinandosi in avanti per raggiungere il volto congestionato
della gemella. «Ti ho detto di farti da parte! È
una
questione tra uomini!»
«Ah, sì?», sbottò lei,
scoprendo i denti.
«Sì.», la scimmiottò il
Grande Guerriero, storcendo le labbra, «Uomini. Quelli che
non perdono tempo la intrecciarsi i capelli e a piagnucolare di
continuo.»
«Quindi quella cosa che hai dietro la testa come la chiami,
mh?»
Oh, fantastico.
Hiccup sentì le gambe cominciare a cedere sotto il peso
della preoccupazione. Non gli piaceva per nulla
l’increspatura aggressiva che si era sollevata nella voce di
Testa Bruta. La vide cambiare postura, piantando fermamente le gambe
nel terreno e voltando il busto verso il proprio avversario. Poteva
quasi sentire sulla propria pelle la forza con la quale le dita pallide
della ragazza si stavano serrando progressivamente attorno al polso di
Dagur.
Con la mano libera che volò d’istinto ai suoi
capelli intrecciati prima d’abbassarsi di scatto, il
berserker, preso in contropiede, aprì la bocca per
replicare più volte, non riuscendo ad emettere un solo
suono. Uno spasmo gli stirò i lineamenti in una smorfia
agghiacciante.
«Oh, ho capito. Vuoi giocare?», sibilò
infine, liberando il proprio braccio con un violento strattone.
«Io adoro
giocare… il primo che sanguina perde!»
Entrambi portarono indietro il braccio, serrando il pugno. Hiccup
sussultò alla devastante potenza dell’impatto tra
ossa e pelle dei due contendenti, che urlarono con tutto il fiato che
avevano nei polmoni. Ci furono dei gemiti di dolore. Un tonfo. E,
infine, silenzio.
«Ops, ho vinto.»
Hiccup seguì con lo sguardo l’elmo di Testa Bruta
rotolargli accanto alle caviglie, lontano dal capo biondo della sua
proprietaria, che se ne stava
immobile davanti a lui.
«T-Testa Bruta, stai bene?»
La giovane vichinga si sfiorò le nocche sbucciate con un
ghigno pieno d’orgoglio e si voltò, ricambiando il
suo sguardo attonito. Aveva uno zigomo visibilmente arrossato.
«Il prossimo è per te, idiota d’un
fratello!», gridò poi, puntando l’indice
contro un cespuglio dal quale fuoriuscirono i volti scombussolati di
Testa di Tufo e Moccicoso.
«Non ci credo.», disse un pallido Jorgenson,
raggiungendoli.
«Non posso davvero crederci.»
«E voi due dov’eravate?»,
domandò Hiccup, cominciando a collegare la galante entrata
in scena di Testa Bruta alla loro presenza nei cespugli.
«Noi? … Ehm…»,
balbettò Moccicoso, «Stavamo aspettando il segnale
di Testa Bruta per intervenire. Già, proprio
così! Si sarà dimenticata di darcelo
mentre… ehm, mentre…»
«… Mentre era occupata a malmenare Dagur al posto
vostro?»
«Esatto!», dichiarò Testa di Tufo,
sorridendo. «Ѐ stata una mia idea!»
«Brillante.»
Dagur emise un grugnito di dolore; era caduto tra le foglie e se ne
stava lì immobile, con un rivolo di sangue che gli colava
dal labbro inferiore. Aveva lo sguardo sbarrato e smarrito, il corpo
scosso da tremiti.
«Credo di averlo rincretinito del tutto.»,
commentò Testa Bruta, portandosi sul berseker con aria
soddisfatta.
«Bel lavoro, sorella.», si complimentò
Testa di Tufo. «Cosa aspetti ad usare quel pugno anche su di
me? Voglio vedere che si prov… auch!»
Il gemello ruzzolò a terra, steso da un gancio della sorella.
«Quelle sono… stelle?»,
esclamò. «…
Forte!»
«E adesso cosa facciamo?», le chiese timidamente
Hiccup, stringendosi nelle spalle.
«Ovvio, no?», fu la risposta maliziosa di Testa
Bruta. «Diamogli fuoco!»
«Ottima ide… cosa?!
No! Noi non appiccheremo il fuoco a nessuno, chiaro?»
«Chiaro.»
Hiccup sbuffò. «Ora ritorniamo al
villagio…»
«… e
poi gli diamo fuoco! Sei un genio!»,
esclamò Testa Bruta, battendo un pugno sul palmo della mano.
«No, niente fuoco!»
«Quanto sei noioso!»
Ignorato dai ragazzi, Dagur si tirò in piedi, ancora scosso.
Sollevò il palmo della mano: tremava.
«Non riesco a capire quello che mi hai fatto, seiðkona,
ma giuro che te ne pentirai!», urlò, avventandosi
sulla trionfante Bifolka.
Colta di sorpresa, Testa Bruta gli afferrò le mani,
bloccandolo. I due intrecciarono le dita, cominciando a spingere in
direzioni opposte in una prova di forza.
«Cosa c’è? Ti brucia perché
una ragazza ti ha mandato a gambe all’aria?», lo
provocò lei, faticando a respingere la sua avanzata.
«Non sono così debole e lagnosa, adesso,
vero?»
«Ammetto di averti sottovalutato.»,
concordò Dagur, spingendo con più forza.
«Ma non accadrà più.»
Le tempie di Hiccup cominciarono a pulsare. Per l’amor del
cielo, bastava davvero poco per accendere
l’animosità di quei due. «Dobbiamo fare
qualcosa!», gridò in direzione di Moccicoso e
Testa di Tufo. «Finiranno per ammazzarsi!»
L’ardimentoso Jorgenson non rispose; sembrava provare un
estremo interesse per le
proprie unghie. Testa di Tufo, dal canto suo, era fin troppo impegnato
a incitare Dagur per poter anche solo tenere conto della presenza
gesticolante di Hiccup dall’altra parte del bosco.
«Ragazzi!»
«E va bene, va bene!», biascicò il
gemello, spingendo Dagur e Testa Bruta.
In due inciamparono, cadendo all’indietro. Uno schiocco
frustò l’aria, sollevando terra ed erba davanti
agli occhi confusi di Hiccup.
«Ma cosa…?»
Appesi a qualche metro da loro, intrappolati da una robusta rete
formata da una serie di corde intrecciate, Dagur e Testa Bruta
tacevano, entrambi scombussolati.
«Ecco, problema risolto.», disse Testa di Tufo,
scrollando le spalle. «Potete ringraziarmi più
tardi.»
Hiccup, imberbe vichingo, aveva appena perso tre anni di vita.
«Hai la più pallida idea di cosa hai fatto? Hai
intrappolato tua sorella con un pazzo furioso!»
«Già, è vero.»,
mormorò il perspicace Bifolko, con aria meditabonda,
«Quindi non ho risolto un problema. Ne ho risolti ben due! Voglio una
statua di bronzo alta cinque metri, per questo!»
«Sai almeno cosa sia, il bronzo?»
«Certo che lo so! … No, non lo so.»
«Ci avrei scommesso. E poi come facevi a sapere che quella
cosa fosse lì?»
«Io e Testa Bruta ci siamo rimasti intrappolati decine di
volte. La piazzano sempre in quel punto durante la stagione di
caccia.»
«Oh, Thor, dammi la forza!»
La stagione di caccia: ecco su cosa stava cercando di metterli in
guardia Skaracchio! Voleva evitare di farli finire a ciondolare appesi
a un ramo.
«Ti prego, dimmi che sai in che modo possiamo
liberarli…!»
«Eh? E perché dovrei saperlo io? Skaracchio sa
come disattivare la trappola… è lui che le
costruisce! A cosa mi servirebbe imparare cose che possono benissimo
già fare gli altri al posto mio?»
«Si chiama Testa di Tufo, mica Testa di Genio!»,
s’intromise Moccicoso, con un ghigno di scherno sulle labbra.
«E poi non sei tu quello che inventa sempre cose strambe e
poi va tutto a fuoco?»
«Già.», balbettò Hiccup.
«Già.»
Testa di Tufo gli mise una mano sulla spalla. «E per questo,
ogni tanto, ti stimo con tutto me stesso.»
«Hiccup!», lo chiamò Dagur,
«Il coltello! Dammi il coltello!»
«E il mio elmo!», gli fece eco dalle spalle Testa
Bruta.
«Va bene, questa mi suona come una pessima idea.»,
gli fece notare Hiccup. «Tu cosa faresti al posto
mio?»
«Ti lascerei qui appeso a morire di fame! … Magari
tormentandoti fino a quel momento con un bastone.»
«Un classico.», annuì Testa di Tufo.
«Oh, andiamo!», urlò il berserker, con
gli
occhi che minacciavano di fuoriuscirgli dalle orbite tanto sporgevano
in fuori per la frustrazione. «Mi serve per tagliare le corde
di questo dannato affare!»
Hiccup si voltò verso l’albero nel quale Dagur
aveva conficcato il coltello pochi minuti prima. Sussultò:
dell’arma non vi era alcuna traccia.
Oh,
grandioso… ci manca solo che comincino a piovere capre dal
cielo e potremo concludere degnamente questa giornata.
Doveva assolutamente ritrovarlo prima che il Grande Guerriero si
rendesse conto della sparizione ma, nel frattempo, bisognava fargli
credere che fosse lui ad avercelo.
«Potrei anche restituirtelo.», esitò,
non sapendo come proseguire la frase. «M-ma chi mi dice che
non lo userai per farle del male?», concluse impettito,
indicando Testa Bruta.
Pregò Loki affinché offuscasse la vista di Dagur,
impedendogli di vedere al di là del suo bluff. Anche se, a
dirla tutta, l’obiezione che aveva sollevato era
più che legittima, visto l’accusato.
«Pensi che voglia usarlo contro di lei?»,
biascicò il berserker esterrefatto, agitandosi sul posto
facendo oscillare la trappola. «Sul serio?»
Hiccup, Moccicoso e Testa di Tufo incrociarono simultaneamente le
braccia, fissandolo con un sopracciglio inarcato.
«D’accordo, come vi pare.» Dagur
sputò verso di loro, centrando l’elmo di Testa di
Tufo. «Sapevo che voi Bifolki non siete altro che un branco
di codardi politichesi!»
«Politicanti.»
«Quel che è! Non vale nemmeno la pena stare qui a
sprecare fiato. E comunque, Hiccup, se proprio vuoi saperlo, bastano i pugni per
risolvere certe faccende.»
Testa Bruta gliene sferrò uno alle spalle. «Ha
ragione!», confermò con brio.
I due contenenti si gettarono l’uno contro l’altra,
aggrovigliandosi nelle maglie della rete.
«Eccoli che ricominciano!», esclamò
Testa di Tufo, ignaro della saliva che gli stava scivolando davanti
alla faccia. «Certo spettacoli non mi annoiano mai!»
Hiccup sollevò istintivamente le braccia nel tentativo di
sedare la rissa. «Ragazzi, calmatevi! Ve le siete suonate a
sufficienza per i prossimi anni! Vi tireremo fuori di lì al
più presto, promesso!»
Un paio di mani robuste gli afferrarono i polsi, sollevandolo verso
l’intreccio di corde.
«Non appena sarò fuori di qui, prenderò
a calci la tua faccia.», ruggì Dagur,
stritolandogli gli arti. «Promesso.»
«Non è una bella cosa da dire all’unica
speranza che hai di uscire da lì.», gli
ricordò Hiccup, improvvisando un sorriso diplomatico che
mutò in una smorfia di dolore, non appena il berserker
spostò la stretta sulla mano livida.
«Oh, ti fa male?», domandò il Grande
Guerriero fingendosi
dispiaciuto, aumentando subito dopo la violenza della presa con
ferocia. «Bene.»
Hiccup si dibatté, sforzandosi di liberarsi, quando la
gravità tornò stranamente a funzionare, tirandolo
verso il basso. Atterrò con un tonfo, scorgendo sopra di lui
Testa Bruta schiacciare il volto di Dagur contro la rete. Non era certo
se l’avesse fatto per aiutarlo o per il semplice piacere di
infastidire quello squilibrato ma, sinceramente, a lui andava bene lo
stesso.
Si strinse il ponte del naso, sospirando. «Andiamo al
villaggio.»
«Finalmente una buona idea!», sentì
approvare Moccicoso alle sue spalle. «Ho fame.»
.:~*~:.
…
Povero Dagur, non se le aspettava proprio cinque dita di violenza
dritte sulla faccia. XD Karma
is a bitch.
E ce l’ho fatta~! :D *spara fuochi di artificio* E dopo una
settimana esatta! Wow, spero di riuscire a proseguire così!
;__;
Devo dire che mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo! Spero
sia tutto comprensibile…
Vorrei aggiungere qualche piccola nota per rendere un po’
più chiaro che cosa ho combinato questa volta.
LET’S GO!
L'età di Hiccup: come ho detto, questa storia è
ambientata un annetto prima degli eventi di Dragon Trainer, quando i
personaggi avevano quindi tra i tredici e i quattordici anni (credo...
perché la loro età non viene confermata nemmeno
sulla wikia :|).
Quando Dagur chiama Testa Bruta “Seiðkona”
intende, in un certo senso, il termine “strega”. Il
Seiðr
era un tipo di magia sciamanica praticata quasi solo esclusivamente da
donne, di tradizione antico nordica e germanica. Si basava sulla
comunicazione con gli spiriti e, a quanto ho letto, permetteva di
prevedere il futuro ma anche di dispensare morte, sventura e malattia e
di manipolare
l’intelligenza e la forza di una persona. Ovviamente prendete
con le pinze quello che sto dicendo, perché non sono affatto
una storica… tutte queste informazioni le ho cercate su
internet (wikipedia
in primis e alcuni blog).
Volevo far dire a Dagur qualcosa di storicamente
attendibile… ma, in realtà, HTTYD non
è uno show creato per ricreare in maniera storicamente
attendibile la vita dei vichinghi quindi, questa, è stata
una mia semplice premura. XD
Ah, e mentre stanno litigando ho fatto dire a Testa Bruta:
«Quindi quella cosa che hai dietro la testa come la chiami,
mh?», perché anche Dagur ha in capelli raccolti in
una treccia.
Il titolo: allora, quando si parla di “caccia in deroga”,
s’intende l’inclusione di una specie
nell’elenco di quelle cacciabili, cioè una
“deroga” al suo status di specie protetta. In
questo caso era un riferimento al fatto che a Dagur piacesse
l’idea della la caccia all’essere umano. Pazzo
squilibrato.
«La caccia è da sempre il passatempo preferito
degli uomini di guerra in tempo di pace. Vale a dire nei periodi in cui
la caccia all'uomo non è aperta.», è
una citazione da “La
pulce all’orecchio” di Claude Duneton. Mi
sembrava parecchio appropriata ad esprimere i sentimenti di Dagur. XD
Che altro dire... per qualsiasi commento, chiarimento o correzione non
esistate a contattarmi! A me fa solo piacere! :)
Ancora, ringrazio
chiunque abbia letto questo secondo capitolo e, in particolar modo, Kiki75! Grazie per
la recensione e per aver seguito la mia storia! :) Spero di averti
strappato un sorriso con questo capitolo. XD
Bene, alla prossima, dunque!
See ya,
Shadow
Eyes
|
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Capitolo 3 *** Via col vento ***
Deranged:
i pazzi
crescono senza innaffiarli
Capitolo
III: Via col vento
“Percepire un aspetto
nuovo di se stessi
è il primo
passo verso il cambiamento
del concetto di
sé.”
- Carl Rogers,
“Un modo di essere”
Il vento fresco smosse dolcemente le foglie degli alberi, facendole
frusciare fra loro. I boschi di Berk erano gravidi di vita e pullulanti
di piccoli insetti colorati e cinguettii musicali; una fulgida gemma
verde incastonata in un territorio aspro e impraticabile per gran parte
dell’inverno.
Uno scoiattolo balzò con grazia su un ramo robusto,
percorrendolo con le narici frementi. Si fermò di fronte ad
un curioso oggetto metallico, sfiorandolo con il muso.
«Per il martello di Thor! Ma quanto ci mettono?»
Il ramo vibrò sotto le sue zampe caute, facendolo fuggire
via.
Dagur seguì la fuga dello scoiattolo senza degnare
d’una risposta i lamenti di Testa Bruta.
«Sono ore che siamo bloccati qui!»,
sbuffò ancora la giovane, lasciando penzolare le gambe fuori
dalla rete che oscillò di lato, sospinta dai suoi movimenti
irrequieti.
«Mi stai facendo saltare i nervi con tutte queste lagne!
Saranno passati sì e no cinque
minuti!»
«Sul serio? Io ho già raggiunto il limite cinque
minuti fa!»
«Ma non mi dire…!», grugnì
Dagur. «Strano come il tempo voli, quando ci si diverte,
mh?»
«Ma non ci stiamo… oh.»
«Piuttosto, voglio indietro l’elmo!»
«Manco morta, è il mio trofeo!»
«Non è il tuo
trofeo. È il mio
elmo!»
Il ragazzo fece un blando tentativo di afferrare il suo copricapo
nascosto dietro la schiena di Testa Bruta, guadagnandosi
un ceffone sul dorso delle mani.
«Sbaglio o le tue parole esatte sono state: “Chi
sanguina per primo, perde”?», lo
scimmiottò la Bifolka, sventolandogli l’elmo
davanti agli occhi. «Questo quindi mi appartiene di
diritto!»
«Non ho mai detto che avresti avuto in premio il mio
elmo!»
«E che gusto c’è a vincere se non
ottieni nulla, scusa?»
Dagur serrò le labbra in una linea carica di disprezzo,
tentando di recuperare il controllo del resto dei muscoli facciali, che
si stiravano e rilassavano come impazziti sotto il peso della
repressione dei suoi istinti più violenti. Ignorò
il naso all’insù di Testa Bruta che si arricciava
progressivamente davanti a quel suo bizzarro comportamento e il rantolo
esasperato che le sfuggì tra i denti; la sola vista di quel
suo viso scarno lo irritava oltre ogni dire ma, in quel momento, non
era nelle condizioni di poterle nuovamente saltare con le mani alla
gola. «Cos’hai da fissare?»
«La tua faccia.», rispose la vichinga, con
l’aria di chi sta costatando un’ovvietà.
«Ѐ un disastro disgustoso.»
«Oh, ti stai divertendo?», sibilò Dagur.
«Fa’ pure finché puoi perché,
giuro, non appena sarò in grado muovermi come si
deve…!»
«Sai che c’è? Mi piace.»
Le parole astiose che gli stavano risalendo in gola precipitarono
all’istante. Testa Bruta gli rivolse un sorriso malizioso che
le fece brillare gli occhi.
«Cavolo, dovresti vederti!», commentò
subito dopo, scoppiando a ridere, «Basta davvero poco per
zittirti.»
La mascella di Dagur sporse pericolosamente in avanti. «Non
ti sopporto più.»
«No, io non ti sopporto più!»
Entrambi si scostarono per prendere le distanze ma riuscirono solo a
ondeggiare all’indietro prima di ricadere in avanti,
sbattendo fronte contro fronte. Si arrestarono ringhiando sommessamente
e, quasi di tacito accordo, decisero di approfittare dello stallo per
riposarsi un po’.
«Ho le braccia completamente intorpidite…
qualsiasi cosa voglia dire.»
Dagur spostò lo sguardo sulla mano ferita di Testa Bruta,
seguendo la linea irregolare delle nocche sbucciate; effettivamente
anche lui era nelle stesse condizioni, anche se non era di certo il
tipo da ammetterlo ad alta voce come lei. Dopotutto se
l’erano date di santa ragione finché Hiccup e gli
altri non erano svaniti del folto del bosco: sarebbe stato davvero
insolito se non avessero avuto la muscolatura contratta e indolenzita.
«Tregua?»
«Per chi mi hai preso? Non esiste Grande Guerriero che faccia
un’assurdità del genere!»
«D’accordo.», Testa Bruta
roteò gli occhi. «Come ti pare.»
Si separarono con uno spintone, poggiandosi specularmente contro le
corde della rete.
Dagur strinse le ginocchia al petto, guardando in cagnesco Testa Bruta
seduta di fronte a lui giocherellare con il suo elmo. Si
mordicchiò il labbro, sentendo ancora il sapore salato del
sangue; non poteva credere che una ragazzetta mingherlina come lei
l’avesse ridotto in quello stato. Non che lei fosse in
condizioni migliori: l’ematoma sullo zigomo era largo e
gonfio, come il resto dei lividi che le aveva procurato.
Due oltraggi nella stessa giornata, per di più perpetrati
dalle ultime persone del villaggio che pensava avrebbero mai avuto il
fegato di opporglisi. Certo che i Bifolki Pelosi erano una
tribù bislacca: uno come Hiccup non avrebbe mai avuto posto
tra i Grandi Guerrieri e, una come quella sottospecie di ramazza
ambulante, ancor meno. Il figlio di un capo tribù
così debole e inetto? Sarebbe stato una vergogna per
l’intero clan. Figurarsi se ad essere compassionevole e
diplomatico fosse il capo stesso!
Dagur serrò i pugni, affondando le unghie nei palmi. Anno
dopo anno aveva seguito il padre firmare trattati e patti, piantando un
chiodo nelle gambe della propria gente a ogni firma, bloccandola in un
limbo che una cultura basata sulla guerra e il saccheggio rendeva
invivibile. Così voci maligne, scontente avevano cominciato
a serpeggiare nel popolo e a insinuarsi dentro la sua mente
già precaria di natura. No, non avrebbe mai accettato
un’onta del genere. Non era concepibile lasciar tramontare
una stirpe fiera come il volo di un’aquila, privandola della
linfa che l’aveva resa forte e indistruttibile: il sangue.
Donne e negoziatori non avevano alcuno spazio tra i ranghi d'elite. Oh,
ma non bisognava abbattersi. No. Presto le cose sarebbero cambiate.
Le sopracciglia folte gli si arcuarono, incupendogli i lineamenti.
Tuttavia, era costretto ad ammettere di aver visto una scintilla ardere
negli occhi di Hiccup e Testa Bruta. Una fiamma che aveva visto
brillare solo negli occhi degli scarti di una società che li
teneva bloccati al suo margine; una fiamma che poteva alimentarsi solo
nello sguardo di chi aveva qualcosa da dimostrare. Non era
più certo che fosse legittimo considerare debole il figlio
di Stoick l’Immenso e la cosa lo confondeva e lo preoccupava.
Come poteva definire chi non temeva di alzare la testa dinanzi al
giudizio del proprio popolo o suo? E una donna che affrontava un
avversario di più grande e più forte di lei
sapendo di non avere speranze? … Forse era davvero coraggio,
quello.
Dagur guardò distrattamente i piccoli solchi che le unghie
gli avevano scavato nelle mani.
O, forse, era semplice incoscienza.
Dei rumori nel fogliame circostante lo divelsero dai proprio pensieri,
portandolo a mettere a fuoco gli alberi attorno. Sorrise non appena
sentì un fruscio leggero in lontananza.
«Già di ritorno? Oh! Oh! Oh! Si vede che il
terrore che ho instillato in loro li ha motivati per bene.»
Testa Bruta starnutì.
«Salute!»
Hiccup si voltò, grattandosi la punta del naso.
«Grazie Bucket.»
«Ehm…», l’omone si
grattò il secchio sul capo, «Per caso è
piovuto ed io non me ne sono accorto?»
«Oh?», Hiccup seguì il suo sguardo sui
propri abiti umidi. «Ah, no, Bucket. Non preoccuparti, sono
io ad aver fatto un bagno fuori stagione.»
«Ah, sì? Sta attento, la prossima volta! Mulch
dice sempre che è pericoloso fare il bagno prima che siano
trascorse tre ore dall’aver mangiato dei funghi
velenosi.»
«Me ne ricorderò.», disse Hiccup,
passandosi una mano dietro il collo. «Senti,
Bucket… Per caso hai visto Skaracchio?»
«Sì. Credo di averlo visto vicino al
molo.»
«Davvero?»
«O forse era ieri? Non riesco mai a distinguere il tempo che
passa…»
«Non preoccuparti, grazie lo stesso! Ora devo proprio andare,
a dopo!»
Bucket gli sorrise annuendo, salutandolo con la mano quando lo vide
allontanarsi verso il villaggio.
Hiccup si lanciò sulla strada principale, superando Bifolki
e Grandi Guerrieri intenti chi a chiacchierare chi a destreggiarsi
nelle proprie attività quotidiane. Cercò di
ricordarsi il percorso che di solito seguivano suo padre e Oswald
durante la visita annuale: se la sua mente non lo ingannava, la visita
consisteva nel giro completo del villaggio (sebbene da
qualche anno Oswald avesse detto che non fosse più
necessario farlo), il controllo dell’armeria, il banchetto
nella Grande Sala e, infine, l’arena. Il piano era semplice:
bisognava evitare come la peste tutti quei luoghi, ovviamente con
discrezione – cosa che sarebbe risultata estremamente facile,
poiché Moccicoso e Testa di Tufo l’avevano
abbandonato all’ingresso del villaggio – e cercare
Skaracchio per farsi spiegare come disattivare la trappola.
Raggiunse la forgia; l’odore del ferro e della cenere gli
invasero le narici, facendolo sentire stranamente a casa.
«Skaracchio?»
Entrò all’interno della sua zona di lavoro, non
trovando nulla a parte martelli e pinze sparsi sul bancone.
Fantastico.
Uscì sotto il caldo sole primaverile, sentendo
immediatamente i suoi raggi delicati scaldargli la pelle. Forse avrebbe
dovuto provare a casa sua? Si avviò rapidamente in quella
direzione. Nella peggiore delle ipotesi, l’armaiolo era
ancora in compagnia di suo padre e avrebbe dovuto inventarsi una scusa
per allontanarlo da lui senza allertare Oswald e la sua
tribù.
Assorto nelle proprie riflessioni, svoltò un angolo e
urtò con la spalla qualcosa, inciampando e finendo a terra
in una nuvoletta di polvere.
«Fa’ attenzione!»
«Scusami…», mormorò
automaticamente in risposta.
«Hiccup?»
Quella voce. Non era possibile.
Si voltò, sentendo la terra ritrarsi da sotto i suoi palmi:
era Astrid. Astrid Hofferson. Si era imbattuto in Astrid Hofferson. La
temperatura nella strada parve inspiegabilmente salire di colpo,
facendogli arrossare le guance e chinare lo sguardo.
Calma, Hiccup. Sangue
freddo. Non morde mica… probabilmente.
Tossicchiò e si schiarì la voce, avendo la netta
sensazione di avere appena ingoiato tutta la terra che aveva sollevato
cadendo.
La ragazza lo afferrò per un braccio senza tante cerimonie e
lo tirò su. Non ricordava di esserle mai stato
così vicino. Per lo meno non consapevolmente.
«Cosa ci fai qui? Credevo fossi con Dagur.»
«Buffo che tu lo dica, in realtà è
proprio a causa sua se sono qui.», farfugliò lui
in risposta, sentendo le frasi disarticolarglisi sulla punta della
lingua.
Si chiese se fosse il caso di raccontarle l’intero accaduto.
Vista la tempra prona ai raptus di rabbia della fanciulla, forse
sarebbe stato più saggio evitare di coinvolgerla,
procurandosi magari anche qualche altro livido nel processo.
«Ti stavo cercando.»
«Sai, mi piacerebbe davvero restare qui ma credo proprio di
dover andare da quella parte a fare cose… davvero vichinghe e virili
e…», balbettò Hiccup, indicando un
punto indefinito alle sue spalle per poi immobilizzarsi. «Potresti ripetere?»
«Ti stavo cercando. Mi manda tuo padre.»
Hiccup sbiancò, battendo ciglio. Come aveva fatto suo padre
a scoprire tutto? Che qualche Bifolko l’avesse visto nel
bosco e fosse corso ad avvertirlo? O forse c’era sotto
dell’altro?
«D’accordo, d’accordo.», disse,
premendosi le dita sottili sulla fronte. «Che cosa sta
succedendo?»
«Tuo padre ha appena incaricato me e Gambe di Pesce di
tenerti al sicuro e badare che Dagur…»
«Fammi indovinare: non faccia Dagur?»
«Il senso è quello.»,
confermò Astrid con la trillante nota di una risata nella
voce. «Gambe di Pesce dovrebbe arrivare a momenti,
c’eravamo dati appuntamento qua vicino.»
«Non posso credere che mio padre vi abbia ordinato una cosa
del genere. Perché?»
La giovane Hofferson incrociò le braccia sul petto,
inarcando un sopracciglio chiaro. «Dopo quello che ha
combinato Dagur l’anno scorso, credo abbia tutte le ragioni
di questo mondo per volerlo tenere d’occhio.»
Hiccup si ritrovò ad annuire suo malgrado, costernato. Le
galline di Berk non erano più state le stesse, dopo aver
passato un pomeriggio intero con Dagur. E nemmeno Gambe di Pesce.
«Dove sono Moccicoso e i gemelli? Tuo padre ha detto che
Skaracchio ha mandato anche loro.», gli chiese Astrid,
guardandosi attorno come se si aspettasse di vederli comparire da un
momento all’altro.
Hiccup scrollò le spalle. Ecco spiegato perché
quei tre fossero convenientemente sbucati da un cespuglio quando si era
trovato in difficoltà.
«Moccicoso e Testa di Tufo saranno da qualche parte nel
villaggio.», le rispose sovrappensiero, passandosi
inconsciamente le dita sul dorso della mano gonfio e livido.
Lo sguardo di Astrid si assottigliò a quella risposta,
colmandosi di disapprovazione ma perse ogni ostilità non
appena notò l’ematoma.
«Cos’hai fatto alla mano?»
«Nulla.», minimizzò Hiccup, nascondendo
istintivamente il braccio dietro la schiena. «Ora dobbiamo
sbrigarci a trovare Skaracchio, Testa Bruta è nei
guai!»
«Cos’è successo?»
«Ehi, Astrid!»
La voce timida di Gambe di Pesce li raggiunse alle spalle, seguita dal
suo pingue proprietario, che stava stringendo al fianco una piccola
sacca.
«Oh, Hiccup, credevo…»
«… Fossi con Dagur? Già
sentita.»
Gambe di Pesce scambiò un’occhiata stranita con
Astrid, che gli annuì sorridendo, indicandosi.
«Il fatto è che è rimasto bloccato in
una delle trappole nel bosco…»
«Oh, ottimo!», esclamò estaticamente la
giovane Hofferson, sollevando un pugno. «Questo risolve
tutti i nostri problemi!»
«… con Testa Bruta.»
«E questo ce ne crea altri.», terminò la
ragazza, lasciando cadere il volto tra le mani. «Ma
com’è successo?»
«Dovresti chiederlo a Testa di Tufo. Ora troviamo Skaracchio,
facciamoci dire come si disattiva la trappola e andiamo di corsa a
liberarli, prima che i Grandi Guerrieri scatenino un pandemonio alla
ricerca del figlio del loro capo.»
«Se
sono ancora vivi.», s’intromise Gambe di Pesce,
deglutendo. «Quei due in una trappola sono come le teste di
un Bizippo!»
Hiccup e Astrid lo fissarono, in attesa di un chiarimento.
«Pessima accoppiata! Le probabilità di mutilazioni
più o meno gravi sono altissime.»
Riconoscendo la possibilità di quella cupa circostanza e
rabbrividendo al sol pensiero, il terzetto setacciò di buona
lena il villaggio alla ricerca dell’armaiolo, riuscendo
finalmente a trovarlo nei pressi della capanna di Mildew.
«Skaracchio!», lo chiamò Hiccup,
correndogli incontro. «Abbiamo bisogno…!»
«Hiccup! Sei ancora tutto intero!»,
esclamò l’omone, battendogli affettuosamente la
mano sulla spalla. «Però, per la barba di Thor,
non ti ho visto così malconcio da quando per sbaglio
mandasti in fiamme metà della forgia!»
«Era soltanto un prototipo e se la valvola non fosse saltata,
avremmo avuto una delle armi più letali
che…»
Skaracchio inarcò un sopracciglio.
«… E comunque perché rinvangare un
disastro avvenuto in passato quando possiamo prevenirne uno nel
presente?», concluse Hiccup tutto d’un fiato,
arrossendo furiosamente.
«Di quale disastro stai parlando?»
«Ricordi quelle trappole a rete che piazzate di solito nei
boschi durante la stagione di caccia?
Be’…»
«Ooh, le
trappole! Ecco cosa avrei dovuto dirvi stamattina! Dunque,
bisogna sbloccare il perno di sicurezza e rimuovere la barra di
supporto dell’innesco. È più semplice
farlo che spiegarlo, credetemi. Chi ci è finito
dentro?»
I tre impavidi Bifolki parvero rimpicciolirsi sotto lo sguardo
indagatore dell’omone.
«Dagur e Testa Bruta!»,
squittì Gambe di Pesce, raggomitolandosi su se stesso,
guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Astrid e un sospiro
da parte di Hiccup.
«Dagur e Testa Bruta, dite?», ripeté
Skaracchio, grattandosi il capo con aria confusa. «Eppure
sono sicuro d’aver visto Testa Bruta poco fa al
porto!»
«Com’è possibile?», Hiccup si
voltò verso i propri compagni.
«Magari qualcuno li ha trovati mentre tu eri via.»,
tentò Gambe di Pesce, congiungendo le dita con fare
meditabondo. «E li ha liberati.»
«O Dagur potrebbe avere strappato a morsi la
rete.», aggiunse premurosamente Astrid.
«Improbabile. Tuttavia, visto il soggetto, non completamente
escludibile.»
«Sei sicuro fosse proprio Testa Bruta,
Skaracchio?», chiese Hiccup.
«Sicuro come porto le mutandine di seta in questo
momento!», affermò allegramente
l’armaiolo.
Skaracchio: un uomo, mille colpi di scena.
«Be’, cosa sono quelle facce? Andiamo a
controllare!», ordinò Astrid, marciando via
trascinandosi dietro i suoi due imbambolati commilitoni.
«Grazie mille, Skaracchio!»
«Heh. Reagiscono così solo perché non
sanno quel che si prova a indossarle.»
I tre percorsero rapidamente la strada che portava al molo del
villaggio, discutendo sul da farsi. Inizialmente Hiccup si
limitò ad annuire, straniato da quella circostanza al limite
dell’inverosimile. Guardò di sottecchi Astrid e
Gambe di Pesce: gli faceva uno strano effetto camminare al loro fianco
sentendosi realmente partecipe della conversazione. Normalmente lui
diceva qualcosa, tutti lo ignoravano e lui si pentiva di aver anche
solo fiatato finché, per redimersi, non tentava ancora di fare qualcosa,
tutti correvano via urlando e lui non era più
così certo di come sentirsi nei confronti del suo stesso
popolo.
Non era uno sciocco, sapeva bene che Astrid e Gambe di Pesce erano con
lui perché stavano espletando il loro dovere nei confronti
di suo padre, niente più, niente meno. Tuttavia, non se la
sentiva di indulgere troppo all’oggettività, in
quel momento. Per lui era un’occasione più unica
che rara, dopotutto.
«Eccola!»
La voce di Astrid lo riscosse, facendogli sollevare il capo. Scorse una
figura ingobbita seduta sulle assi secche della banchina: aveva un
aspetto sperduto, trascurato e non sembrava minimamente conscia dei
dintorni.
«Testa Bruta!», la chiamò,
raggiungendola, «Tutto bene? Dov’è
Dag… Testa
di Tufo?!»
Con somma sorpresa del terzetto, mista ad un vago senso di nausea,
Testa di Tufo si voltò, facendo mulinare delle improvvisate
quanto improponibili trecce bionde. Se ne stava raggomitolato su se
stesso con aria mesta, infagottato nei vestiti della sorella.
«Ragazzi? Credo di non sentirmi tanto bene.»,
biascicò Gambe di Pesce, il viso paffuto di una malsana
colorazione verdognola.
Astrid gli batté una solidale pacca sulla schiena.
«Come avete fatto a riconoscermi?»,
domandò Testa di Tufo, visibilmente confuso.
«Nessuno ha mai notato la differenza!»
«Ehm…», Hiccup si costrinse a pensare ad
una motivazione plausibile e non offensiva.
«P-perché Testa Bruta…»
«Ѐ l’odore, vero?», annuì il
gemello con un sospiro, «Accidenti. Lei si lava. Be’… ogni tanto.»
«Già.», le labbra si Hiccup si strinsero
in una linea sottile. «Era esattamente quello che
intendevo.»
«Sapete…», riprese Testa di Tufo,
tornando a guardare il mare, «non sono mai stato separato da
mia sorella per così tanto tempo.»
«Non è poi così tanto.»,
disse Astrid con gentilezza, accosciandosi al suo fianco nel tentativo di tirargli su il morale. «Ѐ passata sì e no un’ora.»
«Non credevo avrei mai potuto dirlo ma mi manca.»,
proseguì Testa di Tufo, con gli occhi fissi sul calmo
mugghiare delle onde. «Però, se mi vesto come lei,
mi sento meno solo perché così posso fingere di
essere entrambi.»
Dinanzi a quel piccolo, mogio vichingo, Hiccup si passò
mestamente una mano tra i capelli, sospirando. Che pasticcio! Non
sapeva davvero cosa fare né tanto meno cosa pensare. Testa
di Tufo era sempre stato un bambino vivace e combina guai; non gli era
mai capitato di vederlo in quello stato. A essere sincero, non gli era
mai capitato nemmeno di vederlo senza Testa Bruta alle calcagna. Gli
erano sempre parsi un’unica, altamente infiammabile
entità.
«Mi dispiace, Testa di Tufo.», mormorò,
poggiandogli una mano sulla spalla.
«Giurami che non le spiffererai mai quello che ho
detto!», lo ammonì l’altro con un dito,
«Chiaro?»
«Cristallino.»
«Crista… cosa?»
«Intendevo dire che il tuo discor… lasciamo
perdere.»
«Che ne dici di darci una mano a tirarla fuori da quella
trappola, invece che startene qui a deprimerti, mh?», gli
propose Astrid, tirandolo su di peso. «Giusto,
ragazzi?»
Quando gli occhi chiari della ragazza cercarono i suoi, incoraggiandolo
a rispondere, Hiccup sentì lo stomaco in completo subbuglio.
Si ritrovò ad aprire la bocca con tutta
l’intenzione di dire qualcosa, o per lo meno grugnire un
qualsivoglia tipo di suono indistinto in segno d’approvazione
ma la sua mente era completamente vuota e silente.
«Mi sa che gli è entrata una mosca in
gola.», sussurrò Testa di Tufo ad Astrid, con
l’aria di chi la sa lunga. «Ci penso io, sono un
professionista.»
Intrecciò le dita, tendendole davanti a sé per
stirare la muscolatura sotto gli sguardi attenti della giovane
Hofferson e Gambe di Pesce. Afferrò Hiccup alle spalle, con
somma sorpresa di quest’ultimo, esercitando una forte
pressione sul suo sterno a più riprese.
«Sto bene! Ouch!
Sto bene!», disse in singhiozzi di varie tonalità la progenie di Stoick l'Immenso temendo che, se
l’avesse strizzato a quel modo ancora una volta, gli
sarebbero schizzati gli occhi fuori dalle orbite.
«Ѐ uscita? Va meglio, vero?»
«Sì. È… uscita.
Grazie.», balbettò l’altro, respirando
grandi boccate d’aria.
«Nessun problema. Io e mia sorella inghiottiamo spesso cibo o
oggetti…»
«Oggetti?»,
gli fece eco Gambe di Pesce.
«… che non riuscivamo poi a mandar giù.
Mio padre mi ha insegnato questo trucco per farli uscire fuori, invece.
Forte, vero?»
Un rantolo fu tutto ciò che Hiccup riuscì ad
emettere come risposta.
«Bene, ora che Hiccup è stato salvato da una
mosca, che ne dite di andare?», propose Astrid, scandendo con
un tono inquietantemente compassato l’ultima parola.
«Abbiamo ancora una trappola da disattivare!»
A stento riuscirono a muovere un passo che un paio di pescatori
li travolsero borbottando qualcosa, unendosi ad un assembramento
concitato di uomini diretti alla banchina.
«Che cosa stanno facendo?», mugugnò
Gambe di Pesce, apparentemente più a se stesso che a loro.
Hiccup percepì uno strano fermento attorno a sé;
eccetto che per i Giochi del Disgelo o i draghi, era raro vedere
così tanta agitazione al villaggio. Scandagliò la
zona e, appena scorse una nave familiare attraccata al porto, tutto
cominciò ad avere un senso. Una figura barbuta
balzò oltre il parapetto, facendosi largo frettolosamente
tra tutti i vichinghi radunatisi lì vicino. Gli abiti
sgargianti e gli ampi gesti nervosi non lasciavano spazio ad alcun
dubbio: era il mercante Johann.
Hiccup sventolò la mano in sua direzione, felice di vederlo
nonostante fosse certo che mancasse ancora un mese alla sua periodica
visita a Berk.
L’uomo stava allungando il collo a destra e a manca con gli occhi sgranati, quando notò finalmente il suo gesto. Sussultò platealmente, catapultandosi nella sua direzione.
«Oh, no. Guai in arrivo.», squittì Gambe
di Pesce.
Johann si fermò bruscamente davanti ai loro sguardi perplessi, travolgendoli con
una piccola ondata d’aria.
«Che mi venga un colpo, devo avere le traveggole!»,
fiatò pallido come un cencio, afferrando le spalle di Testa
di Tufo. «Ti ho vista intrappolata in una rete trasportata da
un drago!»
Testa di Tufo starnutì.
.:~*~:.
TAN-TAN-TAAAN! *suono drammatico*
E ci siamo! Ecco il terzo capitolo... porca misera, speravo di poter
aggiornare più rapidamente. TT____TT Purtroppo sto cercando
di studiare per quelle strane cose chiamate "appelli"... con scarsi
risultati, ovviamente. Non ne ho davvero voglia. XD Comunque sono un
po' rallentata. Per non parlare del fatto che mi hanno avvertita che
adesso hanno cominciato a circolare spoilersssssss
piuttosto pesanti sul film e quindi mi sto tenendo il più
possibile alla larga dal web.
Ma andiamo alle spiegazioni! ... Credo di doverne fare un bel po',
questa volta. *si arrovella*
Dunque! Questo è un capitolo nel quale ho voluto cominciare
a far riflettere un po' Dagur su Hiccup and company. Questa storia
è una what
if...? e, quindi, proverò a rendere onore alla
sua definizione cercando di mettere in scena un'ipotesi di cambiamento,
per quanto semplice e non eccessiva. Io non credo affatto che Dagur
possa diventare di punto in bianco l'amico del cuore di Hiccup etc.
Ѐ troppo egoista, egocentrico e fuori di testa per questo
però ho pensato che, date le giuste circostante, avrebbe
potuto essere un ottimo amico/nemico. Alla Red e Toby, per intenderci.
Arrivare a riconoscere il valore effettivo degli abitanti di Berk ma
continuare comunque a credere che la priorità della
supremazia bellica dei Grandi Guerrieri, sia la strada giusta.
Lo so... fosse per me il mondo sarebbe tutto rose, fiori e nutella ma
le fanfiction servono anche a questo, no? No?! ... No?
...
Comunque sia, prometto che ogni nodo verrà al pettine. XD
Spero solo di riuscire a fare un buon lavoro durante tutto il processo.
Oh, vorrei specificare che quanto ho scritto: “Donne e
negoziatori non avevano alcuno spazio tra i ranghi d'elite”,
è una mia mera ipotesi, perché in
realtà nella serie non si specifica mai una cosa del genere.
Io ho semplicemente notato che tra i Grandi Guerrieri che Dagur si
porta dietro a Berk non ci sono donne… quindi inizialmente
ho pensato non ce ne fossero proprio in quei ranghi. Però in
“The Night and
the Fury” Dagur stesso afferma di avere una
sorella e che lei preferisca equipaggiarsi di scudo quando combatte,
contrariamente a lui: quindi probabilmente le donne del suo clan
possono anche diventare delle guerriere, esattamente come quelle di
Berk, ma forse non possono entrare a far parte dei ranghi elitari
dell’esercito… o forse, più
semplicemente, a Dagur non piace avere una nave piena di esseri che
potrebbero avere una sindrome premestruale da un momento
all’altro e sono armati di asce. XD Boh, in
realtà, come ho detto, sono tutte mie supposizioni.
Effettivamente si può scoprire qualcosina sulla situazione
femminile in “Zippleback
Down” (non sono riuscita a trovare
l’episodio in italiano, quindi non ho idea di quale sia il
titolo nella nostra lingua): infatti in questa puntata Testa di Tufo fa
un discorso interessante e divertente sul perché Testa Bruta
sia perennemente sul piede di guerra. Ora, non ricordo le parole esatta
ma in soldoni afferma che è sempre arrabbiata e pronta a
usare la violenza perché è una “donna
in un mondo di uomini”. Per questo ho scritto che lei, come
Hiccup, non lasciava che nulla la spaventasse anche perché
aveva qualcosa da dimostrare.
In quella stessa puntata Skaracchio spiega come attivare e disattivare
tipi di trappole, quindi le istruzioni che lascia verso la fine del
capitolo ai ragazzi sono una mia maccheronica traduzione di quel che
dice (sempre perché non so in che modo la mette in italiano).
Oh, poi: “Mulch dice sempre che è pericoloso fare
il bagno prima che siano trascorse tre ore… etc”,
è una citazione da: “Anche le formiche nel loro
piccolo s'incazzano. Opera omnia”. Mi sembrava
una frase che uno come Bucket avrebbe potuto tranquillamente affermare
senza batter ciglio. XD
E se vi è parsa strana quella frase sulle galline di Berk e
Gambe di Pesce… nell’episodio “Un Ospite Molto Scomodo”
i ragazzi raccontano che una volta Dagur abbia rinchiuso Gambe di Pesce
in una gabbia e l’abbia lasciato a digiuno per tre giorni,
con Moccicoso che continuava a ripetere che il berserker fosse
simpatico. Uno spasso, guarda. XD
Per quanto riguarda invece Testa di Tufo: giuro di non aver sniffato
copertoni bruciati! Giuro! XD Ne “La Sconosciuta”
è lui stesso ad affermare che qualche volta si è
divertito ad andare in giro per il villaggio vestito come la sorella,
senza che nessuno, a quanto pare, notasse la differenza. Mi sembrava
un'intermezzo simpatico da inserire nel capitolo... oltre a un buon
sitema per rappresentare quanto volesse bene a Testa Bruta cosa che,
visto il personaggio, o avviene in maniera strana o non avviene
affatto. XD Io l'adoro. ♡
Non nascondo di avere avuto qualche difficoltà a scrivere le
reazioni dei personaggi nei confronti di Hiccup. Ok, nel primo film ci
fanno capire che era un combina guai e che abbia fatto inavvertitamente
molti danni al villaggio e ai suoi abitanti, però sono del
parere che Astrid e Gambe di Pesce non l’abbiamo mai trattato
male o messo da parte perché Hiccup è…
be’, Hiccup.
Ovvero, che l'abbiano escluso solo perché tutti gli altri
bambini lo facevano (Moccicoso in testa). L'Astrid di inizio film credo
possa pensare che, sì, effettivamente Hiccup è un
ragazzino troppo impacciato per essere un buon guerriero e che possa
diventare una minaccia per il benessere del villaggio se continua a
voler uscire fuori dal suo ruolo all'interno della forgia ma non credo
che abbia mai avuto risentimenti personali nei suoi confronti.
Mentre Gambe di Pesce sprizza gentilezza da ogni poro… ma
è anche un po' fifone e sensibile quindi, se non
fosse stato per il fatto che Hiccup venisse messo da parte dai suoi
coetanei, gli sarebbe stato amico di sicuro fin dall’inizio.
Questo è quello che ho pensato... non fatevi problemi a
correggermi, se lo ritenete giusto! Sono felice se mi date una mano a
capire meglio i personaggi. :)
NOTES. NOTES EVERYWHERE!
Basta così. XD Concludo ringraziando mia madre in primis,
perché ha sopportato con stoica fermezza tutti i miei scleri
sul capitolo (ti voglio bbbene, ma'! ♡), La Prima Ultima per
aver seguito questa folle, folle storia e, infine, chiunque abbia letto
questo nuovo capitolo! :))
See ya,
Shadow
Eyes
|
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Capitolo 4 *** Skadoosh! ***
Deranged:
i pazzi
crescono senza innaffiarli
Capitolo IV: Skadoosh!
“Amicizia:
il tacito accordo
fra due nemici
di voler collaborare
per un bottino
comune.”
- Elbert Hubbard
«Piantala di starnutirmi addosso!»
Testa Bruta si passò il dorso della mano sotto il naso umido
e arrossato, senza degnare d’uno sguardo un Dagur
estremamente oltraggiato dall’altra parte della rete.
«Che c’è, hai la memoria corta? Sei
stato tu a spingermi in acqua stamattina.», gli rispose,
scrutandosi con aria di sufficienza la mano sporca. «Oh!
Guarda, questa caccola ti
somiglia!»
Dagur ritrasse il collo con un guizzo quando si ritrovò a
fronteggiare la spaventosa avanzata della mano della ragazza, decorata
da una pittoresca opera d’arte estemporanea verdognola e
molliccia. E gli somigliava davvero,
per giunta!
«Ti ho detto di piantarla!», sbottò
ancora e le
spinse via il braccio, agitandosi sul posto con il naso adunco
arricciato.
Per essere diventati da poco il probabile pranzo a sacco di un Incubo
Orrendo o dei suoi cuccioli, stavano riuscendo a conservare un
atteggiamento piuttosto rilassato. Non che non avessero provato a
trovare una via di fuga, mentre il drago strappava senza alcuno sforzo
il ramo al quale erano rimasti avvinti e prendeva il volo oltre la
verde coltre degli alberi del bosco; Dagur aveva persino cercato di
raggiungere il congegno metallico che manteneva la rete salda al
tralcio, con l’intenzione di forzarlo ma era ben oltre la
portata delle sue dita. Si era così lanciato contro le corde
con una violenza inaudita e aveva preso a ringhiare come una bestia
feroce, afferrandosi il capo fumante di rabbia e frustrazione. Gli ci
erano voluti un paio di lunghi latrati, oltre ad uno schiaffo
gentilmente offertogli da Testa Bruta, per uscire da quello
stato. Nel frattempo le cime degli alberi erano sfumate in distese
verdeggianti, a loro volta trasmutate, sotto il poderoso battito
d’ali, in scogli e, infine, oceano.
Dagur strattonò una delle funi, facendo oscillare la rete e
ottenendo quello che aveva tutto il tono di uno sbuffo seccato da parte
del drago. La tirò ancora con forza, per il semplice gusto
di infastidire il loro rapitore. Avrebbe dovuto avere le membra
intirizzite dalle correnti gelide che lo lambivano, eppure sentiva a
malapena il freddo, perso com’era a macchinare un sistema per
trarsi fuori da quella situazione.
Testa Bruta invece si era rannicchiata con uno sbuffo, stringendo
il suo elmo contro il petto. Aveva il corpo scosso da tremiti e le
guance rosse si stagliavano sul bianco del suo volto tirato.
«Non posso credere che tu abbia pensato di affidare la mia
pelle nelle mani di un
mercante!», eruppe improvvisamente Dagur,
continuando ad
esaminare ogni fibra della trappola.
«Be’, neanche mordere le corde o cercare di
strapparle a mani nude sono stati dei colpi di genio, se
è per questo.», gli ricordò Testa Bruta
con un ghigno canzonatorio.
Dagur serrò i denti, facendoli raspare gli uni contro gli
altri producendo un rumore agghiacciante. Quel sacco d’ossa
non sapeva mai quando era il momento di chiudere quella boccaccia
larga; non riusciva davvero ad abituarsi all’idea che
esistessero delle persone che non tremassero al sol pensiero di avere
l’ultima parola con lui. La tribù dei Bifolki
Pelosi, a quanto pare, non aveva davvero idea di cosa fosse una scala
gerarchica.
Testa Bruta, dal canto suo, sembrava aver perso ogni interesse in lui e
stava fissando un punto indefinito oltre le sue spalle. Il Grande
Guerriero si voltò istintivamente seguendo il suo sguardo
ma, attorno a loro, vi erano solo mare e cielo che abbracciavano, in
una tavolozza infinita di tonalità di blu,
l’intero orizzonte.
Masticò un’imprecazione e spinse la schiena con un
certo slancio contro la rete, sorridendo soddisfatto al leggero
gorgoglio nervoso dell’Incubo Orrendo, che assestò
gli artigli contro il ramo.
«Affascinante…», borbottò
Testa Bruta, sfiorandosi il mento con le dita, seguendo con attenzione
il movimento delle ampie ali del drago. «Potresti
rifarlo?»
«Cosa vai blaterando?»
Decidendo di ignorarlo, la ragazza si alzò in piedi e si
gettò di peso sulle corde, facendo traballare nuovamente
l’intera struttura. Uno strano odore cominciò a
diffondersi nell’aria.
«Perdona il mio entusiasmo.», si scusò
Testa Bruta, sollevandosi in piedi con un’espressione
inquietantemente educata sul volto. «Tuttavia, sento di poter
supporre che siano le correnti d’aria a sostenere il nostro
peso quassù… non trovi?»
Le braccia del berserker ricaddero inerti sulla rete dinanzi a
quell’exploit scientifico. Se la Bifolka gli avesse sferrato
un colpo di
ramazza in pieno volto l’avrebbe sconvolto molto meno. Non
riusciva a capire cosa le stesse accadendo: ne aveva visti di deliri
nella sua vita – diamine, il più delle volte ne
era stato lui stesso il protagonista – ma mai che
incrementassero il
livello culturale di una persona.
L’effetto, di solito, era l’esatto opposto.
«Dunque non sarebbe lecito pensare che, in quanto incognita
fuori controllo, noi possiamo alterarne l’equilibrio a nostro
vantaggio?», proseguì Testa Bruta, terminando la
domanda tra i colpi di tosse. «Vedi,
l’equilibrio…
l’equilibrio…»
La frase le si smorzò improvvisamente in un balbettio
inconsulto. Dagur vide gli occhi della ragazza perdere ogni barlume di
lucidità e, in un battito di ciglia, se la
ritrovò afflosciata scompostamente davanti ai piedi. Non
riuscendo a stabilire di che tipo di morte subitanea si fosse trattato,
la pungolò con la punta dello stivale. Nessuna reazione. Le
afferrò di malagrazia i capelli, sollevandole il viso. A
quel contatto violento, Testa Bruta tornò in sé,
anche se parve impiegare qualche istante a mettere a fuoco la sua
figura. «Che stai facendo? Levami le mani di dosso!»
Gli afferrò il polso, divincolandosi dalla sua presa. Dagur
sentì la mano della ragazza bruciare attorno alla sua pelle
gelata.
«Vorrei tanto sapere cosa accidenti mangiate da queste
parti.», le sibilò, fissandola con un misto di
stupore e disgusto mentre la lasciava andare. Non vi era più
alcuna traccia di compostezza negli atteggiamenti della ragazza.
«Mangiare? Ieri ho mangiato pesce, poi la sera una zuppa di
verdure…», cominciò Testa Bruta,
sedendosi spaesata con la testa tra le mani. «Il giorno prima
yak arrosto. Oh, e poi c’è la storia del
vomito… ma quella è solo una voce. Più
o meno.»
Un solco calcò il contorno della narice destra di Dagur.
«Non. Voglio.
Saperlo.», le intimò a denti stretti.
«E allora perché me lo chiedi?»
«Perché qualche istante fa stavi dicendo qualcosa
di sensato sul come farci uscire da qui e ora sei di nuovo stupida come
un troll!»
Prima che la ragazza potesse anche solo arrivare ad
un’interpretazione logica della sua affermazione, Dagur si
avventò su di lei, afferrandola e schiacciandola contro la
rete.
«Forza, rifallo!»
«Che stai dicendo?»
«Pensa!»,
le ordinò, premendole il volo contro le corde. «O
stai semplicemente cercando di farmi impazzire?»
«Non hai bisogno del mio aiuto, per quello!»,
rantolò la giovane, starnutendo sonoramente.
Una virata brusca dell’Incubo Orrendo li fece ruzzolare
ovunque.
«Cosa c’è, ti dà davvero
così
tanto fastidio un po’ di turbolenza, maledetta
bestiacci…» Dagur tacque, serrando le labbra in
una linea sottile: spezzare l’equilibrio delle correnti, ma
certo! Si sollevò, tirando assieme a sé anche
Testa
Bruta.
La Bifolka s’irrigidì quando si
ritrovò naso a naso con lui, e non parve abbandonare
l’allerta neanche quando la poggiò sulle funi con
la stessa leggerezza con la quale l’aveva sollevata.
«E adesso che c’è?», gli
domandò infatti sulla difensiva, sostenendo il suo sguardo
esaltato.
Il Grande Guerriero scoppiò a ridere, roteando gli occhi
nelle orbite. «Bene, bene, bene… non riesco
davvero a capire come tu faccia e, sinceramente, non
m’importa nemmeno.»
«“Come faccia” cosa?»
«Come fai a pensare certe cose! D’altronde le
streghe hanno un mondo tutto loro nella testa…»
«Tu sei tutto suonato.», borbottò Testa
Bruta, cominciando a sembrare decisamente confusa.
«D’accordo, ascolta: per quanto mi faccia ribrezzo
anche solo l’idea, siamo costretti a fare quella cosa che hai
proposto prima.»
La giovane inarcò un sopracciglio a quella perifrasi.
«Una tregua?»
«No. Una temporanea collaborazione tra nemici.»
«Tipo… una
tregua?»
«Sì… no! Io non faccio
tregue con nessuno!»
«Ti ascolto.», tagliò corto Testa Bruta,
incrociando le braccia sul petto.
«C’è un modo per uscire vivi da tutto
questo, anche se probabilmente ne porteremo i segni sui nostri corpi e
nelle nostre menti per il resto della nostra vita.»
Un breve istante di silenzio attonito calò tra loro.
«Cosa stiamo aspettando!?», esclamò la
vichinga, esaltata come non mai.
Dagur la guardò negli occhi e un fremito di eccitazione gli
attraversò i lineamenti. Oh, sì, ne avrebbero
viste delle belle tra poco.
Le porse la mano, siglando
l’armistizio con una stretta energica.
«Un’isola.»
Gambe di Pesce aprì gli occhi, trovandosi a fissare il
rassicurante, sfuocato viso tondo di Astrid.
«Oh, Astrid.», biascicò, mettendosi a
sedere. «Non puoi neanche immaginare che sogno stranissimo ho
appena fatto: stavamo discutendo con Hiccup – il che
è già assurdo di per sé –
sul come liberare Testa Bruta e Dagur da una trappola, quando
improvvisamente ci ritroviamo Testa Bruta davanti, solo che non
è Testa Bruta ma Testa di Tufo! E poi il mercante Johann ha
detto che Testa Bruta e Dagur sono stati rapiti da un drago! Un Drago! Eppure
non pensavo di aver mangiato così tanto,
oggi…»
«Gambe di Pesce.», gli disse piano la ragazza,
stringendogli una spalla. «Non era un
sogno.»
Il prode Bifolko collassò di nuovo.
«Vengo con te.»
La voce di Hiccup lo riscosse dal torpore di quel piacevole oblio privo
di pensieri, facendolo risvegliare.
«Be’, io di certo non starò qui ad
aspettarvi con le mani in mano.», sentì dire ad
Astrid.
«Oh, sei di nuovo in piedi… per modo di dire,
ovviamente.»
Gambe di Pesce sollevò il capo, ritrovandosi Testa di Tufo
comodamente seduto sulla sua pancia.
«Ti spiace…?», fiatò
educatamente, accennando ad alzarsi.
«Veramente sì.», ammise Testa di Tufo,
scostandosi con una scollata di spalle. «Sei parecchio
comodo.»
Gambe di Pesce si tirò su, spolverandosi le vesti.
«Ho paura di chiederti cosa mi sono
perso…», mormorò, guardando il gemello,
il quale, per fortuna, aveva avuto la decenza di sciogliere quelle
orripilanti trecce che si era fatto. «Ma, d’altro
canto, temo di non poter sostenere l’ansia di rimanere
all’oscuro di tutto.»
«Eh?»
«Cos’è successo?»
«Oh… Johann ha detto che mia sorella sta volando
da qualche parte con un drago. Un Incubo Orrendo, per giunta! Per la
barba di Thor, non riesco ancora a crederci!»
«Mi dispiace, Testa di Tuf…»
«Tutte a lei
le fortune! E poi Hiccup gli ha detto tipo:
“Cosa?” e tu hai urlato come una femminuccia e sei
svenuto.»
«Grazie per la sintesi illuminante.»,
sbuffò Gambe di Pesce, stingendosi il setto nasale tra le
dita. «Ma io intendevo: cos’è successo
dopo che sono svenuto?»
«Johann ha allontanato tutti i curiosi e ha detto che vuole
andare a cercare il capo, per avvertirlo
dell’accaduto.»
«Oh.»
Forse non sarebbe stato poi così male rimanere privo di
sensi fino alla fine di quella stramba giornata.
«Gambe di Pesce!», Astrid lo raggiunse con un
sorriso. «Stiamo andando a cercare Stoick. Vuoi unirti a
noi?»
«Veramente preferirei di n...»
«Perfetto, andiamo!»
La giovane Hofferson l’afferrò con autoritario
vigore per un braccio, trascinandoselo dietro fino a raggiungere
Hiccup. Johann, a qualche passo da loro, si lisciò la barba,
scrutandoli con quei suoi vitali occhi grigi segnati dal sole carichi
d’apprensione. «Pronti?»
Astrid e Hiccup annuirono, ben consci che quella non fosse affatto una
domanda.
«Ragazzi!», mugolò debolmente Gambe di
Pesce, divincolandosi dalla presa dell’amica.
«Aspettate! Detesto fare il guastafeste ma credo sappiate
tutti che questo momento dell’anno è, come dire,
particolarmente delicato.
Hiccup, se tuo padre e Oswald non dovessero siglare il trattato,
sarebbe guerra per Berk! Come pensate esattamente di comunicargli la
notizia? “Scusate il disturbo, signori. Oh, salve, Oswald!
Come stai? Tutto bene? Ah, a proposito: tuo figlio è caduto
in una delle nostre trappole e ora è disperso
chissà dove a causa dell’attacco di un drago. Ora,
se non ti spiace, dovresti solo mettere una firmetta
qui…!”.»
«Ѐ un indovinello?», chiese Testa di Tufo con aria
meditabonda. «No, perché me la cavo abbastanza
bene con quelli. Datemi un attimo…»
Il resto del gruppo si abbandonò ad un silenzio incerto. Il
primo a spezzarlo fu Johann, che poggiò le mani sulle spalle
di Gambe di Pesce, scuotendolo delicatamente.
«Mio giovane amico, nella mia vita ho solcato i sette mari e
ho affrontato tempeste, ho esplorato le isole meno civilizzate del
mondo e, una volta, ho anche lottato a mani nude contro un calamaro
gigante e, oh, non sai quanto adori
quell’aneddoto…! Tuttavia, non è questo
il momento.», tagliò corto il mercante, ottenendo
un
sospiro di sollievo da parte di tutti. «Il punto è
che posso assicurati che non esiste uomo su questa terra che non provi
paura e che non esista uomo, su questa terra, più coraggioso
di chi sa agire a dispetto di essa. Non è questo il momento
di perdersi d’animo: posso ancora mettervi sulle tracce dei
vostri amici ma dobbiamo far presto! Il drago era diretto ad est.
Conosco bene quella zona, poche isole, alcune delle quali sono piccole
e disabitate. Una, in particolare, è evitata da ogni
navigatore come la peste, per la massiccia presenza di quelle dannate
bestiacce nei dintorni.»
«Cosa ci assicura che li troveremo lì?»,
obiettò il giovane, «E cosa ti fa credere che li
troveremo vivi?»
«Cosa ti fa credere il contrario?»
«Il buon senso?»
Sentì la presa delle dita di Johann allentarsi e lasciarlo
andare.
«Be', quel che è certo è che Oswald
potrebbe non tenere più fede al suo soprannome, dopo una
notizia del genere.», mormorò Hiccup, stringendosi
nelle spalle.
Gambe di Pesce sussultò, voltandosi verso quel notoriamente
maldestro vichingo che, per una volta, non stava attirando su di
sé gli sguardi di tutti per demerito.
Hiccup ricambiò la loro occhiata sorpresa esalando un lungo
sospiro.
«Ma Johann ha ragione: non tutto è perduto e poi
non abbiamo altra scelta, dobbiamo avvertire mio padre. Questa non
è una questione dalla quale possiamo sperare di uscirne in
pochi minuti e senza che nessuno se ne accorga. Ci penso io. Dopotutto,
Dagur era con me ed era una mia responsabilità tenerlo
lontano dai guai… per quanto ne sia lui stesso la principale
fonte.» Fece una pausa. «Sentite, non fate
quelle facce, posso sopportare due tirate d’orecchi nella
stessa giornata. Ne ho passate di peggiori…»
Gambe di Pesce sentì le proprie guance avvampare di
vergogna. Qualcosa gli si mosse nel fondo dello stomaco,
l’urgenza di porgli le sue scuse per il comportamento
esagitato di qualche minuto prima.
Prima che potesse aprir bocca, tuttavia, Johann sorrise, battendo una
pacca affettuosa sulla schiena di Hiccup, avviandosi con lui verso il
cuore del villaggio.
«Whoa…», fiatò Testa di Tufo,
tirando una gomitata nelle costole ad Astrid. «Ma
l’hai sentito?»
«Sì.», mormorò Astrid,
assestandogli una gomitata di risposta nello sterno.
«L’ho sentito.»
Gambe di Pesce chinò lo sguardo, tormentandosi le mani:
aveva sempre considerato il figlio di Stoick poco più di un
pericolo
ambulante che, in un modo o nell'altro, riusciva sempre a
coinvolgerli nei propri disastri. Deglutì. Oh, sarebbe
stato così facile girare sui tacchi e andarsene;
tuttavia, le ginocchia molli e la testa in tumulto gli suggerirono
che probabilmente anche Hiccup era preoccupato e spaventato quanto lui.
Eppure… eppure stava affrontando tutto da solo. Forse non
era poi
così sbagliato pensare di sostenerlo, no?
«Ah, comunque ho spinto io Dagur e mia sorella nella trappola
quindi, tecnicamente, è colpa mia.»
L’affermazione schietta e inaspettata di Testa di Tufo fu uno
schiaffo in pieno volto per i suoi due compagni.
«Cos’hai detto?», ringhiò
Astrid, serrando i pugni.
«Be’, a dirla proprio tutta, è stato
Hiccup a dirmi di fare qualcosa quando quei due stavano facendo a
pugni.», replicò con semplicità il
gemello, passandosi una mano dietro il collo. «Quindi: io li
ho spinti ma è lui che ha pensato di fare qualcosa e me
l’ha detto
e… ora mi sento confuso. Pensavo di aver capito cosa fosse
successo.»
Astrid e Gambe di Pesce sgranarono gli occhi, allibiti.
Per la barba di Thor, Hiccup non c’entrava nulla con
quel pasticcio! … Per
una volta, sì, ma bisognava comunque
riconoscerlo. Quello che
stava facendo – quello che gli stavano permettendo di fare
– non era coraggioso. Era folle.
Dagur aveva pianificato
ogni dettaglio. O, perlomeno, credeva d’averlo fatto. Le
fiamme,
tuttavia, erano state una sorpresa. Non perché non si
fosse aspettato un ritorno di fiamma da parte del drago ma, come dire?
… Quando
è il drago
stesso a prendere spontaneamente fuoco sotto i tuoi occhi,
allora, be’, forse è il momento di
prendere
in considerazione l’idea di paura.
Per le ombre di Hel!
Era stato un frammento di secondo, in realtà: non appena
l’isola aveva
fatto la sua comparsa all’orizzonte, il Grande Guerriero
aveva dato il via, assieme a Testa
Bruta, a quante più oscillazioni brusche possibili,
sballottando e deviando il percorso che stava cercando di seguire
l’Incubo Orrendo, sicuro che il drago, per evitare di perdere
il sostegno delle correnti d’aria, li avrebbe lasciati
andare. Come previsto, dopo qualche minuto un forte ruggito gli aveva
segnalato che la sopportazione della bestia era arrivata al limite e
non solo: l’aria s’era ancora una volta impregnata
di quell’odore sconosciuto,
penetrante. D’improvviso, c’era stato fuoco
ovunque sopra le loro teste e, in pochi istanti, in ogni altra
direzione. Il calore era stato così intenso che a Dagur era
sembrato di poter sentire il sangue evaporargli via dalle vene. Senza
esitazione, si era così appiattito
il più possibile sul fondo della rete, non riuscendo fare
altro che ascoltare il ritmo del suo cuore, che martellava sempre
più rapidamente
contro la cassa toracica – era quello
ciò che si provava
prima della fine?
«Oh, sì! Sì!»
Dagur si voltò a quell’esclamazione e, al suo
fianco,
Testa Bruta sorrise dinanzi alla bellezza
di quella pira mortale come solo un
pazzo poteva fare. Stranamente, il senso
d’oppressione al
petto gli si allentò. Ci fu poi un sussulto e il berserker
avvertì una sensazione simile ad uno strattone
giù per l’ombelico, prima di precipitare fuori
controllo tra le ceneri della rete, seguito da
un urlo che non vi era
altro modo per catalogarlo, se non come:
“estaticamente divertito”.
Questa Bifolka non sa
davvero cosa sia la paura.
L’impatto con l’acqua fu
più doloroso di quanto avesse previsto e un flash
bianco gli attraversò le pupille dilatate,
mentre il sale marino penetrava in ogni ferita aperta che
aveva sul corpo, sfregandola, facendola ardere. Sommerso dalla tetra
vastità dell’oceano, Dagur serrò i
denti, guardando le bolle d’ossigeno
fuoriuscitegli dalle narici e dalla bocca risalire verso la
superficie. Ignorando ogni segnale di pericolo che il suo cervello gli
stava inviando, le seguì, emergendo appena in tempo per
vedere una sfera
infuocata piombare su di lui.
«Ah, ti piacerebbe, eh?»
Qualcosa gli sfiorò il braccio; i resti bruciacchiati della
rete
stavano galleggiando pigramente attorno a lui così, con gli
occhi
in fuori, il Grande Guerriero li afferrò e li
scagliò con tutta
la forza che gli restava in corpo contro il muso del drago.
L’Incubo Orrendo si
schiantò nell’acqua a qualche metro da lui,
guizzandone fuori subito dopo con un’irruenza tremenda:
qualcosa di un giallo brillante si stava agitando tra le maglie della
rete strette attorno alle sue fauci.
«Non hai ancora capito con chi hai a che fare, eh? Lucertola
dei miei stivali!»
Dagur mosse lo sguardo verso la spiaggia a qualche metro di
distanza, gonfio d’adrenalina; se fosse riuscito a
raggiungerla, avrebbe avuto qualche
possibilità di sfuggire al drago nascondendosi nel fitto
della boscaglia, e magari di prepararsi anche ad un contrattacco.
Senza
indugiare oltre, si avviò dunque verso l’isola,
notando a malapena la matassa di capelli biondi che gli comparve
accanto.
Testa Bruta infranse la superficie limpida d’acqua oceanica
con un guaito,
sforzandosi come poté di tenerne il naso al di
fuori. Priva di supporti però, finì presto per
annaspare e affondare ancora una volta, mentre il Grande Guerriero
procedeva ad ampie bracciate verso la riva.
«Ehi!»
Dagur serrò le labbra; quel richiamo lo aveva fatto fermare
suo malgrado. Girò il capo con un ringhio, scorgendo le
dita sottili della Bifolka un attimo prima che sparissero nel blu
dell’oceano; non gli ci volle uno sciamano per capire che non
fosse affatto nelle condizioni per poterlo raggiungere.
Un problema in meno,
si disse, riprendendo a nuotare; ogni bracciata, tuttavia, gli costava
uno sforzo di volontà immane e una rabbia che non
aveva mai provato prese a formicolargli sottopelle,
facendogli contrarre dolorosamente la gola. Non era mica colpa sua se
quell’idiota non era in grado sopravvivere da
sola… quindi perché stava avendo tutti questi
ripensamenti?
«Ehi, capo! Mi servirebbe una mano, qui!»
Ruggendo infuriato, il berserker batté un pugno
contro un’onda e
fece dietrofront, tornando a recuperare i resti di Testa Bruta prima
che si inabissassero completamente come una barca funeraria.
«Dove…?»
Un braccio emerse di colpo, sfiorandogli il naso e lui
l’afferrò, usandolo per tirare di malagrazia la
sua proprietaria fuori dall’acqua – ma, non
appena vide quel suo lungo viso confuso, non ce la fece
proprio e lo schiacciò per rappresaglia ancora una
volta
sotto la superficie salina. Così imparava a essere così tanto inutile, quella strega!
Soddisfatto dalle bollicine cariche
d’invettive
che ribollirono subito verso di lui, Dagur decise di
porre fine quella punizione improvvisata
e ripescò Testa Bruta, trascinandola con
sé a riva.
La sabbia della spiaggia era bollente sotto i polpastrelli e
il Grande Guerriero ne spostò manciate su manciate ad arco con l’avambraccio,
trascinandosi in avanti fino a che i suoi muscoli gli permisero
finalmente di alzarsi in piedi senza tremare.
«Patetica.», borbottò, gettando la
Bifolka a terra.
E adesso…
Dagur riprese fiato, cercando di capire dove fosse finito
l’Incubo
Orrendo: non riusciva a scorgerne traccia da nessuna parte. Sorrise,
gustandosi quel fervore che ancora gli gonfiava le
vene, crepitandogli nel sangue come la fiamma di un falò.
«Cosa fai, scappi, bestiaccia? Hai paura di me?»,
gridò verso l’orizzonte. «Fai bene!
Giuro che la prossima volta che ci incontreremo, avrò la tua
testa!»
A quella sua stessa dichiarazione, il berserker sentì
l’euforia della vittoria invadergli,
inebriargli e dilatargli i sensi; cominciò a ridere e a
ululare, tirando fuori tutto l’ossigeno che gli era rimasto
nei polmoni. Con una naturalezza che apparteneva alla foga del momento, in maniera
quasi inconsapevole, si ritrovò a cercare lo sguardo
di Testa
Bruta: quando vide i suoi occhi azzurri aprirsi verso il cielo, si chinò su di lei e la
tirò su come se non fosse altro che una bambola di pezza, pronto a stringerla a
sé, ma qualcosa di appuntito gli punzecchiò la
pancia, facendolo sussultare. Perplesso, scostò la ragazza di qualche centimetro.
«Ma che…?»
Non
poteva crederci: stava ancora stringendo il suo elmo tra le mani!
.:~*~:.
Et voilà~, il quarto capitolo è pronto! :D
…
Lasciatemi fare questo sfogo: ho appena ricevuto la lieta notizia che
la DreamWorks ha in progetto di fare una terza serie di DRAGONS dopo
l'uscita del secondo film e che, pare (PARE
perché non ho idea se la fonte sia ufficiale o meno) ci
sarà il ritorno di Dagur, Heather e altri personaggi
secondari! *_________________________________* YEEEEEEEEEEEEEEEEH!! XD
*spara petardi e balla per tutta la stanza*
*ehm* Dunque, passo alle note! In questo capitolo ho fatto volare la
fantasia a briglia sciolta, sono sincera. L’idea del drago mi
è venuta pensando ai fantomatici furti di bestiame del primo
film (quando i draghi portavano quel che potevano a Morte Rossa,
rubacchiando anche pecore etc nel villaggio) e ho scelto
l’Incubo Orrendo per una questione di convenienza. Sulla
wikia c’è scritto che è tra le razze
più inclini alla rabbia e quindi tra le più
facili da provocare ma, soprattutto, l’ho scelto
perché è capace di andare in autocombustione.
Sempre sulla wikia viene riportato che il suo fuoco è un gel
al cherosene (da qui lo strano odore che Dagur sentiva quando faceva
innervosire il drago), difficile da spegnere e che il liquido che
secernono dal corpo ha un effetto simile a quello del napalm.
Non sono sicura che Dagur conosca tutte le varie capacità
dei draghi prima di diventare capo dei Grandi Guerrieri. I protagonisti
imparano tutte queste cose durante il primo film… non so se
anche i berserker facciano qualcosa del genere e istruiscano i ragazzi
su come affrontare un drago. Non ne ho davvero idea, quindi mi sono
presa questa licenza. Se sapete qualcosa in più, non esitate
a farmelo sapere!
Ah, e il titolo è una mini-citazione dai film di Kung Fu Panda. X3
Per chi non li abbia mai visti, “Skadoosh!”
è una esclamazione che Po, il protagonista, usa in entrambi
i finali dei film quando sta per fare qualcosa di mitico. Come
l’assurdità che hanno fatto Dagur e Testa Bruta
rischiando di lasciarci le penne. XD E quella strana cosa gialla che
resta incastrata nella rete quando Dagur la lancia contro il muso del
drago è un’anguilla.
Oh, e a proposito di anguille! Lo strano comportamento di Testa Bruta
non deriva dal fatto che sono imbottita di antiallergici. XD
Nell’episodio “The
Eel Effect”, quasi tutti gli abitanti del
villaggio vengono infettati da questa malattia chiamata “eel
pox” (sarebbe all’incirca
“febbre/influenza
dell’anguilla”… scusatemi, non so come
l’abbiano tradotta in italiano), i cui sintomi sono starnuti,
febbraH e delirio. In particolare, i gemelli si trasformano in una
parodia simpaticissima dei gemelli
Lutece di “Bioshock Infinite” (♡) e
cominciano a fare esperimenti scientifici in giro per il villaggio e a
parlare in maniera forbita. Ahahahah! X°D Ho trovato
un’immagine della puntata, per
farvi vedere che atteggiamento avevano (spero di non cannare con il
collegamento): link
Non so se ogni volta che hanno la febbre
alta delirano in questo modo stravagante... mi sembrava un'idea
divertente quindi l'ho messa in atto così. *aggiunge
l'ennesima voce all'elenco infinito di licenze poetiche* Oh, si sono
ammalati entrambi i
gemelli ma, visto che Testa Bruta è stata sballottata ed
esposta alle correnti, ho pensato che sarebbe peggiorata prima del
fratello. XD
Demenza mia a parte, in questo capitolo ho provato a legare tutto col
il tema del coraggio. Hiccup ha il coraggio di chi sa tenere fede alla
propria natura. Dagur ha l’audacia che deriva da un forte
orgoglio e dalla superbia. Testa Bruta, invece, come il fratello, ha
quella forza che nasce dall’incoscienza e dalla testardaggine.
Nel prossimo mostrerò la reazione di Oswald…
aaah, che bello, un capitolo che mi farà andare in corto
circuito il neurone. Mi dispiace, Jimmy. ;____;
Bene, per oggi ho finito! Ringrazio come sempre chi ha letto questa
robbbaccia e, in particolare, La
Prima Ultima per aver messo questa storia tra le
preferite... aw, non sai quanto la cosa mi renda felice! X3 E Cipress, per aver
commentato il primo capitolo! Grazie ancora! :)
See ya,
Shadow
Eyes
|
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Capitolo 5 *** Varúlfur ***
Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli
Capitolo V: Varúlfur
“I figli del lupo
nascono coi denti.”
- Luigi Pirandello,
“Liolà”
Hiccup si strinse nelle spalle, altalenando lo sguardo tra suo padre e
Oswald “al-momento-non-poi-così-tanto Il
Simpatico”. Sebbene fossero stretti tra le accoglienti mura
domestiche di casa sua, non poteva fare a meno di sentire un forte
senso di oppressione al petto e di rabbrividire al gelo che gravitava
all’interno della stanza.
Johann era in piedi accanto a lui, le mani strette sui fianchi. Non
aveva idea di come riuscisse a serbare sul volto
un’espressione così rilassata; a quanto pareva,
essere strangolato da un calamaro gigante era un’esperienza
decisamente peggiore di quella che stava vivendo in quel momento.
Il mercante intercettò il suo sguardo, sorridendogli. Hiccup
tentò di fare altrettanto ma le labbra gli si serrarono in
una linea sottile. Avrebbe voluto ringraziarlo per averlo tirato fuori
da quell’impaccio poiché, contrariamente a quanto
aveva progettato di fare o dire, alla fine era riuscito a malapena a
chiamare suo padre in disparte e a farfugliare qualcosa su Dagur, Testa
Bruta, una trappola e la fatalità del destino prima che il
mercante si frapponesse tra loro raccontando tutto ciò che
aveva visto. Man mano che il resoconto procedeva, la furia silente
nello sguardo di Stoick era presto mutata in apprensione e, infine,
risolutezza non appena si era voltato a guardare la figura di Oswald
impartire ordini in lontananza a due suoi sottoposti.
L’aria, di colpo rarefatta, sembrava anticipare i tuoni e i
lampi di
una grande tempesta. Hiccup si era preparato ad assorbire
l’impatto della reazione di suo padre, ad incrociare nei suoi
occhi
delusione e rammarico, come accadeva ogni volta che doveva confessargli
un suo misfatto. Aveva dipinto centinaia di scenari nella mente e
poteva quasi sentire la sua voce stentorea ordinargli di farsi da
parte; quel che non era riuscito a prevedere in alcun modo, tuttavia,
era stata la mano massiccia di suo padre stretta con paterna
autorevolezza
attorno alla sua spalla. Il che l’aveva piacevolmente
sorpreso e perplesso.
«Mio figlio “rapito”
da un drago.»
La voce di Oswald spostò l’attenzione di tutti i
presenti sulla sua figura cupa e mesta. L’uomo si
passò una mano tozza sul mento, facendo sfrigolare la barba
ispida.
«Ѐ colpa mia, signore.», disse Hiccup, facendo un
passo in avanti e avvertendo chiaramente il silenzioso ammonimento di
suo padre sul non procedere oltre. «Dagur è
rimasto incastrato con Testa Bruta in quella trappola ed io non sono
stato in grado di liberarli in tempo.»
Le iridi verdi di Oswald lampeggiarono, facendolo sussultare; le vide
scivolare con austerità dal suo viso alla sua mano gonfia e
livida, incupendosi. In quel momento, Hiccup ebbe
l’inquietante impressione che fossero in grado di leggere ben
oltre la sua ammissione. L’uomo tornò a fissarlo
negli occhi per un lungo istante, prima che gli anni e
l’angoscia prendessero il sopravvento tra le rughe che gli
segnavano i lineamenti, facendolo sembrare incredibilmente vecchio e
stanco. Alle sue spalle, Hiccup vide suo padre allentare cautamente la
presa sull’elsa della spada.
«Ti credo, ragazzo.», dichiarò infine il
capo della tribù dei Grandi Guerrieri, lasciandosi andare a
un sospiro. «Ti credo. Sono certo che tu abbia fatto del tuo
meglio per aiutarli.»
Hiccup si ritrovò a respirare ancora con uno spasmo, senza
essersi reso affatto conto di aver trattenuto il fiato.
«Stoick.», proseguì Oswald, voltandosi
verso il capo villaggio dei Bifolki Pelosi. «Non
sarà facile gestire l’intera situazione; noi
rimarremo qui ancora due giorni. Se questo mercante è certo
di poter ritrovare mio figlio e la ragazza, attenderò.
Procedete in fretta e non fatene parola a nessuno. L’armata
saprà cos’è successo solo al vostro
ritorno. Ora, se non vi dispiace, vorrei…»
Oswald allungò un braccio verso porta, che si
spalancò di colpo davanti a lui. Astrid fece irruzione
all’interno della stanza trascinando di peso Testa di Tufo,
mancando di travolgere il capo villaggio nel processo di pochi
centimetri.
«Signore, non è colpa di Hiccup! È
stato…», le parole le si incastrarono tra i denti
non appena notò la presenza di Oswald al suo fianco. Il
gemello le sfuggì dalle mani e cadde a terra con un tonfo,
accentuando il silenzio sconvolto all’interno
dell’abitazione.
Hiccup vide la testa di Gambe di Pesce fare capolino
dall’ingresso e svanire non appena incrociò il suo
sguardo. Be’, doveva ammettere che la piega che stava
prendendo l’intera situazione fosse molto bislacca e
inaspettata.
Astrid raddrizzò la schiena dinanzi ai due leader,
rassettando le vesti, il ciuffo ribelle di frangia e assumendo una
postura rigida e rispettosa. «Vi chiedo perdono per
l’intrusione.», riprese con voce ferma.
«Ma Hiccup non ha nulla a che vedere con quello che
è successo. Per una volta. È stato Testa di Tufo
a intrappolare Testa Bruta e Dagur, quindi non è giusto che
sia lui ad assumersene la responsabilità.»
Testa di Tufo, comodamente sdraiato sul pavimento con ancora indosso
gli abiti della sorella, azzardò un saluto carico di
nonchalance ai presenti, facendo alzare gli occhi al cielo ai membri
della casata Haddock.
Oswald, a dispetto della gravità che trasmetteva, sorrise.
«Pare che tu abbia dei buoni amici, Hiccup.»,
commentò. Il giovane poté chiaramente vedere la
vena ilare nel suo sguardo spegnersi in un soffio. «Vorrei
poter dire lo stesso di…»
«Troveremo Dagur, Oswald. Hai la mia parola.»,
disse Stoick, raggiungendolo accanto alla porta.
Il capo della tribù dei Grandi Guerrieri scoppiò
in una risata amara. «Voi non avete la più pallida
idea di chi sia
mio figlio.», mormorò, uscendo dalla stanza.
«Mi preoccuperei piuttosto per la ragazza intrappolata con
lui.»
«Un momento…» Testa di Tufo si
sollevò starnutendo sonoramente, grattandosi il capo
confuso. «Hiccup
ha degli amici?»
Accarezzata dal mormorio lieve delle onde, la spiaggia
era calda e accecante: granelli di sabbia d’oro,
bronzo, platino
rilucevano infatti nei raggi del sole come un’immensa distesa
di
piccole gemme. Era un vero sogno. Risalendo poi lungo la duna
costellata di garighe
multicolori, la vegetazione cominciava a ricoprire il terreno in
chiazze sparse disordinatamente, fino ad arrivare a creare formazioni
boschive di dimensioni sempre più notevoli man mano che si
proseguiva verso l’aria centrale dell’isola.
«Thor, che spreco.»
Testa Bruta se ne stava seduta con le gambe incrociate sotto le fronde
odorose
di un ginepro, le cui radici erano ricoperte da una miriade di
rifulgenti fili dorati; i suoi capelli. Con un sospiro, la giovane fece
roteare tra i denti una bacca e osservò quel mare
così assurdamente azzurro da farle venire voglia di correrci
vicino e bagnarsi le caviglie. Era esausta, sudata e odiava sentirsi
così indifesa – forse infilare la testa bollente
nelle acque
fresche del litorale l’avrebbe aiutata a recuperare un
po’ di lucidità. Dagur, tuttavia, era stato
categorico: la spiaggia era un luogo esposto e privo di nascondigli. Se
l’Incubo Orrendo fosse tornato a cercarli, non ci avrebbe
messo molto a individuarli, se fossero rimasti allo scoperto e blablabla…
A quel tizio piaceva un sacco il suono della propria voce.
«…
Che noia.»
La Bifolka Pelosa sentiva le piante dei piedi formicolarle per
l’impulso
di trasgredire i suoi ordini ma non era una stupida: la sua pelle
valeva molto più della rabbia che avrebbe potuto scatenare
nel suo compagno di disavventure… e poi avrebbe potuto
escogitare una miriade di altri sistemi, meno mortali, per fargli
perdere le staffe.
Chinò lo sguardo, cercando di concentrarsi sui propri
capelli che finivano per sfuocarsi di tanto in tanto, disperdendosi
nella sua mente che proseguiva verso altri orizzonti che non riusciva a
riconoscere. Le sue dita sottili districavano ormai meccanicamente i
nodi e lisciavano con cura le ciocche ribelli uscite fuoriposto.
Guardò l’elmo di Dagur scintillare sotto la calura
e notò che, al suo fianco, vi era uno strano cerchio pieno
di simboli con un bastoncino dritto e sottile conficcato nel centro.
L’ombra che proiettava sembrava quasi strisciare sul suolo a
ogni minuto, avvinta a quel rametto. Le mani le si fermarono. Che cosa bizzarra…
era certa che quel pastrocchio non ci fosse, quando
si era seduta lì. O forse sì?
Un cupo ululato squarciò il silenzio del bosco.
Testa
Bruta riprese a intrecciarsi i capelli, schiarendosi la
gola. Era
il segnale; Dagur stava tornando. Si lasciò andare a un
ululato,
cercando di modulare la voce nel tentativo di replicare quello di un
vero lupo. Mh, niente male: stava migliorando.
Quando una decina di minuti più tardi sentì dei
passi alle proprie spalle, non si voltò. Afferrò,
invece,
il nastro che aveva appoggiato sulla coscia e lo usò per
annodare la spessa treccia anteriore.
«Non eri tu quella che voleva dimostrare che le ragazze non
perdono tempo dietro ai loro capelli?», la
rimbrottò Dagur,
sovrastandola con la propria figura marziale; aveva due robusti bastoni
stretti sotto
l’ascella destra ed una pietra dalla curiosa colorazione
grigio ramata nella mano sinistra. Testa Bruta
aggrottò le sopracciglia, riportando la propria attenzione sul suo volto ferino
segnato da strisce di fango e chiazze di sangue rappreso.
«Quello che volevo dimostrare mi sa che l’ha capito
soltanto il tuo labbro
spaccato.», gli sibilò di rimando,
lanciandogli un’occhiata di traverso.
Spavaldo oltre ogni dire, il Grande Guerriero affrontò il
suo astio sollevando il mento, squadrandola a sua volta
dall’alto in basso. Non sembrava particolarmente
impressionato dalla sua risposta. La giovane sbuffò, quando
un forte olezzo di ferro e piante putride le fece contrarre le narici,
distraendola da quella sfida non detta. Confusa,
annusò l’aria: no, non si sbagliava,
quell’odore pungente era proprio Dagur a emanarlo
– le ricordava quasi quello dei boschi di Berk durante la
stagione delle piogge.
«Ma dove accidenti sei stato? E poi perché questa
fissa delle trecce, me lo
vuoi spiegare?», si ritrovò a chiedergli
d’impulso,
«… Aspetta un
attimo. Non venirmi a dire che anche tu hai paura dei miei capelli!
No, perché Testa di Tufo è convinto che di notte
si allunghino e lo
controllino.»
Riuscendo a emettere solo una sorta di grugnito incredulo a
quell’accusa stravagante, Dagur ridusse gli occhi verdi a due
fessure,
arricciando il naso.
«Io non ho paura di
niente.»
«Certo, certo… come ti
pare.»
Testa Bruta gli rivolse una pernacchia di scherno, prima di ritrovarsi
a fissare sui suoi abiti insudiciati. La lingua le ritornò
immediatamente in bocca. Forse…
sbagliava a prenderlo così alla leggera. Forse Dagur non
stava mentendo sul fatto di non aver paura. La giovane batté
ciglio: quelle macchie cremisi che gli
costellavano braccia e gambe, dopotutto, le stavano raccontando una
storia di scontri, di predatori e di prede,
blandendo la sua immaginazione con la loro tetra forza evocativa. Presa
com’era da quella fascinazione, ci mise un po’ ad
accorgersi che Dagur le aveva piantato addosso uno sguardo
fosco, intento a decifrare la sua espressione.
«Ehm… sveglia? Che facciamo?»,
si ritrovò a borbottare lei, rompendo la strana
tensione che si era creata tra loro. Senza aspettare una risposta, si
sollevò
in piedi, spolverandosi i
calzoni.
«Ho trovato un buon posto per accamparci. È al
riparo tra gli alberi e vicino all’altura.»
Dagur le indicò qualcosa con un cenno secco del
capo. La Bifolka socchiuse gli occhi, scorgendo in lontananza
un colle
ammantato di verde.
«Cosa…? Perché dovremmo andare
così lontano? Quando verranno a
prenderci…!»
Il berserker scoppiò in una grassa risata.
«Oh!
Oh! Oh!
Voi di Berk siete davvero spassosi! … “Quando
verranno a prenderci”, dici! Mi sembra quasi di sentire Hiccup.»,
la scimmiottò, avanzando di qualche passo con una nota
sdegnosa nella voce. Senza alcun riguardo, le passò un
braccio attorno alle spalle
e, dopo averla stretta a sé, le indicò il bosco
con gli
occhi carichi di pura esaltazione. «Guardati attorno! Siamo
su un’isola sperduta in mezzo all’oceano,
completamente isolati. Mettiamo pure che ci sia la
possibilità di essere soccorsi da qualcuno…
quanto tempo
pensi di poter aspettare qui prima di morire di stenti, mh?»
«Be’…»
«Inoltre,
piccola, sciocca ragazza, le navi potrebbero giungere da qualsiasi
direzione! Quindi, per segnalare la nostra presenza, dovremmo come
minimo creare
una pira in cima a quell’altura, o comunque in un
luogo sopraelevato. Ci vorrebbero giorni, se non
settimane…!»
«Così tanto!?»
«Oh! Oh! Oh! Certo! Per non parlare poi del fatto che il
fuoco dovrebbe restare costantemente acceso… oltre a
produrre un fumo abbastanza scuro da essere visibile da molto,
molto
lontano. Hai idea di
quanta legna dovremmo raccogliere e bruciare?»
«Ma allora…»
«Esatto! È una follia
anche solo pensare di fare qualcosa del genere nelle condizioni in cui
ci troviamo!»
Testa Bruta avvertì un dolore sconosciuto al petto: era come
se i
polmoni le si fossero progressivamente accartocciati fino a diventare
delle dimensioni di uno spillo. Per un istante faticò
persino
a
respirare. Quindi? Che potevano fare? Doveva pur esserci un sistema per
tornare a casa… no?
Cieco al suo scoramento, Dagur la strizzò
ancora più forte contro il suo fianco, sfregandole
inconsapevolmente
la pelle del braccio con i grumi di sangue che aveva tra le dita.
«Ora ascoltami con attenzione, perché questo
è quello che faremo oggi: ci procureremo armi, cibo, acqua e
raggiungeremo il riparo di cui ti ho parlato prima che cali il sole,
chiaro? Ci sono animali
di ogni
tipo su quest’isola… Non ho visto draghi ma non
per questo lo
escludo. Dobbiamo quindi tenere gli occhi aperti, Bifolka, e prepararci
al
peggio.», le disse allegramente, gettandole in
grembo i due bastoni che aveva recuperato, prima lasciarla andare.
«Adesso per noi non esiste
che la sopravvivenza. Siamo noi
o loro, capisci? Non so cosa vi abbiano
insegnato a Berk a riguardo, ma tieni ben a mente
questo: se m’intralci,
ti lascio indietro.»
Il Grande Guerriero si voltò senza aggiungere altro,
avviandosi verso il folto
del bosco.
Testa Bruta roteò gli occhi. Be’, un piano era pur sempre un piano. Meglio di niente.
Afferrò
l’elmo che aveva poggiato accanto a quello strano disegno e,
dopo
aver trattenuto l’ennesimo starnuto, seguì le orme
lasciate da Dagur sul terreno.
«Perché lui
è qui?»
Hiccup serrò le palpebre, inspirando ed espirando. La dolce
brezza marina gli carezzò le guance calde, cullandolo
lontano dall’incredula presenza boriosa di Moccicoso alle sue
spalle. Non aveva nessuna voglia di ascoltarlo.
Seguendo le istruzioni di Stoick – che era rimasto a
presidiare Berk con Oswald – erano partiti cinque minuti dopo
l’inizio del banchetto nella Grande Sala, riuscendo in questo
modo a lasciare il porto con discrezione, coperti dal gozzovigliare
alticcio degli abitanti del villaggio e dei Grandi Guerrieri.
«No, la domanda è: perché voi tutti
siete qui?», intervenne Skaracchio mentre passava in rassegna
il suo arsenale sul ponte della nave con precisione maniacale.
«Una squadra formata da me, due pescatori, un pallone
gonfiato, un mercante e cinque mocciosi inesperti… Grazie mille, Stoick.»
«Ehi, ti ricordo che io sono il
vincitore…»
«… dei Giochi del Disgelo? E dimmi: quanti draghi
hai ucciso durante i Giochi?»
Moccicoso strinse gli occhi in due fessure ostili.
«Mio figlio surclassa chiaramente tutti i suoi
coetanei.», sbottò Stizza Bifolko con il petto
gonfio di orgoglio, rabbonendo il degno erede. «Ѐ un dato di
fatto.»
«Certo. Se ti piace crederlo, perché
no?», borbottò Skaracchio, apparentemente
più interessato a pulire una macchia su una delle mazze
ferrate che a proseguire il discorso.
«Signori! Signori!» Testa di Tufo comparve alle
spalle dei due Jorgenson e il circondò con le braccia.
«Suvvia, sotterrate i vostri rancori e godetevi questa
meravigliosa vista!»
Un silenzio imbarazzato calò sulla nave, mentre il giovane
si portava a prua ad osservare l’orizzonte, dondolando sui
piedi con le mani incrociate dietro la schiena. Nessuno aveva idea di
cosa gli fosse preso e nessuno aveva la minima intenzione andare in
fondo alla questione ponendogli delle domande. L’ultima volta
che ci avevano provato, aveva dato il via una dotta disquisizione
sull’io e il senso dell’esistenza. Dopo
quell’episodio, tutto quanti avevano semplicemente preferito
accettare l’idea che per un po’ avrebbe continuato
a comportarsi in maniera molto bizzarra – probabilmente a
causa dell’assenza della sorella – e a parlare con
pacata educazione. Al massimo al ritorno l'avrebbero rinchiuso in casa
di Gothi finché non fosse rinsavito.
«Tsk, Thorston.» Stizza Bifolko
rabbrividì disgustato, scendendo sottocoperta.
Hiccup si mordicchiò l’interno della guancia,
accoccolandosi sul ponte della nave con la schiena premuta contro le
assi del parapetto. Un mal di testa tremendo gli stava impietosamente
martellando il cranio da ore, ormai. Non sapeva cosa aspettarsi o,
meglio, cosa sperare di aspettarsi da quella ricerca. Avrebbero trovato
Dagur e Testa Bruta in mezzo al mare? Su un’isola? Oppure
avrebbero ritrovato i loro resti sparsi ovunque? … Sempre se
fossero davvero riusciti a trovare qualcosa.
Strinse le gambe ossute al petto. Non riusciva a smettere di
chiedersi cosa sarebbe successo a Berk se fossero tornati a mani vuote.
Oswald “Il Simpatico” era davvero una grande
incognita. Se Dagur si fosse trovato nei panni del padre, avrebbe di
certo approfittato dell’occasione per mettere a ferro e fuoco
Berk – probabilmente abbandonando il proprio erede al suo
triste destino. Oswald, d’altro canto… La sua
reazione l’aveva a dir poco spiazzato: non credeva possibile
che un Grande Guerriero potesse essere così ragionevole.
Forse era davvero un vichingo sui generis, come faceva notare il suo
soprannome.
Johann roteò lievemente il timone, facendo oscillare la nave
tra le onde. Il suo mercantile non era grande o corazzato come le
imbarcazioni del villaggio ma, in compenso, era eccezionalmente veloce.
Un sospiro leggero attirò l’attenzione di Hiccup:
Astrid aveva le mani strette sul parapetto e lo sguardo perso nel mare.
Il vento giocava tra i suoi capelli biondi, scostandole dalla fronte la
lunga frangia e scoprendole quelle indomabili iridi fiere, che
brillavano di un vivace e intenso turchese, quasi potessero assorbire e
riflettere tutto il blu del cielo.
Hiccup deglutì a fatica, sentendo un familiare senso di
vuoto alla bocca dello stomaco. Non riusciva davvero a capacitarsi di
come guardarla sembrasse spazzare via dalla sua mente ogni pensiero,
ogni ombra, riempiendola di una luce calda, che sapeva sempre di casa.
«Cos’hai da fissare?»
Un paio di sopracciglia corrucciate nella sua direzione lo scossero
dalle proprie fantasticherie, facendolo sobbalzare.
«I-Io?», balbettò, potendo quasi vedere
le proprie parole inciampargli sulla lingua e correre in cerchi in
preda al panico.
Astrid girò il busto verso di lui, scrutandolo con quello
che gli parve sospetto. O forse semplice perplessità.
«Non farti pensieri strani.», borbottò
dopo qualche istante di esitazione, incrociando le braccia sul petto.
«Ho solo fatto quel che era giusto.»
«Pensieri strani? Chi, io? Non so di cosa stiate parlando,
mia signora.», scherzò sardonicamente Hiccup,
facendo spallucce.
Astrid sbuffò voltandosi, non riuscendo del tutto a
nascondergli il sorriso che le era sbocciato sulle labbra.
«Che c’è, piccola? Lo strambo ti sta
infastidendo?»
Moccicoso li raggiunse, lanciando un’occhiata di traverso al
figlio del capo villaggio prima di sistemarsi accanto ad Astrid,
cercando di gonfiare tutta la muscolatura visibile.
«Un’altra parola e ti butto in mare.»,
ringhiò la giovane Hofferson, scostandosi da lui sprezzante.
«Moccicoso.», lo chiamò Hiccup piano,
facendo roteare con stizza la testa al suddetto vichingo.
«Dove…»
Indicò il suo cinturone, al quale era assicurato un
familiare pugnale dall’impugnatura bianca.
«Ti piace?», ghignò il Bifolko,
sfoderandolo e giocherellandoci davanti ai suoi occhi sgranati.
«L’ho trovato oggi nel bosco.»
«“Trovare” non mi sembra il termine
più appropriato. Quel pugnale è di Dagur e tu
l’hai rubato facendolo andare su tutte le furie!
Cos’hai nella testa? La situazione era già
abbastanza tesa senza che lui perdesse la testa anche per quello! E se
avesse fatto del male a Testa Bruta?»
«Quanto sei lagnoso! “Rubare”,
“trovare”… è lo stesso, ora
è mio.»
«Quale parte di “è di Dagur”
non riesci ad afferrare?»
Il giovane scrollò le spalle, con aria indolente.
«E allora? Cos’avresti intenzione di fare?
Strapparmelo con la
forza?»
«Moccicoso.»
Astrid gli afferrò il braccio, glielo torse e lo
rovesciò a terra con un solo, fluido, movimento.
Quando gli occhi azzurri del prode Jorgenson si spalancarono e videro
il volto furente della ragazza chino su di lui, si addolcirono.
«Ouch.
Tu sì che sai come farmi girare la testa,
dolcezza.», miagolò con sguardo allusivo, senza
perdere un colpo.
Trattenendo un conato di vomito, Astrid gli schiacciò lo
sterno sotto la suola dello stivale, recuperando il coltello di Dagur
con
uno strattone. «Requisito.»
Soffocando una risata nel palmo della mano, Hiccup scosse il capo.
Forse non sarebbe stato poi così spiacevole, quel viaggio.
.:~*~:.
YEEEEEEEEE~AH, BABY! ♪ Eccoci qua con la partenza dei prodi eroi di
Berk (???)! :D *lancia i coriandoli* Che Dream Team… ehi, ho
scoperto che le fansss
d’oltreoceano ritengono che Stizza Bifolko sia sexy. O____o
Chi l’avrebbe mai detto. Personalmente non ho mai fatto caso
al suo aspetto, visto che caratterialmente mi repelle. XD
Testa di Tufo comincia a delirare per la febbrah e tutto lo temono!
Ahahahah! XD Io lo adoro. *abbraccia Testa di Tufo* Credo che, fra i
gemelli, sia quello con il cuore più tenero…
nonostante le stramberie. Tra l’altro, indossa ancora i
vestiti della sorella, mannaggia a lui. X°D *sigh*
E poi Dagur! Oh, sì, finalmente il lato più
squilibrato di lui comincia a venire a galla! Tuttavia, visto che il
rating della storia è
giallo e il genere non
è un horror o splatter, non
esagererò o farò descrizioni troppo esplicite di
quello che combina sull’isola. Certe volte lasciare
all’immaginazione i dettagli macabri è
più inquietante che mostrarli. Bravo ragazzo, Dagur.
Simpatico. Tutto suo padre! XDDDD
Oswald. Non lo so davvero. Non ho nulla a cui aggrapparmi, per la sua
caratterizzazione, a parte un bozzetto del suo aspetto e quel che si
dice di lui nella serie. Ho voluto tener fede alla natura del suo
soprannome inglese, che sarebbe “The Agreable”,
ovvero “Il Ragionevole”. Spero di essere riuscita a
caratterizzarlo decentemente. Penso sia un uomo molto
triste… perché ama suo figlio ma è
consapevole di ciò che è (tra l’altro,
ha notato
il livido sulla mano di Hic e ha fatto due più due dopo quel
che aveva visto la mattina quando Dagur era felicemente asciutto
contrariamente agli altri bambini). “Varúlfur”,
il titolo del capitolo, sta per “licantropo” o,
più semplicemente, “uomo lupo” e
l’ho usato come indizio per rivelare quel che Oswald dice fra
le righe: “Voi non avete la più pallida idea di chi sia mio
figlio.” Dagur è feroce e spietato come un lupo e
non solo: nella tradizione nordica la figura del lupo rispecchiava
quasi sempre valori che spaziavano dalla crudeltà,
all’astuzia, all’inganno alla sete di sangue e
all’istinto vendicativo. I berserker, inoltre, pare si
vestissero con pelli di lupo e orso e bevessero il loro sangue per
assorbirne la forza. Sinceramente ci vedo molto di Dagur in tutto
questo. Sarebbe un ottimo leader in tempi di guerra (per nulla in tempi
di pace)... e poi ce l'hanno fatto vedere solo, in un accampamento
pieno di ossa e teschi di drago, quindi di certo sa come cacciare e
sopravvivere per conto proprio. Davvero, una macchina da guerra.
E povera Testa Bruta… con la febbre, su un’isola e
in compagnia di Kill Joy. XD Ogni tanto delira e crea meridiane.
Ahahah! X°D Se vi siete mai beccati la febbre ad
agosto sapete perfettamente come sta. XD … Come dite? Solo
gli scemi si ammalano ad agosto? Ma io mi sono ammalat… oh.
…
Tra parentesi, l’isola è di tipo
mediterraneo. Niente scimmie e banane, per intenderci. L’ho
inventata di sana pianta perché non esistono mappe
dell’universo di Dragon Trainer. Per il momento. Fra qualche
mese probabilmente sì. *fissa Hiccup* Ho letto da poco Il Signore delle Mosche....
quindi, in parte, mi sono ispirata a quella storia per l'ambientazione
e per l'idea della pira. Non so una ceppa di nulla sulla sopravvivenza,
quindi perdonatemi se ho scritto strafalcioni a riguardo. ;___; Ho
fatto
qualche ricerca e dovrò farne ancora, prima di procedere col
prossimo capitolo. Yep! *solleva il pollice con convinzione*
Avete visto i trailer in italiano del film? *-* Ci siamo quasi! Aw,
ma come si fa ad aspettare fino ad agosto senza spoilerarsi tutto?
TT____TT
Lasciamo perdere, va’! XD
Grazie a chi ha letto
la storia, in particolar modo a Cipress
che mi ha anche lasciato i suoi commenti. Grazie! :)
See ya,
Shadow
Eyes
|
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Capitolo 6 *** Creare un ponte ***
Deranged:
i pazzi
crescono senza innaffiarli
Capitolo
VI: Creare un ponte
A volte conviene morire per
essere un pochino
rivalutati.
- Luciano De Crescenzo
La selce incideva le tenere venature verdi del bastone affondando,
intagliandole, salendo, modellandole.
I movimenti della mano di Dagur
erano veementi, sistematici e avevano tutta la sicurezza che derivava
dall’abitudine. Con occhio attento il Grande Guerriero
scrutò la punta acuminata che stava ricavando,
soffiò via la segatura che la ricopriva e
riprese
a scalfirne la superficie irregolare con la pietra.
Nel suo piccolo accampamento improvvisato regnava la canicola del primo
pomeriggio, scandita dall’infaticabile ronzio degli insetti.
Lui e Testa Bruta erano riusciti a raggiungere di buona lena
l’ampia grotta che aveva scovato durante la sua precedente
perlustrazione; si
trovava ai
piedi dell’altura che sovrastava l’isola ed era
circondata in ogni direzione dalla folta macchia di arbusti indigeni.
Senza perdere un solo istante l’avevano setacciata, trovando
al suo interno soltanto
vecchie tracce di animali e un piccolo tunnel, che terminava con una
fenditura nel terreno troppo buia per essere esplorata senza una
fiaccola. Poco male,
si era detto Dagur: sapere dove portava era un problema
minore. Data l’ampiezza, era certo che nessun animale di
grossa taglia sarebbe potuto fuoriuscirci e, una volta ottenuto il
fuoco, avrebbe avuto tutto il tempo di controllare cosa ci fosse al suo
interno.
Mormorando tra i denti, il berserker premette l’indice sulla
punta, ormai
aguzza, della sua arma, saggiandone la durezza e il filo. Il legno si
piegò leggermente sotto la pressione del suo dito.
Poggiò la lancia a terra; non andava bene ma, del
resto, doveva ancora applicarle il tocco finale, se voleva considerarla
pronta all’uso.
Non sarà una
spada ma…
Sollevò il capo quando sentì il familiare
strascichio di piedi di Testa Bruta avvicinarsi. Le lanciò
un’occhiata furtiva mentre lo superava e gettava
svogliatamente un mucchio di rami su una piccola catasta che aveva
creato davanti all’ingresso della grotta. Le aveva ordinato
di raccogliere legna, frasche e qualsiasi tipo di pianta secca presente
nei dintorni, aspettandosi lagne su lagne e gesti sdegnosi. Con sua
grande sorpresa, invece, la ragazza si era limitata ad annuire e quella
era già la terza volta che faceva ritorno con le braccia
cariche di sterpaglie. Per quanto sbuffasse e gli lanciasse occhiatacce
sanguigne, non si era riposata un solo istante. Forse non era poi
così inutile come pensava. Oppure era la paura di essere
abbandonata a se stessa, a farle muovere le gambe così
rapidamente. In ogni caso, si stava comportando come un ottimo gregario
e lui stava cominciando ad apprezzarne la presenza al suo fianco. Non
che lei avesse bisogno di
saperlo, ovviamente.
«Ce ne hai messo di tempo…!», la
salutò roteando gli occhi, solo per il piacere di vederla
voltarsi lentamente verso di lui con lo sguardo livido e gonfio
d’irritazione.
«Ne hai di fegato a parlare così, visto che sei
rimasto seduto a grattarti la pancia per tutto il tempo, Grande Idiota
dei miei stivali.», sbottò la giovane, scrollando
il capo e lasciandosi cadere a terra con un tonfo.
«Oh, andiamo, Testa
di Rapa…», fiatò Dagur con
esasperata incredulità, avvicinandosi a lei con un sorriso
sempre più largo e beffardo. «non dirmi che te la
sei presa! Che c’è, la piccola, fragile
femminuccia di Berk non ce la fa più?»
Sghignazzando senza ritegno, si sedette al suo fianco e
afferrò un ciocco di legno piuttosto piatto e largo,
ponendoselo davanti alle gambe. Afferrò poi una manciata di
legnetti, muschio e li sbriciolò insieme sopra di esso.
«Testa Bruta.»
«Mh?»
«Mi chiamo Testa Bruta.», sibilò la
Bifolka e le sue iridi assunsero le sfumature del mare in tempesta.
«Vuoi sapere perché
mi chiamo così?»
Prima che Dagur potesse anche solo aprire bocca, Testa Bruta torse il
collo e gli sferrò una testata dritta contro la fronte,
mandandolo a gambe all’aria.
Per la seconda volta nella stessa giornata,
il berserker si ritrovò fissare il cielo con gli occhi che
parevano volergli precipitare
fuori dalle orbite. L’aveva fatto ancora, non poteva
crederci! E dire che si era raccomandato di non sottovalutarla mai
più.
Dannata, imprevedibile,
violenta…!
Testa Bruta sogghignò, divertita dalla sua espressione e
–
cosa che gli fece serrare i pugni – non mostrò
alcun segno pentimento per quello che aveva fatto.
Dagur si sollevò di scatto, poggiandosi una
mano sulla parte lesa. Aveva ormai perso il conto di tutte le
escoriazioni che aveva sul corpo, non solo per il gran numero ma anche
perché quella ragazza aveva un eccezionale talento a
procurargliene nuove di continuo. Dettaglio che, a dirla tutta, non gli
dispiaceva affatto: Testa Bruta non gliela dava mai vinta e gli teneva
sveglia
quella parte irrazionale della mente che di solito a Berk era costretto
a sopire. Così, contro ogni sua aspettativa, si
ritrovò a ridere come un matto. «Sai
cosa?», eruppe, sentendosi innaturalmente euforico.
«Comincia a piacermi come ragioni!»
«Oh. Grandioso.»,
brontolò la giovane vichinga, schioccando con tedio la
lingua. «Adesso non c’è più
gusto nemmeno a infastidirti.»
Si scrutarono in silenzio per qualche istante, finché Testa
Bruta distolse lo sguardo. Se ne stava seduta a gambe incrociate,
ingobbita in avanti con le braccia strette attorno
all’addome. A quella distanza, Dagur poteva chiaramente
percepire il calore che il suo corpo magro strava irradiando tutto
attorno a sé: era quasi come avere un piccolo
falò acceso al suo fianco. La voltò bruscamente e
le appoggiò una mano sulla fronte: era umida
di sudore e bollente.
«Che c’è?», domandò
lei sulla difensiva, scostandosi. «Sto bene.»
Il Grande Guerriero storse le labbra. No, si era sbagliato. Non era la
paura a farla
ancora muovere. Era l’orgoglio.
Puro, semplice, egoistico orgoglio. Per la prima volta da quando erano
stati costretti a stare insieme, scorse il baluginio di un sentimento
familiare, qualcosa che creava un ponte tra loro, qualcosa che poteva
fargli comprendere un po’ meglio quella ragazza
appallottolata a un soffio da lui. Perché
d’orgoglio, oh sì, ne era pregno fino alle ossa e
avrebbe preferito farsi tagliare la testa, piuttosto che ammettere di
essere stanco e disorientato quanto lei.
Senza dire nulla, recuperò la selce e la puntò
dritta al petto di Testa Bruta.
«Ora ascoltami.» Piantò la punta
acuminata della pietra nel ciocco che aveva davanti alle gambe,
tracciando un solco dal centro ad uno dei lati. «Prendi un
rametto robusto.»
La Bifolka inarcò un sopracciglio a quella richiesta ma si
voltò verso la catasta e ne afferrò uno
che sembrava fare al caso suo. Dagur la osservò
rotearlo tra le dita, per controllare che fosse sufficientemente
resistente e, solo allora, notò il pallore sempre
più
accentuato del suo viso, contrastato solo dal livido che le aveva
procurato sullo zigomo. Con un grugnito, le strappò il
bastoncino dalle mani e lo puntò al centro del pezzo di
legno, dove iniziava la traccia.
«Guarda attentamente quello che faccio.» Mosse con
forza il bastoncino lungo la guida che aveva inciso, avanti e indietro,
facendo svolazzare attorno alle sue mani particelle di polvere e
piccoli pezzi di segatura. «Vedi questi piccoli pezzettini di
legno? Devi avvicinarli
tutti a quel piccolo mucchio di muschio secco e ramoscelli che ho
preparato. Più sfregherai, più saranno caldi e,
più saranno caldi, più sarà facile che
questo piccolo nido prenda fuoco.»
«Fuoco?»,
ripeté Testa Bruta, con gli occhi azzurri che presero a
brillarle per l’interesse.
«Sì, fuoco.», annuì Dagur,
soddisfatto di vederla così entusiasta. «Ne
abbiamo bisogno per difenderci, cucinare e per completare
quelle.»
Indicò con un cenno del capo le due lance
improvvisate che aveva terminato di appuntire.
Un sorriso fiorì sulle labbra sottili della gemella a quel
pensiero, allargandosi fino a scoprirle i denti. «Comincia a
piacere anche a me come ragioni. Finalmente.»
Dagur si alzò in piedi, stiracchiandosi.
«Naturalmente ci vorranno ore prima che tu
riesca a produrre una vera e propria fiamma. È difficile per
me, che sono un esperto,
figuriamoci per te. Nel frattempo
vado…»
Un’improvvisa ondata di calore contro la schiena lo fece
sussultare. Si voltò si scatto verso la sua compagna
d’avventure, che stava fissando con estatica gioia il
bastoncino in fiamme.
«Sei stata tu…?»
Testa Bruta, con ragguardevole nonchalance, si spense un sopracciglio
in fiamme. «No.»
«Ci siamo solo noi due su quest’isola!»
Il berserker alzò gli occhi al cielo. «E comunque
ti
sembro forse tuo padre? Non sei nei guai!»
«Oh. Giusto.»
«Allora?»
«Be’, che posso dire… è un
talento che abbiamo sempre avuto.»
«“Abbiamo”?»
«Sì, io e mio… fratello.»,
finì per mormorare Testa Bruta, ingobbendosi ancora di
più in avanti.
«Seiðkona.», borbottò Dagur
allontanandosi con un brivido.
Afferrò le due lance e attese che la giovane
bruciasse parte della legna che aveva accumulato. Tenendole
ben salde, le fece poi sporgere sulle fiamme, lasciando che il calore e
le
scintille ne lambissero la superficie finché non si
annerì. Sfidando il calore del legno, saggiò
nuovamente il taglio, stringendo il labbro tra i denti. «Mh,
non male. Ora posso andare a caccia e a recuperare altra legna. Tu
resta qui e bada al fuoco.»
«Cosa? E lasciare a te tutto il divertimento?»
«Non ho bisogno di una palla al piede. La caccia è
fatta di silenzio e concentrazione… cose che tu non sei in
grado di
fare.»
«Ah, sì?», sbottò Testa
Bruta, sfregando un bastoncino contro il tronco, facendolo incendiare
di colpo. «E tu non sei in grado di fare questo!»
Dagur gonfiò il petto, ostentando un’aria di
superiorità, anche se dentro di sé ardeva dalla
voglia di capire come accidenti ci riuscisse. Magia. Questa ne era
la
conferma. Era finito su un’isola deserta in compagnia di una
strega irascibile.
Si voltò verso il bosco e trasalì quando un
bastoncino che Testa Bruta gli lanciò contro lo
colpì alla nuca, sorridendo appena al tonk! che
l’impatto produsse.
«Sono sicuro che questa volta
funzionerà.»
«Ah, è così?» Skaracchio
sollevò gli occhi azzurri su di lui, inarcando un
sopracciglio cespuglioso. «Se non sbaglio, l’hai
detto anche dieci minuti fa e poi abbiamo passato tutto il tempo a
districare Astrid e Moccicoso da quel dannato aggeggio.»
«Già e gradirei che non accada mai più.»,
si premurò di sottolineare la giovane, delicata Hofferson,
accarezzando distrattamente la superficie lucida della sua ascia.
«A me non è per niente dispiaciuto.»,
dichiarò Moccicoso sorridendo a trentadue denti,
ritrovandosi subito dopo il filo dell’arma di Astrid puntato
contro la gola.
«Mmh… forse ho fatto un errore di
calibratura.»
«Ed eccolo che riparte!», sbuffò
l’impavido Jorgenson, scuotendo il capo annoiato.
Nota mentale: evitare di
riparare le proprie invenzioni in uno spazio angusto come il ponte di
una nave, pensò tra sé Hiccup,
chinando lo sguardo. Non era abituato ad avere intorno nessuno a parte
Skaracchio, quando realizzava o rappezzava qualcosa e, le punte delle
sue orecchie di un rosso quasi fosforescente, ne erano la
dimostrazione. D’altronde aveva ben poco da fare al momento
e, per placare un po’ i pensieri che si agitavano come vespe
nella sua
mente, preferiva tenersi impegnato con quel prototipo difettoso,
piuttosto che prendere parte alle discussioni sulle armi, i draghi e la
vichinghitudine che ogni tanto intavolavano i suoi coetanei.
Prese a tormentarsi tra i denti l’interno della guancia
mentre la sua attenzione tornava alla sfera metallica che scintillava
sul palmo della sua mano; curioso, eppure gli sembrava di aver
calcolato bene ogni minimo dettaglio durante la progettazione. Il peso,
la forma di ogni parte, la quantità di rete che poteva
contenere, il meccanismo a molla che serviva ad espellerla
all’esterno. Cosa accidenti gli era sfuggito?
«Permetti?»
«Uh?»
Una mano afferrò la sua piccola invenzione prima che potesse
rendersene conto e, un istante dopo, Hiccup si ritrovò a
fissare Testa di Tufo Thorston, calamità naturale del
villaggio, mentre esaminava l’oggetto con una delicatezza e
uno sguardo critico mai visti prima.
«Non credo sia una buona idea…»,
tentò Hiccup, allungandosi per recuperare la sfera.
Testa di Tufo scosse il capo schioccando ripetutamente la lingua sui
denti e lo bloccò, come se nulla fosse, piazzandogli una
mano sul volto e spingendolo di nuovo a sedersi.
«Mio giovane amico…»,
cominciò il gemello, facendo un ampio gesto con il braccio.
«Non noti nulla d’insolito qui?»
«“Giovane”?»
«Ѐ chiaro! Hai dimenticato di aggiungere il meccanismo di
sblocco della sicura. Una cosa del genere rende un’ottima
idea come questa estremamente instabile!»
«Il coso
della cosa?»,
intervenne eruditamente Moccicoso, estraendo
dall’orecchio un pezzo di cerume e gettandolo via con una
scrollata di spalle.
«Lo sblocco della sicura…»,
balbettò Hiccup, battendosi una mano sulla fronte.
«Ma certo! Come ho potuto dimenticarmene?»
Fece per recuperare la propria invenzione quando qualcosa
nell’espressione di Testa di Tufo gli fece accapponare la
pelle e paralizzare il corpo: gli bastò un battito di ciglia
e tutta l’ottusità e la sventatezza che lo
caratterizzavano riemersero, travolgendo e annegando il suo inusuale
buon senso.
«Oh… cos’è
questo coso?»
«No, aspetta! Non toccare…!»
L’eco delle sue parole avrebbe continuato a rimbombargli nel
cervello per un bel po’. La sfera esplose sparando una
sottile rete metallica tutto intorno. Hiccup si sentì
trascinare a terra e rotolò sulle assi della nave,
ritrovandosi naso a naso con Testa di Tufo.
«Fantastico.»
«Ehi.», sibilò il gemello, fissandolo
con gli occhi ridotti a due fessure. «Solo perché
siamo legati insieme, questo non vuol dire che tu o questa situazione
mi piacciate. Mh, oppure sì? Voglio dire, ne ho passate di
peggiori… soprattutto con mia sorella. E tu
non sei né rozzo né virile quanto lei,
quindi…
non lo so. Devi pensarci su. Più tardi ti farò
sapere.»
Hiccup sospirò sonoramente. Fortunatamente per lui,
Skaracchio arrivò immediatamente in suo soccorso tra le
grasse risate di Moccicoso e del suo degno padre.
Grattandosi il capo con l’uncino, l’omone
lanciò un’occhiata obliqua a Testa di Tufo e prese
a districare con pazienza e rapidità la rete.
«Credo dovremmo legarlo a testa in giù
all’albero maestro… con Thorald
l’Isterico ha sempre funzionato.»
«Ah, sì?»
Skaracchio tirò quel guazzabuglio metallico, liberandoli.
«Be’, per lo meno dopo che sveniva non dovevamo
più ascoltarlo.»
Hiccup non poté fare a meno di sorridergli mentre si tirava
a sedere, raccogliendo fra le braccia la rete che l’armaiolo
gli stava
porgendo e cominciando a piegarla per la seconda volta.
Da quando erano partiti, avevano stabilito dei turni di rotazione per
le vedette. Guidati dall’esperienza di Johann, Mulch e Bucket
– soprattutto dei primi due – tutti i passeggeri
sapevano in quale direzione si muovevano le correnti e dunque quali
zone tenere d’occhio per trovare possibili rimasugli dei due
dispersi. Il primo turno era toccato proprio a Hiccup e Skaracchio, che
avevano passato un’ora a scrutare il mare e
l’orizzonte senza riuscire a scorgere nulla a parte qualche
sporadico gabbiano. Il secondo turno era toccato a Moccicoso e Mulch,
il terzo lo stavano facendo Stizza Bifolko e Gambe di Pesce.
«Che fai? Perdi ancora tempo dietro
quell’aggeggio?»
Ancora Moccicoso. Hiccup lo ignorò. Se quel che aveva visto
Johann, ossia un Incubo Orrendo che stava trasportando la rete con
Testa Bruta e Dagur ancora freschi e pimpanti al suo interno,
corrispondeva alla verità, dubitava che il drago avesse
avuto il tempo di fare uno spuntino a mezz’aria. A quel punto
sarebbe stato davvero plausibile ipotizzare che fosse atterrato su una
delle isole nei dintorni e poi…
«Ragazzi, io non ho ancora capito perché stiamo
facendo tutto questo. Cioè, ok, d’accordo,
troviamo la testa di Dagur e la
portiamo a suo padre... e allora?»,
domandò Moccicoso in tutta la sua rifulgente
insensibilità. «Non ha alcun senso!»
Mentre recuperava i frammenti della sfera, Hiccup poté quasi
vedere Astrid sollevare il mento e digrignare i denti.
«La tua
presenza su questa nave non ha senso. Se non vuoi aiutare,
perché sei qui?»
«Perché non potevo mica lasciarti in mezzo a
questo branco di zoticoni!», replicò
mellifluamente il giovane Jorgenson, strizzandole l’occhio.
«Giuro che...!»
«Ehi… se mia sorella se l’è
mangiata un drago, io mi prendo la sua camera.», li
interruppe Testa di Tufo, grattandosi il mento. «Un
momento… se la sua
camera è già la mia camera, allora
io non ho niente!»
«Testa di Tufo? Taci.», lo minacciò
Astrid, la cui – scarsa – pazienza era ormai agli
sgoccioli. «O la prossima cosa che vedrai sarà
questo!»
Sollevò il pugno contro il naso del gemello che lo
esaminò affascinato.
«Whoa…», disse Testa di Tufo, chinandosi
in ogni direzione per guardarlo meglio. «Aspetta, aspetta!
Fammi indovinare: c’è un dolcetto, là
dentro? No? No… mh, allora cosa…»
«Ci siamo!»
La voce di Johann salvò il geniale vichingo da un incontro
ravvicinato con le nocche di Astrid, che sentiva chiaramente ogni dito
formicolarle per il mancato rilascio di violenza prima su Moccioso e
ora su Testa di Tufo.
«Questa è la prima isola della lista!»
Tutti i piccoli vichinghi si precipitarono a poppa, travolgendo il buon
Hiccup nel processo. La rete e i pezzi del marchingegno volteggiarono
in aria, spargendosi nuovamente lungo il ponte della nave. Succhiando
le labbra in una linea amareggiata, il figlio di Stoick si
sollevò, raggiungendo il capannello di curiosi.
«Questa… è
un’isola?»
«Sarà sì e no grande quanto il
villaggio!»
Davanti ai loro occhi, si ergeva una piccola, graziosa isoletta che
brillava dei riflessi dell’acqua circostante. Oltre la sabbia
dorata, vi erano alberi di piccole dimensioni che disegnavano un
cerchio verde che era possibile, a pochi metri, abbracciare con lo
sguardo per intero.
«Be’, vi avevo detto che le isole di questa zona
sono quasi tutte piccole e disabitate.», ricordò
loro Johann, lisciandosi i baffi lucenti. «Poco male, no?
Meno territorio da controllare!»
«Scommetto che posso fare l’intero giro
dell’isola in meno di dieci minuti!», disse
Moccicoso, tirando una gomitata nelle costole a Testa di Tufo.
«Dieci minuti? Io ce ne metto cinque!»
I due saltarono giù dalla nave, correndo e spintonandosi
lungo la spiaggia.
«Ma non aveva il cuore spezzato per l’assenza della
sorella?» Astrid li guardò accigliandosi,
trattenendo il pensiero successivo tra i denti.
Hiccup la seguì verso il resto della ciurma, unendosi ai
preparativi per lo sbarco.
«Datevi una mossa! Bucket, lascia perdere quel dannato sasso!
Non parla, non ha parlato e non parlerà mai!»,
gridò Stizza Bifolko. «Prima finiamo, meglio
è. Non sono abbastanza sbronzo per sopportarvi tutto il
giorno.»
Nel parapiglia che nacque dalla sovrapposizione della voce allegra di
Mulch, delle risposte stravaganti di Bucket, dei borbottii di Stizza
Bifolko e della risata di Skaracchio, Hiccup ebbe qualche
difficoltà a distinguere immediatamente un pigolio titubante
alle sue spalle.
«Hiccup?»
Gambe di Pesce batté timidamente una mano sulla sua spalla,
facendolo voltare.
«Ehm…»
Hiccup rimase in silenzio di fronte alla sua esitazione, preferendo
attendere che trovasse con calma il modo giusto per esprimersi. Non
aveva idea del perché ma temeva che, se avesse aperto bocca,
l’avrebbe fatto in qualche modo scappare via.
«Volevo chiederti scusa, ecco.», buttò
fuori tutto d’un fiato il pingue vichingo, tormentandosi le
mani. «Mi sono lasciato prendere dal panico e ho dato per
scontato che quel che è successo fosse tutta colpa
tua.»
«Oh.»
«Astrid aveva ragione. Non è affatto
così e
non era giusto lasciarti affrontare tutto questo da solo. Per quel che
vale, mi dispiace. Davvero.»
«Be’, io… grazie. Credo.»,
borbottò Hiccup, colto di sorpresa dalle scuse di Gambe di
Pesce. Era strano, davvero molto strano, quanto una distanza sembrasse
accorciarsi dopo una semplice parola.
«Questi sono tuoi, vero?» Gambe di Pesce gli porse
con gentilezza i pezzi della trappola a molla.
Hiccup li prese, passandosi una mano dietro il collo.
«Grazie.»
Il sorriso con cui
stava ricambiando quello del giovane gli raggiunse piano anche gli
occhi,
facendoglieli illuminare.
Dagur si piegò in avanti, i muscoli in tensione, pronti a
dargli la spinta. Qualche altro piccolo passo e quella pingue bestiola
piumata sarebbe entrata nella sua zona di caccia. Una goccia di sudore
gli scivolò lungo il mento, staccandosi e infrangendosi sul
ramo sul quale se ne stava appollaiato.
Solo qualche minuto prima aveva scovato nell’erba tracce
fresche, impronte di quelli che avevano tutta l’aria di
essere zoccoli e si era arrampicato sull’albero
più vicino per vedere se riusciva a scorgere
l’animale che le aveva lasciate. Nei dintorni, tuttavia, non
sembrava essercene traccia.
Non appena si era chinato per scendere dalla sua postazione da
sentinella, però, per un qualche scherzo del caso, una
beccaccia era atterrata a qualche metro da lui. Non era certo uno di
quei succulenti maiali selvatici che aveva intravisto tra i cespugli
d’erica ma non era il momento di essere schizzinosi.
Non appena il volatile zampettò nei pressi del suo albero,
balzò giù dal ramo con uno scatto felino,
afferrando al volo la beccaccia la quale, non appena aveva avvertito il
rumore, aveva tentato un decollo frettoloso. Strinse il collo della sua
preda guardandola dibattersi tra le dita. I grandi occhi scuri,
spalancati, incontrarono la fredda gioia dei suoi.
Stava già pregustando quella pingue beccaccia arrostita sul
fuoco quando improvvisamente il terreno gli mancò sotto i
piedi e si ritrovò proiettato in avanti. Sbatté
contro la corteccia contorta di un ginepro, perdendo la presa sulla
povera bestia arruffata, che svolazzò via zigzagando tra gli
alberi.
Dagur scosse il capo e si sollevò con un grugnito, sentendo
la schiena scricchiolare dolorante. Qualcosa l’aveva colpito
alle spalle con forza. Qualcosa o qualcuno.
Pronto a scatenare tutta la sua furia contro l’aggressore,
sollevò la lancia, quando intravide un lungo paio di corna
ricurve a pochi passi da lui. Una capra selvatica lo stava placidamente
osservando, masticando tra i denti dei piccoli ciuffetti
d’erba appena brucati.
«Tu…!»,
sibilò, con la stessa enfasi con la quale si saluta un
nemico di vecchia data.
La capra, se avesse avuto le sopracciglia, probabilmente in quel
momento le avrebbe sollevate, tanta era la svogliatezza con la quale lo
stava guardando.
«Lurida bestiaccia.», ringhiò Dagur tra
i denti, avventandosi contro di lei, pronto a trafiggerla.
Un belato di scherno fu tutto quello che riuscì a sentire
prima la capra si defilò sotto il suo naso, al galoppo tra i
cespugli.
Bene. Sfida accettata.
Senza esitare un secondo di più, Dagur si lanciò
all’inseguimento, schivando rami e calpestando il terreno con
una smania sempre maggiore. La capra era agile, veloce e, in un battito
di ciglia, l’aveva seminato tra la vegetazione. Dagur
annusò l’aria, seguendo l’odore che
ancora aleggiava nei dintorni. Un fruscio, un guizzo subitaneo nei
cespugli ed eccola caricare a tutta forza contro di lui. Oh, ma questa
volta era pronto. Rotolando su un fianco, schivò
l’assalto, portandosi alle spalle della bestia dispettosa.
Scagliò la lancia, colpendole di striscio un orecchio.
«Dannazione.»
Il tempo di recuperare l’arma, che la capra
fuggiva in lontananza belando senza ritegno. Quando Dagur la raggiunse,
era già arrivata presso l’altura e aveva
cominciato a saltare da una sporgenza all’altra. Il Grande
Guerriero si arrampicò dietro di lei, bramandone la carne e
il sangue. Non vedeva l’ora di torcere il collo a quella
bestiaccia barbuta. Anzi, no… prima le avrebbe spezzato ogni
osso del corpo, poi le avrebbe tagliato la lingua e, solo allora, le
avrebbe dato il colpo di grazia. Aveva firmato la sua condanna quando
gli aveva fatto sfuggire la beccaccia. Nessuno si mette fra Dagur lo
Squilibrato e la sua preda. Nessuno.
S’issò su una sporgenza, ritrovandosi faccia a
faccia con la capra, che aveva ripreso a ruminare rumorosamente.
«Hai il fegato di aspettarmi?», abbaiò,
avanzando con la lancia stretta in pugno. «Peggio per
te…»
La capra storse il muso, lo aprì e ruggì con una
potenza inaudita, facendo quasi ruzzolare Dagur giù dalla
piccola montagna. Il berserker fu tentato di schiaffeggiarsi. Da quando
in qua le capre ruggivano? Ma su che razza d’isola era
finito? Se anche questo era opera di quella piccola strega…!
Quel po’ di colorito che la corsa gli aveva sparso sulle
guance, fu drenato dalla comparsa improvvisa del muso squamato
dell’Incubo Orrendo, che sovrastò la piccola
figura della capra che continuava a masticare, notevolmente poco
impressionata da tutto quello che le stava accadendo attorno.
Con gli artigli conficcati nelle rocce, il drago ruggì
ancora a pieni polmoni, investendolo con un’alitata talmente
rovente che pareva potergli sciogliere la pelle dalle ossa.
L’Incubo Orrendo si lanciò in poi volo, facendo
schioccare le mascelle poderose a pochi centimetri dal
suo spallaccio sinistro. Qualcosa si mosse nella testa di
Dagur e i più primitivi istinti di sopravvivenza entrarono
in funzione, facendolo piegare di lato. La lancia seguì
l’arco dei suoi movimenti, colpendo e scalfendo le scaglie
della coda del drago. Con un poderoso battito d’ali,
l’immensa creatura si portò lontano dal suo angolo
di tiro.
Il berserker si affacciò oltre l’orlo della
sporgenza, seguendo la planata dell’Incubo Orrendo attorno
all’isola
con il cuore che sembrava volergli saltare fuori dalla gola. Lo vide
atterrare in una zona che conosceva fin troppo bene: voleva terminare
il pranzo, a quanto pareva. E, per giunta, aveva osato ignorarlo per
andare a cercare Testa Bruta!
«Tsk!»
Se c’era un avversario degno di essere affrontato, quello era
lui.
Assurdo. O quel lucertolone era un codardo o aveva uno strano senso
dell’umorismo.
Si guardò attorno, in cerca della via più rapida
per scendere. Quasi a voler esaudire il suo desiderio, la capra
sfregò lo zoccolo a terra e lo incornò,
cogliendolo alla sprovvista e gettandolo di sotto.
Urlando improperi più o meno fantasiosi, Dagur
scivolò lungo il fianco roccioso del rilievo, riducendo come
meglio poté i danni e, non appena raggiunse la radura, si
lanciò in una corsa a perdifiato in direzione
dell’accampamento.
Quel che vide quando lo raggiunse, fu il regno di Hel sulla Terra.
C’erano lingue di fuoco ovunque, iridescenti, accecanti, che
scivolavano tra gli alberi divorandone la corteccia e sulle rocce,
erodendole tramite una sostanza gelatinosa che aveva quello stesso
odore penetrante che aveva sentito quando il drago era andato in
autocombustione.
Dagur si schermò il volto e cercò nei
dintorni segni della presenza dell’Incubo Orrendo, mettendo
da parte
la nauseante impressione che gli occhi gli si stessero
rinsecchendo nelle orbite a causa dell’eccessivo calore.
Nulla. Sembrava essersi già defilato.
Maledizione.
La cenere gli cadeva sulle spalle come neve mentre avanzava verso
l’ingresso della grotta, velato e reso spettrale dalla
cortina di fumo che aleggiava nell’aria.
«Ehi!», urlò e il pulviscolo gli arse la
gola, facendolo tossire. «Non fare scherzi, strega!»
Nessuna risposta.
Entrò nella spelonca, calciando via i residui di legna che
erano sparsi disordinatamente al suolo: c’erano segni di
lotta sparsi qua e là ma nessuna traccia di Testa Bruta.
Tamburellò nervosamente le dita sulla lancia, sentendo i
pensieri correre sempre più rapidamente, sconnessi, caotici.
E se…?
Fece per uscire, quando un piccolo cumulo bruciacchiato
attirò la sua attenzione. Si avvicinò con cautela
e
raccolse da terra un pezzo di quello che era senza dubbio il gilet di
pelle della ragazza – il resto era carbone. Serrò
le dita attorno a quel residuo d’indumento;
s’aspettava che gli bruciasse i polpastrelli ma non
sentì nulla.
In silenzio, s’alzò in piedi e
s’allontanò dalla grotta.
Dove…
Spostò gli occhi tra le fronde degli alberi, riempiendoli di
riflessi di luce vermiglia. Il rombo dell’incendio era
assordante ma
nelle sue orecchie non v’era che un continuo, sordo ronzio.
Il piccolo brandello di veste gli scivolò via dalla mano e,
poi, fu tutto rosso.
.:~*~:.
Si vede come mi sto divertendo come una pazza? XD
*accende il grammofono*
Bene, miei piccoli amici! Benvenuti a questa nuova puntata su Super
Quark!
Ahahahah! X°D Ultimamente quando scrivo le note di fine
capitolo mi sembra davvero di essere parte di un mini
documentario… forse esagero e non dovrei controllare tutte
queste cose. È più forte di me,
però… non posso farci niente. TT______TT
Per scrivere tutto questo ho fatto davvero alcune ricerche sulla
sopravvivenza (ricerche non ovviamente approfondite, giusto per avere
un’infarinatura generale… alla fine, questa
è un’avventura tra il fantastico e il comico,
essere pignoli e realistici per queste cose non mi sembrava una buona
idea). Quindi ho preso per buona la parte di trovare/creare un rifugio,
andare a caccia (anche se in realtà si dovrebbe cercare di
consumare meno energie possibile di giornata in giornata), trovare un
sistema per recuperare l’acqua, etc. e poi ho cercato di
mettere tutti insieme cercando di conservare l’atmosfera
originale (idiota) della storia. Il tema che ho voluto inserire, questa
volta, è la creazione di un legame (d’amicizia in
questo caso)... certe volte basta un gesto o un pensiero, per creare un
ponte tra due persone. Un po’ come hanno fatto Gambe di Pesce
e Astrid (nel capitolo scorso) con Hiccup o Dagur (anche se a modo suo)
con Testa Bruta. Spero davvero fosse tutto comprensibile!
Per quanto riguarda il sistema che usa Dagur per accendere il fuoco,
è un metodo che ho trovato sul web e si chiama: “aratro di fuoco”.
È più semplice a farlo che a spiegarlo, davvero.
XD Anche se per accendere un fuoco con questo sistema serve legna
secca, pazienza, dedizione, pazienza, bestemmioni e, ancora, pazienza.
È difficilissimo accendere un fuoco così. XD I
gemelli Thorston sono sempre andati a braccetto con gli esplosivi e le
fiamme, però… mi piaceva l’idea che
Testa Bruta riuscisse ad incendiare il bastoncino in un nulla.
Così, tanto per convincere inconsapevolmente ancora di
più Dagur di saper usare la magia (ricordo che per
“Seiðkona”
intende, in un certo senso, il termine “strega”. Il
Seiðr era un tipo di magia sciamanica praticata quasi solo
esclusivamente da donne, di tradizione antico nordica e germanica). XD
In realtà è solo il mio triste umorismo a far da
padrone in quella scena… di realistico non
c’è nulla.
Oh! Quella cosa del poggiare il bastone ancora verde sul fuoco per
indurirlo la fanno/facevano i pastori. True story, bro.
La selce
che ha usato Dagur per affilare le lance, è una pietra che
veniva anticamente utilizzata per questo scopo e non solo. Nello scorso
capitolo ho scritto che a Testa Bruta fosse familiare perché
ho pensato che l’avesse vista qualche volta al villaggio.
Per quanto riguarda la pallina
che sta riparando Hiccup sulla nave… niente. Mi serviva e la
sono inventata di sana pianta! X°D Non l’ho mai vista
nel film o nella serie… per crearla mi sono ispirata tanto
al suo scudo multi-uso. Non so assolutamente nulla di nulla su come
funzionano queste cose… sono sempre stata una capra in
fisica e non ho mai studiato meccanica, quindi prendete con le pinze il
mio discorso sul quel marchingegno difettoso è gettatelo tra
le fiamme e non rileggetelo mai più. MAI PIÙ.
…
Salvatevi almeno voi! XDDDDDD
Dagur. Dagur. Oddio. XD I mal di testa che mi fa venire lui non me li
fa venire nessuno. ;____; Io spero sempre che la caratterizzazione vada
bene e sia coerente con tutta la storia. Per capire un po’
compre potrebbe essere Dagur quando è amichevole (che
parolone!) mi affido sempre alla puntata “La Notte e la Furia”.
Lì in parte si vede come si comporta quando crede che
qualcuno sia dalla sua parte o suo amico.
È sempre euforico (anche se conserva
quell’arroganza e prepotenza che lo caratterizzano),
esaltato, è pronto a proteggere e addirittura a uccidere per
quella persona e… invade tranquillamente il suo spazio
personale senza battere ciglio. XD Non credo sappia leggere molti bene
i segnali negativi che le altre persone gli inviano più o
meno verbalmente. Quando trova Hiccup sull’isola è
tutto abbracci, ululati, cameratismo e braccia intorno alle spalle
mentre Hiccup è tutto ma-perché-sono-qui-oh-thor-salvatemi.
Quindi o Dagur non se ne rende conto, oppure capisce solo quello che
vuole capire.
Tra l’altro mi sembra che abbia la tendenza a dimenticare i
nomi (soprattutto delle gente che non gli interessa)…
infatti in quella stessa puntata chiama Moccicoso
“Moccichetto”. XD “Testa di
Rapa”… era… non lo so. Plausibile come
insulto e deformazione del nome? No? … Meglio tacere. XP
Da quel che ho letto su wikipedia, nella mitologia norrena, il regno di Hel (dea
degli Inferi, figlia di Loki) è la dimora dei morti ed
è descritta come una landa oscura e gelata, sferzata dal
vento e battuta dalle piogge. Non ci sono fiamme…
ma volevo rendere l’idea della desolazione che
c’era all’accampamento.
*rilegge tutto*
Per l’amor del cielo, chiudiamo questo papiro egiziano! Tutti
alle scialuppe di salvataggio! XD *si getta in mare*
Grazie a tutti coloro che
stanno seguendo questa storia con le loro letture silenti
e a Kiki75
e a Cipress
per avermi lasciato i loro commenti! Grazie, siete sempre
molto gentili! :)
See ya,
Shadow
Eyes
|
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Capitolo 7 *** Squilibrati ***
Deranged:
i pazzi
crescono senza innaffiarli
Capitolo
VII: Squilibrati
Nella vita ci sono rischi che
non possiamo permetterci
di
correre e ci sono rischi
che
non possiamo permetterci
di non correre.
- Peter Ferdinand Drucker
«Fa’ la guardia alla nave.»
La guardia
alla nave.
A quanto pare era stato degradato a cane.
Hiccup si lasciò andare ad un lungo, lento, sofferto
sospiro. Le parole di Skaracchio gli galleggiavano ancora vivide
attorno alle orecchie. Non poteva crederci. L’avevano davvero
lasciato a fare da balia a una nave. Una nave. In
realtà tutti quanti – compreso ovviamente lui
– sapevano perché era rimasto lì.
Indietro per l’ennesima volta. Escluso per
l’ennesima volta.
Hiccup, si stiracchiò annoiato sotto i caldi raggi del sole.
Forse non avrebbe dovuto far cadere in mare la mazza chiodata che gli
aveva affidato Skaracchio. Certo, aveva la coordinazione di uno yak
impagliato ed era il primo ad ammetterlo ma, in fondo, era
inciampato… capitava a tutti, no? No, a quanto pareva no.
Non ai grandi, prodi, pelosi Bifolki di Berk.
Si guardò attorno, concentrandosi svogliatamente su alcune
delle casse di legno che Johann aveva lasciato sul ponte. Forse al loro
interno avrebbe potuto trovare qualcosa per sistemare la sua trappola a
molla. A conti fatti, con il meccanismo della sicura incompleto, quella
che stava stringendo in pugno era una mina vagante. Doveva aggiustarla,
sebbene fosse quasi portato a simpatizzare per la sua condizione. Una
trappola difettosa e un vichingo difettoso, seduti mano nella mano. Romantico.
Si alzò in piedi passandosi una mano tra i capelli. Per lo
meno avrebbe avuto qualcosa da fare, oltre all’entusiasmante
attività del girarsi i pollici.
«Vediamo un po’…»,
mormorò tra i denti, aprendo un piccolo baule. Ci
frugò per qualche istante dentro, stingendo le labbra quando
non riuscì a trovar nulla che facesse al caso suo.
Proseguì con le casse e i piccoli forzieri successivi,
finché non recuperò una sottile cordicella nera.
Meglio di niente,
rifletté, prendendola e chiudendo la cassa con un leggero
tonfo.
Si appoggiò di spalle contro il parapetto, avvolgendo con
cura la corda attorno alla piccola sfera, per impedire che si aprisse
all’improvviso. Se fosse riuscita ad esplodere anche
così avviluppata, si sarebbe arreso alla propria
capacità di creare armi potenzialmente letali soltanto
quando non ne aveva la minima intenzione.
Si voltò, poggiando i gomiti sul parapetto, sentendo il
calore del legno penetrare attraverso la sottile fibra della sua
casacca e scaldargli la pelle. Lasciò correre gli occhi
verdi sull’isola, tamburellando ritmicamente con le dita. Un
ticchettio sincopato accompagnò le varie battute e, pian
piano, questa nota scordata attirò la sua attenzione.
Arrestò i movimenti e si spose in avanti, guardando in
basso: qualcosa stava galleggiando mollemente in prossimità
dello scafo, colpendolo di tanto in tanto trascinato dalla corrente.
Strizzò gli occhi, sforzandosi di mettere a fuoco quello
strano groviglio di colore indefinito. Aveva tutta l’aria di
una specie di corda.
«Non ti dispiace se ti lascio un attimo sola,
vero?», chiese con uno sbuffo all’imbarcazione,
accarezzandola distrattamente.
Saltò giù, atterrando con un tuffo fra gli
schizzi d’acqua fresca. Si avvicinò a quella
tentacolare stranezza e l’afferrò, raggiungendo la
spiaggia con poche bracciate. Tossicchiando, si scostò le
ciocche di capelli bagnati dagli occhi, esaminando con attenzione
l’oggetto: sì, era proprio una corda, non
c’erano dubbi, ed era piuttosto robusta. Possibile che…?
Con le dita sottili e veloci, sbrigliò quella matassa,
riuscendo finalmente a distinguere entrambi i capi. Erano bruciacchiati
e logori, come se fossero stati strappati con violenza.
«Dovremo erigerle una pira, vero?»
La voce di Testa di Tufo gli arrivò alle spalle, assieme ai
passi e al chiacchiericcio del resto del gruppo. Hiccup si
voltò, aspettandoli in silenzio.
«Non è mica morta!», sbottò
Astrid, con tono piuttosto seccato. «O, perlomeno, non ne
siamo certi.»
«Ѐ con Dagur, no?»
«Sì, ma…»
«Povera sorellina! Sarai sempre nei miei pensieri! Tutti i giorni!»,
eruppe drammaticamente Testa di Tufo. «… Tranne
durante la settimana di Bork. E la giornata del Monco. Oh, e durante
l’estate… fa troppo caldo per pensare.
E…»
«Testa di Tufo?»
«Oh?»
«Taci da solo o vuoi
una mano?»
«Ancora? Se ci fosse stata mia sorella, qui, mi avrebbe
colpito e basta…», affermò il gemello,
incrociando le braccia sul petto con fare canzonatorio.
Astrid roteò gli occhi sospirando. «Certi
giorni…» Si voltò di scatto,
mollandogli un pugno dritto sul naso.
Testa di Tufo barcollò dolorante. «… Ma
allora mi capisci! Grazie, Astrid, sei una vera amica!»,
dichiarò commosso.
«Hiccup!», lo chiamò Skaracchio,
catalizzando l’attenzione di tutti su di lui. «Cosa
ci fai qui? Ti avevo detto di…»
«… di fare la guardia alla nave. Sì,
sì, lo so.», tagliò corto il giovane
figlio di Stoick con un gesto della mano. «Piuttosto,
da’ un’occhiata a questa!»
Porse la corda all’armaiolo, che la controllò
inarcando un sopracciglio.
«Dove l’hai trovata?»
«Galleggiava vicino allo scafo.»
«Mh.», lo sguardo di Skaracchio
s’incupì, mentre rigirava tra le mani i resti
della fune. «Potrebbe anche essere…»
Una miriade di teste comparvero attorno a loro, sbirciando
l’oggetto in esame con espressioni curiose.
«Pensi che possano essere qui? Ma non abbiamo trovato alcun
segno di loro sull’isola!», grugnì
Stizza Bifolko, schioccando la lingua. «E, soprattutto, non
abbiamo trovato alcun segno del passaggio di un drago!»
«Potrebbero anche essere su una delle isole qui
vicino.», s’intromise Johann. «Le
correnti possono averla trasportata fin qui.»
«Ragazzi.»
«Non ora, Hiccup.»
«“Non adesso, Hiccup”, “non
c'è tempo, Hiccup”... non per essere incivile ma
possiamo saltare alla parte in cui mi ascoltate?»
«Cosa c’è?»
«Temo di averli trovati.», replicò
accigliato il giovane, indicando una sottile colonna di fumo nero in
lontananza.
Gli era sfuggito di nuovo.
Dagur scartò un cespuglio di rovi, non riuscendo quasi
più a distinguere i tronchi degli alberi che gli scorrevano
accanto a velocità sempre maggiore, turbinando in una tela
indistinta di fogliame e cortecce. Correva con lo sguardo di un
dissennato e il vento che gli fischiava nelle orecchie, cercando
tracce, frugando ovunque, pronto ad abbattere qualsiasi bestia avesse
osato frapporsi fra lui e la sua ricerca.
Un ramo gli sfregò una guancia, si spezzò e cadde
a terra, travolto dalla sua irruenza. I polmoni bruciavano, bramavano
ossigeno, chiedevano tregua ma lui non si sarebbe concesso requie, no;
la sua avanzata non si sarebbe arrestata se non di fronte al drago.
Aveva setacciato l’intera macchia di bosco vicino alla
grotta, riuscendo a localizzare l’Incubo Orrendo in una
piccola radura dove la vegetazione si diradava in piccoli gruppi
irregolari d’arbusti. Non vi era copertura sufficiente per un
agguato, così aveva caricato testa bassa ma,
l’immensa creatura, spiegate le ali, l’aveva
assalito con una fiammata ed aveva spiccato il volo, costringendolo a
proseguire la caccia.
Dagur passò la lingua sulle labbra esangui. Più i
minuti scorrevano, più le nocche impallidivano e il cuore si
contorceva dalla frenesia; poteva quasi avvertire la
lucidità dei suoi pensieri corrodersi, sfibrargli la mente e
scavare nella sua parte più buia. Non aveva la minima
cognizione di cosa lo stesse spingendo a muoversi con tanta foga.
Sapeva solo di non aver mai tollerato gli affronti e, quel drago,
attaccando il suo accampamento, oh sì, l’aveva
fatta diventare una questione personale. Voleva la testa di
quell’Incubo Orrendo, voleva vederlo contorcersi e annaspare
nel proprio sangue e lo voleva adesso.
Urlò, chiamandolo, sfidandolo. Non gli importava chi avrebbe
scovato chi. Quella bestiaccia era sull’isola
perché voleva terminare quello che aveva cominciato, ne era
certo, quindi se non fosse riuscito a stanarlo lui, tanto valeva farla
uscire allo scoperto di propria iniziativa.
«Sangue chiama sangue, drago!»,
canticchiò il Grande Guerriero tra i denti, serrando
convulsamente la presa sulla lancia. «Vieni fuori!»
Un boato esplose sulla sua testa, rovesciando una pioggia di scintille
e schegge di legno incandescenti su di lui. Non seppe esattamente cosa
accadde o come si ritrovò a ingoiare polvere riverso sul
terreno. Un lampo bianco, rovente, l’aveva investito,
spazzandolo via saettando fiamme ovunque. Non era stato in grado di
capire da quale direzione fosse piombato ma una cosa era certa: la sua
nuova nemesi era arrivata.
Dagur alzò lo sguardo, scorgendo i resti della sua lancia
fumare in una macchia contorta sul terreno. Scoprì i denti e
spuntò ma il sapore acre di terra bruciata gli rimase
attaccato al palato.
Il terreno tremò sotto i palmi delle sue mani, percosso
dalle ampie zampe purpuree dell’Incubo Orrendo che avanzava,
terribile e impressionante, verso di lui. Il berserker
lanciò un’occhiata alle sue spalle e un fremito
d’eccitazione gli fece crepitare la spina dorsale.
«Era ora.»
C’era puzza di carne bruciata nei dintorni e poteva
chiaramente avvertire le sue dita pulsare ustionate mentre le serrava
nel terreno; ma non diede peso a nulla di tutto questo. Irrigidendo
tutti i muscoli, rimase prono, in attesa.
Il lungo collo squamato del drago si protese verso la sua schiena,
vibrando d’un ringhio basso e gutturale. Lo stava annusando.
Dagur ghignò, ruotando bruscamente su se stesso, e
gettò una manciata di terra e cenere sulle narici dilatate
del drago. L’enorme rettile scosse il capo, soffiando
infastidito l’aria via dal naso e, prima che potesse aprire
gli occhi, Dagur era sul suo muso con la mano serrata su una delle sue
zanne ricurve. Facendo leva con le gambe fu un attimo e, con forza
disumana, divelse il dente, avventandosi poi furioso contro gli occhi
spalancati
dell’Incubo Orrendo. Vibrò il colpo mirando una
delle orbite e, ancora una volta, l’inferno
deflagrò sotto i suoi piedi.
Con un ruggito violento il drago, ammantato di fuoco,
spiccò il volo devastando il tetto di rami su di loro. Dagur
atterrò con scioltezza e soffocò immediatamente
le fiamme che gli lambivano gli stivali con la terra.
«Oh, cosa c’è? Ti ho fatto
male?», domandò euforico al cielo, con
l’adrenalina che gli aveva invaso e gonfiato le vene del
collo. «Torna qui! Non ho ancora finito con te!»
Spostò per un fugace istante gli occhi verdi sul suo piccolo
trofeo: fissò il liquido scuro colare lungo la zanna,
ipnotizzato dai suoi foschi riflessi amaranto. Una miriade di piccole
stelle riverberò su quella chiazza lucida mentre un olezzo
pungente s’insinuava nell’ambiente circostante.
Avrebbe riconosciuto quell’odore tra mille; senza guardarsi
attorno, scattò in direzione del bosco, mentre una pioggia
di liquido incendiario si abbatteva attorno a lui. To’,
guarda… Qualcuno aveva deciso di mantenere le distanze.
Dagur non poté fare a meno di scoppiare a ridere sentendo lo
spettro dei sensi dilatarsi al massimo della potenza; i suoi occhi
erano
iniettati di sangue e sporgevano in fuori nello sforzo di catturare e
segnalare al suo cervello quali ostacoli evitare, le orecchie erano
tese a catturare ogni fruscio, l’olfatto pronto a fiutare il
minimo cambiamento nell’atmosfera e, più correva,
più spingeva i muscoli a contrarsi, a dargli di
più, ad aumentare la forza della spinta, sfrecciando nella
macchia. Magni gli era testimone, se avesse potuto in qualche modo
scatenare l’impeto brutale che gli ardeva nel petto, avrebbe
fatto a pezzi l’intera isola. Era disumanamente insensibile a
tutti i campanelli d’allarme che il suo corpo stava facendo
trillare da tempo. Non sentiva sete o fame, né tanto meno la
fatica della corsa o il dolore delle ferite. Aveva un solo obiettivo:
raggiungere la zona più fitta del bosco, dove la vegetazione
avrebbe coperto ogni sua traccia dall’alto. Questo avrebbe
costretto il drago ad atterrare, a cercarlo e gli avrebbe dato
l’opportunità di poterlo cogliere di nuovo alla
sprovvista in un ambiente angusto.
«Uh?»
Qualcosa in quel perfetto meccanismo di moto spasmodico finì
per incepparsi, facendogli mancare di poco una roverella. Una goccia di
sudore gli colò lungo il collo. Cercò di
reprimere il fiatone in brevi e silenziosi respiri, concentrandosi
sull’ambiente circostante. L’udì ancora.
Non c’erano dubbi.
«Non è possibile.»
Era un ululato.
Si guardò attorno, confuso. Era vicino, soffocato, quasi
provenisse dal sottosuolo. Ne sentì un altro, questa volta
più flebile. Si stava allontanando.
Riprese a muoversi, decidendo di seguire quel suono. Una palla di fuoco
si abbatté a qualche centimetro da lui, spargendo sulla
vegetazione quella nota sostanza gelatinosa abrasiva. Una
piccola particella finì anche sul suo spallaccio,
sfrigolando lievemente. Dagur piantò i talloni nel terreno e
invertì la sua corsa, precipitandosi verso il terzo ululato,
saltando tra le fiamme che gli sbarravano la strada.
Non capiva cosa stesse accadendo ma aveva il netto sentore di potersi
fidare di quel richiamo. Non poteva trattarsi di un inganno della sua
mente sconvolta, non era possibile… o forse stava davvero
impazzendo; l’intera scena, dopotutto, era sovrannaturale al
punto tale che non si sarebbe sorpreso di vedere dei lupi fuoriuscire
dal terreno e caricare al suo fianco. O, peggio, dei lupi al comando della strega di Berk,
di ritorno dalle ombre di Hel!
Cercò di scuotere via l’inquietante piega mistica
che stava prendendo il suo ragionamento, procedendo a spron battuto tra
il fumo e le braci, quando il suo piede s’incastrò
sotto qualcosa; il berserker cadde in avanti e, con sua somma sorpresa,
venne inghiottito
dalla terra. O meglio, fece un capitombolo in un fosso nascosto dalle
erbe spontanee. L’atterraggio, ovviamente, fu
tutt’altro che gradevole. Dagur sbatté infatti
sonoramente la schiena contro qualcosa
di duro, sollevando uno sbuffo di polvere attorno a sé. Tra
i colpi di tosse, vide
un’ombra piegarsi su di lui.
«Ehi, deficiente, indovina un po’ dove porta il
tunnel che hai trovato nella grotta?», lo salutò
quest’ultima allegramente. «In tutta
l’isola! Giuro, non
fosse stato per quello, probabilmente ora sarei morta. O avrei delle
cicatrici da urlo… accidenti!»
Dagur si tirò su ansante, socchiudendo le palpebre;
nell’oscurità della fossa non era facile
distinguere ciò che aveva davanti. Laggiù,
infatti, riuscivano a malapena a filtrare dei flebili, solitari raggi
di sole, che riempivano di giochi
d’ombre i grovigli opalescenti delle radici che fuoriuscivano
a qualche palmo dalla sua testa. Tra quei sottili fili di luce,
tuttavia, pareva
stagliarsi la figura bianca e spettrale di qualcuno molto simile a
Testa Bruta e… per l’occhio di Odino! Non
l’aveva vista così scarmigliata nemmeno dopo la
caduta in acqua ore prima! La strega di Berk era seriamente più
inguardabile del solito: aveva gli abiti stracciati in più
punti e le braccia, le ginocchia e persino il volto erano costellati di
graffi e fango. Non solo. Il Grande Guerriero notò che tra i
capelli, arruffati in una
gloriosa matassa bionda, le penzolavano anche dei piccoli rametti. Che
fosse davvero un’apparizione? Oppure…?
Ammutolito, Dagur avanzò verso lo spirito, sopportando a
stento il fastidioso
torcesi di budella che la sua vista gli stava provocando e lo
scrutò con diffidenza.
«Mh? Ho qualcosa sulla faccia?», gli
domandò questi, tastandosi con circospezione i
lineamenti. «Ho strisciato in queste gallerie per
tipo… secoli
prima che cominciassero ad allargarsi. Oh, non ci crederai mai ma a un
certo punto c’era poca aria e credo di aver intravisto mio
cugino Lars!»
Un risolino isterico rimbombò tra i denti del berserker,
dapprima con incertezza, quasi stesse saggiando la saldezza della sua
sanità mentale, poi aumentando gradualmente di
volume, fino a trasformarsi in un latrato fragoroso che gli scosse
tutte le membra.
«Che mi venga un colpo!»,
esclamò poi, passandosi nevroticamente le dita sulle guance, quasi
a volersele riempire di pizzichi. «Sei davvero
tu!»
Abbandonata finalmente ogni paranoia, Dagur si fece avanti e,
sorridendo festante, afferrò Testa Bruta, stringendola a
sé con una veemenza tale da fargli formicolare la
punta ustionata delle dita.
«Oh, fantastico.»
La Bifolka roteò gli
occhi, lasciandosi tuttavia stritolare dal suo abbraccio da orso senza
opporre resistenza. Gli tirò persino qualche virile pacca
consolatoria – e vagamente condiscendente – sulla schiena.
«La caduta l’ha fatto rimbecillire del
tutto.»
«Un momento…» Dagur la scostò
da sé
di colpo, puntandole contro il dente del drago. «Cosa mi dice
che non sei in realtà il frutto di una qualche bislacca
stregoneria?»
«Non lo so.», disse Testa Bruta, scrollando le
spalle. «Le illusioni possono fare questo?»
Gli sferrò un calcio nello stinco, sghignazzando senza
ritegno mentre il Grande Guerriero saltellava su un piede, stringendosi
la parte lesa.
«Brutta…!», ringhiò lui, ma
mandò
presto giù il resto degli insulti, abbassando sia la gamba
che la zanna
insanguinata. Il sospetto sfumò ancora una volta via dal suo
sguardo e
dal suo giudizio, lasciando posto alla gioia più selvaggia.
«Allora sei reale!», esclamò,
spalancando le braccia.
«Oh, Thor… non di nuovo.»
Dagur riacciuffò con fervore Testa Bruta, rischiando quasi
di dislocarle tutte le ossa del corpo con la sua stretta.
«Ok, credo di stare per vomitare!»,
esalò la giovane, suonando tanto stremata quanto disgustata
da
quella sua eccentrica dimostrazione d’affetto.
Ridendo, il berserker la lasciò finalmente andare,
poggiandosi le mani sui
fianchi. «Ma come hai…? Aspetta,
aspetta… lasciami indovinare: hai usato qualche altro tuo
trucchetto, mh?»
«Uh, no, genio.», borbottò Testa Bruta,
evidentemente presa in contropiede. «Te l’ho detto,
ho usato le gallerie.»
Il Grande Guerriero aggrottò le folte sopracciglia, in un
silenzio carico di stupore. «Allora come hai fatto a
trovarmi?»
«Facile, ho seguito il fracasso che tu e il drago avete
fatto. Oh, a proposito…»
Un tonfo sordo scosse l’intero tunnel, facendo cadere del
pulviscolo dalla sua volta. Dei passi lenti, pesanti, riverberarono
lungo le pareti, facendo vibrare i sassolini sparsi ai loro piedi.
«Non dovremmo tagliare la corda?»
«Cosa? E scappare come conigli? Mai!»,
ruggì Dagur, incupendosi. «Quel drago ce
l’ho in pugno, aspetta e vedrai! Io non solo un debole! E poi…»
Per tutta la durata della tirata collerica del berserker, Testa Bruta
rimase con la schiena poggiata sul fianco della galleria a rimirarsi le
unghie. «Ah-ha, interessante.», borbottava
casualmente di tanto in tanto, ascoltando gli scoppi che infuriavano
sopra le loro teste. Il fuoco invase gradualmente il terreno
scivolando, erosivo, lungo il fosso. Una goccia di lava cadde,
atterrando ai piedi di Dagur, che solo allora si rese conto del
pandemonio che regnava fuori dal loro rifugio.
«Altro da aggiungere?», gli chiese la Bifolka
mentre un miasma incandescente invadeva tutto lo spazio circostante.
Il berserker guardò prima lei, poi l’uscita
fiammeggiante della buca e, infine, ancora lei. Non c’era
più modo di uscire da lì senza restare arsi vivi.
«D’accordo, nuovo piano: prima usciamo da
qui e poi
abbattiamo quel drago. Mh, come faremo ad orientarci qua
sotto?», sbottò affacciandosi nella galleria.
Ironicamente, l’unica cosa che riusciva ad avvistare era il
buio pesto che regnava al suo interno.
«Conosco questi cunicoli come le mie tasche
ormai.», rispose la gemella, starnutendo malamente.
«Anche se in realtà non ho tasche.»
«Fa’ strada.», tagliò corto
Dagur.
Non fece in tempo a voltarsi verso di lei che qualcosa di gelido gli
piombò sul capo, schiacciandogli le orecchie.
Poggiò istintivamente una mano sullo scalpo, pungendosi le
dita. Era il suo elmo.
«Ti servirà.» Testa Bruta lo
sorpassò. «Seguimi.»
Lo sciabordio calmo delle onde trasformava la visione
dell’isola avvolta dalle fiamme in qualcosa che poteva
appartenere solo al regno favoloso dei sogni. Un’immensa
colonna di fumo svettava quasi oltre le nuvole, sporcando il cielo di
volute dense e nere.
Il sole era a un’ora dal tramontare nelle acque limpide che
circondavano il litorale, accendendo i profili degli alberi di rosso e
oro, mescolandoli all’iridescenza delle fiamme che lambivano
gran parte della zona orientale del bosco.
Skaracchio aveva stabilito che Johann e Hiccup – con estremo
gaudio e tripudio di quest’ultimo – sarebbero
rimasti sulla nave ad un centinaio di metri dalla costa, per evitare
che l’unico mezzo che avevano per tornare in patria finisse
anche solo per errore sotto le mire del drago. Non appena avrebbero
ricevuto dei segnali di fumo prestabiliti dalla spiaggia, sarebbero
dovuti tornare a prelevarli.
Hiccup guardò con la testa stretta tra le mani le figure dei
suoi coetanei rimpicciolire mentre facevano rotta verso sud. Era stanco
di quella storia. Gli parve si essere intrappolato nel classico incubo
in cui si cerca di raggiungere correndo qualcuno o qualcosa ma si resta
sempre fermi nello stesso punto. Il problema era che, il suo, non era
l’incubo di una notte ma di una vita. Ad ogni passo che
faceva verso di loro, quelli che avrebbero dovuto essere i suoi simili,
veniva distanziato di altri cento. Non li avrebbe mai raggiunti, non li
avrebbe mai convinti di essere all’altezza di tutte le loro
aspettative se continuava a venire privato di ogni buona occasione per
farlo. Sospirò esasperato, afflosciandosi sul corrimano.
«Su col morale, Hiccup!», disse Johann,
«Ciascuno di noi ha un ruolo fondamentale. Solo
perché non ti trovi in prima linea, non sei da meno di
quelli che lo sono.»
Un silenzio pensoso fu tutto ciò che ottenne come risposta.
L’uomo si voltò a guardare quella piccola figura
demoralizzata poggiata al parapetto e inarcò tristemente le
sopracciglia.
«Ehi, che ne dici se per passere il tempo ti raccontassi di
quella volta che…»
«Perché no…», rispose
meccanicamente il figlio di Stoick l’Immenso, non prestando
la minima attenzione al resto del discorso.
Alzò il capo verso il bosco e lasciò che le
fiamme gli brillassero nelle iridi silvane, riempiendogli la mente e il
cuore. Si drizzò di colpo, lanciando un’occhiata
rapida alle proprie spalle. Johann era ancora perso a raccontare
chissà quale leggendario aneddoto. Tornò a
fissare l’isola: era ancora in tempo, la spiaggia non era poi
così lontana. Pochi metri a nuoto e sarebbe arrivato. Un
minimo di sforzo e, per la prima volta, avrebbe potuto vedere un drago
da vicino e forse avrebbe anche potuto…
Il più silenziosamente possibile, scavalcò il
parapetto, lasciandosi scivolare in acqua. Quando Johann si accorse
della sua fuga, era già a metà strada.
La corrente lo sospinse docilmente sulla riva con un tenue mormorio di
schiuma bianca. I suoi stivali affondarono fra i granelli di sabbia,
facendolo incespicare. Quello era il terzo bagno fuori programma
nell’arco di una giornata. Era sicuro di stare battendo un
record di qualche tipo.
Aveva molti dubbi sul da farsi: forse presentarsi davanti a tutti
imbastendo una maschera di nonchalance come quando gli capitava di
combinare qualche pasticcio a Berk non era esattamente
un’idea brillante. D’altro canto, anche seguirli in
incognito, per evitare che lo allontanassero e gli impedissero
nuovamente di prendere parte alle ricerche, non gli suonava affatto
come un piano migliore. Be’, a dirla proprio tutta,
l’idea stessa di ritrovarsi da solo su un’isola
potenzialmente mortale era decisamente infelice. Arrovellandosi su quei
pensieri, avanzò verso il punto in cui aveva visto dirigersi
il resto del gruppo. Non appena scorse le schiene dei suoi compagni
d’arme, si acquattò dietro dei cespugli odorosi di
mirto, colpito della sua reazione subitanea. Ottimo, quindi ci aveva
pensato il suo inconscio a decidere per lui.
Sbirciò con cautela tra le foglie: Astrid, Gambe di Pesce,
Testa di Tufo e Moccicoso erano schierati in silenzio alle spalle di
Stizza Bifolko, Mulch e Bucket, in attesa che Skaracchio terminasse di
esaminare qualcosa sul terreno. Tracce, con molta
probabilità.
«Mh, non c’è dubbio, è un
Incubo Orrendo.», annunciò l’armaiolo,
tirandosi in piedi. «Forse siamo sulla pista giusta.
L’istinto di Hic ci ha preso.»
«Tu dai fin troppo credito a quel marmocchio.»,
grugnì Stizza Bifolko.
Cori di entusiasmo misti a preoccupazione si levarono dalle file dei
ragazzi, che presero a fissare intensamente le impronte tra i fili
pressati d’erba come se il drago potesse materializzarcisi
sopra.
«Incubo Orrendo. Solo i migliori vichinghi sono in gradi di
affrontarli.», balbettò a mezza voce Gambe di
Pesce, affondando il capo dietro lo scudo. «E non noi lo
siamo. Tecnicamente non potremmo nemmeno definirci vichinghi veri e
propri… non siamo ancora stati addestrati per tutto
questo!»
«Che vai blaterando?», lo interruppe Moccicoso,
tirandogli una gomitata. «Io sono nato pronto! E
vichingo!»
«Io non ne sono certo. Ho sempre voluto fare il pulitore di
pesci.», si premurò d’intervenute Testa
di Tufo, facendo spallucce. «O il pirata. O magari
l’addestratore di yak.»
Hiccup sorrise al sospiro di pura irritazione che sfuggì ad
Astrid di fronte a quei discorsi insensati.
«Come dico sempre, la teoria serve a ben poco in questi
casi.», disse Skaracchio, incrociando le braccia dietro la
schiena. «Quello di cui avete davvero bisogno, è
imparare sul campo. Questo tipo di drago ha davvero pochi punti deboli,
quindi è fondamentale saperli sfruttare tutti a proprio
vantaggio: uno di questi è la mandibola. Bisogna tenergliela
ben chiusa, per renderlo in parte inoffensivo. Fidatevi, questo lo so
per esperienza personale.»
«Oh. Facile.»
«Ma è anche in grado di appiccare fuoco a tutto il
suo corpo!»
«Oh. Accidenti.»
«Restate quindi in formazione di difesa e osservate bene
ciò che facciamo, chiaro?», concluse
l’armaiolo, indicandoli a un a uno con l’uncino.
«Ha ragione.», concordò Bucket, annuendo
con aria docile. «Aspetta un attimo… e cosa
dovremmo fare esattamente per dare il buon esempio?»
«Darle di santa ragione a quel drago e recuperare i resti dei
due mocciosi.», gli rispose Mulch con sobrio pragmatismo.
«Oh.», l’omone sollevò un
piccolo sassolino chiaro, rigirandoselo tra le dita. «Temo
che Dan non sia d’accordo con quello che dici,
Mulch.»
«Dan è un sasso, Bucket.»
Skaracchio alzò gli occhi al cielo. «Andiamo,
prima che compia una strage!»
Hiccup scivolò lentamente fra gli arbusti a qualche metro di
distanza tra loro. Man mano che s’inoltravano nella macchia,
cominciavano a comparire i segni sempre più inequivocabili
del passaggio dell’Incubo Orrendo: rami spezzati, intere file
di alberi in fiamme o semi-carbonizzati e tronchi mozzati. Hiccup
sfiorò con le dita un mucchietto di cenere ai suoi piedi,
cominciando a chiedersi il perché di tutta quella
distruzione. Se il drago aveva mangiato Dagur e Testa Bruta,
perché sarebbe dovuto rimanere sull’isola e
perché avrebbe raso al suolo una così grande
porzione di flora? Una goccia di sudore freddo gli scivolò
lungo le vertebre della schiena. E se di draghi, sull’isola,
ce ne fossero stati due e in quel momento stesse infuriando uno scontro
tra loro? Si sarebbero trovati intrappolati tra due fuochi! Letteralmente.
Un mastichio rumoroso gli spezzò il filo del ragionamento.
Il prudente figlio di Stoick si voltò alla sua destra,
ritrovandosi a sfiorare con la punta del naso il pizzetto sbarazzino di
una capra.
«Oh, Thor.», pigolò, sgusciando
lentamente di qualche passo lontano da lei. «B-Buona,
capretta. Buona.»
L’animale selvatico l’osservò a lungo
con quelle stravaganti pupille orizzontali, masticando scompostamente
con la mascella. Hiccup, che si era immobilizzato di fronte a quel
piglio di pura austerità caprina, pregò gli dei
che non belasse – allertando gli altri della sua presenza
– e riprese ad allontanarsi carponi.
Strano, non ricordava che la consistenza dell’erba tra le
dita fosse così impalpabile, né che il vento
avesse preso a spirare con così tanta forza.
Oh.
L’intero mondo si capovolse attorno a lui, mentre ruotava
nell’aere maledicendo tra i denti quella dannata capra. Non
poteva credere che avesse atteso con machiavellica pazienza che si
rilassasse e le desse le spalle, prima di colpirlo a piena potenza. Non
si sarebbe più fidato di un ovino per il resto della sua
vita.
Cadde oltre i cespugli, schiantandosi con il sedere a terra, salutato
da otto teste girate drammaticamente nella sua direzione.
«Hiccup?»
«Ehilà…», mormorò,
issandosi sulle braccia.
«Per l’occhio di Odino, ragazzo!»,
esclamò Skaracchio, avvicinandosi. «Che accidenti
hai combinato?»
«Ehm… lunga storia. Decisamente
noiosa.», tossicchiò Hiccup, lasciandosi rimettere
in piedi dal fabbro.
«Fammi indovinare: ha a che fare con quella
capra?», sbottò Moccicoso, sollevando
imperiosamente il mento, strappando una grassa risata al padre.
Hiccup gettò un’occhiata oltre la propria spalla:
la dispettosa bestiolina stava brucando beatamente accanto a un
ginepro, dissimulando il proprio coinvolgimento da vera professionista.
«Ecco…»
«Come sei riuscito a farti sconfiggere da quella stupida
capra?!», ghignò l’impavido Jorgenson,
raggiungendolo. «È l’animale
più innocuo che potessi trovare!»
Si avvicinò alla capra selvatica con il petto in fuori e le
armi spianate, finché non udì un fruscio oltre la
corteccia contorta dell’albero vicino al quale stava
banchettando. Sollevando lo scudo, Moccicoso si sporse oltre una
piccola
siepe antistante, quando un paio di lunghe corna gli sfiorarono una
guancia.
«Mh?»
Con un ruggito furioso, qualcosa saltò fuori dalla
boscaglia, travolgendolo. In pochi, rapidi istanti si
ritrovò riverso nell’erba, con uno stivale premuto
sul petto e
la voglia di urlare come una femmina isterica dal terrore.
«Dagur?», fiatò Astrid, battendo ciglio.
«Dagur!», esclamò Moccicoso, coprendosi
gli occhi che gli lacrimavano dallo spavento con le mani.
«Grazie, Thor… te ne devo una!»
«Che Thor mi fulmini adesso!», borbottò
Skaracchio grattandosi il capo. «Ho le traveggole!»
«Allora siamo in due.», si unì Stizza
Bifolko, con tono diffidente.
Dagur sgranò le iridi sanguigne, sembrando identificare solo
allora Moccicoso. Gli tolse il piede di dosso, facendosi da
parte. Quando rivolse la sua attenzione ai presenti, Hiccup
deglutì, ravvisando il lupo che si nascondeva tra le ombre
del suo sguardo svanire man mano che si focalizzava sui loro volti.
«Se non credi ancora a quello che vedi, io sono sempre
disponibile a prenderti a calci.»
Una folta chioma bionda fece capolino da una delle spalle del Grande
Guerriero, che si voltò a guardarla arricciando le narici.
«Divertente.»
Per gli dei, tutti
questo è assurdo…,
trasecolò Hiccup, tirandosi istintivamente un pizzico
sull’avambraccio umido. Sto
sognando. Il drago ci ha polverizzati tutti e questo è lo
stranissimo aldilà in cui questi due sono vivi e vegeti e si
sopportano come vecchi amici…
«Ehi...», li salutò Testa Bruta,
reggendosi debolmente attorno al collo di Dagur. Nel trambusto
dall’aggressione, nessuno aveva fatto caso al fatto il
berserker la stesse trasportando sulla schiena. Hiccup
aggrottò le sopracciglia di fronte al suo aspetto malmesso:
la ragazza aveva tutta l’aria di essere stremata e
sull’orlo di perdere i sensi.
«Sorella!», urlò Testa di Tufo, correndo
loro incontro. «Ti credevo morta!»
«Ti piacerebbe, perdente!»
I due si scambiarono un sorriso, finché la giovane non si
accigliò, affacciandosi oltre le spalle di Dagur con uno
sbuffo.
«Ehi…», proruppe, tra i colpi di tosse.
«Quelli sono i miei vestiti?»
«Uh, no…?», negò platealmente
il fratello, guardandosi nervosamente attorno.
«Certo... ed io sono Fungus.»
«E comunque stanno meglio a me!»,
borbottò Testa di Tufo sottovoce, incrociando le braccia sul
petto.
«Ah, sì? Quando mi sarò ripresa, te la
farò vedere io!», gli sibilò contro
Testa Bruta. «Tutto questo è successo per colpa
tua!»
«Mettiti in fila, ci sono prima io.», la
bloccò il berserker, scoprendo i denti.
Il povero Testa di Tufo parve rimpicciolirsi sotto il cipiglio
inquisitore della sorella e di Dagur.
«Uh… ragazzi?», s’intromise
Gambe di Pesce, con tono conciliante. «Rimandiamo la violenza
a quando saremo tutti a casa, lontani da qui e dal drago?»
Un rombo squarciò il silenzio, facendo perdere a tutti un
battito.
Con il naso all’insù, Testa di Tufo
indicò il cielo. «Oh. Be’, forse per
quanto riguarda l’evitare
il drago siamo un po’ in ritardo.»
Un diluvio rovente si riversò su di loro, illuminando
l’intera area di riflessi vermigli. Hiccup non
riuscì a muovere un passo; avvertì la temperatura
salire sulla propria pelle, tagliandogli via il fiato dalla gola e
accartocciandogli le vene, come se il sangue al loro interno fosse
evaporato tutto via.
«Hiccup?», lo chiamò Astrid, scattando
nella sua direzione. «Hiccup, spostati!»
Lo afferrò bruscamente, tenendolo stretto a sé
con un braccio mentre rotolavano lontano da quelle spire infuocate. Con
agilità e prontezza, si sollevò poi in piedi
portando lo scudo sulle loro teste, impedendo che gli schizzi
incandescenti dell’impatto li ferissero.
«Cosa accidenti ti è preso?», lo
rimbrottò la giovane Hofferson con vigore, portandolo
nuovamente alla
realtà. «Datti una svegliata!»
L’Incubo Orrendo atterrò con uno schianto dinanzi
a loro, spalancando le ali in fiamme con un fragoroso mugghiato. Hiccup
fissò frastornato quell’immane creatura ignea,
risucchiato nell’abisso annichilente che tempestava nelle sue
pupille verticali. Tremò, schiacciato dalla paura e dalla
soggezione. Non era la prima volta che vedeva un drago ma non era
nemmeno stato mai così vicino alle sue fauci aguzze. Anche
respirare troppo forte, gli pareva terribilmente sbagliato in quel
momento. Cosa fare? Come agire? Non aveva mai visto nulla di
più terribile e maestoso in vita sua.
«Ragazzi, che state facendo? In formazione!»,
abbaiò Stizza Bifolko, scansando gli artigli
dell’Incubo Orrendo e lanciandosi all’attacco.
Il piccolo gruppo di inesperti Bifolki si riunì ai fianchi
di Astrid,
sollevando un compatto muro di scudi davanti alla visuale di Hiccup.
Dagur si portò alle loro spalle con sguardo torbido, senza
fiatare. Il giovane non era per nulla sicuro di voler sapere cosa
stesse macchinando.
«Il bestione è a corto di fuoco!», rise
Skaracchio da qualche parte di quel caos.
Hiccup non seppe esattamente cosa volesse dire,
così si alzò in piedi, sporgendosi oltre le
spalle larghe di Moccicoso.
«Che combini? Fatti da parte, Hiccup!»,
grugnì questi. «Lascia fare il proprio dovere a
chi lo sa fare!»
Hiccup lo ignorò, concentrandosi con maggiore
attenzione sull’Incubo Orrendo e capì. La forza e
frequenza cui soffiava fiamme contro di loro erano sempre minori e,
quelle che avrebbero dovuto essere sfolgoranti scaglie rosse, erano
smorte, sbiadite. Notò anche una lunga ferita che gli
lacerava le squame attorno all’occhio destro da parte a
parte; il drago era esausto.
«Ragazzi… comincia a fare caldo, non
trovate?», commentò casualmente Testa di Tufo,
trascurando bellamente un ramo infuocato che bruciava a pochi
centimetri dal suo elmo.
«Quell’Incubo Orrendo ha fatto terra bruciata
ovunque.», mormorò Astrid, guardandosi attorno:
l’incendio divampava ormai in ogni direzione, avviluppando e
consumando la vegetazione circostante. Non ci avrebbe messo molto a
circondarli.
«Non possiamo rimanere qui, dobbiamo andarcene o finiremo
arrosto!», squittì Gambe di Pesce, rivolgendosi
forse più a se stesso che ai suoi compagni.
La postura di Astrid s’irrigidì. «Hai
ragione», disse, «ma finché il drago
è qui, non possiamo andare da nessuna parte.»
Finché il
drago resta qui…, Hiccup tastò
istintivamente le tasche, ritrovandoci la consistenza di una piccola
sfera. Si morse il labbro con forza; forse era folle ma avrebbe potuto
funzionare! Trasse un paio di profondi respiri, sentendo le mani
diventare sempre più fredde e sudate.
O la va o la spacca!
Scartò di corsa i suoi compagni, con lo stomaco che
continuava a contrarsi ai loro richiami. Un brutale colpo di coda
frustò l’aria, sollevando un enorme polverone.
Skaracchio e Stizza Bifolko furono spazzati via dalla violenza
dell’impatto, schiantandosi fra gli alberi.
Hiccup tossì, sentendo il sapore aspro della terra sulla
lingua. Qualcosa lo tirò di lato, salvandolo dalla coda
puntuta dell’Incubo Orrendo, che si abbatté a
soffio da lui.
Dagur gli rivolse un sorriso disturbante. «Andavi da qualche
parte?»
Il giovane Bifolko riuscì a contenere a stento la propria
meraviglia: Dagur “Lo Squilibrato” che corre in sua
difesa? Ormai la gravità dell'intera situazione era
più che palese.
«Dagur, ascolta…»
Tra il pulviscolo e i detriti, Bucket e Mulch si erano frapposti tra la
reptante creatura e Skaracchio e Stizza Bifolko, per dar tempo ai loro
compagni di rimettersi in sesto e raggiungerli. L’Incubo
Orrendo s’impennò tra le fiamme, battendo
minacciosamente le ali.
«Guarda, Mulch! Hiccup ci sta salutando!», disse
Bucket, sventolando cordialmente un braccio.
«Cosa?» Il pescatore rimase a bocca aperta, non
appena costatò che il piccolo figlio di Stoick stava
gesticolando disperatamente nella loro direzione, facendo loro cenno di
allontanarsi.
«Fuori dai piedi!», sbraitò Dagur,
facendosi largo tra i due. «Ehi, guarda un po’ chi
è tornato a trovarti, bestiaccia!»
L’Incubo Orrendo tese il collo alla vista del berserker,
scoprendo i denti ed emettendo un ringhio basso e minaccioso. Dagur non
batté ciglio e scagliò con violenza inaudita un
sasso dritto contro l’occhio ferito del drago, centrandolo in
pieno.
«Ti sono mancato?»
Hiccup assistette alla scena con la sfera stretta nel pugno. Il tempo
prese a congelarsi tutto attorno a lui, rendendo ogni cosa estremamente
vivida e lenta. Vide Skaracchio e Stizza Bifolko strepitare qualcosa in
sua direzione e il muso del drago calare come un’ascia sulla
testa di Dagur. Non seppe esattamente cosa scattò nella sua
testa ma, quando divenne consapevole del proprio corpo che si
precipitava fra lui e l’Incubo Orrendo, era già
talmente vicino da poter sentire l’alito ardente sul viso.
Sciolse il nodo che vincolava la trappola, lanciandola contro le fauci
del drago. Parti metalliche esplosero in ogni direzione, rilasciando la
rete che si avvolse tutta attorno a quella fornace squamosa, serrandola
in una morsa.
Hiccup tornò a respirare e scorse Dagur, rimasto impassibile
di fronte all’assalto, avanzare verso di loro con
qualcosa che aveva l’aspetto di una zanna, stretta fra le
dita.
Un gorgoglio d’avvertimento riverberò alle
sue spalle. Istintivamente fermò il Grande Guerriero con un
braccio, voltandosi verso l’immensa creatura. Si guardarono
negli occhi. Il drago e il vichingo. Un’eternità
passò tra le loro iridi mentre il resto del mondo attorno a
loro ammutoliva e tratteneva il fiato. Raddrizzando la schiena sinuosa,
l’Incubo Orrendo si erse su in tutta la sua notevole mole,
facendo sentire Hiccup nudo e insignificante; poi, con un poderoso
battito d’ali, decollò, trapassando il fitto
fogliame arso.
C’erano cenere, scintille e forme contorte annerite dal fumo
ma il giovane non riusciva più a distinguere nulla di tutto
quello. Fece qualche passo verso i volti scioccati del resto del
gruppo; forse aveva qualche spiegazione da dare, qualche scusa da
porgere ma, per quello, ora sapeva di avere tutto il tempo.
«Testa di legno che non sei altro!»,
borbottò Skaracchio con gli occhi lucidi, afferrandolo e
stringendolo a sé con affetto.
«Ѐ stato uno scherzo!», si sentì
minimizzare con ironia, «Era tutto calcolato nei minimi
dettagli… Tutto…»
Voleva davvero compiacersi dell’esultanza, ascoltare le loro
parole e persino godersi tutta la vertigine e il soffocante senso di
nausea che lo avevano appena assalito ma tutto sembrava perdere di
consistenza e attenuarsi in una torbida foschia. Si rese conto di avere
una certa urgenza di svenire. E così fece.
.:~*~:.
♪ Oo~h, 1, 2,
3, 4 fire's in your eyes and this chaos, it defies
imagination! Oo~h, 5, 6, 7, 8 minus 9 lives! You've arrived
at panic station! ♪
…
Scusate.
*eh-ehm* Come disse Lord Micidial: “Sarò
breve”.
Dunque! XD In questo capitolo ho cercato di legare i tre personaggi
principali tramite il titolo: “Squilibrati”.
Infatti tutte e tre hanno agito da folli dinamitardi, sì, ma
per motivazioni differenti.
1) Dagur
è una macchina da guerra (tra l’altro, mentre
scrivevo “sangue chiama sangue” mi sono immaginata
Dagur con la stessa espressione di Jack Torrance di Shining XDDDD
“Weeeendy~!”),
l’incarnazione di “Seek and Destroy” dei
Metallica ed è stato folle a pensare di poter affrontare un
Incubo Orrendo da solo, sebbene sia riuscito a dargli filo da torcere
(oh, a proposito… non gli ha cavato l’occhio,
l’ha solo sfregiato).
2) Testa Bruta
ha strisciato e gattonato per metri e metri di tunnel claustrofobici
quasi privi d'aria con la febbre alta per trovare Dagur.
3) Hiccup…
ha sempre buone idee anche se spesso e volentieri si rivelano altamente
rischiose. XD Qui è ancora alla ricerca
dell’approvazione degli abitanti del villaggio e della sua
identà come vichingo… però da
già accenni di… Hiccupperia (???),
mettiamola così. X°D Vi ricordo che questa
“what if…?”, o meglio,
“wtf…?” è ambientata circa un
anno prima degli eventi di Dragon Trainer, quindi nessuno dei piccini
ha più di tante nozioni suoi draghi e, soprattutto, non ha
alcuna pietà di loro (tranne Hic che l’ha
allontanato, ottenendo due piccioni con una fava: l’ha
protetto e
ha protetto anche tutto il resto del gruppo, aprendo una via di fuga).
Se non erro, il fatto di chiudere le mascelle all’Incubo
Orrendo lo dice Skaracchio... ma non riesco a ricordarmi quando. O___o
Comunque sia, queste e altre informazioni sui draghi e sui personaggi
le ho tutte estrapolate dalla wikia inglese, per chi volesse
controllare! ;) E, prima che mi dimentichi, quel “Magni”,
invocato
da Dagur, è la divinità nordica della forza,
figlio di Thor.
Oh, e “La settimana di Bork”, Testa di Tufo che
vuole diventare un pulitore di pesce e il fantomatico cugino Lars sono
tutte piccole citazioni
dagli episodi della serie! :)
Ok, per oggi ho finito! YAY! \*0*/
Come sempre, ringrazio tutto
coloro che hanno letto
anche questo capitolo! Spero davvero tanto che vi sia piaciuto! E, in
particolare, Francesca
Akira89 per aver aggiunto questa storia tra i preferiti!
*____* Whoa, sono felicissima che ti stia piacendo così
tanto! (ノ>▽<。)ノ
Mmh, se tutto procede da programma, dovrei riuscire a terminare questa
storia poco prima dell’uscita del film. Il prossimo, quindi,
sarà l’ultimo capitolo e spiegherò un
po’ di cose… perché Dagur ha aiutato
Hiccup, cos’ha combinato Testa Bruta
all’accampamento, etc. QUINDI RESISTETE ANCORA UN
PO’, LA FINE DELLO STRAZIO Ѐ VICINA!! XD
…
P.S.: Alla fine si scopre che è stata la capra ad aver
orchestrato tutto fin dall’inizio.
See ya,
Shadow
Eyes
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Capitolo 8 *** I pazzi crescono senza innaffiarli ***
Tua madre
Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli
Capitolo
VIII: I pazzi crescono senza innaffiarli
Regola della vita è
che possiamo, e dobbiamo, imparare da tutti.
Ci sono cose serie della
vita che possiamo apprendere
da ciarlatani e banditi,
ci sono filosofie che ci sono impartite da stupidi,
ci sono lezioni di
fermezza e di legge che vengono dal caso
e da coloro che il caso
ha scelto. Tutto è in tutto.
- Fernando Pessoa,
“Il libro dell'inquietudine”
Berk era una pennellata soffusa di grigio nella foschia delle prime
luci dell’alba. La nave di Johann oscillava lievemente, in un
silenzio che sapeva di esausta allegria. Il ponte era disseminato di
piccoli vichinghi addormentati e grandi, prodi vichinghi inebriati
dallo scontro ancora fresco tra i loro ricordi.
Dagur rantolò, masticando tra i denti
un’imprecazione.
«Ah, bentornato tra noi!», disse con un sorriso il
mercante, gli occhi grigi persi nei primi accenni di verde
dell’isola. «Ormai non manca molto!»
Il giovane si alzò, volgendogli un’occhiata
cisposa senza
degnarlo di una vera e propria risposta. Scrollò le spalle,
spostandosi meccanicamente lungo un fianco della nave a fissare
l’orizzonte. Erano passate ore da quando erano salpati da
quel
buco sabbioso dimenticato persino dagli dei e, finalmente, il viaggio
era terminato. Tra l’indolenzimento delle membra,
riuscì a
sentire anche un po’ di felicità.
«Casa dolce casa!», esclamò Skaracchio
da qualche
parte alle sue spalle, inalando a pieni polmoni una grande boccata
d’aria.
«Era ora!», grugnì Stizza Bifolko, dando
inavvertitamente voce anche ai pensieri di Dagur al suo fianco.
Lo sbarco fu rapido e silenzioso, salutato solo da pescatori perplessi,
che stavano preparando le loro imbarcazioni per una lunga giornata in
mare. Dopo essersi congedati del resto della truppa Hiccup, Dagur,
Testa Bruta e Skaracchio si diressero verso il centro del villaggio tra
sbadigli e stiracchiamenti; una volta fatto rapporto ai capi villaggio,
l’intera storia sarebbe arrivata finalmente alla sua
conclusione.
«State per raccontare una delle storie più assurde
mai
sentite a Berk.», rise Skaracchio, lanciando
un’occhiata
significativa al trio malmesso alle sue spalle.
«E allora?», domandò Dagur, con una nota
d’insofferenza nella voce.
L’armaiolo tacque, grattandosi il mento.«Allora non
aspettatevi che tutti pendano dalle vostre labbra, quando la
racconterete.»
La porta dell’abitazione Haddock parve quasi un miraggio
intessuto da un sogno, nelle loro menti impigrite dalla stanchezza. Non
appena la varcarono, furono accolti dagli occhi sgranati dei due capi
villaggio, seduti vicino al braciere con i volti tirati e stanchi
quanto i loro.
«Che Thor mi fulmini adesso!», mormorò
Stoick
l’Immenso, alzandosi di scatto. «Ho le
traveggole!»
«Allora siamo in due.», concordò Oswald
Il Simpatico, alzandosi a sua volta ma con meno impeto.
«Questa l’ho già sentita.»,
borbottò divertito Hiccup tra i denti.
«Guardate un po’ chi non ha fatto da spuntino a un
Incubo
Orrendo?», esordì di buon umore Skaracchio,
salutandoli. «A quanto pare non avevi tutti i torti sulla
destrezza di tuo
figlio, Oswald!»
Dagur storse le labbra a quel commento, marciando impettito
nella stanza. Incrociò lo sguardo sconvolto del padre,
rispondendo con un secco cenno del capo.
«Credo che avremo molto di cui discutere.», disse
Stoick
con un’eloquente alzata di sopracciglia. «Allora,
chi vuole
cominciare?»
Il racconto fu un capolavoro di coralità teatrale, che si
dipanò tra ampi gesti e imitazioni scenografiche,
illustrando
tutte le peripezie iniziate dal semplice capriccio di un drago.
Skaracchio, Testa Bruta, Dagur e persino Hiccup, si alternarono tra
particolari e spezzoni di frasi, travolgendosi gli uni con gli altri in
un fiume variopinto di parole. Quando ebbero terminato, ci fu un
trionfo di esclamazioni colorite e pacche sulle spalle.
«Figlio…» Oswald il Simpatico raggiunse
Dagur e gli
poggiò una mano tozza sulla spalla, recuperando un
po’ di
colore sul volto grigiastro. «Hai fatto qualcosa di
straordinario.»
Il giovane sostenne il suo sguardo con rigido contegno, sebbene le
nocche gli fossero completamente diventate esangui dopo quel breve
contatto.
«Non. Toccarmi.», fu, infatti, il sibilo velenoso
che gli
strisciò tra i denti. «Lo sai che mi fa
innervosire.»
«Certo.», sospirò con amarezza il capo
tribù
dei Grandi Guerrieri, lasciando cadere la mano lungo il fianco.
«Lo so.»
Dagur fu tentato di scoppiargli a ridere in faccia. Era ridicolo. Non
riusciva a sopportarlo, proprio non ce la faceva. “Il figlio
di
Oswald il Simpatico”, una volta era così che
veniva
chiamato tra i Grandi Guerrieri. Il figlio del capo, sangue del suo
sangue. Gli faceva ribrezzo anche solo essere associato a quelle
parole, eppure, nella sua vita, avevano giocato un ruolo fondamentale.
Temuto e viziato, Dagur aveva passato l’infanzia a
ingurgitare
fiele negli strascichi della soffocante ombra del padre, ne aveva
assorbito il fascino, ne bramava il possesso e, al contempo, ne aveva
subito la vergogna e lo sprezzo di popolo fiero, che non aveva mai
voluto seppellire il proprio orgoglio guerriero. Un’intera
identità, la sua, divenuta deforme, morbosa, satura di
rancore e
che mandava il riflesso, negli occhi di un bambino, di un mostro
incatenato.
«La tua fiducia in tuo figlio è
stata ripagata, Oswald.», commentò Stoick,
inconsapevole
dello scambio di battute tra i suoi ospiti. Arruffò
goffamente
il capo di Hiccup, immobile al suo fianco. «Così
come la
mia. Per una volta.»
«Aw, dovevi proprio aggiungerlo, papà?»,
lo
rimbrottò scherzosamente il figlio, arrossendo fino alla
punta
delle orecchie.
La narici di Dagur si arricciarono progressivamente davanti a
quel nauseante quadretto familiare. Si trovava di fronte ad uno
specchio di due realtà simili, tuttavia distanti tra loro.
Due
eredi di un potere immenso, due facce della stessa moneta. Avrebbe
dovuto sentirsi vicino a Hiccup, legato a lui da quel cammino comune e,
forse, un po’ lo era davvero, perché qualche ora
prima non
aveva permesso che morisse sotto i colpi dell’Incubo Orrendo.
Era buffo, grottesco forse ma, certe volte, quando guardava gli occhi
di suo padre, non vedeva altro che gli occhi di un estraneo; erano del
suo stesso, identico colore ma traboccanti d’emozioni
completamente avulse dai suoi. La lucida follia, d’altro
canto,
che aveva spinto Hiccup a mettere in gioco se stesso per tentare
l’impossibile, quella, oh sì, l’aveva
riconosciuta e
ci si era riconosciuto.
Forse il figlio
di Stoick non sapeva ancora chi fosse ma, un istinto viscerale, stava
già intessendo nella mente di Dagur un’idea.
«Ci vuole ancora molto? Ho fame.»,
brontolò Testa
Bruta, appoggiata con la guancia contro uno dei muri in legno di casa
Haddock in cerca, a quanto pareva, di una posizione che le permettesse
di dormire e restare in piedi allo stesso tempo. «E sete. E
sonno. Oh, e fame.»
Dagur poggiò la mano sul suo viso scarno, ancora caldo per
la
febbre, mantenendoglielo premuto contro la parete. «Per le
ombre
di Hel, taci.»
La giovane scalciò debolmente nella sua direzione,
borbottò qualcosa che sapeva d’insulto
disarticolato e,
nel tempo di uno sbadiglio, cominciò a russare piano,
sostenuta
solo dalla sua presa.
Oswald assistette a quel breve battibecco con una scintilla divertita
nello sguardo; sembrava piacevolmente stupito da
quell’interazione. «Dovresti mostrare
più rispetto a
chi ti ha salvato la vita, Dagur.», asserì con
tono
austero, invitando implicitamente il figlio a liberare la ragazza.
«Chi, questa qui?», il berserker
schioccò
oltraggiato la lingua, indicando la gemella con il braccio libero e gli
occhi fiammeggianti. «Sono stato io a trascinarmela
dietro per mezza
isola! L’ho salvata io
dal drago! Se non fosse stato per
me…!»
Si fermò di colpo, chiudendo piano la bocca. Non era certo
di
aver mai visto una cosa del genere; il volto barbuto, segnato dal tempo
di suo padre si era illuminato di una pace soffusa che parve irradiare
gioia e orgoglio in tutta la stanza. Oswald non disse nulla e gli
sorrise come mai aveva fatto nella sua vita, lasciandolo annichilito e
confuso. La sua mano sul viso di Testa Bruta tremò e la
lasciò andare.
«Mh? Ancora cinque minuti…»,
biascicò la ragazza, rannicchiarsi sul pavimento come un
gatto.
«Thorston. Il giorno in cui riuscirò a capirli
decapitatemi, perché sarò diventato un pazzo
furioso.», affermò solennemente Skaracchio,
scuotendo il
capo.
«Qualcuno è decisamente stanco.»,
ridacchiò
Stoick, avvicinandosi ai due. «Chi l’avrebbe mai
detto…»
La frase rimase in sospeso fra loro e, Dagur ne era certo, avrebbe
avuto tanti finali quante erano le teste presenti in quella stanza.
«Bene, dopo questa lunga chiacchierata, direi che meritate di
mangiare a sazietà e riposarvi come il resto dei vostri
compagni.», disse il capo villaggio dei Bifolki, poggiando i
pugni sui fianchi massicci. «Non appena vi sarete svegliati,
vi
consiglio di farvi un bagno e raggiungere Gothi… ci
penserà lei a rimettervi in sesto.»
Dagur si limitò ad annuire con la testa che gli ronzava
sommessamente e lasciò l’abitazione senza degnarsi
di
aggiungere altro.
«Non credo che farà molta strada in quelle
condizioni.», sentì costatare Skaracchio alle sue
spalle.
«Non preoccuparti, ha solo bisogno di stare un po’
per
conto proprio.», lo rassicurò Oswald.
«Tornerà.»
Dagur si avviò per le strade polverose del villaggio, senza
stabilire una vera e propria meta. Di streghe e magie ne aveva avuto
fin sopra i capelli, quindi quella vecchia banshee poteva anche andare
in malora, per quanto gli importava; non avrebbe allungato un solo dito
su di lui.
Un brivido gli risalì lungo la schiena livida e sudata. Come
ogni Grande Guerriero, non aveva mai rigettato l’idea della
sofferenza fisica; accoglieva il dolore, lo abbracciava e lo soffocava
lentamente. Sapeva che non era sufficiente ad abbatterlo, che non
avrebbe potuto fare altro che passare; era solo una questione di
resistenza. Così non batté ciglio quando una
miriade di
microscopici aghi gelidi gli trapassarono la pelle, anzi, gli angoli
delle labbra gli vibrarono verso l’alto. Un formicolio
irritante
prese a circolargli nelle membra, aumentando
d’intensità
ad ogni passo. Era come se il suo corpo fosse appena tornato in vita
dopo un annegamento: i polmoni sembravano esplodere a ogni respiro, le
ferite pulsavano, le ustioni bruciavano come l’alito
dell’Incubo Orrendo che gliele aveva procurate e ogni muscolo
era
contratto e gonfio di acido lattico. Era stanco, disidratato ma con la
mente troppo sovrastimolata per poter anche solo prendere in
considerazione l’idea del riposo. I suoi pensieri erano un
vespaio impazzito, non riusciva a ragionare, a elaborare. Voleva solo
fare a pezzi qualcosa. Qualsiasi cosa. O qualcuno.
«Oh.»
Un paio d’occhi grigi sporgenti fluttuarono nel suo campo
visivo
nella quiete del mattino. Non aveva mai avuto una buona memoria per i
nomi.
«Tu devi essere Gobber, giusto?»
L’anziana donna continuò a osservarlo muta e con
allarmante pazienza. A un tratto sollevò un braccio,
facendolo
sussultare. Non accadde nulla. Dagur azzardò una sbirciata
attraverso le palpebre che aveva appena serrato: l’indice
nodoso
di Gothi era puntato insistentemente nella direzione del mare.
«Vuoi che me ne vada da dove sono venuto?», eruppe
il
Grande Guerriero, incredulo. «Be’, grazie tante,
vecchia! Non
c’è bisogno che me lo dica tu! Odio questo dannato
posto e
chi…»
Un secco colpo di bastone sullo scalpo gli fece sputare al vento il
resto della frase. La donna sbuffò tenendogli il capo
piegato
verso il basso, disegnando nella terra la forma stilizzata di una
capanna.
Dagur le rivolse un’occhiataccia. «Non dirmi che
vuoi che
venga alla tua lurida catapecchia! Oh, mi dispiace deluderti ma sappi
che ne ho avuto abbastanza di streghe e magie! La tua apprendista mi ha
già dato mal di testa per settimane!»
Ci fu un istante di genuina confusione sul volto di Gothi, che
svanì come un’ombra tra le sue rughe.
Puntò
nuovamente il dito verso il mare, battendo più volte il
bastone
a terra per rafforzare il concetto.
«Puoi continuare a sollevare polvere quanto ti pare, non puoi
costringermi!», abbaiò il berserker incrociando le
braccia
sul petto, con le guance congestionate dall’ira.
Nessuno seppe di preciso cosa accadde dopo. La leggenda, narra che
quelle furono le ultime parole che Dagur rivolse a Gothi. Alcuni dicono
che la donna l’abbia fissato negli occhi e che, un attimo
dopo,
il Grande Guerriero si fosse ritrovato in mutande alla sua capanna.
Altri, nascondendo i boccali, giurano sulla testa dei loro figli che un
golem sia fuoriuscito dalle viscere stesse della terra e
l’abbia
trascinato via. Pochi, infine, credono che la somma Gothi
l’abbia
steso a colpi di bastone e convinto a seguirla. Nessuno, in
realtà, seppe mai la verità. L’unica
cosa certa fu
che a Berk, l’aneddoto del “Berserker
Domato”,
continuò a riecheggiare nei secoli.
Il cielo splendeva nel buio sopra le loro teste, coronato da una luna
piena a metà. Non c’era una sola nube a oscurare
quella
notte, solo stelle, sparse in una miriade di cristalli che rilucevano
quieti, a indicare il cammino a chi si era perso per strada, o tra i
propri pensieri.
L’aria nel villaggio era frizzante, carica di un vociare
allegro
e frettoloso. C’erano Bifolki e Grandi Guerrieri ovunque, in
pieno fermento per i preparativi della festa. Tra chiacchiere
e
battute, stavano pian piano trasformando la Grande Sala nel cuore del
convito, sistemando con cura sedie, barili e varie vivande sui tavoli.
Dopotutto, come aveva detto Johann: “Ogni grande avventura
termina con un grande banchetto”.
Testa Bruta se ne stava seduta a gambe incrociate davanti
all’ingresso di casa sua, gli occhi persi nel viavai
della folla. Sebbene fosse passato un solo giorno dal loro ritorno e
lei fosse più simile ad una mummia che ad una vichinga, a
causa
di tutte le fasciature e gli impiastri che aveva sparsi per il corpo,
proprio
non riusciva a concepire l’idea di dover rimanere ferma ad
aspettare che ogni ferita guarisse. Aveva sempre amato il subbuglio che
precedeva una festa e fremeva dalla voglia di prendevi parte assieme al
fratello; peccato che al momento fosse intrappolata nelle spire di una
Astrid Hofferson intenta ad intrecciarle i capelli con solerte minuzia.
C’erano varie ragioni che potevano averla spinta a
quell’improvviso capriccio: un improbabile guizzo di
creatività, il bisogno di concertarsi o, al contrario, la
necessità di evadere, di distaccarsi da un ragionamento dal
quale non riusciva a venire a capo. Del resto esercitarsi ad acconciare
i capelli era una delle poche cose che facevano insieme da quando erano
bambine e Testa Bruta aveva imparato a riconoscere che, ad ogni suo
modo di intrecciare, corrispondeva un particolare stato
d’animo.
«Testa Bruta?»
La giovane puntellò i gomiti sulle cosce, ingobbendosi.
Tutta
quella trazione sul suo scalpo le fece intuire che la terza, era senza
ombra di dubbio l’ipotesi corretta. Si mordicchiò
il
labbro inferiore, lanciando occhiate furtive nei dintorni; non le
dispiaceva farsi acconciare i capelli, Astrid se la cavava –
non
bene quanto lei, ovviamente – ma aveva altri piani per la
serata e la sua
intrusione le stava costando molto tempo prezioso.
«Ehi, mi stai ascoltando?»
«Mh?»
«… Quindi ti sei sul serio gettata in un buco nel
terreno
senza avere la minima idea di quanto fosse profondo o di dove
conducesse?»
«Sì.», le confermò Testa
Bruta, facendo
pigramente spallucce. «Ѐ così che ho trovato le
gallerie
di cui vi ho parlato prima… e non grazie a una mappa del
tesoro.»
Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che le sopracciglia di Astrid
si erano sollevate a quella sua ammissione.
«Che c’è? Pensavo che sarebbe stato
più interessante raccontato così!»
«Hai mentito
ai capi villaggio!»
«E allora? Lo faccio di continuo!»
Il sogghigno di Testa Bruta si trasmutò in una smorfia
preoccupata, quando le mani dell’amica smisero di muoversi.
Azzardò un’occhiata oltre la propria spalla,
scorgendo le
labbra di Astrid comprimersi in una sottile linea di disapprovazione,
così tipica di lei. O, per lo meno, così tipica
di tutte
le loro conversazioni.
«… Comunque sia,», riprese con cautela
la gemella,
voltandosi, «sarò precipitata per metri e metri e,
quando
sono finalmente atterrata, credo d’aver appoggiato male i
piedi,
o qualcosa del genere.»
«Deve averti fatto molto male.», annuì
la giovane Hofferson, riprendendo ad intrecciare.
«Puoi scommetterci, per un attimo non ho visto altro che
bianco! Ma…»
«Niente cicatrici?»
«Niente cicatrici.»
«E poi come hai fatto a strisciare in quelle gallerie
sotterranee con la caviglia in quello stato?»
«Uh, la butto lì: strisciando?»
Astrid sospirò.
«Cos’altro avrei dovuto fare?
Quell’Incubo Orrendo
è come se fosse sbucato dal sottosuolo! Non l’ho
visto
arrivare!»
«Ah-ha. Fammi indovinare: stavi dormendo invece di badare al
fuoco come ti aveva detto Dagur?»
«Può darsi, ma non è questo il punto!
Mi sono
ritrovata improvvisamente davanti un drago gigantesco! Ho provato a
recuperare la lancia che quel cretino mi aveva lasciato ma
l’Incubo Orrendo
l’ha schiacciata sotto le sue zampe enormi e l’ha
polverizzata! Non sapevo che fare, così sono scappata verso
gli
alberi ma le fiamme mi hanno travolta e si solo appiccicate,
letteralmente, ai miei abiti!» Testa Bruta si
afflosciò su
se stessa, sconsolata. «Ho dovuto gettare il mio gilet
preferito
per colpa di quello stupido drago. Non mi sembra neanche di
essere me, senza. Capisci?»
«Uh, no.», fu l’allegra risposta di
Astrid. «E credo sia meglio così.»
Un quieto silenzio calò fra le due, intervallato solo dal
fruscio delle ciocche di capelli che venivano meticolosamente sezionate.
«Mh, è da un po’ che non vedo Testa di
Tufo. Perché ho
paura di chiederti dov’è finito?»,
sbuffò Astrid
dopo qualche minuto, nascondendo una risata tra le parole.
«Ѐ una domanda a trabocchetto?»
Testa Bruta sentì le dita affusolate della giovane passarle
tra
i capelli, incastrandosi. Soffocò un gemito tra i denti,
cominciando ad agitarsi sul posto.
«Oh, andiamo, smettila di sbuffare! Ho quasi
finito!», la
rabbonì la metodica Hofferson, sbrogliando i nodi tra le
ciocche. «E, fidati, mi ringrazierai.»
«Non sbufferei, se tu non strattonassi così tanto!
… Mi sembra di avere un Terribile Terrore tra i
capelli.»,
borbottò in tutta risposta la gemella, incrociando le
braccia
sul petto.
«Oh? Cos’hai detto?» Astrid le
tirò giocosamente una treccia, facendole sfuggire
un’imprecazione.
Roteando gli occhi invocando pazienza, Testa Bruta si arrese, cercando
di muoversi il meno possibile per permetterle di terminare la propria
notevole opera.
«Ecco fatto!»
La prode Thorston ringraziò tutte le divinità a
lei note
per averle concesso la libertà. Si alzò in piedi,
studiando la lunga treccia bionda; i capelli erano avvolti e annodati
tra loro con eleganza ed equilibrio, lasciando intravedere tre piccole
trecce che si univano a quella centrale, correndo tra le sue pieghe.
«Oh, è perfetta!», commentò
Astrid, portandosi le mani al viso carica d’eccitazione.
«Ehi, ragazze!»
Sballottati tra Bifolki e Grandi Guerrieri, Gambe di Pesce e Hiccup
parvero emergere come naufraghi in quella fiumana multicolore,
avanzando verso di loro rossi in viso e tutti arruffati. Le salutarono
con un
cenno della mano e, quasi in sincrono, piegarono leggermente il capo di
lato, osservando incuriositi la gemella.
Testa Bruta alzò gli occhi al cielo, liquidandoli con uno
sgarbatissimo: «Allora?»
«Oh, perdonami! È solo che…
be’, ti dona
molto.», balbettò Gambe di Pesce, tormentandosi le
mani
paffute. «Comunque sia, siamo qui perché tra un
po’
si darà inizio al banchetto e il capo ci vuole tutti riuniti
nella Grande Sala!», prese poi a spiegare, quasi saltellando
da
una gamba all’altra, «Ci credete?
Racconterà al
villaggio la nostra impresa!»
«Già, lo yak non ha lo stesso sapore senza un
pizzico di
gloria vichinga.», disse Hiccup, imitando comicamente una
posa
virile.
Testa Bruta annuì brevemente e, per un folle attimo, le
parve di
vedere Astrid sorridere alle parole del novello eroe. La mascella quasi
le cascò a terra quando la giovane Hofferson, intercettato
il
suo sguardo incredulo, raddrizzò la postura e si
schiarì
sonoramente la voce.
«Siete con noi?», chiese Gambe di Pesce,
accigliandosi.
«Certo!», trillò immediatamente Astrid,
scostandosi la lunga frangia dagli occhi. «Andiamo!»
«Io vi raggiungo più tardi…»,
disse Testa
Bruta, rispondendo ai loro sguardi interrogativi con un mezzo ghigno.
«Ho un appuntamento al quale non posso mancare.»
Si congedò con espressione sibillina, dirigendosi verso la
Forgia.
Possibile che la
signorina perfettina…?
Scosse il capo, scacciando quei pensieri. Aveva questioni ben
più interessanti a cui attendere: lei e Testa di Tufo
avevano
progettato il furto del secolo!
Lo spiazzale antistante la fucina di Skaracchio era quasi deserto. Si
guardò attorno, perplessa. Dove accidenti si era cacciato
suo
fratello? Avrebbero dovuto incontrarsi lì qualche minuto fa
e
poi lei avrebbe dovuto fare da palo mentre lui avrebbe frugato ovunque.
Possibile che quel babbeo avesse deciso di fare tutto da solo?
Un gran fracasso proveniente da qualche parte all’interno
della
forgia, seguito da un ruggito irato, fu la risposta alla sua domanda.
Testa di Tufo saltò fuori da una finestra stringendo
qualcosa
sotto il braccio e si fiondò a rotta di collo verso di lei.
«Ѐ dietro di me!», gridò, travolgendola
e
poggiandole qualcosa tra le mani. «Proteggilo come se ne
dipendesse la tua vita… be’, e in un certo senso
è
così, perché io me la squaglio! Ciao, sei stata
una brava
sorella!»
Testa Bruta guardò a bocca aperta la figura del fratello
traditore ormai ridotta a un fuscello oscillante in lontananza.
Quella dannata testa
vuota...!
Abbassò lo sguardo sull’uncino di Skaracchio che
stringeva in grembo; sobbalzò, quasi fosse incandescente e,
sibilando tutte le più apotropaiche
parolacce che le vennero in mente, nascose il corpo del reato tra i
cespugli lì accanto.
«Tu!» Skaracchio comparve sulla soglia della fucina
come un
indemoniato, facendola impallidire dalla paura.
«Dov’è?»
«“Dov’è”
cosa?», gli fece eco lei,
poggiandosi con ostentata noncuranza contro la parete esterna
dell’abitazione alle sue spalle.
«Il mio maledetto uncino, ecco cosa!»
«Oh. Con me caschi male, sono fuori dai giochi. Ti pare che
con questa
gamba…?», sbottò la gemella, indicando
la caviglia gonfia.
«Se non siete stati voi, allora chi…»
Skaracchio si
guardò attorno con le narici frementi come un cane da caccia.
«Nessuna idea. Be’, se hai finito, io
andrei…»
Testa Bruta fece per allontanarsi, quando l’armaiolo si
voltò nuovamente verso di lei.
«Se scopro che tu e quella peste di tuo fratello
c’entrate
qualcosa, vi spello vivi con questa
mano!»,
l’ammonì, scrutandola con sospetto.
«Quale mano?»
Skaracchio guardò il moncherino, abbassandolo frustrato.
«L’altra mano! Chiaro?»
«Chiarissimo!»
Testa Bruta rimase immobile con il cuore a mille, in attesa che
l’uomo si allontanasse. Hah! Ce l’avevano fatta!
Erano
riusciti a sgraffignare il trofeo del secolo: il leggendario uncino di
Skaracchio! C’era da vantarsene per settimane!
Soddisfatta e con le gambe ancora molli per la paura, si
chinò a sistemare meglio l’uncino tra i cespugli,
in modo che non fosse
visibile.
Dopo la festa o il giorno successivo, avrebbero potuto tranquillamente
recuperarlo.
Stava per tirarsi su quando qualcosa di freddo le colpì il
capo, bloccandole la visuale.
«Ѐ stato Testa di Tufo!», gridò,
sollevando le mani
in aria in segno di resa.
Una grassa risata isterica la fece sussultare; si volse con gli occhi
in fuori per lo spavento, ritrovandosi faccia a faccia con
Dagur. Fermo
davanti a lei con le mani sui fianchi, il Grande Guerriero continuava a
sghignazzare senza ritegno, in tutta la sua rifulgente boria
auto
celebrativa.
«Ma ti ha dato di volta il cervello?!»,
fiatò Testa
Bruta, arrossendo furiosamente più per l’imbarazzo
della
sua pavida reazione, che per essere stata colta sul fatto.
«Oh! Oh! Oh! Dovresti vedere la tua faccia!»
La Bifolka gli sferrò un pugno sul petto, recuperando un
cipiglio compiaciuto quando lo vide piegarsi in due per il colpo
– con un gemito, tra l’altro. Curioso, non
l’aveva mai visto incassare così
male. Forse aveva esagerato un pochino. Forse.
Testa Bruta strizzò gli
occhi
nel buio della sera, esaminando la figura curva del berserker:
oh, per la barba di
Thor, se era ridotto male! Aveva lividi ovunque e, quelle che avrebbero
dovuto essere le bende bianche delle medicazioni di Gothi, ora erano
nulla
più che stracci sporchi di terra e chissà
cos’altro.
«Si può sapere dove sei stato? Sei...
be’, sei
più brutto del solito.», constatò con
pragmatica
schiettezza, inarcando un sopracciglio.
«E perché dovrei dirlo proprio a te?
Piuttosto...»
Dagur si erse di su lei con espressione altezzosa; emanava di nuovo
quello strano odore che gli aveva sentito indosso sull’isola.
«È così che mi ringrazi per averti
recuperato
l’elmo?»
«Cosa?» Testa Bruta si toccò la testa,
ritrovando il
familiare copricapo metallico a ricoprirgliela. «Dove
l’hai trovato?»
«Nel punto esatto in cui te l’avevo fatto cadere
due giorni
fa con questo.», disse il Grande Guerriero, sollevando un
pugno serrato
vicino
al suo naso.
La ragazza gli abbassò la mano e si tolse l’elmo,
rimirando il suo riflesso sulla superficie lucida. «Non posso
crederci, ormai ero convinta che avrei dovuto farmene fare un altro!
… Migliore di quello di mio fratello,
ovviamente.»,
mormorò, passandoci sopra la punta delle dita.
«Pensi che
mi porterà fortuna come il tuo?»
«Il mio… cosa?»
«Facci caso: avrei potuto morire in un migliaio di modi
tremendi un paio di giorni fa e invece... sono ancora qui!»
A quell’affermazione, un’espressione di puro
oltraggio si
impadronì dei lineamenti di Dagur, che arricciò
le
narici, scuotendo il capo. Era facile notare i suoi cambiamenti
d’umore: il suo volto era come il cielo estivo prima di un
temporale, bastava un palpito e gli occhi si annuvolavano, avvertendo
il mondo esterno che presto sarebbero piovute saette sulla testa di
qualcuno.
«Forse per quelle come te sarà difficile da
capire, viste le bislacche credenze a cui vi
aggrappate…»
«Le mie… cosa?»
«La fortuna non esiste. Esisto io. Esiste la mia
volontà. Ѐ
grazie a me
se non sei morta.», ringhiò lui,
«Io
ti ho
salvata! Io
ho trascinato il tuo penoso sedere a riva e l’ho
fatto ancora
quando non riuscivi nemmeno a reggerti in piedi! Tu sei
sopravvissuta soltanto per un mio
capriccio e di
nessun’altro!»
Dagur si era avvicinato talmente tanto che Testa Bruta fu costretta a
sollevare il mento per poterlo guardare ancora negli occhi.
C’era
qualcosa… un sentimento torbido, nascosto dietro le sue
pupille dilatate e nere.
Si rimise l’elmo.
«Tu dovresti essere grata a me! Me! Dovresti
inginocchiarti e baciare la terra su cui cammino…!»
Eccolo che ricomincia.
La giovane continuò a sostenere il suo sguardo in quel
crescendo
virulento di sdegno, senza ascoltare la minima parola.
L’intera
scena le era ormai così familiare che poteva quasi
prevederne
le
battute; era chiaro che Dagur avesse una certa passione per le pretese
insensate, gli scatti d’ira e che, al contempo, fosse
completamente sordo ad ogni protesta o replica.
Testa Bruta spostò il peso da una gamba all’altra.
Cominciava ad avere un certo languirono e il Grande Guerriero sembrava
averne per ore e ore. Se non fosse stato per quella stupida caviglia,
avrebbe potuto svignarsela senza che nemmeno se ne accorgesse.
«… per non parlare di quello stolto di mio padre!
“Non devi
essere così aggressivo, Dagur”! “Il
trattato è importante, Dagur”!
“Complimenti! Ora sei
un’idiota come me, Dagur”! …»
Un callido sorriso cominciò a delinearsi lentamente sulle
labbra della
gemella,
quando un’idea geniale si fece largo, sgomitando, tra i suoi
pensieri;
forse
sapeva finalmente cosa fare. Non ne era completamente certa, ma tanto
valeva
tentare. Aveva fame, dopotutto.
Con nonchalance, batté le ciglia chiare e fece un
piccolo passo
verso il
berserker, fin troppo preso dal proprio discorso per notare il suo
spostamento sospetto. Perfetto. La giovane si issò allora,
malamente, sulle punte dei
piedi e,
trattenendo una risata, gli baciò la guancia, godendosi
l’inevitabile deragliare delle sue parole, che finirono per
schiantarsi l’una sull’altra fino ad
ammonticchiarsi tutte
sulla punta della sua lingua.
Paonazzo e colto alla sprovvista dal suo gesto, Dagur scoprì
i
denti, puntandole un dito contro il petto. «Cos’era
quello?»
«Il mio ringraziamento.», ribatté lei
con
aria d’ovvietà. «Ti è
piaciuto?»
«No, era… che
schifo!»
«Ne vuoi un altro?», proseguì Testa
Bruta, avvicinandosi con movenze maliziose.
«No!», sputò il Grande Guerriero,
indietreggiando, «Stammi lontana!»
Questa volta toccò a lei ridere di quella sua reazione
impacciata, e lo fece quasi fino alle lacrime.
«Ora dovresti vedere la tua,
di faccia!»,
ululò, stringendosi la pancia tra le braccia.
«Basta
davvero poco per zittirti!»
Dagur inalò piano la fresca aria notturna, serrando le
mani
sui fianchi. Sotto il chiarore della luna, appariva pallido, quasi
malsano, assorto in chissà quali pensieri.
… Che gli
prende, adesso?
I suoi occhi verdi, erratici, si mossero dai fili d’erba che circondavano la Forgia, al viso di Testa Bruta e ai suoi capelli chiari, soffermandosi poi per un
lungo istante sull’elmo che le aveva ritrovato.
La giovane ammutolì di fronte a quel silenzio persistente e
l’osservò a sua volta,
stranita, afferrando e stringendo la lunga treccia che Astrid le aveva
fatto tra le mani.
Stranamente, quel gesto familiare per stemperare la tensione
non le
portò alcun conforto.
«Be’, perché te ne stai ancora
lì
imbambolata?», eruppe improvvisamente Dagur, tornando a
gonfiare
il petto con la solita prosopopea. «Stavi andando anche tu
alla
Grande Sala, no?»
«Non ero imbambolata, pensavo di aver intravisto un
troll!», rispose con finta stizza la Bifolka, zoppicando
verso
di lui. «… Ma era solo la tua faccia.»
«Non tirare troppo la corda, carina.», le
sibilò di rimando il berserker, maligno, prima di
incamminarsi senza
aspettarla.
«… Carina, eh?»
Inebriata e felice, Testa Bruta alzò lo sguardo verso il
cuore del villaggio, sorridendo sotto la volta
stellata.
Alto nel cielo, in un trionfo di fulgido splendore, ardeva il sole in
quel di Berk, portando sull’isola l’inizio di un
nuovo
giorno.
Hiccup si stiracchiò sotto la coperta soffice e calda,
lasciando
che i muscoli, ancora un po’ indolenziti dal raffreddore, si
sciogliessero dandogli una piacevole sensazione di pace. Assonnato,
rotolò sulla schiena e rimase a fissare le travi
del
soffitto per qualche istante, godendosi
il torpore delle prime ore del mattino.
Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire nelle
orecchie quella variegata sinfonia di suoni che avevano
vivacizzato i bagordi di poche ore prima; le acclamazioni, i
canti
e gli sghignazzi erano stati il coronamento di una notte a dir poco
surreale. Perché, oh no, non riusciva ancora a capacitarsi
che
quell’immane banchetto fosse stato organizzato anche per
celebrare lui,
Hiccup. Il disastro ambulante di Berk, pluricondannato in via
definitiva ai lavori alla Forgia per il resto della sua piccola, poco
vichinga vita. Si chiese se fosse possibile d’ora in poi per
lui
vivere così; se, quella, sarebbe potuta diventare la sua
quotidianità.
Sospirò stringendo la coperta tra le dita sottili. Non era
uno
sciocco. La mite condiscendenza con la quale l’aveva salutato
il
villaggio non gli era affatto sfuggita. Sapeva bene che per loro quella
storia era assurda quanto lo era per lui, nonostante l’avesse
vissuta sulla propria pelle. Forse era questo quello a cui si stava
riferendo Skaracchio quando aveva detto loro di non alzare le
aspettative sulla reazione del pubblico al loro racconto. Nessuno
cambia
opinione dall’oggi al domani. Quello era solo
l’inizio di
un lungo cammino.
Si sollevò e scese dal letto, percorrendo a piedi nudi la
stanza
per recuperare gli abiti sparsi disordinatamente nella stanza.
«Papà?»
Hiccup tese le orecchie e sbuffò, interrompendo per un
istante
la lotta che stava ingaggiando per uscire fuori dalla propria casacca:
non arrivò alcun suono dal piano di sotto. Probabilmente
suo padre stava attendendo a qualche faccenda da capo in giro per il
villaggio.
Terminò di vestirsi e scese dalle scale a balzelloni,
atterrando
nell’ampio atrio. Aveva un languore che non vedeva
l’ora di
sedare con qualcosa di dolce; sperò di trovare ancora
qualche
mela nel cesto sul tavolo. Ancora pochi passi e...
Qualcuno bussò.
«Ovviamente.»
Rinunciando momentaneamente all’idea di fare colazione, si
diresse verso la porta e l’aprì, ritrovandosi
Astrid
davanti l’uscio.
Chiuse la porta.
Astrid.
Astrid era venuta di propria spontanea volontà a bussare
alla sua
porta.
Astrid.
Astrid Hofferson.
Quella che la sera prima aveva tentato di smontarlo pezzo per pezzo
perché le aveva per sbaglio rovesciato un bicchiere
d’acqua addosso. Perché mai si era presentata al
suo
uscio? E poi perché era certo di averla appena vista
stringere
tra le mani qualcosa dall’aria inquietantemente simile
ad un coltello?
Oh.
Be’, aveva senso. Era lì per terminare il lavoro.
Hiccup si gettò di schiena contro la porta, presto scossa
dal possente pugno della fanciulla.
«Hiccup?», si sentì chiamare con
impaziente
perplessità dall’esterno, «Cosa stai
combinando?»
D’accordo, sangue freddo, pensò,
analizzando febbrilmente
le opzioni che aveva: poteva provare a chiederle perdono in ginocchio e
venire pestato oppure poteva aprire la porta e venire pestato. Gli
scappò un gemito dalle labbra. O forse sarebbe stato meglio
per
la sua incolumità gettarsi fuori dalla finestra e correre
verso
le colline, rimanendoci fino alla maggiore età.
«Hiccup! Piantala, so che sei qui dietro!»,
gridò
Astrid, spalancando con viril mano ferma la porta, travolgendo il buon
figlio di Stoick nel processo. «Ma che…?»
Hiccup ruzzolò a terra, senza poter fare altro che fissare
la Bifolka mentre marciava risoluta verso di lui.
«Cosa accidenti ti è preso?»,
sbuffò Astrid,
scuotendo il capo biondo. «Sai cosa? Lasciamo perdere. Sono
venuta a portarti questo.»
Lucente e terribile nel palmo della giovane, si stagliava il sapiente
intaglio del profilo di
un lupo. L’occhio immobile della belva era spalancato e
sembrava quasi fissarlo dalla superficie chiara
dell’impugnatura.
«Quello… è il coltello di Dagur. Oh,
no, me n’ero completamente dimenticato!»
Hiccup si portò le mani nei capelli: aveva promesso al
berserker
che glielo avrebbe restituito non appena fosse riuscito a cavarlo fuori
dalla rete! ... Peccato che quella parte del piano fosse lievemente
mutata
alla comparsa dell’Incubo Orrendo.
«Già, anche io.», confessò
Astrid. «Avrei dovuto portartelo ieri al banchetto
ma...»
In quella breve pausa imbarazzante che seguì quelle parole,
Hiccup si rimise in piedi con le guance in fiamme.
«Da quel che mi è sembrato di capire, Dagur ci
tiene molto
a questo pugnale.», riprese la giovane, porgendoglielo.
«Non credo sia saggio non restituirglielo.»
«Può darsi…»,
mormorò sotto voce
Hiccup, rigirando con un brivido quel piccolo, agghiacciante
capolavoro d’artigianato tra le dita. Non aveva
alcuna voglia di parlare con il suo collerico proprietario, soprattutto
se teneva conto del fatto che, l’ultima volta che gli si era
avvicinato a
causa di quel coltello da caccia, gli
aveva quasi sbriciolato una mano.
«Preferisci che Dagur faccia ritorno a Berk uno di questi
giorni
per riprenderselo?», gli chiese Astrid con un ghigno
divertito,
poggiando le mani suoi fianchi.
«Assolutamente...!» Hiccup fece una pausa.
«No.»
«Bene.»
Il giovane trasse un profondo respiro e assicurò il pugnale
in
una tasca interna del gilet. «A quest’ora
sarà al
porto con il resto dei Grandi
Guerrieri. Meglio che mi
sbrighi.»
Superò Astrid con lo sguardo basso, perso tra i propri
pensieri e raggiunse la soglia,
affacciandosi nella luce ospitale di Berk.
Un momento...
Arrestò il passo, esitante e cominciò a sentire
il
sudore invadergli i palmi delle mani. Se Astrid avesse voluto, avrebbe
avuto a
disposizione una miriade di espedienti e di motivazioni per cacciarlo
nei guai con suo padre, con i berseker o con Dagur. Invece eccola
lì, con quel suo prepotente senso di giustizia che soffocava
ogni sentimento di rivalsa, anche quando era più che
giustificato. Per quanto bizzarro e fortuito fosse, per una volta era
stata dalla sua parte, senza alcuna esitazione. Sentì il
cuore
saltare un battito e, per
un istante, ebbe paura di battere anche una sola volta le ciglia
e scoprire che in realtà quello era un crudele scherzo della
sua
mente assonnata.
Si voltò a guardarla, facendo leva su
tutta la sua fermezza per cercare quei profondi occhi
azzurri con i suoi. «Mi dispiace.», disse, con un
sorriso
impacciato che andava ad allargarsi piano sul suo viso arrossato, quasi
con cautela. «Per ieri, sai l’acqua e io,
be’...»
«Hiccup...»
«Ti prego, aspetta.», caracollò
frettolosamente,
sollevando le mani. «Lasciami finire. Io... non ne combino
mai
una giusta. Invece tu sei perfetta, lo sei sempre stata. Mi hai
aiutato, mi hai salvato da una pioggia di fiamme e...
d’accordo, in realtà quello che ti sto
dicendo
suonava molto più sensato e suggestivo nella mia testa.
Insomma,
quello che vorrei dirti è: grazie. Per
tutto.»
La meraviglia sui lineamenti di Astrid si sciolse in un grazioso
rossore che andò a sfumarle le gote. Accolse con un solenne
cenno del capo il suo
ringraziamento, poggiandogli una mano sulla schiena che pareva bruciare
con la stessa intensità di una fiamma. «Su,
sbrigati!», sbottò, spingendolo senza alcun
preavviso
oltre l’uscio, lanciandolo verso il villaggio.
Hiccup incespicò con uno squittio di protesta ma, una volta
recuperato l’equilibrio, non si fermò e
lasciò che
l’inerzia muovesse le sue gambe lontano da casa. Non si
accorse
che Astrid rimase a guardarlo trotterellare via con un mezzo sorriso.
Era incredibile come un solo gesto potesse metterti le ali ai piedi.
Dagur, il pugnale, Berk intera furono spazzati via dai suoi pensieri,
che mutarono sinuosamente fino a formare i familiari tratti di un viso.
La vibrante
euforia che gli invase le membra, mentre procedeva di corsa per le
strade sterrate, gli fece venire una gran voglia di saltare e esultare.
Magari a
bassa voce, così da non distruggere in un colpo solo quel
poco
di dignità che si era appena guadagnato.
«Ehilà, Hiccup!»
«Ehilà!»
Finì quasi per inciampare nei suoi stessi piedi.
Arrestò
di colpo ogni movimento, sollevando un gran polverone e, temendo di
aver perso una volta per tutte il senno, ripercorse i propri passi fino
a ritrovarsi dinanzi una scena a dir poco pittoresca: i gemelli
Thorston, con inedito savoir-faire, stavano penzolando a
mezz’aria come degli insaccati,
appesi a dei ganci fuori dalla Forgia.
«Non sono sicuro di volerlo sapere…»,
mormorò
Hiccup, resistendo all’impulso di sfregarsi gli occhi. Quei
due
avevano l’ultraterrena abilità di fare apparire
normali
anche le situazioni più assurde.
«Abbiamo restituito l’uncino a
Skaracchio.», disse
Testa di Tufo, riuscendo in qualche modo a fare spallucce in
quella scomoda posizione.
«Non fraintendere, è stato forte finché
non
l’abbiamo visto ieri al banchetto…»,
aggiunse Testa
Bruta, piegando il capo di lato con le labbra strette in una linea di
manifesto disappunto.
«Triste.», continuò Testa di Tufo.
«Malinconico.», rincarò Testa Bruta.
«Non era Skaracchio.»
«Proprio no.»
«Così stamattina glielo abbiamo
riportato…»
«… E lui era felicissimo!»
«Avessi visto con che sorriso ci ha appesi qui!»
«E poi ci ha detto che doveva decidere cosa fare e se
n’è andato.»
Hiccup ascoltò in silenzio quell’alternanza
ritmata di
frasi, stringendosi nelle spalle. «Vi rendete conto che
probabilmente le state per prendere?»
Testa Bruta roteò gli occhi, facendogli il verso.
«Certo! Ci credi stupidi?»
«A me sta bene, l’importante è che usi
anche il
fuoco!», concesse Testa di Tufo, annuendo tra se.
«... O
forse il martello?»
«Siete irrecuperabili.», sospirò Hiccup.
«Grazie!»
«Non era un… lasciamo stare.»,
tagliò corto
il figlio di Stoick, «Sentite, io devo restituire il pugnale
a Dagur, quindi
ci vediamo più tardi al porto. Credo.»
«Oh, no! Oggi i Grandi Guerrieri se ne vanno! Voglio vedere
le navi!»
«Ѐ colpa tua se ce le perdiamo!»
«Cosa? Ma se sei stata tu a…!»
Con la loro baruffa alle spalle, Hiccup riprese a camminare. Non poteva
crederci: quanto tempo era passato? Tre giorni?
Eppure, nonostante fosse passato così poco tempo, dovette
ammettere a se stesso che gli era stranamente mancato vederli
bisticciare.
Quando raggiunse il piccolo molo fu salutato dallo sciabordio tenue
delle onde, nel quale svettavano le possenti imbarcazioni
dei Grandi Guerrieri, adorne di scudi e fluenti strisce blu.
C’era un gran viavai tra le navi e l’intera
banchina era invasa da un glorioso accozzame di casse, bauli, otri e
barili, alcuni dei quali – ne era certo – fossero
di
Johann. A quanto pareva il suo spirito mercantile gli aveva concesso di
fare ottimi affari.
Le ampie figure di suo padre e Oswald si stagliavano nella folla,
intente a dirigere le operazioni di imbarco. Hiccup si diresse verso di
loro, badando a non inciampare o rovesciare nulla.
«Hiccup!» Una pesante braccio calò come
una mannaia
sul suo collo, circondandoglielo con forza. Quel grande figlio di un
Grande Guerriero di Dagur aveva un’attitudine impressionante
per
gli agguati.
«Dagur! Che coincidenza!», riuscì a
gorgogliare il minuto Bifolko, opponendo una fievole lotta contro la
sua morsa ferrea. «Stavo proprio...»
«Scommetto tutto quello che ho su Dagur!»
Hiccup sentì la presa attorno al suo pomo d’Adamo
allentarsi e ricadde sulle assi del molo come un
bambolotto di pezza, oscurato dalla notevole stazza di Dagur. I due si
voltarono, vedendo i gemelli Thorston dirigersi verso di loro con una
camminata a dir poco eccentrica.
«Te l’avevo detto che avremmo fatto in
tempo!»,
berciò Testa di Tufo alla sorella, sferrandole un paio di
gomitate nelle
costole.
«Ma se non la smettevi più di
lagnarti!», fu
la piccata risposta di quest’ultima, siglata da un sonoro
pugno.
«Non le chiudete mai quelle bocche, voi due?»,
sbuffò Dagur, incrociando le braccia sul petto.
Testa di Tufo e Testa Bruta lo fissarono come se stessero valutando
attentamente la sua domanda.
«No.»
«Proprio no.»
«Non sembrate malconci…», disse Hiccup
mentre il Grande Guerriero alzava gli occhi al cielo.
«In realtà per giudicare dovresti dare un occhiata
ai
nostri sederi.», sussurrò Testa di Tufo,
avvicinandosi a
lui con aria cospiratoria. «Non sono un bello
spettacolo!»
«Ah, no, grazie. Vi credo sulla parola.»
Dagur, fermo tra loro, digrignò rumorosamente i denti,
prendendo
a battere ripetutamente il piede a terra. «Per i ghiacci di
Hel,
sono stufo di aspettare!», abbaiò improvvisamente,
facendoli trasalire. «Le partenze sono noiose quasi quanto
voi
Bifolki!»
«Possiamo sempre dare fuoco a Testa di Tufo per passare il
tempo...», propose Testa Bruta.
«Ci sto!», esclamò il fratello, dandole
il cinque. «Un momento...»
Il berserker seguì con lo sguardo il loro scambio di
battute,
nascondendo fra le ombre
dell’elmo un’espressione
inquieta. Si accostò a Testa Bruta, con le spalle larghe
scosse
da una risata soffocata. «Perché non diamo fuoco a
te, invece?»
«Ci sto!», ripeté Testa di Tufo,
aspettando un battimano da
parte di Dagur che, ovviamente, non arrivò. Se lo diede
da solo.
«Sì, potremmo...»,
controbatté con
un’indifferente
alzata di spalle la gemella. «Ma la tua testa di legno
brucerebbe
molto meglio della mia.»
Hiccup sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena.
Quei
due erano davvero come le teste di un Bizippo... chissà se i
secchi d’acqua funzionavano anche con loro.
«Freia mi sia testimone: in tutta la mia vita»,
ringhiò Dagur,
sembrando far forza su sé stesso per non infuriarsi.
«non ho
mai
incontrato
nessuno come te.»
«Puoi scommetterci che non ha mai incontrato nessuno come
lei!», s’intromise ancora Testa di Tufo.
«È
l’unica a Berk che riesce a ruttare più forte di
me e, modestia a parte, io
sono un maestro, in quell’arte.»
Il Grande Guerriero lo stese con una testata, guadagnandosi
immediatamente
l’attenzione della sorella. Hiccup, sbalordito, si
rimpiccolì dinnanzi
a quell’atteggiamento ostile e pregò che suo padre
e
Oswald fossero sufficientemente distratti da non notare
l’imminente spargimento di sangue.
Dagur allungò un braccio verso Testa Bruta e
le
prese la mano destra nella sua, osservando rapito la sottile cicatrice
che
le percorreva le nocche.
«Tu sei pazza.», mormorò, stringendole
le dita
affusolate. «Mi
piace.»
L’espressione che fece la ragazza a quella dichiarazione fu
indescrivibile.
«Hiccup!» Stoick l’Immenso li raggiunse
assieme a Skaracchio, attirando su di sé
l’attenzione di tutti. «Ѐ ora figliolo, i Grandi
Guerrieri
sono
pronti a partire!»
Con un sospiro di sollievo, Hiccup li accompagnò alle navi
che oscillavano
tranquillamente nell’acqua, mentre alcuni abitanti del
villaggio aiutavano i berserker a caricare le ultime casse.
«Alla prossima, Hiccup.», disse Dagur, salutandolo
con un brusco con un cenno del capo.
«A-Ah…» Il giovane tentennò,
con lo stomaco contratto.
«Aspetta!», esclamò infine, frugando
convulsamente nelle
tasche del gilet. Recuperò il pugnale e lo
porse al suo legittimo proprietario, con la mascella dolorosamente
irrigidita dalla
tensione. Cosa temeva? Avevano affrontato un drago insieme,
per Odino! Dagur, incredibilmente, aveva scelto di cooperare!
… Doveva dargli credito almeno per quello.
«Oh.»
Hiccup si raddrizzò, azzardando un’occhiata
diretta al Grande Guerriero; stava fissando il coltello da caccia con
nient’altro
che un indolente sopracciglio inarcato. Non
l’aveva mai visto reagire con tanto distacco alla vista di
un’arma, figurarsi una che sembrava essere suo orgoglio e
vanto.
Dagur gli coprì le dita tremanti con la sua mano,
chiudendogliele sull’impugnatura pallida del pugnale.
«Ti concedo di tenerlo.», dichiarò,
sollevando con sovrana alterigia il mento.
Hiccup guardò
disorientato il pugnale e poi sollevò gli occhi al cielo.
No,
niente maiali volanti. «Ma…!»
Il berserker lo zittì con un cenno secco del braccio.
«Ho
visto
come hai affrontato quel drago. Quella luce nel tuo sguardo…
non
mi sbaglio, oh, no. Qua dentro», disse, indicando il suo
petto
gracile, «c’è un lupo.»
Hiccup si mordicchiò l’interno delle guance;
d’accordo, ora non aveva davvero più idea di cosa
pensare o dire. Non era mai stato certo che Dagur fosse in grado di
comprendere o interpretare le emozioni altrui. Certe volte gli
dava tutta
l’impressione di non comprendere appieno nemmeno le proprie.
Tuttavia, non era neanche il tipo che mostrava interesse per qualcosa
che non ritesse degna della propria attenzione; forse, quindi, aveva
davvero visto del potenziale in lui.
«Ti… ringrazio?», balbettò
infine in
imbarazzo, tormentando l’impugnatura del coltello da caccia
tra le dita.
«Oh! Oh! Oh!», rise allegramente Dagur, tirandogli
una sonora pacca tra
le scapole. «Io e te siamo destinati a grandi cose, lo
sento!»
Con il vento in favore, le navi dei Grandi Guerrieri salparono. Hiccup
aveva raggiunto il
largo fianco del padre, lasciando scorrere lo sguardo silvano tra tutti
quegli elmi e scudi. Le partenze avevano sempre un sapore dolceamaro;
per alcuni erano sinonimo di euforia, di novità,
d’avventura ma, per altri, erano anche un addio e, questo,
riusciva sempre a tingere l’aura che le circondava di solenne
rispetto. In quel momento, Hiccup seppe che si era chiuso un capitolo
della sua
vita e se n’era appena aperto un altro. Era un sentore
impalpabile,
completamente irrazionale ma poteva quasi
sentire
l’odore dell’inchiostro fresco sulla pergamena, che
cominciava a narrare una nuova storia. La storia di Hiccup Horrendous
Haddock III, apprendista fabbro di giorno, inventore di notte,
scotennatore di draghi nel tempo libero.
«Ti mancherà molto, vero?»,
scherzò
Skaracchio poggiandogli una mano sulla spalla, lo sguardo perso nelle
vele in lontananza.
«Ogni giorno.»
I due si scambiarono un’occhiata complice e sorrisero,
unendosi ai Bifolki Pelosi che tornavano alle proprie mansioni.
«Sai, credo di avere appena avuto un’idea per un
nuovo prototipo...», cominciò Hiccup, fingendosi
vago.
«Ah, sì? E di cosa si tratta?»
«Vedrai, Skaracchio... vedrai!»
.:~*~:.
“[…] dovrei riuscire a
terminare questa storia poco prima dell’uscita del film.”
– Cit.
Quell’idiota dell’autrice
…
Le ultime parole famose! X°D
Argh, porca p… papera,
non ce l’ho proprio fatta. Quest’ultimo capitolo
è stato davvero difficile da gestire e non avete idea di
quante volte l’abbia riscritto! :X Se penso che
l’intera storia è nata perché mi era
venuta in mente la scena finale tra Dagur e Hiccup con il coltello...!
*sigh* Nonostante fosse già bella che prestabilita,
è stata quella che mi ha dato più gatte da pelare.
... Mamma mia, è strano dire “fine” dopo
tutti questi mesi.
Dunque, quei pazzi dei protagonisti sono cresciuti un po’?
Che dite? Se ho imparato qualcosa, andando
all’università da fuori sede, è che in
certi momenti della vita si comincia a cresce da soli, senza essere innaffiati o
aiutati da qualcuno. Ci si incammina da soli per la propria strada e,
ogni incontro o scontro che ci si para davanti, è
un’opportunità per imparare qualcosa e crescere.
Tranquilli, lunge da me dire di avere capito qualcosa della vita alla
mia età perché non è
così… ma, questo pezzo della mia
esperienza, ve lo voglio lasciare comunque qui.
- Passiamo alle
note finali:
Psst, ehi... *si avvicina con aria circospetta* l’invenzione
a cui allude Hiccup è quella che userà per
catturare Sdentato. Un notevole miglioramento di quella che gli ho
fatto usare io. Yeah! XD
Per chi se lo fosse chiesto, il papà di Dagur ha sorriso
così perché è riuscito a fargli
ammettere implicitamente di aver salvato e protetto di propria
spontanea volontà una persona. È felice di vedere
che c’è ancora del buono in quella pallina di
scelleratezza che è suo figlio. Buon Oswald. Ha mandato un
po’ in crisi il figliolo. X°DDD Oh e, ovviamente, la
“lucida follia” che ha visto Dagur in Hiccup
è, be’, un fraintendimento perché,
sì, Hiccup corre dei rischi folli quando è
necessario ma non contempla affatto l’intera gamma di
violenza fisica e morale a cui arriva la pazzia di Dagur. Ma
va’ a spiegarglielo…! XD
Ripeto, tutto quello che avete letto su Dagur e Oswald sono mie interpretazioni personali.
Dati concreti sul loro rapporto (a parte le allusioni del figlio),
purtroppo, non ne abbiamo. Che ne dite? Spero di essere riuscita a
conservare una parvenza di sensatezza in tutto il discorso che ho fatto
su di loro nel corso della storia.
E, prima che mi passi di mente: “Gobber”
è il nome originale di Skaracchio… dato che Dagur
sembra avere qualche problema a ricordarsi i nomi che non gli
interessano, ho pensato fosse divertente che chiamasse così
Gothi. Era solo un’idea, così… non
uccidetemi. X°D E, a proposito, quando Dagur la definisce
“vecchia banshee”,
è una mia licenza poetica perché non ho idea se
anche i vichinghi fossero a conoscenza di questi esseri fantastici. Non
credo ma mi sembrava un termine calzante per il vocabolario di uno come
Dagur, che ormai odierà tutte le sciamane di questo mondo!
XDDDD
Mmh, che altro? Ah, già: in quest’ultimo capitolo
c’è qualche piccola
citazione dei capitoli precedenti perché,
be’, ho recuperato tutti i fili che avevo sparso. Ad
esempio “Che Thor mi fulmini adesso! Ho le
traveggole!” / “Allora siamo in due.”,
è un’esclamazione che ho fatto usare a
Stoick e Oswald in questo capitolo e a Skaracchio e Stizza Bifolko nel
capitolo precedente. “Basta davvero poco per
zittirti”, invece, gliel’ho fatto dire a Testa
Bruta anche nel terzo capitolo. E il “Tu sei pazza. Mi
piace.” di Dagur è una mini citazione dal primo
film. *-*
Per la scena del pre-festa, volevo solo aggiungere che
c’è un headcanon
che circola ormai in tutto il fandom: ad Astrid piace
intrecciare i capelli e lo fa spesso e volentieri a chiunque le capiti
a tiro. Mi sembrava un’idea carina per farle fare due
chiacchiere con Testa Bruta (i loro contatti nel film e nelle serie
sono pari a zero) e per farvi capire che, poverina, è un
po’ in crisi anche lei perché non sa più che
pensare di Hiccup. XD
Bene, è giunto il momento di calare il sipario! Mi sono
divertita tantissimo e ho imparato un sacco di
cose sulla cultura vichinga a non, durante le ricerche che ho fatto!
(*´▽`*) Ho spremuto tutto il limone che mi ritrovo al posto
del cerebro per scrivere questa storia a capitoli e spero con tutto il
cuore di essere riuscita ad intrattenervi! ... Almeno un po’.
Davvero.
Eeeeeee ringrazio infine wacciuweis
per aver aggiunto la storia tre le preferite e kunoichi_chan009 e OnePotterhead per
averla messa tra le seguite! Mi ha fatto estremamente piacere!!
(≧∇≦) E, ovviamente, ringrazio chiunque abbia letto
la conclusione della storia! Fatemi sapere cosa ne pensate, non
vergognatevi! :)
E come dico sempre…
See ya,
Shadow
Eyes
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