I swear on the River Stix

di King_Peter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Background ***
Capitolo 2: *** 2. Know the water's sweet but blood is thicker ***
Capitolo 3: *** 3. Two thousand years I’ve been awake ***
Capitolo 4: *** 4. Who, there's a man who's telling me I might be dead ***
Capitolo 5: *** 5. See I didn't cry when he came inside ***
Capitolo 6: *** 6. I don't need to be saved ***
Capitolo 7: *** 7. All my friend are enemies ***
Capitolo 8: *** 8. Everybody wants something from me ***
Capitolo 9: *** 9. Waiting for the day to shake ***
Capitolo 10: *** 10. I's a revolution, I suppose ***
Capitolo 11: *** 11. A hero’s not afraid to gave his life ***
Capitolo 12: *** 12. This city never sleeps at night ***
Capitolo 13: *** 13. You misunderstand, I'm never changing who I am ***
Capitolo 14: *** 14. All systems go, sun hasn't die ***



Capitolo 1
*** 1. Background ***



Rise like a manDie like a hero.


"Follow me down to the river,
I'll be down here on my knees"
-- The Pretty Reckless, Follow me down

1. Background

"C'è un audace marinaio, che attendo dentro al cuore
non conosco il suo nome, ma ho bisogno del suo amore
."

Le onde calme della baia di Long Island risplendono sotto il sole primaverile, mentre quest'ultimo si getta inesorabilmente fra le braccia scure dell'orizzonte, tingendo il mare di fuoco.
Si infrangono innocue sul bagnasciuga, spumeggiando e tornando alla carica, accompagnate dal canto innaturale, troppo perfetto. Persino il vento viene frenato, come se sia tenuto fermo da briglie invisibili mosse da un cavaliere esperto.
La bonaccia.

"Voi fanciulle innamorate, venite tutte qua
l'allegro audace marinaio so che un giorno arriverà.
Solo lui può consolare, questo cuor spezzato ormai
il mio audace allegro marinaio prima o poi arriverà
."

Là, sulla riva, una coppia di giovani ragazzi è seduta ad osservare il tramonto, stringendosi come se potessero perdersi da un momento all'altro con la luce che scolpisce i loro visi felici.
Ma lui adesso le sta indicando un punto tra i flutti del mare, qualcosa che non riesce a scorgere bene, prima che il canto arrivi alle sue orecchie: si alza, mettendo una mano sulla fronte per osservare meglio. 
Sul volto di lei si dipinge un'espressione di terrore, mentre la sua mano corre al pugnale che porta al fianco, legato ad una cintura di pelle.
Cerca di trattenerlo, gli strappa persino la camicia di dosso pur di fermarlo, ma lui continua a camminare verso il mare aperto, non riuscendo più a sentire la sua voce, come se fosse atona, senza suono.
Non percepisce le sue urla strazianti, non percepisce più il dolore che tutte le cellule del corpo di lei stanno gridando. 
Ascolta solo il suo canto. 
Ora le onde dell'oceano gli lambiscono le ginocchia, mentre lei, disperata, urla per cercare aiuto, lasciando cadere il pugnale sulla sabbia e gettandosi al suo inseguimento, venendo sbalzata dalle onde del mare, forse per pietà o per puro gusto di assaporare la sua pazzia, a riva. 
Lui si volta, il petto nudo che brilla per le ultime luci del giorno, rivolgendole un ultimo sguardo triste, mentre i suoi occhi perdono definitivamente espressione. 
Si getta a braccia aperte tra le onde dell'oceano, ricordandosi solo ora che non sa nuotare. L'ossigeno comincia a venire meno, mentre lui cerca disperatamente di tornare a galla, per respirare, ma è tutto inutile.
Affoga.

"C'è un audace marinaio che attendo dentro al cuore
non conosco il suo nome, ma ho bisogno del suo amore
."


^°^

*panda's corner*
Ok, come prologo di una storia fa letteralmente schifo, ma mi chiedo umilmente venia perchè è la primissima FanFic interattiva che scrivo, quindi ... portate pazienza, pls xD 
Allora, sono mancato un pò perchè non ho avuto tempo di scrivere (purtroppo), ma ora eccomi qui, con un'altra brillantissima (?) idea da stendere e che, spero, possa appassionarvi.
Il titolo della storia "I swear on the River Styx" significa "Io giuro sul Fiume Stige". Non so il perchè di questo titolo, ma ho scovato un'immagine su fb che portava questa scritta e da lì l'idea c: 
E poi trovo che sia molto evocativo, quindi ... boh xD L'ho messo e basta. La canzone che trovate in corsivo è “l’Audace Allegro Marinaio” del film “I pirati dei caraibi, oltre i confini del mare
Ma ora, visto che voi non volete che io cianci inutilmente (vero?) vi posto il modulo per creare il personaggio per la storia u.u

N.B. Mi servono 10 semidei, 5 maschi e 5 femmine. 
Mi raccomando, non fateli (pls :3) tutti figli dello stesso dio, come Zeus, Poseidone, ecc. ma ben diversificati perchè così ci sarà più azione e più ... intrattenimento?
Se non vi dispiace (e non vi dispiacerà, vero? *sfodera gli occhi da gatto di Shrek*) dovete crearmi un/a figlio/a di Afrodite e uno/a di Ecate così che la storia possa procedere meglio, altrimenti non fa nulla ... la faremo procedere lo stesso xD
Ah, tenete conto che ho una vena sadica e, quindi, qualcuno potrebbe morire xD 

Se ci saranno più di 10 utenti disposti a creare un personaggio, potrò far apparire gli altri che ci saranno come personaggi si, ma secondari o minori. Non prendetevela, ma già gestire 10 semidei iperattivi sarà un'impresa ... titanica c:
Detto questo, passiamo allo schemino! :) ( i campi con l’asterisco sono opzionali) Prima di inviarmelo, però, commentate qui solo per farmi sapere sesso e progenie del personaggio. Se vi darò l'ok, potrete spedirmelo via mp c:

Nome e cognome pg: 
Età: (min. 15 anni, max. 17)
Data di nascita: 
Figlio/a di: (dei maggiori o minori. Non pongo limiti, dateci dentro con la fantasia xD)
*Familiari mortali: (solo nome e grado di parentela.)
Caratteristiche fisiche:
Psicology:
Cosa gli/le piace fare:
Breve background: (breve, ovvio, anche solo due righe per giustificare un certo carattere o qualunque altra cosa che è funzionale ad immettere il personaggio nella storia.)
Armi: (max. 2 come, ad esempio, spada e scudo, o anche una sola.)
*Paure: (campo opzionale)
*Friends&Love: (qui potete inventare o mettervi d'accordo con gli altri utenti che creeranno i loro personaggi. Tenete conto che i semidei che prenderanno vita dovranno già essere tutti al Campo Mezzosangue.)

Bene e con questo è tutto! :) Spero partecipiate in tanti perché … ci sarà da divertirsi u.u


King

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Capitolo 2
*** 2. Know the water's sweet but blood is thicker ***


2. Know the water's sweet but blood is thicker 
 

"I live for the applause, applause, applause"
Il sole stava calando velocemente, ma Archibald, nome che odiava e che spesso (sempre) abbreviava in Archie per non sembrare ridicolo davanti agli altri, si stava godendo il tramonto: aveva sempre adorato il momento quando il sole si tuffava nel mare e lo colorava con mille sfumature di giallo ed ocra.
Era appollaiato sulla parete dell’arrampicata e guardava dritto in direzione del mare. Il fiatone attanagliava la sua voce, ma non c’era bisogno di parlare: gli piaceva mettersi in mostra e dimostrare di essere bravo dove la maggior parte dei semidei falliva.
Purtroppo per lui, al momento non c’era nessuno ad osservare le sue prodezze dato che era quasi ora di cena e si erano diretti verso le prelibatezze del padiglione della mensa.
La sua pelle scura era imperlata di sudore, come la sua fronte d’altronde, mentre il suo cuore batteva all’impazzata, ma non per lo sforzo, quanto più per urlare al mondo “Vittoria!” ed Archie trovò la cosa ridicola dato che sua madre era Nike, la compagna fidata di Atena, la dea stessa della vittoria.
Guardò verso il basso, mentre una delicata brezza marina gli accarezzava il volto e i ricci di sabbia, sabbia come quella dove sedevano quei due semidei.
Archie corrugò la fronte: chi era la figura che vedeva controluce?
Accostò una mano alla fronte e corse più volte il rischio di cadere di sotto dato che si stava sporgendo troppo, ma non riusciva lo stesso a capire niente.
Adesso il semidio stava andando verso quella cosa, lei stava provando a trattenerlo, ma inutilmente.
Divino Zeus.” imprecò sottovoce, per poi abbassare gli occhi, evitando un getto di lava che stava per mangiarsi la sua gamba.
Strinse i denti, come se si dovesse concentrare, poi alzò gli occhi, puntandoli verso la spiaggia: erano scomparsi, cioè, la figura in controluce e il semidio erano spariti nel nulla, come se fossero stati solamente un’illusione.
Strizzò gli occhi più volte, per capire se fosse lui il problema e tese l’orecchio.
Niente.
Stava per dirsi di immaginare meno ad occhi aperti quando sentì le urla della ragazza: persino da lassù poteva sentire il dolore che ci stava riversando dentro, come un torrente in piena.
Decise di scendere.

 
§
 
"You and me could write a bad romance"
Lia Lawres e Hope White si erano sempre detestate.
Erano figlie della stessa dea, Ecate, la signora della notte, ma sembrava che le due sorelle fossero completamente diverse e destinate ad uccidersi a vicenda, cosa che, prima o poi, sarebbe successa.
Avevano dato a Chirone parecchi grattacapi, come quando l’una aveva istigato dei segugi infernali contro l’altra o quando, per poco, non avevano fatto crollare la cabina di Ecate e le sue pietre stregate che avrebbero trasformato in albero chiunque nel raggio di mille metri.
Per fortuna erano intervenuti in tempo, poco prima che si prendessero per il collo e si strozzassero con la loro forza magica, cosa che alla dea non sarebbe piaciuta, ovviamente.
Quella sera nessuna delle due sembrava in vena di litigare con l’altra, almeno, non in apparenza: Lia era sprofondata su una poltrona scura e stava leggendo un libro. Le ciocche viola e smeraldo leviavano intorno al suo viso, dandole fastidio mentre sfogliava pagina dopo pagina e costringendola sempre a portarle dietro l’orecchio.
Le succedeva sempre una cosa del genere, quando era sottopressione: quel libro e la sua maledetta trama stavano mettendo a dura prova i suoi nervi.
Hope, d’altro canto, stava osservando il tramonto. Per lei era una sorta di rito, dato che poi cominciava la notte e, seppur sua madre era la padrona delle ombre, Hope aveva una paura matta per il buio, cosa che non avrebbe confessato nemmeno sotto minaccia di morte.
Il sole sta morendo anche oggi.” pensò, “E io devo passare un’altra notte sperando che Lui non spunti fuori dalle tenebre.”
Sospirò, disgustata, beccandosi un’occhiataccia da parte della sua sorellastra: i capelli neri sfioravano il suo viso cadaverico, mentre le mani si protendevano verso la candela che usava sempre per stare sotto lo sguardo candido della luna. Chissà perché, ma il disco lunare le infondeva sempre grande coraggio.
Lia abbassò il libro, chiudendolo sulle gambe: era sul punto di dirle qualcosa, ma venne interrotta bruscamente poiché l’intera casa di Ecate piombò nel buio.
Hope stava per essere assalita dal panico.
Anche le finestre erano state oscurate, come se fossero state sbalzate in un’altra dimensione e la figlia di Ecate cercò affannosamente la candela, per accenderla, ma non ce ne fu bisogno dato che la stanza venne inondata da una luce flebile e candida.
Ecate.
“Madre.” sussurrò rispettosa Lia, inchinandosi per quello che Hope poté vedere. La imitò, poi si rialzò e le disse “Perché siete qui?”
La dea sorrise, ma ben presto quel sorriso scomparve, rimpiazzato da un’espressione di dolore e malinconia.
“Vi porto cattive notizie.”

 
§
 
"Like a thunder gonna shake the ground"
Daphne stava camminando senza una meta precisa, continuando a giocherellare con la collana di quarzo rosa che sua madre Afrodite aveva donato a suo padre e a lei prima di abbandonarli.
Il pendente aveva sempre avuto il potere di calmarla e illuminare chiunque con un sorriso, ma quel giorno il suo potere sembrava svanito e Daphne si sentiva irrequieta, come la calma prima della tempesta, con il suo istinto che continuava a gridare un allarme primordiale che gli altri sembravano non sentire.
I capelli scuri le accarezzano le spalle nude, coperte solo da una maglietta sottile che evidenzia il suo corpo, mentre i suoi occhi verdi scrutano l'orizzonte. Per poco non cade a terra quando si scontra con un ragazzo poco più piccolo di lei: non molto alto, ma atletico e con capelli biondi storti in  una strana angolazione, come se si fosse appena svegliato.
I suoi occhi scintillavano come nubi temporalesche.
"Un figlio di Atena." pensò subito Daphne, continuando a toccare la sua collana, come a trarne forza e sicurezza che quel giorno non riusciva a trovare. Rimasero lì per un momento che sembrò infinito, il tempo fermato, poi lei si decise a parlare, dicendosi che fosse poco gentile non presentarsi dopo essersi conosciuti in quel modo.
"Daphne." disse, alzando la mano con la quale stava torturandosi il pendente, "Figlia di Afrodite."
Luke per poco non ebbe un sussulto quando seppe che la ragazza con la quale si era scontrato era una figlia della dea dell'amore, ma come avrebbe potuto saperlo?
"Luke." rispose lui, imbarazzato, non sapendo se porgerle la mano o sistemarsi i capelli quando decise di fare quest'ultimo, sorridendo, "Figli di ..."
"Atena." completò Daphne, sorridendogli di rimando, "L'avevo ... intuito."
Era sempre stata brava a leggere le emozioni degli altri e si sentì sollevata quando gli disse chi era, come se le pene che aveva patito quel giorno conducessero tutte a lui, tutte da Luke.
Stava per proporgli di andare a mangiare qualcosa al padiglione della mensa assieme, quando lui si voltò, prendendola per mano prima che un'orda di semidei li investisse, come se fossero mosche attratte dal miele.
"Che sta succedendo?" chiese la figlia di Afrodite con un'espressione confusa in volto. Lanciò uno sguardo al ragazzo che aveva appena conosciuto, ma che sentiva già di conoscere da una vita: lui serrò la mascella, mentre i suoi occhi si facevano ancora più torbidi e scuri.
"Nulla di buono, temo."

 
§
 
"I'm friend with the monster, that's under my bed"
Selene Moonlake stava beatamente sognando quando il mondo le crollò addosso.
Era tardo pomeriggio quando gli occhi le si chiusero dolcemente e lei si abbandonò sul letto della sua capanna, lasciando la presa sul libro che stava leggendo.
Quando aprì gli occhi, i raggi del sole stavano rapidamente calando, affogandosi oltre l'orizzonte: il mondo le sembrò farsi più buio, freddo, come se la luce e il calore non fossero mai esistiti.
Tremava.
Selene mosse un passo, poi un altro, mentre intorno a lei si accendevano delle luci accecanti, di quelle che si usano negli studi televisivi, come fari nell'oscurità più completa. Chiudeva gli occhi per non rimanere cieca, ma le orecchie le si riempirono di voce suadenti e pericolose che la spronavano a gettarsi oltre un dirupo scuro che le si era creato davanti quando lei aveva chiuso gli occhi.
Cacciò un urlo.
Si svegliò nella sua cabina con il cuore che le batteva all'impazzata. Mise una mano sul petto, come a tentare di fermarlo: suo padre, Morfeo, le aveva sempre garantito sogni piacevoli e non le aveva mai fatto sperimentato un incubo.
Quella sarebbe stata la prima volta.
Si mise una mano nei capelli scuri, guardandosi intorno, poi qualcosa colse la sua attenzione: anche il sole, nella reltà, stava calando. Fu colta da un momento di panico, ma si ordinò di calmarsi, mentre si guardava intorno come se, da un momento all'altro, il mondo potesse farsi buio e lei sprofondare in quel baratro.
"È stato sicuramente un presagio." pensò, infilandosi la spada che il padre le aveva donato, Moondream, nel suo fodero. Diede un ultimo sguardo alla sua cabina, sentendo dentro di lei che stava per succedere qualcosa.
Mentre era sulla soglia tornò indietro, afferando una torcia elettrica.
"Non si può mai sapere."

 
§
 
"For the lives that I take, I'm going to hell"
Warren stava staccando la testa ad un manichino con tanta foga, quando sentì quella brutta fredda sensazione addosso che lo costrinse a guardarsi intorno.
Aveva iniziato ad allenarsi presto quel pomeriggio e non aveva intenzione di smettere fino a sera, quando si sarebbe sentito stanco morto, ma sapendo di aver dato il massimo. Ovviamente non si sentiva soddisfatto da quel tipo di allenamento, dato che per lui infilzare manichini non aveva senso, ma Chirone aveva proibito di uscire dal campo senza il suo permesso o quello dell'Oracolo, quindi Warren, per quando voglia di uccidere e buttarsi in battaglia avesse, doveva rimanere lì a trucidare manichini di paglia.
"Perfetto" sibilò, stizzito, nel suo tono tipico, "Questo è per Chirone, questo per quella mummia dell'Oracolo e questo ... questo è per ... "
Si voltò, di scatto, puntando la spada contro un ragazzo alto più o meno quanto lui, carnagione olivastra, capelli neri e occhi chiari come ghiaccio. Warren non era così ansioso di abbassare la coppia di katane in ferro dello Stige che aveva in mano dato che quel ragazzo si portò un dito sulla bocca a raccomandargli il silenzio.
Il figlio di Ares lo guardò furioso, dicendosi che nessuno poteva dirgli cosa fare. Aveva tutta l'intenzione di farlo solo un pò male, quando lui gli fece ancora una volta segno di stare zitto.
Warren stava per ribattere quando sentì un urlo in lontananza, roco e carico di dolore. Uno dei suoi neuroni si svegliò di botto, incitandolo ad andare a buttarsi nella mischia, supportato anche dall'altro.
Rivolse un ultimo sguardo a quel ragazzo che non aveva spiccicato nemmeno una parola, correndo fuori dall'arena, non voltandosi minimamente e non accorgendosi, ovviamente, di avere il ragazzo alle spalle, come una sorta di angelo della morte in versione belloccio super sexy.

 
§
 
"I got the eye of the tiger, a fighter, dancing through the fire"
Jake era il ragazzo più strano del campo: albino, occhi rossi, capelli così chiari da tendere al bianco. Insomma, non era il genere di mezzosangue che si vedeva sempre tra il poligono di tiro con l'arco o la parete dell'arrampicata.
Jake sembrava una bambola di porcellana, così fragile e sul punto di cadere, esplodendo in mille pezzi. Si passò una mano nei capelli, staccando, per un attimo, gli occhi dal libro di Divergent che stava, letteralmente, "divorando". Adorava quel libro, adorava il fantasy in genere e non si rendeva conto che la sua vita era come uno dei quei libri che tanto gli piacevano.
La foresta era un posto tranquillo per uno come lui dato che soffriva di agorafobia e il fatto che gli piacesse stare da solo, portandolo, spesso, ad isolarsi troppo dagli altri per una paura che da sempre gli  corredeva il cuore e lo spirito: sarebbe diventato come suo padre?
Era così immerso nella lettura che quasi non si accorse che qualcuno gli stava venendo addosso, coprendolo con tutto il suo peso.
"Ehi!" esclamò lui, alzandosi in piedi e trovandosi faccia a faccia con una ragazza dai capelli neri, lunghi fino alle spalle e la pelle molto, ma molto più scura della sua: a vederla sembrava la sua nemesi.
"Scusa." gli disse l'altra, mentre un rossore invadeva le sue guance e degli atrezzi meccanici caddero dalle tasche dei suoi jeans.
"Figlia di Efesto?" chiese Jake, chiandosi per raccoglierle delle viti e dei bulloni. Lei annuì distrattamente, guardandosi intorno come per riuscire a trovare la propria strada, "Serve aiuto?" domandò ancora, corrugando la fronte e cercando di capire cosa ci facesse una ragazza così nel folto della foresta.
"Stavo cercando ... " cominciò a dire, ma, all'ultimo secondo, sembrò ripensarci, "Niente." rispose, sorridendogli a quarantadue denti, perfetti e smaglianti.
Jake pensò che se avesse posato gli occhi lì sopra si sarebbe ritrovato cieco prima che avesse potuto spicciare un'altra parola, così abbassò lo sguardo sul terreno sotto i loro piedi, quando suonarono i corni del campo.
"Liz, comunque." si presentò velocemente la ragazza, mentre correvano verso la Casa Grande, "Deve essere successo qualcosa di grosso." continuò, non arretrando nemmeno quando una ninfa fece capolino da un albero e ne uscì tutta spiritata.
"Jake."  concordò lui, continuando a stringere il libro di Divergent tra le mani e si sentì alquanto stupido, dato che se il campo fosse stato in pericolo lui cosa avrebbe fatto?
Colpito un mostro con un libro di Veronica Roth?
"Patetico." si disse, continuando a correre verso il campo.

 
- - - 
 
*panda's corner*
Ok, picchiatemi, vi prego ç_____ç
Ci ho messo tantissimo, ma mi scuso dato che ... *cerca una scusa* Avevo l'interrogazione di arte, sai com è xD Bisogna studiare tanto per storia dell'arte c:
Ad ogni modo eccomi con il secondo capitolo di questa storia spericolata che spero possa continuare a piacervi, altrimenti mi vado a gettare con Egeo quando vide le vele nere del figlio .-.
Bene, passato questo momento di pazzia, vi scrivo le mie considerazioni (?) 

1. Archie: Beh, devo dire che non avevo mai pensato ad un figlio di Nike, ma devo dire che mi ricorda molto Leo e quindi mi sta molto, mooolto simpatico xD
2. Lia e Hope: Ok, visto che sono sorelle ho pensato di fare che si detestavano e, quindi, si vogliono strappare i capelli a vicenda (?) Ma, anche se si odiano, devono affrontare la cosa insieme e non sarà facile. Pollice in su anche per loro c:
3. Chi sono i terzi che ho presentato? Ah, Daphne e Luke
Beh, diciamo che non volevo presentare tutti separatamente e, visto ciò, li ho fatti scontrare per farli diventare amici xD D'altro canto mi avevate lasciato campo libero. Nota per Lucrezia_2: ci sarà una piccola sorpresa per il tuo personaggio, nel prossimo capitolo xD
4. Selene: la figlia di Morfeo mi entusiasma, quindi penso che farò grandi cose con lei xD Non vedo l'ora u.u
5. Warren e Bashir: Sono quelli che, secondo me, ho caratterizzato e presentato meno in questo capitolo e, quindi, vi chiedo venia ç_____ç Ma mi rifarò nel prossimo, promesso xD
6. Jake: Ahhhh, ci saranno grandi novità con questo personaggio e solo io e AxXx sappiamo il perchè. Non perdetevi la prossima puntata, dopo questa lista della spesa! 
Fatemi sapere che ne pensate, ok? èé Enjoy! :)

King

 

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Capitolo 3
*** 3. Two thousand years I’ve been awake ***



Rise like a man, Die like a hero.

3. Two thousand years I’ve been awake
 
Sembrava che Chirone fosse invecchiato di una decina d'anni, quando Archie giunse davanti alla Casa Grande: si era radunata una folla composta da tutti i mezzosangue del campo, accerchiando il centauro sulla cui groppa era appoggiata una ragazza dai folti capelli scuri che piangeva, le lacrime le scendevano lungo le guance, ardendo di dolore.
Archie si fece largo tra le persone a furia di spintoni e pugni, lanciando un'occhiataccia ad  un tizio alto due metri che sembrava essersi pompato direttamente nelle vene uno di quegli integratori che di solito usano gli sportivi.
Il figlio di Nike riuscì ad arrivare in prima fila, osservando lo strazio della scena. Chirone cercava di disperdere la folla, ma non ci riusciva dato che tutti premevano perché desse loro delle spiegazioni.
"Cercate di capire." disse, nel suo solito tono calmo e controllato, "Tornate ognuno alle proprie occupazioni, non c'è nulla da temere."
"Nulla da temere." pensò stizzito Archie, facendo una smorfia, "Questa ragazza sta piangendo come se le fosse crollato il mondo addosso e non ci sarebbe nulla da temere?" si chiese, scrutando negli occhi castani del centauro, poi passando a cercare di riconoscere la ragazza, il viso nascosto dai suoi capelli bagnati di lacrime.
Avrebbe scommesso un occhio della testa che quella era la semidea che aveva visto prima sulla spiaggia dalla  parete dell'arrampicata.
"Chi era quella figura in mezzo al mare?" domandò, spontaneamente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. La ragazza alzò gli occhi, mentre tra i  mezzosangue calava il silenzio, tutti in attesa di una risposta. Alcuni guardarono male il figlio di Nike, altri gli diedero delle pacche sulle spalle, come a dargli ragione, altri ancora fissavano intensamente Chirone, cercando di strappare qualche informazione dai suoi occhi imperscrutabili.
Per un attimo, ma solo una frazione di secondo, Archie fu convinto di aver chiesto una cosa giusta, quando si rese conto che era stato indelicato: gli  occhi della ragazza si posarono sui suoi, poi si riempirono di nuovo di lacrime e dalla sua bocca uscì solo un profondo rantolo.
"Complimenti, mister Delicatezza." sussurrò una voce accanto a lui, mentre degli occhi grigio tempesta cominciavano a mettergli soggezione.
"Luke." rispose, non riuscendo a sostenere il peso del suo sguardo e spostandolo su Chirone che cercava di consolare la ragazza.
Archie scoprì che confortare le persone non era decisamente il suo forte.
Un'altra figura, una ragazza, corse verso quella piangente, aiutandola a mettersi in piedi da quella scomoda posizione nella quale si era piegata, ad angolo retto, con i capelli intrisi di sabbia, paura e disperazione. Luke la guardò, quasi sorridendo.
"Calmati." le disse, "Va tutto bene, Lizzie."
Daphne cercò di metterci tutta la sua sicurezza in quelle parole, ma nemmeno lei ne fu convinta. Toccò più volte la collana di quarzo rosa che le aveva regalato la madre, ma evidentemente non servì dato che Lizzie, la figlia di Ares con cui Daphne era molto amica, continuò a singhiozzare, lasciandosi cadere per terra.
"Ehi." le sussurrò, in modo che solo lei potesse sentire, "Non preoccuparti, Lizzie, vedrai che passerà tutto. Andrà ... andrà tutto per il meglio."
Daphne si sentì quasi stupida a dirle questo, dato che sapeva che era successo qualcosa di grosso per ridurre la sua amica in quello stato, ma cercò di sembrare il più convincente possibile.
Chirone le guardò per un attimo, poi sorvolò con lo sguardo la folla, facendo cenno ad un semidio di andare da lui.
Jake, l'albino, si mosse a fatica tra la marmaglia dei semidei, trascinandosi dietro Liz, la figlia di Efesto, che, però, non si avvicinò al centauro. Luke odiava essere al centro dell'attenzione,  ma si costrinse a farsi avanti e raggiungere Chirone, evitando di abbassare lo sguardo solo perchè si sentiva in soggezione di fronte a tutti quei mezzosangue e al loro coraggio da vendere.
Si sentì un boato, poi una sorta di sfrigolio come quello del fuoco e poi l'acqua che dal laghetto delle canoe si precipitò ad innaffiare alcuni alberi che avevano preso fuoco.
"Oh dei!" esclamò una voce, carica di imbarazzo ed stranezza, "Non volevo." si scusò, poco prima che la folla dei semidei si aprisse e lasciasse intravedere Lia, la figlia di Ecate, assieme a sua sorella Hope che aveva una sorta di espressione funerea in volto.
"Begli amici che siete." sibilò, sembrando una pazza isterica, camminando verso Chirone e le due ragazze che si erano abbracciate e davano l'impressione di non volersi staccare più.
"Divino Zeus." mormorò Lia, "Che Ade vorrà farmi?" chiese sottovoce a sua sorella Hope che si limitò a stringersi nelle spalle, socchiudendo gli occhi come un felino pronto a sferrare il suo attacco.
"Cuocerti nella lava bollente?" propose, "Sai, non sarebbe affatto male."
Lia dovette fermare l'impulso di strozzarla seduta stante.
"Mi succede sempre quando sono nervosa." si giustificò con il centauro, non sapendo dove mettere le mani, se tra i capelli o in bocca, smangiucchiando nervosamente le unghia, "Io ... io non volevo ehm ..."
Chirone corrugò la fronte, poco prima che il cielo si facesse nero e cominciassero a brillare i fulmini, accompagnati dai loro rispettivi tuoni che fecero tremare la vallata del campo mezzosangue.
Qualcuno cacciò un urlo.
"Di Immortales." sussurrò Selene guardando il cielo e poi scorrendo lo sguardo sulla luce accecante che stava comparendo tra gli alberi del bosco. Strinse forte la torcia elettrica, chiedendosi se le sarebbe servita davvero.
La luce si avvicinava al loro gruppo, come se fosse attratto dalla loro forza semidivina. La figlia di Morfeo sguainò Moondream, stringendone l'elsa fino a far sbiancare le nocche.
"Padre, aiutami." pregò, cercando di sembrare più determinata di quanto non lo fosse in realtà, poco prima che la ragazza di Ares, quella che aveva pianto accanto a Chirone, cacciasse un urlo e cominciasse ad urlare un nome verso la luce.
"Edmund!" gridò, "EDMUND!" con le lacrime agli occhi, la voce strozzata dal dolore. La luce sembrò piegarsi e assumere forma umana, mentre un'altra ragazza cercava di fermare la prima, continuando a chiamarla per nome e a trattenerla per la maglietta arancione del campo.
Invano.
Era un ragazzo, o almeno, Selene pensava che lo fosse dato che le tendeva le braccia aperte come se volesse abbracciarla. La luce sembrò spegnersi, diradarsi, permettendo di vedere meglio la scena.
Chirone era sgomento: aveva preso l'arco e incoccato una freccia, mirando verso la luce, ma quando questa si era trasformato in una figura umana non sapeva più che pensare.
Lizzie continuò ad avvicinarsi, con Daphne che cercava di richiamarla alla realtà, invano, venendo sbalzata all'indietro da un colpo nervoso della figlia di Ares.
"Lizzie!" urlò, con le lacrime agli occhi.
Si avvicinò pericolosamente a quello che una volta era stato il suo fidanzato. Si abbracciarono, si baciarono, poi, mentre tutto sembrava essere passato, lui mutò ancora, un ghigno malefico dipinto sul suo volto, assorbendo l'energia dei fulmini e fungendo da una sorta di parafulmini.
Fumo, odore di carne bruciata. Dolore.
Silenzio.
Lizzie cadde a terra, tra le urla roche di Daphne che cercava inutilmente di rialzarsi, fermata da un paio di altri semidei che guardavano esterrefatti la scena.
"Scocchi semidei!" sibilò una voce che proveniva dal corpo del ragazzo, "Nulla potrà più fermarmi, nemmeno voi, burattini degli dei!” sghignazzò, "Prima che arrivi il giorno sacro ad Era, io avrò polverizzato l’Olimpo e per voi sarà la fine, sem …”
Il rumore di proiettili, la lama veloce di una falce.
Il corpo del ragazzo, e con esso la voce maligna, si dissolsero in una nube scura come la notte che li circondava, poco prima che diedi simboli presero a splendere su altrettanti semidei.
Chirone aveva raggiunto il limite dello stupore, perciò non si scompose quando i simboli arsero come barlumi nella notte, anche se non sapeva bene che pensare dato che era successo tutto così velocemente.
Dove diavolo era il signor D. quando serviva?
Cinque ragazzi e altrettante ragazze cominciarono, chi più, chi meno, a guardarsi sulle loro teste, riconoscendo i simboli dei loro genitori e muovendosi a disagio tra i mezzosangue, mettendo mano nervosamente alle loro armi o accarezzandosi il collo, con fare sospetto.
"Venite avanti." disse Chirone, riponendo arco e freccia nella faretra, "Selene Moonlake, figlia di Morfeo."
Selene si mosse a disagio sul suo posto, mentre la cetra di fiamme sulla sua testa cominciava a sparire, raggiungendo il centauro con una certa fretta, come ad assicurarsi che tutto finisse presto.
"Archibald Kaele, figlio di Nike."
Archie, in quel momento, odiò Chirone per averlo chiamato con il suo nome intero, poi la sua voglia di mettersi in mostra venne meno, chiedendosi in che brutto giro fosse finito. Rivolse uno sguardo preoccupato a Luke, poi si mise accanto alla figlia di Morfeo.
"Lia Lawres e Hope White, figlie di Ecate."
La voce del centauro riscosse Lia dai suoi pensieri che si erano fatti così torbidi da farle perdere il senso pratico della vicenda. Era già stata fortunata per il fatto che non aveva fatto scoppiare nulla quando quel "mostro" li aveva attaccati e la voce di quella donna era penetrata nelle sue orecchie.
Anche Hope, che faceva tanto la dura e aveva tentato di non darlo a vedere, si era messa le mani sulle orecchie, spaventata da ciò che aveva sentito.
L'Olimpo era di nuovo in pericolo, i semidei erano di nuovo in pericolo.
"Luke Thobias Mason, figlio di Atena."
Luke si agitò, troppo anche per gli standard di un semidio, e si fece avanti, ricordandosi di essere un figlio della dea della saggezza. La sua mente, negli ultimi cinque minuti, era stata invasa da un numero incalcolabile di pensieri e aveva fatto mille progetti, mille osservazioni senza arrivare a cavarne nulla che lo potesse aiutare.
Quando la civetta di sua madre aveva brillato sulla sua testa non sapeva se essere onorato o spaventato. A testa alta, raggiunse le due figlie di Ecate, scrutando con occhi temporaleschi la folla che li guardava sbigottiti.
"Daphne Michelle Jones" La voce di Chirone sembrò vacillare. "Figlia di Afrodite."
Daphne era ancora troppo sbigottita per parlare e aveva finito anche le lacrime a sua disposizione: era come quando si piange troppo, alla fine si arriva ad uno stato di sorda rassicurazione che ci dice che non accadrà più nulla.
Daphne stava provando la stessa cosa. Perdere i suoi amici in cinque minuti era stato troppo per lei, ma non voleva dare a vedere il solito stereotipo della stupida figlia di Afrodite.
Si voltò a guardare il corpo carbonizzato e irriconoscibile dell'amica, promettendosi che l'avrebbe vendicata. La colomba brillava sulla sua testa, con un'espressione minacciosa sul volto, sfidando tutti a contrastarla.
"Warren Wilson, figlio di Ares."
Le sue mitragliatrici ancora fumavano per i colpi che avevano esploso, guardando triste Lizzie. Warren non aveva mai creduto di poter provare un dolore così grande alla vista di uno dei suoi fratelli. Non che i figli di Ares andassero d'amore e d'accordo, ma tra loro c'era sempre stato un forte legame, come una sorta di simbolo che li univa tutti e che li faceva assomigliare ad un esercito: ogni uomo avrebbe dato la vita per il proprio compagno. Raggiunse gli altri, con il cinghiale che brillava di rosso cupo vicino alla sua testa, illuminandogli il volto di una sfumatura scura. Lui non era così, di solito.
Allegro, lo si poteva definire, ma adesso era tutt’altro che felice.
"Elizabeth Mills, figlia di Efesto."
Liz sembrò presa da un attacco di panico dato che aveva guardato i simboli degli altri, ma non si era accorta di incudine e martello che bruciavano su di lei. Era stata così presa, da dimenticarsi persino della chiave inglese che stringeva in mano e che le cadde sull'alluce destro, provocandole un dolore inimmaginabile.
Aveva sempre immaginato che un giorno sarebbe stata chiamata a compiere un'impresa, ma non pensava che ci sarebbe andata zoppa, dato che si avvicinò agli altri come una vecchietta con l'artrosi.
"Bashir Issam, figlio di Tanato."
Bashir non era uno che diceva molte parole, cosa che non era successa nemmeno prima, all'arena, quando aveva visto il figlio di Ares, ma adesso si era del tutto dimenticato come si facesse a parlare, dato che si avvicinò senza fiatare o fare smorfia agli altri, la falce ancora stretta nella mano. Si passò una mano nei capelli scrutando la folla dei mezzosangue alla ricerca dell'ultimo semidio dell'impresa.
Chirone gli rivolse un sorriso spento, svelando l'ultimo dei dieci che avrebbe partecipato a quella missione mortale.
"Jake Hell." disse, la voce incrinata.
Solo Bashir si accorse che non lo aveva apostrofato come gli altri, figlio di qualche dio, ma si era limitato a dire solamente il nome, come se quei due nascondessero qualcosa. Jake, alla vista della falce del figlio di Tanato, trasalì, prendendo posto vicino agli altri.
Bashir notò che il simbolo sulla sua testa era sfocato: sembrava un caduceo, ma c'era qualcos'altro, come se fosse stato coperto dal simbolo di Ermes, il dio dei viandanti. Prima che potesse trarre altre conclusioni, Chirone sorvolò con lo sguardo i diedi semidei che gli si erano piazzati davanti, schiarendosi la gola.
"Eroi, l'Olimpo ha bisogno del vostro aiuto." disse, con voce solenne, "Non sappiamo cosa vi aspetta, non sappiamo cosa sta minacciando gli dei, adesso."
Li guardò.
"Potete solo rispondere alla chiamata."
Fissò ognuno con i suoi occhi millenari, come se stesse cercando di capire il legame che li univa, inutilmente.
"Potete solo giurarlo sul fiume Stige."

 
- - - 
 
*panda's corner*
Voi.dovete.picchiarmi.
Non sono per niente convinto di questo capitolo, non so se per la trama che sembra così simile a quella dei libri o perchè faccio proprio io schifo a scrivere, che è diverso ç_____ç
Ma vabbè xD
Lu (posso chiamarti così, vero? xD), ti avevo annunciato una sorpresa per la tua piggia e ti avevo parlato di morte, quindi ho fatto morire Lizzie, la figlia di Ares che mi avevi scritto in scheda, per poter continuare la storia, facendola diventare la seconda vittima di questa arcaica, misteriosa minaccia di cui voi non sapete ancora nulla xD
*ghigno malefico*
Bene, i 10 semidei sono chiamati e sono costretti a giurare sullo Stige di proteggere l'Olimpo come meglio possono u.u Ovviamente è da adesso che ha inizio l'avventura, quindi ... rimanete sintonizzati! :') 
Alla prossima e ovviamente ringrazio chiunque stia seguendo, ricordando o preferendo la mia bellissima stupida storia :3 Ma ovviamente anche a chi sta leggendo silenziosamente! :)
Grazie c:

King
 

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Capitolo 4
*** 4. Who, there's a man who's telling me I might be dead ***



Rise like a manDie like a hero.


4. Who, there's a man who's telling me I might be dead
 
 
I ragazzi sembravano spaesati come quando poco prima era spuntata dal nulla quella cosa non identificata che aveva minacciato di farli tutti a pezzi.
Permettete che anche i semidei, qualche volta, abbiano voglia di non fare niente? Beh, sfortunatamente per loro, la vita è piena di sopresa, per loro più di tutti.
Chirone faceva scattare la coda qua e là, come fa di solito quando è nervoso, mordendosi il labbro come se fosse sul punto di aggiungere qualcosa, ma non ne avesse il coraggio. Sorvolò con lo sguardo tutti e dieci i semidei, come a tenere il volto di ognuno di loro ben impresso nella mente. Sorrise, ma il suo era un sorriso finto, quasi plastico che rendeva difficile pensare che si sarebbe trattata solo di rubare una mela alle Esperidi o uccidere l'Idra di Lerna.
No, sarebbe stato molto di più.
"Bene, tornate alle vostre occupazioni." balbettò Chirone, con voce poco credibile, "Io accompagnerò questi mezzosangue alla Casa Grande dove decideremo il da farsi per la partenza."
Alcuni protestarono, chiedendo a gran voce spiegazioni o blaterando cose a cui il centauro non diede nemmeno peso, mentre altri lanciavano un'ultima occhiata al gruppetto su cui stavano ancora splendendo i simboli degli dei, tornando, di malavoglia, alle loro attività quotidiane, anche se ormai era calata la sera.
Chirone lanciò un ultimo sguardo ai dieci, facendo loro segno di seguirlo in silenzio.
Fu come andare ad un funerale: tutti in sparpagliati, occhi bassi, morale a pezzi, seguendo in maniera scoordinata il centauro e beccandosi lo sguardo curioso di qualche ninfa o satiro appena spuntati dal bosco dopo chissà quali attività.
Selene stringeva a disagio la sua spada che brillava debolmente del colore del bronzo celeste, mandando alcuni tenui bagliori sul terreno che stavano calpestando. Alzò gli occhi, guardando senza un ordine preciso gli altri semidei che erano stati scelti assieme a lei.
Perchè proprio loro? E perchè, adesso, l'Olimpo aveva bisogno nuovamente di protezione?
Selene non sapeva darsi una risposta e la cosa era frustrante: quando il simbolo di suo padre aveva brillato sulla sua testa non sapeva cosa pensare, non sapeva il perchè suo padre avesse scelto proprio lei per un'impresa che poteva costarle la morte.
Non aveva mai dubitato del rapporto con suo padre, ma cominciava a nutrire qualche dubbio, così come tutti gli altri semidei del gruppo, come Liz che stava smontando e rimontando qualcosa tra le mani, con fare nervoso, mentre i suoi capelli venivano accarezzati dal vento e lei puntava i suoi occhi sulla figura del centauro, cercando di concentrarsi su qualsiasi  particolare che non le facesse venire la tachicardia.
I suoi occhi verde mare scintillarono, spostandosi su Jake, il ragazzo che aveva conosciuto poco prima nel bosco, ancora con il libro di Veronica Roth tra le mani, guardando intensamente la copertina come a cercarne una risposta.
Jake si passò una mano nei capelli, guardandosi intorno con fare sospetto, come se dovesse mantenere un segreto che non poteva, che non doveva essere rivelato. Per lui era come una parte di se stesso e aveva seppellito quella parte troppe volte perchè potesse essere dissotterrata nuovamente.
Lui non voleva essere così.
"Così come?" sussurrò Luke a Daphne, mentre raggiungevano la Casa Grande, rischiarata dalle lanterne che si reggevano da sole davanti all'ingresso dell'edificio.
"Non riesco a spiegartelo." gli rispose la figlia di Afrodite, oltrepassando la soglia della Casa Grande e giocherellando con delle ciocche di capelli. Lizzie, la sua grande amica, era morta e lei sentiva un peso che le opprimeva il cuore, come se fosse stata colpa sua.
Sentiva gli occhi ancora rossi e ricolmi di lacrime, lacrime amare che era stata costretta a ricacciare per non fare la figura della stupida, della solita tipa di Afrodite.
Luke la guardò senza dire parola, con i capelli che sembravano bianchi alla luce forte in cui era immersa la sala in cui, solitamente, il signor D. giocava a pinnacolo con i satiri o si divertiva a torturarli facendoli sbucciare dell'uva ed eseguire ogni suo ordine.
Invece la sala era vuota.
Warren sentiva solo il crepitare del fuoco, fiamme che sentiva anche dentro per quello a cui era appena stato costretto ad assistere. No, non poteva essere successo veramente, Lizzie non poteva essere morta.
L'avrebbe vendicata, con un sorrisetto sulle labbra mentre colpiva, ma l'avrebbe vendicata, come una sorta di Joker dei buoni.
Mentre seguiva Chirone non aveva fatto altro che sorridere, mentre tutti gli altri stavano con gli occhi bassi o con l'espressione di chi ha appena preso una purga.
Forse era sembrato indelicato, forse era ... forse era pazzo, come qualcuno mormorava alle sue spalle, ma a lui non importava: pazzo o meno, era sempre se stesso, a differenza di altri che fingevano di essere così o in questo modo solo per essere popolari e farsi tanti amici.
Il centauro li invitò a sedere accanto al fuoco, dove Bashir si accorse che se ne stava una figura minuta avvolta in vesti marroni come la legna che stava bruciando nel camino. I suoi occhi erano caldi, accoglienti, incontrando i suoi così chari da sembrare di ghiaccio.
Bashir sentì un brivido freddo attraversare la sua schiena, mentre la sua mente estremamente razionale continuava ad esaminare i fatti, senza ad arrivare a conclusioni affrettate.
Si sedette accanto alla figlia di Afrodite, meravigliandosi del fatto che non era la classica oca che si poteva incontrare nella casa numero otto,  ma sembrava più una Barbie in versione guerriglia nella giugla urbana, pronta ad affrontare i pericoli della savana dello shopping.
Il figlio del dio della morte sentì un leggero rossore salire lungo le sue guance, mentre la salutava e lei gli rispondeva in maniera gentile. Bashir poteva notare le lacrime che ancora imperlavano i suoi occhi, ma la cosa che lo stupì era la sua determinazione e il fatto che non fosse ancora caduta a terra, piangendo e gemendo come avrebbe fatto una persona anormale.
No, lei non lo stava facendo.
"Mi dispiace per ..." Si fermò, forse chiedendosi se stesse sembrando troppo indelicato, "Beh, per tutto."
Lei scontrò le sue iridi verdi contro quelle chiare di Bashir.
"Grazie, ma ... non è colpa tua. Non devi sentirti in colpa."
La risposta della figlia di Afrodite sembrò spezzare quella sorta di ghiaccio che si formava sempre tra due persone sconosciute. Daphne sorrise, mentre Bashir si voltava, posando gli occhi su Chirone che era accanto alla bambina che aveva notato prima e che ora stava accudendo le fiamme.
"C'è una bella vista, no?" chiese ironico Archie a Lia, la figlia di Ecate, beccandosi una delle sue migliori occhiatacce. I suoi capelli di colori strani avevano come "stregato" il figlio di Nike, dicendosi che avrebbe dovuto assolutamento conoscerla e farsela amica: non aveva mai pensato ai figli di Ecate, ma quando aveva visto cosa aveva fatto a quell'albero era rimasto strabiliato.
Lia si alzò, sbuffando, e cambiando posto, seguita a ruota da Archie.
"La pianti di seguirmi?!" chiese stizzita Lia, mentre i suoi occhi neri andavano colorandosi di una pericolosa sfumatura violacea.
"Io non ti sto seguendo!" si giustificò il figlio della dea della vittoria, seguito da una risatina di Hope che stava osservando la scena e, nonostante ciò che era successo, non riusciva a trattenersi dal ridere. Archie alzò le mani, in segno di resa e con fare innocente, ma l'occhiataccia di Lia lo costrinse a sedersi e a non fare più domande. I suoi occhi, colorati come l'ambra, sembravano dire "Ma perchè le ragazze sono così complicate?", passandosi una mano tra i ricci color sabbia.
"Idiota." borbottò, con Hope che le dava una gomitata e sorrideva un pò troppo e i suoi occhi espressivi passavano dal viola ad una tonalità argento, come faceva sempre quando si divertiva.
"Smettila." le disse, come se stesse rimproverando una bambina piccola, "O ti giuro che ti trasformo in un ..."
"In una cosa?" chiese lei, con fare mellifluo, osservandosi le unghia e poi alzando lo sguardo su quello che Chirone aveva chiamato Luke e che doveva essere il figlio di Atena. Hope lo riconobbe per la tonalità dei suoi occhi, grigio tempesta, e dai suoi capelli biondi, tipici di quasi tutti i figli della dea della saggezza.
"Smettila e basta." sbottò sua sorella, portandosi le mani al petto.
Hope non era cattiva, ma si divertiva un mondo a stuzzicare Lia, forse per le ragioni per cui lo fanno tutti i fratelli del mondo o perchè non voleva ammettere di chiedere aiuto, costruendosi intorno a sè, così, una corazza per tutti quelli che ci provavano.
Chirone non aveva ancora spicciato parola e le sembrò strano dato che si trovavano in una potenziale situazione di pericolo e potevano essere tutti uccisi.
"Wow." pensò, mentre il suo viso di faceva ancora più pallido. La bambina che accudiva le fiamme la guardò, come se cercasse di dirle qualcosa, ma Hope non capì realmente cosa. Si limitò a rispondere con un sorriso incerto, non sapendo cosa fare o dire.
"Quello che è successo è ... " iniziò Chirone, tetro, rivolgendo un'occhiata significativa a Daphne, "È qualcosa a cui non abbiamo mai assistito, o almeno, che i confini del campo hanno sempre tenuto alla larga. Una nuova minaccia è all'orizzonte."
"Al Tartaro le minacce!" sbottò Warren, agitando le mani, "Io voglio solo vendicare mia sorella, punto."
Il tono in cui lo disse lasciò Chirone a bocca aperta, mentre Warren sorrideva, a dispetto di chi avrebbe fatto chiunque, cioè tenere il muso o un'espressione come minimo arrabbiata.
"Non capisci?" domandò Luke, guardandolo con i suoi occhi tempestosi, "La minaccia di cui sta parlando Chirone è la stessa che ha fatto fuori tua sorella." continuò, rivolgendo uno sguardo eloquente al centauro che lo ringraziò con lo sguardo.
Warren sbattè le mani sul tavolo da ping pong della sala ricreativa della Casa Grande con un sorrisetto da scienzato pazzo provetto sulle labbra.
"Non mi interessa, genietto." disse, senza rancore nella voce, "Voglio solo vendicarla. Punto. Caso chiuso."
Luke lanciò uno sguardo a Daphne che osservava la scena con gli occhi lucidi e toccando la sua collana, cercando di far calmare la situazione già calma di per sè.
"Ehm, posso continuare?" chiese Chirone, osservando uno per uno i semidei. Liz accennò ad un timido si con la testa, continuando a passarsi da una mano all'altra dei bulloni e delle viti.
Santa, benedetta iperattività.
"Non sappiamo chi sia questa minaccia." continuò il centauro, beccandosi alcune occhiate stranite da parte di Jake e Selene, "Ma sappiamo che sta reclutando alleati e si sta preparando ad una guerra all'Olimpo. Siamo in pericolo e, come sapete, gli dei ..."
"Gli dei non possono scendere direttamente in campo di battaglia." prese Bashir, con voce incerta, come se avesse paura di parlare a così tante persone. Ecco su cosa doveva lavorare: l'autostima.
"Ma possono farlo i loro figli." terminò Jake, guardando Chirone con un'espressione confusa, "I mezzosangue possono preservare l'equilibrio e ristabilirlo, se necessario."
Calò il silenzio.
"Filosofia allo stato puro." sussurrò Archie, sprofondando nella poltrona su cui si era seduto. Per un pò solo il crepitare delle fiamme riempì il silenzio, poi anche quelle smisero di fare rumore.
"Cosa dobbiamo fare?" domandò Lia, guardando dritto verso Chirone. Il centauro si girò ad osservare la bambina che accudiva il focolare, come in cerca di una risposta da darle: quella si strinse nelle spalle, facendosi ancora più piccola, continuando a dondolarsi nelle sue vesti castane.
"Dovete combattere." disse poi la bambina, "Combattere e vincere, se volete che il mondo continui ad esistere e la razza umana non venga annientata."
I diedi semidei si agitarono sui loro posti.
"Chi siete?"chiese Warren, con fare sospetto. Lei scrollò le spalle, dicendogli che non era importante sapere chi fosse, ma cosa fossero disposti a fare loro.
"Di tutto." rispose Daphne, semplicemente, guardando prima lei, poi Chirone, "Chi ha fatto quello a Lizzie deve pagare."
Il centauro le lanciò un'occhiata significativa, poi mise al centro del tavolo da ping pong.
"Questa vi porterà dove dovete andare."
Archie rise: detto da lui la cosa sembrava ironica, ma fu costretto a fermarsi quando Lia gli riservò un'occhiata che avrebbe fatto gelare il sangue a chiunque.
Selene afferrò la mappa, girandola più volte per cercare di capire, ma ci rinunciò, più confusa di prima.
"Ma è completamente bianca!" protestò, come se le avessero appena soffiato l'ultimo pacchetto di patatine dalla macchinetta automatica della scuola, "A cosa ci servirebbe?"
Chirone ignorò la domanda.
"Partirete domattina." fu la sua unica risposta, "Non c'è tempo da perdere."

 
- - - 
 
*panda's corner*
Eccomi qui, giovedì 15 Maggio 2014, fresco, freschissimo (?) dopo una versione di Latino e un'interrogazione di Matematica a postare il quarto capitolo di questa mia storia che vi sta affliggendo, ammettetelo u.u
*ammicca*
Vabbè, ho pensato di scrivere ancora di pensieri e ripensamenti di questi dieci semidei che si stanno arrovellando il cervello per scoprire la minaccia a cui hanno appena sentito e prometto che, dal prossimo capitolo, si passerà all'azione vera e propria dato che partirà l'impresa e io devo muoverti visto che ho programmato che questa FF avrà più o meno quindici capitoli ;)

Beh, "a voi, adesso, l'ardua sentenza" -semi cit., quindi leggete e fatemi sapere! :') Come sempre ringrazio chi sta leggendo silenziosamente o chi ha messo tra seguite, ricordate o preferite! ^^
Enjoy! :')  Alla prossima u.u

King

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Capitolo 5
*** 5. See I didn't cry when he came inside ***


 
Rise like a manDie like a hero.

 
5. See I didn't cry when he came inside
 
Jake,
There isn’t a Night too long that keep to Sun to rise
 
Nessuno dormì, quella notte.
Sentivano tutti un peso stretto sul cuore, un peso enorme quanto quello del cielo che premeva e lo costringeva a soffocare, a morire sotto una stretta mortale.
Jake aprì gli occhi sul soffitto scrostato della cabina di Ermes, sbattendo più volte le palpebre per riadattarle alla luce del nuovo mattino: era difficile immaginare quello che era successo solamente la sera prima nell’area comune e che, adesso, sembrava tutto sfumato, un brutto ricordo, una ferita che si spingeva a far rimarginare.
Che si spingeva a dimenticare.
Il ragazzo si costrinse a svegliarsi, camminando a piedi nudi dal suo letto fino al bagno dove si sciacquò il viso con dell’acqua fredda, ammirando il suo personalissimo mostro allo specchio, capelli sparati per aria e borse viole sotto gli occhi dovute al fatto che non aveva dormito per niente, quella notte.
Più cercava di capire, più gli sembrava che il suo cervello stesse per scoppiare in un milione di pezzi proprio come aveva fatto Edmund, il ragazzo di Lizzie, un manichino a cui erano stati tranciati i fili originari e ne erano stati messi altri tagliati a loro volta.
Jake osservò il riflesso rossastro dei suoi occhi nello specchio, chiedendosi chi realmente sarebbe sopravvissuto a quella fantastica, stupidissima impresa: si rivide chiamato da Chirone assieme agli altri nove, poi le parole inquietanti di quella bambina.
Si passò una mano nei capelli, obbligandosi a vestirsi e ad uscire dalla cabina di Ermes, dopo aver gettato alla rinfusa ambrosia, nettare e qualche maglietta in una borsa da viaggio che non sapeva quanto gli sarebbe servita.
Arrivò al punto di ritrovo poco dopo che era sorto il sole, notando che c’era già qualche persona. Vagò con gli occhi alla ricerca di Liz, l’unica dei dieci che già conosceva, ma non la vedeva: forse, al contrario di lui, stava ancora dormendo.
Si sedette sotto il pino di Talia, salutando con lo sguardo tre dei semidei che già erano presenti, ma di cui non ricordava il nome.
Jake non ricordava i loro nomi, ma vide chiaramente che la ragazza dai capelli viola e smeraldo lo salutò, mentre l’aria della restante notte sembrava convergere tutta verso la ragazza che stava di fianco a lei, come se la stesse assorbendo.
Stavano parlottando tra loro, ma Jake non li disturbò dato che era sempre stato un tipo silenzioso, uno di quelli che se ne stanno in disparte.
I meno conosciuti, i nerd o in qualsiasi altro modo li si voglia chiamarli.
Il Vello d’Oro scintillava sull’albero più basso, mandando riflessi candidi e scintillanti sui capelli già troppo chiari di Jake: tutto quel luccichio gli ricordava qualcosa della sua infanzia, ma non riusciva a collegare nulla di utile o ragionevole dopo che ebbe scavato a fondo nella sua memoria.
Sapeva solo che c’entrava qualcosa con lui bambino, poi il vuoto.
Era così presto da quei pensieri che il mondo che aveva costruito inconsapevolmente intorno a sé crollò quando sentì delle voci nell’aria e dei passi avvicinarsi. I suoi occhi rossi saettarono da un semidio all’altro, chi ancora assonnato, chi già pronto per la grande avventura che stava per iniziare.
I suoi neuroni sembravano ballare la conga, nella sua testa.
Chirone gli fece cenno di avvicinarsi, facendo scattare la sua coda di cavallo di qua e di là come un forsennato: e poi erano i semidei ad essere iperattivi: il vecchio “I’m sexy and I know it” centauro non era da meno pensò Jake.
“Ci siete tutti, vero?” chiese lui, sorvolando tutti i mezzosangue con il suo sguardo millenario, soffermandosi per un attimo su Jake.
I suoi occhi incontrarono quelli di Chirone, poi distolse lo sguardo trovandosi la figlia di Efesto vicino che gli sorrideva, legandosi i capelli scuri in una coda alta: Jake non potè fare a meno di paragonarla ad una sorta di Lara Croft, senza treccia, ovvio.
“Puff … puff …” si sentì una voce, “Scusatemi, non avevo sentito la sveglia.” sospirò con quel poco di voce che gli rimaneva il figlio di Nike, Archie, che adesso si era piegato sulle ginocchia per lo sforzo che aveva fatto.
“Sei anche riuscito a dormire?” gli chiese acida Lia, accarezzandosi distrattamente una ciocca smeraldo vicino agli occhi, “Wow.” boccheggiò, beccandosi un’occhiataccia da parte di Chirone. Lei scrollò le spalle e fece finta di niente.
“Bene, adesso che siamo proprio tutti.” sussurrò, come se qualcuno li stesse sentendo, guardando storto Archie che alzò le braccia con fare innocente, non riuscendo a dire nulla per il fiatone, “Voglio darvi gli ultimi consigli.”
Nessuno si sentì entusiasmato quando disse “ultimi”: sembrava un addio piuttosto che un arrivederci constatò Jake.
“Luke, la mappa.” chiese il centauro con fare calmo, come se ci fosse tutto il tempo del mondo cosa che, invece, non era vera.
Il sole luccicò con più forza quando il figlio di Atena gli porse un rotolo di pergamena sfilacciata sui bordi e che sembrava sul critico punto di rompersi. Chirone la srotolò con fare solenne.
“È bianca.” precisò Bashir, avvolto nel suo giubbotto di pelle nera, corrugando la fronte con fare sospetto, “Come potrebbe essere utile all’impresa?” chiese guardando la figlia di Morfeo, Selene, che aveva sollevato lo stesso dubbio la sera prima nella sala ricreativa del campo, dove si era tenuto il consiglio di guerra.
“Guardate meglio.” consigliò lui, toccandosi la barba ispida che cresceva sotto il suo mento. Ci fu un mormorio generale, qualche occhiata stranita, decisamente un momento nel quale Jake restò al suo posto senza sforzarsi nemmeno di leggerla: “Fra i dieci”, si disse, “Sono solo il più inutile.” si rimproverò, scuotendo la testa e abbassando gli occhi al terreno brullo della collina mezzosangue.
Groun Zero?” chiese con voce piena di stupore Daphne, la figlia di Afrodite: Jake l'ammirava soprattutto per la sua tempra di cui aveva dato prova il giorno prima, "Cioè … New York?"
Chirone annuì.
Strabuzzò gli occhi: "Così vicino?"
Anche Jake trovò la cosa strana, ma non disse nulla, come se stesse leggendo pagine dei suoi libri, curioso di sapere come andasse a finire la storia. Chirone annuì.
“Sicuro?” domandò Archie, forse per alleggerire la tensione, “Non vorrei camminare fin lì per scoprire di dover andare da tutt’altra parte.”
Partì una risatina isterica, ma si zittì ritrovandosi dieci paia di occhi fissi su di lui. Sembrò volersi fare ancora più piccolo di quello che era.
Jake abbozzò un sorriso: avrebbe sicuramente fatto amicizia, con lui. Si aggiustò la borsa che continuava a scorrere sulla spalla destra mentre i primi raggi del sole cominciavano a svegliare il campo. Chirone mormorò qualcosa, forse una benedizione, e chiuse gli occhi per ricordare meglio le parole da dire.
"Che gli dei siano con voi." pregò, slanciando una mano, chiusa ad artiglio, dal petto verso lo spazio davanti a sè.
Jake capì che era un antico gesto di scongiuro di cui, ovviamente, non fu particolarmente entusiasta: se anche Chirone, che si sforzava sempre di essere positivo, persino quando ti ritrovavi con i denti di una dracena abbastanza arrabbiata attaccati alle mutande, adesso si affidava a gesti e scongiuri, Jake pensò che la loro impresa si sarebbe rivelata un fiasco colossale.
Lasciò perdere questo pensiero e si incamminò, assieme agli altri, verso il furgoncino bianco del campo che il centauro aveva messo a loro disposizione: la scritta "Servizio Fragole di Delfi" scintillava della sua vernice rossa sulla carrozzeria linda e pulita.
Jake si voltò, per un momento, a guardare Chirone che lo stava osservando, così come gli altri nove, forse scommettendo su chi sarebbe tornato vivo da quell'impresa.
Jake preferiva non sapere: salì sul furgoncino e chiuse gli occhi, pregando solo di non fare altri incubi.
 
 
[...]
 
Daphne,
"Heart to heart, Blood to blood"
 
La figlia di Afrodite non aveva nessuna intenzione di non sembrare capace, se quello era il problema, ma era da quella mattina che sentiva una voce dentro di lei che le diceva che qualcosa sarebbe andato storto, che l'impresa si sarebbe rivelata un fallimento.
Daphne si spazzolò la spalla, come a mandarla via, guardando fuori dal furgone del campo lo scorrere delle immagini della città di New York: le sembrava così strano uscire per la prima volta dal campo da quando aveva scoperto di essere una mezzosangue.
Pregò Afrodite che tutto andasse per il meglio, di proteggerla, anche se non si poteva dire che la dea dell'amore fosse, come tutti gli altri Olimpi, il modello di "mamma perfetta", ma aveva fatto del suo meglio donando a Daphne la collana a cui teneva tanto e l'anello che portava sempre al dito e che non aveva ancora usato per una vera e propria battaglia.
E quella sarebbe stata la sua guerra.
Non aveva mai creduto di provare tanta rabbia, tanto dolore come se tutte le cellule del suo corpo avessero imposto la loro funzione su "autodistruzione".
Daphne non aveva mai pensato che l'amore potesse condurre in una trappola e ora lo sapeva: doveva reclamare vendetta, doveva riuscire dove Lizzie aveva fallito.
Avrebbe ucciso quell'essere, qualsiasi cosa fosse.
Scacciò nuovamente la voce insistente dalla spalla mentre il loro furgone sfrecciava tra le mattutine strane affollate di New York. Alla guida del loro mezzo? Beh, ovvio, delle arpie.
A quanto pare tutte quelle che lavoravano al campo avevano superato l'esame di guida e adesso potevano destreggiarsi nel traffico delle  strade della città. Sebbene sembrassero rozze e poco pratiche, ci riuscivano anche bene, forse anche per merito della Foschia.
Non fecero una piega quando li lasciarono a Ground Zero, luogo dove sorgevano le Twin Towers, una delle pagine più buie della storia moderna, muovendosi, poi, per ritornare al campo dato che il loro compito era stato esaurito.
"E adesso che si fa?" chiese Liz, la figlia di Efesto, sciogliendosi i capelli e usando, per raccoglierli nuovamente, un bullone al posto di un elastico. Quando si accorse dello sbaglio, arrossì e lo mise subito a posto nella sua cintura degli attrezzi che portava legata alla vita.
Guardò Luke, il figlio di Atena, dato che era l'unico stratega più efficiente del gruppo per cercare una risposta valida: la dea della saggezza non avrebbe giocato loro uno scherzetto proprio oggi.
"Non dobbiamo separarci." propose mentre si passava una mano nei capelli e i suoi occhi scintillarono come la tempesta che si stava avvicinando e che fece piacere solo ad Hope che si stava godendo quell'aria invernale, piuttosto che primaverile.
"Non sappiamo contro chi potremmo combattere e non sappiamo se saremmo in grado di batterlo." spiegò, "Inoltre non sappiamo nemmeno come si usa questa." disse, portando verso l'alto la mappa sgualcita che ci aveva affidato Chirone, "Quindi non dobbiamo separarci, sarebbe troppo rischioso."
Daphne annuì: sapeva che quando non si ha la più pallida idea del pericolo che si sta correndo è meglio rimanere in gruppo e affrontarlo assieme, piuttosto che affrontarlo singolarmente cosa che sicuramente pensava il figlio di Ares, Warren.
"E sentiamo, Testa di Gufo, cosa dovremmo fare in tutto questo tempo?" domandò, percorrendo il filo della sua katana con un dito, "La tua brillante idea è girovagare senza meta qui, aspettando chissà che, attirando più di quanti mostri abbiamo già alle calcagna?" chiese, sarcastico, con aria spavalda.
Luke aveva tutta l'aria di uno che avrebbe tanto voluto prenderlo a pugni, ma sospirò e borbottò qualcosa come che assomigliava molto ad un "Fa come ti pare".
Daphne ringraziò mentalmente la saggezza dei figli di Atena e il loro buonsenso. Si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione dato che era sempre stata una buona osservatrice e, prima che Luke e Warren potessero scannarsi, disse: "Che ne dite di fare colazione?"



Saccheggiarono, nel senso stretto della parola, un chiosco lì vicino, abbuffandosi a sazietà. Daphne non fu da meno dato che andò contro ogni principio delle figlie di Afrodite, continuando ad ingozzarsi e a non badare a quante calorie e grassi ci fossero nei dolci che mangiò.
"Certo che sei strana." commentò una voce che non conosceva. Si voltò, trovandosi faccia a faccia con la figlia di Morfeo, Selene, che era intenta a sbocconcellare il suo croissant con l'aria di chi sospettasse che dentro ci fosse del veleno. Daphne la guardò, corrugando la fronte e inclinando la testa di lato.
"Perchè?" chiese, nervosa dal fatto che, inconsapevolmente, i suoi occhi di ghiaccio la stessero mettendo a disagio, cosa strana per una figlia di Afrodite.
Selene si strinse nelle spalle.
"Non sei come la maggior parte delle tue sorelle." spiegò.
"E questo è un bene o un male?" domandò a sua volta la figlia di Afrodite, sedendosi accanto a lei: pesanti, ma cercate di nascondere, occhiaie contornavano i suoi occhi di ghiaccio,  mentre le sue mani tremavano.
"Ehi, che succede?" le chiese, preoccupandosi e mettendo da parte il suo insensato disagio. La figlia di Morfeo era sul punto di crollare, proprio come la tazza di caffè che stringeva in una mano.
"Non ho fatto che avere incubi, da quando è partita quest'impresa. Credo ..." disse, come a soppesare le parole giuste, "Credo che per molti di noi potrebbe essere l'impresa, l'ultima." terminò, con una grande nota di allegria nella voce.
Daphne non sapeva se essere scioccata o terrorizzata: optò per la prima, perchè il terrore arrivò solo quando le sue orecchie (e loro avrebbero preferito evitare) furono spezzate da un ruggito roco e rauco che rimbombò per la città.
Scattò in piedi, tra l'urlo stridulo dei passanti e dei turisti, ammirando la devastazione che il dragone aveva lasciato dietro di lui: il vento cominciò a spirare, mentre gli altri nove affilavano le armi e stringevano i denti, preparandosi al primo scontro di quella falsa, pazza impresa.
Selene tremò, ma lasciò andare il caffè che aveva in mano e sguainò la sua spada, Moondream, che baluginò debolmente: anche se sforzava di sembrare coraggiosa, e Daphne non mise in dubbio il suo coraggio, si accorse che aveva paura.
Sorrise sprezzante, come sicuramente aveva fatto anche Warren, il figlio di Ares, alla vista del dragone, mentre il suo anello mutava in un arco, comprese le sue frecce.
"Non hai paura?" le chiese una voce nella sua testa, malinconica, languida e sognante. Si voltò verso Selene.
"È finito il tempo di avere paura."

- - - 
*panda's corner*
Bene, bene, bene.
...
Oddio, mi faccio paura quando faccio così xD Bene (?), rieccomi qui tra voi, gentaglia di Efp, per annoiarvi con un nuovo capitolo della mia grandissima, sublime storiella da quattro soldi xD 
Si parte, finalmente! :')
Ho deciso di dividere i capitoli, da questo in poi, in due punti di vista dei personaggi (un maschio e una femmina, generalmente c:) e avranno tutti due punti di vista a testa :3

Goite, inoltre, perchè ho deciso chi dovrà vivere e chi dovrà morire e anche come dovrà andare tra le mutande di Ade :')
Non uccidetemi, adesso, ma non posso svelarvi nulla! :3 *sorrisetto sadico*
Beh, che altro dire? u.u Ah, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo e della caratterizzazione dei personaggi ^^ 
Alla prossima :3

Benvenuti all'inferno u.u
 
 

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Capitolo 6
*** 6. I don't need to be saved ***


6. I don't need to be saved
 
 
Lia,
"So you wanna Play with Magic?"
 
Lia non sapeva se urlare o strapparsi direttamente i capelli quando vide quel bestione di drago, lungo più di una decina di metri, largo circa la metà e sprovvisto di ali che le stava per atterrare addosso.
Non sapeva se essere sollevata o terrorizzata dal fatto che, almeno, non avrebbero combattuto in groppa a quel bestione mentre erano in bilico e potevano cadere, sfracellandosi due o trecento mila metri più in basso.
Una sciocchezza, ovvio.
Urlò qualcosa che nemmeno lei, in seguito, ricordò cosa disse, poi si abbassò appena in tempo per schivare un getto di acido che la stava per prendere in pieno.
In breve fu il caos: pedoni e turisti che correvano da tutte le parti. Lia non osò immaginare cosa vedessero loro attraverso il velo della Foschia, ma doveva essere spaventoso quanto l'originale a giudicare da come stessero scappando.
Invece loro non potevano, dovevano rimanere e combattere, dovevano rimanere e dare la vita se necessario: Lia non aveva mai chiesto di essere una mezzosangue, non aveva mai immaginato di essere il frutto di una scappatella di qualche dio, ma adesso non poteva pensarci.
Doveva rimanere viva.
Sgattaiolò velocemente dietro un albero, mentre sentiva Luke impartire ordini e Warren sparare con le sue mitragliatrici sul dorso del mostro, invano dato che era più resistente di una lastra di titanio.
Frecce e spade cozzavano contro la pellaccia dura e resistente del dragone, mentre Selene portava in salvo, poco prima che l'asfalto si sciogliesse in una pozza di acido bollente, Liz che era stata immobilizzata dallo sguardo sinistro e pericoloso della bestia.
Lia cercò di ricordare come si facesse ad uccidere un mostro del genere, ma il suo registro dati mentale non le dava alcuna risposta: continuava a scavare nella sua memoria e trovava solo il viso benevolo di Chirone che cercava di dirle qualcosa, ma la sua voce non funzionava, atona, facendo ritrovare Lia a guardare un film muto dentro la sua stessa testa.
"Di Immortales!" urlò quando l'albero dietro il quale si era riparata si spezzò alla metà del tronco a causa di un colpo della coda del dragone.
Si sentì una codarda: tutti stavano combattendo, persino sua sorella Hope continuava a scagliare maledizioni ed incanti contro la bestia, mentre lei se ne stava al riparo aspettando la fine.
Aspettando che finisse tutto.
No, questa volta avrebbe combattuto e non gliene sarebbe importato nulla di ciò che avrebbero pensato gli altri di lei.
Lia era fatta così: avrebbe potuto spostare anche due montagne senza provare fatica, ma si sentiva subito a disagio quando qualcuno le puntava gli occhi contro o la si metteva al centro della situazione, facendola sentire, in qualche modo, "diversa".
"Avanti, vuoi giocare con la magia?" chiese sussurrando Lia al dragone che si voltò a guardarla e i loro occhi si incontrarono.
Le sue iridi scintillarono dal nero buio della notte al viola intenso di un filtro d'amore, proprio mentre il cielo si scuriva e cominciavano a rombare tuoni e fulmini per tutta New York.
Fu un attimo: Lia si vide passare davanti la sua stessa vita, quando lui le sputò addosso, riluttante, un getto d'acido bollente, un getto d'acido che avrebbe dovuto spedirla all'altro mondo.
In qualche modo lo fermò poco prima che la investisse, evocando uno scudo di energia che lo contenne, alimentando la sua armatura con i ricordi.
Rivide se stessa davanti all'arco del campo che teneva la mano a suo padre, il cucciolo di segugio infernale mandato ad ucciderla, il suo disgusto per il genere umano che a poco a poco diventava gentilezza e bontà.
Era ancora incredula.
Lia aveva sempre provato una sincera ammirazione per Jessica Alba che nel film de "I Fantastici 4" aveva recitato il ruolo della donna invisibile, capace di evocare dei campi di forza fino a far scoppiare un corpo, cosa che aveva fatto anche Lia adesso.
Sentiva la forza del suo scudo venire meno, quella dell'acido premere per corrodere ed ucciderla: guardò la bestia, i suoi occhi che la stavano sfidando, mentre continuava a gettarle altro acido addosso e a scrollarsi dalla sua groppa i suoi amici.
Gli occhi della memoria incontrarono quelli di suo padre che le dicevano "Va tutto bene, puoi farcela."
Una sola lacrima rigò il volto di Lia, una sola lacrima alimentò la sua rabbia e la sua voglia di combattere.
No, lei non sarebbe morta. Non adesso, non uccisa dall'acido di un dragone.
Urlò qualcosa in greco antico, una sorta di invocazione ad Ecate che le permettesse di scagliare la sua stessa arma contro il dragone, mentre i suoi amici si mettevano al riparo.
Il mostro sputò acido contro acido, ruggì così forte che un terremoto e un eruzione vulcanica avrebbero fatto meno fracasso, mentre il dragone veniva infettato dalla sua stessa medicina.
Lia non si sentì mai più potente di come lo era allora.
Si ritrovò vicino Warren mentre ricaricava le sue mitragliatrici con un sorriso folle sul volto, del tipico scienziato pazzo, poi vide anche Liz caricare contro il dragone.
Il suo corpo sembrò contornarsi di un'aura rossastra, mentre lei saliva in groppa al mostro e lui continuava a scuotere il dorso sperando di farla cadere.
"Maledetto bastardo." sussurrò Lia.
Non era il tipo da insulti e parolacce, ma, adesso, era come se un fuoco stesse bruciando vivido nelle sue vene: ruotò la mano per far diventare liquido il terreno sotto il dragone e poi farlo ritornare solido, bloccandolo in una sorta di morsa.
Lui ruggì infuriato, mentre Liz, forse per un colpo di fortuna, gli infilzava l'occhio con la sua spada che aveva assunto una strana tonalità rossastra, come se stesse andando a fuoco, proprio come il contorno sottile che prima l'aveva incorniciata.
Si voltò, per un attimo, a guardare sua sorella Hope mentre si stringeva nelle spalle e sul suo volto appariva una smorfia incredula.
Archie le passò proprio accanto, sfrecciando ad una velocità tale da provocare una folata di vento che fece arruffare i capelli di Lia.
Lei grugnì in modo poco femminile.
"Scusami bellezza!" ammiccò il figlio di Nike, cuffie dell'Ipod nelle orecchie, mentre si slanciava all'attacco. Un tuono fece tremare la terra, colpendo il bestione il quale si capovolse velocemente per attutire il colpo sulla sua pancia molle, staccando interi pezzi di asfalto con la sua forza bruta e continuando a sputare acido alla velocità della luce in modo che nessuno potesse avvicinarsi all'altro occhio buono ed ucciderlo.
Luke partì alla carica, con un'ascia magnifica in mano, seguito a ruota da Selene e Jake, armato delle sue due spade gemelle che bramavano solo il sangue putrefatto di quella bestia.
Daphne continuava a tirare frecce con  il suo arco, mirando soprattutto al viso, se così si può considerare, del dragone, mentre Bashir danzava intorno al mostro con una velocità e grazia tale da ricordare il volo di un angelo, i capelli neri sconvolti dal vento, lo sguardo fermo e deciso della Morte.
D'altronde, pensò Lia, era un figlio di Tanato, no?
Incantò alcuni lampioni che si trovavano lì vicino e li spedì contro il mostro, sperando che i fili elettrici potessero fulminarlo a dovere, ma sapeva che non era abbastanza per uccidere un mostro di quella portata.
La sua mente era troppo confusa per mormorare altri incantesimi, anche solo per creare un avatar e farlo combattere al posto suo.
Il guaio dei figli di Ecate era che dovevano possedere immaginazione e la sua stava scarseggiando, in quel momento. Rotolò sul terreno, finendo proprio accanto ai piedi di sua sorella Hope.
Il buio stava calando sul mondo.
Gli occhi di sua sorella erano puntati direttamente sul loro attacco, andando ad aiutare gli altri semidei dove ci fosse bisogno, scagliando maledizioni e stregonerie contro il mostro.
"Lia."
Il suo tono era duro, aspro e sudato, come se stesse reggendo il peso del mondo.
"Dobbiamo tentare ciò che ci ha detto nostra madre."
A Lia sembrò che qualcuno le avesse sfilato il mondo da sotto i piedi: il giorno prima, Ecate, sua madre, quando le aveva avvertite che stava per succedere qualcosa, aveva consegnato loro qualcosa, qualcosa di cui Lia non andava certamente fiera.
"No." sussurrò Lia, come a convincere se stessa, poi più forte, "No, sarebbe un suicidio." le rispose: per un attimo, solo per un attimo, negli occhi di Hope baluginò una scintilla di compassione, poi si ripresentò la sua tipica aria inespressiva, tornando a guardare la battaglia e salvando, appena in tempo, Jake da un attacco del mostro.
"Non possiamo batterlo." sostenne lei, "Non abbiamo mai affrontato un pericolo del genere, al campo non si è mai visto nulla del genere, MAI!"
Alzò la voce perché un pezzo di asfalto infuocato oltrepassò le due sorelle e andò a schiantarsi poco più in là, continuando a bruciare.
Lia fece esplodere un idrante  per la frustrazione e lo puntò verso il dragone, tentando di affogarlo, contrastando il suo getto d'acido con l'acqua.
"È tutto inutile." ripeté sua sorella, "Dobbiamo provare con quell'incantesimo."
"Dimentichi una cosa, sorella." rispose Lia, irascibile, "Nostra madre ha detto che funzionerà solo una volta e non potremo ripetere l'incantesimo. Credi che sia saggio sprecarlo per lui?"
Hope serrò la mascella.
"Lia, non sappiamo nemmeno se arriveremo a stasera, tu credi che sia così  importante preservare questa maledizione quando possiamo usarla e distruggerlo?"
Lia osservò i suoi amici combattere, la loro grinta, il loro furore.
"Ecco perché non ti sopporto." ribatté Lia, "Una volta non eri così, una volta vedevi il bicchiere sempre mezzo pieno. Adesso ... adesso non ti riconosco più" sputò lì.
Guardò il dragone.
"Possiamo farcela."
Si, avrebbero potuto sconfiggere la bestia, se solo le sue orecchie non fossero state invase da una voce dolce e suadente come il miele, pericolosa e tagliente come il coltello che si usa per spalmarlo.
All'inizio non fece altro che stringere i denti e tentare di combattere ancora, scagliando maledizioni e incantesimi, ma dovette cedere e cadere in ginocchio quando questa di amplificò come se a Ground Zero fossero state posizionate le casse stereo più grandi del mondo.
Il guaio è che la riconobbe cosa spezzò le sue orecchie: era la stessa voce che aveva sentito la sera prima quando il falso Edmund aveva ucciso Lizzie, la figlia di Ares, al campo, sotto il suo sguardo allibito e impotente.
Non ricordò mai quante volte urlò disperata nella speranza che finisse presto, non ricordò mai quanto dolore provò quando aprì gli occhi e vide Luke colpito dal mostro, Warren senza proiettili utili per colpire il bestione e Liz che giaceva a terra con del sangue gocciolarle dalla testa.
Perché? Perché doveva accadere tutto ai mezzosangue?
"Perché voi siete così speciali." le rispose la voce nella sua testa, spezzando la sua stessa volontà e costringendola ad ascoltare, anche se non voleva, "E anche così stupidi. Non avete ancora capito che è impossibile fermarmi?" chiese, ridendo isterica, "La vostra è una missione suicida!"
Lia aprì gli occhi.
"Siete pronti a farvi esplodere come kamikaze?"
Fu in quel momento che successe, fu in quel momento che il mondo intorno a lei scoppiò e venne sbalzata all'indietro, impotente, colpita.
Morta?
 
[...]
 
Archie,
"You Make me Wanna Die"
 
Archie non aveva capito perchè si era sentito così solo: continuava a correre come un forsennato intorno al dragone, cercando di trovare interstizi nella corazza del mostro e infilzarli con la sua lancia elettrificata che continuava a crepitare in cerca del suo bersaglio.
Parò con il suo scudo un getto d'acido e questo non si deformò dato che si era formato direttamente dal carro divino di Zeus: beh, se si fosse sciolto voleva dire che il grande re degli dei aveva una fetecchia per mezzo di trasporto.
La battaglia continuava ad infuriare e lui continuava a combattere con la stessa foga con cui il dragone cercava di respingerlo: vide un paio di volte Selene, la figlia di Morfeo, evocare una specie di polvere dorata che soffiava verso la testa del mostro e lì si condensava, lasciando, per un attimo, il dragone impotente.
Osservò Bashir continuare a tentare di falciare il corpo del mostro, invano: nemmeno la falce della Morte riusciva a strappare la vita a quel mostro.
La cosa che più di tutte catturò la sua attenzione era il volto del figlio di Ermes, Jake Hell, che sembrava cambiare da una maschera all'altra: prima tranquilla, poi irritata e, infine, la maschera da pazzo per poi ritornare a prendere il controllo la faccia determinata ma calma.
Archie non poté fare a meno di chiedersi se Jake fosse un figlio di Giano o lui stesse semplicemente avendo le allucinazioni.
Optò per la seconda, anche perchè non aveva tempo di fare supposizioni e ragionamenti, non tanto quanto il cervello del suo amico Luke stesse fumando in quel momento: continuava a rotolare e schivare e Archie si domandò come ancora la sua schiena non si fosse rotta per tutto quell'azione a cui era sottoposta.
Non poteva non dire che Luke avesse fegato, così come tutti i figli d'Atena, dopotutto, dato che erano nettamente diversi dai figli dell'altro dio della guerra, Ares, poiché i secondi lo mettevano sempre a disagio e lui non aveva mai capito il perché.
I figli di Atena usavano la testa e l'astuzia al posto della forza bruta ed era quello uno dei loro principali punti di forza.
La fronte di Luke era imperlata e chiedeva solo che tutto finisse presto, il suo viso sporco di fuliggine e di polvere, impastati con il sudore, mentre i suoi occhi grigio tempesta sembravano riprodurre una versione più piccola delle nubi che si erano stanziate su di loro, come una cappa.
Luke respirò a pieni polmoni.
"Come cavolo lo uccidiamo?" gli chiese, prendendo un attimo fiato e riparandosi dietro una panchina con il figlio di Atena.
Piegò la testa di lato ed ispirò a piene narici l'aria tossica che lo fece starnutire più volte.
Luke si strinse nelle spalle, mentre accanto a loro piombava in un cratere circolare Liz, la figlia di Efesto, con i vestiti in fumo.
Archie non poté fare a meno di fischiare, mentre le dava una mano e la portava al sicuro contro il volere determinato di Liz che si rialzò da sola e ripartì alla carica.
"Allora?" domandò Archie, schioccando i pollici per riportare Luke alla realtà, i suoi occhi incollati al profilo scuro del mostro.
"Spingiamolo in acqua e poi pugnaliamoli l'occhio." propose Luke, stringendo con forza l'ascia a doppia lama di bronzo celeste così tanto da fargli sbiancare le nocche. Archie sorrise di un sorriso nervoso, mentre ripartivano all'attacco e si rimetteva le cuffie dell'Ipod nelle orecchie.
Tutti quelli che lo conoscevano gli avevano chiesto come mai combatesse in quel modo e lui aveva sempre risposto che la musica lo aiutava a concentrarsi: in quel momento, le cuffie gli sparavano "American Idiot" dei Green Day nelle orecchie.
"Un pò di rock non ha mai fatto male a nessuno." si ripetè, quando, da quel  momento in poi, perse i suoi compagni d'impresa di vista: vide solo, per qualche secondo, Warren, il figlio di Ares, attaccare il dragone con le sue katane, poi fu inghiottito dalla nebbia che stava emergendo dal terreno e che continuava a fratturarsi sempre di più.
Archie non capiva cosa fosse né chi l'avesse evocata, ma non poteva stare lì a pensare dato che anche la bestia si fermò, solo per un attimo, e sembrò spiazzata quando la nebbia inghiottì anche se stesso, momento in cui Archie ne approfittò per saltargli in groppa e raggiungere la sua testa: più si avvicinava al punto debole del mostro, più la sua testa sembrava sconvolta da una serie di radiazioni elettriche che lo fecero quasi cadere dalla groppa del dragone.
Era a metà del suo percorso quando sentì un urlo roco che superò il volume alto delle sue cuffie e che lo costrinse ad abbassarsi per non cadere sotto le zampe pericolose del mostro: conosceva quella voce, la conosceva benissimo.
Rivide la figlia di Ecate davanti agli occhi, la sua espressione furiosa sul volto, il suo sorriso distendersi per poi contorcersi nuovamente e trasformarsi in un ghigno.
Lia.
Capì che c'era qualcosa che non andava, ma continuò a correre, senza pensare a niente altrimenti avrebbe solamente peggiorato le cose: nessuno poteva toccare i suoi amici passandola liscia.
Le sue gambe correvano ad una velocità tale che avrebbero fatto impazzire qualsiasi autovelox, mentre le sue mani stringevano determinate le sue armi, le uniche che gli davano qualche opportunità di salvarsi e vivere.
Sentiva che il dolore alla testa aumentava e proseguì a carponi, ignorando la bestia che tentava di farlo cadere: tastò il terreno come aveva imparato e toccò qualcosa di viscido e putrefatto.
Senza né se, né ma, alzò la lancia elettrificata e cercò di pugnalarlo alla cieca, quando il dragone si mosse e lo sbalzò via, come ad un rodeo con il toro.
Cadde a terra, attutendo la caduta con il suo "bel di dietro divino", perdendo la sua lancia elettrificata. La nebbia gli impediva di vedere cosa ci fosse oltre il velo che lo imprigionava e fu costretto a procedere a carponi, sperando solo di non finire dritto tra le zampe del mostro.
Le cuffie del suo Ipod gli cadere dalle orecchie e queste vennero investite da un'ondata di suoni che provenivano proprio davanti a lui: lo stava aspettando.
Cerco qualcosa con cui colpire, ma il suo scudo non poteva fare molto, a meno che non lo avesse battuto sulla sua testa fino a sfracassargliela.
Poi le sue dita trovarono qualcosa, qualcosa di più o meno lungo vicino a Warren: il figlio di Ares era disteso per terra, con le mani alle orecchie e le sue armi accanto a lui.
Prese una mitragliatrice.
"Scusa, amico." gli disse, "Con un po' di fortuna potrò restituirtele."
Cercò di nuovo il punto da cui era salito prima, gli scossoni del mostro per farlo cadere, gli schizzi acidi che corrosero i suoi vestiti, ma a lui non importava: perchè gli altri non lo aiutavano?
Perchè Warren era ridotto in quel modo?
Di nuovo quella nuvola di onde elettriche che investì la sua testa, ma continuò a correre, a procedere come una macchina di guerra.
Spense i suoi pensieri, ascoltò solo il suo istinto.
Era di nuovo lì, al posto di prima: si ancorò al corpo del mostro, premendo forte le sue gambe contro il collo del mostro, per evitare di cadere, preparò la mitragliatrice e cercò l'occhio.
"Archibald."
Una voce, la voce, fece esplodere la sua testa e le sue orecchie e, per poco, non perse anche la mitragliatrice.
"Sei rimasto solo tu. Piegati al mio controllo o scaglierò contro di te i tuoi stessi amici."
"Chi diavolo sei per dirmi cosa devo o non devo fare, eh?"
Si guardò intorno.
"Fatti vedere, se ne hai il coraggio, mostro."
Lei rise.
"Mi hanno chiamata con molti nomi, ma mai "mostro". Devi avere una fervida fantasia, semidio, per chiamarmi in questo modo." rispose lei, con voce melliflua. Lui continuò a parlarle, cercando a tastoni l'occhio della bestia che continuava a dimenarsi.
"E allora esci allo scoperto, no? Così posso stabilire o meno se sei un mostro." urlò lui nel vuoto della nebbia che assorbì ogni suono.
Eccolo lì, ecco l'occhio viscido.
"Non posso." rispose lei, suadente, "Il triangolo non è ancora completo, ma presto altro sangue sarà versato e io finalmente potrò avere la mia vendetta."
Caricò la mitragliatrice.
"Addio, mostro." fu l'unica risposta di Archie quando esplose i suoi colpi di bronzo celeste direttamente nell'occhio rimasto della bestia : l'interno corpo del dragone fu scosso da fremiti e scariche elettriche, mentre Archie lasciava la presa sulla sua arma e saltava giù, chiudendo gli occhi.
Andò a finire dritto in mezzo all'acqua, in uno dei due laghetti dove una volta c'erano le Torri Gemelle.
A fondo, sempre più giù.
Stava affogando, non aveva più la forza di ritornare in superficie.
Si sentì prossimo alla morte, si stava lasciando andare quando gli apparve qualcuno, qualcuno che gli porse una mano: una corona d'alloro, una veste bianco candido, un sorriso che gli sembrò quella linea curva che raddrizzò ogni cosa.
"Aggrappati, Archibald."
Nessuno lo chiamava mai per nome.
"Aggrappati a me e vivi."

- - - 
 
*panda's corner*
Allegria, popolo di Efp! xD
Eccomi nella domenica delle elezioni in cui non sono andato a votare (bugia, sono ancora minorenne ewe) per postarvi questo sesto, emozionante capitolo in cui abbiamo il combattimento con il dragone c:
Ammettetelo, sono stato davvero stronzo a mettere un mostro del genere proprio in questi primi passi dell'impresa, ma dovete sapere che sono terribilmente sadico protettivo con i miei amorevoli personaggi.

Allora, che ve ne pare di questo capitolo offerto *guarda Emma* dal "Pete Market"?
Non fate caso a queste sparate del tipo "Chiambretti Supermarket", ok? u.u Lasciate una piccola recensione, o voi che entrate, perchè il settimo capitolo è già in cantiere xD
Allegria! :3

Ah, dopo eoni ho scelto anche i presavolti per i vostri piggi (?) e spero che possano piacervi :3 Ovviamente non tutti sono esattamente come me li avete descritti, ma ... che ci volete fa xD





 
 

♣ Warren Wilson as Joseph Morgan
♣ Selene Moonlake as Emma Stone
♣ Elizabeth 'Liz' Mills as Taylor Momsen
♣ Daphne Michelle Jones as India Eisley
♣ Jake Hell as Garret Hedlung
 
♣ Luke Thobias Mason as Chord Overstreet
♣ Lia Lawres as Emily Rudd
♣ Bashir Issam as Ian Somerhalder
♣ Hope White as Katie McGrath
♣ Archibald 'Archie' Kaele as Robert Sheehan

Precisazioni:
1. Liz ha i capelli scuri, ma tingeteli ed è fatta! xD Io amo Taylor, quindi non potevo non metterla tra i presavolti della mia storia *^*
2. Jake è albino, ma non ho trovato un attore/cantante/che ne so io albino così ho rimediato con Garret che è il presavolto del mio piggio su un GdR a tema Percy Jackson.
3. Lia ha delle ciocche viola e smeraldo. Beh, immaginatele, no? u.u

 
Detto questo, mi dileguo! :')
Hasta la vista! :3
 

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Capitolo 7
*** 7. All my friend are enemies ***


 
7.  All my friend are enemies
 
 
Bashir,
"Home is where your Heart is"
 
Bashir non avrebbe mai immaginato che una singola voce potesse fare così male: non aveva fatto altro che cadere a terra, lasciando andare la falce e reggendosi la testa per evitare che scoppiasse.
Sapeva che quella voce era la voce a cui stavano dando la caccia, ma non pensava che fosse così prepotente e pericolosa. Allo stesso tempo non aveva fatto altro che credere che fosse stata l'unica voce tanto suadente da farlo crollare, da metterlo in ginocchio.
Bashir era più confuso di un'arpia davanti ad un libro di poesie.
Continuava a fargli male la testa, ma almeno la voce era sparita, adesso. Cercò di rimettersi in piedi, puntellandosi prima sulle ginocchie e facendo attenzione a non spostare il peso sulle ferite che presero a bruciare, come se si fossero appena risvegliate dopo un lungo sonno.
Aprì gli occhi e li sbattè più volte per riabituarli alla luce del sole che era tornato a splendere sopra la città di New York.
La sua falce giaceva poco più in là, proprio davanti alla carcassa del dragone che avevano tentato di uccidere fino a qualche momento prima: era là, morto.
Senza vita, andato.
Bashir faticava a crederci: chi l'aveva ucciso? Si guardò intorno, alla ricerca del loro pseudo benefattore quando il rumore dell'acqua attirò la sua attenzione e lo costrinse ad alzarsi, anche se tutto il suo corpo urlava al dolore fisico e psicologico.
Sentì il rumore di chi respira a pieni polmoni, il suono di chi ispira aria dopo che il suo corpo è andato in carenza di ossigeno.
Il suono della morte che torna sui propri passi.
Bashir si sporse oltre il bordo del piccolo laghetto, alzando la falce, pronta per colpire il suo nemico quando si ritrovò davanti solo Archie, bagnato fino all'osso che cercava un appiglio per tornare sulla terra ferma.
Il figlio di Tanato, reggendosi la spalla, gli porse il manico della falce, sorridendo mentre il figlio di Nike si affrettava a raggiungere la "riva".
"Grazie." mormorò a Bashir, mentre si stendeva sull'asflato nero e guardava il cielo mentre continuava a stringere l'aria con una mano. La guardò incerto, poi la lasciò andare, facendola battere contro il terreno scuro.
"Niente." rispose lui, scrollandosi le spalle e facendo sparire la falce in modo che apparisse solo quando lui ne avessi bisogno.
"Che strano." pensò, mentre si passava una mano nei capelli e osservava con i suoi occhi chiari la devastazione che il dragone aveva provocato: buchi, aperture nel terreno, semidei per terra.
"La morte che salva la vita." si disse, precipitandosi, per modo di dire, con andatura zoppicante, a controllare come stessero gli altri.
Prese dell'ambrosia sbriciolata che aveva nella tasca dei jeans neri e ne diede un pò a Selene, la figlia di Morfeo, praticamente sua cugina dato che Morfeo e Tanato erano fratelli.
"Meglio?" le chiese, sorridendole nel suo solito modo misterioso. Lei annuì e lui passò a curare gli altri feriti: stavano più o meno tutti bene, tranne Lia che aveva sbattuto violentemente contro un palo della luce e aveva fatto scoppiare tutti i vetri dei grattacieli nel giro di venti chilometri.
Le diede dell'ambrosia e passò del nettare sulla ferita che aveva sulla fronte, sperando che guarisse: non era mai stato bravo a curare le persone: considerato che non lo aveva mai fatto, quello era già un buon risultato.
La figlia di Ecate sembrò riprendersi un po', mentre sopraggiungeva Archie e si prendeva cura di lei per quanto gli fosse possibile perchè Lia gli fece incendiare la maglietta per due volte di seguito e lui fu costretto a correre come un pazzo per togliersela e buttarla in acqua.
Bashir sorrise, poco prima di prendere una storta e urlare di dolore: cadde a terra, stringendo i denti e accorgendosi di aver finito l'ambrosia e, quindi, impossibilitato nel curarsi.
Tossicchiò quando gli salirono le lacrime agli  occhi per il dolore, ma rimase fermo e deciso, prendendo un respiro e rialzandosi come se qualcuno stesse infilzando la sua caviglia con un migliaio di aghi.
"Che ne dici di una mano?" gli chiese la voce gentile di una ragazza. Gli occhi chiari di Bashir si posarono sulla figura sporca di polvere di Daphne, la figlia di Afrodite.
Rimase, per un attimo, con la bocca aperta, non curandosi del dolore che continuava a pugnalare la sua caviglia e, se fosse rimasto imbambolato per un altro po', il suo cervello sarebbe già andato in pappa, ma, per fortuna, Daphne gli cinse le spalle con un braccio e lo accompagnò ad una panchina vicina, facendolo sedere.
Gli porse un quadratino della sua ambrosia e Bashir lo prese con le mani tremanti, ma non seppe mai se per paura o emozione.
"Grazie." le disse, mentre la sua vita gli passava davanti ad una velocità impressionante. Non aveva mai avuto amici, non lui che era il figlio della Morte.
Rivide sua madre, rivide il momento in cui morì quando aveva dieci anni. Rivide se stesso mentre attraversava a testa alta l'arco del Campo Mezzosangue e quando il simbolo di Tanato, suo padre, scintillò con forza sulla sua testa e tutti i ragazzi che si erano avvicinati si allontanarono.
"Di niente."
La voce della figlia di Afrodite lo riportò al presente: adesso era seduta accanto a lui e Bashir notò una linea di sangue secco sulla sua guancia. Si avvicinò a lei, mettendosi il dito in bocca e protendendosi verso Daphne che cominciò ad arretrare, nervosa.
"Che stai facendo?"
Lui non le rispose, forse per non spezzare quel momento magico, poggiandole il polpastrello dell'indice sulla guancia e cominciando a pulirle il viso.
"Ehm ehm." tossicchiò una voce che servì solo a far sobbalzare Bashir che tornò al suo posto come se suo padre l'avesse scoperto mentre lui rubava le caramelle della morte che distribuiva a coloro che dovevano passare a miglior vita.
Luke stringeva la sua ascia in mano e aveva un'espressione contrariata in viso, come se li avesse appena colti in flagrante e la cosa lo urtasse. I suoi occhi erano un unico cumulo di tempesta.
"Venite, sappiamo qual è la prossima tappa."
 
 
Bashir si sentì leggermente in imbarazzo quando lui, Daphne e Luke si unirono al capanello che si era formato intorno a Warren che stava stringendo la mappa, con un sorriso spavaldo sul volto: lui, al contario degli altri, sembrava stare benissimo e fosse pronto per fare a pezzi qualche altro mostro.
"Che c'è?" chiese il figlio di Tanato quando si ritrovò gli occhi dei suoi compagni d'impresa addosso. Si strinse nelle spalle ad un'occhiata torva di Luke, mentre ricominciavano a parlottare tra loro.
"Dove si va, comandante?" chiese Archie, completamente diverso da come Bashir lo aveva lasciato poco prima. Guardò verso Warren che strinse i denti in un'espressione burbera, per poi far tornare il sorriso spavaldo.
"Central Park." annunciò, con la mappa che indicava un punto ben preciso della cità di New York. I suoi capelli castano dorati scintillavano sotto la luce del sole di Maggio, mentre a lui si avvicinava Selene.
"Facciamo un po' il punto della situazione." propose, guardando Warren con un certo imbarazzo, "Vi va?" chiese, portandosi indietro i capelli.
"Siamo partiti questa mattina dal campo e quella stupida mappa ci ha condotti qui." cominciò Hope, mentre il suo volto sembrava farsi ancora più pallido e i suoi capelli più neri.
"Abbiamo incontrato questa ... bestia." continuò Liz, i capelli che le arrivavano alle spalle completamente sciolti al vento primaverile. Si capì che avrebbe preferito dire altro al posto di "bestia", ma vabbè, nessuno è perfetto.
"Abbiamo sentito una voce che ci ha quasi ammazzati e il sottoscritto ha salvato le chiappe a tutti grazie ad una pura botta di culo." riprese Archie, sminuendo il lavoro che aveva fatto per non far sentire gli altri da meno, tenendo per sè la storia del triangolo di cui gli aveva parlato la voce.
"Bene, e adesso la mappa ci indica di trasferirci a Central Park." concluse Daphne, mentre si puliva il viso con un fazzoletto di carta che cacciò dalla sua borsa.
"Non so voi, ma non vi sembra ... " disse Luke, con gli occhi che saettavano dalla cartina ad ogni membro del gruppo.
"Una trappola?" terminò Bashir, studiando sospetto la mappa e facendosela passare da Warren.
"Se Mister Morte ha qualche idea." esclamò sgradevolmente il figlio di Ares, stiracchiandosi le ossa del collo e mettendo, poi, le mani in tasca.
Bashir non ci fece caso, anche perchè era vero, ma continuò ad osservare il puntino luminoso sul rettangolo antico di pergamena: e se avesse avuto ragione? Se quella mappa li stesse conducendo direttamente alla loro morte?
D'altronde ne esistevano a bizzeffe di oggetti del genere nel mondo della mitologia. Bashir guardò nervoso Lia ed Hope.
"Perchè allora Chirone ce l'avrebbe data?" domandò Hope, con i suoi occhi viola inteso che mandavano bagliori argentei. Bashir sapeva che si fidava ciecamente del centauro, come lui d'altronde.
"Forse non sapeva che era stregata." le rispose Lia, mordendosi le labbra per non dire altro, ma Bashir capì lo stesso: e se Chirone fosse passato dalla parte del nemico?
Era un pensiero talmente ridicolo che Bashir lo accantonò subito, anche perchè non riusciva proprio a pensare a Chirone come uno dalla parte del male.
Non dopo che l'aveva addestrato ed era stato per lui una sorta di padre.
"Sentite." disse infine Luke, "Non serve a niente fare supposizione e teorie senza prove, quindi andiamo a Central Park e lì capiremo se la mappa è una trappola o meno."
Li guardò tutti.
"Beh, a quanto pare è una delle tue migliori pensate, Testa di Gufo."
 
 
[...]
 
Hope,
"Broken Lines across my Mirror"
 
Hope non aveva mai pensato che Ares ed Atena andassero d'accordo, ma, più che altro, non aveva mai visto due figli dei rispettivi dei litigare: non che trovasse la cosa divertente, ma i loro battibecchi li accompagnarono fino a Central Park, alzando un po' il morale del gruppo.
Presero la metropolitana per arrivare il più in fretta possibile alla loro prossima tappa della loro missione che, come l'aveva definita la voce, era suicida.
Hope non poteva che essere d'accordo  in quanto erano quasi finiti uccisi da una bestia mitologica il primo giorno, anzi, la stessa mattina nella quale erano partiti.
Il combattimento con il dragone aveva impiegato più tempo del previsto e salirono sulla metropolitana quando, ormai, il sole era già alto. Si diedero anche alle spese pazze, dato che si fermarono in un McDonald's prima di andare a combattere la loro prossima sfida.
Hope, mentre staccava dei piccoli morsi dall'hamburger che aveva preso, non poteva fare a meno di pensare chi ci fosse dietro tutto questo e chi, la mappa, stesse indicando loro perchè lei sapeva, in qualche modo, che la mappa li stava conducendo a qualcuno, qualcuno che li avrebbe aiutato o ... beh, li avrebbe uccisi.
Appena finirono di mangiare, si incamminarono verso Central Park perchè Warren era stufo di rimanere rinchiuso nelle quattro pareti della metropolitana, sotto terra.
Certo che Hope non lo capiva: fino a poco prima diceva che rimanere all'aperto era un'idea stupida, quando poi lui stesse li aveva spinti ad arrivare a Central Park a piedi.
Hope si scostò una ciocca di capelli neri da davanti agli occhi e la portò dietro l'orecchio destro su cui vi erano un'orecchino a forma di testa di cane e un altro a forma di chiave, i simboli di sua madre.
Raggiunsero il parco in mezzo a New York passate le quattro del pomeriggio, sudati e accaldati. Liz, la figlia di Efesto, non sembrava essere a disagio anche perchè lei ci era abituata lavorando per molte ore nelle fucine, ma, per il resto della compagnia, non era la stessa cosa.
Hope maledì silenziosamente Warren per la sua brillantissima idea.
In compenso, una volta dentro Central Park, si sentirono subito meglio, rinfrescandosi grazie all'aria meno calda che veniva mantenuta nel parco dagli alberi e dalla loro umidità. Si gettarono, letteralmente, sulle fontane che trovarono, buttandosi dell'acqua addosso o lavandosi il viso o ancora dissetandosi.
"E adesso che si fa?" chiese Lia, impaziente, ad opera dell'iperattività tipica dei figli degli dei. Hope era dello stesso parere, anche se non lo fece notare: piuttosto rimase in silenzio a sentire cosa dicessero gli altri.
Inconsapevolmente si voltarono tutti verso Luke che sembrò decisamente in imbarazzo. Si passò una mano nei capelli, preparandosi a parlare, ma venne interrotto da Archie.
"Sicuramente non andiamo a fare colazione!" esclamò, sorridendo, guardando verso Daphne che rispose al suo sorriso.
"Quindi?" domandò insistente Selene, continuando a torturarsi una ciocca di capelli con le dita: aveva tutta l'aria di chi volesse farsi una bella dormita, piuttosto che combattere, adesso.
Hope guardò il cielo, parzialmente oscurato dalle cime degli alberi.
"Ascoltate." consigliò agli altri che tesero l'orecchio, in attesa di qualcosa.
"Non si sente niente!" si lamentò Bashir, ma Hope lo zittì con un dito quando si cominciò a sentire il rombare tipico di una moto.
Ed eccola lì, cromata nera e con le ruote che somigliavano a dei Pac-Man, di quel gioco che piaceva tanto al signor D.
Hope, personalmente, odiava Pac-Man.
La figlia di Ecate guardò meglio e vide che mancava una grossa fetta di cerchione di ognuna di esse. A cavallo della moto la donna più strana che Hope avesse mai visto: pelle e ossa, pantaloni di pelle nera da motociclista, stivali intonati alti e un giubbotto di pelle rosso sangue, decorato da rami ritorti di un meoo popolati di uccelli scheletrici.
Si tolse il casco: i suoi occhi erano uguali a quelli delle persone schizofreniche, mentre la sua chioma era un unica cascata di ricci neri.
"Allora, chi vuole avere un pò di fortuna?"


 
Hope faticò non poco a capire che quella era la dea della vendetta, Nemesi in persona che si era presa tanto disturbo per farsi un giro a Central Park e aiutarli.
"Che ci fa lei qui?" chiese Luke, scettico, "È lei il prossimo passo della nostra impresa?" domandò, incerto, mentre il suo volto si colorava di un'espressione di rabbia e di odio.
"Perspicace, il figlio di Atena." rispose lei, sorridendo di un sorriso freddo, "Voglio darvi il mio aiuto."
La figlia di Ecate non le credeva: quando gli dei ti cercano vuol dire che vogliono da te qualcosa e Nemesi non sembrava proprio il tipo di persona, pardon, di dea disposta ad aiutarti senza volere nulla in cambio.
Hope chiuse per un attimo gli occhi: quando li riaprì al posto della dea della vendetta c'era lui, l'uomo che aveva sterminato la sua famiglia.
Lui, l'uomo che voleva uccidere.
Chiuse di nuovo gli occhi e ritornò Nemesi che le stava sorridendo malevola.
"Capisci ora?" le chiese, retoricamente, poi si rivolse agli altri semidei, "Allora, siete disposti o meno ad accettare il mio aiuto?"
Nessuno rispose.
"Certo." continuò lei, con fare mellifluo, sfiorando con le dita scheletriche il volto di Jake che rabbrividì, "State compiendo quest'impresa per l'Olimpo, ma nessuno degli dei si è scomodato di dirvi contro cosa e contro chi state andando incontro."
"Non le credete." la interruppe Luke, "Ci vuole mettere contro di loro."
Nemesi rise sguaiatamente.
"No, certo che no." disse, con fare innocente, "Non sono mica Eris, io. No, io voglio aiutarvi, ve l'ho già detto e sono disposta anche a svelarvi anche qualcosa che riguarda la vostra missione. Sempre che voi ... "
Guardò fissa Luke.
"Siate disposti a credermi."
I suoi occhi scintillarono con più forza, mentre un leggero venticello le scompigliava i capelli.
"Allora?"
Luke sputò le parole che disse come se fossero veleno.
"Sentiamo."
"Posso solo dirvi che la vostra impresa sarà pericolosa e qualcuno di voi non tornerà mai più a casa. Ah, non troverete nessuno disposto ad aiutarvi in un primo momento, perché lei è molto esperta nella convulsione." spiegò, appoggiandosi alla sua moto strana, "E vi ritroverete in una situazione che non potrete affrontare senza l'aiuto di un dio altrimenti, beh ... ne uscirete tutti morti."
Guardò il figlio di Atena con occhi forsennati e sorrise misteriosa.
"Ma ci sono qua io, no?" domandò, retoricamente, mentre gli uccelli scheletrici sul suo giubbotto rosso sangue sembravano animarsi, "Io posso aiutarvi, ad un prezzo."
Luke pestò i piedi per terra.
"Lo sapevo!" sbottò con le guancia rosse, come un bambino arrabbiato. Hope era d'accordo con lui: nemmeno lei si era fidata di Nemesi e, a maggior ragione, non sperava nel suo aiuto.
"Tutto ha un prezzo, mezzosangue. La fortuna non è altro che un'illusione. Allora, chi porterà il carico della mia proposta?" domandò, spostando lo sguardo da un semidio all'altro.
Hope voleva morire quando incontrò di nuovo il suo sguardo.
"Nessuno?" chiese.
Silenzio.
"Bene." esclamò, "Divertitevi a morire, mezzosangue." continuò, ponendo maggior enfasi sull'ultima parola e iniziando ad infilarsi il suo casco da motociclista.
"Aspetta." le disse una voce. Lei si voltò, incontrando il volto di Warren, il figlio di Ares, che aveva in volto la stessa espressione pazza della dea.
"Ne sei convinto, semidio?" gli chiese, sorridendogli in maniera misteriosa. Lui annuì e lei scrollò le spalle.
"Coraggioso come tuo padre." sospirò, "Non dovrai fare altro che pronunciare il mio nome, quando sarà il momento. Passerò io a riscuotere il prezzo che dovrai pagare." concluse.
Per un attimo nessuno fiatò, poi lei saltò in sella sulla sua moto e sfrecciò via, mentre il sole andava calando.

 
- - - 

*panda's corner*
Ok, bruciatemi assieme a Crono nelle fiamme eterne del Tartaro oppure speditemi negli strati più bassi della Duat (per chi avesse letto The Kane Chronicles) perché sono in un ritardo mostruoso e anche di frettissima perché oggi pubblico questo capitolo come se ci fosse Cerbero ad azzannarmi il posteriore xD

Allora, ecco i punti di vista di Bashir e Hope e spero veramente che vi siano piaciuti! :') I prossimi saranno quelli di Luke, testa di gufo, e Selene, schiaccio un pisolino (?)
Ok, mi sono rincoglionito xD

Coomunque, mi spiace di aver inserito Nemesi ed è per questo che risulta un po' troppo simile a MoA, ma mi serviva per la trama e ho dovuto aggiungere per forza la dea della vendetta.
Si vedono anche i primi fluff e momenti di ship :') come avete potuto intuire il triangolo amoroso si avrà tra Daphne, Bashir e Luke, ovvero Bellezza, Morte e Saggezza *^* Wow, che ship! :D Idee per il nome? xD
Chi prevarrà tra i due spasimanti della bella figlia di Afrodite? xD 
Lo scoprirete nella prossima puntata xD 

King (a cui Cerbero ha appena mangiato le chiappe :3)


 

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Capitolo 8
*** 8. Everybody wants something from me ***



8.  Everybody wants something from me
 

 
Luke,
"Taste me, Drink my Soul"
 
Luke era più che incredulo.
Insomma, una dea viene a farti una visita per poi chiederti un "prezzo" di cui non sai in ciò che consiste e tu, stupido figlio di Ares, accetti la sua proposta?
Luke sperò solo che Nemesi si accontentasse di una scatola di caramelle o un pacchetto di Golia Active Plus che aveva in tasca perché non aveva nient'altro da offrirle.
Dei dell'Olimpo.
Sospettava che la loro impresa si sarebbe presto rivelata un vero e proprio fallimento e, in più, bisognava contare anche questa "misteriosa" voce che entrava nelle loro teste e le sconvolgeva.
Dopotutto, una singola voce aveva messo nove di loro a tappeto, pronti per essere schiacciati ed uccisi dal dragone se non fossero stati salvati da Archie, il suo migliore amico, che aveva sempre criticato per la sua mania di combattere con un paio di cuffie nelle orecchie.
Mania che, anche se gli era difficile ammetterlo, li aveva salvati tutti, impedendogli di ascoltare la voce e cadere a terra, sotto il suo suo potere.
Luke ricordava bene la sensazione che aveva provato quando le parole, dolci e suadenti, si erano fatte strada attraverso la sua armatura e avevano invaso le sue orecchie: non avrebbe voluto fare altro che lasciare le armi e sedersi all'indiana per ascoltare meglio.
Se non fosse stato per Jake, sarebbe morto sotto il grande fondoschiena verde del mostro che era atterrato nel punto esatto dove lui si era fermato prima, trascinato, poi, dal figlio di Ermes verso un riparo sicuro.
Per quanto si sforzasse di ricordare miti e leggende dell'antica Grecia, non riusciva ad associare alla voce che sentivano, a quella minaccia onnipresente, una controparte nella mitologia.
Sembrava che fosse qualcosa che gli dei volevano tenere segreto dall'alba dei tempi e che adesso stava risorgendo, in tutta la sua forza, pronta per reclamare vendetta.
"Che pizza." disse una parte di sè, "Tutti che vogliono vendetta contro l'Olimpo. Ma cavolo, è così difficile per gli dei farsi degli amici e non solo infidi bastardi pronti a tradirli e attaccarli?"
Luke avrebbe tanto voluto darsi una risposta, ma si limitò ad alzare le sopracciglia quando la moto di Nemesi sfrecciò attraverso il parco e una delicata brezza gli scompigliò i capelli.
Guardò gli altri: sembravano tutti reduci da una battaglia con i cuscini finita male, anzi, malissimo. Nei loro occhi stanchezza e dolore, anche se erano solamente al loro primo giorno d'impresa.
Il sole scintillò con più forza.
"Che ti è saltato in mente?" chiese a Warren, sputando quelle parole come se fossero veleno, "Hai stretto un patto con quella pazza, te ne rendi conto?" domandò, prendendolo per le spalle e costringendo i loro occhi a scontrarsi.
"Non ho bisogno di una balia." ribatté lui, "Testa di Gufo."
Luke era sul punto di prenderlo a cazzotti, ma si fermò, come se delle briglie invisibili mosse da mani onnipotenti stessero tenendo a bada la sua rabbia.
"Senti, smettila di fare tutto il "tosto", chiaro?" gli chiese, retoricamente, "Qui siamo tutti nella stessa situazione, tutti coinvolti in questa fottuta impresa e tu che fai? Invece di prendere una decisione in gruppo accetti la proposta della prima divinità psicopatica che ti capita davanti?"
Storse la bocca in un'espressione di ribrezzo.
"Cresci, Warren." gli disse, "La vita non è fatta solo di scappatelle e cazzate, sappilo idiota."
Gli occhi di Luke scintillavano pericolosamente di un grigio tempesta provvisto di fulmini, saette e quant'altro, mentre si passava una mano nei capelli e respirava affannosamente, come se avesse corso per chilometri e chilometri solo per sgridare Warren, il quale lo guardava con poco interesse.
"Finito, mammina?" chiese, sarcastico, mentre prendeva a camminare senza una meta fissa, nella direzione dalla quale erano arrivati, "Non venirmi a cercare, so cavarmela benissimo da solo."
Il figlio di Atena stava per sbottare altro, quando qualcuno gli posò una mano sulla spalla e lui fu costretto a voltarsi, posando i suoi occhi arrabbiati sulla figura di Selene, la figlia di Morfeo.
"Ci parlo io." disse, raggiungendolo, "Lo farò ragionare."
Luke non sapeva più a cosa pensare, se fosse lui o meno il problema: prese la mappa dallo zaino e la srotolò nervoso, strappandola su un angolo e sussurrando un'imprecazione in greco antico.
Qualcuno gli si avvicinò.
"Sei troppo duro con lui." sussurrò una voce accanto a lui: i suoi occhi tempestosi incontrarono quelli calmi e tranquilli di Liz che gli sorrise, scostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio e porgendogli la mappa per poterla consultare.
"Io ... io voglio solo aiutare quell'idiota." borbottò a denti stretti Luke, passandole il rotolo di pergamena, "È solo che lui è troppo ... cieco  per capire la realtà."
Liz scrutò la mappa per qualche minuto, girandola più volte sui quattro lati, alzando gli occhi, più confusi di prima, su Luke.
"Finirà con l'ammazzarsi se non la smette di comportarsi così." esclamò, poi si avvicinò a lei per poter capire quali fossero i suoi dubbi.
"Vedi anche tu quello che vedo io?" gli chiese.
Luke si grattò la guancia, dove i capelli scuri di Liz gli facevano solletico, e aggrottò le sopracciglia in un'espressione buffa che, come gli aveva detto Archie, lo faceva somigliare molto ad un orso molto perplesso a cui avevano rubato il suo miele.
Luke non avrebbe mai capito quello strano accostamento e non poteva fare altro che sorriderci su.
"Cosa dovrei vedere?" chiese il figlio di Atena, confuso dal fatto che lui non vedeva nulla, eccetto il puntino su Central Park, dove si trovavano in quel momento, "Non c'è niente." le disse, quasi imbarazzato, pensando che a Liz mancasse qualche rotella.
"Appunto!" esclamò lei, ruotando la mappa e mettendola controluce per poter scoprire chissà che, ma non successe nulla, "Non ti sembra strano?" gli chiese.
Lui annuì, scrollando le spalle.
"Quest'impresa sta diventando più difficile di un rompicapo." disse, "E non so come venirne a capo, è questo il vero problema."
Era frustrante, per un figlio di Atena, essere tenuto all'oscuro delle cose, non sapere dato che, per loro, la mancanza di conoscenza era il peccato più grave che si potesse commettere.
Liz alzò una sopracciglia, mentre arrotolava la mappa e gliela passava.
"Che si fa?" chiese Bashir osservando gli altri sette dato che Selene e Warren erano ancora dispersi tra gli alberi e Archie aveva ironizzato su ciò che stavano facendo, "Insomma, non possiamo starcene qui impalati, no?"
Daphne assentì, legando i suoi capelli in una treccia.
Luke si toccò il collo e incontrò i lineamenti della sua collana, la collana che si trasformava nella sua ascia a doppia lama: non sapeva cosa dire, aveva esaurito le risposte, per se stesso e per gli altri.
"Andiamo in discoteca." suggerì Archie: sette paia di occhi si ritrovarono a guardarlo, mentre lui alzava lo sguardo dalla maglia stropicciata per il suo bagno "inaspettato" a Groun Zero.
"Che c'è?" chiese, "Ho solo proposto una soluzione alla noia mortale!" si giustificò, alzando le mani al cielo, in segno di innocenza.
Scrutò gli altri con aria sospettosa, come se si aspettasse che qualcuno ribatesse, e cominciò a blaterare a vanvera altre affermazioni a supportare ciò che aveva appena detto.
Luke non gliel'avrebbe detto  mai, ma in quel momento sembrava molto un procione sul punto di prendere una purga dato che si agitava come un forsennato.
Gli occhi del figlio di Atena si agitarono quasi quanto Archie, spostandosi da un semidio all'altro, cercando di leggere le sue emozioni e sensazioni in merito alla proposta. Si voltò, cercando inutilmente di scorgere anche i due mancanti, Warren e Selene, dispersi chissà dove nel parco.
Perché avrebbe dovuto rifiutare?
La domanda gli sorse spontanea, come se qualcuno dentro di lui, una voce, gliel'avesse sussurrato alle orecchie, come se qualcosa dentro di lui si fosse agitato e lui avesse reagito al sintomo.
Perché avrebbe dovuto rifiutare?
Si, perché? In fondo erano anche loro delle persone, degli esseri umani, perché non avrebbero potuto divertirsi come dei comuni esseri mortali?
Una parte di lui spingeva oltremodo verso il divertimento, lo sballo, la festa, l'altra cercava in tutti i modi di tirarlo verso l'onore, la gloria, il senso del dovere, come un vero greco.
La verità era che Luke non sapeva cosa fare.
Guardò ancora una volta i suoi compagni d'impresa, poi si soffermò sul suo migliore amico Archie: gli avrebbe tenuto il muso in eterno se non avesse accettato.
"Si, insomma, dobbiamo pur svagarci un ..."
"Smettila di sparare stronzate." gli rispose calmo Luke, sorridendogli, "Questa sera ... fiesta!"
" ... po’."
Sul volto del figlio di Nike si fece largo un'espressione stupita, seguita dall'alzarsi ed abbassarsi nervoso delle sue sopracciglia.
"Ehm ... sei sicuro di stare bene, Luke?" gli chiese, domandandosi se il suo amico avesse perso qualche rotella dato che non era proprio il tipo da frequentare feste o sparare battute squallide e divertenti.
No, Luke era il perfetto prototipo di un vero figlio di Atena.
"Solo perché ho un QI nettamente superiore al tuo, idiota, non vuol dire che non mi possa concedere anch'io una festa." rispose, mellifluo.
Si passò una mano nei capelli.
"Stai dicendo sul serio?" chiese Archie, ancora stupefatto da quella sua insolita decisione, una manciata di gioia mischiata con polvere di nervosismo e incredulità.
Luke si strinse nelle spalle, imitando una delle sue espressioni buffe, di quelle che il figlio di Nike usava spesso quando parlava con lui e non voleva rispondere alle sue domande.
Sul volto di Archie campeggiò un sorriso.
"A patto che ci porti nel miglior locale di New York." scherzò Luke, trattenendo una risata per l'espressione che il figlio di Nike aveva fatto quando lui aveva detto "a patto che", temendo, ovviamente, il peggio.
Archie sorrise, mostrando tutti i suoi quarantadue denti, bianchi ed intatti, con gli occhi che gli scintillavano dall'emozione.
"Dovrei registrati e poi farlo ascoltare a tua sorella Amina." ridacchiò lui, "Non ci crederebbe mai se glielo raccontassi."
Lo guardò, la bocca distorta in un sorriso, appoggiando i palmi delle mani sulle ginocchia come per prendere fiato dopo una delle sue lunghe corse, mentre gli occhi tempestosi di Luke incontravano quelli divertiti di Lia che si stava trattenendo dal ridere sguaiatamente ed incendiare tutti gli alberi di Central Park.
Luke pensò che non avevano affatto bisogno anche della polizia alle calcagna, per quello bastavano già i mostri ed erano anche abbastanza.
Immaginò i titoli: "Combriccola di dieci ragazzi dà fuoco a Central Park. Arrestati." oppure "Baby piromani crescono: tutto fumo e niente arrosto."
No, non era il genere di pubblicità di cui avevano bisogno.
 

Archie li condusse in uno dei locali appartenenti alla catena di discoteche più rinomate di New York: il Pacha NYC si stagliava in tutta la sua bellezza quasi nel centro della città, dove c'era la movida e la vita pulsante della stessa New York.
Le persone, specialmente ragazzi, continuavano ad andare e venire dalla porta d'ingresso dalla quale provenivano una miriade di luci, facendo pregustare l'atmosfera che si sarebbe avuta all'interno. La folla era in delirio per un gruppo musicale che si sarebbe esibito quella sere e le ragazze non facevano altro che urlare e strapparsi i capelli a vicenda per entrare.
"Ma che razza di oche sono?" sussurrò Selene all'orecchio di Daphne, mentre si mettevano in coda e aspettavano il loro turno.
La figlia di Afrodite ridacchiò.
"Credimi, se le avessi per sorelle sarebbe peggio."
Avevano cercato di pulirsi e comprare dei nuovi vestiti, ma i soldi non sarebbero bastati per tutti, così avrebbero cercato di imbucarsi, come aveva detto Archie, strizzando loro un occhio.
Luke continuava a rimanere scettico e ad arroccarsi sulle sue convinzioni, ma cercò di liberare la mente per potersi solo divertire.
In fondo tutta la loro vita era un "carpe diem", non avrebbero mai saputo se avrebbero potuto vedere l'alba del giorno dopo.
"All mon ... mostres ar ... humen." sillabò poco convinto Jake, cercando di leggere una locandina dell'evento a cui avrebbero partecipato.
"All mostres ar humen?" chiese e non si capì se lo disse a sè stesso o agli altri dato che parlo ad alta voce, ma continuò a guardare verso il manifesto.
Santa, benedetta dislessia: era uno dei loro tratti principali, così come il deficit dell'attenzione, dato che il loro cervello era impostato sul greco antico e, quindi, gli risultava difficile leggere qualsiasi altra lingua esistente se non quella della cultura dalla quale discendevano.
"Che diavolo significa?" domandò, stavolta rivolto verso i suoi compagni d'impresa mentre si grattava la testa con fare nervoso, come se questo l'avesse aiutato a scoprire cosa ci fosse scritto.
Un paio di ragazzi lo guardarono strano e fecero delle battute sul suo aspetto.
"Hai visto quello?" chiese uno, indicandolo con fare poco amichevole. Jake strinse gli occhi, come un gatto che si prepara a saltare.
"Ma che razza di capelli ha?!" sussurrò una ragazza vestita come una sorta di Lady Gaga, continuando a ridere e a fare battute idiote, "Li hai visti? O mio Dio! Sono orribili!"
"Ahahahahah!" ridacchiò qualche altro, "Si, mai visto niente di peggio."
Il tempo sembrò fermarsi e farsi liquido.
"A volte è proprio vero." sospirò Luke, i suoi occhi grigi scintillanti di determinzion, rivolgendo loro uno sguardo freddo e alzando la voce in modo che anche chi gli stava intorno potesse sentirlo, "I peggiori mostri sono gli uomini, non è vero?" chiese loro, sarcastico, indicando la locandina che portava la scritta "All monsters are humans"
Si avvicinò verso Jake che sembrava più abbattuto del solito: stava sussurrando qualcosa che Luke non riuscì a capire dato che non sembrava neppure greco antico, i suoi occhi rossi sembravano farsi ancora più profondi e scuri.
"Tutto bene?" gli domandò, sorvolando con lo sguardo la pelle color latte di Jake, più pallida del colorito della luna. Lui annuì, ma il figlio di Atena vide che era una risposta forzata.
Luke era diventato troppo bravo a leggere le persone, nel corso degli anni.
"Se è per quelli, lasciali bruciare nel Tartaro." ribadì, "Non ho mai conosciuto una persona più coraggiosa di te, Jake, e non lo dico solo per via del tuo aspetto."
Gli sorrise e, in qualche modo, Jake capì, spazzolandosi i capelli e rispondendo al suo sorriso scrollando le spalle.
"Avanti gente, non vorrete perdervi tutto il divertimento?!" chiese ironicamente Archie, riuscendo in qualche modo, ad infilarsi senza che il bodyguard all'entrata avesse la possibilità di controllarlo.
Lia, accanto a Luke, sorrise mentre i suoi occhi passavano dalla tonalità del nero al viola intenso, senza che nessuno se ne accorgesse.
Sorrise.
 

 
[...]
 
Selene,
"Kiss the Demons out of my Dreams"
 
Selene dovette ammettere che la band che si esibì quella sera era davvero fantastica e stava cominciando a preoccuparsi sul cantante che le sembrava fin troppo espansivo nei suoi confronti.
Hope le disse che probabilmente si era fumato qualcosa e lei rise, tenendo in mano un bicchiere enorme di Coca Cola, provvisto di cubetti di ghiaccio, che le figlia di Ecate le aveva fatto apparire in mano.
La figlia di Morfeo vide passare più volte Archie vicino a lei e le diede l'impressione che si stesse divertendo un mondo o almeno, molto più di lei: per quanto sforzasse di divertirsi, gettarsi nella mischia o ballare a ritmo sfrenato come tutti gli altri lì dentro, non ci riusciva, come se qualcosa la stesse bloccando.
Un peso enorme sul cuore, una pietra pesante che lo costringeva a sottostare.
Selene non era mai stata brava ad interpretare questi segni, ma sapeva che c'era qualcosa che non andava e continuava a guardarsi intorno, come se, da un momento all'altro, qualcuno potesse saltarle addosso e reciderle le vene del collo.
Hope non migliorava affatto la situazione: per carità, era un'ottima amica, una ragazza davvero fantastica, ma il suo aspetto emo, i suoi capelli scuri che facevano contrasto con la carnagione pallida non riusciva a calmarla, né a farla sentire meglio.
Cercò tra la folla, a fatica, un volto amico che conoscesse, ma essa era troppo numerosa e lei non aveva nessuna voglia di imprigionarsi in una giungla da dove era impossibile uscirne.
Una strega alquanto accigliata le fece quasi perdere l'equilibrio: sembrava di essere ad Ottobre, Halloween per l'esattezza, per i costumi appariscenti e spaventosi che la gente indossava, provvisti di sangue e ossa in quantità.
Se solo quella gente avesse saputo che tutti quei mostri che adesso andavano ad imitare erano veri avrebbero rivisto le loro priorità.
Selene sarebbe sicuramente rimasta lì a fantasticare e a crogiolarsi nella sua solitudine, se non fosse stato per qualcuno che le stava per vomitare sui piedi: Liz aveva la faccia verdognola e confusa di chi aveva appena preso un drink alquanto alcolico per la prima volta e adesso ne pagava le conseguenze.
I suoi occhi erano semi-aperti, lucidi e fissi sulla figlia di Morfeo con l'incantevole sensazione di chi stava per liberarsi di un grosso peso, un grandissimo peso.
Sembrò che qualcuno le avesse passato la scossa.
"No, no, no, no!" ripeté velocemente Selene, afferrando per il busto Liz prima che potesse caderle addosso e vomitare qualunque cosa avesse bevuto anche se la cosa non avrebbe potuto fare altro che farle bene, "Hope, dammi una mano!" urlò affinchè la sua voce fosse più forte della musica che continuava a risuonarle nelle orecchie: se l'indomani avesse provato a fare un salto da un otorino, l'avrebbe sicuramente scioccato per i venti anni di vita che il suo udito aveva perso in un'unica sera.
Liz sembrava farsi pesante ogni secondo di più, Selene ipotizzò per la cintura degli attrezzi
Hope accorse, seguita anche da sua sorella Lia, uscita da chissà dove, che si fece cingere il collo da un braccio di Liz, avviandosi verso il supremo regno della carta igienica.
 

Per essere un bagno era il più lussuoso che Selene avesse mai visto, contando anche che si trattava di un bagno di una discoteca.
Non ebbero molti problemi a far sgombrare tutte le ochette che lo occupavano, chi sistemandosi i capelli, chi colorandosi le labbra di una tonalità rosso sangue che avrebbe fatto gola a tutti i Dracula presenti in sala.
"Embè?" chiese una ragazza dai folti capelli scuri con uno strano accento, "A che vi serve un bagno tutto per voi?" domandò, continuando a masticare, a bocca aperta, una caramella a molla.
Liz gonfiò le guance e corse via, Lia si precipitò ad aiutarla come meglio poteva mentre la tizia continuava a squadrarci e ad incorniciarci con i suoi occhi cerchiati dall'eyliner nero. Selene abbassò lo sguardo, timida e in soggezione, mentre Hope schioccava le dita e nell'aria cominciava a spandersi l'odore pungente del fumo.
Per qualche secondo la ragazza, e la stessa figlia di Morfeo, si guardarono intorno per capire cosa fosse successo, al contrario di Hope che continuava a guardarsi le unghia, melliflua, e sorrideva divertita.
Alzò lo sguardo, imitando la sua espressione.
"Sai, credo che i tuoi capelli stiano andando a fuoco." le suggerì, poco interessata, dirigendosi verso lo specchio, aggiustandosi i capelli e facendo l'occhiolino a Selene che la guardava stupita.
Per un attimo la ragazza rise, prima di accorgersi che i suoi capelli stavano effettivamente andando a fuoco e nella stanza di spargesse l'odore di capelli bruciati che costrinse Selene ad aprire una delle finestre in modo che non soffocassero per l'aroma vomitevole che si stava riversando nei bagni delle ragazze.
La ragazza corse verso il lavandino più vicino, aprendo il rubinetto e innaffiandosi la chioma riccia con la foga di uno a cui hanno detto di prendere una purga.
Selene si costrinse a non ridere, anche se Hope non faceva nulla per nascondere il suo divertimento tanto da beccarsi un'occhiata truce da parte della ragazza quando questa uscì senza fiatare, camminando indispettita.
Il volto di Lia fece capolino poco dopo che la porta sbatté violentemente vicino agli infissi, sorridendo verso sua sorella Hope che adesso cercava di non guardarla fingendo di controllare se i suoi capelli avessero delle doppie punte.
Selene non avrebbe mai capito quelle due: facevano di tutto per scannarsi a vicenda e prevalere l'una sull'altra quando erano molto più simili di quanto volessero ammettere.
Osservò il luccichio degli occhi di Lia.
"Liz sta meglio." avvertì, "Ancora ... ehm, qualche minuto e usciamo." disse loro, richiudendo la porta delicatamente: evidentemente lì dentro era successo qualcosa che Selene non aveva l'intenzione di sapere.
Certe cose è meglio che rimangano segrete.
"Che serata." commentò, quasi ridendo alla sua affermazione, guardandosi allo specchio per osservare se ci fosse qualcosa che non andasse, cadendo in balia dell'ossessione di tutte le ragazze: constatare il loro stato di bellezza.
Hope continuava a lisciarsi i capelli, mentre le sue pupille viola scorrevano assieme alle sue dita sulle ciocche ci separava dalle altre e osservava minuziosamente.
"Già." rispose, mentre un'ombra di sorriso si faceva spazio sul suo volto e incurvava un angolo della sua bocca.
"Eh." sospirò Selene, aprendo il rubinetto dell'acqua e sciacquandosi il volto, "Credo che non sia stata una buona idea imbarcarsi per quest'impresa." continuò, asciugandosi la faccia con un fazzoletto, cercando di farlo il più lentamente possibile.
"Per quale motivo?" le chiese Hope, confusa ed improvvisamente interessata alla conversazione, "Senti ... "
Si fermò, come se facesse fatica a parlare perché avesse della sabbia nella gola.
"Senti una strana sensazione addosso?" le domandò.
Selene avrebbe voluto strozzare Hope per il fatto che stava dando voce a tutte le sue paure più recondite, ai suoi timori, ai rimorsi.
"Si."
La figlia di Ecate strinse le labbra, come se si aspettasse la risposta, e si voltò ancora verso lo specchio, osservando chissà cosa, se sé stessa oppure ciò che la circondava.
"A volte vorrei che qualcuno potesse predirmi il futuro." sospirò amareggiata Selene, guardando in direzione di Hope che le rivolse il suo sguardo violaceo.
Scosse la testa.
"Non pratico la divinazione e ..."
Abbassò la voce.
"Nemmeno Lia è così esperta." continuò, "Per padroneggiare le arti magiche ci vogliono mesi, anni e io non sono ancora riuscita a farlo del tutto. Posso ..."
Fece un sorrisetto, quasi mettendosi a ridere.
"Incendiare i capelli delle persone, far levitare gli oggetti, ma la predizione del futuro mi è completamente estranea." sussurrò, scrollando le spalle.
Poi sembrò accendersi una lampadina invisibile sulla testa.
"Forse qualcuno può dircelo."
Fu come se qualcuno avesse sfilato la terra da sotto i piedi di Selene: la figlia di Morfeo la guardò confusa, aggrottando la fronte come se si stesse chiedendo se Hope la stesse prendendo in giro o meno.
"Conosci il gioco del Bloody Mary?" le chiese.
Selene scosse la testa, forse sembrando anche piuttosto stupida, ma non le importò: da qualche giorno era come ossessionata dalla ricerca del futuro, di qualcuno che le dicesse che cosa le sarebbe capitato.
Se avrebbe avuto un fidanzato, un marito, dei figli.
Gli occhi di Hope scintillarono mentre Selene era immersa nei suoi pensieri, facendole apparire in mano una candela accesa
"Forse è solo un'enorme stronzata." la avvertì Hope, sorridendo, "Ma nessuno ci impedisce di tentare, no?"
Selene annuì, quasi emozionata.
"Dammi la mano e ripeti con me."
La parola Bloody Mary scivolò via dalle sue labbra per tre volte, mentre Hope tratteneva la candela accesa davanti allo specchio e le due ragazze si specchiavano, osservando le loro sagome.
Non successe nulla.
"Ok ragazze, stiamo uscendo."
La voce di Lia sembrò interrompere il loro personalissimo incanto mentre la figlia di Ecate afferrò la maniglia e fece leva per tirare.
"Non è divertente, Hope!" esclamò Lia, continuando a strattonare la maniglia con tutte le sue forze, "Apri questa porta o giuro sullo Stige che ti ammazzo." minacciò.
Hope, per un attimo, spostò lo sguardo dallo specchio agli occhi di Selene che la guardarono confusi quanto i suoi, mentre sua sorella continuava a strattonare la maniglia con forza.
"Hope!" urlò, "APRI.QUESTA.CAZZO.DI.PORTA!"
"Noi non stiamo facendo niente!" le rispose la sorella, continuando a stringere la candela e, per la prima volta, a sembrare di avere paura.
"Hope!"
"Lia è vero." la supportò Selene, dando le spalle allo specchio, ma continuando a stringere la candela, "Tua sorella non c'entra."
"Che diamine state facendo?" urlò ancora, "Vi divertite a rinchiudermi qui dentro con una ragazza, senza offesa Liz, che potrebbe vomitarmi addosso da un momento all'altro?"
"Lia, razza d'idiota, noi non c'entriamo!" le urlò di rimando Hope, cercando di raggiungere il bagno nel quale erano state, per qualche motivo rinchiuse, ma non riuscendoci dato che le sue dite e le sue membra sembravano essere attaccati alla candela.
"Non chiamarmi "idiota", chiaro? Io sono ..."
Si sentì un tuono che squarciò la terra.
"Io sono Bloody Mary." disse una voce.
Selene girò la testa di scatto verso lo specchio, osservando una donna, vestita di bianco, in piedi dietro di loro quando in realtà era solo il riflesso di una realtà inesistente.
Hope sembrò calmarsi.
"Chi mi ha invocato?" chiese la donna, i capelli castani tenuti su una spalla, gli occhi azzurri come il cielo più terso e chiaro mai visto sotto lo stesso Zeus.
Selene sembrava avere in bocca un brutto sapore di ruggine: alzò la mano, come se fosse a scuola a rispondere all'appello.
"Tu, mia cara?" le domandò ancora, avvicinadosi a lei, nel riflesso, e carezzandole il volto, "Bene, vuoi scoprire il tuo futuro?"
La figlia di Morfeo annuì, un po' imbarazzata per tutta quell'attenzione che riceveva in rare e speciali occasioni.
Bloody Mary rise.
"Bene, bene, bene." sussurrò la donna, accarezzando anche i capelli di Hope, "Scoverai l'amore tra rovi di spine, dove sembra non abbia mai piantato il suo seme ed esso sia germogliato, fiorito, sbocciato: un amore diverso, strano, sussurrato solo nel dolce momento della morte."
Selene non sapeva se essere rasserenata oppure scoppiare a piangere come una bambina.
"Ma tutte le cose hanno una fine."
Bloody Mary le si fece pericolosamente vicina e Selene pensò che non aveva mai visto nessuna donna così bella: la mitologia le aveva insegato che era il caso di avere paura se una donna super sexy come quella le stesse predicendo qualcosa che implicava la fine di qualcosa.
"Uccisa, ferita, tradita"
In qualche modo le mise le mani intorno al collo prima che lei potesse fare qualcosa, prima di aspettarsi un attacco.
Prima di prendere fiato e resistere per continuare a vivere.
"Privata della vita per mano di una sirena."
Il suo cervello sembrò voler esplodere, così come il suo cuore e tutte le vene del suo corpo mentre lei cercava inutilmente di scacciare quelle mani dal suo collo, quelle mani che stavano comiciando a diventare molto più concrete di un riflesso.
"Tu sarai il prossimo sangue che sarà versato per la mia resurrezione" ghignò, "Il prossimo passo del triangolo!"
Il suo volto era distorto in un ghigno di vittoria mentre non cominciava ad apparire così bella come Selene l'aveva vista prima.
"Muori, semidea!"
Selene non riusciva più a resistere, stava per lasciarsi andare, per abbracciare il fratello di suo padre, quando la stretta intorno al suo collo si allentò assieme al grido più terrificante a cui la figlia di Morfeo avesse assistito: Bloody Mary andava dissolvendosi, lo specchio rotto, i suoi mille pezzi volteggiare nell'aria.
Il sapore di ruggine che invadeva la sua bocca mentre respirava ancora, mentre tornava alla vita.

 
- - - 
*panda's corner*
Ma eccomi *^*
La scuola è finalmente finita (alleluia *---------*), io sto scoppiando di caldo e questo sole che non si faceva vedere da tipo eoni di anni, ora ha deciso di arrostirmi lentamente nella mia camera che sembra il Monte Fato dove portare l'anello a fonderlo ç____ç
E quindi mi sono detto, perché non assillare i miei lettori con questo nuovo capitolo bomba? xD 
Luke si avvicina a Jake e penso che quei due diventeranno presto grandi amici, Archie è sempre il solito e li fa imbucare ad una fiesta! xD
Dai, ci voleva proprio un po' di svago per i nostri giovani semidei che, prima di essere semidei, sono pur sempre adolescenti, no? u.u
E poi Sel, la ciliegina sulla torta! xD Avete anche scoperto chi è la minaccia, no? u.u Spero che abbiate anche compreso gli indizi sparsi nel corso del capitolo perché ci sarà da divertirsi! ^^
Penso che l'idea del gioco dello specchio sia stata una trovata geniale u.u
*orgoglio on*

Beh, fatemi sapere cosa ne pensate, demigods! xD Alla prossima e ... spero che colmiate le vostre carenze dei capitoli scorsi xD
Aloha! :3

King

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Capitolo 9
*** 9. Waiting for the day to shake ***


 
9. Waiting for the day to shake
 
Liz,
"Somebody mixed my Medicine"
 
Liz si convinse a non assaggiare mai più un drink troppo alcolico: a suo parere, erano più nocivi di una macchia di grasso sulla tua maglietta preferita.
Non si ricordava nemmeno perché aveva accettato quella bevanda da uno sconosciuto, ma sapeva solo che aveva preso il bicchiere e lo aveva bevuto.
Si era accorta solo dopo delle conseguenze.
Il tutto si poteva considerare una sciocchezza in confronto ai volti spaventati che Hope e Selene rivolsero loro quando uscirono finalmente da quel fottutissimo bagno, la serratura magicamente sbloccata da quel "qualcosa" che l'aveva fermata e aveva impedito loro di assistere a ciò che era successo.
A giudicare dai pezzi di vetro per terra e il sottile rivolo di sangue che sgorgava dal collo della figlia di Morfeo, Liz capì che si era appesa persa una battaglia, anche piuttosto difficile.
Il petto di Hope continuava a gonfiarsi e sgonfiarsi velocemente, mentre si appoggiava ad una delle pareti del bagno delle ragazze e guardava spaventata la cornice che conteneva lo specchio.
Lia era furiosa.
Aveva continuato a bersagliare la maniglia della loro prigione con tutti gli incantesimi che le passavano per la testa non riuscendo, però, ad aprirla o, per lo meno, a scalfirne la superficie: in un primo momento, passato un conato di vomito, Liz aveva pensato ad Hope, ma si era subito accorta che la serratura del bagno era stata bloccata da qualcosa di diverso dalla magia, qualcosa che sia lei che Lia ignoravano.
Gli occhi della figlia di Ecate lampeggiarono contro quelli di sua sorella, occupandosi di Selene che pareva ancora parecchio scossa.
Liz dovette appoggiarsi al muro per non cadere faccia a terra, in mezzo ai detriti, camminando lentamente in un silenzio mortale calato sul loro gruppo: lei stessa faceva fatica a parlare, come se avesse ingoiato della sabbia e adesso non riuscisse più ad emettere alcun suono.
Sentiva il freddo che picchiava contro le sue spalle nude, un vento inesistente che continuava a scorrere tra i suoi capelli, una luce che le faceva male agli occhi e le impediva di vedere dove stesse andando.
Era come partecipare ad un corteo funebre, con la differenza che Liz non aveva la più pallida idea di dove mettesse piede.
Fu Lia ad interrompere quella sorta di lamento funebre silenzioso che le stava avvolgendo, con la sua voce dura ed aspra, carica di preoccupazione e rabbia.
"Raduniamo gli altri."
I suoi occhi scintillarono di potenza.
"Dobbiamo parlare."
 
 
Non fu facile.
Liz rimase seduta assieme a Selene su un divanetto, in disparte dalla folla e dalla musica ancora troppo forte per le sue orecchie, tenendo per mano la figlia di Morfeo.
Non sembrava più lei: nei suoi occhi brillava una sorta di scintilla strana, mentre continuava a tremare come se fosse completamente nuda, lasciata a congelare da sola in una notte di pieno inverno.
Liz sentiva battere il suo cuore all'impazzata.
Tirò un respiro, mettendosi una mano sul petto e cercando di calmarsi: agitarsi non avrebbe migliorato le sue condizioni di salute e, poi, non aveva bisogno di un'altra crisi proprio in quel momento.
No, non ne aveva bisogno.
Si protese verso Selene, allungando le braccia in modo da abbracciarla e facendo una cosa che si era ripromessa di non fare: accese le sue mani in modo che propagassero calore nelle spalle di Selene che smise di tremare e lasciò posto solo alle lacrime.
Liz le sentiva, sentiva le gocce amare che scorrevano sulla sua spalla destra e si chiese cosa avesse visto o cosa avesse fatto per potersi ridurre così.
La figlia di Efesto non era brava con le persone, ma cercò di consolarla dandole delle piccole pacche sulle spalle, sussurrandole alle orecchie una sorta di ninna nanna improvvisata.
Lia continuava a camminare in cerchio, furiosa con sua sorella per non averle spiegato la situazione, mentre cominciavano ad arrivare gli altri membri del gruppo: Warren con gli occhi gonfi e lucidi, tipici di chi si è appena ubriacato.
Luke, la sua testa bionda puntava dritta nella loro direzione, seguito da Daphne e Bashir, pericolosamente vicini, e Archie che stava camminando accanto ad Hope e stringeva in mano una lattina di Coca Cola non ancora aperta.
A chiudere il gruppo c'era Jake, occhi rossi, capelli così biondi da essere quasi bianchi.
Liz gli sorrise quando lui si sedette accanto a lei e si passò una mano nei capelli, osservando prima gli altri semidei e poi incontrando i suoi occhi.
Sembrava letteralmente andare a fuoco e Liz aveva visto molte cose fare la stessa fine, quindi sapeva benissimo cosa stava passando per la testa del giovane figlio di Ermes che le sedeva vicino.
"Ehi" le sussurrò, in modo che potesse sentirlo solo lei. Liz rispose con un sorriso, mentre lui cominciava a strofinarsi le mani per la sua iperattività.
"Ho saputo che non ti sei sentita bene." le disse, posando i suoi occhi sul volto di Selene, addormentato, "Come stai adesso?" le chiese, abbozzando un mezzo sorriso.
La figlia di Efesto si portò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.
"Bene, grazie." gli rispose, "Mi fa piacere che tu me l'abbia chiesto."
Jake era sul punto di dirle qualcos'altro, ma venne interrotto dalla parlantina a vanvera di Warren che attirò la loro attenzione quando Luke lo lasciò accanto a loro perché non riusciva nemmeno a reggersi in piedi tanto era ubriaco.
"Scusate." mimò con le labbra il figlio di Atena, strizzando l'occhio e dirigendosi verso Lia, gli occhi furenti, sottili nuvole nere che roteavano intorno alla sua testa come una corona.
"Come tutti sapete."
Lia lanciò un'occhiata a Warren che aveva preso a russare sul divanetto dove lo avevano accompagnato, completamente disinteressato alla loro "riunione"
"Come quasi tutti sapete." precisò la figlia di Ecate con una punta di stizza nella voce, "Selene e Hope sono state attaccate, questa sera, nel bagno della discoteca." spiegò, soffiando su una ciocca che le ricadeva davanti agli occhi.
"Attaccate da chi?" chiese Bashir, appoggiato con un piede al muro della saletta che avevano fatto sgomberare, "Cioè ... almeno questo lo sappiamo?" domandò, scettico.
"Crediamo che sia la minaccia di cui ci ha parlato Chirone." si intromise Luke, i suoi occhi grigio tempesta saettavano su ogni membro dell'impresa, incluso il ragazzo-russo, e non russo per la nazionalità, che stava accanto a Liz.
"La stessa della voce?" domandò incuriosito Archie, aprendo la sua lattina di Coca Cola, "Davvero?"
Lia annuì, abbassando lo sguardo e saettando quello di un ragazzo che aprì la porta dove si erano riuniti e cambiò idea dopo che incontrò gli occhi inferociti della figlia di Ecate.
"A quanto pare si." sussurrò la voce di Selene, adesso sveglia, accanto a Liz: la figlia di Efesto le mise una mano sulla spalla, come ad incoraggiarla.
"Cosa è successo esattamente?" chiese Daphne, perfetta come sempre anche nel sembrare uno zombie, osservando il suo volto, "Sempre che tu voglia dircelo."
Per un attimo calò il silenzio, interrotto solo dal russare monotono e costante di Warren che riuscì a strapparle un lieve sorriso, sparendo subito dopo dal suo viso.
Selene annuì.
"Va tutto bene." le disse Liz, "Se non vuoi, non fa niente. Non sei obbligata.", continuando a tenere la mano sulla sua spalla e ad infonderle calore.
"No." rispose lei, guardando il pavimento, "Dovete sapere come sono andate le cose."
Hope si schiarì la gola.
"Temo che sia stata anche colpa mia."
Dalla sua voce sembrava realmente dispiaciuta, ma Lia l'attacco, forse ancora troppo carica di adrenalina per poter usare veramente il suo buon senso.
"Oh, certo!" esclamò, "Dovunque succeda qualcosa di pericoloso, tu ci sei sempre, non è così?" le chiese, puntandole un dito contro.
"Lia."
La voce di Selene era un sussurro, un alito di vento. Debole.
"Che c'è?!" rispose lei, voltandosi verso la figlia di Morfeo, sfidando chiunque a fermarla o a contraddirla.
"Non è davvero colpa sua." rispose Selene, "Sono stata una stupida."
"Selene non dire str ..."
"No Hope, tu mi hai solo aiutata, ma non è colpa tua. L'idea è stata mia."
Silenzio tombale.
"Ehm, potremmo sapere anche noi cosa è successo?"
Jake, accanto a lei, alzò un sopracciglio come per incoraggiarla a parlare e a raccontare loro cosa fosse effettivamente successo in quel bagno del Pacha NYC.
Liz non poté fare a meno di pensare che era molto buffo con quell'espressione in faccia, ma anche molto carino.
"Mentre eravamo nel bagno delle ragazze, ho detto ad Hope che avevo voglia di conoscere il mio futuro. Pensavo che potesse aiutarmi per muovermi meglio in quest'impresa e poi lei era una figlia di Ecate, ma mi ha detto che non pratica la ..."
"Divinazione." terminò Lia, guardandola preoccupata.
Selene annuì.
"Poi abbiamo pensato al gioco del Bloody Mary."
Archie per poco non si affogò con la sua stessa bevanda, mentre Bashir continuava ad osservarla, incuriosito dalla sua affermazione.
"No, ditemi che non lo avete fatto." mormorò Lia, lasciandosi cadere su una poltrona che sembrò quasi inghiottirla, guardando prima Selene e poi sua sorella Hope.
"Hope, per tutti gli Olimpi!" esclamò Lia, "Sai benissimo che nostra madre ce l'ha proibito!" le ricordò, "E tu disobbedisci ai suoi ordini?"
"Credevo che fosse solo una stupida paranoia e che nostra madre si sbagliasse." le rispose per le rime, mentre i suoi capelli sembravano farsi ancora più neri.
"Che storia è questa?" domandò confuso Luke, sedendosi accanto a Lia e guardandola con i suoi occhi temporaleschi.
"Oh, fattelo dire da miss so tutto io." alludendo, ovviamente, a sua sorella.
Hope si strinse nelle spalle.
"Praticamente è un gioco in cui si pronuncia per tre volte il nome Bloody Mary davanti ad uno specchio con una candela accesa." spiegò la figlia di Ecate, "Poi si aspetta e si dovrebbe vedere uno spirito che ti predice il futuro o ..."
"Ti uccide." terminò Lia in modo tetro, "E nel nostro caso è successo proprio questo."
"Perché Ecate vi ha proibito di tentare questo ... gioco?" chiese Archie, sorseggiando la sua Coca Cola, i suoi ricci di sabbia, i suoi occhi d'oro.
Jake sussultò guardando meglio gli occhi di Archie, come se si fosse appena ricordato di qualcosa di spiacevole, qualcosa che gli facesse male.
"Ci ha solo detto che è pericoloso perché alla chiamata risponde solo uno spirito vendicativo e corrotto." gli spiegò Lia, "Ecco perchè." aggiunse irritata guardando sua sorella, “E in questo caso ha risposto proprio la nostra minaccia mitologica.”
Di nuovo il silenzio: stava diventando monotono quella sera se non ci fosse stato Warren a russare per tutti.
"Ha detto che morirò per mano di una sirena."
Gli occhi di Hope era lucidi mentre Liz la stringeva e l'abbracciava come se fosse già morta.
Lia scacciò le lacrime dagli occhi.
"Avrei dovuto essere il suo prossimo sacrificio" continuò, "Il prossimo passo di un triangolo."
Luke continuava a sbattere le palpebre come se pensasse che Selene stesse scherzando, mentre Daphne si portava una mano alla bocca e sul suo viso appariva una maschera di terrore.
"Lei voleva uccidermi e io stavo per farlo, mi stava convincendo a farlo, a lasciarmi andare."
La sua voce era carica di tristezza, i suoi occhi pieni di lacrime.
Liz le prese la mano, ma lei la rifiutò.
"Mi ha ordinato di morire."
Liz era inorridita, poco prima di sentire la sua mano stretta intorno a quella di Jake che la guardava determinato, convinto e le infodeva coraggio.
Poco prima che si sentisse male.

 
[...]
 Warren,
"Boy, don't Lie in her Bed"
 
 Warren aprì gli occhi quando Liz le cadde addosso.
La sbornia che si era preso sembrava essere passata, come se qualcuno avesse accelerato il processo di "disintossicazione", ad esclusione del cerchio alla testa che continuava a fargli sentire come il suo sangue pompasse nelle tempie.
Di norma, ogni ragazza era sempre caduta ai suoi piedi, ma mai nessuna gli era mai caduta letteralmente addosso: Liz aveva gli occhi chiusi, i capelli scuri sparsi sul petto di Warren e respirava a fatica, come se avesse un masso pesante stretto sui suoi polmoni.
In un secondo gli furono tutti addosso, cercando di dare una mano e di aiutare la figlia di Efesto, poco prima che Warren, e il suo caratteraccio, li cacciassero tutti via, ordinando loro di starle lontano per non toglierle l'aria: il suo corpo era percorso da spasmi bruschi e violenti che la costringevano a fare degli scatti improvvisi, oltre che a tremare come una foglia in quella calda serata di Maggio.
Warren non sapeva che fare, non era esperto in pronto soccorso.
Lanciò un'occhiata al figlio di Atena, Luke, sperando che almeno lui, e la sua grande testa di gufo, potessero aiutarla, ma lui si limitò ad alzare le sopracciglia, incapace di agire.
Con sua grande sorpresa, fu Daphne ad avvicinarsi a lei: Warren aveva sempre reputato le figlie di Afrodite delle ochette, esperte solo in trucco, parrucco e pettegolezzi, ma, a quanto pareva, si sbagliava di grosso.
Si sganciò la collana che portava al collo e si avvicinò alla giovane figlia di Efesto, poggiandole il ciondolo luminoso sul suo petto ballerino: si sentì un dolce profumo spandersi per tutta la saletta che si, ehm, erano riservati  mentre il viso di Liz andava distendendosi come se qualcuno le avesse somministrato un po' di morfina.
Warren guardò con aria interrogativa la figlia di Afrodite la quale gli rispose con un sorriso alla Gioconda, rimettendosi la collana al collo come se nulla fosse e lasciando il figlio di Ares ai suoi dubbi.
Lui prese la testa di Liz e la poggiò delicatamente sul divanetto, alzandosi e facendo scrocchiare le ossa del collo: a quanto pare si era perso una grande riunione perché erano tutti preoccupati, troppo preoccupati per i suoi gusti.
Lia stava tenendo la mano di Liz, mentre quest'ultima respirava normalmente e Daphne allontanava gli altri da lei per farla stare più tranquilla, zittendo chiunque tentasse di fare qualche domanda o di avvicinarsi troppo.
Gli anfibi di Warren scricchiolarono sul pavimento della discoteca: si era sempre reputato una persona sgradevole, ma non gli importava sinceramente dato che preferiva spassarsela e bere, cosa che agli altri non sembrava piacere visto il risultato di quello schifo di serata.
Solo Selene era rimasta da sola, la testa che sembrava voler scomparire tra le sue stesse ginocchia: Warren non sapeva perché, ma si avvicinò a lei, sentendo il bisogno di andarle vicino e dirle due parole di conforto, cosa che aveva fatto anche lei quando aveva accettato la proposta di Nemesi a Central Park ed era stato sgridato da una "mammina" troppo premurosa.
Selene c'era stata in quel momento ed era stato strano sentire la sua mano sulla spalla, il calore che la sua pelle emanava, il modo in cui i suoi occhi lo guardavano, guardavano quel tizio psicopatico, tendente a fare battute cretine e mentalmente instabile come lui.
"Tutto bene?" chiese Warren, non sapendo quale tono usare, "Si, cioè ... mi sono perso tutto quello che hai detto, però ..."
La figlia di Morfeo lo guardò, abbozzando un sorriso.
"Non preoccuparti." gli rispose, stringendosi nelle spalle come a farsi ancora più piccola di quanto non lo fosse già, "Non ho detto nulla di interessante. Tu, piuttosto, avresti dovuto vedere la faccia di Luke quando ha scoperto che eri completamente ubriaco."
Warren serrò la mascella, ghignando.
"Oh, la mammina si è preoccupata per me?" chiese, facendo un'espressione buffa con la faccia, distorcendola in un modo che nemmeno un mimo avrebbe saputo ripetere, "Strano, pensavo mi odiasse."
Selene rise, per la prima volta dopo la sua quasi-morte nel bagno delle ragazze del Pacha, con gli occhi che le luccicavano ancora per le lacrime che Warren non avrebbe mai capito se per la tristezza o la felicità che fosse arrivato lui a scassarle le scatole e ad interrompere la sua solitudine.
Warren incrociò le mani dietro la testa e mise i suoi anfibi sporchi su un tavolino che si trovava lì vicino, chiudendo gli occhi come se volesse dormire.
Ghignò.
"Voglio proprio vedere cosa farà la Testa di Gufo, adesso."
Selene si avvicinò a lui, tastò il terreno guardando prima il suo petto e poi il suo viso, abbassando titubante la testa sul petto di Warren che sembrò spiazzato, per un attimo, ritornando a crogiolarsi nella sua capacità di attrarre le ragazze un attimo dopo e quasi schizzando fuori dai suoi panni quando sentì qualcosa di umido sulle sue labbra: la figlia di Morfeo lo stava guardando, il volto sospeso alla stessa altezza del suo, le sue dita delicate che sfioravano il suo mento.
"Scusami." sussurrò lei, alzandosi, mentre Warren la prendeva per un polso e le impediva di fuggire, "Non dovevo. È che io ... "
"Non ho detto di fermarti."
Sembrò che qualcuno avesse appena sfilato il mondo da sotto i piedi di Selene perché lei restò lì con un'espressione inebetita in viso, inclinando la testa di lato come se non avesse capito bene.
"Come hai detto?" gli chiese, le mani iperattive che non riuscivano più a fermarsi: Warren si protese verso di lei, chiudendo le sue mani nelle sue e rubandole un altro bacio, spudoratamente.
"Ho detto che non ti ho chiesto di fermarti." rispose lui, il tono suadente di chi usa tutte le armi a propria disposizione per sedurre qualcuno, cosa che il figlio di Ares aveva sempre fatto con qualunque ragazza gli capitasse a tiro.
Selene sorrise, baciandolo con tutta la voglia di vita che il suo corpo aveva riscoperto dopo l'attacco della sirena nel bagno del Pacha, le loro labbra che continuavano ad incontrarsi e a scontrarsi come se non ne avessero mai viste altre.
"Selene, tu ... "
Warren sembrava aver appena ingoiato della sabbia tanto faceva fatica a parlare, mentre Selene si metteva seduta all'indiana sulle sue gambe.
"Io?" chiese lei, maliziosa, specchiando i suoi occhi nei suoi, con tutta l'aria di chi conoscesse già la risposta.
"Non voglio illuderti." le disse, il tono sprezzante di chi si era appena ricordato qualcosa di spiacevole, "Io non sono il tipico bravo ragazzo, sono uno stronzo, un gran pezzo di merda ... non aspettarti niente da me, potrei ... "
"Potresti farmi felice stando zitto, adesso." e gli tappò la bocca con un altro bacio, poco prima che si sentisse uno scoppio repentino e delle voci singolari sillabare frasi che in un primo momento non capirono subito..
"Bene" disse la prima.
"Bene" continuò la seconda.
"Bene" terminò la terza.
"Siete nei guai adesso." esclamarono all'unisono, le loro voci che si accavallavano l'una sull'altra.
Guai?
Warren non aspettava altro.
- - - 

*panda's corner*
21 Giugno.
Un po' di anni fa un tizio di nome Percy Jackson riportava la folgore olimpica a Zeus per non scatenare una guerra clandestina agli dei ... cosa c'entra, vi starete chiedendo, no?
Niente, ma era solo per ricordare che anche un ragazzino di soli 12 anni può fare cosa che un uomo di 21 non potrebbe fare u.u
Piccola parentesi xD
Passiamo al capitolo che devo fare alcune precisazioni u.u Dopo l'attacco da parte di questa nuova versione di Bloody Mary, Selene è ancora viva (gioia e tripudio! xD) e discutono assieme su ciò che è successo ewe
Adesso credo sia proprio esplicito che la minaccia che devono affrontare è una sirena, no? u.u
Contemporaneamente, Liz ha un "attacco" 
Non voglio svelarvi nulla, ma posso solo dire che è una cosa che mi ha suggerito Ramosa12, la creatrice della piggia, quindi fate due più due :')
Temo di essere andato OC per quanto riguarda Warren e, finalmente, la prima vera ship della storia! :D La Warrene? O la Serren? o.o
Dei, non mi viene in mente niente di decoroso xD Ad ogni modo, mi scuso con Poseidonson97 se non corrisponde perfettamente con la sua idea di personaggio, ma, come gliho già detto, il suo è un piggio molto ... difficile da gestire, ecco u.u
Chi saranno quelle voci alla fine del capitolo? ewe Paura? o.o 
Lo scoprirete nel prossimo capitolo :P Anzi, colgo l'occasione per informarvi che mancano solo 6 capitoli alla fine della storia e, se non aggiorno con costanza, vuol dire che mi sto rincitrullendo a scriverli perchè entro luglio devo aver finito questa grande avventura in cui mi sono buttato ad Aprile xD
Hasta la vista! :')

[...]
 
Soon on I swear on the River Styx: 10th chapter, It's a revolution, I suppose. Pov of Archie and Bashir.
Enjoy! :D

 

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Capitolo 10
*** 10. I's a revolution, I suppose ***



10. I's a revolution, I suppose
 
 
Archie,
"I'm waking Up, I feel it in my Bones"
 
 Archie era incredulo.
"Smettila Dik, sembri una pazza ninfomane che non lo fa da due anni." esclamò la seconda che aveva parlato, i capelli neri che le ricadevano leggeri sulle spalle, gli occhi così luminosi da somigliare ad una supernova in avvicinamento che li avrebbe ridotti in cenere all'istante.
Archie non era particolarmente contento di ciò che la sua mente iperattiva gli stava suggerendo.
"Zitta, se non vuoi che ti spedisca nel Tartaro seduta stante." ribatté la prima, vestita di una bianca tunica immacolata, stile antica Grecia, con i medesimi occhi, diverse nell'aspetto solo per il colore del capelli, biondi piuttosto che mori.
La seconda stava per controbattere a sua volta, ma venne interrotta dalla terza donna che fino a quel momento era rimasta in silenzio, identica a quelle che Archie pensò come le sue sorelle, per la sola differenza dei profondi capelli del colore della terra bruna e fertile.
"State dando uno spettacolo indecoroso, sorelle." le redarguì, muovendosi verso Luke e Daphne che stavano più vicini di quanto Archie si fosse accorto fino ad ora, voltandosi, poi, per rivolgergli il migliore dei suoi sorrisi e fargli un occhiolino.
Archie non seppe quanto rimase lì imbambolato, non riuscendo a pensare che una donna così bella gli avesse appena rivolto la sua attenzione e l'aveva manifestata così apertamente.
"Oh Eunomie!" borbottò la prima, quella dai capelli biondi, "Sai, non era così divertente stare lassù nel cielo da sola. Ora che sono tornata permettimi di divertirmi un po', riducendo questi semidei in delle belle polpette divine ... uhm, da quant'è che non ne assaggio una!" disse, leccandosi le labbra con fare sognante.
Selene sembrava sul punto di vomitare.
"Sta scherzando, vero?" chiese alla terza donna, Eunomie o come cavolo l'aveva chiamata la bionda, che fece un gesto con la mano, indicando quanto la questione fosse inutile.
"Oh, non preoccupatevi." liquidò la domanda, "A Dike piace scherzare, vero?" domandò, rivolgendo uno sguardo di rimprovero alla bionda che si strinse nelle spalle.
"Ovvio." sbuffò.
"Bene, adesso possiamo cominciare!" esclamò contenta Eunomie, gli occhi, quei maledetti occhi da cui Archie non riusciva a staccarsi, continuavano a scintillare come una miriade di stelle.
Il figlio di Nike si mosse un po' a disagio sul suo posto, indeciso se quelle tre donne fossero o meno una minaccia, guardando in direzione degli altri e di Luke, soprattutto, per decidere sul da farsi.
"Cominciare cosa?" chiese sospettoso Warren: ad Archie non era mai piaciuto, ma in quel momento, e immaginò che non ce ne sarebbero mai stati altri, si trovò perfettamente d'accordo con lui e la sua scontrosità che il figlio di Ares non si faceva mai scrupolo a mostrare, delineando perfettamente le caratteristiche dell'intera progenie del dio della guerra.
La seconda delle tre sorelle sorrise, battendo le mani a cui seguì lo sbarramento delle porte a tripla mandata,, mentre Archie cominciava davvero ad avere paura.
"Il banchetto, no?"
 
 
Ok, il figlio di Nike ammise di aver sbagliato sul conto di quelle tre, ma non si sarebbe mai aspettato che stendessero una tovaglietta da pic-nic, a quadri rossi e bianchi, nel bel mezzo di una discoteca e cominciassero a cacciare panini, bibite e quant'altro da un cestino che normalmente non avrebbe potuto contenere tutta quella roba.
Archie avrebbe imparato che non c'era nulla di normale in quelle tre.
"Così voi siete ... " cominciò Liz, che sembrava essersi ripresa davvero bene dopo il suo "attacco", mentre addentava una fetta di pane con marmellata e burro.
La figlia di Efesto alzò un sopracciglio, reggendo con una mano la merenda e rigirandosi nervosamente un bullone preso da chissà dove tra le dita dell'altra.
"Come, non ci avete riconosciuto?" chiese a sua volta quella che doveva chiamarsi Dike, facendo apparire una sottile bilancia d'oro e mettendosi in una posizione classica, seguita dalla sorella mora che mise due dita sulla stessa bilancia e imitò un'altra posa da statua greca.
Solo la terza sorella non prese posto accanto alle altre, storcendo la bocca in un'espressione che Archie non seppe riconoscere: incredulità? Sorpresa?
"Era davvero necessario il siparietto comico?" chiese Eunomie, prendendo una ciocca di capelli tra le dita e giocherellando distrattamente con essa, "Da quant è che non lo rivisitate? Due, tremila anni?" domandò, ironica, abbozzando un sorrisetto.
Archie rise e fu, probabilmente, il solo a farlo e, più la osservava, più sembrava che la conoscesse, come un ricordo, oppure un ricordo di un ricordo.
Dike sbuffò, tornando a sedere, gli occhi da supernova che scintillavano e sembravano pronti per un bombardamento solare, mentre la seconda, di cui Archie ancora ignorava il nome, faceva scomparire la bilancia nel nulla e faceva la linguaccia ad Eunomie.
"Sei sempre la solita guastafeste, Eu." borbottò, rimanendo in piedi ed appoggiandosi al muro scuro della sala dove le tre avevano deciso di far fare loro un pic-nic, cosa alquanto strana dato che, molto probabilmente, era notte fonda.
Eunomie afferrò un calice d'oro con grazia e sorseggiò il suo nettare.
"Almeno io ho imparato a crescere, Eirene." osservò lei, riponendolo sulla tovaglietta che avevano steso per terra, "Voi non vi decidete ancora a farlo, sorelle. Non è colpa mia se non siete capaci di farlo."
La sua voce era carica di amarezza, ma le altre due non osarono ribattere, rimanendo zitte e facendo calare il silenzio sul pic-nic più strano a cui Archie avesse mai partecipato.
Luke sembrò solo allora collegare tutti i fili che le tre sorelle avevano tessuto e che lui aveva ricucito assieme, ricreando la tela originale di cui erano i protagonisti.
"Dike, Eirene ed Eunomie." sillabò, "Le tre dee che sovraintendono al lavoro degli uomini." ricordò lui, guardando nella loro direzione come se si fosse accorto solo adesso di quanto fossero pericolose.
"Esatto!" esclamò Eirene, "Tutto merito della mia brillante posizione!" commentò, "È merito mio se ci ha riconosciuto!" gioì, alzando il calice e bevendolo d'un solo sorso.
Dike le scoccò un'occhiataccia ed Eirene si zittì, mentre, come Archie, osservava il fuoco che ardeva negli occhi della bionda.
"Ehm, riprendiamo qualsiasi cosa stessimo dicendo." si affrettò a cambiare argomento Eirene, "Sapete perché siamo qui, vero piccoli, ciccini, amorevoli, bravissimi, cuccioli di semidei?" chiese.
Per poco Dike non si strozzò con il suo stesse nettare quando Eirene si rese così ridicola, prendendo a ridere sguaiatamente e a contorcersi per il divertimento.
"L'ho sempre detto che tu ... che tu sei il pagliaccio della famiglia!" rise Dike, reggendosi lo stomaco, fra le lacrime degli occhi e le occhiatacce di Eunomie che sembrava volerla incenerire con lo sguardo.
"Ehm, siamo qui per voi." riprese Eunomie, osservando il volto di ciascun semidio e, quando si soffermò su Archie, il figlio di Nike ebbe sempre più l'impressione che loro due si fossero già visti: Eunomie era lì, pronta per la sua domanda, il sorriso scintillante e gli occhi di stelle che lo guardavano, come per capire se avrebbe fatto o meno la prima mossa.
"Sbaglio o ... ci siamo già incontrati, una volta?" chiese, finalmente, facendosi coraggio.
Eunomie sorrise e quel sorriso riportò Archie esattamente dove lo aveva collocato, quando stava per affogare a Ground Zero e qualcuno gli aveva dato, letteralmente, una mano.
"Esatto." confermò lei, seguita dalla voce di Dike che disse: "Eri un boccone troppo prezioso per lei.", come se fosse solamente un pezzo di carne tra i denti di una dea.
"Non era il tuo destino morire." concluse Eirene, facendo a pezzi un fazzoletto di carta, dando l'impressione di qualcuno che avrebbe tanto voluto fare a pezzi qualcuno.
"Siamo qui per aiutarvi nella vostra impresa." ripeté Eunomie, "Vogliamo rispedire Partenope nel Tartaro almeno quanto voi."
Archie prese un pancake e lo assaggiò, assaporando la salsa al mirtillo che vi era stata messa sopra, non accorgendosi che tutti lo stavano guardando, compresa Lia che scuoteva la testa e aggrottava la fronte.
"Che c'è?" domandò agli altri, continuando a mangiare il dolce che il suo stomaco reclamava, "Ho fatto qualcosa di male?"
Silenzio.
Warren si strinse nelle spalle, come se nulla fosse, passandosi anche una mano nei capelli.
"Niente, solo che ci hanno appena rivelato che dobbiamo uccidere una sirena assassina di nome Partenope, la stessa che ha quasi ucciso Selene e che presto verrà ad uccidere anche noi." gli spiegò, con il suo solito tono strafottente, "Non vedo l'ora." concluse, mentre nei suoi occhi si accendeva una scintilla di pazzia mista al piacere perverso della battaglia.
Archie si voltò verso Eunomie, come per chiederle che non fosse vero, ma il volto della dea non ammetteva discussioni: seppur bello, continuava a rimanere freddo e scostante.
"Cioè, dovremmo uccidere questa ... Partenone, giusto?" chiese lui, finendo il suo pancake e leccandosi le dita, sporche di marmellata al mirtillo.
Dike lo guardò e lui si sentì a disagio, come se avesse un cappello a cono sulla testa e sopra ci fosse scritto, a caratteri cubitali, "asino".
"Partenope, Archie, Partenope." ripetè Lia, i capelli verdi e viola che scintillavano in mezzo a quelli neri, proprio come l'anello d'argento che portava al dito, "Una sirena."
Lo disse come se quella parola potesse rivelargli tutto, ma in realtà lui non capì nulla, provando a cercare lo sguardo di Luke o di Jake in modo che potessero suggerirgli qualcosa, inutilmente.
"E anche se fosse?" chiese, determinato, "È un mostro come gli altri e, come gli altri mostri, il bronzo celeste è in grado di rispedirla nel Tartaro, giusto?"
Guardò gli altri semidei.
"Giusto?" chiese ancora, stavolta guardando le tre dee che si erano presentate nel bel mezzo della loro festa e avevano organizzato un pic-nic sovrannaturale in quattro e quattr'otto.
Fu in quel momento che Archie si sentì veramente solo, abbandonato da tutto e da tutti, tornando a sedersi al suo posto come se avesse l'intero mondo da sorreggere sulle spalle.
"Temo di no, mio prode semidio." gli rispose Eunomie, la sua salvatrice, "Partenope è uno dei mostri più antichi che misero piede sulla terra. Non sarà così semplice eliminarla, non senza l'aiuto di un dio."
Archie aveva voglia di spaccare la testa a qualcuno.
"Perché non ci aiutate voi, allora?" chiese Jake, i suoi capelli biondo chiaro quasi bianchi alla luce della saletta dove si erano appartati.
Dike scosse la testa.
"Solo la discendenza di Crono l'ha battuta una volta, solo la discendenza di Crono può batterla ancora." disse, con un tono così serio che Archie sospettò che avesse una doppia personalità, "Il sangue degli eroi dovrà bagnare ancora la terra."
Silenzio: stava diventando così monotono, quella sera quando fu Eirene a spezzare quella sorta di incantesimo.
"Paure misteriose rinasceranno, oscure forze, dolori dimenticati."
"Ma non dovrete mai perdere la speranza, miei giovani semidei." continuò Eunomie, sorridendo con un sorriso che avrebbe rischiarato il lato buio della luna.
"La giustizia saprà trionfare." concluse Dike, mentre si alzava e la tovaglietta da pic-nic e i suoi gustosi cibi cominciavano a sparire.
Sembravano tutti confusi, lenti, ottusi, ma la mente di Luke sembrò viaggiare ad una velocità maggiore di quella di tutti gli altri.
"Ma è lei la dea della giustizia!" esclamò, indicando Dike e aggrottando la fronte, "Questo non è giusto."
Dike gli rivolse un sorriso, riscattandosi per la pazzia che fino ad allora aveva compiuto.
"Non è giusto ciò che sembra giusto, ma è giusto ciò che lo è realmente." rispose, filosoficamente, "E poi io sono solo la dea della legislazione. La dea della giustizia materiale è ... "
Luke guardò verso Warren.
"Nemesi."
Eirene annuì, soddisfatta.
"Avrete presto bisogno del suo aiuto per vincere una battaglia che da soli non potrete superare." lì avvertì Eunomie, "Possiamo garantirvi un passaggio sicuro per la vostra prossima meta, eroi, ma di più non possiamo fare."
"Cercate Nessuno, egli potrà aiutarvi." suggerì Dike.
"E dovrete farlo prima delle calende di Giugno, il giorno sacro a Zeus." continuò Eirene con tono triste, "Temo che non potrete andare oltre."
Eunomie si voltò verso Archie, sfiorandogli il mento con le sue dita candide che fecero formicolare ogni singola cellula del corpo del figlio di Nike.
"Abbi fede, Archie. Giocherai un ruolo più importante di quello che pensi."
Sorrise.
"Tieniti stretta la vita, dubito di riuscire a salvarti ancora."
Sparirono.
 
 
[...]
 
 
Bashir,
"Don't let the Water drag You down"
 
Bashir era ancora ... basito.
Ok, pessimo gioco di parole, ma il figlio di Tanato non continuava a fare altro se non spostare gli occhi sui suoi compagni d'impresa, non riuscendo realmente ad afferrare il senso dell'intera situazione: sentì l'istintivo bisogno di avvicinarsi a Daphne, come se qualcosa lo stesse attraendo verso di lei, ma si fermò poco dopo che vide la figlia di Afrodite sorridere a Luke, i capelli biondi splendidi sotto la luce soffusa della sala.
Quali possibilità avrebbe avuto?
La domanda gli sorse spontanea, salendo prepotente lungo la sua gola affinché uscisse dalla sua bocca, sussurrata dalle sue labbra fredde, sapientemente bloccata dalla ragione ferma di Bashir: quale possibilità avrebbe avuto la morte contro la saggezza per conquistare la mano dell'amore?
Qualcosa schiacciò il suo petto.
Controllò la maglietta nera che indossava, come ad aspettarsi una ferita profonda all'altezza del cuore, una inferta dalla mano più inesperta, ma di quelle che facevano più male, non trovandovi, ovviamente, nulla.
Bashir si appoggiò stancamente al muro della stanza, continuando a spostare il suo peso da un piede all'altro, indeciso se incrociare le braccia o tenerle chiuse a pugno in tasca, sbuffando costantemente contro il ciuffo di capelli neri che continuava a ricadergli beffardo davanti agli occhi, facendo il solletico alle sue ciglia.
La testa del figlio di Tanato continuava ad essere bombardata dalle frecciatine velenose nate dal cuore, mentre sembrava che questa stesse per implodere per la quantità di pensieri che la stava attraversando, come un fiume in piena su cui non si riesce a costruire una diga.
Ecco, la sua testa era la diga, i suoi pensieri erano il fiume: lui non aveva più controllo né su una, né sull'altro, come se fosse un estraneo, un innocuo spettatore che aveva come unico compito quello di osservare.
Osservare e cadere.
Bashir si era sempre sentito inutile: nessuno aveva mai sentito la sua mancanza, poteva sparire e nessuno se ne sarebbe accorto, ma d'altronde, a chi sarebbe mai importato del povero, freddo figlio della Morte?
Chi avrebbe mai amato il figlio di Tanato?
Sarebbe sempre continuato a rimanere l'escluso, la settima ruota del carro: provò l'impulso di piangere, così, nel bel mezzo del nulla, ma anche le lacrime faticavano ad uscire come se fossero fatte di ghiaccio e i suoi occhi fossero troppo caldi da attraversare.
La comparsa delle tre dee lo aveva turbato ancor di più, se possibile: non riusciva a capire come mai tre entità sovrannaturali si interessassero così fermamente al loro operato, come Eunomie, la terza, aveva mostrato maggiore interesse più per Archie che per lui.
Perchè? Lui non aveva rischiato la vita tanto quanto il figlio di Nike?
La rabbia dentro di lui alimentò quello che era il fiume di pensieri, infiammandolo sino a diventare un oceano in tempesta, qualcosa che era illimitato e impossibile da fermare.
E allora perché Archie e non lui? Perchè non il figlio della di Tanato, l'incarnazione stessa della morte?
Si era sentito sempre più solo, seppur circondato da altri nove semidei e, oltre quella porta, da una marea di persone.
No, si corresse, lui sarebbe sempre stato da solo.
"Ehi."
La voce cristallina e gentile di Lia interruppe il suo dissidio interiore, mentre lei gli porgeva una birra fredda che aveva preso da chissà dove, sorseggiando lentamente la sua e assumendo la stessa posizione del figlio di Tanato.
"So come ti senti." gli disse la figlia di Ecate, gli occhi intenti a scrutare tra i volti degli altri semidei come ad assorbire la loro felicità, "Anch'io ero spesso la sfigata di turno."
"Io non sono uno sfigato!" protestò Bashir.
Lia gli rivolse tutta l'attenzione dei suoi grandi e profondi occhi neri, immergendosi in quelli simili di Bashir, scavando nella sua personalità: il figlio di Tanato non era convinto che fosse una magia, ma sentì subito il bisogno di confessarle tutto.
"Ne sei davvero sicuro?" gli chiese, il tono più suadente di un'ammaliatrice professionista, mentre la sua mano destra stringeva il collo della bottiglia di vetro della birra.
Bashir si lasciò scivolare sul muro, sedendosi a terra e stappando la sua bottiglia.
"No." confessò, quasi sussurrando per evitare di farsi sentire dagli altri anche se stavano parlottando fitto fitto, forse cercando di interpretare i consigli lasciati dalle tre psicopatiche di dee.
Lo sguardo di Bashir si soffermò su Daphne, la sua Daphne.
"Perché non glielo dici?" gli domandò Lia, portando le ciocche naturali viola e smeraldo dietro l'orecchio.
"Dirle cosa?" le chiese Bashir, rispondendo ad una domanda con una domanda, e specchiando i suoi occhi nei suoi, riversandoci dentro tutto il suo stupore.
Lia sorrise.
"Avanti!" scherzò lei, "Non serve essere figli di Afrodite per capire se è vero amore o meno! Si vede lontano un miglio che sei cotto di lei!"
"Ma non è vero!" protestò lui, mentre sentiva montare l'imbarazzo sulle sue guancia, colorandosi pericolosamente di rosso.
Lia rise.
"Perché, secondo te non mi sono accorto di come guardi qualcuno?" bleffò Bashir, tentando di riacquistare parte della sua calma proverbiale, sperando di dargliela a bere.
Un angolo della sua bocca di increspò in un sorriso, mentre i capelli le ricadevano davanti agli occhi e impedivano a Bashir di appurare dove i suoi occhi guardassero.
"La cosa migliore da fare è dirglielo, poi ... "
Guardò il volto di Bashir, i suoi occhi grandi ed espressivi incontrarono ancora una volta i suoi.
"Andrà tutto per il meglio." concluse, sorridendogli e sorseggiando lentamente della birra fredda, cominciando di nuovo a vagare con lo sguardo nella sala, facendo provare a Bashir la strana sensazione che si stesse riferendo a Luke.
"Mi succedeva la stessa cosa, prima che scoprissi di essere una mezzosangue." gli confessò lei, tracciando simboli sulla condensa che avvolgeva la birra che aveva in mano, "Tutti mi escludevano e mi prendevano in giro per chissà quale motivo. Non sono mai riuscita a capire." gli disse, "Mi sentivo sempre sola, incapace di trovare qualcuno che si affezionasse davvero a me, ma mi sono detta che era inutile piangere su sé stessi."
Si fermò, forse cercando di trovare le parole giuste.
"Sono sempre scappata da tutto e da tutti, ma gli eroi non fuggono. Scelgono di restare e combattere."
Lo costrinse a voltarsi e a guardarsi negli occhi.
"E tu, Bashir, sei un eroe." sussurrò, "Non dimenticarlo mai."
Il figlio di Tanato fu zittito prima di poter dire qualcosa, non potendo fare altro che rispondere all'abbraccio in cui Lia lo aveva stretto.
"Ehm ehm." tossicchiò qualcuno alle loro spalle.
Bashir scattò sull'attenti, sperando solo che non fosse Daphne: l'ultima cosa di cui aveva bisogno per conquistarla era farsi vedere abbracciato ad un'altra. Per sua fortuna non si trattava della figlia di Afrodite, ma di Hope, la sorella di Lia, che adesso si stava trattenendo dal ridere.
"Abbiamo deciso di accamparci qui, per stanotte." annunciò, le sue pupille continuavano a rimbalzare da Lia a Bashir, non riscendo a fermarsi, come due palline da ping pong, "Dato che la porta è sprangata non dovrebbero esserci problemi, per stanotte."
Sorrise.
"Non quel genere di problemi." ridacchiò.
Bashir era piuttosto sicuro che Lia l'avrebbe trasformata in una pianta ornamentale, ma Hope riuscì a sottrarsi al maleficio piuttosto in fretta, voltandosi e camminando verso gli altri.
Lia gli fece l'occhiolino.
"Tranquillo." sussurrò, "Le farò dimenticare ogni cosa."
Bashir non seppe mai se stesse scherzando o meno, l'unica cosa che fece fu accompagnarla con lo sguardo, poi la stanchezza sembrò calare sui suoi occhi, seguito dalle sue palpebre.
 
 
Fu una notte senza sogni, con il profondo stupore di Bashir dato che da quando era cominciata quell'impresa non faceva altro che avere incubi, un po' come tutti gli altri, dopotutto.
Erano quasi passate le undici quando si svegliò, uno fra gli ultimi, strofinandosi gli occhi con le mani per abituarli alla nuova luce del giorno.
Luke e Warren stavano già consultando la mappa quando fu completamente sveglio, mentre Lia gli strizzava l'occhio e gli sorrideva: nessuno lo aveva mai abbracciato, a parte sua madre che era morta quando lui era solo un bambino.
"Qual è la prossima mossa?" chiese lui, guardando direttamente negli occhi il figlio di Atena. Forse lui si accorse di quanta determinazione ci avesse messo in quello sguardo.
"L'Empire State Building." gli disse, un angolo della bocca piegato in una smorfia di sfida, "La nostra ultima meta, temo, dato che domani è il primo di Giugno."
Warren si voltò verso di loro.
"E dovremmo fare anche parecchia strada tre le strade affollate di New York"
Bashir si stava quasi pentendo di ciò che stava per dire, ma l'atteggiamento di sfida di Luke rinvigorì la sua determinazione e la sua voglia di mettersi in mostra.
"Sono sempre scappata da tutto e da tutti, ma gli eroi non fuggono. Scelgono di restare e combattere." ripeté la voce di Lia nella sua testa.
Per un attimo Bashir si voltò per guardarla, poi tornò a fissare il figlio di Atena.
"Qualcuno ha paura del buio?"

- - - 
 
*panda's corner*
Bene, eccomi qui con il decimo capitolo :3
Vado di frettissima, quindi posso fermarmi davvero poco .-. Cosa ne pensate di questo capitolo? All'inizio, al posto di Dike, Eunomie ed Eirene, che io ho reinterpretato in maniera comica, avevo pensato di far intervernire Atena, ma mi sembrava troppo scontato.
Così, ecco qui le tre pazzoidi dee del lavoro u.u Che predicano anche l'aiuto di Nemesi ... uhm, qui gatta ci cova xD
E poi Bashir e Lia *^*
Non sono pucciosissimi? Qui rischia di scapparci un'altra ship xD No, dai ... prometto che saranno solo amici anche perché sono destinati ognuno ad un partner diverso u.u
Bene, io evaporo ewe
Ditemi cosa ne pensate! ^^ Ovviamente ringrazio chiunque stia seguendo/ricordando/preferendo questa storia o solo leggendo silenziosamente :')
Hasta luego! :)



 

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Capitolo 11
*** 11. A hero’s not afraid to gave his life ***



 
11.  A hero’s not afraid to gave his life
 
 
Selene,
"Aloud I pray, for Calmer Seas"
 
 
Selene era ancora scossa per ciò che le era successo nel bagno delle ragazze del Pacha, ma riuscì lo stesso ad addormentarsi, tra le braccia di Warren, il figlio di Ares, l'unica semidea che aveva finalmente sciolto la sua indistruttibile corazza di ghiaccio e aveva finalmente potuto arrivare veramente al suo cuore, la parte che lui aveva seppellito per troppo tempo sotto strati e strati di solitudine e sgradevolezza e che Selene aveva finalmente riportato alla luce, proprio come avrebbe fatto un archeologo dinanzi ad uno dei reperti più antichi del mondo.
Si, Selene poteva essere considerata un'archeologa sotto questo tipo di luce.
Mentre allentava la presa sulla realtà, catapultandosi nel mondo dei sogni, ripensò a quando sentiva il tono dolce e soave della voce di suo padre cantare alle sue orecchie, la ninna nanna che aveva sempre ascoltato prima di addormentarsi e che le aveva impedito brutti sogni, almeno fino all'inizio di quella mortale impresa.
Quando si svegliò le sembrarono passati solo pochi minuti, quando invece erano appena scoccate le undici precise e buona parte del gruppo di semidei erano svegli e si stavano preparando a partire verso l'Empire State Building.
Selene sapeva che quella era la dimora degli dei, l'Olimpo, ma non lo aveva mai visto di persona e la cosa la incuriosiva parecchio, cercando di scacciare il senso costante e fastidioso che le veniva procurato delle parole velenose che le aveva rivolto lo spirito di Bloody Mary nel bagno del Pacha NYC, profetizzando amore e morte in un'unica, fottutissima frase che adesso continuava a vagare nella sua testa, mentre lei continuava in maniera assidua a cercare di zittirla, con qualsiasi mezzo le fosse concesso per controllare la sua mente.
Warren le sorrise, un sorriso che assomigliava più ad un ghigno, ma la figlia di Morfeo non sembrò farci caso, vedendo solo il lato positivo della cosa: dopotutto non si poteva cambiare una persona da un momento all'altro, no?
Selene cercò di spazzolarsi i capelli, ma era una cosa impossibile senza una spazzola, così lasciò perdere e si unì al capannello di semidei che si era creato intorno a Luke, Warren e Bashir: quest'ultimo aveva proposto una sorta di trasporto anticonvenzionale verso l'edificio più alto di New York, quello che il figlio di Tanato continuava a chiamare "viaggio nell'ombra", cosa di cui Selene non aveva mai sentito parlare e che, da un lato, la spaventava più di quanto lo mostrasse realmente.
"Cos'è esattamente?"
La voce di Hope suonava come una candela esposta ad un alito di vento, mentre sembrava che stesse per svenire per la paura dato che, come Lia le aveva una volta accennato, Hope aveva una paura matta del buio e lei stessa aveva cercato di aiutarla, donandole una palla di luce, cosa che non aveva funzionato e che aveva peggiorato ulteriormente il rapporto tra le due sorelle.
"Cioè, non intendi un vero e proprio viaggio tra le ombre, giusto?"
La sua suonava solo come un pio desiderio, ma in realtà il nome diceva già tutto ed era chiaro che era qualcosa a che fare con il buio, l'ombra e la morte.
"Dovete solo prendermi per mano e correre assieme a me. Il buio può essere usato come una porta da tutte le creature degli Inferi e, dato che mio padre è Tanato, posso farlo anch'io." spiegò Bashir, il tono calmo come se si stesse preparando tranquillamente per un allenamento con fantocci al campo, mentre i suoi occhi affascinanti e misteriosi saettavano e si scontravano con quelli di tutti gli altri semidei, sfidandoli a protestare, "È facile, basta chiudere gli occhi."
Archie spostò il suo peso da un piede all'altro, come se qualcuno stesse dando fuoco al suo fondoschiena semidivino.
"È sicuro, vero?" chiese, dubbioso, mentre esponeva a Bashir ciò che tutti si stavano segretamente chiedendo, forse dubitando un po' troppo delle capacità del figlio di Tanato.
"Certo che è sicuro." rispose lui, la voce un po' stizzita, come se si fosse offeso, "Di cosa avete paura?"
Nessuno rispose, ma era talmente ovvio che Bashir sembrò mangiarsi le mani per la scarsa speranza che gli altri membri del gruppo nutrissero verso i suoi confronti.
"Posso andare io per prima." disse Lia, sorridendo al figlio di Tanato come se stessero condividendo chissà quale segreto, "Io mi fido di te."
Bashir le sorrise di rimando, spazzolandosi per bene la sua giacca di pelle dalla polvere e porgendole la mano, invitandola, come un vero galantuomo, a scontrarsi contro un muro: le finestre della sala erano state oscurate, così come aveva voluto Bashir dato che aveva detto che il viaggio nell'ombra andava meglio di notte e, quindi, il buio era essenziale per la buona riuscita del loro piano.
Lia e Bashir corsero verso un angolo buio della sala, sparendo e poi riapparendo poco dopo nello stesso punto in cui erano spariti, i capelli completamente in disordine, mentre la figlia di Ecate aveva in volto un'espressione che nemmeno la più grande e pazza delle montagne russe avrebbe potuto darle.
"È.una.figata.pazzesca!" commentò estasiata Lia, spalancando gli occhi e continuando a tenere la mano a Bashir, porgendo quella libera agli altri, invitando anche loro a scontrarsi tutti contro il muro: in breve formarono una catena, stringendosi a vicenda le mani come se fossero le loro ancore di salvataggio in mezzo ad una tempesta nell'oceano, correndo all'unisono verso il muro, sperando, chi più, chi meno, che Bashir non fallisse.
Per un terribile istante ci fu solo il buio e un vento che continuava a sferzare il volto di Selene, poi qualcosa le strinse lo stomaco e venne come risucchiata, ritrovandosi infine con le ginocchia a terra, sbattendo le ciglia per cercare di riabituare i suoi occhi alla luce del giorno.
Erano ai piedi dell'Empire State Building: per Selene fu la cosa più emozionante che le fosse mai capitata, tralasciando il fatto che poi le venne quasi un infarto per come il suo cuore stesse battendo nel petto, dandole l'impressione che volesse uscirne e andare a farsi due passi.
L'Empire State Building scintillava sotto la luce del sole come se fosse stato costruito come un migliaio di specchi, la gente andava e veniva in continuazione, chi con in mano una borsa di pelle, indosso un completo elegante, l'espressione potente e fiera in viso.
Finalmente Selene capì come potesse sentirsi una formica quando il proprio nido veniva calpestato: ecco, lei adesso provava la stessa sensazione mentre persone in giacca e cravatta, poliziotti e persino ragazzi continuavano a girarle intorno, sotto lo sguardo fiero e imponente della sommità dell'Empire State Building da dove, sperava, suo padre la stesse guardando.
"Ragazzi, e se provassimo a salire sull'Olimpo?" propose lei, eccitata al pensiero di poter vedere finalmente la dimora celeste degli dei e i loro troni, oggetti enormi a cui era legato il loro potere nella nuova civiltà, "Chissà, magari potrebbero anche darci un aiuto!" esclamò, cercando l'approvazione degli altri nove, mentre Hope aveva deciso di fare un salto ai bagni prima che cominciasse a vomitare in faccia a qualcuno.
Non le piaceva il modo in cui la stava guardando Luke dato che, sul volto, aveva la tipica l'espressione di Chirone che, tradotta ai poveri mortali, verrebbe come un "No signorinella, non possiamo salire sull'Olimpo. Abbiamo una missione da portare a termine, nel caso lo avessi dimenticato."
Selene sentì una fitta allo stomaco, scontrando i suoi occhi con quelli tempestosi di Luke, identici a quelli di sua madre Atena o almeno, così si mormorava: non avrebbe ceduto, sapeva essere davvero ostinata, quando ci si metteva.
L'unica pecca?
Anche i mostri potevano possedere la stessa abilità e, purtroppo, quel giorno non avevano nessuna intenzione che dieci freschi bocconcini di semidei salissero sull'Olimpo.
No, purtroppo per loro, volevano solo il loro sangue.
 
 
Successe tutto così velocemente: Selene sguainò Moondream con un solo colpo, mentre i mortali continuavano a urlare e a scappare in tutte le direzioni, vedendo chissà che cosa attraverso la Foschia e, per scappare in quel modo, non doveva essere nulla di carino e coccoloso.
All'inizio non riuscì a capire cosa fossero dato che sembravano solo dei demoni alati con la faccia pelosa, zampacce simili a dei polli e una voce roca che continuava a urlare cose senza senso, senza senso almeno all'inizio, prima che Luke urlò quella parola e le si drizzassero i capelli in testa.
"Le arai!" urlò il figlio di Atena, affettando con la sua ascia un demone che lo incolpava di aver ucciso una dracena, "Gli spiriti delle maledizioni!"
Bashir soffocò un gemito, abbassandosi giusto in tempo per evitare il fendente di uno dei mostri che gli stava alitando in faccia.
"Grazie, ce n'eravamo accorti!" rispose lui, brandendo la sua falce e partendo alla carica.
La figlia di Morfeo era rimasta così imbambolata a guardare ciò che stavano facendo gli altri che quasi una delle arai le staccò la testa, poco prima di essere infilzata dal bronzo celeste della sua spada.
"Maledetta semidea!" sciamò una, "Hai ucciso e massacrato migliaia di mostri greci ... adesso ne pagherai tutte le conseguenze, assumendo il peso delle loro maledizion ..."
BAM!
Un colpo secco, ecco cosa aveva fermato l'arai prima che terminasse la sua ramanzina e poco prima che Selene cadesse a terra, urlando il suo dolore, reggendosi il fianco: non ricordava nulla di ciò che aveva studiato al campo, nulla che le potesse essere utile al momento, almeno.
Il fianco le esplodeva di dolore, mentre Warren continuava a trucidare e ad uccidere accanto a lei, divertendosi come un pazzo e non sembrando accusare il peso delle maledizioni delle arai, almeno per adesso: rotolò poco prima che le unghia di pollo di una di loro la infilzassero, brandendo la sua spada e scacciando i mostri che le si avvicinavano, cercando di non ucciderne per non continuare a farsi del male.
I mortali erano spariti, il cielo di mezzogiorno si stava lentamente colorando di una strana sfumatura nera, come prima di una battaglia leggendaria, mentre gli dei non si facevano scrupolo a vedere morire i loro figli.
Selene pregò suo padre, inutilmente dato che la voce di Chirone continuava a ricordarle che gli dei non possono combattere le battagli dei loro figli, non direttamente almeno.
Il dolore continuava ad aumentare, mentre combatteva accanto a Warren e accusava dolore in ogni parte del suo corpo, non prestando nemmeno più attenzione a ciò che le arai dicevano, cercando solo di rimanere viva.
Quasi preferì essere stata ammazzata da Bloody Mary in quel maledetto bagno, almeno si sarebbe risparmiata quella carneficina: stavano arretrando, spingendosi sempre più verso l'entrata dell'Empire State Building.
Verso l'Olimpo.
"Avrete presto bisogno del suo aiuto per vincere una battaglia che da soli non potrete superare."
La voce di Eunomie, la terza delle sorelle che avevano incontrato i gruppo dei semidei, rimbombò nella sua testa, come un avvertimento: Selene non voleva darle ascolto, non poteva chiedere a Warren di invocare Nemesi e poi scoprire un prezzo troppo salato da pagare.
Ma non avevano scelta.
Luke continuava a mimare con le labbra il nome della dea della vendetta, mentre Jake bruciava e congelava le arai, sul suo volto si mischiavano emozioni contrastanti e le sue armi sembravano tremolare, come se si stessero trasformando, tenute a freno solo dalla forza di volontà del figlio di Ermes.
Sentiva le frecce di Daphne fischiare sulle sue orecchie, la magia arcana di Hope e Lia brulicare sotto i suoi piedi e la fredda mano della morte toccare le sue spalle, ma sapeva che non ce l'avrebbero fatta.
"Sel!" urlò Warren alle sue spalle, scaricando proiettili di bronzo celeste sulla faccia di una delle arai e piegandosi dal dolore.
"Warren!" rispose lei tra la foga del combattimento, "Non possiamo farcela! Devi, devi ... "
La figlia di Morfeo non fece in tempo a terminare la frase che venne afferrata da tre o quattro mostri  che la stavano tirando ognuno per un arto, come la vecchia tortura barbara, facendola urlare di dolore.
"Di Immortales!" imprecò Liz, guardando in direzione di Selene e mollando, con la grande sorpresa della figlia di Morfeo, una chiave inglese infuocata sul mento delle tre arai che l'avevano catturata.
Moondream scivolò per terra, baluginando debolmente.
Warren la guardò, affettando un'altra delle arai senza nemmeno guardare.
"Non potete ucciderci." li avvertirono le voci delle arai, come se stessero sciamando, "Continueremo a tornare e tormentarvi, impedendovi di respirare."
Gli occhi di ghiaccio di Selene incontrarono quelli rossi di Warren.
"Nemesi!" urlò al cielo, la rabbia che si riversava nella sua voce, "Io ti invoco, dea della vendetta!"
Il cielo si squarciò.
 
 
[...]
 
 
Liz,
"Will burn Up the Light"
 
No, no, no.
Stava andando tutto esattamente come Liz aveva temuto, purtroppo: il sogno che aveva fatto era ancora ben marcato nella sua memoria, come se fosse una macchia che non voleva andar via.
La figlia di Efesto sospettava che invocare Nemesi non fosse una mossa saggia e il prezzo che avrebbero dovuto pagare sarebbe stato qualcosa di troppo grande persino per un gruppo di dieci semidei.
Ma la sensazione più terrificante arrivò con la comparsa teatrale di Nemesi, la sua moto del terrore, l'esercito di cani che abbaiavano arrabbiati, nel vero senso della parola, con la schiuma alla bocca, verso le arai, un lampo di paura sul loro volto peloso.
"Una dea?!" chiesero, "Non era nei piani."
Il cielo collassò su sé stesso, mentre i tuoni continuavano a scuotere la terra e la dea della vendetta sorrideva maliziosa, la mano coperta da un guanto da motociclista sulla testa di uno di quei cani che si era portata al seguito, aspettando solo uno scambio di sguardi con Warren, il figlio di Ares che aveva stretto un patto pericoloso con lei, forse più pericoloso di quel branco di arai.
"BANZAI!" urlò Nemesi, dopo aver messo il casco sulla cascata di ricci neri e aver fatto partire la moto verso il gruppo nutrito di arai che sciamarono via in maniera disordinata, cercando di mettersi in salvo, non avendo scampo dato che vennero massacrate dalle bocche violente dei cani che non aspettavano altro che carne di mostro per banchettare e festeggiare la loro vittoria.
Liz cadde sulle ginocchia, lasciando la presa sulla sua chiave inglese, con la quale aveva rifatto i connotati ai mostri che avevano preso Selene, lasciando che questa tintinnasse sull'asfalto, osservando lo scenario apocalittico in cui si trovava come protagonista, lo skiline di New York completamente oscurato dalle nuvole nere, continuando a protestare con tuoni e fulmini, come se lo stesso Zeus si stesse divertendo un mondo a cercare di fulminarli.
Il rumore del motore della moto di Nemesi sarebbe sempre rimasto per sempre impresso nella mente di Liz che, di motori, ne aveva visti passare tanti, al contrario dei ragazzi, purtroppo.
Quello era l'inizio della fine.
La dea della vendetta si avvicinò al figlio di Ares, squadrandosi come se uno dei due avesse appena mangiato le caramelle dell'altro: la prima a interrompere quello scontro di sguardi fu la dea che si tolse il casco e lo mise sottobraccio, reggendosi perfettamente sulla sua moto pac-man.
"La bilancia è in equilibrio, adesso." disse Nemesi, "Ogni favore deve essere ripagato e questo già lo sapevi." lo avvertì la dea, guardando negli  occhi Warren.
"Io dico di no."
Si sollevò un "oh" generale.
"Che diavolo stai blaterando, semidio?" chiese sospettosa Nemesi, appoggiando il casco alla moto con fare minaccioso.
"Ti propongo un altro patto." disse calmo Warren, quella calma tipica delle persone mentalmente instabili o con gravi problemi psichiatrici, "Ci concederai un altro favore, ma, quando riscuoterai il tuo prezzo, sarò solo io a pagare."
Luke era sul punto di prenderlo a schiaffi.
"Warren, ti rendi conto di ciò che stai facendo?!" gli chiese, l'ascia insanguinata tra le mani.
Il figlio di Ares ghignò, come se quello fosse solo un gioco, Monopoly piuttosto che Risiko, ma gli occhi grigi di Luke erano duri come sfere di metallo e non ammettevano un no come risposta.
"Smettila, mammina." sibilò lui, "So benissimo cosa sto facendo."
Nemesi osservava i due con una scintilla maliziosa negli occhi, forse calcolando ciò che aveva da guadagnarci in quel nuovo accordo: Liz avrebbe voluto rompere la sua chiave inglese in testa a Warren, ma non poteva farlo.
"Sai, forse dovresti dare ascolto alla ragione." rise Nemesi, indicando Luke, "O forse è la pazzia a guidare la tua scelta ... Ne sei davvero sicuro?" gli chiese, inumidendosi le labbra.
Warren annuì.
"Bene." concluse la dea, rimettendosi il casco in testa, "Sai cosa fare quando ne avrai bisogno, semidio."
Il modo in cui disse semidio non piacque per niente a Liz, ma decise di lasciare correre, come la polvere che sollevò la moto quando sfrecciò via.
"Andiamo." disse affranto Luke, "Credo che avremmo molto da fare nelle prossime ore."
Fu una liberazione trascorrere delle ore senza fare niente, ma con il senso costante che stava per succedere qualcosa di brutto, di molto brutto, preparandosi al peggio.
Si toccò il petto, mentre sentiva il peso del suo cuore nel suo petto, temendo che da un momento all'altro si sarebbe fermato.
"Respira, respira."
Si era appena seduta su una poltrona, quando sopraggiunse Jake che le sorrise e si sedette accanto a lei, mentre i loro occhi si incontravano e cercavano di fuggire ad ogni contatto che trovavano.
"Liz."
"Jake."
"Sento di doverti dire una cosa." disse il figlio di Ermes, prendole una mano che Liz cercò di ritirare, non riuscendoci veramente: sin da quando aveva incontrato quel ragazzo albino nella foresta del campo mezzosangue aveva sempre provato una certa attrazione verso di lui, quasi come se fosse stata colpita dalle frecce divine di Eros.
"Si, ti ascolto." rispose lei, semplicemente.
Erano terribilmente vicini per gli stantard di Liz, ma non gliene importava più nulla: la sua testa aveva messo la marcia, viaggiando ad una velocità pazzesca, iniziando a fare progetti per il futuro.
In fondo, che male c'era?
Poteva morire lì da un momento all'altro con il suo cuore traballante.
"No, prima io." riprese lei, stoppandolo proprio nel momento in cui lui aveva aperto bocca e sentendosi vagamente in colpa per ciò che aveva fatto.
Osservò i suoi lineamenti, così diversi da quelli degli altri figli di Ermes, i suoi capelli biondo chiaro, i suoi infiniti occhi rossi.
"Sono malata, Jake."
Fu come una pugnalata, per lui: Liz se ne accorse, ma sapeva di doverlo dire a qualcuno. Se fosse morta per aver avuto un infarto, gli altri avrebbero saputo il perché, almeno.
"Come ... come sei malata?" gli chiese lui, scostandosi leggermente da lei, come se fosse, improvvisamente, radioattiva.
Liz indicò il suo petto.
"Ho una malformazione al cuore." confessò, "Potrei morire da un momento all'altro." disse e, quando lo fece, sembrò sentirsi molto più leggere come se quel peso enorme che continuava a sentire nel petto si fosse finalmente sciolto, rotto.
Impossibile da riparare.
Jake sembrava sul punto di vomitare, ma si ricompose e si avvicinò a lei: Liz si aspettò che dicesse qualcosa, ma sentì solo le sue labbra sulle sue, il loro sapore, lasciandosi andare completamente, sapendo che era la cosa che aveva sempre voluto, sin dalla prima volta che lo aveva visto.
"Non mi importa." sussurrò lui, malizioso, "Mi piaci così come sei."
Ancora un bacio, un bacio prima che il mondo esplodesse, dentro e fuori la figlia di Efesto.
"Che dovevi dirmi?" chiese Liz, gli occhi che le sembrarono stati appena immersi nello zucchero e poi nel caramello.
"Niente di importante." fece spallucce lui, "L'importante è che adesso siamo insieme."
Si guardarono negli occhi.
"Noi due."
Liz aveva sempre lavorato con le macchine, non sapeva bene come funzionassero gli esseri umani: quell'avvicinamento con Jake era insolito per lei, ma allo stesso tempo le piaceva, come se allo stesso tempo lo bramasse e lo temesse.
Rimasero lì per un momento che per Liz sembrò infinito, poco prima che un tonfo sordo scuotesse l'edificio dell'Empire State Building e il cuore della figlia di Efesto facesse un capitombolo.
Le sembrò che qualcuno le avesse appena sfilato la terra da sotto i piedi.
"Che sta succedendo?!" chiese quasi urlando a Luke mentre si precipitavano verso l'entrata, brandendo ognuno le rispettive armi.
Liz sentì il respiro caldo di Jake sulla sua spalla, mentre tutto si faceva sfocato e confuso, come il sogno o il sogno di un sogno.
"Niente di buono." tirò ad indovinare, indicando l'esercito che avanzava verso di loro, "Nessuno viene a farci visita e dubito che sia una visita di cortesia."
 
- - - 
 
*panda's corner
This is the end.
Ok, forse non è propriamente saggio cominciare un angolo autore dell'undicesimo capitolo con una frase delle canzoni di Adele ._____. Ma volevo informarvi che mancano solo 4 capitoli alla sospirata fine ç____ç
Viaggio nell'ombra, dritti verso l'Olimpo, seconda stella fino al mattino (?) No, devo aver sbagliato qualcosa .-.
Comunque, Bashir trasporta tutti all'Empire State Building con un viaggio nell'ombra: ho pensato, se possono farlo i figli di Ade possono farlo anche quelli di Tanato, no? u.u
Insomma, sempre morte eh éè
Spero che i personaggi che soffrivano di paura del buio siano stati tutti sottolineati, altrimenti mi scuso ^^"""
Warren stringe un secondo patto con Nemesi, purtroppo, e vi informo che nel prossimo capitolo ci saranno scintille, tuoni, fulmini e saette, quindi ... stay tuned!
E poi arriviamo allo shippamento della Jaliz *^*
Quanti di voi aspettavano questo momento trepidanti? u.u Finalmente si baciano e Liz rivela a Jake che è malata di cuore dato che ha una malformazione all'aorta ewe
Triste, no? 
Così come è iniziata potrebbe finire subito ç___ç
Ah, ultima cosa! 
Ho i capitoli 12 e 13 già pronti, quindi aggionerò lunedì/martedì con il 12 e poi a poca distanza anche con il 13 ... compiacetevi perchè vi dico che mi sto sentendo una merda a scrivere quei capitoli ç___ç
Beh, non voglio svelarvi nulla di più :')
Recensite e ... hasta la vista! :3


 

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Capitolo 12
*** 12. This city never sleeps at night ***




12. This city never sleeps at night
 
 
Hope,
"It's time to Begin, isnt't it?"
 
Hope era rimasta più che scossa quando l'Empire State Building aveva cercato di collassare sotto il suo stesso peso e la cosa le sarebbe sembrata ininfluente se non ci fosse stata anche lei dentro l'edificio.
Quello che si prospettava all'orizzonte livido di rabbia era un esercito di grandezze enormi, troppo difficile da battere per soli dieci semidei che non erano nemmeno nelle loro condizioni ottimali.
Hope fletté la spalla dove una delle arai l'aveva colpita, facendo scrocchiare le ossa del collo e muovendo a ritmo le dita delle mani, come costringendole a svegliarsi da un lungo coma, preparandosi ad un attacco improvviso, cosa che poteva avvenire da un momento all'altro.
Al capo dell'esercito c'era un uomo alto, di bell'aspetto e con un'armatura greca completa indosso, scintillante anche in mezzo a tutto quel nero cupo che li circondava.
Sulla punta dell'Empire State Building crepitarono una serie di fulmini.
Hope sentì un peso stretto sul cuore, ricordando le parole con le quali sua madre aveva avvertito sia lei che sua sorella Lia riguardo ad un incantesimo che avrebbe potuto cambiare le sorti della nuova guerra: spostò lo sguardo dall'uomo che avanzava verso di loro, con fare lento e suadente, incontrando gli occhi scintillanti di sua sorella Lia che aveva fatto apparire un avatar a forma di leone ai suoi piedi e che aveva una voglia matta di sguinzagliare tra le gambe di dracene, segugi infernali e qualsiasi altro mostro stesse pregustando di fare un banchetto con la loro carne semidivina.
Hope si immaginò la scena in cui un lestrigone ordinava ad un fast food della carne.
- Semidivina, divina o mortale? - chiedeva la commessa, mentre con fare annoiato il lestrigone si puliva i denti con uno stuzzicadenti.
- Semidivina -
- Al sangue, ben cotta o bruciacchiata? - continuava la cameriera, quando il lestrigone si spazientiva e inghiottiva prima lei e poi tutti i pezzi di carne che si trovavano nelle cucine, distruggendole e andandosene in cerca di un altro McDonald's dove poter far rifornimento.
Represse il senso di vomito che le salì lungo la gola, accorgendosi di essersi completamente persa tutto il viaggio dell'esercito e dell'uomo verso la porta dell'Empire State Building.
Per essere un mostro, era decisamente troppo bello: capelli scuri e ricci sormontavano la sua testa, visibili solo dopo che si tolse l'elmo di bronzo e lo stringesse tra un braccio e il fianco, mentre sulla sua bocca si plasmava un sorriso a quarantadue denti.
Una leggera barbetta contornava il suo mento, due occhi del colore del mare ci scrutavano attentamente ed emanavano, allo stesso tempo, un misto di curiosità, intelligenza e capacità di strozzarti con un solo dito della mano se non stavi attento.
Hope intuì che l'uomo davanti a loro si era allenato parecchio, perché aveva delle gambe muscolose e un petto che avrebbe fatto girare la testa persino a Brad Pitt in Troy: in sostanza, era l'uomo perfetto, ma Hope dubitava che si sarebbe seduto e avrebbe steso una tovaglietta da pic-nic come avevano fatto le tre dee nella discoteca.
L'ultima notte era cominciata.
L'uomo si fermò ad una decina di metri da Luke, l'ascia di bronzo celeste stretta in mano, lo sguardo battagliero e intelligente almeno quanto quello dell'oplita greco che avevano davanti.
C'era qualcosa che accomunava i due, ma Hope non riusciva a centrare il nocciolo della questione, non riusciva a capire in che modo potessero essere simili.
Trovò accanto a sè Daphne, l'arco ligneo dove era incoccata una freccia.
Atena.
L'esercito alle spalle dell'uomo ringhiò di disapprovazione, ma un altro gesto del greco e quelli si zittirono nuovamente, dopo aver fatto cozzare le loro armi contro gli scudi.
Finalmente Hope aveva capito chi avevano di fronte, aveva capito il perché Luke assomigliasse molto all'uomo dagli occhi cangianti e si chiese come avesse fatto ad essere così cieca.
"Odisseo." ringhiò la figlia di Ecate, gli occhi ridotti ad un unico cumulo di rabbia, "O Ulisse, come dovremmo chiamarti?" chiese, stizzita, mentre il cielo rombava la sua ira.
Lui ridacchiò, tenendo stretta la sarissa*, puntata saldamente a terra.
"Oh, cosa abbiamo qui?" domandò lui a sua volta, muovendo un passo aggrazziato verso di loro, fermato solo dall'ascia permalosa di Luke, il suo sguardo duro e freddo, "Una figlia della dea della magia, a quanto vedo."
Come aveva fatto a capirlo?
Hope spostò il peso del suo corpo da un piede all'altro, nervosa, mentre continuava ad aprire e chiudere le dita delle mani, costringendole a collaborare.
Ulisse mosse due passi, fermato dall'ascia permalosa di Luke e dal suo sguardo duro come due sfere d'acciaio.
"Un figlio di Atena." commentò, compiaciuto, allargando la sua bocca ad un sorriso a quarantadue denti, "Una volta tua madre era la mia protettrice: mi aiutò a far cadere la città di Troia, mi protesse durante il viaggio di ritorno ad Itaca, ma adesso ..."
Un tuono scosse la terra, facendo sobbalzare Daphne che era accanto ad Hope.
"Adesso cosa, Odisseo?" sibilò una voce stizzita che proveniva dall'alto, "Cosa dovrei fare adesso se non distruggerti all'istante?" chiese, retoricamente.
Il greco alzò le braccia al cielo.
"Come desiderate, mia signora."
"Smettila!" sentenziò Atena dall'Olimpo, "Hai perso il diritto di chiamarmi il quel modo quando la brama di potere e la magia, oh, dell'amore hanno offuscato la tua mente!" lo rimproverò.
Accanto ad Hope, Daphne sobbalzò alla parola amore, chiedendosi se in quale modo c'entrasse sua madre.
"Mia signora, portate rancore?" chiese ironicamente Ulisse, ridendo.
Un fulmine colpì l'asfalto a pochi centimetri dai sandali che indossava, costringendolo a sobbalzare e ad arretrare verso il suo esercito.
"Non dimenticarti chi sono." commentò astiosa Atena, l'odore di ozono ancora nell'aria, "Una volta potevi considerarti un mio pari, ma adesso devi stare al tuo posto."
"E per questo che ho cambiato schieramento, dea della guerra." le rispose Ulisse, urlando al cielo, "Niente più dei dell'Olimpo, niente più Atene o Ares. Solo noi."
"Il potere ti ha dato alla testa." ringhiò Atena, mentre il cielo rombava cupo, "Non prenderai mai l'Olimpo!" lo avvertì.
Ulisse rise.
"E come vorreste proteggerlo voi immortali, eh?" chiese, poi abbassò lo sguardo su Hope e gli altri, "Con queste mezze calzette di eroi? Una volta sceglievi molto meglio i tuoi guerrieri, mia signora. Scommetto che non sanno neppure cosa sia il triangolo dell'Espressione."
Hope si agitò sul suo posto, stringendo forte le else dei suoi pugnali avvelenati.
"Non vorrai dire ..."
Ulisse rise, lasciandola basita.
"Si, mia cara figlia di Ecate." commentò lui, quando finalmente la voce di Atena si zittì, "Il collegamento di tre sacrifici umani per risvegliare la dea."
"Non puoi farlo." ribattè impaurita Hope, muovendosi verso di lui, "Ti servono tre semidei per il triangolo e non ne hai ancora preso nessuno."
Lui rise, ancora, e Hope prese in considerazione l'idea di ficcargli un pugnale in gola per zittirlo.
"Errore."
Bashir scosse la testa, guardandolo con orrore, mentre Daphne urlava all'impazzata, come se fosse stata in preda alla follia.
"Lizzie!" urlò, un nome perso nel vento che riportò Hope al campo mezzosangue, "Lurido bastardo!" continuò, incoccando una freccia e scoccandogliela contro.
Ulisse la fermò a mezz'aria, spezzandola in due, un sorriso sadico sul volto che fece venire i brividi lungo la schiena ad Hope.
"E così te ne servono altri due." commentò Luke, l'ascia che aveva assunto una strana colorazione argentea, "Scommetto che sei venuto a proporci di consegnarci per poi ucciderne due e risparmiare gli altri, non è così, traditore?" domandò il figlio di Atena.
Ulisse annuì, compiaciuto.
"Beh, almeno la progenie della dea è più saggia della dea stessa." commentò lui, guardando il cielo aspettando chissà cosa.
"Scordatelo!" ringhiò Lia, l'avatar del leone che le dava manbassa, producendo un rumore poco gentile ed invitante con la gola.
Lui rise, per poco non beccandosi uno dei coltelli di Hope sulla faccia.
"Sarà la mia ultima offerta di pace, semidei." disse, "Prendere o lasciare."
Stranamente fu Warren a parlare, dato che lui di patti se ne intendeva, più o meno, tranne quando si trattava di negoziare con Nemesi.
"Senta, signor conquistatore di Troia, prenda le sue offerte di pace e porti le sue chiappe via di qui, prima che le usi come base per il barbecue di stasera, chiaro?"
Ulisse alzò le braccia al cielo.
"Mi senti, Atena?!" chiese, divertito, "Sarai l'ultima delle dee, quella che costringerò a vivere per osservare tutto ciò che ella stessa ha provocato! Divertiti a guardare morire i tuoi eroi!"
E la battaglia ebbe inizio.

 
 
[...]
 
Warren,
"Do I have Run and Hide?"
 
 
Warren non si era mai sentito meglio in mezzo ad una battaglia: trucidare, infilzare e decapitare erano le attività che più lo divertivano e rinvigorivano la sua salute, visto il potere di suo padre.
Sapeva che c'era un solo, vero dio: si chiamava Morte e l'unica cosa che puoi dire alla morte è non oggi.
Warren non aveva nessuna intenzione di morire, non lì, non sotto i colpi di quello scavezzacollo di Ulisse.
Sfoderò le coppia di katane e cominciò a fare strage dei corpi nemici, schivando, abbattendo dracene e mostri come se fosse la cosa più naturale al mondo, infilzando segugi infernali come se fossero fatti di cartapesta e non sentendo nemmeno un briciolo di stanchezza, continuando a combattere come una macchina da guerra destinata a non essere mai arrestata.
I suoi compagni di impresa erano solo macchie nella battaglia, guizzi fulminei che Warren non riusciva a distinguere: dove vi erano corpi bruciati, dove corpi addormentati, dove corpi distrutti e risucchiati fino alla loro essenza e rispediti direttamente nel Tartaro.
Tutto sommato il loro era un buon assetto, ma stavano lentamente retrocedendo verso le porte dell'Empire State Building, la loro fine, quindi.
Warren non poteva permetterselo, quindi scivolò tra la folla di mostri, menando colpi a destra e a manca, cercando di trovare Ulisse e la sua smania di divertimento: se era follia che stava cercando, follia avrebbe trovato.
Pan per focaccia, diceva un proverbio, ecco: Warren era sicuro che avrebbe rotto tutti i denti di Ulisse così che non avrebbe potuto mangiare né il pane, né la focaccia.
Ma non era facile dato che Ulisse appariva e scompariva nella mischia come se fosse a conoscenza del teletrasporto: il bagliore degli scudi, la lucentezza delle armature per un attimo accecarono Warren che si piegò in due, colpito dalla mazza di un lestrigone alquanto grande, prima di essere polverizzato da un fendente della sua katana.
"Cercavi me?" chiese una voce sulla sua spalla.
Warren caricò il colpo, sfruttando lo slancio verso l'alto e poi azzardando un fendente, accorgendosi solo dopo della falla del suo piano: Ulisse bloccò il suo braccio sinistro e glielo girò, spezzandogli le ossa e facendo urlare di dolore Warren, che perse la presa sulla sua katana.
Anche se sarebbe guarito nel giro di poco, il figlio di Ares si sentì sbilanciato a combattere solo con una mano: attaccò ancora Ulisse con la mano buona, parando un suo affondo e cercando di fargli perdere la presa sulla sua lama, prima di cadere a terra e quasi venire infilzato dalla sua spada.
"Combatti bene." commentò sarcastico Warren, mentre le ossa del suo braccio si mettevano a posto, "Per essere un vecchietto."
Si slanciò verso la katana che era a terra, rotolando e ferendo ad  una gamba Ulisse, trapassando il suo gambale destro.
Ulisse urlò qualcosa in greco, ma Warren non ebbe il tempo di fare da traduttore perché dovette bloccare ancora uno dei suoi attacchi, indietreggiando quando Ulisse gli mollò un calcio in pieno stomaco e, considerato che non aveva un'armatura, fece piuttosto male.
"Non conquisterai mai l'Olimpo." sputò a terra Warren, un sorriso folle in volto, le spade che scintillavano davanti alla luce che emanava la sua armatura.
"Perché lotti con tanto ardore, semidio?" chiese lui, "Gli dei non hanno mai fatto nulla per te, non è così?"
Warren rise.
"Mi hanno insegnato a combattere!" rispose, slanciandosi verso di lui, cercando un affondo, mentre Ulisse lo bloccava e gli spezzava i  polsi.
Warren cadde a terra, dolorante: doveva solo resistere qualche minuto, poi il suo potere di guarigione avrebbe rimesso tutto a posto.
Ma anche quel potere cominciò a mancare.
"Sai, forse dovresti dare ascolto alla ragione o forse è la pazzia a guidare la tua scelta?"
La voce di Nemesi diede voce alle sue paure, rotolando appena in tempo per schivare il suo affondo diretto allo stomaco.
"Smettila di fuggire, semidio!" ringhiò Ulisse, togliendosi l'elmo e lasciando al vento i suoi ricci scuri, "La tua fine è vicina! Tu sei il prossimo passo del sacrificio!"
Qualcuno urlò: Warren ebbe appena un minimo di forze per voltarsi e vedere Selene armata della sua spada e contornata da un'aura di sabbia dorata correre verso di lui.
"NO!" urlò, precipitandosi verso il figlio di Ares.
"Selene, vai ... vai via, ti prego."
Si accorse solo in quel momento che aveva anche due costole incrinate, guardando gli occhi di ghiaccio di Selene, rivolti verso Ulisse.
"Tu, lurido mentecatto." ringhiò Selene, alzandosi in piedi e puntando il dito contro il greco.
"Oh, quale miglior sacrificio se non per amore?" chiese Ulisse, pulendo la sua lama su uno stendardo di un lestrigone, "Dimmi, chi morirà per prima? Tu o la tua ragazza?"
Warren sembrava aver bevuto un sorso di lava incadescente.
"Va via, Sel!" pregò, prima che Ulisse la sbalzasse via quando lei cercò di attaccarlo, cadendo poco più in là, forse svenuta.
Il cielo ringhiò la sua rabbia, mentre tuoni e fulmini si aggiravano tra le nubi, attirati verso la cima dell'Empire Statue Building.
Se Warren doveva morire, doveva farlo a testa alta, come un vero figlio di Ares: si rialzò, reggendosi a fatica in piedi per via del fatto che non possedeva più il potere di guarigione.
Guardò Selene, poi rivolse un sorriso divertito e folle ad Ulisse, aprendo le braccia per consegnarsi al suo carnefice, aspettando la sua stessa fine.
Silenzio.
Fu un attimo: sotto lo sguardo attonito di Selene, la lama bronzea di Ulisse trapassò da parte a parte l'addome del ragazzo.
Warren si spinse ancor di più verso Ulisse, infilzandosi egli stesso con la spada, mentre il silenzio scendeva sulla terra e il mondo sembrava farsi più buio, bagnato dalle lacrime di dolore della figlia di Morfeo, cacciando un urlo roco e cupo che riecheggiò nella solitudine delle vie di Manhattan.
Ulisse sorrise, compiaciuto, gli occhi un unico cumulo di piacere e delizia, mentre si allontava, andando chissà dove e lasciando lì Selene, risparmiandola per bontà d'animo o per crogiolarsi del dolore?
Warren stramazzò a terra con un tonfo, la polvere della battaglia si alzò intorno al suo corpo mentre la vita scivolava via, cercando un posto migliore dove vivere.
Selene si trascinò verso di lui, tutte le ossa doloranti, ma non le importava. Prese il suo volto tra le mani, lo baciò, mentre lacrime amare scendevano lungo le sue guance.
"Sel, scusami ... scusami se sono stato così stronzo."
La figlia di Morfeo non aveva nemmeno la forza di parlare che lo zittì, donandogli un ultimo bacio, quello sussurrato tra le braccia della morte, proprio come gli aveva predetto lo spirito di Bloody Mary che in realtà era Partenope.
Quando Selene riaprì gli occhi, Warren era morto, gli occhi aperti su una distesa di stelle che non avrebbero mai più potuto vedere.
 
 - - - 
*panda's corner*
*Schiva i pomodori marci che stanno per tirargli*
Ok, sono di frettissima, ma devo almeno fermarmi due minuti per contemplare la morte di Warren ç___ç è il mio primo personaggio che uccido in assoluto e devo dire che è stato esaltante davvero bruttissimo çwç
Ma d'altronde, ve l'avevo detto che qualcuno doveva pur morire, no? ç___ç Selene è straziata dal dolore, sopravviverà oppure si lascerà andare per rivedere il suo amato? E i nostri semidei uccideranno Partenope e Ulisse? u-u
Non si sa xD Prossimo aggiornamento mercoledì con il 13 capitolo :D
Alla prossima :') Grazie :3


King


 
 
 

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Capitolo 13
*** 13. You misunderstand, I'm never changing who I am ***



13.  You misunderstand, I'm never changing who I am
 

 
Jake,
"A monster, I'm turning to a Monster"
 
 
Jake aveva seriamente avuto paura di perdere il controllo.
Se solo avesse potuto avrebbe prima incendiato, poi ibernato ed infine tagliato quella faccia da schiaffi di Ulisse: Jake lo aveva sempre ammirato per il suo coraggio e la sua astuzia, ma adesso sentiva con tutto se stesso di odiarlo, soprattutto per quello che aveva fatto a Warren.
In un primo momento Jake aveva pensato che stesse bleffando, ma dovette ricredersi quando le ragazze corsero verso un punto imprecisato della battaglia, mentre l'esercito di Ulisse si disperdeva in nome delle tregua di tre ore che lui e Luke avevano stretto.
Jake era troppo attonito per parlare: lasciò cadere le sue due spade gemelle, soffocando le lacrime che salivano ai suoi occhi, rossi sia per la voglia di piangere che per la sua condizione di albino. Luke era accanto a lui e stringeva così forte il manico della sua ascia che gli si sbiancarono le nocche, mentre tirava su con il naso, strofinandolo con il braccio: i suoi capelli erano un unico groviglio biondo, i suoi occhi un unico cumulo di rabbia e dolore.
Selene era appoggiata a Lia che la cingeva con un braccio e la lasciava sfogare, mentre anche il trucco intorno ai suoi occhi andava via via disfacendosi a causa del pianto.
Daphne si mordeva le labbra, cercando di non lasciarsi andare, convinta che presto sarebbe diventata una fontana come Selene, mentre Bashir le stava vicino, sussurrandogli qualcosa che a Jake non fu concesso di conoscere, direttamente sotto lo sguardo duro e determinato di Luke che puntava con i suoi occhi grigi proprio loro due.
Jake tirò su col naso, mentre la sua mano libera trovava quella di Liz pronta a riceverlo e tutti si univano al dolore di Selene per la sua perdita: non aveva mai capito bene il comportamento di Warren, ma Jake sapeva che era un valido combattente oltre che un buon amico, un po' eccentrico, ma anche molto altruista verso tutti i membri di quella missione.
Il cielo tuonò per l'ultima volta, trasportando lontano il rumore metallico dell'esercito di Ulisse e lavando con le sue lacrime il campo di battaglia, mentre Luke, sottovoce, giurava sullo Stige di vendicarlo, di vendicare quel figlio di Ares con cui non erano mai andati d'accordo.
Luke si mosse verso il corpo di Warren, prendolo per la testa e facendo segno agli altri ragazzi di aiutarlo.
"Portiamolo via da qui." disse, tetro, mentre la pioggia scendeva sul suo viso e, come notò Arkos, lasciava scivolare via tranquillamente le sue lacrime.
Jake si staccò da Liz e aiutò Luke nell'impresa e,con il supporto di Archie e Bashir, trasportarono assieme il corpo di Warren nell'atrio dell'Empire State Building dove erano spariti tutti, incluso il portiere.
"Le difese stanno cedendo." commentò Luke e Jake si stupì di come facesse a rimanere così razionale in una situazione del genere: se fosse stato per lui, avrebbe già perso il controllo e massacrato qualunque nemico gli capitasse davanti.
Per fortuna Jake non era Luke.
Abbassò la voce in modo che solo noi ragazzi potessimo sentire, in modo da non turbare ulteriormente il fragile equilibrio che si era creato dentro Selene che, appoggiata alla spalla di Lia, aveva completamente perso la voglia di vivere.
"Dobbiamo escogitare un piano." sussurrò, piano, chiudendo gli occhi come per immaginare le linee di un campo di battaglia, "Gli dei non possono venirci in aiuto in quanto non combattono in prima persona nelle guerre mortali e non possiamo aspettarci nessun altro, esterno o interno che sia. Dobbiamo contare solo sulle nostre forze."
Sospirò.
"Siamo solo noi." concluse Archie, con una nota tetra nella voce, come se si rendesse solo adesso di quanto fossero effettivamente nella merda.
"La tregua scade alle nove, ovvero ..." ricordò Luke, guardando l'orologio digitale dell'atrio, " Tra due ore e mezza esatte."
Bashir ingoiò un magone, spazzolandosi per bene la giacca di pelle macchiata di zolfo dei  mostri disintegrati e di polvere.
"Faccio io il primo turno." propose, stringendo la sua falce.
Jake trasalì quando la vide così vicina, beccandosi un'occhiata strana da parte del figlio di Tanato, ma liquidò la cosa scrollando le spalle, cercando di bleffare.
"Se vedo qualcosa che non va vi avverto." concluse e, prima che gli altri potessero dire qualcosa, sparì dalla loro vista come un corvo nero nella notte.
Archie si voltò verso il capannello delle ragazze, sedendosi accanto a Lia che lo guardò, stanca, mentre lui ingoiava un pezzetto di ambrosia per curare le sue ferite.
Jake non era stato ferito, fortunatamente.
Diede un ultimo sguardo al corpo di Warren che avevano disposto su un divanetto di pelle dell'ingresso, poi si morse un labbro e lo coprì con un vessillo da guerra che avevano raccattato nel campo di battaglia, prima di trovare un metro quadrato di spazio ed addormentarsi.
Sospettava che quella sarebbe stata la loro ultima notte.
 
 
Ovviamente, più la situazione si fa pericolosa, più i mezzosangue sognano da schifo.
Lo spazio nel quale fu proiettato era uno spazio atemporale, lo percepiva, nel silenzio e nel buio più assoluti: tutte le cellule del suo corpo urlavano al pericolo, mentre lui fletteva le dita, aprendo e chiudendo le mani come per risvegliarle da un lungo coma.
Sentiva che c'era qualcuno lì e,anche se lui non riusciva a vederlo fisicamente, sapeva che era lì, come se un pezzo di sé stesso riconoscesse l'essenza a cui si ritrovava davanti.
"Padre." sussurrò, terrorizzato, sperando che non fosse vero, anche se tutto intorno a lui dava voce alle paure più recondite, quelle che lui sperava fossero sempre nascoste dentro di lui e che poco prima della battaglia che aveva visto come unica vittima Warren, stava per confessare a Liz.
Liz, l'unica persona che aveva incontrato che non lo aveva giudicato per il suo aspetto, per il suo carattere, per il lato misterioso che tendeva sempre a mantenere alto, come una sorta di corazza che gli impediva di cadere a terra e frantumarsi in mille pezzi.
Piccoli puntini di luce danzarono davanti ai suoi occhi, plasmando i contorni di una figura molto più alta di lui e che, al confronto, fece sentire Jake una nullità.
"Si." rispose una voce metallica, come coltelli sfregati su una pietra, "Hai indovinato, figlio mio."
Se solo suo padre fosse stato davvero visibile e quello non fosse stato un sogno, Jake avrebbe volentieri preso a calci il suo fondoschiena divino.
"Non hai il diritto di chiamarmi così." sibilò stizzito lui, spostando il peso del suo corpo da un piede all'altro, nervoso.
Suo padre rise e fu un'atroce tortura per le povere orecchie di Jake.
"Sei irritante come tua madre." ridacchiò lui, "Peccato che sia morta solo qualche millenio di anni fa, mi sarei divertito molto con lei."
Ricordare a Jake che aveva più di duemila anni in più di Liz fu un colpo basso, davvero basso.
"Invece mi ritrovo con te, l'essere che duemila anni fa mi avrebbe dovuto aiutare a battere quegli insulsi dei dell'Olimpo e che invece adesso parteggia per loro." ringhiò la voce e fu come se un terremoto stesse scuotendo il mondo onirico di Jake, "Presto sarai costretto a rivelarsi, insulso ragazzino. Credi che piacerai ancora ai tuoi amici, a quella ragazza, quando scopriranno chi sei?"
Il contatto si stava indebolendo.
"Sarò io a ridere per ultimo, mezzosangue."
 
 
Per poco non sbatté la testa contro la fronte di Daphne: la figlia di Afrodite aveva gli occhi lucidi e rossi, i capelli sparpagliati, tutte cose che uan figlia della dea dell'amore non poteva permettersi, ma che lei riusciva a fare benissimo.
"Non c'è più tempo." sussurrò, alzandosi e stringendo forte il suo arco come se ne andasse la sua vita e, in un certo senso, era vero, "Ulisse ha violato la tregua, siamo sotto attacco."
Jake fece appena in tempo a registrare quell'informazione che era già sul campo di battaglia, sentendo montare dentro una rabbia che non aveva mai provato: voleva trovare Ulisse, voleva vedere il suo corpo in fiamme, quello di Partenope ridotto a brandelli e il loro esercito sbaragliato, ma non poteva farcela da solo e lo sapeva bene.
Avrebbe dovuto attingere al suo potere e non voleva.
L'urto con l'esercito non fu dei migliori: loro erano già stanchi, il morale sotto i piedi e le ferite fresche che squarciavano la carne, come avrebbero retto il confronto contro un esercito tale?
"Lascia andare, mezzosangue." sibilava la voce di suo padre, "Lascia andare."
Perse totalmente il controllo: dentro di lui, la razionalità aveva perso la battaglia che da duemila anni a questa parte portava avanti contro la brama di potere e adesso giaceva schiacciata, la faccia nella polvere retta dai piedi della freddezza e del buio interiore.
Sentì i suoi occhi farsi più scuri, il suo corpo diventare più robusto, mentre nelle sue mani Piros e Krios si fondevano per dare origine ad una sola lama: una falce, il simbolo del comando di Crono.
E adesso, Jake era diventato il suo crudele e perfetto erede.
Quasi gli sembrò di sentire ridere nelle sue orecchie quando si lanciò in battaglia, i suoi occhi rossi naturali sembravano oscurati da una sorta di Foschia nera che gli impediva di distinguere la realtà dalla menzogna.
Continuò a falciare dracene, telchini, mostri di ogni genere e qualunque cosa che gli capitasse lungo la strada, mentre sentiva le urla di quelli che un tempo erano i suoi amici alle sue spalle.
Per poco non uccise anche Luke che riuscì a scansarsi in tempo, allontanandosi per abbattere una dracena ed evitare di incappare ancora nella sua furia.
Anche la voce non era più la sua: sembrava più cupa, fredda, gutturale.
"Servimi per lo scopo per il quale sei stato creato." disse la voce di suo padre nella sua testa, "Reclama la vendetta che mi spetta di diritto, mostra la potenza di Crono al mondo, semidio!"
Ulisse era a pochi metri da lui, riuscendo a salvarsi la pelle grazie alla sua lama che cozzò contro la falce nera del figlio di Crono: ormai la sua armatura era caduta, perché continuare a mentire?
Schioccò le dita, fermando il tempo e lo spazio per un attimo, accusando il colpo poco dopo che lo costrinse a farlo ripartire, roteando la falce in modo eccezionale, mandando al tappeto Ulisse e sbaragliando intere file di telchini e mostri, ricoprendo sé stesso di zolfo e polvere, crogiolandosi del sangue dei mostri, dei suoi amici.
Liz.
La figlia di Efesto avanzava verso di lui, la spada Pyr alla mano, il passo lento e costante, senza paura: alla sua vista, Jake sembrò arrestare la sua furia assassina, la brama di potere e vendetta che bruciavano dentro di lui.
"Jake." chiamò lei, avanzando verso di lui senza paura, "Jake, puoi sentirmi?" chiese quando finalmente furono a pochi passi l'uno dall'altro, Ulisse che fuggiva via dalla sua lama.
"L-Liz." sussurrò Jake, mentre la sua vita cominciava a scorrergli davanti agli occhi, dalla sua nascita, passando per il campo mezzosangue e arrivando fino al bacio che lui e Liz si erano scambiati nell'atrio dell'Empire State Building.
"Sono io, non mi riconosci?" domandò lei, poco prima di bloccare con la sua spada un fendente che non era stato mosso da Jake, ma dal mostro che si era risvegliato in lui.
"L-Liz." gemette ancora lui, come se fosse un nastro su cui era incisa solo quella frase.
Prima che potesse dire altro, Liz si avvicinò a lui e lo baciò, andando oltre l'aspetto che in quel momento mostrava, andando oltre il fatto che aveva tentato di ucciderla e sul fatto che poteva farlo ancora con un colpo veloce della sua falce, quella che stringeva ancora in mano.
E fu quel bacio a salvarlo.
 
 

 
[...]
 
 
Luke,
"Give me a Long kiss Goodnight"
 
 
Avete presente quando nelle fiabe dicevano che non c'è magia più potente dell'amore?
Beh, a volte bisognava dare ragione ad Afrodite: se non ci fosse stata lei, tutto ciò che rende migliore il nostro mondo non sarebbe mai esistito e loro non avrebbero potuto sopravvivere se non fosse stato per il coraggio ispirato dall'amore di Liz che aveva convinto la figlia di Efesto a baciarlo e a sperare nel meglio.
Subito dopo che le loro labbra si incontrarono, Luke fu investito da una forte onda d'urto che quasi lo mandò a tappeto mentre stava atterrando una dracena in veste da gladriatrice.
I capelli biondi gli volarono davanti agli occhi, mossi da un vento che aveva preso a spirare: quando riaprì gli occhi Liz e Jake erano circondanti da un cerchio nero di metallo fuso, ed erano le uniche cose superstiti nel raggio di venti metri nei quali si stendevano linee nere come se nel punto in cui vi erano Liz e Jak si fosse abbattuto un meteorite.
Luke non poteva permettersi di essere sentimentale, non adesso almeno dato che doveva rimanere il più razionale possibile per poter vincere quella guerra: si lanciò ancora in battaglia, roteando l'ascia e colpendo quanti più nemici potesse.
Urlò di dolore quando una freccia lo colpì sulla spalla destra, quella che usava per combattere: disintegrò il mostro che l'aveva colpito, rivolgendogli uno sguardo inferocito, passando l'ascia nell'altra mano dato che era stato addestrato a combattere con entrambe.
La sua mente era un unico groviglio distorto di pensieri, mentre accanto a lui continuavano a schizzare mostri e semidei: intravide Jake e Liz combattere schiena a schiena, Bashir attaccare con una falce simile a quella che aveva sfoderato prima il figlio di Crono, mentre Archie continuava a correre come un pazzo nel mezzo della battaglia e orde di mostri si disintegravano sotto i colpi magici di Lia ed Hope.
Dov'era Daphne?
Luke scrutò il campo di battaglia, per quanto gli fosse permesso, mentre il cielo minacciava nuova pioggia.
E Selene?
Luke non poteva saperlo dato che era dovuto scendere in campo alla prima avvisaglia del tradimento di Ulisse, una cosa che si era aspettato, ormai: se una volta lo aveva stimato, ora non nutriva più nulla nei suoi confronti se non odio e rancore.
E il suo difetto fatale era proprio il portare rancore.
"Limita le perdite."gli disse una parte della sua cosciena, mentre, proprio quando tutto sembrava volgere a loro favore, nuove creature della notte si sparsero per Manhattan con a capo, ovvio, il grande idiota Odisseo.
"È il tuo compito, è il compito di ogni stratega che tiene al suo esercito."
Luke non sapeva chi fosse a parlare, se la sua coscienza, sua madre o quell'imbrogliona di Partenope, ma sentiva che, anche se nefasta, quella voce aveva ragione: era lui lo stratega, lui avrebbe dovuto escogitare un piano per evitare di spargere sangue.
Lui avrebbe dovuto evitare che Warren morisse.
Si sentì un idiota, un codardo e anche un traditore, lasciando quasi la presa sulla sua arma, prima di infilzare un segugio infernale che rischiò di staccargli una gamba.
La spalla bruciava come mille soli.
Si ritirò in disparte e guardò la battaglia: Liz e Jake che venivano sopraffatti dalla folla, Archie che sbucava di tanto in tanto, Hope che intraprendeva un combattimento corpo a corpo con un lestrigone, mentre Lia continuava a maledire chiunque le si avvicinasse, controllando l'enorme bestia-avatar-leone che faceva strage di nemici.
Ma Luke sapeva che non sarebbe bastato.
Nove semidei non potevano permettere ad un esercito così grande di ottenere ciò che voleva, non da soli almeno: se solo avessero avuto qualche dio dalla loro parte, ma l'ultima volta che una delle divinità olimpiche li aveva aiutati il prezzo da pagare era stato più grande di quello che potevano permettersi.
No, avrebbe dovuto essere lui a fermare quella guerra.
Limita le perdite.
Si sarebbe consegnato ad Ulisse e avrebbe fatto in modo che non facesse del male ai suoi amici: in realtà lui si sentiva già morto, quindi non sarebbe stato così male morire per davvero.
Daphne, chissà come, fu attirata accanto a lui, lo prese per mano e lo implorò con gli occhi, come se avesse già capito cosa stesse per fare.
Le cadde l'arco di mano.
"Luke, non puoi ... "
Le si spezzò la voce per il dolore, mentre si metteva una mano davanti alla bocca per impedirsi di urlare e dai suoi occhi cominciavano a scendere lacrime: persino così, tra lacrime, polvere e sangue Luke la trovò bellissima.
Le prese le mani, accorgendosi che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe toccato qualcuno.
"Daphne, non piangere." sussurrò lui, mentre intorno a loro il mondo sembrava scomparire, "Devo farlo, devo limitare le perdite."
Si fermò, un groppo stretto in gola.
"Devo impedirgli di farti del male."
Lacrime solcarono il suo volto, mentre lei abbassava lo sguardo e si lasciava andare, abbracciandolo.
"So cavarmela da sola, Luke." ribattè, mentendo, "Ma ti prego, non farlo."
Si morse un labbro con la pura convinzione che avrebbe tanto voluto fare come aveva detto, ma semplicemente non poteva dare ascolto alle sue preghiere.
Prima che potesse aggiungere altro, le prese il viso tra le mani e la baciò, il lungo, ultimo bacio della buonanotte, mentre dagli occhi cominciarono a sgorgare fiumi di lacrime.
"Ti amerò per sempre, Daph." sussurrò lui, mentre le loro mani scivolavano l'una sull'altra, allontanandosi, "Bashir ti renderà felice."
La guardò per l'ultima volta.
"Ti aspetterò per sempre nell'Elisio."
Si voltò, gettando a terra la sua ascia, lasciando che le orde di mostri lo lasciassero avanzare fino al loro comandante: Ulisse si rigirava la sua lama in mano, proprio sul bordo del ponte che passava accanto all'Empire State Building, compiaciuto che il suo agnello venisse a morire per mano sua.
Luke alzò le mani, poi si sentì investito da un onda tiepida, voltandosi appena in tempo per accorgersi che Jake aveva fermato il tempo, scotendo, con le lacrime agli occhi, la testa, in segno di disapprovazione.
Luke, con un enorme sforzo di volontà, si morse il labbro, chiudendo gli occhi  e lasciando che una singola, calda lacrima scivolasse lungo la sua guancia.
Poi il tempo ripartì.
"Mi consegno." disse, nel silenzio più totale, rivolgendo il suo sguardo più duro ad Ulisse, "Lascia stare i miei amici."
"Vuoi che risparmi gli altri ragazzini in cambio del tuo sacrificio?" chiese lui, mellifluo, avvicinandosi al figlio di Atena, "Va bene, visto che sarai l'ultimo a morire."
"Abbiamo un accordo?" chiese Luke, continuando a tenere le mani in alto.
Ulisse annuì, poco prima che soffocasse un urlo di dolore quando Luke si sfilò il suo pugnale dalla tasca e lo pugnalasse alla gola: il figlio di Atena aveva preso bene la mira, colpendo giusto l'aorta carotidea.
"Questo era per Warren, bastardo!" ringhiò Luke, affondando il pugnale nella sua gola fino all'elsa, non accorgendosi, però, che il sangue sulla maglietta arancione del campo che indossava fosse il suo: Ulisse lo aveva pugnalato, prendendolo su un fianco, costringendo a lasciare la presa sulla sua arma.
Daphne urlò, da qualche parte alle sue spalle.
Luke stramazzò al suolo, moribondo.
"Ho imparato a non fidarmi mai dei figli di Atena." commentò astioso Ulisse, schiacciando con i sandali la sua ferita e spingendolo sul bordo del precipizio.
"Stolto." rise, "Non mi hai nemmeno costretto a giurare sullo Stige."
Il cielo tuonò.
I figlio di Atena precipitò nel vuoto, muovendo le mani e i piedi per cercare in qualche modo di sopravvivere, invano, mentre Ulisse, d'alto del ponte, gli sorridesse, poco prima che anche la sua fedeltà cambiasse e la cupa ombra della morte scendesse imperterrita sul mondo.
L'apocalisse era vicina, il triangolo era stato completato.
Partenope stava risorgendo.

 
- - - 
*panda's corner*
Si, sono sadico.
Cioè, nello scorso capitolo ho ammazzato senza pietà Warren, adesso, purtroppo, affinchè il triangolo sia completo ho dovuto ammazzare un altro semidio e chi, secondo voi? çwç
Il nostro figliuolo di Atena ç____ç
Ok, io parteggio per Atena, ma uccidere uno dei miei fratelli è stata la cosa più dura che abbia mai potuto fare çwç L'ho fatto morire da eroe, pugnalando la giugolare di Ulisse e, quindi, condannandolo a morte ewe
Aspettatevi altri due morticini nel prossimo capitolo che sarà l'ultimo della battaglia. Il quindicesimo me lo riservo come epilogo, quindi u-u
E, quindi, il triangolo Daphne/Bashir/Luke si spezza e diventa la ship Daphir! :') Facciamogli un bell'applauso u.u
Prossimi ultimi punti di vista: Lia ed Archie :3 
Sento che partirà un'altra ship *^* Me le sono tenute tutte per l'ultimo xD 
Ovviamente ringrazio chiunque abbia messo tra le preferite, ricordate o seguite o, più semplicemente, chi legge silenziosamente xD 
Alla prossima :')


King

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Capitolo 14
*** 14. All systems go, sun hasn't die ***


 
 

14. All systems go, sun hasn't die
 
 
Daphne,
"Everything I touch isn't Dark enough"
 
 
Daphne aveva assistito a tutto ciò a cui una figlia di Afrodite non avrebbe mai dovuto assistere: sentì un colpo sul petto, anche se non l'aveva attaccata nessuna, riconoscendo, come figlia della dea dell'amore, il suono del suo cuore spezzato.
Luke era morto.
Le lacrima salirono copiose ai suoi occhi, le sue mani abbandonarono la presa sulla sua arma, mentre l'arco di legno cadeva a terra, nel silenzio più totale: per un attimo, Daphne provò l'impulso di saltare al collo di Ulisse e staccarglielo a mani nude, ma, quando si voltò a guardare i suoi compagni d'impresa, Hope scosse la testa, facendole segno di rimanere dov'era.
La sua faccia era corrugata in un'espressione addolorata, la sua fronte trasudava fatica e le sue mani erano avvolto da una strana foschia verde che Daphne era sicura di non aver mai visto.
Era come se qualcuno le avesse sfilato il terreno da sotto i piedi.
Si sentì mancare, ma due mani possenti l'afferrarono e lei si ritrovò stretta tra le braccia di Bashir, il viso sporco di polvere e sudore, la bocca fredda plasmata in un'espressione preoccupata: Daphne si sentì al sicuro, per la prima volta dopo anni, si sentì al sicuro, stretta nel suo abbraccio.
"Va tutto bene." continuava a ripeterle, anche se lei scuoteva la testa, i capelli in disordine, le unghia spezzate, il volto così bello spezzato dal dolore e dalla rabbia.
"No che non va tutto bene!" protestò lei, affogando la sua voce tra le lacrime, la concreta consapevolezza che Luke era morto per colpa sua.
Bashir la guardò negli occhi, in quegli occhi maledettamente attraenti in cui Daphne riuscì a specchiarsi e ad affogare, in quegli occhi in cui dominava l'amore che il figlio di Tanato provava verso di lei: ora che Luke non c'era più, il triangolo si era rotto e lei era libera di stare con Bashir.
Cosa le aveva detto Luke, poco prima di marciare verso morte certa?
"Bashir ti renderà felice."
Il figlio di Atena l'aveva spinta verso il figlio di Tanato, l'intelligenza che si era quindi arresa alla forza della morte, la spiga di grano che si era piegata alla lama della falce: Daphne si sentì un'egoista.
Anche stretta fra le braccia di Bashir, la figlia di Afrodite percepì il freddo che l'incantesimo di Hope aveva scatenato, poteva vedere il volto confuso di Ulisse che si soffermava su quello altrettanto confuso di ogni semidio della loro impresa, quell'impresa che, sin dall'inizio, era destinata a fallire.
Daphne alzò gli occhi al cielo, maledicendo sua madre, maledicendo gli dei dell'Olimpo e maledicendo con tutto ciò che le era rimasto Partenope: già, dov'era quella lurida mentecatta?
Nell'aria aleggiava un senso di mistero e di pericolo, qualcosa che solo i sensi più sviluppati dei semidei potevano percepire e che Daphne era sicura di non voler più possedere: se lei non fosse stata una semidea, se Luke non fosse stato un semidio, se tutti loro non fossero stati dei semidei avrebbero potuto avere una vita normale.
Niente dei, niente mostri, nessuna minaccia.
Ma loro erano mezzosangue, erano destinati a perire dato che il destino di ogni eroe era segnato da ancora prima che questo venisse al mondo: morte e vita si affrontano in un prodigioso duello ogni volta che un semidio affronta un nemico e qualche volta vince l'uno, qualche volta, purtroppo, l'altro.
Non avevano già sacrificato abbastanza?
"Ulisse." chiamò Hope, la voce tirata dal dolore, "Dove si trova il Palladio?" chiese, avvolta nella nebbia più totale, segno evidente che Partenope stava risorgendo.
"Palladio?" si chiese Daphne, "Non abbiamo mai parlato di un Palladio!" esclamò a sé stessa, avvinghiata al petto di Bashir, il suo cuore che si metteva a fare tutti gli esercizi ginnici possibili per un muscolo fatto di carne e sangue.
Ulisse balbettò qualcosa, poco prima che si sentisse un botto e una lancia comparisse al centro del suo petto, una lancia fatta d'oro, stretta nelle mani di una statua di una donna alta più di dodici metri: Atena aveva ucciso il suo eroe preferito, esattamente come Ulisse aveva ucciso il figlio preferito di Atena.
L'equilibrio deve essere ristabilito.
Daphne non sapeva se fosse stata lei a parlare oppure mettere la mano sul fuoco perché quella voce era sicura appartenere a Nemesi, fatto sta che Ulisse cadde a terra, mentre la statua si dissolveva e la lancia di Atena cadeva a terra, unica arma possibile per uccidere Partenope.
Hope si avvicinò al corpo dell'eroe greco quando questo si dissolse in una leggera polvere gialla, raccogliendo la lancia con timore referenziale, proprio mentre la terra veniva scossa da un fremito inconcepibile e Daphne si tappasse le orecchie per non ascoltare il canto di rinascita della sirena: Partenope era lì, capelli splendidi, occhi ammaliatori da far invidia a sua madre.
Ed era lì in carne ed ossa.
E anche Hope cadde a terra, esangue.

 
[...]
 
Lia,
"It's dark Inside, it where my Demons hide"
 
 
Lia aveva voglia di urlare.
Partenope era risorta, Luke era morto, Warren era morto e adesso anche sua sorella Hope cadeva a terra, la lancia del Palladio di Atena stretta in pugno, il volto pallido, i capelli ingrigiti per chissà quale motivo: anche se tra le due non correva buon sangue, Lia si precipitò da lei, staccando teste e falciando corpi con la sua magia.
Nulla poteva fermarla.
Inciampò accanto ad Hope, poggiando il suo volto sulle sue gambe e chiudendo sua sorella ed Archie in una bolla difensiva che sperava avrebbe retto contro l'onda di demoni che si apprestavano a combattere, rinnovati dalla comparsa di Partenope.
E, stavolta, la sirena avrebbe preso parte ai giochi.
"Prendi la lancia." gracchiò Hope, porgendole l'asta lunga circa due metri, in legno finissimo, culminante con una punta d'argento, macchiata del sangue rosso di Ulisse, "È l'unica arma in grado di ucciderla."
Lia aveva voglia di piangere, ma le lacrime non salivano ai suoi occhi, non riusciva a lacrimare come una persona normale.
Poi ci pensò: lei non era normale, lei era una semidea.
"Vorrei ci fosse più tempo." mugugnò Hope, la voce tirata di fatica, "Ma la fine è vicina Lia. Scusami se non sono stata una buona sorella, per te."
La figlia di Ecate aveva voglia di prenderla a pugni.
"Perchè hai usato l'incantesimo di nostra madre?!" urlò, nel silenzio della bolla, sotto lo sguardo attonito di Archie, "Sapevi che poteva ucciderti!" protestò, mentre lei gli stringeva la mano con le sue ultime forze residue e sbarrava i suoi occhi in maniera decisa.
"Dovevo farlo." disse, ferma, "E poi, sorgi con un uomo ... " esclamò, poi più niente, i suoi occhi sbarrati su una distesa di stelle che non avrebbero mai potuto rivedere.
Il cielo tuonò.
"Muori con un eroe." terminò Lia che, per la prima volta, si lasciava avvicinare da Archie, le sue mani calde, i suoi ricci castani sudati e attaccati alla fronte, ma bello come sempre, vittorioso come sua madre, forte da riuscire a sollevare anche Lia, in quel  momento.
E fu allora che arrivarono, le lacrime.
"Lia." chiamò Archie, la voce preoccupata e dolce allo stesso momento: lei alzò lo sguardo bagnato sugli occhi caleidoscopici del figlio di Nike, riuscendo a frenare il flusso di lacrime.
"Dobbiamo vendicarla." disse. Lia annuì.
"Forza, allora!" la esortò lui, alzandosi e porgendole la mano, "Rispediamo il culo di quella stronza tra le fiamme del Tartaro!"
 
 
Quello che successe dopo, Lia non lo ricordò mai: era una furia, nel vero senso della parola.
Mattoni e pezzi di asfalto volavano da ogni parte, sciabole, coltelli e lance si infilzavano nei corpi cavernosi dei mostri, mentre i suoi amici le davano man bassa.
Oh si, lei avrebbe ucciso quella stronza di Partenope, fosse stata anche l'ultima cosa che avrebbe fatto: la lancia del Palladio brillava nelle sue mani, pronte per trafiggere il corpo di Partenope appena se ne fosse presentata l'occasione.
Schivò l'attacco di una dracena, pugnalandola alle spalle, mentre il suo avatar di fiamme a forma di leone sbranava e mordeva tutto ciò che trovava davanti a sé e, come in una sorta di danza pericolosa, si stava avvicinando sempre più alla sirena, passo dopo passo.
Partenope non faceva altro che ridere e Lia non capiva come non facesse a staccarsi la mandibola dalla faccia a furia di tutte quelle risate, ma immaginò che, seppur molto antica, Partenope fosse passata da un chirurgo plastico prima di tornare a fare botte sulla terra: anche se era la nemica in questione, Lia non poteva non dire che la sirena era bellissima.
Ok, era abbigliata in maniera molto osé e da battaglia, ma la figlia di Ecate avrebbe fatto carte false per quei capelli, quel viso e quelle gambe: si muoveva con grazia perfetta, ogni suo movimento era coordinato al respiro del vento, mentre le sue lame falciavano qualunque cose trovasse sul suo cammino.
Bene, Lia stava uscendo di testa se cominciava a pensare come una figlia di Afrodite in quel momento.
Quando fu a pochi metri da lei, cacciò quello che gli altri chiamarono urlo e lei, invece, riconobbe con l'ululato profondo di un lupo arrabbiato, molto arrabbiato: Archie era accanto a lei e, per la prima volta dopo settimane, giorni, Lia capì quanto tenesse a quel ragazzo, a quel suo sorriso da folletto, al suo temperamento folle e alla cotta che provava per lei.
Rise.
"In quanti siete rimasti?" chiese Partenope, schernendola e sorridendo nel suo solito modo perfetto, facendo finta di contare, "Ops, sette semidei contro di me? Solo sette?" chiese, trattenendo una risata sguaiata.
Lia fece tremare il terreno con la sua lancia.
"Dimentichi che io ho questa." disse, fredda, mentre il suo avatar a forma di leone si slanciava verso la sirena e veniva disintegrato.
Rise.
"Quella non è niente, se non sei in grado di usarla, figlia di Ecate." la derise, avvicinandosi di qualche passo, "Chi preferisci che muoia per primo, mia cara?" le chiese, "Visto che sei così combattiva posso farti l'onore di morire per ultima oppure ... renderti mia schiava, si, sarebbe perfetto, non credi?" domandò, buttandosi alle spalle la sua chioma bionda.
Lia strinse i denti.
"No, grazie. Non sono interessata alla tua richiesta, se vuoi saperlo." commentò, acida, la cosa che le riusciva meglio, "Ma mi faresti un grande favore se riportassi le tue chiappe nel Tartaro o ti spedirò io stessa e, credimi, farà male."
Partenope fece un suono di disapprovazione con la lingua.
"Ho capito, preferisci morire per prima." decretò, perdendo tutta la sua grazia, "Ti accontento."
Fu su Lia prima che lei potesse pronunciare un qualsiasi incantesimo di difesa, atterrandola e cadendole sopra, la spada a pochi centrimetri dal suo collo, poco prima che Lia non la facesse sobbalzare e schiantare contro una delle colonne portanti del ponte su cui avevano combattuto.
La sirena partì di nuovo all'attacco, mentre Lia proibiva ad Archie di aiutarla in alcun modo.
"Me la caverò." promise, cospargendo il ponte di piante velenose che non fecero nemmeno il solletico, alla sua nemica.
"Vuoi il gioco duro?" le chiese lei.
"Accomodati." rispose Lia.
Le loro lame cozzarono l'una contro l'altra: Lia, seppur non era molto esperta nel combattimento con la lancia, riuscì a tenerle testa, arrivando quasi al suo cuore, venendo sbalzata, poi, oltre la visuale della sirena.
Sputò saliva mista a sangue e caricò di nuovo, quando Archie la superò di corsa e si fiondò contro la sirena, strizzandole l'occhio: Lia avrebbe voluto ucciderlo, ma si proibì di pensare alla sua morte dato che aveva già perso troppo amici e non poteva perdere anche lui.
Archie era un degno figlio di Nike: in poco tempo riuscì a destabilizzare la sirena, anche se lei era molto veloce, e fece sfuttare a Lia un'istante, un unico istante, per lanciare la lancia.
La figlia di Ecate seguì la traettoria con lo sguardo, pregando gli dei che funzionasse, quando tutto andò storto: Archie venne sbalzato via, Partenope afferrò la lancia e la strinse in pugno, spezzandone l'asta e gettandola a terra.
"Ve l'avevo detto che non c'era speranza."
Speranza.
Quando il mondo sembrò farsi tutto buio, Lia intravide un barlume di speranza, un unico barlume di speranza, riposto in Selene: la figlia di Morfeo sfrecciò sull'asfalto, afferrrando la punta della lancia e conficcandola nelle spalle di Partenope.
Il terrore fu l'unica emozione che si dipinse sul volto della sirena, poco prima che cadesse a terra e svanisse, lasciando solo la sua carcassa come spoglia di guerra.
Un grido di vittoria accompagnò la sua dipartita: era finita, era davvero finita.
 
 

 
Epilogo
 
 
Gli addi furono tanti, troppi, forse: bruciarono i drappi di Warren, rosso con il chinghiale nero, quello grigio di Luke e uno viola per Hope. Le fiamme del falò erano nere, così come l'umore del campo.
Anche Chirone non aveva voglia di scherzare, com'era il suo solito.
Daphne e Bashir poterono finalmente stare insieme e il figlio di Tanato convinse la figlia di Afrodite a trasferirsi al Cairo, la sua terra natale, lasciando il campo per sempre.
Lia ed Archie si buttarono in una relazione nuova, per loro, lasciando che il tempo decidesse se questa potesse durare o meno, anche se Lia era convinta che fosse davvero così visto che non era mai stata al settimo cielo come allora.
Jake e Liz si trasferirono a New York, sufficientemente vicini al campo, ma in modo che avessero la possibilità di vivere una vita tutta loro: ebbero due bambini, uno albino come il padre, l'altra mora come la madre.
Vissero assieme per lungo tempo.
E Selene?
Lei è sempre rimasta al campo, a ricordare ai novellini quella storica battaglia in cui perì il suo amato Warren e in cui lei perse per sempre la sua unica occasione di scoprire l'amore.
 
 
The End.
 
- - - 
 
*panda's corner*
Oddio, scusate se vi ho fatto aspettare così tanto, ma ... eccomi qui çwç
Questo è davvero l'ultimo capitolo.
Non so quanta gente si fili ancora questa storia, ma io ci ho messo tutto me stesso per scriverla e per concluderla ed è la prima, gente, la prima che termino!
Quindi non posso non essere felicissimo :D Ok, ho fatto morire 3 personaggi su 10, ma amatemi xD Ne dovevo far morire 4, quindi u.u
Non so che altro dire: non mi sono mai piaciuti gli addi, ma, effettivamente, anche se virtuale, questo è un addio çwç
Sono trascorsi 4 mesi da quando ho cominciato questa storia e non posso non ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito, preferito, ricordato o semplicemente letto silenziosamente .____.
Mi mancherete tantissimo :( E poi non sto piangendo, mi è solo entrata Nagini in un occhio ç_____ç
Grazie di tutto e ... goodbye :3

 

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