Young Gods

di Fiamma Erin Gaunt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap 1 ***
Capitolo 3: *** Cap 2 ***
Capitolo 4: *** Cap 3 ***
Capitolo 5: *** Cap 4 ***
Capitolo 6: *** Cap 5 ***
Capitolo 7: *** Cap 6 ***
Capitolo 8: *** Cap 7 ***
Capitolo 9: *** Cap 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hellen era seduta sulla sua brandina, gli occhi puntati sul soffitto coperto dalla spessa imbottitura che si trovava in tutte le stanze del centro d’igiene mentale per adolescenti Saint Brutus. Udì il rumore metallico dello spioncino che veniva fatto scorrere, ma rimase immobile, fingendo di essere addormentata. Lei era una di quelli che al centro venivano definiti “casi irrecuperabili”, i medici e gli inservienti la controllavano più o meno ogni ora, temevano che se lasciata troppo da sola potesse sviluppare idee suicide. Quello che non capivano era che lei non era pazza; no, di questo era assolutamente certa… lei vedeva davvero quelle cose.

- Hellen. Tesoro, sei sveglia? –

La voce della signora Warner, una delle infermiere più anziane che con lei si era dimostrata sempre incredibilmente gentile, accompagnò il cigolio dei cardini della porta. Voltò leggermente la testa verso di lei e le puntò contro le iridi violacee che tanto inquietavano il personale e gli altri ragazzi.

- C’è una visita per te, mia cara. –

Aggrottò la fronte. Lei non riceveva visite. Mai.

- Non ho nessuno che potrebbe venirmi a fare visita. – replicò, la voce pacata che non tradiva alcuna inflessione.

- C’è una signora che vorrebbe parlare con te, potresti sentire cosa ha da dirti. – insistette gentilmente.

Hellen sapeva perfettamente che quella donna provava un senso di compassione per lei. La povera orfanella con le rotelle fuori posto.

Si alzò e la seguì docilmente. Non le interessava chi fosse o di cosa volesse parlarle, ma era sicuramente meglio di passare il resto della giornata chiusa fra quattro mura. Le giornate al Saint Brutus seguivano uno schema rigoroso: sveglia, colazione, lezione e poi di nuovo nelle stanze dove venivano serviti i pasti; le interazioni tra i ragazzi venivano limitate all’orario scolastico e anche in quel modo non si era mai sicuri di riuscire a limitare i danni. La cosa non dava fastidio a Hellen; le piaceva il silenzio e non le pesava la solitudine. Ovviamente c’era da considerare anche il fatto che il resto degli ospiti dell’istituto la evitava come la peste, mentre un piccolo gruppetto le aveva affibbiato il soprannome “Cole”, come il bambino del “Sesto Senso”, e si divertiva a prenderla in giro.

Sì, perché la sua peculiarità era quella di vedere i defunti. Era cominciato tutto tredici anni prima, quando il nonno era morto e lei aveva affermato di continuare a vederlo in giardino; inizialmente i suoi genitori avevano imputato la cosa a una suggestione infantile dovuta dal desiderio di rivedere il caro defunto, ma poi la cosa era degenerata. Ora, a diciotto anni appena compiuti, Hellen non solo era in grado di vedere le anime che vagavano sulla Terra, ma riusciva persino a capire se una persona era in punto di morte o aveva ancora anni da vivere. La morte dei suoi genitori non era stata una sorpresa, l’aveva prevista mesi prima e la sua unica replica all’agente che era stato incaricato d’ informarla del decesso era stata: “Lo sapevo”. L’errore fatale era stato quello di confessare allo strizzacervelli da cui l’aveva spedita la sua famiglia adottiva ciò che riusciva a fare. E ora eccola lì, rinchiusa in una stanza dalle pareti imbottite e tenuta sotto sorveglianza anche quando andava in bagno.

Entrò nell’ampio salone adibito a sala ricreativa e luogo d’incontro. Era una stanza dipinta con un bell’ azzurro cielo e ricordava l’aula di un asilo nido: oggetti esclusivamente in gomma e plastica, niente bordi taglienti né qualsiasi cosa che potesse nuocere alla salute di coloro che si trovavano nel centro, ospiti o visitatori che fossero. La signora Warner le indicò il tavolo nell’angolo, quello dove si sedeva durante la sua ora di libertà. Amava quel posto, era riservato e tranquillo e dalla finestra in plexiglass si godeva una vista meravigliosa.

Volse lo sguardo sulla donna che le sedeva davanti. Era più giovane di quanto avesse pensato, di sicuro non doveva aver superato la trentina, e sembrava avvolta da un’aura di saggezza. I capelli castani le arrivavano alle spalle e gli occhi erano color perla e creavano l’illusione di un volto abituato a portare gli occhiali, eppure non ce n’era traccia. Indossava un completo dello stesso grigio degli occhi e sembrava stranamente impacciata in giacca e pantaloni, come se non fosse affatto abituata a portarli.

- Piacere di conoscerti, Hellen, io sono Manto. – esordì, sorridendole con aria amichevole e stando attenta a mantenere il contatto visivo.

- Cos’è una nuova psichiatra, quell’idiota benintenzionato del dottor Phillips si è già arreso? –

Udì lo sbuffo di rimprovero della Warner, ma non se ne curò.

- Sei schietta, è una dote che apprezzo. No, non sono una psichiatra e per quanto mi riguarda non credo che tu ne abbia bisogno. Sono una professoressa e sono qui per offrirti la possibilità di un’istruzione superiore. Immagino che qui impariate solo lo stretto indispensabile. – aggiunse, esaminando con aria accigliata la stanza in cui si trovavano.

- Non le hanno detto che non si perde tempo a insegnare ai matti, professoressa? – replicò beffarda, sforzandosi di nascondere la frustrazione che era trapelata dalla sua voce.

Manto sorrise, sembrava che avesse toccato il tasto giusto.

- La scuola in cui lavoro si occupa di giovani talenti come te, Hellen, e mi piacerebbe moltissimo averti con noi. –

- Dunque stiamo parlando di una scuola per pazzi, ci usate come cavie da laboratorio o cos’altro? –

Quella ragazza era un osso più duro di quanto avesse immaginato, forse avrebbe dovuto ascoltare Chirone e  lasciare che se la sbrigasse lui. Scosse la testa. No, aveva detto che ce l’avrebbe fatta e così sarebbe stato, doveva solo ricordarsi di chi era figlia l’adolescente che aveva di fronte.

- Io trovo che sia meglio essere pazzi che noiosi; dietro a ciò che per molti è follia spesso si nasconde il vero genio, non sei d’accordo? –

Hellen si mordicchiò il labbro con aria assorta. Dove voleva andare a parare?

- Credo che abbia ragione, ma non mi ha ancora spiegato cosa dovrei fare in questa scuola. –

Manto le rivolse l’ennesimo sorriso, ottenendo in risposta una scrollata di spalle. Il messaggio era chiaro: per ora l’aveva convinta, ma era ancora troppo presto per abbassare la guardia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Ragazzi e ragazze, eccoci qui con la mia prima long su Percy Jackson. Oltre a ciò sarà anche una storia interattiva, con un numero limitato di personaggi OC che potrete introdurre nella storia. Parto specificando che gli Dei di cui tratteremo saranno:

- Egizi;

- Norreni.

Questo perché di semidei greci e romani ne abbiamo decisamente a bizzeffe e li adoro tutti e troppo per metterli in secondo piano. Qui sotto troverete una lista di divinità dei vari pantheon prenotabili da una sola persona (inserendo la vostra prenotazione nella recensione). La scheda pg andrà mandata entro ventiquattro ore dalla prenotazione (o il posto tornerà a essere libero) tramite messaggio privato.

Potete scegliere tra le seguenti divinità:

1.     

2.     

3.     

4.     

5.     

6.     

7.     

8.     

9.     

10. 

 

La scheda da compilare sarà la seguente:

Nome:

Cognome:

Sesso:

Età:

Luogo di provenienza:

Descrizione fisica e caratteriale:

Breve storia personale:

Eventuali amicizie/parentele:

 

 

 

 

Direi che è tutto. Alla prossima.

Baci baci,

                Fiamma Erin Gaunt

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Capitolo 2
*** Cap 1 ***


Cap 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Allora, Hellen, sei dei nostri? –

- Come sapevate dove mi trovavo e cosa ero in grado di fare? – indagò. Se proprio doveva andare con quella donna voleva avere delle risposte.

- Non sapevamo cosa fossi in grado di fare, i doni variano da persona a persona, ma conoscevo tua madre e non ti ho mai perso di vista nel corso degli anni. –

Quella donna aveva conosciuto sua madre? Eppure non le sembrava di averla mai sentita nominare, non in sua presenza per lo meno.

- Conosceva anche mio padre? –

L’espressione di Manto si fece improvvisamente cupa. Non c’era più neanche un briciolo dell’entusiasmo che aveva manifestato fino a quel momento.

- Sì, conoscevo anche tuo padre, ma non sono mai stata esattamente una sua fan. – ammise, sorridendole con aria di scuse.

Hellen apprezzò la sincerità. Chiunque altro al suo posto avrebbe cercato di nascondere la scarsa simpatia che provava nei confronti dell’uomo, se non altro per un atto di mera cortesia, ma Manto non sia era fatta problemi a essere sincera con lei.

- Penso che mi fiderò di lei, non mi dia motivo di pentirmene. – decretò, fissandola con decisione nelle iridi perlacee.

La donna annuì, tornando all’espressione serena e gioviale di poco prima.

- Verrai con me? – le chiese gentilmente.

Doveva accettare? Lo desiderava così tanto che le sembrava quasi di fare violenza a se stessa rimanendo lì, seduta in silenzio. Doveva esistere un posto per persone come lei, dove gli altri non li vedessero come matti o fenomeni da baraccone scappati dal circo più vicino. E poi c’era la possibilità di imparare a controllare il suo dono. Fino a quel momento  le anime si presentavano davanti a lei senza il minimo preavviso, spesso non si rendeva neanche conto di trovarsi davanti un defunto finchè le persone che le erano vicine non annunciavano di non vedere nulla. C’era un modo per controllare tutto questo? Non lo sapeva, ma se esisteva doveva di sicuro trovarsi in quel posto.

- Verrò. –

Gli occhi color perla di Manto s’illuminarono: - Ne sono davvero felice. Ti aspetterò qui, vai a prendere le tue cose. –

Le strinse delicatamente le mani, cercando di metterci dentro tutta la sua solidarietà e la promessa di esserle accanto, poi lasciò che l’infermiera la riportasse nella sua stanza e la seguì con lo sguardo. Doveva ammettere che in lei c’era molto più di Margareth di quanto si fosse aspettata, anche se il carattere schivo e l’impassibilità dei suoi occhi ricordava molto quella paterna. Sbarrò il nome dal foglietto di carta che teneva in tasca.
E così anche l’ultimo semidio era stato trovato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

Passarono il resto del viaggio in silenzio, poi il taxi abbandonò la strada principale e sbucò su una stradina di campagna. Proseguirono per una decina di miglia finchè non giunsero in un piazzale. Hellen sgranò gli occhi. Finalmente capiva cosa intendeva Manto quando aveva parlato di qualcosa di simile all’aeroporto.

- Abbiamo a disposizione un elicottero?! –

- Abbiamo un elicottero. – confermò, sorridendo davanti allo stupore della sua nuova allieva.

Il tassista si offrì di caricare i loro bagagli e, dopo aver intascato una mancia assurdamente generosa che sicuramente aveva lo scopo di invogliarlo a dimenticare di aver lasciato due giovani donne nel bel mezzo della campagna in compagnia di un elicottero e un pilota, tornò alla macchina e riprese la strada da cui era venuto.

Dalla cabina di pilotaggio si affacciò un ragazzo che doveva avere la stessa età di Hellen. Aveva i capelli rossi, gli occhi azzurri e il volto dai tratti affilati che ricordava quello di un folletto. Rivolse un rispettoso inchino all’indirizzo di Manto e scoccò un’occhiata incuriosita all’indirizzo della ragazza.

- E così sei tu la nuova arrivata. Sai, per un attimo ho temuto che fossi una specie di emo o una dark o qualcosa del genere, invece sei decisamente poco lugubre. –

Manto gli rivolse un’occhiata di rimprovero che ebbe il potere di farlo zittire e fargli abbassare lo sguardo. Non sembrava affatto pentito però, considerò la ragazza, visto che sul volto era comparso un sorriso malandrino.

- E tu cosa saresti, una specie di folletto troppo cresciuto? – lo punzecchiò a sua volta. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi mettere a disagio da uno sconosciuto.

La donna sorrise divertita, lasciandoli alla loro piccola schermaglia. Forse una volta tanto qualcuno sarebbe riuscito a rimettere al suo posto Zephyr.

- Uhm, tagliente come un rasoio. Io sono Zephyr, figlio del Dio Amon, e momentaneamente retrocesso a vostro pilota personale. –

- Hellen. –

- Hell… appropriato, decisamente appropriato. –

L’aveva appena chiamata Inferno?! Insomma, che problemi aveva quel ragazzo?

- Hellen. – scandì lentamente.

- Sicuro, Hell, l’avevo capito. –

Oh, insomma, questa poi: ci faceva o c’era?

- Hellen… non Hell, Lene, Helly o qualsiasi altro nome ti passi per la testa! –

Il ragazzo la guardò come se le avesse dato di volta il cervello e non riuscisse proprio a capire cosa ci fosse che non andava.

- D’accordo, datti una calmata o ti salteranno le coronarie. Volevo solo essere gentile e darti un soprannome. – bofonchiò contrariato, tornando in cabina e chiudendosi dietro la porta.

Hellen raggiunse Manto e le sedette accanto. Notò che la donna faticava nel trattenersi dallo scoppiare a ridere.

- Fa sempre così quello? – esordì scontrosa, allacciandosi  la cintura e alzando la voce per contrastare il rumore delle eliche che venivano messe in moto.

- Ogni tanto, Zephyr è un tipo piuttosto esuberante, ma nessuno sa volare come lui. –

Quindi non aveva detto tanto per dire, avrebbe davvero viaggiato su un elicottero facendosi trasportare da un ragazzo che aveva la sua stessa età.

Manto sembrò leggerle nel pensiero e le strinse la mano con aria rassicurante: - Non preoccuparti, sa quello che fa. –

Annuì, deglutendo nervosamente. Lo sperava sul serio e, cosa ancora più importante, si augurava che il suo mal d’aria non le facesse vomitare sul sedile tutta la colazione.

- Sua infernalità sta gradendo il volo? – intervenne Zephyr, sbucando dalla cabina e sedendosi davanti alle due donne. Hellen guardò fuori dal finestrino, decisa a non lasciarsi  coinvolgere dall’ennesimo strano battibecco. Lo sguardo le cadde verso il basso; era normale che si avvicinassero alla superficie del mare a una velocità così elevata?

- Zephyr, l’elicottero! – esclamò, nell’istante esatto in cui si rese conto che stavano precipitando.

Il figlio di Amon si battè la mano sulla fronte e annunciò: - Ho dimenticato d’inserire il pilota automatico. -  Sfrecciò verso la cabina e una manciata di secondi più tardi l’elicottero cominciò a scendere dolcemente verso la pista d’atterraggio dell’isola sotto di loro.

- Se mi tornasse in mente l’idea di salire su un elicottero pilotato da te ricordami di non farlo. – borbottò Hellen, mettendo finalmente piede sulla terra.

- Quanto sei esagerata, non ci siamo nemmeno schiantati e stiamo tutti bene; sai come si dice, bisogna spaccarsi le ali un paio di volte prima d’ imparare a volare. –

- Dalle mie parti invece si dice: rifallo un’altra volta e ti spacco quella faccia da folletto che ti ritrovi. –

- Brrrr. Dimmi, è una cosa di famiglia essere così violenti e melodrammatici? –

Non capiva a cosa si stesse riferendo, ma qualcosa le diceva che con quel ragazzo sarebbe sempre stato così.

Manto la prese sottobraccio e la indirizzò gentilmente verso il sentiero in candida ghiaia che portava alla costruzione più vicina. Si trattava di un edificio di un bel blu che aveva tutta l’aria di essere usato molto poco.

- Questa è la zona degli uffici del personale; non dovresti trovarti qui, a meno che tu non abbia combinato qualche guaio. Lì in fondo c’è la cucina, e la mensa è divisa su quattro livelli: il giardino pensile, la terrazza sull’oceano, i tavoli sul tetto e la sala interna. Di solito ogni Casa ha il suo spazio per mangiare con i proprio compagni, ma nessuno ti vieta di cambiare posto se lo desideri. Dall’altra parte del campus trovi i dormitori e le stalle, infine, gli edifici che vedi a Est sono rispettivamente lo spazio adibito alle aule e all’Arena. –

- Perché non scegli una camera? Sono sicura che nella Prima Casa troverai Peter, è lui che si occupa dell’organizzazione del vostro dormitorio. – la invitò poi, indicandole l’edificio più a Nord di tutti.

Si trattava di una costruzione composta da due piani;era la più imponente tra quelle che la circondavano e le pareti erano dipinte di un bel rosso. Impressa su una delle facciate c’era uno stendardo gigantesco raffigurante un cobra.

Raggiunse l’ingresso, bussando un paio di volte. Stava giusto per arrendersi e provare a cercare altrove, quando la porta venne aperta con un vigore tale che fu solo grazie alla sua prontezza di riflessi che non la prese dritta in faccia.

- Peter, cabrón, ¿qué diablos es lo que quieres ahora? –

Sulla soglia stava una ragazza più alta di lei di una decina di centimetri, con lunghe onde corvine e la carnagione olivastra che tradiva la chiara impronta messicana.

Già, peccato solo che lei non capisse una parola di spagnolo. Anzi, l’unica cosa che aveva capito da quella frase era che: punto primo, il Peter che cercava lei non era nella Casa e che, punto secondo, la ragazza non doveva andarci molto d’accordo.

- Tu non sei Peter. – disse d’un tratto, puntando gli occhi scuri nei suoi violacei e scrutandola dalla testa ai piedi. – Ora che ti guardo meglio, devi essere nuova, perché non ti ho mai vista in giro. –

- Già. Sono appena arrivata e sono stata mandata qui a cercare Peter per una sistemazione. –

- Bè, Peter non c’è. Lo trovi all’Arena. –

L’aveva vista passando, ma non era certa di riuscire a ritrovarla. Il suo senso dell’orientamento non era granchè e a ciò si aggiungeva il fatto che era la prima volta che si trovava in quel posto.

- Ti dispiacerebbe portarmici? –

La ragazza alzò gli occhi al cielo, borbottando qualcosa in spagnolo, ma annuì e s’incamminò prima ancora di darle il tempo di registrare il suo assenso.

L’Arena distava un centinaio di metri da dove si trovavano. Si trattava di una vera e propria riproduzione in scala ridotta del Colosseo romano. Hellen lo sapeva perché i suoi genitori l’avevano portata a visitare la città eterna quando aveva solo otto anni e il senso di soggezione che le aveva suscitato quella costruzione imponente e magnifica riviveva ancora chiaramente nei suoi ricordi. Al centro della costruzione, ricoperto da un sottile strato di sabbia, c’era la zona in cui si stavano sfidando due ragazzi. Uno di loro, dal fisico imponente e i capelli di un castano dorato che ricordavano i raggi del Sole, schivava ripetutamente i colpi di spada del suo avversario, un tipo dai capelli neri come il carbone e l’espressione divertita dipinta sul volto. Riusciva chiaramente a vedere i denti bianchissimi che scintillavano quando rivolgeva allo sfidante quella sua versione a metà tra un ghigno e un ringhio. Si muoveva con un’energia rabbiosa e menava fendenti che facevano fischiare l’aria.

- Quelli sono Jack e Peter. Non sono i tipi di ragazzi per i quali ti consiglierei di prenderti una cotta. –

Hellen arrossì lievemente. Non aveva pensato neanche per un istante all’idea di … Sì, insomma, ora che li guardava bene si rendeva conto di quanto fossero affascinanti. Peter aveva gli zigomi alti e la mascella decisa, gli occhi erano di uno strano grigio liquido e i capelli corvini gli ricadevano sugli occhi dandogli un’aria di distratta eleganza; Jack invece aveva quel meraviglioso colorito dorato che era tipico delle persone che passavano molto tempo all’aperto e aveva gli occhi più incredibili che avesse mai visto, un turchese dai riflessi elettrici. E poi c’era quell’alone di pericolo che sembrava avvolgerli. Non era mai stata una di quelle ragazze che perdevano la testa per un ragazzo la prima volta che lo vedevano, figurarsi per due, ma quei ragazzi l’affascinavano più di quanto riuscisse a comprendere.

Furono proprio quelle incredibili iridi turchesi a posarsi su loro.

- Abbiamo visite. – annunciò, sorprendendola con il suo lieve accento. Sicuramente qualcosa del Nord Europa, probabilmente norvegese.

- Ria, perché non vieni a presentarci la tua nuova amica? – la esortò, tirandosi indietro giusto in tempo per schivare l’affondo del compagno. – Ehy, non vale, ero distratto. –

Il moro gli rivolse un’occhiata sarcastica: - Oh, le mie scuse. -, poi lo aggredì nuovamente e questa volta gli procurò uno strappo all’altezza della spalla.

- Pensa a combattere, Jack, avrai tutto il tempo di provarci con la novellina. –

Jack storse il naso in una comica espressione di disappunto e replicò colpo su colpo agli assalti dell’amico. Un preciso colpo di taglio di Peter gli fece sfuggire l’ascia di mano, che s’impennò nel cielo e ricadde a un paio di metri di distanza; la spada del ragazzo guizzò verso la sua gola, fermandosi a un paio di centimetri dalla carotide.

- Morto. – decretò. Il ghigno feroce si trasformò in uno di assoluto compiacimento. Anche questa volta aveva vinto, era lui il migliore.

Con uno sbuffo rassegnato Jack stese la mano in direzione dell’ascia e questa volò dritta da lui; la ripose nel fodero che portava alla cinta, poi si diresse verso le ragazze che nel frattempo si erano sedute sui gradoni in marmo. Hellen, che fino a quel momento era stata completamente presa dall’incontro, sobbalzò leggermente quando si trovò davanti quegli occhi così particolari.

- Scusami, non volevo spaventarti. – le sorrise, porgendole la mano e flettendo il braccio per mettere in risalto il guizzare dei muscoli possenti. Aveva i muscoli più sviluppati che avesse mai visto su un adolescente. – Sono Jack, figlio di Thor. –

- Hellen, figlia di Osiride. –

Ricambiò la stretta, sforzandosi di non apparire turbata per la forza che sentiva irradiare; era una specie di scarica elettrica, come se quel ragazzo fosse letteralmente fatto di fulmini.

- E così questa dovrebbe essere la figlia di Osiride? Come si sono ridotti i potenti. –

Ria aveva ragione, quel ragazzo andava evitato, ma non per le ragioni che le aveva elencato. No, il motivo per cui era meglio non averci niente a che fare lo aveva capito in quell’istante: Peter era uno stronzo. Era abbastanza certa che fosse anche più di quello, addirittura uno con la S maiuscola.

- Sì, sono sua figlia. La cosa ti crea forse qualche problema? –

Aveva imparato a tenere testa ai tipi come lui; non era facendo l’agnellino che l’avrebbe rimesso al suo posto quindi tanto valeva tirare fuori l’artiglieria pesante e fargli capire subito che lei non era una ragazzina spaurita. Era nuova in quell’ambiente, certo, ma questo non lo autorizzava a deriderla.

Il ghigno che le rivolse le fece perdere un po’ della sua tempra. Era maledettamente inquietante e lui sembrava esserne perfettamente a conoscenza.

- Uh, la novellina tira fuori gli artigli. Coraggio, vediamo cosa sai fare. –

Le porse una delle spade che teneva incrociate sulla schiena con aria di sfida. Inarcò solo impercettibilmente un sopracciglio quando lei si alzò per afferrarne l’elsa.

- Non credo sia una buona idea. – le sussurrò all’orecchio Ria.

Certo che non era una buona idea … era pessima, tremenda e probabilmente avrebbe finito con il farsi male sul serio, ma non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.

- Fammi strada. –

Seguì Peter e Jack nell’Arena, soppesando nervosamente la spada che aveva tra le mani. Non aveva la minima idea di cosa dovesse fare. Cioè, aveva visto degli incontri di scherma in tv, ma questo era ben diverso da qualsiasi altra cosa. La lama  luccicava sotto i raggi del Sole pomeridiano e si tingeva di un sinistro color sangue dato dal tramonto che incombeva nel cielo. Non potè fare a meno di notare il sibilo dell’aria che veniva sferzata mentre accennava qualche timido fendente di prova. In che guaio si era andata a cacciare? Avrebbe finito con il farsi affettare come un salame … che razza d’idiota!

- Il trucco è rimanere concentrati. Pensa solo a schivare per il momento, attendi un attimo di distrazione e colpisci con forza. Vedrai, andrà bene. –

Apprezzò il debole tentativo di Jack, ma era poco credibile che Peter dimenticasse per magia la sua esperienza di spadaccino per permetterle di metterlo fuori gioco.

- Sì. Bè, cerca solo d’intervenire prima che mi uccida, ok? –

Annuì con aria seria e si dispose tra loro due. Si era offerto come arbitro per quella sfida e nessuno aveva trovato un valido motivo per opporsi alla sua auto candidatura.

- Saluto. –

Avanzarono l’uno verso l’altra, l’andatura circospetta di chi attende la mossa dell’avversario e cerca di non farsi cogliere impreparato. Hellen chinò leggermente il capo e Peter imitò il suo gesto in modo impercettibile, sembrava quasi che la sua  testa fosse scattata in avanti contro la sua volontà.

- Siete pronti? – domandò Jack, scrutando prima uno e poi l’altra.

- Sono nato pronto. Piuttosto, novellina, sei sicura di non volerti tirare indietro? È la tua ultima occasione. –

Gli rivolse uno sguardo gelido e per tutta risposta rinsaldò la presa sull’elsa.

- Sono pronta anche io. –

Jack emise un sospiro rassegnato. Sembrava che non fosse molto contento di come sarebbero andate le cose di li a poco.

- A voi! –

Peter attaccò all’istante, menando un fendente con tutta la forza che aveva e facendo fischiare l’aria. Fu solo grazie ai suoi riflessi che Hellen riuscì ad abbassarsi abbastanza in fretta da evitare il colpo. Per la prima parte dell’incontro non fece altro che arretrare e cercare di evitare le stoccate sempre più insidiose del suo avversario, riuscendo a limitare i danni a un solo graffio all’altezza dell’avambraccio.

- Paura? –

Santi numi, quanto avrebbe voluto cancellargli quel ghigno dalla faccia a suon di pugni.

- Ti piacerebbe. –

- Non hai la minima idea di cosa mi piacerebbe. – replicò bruscamente. Gli occhi grigi scintillarono di rabbia per una frazione di secondo.

- No, hai ragione, e sono certa di non volerlo neanche sapere. –

La stoccata che la raggiunse la colpì al fianco e le mozzò il respiro. Ecco fatto, ora sì che l’avrebbe uccisa. Si portò una mano alla ferita e sussultò leggermente; l’avvicinò al viso come se non credesse a quello che stava vedendo. Tutto quel sangue era suo?!?

- Tempo! –

La voce di Jack le giunse ovattata. Fantastico, stava per svenire. Proprio nel momento in cui le gambe le cedettero, avvertì un paio di braccia muscolose che la cingevano delicatamente e le impedivano di cadere.

 Quando riaprì gli occhi si ritrovò sdraiata su un letto in quella che aveva tutta l’aria di essere l’infermeria del campo. Fece per mettersi a sedere, ma venne respinta sul materasso con decisione.

- Non muoverti, la ferita non si è ancora richiusa. –

A parlare era stata una donna più vicina ai settanta che ai sessanta, i capelli perfettamente bianchi erano raccolti in una crocchia severa e gli occhi di un gelido azzurro la fissavano con aria contrariata.

- Razza di scavezzacollo, mettersi a combattere contro un figlio di Ra senza aver mai preso in mano una spada. Ci tieni davvero così poco alla tua vita, ragazza? –

Continuò a borbottare qualcosa a proposito di quanto fosse stata sconsiderata e della lavata di capo che sicuramente avrebbe subito Peter. Il suo sproloquio venne interrotto da un lieve bussare. Ria fece capolino e attirò l’attenzione dell’anziana donna. Dietro di lei faceva capolino Zephyr.

- Questa è un’infermeria o l’inferno? – borbottò, intravedendo il figlio di Amon.

- Vista la tua presenza potrebbe essere entrambe le cose. Comunque, pare proprio che Peter ti abbia affettata per bene. –

- Si sta riprendendo? – domandò la ragazza, rivolgendosi all’anziana infermiera.

- Molto rapidamente, per domani mattina sarà fuori di qui, ma cercate di non stancarla troppo. –

Dal modo in cui aveva parlato si capiva che le sue parole fossero riferite in particolar modo a Zephyr.

- È stata una ferita davvero brutta oppure ho fatto la figura dell’idiota svenendo per niente? –

Ci mancava soltanto che facesse la figura della perfetta incapace già il primo giorno che trascorreva al campo.

- Se fossi stata umana saresti morta, ma sei una semidea e non hai corso alcun rischio. Comunque Peter non avrebbe dovuto colpirti in quel modo, Manto lo ha convocato nel suo ufficio. –

- Il che è fantastico, si beccherà una strigliata con i contro fiocchi. – profetizzò Zephyr. Dal sorriso che gli solcava il volto sembrava che anche lui non nutrisse una simpatia particolare nei suoi confronti.

- Non è fantastico per niente, ci si aspetterebbe un po’ più di giudizio da lui. Insomma, è l’Ulfric del campo. –

- Piuttosto, perché la sei venuta a trovare? Tu non frequenti mai nessuno qui al campo. –

Zephyr assottigliò lo sguardo ed esaminò Ria dalla testa ai piedi, quasi volesse convincerla a confessare chissà quale misterioso segreto.

- È determinata e coraggiosa, due qualità che apprezzo. Ha sfidato Peter e nessuno lo fa mai. – replicò.

- Questo dimostra solo quanto sia impulsiva e masochista, nulla di nuovo insomma. – replicò, scrollando le spalle incurante.

- Allora sei la ragazza impulsiva e masochista più impressionante che abbia mai visto. Hai colpito tutti, anche Peter, e ti assicuro che non siamo affatto abituati a sorprenderci con poco. –

Non la stava prendendo in giro, era vero. La novellina che sfidava il campione del campo doveva suonare in modo maledettamente avvincente, un po’ come il nerd di turno che cerca di fare a pugni con il quarterback della sua scuola. Una disfatta assicurata, ma anche una bella prova di coraggio.

- Sei una tipa tosta, Hellen. È questo che mi piace di te. –

Cercò di contenere l’emozione nella voce. Era la prima volta, dalla morte dei suoi, che qualcuno si prendeva il disturbo di farle un complimento. Probabilmente era una cosa incredibilmente stupida, ma per la prima volta sentiva di essere apprezzata per ciò che era realmente. Lì non sarebbe più stata Hellen “il fenomeno da baraccone”, ma semplicemente Hellen. La cosa le piaceva, eccome se le piaceva.

- Io, bè … grazie, Ria. –

La ragazza scrollò le spalle, sembrando quasi vagamente imbarazzata. – Figurati. Ora è meglio se ti lasciamo riposare, ci si vede. –

Lei e Zephyr uscirono dalla stanza insieme.

Rimasta ormai sola, chiuse gli occhi e affondò la chioma corvina nei due grandi cuscini che le erano stati sistemati dietro il collo.

La stanchezza e gli avvenimenti della giornata le si riversarono addosso all’improvviso e prima ancora di rendersene conto scivolò nel mondo dei sogni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Buonsalve, ragazzi e ragazze! In questo nuovo capitolo ho presentato solo alcuni dei vostri OC perché presentarli tutti e dodici era un po’ complicato in un unico capitolo, però con il prossimo verranno introdotti anche gli altri. Spero che questo primo vero e proprio capitolo vi sia piaciuto e che vogliate farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Cap 2 ***


Cap 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hellen venne svegliata dai raggi del Sole che filtravano attraverso la finestra e le colpivano il viso. Si stiracchiò pigramente, sorprendendosi di non avvertire nulla più che un lieve indolenzimento nel punto in cui Peter l’aveva ferita. Tirò su il bordo della maglietta, esaminando il fianco. Al posto del taglio non c’era che una piccola cicatrice sbiadita.

- Quella rimarrà, non c’è modo di toglierla. –

La voce di Egle, così aveva scoperto che si chiamava l’anziana infermiera, la fece sobbalzare.

- Non fa niente, sarà un ricordo del primo giorno della mia nuova vita. –

- Manto vuole vederti dopo colazione, faresti meglio a sbrigarti. – aggiunse la donna, porgendole un cambio pulito.

Si trattava di una divisa composta da un paio di pantaloni e una maglietta, entrambi neri, e un paio di scarpe da ginnastica dello stesso colore.

- Devi appuntare questa sulla spalla. – le spiegò, porgendole una striscia di tessuto rosso che ricordava vagamente i gradi dell’esercito, - E mettere questo intorno al braccio. – aggiunse, consegnandole questa volta un bracciale dello stesso rosso della striscia e delle pareti della Prima Casa.

Era uno di quei bracciali che non andavano portati al polso, ma poco sotto la spalla, e per il resto era estremamente semplice. Ora che ci pensava, ricordava di averne visto uno identico al braccio di Ria e a quello di Peter.

Si vestì in fretta, concedendosi solo una rapidissima occhiata allo specchio prima di uscire. Le onde corvine erano scompigliate, la carnagione pallida sembrava più chiara del solito e gli occhi violacei spiccavano in modo inquietante. Non era decisamente il modo in cui aveva sperato di iniziare il primo giorno effettivo al campo.

Del resto tutti sapevano della figuraccia che aveva fatto con Peter quindi era ragionevole pensare che nessuno si aspettasse l’ingresso di una top model o qualcosa del genere.

Incredibilmente, riuscì a trovare la sala mensa al primo tentativo, ma una volta arrivata si trovò davanti all’ennesimo dilemma: dove mangiare?

Manto le aveva detto che i ragazzi delle Case potevano decidere se mangiare nella propria zona oppure unirsi a quelli delle altre Case e la cosa non l’aiutava certo ad ambientarsi. Vagò con lo sguardo tra i tavoli, alla ricerca del volto familiare di Ria o della chioma rossiccia di Zephyr, ma non riuscì a identificare nessuno dei due.

Stava giusto per rinunciare e scegliere un posto a caso quando la voce del figlio di Amon le giunse alle orecchie.

- Ehy, sei qui. Ero passato in infermeria, ma Egle mi ha detto che te ne eri già andata. – Poi, notando che non aveva la minima idea di dove sedersi, la prese per un gomito e la indirizzò gentilmente verso la porta a vetri che conduceva in terrazza. – Noi mangiamo sempre sulla terrazza sul mare. –

Non gli chiese chi intendesse con “noi”. Non era il momento di fare la schizzinosa circa la scelta delle amicizie.

Cogliendola di sorpresa, comunque, Zephyr la scortò fino a un tavolo in cui erano sedute quattro ragazze. Se era imbarazzato dal fatto di essere l’unico maschio presente non lo dava affatto a vedere.

Hellen si accomodò, rivolgendo un cenno di saluto a Ria che sedeva leggermente in disparte e giocherellava distrattamente con le uova strapazzate che aveva nel piatto.

- Ragazze, lei è Hellen Shadow. – la presentò.

Si stampò un sorriso sul volto, sforzandosi di non pensare a quanto fosse imbarazzante essere sotto l’esame di ben quattro perfette sconosciute.

- Loro sono Hannah, Skyler e Nives. – aggiunse, indicando rispettivamente una ragazza dai capelli rossi, le lentiggini e l’aria simpatica, una dai lisci capelli scuri e gli occhi di un castano con venature verde scuro e una ragazza dai capelli color cioccolato, che sotto la luce del sole assumevano una sfumatura rossiccia, e grandi occhi a mandorla di un bel verde scuro.

- Sei quella che ha combattuto con Peter, vero? – chiese Nives, scrutandola dalla testa ai piedi come se stesse cercando di farsi un’idea ben precisa.

Probabilmente si stava domandando se fosse coraggiosa fino alla stoltezza o fosse semplicemente una povera stupida con manie suicide.

- Già, sono quella che ha affettato. – ammise, dipingendosi un sorrisetto forzato sulle labbra.

Sembrò sospendere il suo giudizio perché le rivolse un’occhiata di superiorità e si limitò a commentare dicendo: - Dovresti allenarti di più se vuoi provarci di nuovo. –

- Non fare caso a lei. È socievole quasi quanto Peter, ma non è cattiva. – le sussurrò all’orecchio Zephyr.

Come evocato dalle sue parole, il diretto interessato fece la sua comparsa e passò loro accanto, dirigendosi verso il tavolo al lato opposto del terrazzo, dove l’attendevano alcuni suoi amici.

- Nives … novellina. – salutò, asciutto, proseguendo senza dar segno di aver notato la presenza del resto del gruppo.

- Buongiorno anche a te, eh, simpaticone. – gli gridò dietro Zephyr.

Peter scosse la testa, evidentemente infastidito, ma non diede altro segno di aver sentito le sue parole.

Hellen lo seguì con lo sguardo finchè non lo vide prendere posto accanto a Jack, scambiarsi un paio di pacche amichevoli con lui, e salutare gli altri due ragazzi al loro tavolo.

- Chi sono quelli? – domandò, selezionando con cura un paio di fette di bacon molto croccante dal vassoio al centro.

- Quello con gli occhi di quel mogano inquietante è Austin, l’altro è Caleb e fidati se ti dico che non vuoi avere niente a che fare con lui. – li presentò Ria.

- È come Peter? –

- Peggio. –

Faticava seriamente a immaginare che al mondo potesse esistere qualcuno con un carattere peggiore di quel ragazzo, ma Ria sembrava una che pronunciava giudizi sulle persone solo quando sapeva il fatto suo e pertanto non aveva alcun motivo di dubitare delle sue parole.

- Peter è okay se non sfidi la sua autorità. È l’Ulfric e gli piace ricordarlo. – aggiunse Hannah.

Era la seconda volta che sentiva quel termine e non aveva ancora la minima idea di cosa significasse. La sua espressione doveva lasciarlo intuire perché la figlia di Bastet si affrettò a fornirle una spiegazione dettagliata.

- Al campo c’è una gerarchia piramidale. Al vertice dell’organizzazione ci sono l’Ulfric o la Geri, a seconda se al comando c’è un ragazzo o una ragazza, sotto di loro ci sono lo Skoll e l’Hati che relazionano per la Prima e la Seconda Casa, infine ci sono il Fenrir e il Freki che relazionano per la Terza e la Quarta Casa. Si diventa Ulfric portando a termine le missioni e vincendo i confronti con tutti gli altri residenti nel campo. Peter lo è diventato tre anni fa e da allora si tiene il titolo ben stretto. –

- Ecco perché è così borioso, è convinto di essere più in gamba di tutti noi. – borbottò Ria.

- Quindi Peter è a capo, e gli altri livelli chi li occupa? –

La cosa si stava facendo interessante mano a mano che capiva i meccanismi che regolavano l’organizzazione della vita al campo, e più cose imparava prima avrebbe smesso di sentirsi un pesce fuor d’acqua.

- Lo Skoll è Jack, mentre l’Hati è la nostra Hannah. Il ruolo di Fenrir lo ha assunto Austin e quello di Freki Annalisa. – concluse Zephyr, indicandole una ragazza che sedeva al tavolo con uno sparuto gruppetto a dir poco eterogeneo.

La diretta interessata era una ragazza che gridava “California” da tutti i pori: ricci capelli castani con tanto di shatush biondo, occhi verdi e tutte le curve al posto giusto. Forse sentitasi chiamata in causa, si voltò verso di loro e inarcò un sopracciglio perfettamente curato in una strana espressione che poteva essere definita come un misto di curiosità, orgoglio e sfida.

- Quindi tu sei un pezzo grosso qui al campo. – concluse, rivolgendosi ad Hannah.

La ragazza abbassò leggermente lo sguardo, mentre le guance assumevano una sfumatura più rosata.

- Si potrebbe dire di sì, ma non mi piace vantarmene. –

- Avresti tutti i motivi per farlo. Diavolo, io mi vanterei in continuazione al posto tuo. – esclamò Zephyr, facendole scoppiare tutte a ridere.

Doveva ammettere che stava cominciando a rivalutare quel folletto troppo cresciuto; non era poi male, se si faceva l’abitudine al suo sarcasmo onnipresente, anzi, cominciava a diventare una delle caratteristiche che apprezzava di lui.

- Posso farti una domanda? –

- Dimmi, principessa infernale. –

- Per prima cosa non chiamarmi così. Per seconda: perché passi il tuo tempo solo con le ragazze? –

Zephyr inarcò un sopracciglio, sorridendo malandrino.

- Mi piacciono le ragazze. –

- Okay, questo l’ho capito, ma intendevo perché non stai al tavolo con i ragazzi e cose così. –

- Tra me e Peter non scorre buon sangue e per quanto riguarda gli altri … bè, Simon è okay, mentre Eric certe volte mi mette in difficoltà, è troppo intelligente e mi fa sentire stupido, quindi non sto neanche al tavolo con loro. 

Peter e il suo gruppo scelse proprio quel momento per alzarsi dal tavolo e passare accanto al loro.

- Ehy, freak, non ci sono proprio speranze che cominci a darti una mossa e a dimostrare di essere un uomo, eh? –

A parlare era stato il ragazzo dal pallore inquietante che le era stato presentato come Caleb. Scrutava Zephyr dalla testa ai piedi con aria sprezzante.

- Penso che inizierò a farlo quando tu dimostrerai al mondo di non aver abbandonato per strada quel poco cervello con cui sei nato. –

- Te lo faccio vedere io chi ha abbandonato il cervello, freak del cazzo. – ringhiò, sporgendosi in avanti come per afferrarlo.

- Caleb, piantala. Adesso. – ordinò Peter, afferrandolo per una spalla e tirandolo indietro.

Il ragazzo gli rivolse un’occhiata furente. – Questa ragazzina di un freak mi ha insultato, vuoi che lasci perdere così? –

- Freak e ragazzina significano la stessa cosa, Caleb tesoro, la mamma non te l’ha insegnato? – lo stuzzicò, malevolo, Zephyr.

Caleb fece per lanciarsi nuovamente contro di lui, ma trovò il torace di Peter a ostacolarlo.

- Ho detto di no. Jack, portalo a farsi un giro e a darsi una calmata. –

Il figlio di Thor annuì, afferrandolo saldamente per un braccio e trascinandolo dietro di sé.

- È sempre un piacere fare quattro chiacchiere con te. – gli urlò dietro il rosso.

- Non puoi proprio fare a meno di provocarlo, eh? –

- No, non posso. –

Peter si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, e puntò gli occhi grigi in quelli di Hellen.

- Allora, novellina, sei tutta intera? –

Hellen annuì. – Sto a meraviglia, non si vede? –

- Ho esagerato ieri, non avrei dovuto ferirti in quel modo. Comunque, Manto vuole che ti mostri la Casa, quindi seguimi. –

La ragazza scambiò una rapida occhiata con Ria che annuì, incoraggiante, come a dire che non sarebbe potuto capitarle nulla di male durante quel breve tour.

- D’accordo, fammi strada. –

Raggiunsero l’ingresso della Prima Casa in una decina di minuti.

Le pareti interne erano tutte dipinte di rosso e presentavano decorazioni serpentesche in ogni angolo. C’erano persino delle piccole statue, in quello che doveva essere ottone, che decoravano i basamenti delle colonne e le cime di librerie e armadi.

- Ci sono altre tre Case: la seconda è l’edificio interamente bianco con l’effige del gatto, la terza quello giallo raffigurante lo scarabeo e la quarta quello grigio con lo sciacallo. Non è permesso dormire nelle altre Case in alcun caso, né entrarci se non si ha il permesso di chi vi risiede. Per qualsiasi problema parlane con Jack, con Hannah o con me. – concluse.

Hellen annuì. Era tutto chiaro e sperava sinceramente di non aver mai bisogno di chiedere qualcosa a lui. Hannah le era simpatica e anche Jack non doveva essere poi così male, salvo il fatto di essere il migliore amico di Peter a quanto sembrava, ma il loro Ulfric continuava a non piacerle per niente.

- Bene, ora che sai tutto, mi rimane da dirti una sola cosa: Manto ha indetto una riunione tra mezz’ora. Dobbiamo essere tutti presenti, pare si tratti di qualcosa di grosso, quindi non fare tardi, novellina. –

- Ci sarò. –

- Bene, allora direi che qui abbiamo finito. – concluse, voltandole le spalle e allontanandosi senza dire una parola.

- Ehy, aspetta. –

- Che cosa c’è adesso? –

- Non mi hai detto che stanza posso prendere. – gli fece notare, inarcando un sopracciglio spazientita.

Di sicuro Peter non era quello che si diceva un talento nato per fare da guida ai nuovi arrivati.

- Una qualsiasi di quelle libere, scegli quella che preferisci, non fa differenza. –

Quando fu uscito, cominciò a ispezionare le stanze.

Oltrepassò le prime cinque porte, tutte occupate, per giungere alla sesta e trovare la stanza perfetta. Il letto era a due piazze, a baldacchino, con drappi rossi che scendevano ai lati e s’intonavano al colore delle lenzuola e del copriletto; la finestra affacciava sul giardino sul retro ed era coperta da pesanti drappi che, neanche a dirlo, erano color sangue.

Dovevano prenderla davvero sul serio quella faccenda del colore distintivo da quelle parti, considerò, mentre buttava in un angolo il borsone con le sue poche cose che le avevano lasciato all’ingresso della Casa.

Sarebbe stata un’impresa occupare tutto quello spazio con i pochi effetti personali che aveva portato dal Saint Brutus.

Impilò su uno scaffale i suoi libri preferiti, sistemandoli in ordine alfabetico, e infilò i jeans e le magliette in un cassettone dell’armadio. Ci sarebbero voluti anni per riuscire a riempirne uno così grande.

- Sei ancora qui? –

La voce di Nives la fece sussultare, cogliendola di sorpresa.

- Non ti avevo sentita arrivare. –

La figlia di Ullr sorrise, compiaciuta, come se le fosse stato fatto il complimento più bello che le si potesse rivolgere.

- Manto ci sta aspettando in Aula Magna, datti una mossa. –

Lasciò perdere il resto dei bagagli e la seguì chiudendosi dietro la porta.

L’Aula Magna si trovava nella zona degli uffici della dirigenza del campo e, contrariamente a quanto diceva il nome, non era poi così grande. La platea era disposta in forma circolare, con un piccolo spiazzo al centro in cui era stato sistemato un piccolo scranno.

Hellen prese posto tra Ria e Hannah, osservando Manto che parlottava con un ragazzo dai capelli neri con una singolare sfumatura bluastra e gli occhi azzurri come il cielo primaverile. Non doveva essere molto più grande di loro, forse un paio d’anni, ma aveva un’aria solenne e saggia che la intimidiva.

- È Lars, l’Ur Mau di Ra, il Grande Veggente. – spiegò Skyler, abbassando lo sguardo imbarazzata quando il Veggente spostò lo sguardo verso di loro, - Deve trattarsi di qualcosa di parecchio grosso. –

Manto si schiarì la voce, ottenendo come risultato l’immediato silenzio di tutti i presenti.

- Il nostro Ur Mau ha un messaggio da comunicare, qualcosa che il Dio Ra gli ha sussurrato all’orecchio proprio stanotte. –

Si rivolse poi verso Lars, chinando appena il capo in segno d’assenso, come per dargli il via libera.

- Calcolando e tenendo in debito conto i giorni e le ore propizie delle stelle di Orione e delle Dodici Divinità che le reggono, ecco che esse congiungono le mani palmo a palmo ma la sesta fra esse pende sull'orlo dell'abisso nell'ora della disfatta del demonio. – recitò, la voce fattasi improvvisamente roca e impersonale, come se non fosse lui colui che stava pronunciando quelle parole.

Terminata l’ultima parola, Lars boccheggiò alla ricerca d’aria e venne sorretto prontamente da Manto.

Hellen si guardò attorno.

Skyler era ammutolita, portandosi una mano davanti alla bocca, ma a parte lei solo in pochi sembravano aver capito l’esatto significato di quelle parole.

- Non è tutto qui. – aggiunse Manto, riportando l’attenzione su di sé, - Dal Campo Mezzosangue e dal Campo Giove giungono notizie  circa una profezia pronunciata dal loro Oracolo e dal loro Augure.

“Dodici divinità,

dodici costellazioni,

dodici i mesi dell’anno,

dodici gli eroi che partiranno.

Una la mano nata per nobili azioni,

dotata della divina affinità,

vincerà la piaga dell’umanità”.

 

Ora si che tutti avevano perfettamente chiaro costa stesse accadendo.

- Un’altra profezia sulla fine del mondo? Magnifico, cominciavo ad annoiarmi. – ironizzò Zephyr.

- Questa è più che una semplice profezia. In tutte le religioni esiste una fine del mondo: per i greci e i romani è la caduta dell’Olimpo, per gli egizi la profezia del Libro dei Morti, per i norreni il Ragnarok, per i cristiani l’Apocalisse. Il fatto che siano tutte combinate nello stesso momento non può portare a nulla di buono. – replicò Eric.

Manto annuì, perfettamente d’accordo con le parole del figlio di Horus.

- È per questo motivo che ho deciso che affronteremo la questione in unione agli eroi degli altri campi. –

Le sue parole suscitarono un brusio di sottofondo, condito da qualche commento particolarmente colorito da parte di Caleb che non sembrava affatto contento della cosa.

- Non abbiamo bisogno dei greci, tantomeno dei romani. –

Hellen pensò per un attimo che Peter gli avrebbe intimato di chiudere il becco, ma anche l’Ulfric era corrucciato e sembrava d’accordo con le parole dell’amico.

- Ce la siamo sempre cavata benissimo da soli, Manto, non ci serve il loro aiuto. – convenne, gli occhi grigi che luccicavano al di sotto delle ciocche corvine.

- Non sto chiedendo il vostro permesso. La decisione è presa e voi tutti farete meglio ad abituarvi in fretta all’idea. Chirone e Lupa saranno qui probabilmente già nella tarda serata di domani e io non tollererò disordini. Sono stata chiara? –

Era la prima volta che Hellen la vedeva arrabbiata e doveva riconoscere che era impressionante. Della giovane donna dolce e disponibile non era rimasto nulla e se non l’avesse vista con i suoi occhi non avrebbe mai creduto che la voce autoritaria e inflessibile che aveva raggiunto le sue orecchie fosse quella solitamente delicata e pacata di Manto.

Peter abbassò la testa, in segno di rispettosa accettazione, anche se si capiva che continuava a non essere affatto d’accordo con lei, e persino Caleb la smise di borbottare.

- Ora potete tornare alle vostre attività. – li congedò, voltando loro le spalle e riprendendo a parlottare fittamente con Lars.

Hellen si accodò a Nives e Ria, puntando verso l’Arena, mentre Skyler e Hannah si dirigevano verso la biblioteca poco distante dall’aula magna.

- È tipico di quelle due, sempre alla ricerca di informazioni e roba profondamente intellettuale. – commentò Nives, mentre scartava con un’espressione disgustata l’arco completo di faretra e sceglieva un machete dall’aria letale.

Ria annuì, estraendo dalla rastrelliera un’arma egizia, che sembrava un curioso misto tra una falce e una spada.

- Si chiama khopesh, non sono in molti a usarla. – spiegò, facendola vorticare con un abile movimento del polso.

Hellen annuì. Quella non era certamente un’arma che faceva per lei, come non lo era il machete di Nives.

- Prova con questa. –

La voce di Jack la spinse a voltarsi, trovandosi il figlio di Thor a pochi centimetri da lei. Le stava porgendo una spada più sottile e leggera di quella con cui aveva affrontato Peter il giorno precedente.

- È un incrocio tra un gladio romano e una daga egizia. Più leggero di una spada e anche più maneggevole. Un’arma da ragazze, insomma. – concluse.

Inarcò un sopracciglio, fissandolo corrucciata, - Stai dicendo che noi ragazze non siamo abili quanto voi a combattere? È profondamente maschilista. –

- Io … No, intendevo dire che siete più fragili. No, aspetta mi è uscita male, la parola che intendevo era delicate non fragili. – si corresse in fretta.

Hellen scoppiò a ridere, scuotendo la testa, e Jack parve sollevato dalla sua reazione.

Ria e Nives l’avrebbero fatto a polpette se avessero anche solo sentito per sbaglio un’affermazione come quella.

Hellen si mordicchiò il labbro inferiore, gesto che era diventato un po’ l’indicazione di quando era nervosa o imbarazzata da qualcosa.

- Ti andrebbe di dare una mano a questa delicata ragazza con gli allenamenti? –

Jack scoccò un’occhiata in direzione di Peter che combatteva contro Caleb.

- Che c’è, hai paura di far arrabbiare i tuoi amici se mi dai troppa confidenza? –

Scosse la testa, facendo scintillare i capelli castano dorati sotto i raggi del Sole che quel giorno picchiava incessantemente.

- Figurati se mi preoccupo di loro. Andiamo, ragazza delicata, ti insegno com’è che si combatte da queste parti. – decretò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Aggiornamento iper tempestivo, ma questa interattiva mi sta prendendo tipo troppo ed è anche e soprattutto merito dei fantastici OC che avete creato e per i quali ho già iniziato a fangirlare come una matta xD. Anche con questo capitolo non sono riuscita a presentarli tutti, perché mi perdo troppo in chiacchiere e faccio mea culpa di questa cosa, ma con il prossimo ci saranno tutti (anche a costo di fare un capitolo di venti pagine, lo giuro u.u). Duuuunque, ne approfitto per chiedere ai ragazzi e alle ragazze i cui OC sono già stati trattati cosa ne pensano e se gli piace come li sto rendendo (ogni suggerimento ovviamente è ben accetto). Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

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Capitolo 4
*** Cap 3 ***


Cap 3

 

 

 

 

 

 

 

 

L’allenamento con Jack l’aveva sorpresa. Il figlio di Thor era divertente e non perdeva la calma quando sbagliava qualche movimento o si lasciava disarmare.

- Se ti sposti in quella direzione scopri il fianco e diventi un bersaglio facile. Prova a fare così, invece. – la istruì, spostandosi dietro di lei e guidando le sue braccia come se fosse stata una marionetta. – In questo modo il fianco è sempre coperto e la guardia è alta. –

- Ma che quadretto romantico. Sul serio, Jack, non hai niente di meglio da fare che perdere tempo cercando di spiegare a una ragazza come si combatte? –

- Non iniziare, Caleb. –

Il figlio di Iside cominciò a girargli intorno come avrebbe fatto uno squalo con la sua preda.

Bè, Hellen non era la preda di nessuno, questo era poco ma sicuro.

- Altrimenti? – domandò, aggressivo.

Adesso era sinceramente confusa. Aveva avuto l’impressione che lui e Jack fossero amici, quindi perché attaccare briga proprio con lui?

- Non ho voglia di litigare con te, quindi non costringermi a farti male. –

Ormai si fronteggiavano e sembravano essersi completamente dimenticati del fatto che il motivo dello scontro fosse proprio a meno di un metro da loro. Hellen si chiese distrattamente se sarebbero davvero venuti alle mani e che diavolo di fine avesse fatto Peter; perché l’Ulfric non c’era quando aveva davvero bisogno di lui?

- Piantala di fare l’idiota, Caleb. –

Le parole erano quelle giuste, ma non era la voce di Peter ad averle pronunciate.

Annalisa, la responsabile della Terza Casa, li aveva raggiunti e lo fissava con sguardo severo, le braccia incrociate sul petto.

- Come? –

L’aggressività di quel ragazzo rimbalzava da una persona all’altra come avrebbe fatto una pallina da ping pong.

Annalisa, però, non sembrava particolarmente impressionata.

- Hai sentito bene, ti ho detto di piantarla. –

- Non prendo ordini da una donna. – sibilò.

Pronunciò la parola donna come se fosse l’insulto più spregevole che potesse venirgli in mente. E magari era davvero così.

- Io invece credo che lo farai, sempre ammesso che tu non voglia che faccia rapporto a Manto. Mi sembra di ricordare che anche lei sia una donna, ma i suoi ordini li accetti eccome. –

Caleb digrignò i denti, rabbioso, e si allontanò a passi rapidi, assestando una spallata a un ragazzo dai capelli rosso fuoco e gli occhi eterocromi.

- Imbecille. – borbottò il semidio colpito, avvicinandosi a loro.

Lasciò vagare lo sguardo su tutti loro, soffermandosi in particolare su Hellen e Annalisa, corrugando la fronte.

- È tutto okay? –

Annalisa annuì, arrossendo leggermente, e distolse lo sguardo dal suo.

- Tutto okay, grazie per l’interessamento … scusa, ma non so come ti chiami. – replicò Hellen.

- Simon e tu sei la nuova  arrivata, giusto? Ho sentito dire che hai combattuto contro Peter, è stata una bella prova di coraggio. –

- Già, sono Hellen. –

Si scambiarono una breve stretta.

Jack si avvicinò alla figlia di Osiride al punto che le loro braccia nude si sfiorarono.

- Ci penso io qui, Simon. –

Il figlio di Odino si strinse nelle spalle. – Non mi era sembrato che stessi facendo un gran lavoro, quindi sono venuto a dare un’occhiata. –

La pelle sfrigolò e la fece sussultare leggermente.

- Jack, mi hai quasi folgorata. – mormorò, distaccandosi un po’.

Si passò una mano dietro al collo, imbarazzato. – Le mie scuse, divento un tantino elettrico in certe situazioni. –

- Simon, ti andrebbe di darmi una mano con l’ispezione della Casa? Mi sono ricordata solo adesso che non ci ho ancora pensato. – domandò Annalisa, avvicinandoglisi ancora un po’.

Era evidente che stesse cercando di attirare l’attenzione su di sé ed Hellen doveva ammettere che quella coppia non le sembrava male. Certo, da parte di Simon non c’era stata nessuna manifestazione plateale d’interesse, ma magari era solo perché era un tipo riservato.

- D’accordo. – acconsentì, lasciandola passare prima di lui e seguendola verso la costruzione gialla raffigurante lo scarabeo.

Rimasti soli, Hellen lanciò un’occhiata incuriosita in direzione di Jack.

- Posso farti una domanda, ragazzo fulmine? –

- Dimmi. –

- Perché Caleb se l’è presa con te? Credevo che foste amici. –

Il ragazzo scrollò le spalle. – È fatto così, ma tra poco gli sarà passata e ricominceremo a ridere e scherzare. È un po’ strano, ma è mio amico e non è un cattivo ragazzo. –

Inarcò un sopracciglio, scettica. – Ah, no? –

- Lo nasconde bene, questo lo devo riconoscere, ma una volta che impari a conoscerlo le cose cambiano. –

Decise di prendere per buone le sue parole. In fin dei conti lei lo conosceva da appena un giorno e non avevano scambiato più di un paio di frasi. Non aveva ancora tutti gli elementi per esprimere un giudizio su di lui, ma per il momento non era esattamente in cima alla lista delle sue simpatie.

La conversazione venne interrotta dall’arrivo di Peter.

Aveva le ciocche corvine scompigliate come chi aveva passato e ripassato le dita tra di esse. Nervosismo o un semplice tic?

Alle sue spalle c’erano due semidei, uno dai capelli color sabbia e gli occhi blu, l’altra era una ragazza esile dai lunghi capelli biondi con le punte rosa e gli occhi neri come ossidiana. Riconobbe il ragazzo, Eric, che aveva colto per primo il collegamento tra le profezie che in quei giorni avevano toccato i tre Campi.

- Hai scoperto qualcosa? –

Scosse la testa, allontanando con uno sbuffo seccato una ciocca che gli era finita davanti agli occhi.

- Austin sta sondando altri canali nella speranza di scoprirci qualcosa di più. –

- Continuo a dirti che stiamo cercando nella direzione sbagliata. Dovremmo guardare anche a quella greco romana e non solo alla nostra se vogliamo capirci qualcosa di più. – replicò Eric.

- Sai dove puoi mettertela quella stramaledetta profezia? Proprio su … -

- Peter! – esclamò indignata la biondina, folgorandolo con un’occhiataccia. Era straordinario il modo in cui una ragazza così esile riuscisse a sembrare tanto minacciosa.

- Non ne posso più delle vostre chiacchiere da intellettualoidi, Angel. Se avete qualcosa di concreto ditelo, altrimenti lasciatemi lavorare in santa pace. –

Giocherellò distrattamente con una ciocca liscia, rigirandosi tra i polpastrelli le meches rosa.

- Mi farò venire in mente qualcosa, per il momento aspettiamo. –

- Non abbiamo più tempo per aspettare, Angel, le delegazioni dei due Campi arriveranno domani. – sbottò l’Ulfric.

- Datti una calmata, il mio cervello non va a comando, sai? – esclamò indignata, voltandogli le spalle e marciando risolutamente verso la Quarta Casa.

- Ci parlo io. – intervenne Eric, allungando il passo per raggiungerla.

Hellen lo osservò gesticolare animatamente mentre Angel scuoteva la testa.

- Ti amano proprio tutti da queste parti, eh? – commentò, ironica.

- Non cominciare anche tu, novellina. – ringhiò indispettito.

Alzò le mani in segno di resa. – Come vuoi tu, Psycho. –

Jack indicò con un cenno del capo la figura snella che si stagliava alle spalle dell’amico.

Austin tossicchiò leggermente, attirando l’attenzione su di sé, gli occhi color mogano che fissavano risolutamente quelli grigi di Peter.

- Niente da fare. –

L’Ulfric emise un gemito di frustrazione. – In nome di Ra, possibile che debba essere circondato da un branco di idioti? Devo fare sempre tutto io. –

Il figlio di Seth assottigliò lo sguardo, minaccioso.

- Per prima cosa calmati, perché non mi piace affatto il tuo tono, e per seconda sei tu che non vuoi darci retta. Eric te l’ha ripetuto centinaia di volte: non è questa la strada giusta. –

- Me ne sbatto di quello che dice quel cervellone se non si tratta di una soluzione. –

Hellen lanciò un’occhiata d’intesa a Jack. Andando avanti di quel passo non avrebbero risolto nulla se non lo scatenare una rissa di proporzioni colossali.

- Perché non ti rilassi un po’? Andiamo a farci un giro. – propose il figlio di Thor, prendendolo per un braccio e allontanandolo in fretta dal gruppo.

La ragazza si rivolse ad Austin, incuriosita.

- Che canali hai usato? –

- Canali a cui solo un figlio di Seth può accedere. – replicò asciutto.

Fantastico, era sempre così soddisfacente ed esauriente parlare con loro.

Li lasciò lì a discutere, certa che il suo contributo non avrebbe comunque potuto essere determinante in alcun modo. Lei non ne sapeva proprio niente di profezie, Apocalissi e tutto il resto. Era solo una novellina, proprio come le ripeteva sempre Peter.

Una figlia di Osiride totalmente impreparata a ciò che doveva affrontare e di conseguenza assolutamente inutile, sospirò, calciando con vigore un sasso poco distante e guardandolo rotolare lungo il sentiero.

Contò i rimbalzi. Uno … due … tre … quattro … cinque …. sei. Sei.

Ma certo, come aveva fatto a non pensarci prima?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eccoci con l’aggiornamento. Spero che anche questo nuovo capitolo vi sia piaciuto. Ho preferito dare spazio ai semidei che non avevo ancora presentato e spero di esserci riuscita in modo soddisfacente. Come sempre vi chiedo di farmi sapere che ne pensate. Poi, adesso che ho presentato tutti i personaggi, vorrei proporvi un piccolo test:

1.      Per il momento quale personaggio preferite?

2.      C’è qualche coppia che shippate già?

3.      E, infine, per caso desiderate accoppiare uno dei vostri semidei con qualcuno greco o romano? (Chiedete nel caso e valuterò se è possibile accontentarvi, ma tenete presente che devono essere personaggi che nel fandom non formano già una coppia con qualcuno/a)?

Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

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Capitolo 5
*** Cap 4 ***


Cap 4

 

 

 

 

 

 

Rilassarsi … Jack la faceva facile.

Essere l’Ulfric del Campo era stressante, doveva riconoscerlo, specialmente quando tutti si aspettavano che fosse lui a trovare una soluzione a ogni dannato problema.

Lui era il figlio di Ra, l’Ulfric, quello che era al Campo da più tempo di tutti, il grande Eroe. D’accordo, potevano anche andargli bene tutti quegli appellativi, ma non era un fottuto Oracolo né un sacerdote o, gli Dei non volessero, un Profeta. Lui non voleva averci proprio niente a che fare con quelle fottute profezie e a chi chiedevano di decifrarle? A lui.

Certo, non faceva una grinza come ragionamento.

Sbuffò, dirigendosi verso le scuderie. Una cavalcata gli avrebbe fatto bene, poco ma sicuro, soprattutto perché da quelle parti non si aggirava nessuno; i membri del Campo erano tutti troppo impegnati a discutere dell’arrivo delle delegazioni dei due Campi e del misterioso significato delle parole di Lars.

Alzò lo sguardo verso il Sole, provando a inviare una muta richiesta di aiuto a suo padre. Silenzio, come sempre del resto.

- Bè, grazie tante, pà. – borbottò.

Figlio di Ra un accidenti, di questo passo avrebbe fatto meglio a farsi chiamare “orfano di Ra”.

Raggiunse la scuderia in cui si trovava il suo cavallo. Era un sauro bruciato piuttosto imponente, una cavalcatura da battaglia, che niente aveva a che vedere con gli esili e agili purosangue arabi che utilizzavano gli egizi di un tempo. Bè, del resto lui non doveva mica combattere tra le dune del deserto come facevano loro.

S’infilò nel box, dandogli una grattatina tra le orecchie, e prese a strigliarlo lentamente. Solo lo stare a contatto con lui funzionava da palliativo; era sempre stato così da che aveva memoria, gli animali lo aiutavano a rilassarsi. Scherzando, sua madre diceva sempre che andava molto più d’accordo con loro che con gli esseri umani. Non aveva tutti i torti; in fin dei conti gli animali non potevano tormentarlo con frasi stupide come facevano il resto dei semidei che lo circondavano ogni santo giorno.

Un rumore di passi lo distrasse dal suo lavoro metodico e rilassante.

Harrogate, il suo stallone, nitrì piano. Lo calmò con un paio di pacche sul collo e l’animale riprese a mangiare la biada con cui aveva riempito la sua mangiatoia.

Lasciò scorrere la porta del box, chiudendola con il catenaccio, e si sporse per avere una visuale di chi aveva osato disturbare il suo momento di pace.

Nives stava percorrendo il corridoio in ciottolato che separava i due lati delle scuderie e si dirigeva verso il centro del Campo, in direzione dell’Arena.

Probabilmente tra tutti i semidei che aveva conosciuto nel corso della sua vita lei era l’unica che gli andasse a genio, se si escludeva Jack che avrebbe potuto definire come il suo unico amico. Non parlava mai troppo né a sproposito, se ne stava sulle sue e non era una di quelle ragazzine appiccicose con cui troppe volte aveva suo malgrado dovuto fare i conti. E poi combatteva da Dio. Doveva riconoscerlo, non aveva mai visto fare cose come quelle che lei era in grado di fare con un machete.

Non sapeva neanche lui perché, ma si ritrovò a chiamarla e incamminarsi verso di lei per raggiungerla.

- Ehy, Nives. –

Gli occhi verdi incontrarono i suoi e la ragazza corrugò un sopracciglio, ironica.

- Peter. Quindi era qui che ti nascondevi? –

- Non mi stavo nascondendo. –

Le labbra si stirarono in un piccolo ghigno divertito. – Ah, no? –

Ecco fatto, l’aveva beccato.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli e cercando di rimetterli in ordine.

Doveva avere un’aria stravolta, ne era certo.

- Okay, magari stavo cercando un po’ di relax, ma non mi stavo nascondendo. Non sono un codardo. – replicò seccamente.

- Eppure scappi dai tuoi doveri come se lo fossi. Credevo fossi un duro, uno di quei ragazzi che sanno sempre cosa vogliono e non si fanno problemi a prenderselo. Mi sarebbe piaciuto un ragazzo così … ma magari mi sbagliavo. –

Lo stava manipolando, era chiaro come la luce del Sole, ma le sue parole andavano tutte a segno.

Maledizione a lei e al suo modo di fare.

- Sai, credevo che mi piacessi Nives, ma adesso sto cominciando a pensare che forse sei un po’ troppo simile a me. – borbottò, prima di aggiungere. – Forza, a quanto pare c’è una profezia che aspetta solo me per essere decifrata. –

La figlia di Ullr gli rivolse un sorrisetto furbo e allo stesso tempo soddisfatto. L’aveva incastrato e riportato all’ordine e ne sembrava fin troppo compiaciuta per i suoi gusti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

La Profezia l’aveva stancato più di quanto gli facesse piacere ammettere. Avrebbe dovuto esserci abituato dopo tutti quegli anni, ma ogni volta che veniva posseduto sentiva le forze che lo lasciavano, gli occhi gli si iniettavano di sangue e gli veniva quel dannatissimo mal di testa.

Era per quel motivo che aveva deciso di mischiarsi ai semidei, malgrado di solito preferisse rimanere nella sua stanza e limitare i contatti a occasioni sporadiche, e si era spinto fino alla mensa. L’ora di colazione era passata da un pezzo e quella di pranzo non era ancora giunta quindi le probabilità di trovare qualcuno lì intorno erano infinitesimali.

Non che i semidei del Campo ricercassero la sua compagnia. Sapeva perfettamente che molti di loro lo trovavano inquietante e non se la sentiva neanche di biasimarli.

L’unico che si degnava di scambiare quattro chiacchiere con lui, nelle rare occasioni in cui si incontravano nella sezione di magia rituale della biblioteca del Campo, era Austin. Come figlio di Seth aveva una certa familiarità con rituali e incantesimi e, per di più, era l’unico che non lo trattasse come se fosse un mostro o un curioso scherzo della natura. Probabilmente era perché lui stesso si considerava così, ma quella era solo una sua supposizione. Comunque non avevano parlato mai di chissà cosa né per chissà quanto tempo.

Non che a lui dispiacesse, che sia chiaro. Trovava la compagnia dei suoi coetanei piuttosto molesta perché la maggior parte di loro si comportava in modo talmente immaturo che non avrebbe semplicemente saputo di cosa discutere, se mai se ne fosse presentata l’occasione.

Quando entrò in mensa, tuttavia, rimase sorpreso nello scoprire di non essere solo.

Una ragazza armeggiava intorno al fornelletto da campo, scaldando l’acqua per un tea o forse una tisana. I lisci capelli neri, adornati da alcune piume, e il fisico snello gli permisero di identificarla all’istante. Era la figlia della Dea Maat, Skyler.

L’aveva osservata spesso, memorizzando ogni dettaglio, perché quella ragazza lo incuriosiva come nessun’altra lì al Campo. Non parlava molto, ma quando lo faceva diceva cose intelligenti e brillanti, e l’aveva sentita fare anche qualche battuta in compagnia dei suoi amici quindi non era una di quelle menti geniali che passavano il tempo nella noia totale. E non poteva neanche negare che fosse molto carina. Insomma, era vero che di solito non perdeva molto tempo dietro alle ragazze, ma gli occhi ce li aveva e, a suo giudizio, quando arrossiva lo diventava ancora di più.

Le si avvicinò, attirando la sua attenzione, e la vide trasalire.

- Scusa, non volevo spaventarti. –

Si chiese distrattamente se gli occhi fossero ancora iniettati di sangue. In quel caso sì che avrebbe avuto ragione di essere allarmata. Probabilmente no, però, perché la possessione era avvenuta ore prima e gli effetti di solito sparivano in un paio d’ore.

- Non mi hai spaventata. – mentì rapidamente. Poi aggiunse, lievemente imbarazzata, - I tuoi occhi … è normale che siano così rossi? –

Perfetto. Incontrava l’unica semidea che riteneva interessante e i suoi occhi decidevano di scegliere proprio quella mattina per fare le bizze e non tornare del loro solito colore. Davvero splendido.

- Capita sempre dopo una possessione. Speravo fossero tornati normali, perché so quanto sono inquietanti. – borbottò.

Skyler scosse la testa, probabilmente decisa a non farlo sentire a disagio.

- Non sono inquietanti, direi piuttosto particolari. –

- Non devi essere per forza gentile, Skyler, ho imparato a non offendermi per le reazioni altrui. –

La ragazza si mordicchiò un labbro, indecisa su come affrontare la questione. Non le erano mai piaciute le prese in giro a danno degli altri e dal tono di Lars sembrava che soffrisse della sua condizione già da parecchio. Erano ferite antiche, difficili da rimarginare.

- Che altri effetti collaterali da il tuo Dono? –

Aveva calcato leggermente sull’ultima parola perché voleva che capisse che non lo considerava uno mostro o chissà cosa.

- Un mal di testa epocale. Insomma, più rogne che altro. –

Tolse l’acqua dal pentolino, mettendovi in infusione una manciata di foglie di alloro e balsamina. Suo padre l’aveva praticamente costretta a imparare a memoria i nomi di tutti i tipi di piante e gli usi che se ne potevano fare. Doveva ammettere che si era rivelata una cosa utile perché non aveva più avuto bisogno di alcuna medicina per curarsi, preferendo rimedi naturali.

- Prova questo. È una tisana di alloro, ottimo per combattere le emicranie, e di balsamina, che aiuta a rilassarsi e a riacquistare il controllo e l’equilibrio interiore. – disse, porgendogli la tazza bollente.

Lars lo annusò con circospezione. – Ha un buon odore. – Ne prese un piccolo sorso, assaporandolo lentamente. – E anche il sapore non è niente male. –

- Qualcuno potrebbe darti del cannibale per quello che stai facendo. – osservò, divertita, Skyler.

Il ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso.

- Lars in svedese significa “alloro” o “colui che porta la corona di alloro”. – spiegò.

Scoppiò a ridere. – Non lo sapevo, ma se le cose stanno così hai ragione. –

Continuarono a scherzare e chiacchierare per un po’, finchè entrambi non ebbero finito le loro bevande, poi l’ Ur Mau abbandonò la sedia che aveva occupato.

- Ho un po’ di cose da fare, devo andare. –

Il sorriso si cancellò immediatamente dal volto di Skyler.

- Capisco … Non fa niente, non voglio farti perdere tempo. –

Lars scosse la testa. Era in momenti come quelli che detestava la sua incapacità di relazionarsi con le persone. Provò a spiegarsi meglio perché non voleva correre il rischio che fraintendesse.

- Mi piacerebbe davvero restare qui con te, ma ho promesso a Manto che l’avrei aiutata a sistemare le cose prima dell’arrivo di Chirone e Lupa. Magari … magari possiamo rivederci nel tardo pomeriggio. Sempre che tu ne abbia voglia, è ovvio. –

Era una richiesta di appuntamento quella?

Skyler sentì le guance avvamparle. Non aveva mai prestato più di tanta attenzione ai ragazzi, ma non c’era niente di male nel frequentare un tipo simpatico con cui si trovava bene a parlare, no?

- Sì, mi piacerebbe. Ci troviamo qui davanti verso le cinque? –

Sembrava un buon orario, abbastanza vicino all’ora di cena per non far durare l’incontro troppo a lungo se le cose avessero cominciato a farsi troppo imbarazzanti.

- È perfetto. Ora devo davvero andare, però. A più tardi. –

Lars le rivolse un bel sorriso, il primo che gli vedeva fare da quando l’aveva visto per la prima volta, per poi dirigersi verso l’uscita.

Sospirò, giocherellando distrattamente con la piuma di struzzo che aveva assicurato al ciuffo sulla fronte.

Poteva ripetersi quanto voleva che quella del pomeriggio sarebbe stata una semplice chiacchierata tra amici, ma a lei suonava troppo come un appuntamento.

Al solo pensare quella parola sentì un sorriso dipingersi rapidamente sul suo viso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Ria non riusciva davvero a capire perché, tra le decine di persone che risiedevano nel Campo, quel tornado dai capelli rossi dovesse infastidire proprio lei.

Non era neanche un combattente, quindi per quale accidenti di motivo si aggirava per l’Arena?

- Non hai proprio nient’altro da fare? Che so, tipo schiantarti con il tuo elicottero? – chiese, dopo che ebbe interrotto il suo allenamento per la quinta volta.

- Oh, andiamo, mi sto annoiando. Non fai che menare fendenti con quella specie di zappa. –

- Questo è un khopesh, non una zappa. – esclamò, indignata, lanciandogli contro l’arma.

Zephyr si scansò appena in tempo, fissando in cagnesco l’arma che era caduta a pochi centimetri da lui.

- Ehy, il khope – coso mi ha quasi centrato. Avresti potuto uccidermi. –

Inarcò un sopracciglio, fingendosi stupita, - No, davvero? –

- Lasciatelo dire, Torres, tu mi spaventi. – decretò, puntandole un dito contro in modo melodrammatico.

- E questa paura non ti invoglia a, che so, lasciarmi in pace e girare il più a largo possibile? –

Scosse la testa, sorridendo malandrino. – Per niente, anzi tutto il contrario. –

Sospirò, sconsolata.

Che quell’elfo rosso avesse un desiderio di morte era chiaro come il Sole dal momento che passava il suo tempo libero volteggiando in aria su quell’accrocco, ma era abbastanza certa che in quel caso si trattasse più di un piano omicida sapientemente strutturato per spingerla al suicidio.

- Te l’ho mai detto che credo di odiarti? –

- Lo escludo categoricamente. Cioè, guardami: sono troppo bello per essere odiato da qualcuno. –

Fece come aveva detto, scrutandolo dall’alto in basso.

Poco più di un metro e settanta, capelli rossi e occhi azzurri, una leggerissima spruzzata di lentiggini chiarissime sul naso e gli zigomi, sorriso furbo e orecchie leggermente a punta.

- L’unica cosa che riesco a vedere è un elfo di Babbo Natale scappato dalla Lapponia. –

- Groenlandia. –

- Eh? –

- Le renne sono quelle della  Lapponia, Babbo Natale è in Groenlandia. – spiegò.

Ria agitò una mano per aria, come a dire che la cosa non aveva alcuna importanza, e recuperò il khopesh, spazzolando via la sabbia e riprendendo a provare finte e mimare fendenti contro l’aria.

Era a metà di una sequenza di attacco piuttosto rapida quando Zephyr l’interruppe di nuovo.

- Ne hai ancora per molto? –

- Mi sto allenando, sarebbe più facile se non m’interrompessi ogni due minuti, e di sicuro finirei prima. – ringhiò per tutta risposta.

- Nooooiaaaaaa. Perché non lasci perdere la zappa … -, si corresse non appena vide l’occhiata omicida che gli rivolse, - Cioè, il khope – coso e andiamo a fare qualcos’altro? –

- Perché c’è una profezia in ballo e una futura impresa da assegnare e devo essere pronta, ecco perché. –

- Quindi credi davvero di poter uccidere qualcuno a colpi di zappa? – domandò, osservando l’arma con aria scettica.

Okay, adesso era davvero giunta al limite di sopportazione giornaliero.

Dall’occhiata che gli rivolse, Zephyr capì che avrebbe fatto meglio a iniziare a correre … a correre molto velocemente. Sfrecciò via, inseguito da Ria che sventolava minacciosamente il khopesh.

- Vieni qui e proviamo a vedere se riesco a uccidere qualcuno. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Hellen aveva passato tutta la mattinata nella Biblioteca del Campo, in compagnia di Eric e di Hannah, che si era offerta di aiutarla nella ricerca.

Da quando aveva avuto quella mezza intuizione circa la profezia e ne aveva parlato con il figlio di Horus, il ragazzo si era immediatamente acceso di un entusiasmo quasi inquietante e aveva iniziato a ripetere che aveva ragione lui e che sarebbe riuscito a convincere Peter anche a costo di ficcargli a forza le sue idee dentro la testa.

All’osservazione sul fatto che prima avrebbero dovuto provarglielo, aveva perso un po’ del suo entusiasmo ed era tornato a buttarsi a capofitto su alcuni enormi e polverosi volumi incredibilmente antichi.

- Credo di aver trovato qualcosa. – annunciò Hannah, picchiettando un dito su un paragrafo del libro di astronomia che stava sfogliando.

Si trattava della costellazione di Orione e riportava una scala di luminosità di tutte le stelle che vi appartenevano, ordinandole gerarchicamente dalla prima all’ultima.

- Saiph. È un nome arabo, ma non ho la minima idea di cosa significhi. – lesse, scorrendo il dito lungo la tabella e soffermandosi sulla sesta stella, quella che serviva loro.

- Significa “spada del gigante” o anche “spada di Orione”. Però non riesco a vedere il nesso con la profezia. – ammise Eric, massaggiandosi le tempie con i polpastrelli.

Tutte quelle ore chiuse a leggere centinaia e centinaia di pagine cominciavano a farsi sentire anche per lui che era abituato a quelle ricerche interminabili.

- Magari non c’è un nesso. –

Hellen scosse la testa. Non ne sapeva granchè di quelle cose, ma non credeva che la stella sarebbe stata nominata se non fosse servita a qualcosa.

- Deve esserci qualcosa che li collega. Cosa sapete di Orione? –

Eric tornò a indossare i panni del perfetto intellettuale, recitando con voce monocorde: - Nella mitologia romana era un gigante generato da Giove, Mercurio e Nettuno, dotato di una bellezza incredibile. Venne preso come compagno di caccia dalla Dea Diana la quale, seppur votata alla castità, finì per invaghirsene. Il gigante la respinse e la Dea, furibonda, lo accecò colpendolo con una delle sue frecce. –

- Praticamente non ci dice nulla se non che è pericoloso far arrabbiare gli Dei. – concluse Hannah, sconsolata.

- Orione aveva una spada o la stella si chiama così solo per caso? –

Gli occhi blu del ragazzo s’illuminarono.

- Ma certo, come ho fatto a non pensarci io? –

Hellen si trattenne dal mandarlo al diavolo per quella sottile insinuazione sul suo essere più intelligente di lei solo perché in quel momento aveva bisogno di risposte e non di discussioni.

- La spada di Orione è un’arma che gli venne consegnata dagli Dei affinchè la tenesse lontana da mani estranee; la sua lama venne forgiata in modo particolare e aveva il potere di privare gli Dei dell’immortalità e, di conseguenza, di ucciderli. –

Hannah emise un lieve fischio.

- Fino a qui ci siamo arrivati, ma per quanto riguarda la prima parte della profezia? –

Pensare di aver trascorso intere ore solo per decifrarne la metà era oltremodo frustrante.

- Abbiamo solo la mia idea circa il fatto che si debba partire dal segno della Vergine, che è il sesto dello zodiaco, ma manca un collegamento logico. – sbuffò Hellen, appoggiando la fronte contro il legno del tavolo, sconsolata.

Eric chiuse il tomo che stava sfogliando con violenza, facendole sobbalzare.

- Sono stufo di stare qui dentro, mi si sta fondendo il cervello. Peter può arrivarci da solo, visto che gli abbiamo risolto metà profezia. Portiamogli quello che abbiamo scoperto e facciamola finita. – decretò.

Mai in tutta la sua vita Hellen era stata più d’accordo su qualcosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eccoci con il nuovo aggiornamento. Avrei dovuto pubblicarlo ieri, ma sono riuscita a finire il capitolo solo alle tre di notte (chiedo scusa per eventuali errori, colpa del sonno e della stanchezza) quindi ho preferito aspettare qualche ora invece di pubblicarlo in piena notte. Ho trattato nove OC in questo capitolo e tratterò gli altri nel prossimo perché tutti insieme non è assolutamente fattibile (o meglio, si può fare ma escono minimo ventidue pagine Word … quindi, no grazie U.u). Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi lascio al prossimo  che sicuramente verrà pubblicato domani in giornata/serata. Come sempre vi chiedo di farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

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Capitolo 6
*** Cap 5 ***


Cap 5

 

 

 

 

 

 

Austin aveva usato ogni mezzo a sua disposizione per cercare di capirci qualcosa. Di solito, ricorrendo ai suoi poteri, riusciva a trovare una soluzione praticamente a ogni cosa, ma quella volta le tenebre erano silenti come se neanche loro sapessero che pesci prendere.

Si passò una mano tra i capelli, frustrato.

A cosa serviva essere un figlio di Seth se nel momento del bisogno non era in grado di muovere un dito per aiutare il Campo?

- Hanno ragione, l’unica cosa di incredibile che ho è la facoltà di riuscire a far scappare tutti a gambe levate. Proprio un gran bel talento. – borbottò tra sé e sé.

- Lo sai che non è vero. –

La voce di Angel lo fece sussultare.

Aveva creduto di essere solo nella Quarta Casa, altrimenti non si sarebbe mai permesso di crollare in quel modo.

- Questi stupidi poteri non servono a niente quando ne ho davvero bisogno. E tu sai a cosa mi riferisco, no? –

Già, Angel lo sapeva bene.

Dopo tutto quel tempo ancora si tormentava con il suo ricordo. Liz, la bella e combattiva figlia di Bastet che l’aveva salvato quando era in fin di vita e che al momento versava in uno stato comatoso.

- Sono passati tre anni, Austin, e ancora continui a fartene una colpa. Liz sapeva quello che faceva e ciò che le è successo non è colpa tua. – concluse, mettendoci un po’ più di foga del necessario nell’ultima frase.

Voleva che se ne convincesse, che smettesse di considerarsi una disgrazia per tutti coloro che incrociavano il suo cammino.

Se soltanto si fosse sforzato un po’ sarebbe riuscito a vedersi per come lo vedeva lei. Un ragazzo brillante, divertente, affettuoso e leale con le persone che aveva a cuore. Un ragazzo per il quale lei aveva completamente perso la testa da un bel po’.

Austin tentennò leggermente, fissandola negli occhi color pece, profondi come buchi neri. Certe volte gli sembrava di precipitare in quello sguardo, ma la sensazione non era affatto spiacevole.

- Lo so che essere il figlio di Seth non è facile, così come non lo è essere figlia di Anubi, ma possiamo dimostrare a tutti che sono dei completi idioti se ci giudicano solo per quanto spettrali ed inquietanti siano i nostri padri. –

- È solo che detesto non riuscire a essere utile. – borbottò.

Angel sentì le labbra stirarsi in un lieve sorriso.

Austin le faceva sempre quell’effetto, una tenerezza disarmante che molto spesso la spiazzava. Non era abituata a provare quei sentimenti per un ragazzo.

- Allora perché non raggiungiamo gli altri e proviamo a dare una mano? Annalisa mi ha detto che si stanno riunendo tutti in aula magna, pare che Peter abbia indetto una specie di riunione non ufficiale. –

Le rivolse uno sguardo incerto. Non era sicuro di sentirsela di stare in mezzo a tutta quella gente, metà della quale neanche lo degnava di un’occhiata. Però quello che aveva detto era vero: lui voleva dare una mano, rendersi utile in qualsiasi modo.

- Va bene, ci sto. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

- Che c’è vuoi una foto per caso? – borbottò Peter, notando che Nives continuava a fissarlo di sottecchi come se fosse in attesa di vederlo esplodere come un vulcano.

Bè, era sulla buona strada se era quello che aspettava con tanta ansia.

- Sì, ti prego, ma solo se la autografi. – replicò sarcastica.

Si scambiarono un’occhiataccia, provando a fulminarsi a vicenda con lo sguardo. Niente da fare, entrambi avevano la pellaccia resistente.

- Ehm, ragazzi, non è proprio il momento di scatenare una rissa. – intervenne Annalisa, provando a fare da paciere tra i due semidei che sembravano avere particolarmente i nervi a fior di pelle.

- Dillo a mr macho qui presente che si sente continuamente al centro dell’universo. Per quanto sconvolgente ti possa sembrare, Peter, il mondo non gira intorno a te. –

- Tecnicamente sì, visto che è il figlio del Sole. – replicò Simon.

Annalisa trattenne una risata. Quello non era decisamente il momento più adatto per ridere di un Peter sull’orlo di una crisi di nervi. Anzi, non era mai il momento giusto per farlo, a meno che non si avessero manie suicide.

- Ma sentitela, come se a me potesse interessare di attirare la tua attenzione. –

- Bè, tranquillo, non corri alcun rischio perché non potrei mai sprecare il mio tempo dedicando attenzione a te. –

Si fronteggiarono, guardandosi in cagnesco, e l’aria intorno al figlio di Ra prese a pulsare luminosa.

- Ragazzi, per favore … - riprese Annalisa, fiutando il pericolo.

Non era mai una buona cosa quando il loro Ulfric cominciava a brillare.

- Non abbiamo tempo per questo, dobbiamo concentrarci su cose più importanti. Pensiamo a questa benedetta riunione e dopo, se proprio non potete fare a meno di comportarvi come due bambini, potrete riprendere a punzecchiarvi. – le diede man forte Simon.

Peter sospirò, rilassandosi un po’ e facendo scomparire la sfera luminosa.

Un attimo prima andavano d’accordo, sembravano essere in sintonia, e quello dopo ricominciavano a urlarsi contro e poco mancava che si prendessero a pugni. Quella ragazza l’avrebbe fatto impazzire, poco ma sicuro.

- D’accordo, sono calmo. Riprendiamo a lavorare su questa roba. – decretò, chinandosi sui fogli coperti di appunti scritti con la calligrafia precisa di Annalisa.

- Continuano a non avere senso o, se ce l’hanno, io non riesco a vederlo. – sospirò Simon, affranto.

Nulla lo innervosiva più di avere la soluzione sotto gli occhi e non riuscire a vederla.

Rilesse la parte iniziale della profezia a voce alta. Magari in quel modo ci avrebbe capito qualcosa in più.

- Parla della Vergine. –

Angel e Austin erano arrivati proprio in quel momento e la figlia di Anubi aveva ricollegato immediatamente il sei allo zodiaco. Era un’appassionata di queste cose e pianeti e divinità affini non avevano alcun segreto per lei.

- Come dici? – domandò il figlio di Odino, perplesso.

- Il sesto segno zodiacale è la Vergine, che si trova a metà tra lo zodiaco e le divinità. Ogni segno ha una sua divinità di riferimento e il suo nella mitologia greco romana è Ermes o Mercurio. – spiegò.

- Fantastico, ma nel caso ti sia sfuggito noi non siamo né greci né romani. – osservò con tono beffardo l’Ulfric.

- Lasciala finire. –

Il ragazzo guardò incredulo il figlio di Odino. – Non mi piace il tuo tono, Simon. –

- Un vero peccato che non me ne importi nulla. –

Peter fece per replicare, ma la mano di Nives calò sulla sua spalla e la strinse leggermente. Sembrava volerlo esortare a smetterla di fare l’indisponente e accettare tutto l’aiuto che gli veniva offerto. Sospirò.

- D’accordo, Angel, continua pure. –

La figlia di Anubi sorrise compiaciuta e riprese la sua spiegazione. – Nello zodiaco egizio la Vergine è simboleggiata dal cane, che è l’animale che risponde a … -

- Ad Anubi, tuo padre. – concluse Nives.

Annuì.

- Quindi la lealtà che viene messa alla prova è quella di tuo padre … o forse la tua? –

Peter assottigliò lo sguardo, fissandola con aria indagatrice, come se volesse costringerla ad ammettere su due piedi che sì, in effetti ci aveva pensato a cospirare contro di loro.

- Non essere ridicolo, Angel è sempre stata leale al Campo. – sbottò Austin.

Era sicuro delle sue parole, perché l’unica ragazza che passava un po’ di tempo con lui e lo trattava come suo pari non poteva essere una traditrice. Angel era una persona buona, sincera, e lui lo sapeva.

- Non scaldarti, principe delle tenebre, la mia era solo un’osservazione. –

- Senti chi parla di scaldarsi. – mormorò Annalisa, ironica.

- Dicevi? – domandò, aggressivamente.

- Dicevo che sei l’ultima persona che può parlare di “scaldarsi” visto che fino a cinque minuti fa brillavi come una lampadina al neon. – replicò, senza lasciarsi minimamente intimidire.

Era abituata a fronteggiare Caleb, gestire lui sarebbe stato quasi un gioco da ragazzi.

- No, si è accesso e me lo sono perso? –

La voce di Jack stemperò immediatamente la tensione che si era venuta a creare.

- Si può sapere dove accidenti ti eri cacciato? Ti ho cercato per tutto il pomeriggio. – borbottò Peter, a mo’ di benvenuto.

- Ehy, non siamo mica sposati che ti devo rendere conto di ogni mio spostamento. –

- Sei il mio Freki, noi siamo peggio che sposati. –

Jack alzò gli occhi al cielo, ridendo. – Okay, mr gelosone, non scomparirò più se questo ti trasforma in una ragazzina mestruata. –

- In una cosa? –

Gli occhi dell’Ulfric si sgranarono all’inverosimile. Se si fosse trattato di chiunque altro l’avrebbe squartato sul momento e a mani nude, ma lui era Jack e … bè, gli si poteva perdonare praticamente qualsiasi cosa.

- Hai ragione, diciamo una ragazzina mestruata molto mascolina. – si corresse, con il sorriso ancora ben stampato sulle labbra.

- Ricordami perché ti ho scelto come migliore amico. – borbottò.

Jack finse di pensarci su. – Uhm, forse perché sono il tuo unico amico? Ma la butto lì così, non è che ne sia completamente sicuro, eh. –

Scosse la testa, trattenendo una risata.

Sapeva perché il figlio di Thor stava facendo così: voleva distrarlo e tranquillizzarlo e doveva ammettere che ci stava riuscendo.

- Okay, messaggio ricevuto, la pianto di fare lo stronzo. – decretò, alzando le mani in segno di resa.

- Perché, ne sei capace? – domandò Nives, come se la  cosa fosse una scoperta incredibile.

- Sì, quasi quanto ne sei in grado tu. –

Hellen fece capolino, bussando alla porta in legno di castagno.

- È un buon momento per una profezia decifrata o ripasso più tardi? –

Peter inarcò un sopracciglio, sorpreso.

- Stai dicendo che siete riusciti a capire a cosa si riferisce? –

Hannah, alle sue spalle, annuì.

- Hellen aveva una mezza idea e le ore in biblioteca hanno dato i loro frutti. È stata in gamba, ha un grande intuito.

La figlia di Osiride abbassò lo sguardo, imbarazzata dal complimento.

- Il merito è anche vostro, sarei ancora  sommersa da libroni e polvere se non fosse stato per l’aiuto che mi avete dato tu ed Eric. –

- Sì, tutto questo spirito di squadra è fantastico, perché non veniamo al punto? – li interruppe Nives, impaziente.

Hellen riassunse in fretta ciò che avevano scoperto, suscitando mormorii meravigliati quando giunse al punto riguardante la spada di Orione.

- Quindi dobbiamo trovare il gigante e prendere la spada prima che lo faccia qualcun altro. Tanto per sapere, qualcuno ha la minima idea di dove si trovi? – domandò Simon.

Tornarono a guardare Hellen, che scrollò le spalle. – Hey, non posso mica risolvervi tutto io. –

Per la seconda volta la discussione venne interrotta da suono delle nocche che battevano contro la superficie lignea.

Caleb stava sulla soglia, l’espressione corrucciata.

Quando fu sicuro di aver attirato l’attenzione di tutti prese la parola: - Scusate tanto se vi interrompo, ma magari vi interessa sapere che i barbaros sono qui. – disse, utilizzando il termine dispregiativo con cui si indicavano i greci e i romani.

- Sono già qui? Ma non dovevano arrivare domani sera? – Peter imprecò in egiziano e, sebbene Hellen non avesse particolare dimestichezza con quella lingua, riuscì a capire che doveva trattarsi di un’offesa piuttosto pesante.

- D’accordo, andiamo a vedere cosa vogliono. – decretò, avviandosi a passo risoluto verso la zona principale del Campo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Scusate per l’attesa, ma finalmente ci sono! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

              Fiamma Erin Gaunt

 

 

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Capitolo 7
*** Cap 6 ***


Cap 6

 

 

 

 

 

 

 

 

La delegazione greco romana era stata fatta radunare nella zona centrale del Campus, utilizzando l’Arena come punto di raccolta per contenere tutte quelle persone. I semidei dei due Campi indossavano semplici jeans e t shirt di due colori, arancioni se venivano dal Campo Mezzosangue e viola per quelli provenienti da quello Giove, e non sembravano andare particolarmente d’accordo. O meglio, il biondino dall’aria gracile e vagamente simile a uno spaventapasseri sembrava piuttosto ostile con tutti coloro che non fossero romani o non pendessero dalle sue labbra, tutti gli altri si limitavano ad essere pacati e vigili. Lupa e Chirone si erano sistemati accanto a Manto e parlottavano a bassa voce con lei.

- Fantastico, adesso ci mettiamo anche ad allestire uno zoo? – domandò Caleb, scrutando il centauro e la lupa.

Lars, rimasto in un angolo alle spalle di Manto, lo folgorò con un’occhiataccia per poi tornare a osservare con un sopracciglio inarcato lo spaventapasseri e la ragazza dai ricci capelli rossi. Non aveva mai avuto niente a che fare con Auguri e Oracoli, ma non faticava a capire che i problemi sarebbero arrivati unicamente dal romano.

- La delegazione greca è guidata da Percy Jackson, figlio di Poseidone, e Annabeth Chase, figlia di Atena, mentre quella romana dai Pretori Reyna Arellano e Jason Grace, figli di Bellona e Giove. – spiegò Manto, rivolgendosi a Peter.

- Peter Murter, figlio di Ra, e Ulfric del Campo. – si presentò asciutto, guardandosi bene dall’avvicinarsi più di tanto agli esponenti delle altre fazioni.

Lui era un semidio egizio e non voleva proprio avere niente a che fare con quei barbaros.

- Di solito ci si stringe la mano quando ci si presenta. – osservò Reyna, inarcando un sopracciglio. Non era esattamente ostile, ma neppure amichevole, quasi stesse ancora decidendo come comportarsi con loro.

- Di solito sì, ma credo che in questo caso ne farò tranquillamente a meno. –

Lo spaventapasseri, aveva deciso che quello era il nome con cui l’avrebbe chiamato da quel momento in poi, emise un verso di scherno.

- Temi la potenza di Roma? Allora, forse, dopotutto voi egiziani non siete così stupidi … forse siete addirittura meglio dei Graecus. –

- Esattamente di cosa dovremmo aver paura, di un tizio con indosso un lenzuolo e armato di peluches? – domandò Jack, suscitando con suo stupore anche le risatine di buona parte della delegazione straniera.

Octavian divenne rosso come un peperone, bofonchiando qualcosa in latino.

- Ragazzi, smettetela immediatamente. –

La voce di Manto, unita al lieve ringhio di Lupa e allo scalpiccio di Chirone, interruppero l’inizio di quella che sarebbe sicuramente degenerata in una rissa di proporzioni epocali di lì a poco.

- Sono ospiti e come tali sono sacri, perciò comportatevi bene. Quanto a voi, finchè sarete qui mostrerete rispetto e non attaccherete briga con i miei Eroi. – aggiunse, passando in rassegna prima i suoi ragazzi e poi tutti gli altri.

Reyna chinò appena il capo, dando segno che accettava quelle condizioni, mentre il resto del gruppo annuiva silenziosamente.

- Jack, Hannah, Austin e Annalisa si occuperanno di trovarvi degli alloggi mentre Lars si occuperà del vostro Oracolo e dell’Augure. –

L’Ur Mau lanciò un’occhiata di sottecchi a Skyler, dipingendosi sul volto un’espressione desolata. A quanto sembrava i loro progetti pomeridiani avrebbero dovuto essere rimandati a un momento più favorevole. La ragazza, però, non sembrava essersela presa e si era limitata a scrollare le spalle e a indirizzargli un sorriso rassicurante. Forse, tutto sommato, l’idea di unirsi al resto dei semidei per la cena non era poi tanto male. Magari, se fosse stato particolarmente fortunato, sarebbe riuscito a scambiare quattro chiacchiere con lei.

- Quindi tu sei una specie di sacerdote? – domandò Rachel, mentre lei e Octavian lo seguivano lungo i corridoi interni che portavano alla zona notte riservata agli “addetti ai lavori” del Campo.

- Più o meno, anche se il mio compito è molto simile a quello di un Oracolo. –

Octavian emise uno strano sbuffo. – Fantastico, un altro Oracolo. –

- E perché non alloggi nel tempio? –

Sgranò leggermente gli occhi. I suoi compagni facevano bene a chiamarli barbaros. L’idea di risiedere nello stesso luogo della divinità che si serviva era qualcosa di a dir poco sconveniente e irrispettoso.

- Sarebbe osare troppo, quasi ritenersi sullo stesso piano del Dio. Insomma, non sta bene. –

Rachel annuì, poco convinta, ma non aggiunse altro. Le sembrava che questi egizi fossero un po’ troppo bacchettoni comparati al modo di fare che avevano greci e romani.

- È un ragionamento sensato. – ribattè invece Octavian, sorprendendola.

Di solito l’Augure non perdeva occasione per criticare e andare contro il pensiero comune, quindi il fatto che fosse d’accordo con un’usanza straniera la lasciava senza parole.

- Le vostre stanze sono queste, la cena comincia alle otto e immagino che alle nove ci sarà una nuova seduta del Consiglio. Fareste bene a rispettare gli orari, Peter non è molto tollerante. – concluse, senza dar peso né allo sconcerto della rossa né alle  parole del romano.

Voltò loro le spalle e tornò nella sua stanza.

Era stato abbastanza in mezzo alla gente per i suoi gusti e se voleva cenare in mensa con tutti gli altri avrebbe fatto meglio a prendersi almeno un paio d’ore solo per sé.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il gruppo scortato da Jack era formato da Percy, Annabeth e Reyna e, tutto sommato, il figlio di Thor doveva ammettere che era il trio con cui probabilmente avrebbero avuto meno problemi.

Sorrise, vedendoli sgranare gli occhi davanti alla costruzione e all’arredamento.

- Dall’esterno sembra spartano quasi quanto la Casa di Ares, ma all’interno è stupefacente. – commentò Annabeth, soffermandosi sui dettagli architettonici che impreziosivano le varie stanze.

Reyna tornò subito su un argomento che le stava molto più a cuore e che le sarebbe di certo stato più utile delle lezioni di architettura della figlia di Atena. – Cosa puoi dirci sul vostro capo … Peter, giusto? –

Jack prese un po’ di tempo per trovare le parole giuste. Da quanto aveva visto, Reyna gli assomigliava molto ma non credeva che paragonarla a lui sarebbe stata una mossa saggia.

- Peter è … particolare. È un buon leader e un ottimo amico, malgrado sia un po’ lunatico, e questa è l’unica cosa che conta. –

La figlia di Bellona annuì, come se si fosse aspettata una risposta come quella.

- Quindi anche tra gli egizi la lealtà ha un gran valore, sono lieta di saperlo. –

Finirono il giro in silenzio e, quando tutti e tre si furono sistemati, Jack decise di levare le tende. Non era mai stato un mediatore particolarmente efficace e le pubbliche relazioni lo annoiavano, quindi molto meglio darsela a gambe il prima possibile ed evitare incidenti diplomatici.

 

 

Hannah Eva non aveva potuto fare a meno di notare quanto quel ragazzo, Leo, fosse incredibilmente simile al loro Zephyr. Jason e Piper erano chiaramente una coppia, una di quelle stabili e dolcissime a suo modesto parere, proprio come quelle dei suoi film e libri preferiti e le facevano una simpatia immediata, ma era il ragazzo ispanico ad averla conquistata. Leo Valdez era un vero e proprio uragano, uno di quelli con la battuta sempre pronta, e di un’iperattività sconvolgente.

Quando fece cadere una delle statue a forma di gatto che stavano sul basamento della Seconda Casa, si volse verso di lui. – Ma tu non stai proprio mai fermo? –

- Certo che no, avrò tutto il tempo per stare fermo una volta che sarò morto. – ribattè, rivolgendole uno dei suoi migliori sorrisi malandrini. – Piuttosto, perché qui dentro è pieno di gatti di tutte le forme e dimensioni? Non è che ci abita una vecchia gattara pazza, tipo quella dei Simpson, vero? –

Hannah soffocò una risata.

- No, nessuna gattara pazza, ma per noi egizi il gatto è uno degli animali sacri. –

Leo annuì, passandosi una mano tra i ricci scuri.

- Già, avete pure una specie di Dea dalla testa di gatto, no? –

- Ehm … sì, quella è Bastet, e sarebbe mia madre. –

Il ragazzo sgranò gli occhi, guardandola come se si aspettasse di sentirla miagolare da un momento all’altro. – Però tu sei tutta umana, vero? Nessuna parte felina? –

Stavolta non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. – Sì, nessuna parte felina, non miagolo e non perdo pelo. Lo giuro. –

- Bene, perché si da il caso che sia allergico ai gatti e poi non mi sarebbe andato di portarti scatolette di tonno e piattini di panna. –

- Sei un tipo strano, Leo, te l’hanno mai detto? –

Il semidio annuì, sorridendo, - Lieto che te ne sia accorta, gattina. –

 

 

 

Ad Annalisa toccarono Clarisse, Chris e Will. Un trio eterogeneo e interessante, peccato solo che lei e la figlia di Ares si stessero cordialmente sulle scatole.

- Quindi tu saresti una figlia di Loki, giusto? – domandò Chris, deciso a rompere il ghiaccio e uscire da quella situazione di imbarazzante silenzio che li aveva accompagnati da quando erano usciti dall’Arena.

- Già. C’è una certa affinità tra Loki ed Ermes, almeno credo. –

Il figlio di Ermes annuì, aggrottando la fronte pensieroso. – Suppongo di sì, per certi versi sono molto simili. –

- Non direi. Ermes non è un Dio imbroglione. – intervenne Clarisse, che non sembrava aver preso molto bene quell’improvviso punto di contatto tra la ragazza e il suo fidanzato.

- Già, è solo il Dio dei ladri. C’è una differenza abissale. – convenne, sarcastica.

- Mi stai prendendo in giro? –

- No, cosa te lo fa pensare? –

- Stammi bene a sentire, se … - cominciò Clarisse, ma Chris fu più svelto di lei e la trasse a sé, riuscendo a tacitarla.

- Non farci caso, è normale trovarla antipatica. – disse Will, chinandosi a sussurrarglielo nelle orecchie per evitare che Clarisse lo sentisse.

- Perché stai sussurrando se è una cosa normale? –

- Perché la troverò anche antipatica, ma non sono così masochista da volermi far sentire da lei quando ne  parlo male. Fare incavolare una figlia di Ares, specie se si tratta di lei, non è mai una scelta saggia. –

Annalisa inarcò un sopracciglio, per niente toccata da quella dichiarazione. – Bè, imparerà a sue spese che neanche fare arrabbiare me è una cosa molto saggia. –

 

 

 

 

 

Sembrava che Austin avesse finalmente  trovato qualcuno con cui sarebbe potuto andare d’accordo. Ovviamente quando gli avevano assegnato quel terzetto non lo sapeva ancora, ma quando giunsero davanti all’ingresso della Quarta Casa fece quella lieta scoperta.

- Figlio di Seth, giusto? – domandò Hazel, scrutandolo dalla testa ai piedi con espressione concentrata.

Perfetto, era arrivato il momento di far fuggire spaventati anche quei tre.

- Già. – replicò, sulla difensiva.

- Tranquillo, per me è okay, sono una figlia di Plutone quindi so quello che devi aver passato. Una figlia di Plutone maledetta, insomma, non è che facciano esattamente la fila per fare amicizia con me. –

Eppure gli risultava difficile da crederlo. Mentre i suoi occhi dalle sfumature rosso rubino erano di per se inquietanti e facevano passare la voglia a chiunque di guardarlo in faccia per troppo tempo, doveva ammettere che quella ragazzina era piuttosto carina.

- E voi due che dite? Nessuna crisi isterica in arrivo voglio sperare, non sono un granchè a gestirle. – domandò, rivolgendosi prima al tipo con la carnagione da cadavere ambulante e poi al cinese dalla corporatura possente.

- Figlio di Ade, passo un sacco di tempo tra gli spettri, figurati se mi faccio problemi a parlare con te … Tu almeno sei vivo. –

- Il figlio sfigato di Marte. – si presentò a sua volta Frank, tendendogli una delle manone e stringendo la sua in una morsa ferrea.

Accettò la stretta, preso alla sprovvista. Quei tre ragazzi lo conoscevano da appena una manciata di minuti ed erano già disposti ad accettarlo e a non fargli pesare le sue origini, invece i semidei con cui aveva passato gli ultimi anni della sua vita non potevano fare a meno di guardarlo con sospetto. E poi erano loro i barbaros, pensò tra sé e sé.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

- Allora, cos’era quello sguardo con Lars? – chiese Hellen, mentre finivano di sistemare l’Arena per la seduta del Consiglio che si sarebbe tenuta poche ore dopo.

Skyler distolse lo sguardo, imbarazzata, e sprimacciò con più vigore di quanto fosse necessario uno dei grandi cuscini da sistemare sopra i sedili di marmo.

- Non ho la minima idea di ciò che stai dicendo. –

- Certo. Ria, dimmi, tu le credi? –

La figlia di Onuris emise un verso ironico. – Sì, certo, come no. Non vedi quanto è convincente? È ovvio che tra lei e l’Ur Mau non ci sia assolutamente nulla. –

- Non c’è niente. –

- Certo. – replicarono all’unisono.

- Davvero, ragazze. Tra me e Lars non c’è assolutamente nulla. – insistè, mordendosi la lingua prima di aggiungere un “non ancora”.

- Guarda che ti crediamo, perché lo ripeti? – la stuzzicò Ria, sorridendo davanti all’ennesimo avvampamento della più piccola del gruppo.

- Siete insopportabili quando fate così. – borbottò Skyler, consapevole di essersi incastrata con le sue stesse mani.

Ria e Hellen si scambiarono un cinque.

- Avete finito di spettegolare come delle comari? – domandò Caleb, affacciandosi per controllare a che punto fossero con la preparazione.

- Perché invece di lamentarti non ci dai una mano? –

Il ragazzo sgranò gli occhi come se Hellen avesse appena detto qualcosa di assurdo e incredibilmente umiliante.

- Aiutarvi a mettere in ordine? Stai scherzando, spero. Rassettare e pulire è un lavoro da donne. –

- Quindi è perfetto per te.  – concluse Ria.

Gli occhi scuri di Caleb scintillarono furibondi. – Farò finta di non averti sentito, Torres. –

- Se non mi hai sentito magari è il caso che ti dia una sturata alle orecchie, Schwarz. –

- Non mi faccio parlare in questo modo da una donna. – ringhiò, avvicinandosi pericolosamente a lei.

- Caleb, possibile che tu debba sempre attaccare briga? – esclamò Peter, mettendo piede nell’Arena in compagnia di Nives. Il figlio di Ra non sapeva davvero più come prendere quel ragazzo.

- Non ho iniziato io. –

- Non m’interessa chi ha iniziato. Va a dare una mano in armeria, magari riesco a tenerti fuori da una rissa fino all’ora di cena. – replicò, con un tono di comando che non ammetteva repliche.

- Ir al infierno, cabrón. – mormorò Ria, seguendolo con lo sguardo.

- No comenzar tambièn. –

Ria e Peter si scambiarono uno sguardo penetrante, in una specie di gara che vedeva scontrarsi il Messico con il Venezuela.

- Bueno, lascio perdere, ma la prossima volta lo prendo a patadas en culo. – lo avvisò.

Peter scrollò le spalle. – Fa un po’ come ti pare, sono stanco di sentirvi discutere in continuazione. –Poi si rivolse a Hellen. – Allora, novellina, è tutto pronto? –

La figlia di Osiride annuì. – Ci siamo. –

Peter lanciò un’occhiata all’orologio che portava al polso. Mancavano due ore all’inizio del Consiglio ... E che Ra gliela mandasse buona.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Ho aggiornato un po’ dopo il solito perchè in questi giorni sono in organizzazione pre partenza e quindi ho avuto un sacco di cose da fare. Il capitolo è un po’ di passaggio, ma spero che vi piaccia. Cercherò di aggiornare prima della partenza (venerdì), ma non garantisco nulla. Alla prossima.

Baci baci,

                Fiamma Erin Gaunt

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Cap 7 ***


Cap 7

 

 

 

 

 

 

 

- Sei sicuro che sia una buona idea? –

Peter alzò lo sguardo dal piatto di arrosto e patate che aveva davanti, volgendosi verso la figlia di Ullr. Per quanto passassero il tempo a punzecchiarsi e provocarsi doveva ammettere che si fidava del giudizio di Nives.

- Se penso che riunire tutti questi semidei in un solo posto per collaborare sia una buona idea? Cazzo, certo che no … è pessima, tremenda, e probabilmente finirà con il degenerare. –

- Non so cosa abbia in mente Manto. Sembra quasi che sia convinta che possiamo collaborare pacificamente, ma tu ce lo vedi Caleb che prende ordini da una ragazza o quello spaventapasseri che accetta un ordine da qualcuno che non sia romano? – borbottò la ragazza, posando lo sguardo prima sul compagno di Campo e poi sull’Augure romano, che era intento a piluccare svogliatamente la sua bistecca al sangue.

Peter scosse la testa. – Caleb farà bene a darsi una regolata, o interverrò io, e lo spaventapasseri … bè, deve avere una lingua da serpente ma credo di poterlo gestire. –

Nives sorseggiò lentamente la sua Diet Coke, assorta.

Solitamente non si faceva problemi nell’affrontare casini e caos, ma quando si trattava di qualcosa di serio preferiva affrontare le cose a modo suo.

- Bè, se dovesse servirti una mano fai un fischio e verrò a salvarti. – ironizzò.

Il figlio di Ra ammiccò, divertito. – Probabilmente mi farei sventrare piuttosto che chiedere il tuo aiuto. –

- Non farti sentire dallo spaventapasseri oppure potrebbe passargli per la testa di usarti come uno di quei suoi peluches. –

 

Risero insieme, ritrovando uno di quei momenti in cui la complicità tra di loro scattava come un fulmine a ciel sereno.

- Ehy, che mi sono perso? – domandò Jack, scivolando accanto all’amico e riempiendosi il piatto con una generosa porzione di pasticcio di carne.

- Solo Nives che mi paragonava a un peluches. –

- Cioè stava dicendo che sei peloso? – domandò, inarcando un sopracciglio.

- No, che sono adorabile e coccoloso. –

Jack si mordicchiò il labbro inferiore con aria fintamente pensierosa. – No, sono abbastanza sicuro che la mia ipotesi sia quella giusta. –

- Jack? –

- Sì, Peter caro? – domandò, sbattendo gli occhioni turchesi con aria innocente.

- Ti odio. –

- Naaah, quello è amore non odio. –

- No, sono assolutamente certo che sia istinto omicida. – insistè l’Ulfric.

Il figlio di Thor si portò una mano all’altezza del cuore. – Ehy, così mi ferisci, io credevo che tra di noi ci fosse qualcosa di profondo. –

- Mai profondo come la fossa in cui ti seppellirò un giorno di questi. –

Il sorriso sul volto di Jack si allargò, divertito, ma il suo sguardo venne catturato da qualcos’altro e distolse l’attenzione da Peter.

- Che guardi? – domandò, piccato. Lui era abituato a essere al centro dell’attenzione, ad avere un mucchio di gente che pendeva dalle sue labbra, e un disinteresse così repentino lo infastidiva incredibilmente.

- Nulla. –

Seguì il suo sguardo, notando come Hellen fosse impegnata in una conversazione con uno dei barbaros greci che aveva tutto l’aspetto di un surfista californiano: capelli biondi che sembravano baciati dal Sole, fisico asciutto e muscoloso, occhi blu e un sorriso capace di illuminare l’intera stanza. I due chiacchieravano fittamente, le teste vicine, e intervallavano le loro battute con risatine divertite.

- Stai iniziando a mandare scintille. – lo informò, con il tono pacato di chi non ci vedeva nulla di strano nel fatto che il proprio migliore amico sembrasse un fulmine vivente.

- Non mi piace. – decretò per tutta risposta.

- Hellen? Eppure non mi sembrava. –

- Non Hellen, il barbaros. –

Ah, ora si che era tutto più chiaro.

- E pensi di dirglielo? –

Jack aggrottò la fronte. – Certo, vado lì e gli dico “Ehy, lo sai che non mi piaci?” –

- Ma no, idiota. Volevo sapere se pensavi di dire a Hellen che ti piace. – sbottò. Possibile che dovesse sempre spiegare tutto a tutti quanti?

Le guance di Jack si tinsero di una strana sfumatura e il ragazzo dovette impiegare un paio di secondi per realizzare che l’amico era arrossito. Non credeva di averlo mai visto in quello stato.

- Ehm … Non lo so. –

- Dovresti dirglielo, almeno la pianti di comportarti da idiota geloso senza un motivo. – intervenne Nives, della cui presenza sembravano essersi completamente dimenticati.

- Ci penserò … ma tu non le dirai nulla, vero? –

La ragazza scrollò le spalle. – Figurati se io ho tempo da perdere con queste dichiarazioni d’amore da ragazzini imbranati. –

- Sì, ecco … bene. Che dici, se lo fulmino è una mancanza di cortesia nei confronti degli ospiti? – domandò poi.

Peter sentì le labbra stirarsi in un sorriso sghembo. – Sì, credo che Manto potrebbe vederla così. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

- Quindi sei stato tu a costruire quella nave? – domandò Zephyr, incredulo.

Lui era abituato a volare con il suo elicottero e il volo non aveva alcun segreto per lui, ma l’idea di una nave da guerra volante lo lasciava letteralmente senza fiato.

- Già, non è stato poi così complicato. – si schermì Leo.

Il figlio di Efesto trovava simpatico il figlio di Amon; era una sua versione egizia dai capelli rossi e il suo stesso umorismo onnipresente.

- Bè, è comunque una figata pazzesca. –

- Oh, quante storie per un aggeggio volante. – borbottò Ria.

Zephyr scrollò le spalle, come a dire che doveva scusarla per la sua mancanza di interesse e ammirazione.

- Non farci caso; è sexy ma ha un pessimo carattere e odia il volo. – mormorò all’orecchio del ragazzo.

Ria, sentendo le sue parole, gli assestò uno scappellotto dietro al collo ma non riuscì a nascondere del tutto un sorrisetto compiaciuto.

- Uffa, ma non sai neanche accettare un complimento. –

- Sta zitto, folletto, oppure te ne do un altro. –

Zephyr lasciò saggiamente cadere il discorso. Conosceva abbastanza bene la figlia di Onuris da sapere che non faceva mai minacce a vuoto.

Proprio in quel momento il rumore di una sedia che veniva spostata all’indietro attirò l’attenzione generale e annunciò che Peter era pronto per dare inizio alla riunione del Consiglio.

Uscirono dalla mensa chiacchierando sottovoce, dirigendosi verso l’Arena, e lì si separarono. L’Ala Sud venne occupata dagli abitanti del Campo mentre quella Est veniva presa dal Campo Mezzosangue e quella Ovest dal Campo Giove. Nell’Ala Nord, infine, era stato allestito un piccolo palchetto rialzato per i leader dei vari Campi.

Peter si accomodò sullo scranno centrale e a nessuno sfuggì la simbologia di quel gesto. Era un po’ come affermare che lui fosse il “Capo tra i Capi”. Un gesto avventato e arrogante, ma che rispecchiava in pieno la sua natura; anzi, sarebbe stato strano il contrario.

Intercettò lo sguardo piccato del figlio di Giove, che lo guardava come se si stesse sforzando di ingoiare qualcosa di particolarmente disgustoso e fastidioso.

- Problemi? – domandò, inarcando un sopracciglio in aria di sfida.

Jason fece per rispondere, tagliente, ma la mano di Reyna sul suo avambraccio lo convinse a trattenersi. Non era il momento di discutere su a chi spettasse il comando, ci sarebbe stato tempo in abbondanza più tardi.

Percy, dall’altro lato del figlio di Ra, non sembrava ugualmente contento della posizione marginale in cui era stato relegato ma lo sguardo severo di Annabeth bastava a farlo desistere da qualsiasi presa di posizione per la contesa della leadership. Senza contare che i semidei locali erano la maggioranza ed era ovvio pensare che un’eventuale votazione sarebbe stata di certo a favore dell’ Ulfric.

- Nessun problema, dai pure inizio alla seduta. – replicò Annabeth.

Peter annuì brevemente, rivolgendosi alla platea. Non aveva mai avuto problemi a parlare in pubblico e se la presenza di quel gruppo di estranei lo innervosiva non lo diede a vedere.

- Tutti voi siete a conoscenza delle profezie che i nostri Oracoli hanno declamato, quindi è superfluo tornare sull’argomento. Ciò che dobbiamo stabilire è se una collaborazione tra i Campi è effettivamente possibile o se ognuno possa gestire la cosa in solitaria. Quanti sono contrari al lavoro di squadra alzino le mani. –

Si alzarono parecchie mani, quasi la metà, e tra tutte svettavano chiaramente quelle di Clarisse, Octavian e Caleb.

- Quanti sono a favore? –

Questa volta le mani alzate furono ancora di più.

- Sembrerebbe che questa alleanza  si debba fare. – concluse Annabeth con tono pratico.

- Così sembrerebbe. – convenne freddamente. In realtà neanche lui sapeva se fosse contento o meno del risultato ottenuto.

- Chi dovrebbe prendere il comando di questa alleanza? – domandò allora la voce dell’Augure.

- Peter, non è ovvio? – fu la pronta replica di Caleb.

Un mormorio contrariato si levò dalle file dei greci e dei romani.

- Non è ovvio proprio per niente. I romani non prendono ordini da degli stranieri. –

- Né noi diamo retta ai barbaros. – replicò duramente.

Nella confusione che generò da quelle parole, si stagliò in aria il braccio solitario di Hannah.

Peter, alzatosi in piedi per richiamare all’ordine i suoi compagni e imitato da Reyna e Annabeth, rivolse l’attenzione su di lei.

- Hannah, volevi dire qualcosa? –

La ragazza provò ad aprire bocca, ma il vociare la sovrastava.

- Piantatela tutti. – ordinò, riuscendo finalmente a placare quel casino.

- C’è un modo per stabilire chi sarà a comandare, qualcosa che andrà bene a tutti: un confronto di volontà. – decretò la figlia di Bastet.

Le sue parole questa volta vennero accolte da un mormorio di approvazione. Il confronto di volontà non era altro che una sfida tra capi, uno scontro al primo sangue che non avrebbe  fatto altro se non affermare il predominio di uno di loro.

- Peter, Percy e Jason si affronteranno e chi vincerà prenderà il comando dell’impresa. – confermò Reyna, mentre Annabeth annuiva e il resto dei semidei dei vari schieramenti si dicevano d’accordo.

Un leader doveva dimostrarsi il più abile tra tutti loro e il combattimento era senza ombra di dubbio la scelta più saggia.

Le ragazze lasciarono libero il centro dell’Arena e i tre semidei misero mano alle rispettive spade.

- Primo sangue. Niente ferite mortali né colpi volti a menomare gli avversari. È uno scontro tranquillo ragazzi, cerchiamo di non farci scappare il morto. – decretò Jack, soffermandosi un istante più del dovuto sugli occhi grigi dell’amico. Lo conosceva bene e sapeva  quanto si facesse prendere dai combattimenti, specialmente quando la sua supremazia veniva messa in dubbio.

Annuirono tutti e tre, attendendo il via.

- Okay, allora cominciate. –

Peter fu il primo a colpire, muovendosi rapido e agile come un serpente. Tentò un allungo in direzione di Percy, ma il figlio di Poseidone era più veloce di quanto si aspettasse e deviò il colpo con la sua lama di bronzo celeste. Venne poi il turno di Jason, che partì all’attacco del figlio di Ra malgrado Percy avesse il fianco scoperto e fosse più vicino a lui.

Era evidente quello che stavano cercando di fare. Si stavano coalizzando per eliminarlo dai giochi e vedersela tra loro. Bè, avevano fatto male i conti.

Era più esperto, più forte, più veloce e più cattivo di loro due messi insieme. Parò il colpo del figlio di Giove, costringendolo a sbilanciarsi e facendolo finire a terra con un calcio preciso dietro al ginocchio. Affondò la lama nello spazio tra il braccio e il busto, trovando un brandello di pelle morbida pochi centimetri sopra  l’ascella. Sorrise quando vide la lama macchiarsi del sangue del ragazzo.

Udì gli incitamenti dall’Ala Sud; erano carburante per il suo ego e il suo desiderio di vittoria.

Si volse verso Percy, deviando all’ultimo secondo un fendente del greco che mirava al suo avambraccio.

Fintò un affondo al fianco destro e quando la guardia del semidio si abbassò colpì di striscio la spalla sinistra. Il gemito di Percy fu musica per le sue orecchie.

- Peter vince, è l’Ulfric ad assumere il comando dell’impresa. – decretò Jack, la voce condita da un pizzico di soddisfazione e orgoglio.

La decisione venne accompagnata da un borbottio contrariato della parte romana, che sembrava proprio non volerne sapere di farsi guidare da uno straniero.

- Non sei stato leale. – borbottò Jason, alzandosi in piedi e folgorandolo con un’occhiataccia.

Peter gli rivolse un sorriso di scherno. – Ti aspetti che i tuoi nemici siano leali, figlio di Giove? Se è così mi stupisco che tu sia rimasto in vita tanto a lungo. Se vuoi qualcosa te la prendi, non ti fai tanti problemi né scrupoli … volevo il comando e l’ho preso. Questa è la lezione di oggi, ragazzino. –

Rinfoderò la lama, tornando a sedersi sullo scranno a testa alta, incurante delle proteste dei barbaros.

Volse gli occhi grigi verso Lars, facendogli segno di avvicinarsi.

L’Ur Mau si allontanò controvoglia da Skyler, raggiungendo l’Ulfric.

- Che sensazione hai a proposito della costituzione di tre gruppi di semidei? – lo interpellò.

Aveva un’idea che gli girava nella mente, ma voleva prima essere sicuro di avere il favore degli Dei.

Lars aggrottò leggermente la fronte, concentrandosi su quell’ipotetico scenario.

- Non vedo alcun problema, anzi, probabilmente placherà un po’ gli animi. –

- Ho deciso di inviare tre squadre. La prima verrà guidata da me e sarà formata da Jack, Nives, Hellen, Ria, Zephyr, Clarisse, Chris e Will. La seconda sarà guidata da Percy e sarà composta da Annabeth, Jason, Piper, Nico, Leo, Hannah Eva, Skyler e Lars. La terza, infine, sarà sotto la guida di Reyna e i semidei che andranno con lei saranno Simon, Angel, Annalisa, Austin, Caleb, Frank, Hazel ed Eric. – decretò, prima di aggiungere: – La partenza avverrà domani mattina, ora sparite dalla mia vista. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eccoci con l’aggiornamento. Dal prossimo capitolo inizierà finalmente l’azione vera e propria … ed era anche ora direte voi xD. Credo che dividerò i capitoli a squadre, nel senso che il prossimo sarà dedicato alla prima, quello successivo alla seconda e quello dopo ancora alla terza in modo da poter dare il giusto spazio a tutti gli OC. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non sia risultato noioso nonché vi piacciano gli abbinamenti delle squadre. Infine, vi anticipo che nel prossimo capitolo ci sarà una sorpresa. Alla prossima.

Baci baci,

                Fiamma Erin Gaunt

 

 

 

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Capitolo 9
*** Cap 8 ***


Cap 8

 

 

 

 

Will Solace era un tipo simpatico. Simpatico e carino, precisò mentalmente Hellen mentre osservava il figlio di Apollo percorrere lo stretto corridoio che separava le tavole della mensa. I capelli biondi scintillavano sotto la tiepida luce dell’alba e gli occhi blu brillavano, mettendo in risalto quella strana sfumatura cobalto.

La maggior parte dei ragazzi dei tre Campi dormiva ancora, solo pochi membri della squadra di Peter erano già in piedi e si affaccendavano cercando di recuperare tutto ciò che potesse tornare utile per l’impresa.

- Ehy – le sorrise, in uno scintillio di denti bianchissimi, mentre sedeva accanto a lei.

- Ciao, Will. Il resto dei tuoi compagni non si è ancora svegliato – replicò, sicura che fosse arrivato in mensa alla loro ricerca.

- Come al solito. Comunque non stavo cercando loro. –

Inarcò un sopracciglio, perplessa.

Se non stava cercando il resto dei semidei del Campo Mezzosangue, allora chi?

- Se vuoi parlare con Peter dell’impresa … - cominciò, ma venne fermata dallo scuotere della testa bionda del ragazzo.

Will abbozzò un sorrisetto sghembo. – Non dirmi che non hai davvero capito perché mi sono alzato all’alba per venire in mensa. Qualche piccolo indizio … è una ragazza, una figlia di Osiride, e ha gli occhi più belli che abbia mai visto. –

Hellen sgranò gli occhi. Nessuno aveva mai definito il colore delle sue iridi come “bello”; nella maggior parte delle volte, se non la guardavano disgustati o spaventati, si limitavano a un diplomatico “inconsueto” o “particolare”. Un modo gentile per dire che una persona non avrebbe mai dovuto avere occhi di un viola come quello. Sentì le guance avvamparle leggermente.

- Qualcosa mi dice che hai indovinato di chi si tratta. –

- Io … -

- Immagino che tu abbia già preparato tutte le tue cose, vero novellina? – Si voltò quanto bastava per incrociare le iridi color acciaio di Peter. La scrutava con un sopracciglio inarcato, beffardo e insinuante al tempo stesso. – Sempre ammesso che tu non abbia trovato di meglio da fare. –

- È tutto pronto, le ho già sistemate sull’elicottero di Zephyr. Adesso puoi anche tornare a fare il sergente istruttore con qualcun altro, magari qualcuno che se lo merita davvero. –

- Tipo la mia controparte greca. Solace, va a svegliare gli altri barbaros. Partiamo tra mezz’ora. –

- Signorsì, signore – replicò, scattando in piedi e battendo i tacchi con aria beffarda. Strizzò l’occhio a Hellen, facendola sorridere. – Riprendiamo il discorso più tardi, raggio di Sole. –

Rimasti soli, Peter assottigliò lo sguardo fissandola con aria penetrante, quasi volesse spingerla a confessare chissà quale misfatto.

- C’è qualcosa tra te e il barbaros?

- Per prima cosa smettila di chiamarlo in quel modo. Per seconda, non sono certo affari tuoi. –

- Certo che sono affari miei. –

Si rese conto all’ultimo secondo di come dovevano suonare quelle parole. Dannazione, ci mancava soltanto che facesse la figura dell’idiota geloso. Stramaledizione a Jack e all’istinto protettivo che suscitava in lui.

- Ah, sì? – domandò, gelida.

- Sì, perché questa è un’impresa di vitale importanza, mica una scampagnata per i campi con il fidanzato. –

Scampagnata per i campi? In nome di Ra, neanche sua nonna lo diceva più. Evidentemente quella mattina il suo cervello si rifiutava di collaborare e produrre qualcosa che non lo facesse suonare come un completo idiota.

La voce di Jack diede vita ai suoi pensieri. – Scampagnata per i campi? Sul serio c’è ancora qualcuno che definisce un appuntamento in questo modo? –

- Sta zitto, Jackie. –

Il sorriso del figlio di Thor si allargò. – Ah, quindi sei tu che l’hai detto. Complimenti, Pete, persino mio nonno è meno antico di te. –

- Quale parte dello “sta zitto, Jackie” non ti è chiara? –

Arricciò il labbro inferiore, fingendosi pensieroso. – Un po’ tutta la parte prima del Jackie. –

- Ra, dammi la pazienza – borbottò l’Ulfric, alzando gli occhi al cielo.

- Non era la forza una volta? –

- Sì, ma se mi da la forza ti tiro il collo … purtroppo devo trattenere questo sano e giustissimo impulso fino a dopo l’impresa. –

- Mi sa che hai perso la lezione in cui veniva spiegato cosa è sano e giusto e cosa è omicida e assolutamente sbagliato. Uccidere Caleb? Sano e giusto. Uccidere Jack? No buono. –

Peter alzò le mani, sconfitto. Quando Jack cominciava a fare così non c’era via d’uscita, soprattutto da quando aveva visto la saga di Pirati dei Caraibi e aveva deciso che, visto che Sparrow si chiamava come lui, era legittimato a usare le sue stesse battute.

- Mezz’ora – ricordò a Hellen prima di uscire da quel manicomio travestito da mensa.

Jack occupò il posto lasciato libero da Will, allungando una mano verso la tazza di cereali di Hellen e rubandole una manciata di Miel Pops.

- Ehy, questa è la mia colazione – protestò, allontanando la tazza da quel ladro di cereali.

- Mio, tuo … è la stessa cosa. –

- Non credo proprio. –

Jack allungò nuovamente la mano, ritraendola quando il cucchiaio si abbattè sulle sue dita. – Ahi. –

- Comunque, che ci facevi sola soletta in mensa? –

Hellen sorrise ironica. – Che domanda difficile … magari facevo colazione? –

- Okay, mi è uscita male. Perché non sei con Ria e Nives? Pensavo che voi tre foste amiche … o qualcosa del genere – riformulò.

- Nives dormiva ancora, e diventa particolarmente violenta quando qualcuno prova a svegliarla, e Ria … bè, stava aiutando Zephyr a caricare i bagagli. Comunque non ero sola – aggiunse poi.

- Sì, okay, ma Peter non conta. Non so se l’hai notato, ma non è neanche minimamente di compagnia quanto me –

Hellen rise, più divertita dall’espressione del ragazzo che dalle sue parole. Notò solo in quel momento la fossetta che compariva sul volto di Jack quando rideva e come gli occhi turchesi scintillassero divertiti e malandrini insieme.

Che accidenti le prendeva? Solitamente non era una di quelle ragazze che sospirava per ogni bel ragazzo che le capitava davanti, ma quando si trovava con Will e Jack non poteva fare a meno di incantarsi a guardarli. Se fosse stato solo dovuto al fattore estetico probabilmente si sarebbe concentrata su Peter, che in quanto a bellezza vinceva abbondantemente su tutti i ragazzi del Campo, ma c’era qualcos’altro in loro. Scrollò le spalle, scacciando quel pensiero. Non era quello il momento di pensare a loro né a possibili e problematiche relazioni sentimentali.

- Ero con Will in realtà, mi faceva un  po’ di compagnia. –

Si trattenne dall’aggiungere che il figlio di Apollo non passava certo di lì per caso. Aveva l’impressione che la cosa non sarebbe affatto andata a genio a Jack.

- Ah, la lampadina greca. –

Ecco appunto.

- Si può sapere perché tu e Peter ce l’avete tanto con loro? – domandò.

- Aspetta. Peter se l’è presa con lampadina boy? –

Non era certo una novità, visto che l’Ulfric discuteva con almeno cinque persone ogni giorno, ma aveva avuto l’impressione che Solace fosse uno dei pochi barbaros che gli stesse simpatico.

- Bè, non eccessivamente per i suoi standard, ma mi ha fatto una specie di ramanzina sulla serietà dell’impresa e il non flirtare con i ragazzi in questo momento. –

- Stavi flirtando con lampadina?! – esclamò. Il tono di voce gli uscì più indignato di quanto avesse voluto.

Hellen avvampò. – Non stavo flirtando proprio con nessuno, è solo Peter che come al solito esagera. –

Esagerava perché sapeva che Hellen gli piaceva, di questo Jack era sicuro, e sentì l’affetto per il suo migliore amico zampillare nel suo cuore.

- Ma a te piace? –

Si morse la lingua. Doveva aver sviluppato una vena masochista non indifferente se si ritrovava a fare quella domanda proprio a lei.

- Bè … è carino, ma trovo carine anche altre persone, quindi non significa nulla – aggiunse in fretta.

Il macigno che gli era inizialmente caduto addosso si attenuò sentendo le ultime parole.

- Per esempio? –

Sì, era decisamente masochista, ormai non c’era più alcun dubbio.

La ragazza diventò ancora più rossa e abbassò lievemente lo sguardo. – Bè, Peter e Lars sono carini, anche Jason e Percy e Will e … e tu – concluse, certa di essere ormai diventata dello stesso colore di un pomodoro maturo.

Ci mise un paio di secondi a registrare quelle parole. Hellen credeva che lui fosse carino.

- Jackie, novellina, mancate solo voi! –

Jack alzò gli occhi al cielo, sorridendo. – Mi sembra di udire i toni soavi di Peter. –

- Già, la sua voce dolce e delicata raggiunge ogni antro del Campo. –

Scoppiarono a ridere insieme, sorreggendosi a vicenda mentre avanzavano scossi dalle risate, e raggiungendo il resto del gruppo.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

- Sei assolutamente certo che questo aggeggio non precipiterà schiantandosi a terra e riducendoci in brandelli, vero? –

Zephyr sgranò gli occhi. In nome del Cielo, perché quella ragazza riusciva sempre a essere così inquietante?

Decise che poteva anche prendersi il lusso di divertirsi un po’, se non altro per passare il tempo.

- A dire la verità non ne sono affatto sicuro. Ad esempio, questa spia che si è accesa adesso, segnala un bel guasto nel motore. –

Ria sbiancò, affondando le unghie lunghe nel sedile del pilota.

- E me lo dici così? –

Il figlio di Amon scoppiò a ridere, facendole capire che il suo era stato solo uno scherzo. – Quella è la spia che segnala l’accensione delle luci interne. –

- Io ti uccido, maldito elfo! –

- Esagerata, era solo un piccolo scherzo. –

- Un accidenti, mi stava per venire un infarto. –

- Fifona – borbottò a mezza bocca.

- Che cosa? –

- Ho detto “fifona” – ripetè.

- Idiota. –

- Isterica. –

- Folletto. –

- Arpia. –

- Giuro che ti ammazzo. –

- Questa minaccia è vecchia. –

 - Piantatela, state facendo talmente tanto casino che non riesco neanche a sentire i miei pensieri! – esclamò Peter, interrompendo il buffo battibecco e alzando la testa dalla cartina che stava esaminando insieme a Nives e Clarisse.

- Guarda qui, sembra un punto in cui atterrare. –

Osservò il punto indicato dalla figlia di Ullr. Si trattava di un promontorio sabbioso poco distante dal Cairo, la loro destinazione.

- Non è male come punto di osservazione – ammise.

- E ci proteggerà da occhi indiscreti. –

Recuperare il Papiro di Ani per scoprirne di più sulla profezia era la cosa più importante, il punto focale della loro impresa, e solo gli Dei potevano sapere quanto sarebbe stato difficile. Avrebbero avuto bisogno di ogni minimo vantaggio.

- Zephyr, abbiamo una destinazione: andiamo al Cairo – stabilì l’Ulfric.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

E una delle squadre è partita e ha trovato la loro prima meta. Nel prossimo vedremo all’azione la squadra di Percy con Hannah Eva, Leo, Skyler, Lars, Nico, Annabeth, Jason e Piper. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Al prossimo.

Baci baci,

                Fiamma Erin Gaunt

 

 

 

 

 

 

 

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