Young Gods di Fiamma Erin Gaunt (/viewuser.php?uid=96354)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap 1 ***
Capitolo 3: *** Cap 2 ***
Capitolo 4: *** Cap 3 ***
Capitolo 5: *** Cap 4 ***
Capitolo 6: *** Cap 5 ***
Capitolo 7: *** Cap 6 ***
Capitolo 8: *** Cap 7 ***
Capitolo 9: *** Cap 8 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Hellen
era seduta sulla sua brandina, gli occhi
puntati sul soffitto coperto dalla spessa imbottitura che si trovava in
tutte
le stanze del centro d’igiene mentale per adolescenti Saint
Brutus. Udì il
rumore metallico dello spioncino che veniva fatto scorrere, ma rimase
immobile,
fingendo di essere addormentata. Lei era una di quelli che al centro
venivano
definiti “casi irrecuperabili”, i medici e gli
inservienti la controllavano più
o meno ogni ora, temevano che se lasciata troppo da sola potesse
sviluppare
idee suicide. Quello che non capivano era che lei non era pazza; no, di
questo
era assolutamente certa… lei vedeva davvero quelle cose.
-
Hellen. Tesoro, sei sveglia? –
La
voce della signora Warner, una delle infermiere
più anziane che con lei si era dimostrata sempre
incredibilmente gentile,
accompagnò il cigolio dei cardini della porta.
Voltò leggermente la testa verso
di lei e le puntò contro le iridi violacee che tanto
inquietavano il personale
e gli altri ragazzi.
-
C’è una visita per te, mia cara. –
Aggrottò
la fronte. Lei non riceveva visite. Mai.
-
Non ho nessuno che potrebbe venirmi a fare visita.
– replicò, la voce pacata che non tradiva alcuna
inflessione.
-
C’è una signora che vorrebbe parlare con te,
potresti sentire cosa ha da dirti. – insistette gentilmente.
Hellen
sapeva perfettamente che quella donna provava
un senso di compassione per lei. La povera orfanella con le rotelle
fuori
posto.
Si
alzò e la seguì docilmente. Non le interessava
chi fosse o di cosa volesse parlarle, ma era sicuramente meglio di
passare il
resto della giornata chiusa fra quattro mura. Le giornate al Saint
Brutus
seguivano uno schema rigoroso: sveglia, colazione, lezione e poi di
nuovo nelle
stanze dove venivano serviti i pasti; le interazioni tra i ragazzi
venivano
limitate all’orario scolastico e anche in quel modo non si
era mai sicuri di
riuscire a limitare i danni. La cosa non dava fastidio a Hellen; le
piaceva il
silenzio e non le pesava la solitudine. Ovviamente c’era da
considerare anche
il fatto che il resto degli ospiti dell’istituto la evitava
come la peste,
mentre un piccolo gruppetto le aveva affibbiato il soprannome
“Cole”, come il
bambino del “Sesto Senso”, e si divertiva a
prenderla in giro.
Sì,
perché la sua peculiarità era quella di vedere i
defunti. Era cominciato tutto tredici anni prima, quando il nonno era
morto e
lei aveva affermato di continuare a vederlo in giardino; inizialmente i
suoi
genitori avevano imputato la cosa a una suggestione infantile dovuta
dal
desiderio di rivedere il caro defunto, ma poi la cosa era degenerata.
Ora, a
diciotto anni appena compiuti, Hellen non solo era in grado di vedere
le anime
che vagavano sulla Terra, ma riusciva persino a capire se una persona
era in
punto di morte o aveva ancora anni da vivere. La morte dei suoi
genitori non
era stata una sorpresa, l’aveva prevista mesi prima e la sua
unica replica
all’agente che era stato incaricato d’ informarla
del decesso era stata: “Lo
sapevo”. L’errore fatale era stato quello di
confessare allo strizzacervelli da
cui l’aveva spedita la sua famiglia adottiva ciò
che riusciva a fare. E ora
eccola lì, rinchiusa in una stanza dalle pareti imbottite e
tenuta sotto
sorveglianza anche quando andava in bagno.
Entrò
nell’ampio salone adibito a sala ricreativa e
luogo d’incontro. Era una stanza dipinta con un
bell’ azzurro cielo e ricordava
l’aula di un asilo nido: oggetti esclusivamente in gomma e
plastica, niente
bordi taglienti né qualsiasi cosa che potesse nuocere alla
salute di coloro che
si trovavano nel centro, ospiti o visitatori che fossero. La signora
Warner le
indicò il tavolo nell’angolo, quello dove si
sedeva durante la sua ora di
libertà. Amava quel posto, era riservato e tranquillo e
dalla finestra in plexiglass
si godeva una vista meravigliosa.
Volse
lo sguardo sulla donna che le sedeva davanti.
Era più giovane di quanto avesse pensato, di sicuro non
doveva aver superato la
trentina, e sembrava avvolta da un’aura di saggezza. I
capelli castani le
arrivavano alle spalle e gli occhi erano color perla e creavano
l’illusione di
un volto abituato a portare gli occhiali, eppure non ce n’era
traccia.
Indossava un completo dello stesso grigio degli occhi e sembrava
stranamente
impacciata in giacca e pantaloni, come se non fosse affatto abituata a
portarli.
-
Piacere di conoscerti, Hellen, io sono Manto. –
esordì, sorridendole con aria amichevole e stando attenta a
mantenere il
contatto visivo.
-
Cos’è una nuova psichiatra, quell’idiota
benintenzionato del dottor Phillips si è già
arreso? –
Udì
lo sbuffo di rimprovero della Warner, ma non se
ne curò.
-
Sei schietta, è una dote che apprezzo. No, non
sono una psichiatra e per quanto mi riguarda non credo che tu ne abbia
bisogno.
Sono una professoressa e sono qui per offrirti la
possibilità di un’istruzione
superiore. Immagino che qui impariate solo lo stretto indispensabile.
–
aggiunse, esaminando con aria accigliata la stanza in cui si trovavano.
-
Non le hanno detto che non si perde tempo a
insegnare ai matti, professoressa? – replicò
beffarda, sforzandosi di
nascondere la frustrazione che era trapelata dalla sua voce.
Manto
sorrise, sembrava che avesse toccato il tasto
giusto.
-
La scuola in cui lavoro si occupa di giovani
talenti come te, Hellen, e mi piacerebbe moltissimo averti con noi.
–
-
Dunque stiamo parlando di una scuola per pazzi, ci
usate come cavie da laboratorio o cos’altro? –
Quella
ragazza era un osso più duro di quanto avesse
immaginato, forse avrebbe dovuto ascoltare Chirone e
lasciare che se la sbrigasse lui. Scosse la
testa. No, aveva detto che ce l’avrebbe fatta e
così sarebbe stato, doveva solo
ricordarsi di chi era figlia l’adolescente che aveva di
fronte.
-
Io trovo che sia meglio essere pazzi che noiosi;
dietro a ciò che per molti è follia spesso si
nasconde il vero genio, non sei
d’accordo? –
Hellen
si mordicchiò il labbro con aria assorta.
Dove voleva andare a parare?
-
Credo che abbia ragione, ma non mi ha ancora
spiegato cosa dovrei fare in questa scuola. –
Manto
le rivolse l’ennesimo sorriso, ottenendo in
risposta una scrollata di spalle. Il messaggio era chiaro: per ora
l’aveva
convinta, ma era ancora troppo presto per abbassare la guardia.
Spazio
autrice:
Ragazzi
e ragazze, eccoci qui con la mia prima long
su Percy Jackson. Oltre a ciò sarà anche una
storia interattiva, con un numero
limitato di personaggi OC che potrete introdurre nella storia. Parto
specificando che gli Dei di cui tratteremo saranno:
-
Egizi;
-
Norreni.
Questo
perché di semidei greci e romani ne abbiamo
decisamente a bizzeffe e li adoro tutti e troppo per metterli in
secondo piano.
Qui sotto troverete una lista di divinità dei vari pantheon
prenotabili da una sola persona
(inserendo la vostra
prenotazione nella recensione). La scheda pg andrà mandata
entro ventiquattro
ore dalla prenotazione (o il posto tornerà a essere libero)
tramite messaggio
privato.
Potete
scegliere tra le seguenti divinità:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
La
scheda da compilare sarà la seguente:
Nome:
Cognome:
Sesso:
Età:
Luogo
di provenienza:
Descrizione
fisica e caratteriale:
Breve
storia personale:
Eventuali
amicizie/parentele:
Direi
che è tutto. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 2 *** Cap 1 ***
Cap
1
-
Allora, Hellen, sei dei nostri? –
-
Come sapevate dove mi trovavo e cosa ero in grado
di fare? – indagò. Se proprio doveva andare con
quella donna voleva avere delle
risposte.
-
Non sapevamo cosa fossi in grado di fare, i doni
variano da persona a persona, ma conoscevo tua madre e non ti ho mai
perso di
vista nel corso degli anni. –
Quella
donna aveva conosciuto sua madre? Eppure non
le sembrava di averla mai sentita nominare, non in sua presenza per lo
meno.
-
Conosceva anche mio padre? –
L’espressione
di Manto si fece improvvisamente cupa.
Non c’era più neanche un briciolo
dell’entusiasmo che aveva manifestato fino a
quel momento.
-
Sì, conoscevo anche tuo padre, ma non sono mai
stata esattamente una sua fan. – ammise, sorridendole con
aria di scuse.
Hellen
apprezzò la sincerità. Chiunque altro al suo
posto avrebbe cercato di nascondere la scarsa simpatia che provava nei
confronti dell’uomo, se non altro per un atto di mera
cortesia, ma Manto non
sia era fatta problemi a essere sincera con lei.
-
Penso che mi fiderò di lei, non mi dia motivo di
pentirmene. – decretò, fissandola con decisione
nelle iridi perlacee.
La
donna annuì, tornando all’espressione serena e
gioviale di poco prima.
-
Verrai con me? – le chiese gentilmente.
Doveva
accettare? Lo desiderava così tanto che le
sembrava quasi di fare violenza a se stessa rimanendo lì,
seduta in silenzio.
Doveva esistere un posto per persone come lei, dove gli altri non li
vedessero
come matti o fenomeni da baraccone scappati dal circo più
vicino. E poi c’era
la possibilità di imparare a controllare il suo dono. Fino a
quel momento le
anime si presentavano davanti a lei senza
il minimo preavviso, spesso non si rendeva neanche conto di trovarsi
davanti un
defunto finchè le persone che le erano vicine non
annunciavano di non vedere
nulla. C’era un modo per controllare tutto questo? Non lo
sapeva, ma se
esisteva doveva di sicuro trovarsi in quel posto.
-
Verrò. –
Gli
occhi color perla di Manto s’illuminarono: - Ne
sono davvero felice. Ti aspetterò qui, vai a prendere le tue
cose. –
Le
strinse delicatamente le mani, cercando di
metterci dentro tutta la sua solidarietà e la promessa di
esserle accanto, poi
lasciò che l’infermiera la riportasse nella sua
stanza e la seguì con lo
sguardo. Doveva ammettere che in lei c’era molto
più di Margareth di quanto si
fosse aspettata, anche se il carattere schivo e
l’impassibilità dei suoi occhi
ricordava molto quella paterna. Sbarrò il nome dal foglietto
di carta che
teneva in tasca.
E così anche
l’ultimo semidio era stato trovato.
*
Passarono
il resto del viaggio in silenzio, poi il
taxi abbandonò la strada principale e sbucò su
una stradina di campagna.
Proseguirono per una decina di miglia finchè non giunsero in
un piazzale.
Hellen sgranò gli occhi. Finalmente capiva cosa intendeva
Manto quando aveva
parlato di qualcosa di simile all’aeroporto.
-
Abbiamo a disposizione un elicottero?! –
-
Abbiamo un elicottero. – confermò, sorridendo
davanti allo stupore della sua nuova allieva.
Il
tassista si offrì di caricare i loro bagagli e,
dopo aver intascato una mancia assurdamente generosa che sicuramente
aveva lo
scopo di invogliarlo a dimenticare di aver lasciato due giovani donne
nel bel
mezzo della campagna in compagnia di un elicottero e un pilota,
tornò alla
macchina e riprese la strada da cui era venuto.
Dalla
cabina di pilotaggio si affacciò un ragazzo
che doveva avere la stessa età di Hellen. Aveva i capelli
rossi, gli occhi
azzurri e il volto dai tratti affilati che ricordava quello di un
folletto.
Rivolse un rispettoso inchino all’indirizzo di Manto e
scoccò un’occhiata
incuriosita all’indirizzo della ragazza.
-
E così sei tu la nuova arrivata. Sai, per un
attimo ho temuto che fossi una specie di emo o una dark o qualcosa del
genere,
invece sei decisamente poco lugubre. –
Manto
gli rivolse un’occhiata di rimprovero che ebbe
il potere di farlo zittire e fargli abbassare lo sguardo. Non sembrava
affatto
pentito però, considerò la ragazza, visto che sul
volto era comparso un sorriso
malandrino.
-
E tu cosa saresti, una specie di folletto troppo
cresciuto? – lo punzecchiò a sua volta. Non aveva
la minima intenzione di
lasciarsi mettere a disagio da uno sconosciuto.
La
donna sorrise divertita, lasciandoli alla loro
piccola schermaglia. Forse una volta tanto qualcuno sarebbe riuscito a
rimettere al suo posto Zephyr.
-
Uhm, tagliente come un rasoio. Io sono Zephyr,
figlio del Dio Amon, e momentaneamente retrocesso a vostro pilota
personale. –
-
Hellen. –
-
Hell… appropriato, decisamente appropriato. –
L’aveva
appena chiamata Inferno?! Insomma, che
problemi aveva quel ragazzo?
-
Hellen. – scandì lentamente.
-
Sicuro, Hell, l’avevo capito. –
Oh,
insomma, questa poi: ci faceva o c’era?
-
Hellen… non Hell, Lene, Helly o qualsiasi altro
nome ti passi per la testa! –
Il
ragazzo la guardò come se le avesse dato di volta
il cervello e non riuscisse proprio a capire cosa ci fosse che non
andava.
-
D’accordo, datti una calmata o ti salteranno le
coronarie. Volevo solo essere gentile e darti un soprannome.
– bofonchiò
contrariato, tornando in cabina e chiudendosi dietro la porta.
Hellen
raggiunse Manto e le sedette accanto. Notò
che la donna faticava nel trattenersi dallo scoppiare a ridere.
-
Fa sempre così quello? – esordì
scontrosa,
allacciandosi la
cintura e alzando la
voce per contrastare il rumore delle eliche che venivano messe in moto.
-
Ogni tanto, Zephyr è un tipo piuttosto esuberante,
ma nessuno sa volare come lui. –
Quindi
non aveva detto tanto per dire, avrebbe
davvero viaggiato su un elicottero facendosi trasportare da un ragazzo
che
aveva la sua stessa età.
Manto
sembrò leggerle nel pensiero e le strinse la
mano con aria rassicurante: - Non preoccuparti, sa quello che fa.
–
Annuì,
deglutendo nervosamente. Lo sperava sul serio
e, cosa ancora più importante, si augurava che il suo mal
d’aria non le facesse
vomitare sul sedile tutta la colazione.
-
Sua infernalità sta gradendo il volo? – intervenne
Zephyr, sbucando dalla cabina e sedendosi davanti alle due donne.
Hellen guardò
fuori dal finestrino, decisa a non lasciarsi
coinvolgere dall’ennesimo strano battibecco. Lo
sguardo le cadde verso
il basso; era normale che si avvicinassero alla superficie del mare a
una
velocità così elevata?
-
Zephyr, l’elicottero! – esclamò,
nell’istante
esatto in cui si rese conto che stavano precipitando.
Il
figlio di Amon si battè la mano sulla fronte e
annunciò: - Ho dimenticato d’inserire il pilota
automatico. - Sfrecciò
verso la cabina e una manciata di
secondi più tardi l’elicottero cominciò
a scendere dolcemente verso la pista
d’atterraggio dell’isola sotto di loro.
-
Se mi tornasse in mente l’idea di salire su un
elicottero pilotato da te ricordami di non farlo. –
borbottò Hellen, mettendo
finalmente piede sulla terra.
-
Quanto sei esagerata, non ci siamo nemmeno
schiantati e stiamo tutti bene; sai come si dice, bisogna spaccarsi le
ali un
paio di volte prima d’ imparare a volare. –
-
Dalle mie parti invece si dice: rifallo un’altra
volta e ti spacco quella faccia da folletto che ti ritrovi. –
-
Brrrr. Dimmi, è una cosa di famiglia essere così
violenti e melodrammatici? –
Non
capiva a cosa si stesse riferendo, ma qualcosa
le diceva che con quel ragazzo sarebbe sempre stato così.
Manto
la prese sottobraccio e la indirizzò
gentilmente verso il sentiero in candida ghiaia che portava alla
costruzione
più vicina. Si trattava di un edificio di un bel blu che
aveva tutta l’aria di
essere usato molto poco.
-
Questa è la zona degli uffici del personale; non
dovresti trovarti qui, a meno che tu non abbia combinato qualche guaio.
Lì in
fondo c’è la cucina, e la mensa è
divisa su quattro livelli: il giardino
pensile, la terrazza sull’oceano, i tavoli sul tetto e la
sala interna. Di
solito ogni Casa ha il suo spazio per mangiare con i proprio compagni,
ma
nessuno ti vieta di cambiare posto se lo desideri. Dall’altra
parte del campus
trovi i dormitori e le stalle, infine, gli edifici che vedi a Est sono
rispettivamente lo spazio adibito alle aule e all’Arena.
–
-
Perché non scegli una camera? Sono sicura che
nella Prima Casa troverai Peter, è lui che si occupa
dell’organizzazione del
vostro dormitorio. – la invitò poi, indicandole
l’edificio più a Nord di tutti.
Si
trattava di una costruzione composta da due
piani;era la più imponente tra quelle che la circondavano e
le pareti erano
dipinte di un bel rosso. Impressa su una delle facciate c’era
uno stendardo
gigantesco raffigurante un cobra.
Raggiunse
l’ingresso, bussando un paio di volte.
Stava giusto per arrendersi e provare a cercare altrove, quando la
porta venne
aperta con un vigore tale che fu solo grazie alla sua prontezza di
riflessi che
non la prese dritta in faccia.
-
Peter, cabrón,
¿qué diablos es lo que quieres ahora? –
Sulla
soglia stava una ragazza più alta di lei di una decina di
centimetri, con
lunghe onde corvine e la carnagione olivastra che tradiva la chiara
impronta
messicana.
Già,
peccato solo che lei non capisse una parola di spagnolo. Anzi,
l’unica cosa che
aveva capito da quella frase era che: punto primo, il Peter che cercava
lei non
era nella Casa e che, punto secondo, la ragazza non doveva andarci
molto d’accordo.
-
Tu non sei Peter. – disse d’un tratto, puntando
gli occhi scuri nei suoi violacei e scrutandola dalla testa ai piedi.
– Ora che
ti guardo meglio, devi essere nuova, perché non ti ho mai
vista in giro. –
-
Già. Sono appena arrivata e sono stata mandata qui
a cercare Peter per una sistemazione. –
-
Bè, Peter non c’è. Lo trovi
all’Arena. –
L’aveva
vista passando, ma non era certa di riuscire
a ritrovarla. Il suo senso dell’orientamento non era
granchè e a ciò si
aggiungeva il fatto che era la prima volta che si trovava in quel posto.
-
Ti dispiacerebbe portarmici? –
La
ragazza alzò gli occhi al cielo, borbottando
qualcosa in spagnolo, ma annuì e
s’incamminò prima ancora di darle il tempo di
registrare il suo assenso.
L’Arena
distava un centinaio di metri da dove si
trovavano. Si trattava di una vera e propria riproduzione in scala
ridotta del
Colosseo romano. Hellen lo sapeva perché i suoi genitori
l’avevano portata a
visitare la città eterna quando aveva solo otto anni e il
senso di soggezione
che le aveva suscitato quella costruzione imponente e magnifica
riviveva ancora
chiaramente nei suoi ricordi. Al centro della costruzione, ricoperto da
un
sottile strato di sabbia, c’era la zona in cui si stavano
sfidando due ragazzi.
Uno di loro, dal fisico imponente e i capelli di un castano dorato che
ricordavano i raggi del Sole, schivava ripetutamente i colpi di spada
del suo
avversario, un tipo dai capelli neri come il carbone e
l’espressione divertita
dipinta sul volto. Riusciva chiaramente a vedere i denti bianchissimi
che scintillavano
quando rivolgeva allo sfidante quella sua versione a metà
tra un ghigno e un
ringhio. Si muoveva con un’energia rabbiosa e menava fendenti
che facevano
fischiare l’aria.
-
Quelli sono Jack e Peter. Non sono i tipi di
ragazzi per i quali ti consiglierei di prenderti una cotta. –
Hellen
arrossì lievemente. Non aveva pensato neanche
per un istante all’idea di … Sì,
insomma, ora che li guardava bene si rendeva
conto di quanto fossero affascinanti. Peter aveva gli zigomi alti e la
mascella
decisa, gli occhi erano di uno strano grigio liquido e i capelli
corvini gli
ricadevano sugli occhi dandogli un’aria di distratta
eleganza; Jack invece
aveva quel meraviglioso colorito dorato che era tipico delle persone
che
passavano molto tempo all’aperto e aveva gli occhi
più incredibili che avesse
mai visto, un turchese dai riflessi elettrici. E poi c’era
quell’alone di pericolo
che sembrava avvolgerli. Non era mai stata una di quelle ragazze che
perdevano
la testa per un ragazzo la prima volta che lo vedevano, figurarsi per
due, ma
quei ragazzi l’affascinavano più di quanto
riuscisse a comprendere.
Furono
proprio quelle incredibili iridi turchesi a
posarsi su loro.
-
Abbiamo visite. – annunciò, sorprendendola con il
suo lieve accento. Sicuramente qualcosa del Nord Europa, probabilmente
norvegese.
-
Ria, perché non vieni a presentarci la tua nuova
amica? – la esortò, tirandosi indietro giusto in
tempo per schivare l’affondo
del compagno. – Ehy, non vale, ero distratto. –
Il
moro gli rivolse un’occhiata sarcastica: - Oh, le
mie scuse. -, poi lo aggredì nuovamente e questa volta gli
procurò uno strappo
all’altezza della spalla.
-
Pensa a combattere, Jack, avrai tutto il tempo di
provarci con la novellina. –
Jack
storse il naso in una comica espressione di
disappunto e replicò colpo su colpo agli assalti
dell’amico. Un preciso colpo
di taglio di Peter gli fece sfuggire l’ascia di mano, che
s’impennò nel cielo e
ricadde a un paio di metri di distanza; la spada del ragazzo
guizzò verso la
sua gola, fermandosi a un paio di centimetri dalla carotide.
-
Morto. – decretò. Il ghigno feroce si
trasformò in
uno di assoluto compiacimento. Anche questa volta aveva vinto, era lui
il
migliore.
Con
uno sbuffo rassegnato Jack stese la mano in
direzione dell’ascia e questa volò dritta da lui;
la ripose nel fodero che
portava alla cinta, poi si diresse verso le ragazze che nel frattempo
si erano
sedute sui gradoni in marmo. Hellen, che fino a quel momento era stata
completamente presa dall’incontro, sobbalzò
leggermente quando si trovò davanti
quegli occhi così particolari.
-
Scusami, non volevo spaventarti. – le sorrise,
porgendole la mano e flettendo il braccio per mettere in risalto il
guizzare
dei muscoli possenti. Aveva i muscoli più sviluppati che
avesse mai visto su un
adolescente. – Sono Jack, figlio di Thor. –
-
Hellen, figlia di Osiride. –
Ricambiò
la stretta, sforzandosi di non apparire
turbata per la forza che sentiva irradiare; era una specie di scarica
elettrica, come se quel ragazzo fosse letteralmente fatto di fulmini.
-
E così questa dovrebbe essere la figlia di Osiride?
Come si sono ridotti i potenti. –
Ria
aveva ragione, quel ragazzo andava evitato, ma
non per le ragioni che le aveva elencato. No, il motivo per cui era
meglio non
averci niente a che fare lo aveva capito in quell’istante:
Peter era uno
stronzo. Era abbastanza certa che fosse anche più di quello,
addirittura uno
con la S maiuscola.
-
Sì, sono sua figlia. La cosa ti crea forse qualche
problema? –
Aveva
imparato a tenere testa ai tipi come lui; non
era facendo l’agnellino che l’avrebbe rimesso al
suo posto quindi tanto valeva
tirare fuori l’artiglieria pesante e fargli capire subito che
lei non era una
ragazzina spaurita. Era nuova in quell’ambiente, certo, ma
questo non lo
autorizzava a deriderla.
Il
ghigno che le rivolse le fece perdere un po’
della sua tempra. Era maledettamente inquietante e lui sembrava esserne
perfettamente a conoscenza.
-
Uh, la novellina tira fuori gli artigli. Coraggio,
vediamo cosa sai fare. –
Le
porse una delle spade che teneva incrociate sulla
schiena con aria di sfida. Inarcò solo impercettibilmente un
sopracciglio
quando lei si alzò per afferrarne l’elsa.
-
Non credo sia una buona idea. – le sussurrò
all’orecchio
Ria.
Certo
che non era una buona idea … era pessima,
tremenda e probabilmente avrebbe finito con il farsi male sul serio, ma
non
aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.
-
Fammi strada. –
Seguì
Peter e Jack nell’Arena, soppesando
nervosamente la spada che aveva tra le mani. Non aveva la minima idea
di cosa
dovesse fare. Cioè, aveva visto degli incontri di scherma in
tv, ma questo era
ben diverso da qualsiasi altra cosa. La lama
luccicava sotto i raggi del Sole pomeridiano e si tingeva
di un sinistro
color sangue dato dal tramonto che incombeva nel cielo. Non
potè fare a meno di
notare il sibilo dell’aria che veniva sferzata mentre
accennava qualche timido
fendente di prova. In che guaio si era andata a cacciare? Avrebbe
finito con il
farsi affettare come un salame … che razza
d’idiota!
-
Il trucco è rimanere concentrati. Pensa solo a
schivare per il momento, attendi un attimo di distrazione e colpisci
con forza.
Vedrai, andrà bene. –
Apprezzò
il debole tentativo di Jack, ma era poco
credibile che Peter dimenticasse per magia la sua esperienza di
spadaccino per
permetterle di metterlo fuori gioco.
-
Sì. Bè, cerca solo d’intervenire prima
che mi
uccida, ok? –
Annuì
con aria seria e si dispose tra loro due. Si
era offerto come arbitro per quella sfida e nessuno aveva trovato un
valido
motivo per opporsi alla sua auto candidatura.
-
Saluto. –
Avanzarono
l’uno verso l’altra, l’andatura
circospetta di chi attende la mossa dell’avversario e cerca
di non farsi
cogliere impreparato. Hellen chinò leggermente il capo e
Peter imitò il suo
gesto in modo impercettibile, sembrava quasi che la sua
testa fosse scattata in avanti contro la sua
volontà.
-
Siete pronti? – domandò Jack, scrutando prima uno
e poi l’altra.
-
Sono nato pronto. Piuttosto, novellina, sei sicura
di non volerti tirare indietro? È la tua ultima occasione.
–
Gli
rivolse uno sguardo gelido e per tutta risposta
rinsaldò la presa sull’elsa.
-
Sono pronta anche io. –
Jack
emise un sospiro rassegnato. Sembrava che non
fosse molto contento di come sarebbero andate le cose di li a poco.
-
A voi! –
Peter
attaccò all’istante, menando un fendente con
tutta la forza che aveva e facendo fischiare l’aria. Fu solo
grazie ai suoi riflessi
che Hellen riuscì ad abbassarsi abbastanza in fretta da
evitare il colpo. Per
la prima parte dell’incontro non fece altro che arretrare e
cercare di evitare
le stoccate sempre più insidiose del suo avversario,
riuscendo a limitare i
danni a un solo graffio all’altezza
dell’avambraccio.
-
Paura? –
Santi
numi, quanto avrebbe voluto cancellargli quel
ghigno dalla faccia a suon di pugni.
-
Ti piacerebbe. –
-
Non hai la minima idea di cosa mi piacerebbe. –
replicò bruscamente. Gli occhi grigi scintillarono di rabbia
per una frazione
di secondo.
-
No, hai ragione, e sono certa di non volerlo
neanche sapere. –
La
stoccata che la raggiunse la colpì al fianco e le
mozzò il respiro. Ecco fatto, ora sì che
l’avrebbe uccisa. Si portò una mano
alla ferita e sussultò leggermente;
l’avvicinò al viso come se non credesse a
quello che stava vedendo. Tutto quel sangue era suo?!?
-
Tempo! –
La
voce di Jack le giunse ovattata. Fantastico,
stava per svenire. Proprio nel momento in cui le gambe le cedettero,
avvertì un
paio di braccia muscolose che la cingevano delicatamente e le
impedivano di
cadere.
Quando riaprì
gli occhi si ritrovò sdraiata su un letto in quella che
aveva tutta l’aria di
essere l’infermeria del campo. Fece per mettersi a sedere, ma
venne respinta
sul materasso con decisione.
-
Non muoverti, la ferita non si è ancora richiusa.
–
A
parlare era stata una donna più vicina ai settanta
che ai sessanta, i capelli perfettamente bianchi erano raccolti in una
crocchia
severa e gli occhi di un gelido azzurro la fissavano con aria
contrariata.
-
Razza di scavezzacollo, mettersi a combattere
contro un figlio di Ra senza aver mai preso in mano una spada. Ci tieni
davvero
così poco alla tua vita, ragazza? –
Continuò
a borbottare qualcosa a proposito di quanto
fosse stata sconsiderata e della lavata di capo che sicuramente avrebbe
subito Peter.
Il suo sproloquio venne interrotto da un lieve bussare. Ria fece
capolino e
attirò l’attenzione dell’anziana donna.
Dietro di lei faceva capolino Zephyr.
-
Questa è un’infermeria o l’inferno?
– borbottò,
intravedendo il figlio di Amon.
-
Vista la tua presenza potrebbe essere entrambe le
cose. Comunque, pare proprio che Peter ti abbia affettata per bene.
–
-
Si sta riprendendo? – domandò la ragazza,
rivolgendosi all’anziana infermiera.
-
Molto rapidamente, per domani mattina sarà fuori
di qui, ma cercate di non stancarla troppo. –
Dal
modo in cui aveva parlato si capiva che le sue
parole fossero riferite in particolar modo a Zephyr.
-
È stata una ferita davvero brutta oppure ho fatto
la figura dell’idiota svenendo per niente? –
Ci
mancava soltanto che facesse la figura della
perfetta incapace già il primo giorno che trascorreva al
campo.
-
Se fossi stata umana saresti morta, ma sei una
semidea e non hai corso alcun rischio. Comunque Peter non avrebbe
dovuto
colpirti in quel modo, Manto lo ha convocato nel suo ufficio.
–
-
Il che è fantastico, si beccherà una strigliata
con i contro fiocchi. – profetizzò Zephyr. Dal
sorriso che gli solcava il volto
sembrava che anche lui non nutrisse una simpatia particolare nei suoi
confronti.
-
Non è fantastico
per niente, ci si aspetterebbe un po’ più di
giudizio da lui. Insomma, è l’Ulfric
del campo. –
-
Piuttosto, perché la sei venuta a trovare? Tu non
frequenti mai nessuno qui al campo. –
Zephyr
assottigliò lo sguardo ed esaminò Ria dalla
testa ai piedi, quasi volesse convincerla a confessare
chissà quale misterioso
segreto.
-
È determinata e coraggiosa, due qualità che
apprezzo. Ha sfidato Peter e nessuno lo fa mai. –
replicò.
-
Questo dimostra solo quanto sia impulsiva e
masochista, nulla di nuovo insomma. – replicò,
scrollando le spalle incurante.
-
Allora sei la ragazza impulsiva e masochista più
impressionante che abbia mai visto. Hai colpito tutti, anche Peter, e
ti
assicuro che non siamo affatto abituati a sorprenderci con poco.
–
Non
la stava prendendo in giro, era vero. La
novellina che sfidava il campione del campo doveva suonare in modo
maledettamente
avvincente, un po’ come il nerd di turno che cerca di fare a
pugni con il
quarterback della sua scuola. Una disfatta assicurata, ma anche una
bella prova
di coraggio.
-
Sei una tipa tosta, Hellen. È questo che mi piace
di te. –
Cercò
di contenere l’emozione nella voce. Era la
prima volta, dalla morte dei suoi, che qualcuno si prendeva il disturbo
di
farle un complimento. Probabilmente era una cosa incredibilmente
stupida, ma
per la prima volta sentiva di essere apprezzata per ciò che
era realmente. Lì
non sarebbe più stata Hellen “il fenomeno da
baraccone”, ma semplicemente
Hellen. La cosa le piaceva, eccome se le piaceva.
-
Io, bè … grazie, Ria. –
La
ragazza scrollò le spalle, sembrando quasi
vagamente imbarazzata. – Figurati. Ora è meglio se
ti lasciamo riposare, ci si
vede. –
Lei
e Zephyr uscirono dalla stanza insieme.
Rimasta
ormai sola, chiuse gli occhi e affondò la
chioma corvina nei due grandi cuscini che le erano stati sistemati
dietro il
collo.
La
stanchezza e gli avvenimenti della giornata le si
riversarono addosso all’improvviso e prima ancora di
rendersene conto scivolò
nel mondo dei sogni.
Spazio
autrice:
Buonsalve,
ragazzi e ragazze! In questo nuovo
capitolo ho presentato solo alcuni dei vostri OC perché
presentarli tutti e
dodici era un po’ complicato in un unico capitolo,
però con il prossimo
verranno introdotti anche gli altri. Spero che questo primo vero e
proprio
capitolo vi sia piaciuto e che vogliate farmi sapere che ne pensate.
Alla
prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 3 *** Cap 2 ***
Cap
2
Hellen
venne svegliata dai raggi del Sole che filtravano attraverso la
finestra e le
colpivano il viso. Si stiracchiò pigramente, sorprendendosi
di non avvertire
nulla più che un lieve indolenzimento nel punto in cui Peter
l’aveva ferita.
Tirò su il bordo della maglietta, esaminando il fianco. Al
posto del taglio non
c’era che una piccola cicatrice sbiadita.
-
Quella rimarrà, non c’è modo di
toglierla. –
La
voce di Egle, così aveva scoperto che si chiamava
l’anziana infermiera, la fece
sobbalzare.
-
Non fa niente, sarà un ricordo del primo giorno della mia
nuova vita. –
-
Manto vuole vederti dopo colazione, faresti meglio a sbrigarti.
– aggiunse la
donna, porgendole un cambio pulito.
Si
trattava di una divisa composta da un paio di pantaloni e una
maglietta,
entrambi neri, e un paio di scarpe da ginnastica dello stesso colore.
-
Devi appuntare questa sulla spalla. – le spiegò,
porgendole una striscia di
tessuto rosso che ricordava vagamente i gradi dell’esercito,
- E mettere questo
intorno al braccio. – aggiunse, consegnandole questa volta un
bracciale dello
stesso rosso della striscia e delle pareti della Prima Casa.
Era
uno di quei bracciali che non andavano portati al polso, ma poco sotto
la
spalla, e per il resto era estremamente semplice. Ora che ci pensava,
ricordava
di averne visto uno identico al braccio di Ria e a quello di Peter.
Si
vestì in fretta, concedendosi solo una rapidissima occhiata
allo specchio prima
di uscire. Le onde corvine erano scompigliate, la carnagione pallida
sembrava
più chiara del solito e gli occhi violacei spiccavano in
modo inquietante. Non
era decisamente il modo in cui aveva sperato di iniziare il primo
giorno
effettivo al campo.
Del
resto tutti sapevano della figuraccia che aveva fatto con Peter quindi
era ragionevole
pensare che nessuno si aspettasse l’ingresso di una top model
o qualcosa del
genere.
Incredibilmente,
riuscì a trovare la sala mensa al primo tentativo, ma una
volta arrivata si
trovò davanti all’ennesimo dilemma: dove mangiare?
Manto
le aveva detto che i ragazzi delle Case potevano decidere se mangiare
nella
propria zona oppure unirsi a quelli delle altre Case e la cosa non
l’aiutava
certo ad ambientarsi. Vagò con lo sguardo tra i tavoli, alla
ricerca del volto
familiare di Ria o della chioma rossiccia di Zephyr, ma non
riuscì a
identificare nessuno dei due.
Stava
giusto per rinunciare e scegliere un posto a caso quando la voce del
figlio di
Amon le giunse alle orecchie.
-
Ehy, sei qui. Ero passato in infermeria, ma Egle mi ha detto che te ne
eri già
andata. – Poi, notando che non aveva la minima idea di dove
sedersi, la prese
per un gomito e la indirizzò gentilmente verso la porta a
vetri che conduceva
in terrazza. – Noi mangiamo sempre sulla terrazza sul mare.
–
Non
gli chiese chi intendesse con “noi”. Non era il
momento di fare la schizzinosa
circa la scelta delle amicizie.
Cogliendola
di sorpresa, comunque, Zephyr la scortò fino a un tavolo in
cui erano sedute
quattro ragazze. Se era imbarazzato dal fatto di essere
l’unico maschio
presente non lo dava affatto a vedere.
Hellen
si accomodò, rivolgendo un cenno di saluto a Ria che sedeva
leggermente in
disparte e giocherellava distrattamente con le uova strapazzate che
aveva nel
piatto.
-
Ragazze, lei è Hellen Shadow. – la
presentò.
Si
stampò un sorriso sul volto, sforzandosi di non pensare a
quanto fosse
imbarazzante essere sotto l’esame di ben quattro perfette
sconosciute.
-
Loro sono Hannah, Skyler e Nives. – aggiunse, indicando
rispettivamente una
ragazza dai capelli rossi, le lentiggini e l’aria simpatica,
una dai lisci
capelli scuri e gli occhi di un castano con venature verde scuro e una
ragazza
dai capelli color cioccolato, che sotto la luce del sole assumevano una
sfumatura rossiccia, e grandi occhi a mandorla di un bel verde scuro.
-
Sei quella che ha combattuto con Peter, vero? – chiese Nives,
scrutandola dalla
testa ai piedi come se stesse cercando di farsi un’idea ben
precisa.
Probabilmente
si stava domandando se fosse coraggiosa fino alla stoltezza o fosse
semplicemente una povera stupida con manie suicide.
-
Già, sono quella che ha affettato. – ammise,
dipingendosi un sorrisetto forzato
sulle labbra.
Sembrò
sospendere il suo giudizio perché le rivolse
un’occhiata di superiorità e si
limitò a commentare dicendo: - Dovresti allenarti di
più se vuoi provarci di
nuovo. –
-
Non fare caso a lei. È socievole quasi quanto Peter, ma non
è cattiva. – le
sussurrò all’orecchio Zephyr.
Come
evocato dalle sue parole, il diretto interessato fece la sua comparsa e
passò
loro accanto, dirigendosi verso il tavolo al lato opposto del terrazzo,
dove
l’attendevano alcuni suoi amici.
-
Nives … novellina. – salutò, asciutto,
proseguendo senza dar segno di aver
notato la presenza del resto del gruppo.
-
Buongiorno anche a te, eh, simpaticone. – gli
gridò dietro Zephyr.
Peter
scosse la testa, evidentemente infastidito, ma non diede altro segno di
aver
sentito le sue parole.
Hellen
lo seguì con lo sguardo finchè non lo vide
prendere posto accanto a Jack,
scambiarsi un paio di pacche amichevoli con lui, e salutare gli altri
due
ragazzi al loro tavolo.
-
Chi sono quelli? – domandò, selezionando con cura
un paio di fette di bacon
molto croccante dal vassoio al centro.
-
Quello con gli occhi di quel mogano inquietante è Austin,
l’altro è Caleb e
fidati se ti dico che non vuoi avere niente a che fare con lui.
– li presentò
Ria.
-
È come Peter? –
-
Peggio. –
Faticava
seriamente a immaginare che al mondo potesse esistere qualcuno con un
carattere
peggiore di quel ragazzo, ma Ria sembrava una che pronunciava giudizi
sulle
persone solo quando sapeva il fatto suo e pertanto non aveva alcun
motivo di
dubitare delle sue parole.
-
Peter è okay se non sfidi la sua autorità.
È l’Ulfric e gli piace ricordarlo. –
aggiunse Hannah.
Era
la seconda volta che sentiva quel termine e non aveva ancora la minima
idea di
cosa significasse. La sua espressione doveva lasciarlo intuire
perché la figlia
di Bastet si affrettò a fornirle una spiegazione
dettagliata.
-
Al campo c’è una gerarchia piramidale. Al vertice
dell’organizzazione ci sono
l’Ulfric o la Geri, a seconda se al comando
c’è un ragazzo o una ragazza, sotto
di loro ci sono lo Skoll e l’Hati che relazionano per la
Prima e la Seconda
Casa, infine ci sono il Fenrir e il Freki che relazionano per la Terza
e la
Quarta Casa. Si diventa Ulfric portando a termine le missioni e
vincendo i
confronti con tutti gli altri residenti nel campo. Peter lo
è diventato tre
anni fa e da allora si tiene il titolo ben stretto. –
-
Ecco perché è così borioso,
è convinto di essere più in gamba di tutti noi.
–
borbottò Ria.
-
Quindi Peter è a capo, e gli altri livelli chi li occupa?
–
La
cosa si stava facendo interessante mano a mano che capiva i meccanismi
che
regolavano l’organizzazione della vita al campo, e
più cose imparava prima
avrebbe smesso di sentirsi un pesce fuor d’acqua.
-
Lo Skoll è Jack, mentre l’Hati è la
nostra Hannah. Il ruolo di Fenrir lo ha
assunto Austin e quello di Freki Annalisa. – concluse Zephyr,
indicandole una
ragazza che sedeva al tavolo con uno sparuto gruppetto a dir poco
eterogeneo.
La
diretta interessata era una ragazza che gridava
“California” da tutti i pori:
ricci capelli castani con tanto di shatush biondo, occhi verdi e tutte
le curve
al posto giusto. Forse sentitasi chiamata in causa, si voltò
verso di loro e
inarcò un sopracciglio perfettamente curato in una strana
espressione che
poteva essere definita come un misto di curiosità, orgoglio
e sfida.
-
Quindi tu sei un pezzo grosso qui al campo. – concluse,
rivolgendosi ad Hannah.
La
ragazza abbassò leggermente lo sguardo, mentre le guance
assumevano una
sfumatura più rosata.
-
Si potrebbe dire di sì, ma non mi piace vantarmene.
–
-
Avresti tutti i motivi per farlo. Diavolo, io mi
vanterei in
continuazione al posto tuo. – esclamò Zephyr,
facendole scoppiare tutte a
ridere.
Doveva
ammettere che stava cominciando a rivalutare quel folletto troppo
cresciuto;
non era poi male, se si faceva l’abitudine al suo sarcasmo
onnipresente, anzi,
cominciava a diventare una delle caratteristiche che apprezzava di lui.
-
Posso farti una domanda? –
-
Dimmi, principessa infernale. –
-
Per prima cosa non chiamarmi così. Per seconda:
perché passi il tuo tempo solo
con le ragazze? –
Zephyr
inarcò un sopracciglio, sorridendo malandrino.
-
Mi piacciono le ragazze. –
-
Okay, questo l’ho capito, ma intendevo perché non
stai al tavolo con i ragazzi
e cose così. –
-
Tra me e Peter non scorre buon sangue e per quanto riguarda gli altri
… bè,
Simon è okay, mentre Eric certe volte mi mette in
difficoltà, è troppo intelligente
e mi fa sentire stupido, quindi non sto neanche al tavolo con loro. –
Peter
e il suo gruppo scelse proprio quel momento per alzarsi dal tavolo e
passare
accanto al loro.
-
Ehy, freak, non ci sono proprio speranze che cominci a darti una mossa
e a
dimostrare di essere un uomo, eh? –
A
parlare era stato il ragazzo dal pallore inquietante che le era stato
presentato come Caleb. Scrutava Zephyr dalla testa ai piedi con aria
sprezzante.
-
Penso che inizierò a farlo quando tu dimostrerai al mondo di
non aver
abbandonato per strada quel poco cervello con cui sei nato. –
-
Te lo faccio vedere io chi ha abbandonato il cervello, freak del cazzo.
–
ringhiò, sporgendosi in avanti come per afferrarlo.
-
Caleb, piantala. Adesso. – ordinò Peter,
afferrandolo per una spalla e
tirandolo indietro.
Il
ragazzo gli rivolse un’occhiata furente. – Questa
ragazzina di un freak mi ha
insultato, vuoi che lasci perdere così? –
-
Freak e ragazzina significano la stessa cosa, Caleb tesoro, la mamma
non te
l’ha insegnato? – lo stuzzicò, malevolo,
Zephyr.
Caleb
fece per lanciarsi nuovamente contro di lui, ma trovò il
torace di Peter a
ostacolarlo.
-
Ho detto di no. Jack, portalo a farsi un giro e a darsi una calmata.
–
Il
figlio di Thor annuì, afferrandolo saldamente per un braccio
e trascinandolo
dietro di sé.
-
È sempre un piacere fare quattro chiacchiere con te.
– gli urlò dietro il
rosso.
-
Non puoi proprio fare a meno di provocarlo, eh? –
-
No, non posso. –
Peter
si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, e
puntò gli occhi grigi in
quelli di Hellen.
-
Allora, novellina, sei tutta intera? –
Hellen
annuì. – Sto a meraviglia, non si vede? –
-
Ho esagerato ieri, non avrei dovuto ferirti in quel modo. Comunque,
Manto vuole
che ti mostri la Casa, quindi seguimi. –
La
ragazza scambiò una rapida occhiata con Ria che
annuì, incoraggiante, come a
dire che non sarebbe potuto capitarle nulla di male durante quel breve
tour.
-
D’accordo, fammi strada. –
Raggiunsero
l’ingresso della Prima Casa in una decina di minuti.
Le
pareti interne erano tutte dipinte di rosso e presentavano decorazioni
serpentesche in ogni angolo. C’erano persino delle piccole
statue, in quello
che doveva essere ottone, che decoravano i basamenti delle colonne e le
cime di
librerie e armadi.
-
Ci sono altre tre Case: la seconda è l’edificio
interamente bianco con l’effige
del gatto, la terza quello giallo raffigurante lo scarabeo e la quarta
quello
grigio con lo sciacallo. Non è permesso dormire nelle altre
Case in alcun caso,
né entrarci se non si ha il permesso di chi vi risiede. Per
qualsiasi problema
parlane con Jack, con Hannah o con me. – concluse.
Hellen
annuì. Era tutto chiaro e sperava sinceramente di non aver
mai bisogno di
chiedere qualcosa a lui. Hannah le era simpatica e anche Jack non
doveva essere
poi così male, salvo il fatto di essere il migliore amico di
Peter a quanto
sembrava, ma il loro Ulfric continuava a non piacerle per niente.
-
Bene, ora che sai tutto, mi rimane da dirti una sola cosa: Manto ha
indetto una
riunione tra mezz’ora. Dobbiamo essere tutti presenti, pare
si tratti di
qualcosa di grosso, quindi non fare tardi, novellina. –
-
Ci sarò. –
-
Bene, allora direi che qui abbiamo finito. – concluse,
voltandole le spalle e
allontanandosi senza dire una parola.
-
Ehy, aspetta. –
-
Che cosa c’è adesso? –
-
Non mi hai detto che stanza posso prendere. – gli fece
notare, inarcando un
sopracciglio spazientita.
Di
sicuro Peter non era quello che si diceva un talento nato per fare da
guida ai
nuovi arrivati.
-
Una qualsiasi di quelle libere, scegli quella che preferisci, non fa
differenza. –
Quando
fu uscito, cominciò a ispezionare le stanze.
Oltrepassò
le prime cinque porte, tutte occupate, per giungere alla sesta e
trovare la
stanza perfetta. Il letto era a due piazze, a baldacchino, con drappi
rossi che
scendevano ai lati e s’intonavano al colore delle lenzuola e
del copriletto; la
finestra affacciava sul giardino sul retro ed era coperta da pesanti
drappi
che, neanche a dirlo, erano color sangue.
Dovevano
prenderla davvero sul serio quella faccenda del colore distintivo da
quelle
parti, considerò, mentre buttava in un angolo il borsone con
le sue poche cose
che le avevano lasciato all’ingresso della Casa.
Sarebbe
stata un’impresa occupare tutto quello spazio con i pochi
effetti personali che
aveva portato dal Saint Brutus.
Impilò
su uno scaffale i suoi libri preferiti, sistemandoli in ordine
alfabetico, e
infilò i jeans e le magliette in un cassettone
dell’armadio. Ci sarebbero
voluti anni per riuscire a riempirne uno così grande.
-
Sei ancora qui? –
La
voce di Nives la fece sussultare, cogliendola di sorpresa.
-
Non ti avevo sentita arrivare. –
La
figlia di Ullr sorrise, compiaciuta, come se le fosse stato fatto il
complimento più bello che le si potesse rivolgere.
-
Manto ci sta aspettando in Aula Magna, datti una mossa. –
Lasciò
perdere il resto dei bagagli e la seguì chiudendosi dietro
la porta.
L’Aula
Magna si trovava nella zona degli uffici della dirigenza del campo e,
contrariamente a quanto diceva il nome, non era poi così
grande. La platea era
disposta in forma circolare, con un piccolo spiazzo al centro in cui
era stato
sistemato un piccolo scranno.
Hellen
prese posto tra Ria e Hannah, osservando Manto che parlottava con un
ragazzo
dai capelli neri con una singolare sfumatura bluastra e gli occhi
azzurri come
il cielo primaverile. Non doveva essere molto più grande di
loro, forse un paio
d’anni, ma aveva un’aria solenne e saggia che la
intimidiva.
-
È Lars, l’Ur Mau di Ra, il Grande Veggente.
– spiegò Skyler, abbassando lo sguardo
imbarazzata quando il Veggente spostò lo sguardo verso di
loro, - Deve
trattarsi di qualcosa di parecchio grosso. –
Manto
si schiarì la voce, ottenendo come risultato
l’immediato silenzio di tutti i
presenti.
-
Il nostro Ur Mau ha un messaggio da comunicare, qualcosa che il Dio Ra
gli ha
sussurrato all’orecchio proprio stanotte. –
Si
rivolse poi verso Lars, chinando appena il capo in segno
d’assenso, come per
dargli il via libera.
-
Calcolando e tenendo in debito conto i giorni e le ore propizie
delle stelle di Orione e delle Dodici Divinità che le
reggono, ecco che esse
congiungono le mani palmo a palmo ma la sesta fra esse pende sull'orlo
dell'abisso nell'ora della disfatta del demonio. –
recitò, la voce fattasi
improvvisamente roca e impersonale, come se non fosse lui colui che
stava
pronunciando quelle parole.
Terminata
l’ultima parola, Lars boccheggiò alla ricerca
d’aria e
venne sorretto prontamente da Manto.
Hellen
si guardò attorno.
Skyler
era ammutolita, portandosi una mano davanti alla bocca, ma
a parte lei solo in pochi sembravano aver capito l’esatto
significato di quelle
parole.
-
Non è tutto qui. – aggiunse Manto, riportando
l’attenzione su di
sé, - Dal Campo Mezzosangue e dal Campo Giove giungono
notizie circa una
profezia pronunciata dal loro
Oracolo e dal loro Augure.
“Dodici
divinità,
dodici
costellazioni,
dodici
i mesi dell’anno,
dodici
gli eroi che
partiranno.
Una
la mano nata per
nobili azioni,
dotata
della divina
affinità,
vincerà
la piaga dell’umanità”.
–
Ora
si che tutti avevano perfettamente chiaro costa stesse accadendo.
-
Un’altra profezia sulla fine del mondo? Magnifico, cominciavo
ad annoiarmi. –
ironizzò Zephyr.
-
Questa è più che una semplice profezia. In tutte
le religioni esiste una fine
del mondo: per i greci e i romani è la caduta
dell’Olimpo, per gli egizi la
profezia del Libro dei Morti, per i norreni il Ragnarok, per i
cristiani l’Apocalisse.
Il fatto che siano tutte combinate nello stesso momento non
può portare a nulla
di buono. – replicò Eric.
Manto
annuì, perfettamente d’accordo con le parole del
figlio di Horus.
-
È per questo motivo che ho deciso che affronteremo la
questione in unione agli
eroi degli altri campi. –
Le
sue parole suscitarono un brusio di sottofondo, condito da qualche
commento particolarmente
colorito da parte di Caleb che non sembrava affatto contento della cosa.
-
Non abbiamo bisogno dei greci, tantomeno dei romani. –
Hellen
pensò per un attimo che Peter gli avrebbe intimato di
chiudere il becco, ma
anche l’Ulfric era corrucciato e sembrava d’accordo
con le parole dell’amico.
-
Ce la siamo sempre cavata benissimo da soli, Manto, non ci serve il
loro aiuto.
– convenne, gli occhi grigi che luccicavano al di sotto delle
ciocche corvine.
-
Non sto chiedendo il vostro permesso. La decisione è presa e
voi tutti farete
meglio ad abituarvi in fretta all’idea. Chirone e Lupa
saranno qui probabilmente
già nella tarda serata di domani e io non
tollererò disordini. Sono stata
chiara? –
Era
la prima volta che Hellen la vedeva arrabbiata e doveva riconoscere che
era
impressionante. Della giovane donna dolce e disponibile non era rimasto
nulla e
se non l’avesse vista con i suoi occhi non avrebbe mai
creduto che la voce
autoritaria e inflessibile che aveva raggiunto le sue orecchie fosse
quella
solitamente delicata e pacata di Manto.
Peter
abbassò la testa, in segno di rispettosa accettazione, anche
se si capiva che
continuava a non essere affatto d’accordo con lei, e persino
Caleb la smise di
borbottare.
-
Ora potete tornare alle vostre attività. – li
congedò, voltando loro le spalle
e riprendendo a parlottare fittamente con Lars.
Hellen
si accodò a Nives e Ria, puntando verso l’Arena,
mentre Skyler e Hannah si
dirigevano verso la biblioteca poco distante dall’aula magna.
-
È tipico di quelle due, sempre alla ricerca di informazioni
e roba
profondamente intellettuale. – commentò Nives,
mentre scartava con un’espressione
disgustata l’arco completo di faretra e sceglieva un machete
dall’aria letale.
Ria
annuì, estraendo dalla rastrelliera un’arma
egizia, che sembrava un curioso
misto tra una falce e una spada.
-
Si chiama khopesh, non sono in molti a usarla. –
spiegò, facendola vorticare con
un abile movimento del polso.
Hellen
annuì. Quella non era certamente un’arma che
faceva per lei, come non lo era il
machete di Nives.
-
Prova con questa. –
La
voce di Jack la spinse a voltarsi, trovandosi il figlio di Thor a pochi
centimetri da lei. Le stava porgendo una spada più sottile e
leggera di quella
con cui aveva affrontato Peter il giorno precedente.
-
È un incrocio tra un gladio romano e una daga egizia.
Più leggero di una spada
e anche più maneggevole. Un’arma da ragazze,
insomma. – concluse.
Inarcò
un sopracciglio, fissandolo corrucciata, - Stai dicendo che noi ragazze
non
siamo abili quanto voi a combattere? È profondamente
maschilista. –
-
Io … No, intendevo dire che siete più fragili.
No, aspetta mi è uscita male, la
parola che intendevo era delicate non fragili. – si corresse
in fretta.
Hellen
scoppiò a ridere, scuotendo la testa, e Jack parve sollevato
dalla sua
reazione.
Ria
e Nives l’avrebbero fatto a polpette se avessero anche solo
sentito per sbaglio
un’affermazione come quella.
Hellen
si mordicchiò il labbro inferiore, gesto che era diventato
un po’ l’indicazione
di quando era nervosa o imbarazzata da qualcosa.
-
Ti andrebbe di dare una mano a questa delicata ragazza con gli
allenamenti? –
Jack
scoccò un’occhiata in direzione di Peter che
combatteva contro Caleb.
-
Che c’è, hai paura di far arrabbiare i tuoi amici
se mi dai troppa confidenza? –
Scosse
la testa, facendo scintillare i capelli castano dorati sotto i raggi
del Sole
che quel giorno picchiava incessantemente.
-
Figurati se mi preoccupo di loro. Andiamo, ragazza delicata, ti insegno
com’è
che si combatte da queste parti. – decretò.
Spazio
autrice:
Aggiornamento
iper tempestivo, ma questa interattiva mi sta prendendo tipo troppo ed
è anche
e soprattutto merito dei fantastici OC che avete creato e per i quali
ho già iniziato
a fangirlare come una matta xD. Anche con questo capitolo non sono
riuscita a
presentarli tutti, perché mi perdo troppo in chiacchiere e
faccio mea culpa di
questa cosa, ma con il prossimo ci saranno tutti (anche a costo di fare
un
capitolo di venti pagine, lo giuro u.u). Duuuunque, ne approfitto per
chiedere
ai ragazzi e alle ragazze i cui OC sono già stati trattati
cosa ne pensano e se
gli piace come li sto rendendo (ogni suggerimento ovviamente
è ben accetto).
Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 4 *** Cap 3 ***
Cap
3
L’allenamento
con Jack l’aveva sorpresa. Il figlio
di Thor era divertente e non perdeva la calma quando sbagliava qualche
movimento o si lasciava disarmare.
-
Se ti sposti in quella direzione scopri il fianco
e diventi un bersaglio facile. Prova a fare così, invece.
– la istruì, spostandosi
dietro di lei e guidando le sue braccia come se fosse stata una
marionetta. –
In questo modo il fianco è sempre coperto e la guardia
è alta. –
-
Ma che quadretto romantico. Sul serio, Jack, non
hai niente di meglio da fare che perdere tempo cercando di spiegare a
una
ragazza come si combatte? –
-
Non iniziare, Caleb. –
Il
figlio di Iside cominciò a girargli intorno come
avrebbe fatto uno squalo con la sua preda.
Bè,
Hellen non era la preda di nessuno, questo era
poco ma sicuro.
-
Altrimenti? – domandò, aggressivo.
Adesso
era sinceramente confusa. Aveva avuto l’impressione
che lui e Jack fossero amici, quindi perché attaccare briga
proprio con lui?
-
Non ho voglia di litigare con te, quindi non
costringermi a farti male. –
Ormai
si fronteggiavano e sembravano essersi
completamente dimenticati del fatto che il motivo dello scontro fosse
proprio a
meno di un metro da loro. Hellen si chiese distrattamente se sarebbero
davvero
venuti alle mani e che diavolo di fine avesse fatto Peter;
perché l’Ulfric non
c’era quando aveva davvero bisogno di lui?
-
Piantala di fare l’idiota, Caleb. –
Le
parole erano quelle giuste, ma non era la voce di
Peter ad averle pronunciate.
Annalisa,
la responsabile della Terza Casa, li aveva
raggiunti e lo fissava con sguardo severo, le braccia incrociate sul
petto.
-
Come? –
L’aggressività
di quel ragazzo rimbalzava da una
persona all’altra come avrebbe fatto una pallina da ping
pong.
Annalisa,
però, non sembrava particolarmente
impressionata.
-
Hai sentito bene, ti ho detto di piantarla. –
-
Non prendo ordini da una donna.
– sibilò.
Pronunciò
la parola donna come se fosse l’insulto
più spregevole che potesse venirgli in mente. E magari era
davvero così.
-
Io invece credo che lo farai, sempre ammesso che
tu non voglia che faccia rapporto a Manto. Mi sembra di ricordare che
anche lei
sia una donna, ma i suoi ordini li accetti eccome. –
Caleb
digrignò i denti, rabbioso, e si allontanò a
passi rapidi, assestando una spallata a un ragazzo dai capelli rosso
fuoco e
gli occhi eterocromi.
-
Imbecille. – borbottò il semidio colpito,
avvicinandosi a loro.
Lasciò
vagare lo sguardo su tutti loro,
soffermandosi in particolare su Hellen e Annalisa, corrugando la fronte.
-
È tutto okay? –
Annalisa
annuì, arrossendo leggermente, e distolse
lo sguardo dal suo.
-
Tutto okay, grazie per l’interessamento … scusa,
ma non so come ti chiami. – replicò Hellen.
-
Simon e tu sei la nuova arrivata,
giusto? Ho sentito dire che hai
combattuto contro Peter, è stata una bella prova di
coraggio. –
-
Già, sono Hellen. –
Si
scambiarono una breve stretta.
Jack
si avvicinò alla figlia di Osiride al punto che
le loro braccia nude si sfiorarono.
-
Ci penso io qui, Simon. –
Il
figlio di Odino si strinse nelle spalle. – Non mi
era sembrato che stessi facendo un gran lavoro, quindi sono venuto a
dare un’occhiata.
–
La
pelle sfrigolò e la fece sussultare leggermente.
-
Jack, mi hai quasi folgorata. – mormorò,
distaccandosi un po’.
Si
passò una mano dietro al collo, imbarazzato. – Le
mie scuse, divento un tantino elettrico in certe situazioni. –
-
Simon, ti andrebbe di darmi una mano con l’ispezione
della Casa? Mi sono ricordata solo adesso che non ci ho ancora pensato.
–
domandò Annalisa, avvicinandoglisi ancora un po’.
Era
evidente che stesse cercando di attirare l’attenzione
su di sé ed Hellen doveva ammettere che quella coppia non le
sembrava male.
Certo, da parte di Simon non c’era stata nessuna
manifestazione plateale d’interesse,
ma magari era solo perché era un tipo riservato.
-
D’accordo. – acconsentì, lasciandola
passare prima
di lui e seguendola verso la costruzione gialla raffigurante lo
scarabeo.
Rimasti
soli, Hellen lanciò un’occhiata incuriosita
in direzione di Jack.
-
Posso farti una domanda, ragazzo fulmine? –
-
Dimmi. –
-
Perché Caleb se l’è presa con te?
Credevo che
foste amici. –
Il
ragazzo scrollò le spalle. – È fatto
così, ma tra
poco gli sarà passata e ricominceremo a ridere e scherzare.
È un po’ strano, ma
è mio amico e non è un cattivo ragazzo.
–
Inarcò
un sopracciglio, scettica. – Ah, no? –
-
Lo nasconde bene, questo lo devo riconoscere, ma
una volta che impari a conoscerlo le cose cambiano. –
Decise
di prendere per buone le sue parole. In fin
dei conti lei lo conosceva da appena un giorno e non avevano scambiato
più di
un paio di frasi. Non aveva ancora tutti gli elementi per esprimere un
giudizio
su di lui, ma per il momento non era esattamente in cima alla lista
delle sue
simpatie.
La
conversazione venne interrotta dall’arrivo di
Peter.
Aveva
le ciocche corvine scompigliate come chi aveva
passato e ripassato le dita tra di esse. Nervosismo o un semplice tic?
Alle
sue spalle c’erano due semidei, uno dai capelli
color sabbia e gli occhi blu, l’altra era una ragazza esile
dai lunghi capelli
biondi con le punte rosa e gli occhi neri come ossidiana. Riconobbe il
ragazzo,
Eric, che aveva colto per primo il collegamento tra le profezie che in
quei
giorni avevano toccato i tre Campi.
-
Hai scoperto qualcosa? –
Scosse
la testa, allontanando con uno sbuffo seccato
una ciocca che gli era finita davanti agli occhi.
-
Austin sta sondando altri canali nella speranza di
scoprirci qualcosa di più. –
-
Continuo a dirti che stiamo cercando nella
direzione sbagliata. Dovremmo guardare anche a quella greco romana e
non solo
alla nostra se vogliamo capirci qualcosa di più. –
replicò Eric.
-
Sai dove puoi mettertela quella stramaledetta
profezia? Proprio su … -
-
Peter! – esclamò indignata la biondina,
folgorandolo con un’occhiataccia. Era straordinario il modo
in cui una ragazza
così esile riuscisse a sembrare tanto minacciosa.
-
Non ne posso più delle vostre chiacchiere da
intellettualoidi, Angel. Se avete qualcosa di concreto ditelo,
altrimenti
lasciatemi lavorare in santa pace. –
Giocherellò
distrattamente con una ciocca liscia,
rigirandosi tra i polpastrelli le meches rosa.
-
Mi farò venire in mente qualcosa, per il momento
aspettiamo. –
-
Non abbiamo più tempo per aspettare,
Angel, le delegazioni dei due Campi arriveranno domani. –
sbottò l’Ulfric.
-
Datti una calmata, il mio cervello non va a
comando, sai? – esclamò indignata, voltandogli le
spalle e marciando
risolutamente verso la Quarta Casa.
-
Ci parlo io. – intervenne Eric, allungando il passo
per raggiungerla.
Hellen
lo osservò gesticolare animatamente mentre
Angel scuoteva la testa.
-
Ti amano proprio tutti da queste parti, eh? –
commentò, ironica.
-
Non cominciare anche tu, novellina.
– ringhiò indispettito.
Alzò
le mani in segno di resa. – Come vuoi tu,
Psycho. –
Jack
indicò con un cenno del capo la figura snella
che si stagliava alle spalle dell’amico.
Austin
tossicchiò leggermente, attirando l’attenzione
su di sé, gli occhi color mogano che fissavano risolutamente
quelli grigi di
Peter.
-
Niente da fare. –
L’Ulfric
emise un gemito di frustrazione. – In nome
di Ra, possibile che debba essere circondato da un branco di idioti?
Devo fare
sempre tutto io. –
Il
figlio di Seth assottigliò lo sguardo,
minaccioso.
-
Per prima cosa calmati, perché non mi piace
affatto il tuo tono, e per seconda sei tu che non vuoi darci retta.
Eric te l’ha
ripetuto centinaia di volte: non è questa la strada giusta.
–
-
Me ne sbatto di quello che dice quel cervellone se
non si tratta di una soluzione. –
Hellen
lanciò un’occhiata d’intesa a Jack.
Andando
avanti di quel passo non avrebbero risolto nulla se non lo scatenare
una rissa
di proporzioni colossali.
-
Perché non ti rilassi un po’? Andiamo a farci un
giro. – propose il figlio di Thor, prendendolo per un braccio
e allontanandolo
in fretta dal gruppo.
La
ragazza si rivolse ad Austin, incuriosita.
-
Che canali hai usato? –
-
Canali a cui solo un figlio di Seth può accedere.
–
replicò asciutto.
Fantastico,
era sempre così soddisfacente ed
esauriente parlare con loro.
Li
lasciò lì a discutere, certa che il suo
contributo non avrebbe comunque potuto essere determinante in alcun
modo. Lei
non ne sapeva proprio niente di profezie, Apocalissi e tutto il resto.
Era solo
una novellina, proprio come le
ripeteva sempre Peter.
Una
figlia di Osiride totalmente impreparata a ciò
che doveva affrontare e di conseguenza assolutamente inutile,
sospirò,
calciando con vigore un sasso poco distante e guardandolo rotolare
lungo il
sentiero.
Contò
i rimbalzi. Uno … due … tre … quattro
… cinque
…. sei. Sei.
Ma
certo, come aveva fatto a non pensarci prima?
Spazio
autrice:
Eccoci
con l’aggiornamento. Spero che anche questo
nuovo capitolo vi sia piaciuto. Ho preferito dare spazio ai semidei che
non
avevo ancora presentato e spero di esserci riuscita in modo
soddisfacente. Come
sempre vi chiedo di farmi sapere che ne pensate. Poi, adesso che ho
presentato
tutti i personaggi, vorrei proporvi un piccolo test:
1.
Per
il momento quale personaggio preferite?
2.
C’è
qualche coppia che shippate già?
3.
E,
infine, per caso desiderate accoppiare uno dei vostri semidei con
qualcuno
greco o romano? (Chiedete nel caso e valuterò se
è possibile accontentarvi, ma
tenete presente che devono essere personaggi che nel fandom non formano
già una
coppia con qualcuno/a)?
Alla
prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 5 *** Cap 4 ***
Cap
4
Rilassarsi
… Jack la faceva facile.
Essere
l’Ulfric del Campo era stressante, doveva riconoscerlo,
specialmente quando
tutti si aspettavano che fosse lui a trovare una soluzione a ogni
dannato
problema.
Lui
era il figlio di Ra, l’Ulfric, quello che era al Campo da
più tempo di tutti,
il grande Eroe. D’accordo, potevano anche andargli bene tutti
quegli
appellativi, ma non era un fottuto Oracolo né un sacerdote
o, gli Dei non
volessero, un Profeta. Lui non voleva averci proprio niente a che fare
con
quelle fottute profezie e a chi chiedevano di decifrarle? A lui.
Certo,
non faceva una grinza come ragionamento.
Sbuffò,
dirigendosi verso le scuderie. Una cavalcata gli avrebbe fatto bene,
poco ma
sicuro, soprattutto perché da quelle parti non si aggirava
nessuno; i membri
del Campo erano tutti troppo impegnati a discutere
dell’arrivo delle
delegazioni dei due Campi e del misterioso significato delle parole di
Lars.
Alzò
lo sguardo verso il Sole, provando a inviare una muta richiesta di
aiuto a suo
padre. Silenzio, come sempre del resto.
-
Bè, grazie tante, pà. –
borbottò.
Figlio
di Ra un accidenti, di questo passo avrebbe fatto meglio a farsi
chiamare
“orfano di Ra”.
Raggiunse
la scuderia in cui si trovava il suo cavallo. Era un sauro bruciato
piuttosto
imponente, una cavalcatura da battaglia, che niente aveva a che vedere
con gli
esili e agili purosangue arabi che utilizzavano gli egizi di un tempo.
Bè, del
resto lui non doveva mica combattere tra le dune del deserto come
facevano loro.
S’infilò
nel box, dandogli una grattatina tra le orecchie, e prese a strigliarlo
lentamente. Solo lo stare a contatto con lui funzionava da palliativo;
era
sempre stato così da che aveva memoria, gli animali lo
aiutavano a rilassarsi.
Scherzando, sua madre diceva sempre che andava molto più
d’accordo con loro che
con gli esseri umani. Non aveva tutti i torti; in fin dei conti gli
animali non
potevano tormentarlo con frasi stupide come facevano il resto dei
semidei che
lo circondavano ogni santo giorno.
Un
rumore di passi lo distrasse dal suo lavoro metodico e rilassante.
Harrogate,
il suo stallone, nitrì piano. Lo calmò con un
paio di pacche sul collo e
l’animale riprese a mangiare la biada con cui aveva riempito
la sua mangiatoia.
Lasciò
scorrere la porta del box, chiudendola con il catenaccio, e si sporse
per avere
una visuale di chi aveva osato disturbare il suo momento di pace.
Nives
stava percorrendo il corridoio in ciottolato che separava i due lati
delle
scuderie e si dirigeva verso il centro del Campo, in direzione
dell’Arena.
Probabilmente
tra tutti i semidei che aveva conosciuto nel corso della sua vita lei
era
l’unica che gli andasse a genio, se si escludeva Jack che
avrebbe potuto
definire come il suo unico amico. Non parlava mai troppo né
a sproposito, se ne
stava sulle sue e non era una di quelle ragazzine appiccicose con cui
troppe
volte aveva suo malgrado dovuto fare i conti. E poi combatteva da Dio.
Doveva
riconoscerlo, non aveva mai visto fare cose come quelle che lei era in
grado di
fare con un machete.
Non
sapeva neanche lui perché, ma si ritrovò a
chiamarla e incamminarsi verso di
lei per raggiungerla.
-
Ehy, Nives. –
Gli
occhi verdi incontrarono i suoi e la ragazza corrugò un
sopracciglio, ironica.
-
Peter. Quindi era qui che ti nascondevi? –
-
Non mi stavo nascondendo. –
Le
labbra si stirarono in un piccolo ghigno divertito. – Ah, no?
–
Ecco
fatto, l’aveva beccato.
Sospirò,
passandosi una mano tra i capelli e cercando di rimetterli in ordine.
Doveva
avere un’aria stravolta, ne era certo.
-
Okay, magari stavo cercando un po’ di relax, ma non mi stavo
nascondendo. Non
sono un codardo. – replicò seccamente.
-
Eppure scappi dai tuoi doveri come se lo fossi. Credevo fossi un duro,
uno di
quei ragazzi che sanno sempre cosa vogliono e non si fanno problemi a
prenderselo. Mi sarebbe piaciuto un ragazzo così
… ma magari mi sbagliavo. –
Lo
stava manipolando, era chiaro come la luce del Sole, ma le sue parole
andavano
tutte a segno.
Maledizione
a lei e al suo modo di fare.
-
Sai, credevo che mi piacessi Nives, ma adesso sto cominciando a pensare
che
forse sei un po’ troppo simile a me. –
borbottò, prima di aggiungere. – Forza,
a quanto pare c’è una profezia che aspetta solo me
per essere decifrata. –
La
figlia di Ullr gli rivolse un sorrisetto furbo e allo stesso tempo
soddisfatto.
L’aveva incastrato e riportato all’ordine e ne
sembrava fin troppo compiaciuta
per i suoi gusti.
*
La
Profezia l’aveva stancato più di quanto gli
facesse piacere ammettere. Avrebbe
dovuto esserci abituato dopo tutti quegli anni, ma ogni volta che
veniva
posseduto sentiva le forze che lo lasciavano, gli occhi gli si
iniettavano di
sangue e gli veniva quel dannatissimo mal di testa.
Era
per quel motivo che aveva deciso di mischiarsi ai semidei, malgrado di
solito
preferisse rimanere nella sua stanza e limitare i contatti a occasioni
sporadiche, e si era spinto fino alla mensa. L’ora di
colazione era passata da
un pezzo e quella di pranzo non era ancora giunta quindi le
probabilità di
trovare qualcuno lì intorno erano infinitesimali.
Non
che i semidei del Campo ricercassero la sua compagnia. Sapeva
perfettamente che
molti di loro lo trovavano inquietante e non se la sentiva neanche di
biasimarli.
L’unico
che si degnava di scambiare quattro chiacchiere con lui, nelle rare
occasioni
in cui si incontravano nella sezione di magia rituale della biblioteca
del
Campo, era Austin. Come figlio di Seth aveva una certa
familiarità con rituali
e incantesimi e, per di più, era l’unico che non
lo trattasse come se fosse un
mostro o un curioso scherzo della natura. Probabilmente era
perché lui stesso
si considerava così, ma quella era solo una sua
supposizione. Comunque non
avevano parlato mai di chissà cosa né per
chissà quanto tempo.
Non
che a lui dispiacesse, che sia chiaro. Trovava la compagnia dei suoi
coetanei
piuttosto molesta perché la maggior parte di loro si
comportava in modo
talmente immaturo che non avrebbe semplicemente saputo di cosa
discutere, se
mai se ne fosse presentata l’occasione.
Quando
entrò in mensa, tuttavia, rimase sorpreso nello scoprire di
non essere solo.
Una
ragazza armeggiava intorno al fornelletto da campo, scaldando
l’acqua per un
tea o forse una tisana. I lisci capelli neri, adornati da alcune piume,
e il
fisico snello gli permisero di identificarla all’istante. Era
la figlia della
Dea Maat, Skyler.
L’aveva
osservata spesso, memorizzando ogni dettaglio, perché quella
ragazza lo
incuriosiva come nessun’altra lì al Campo. Non
parlava molto, ma quando lo
faceva diceva cose intelligenti e brillanti, e l’aveva
sentita fare anche
qualche battuta in compagnia dei suoi amici quindi non era una di
quelle menti
geniali che passavano il tempo nella noia totale. E non poteva neanche
negare
che fosse molto carina. Insomma, era vero che di solito non perdeva
molto tempo
dietro alle ragazze, ma gli occhi ce li aveva e, a suo giudizio, quando
arrossiva lo diventava ancora di più.
Le
si avvicinò, attirando la sua attenzione, e la vide
trasalire.
-
Scusa, non volevo spaventarti. –
Si
chiese distrattamente se gli occhi fossero ancora iniettati di sangue.
In quel
caso sì che avrebbe avuto ragione di essere allarmata.
Probabilmente no, però,
perché la possessione era avvenuta ore prima e gli effetti
di solito sparivano
in un paio d’ore.
-
Non mi hai spaventata. – mentì rapidamente. Poi
aggiunse, lievemente
imbarazzata, - I tuoi occhi … è normale che siano
così rossi? –
Perfetto.
Incontrava l’unica semidea che riteneva interessante e i suoi
occhi decidevano
di scegliere proprio quella mattina per fare le bizze e non tornare del
loro
solito colore. Davvero splendido.
-
Capita sempre dopo una possessione. Speravo fossero tornati normali,
perché so
quanto sono inquietanti. – borbottò.
Skyler
scosse la testa, probabilmente decisa a non farlo sentire a disagio.
-
Non sono inquietanti, direi piuttosto particolari. –
-
Non devi essere per forza gentile, Skyler, ho imparato a non offendermi
per le
reazioni altrui. –
La
ragazza si mordicchiò un labbro, indecisa su come affrontare
la questione. Non
le erano mai piaciute le prese in giro a danno degli altri e dal tono
di Lars
sembrava che soffrisse della sua condizione già da
parecchio. Erano ferite
antiche, difficili da rimarginare.
-
Che altri effetti collaterali da il tuo Dono? –
Aveva
calcato leggermente sull’ultima parola perché
voleva che capisse che non lo
considerava uno mostro o chissà cosa.
-
Un mal di testa epocale. Insomma, più rogne che altro.
–
Tolse
l’acqua dal pentolino, mettendovi in infusione una manciata
di foglie di alloro
e balsamina. Suo padre l’aveva praticamente costretta a
imparare a memoria i
nomi di tutti i tipi di piante e gli usi che se ne potevano fare.
Doveva
ammettere che si era rivelata una cosa utile perché non
aveva più avuto bisogno
di alcuna medicina per curarsi, preferendo rimedi naturali.
-
Prova questo. È una tisana di alloro, ottimo per combattere
le emicranie, e di
balsamina, che aiuta a rilassarsi e a riacquistare il controllo e
l’equilibrio
interiore. – disse, porgendogli la tazza bollente.
Lars
lo annusò con circospezione. – Ha un buon odore.
– Ne prese un piccolo sorso,
assaporandolo lentamente. – E anche il sapore non
è niente male. –
-
Qualcuno potrebbe darti del cannibale per quello che stai facendo.
– osservò,
divertita, Skyler.
Il
ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso.
-
Lars in svedese significa “alloro” o
“colui che porta la corona di alloro”. –
spiegò.
Scoppiò
a ridere. – Non lo sapevo, ma se le cose stanno
così hai ragione. –
Continuarono
a scherzare e chiacchierare per un po’, finchè
entrambi non ebbero finito le
loro bevande, poi l’ Ur Mau abbandonò la sedia che
aveva occupato.
-
Ho un po’ di cose da fare, devo andare. –
Il
sorriso si cancellò immediatamente dal volto di Skyler.
-
Capisco … Non fa niente, non voglio farti perdere tempo.
–
Lars
scosse la testa. Era in momenti come quelli che detestava la sua
incapacità di
relazionarsi con le persone. Provò a spiegarsi meglio
perché non voleva correre
il rischio che fraintendesse.
-
Mi piacerebbe davvero restare qui con te, ma ho promesso a Manto che
l’avrei
aiutata a sistemare le cose prima dell’arrivo di Chirone e
Lupa. Magari …
magari possiamo rivederci nel tardo pomeriggio. Sempre che tu ne abbia
voglia,
è ovvio. –
Era
una richiesta di appuntamento quella?
Skyler
sentì le guance avvamparle. Non aveva mai prestato
più di tanta attenzione ai
ragazzi, ma non c’era niente di male nel frequentare un tipo
simpatico con cui
si trovava bene a parlare, no?
-
Sì, mi piacerebbe. Ci troviamo qui davanti verso le cinque?
–
Sembrava
un buon orario, abbastanza vicino all’ora di cena per non far
durare l’incontro
troppo a lungo se le cose avessero cominciato a farsi troppo
imbarazzanti.
-
È perfetto. Ora devo davvero andare, però. A
più tardi. –
Lars
le rivolse un bel sorriso, il primo che gli vedeva fare da quando
l’aveva visto
per la prima volta, per poi dirigersi verso l’uscita.
Sospirò,
giocherellando distrattamente con la piuma di struzzo che aveva
assicurato al
ciuffo sulla fronte.
Poteva
ripetersi quanto voleva che quella del pomeriggio sarebbe stata una
semplice
chiacchierata tra amici, ma a lei suonava troppo come un appuntamento.
Al
solo pensare quella parola sentì un sorriso dipingersi
rapidamente sul suo
viso.
*
Ria
non riusciva davvero a capire perché, tra le decine di
persone che risiedevano
nel Campo, quel tornado dai capelli rossi dovesse infastidire proprio
lei.
Non
era neanche un combattente, quindi per quale accidenti di motivo si
aggirava
per l’Arena?
-
Non hai proprio nient’altro da fare? Che so, tipo schiantarti
con il tuo
elicottero? – chiese, dopo che ebbe interrotto il suo
allenamento per la quinta
volta.
-
Oh, andiamo, mi sto annoiando. Non fai che menare fendenti con quella
specie di
zappa. –
-
Questo è un khopesh, non una zappa. –
esclamò, indignata, lanciandogli contro
l’arma.
Zephyr
si scansò appena in tempo, fissando in cagnesco
l’arma che era caduta a pochi
centimetri da lui.
-
Ehy, il khope – coso mi ha quasi centrato. Avresti potuto
uccidermi. –
Inarcò
un sopracciglio, fingendosi stupita, - No, davvero? –
-
Lasciatelo dire, Torres, tu mi spaventi. –
decretò, puntandole un dito contro
in modo melodrammatico.
-
E questa paura non ti invoglia a, che so, lasciarmi in pace e girare il
più a
largo possibile? –
Scosse
la testa, sorridendo malandrino. – Per niente, anzi tutto il
contrario. –
Sospirò,
sconsolata.
Che
quell’elfo rosso avesse un desiderio di morte era chiaro come
il Sole dal
momento che passava il suo tempo libero volteggiando in aria su
quell’accrocco,
ma era abbastanza certa che in quel caso si trattasse più di
un piano omicida
sapientemente strutturato per spingerla al suicidio.
-
Te l’ho mai detto che credo di odiarti? –
-
Lo escludo categoricamente. Cioè, guardami: sono troppo
bello per essere odiato
da qualcuno. –
Fece
come aveva detto, scrutandolo dall’alto in basso.
Poco
più di un metro e settanta, capelli rossi e occhi azzurri,
una leggerissima
spruzzata di lentiggini chiarissime sul naso e gli zigomi, sorriso
furbo e
orecchie leggermente a punta.
-
L’unica cosa che riesco a vedere è un elfo di
Babbo Natale scappato dalla
Lapponia. –
-
Groenlandia. –
-
Eh? –
-
Le renne sono quelle della Lapponia,
Babbo Natale è in Groenlandia. – spiegò.
Ria
agitò una mano per aria, come a dire che la cosa non aveva
alcuna importanza, e
recuperò il khopesh, spazzolando via la sabbia e riprendendo
a provare finte e
mimare fendenti contro l’aria.
Era
a metà di una sequenza di attacco piuttosto rapida quando
Zephyr l’interruppe
di nuovo.
-
Ne hai ancora per molto? –
-
Mi sto allenando, sarebbe più facile se non
m’interrompessi ogni due minuti, e
di sicuro finirei prima. – ringhiò per tutta
risposta.
-
Nooooiaaaaaa. Perché non lasci perdere la zappa …
-, si corresse non appena
vide l’occhiata omicida che gli rivolse, - Cioè,
il khope – coso e andiamo a
fare qualcos’altro? –
-
Perché c’è una profezia in ballo e una
futura impresa da assegnare e devo
essere pronta, ecco perché. –
-
Quindi credi davvero di poter uccidere qualcuno a colpi di zappa?
– domandò,
osservando l’arma con aria scettica.
Okay,
adesso era davvero giunta al limite di sopportazione giornaliero.
Dall’occhiata
che gli rivolse, Zephyr capì che avrebbe fatto meglio a
iniziare a correre … a
correre molto velocemente. Sfrecciò
via, inseguito da Ria che sventolava
minacciosamente il khopesh.
-
Vieni qui e proviamo a vedere se riesco a uccidere qualcuno. –
*
Hellen
aveva passato tutta la mattinata nella Biblioteca del Campo, in
compagnia di
Eric e di Hannah, che si era offerta di aiutarla nella ricerca.
Da
quando aveva avuto quella mezza intuizione circa la profezia e ne aveva
parlato
con il figlio di Horus, il ragazzo si era immediatamente acceso di un
entusiasmo quasi inquietante e aveva iniziato a ripetere che aveva
ragione lui
e che sarebbe riuscito a convincere Peter anche a costo di ficcargli a
forza le
sue idee dentro la testa.
All’osservazione
sul fatto che prima avrebbero dovuto provarglielo,
aveva perso un po’
del suo entusiasmo ed era tornato a buttarsi a capofitto su alcuni
enormi e
polverosi volumi incredibilmente antichi.
-
Credo di aver trovato qualcosa. – annunciò Hannah,
picchiettando un dito su un
paragrafo del libro di astronomia che stava sfogliando.
Si
trattava della costellazione di Orione e riportava una scala di
luminosità di
tutte le stelle che vi appartenevano, ordinandole gerarchicamente dalla
prima
all’ultima.
-
Saiph. È un nome arabo, ma non ho la minima idea di cosa
significhi. – lesse,
scorrendo il dito lungo la tabella e soffermandosi sulla sesta stella,
quella
che serviva loro.
-
Significa “spada del gigante” o anche
“spada di Orione”. Però non riesco a
vedere il nesso con la profezia. – ammise Eric,
massaggiandosi le tempie con i
polpastrelli.
Tutte
quelle ore chiuse a leggere centinaia e centinaia di pagine
cominciavano a
farsi sentire anche per lui che era abituato a quelle ricerche
interminabili.
-
Magari non c’è un nesso. –
Hellen
scosse la testa. Non ne sapeva granchè di quelle cose, ma
non credeva che la
stella sarebbe stata nominata se non fosse servita a qualcosa.
-
Deve esserci qualcosa che li collega. Cosa sapete di Orione? –
Eric
tornò a indossare i panni del perfetto intellettuale,
recitando con voce
monocorde: - Nella mitologia romana era un gigante generato da Giove,
Mercurio
e Nettuno, dotato di una bellezza incredibile. Venne preso come
compagno di
caccia dalla Dea Diana la quale, seppur votata alla castità,
finì per
invaghirsene. Il gigante la respinse e la Dea, furibonda, lo
accecò colpendolo
con una delle sue frecce. –
-
Praticamente non ci dice nulla se non che è pericoloso far
arrabbiare gli Dei.
– concluse Hannah, sconsolata.
-
Orione aveva una spada o la stella si chiama così solo per
caso? –
Gli
occhi blu del ragazzo s’illuminarono.
-
Ma certo, come ho fatto a non pensarci io?
–
Hellen
si trattenne dal mandarlo al diavolo per quella sottile insinuazione
sul suo
essere più intelligente di lei solo perché in
quel momento aveva bisogno di
risposte e non di discussioni.
-
La spada di Orione è un’arma che gli venne
consegnata dagli Dei affinchè la
tenesse lontana da mani estranee; la sua lama venne forgiata in modo
particolare e aveva il potere di privare gli Dei
dell’immortalità e, di
conseguenza, di ucciderli. –
Hannah
emise un lieve fischio.
-
Fino a qui ci siamo arrivati, ma per quanto riguarda la prima parte
della
profezia? –
Pensare
di aver trascorso intere ore solo per decifrarne la metà era
oltremodo
frustrante.
-
Abbiamo solo la mia idea circa il fatto che si debba partire dal segno
della
Vergine, che è il sesto dello zodiaco, ma manca un
collegamento logico. –
sbuffò Hellen, appoggiando la fronte contro il legno del
tavolo, sconsolata.
Eric
chiuse il tomo che stava sfogliando con violenza, facendole sobbalzare.
-
Sono stufo di stare qui dentro, mi si sta fondendo il cervello. Peter
può
arrivarci da solo, visto che gli abbiamo risolto metà
profezia. Portiamogli
quello che abbiamo scoperto e facciamola finita. –
decretò.
Mai
in tutta la sua vita Hellen era stata più
d’accordo su qualcosa.
Spazio
autrice:
Eccoci
con il nuovo aggiornamento. Avrei dovuto pubblicarlo ieri, ma sono
riuscita a
finire il capitolo solo alle tre di notte (chiedo scusa per eventuali
errori,
colpa del sonno e della stanchezza) quindi ho preferito aspettare
qualche ora
invece di pubblicarlo in piena notte. Ho trattato nove OC in questo
capitolo e
tratterò gli altri nel prossimo perché tutti
insieme non è assolutamente
fattibile (o meglio, si può fare ma escono minimo ventidue
pagine Word …
quindi, no grazie U.u). Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi
lascio al
prossimo che
sicuramente verrà
pubblicato domani in giornata/serata. Come sempre vi chiedo di farmi
sapere che
ne pensate. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 6 *** Cap 5 ***
Cap
5
Austin
aveva usato ogni mezzo a sua disposizione per
cercare di capirci qualcosa. Di solito, ricorrendo ai suoi poteri,
riusciva a
trovare una soluzione praticamente a ogni cosa, ma quella volta le
tenebre
erano silenti come se neanche loro sapessero che pesci prendere.
Si
passò una mano tra i capelli, frustrato.
A
cosa serviva essere un figlio di Seth se nel
momento del bisogno non era in grado di muovere un dito per aiutare il
Campo?
-
Hanno ragione, l’unica cosa di incredibile che ho
è la facoltà di riuscire a far scappare tutti a
gambe levate. Proprio un gran
bel talento. – borbottò tra sé e
sé.
-
Lo sai che non è vero. –
La
voce di Angel lo fece sussultare.
Aveva
creduto di essere solo nella Quarta Casa,
altrimenti non si sarebbe mai permesso di crollare in quel modo.
-
Questi stupidi poteri non servono a niente quando
ne ho davvero bisogno. E tu sai a cosa mi riferisco, no? –
Già,
Angel lo sapeva bene.
Dopo
tutto quel tempo ancora si tormentava con il
suo ricordo. Liz, la bella e combattiva figlia di Bastet che
l’aveva salvato
quando era in fin di vita e che al momento versava in uno stato
comatoso.
-
Sono passati tre anni, Austin, e ancora continui a
fartene una colpa. Liz sapeva quello che faceva e ciò che le
è successo non è
colpa tua. – concluse, mettendoci un po’
più di foga del necessario nell’ultima
frase.
Voleva
che se ne convincesse, che smettesse di
considerarsi una disgrazia per tutti coloro che incrociavano il suo
cammino.
Se
soltanto si fosse sforzato un po’ sarebbe
riuscito a vedersi per come lo vedeva lei. Un ragazzo brillante,
divertente,
affettuoso e leale con le persone che aveva a cuore. Un ragazzo per il
quale
lei aveva completamente perso la testa da un bel po’.
Austin
tentennò leggermente, fissandola negli occhi
color pece, profondi come buchi neri. Certe volte gli sembrava di
precipitare
in quello sguardo, ma la sensazione non era affatto spiacevole.
-
Lo so che essere il figlio di Seth non è facile,
così come non lo è essere figlia di Anubi, ma
possiamo dimostrare a tutti che sono
dei completi idioti se ci giudicano solo per quanto spettrali ed
inquietanti
siano i nostri padri. –
-
È solo che detesto non riuscire a essere utile. –
borbottò.
Angel
sentì le labbra stirarsi in un lieve sorriso.
Austin
le faceva sempre quell’effetto, una tenerezza
disarmante che molto spesso la spiazzava. Non era abituata a provare
quei
sentimenti per un ragazzo.
-
Allora perché non raggiungiamo gli altri e
proviamo a dare una mano? Annalisa mi ha detto che si stanno riunendo
tutti in
aula magna, pare che Peter abbia indetto una specie di riunione non
ufficiale. –
Le
rivolse uno sguardo incerto. Non era sicuro di
sentirsela di stare in mezzo a tutta quella gente, metà
della quale neanche lo
degnava di un’occhiata. Però quello che aveva
detto era vero: lui voleva dare
una mano, rendersi utile in qualsiasi modo.
-
Va bene, ci sto. –
*
-
Che c’è vuoi una foto per caso? –
borbottò Peter,
notando che Nives continuava a fissarlo di sottecchi come se fosse in
attesa di
vederlo esplodere come un vulcano.
Bè,
era sulla buona strada se era quello che
aspettava con tanta ansia.
-
Sì, ti prego, ma solo se la autografi. –
replicò sarcastica.
Si
scambiarono un’occhiataccia, provando a
fulminarsi a vicenda con lo sguardo. Niente da fare, entrambi avevano
la
pellaccia resistente.
-
Ehm, ragazzi, non è proprio il momento di
scatenare una rissa. – intervenne Annalisa, provando a fare
da paciere tra i
due semidei che sembravano avere particolarmente i nervi a fior di
pelle.
-
Dillo a mr macho qui presente che si sente
continuamente al centro dell’universo. Per quanto
sconvolgente ti possa
sembrare, Peter, il mondo non gira intorno a te. –
-
Tecnicamente sì, visto che è il figlio del Sole.
–
replicò Simon.
Annalisa
trattenne una risata. Quello non era
decisamente il momento più adatto per ridere di un Peter
sull’orlo di una crisi
di nervi. Anzi, non era mai il momento giusto per farlo, a meno che non
si
avessero manie suicide.
-
Ma sentitela, come se a me potesse interessare di
attirare la tua attenzione.
–
-
Bè, tranquillo, non corri alcun rischio perché
non
potrei mai sprecare il mio tempo dedicando attenzione a te.
–
Si
fronteggiarono, guardandosi in cagnesco, e l’aria
intorno al figlio di Ra prese a pulsare luminosa.
-
Ragazzi, per favore … - riprese Annalisa, fiutando
il pericolo.
Non
era mai una buona cosa quando il loro Ulfric
cominciava a brillare.
-
Non abbiamo tempo per questo, dobbiamo
concentrarci su cose più importanti. Pensiamo a questa
benedetta riunione e dopo, se
proprio non potete fare a meno
di comportarvi come due bambini, potrete riprendere a punzecchiarvi.
– le diede
man forte Simon.
Peter
sospirò, rilassandosi un po’ e facendo
scomparire la sfera luminosa.
Un
attimo prima andavano d’accordo, sembravano
essere in sintonia, e quello dopo ricominciavano a urlarsi contro e
poco
mancava che si prendessero a pugni. Quella ragazza l’avrebbe
fatto impazzire,
poco ma sicuro.
-
D’accordo, sono calmo. Riprendiamo a lavorare su
questa roba. – decretò, chinandosi sui fogli
coperti di appunti scritti con la
calligrafia precisa di Annalisa.
-
Continuano a non avere senso o, se ce l’hanno, io
non riesco a vederlo. – sospirò Simon, affranto.
Nulla
lo innervosiva più di avere la soluzione sotto
gli occhi e non riuscire a vederla.
Rilesse
la parte iniziale della profezia a voce
alta. Magari in quel modo ci avrebbe capito qualcosa in più.
-
Parla della Vergine. –
Angel
e Austin erano arrivati proprio in quel
momento e la figlia di Anubi aveva ricollegato immediatamente il sei
allo
zodiaco. Era un’appassionata di queste cose e pianeti e
divinità affini non
avevano alcun segreto per lei.
-
Come dici? – domandò il figlio di Odino,
perplesso.
-
Il sesto segno zodiacale è la Vergine, che si
trova a metà tra lo zodiaco e le divinità. Ogni
segno ha una sua divinità di
riferimento e il suo nella mitologia greco romana è Ermes o
Mercurio. – spiegò.
-
Fantastico, ma nel caso ti sia sfuggito noi non siamo
né greci né romani. –
osservò con tono beffardo l’Ulfric.
-
Lasciala finire. –
Il
ragazzo guardò incredulo il figlio di Odino. –
Non mi piace il tuo tono, Simon. –
-
Un vero peccato che non me ne importi nulla. –
Peter
fece per replicare, ma la mano di Nives calò
sulla sua spalla e la strinse leggermente. Sembrava volerlo esortare a
smetterla di fare l’indisponente e accettare tutto
l’aiuto che gli veniva
offerto. Sospirò.
-
D’accordo, Angel, continua pure. –
La
figlia di Anubi sorrise compiaciuta e riprese la
sua spiegazione. – Nello zodiaco egizio la Vergine
è simboleggiata dal cane,
che è l’animale che risponde a … -
-
Ad Anubi, tuo padre. – concluse Nives.
Annuì.
-
Quindi la lealtà che viene messa alla prova è
quella di tuo padre … o forse la tua? –
Peter
assottigliò lo sguardo, fissandola con aria
indagatrice, come se volesse costringerla ad ammettere su due piedi che
sì, in
effetti ci aveva pensato a cospirare contro di loro.
-
Non essere ridicolo, Angel è sempre stata leale al
Campo. – sbottò Austin.
Era
sicuro delle sue parole, perché l’unica ragazza
che passava un po’ di tempo con lui e lo trattava come suo
pari non poteva
essere una traditrice. Angel era una persona buona, sincera, e lui lo
sapeva.
-
Non scaldarti, principe delle tenebre, la mia era
solo un’osservazione. –
-
Senti chi parla di scaldarsi. – mormorò Annalisa,
ironica.
-
Dicevi? – domandò, aggressivamente.
-
Dicevo che sei l’ultima persona che può parlare di
“scaldarsi” visto che fino a cinque minuti fa
brillavi come una lampadina al
neon. – replicò, senza lasciarsi minimamente
intimidire.
Era
abituata a fronteggiare Caleb, gestire lui
sarebbe stato quasi un gioco da ragazzi.
-
No, si è accesso e me lo sono perso? –
La
voce di Jack stemperò immediatamente la tensione
che si era venuta a creare.
-
Si può sapere dove accidenti ti eri cacciato? Ti
ho cercato per tutto il pomeriggio. – borbottò
Peter, a mo’ di benvenuto.
-
Ehy, non siamo mica sposati che ti devo rendere
conto di ogni mio spostamento. –
-
Sei il mio Freki, noi siamo peggio che sposati. –
Jack
alzò gli occhi al cielo, ridendo. – Okay, mr
gelosone, non scomparirò più se questo ti
trasforma in una ragazzina mestruata.
–
-
In una cosa?
–
Gli
occhi dell’Ulfric si sgranarono all’inverosimile.
Se si fosse trattato di chiunque altro l’avrebbe squartato
sul momento e a mani
nude, ma lui era Jack e … bè, gli si poteva
perdonare praticamente qualsiasi cosa.
-
Hai ragione, diciamo una ragazzina mestruata molto
mascolina. – si corresse, con il sorriso ancora ben stampato
sulle labbra.
-
Ricordami perché ti ho scelto come migliore amico.
– borbottò.
Jack
finse di pensarci su. – Uhm, forse perché sono il
tuo unico amico? Ma la butto
lì così,
non è che ne sia completamente sicuro, eh. –
Scosse
la testa, trattenendo una risata.
Sapeva
perché il figlio di Thor stava facendo così:
voleva distrarlo e tranquillizzarlo e doveva ammettere che ci stava
riuscendo.
-
Okay, messaggio ricevuto, la pianto di fare lo
stronzo. – decretò, alzando le mani in segno di
resa.
-
Perché, ne sei capace? – domandò Nives,
come se
la cosa fosse una
scoperta incredibile.
-
Sì, quasi quanto ne sei in grado tu. –
Hellen
fece capolino, bussando alla porta in legno
di castagno.
-
È un buon momento per una profezia decifrata o
ripasso più tardi? –
Peter
inarcò un sopracciglio, sorpreso.
-
Stai dicendo che siete riusciti a capire a cosa si
riferisce? –
Hannah,
alle sue spalle, annuì.
-
Hellen aveva una mezza idea e le ore in biblioteca
hanno dato i loro frutti. È stata in gamba, ha un grande
intuito.
La
figlia di Osiride abbassò lo sguardo, imbarazzata
dal complimento.
-
Il merito è anche vostro, sarei ancora
sommersa da libroni e polvere se non fosse
stato per l’aiuto che mi avete dato tu ed Eric. –
-
Sì, tutto questo spirito di squadra è fantastico,
perché
non veniamo al punto? – li interruppe Nives, impaziente.
Hellen
riassunse in fretta ciò che avevano scoperto,
suscitando mormorii meravigliati quando giunse al punto riguardante la
spada di
Orione.
-
Quindi dobbiamo trovare il gigante e prendere la
spada prima che lo faccia qualcun altro. Tanto per sapere, qualcuno ha
la
minima idea di dove si trovi? – domandò Simon.
Tornarono
a guardare Hellen, che scrollò le spalle. –
Hey, non posso mica risolvervi tutto io. –
Per
la seconda volta la discussione venne interrotta
da suono delle nocche che battevano contro la superficie lignea.
Caleb
stava sulla soglia, l’espressione corrucciata.
Quando
fu sicuro di aver attirato l’attenzione di
tutti prese la parola: - Scusate tanto se vi interrompo, ma magari vi
interessa
sapere che i barbaros sono qui. – disse, utilizzando il
termine dispregiativo con
cui si indicavano i greci e i romani.
-
Sono già qui? Ma non dovevano arrivare domani
sera? – Peter imprecò in egiziano e, sebbene
Hellen non avesse particolare dimestichezza
con quella lingua, riuscì a capire che doveva trattarsi di
un’offesa piuttosto
pesante.
-
D’accordo, andiamo a vedere cosa vogliono. –
decretò, avviandosi a passo risoluto verso la zona
principale del Campo.
Spazio
autrice:
Scusate
per l’attesa, ma finalmente ci sono! Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate. Alla
prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 7 *** Cap 6 ***
Cap
6
La
delegazione greco romana era stata fatta radunare
nella zona centrale del Campus, utilizzando l’Arena come
punto di raccolta per
contenere tutte quelle persone. I semidei dei due Campi indossavano
semplici
jeans e t shirt di due colori, arancioni se venivano dal Campo
Mezzosangue e
viola per quelli provenienti da quello Giove, e non sembravano andare
particolarmente d’accordo. O meglio, il biondino
dall’aria gracile e vagamente
simile a uno spaventapasseri sembrava piuttosto ostile con tutti coloro
che non
fossero romani o non pendessero dalle sue labbra, tutti gli altri si
limitavano
ad essere pacati e vigili. Lupa e Chirone si erano sistemati accanto a
Manto e
parlottavano a bassa voce con lei.
-
Fantastico, adesso ci mettiamo anche ad allestire
uno zoo? – domandò Caleb, scrutando il centauro e
la lupa.
Lars,
rimasto in un angolo alle spalle di Manto, lo
folgorò con un’occhiataccia per poi tornare a
osservare con un sopracciglio
inarcato lo spaventapasseri e la ragazza dai ricci capelli rossi. Non
aveva mai
avuto niente a che fare con Auguri e Oracoli, ma non faticava a capire
che i problemi
sarebbero arrivati unicamente dal romano.
-
La delegazione greca è guidata da Percy Jackson,
figlio di Poseidone, e Annabeth Chase, figlia di Atena, mentre quella
romana
dai Pretori Reyna Arellano e Jason Grace, figli di Bellona e Giove.
– spiegò
Manto, rivolgendosi a Peter.
-
Peter Murter, figlio di Ra, e Ulfric del Campo. –
si presentò asciutto, guardandosi bene
dall’avvicinarsi più di tanto agli
esponenti delle altre fazioni.
Lui
era un semidio egizio e non voleva proprio avere
niente a che fare con quei barbaros.
-
Di solito ci si stringe la mano quando ci si
presenta. – osservò Reyna, inarcando un
sopracciglio. Non era esattamente
ostile, ma neppure amichevole, quasi stesse ancora decidendo come
comportarsi
con loro.
-
Di solito sì, ma credo che in questo caso ne farò
tranquillamente a meno. –
Lo
spaventapasseri, aveva deciso che quello era il
nome con cui l’avrebbe chiamato da quel momento in poi, emise
un verso di
scherno.
-
Temi la potenza di Roma? Allora, forse, dopotutto
voi egiziani non siete così stupidi … forse siete
addirittura meglio dei
Graecus. –
-
Esattamente di cosa dovremmo aver paura, di un
tizio con indosso un lenzuolo e armato di peluches? –
domandò Jack, suscitando
con suo stupore anche le risatine di buona parte della delegazione
straniera.
Octavian
divenne rosso come un peperone,
bofonchiando qualcosa in latino.
-
Ragazzi, smettetela immediatamente. –
La
voce di Manto, unita al lieve ringhio di Lupa e
allo scalpiccio di Chirone, interruppero l’inizio di quella
che sarebbe
sicuramente degenerata in una rissa di proporzioni epocali di
lì a poco.
-
Sono ospiti e come tali sono sacri, perciò
comportatevi bene. Quanto a voi, finchè sarete qui
mostrerete rispetto e non
attaccherete briga con i miei Eroi. – aggiunse, passando in
rassegna prima i
suoi ragazzi e poi tutti gli altri.
Reyna
chinò appena il capo, dando segno che
accettava quelle condizioni, mentre il resto del gruppo annuiva
silenziosamente.
-
Jack, Hannah, Austin e Annalisa si occuperanno di
trovarvi degli alloggi mentre Lars si occuperà del vostro
Oracolo e dell’Augure.
–
L’Ur
Mau lanciò un’occhiata di sottecchi a Skyler,
dipingendosi sul volto un’espressione desolata. A quanto
sembrava i loro
progetti pomeridiani avrebbero dovuto essere rimandati a un momento
più
favorevole. La ragazza, però, non sembrava essersela presa e
si era limitata a
scrollare le spalle e a indirizzargli un sorriso rassicurante. Forse,
tutto
sommato, l’idea di unirsi al resto dei semidei per la cena
non era poi tanto
male. Magari, se fosse stato particolarmente fortunato, sarebbe
riuscito a
scambiare quattro chiacchiere con lei.
-
Quindi tu sei una specie di sacerdote? – domandò
Rachel,
mentre lei e Octavian lo seguivano lungo i corridoi interni che
portavano alla
zona notte riservata agli “addetti ai lavori” del
Campo.
-
Più o meno, anche se il mio compito è molto
simile
a quello di un Oracolo. –
Octavian
emise uno strano sbuffo. – Fantastico, un
altro Oracolo. –
-
E perché non alloggi nel tempio? –
Sgranò
leggermente gli occhi. I suoi compagni
facevano bene a chiamarli barbaros.
L’idea
di risiedere nello stesso luogo della divinità che si
serviva era qualcosa di a
dir poco sconveniente e irrispettoso.
-
Sarebbe osare troppo, quasi ritenersi sullo stesso
piano del Dio. Insomma, non sta bene. –
Rachel
annuì, poco convinta, ma non aggiunse altro.
Le sembrava che questi egizi fossero un po’ troppo
bacchettoni comparati al
modo di fare che avevano greci e romani.
-
È un ragionamento sensato. – ribattè
invece
Octavian, sorprendendola.
Di
solito l’Augure non perdeva occasione per
criticare e andare contro il pensiero comune, quindi il fatto che fosse
d’accordo
con un’usanza straniera la lasciava senza parole.
-
Le vostre stanze sono queste, la cena comincia
alle otto e immagino che alle nove ci sarà una nuova seduta
del Consiglio.
Fareste bene a rispettare gli orari, Peter non è molto
tollerante. – concluse,
senza dar peso né allo sconcerto della rossa né
alle parole del
romano.
Voltò
loro le spalle e tornò nella sua stanza.
Era
stato abbastanza in mezzo alla gente per i suoi
gusti e se voleva cenare in mensa con tutti gli altri avrebbe fatto
meglio a
prendersi almeno un paio d’ore solo per sé.
*
Il
gruppo scortato da Jack era formato da Percy,
Annabeth e Reyna e, tutto sommato, il figlio di Thor doveva ammettere
che era
il trio con cui probabilmente avrebbero avuto meno problemi.
Sorrise,
vedendoli sgranare gli occhi davanti alla
costruzione e all’arredamento.
-
Dall’esterno sembra spartano quasi quanto la Casa
di Ares, ma all’interno è stupefacente.
– commentò Annabeth, soffermandosi sui
dettagli architettonici che impreziosivano le varie stanze.
Reyna
tornò subito su un argomento che le stava
molto più a cuore e che le sarebbe di certo stato
più utile delle lezioni di
architettura della figlia di Atena. – Cosa puoi dirci sul
vostro capo … Peter,
giusto? –
Jack
prese un po’ di tempo per trovare le parole
giuste. Da quanto aveva visto, Reyna gli assomigliava molto ma non
credeva che
paragonarla a lui sarebbe stata una mossa saggia.
-
Peter è … particolare. È un buon
leader e un
ottimo amico, malgrado sia un po’ lunatico, e questa
è l’unica cosa che conta. –
La
figlia di Bellona annuì, come se si fosse
aspettata una risposta come quella.
-
Quindi anche tra gli egizi la lealtà ha un gran
valore, sono lieta di saperlo. –
Finirono
il giro in silenzio e, quando tutti e tre
si furono sistemati, Jack decise di levare le tende. Non era mai stato
un
mediatore particolarmente efficace e le pubbliche relazioni lo
annoiavano,
quindi molto meglio darsela a gambe il prima possibile ed evitare
incidenti
diplomatici.
Hannah
Eva non aveva potuto fare a meno di notare
quanto quel ragazzo, Leo, fosse incredibilmente simile al loro Zephyr.
Jason e
Piper erano chiaramente una coppia, una di quelle stabili e dolcissime
a suo
modesto parere, proprio come quelle dei suoi film e libri preferiti e
le
facevano una simpatia immediata, ma era il ragazzo ispanico ad averla
conquistata. Leo Valdez era un vero e proprio uragano, uno di quelli
con la
battuta sempre pronta, e di un’iperattività
sconvolgente.
Quando
fece cadere una delle statue a forma di gatto
che stavano sul basamento della Seconda Casa, si volse verso di lui.
– Ma tu
non stai proprio mai fermo? –
-
Certo che no, avrò tutto il tempo per stare fermo
una volta che sarò morto. – ribattè,
rivolgendole uno dei suoi migliori sorrisi
malandrini. – Piuttosto, perché qui dentro
è pieno di gatti di tutte le forme e
dimensioni? Non è che ci abita una vecchia gattara pazza,
tipo quella dei
Simpson, vero? –
Hannah
soffocò una risata.
-
No, nessuna gattara pazza, ma per noi egizi il
gatto è uno degli animali sacri. –
Leo
annuì, passandosi una mano tra i ricci scuri.
-
Già, avete pure una specie di Dea dalla testa di
gatto, no? –
-
Ehm … sì, quella è Bastet, e sarebbe
mia madre. –
Il
ragazzo sgranò gli occhi, guardandola come se si
aspettasse di sentirla miagolare da un momento all’altro.
– Però tu sei tutta
umana, vero? Nessuna parte felina? –
Stavolta
non riuscì a trattenersi e scoppiò a
ridere. – Sì, nessuna parte felina, non miagolo e
non perdo pelo. Lo giuro. –
-
Bene, perché si da il caso che sia allergico ai
gatti e poi non mi sarebbe andato di portarti scatolette di tonno e
piattini di
panna. –
-
Sei un tipo strano, Leo, te l’hanno mai detto? –
Il
semidio annuì, sorridendo, - Lieto che te ne sia
accorta, gattina. –
Ad
Annalisa toccarono Clarisse, Chris e Will. Un
trio eterogeneo e interessante, peccato solo che lei e la figlia di
Ares si
stessero cordialmente sulle scatole.
-
Quindi tu saresti una figlia di Loki, giusto? –
domandò
Chris, deciso a rompere il ghiaccio e uscire da quella situazione di
imbarazzante silenzio che li aveva accompagnati da quando erano usciti
dall’Arena.
-
Già. C’è una certa affinità
tra Loki ed Ermes,
almeno credo. –
Il
figlio di Ermes annuì, aggrottando la fronte
pensieroso. – Suppongo di sì, per certi versi sono
molto simili. –
-
Non direi. Ermes non è un Dio imbroglione. –
intervenne Clarisse, che non sembrava aver preso molto bene
quell’improvviso
punto di contatto tra la ragazza e il suo fidanzato.
-
Già, è solo il Dio dei ladri.
C’è una differenza
abissale. – convenne, sarcastica.
-
Mi stai prendendo in giro? –
-
No, cosa te lo fa pensare? –
-
Stammi bene a sentire, se … - cominciò Clarisse,
ma Chris fu più svelto di lei e la trasse a sé,
riuscendo a tacitarla.
-
Non farci caso, è normale trovarla antipatica. –
disse Will, chinandosi a sussurrarglielo nelle orecchie per evitare che
Clarisse lo sentisse.
-
Perché stai sussurrando se è una cosa normale?
–
-
Perché la troverò anche antipatica, ma non sono
così masochista da volermi far sentire da lei quando ne parlo male. Fare
incavolare una figlia di
Ares, specie se si tratta di lei, non è mai una scelta
saggia. –
Annalisa
inarcò un sopracciglio, per niente toccata
da quella dichiarazione. – Bè, imparerà
a sue spese che neanche fare arrabbiare
me è una cosa molto saggia. –
Sembrava
che Austin avesse finalmente trovato
qualcuno con cui sarebbe potuto
andare d’accordo. Ovviamente quando gli avevano assegnato
quel terzetto non lo
sapeva ancora, ma quando giunsero davanti all’ingresso della
Quarta Casa fece
quella lieta scoperta.
-
Figlio di Seth, giusto? – domandò Hazel,
scrutandolo dalla testa ai piedi con espressione concentrata.
Perfetto,
era arrivato il momento di far fuggire
spaventati anche quei tre.
-
Già. – replicò, sulla difensiva.
-
Tranquillo, per me è okay, sono una figlia di
Plutone quindi so quello che devi aver passato. Una figlia di Plutone maledetta, insomma, non è che
facciano
esattamente la fila per fare amicizia con me. –
Eppure
gli risultava difficile da crederlo. Mentre i
suoi occhi dalle sfumature rosso rubino erano di per se inquietanti e
facevano
passare la voglia a chiunque di guardarlo in faccia per troppo tempo,
doveva
ammettere che quella ragazzina era piuttosto carina.
-
E voi due che dite? Nessuna crisi isterica in
arrivo voglio sperare, non sono un granchè a gestirle.
– domandò, rivolgendosi
prima al tipo con la carnagione da cadavere ambulante e poi al cinese
dalla
corporatura possente.
-
Figlio di Ade, passo un sacco di tempo tra gli
spettri, figurati se mi faccio problemi a parlare con te …
Tu almeno sei vivo. –
-
Il figlio sfigato di Marte. – si presentò a sua
volta Frank, tendendogli una delle manone e stringendo la sua in una
morsa
ferrea.
Accettò
la stretta, preso alla sprovvista. Quei tre
ragazzi lo conoscevano da appena una manciata di minuti ed erano
già disposti
ad accettarlo e a non fargli pesare le sue origini, invece i semidei
con cui
aveva passato gli ultimi anni della sua vita non potevano fare a meno
di
guardarlo con sospetto. E poi erano loro i barbaros,
pensò tra sé e sé.
*
-
Allora, cos’era quello sguardo con Lars? – chiese
Hellen, mentre finivano di sistemare l’Arena per la seduta
del Consiglio che si
sarebbe tenuta poche ore dopo.
Skyler
distolse lo sguardo, imbarazzata, e
sprimacciò con più vigore di quanto fosse
necessario uno dei grandi cuscini da
sistemare sopra i sedili di marmo.
-
Non ho la minima idea di ciò che stai dicendo. –
-
Certo. Ria, dimmi, tu le credi? –
La
figlia di Onuris emise un verso ironico. – Sì,
certo, come no. Non vedi quanto è convincente? È
ovvio che tra lei e l’Ur Mau
non ci sia assolutamente nulla. –
-
Non c’è niente. –
-
Certo. – replicarono all’unisono.
-
Davvero, ragazze. Tra me e Lars non c’è
assolutamente nulla. – insistè, mordendosi la
lingua prima di aggiungere un “non
ancora”.
-
Guarda che ti crediamo, perché lo ripeti? – la
stuzzicò Ria, sorridendo davanti all’ennesimo
avvampamento della più piccola
del gruppo.
-
Siete insopportabili quando fate così. –
borbottò Skyler,
consapevole di essersi incastrata con le sue stesse mani.
Ria
e Hellen si scambiarono un cinque.
-
Avete finito di spettegolare come delle comari? –
domandò Caleb, affacciandosi per controllare a che punto
fossero con la
preparazione.
-
Perché invece di lamentarti non ci dai una mano? –
Il
ragazzo sgranò gli occhi come se Hellen avesse
appena detto qualcosa di assurdo e incredibilmente umiliante.
-
Aiutarvi a mettere in ordine? Stai scherzando,
spero. Rassettare e pulire è un lavoro da donne.
–
-
Quindi è perfetto per te. –
concluse Ria.
Gli
occhi scuri di Caleb scintillarono furibondi. –
Farò finta di non averti sentito, Torres. –
-
Se non mi hai sentito magari è il caso che ti dia
una sturata alle orecchie, Schwarz. –
-
Non mi faccio parlare in questo modo da una donna.
– ringhiò, avvicinandosi
pericolosamente a lei.
-
Caleb, possibile che tu debba sempre attaccare
briga? – esclamò Peter, mettendo piede
nell’Arena in compagnia di Nives. Il
figlio di Ra non sapeva davvero più come prendere quel
ragazzo.
-
Non ho iniziato io. –
-
Non m’interessa chi ha iniziato. Va a dare una
mano in armeria, magari riesco a tenerti fuori da una rissa fino
all’ora di
cena. – replicò, con un tono di comando che non
ammetteva repliche.
-
Ir al infierno, cabrón. –
mormorò Ria, seguendolo con lo sguardo.
-
No comenzar tambièn. –
Ria
e Peter si scambiarono uno sguardo penetrante, in una specie di gara
che vedeva
scontrarsi il Messico con il Venezuela.
-
Bueno, lascio perdere, ma la prossima volta lo prendo a patadas en
culo. – lo avvisò.
Peter
scrollò le spalle. – Fa un po’ come ti
pare, sono stanco di sentirvi discutere
in continuazione. –Poi si rivolse a Hellen. –
Allora, novellina, è
tutto pronto? –
La
figlia di Osiride annuì. – Ci siamo. –
Peter
lanciò un’occhiata all’orologio che
portava al polso. Mancavano due ore all’inizio
del Consiglio ... E che Ra gliela mandasse buona.
Spazio
autrice:
Ho
aggiornato un po’ dopo il solito perchè in questi
giorni sono in organizzazione
pre partenza e quindi ho avuto un sacco di cose da fare. Il capitolo
è un po’ di
passaggio, ma spero che vi piaccia. Cercherò di aggiornare
prima della partenza
(venerdì), ma non garantisco nulla. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 8 *** Cap 7 ***
Cap
7
-
Sei sicuro che sia una buona idea? –
Peter
alzò lo sguardo dal piatto di arrosto e patate che aveva
davanti, volgendosi
verso la figlia di Ullr. Per quanto passassero il tempo a punzecchiarsi
e
provocarsi doveva ammettere che si fidava del giudizio di Nives.
-
Se penso che riunire tutti questi semidei in un solo posto per
collaborare sia
una buona idea? Cazzo, certo che no … è pessima,
tremenda, e probabilmente
finirà con il degenerare. –
-
Non so cosa abbia in mente Manto. Sembra quasi che sia convinta che
possiamo
collaborare pacificamente, ma tu ce lo vedi Caleb che prende ordini da
una
ragazza o quello spaventapasseri che accetta un ordine da qualcuno che
non sia
romano? – borbottò la ragazza, posando lo sguardo
prima sul compagno di Campo e
poi sull’Augure romano, che era intento a piluccare
svogliatamente la sua
bistecca al sangue.
Peter
scosse la testa. – Caleb farà bene a darsi una
regolata, o interverrò io, e lo
spaventapasseri … bè, deve avere una lingua da
serpente ma credo di poterlo
gestire. –
Nives
sorseggiò lentamente la sua Diet Coke, assorta.
Solitamente
non si faceva problemi nell’affrontare casini e caos, ma
quando si trattava di
qualcosa di serio preferiva affrontare le cose a modo suo.
-
Bè, se dovesse servirti una mano fai un fischio e
verrò a salvarti. – ironizzò.
Il
figlio di Ra ammiccò, divertito. – Probabilmente
mi farei sventrare piuttosto
che chiedere il tuo aiuto. –
-
Non farti sentire dallo spaventapasseri oppure potrebbe passargli per
la testa
di usarti come uno di quei suoi peluches. –
Risero
insieme, ritrovando uno di quei momenti in cui la complicità
tra di loro
scattava come un fulmine a ciel sereno.
-
Ehy, che mi sono perso? – domandò Jack, scivolando
accanto all’amico e
riempiendosi il piatto con una generosa porzione di pasticcio di carne.
-
Solo Nives che mi paragonava a un peluches. –
-
Cioè stava dicendo che sei peloso? –
domandò, inarcando un sopracciglio.
-
No, che sono adorabile e coccoloso. –
Jack
si mordicchiò il labbro inferiore con aria fintamente
pensierosa. – No, sono
abbastanza sicuro che la mia ipotesi sia quella giusta. –
-
Jack? –
-
Sì, Peter caro? – domandò, sbattendo
gli occhioni turchesi con aria innocente.
-
Ti odio. –
-
Naaah, quello è amore non odio. –
-
No, sono assolutamente certo che sia istinto omicida. –
insistè l’Ulfric.
Il
figlio di Thor si portò una mano all’altezza del
cuore. – Ehy, così mi ferisci,
io credevo che tra di noi ci fosse qualcosa di profondo. –
-
Mai profondo come la fossa in cui ti seppellirò un giorno di
questi. –
Il
sorriso sul volto di Jack si allargò, divertito, ma il suo
sguardo venne
catturato da qualcos’altro e distolse l’attenzione
da Peter.
-
Che guardi? – domandò, piccato. Lui era abituato a
essere al centro
dell’attenzione, ad avere un mucchio di gente che pendeva
dalle sue labbra, e
un disinteresse così repentino lo infastidiva
incredibilmente.
-
Nulla. –
Seguì
il suo sguardo, notando come Hellen fosse impegnata in una
conversazione con
uno dei barbaros greci che aveva tutto
l’aspetto di un surfista
californiano: capelli biondi che sembravano baciati dal Sole, fisico
asciutto e
muscoloso, occhi blu e un sorriso capace di illuminare
l’intera stanza. I due
chiacchieravano fittamente, le teste vicine, e intervallavano le loro
battute
con risatine divertite.
-
Stai iniziando a mandare scintille. – lo informò,
con il tono pacato di chi non
ci vedeva nulla di strano nel fatto che il proprio migliore amico
sembrasse un
fulmine vivente.
-
Non mi piace. – decretò per tutta risposta.
-
Hellen? Eppure non mi sembrava. –
-
Non Hellen, il barbaros. –
Ah,
ora si che era tutto più chiaro.
-
E pensi di dirglielo? –
Jack
aggrottò la fronte. – Certo, vado lì e
gli dico “Ehy, lo sai che non mi piaci?”
–
-
Ma no, idiota. Volevo sapere se pensavi di dire a Hellen che ti piace.
–
sbottò. Possibile che dovesse sempre spiegare tutto a tutti
quanti?
Le
guance di Jack si tinsero di una strana sfumatura e il ragazzo dovette
impiegare
un paio di secondi per realizzare che l’amico era arrossito.
Non credeva di
averlo mai visto in quello stato.
-
Ehm … Non lo so. –
-
Dovresti dirglielo, almeno la pianti di comportarti da idiota geloso
senza un
motivo. – intervenne Nives, della cui presenza sembravano
essersi completamente
dimenticati.
-
Ci penserò … ma tu non le dirai nulla, vero?
–
La
ragazza scrollò le spalle. – Figurati se io ho
tempo da perdere con queste
dichiarazioni d’amore da ragazzini imbranati. –
-
Sì, ecco … bene. Che dici, se lo fulmino
è una mancanza di cortesia nei
confronti degli ospiti? – domandò poi.
Peter
sentì le labbra stirarsi in un sorriso sghembo. –
Sì, credo che Manto potrebbe
vederla così. –
*
-
Quindi sei stato tu a costruire quella nave? –
domandò Zephyr, incredulo.
Lui
era abituato a volare con il suo elicottero e il volo non aveva alcun
segreto
per lui, ma l’idea di una nave da guerra volante lo
lasciava
letteralmente senza fiato.
-
Già, non è stato poi così complicato.
– si schermì Leo.
Il
figlio di Efesto trovava simpatico il figlio di Amon; era una sua
versione
egizia dai capelli rossi e il suo stesso umorismo onnipresente.
-
Bè, è comunque una figata pazzesca. –
-
Oh, quante storie per un aggeggio volante. –
borbottò Ria.
Zephyr
scrollò le spalle, come a dire che doveva scusarla per la
sua mancanza di
interesse e ammirazione.
-
Non farci caso; è sexy ma ha un pessimo carattere e odia il
volo. – mormorò
all’orecchio del ragazzo.
Ria,
sentendo le sue parole, gli assestò uno scappellotto dietro
al collo ma non
riuscì a nascondere del tutto un sorrisetto compiaciuto.
-
Uffa, ma non sai neanche accettare un complimento. –
-
Sta zitto, folletto, oppure te ne do un altro. –
Zephyr
lasciò saggiamente cadere il discorso. Conosceva abbastanza
bene la figlia di
Onuris da sapere che non faceva mai minacce a vuoto.
Proprio
in quel momento il rumore di una sedia che veniva spostata
all’indietro attirò
l’attenzione generale e annunciò che Peter era
pronto per dare inizio alla
riunione del Consiglio.
Uscirono
dalla mensa chiacchierando sottovoce, dirigendosi verso
l’Arena, e lì si
separarono. L’Ala Sud venne occupata dagli abitanti del Campo
mentre quella Est
veniva presa dal Campo Mezzosangue e quella Ovest dal Campo Giove.
Nell’Ala Nord,
infine, era stato allestito un piccolo palchetto rialzato per i leader
dei vari
Campi.
Peter
si accomodò sullo scranno centrale e a nessuno
sfuggì la simbologia di quel
gesto. Era un po’ come affermare che lui fosse il
“Capo tra i Capi”. Un gesto
avventato e arrogante, ma che rispecchiava in pieno la sua natura;
anzi,
sarebbe stato strano il contrario.
Intercettò
lo sguardo piccato del figlio di Giove, che lo guardava come se si
stesse
sforzando di ingoiare qualcosa di particolarmente disgustoso e
fastidioso.
-
Problemi? – domandò, inarcando un sopracciglio in
aria di sfida.
Jason
fece per rispondere, tagliente, ma la mano di Reyna sul suo avambraccio
lo
convinse a trattenersi. Non era il momento di discutere su a chi
spettasse il
comando, ci sarebbe stato tempo in abbondanza più tardi.
Percy,
dall’altro lato del figlio di Ra, non sembrava ugualmente
contento della
posizione marginale in cui era stato relegato ma lo sguardo severo di
Annabeth
bastava a farlo desistere da qualsiasi presa di posizione per la
contesa della
leadership. Senza contare che i semidei locali erano la maggioranza ed
era
ovvio pensare che un’eventuale votazione sarebbe stata di
certo a favore dell’
Ulfric.
-
Nessun problema, dai pure inizio alla seduta. –
replicò Annabeth.
Peter
annuì brevemente, rivolgendosi alla platea. Non aveva mai
avuto problemi a
parlare in pubblico e se la presenza di quel gruppo di estranei lo
innervosiva
non lo diede a vedere.
-
Tutti voi siete a conoscenza delle profezie che i nostri Oracoli hanno
declamato,
quindi è superfluo tornare sull’argomento.
Ciò che dobbiamo stabilire è se una
collaborazione tra i Campi è effettivamente possibile o se
ognuno possa gestire
la cosa in solitaria. Quanti sono contrari al lavoro di squadra alzino
le mani.
–
Si
alzarono parecchie mani, quasi la metà, e tra tutte
svettavano chiaramente
quelle di Clarisse, Octavian e Caleb.
-
Quanti sono a favore? –
Questa
volta le mani alzate furono ancora di più.
-
Sembrerebbe che questa alleanza si
debba
fare. – concluse Annabeth con tono pratico.
-
Così sembrerebbe. – convenne freddamente. In
realtà neanche lui sapeva se fosse
contento o meno del risultato ottenuto.
-
Chi dovrebbe prendere il comando di questa alleanza? –
domandò allora la voce
dell’Augure.
-
Peter, non è ovvio? – fu la pronta replica di
Caleb.
Un
mormorio contrariato si levò dalle file dei greci e dei
romani.
-
Non è ovvio proprio per niente. I romani non prendono ordini
da degli
stranieri. –
-
Né noi diamo retta ai barbaros.
– replicò duramente.
Nella
confusione che generò da quelle parole, si
stagliò in aria il braccio solitario
di Hannah.
Peter,
alzatosi in piedi per richiamare all’ordine i suoi compagni e
imitato da Reyna
e Annabeth, rivolse l’attenzione su di lei.
-
Hannah, volevi dire qualcosa? –
La
ragazza provò ad aprire bocca, ma il vociare la sovrastava.
-
Piantatela tutti. – ordinò, riuscendo finalmente a
placare quel casino.
-
C’è un modo per stabilire chi sarà a
comandare, qualcosa che andrà bene a
tutti: un confronto di volontà. –
decretò la figlia di Bastet.
Le
sue parole questa volta vennero accolte da un mormorio di approvazione.
Il
confronto di volontà non era altro che una sfida tra capi,
uno scontro al primo
sangue che non avrebbe fatto
altro se
non affermare il predominio di uno di loro.
-
Peter, Percy e Jason si affronteranno e chi vincerà
prenderà il comando
dell’impresa. – confermò Reyna, mentre
Annabeth annuiva e il resto dei semidei
dei vari schieramenti si dicevano d’accordo.
Un
leader doveva dimostrarsi il più abile tra tutti loro e il
combattimento era
senza ombra di dubbio la scelta più saggia.
Le
ragazze lasciarono libero il centro dell’Arena e i tre
semidei misero mano alle
rispettive spade.
-
Primo sangue. Niente ferite mortali né colpi volti a
menomare gli avversari. È
uno scontro tranquillo ragazzi, cerchiamo di non farci scappare il
morto. –
decretò Jack, soffermandosi un istante più del
dovuto sugli occhi grigi
dell’amico. Lo conosceva bene e sapeva
quanto si facesse prendere dai combattimenti, specialmente
quando la sua
supremazia veniva messa in dubbio.
Annuirono
tutti e tre, attendendo il via.
-
Okay, allora cominciate. –
Peter
fu il primo a colpire, muovendosi rapido e agile come un serpente.
Tentò un
allungo in direzione di Percy, ma il figlio di Poseidone era
più veloce di quanto
si aspettasse e deviò il colpo con la sua lama di bronzo
celeste. Venne poi il
turno di Jason, che partì all’attacco del figlio
di Ra malgrado Percy avesse il
fianco scoperto e fosse più vicino a lui.
Era
evidente quello che stavano cercando di fare. Si stavano coalizzando
per
eliminarlo dai giochi e vedersela tra loro. Bè, avevano
fatto male i conti.
Era
più esperto, più forte, più veloce e
più cattivo di loro due messi insieme.
Parò il colpo del figlio di Giove, costringendolo a
sbilanciarsi e facendolo
finire a terra con un calcio preciso dietro al ginocchio.
Affondò la lama nello
spazio tra il braccio e il busto, trovando un brandello di pelle
morbida pochi
centimetri sopra l’ascella.
Sorrise
quando vide la lama macchiarsi del sangue del ragazzo.
Udì
gli incitamenti dall’Ala Sud; erano carburante per il suo ego
e il suo
desiderio di vittoria.
Si
volse verso Percy, deviando all’ultimo secondo un fendente
del greco che mirava
al suo avambraccio.
Fintò
un affondo al fianco destro e quando la guardia del semidio si
abbassò colpì di
striscio la spalla sinistra. Il gemito di Percy fu musica per le sue
orecchie.
-
Peter vince, è l’Ulfric ad assumere il comando
dell’impresa. – decretò Jack, la
voce condita da un pizzico di soddisfazione e orgoglio.
La
decisione venne accompagnata da un borbottio contrariato della parte
romana,
che sembrava proprio non volerne sapere di farsi guidare da uno
straniero.
-
Non sei stato leale. – borbottò Jason, alzandosi
in piedi e folgorandolo con un’occhiataccia.
Peter
gli rivolse un sorriso di scherno. – Ti aspetti che i tuoi
nemici siano leali,
figlio di Giove? Se è così mi stupisco che tu sia
rimasto in vita tanto a
lungo. Se vuoi qualcosa te la prendi, non ti fai tanti problemi
né scrupoli …
volevo il comando e l’ho preso. Questa è la
lezione di oggi, ragazzino. –
Rinfoderò
la lama, tornando a sedersi sullo scranno a testa alta, incurante delle
proteste dei barbaros.
Volse
gli occhi grigi verso Lars, facendogli segno di avvicinarsi.
L’Ur
Mau si allontanò controvoglia da Skyler, raggiungendo
l’Ulfric.
-
Che sensazione hai a proposito della costituzione di tre gruppi di
semidei? –
lo interpellò.
Aveva
un’idea che gli girava nella mente, ma voleva prima essere
sicuro di avere il
favore degli Dei.
Lars
aggrottò leggermente la fronte, concentrandosi su
quell’ipotetico scenario.
-
Non vedo alcun problema, anzi, probabilmente placherà un
po’ gli animi. –
-
Ho deciso di inviare tre squadre. La prima verrà guidata da
me e sarà formata
da Jack, Nives, Hellen, Ria, Zephyr, Clarisse, Chris e Will. La seconda
sarà
guidata da Percy e sarà composta da Annabeth, Jason, Piper,
Nico, Leo, Hannah
Eva, Skyler e Lars. La terza, infine, sarà sotto la guida di
Reyna e i semidei
che andranno con lei saranno Simon, Angel, Annalisa, Austin, Caleb,
Frank,
Hazel ed Eric. – decretò, prima di aggiungere:
– La partenza avverrà domani
mattina, ora sparite dalla mia vista. –
Spazio
autrice:
Eccoci
con l’aggiornamento. Dal prossimo capitolo
inizierà finalmente l’azione vera e
propria … ed era anche ora direte voi xD. Credo che
dividerò i capitoli a
squadre, nel senso che il prossimo sarà dedicato alla prima,
quello successivo
alla seconda e quello dopo ancora alla terza in modo da poter dare il
giusto
spazio a tutti gli OC. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non sia
risultato noioso nonché vi piacciano gli abbinamenti delle
squadre. Infine, vi
anticipo che nel prossimo capitolo ci sarà una sorpresa.
Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|
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Capitolo 9 *** Cap 8 ***
Cap
8
Will
Solace era un tipo simpatico. Simpatico e
carino, precisò mentalmente Hellen
mentre osservava il figlio di Apollo percorrere lo stretto corridoio
che
separava le tavole della mensa. I capelli biondi scintillavano sotto la
tiepida
luce dell’alba e gli occhi blu brillavano, mettendo in
risalto quella strana sfumatura
cobalto.
La
maggior parte dei ragazzi dei tre Campi dormiva
ancora, solo pochi membri della squadra di Peter erano già
in piedi e si
affaccendavano cercando di recuperare tutto ciò che potesse
tornare utile per l’impresa.
-
Ehy – le sorrise, in uno scintillio di denti
bianchissimi, mentre sedeva accanto a lei.
-
Ciao, Will. Il resto dei tuoi compagni non si è
ancora svegliato – replicò, sicura che fosse
arrivato in mensa alla loro
ricerca.
-
Come al solito. Comunque non stavo cercando loro. –
Inarcò
un sopracciglio, perplessa.
Se
non stava cercando il resto dei semidei del Campo
Mezzosangue, allora chi?
-
Se vuoi parlare con Peter dell’impresa … -
cominciò, ma venne fermata dallo scuotere della testa bionda
del ragazzo.
Will
abbozzò un sorrisetto sghembo. – Non dirmi che
non hai davvero capito perché mi sono alzato
all’alba per venire in mensa. Qualche
piccolo indizio … è una ragazza, una figlia di
Osiride, e ha gli occhi più
belli che abbia mai visto. –
Hellen
sgranò gli occhi. Nessuno aveva mai definito
il colore delle sue iridi come “bello”; nella
maggior parte delle volte, se non
la guardavano disgustati o spaventati, si limitavano a un diplomatico
“inconsueto”
o “particolare”. Un modo gentile per dire che una
persona non avrebbe mai
dovuto avere occhi di un viola come quello. Sentì le guance
avvamparle
leggermente.
-
Qualcosa mi dice che hai indovinato di chi si
tratta. –
-
Io … -
-
Immagino che tu
abbia già preparato tutte le tue cose, vero
novellina? – Si voltò quanto bastava
per incrociare le iridi color acciaio di Peter. La scrutava con un
sopracciglio
inarcato, beffardo e insinuante al tempo stesso. – Sempre
ammesso che tu non
abbia trovato di meglio da fare. –
-
È tutto pronto, le ho già sistemate
sull’elicottero
di Zephyr. Adesso puoi anche tornare a fare il sergente istruttore con
qualcun
altro, magari qualcuno che se lo merita davvero. –
-
Tipo la mia controparte greca. Solace, va a
svegliare gli altri barbaros.
Partiamo tra mezz’ora. –
-
Signorsì, signore – replicò, scattando
in piedi e
battendo i tacchi con aria beffarda. Strizzò
l’occhio a Hellen, facendola
sorridere. – Riprendiamo il discorso più tardi,
raggio di Sole. –
Rimasti
soli, Peter assottigliò lo sguardo
fissandola con aria penetrante, quasi volesse spingerla a confessare
chissà
quale misfatto.
-
C’è qualcosa tra te e il barbaros?
–
-
Per prima cosa smettila di chiamarlo in quel modo.
Per seconda, non sono certo affari tuoi. –
-
Certo che sono affari miei. –
Si
rese conto all’ultimo secondo di come dovevano
suonare quelle parole. Dannazione, ci mancava soltanto che facesse la
figura
dell’idiota geloso. Stramaledizione a Jack e
all’istinto protettivo che
suscitava in lui.
-
Ah, sì? – domandò, gelida.
-
Sì, perché questa è
un’impresa di vitale
importanza, mica una scampagnata per i campi con il fidanzato.
–
Scampagnata
per i campi? In nome di Ra, neanche sua
nonna lo diceva più. Evidentemente quella mattina il suo
cervello si rifiutava
di collaborare e produrre qualcosa che non lo facesse suonare come un
completo
idiota.
La
voce di Jack diede vita ai suoi pensieri. –
Scampagnata per i campi? Sul serio c’è ancora
qualcuno che definisce un
appuntamento in questo modo? –
-
Sta zitto, Jackie. –
Il
sorriso del figlio di Thor si allargò. – Ah,
quindi sei tu che l’hai detto. Complimenti, Pete, persino mio
nonno è meno
antico di te. –
-
Quale parte dello “sta zitto, Jackie” non ti
è
chiara? –
Arricciò
il labbro inferiore, fingendosi pensieroso.
– Un po’ tutta la parte prima del Jackie.
–
-
Ra, dammi la pazienza – borbottò
l’Ulfric, alzando
gli occhi al cielo.
-
Non era la forza una volta? –
-
Sì, ma se mi da la forza ti tiro il collo …
purtroppo
devo trattenere questo sano e giustissimo impulso fino a dopo
l’impresa. –
-
Mi sa che hai perso la lezione in cui veniva
spiegato cosa è sano e giusto e cosa è omicida e
assolutamente sbagliato.
Uccidere Caleb? Sano e giusto. Uccidere Jack? No buono. –
Peter
alzò le mani, sconfitto. Quando Jack
cominciava a fare così non c’era via
d’uscita, soprattutto da quando aveva
visto la saga di Pirati dei Caraibi e aveva deciso che, visto che
Sparrow si
chiamava come lui, era legittimato a usare le sue stesse battute.
-
Mezz’ora – ricordò a Hellen prima di
uscire da
quel manicomio travestito da mensa.
Jack
occupò il posto lasciato libero da Will,
allungando una mano verso la tazza di cereali di Hellen e rubandole una
manciata di Miel Pops.
-
Ehy, questa è la mia colazione
– protestò, allontanando la tazza da quel ladro di
cereali.
-
Mio, tuo … è la stessa cosa. –
-
Non credo proprio. –
Jack
allungò nuovamente la mano, ritraendola quando
il cucchiaio si abbattè sulle sue dita. – Ahi.
–
-
Comunque, che ci facevi sola soletta in mensa? –
Hellen
sorrise ironica. – Che domanda difficile …
magari facevo colazione? –
-
Okay, mi è uscita male. Perché non sei con Ria e
Nives? Pensavo che voi tre foste amiche … o qualcosa del
genere – riformulò.
-
Nives dormiva ancora, e diventa particolarmente
violenta quando qualcuno prova a svegliarla, e Ria …
bè, stava aiutando Zephyr
a caricare i bagagli. Comunque non ero sola – aggiunse poi.
-
Sì, okay, ma Peter non conta. Non so se l’hai
notato, ma non è neanche minimamente di compagnia quanto me
–
Hellen
rise, più divertita dall’espressione del
ragazzo che dalle sue parole. Notò solo in quel momento la
fossetta che
compariva sul volto di Jack quando rideva e come gli occhi turchesi
scintillassero
divertiti e malandrini insieme.
Che
accidenti le prendeva? Solitamente non era una
di quelle ragazze che sospirava per ogni bel ragazzo che le capitava
davanti,
ma quando si trovava con Will e Jack non poteva fare a meno di
incantarsi a
guardarli. Se fosse stato solo dovuto al fattore estetico probabilmente
si
sarebbe concentrata su Peter, che in quanto a bellezza vinceva
abbondantemente
su tutti i ragazzi del Campo, ma c’era
qualcos’altro in loro. Scrollò le
spalle, scacciando quel pensiero. Non era quello il momento di pensare
a loro né
a possibili e problematiche relazioni sentimentali.
-
Ero con Will in realtà, mi faceva un
po’ di compagnia. –
Si
trattenne dall’aggiungere che il figlio di Apollo
non passava certo di lì per caso. Aveva
l’impressione che la cosa non sarebbe
affatto andata a genio a Jack.
-
Ah, la lampadina greca. –
Ecco
appunto.
-
Si può sapere perché tu e Peter ce
l’avete tanto
con loro? – domandò.
-
Aspetta. Peter se l’è presa con lampadina boy?
–
Non
era certo una novità, visto che l’Ulfric
discuteva con almeno cinque persone ogni giorno, ma aveva avuto
l’impressione
che Solace fosse uno dei pochi barbaros
che gli stesse simpatico.
-
Bè, non eccessivamente per i suoi standard, ma mi
ha fatto una specie di ramanzina sulla serietà
dell’impresa e il non flirtare
con i ragazzi in questo momento. –
-
Stavi flirtando con lampadina?! – esclamò. Il tono
di voce gli uscì più indignato di quanto avesse
voluto.
Hellen
avvampò. – Non stavo flirtando proprio con
nessuno, è solo Peter che come al solito esagera. –
Esagerava
perché sapeva che Hellen gli piaceva, di
questo Jack era sicuro, e sentì l’affetto per il
suo migliore amico zampillare
nel suo cuore.
-
Ma a te piace? –
Si
morse la lingua. Doveva aver sviluppato una vena
masochista non indifferente se si ritrovava a fare quella domanda
proprio a
lei.
-
Bè … è carino, ma trovo carine anche
altre
persone, quindi non significa nulla – aggiunse in fretta.
Il
macigno che gli era inizialmente caduto addosso
si attenuò sentendo le ultime parole.
-
Per esempio? –
Sì,
era decisamente masochista, ormai non c’era più
alcun dubbio.
La
ragazza diventò ancora più rossa e
abbassò
lievemente lo sguardo. – Bè, Peter e Lars sono
carini, anche Jason e Percy e
Will e … e tu – concluse, certa di essere ormai
diventata dello stesso colore
di un pomodoro maturo.
Ci
mise un paio di secondi a registrare quelle
parole. Hellen credeva che lui fosse carino.
-
Jackie, novellina, mancate solo voi! –
Jack
alzò gli occhi al cielo, sorridendo. – Mi sembra
di udire i toni soavi di Peter. –
-
Già, la sua voce dolce e delicata raggiunge ogni
antro del Campo. –
Scoppiarono
a ridere insieme, sorreggendosi a
vicenda mentre avanzavano scossi dalle risate, e raggiungendo il resto
del
gruppo.
*
-
Sei assolutamente certo che questo aggeggio non
precipiterà schiantandosi a terra e riducendoci in
brandelli, vero? –
Zephyr
sgranò gli occhi. In nome del Cielo, perché
quella
ragazza riusciva sempre a essere così inquietante?
Decise
che poteva anche prendersi il lusso di
divertirsi un po’, se non altro per passare il tempo.
-
A dire la verità non ne sono affatto sicuro. Ad
esempio, questa spia che si è accesa adesso, segnala un bel
guasto nel motore. –
Ria
sbiancò, affondando le unghie lunghe nel sedile
del pilota.
-
E me lo dici così? –
Il
figlio di Amon scoppiò a ridere, facendole capire
che il suo era stato solo uno scherzo. – Quella è
la spia che segnala l’accensione
delle luci interne. –
-
Io ti uccido, maldito elfo! –
-
Esagerata, era solo un piccolo scherzo. –
-
Un accidenti, mi stava per venire un infarto. –
-
Fifona – borbottò a mezza bocca.
-
Che cosa? –
-
Ho detto “fifona” – ripetè.
-
Idiota. –
-
Isterica. –
-
Folletto. –
-
Arpia. –
-
Giuro che ti ammazzo. –
-
Questa minaccia è vecchia. –
- Piantatela,
state facendo talmente tanto casino che non riesco neanche a sentire i
miei
pensieri! – esclamò Peter, interrompendo il buffo
battibecco e alzando la testa
dalla cartina che stava esaminando insieme a Nives e Clarisse.
-
Guarda qui, sembra un punto in cui atterrare. –
Osservò
il punto indicato dalla figlia di Ullr. Si
trattava di un promontorio sabbioso poco distante dal Cairo, la loro
destinazione.
-
Non è male come punto di osservazione – ammise.
-
E ci proteggerà da occhi indiscreti. –
Recuperare
il Papiro di Ani per scoprirne di più
sulla profezia era la cosa più importante, il punto focale
della loro impresa,
e solo gli Dei potevano sapere quanto sarebbe stato difficile.
Avrebbero avuto
bisogno di ogni minimo vantaggio.
-
Zephyr, abbiamo una destinazione: andiamo al Cairo
– stabilì l’Ulfric.
Spazio
autrice:
E
una delle squadre è partita e ha trovato la loro
prima meta. Nel prossimo vedremo all’azione la squadra di
Percy con Hannah Eva,
Leo, Skyler, Lars, Nico, Annabeth, Jason e Piper. Spero che il capitolo
vi sia
piaciuto. Al prossimo.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
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