La guerra di Fortwar di alessandroago_94 (/viewuser.php?uid=742337)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1 F.
CAPITOLO 1
Un’altra monotona giornata stava per
concludersi nell’oasi di Sulamba, ultimo avamposto dell’Impero di Fortwar.
Il sole stava già per abbassarsi all’orizzonte
quando il giovane soldato Tim andò a raggiungere il fortino militare situato al
centro dell’oasi. Mentre camminava a passo spedito lungo la stradina sabbiosa
che lo avrebbe condotto dai suoi compagni, il giovane era sempre più immerso
nei suoi pensieri. Ora che erano mesi che aveva lasciato casa sua, situata proprio
a Fortwar, la capitale dell’impero, a Tim mancava tantissimo la sua città e i
suoi amici.
Fino a pochi mesi prima era un
ragazzo svogliato, che aveva molti amici e gli piaceva girovagare per i sobborghi
della capitale, osservando la vita della gente ordinaria che svolgeva le
proprie mansioni quotidiane. Oppure faceva lunghe bevute con gli amici.
Effettivamente, fu costretto a riconoscere che in quel periodo felice non si
era mai preoccupato tanto della sua vita, della sua famiglia o dell’amore.
Poi tutto era cambiato nel giro di
pochi giorni. La notizia che suo padre era morto, ucciso in una rissa in strada
da un ubriacone, l’aveva distrutto, e con lui anche sua madre aveva sofferto un
immenso dolore. Forse per questo si era ammalata ed era morta nel giro di
qualche mese, depressa e magra come non mai. Inoltre, a dare a Tim il colpo di
grazia, ci fu un amore triste, provato verso una ragazza di nome Ilse, che di
lui non gliene importava proprio nulla, e che lo aveva costretto a demordere, e
a ciò andava aggiunto lo stato di più totale indigenza in cui si era ritrovato
subito dopo la morte di entrambi i genitori.
Era figlio unico, e non avendo più
soldi o altri parenti disposti ad aiutarlo, si era visto costretto ad arruolarsi
nell’esercito oramai in declino dell’Impero. E così si era ritrovato lì in quel
luogo sperduto, dove ovunque attorno a lui la vita scorreva sempre regolare e
con gli stessi ritmi. Anche in
quell’istante i soliti e scarsi venditori di oggetti pressoché inutili si
affollavano davanti al fortino dei militari, cercando di guadagnare qualche
soldo per tirare avanti in quel luogo ostile agli uomini.
L’oasi era l’avamposto imperiale più
avanzato nel deserto infinito che svolgeva da confine con i Regni Ignoti. Regni
dai quali mai nessuno era tornato e mai nessuno era giunto, ma tutti sapevano
che al di là del deserto fino ad un certo periodo tutto pullulava di vita
umana.
La legittimazione di ciò era la
leggenda tramandata d’in generazione in generazione che narrava dei Signori
della Guerra, validi guerrieri che avevano tentato già in passato di invadere
l’allora nascente Impero, ma che erano stati spazzati via dagli imperatori
fondatori di Fortwar.
Comunque, erano centinaia d’anni, se
non migliaia, che non riaffiorava più nessuno da quella marea di sabbia
rovente. Era passato talmente tanto tempo dalle ultime invasioni esterne e
dalle guerre di consolidamento interne che lo stesso imperatore aveva di
recente fatto capire che intendeva smilitarizzare il confine. Ovviamente per
risparmiare denaro. Le casse imperiali non eran mai state più vuote di allora,
lo sapevano tutti.
Tim era soltanto uno degli ultimi
quaranta soldati a vivere e presidiare quel luogo angusto, con pochi civili ma
pur sempre avidi e pronti ad ingannare il prossimo, per non parlare poi del
caldo soffocante, terribile nemico di ogni giorno. Le poche abitazioni
dell’oasi erano state costruite tutte a ridosso della piccola pozza d’acqua,
che si trovava a fianco del fortino. Alcune palme offrivano un po’ d’ombra, che
purtroppo alleviava ben poco le sofferenze dei militari, tra l’altro mal
sopportati dai civili poiché bevevano e consumavano la maggioranza della già
ben scarsa acqua della pozza.
In quel momento, Tim aveva quasi
finito di percorrere il breve percorso che lo separava dalle logore e
semidistrutte palizzate difensive del fortino. Notò con dispiacere che pensava
troppo ultimamente, e che la causa di ciò doveva essere la vita monotona del
militare di frontiera. Se avesse avuto i soldi per vivere una vita dignitosa
non si sarebbe mai arruolato.
Improvvisamente, un grido fortissimo,
deciso ma anche spaventato, squarciò la pesante calma dell’oasi e strappò
bruscamente Tim dai suoi pensieri. Era stato Glen a urlare, un suo caro amico,
anch’esso soldato, che aveva conosciuto proprio nell’oasi. L’aveva lasciato solo
pochi minuti prima a finire il proprio turno di vigilanza a quelle che tutti
chiamavano palizzate esterne di difesa, ma che in realtà non erano altro che
pezzi di legno e mattoni spezzati buttati alla rinfusa a cercare di arginare le
pretese che aveva la sabbia del deserto verso l’oasi. Tim si guardò rapidamente
indietro e sentì che il grido d’allarme veniva ripetuto.
Molto scosso, sentì i suoi compagni
gridare dall’interno del fortino, e poi li vide rapidamente riversarsi fuori.
Tim riprese a tornare di corsa sui suoi passi, e in pochi attimi raggiunse il
posto di guardia che aveva lasciato solo pochi istanti prima. Con un rapido
sguardo constatò che tutto appariva a posto, e, leggermente infastidito, cercò
il compagno con lo sguardo e lo vide poco più in là, mentre lo fissava con un
volto pallido e tirato tipico di chi è molto spaventato. Tim lo fissò
intensamente, ricambiandolo.
’’Che c’è, Glen?’’ chiese all’amico,
con grande curiosità.
‘’Guarda’’, gli rispose l’amico che
aveva lanciato l’allarme, indicando poi con una mano un punto indefinito nel
deserto.
Intanto erano giunti sul luogo quasi
tutti gli altri soldati e anche parecchi civili. E tutti guardarono il deserto,
rimanendo sorpresi.
Calò improvvisamente un silenzio
profondo. Il deserto, all’orizzonte pareva aver preso vita. Una nube di sabbia
si sollevava verso il cielo, come quando si accingeva a crearsi una tempesta di
vento.
Alcuni, più inesperti, iniziarono a
bisbigliare tra loro, fintanto che uno più deciso degli altri si decise a parlare
apertamente.
‘’E’ solo una tempesta di sabbia’’,
disse un giovane soldato dalla retrovie, ridendo.
Tutti si girarono a guardarlo. Si
trattava di Anthos, un ragazzo particolarmente stupido ed arrogante. A prendere
la parola a quel punto fu l’anziano comandante del piccolo distaccamento
dell’oasi, il vecchio John, che era appena giunto sul posto in modo molto
silenzioso e discreto.
‘’Soldati, quello che vedete non è un
fenomeno naturale, il cielo è terso e non si tratta di una tempesta’’ disse con
la voce che trasudava stupore e spavento. ‘’Si tratta di un esercito, che tra
poco arriverà fin qui’’ concluse l’uomo, pochi istanti dopo.
‘’Ma è impossibile’’, continuò
Anthos, esprimendo un tacito dubbio comune. ‘’Sono secoli che nessuno sbuca da
quel deserto, e di certo nessuno lo farà ora! Sarà sicuramente un distaccamento
amico che viene fin qua da noi per fare un esercitazione’’.
La risposta del comandante John non
si fece attendere. Il suo sguardo si fece talmente duro che persino Anthos
impallidì e si zittì.
’’Basta soldato! Sono senza dubbio
nemici, osservate meglio. Nessun contingente imperiale si trova in questa arida
distesa senza vita, e in più costoro stanno viaggiando a dorso di cammello,
come potete notare dal polverone che alzano, mentre i nostri cavalcano solo
cavalli. Noi inoltre non attendiamo nessun distaccamento amico, e quindi dobbiamo
armarci e prepararci a combattere in caso di necessità. Ora, chi non è già equipaggiato
torni al forte e prenda le armi, e si ripresenti qui.
‘’Veloci, siete dei rammolliti vi
voglio qui entro cinque minuti! Abbiamo poco tempo per prepararci prima che ci
siano addosso’’, concluse in modo concitato il vecchio comandante, facendo
smuovere ogni sottoposto.
I soldati iniziarono a correre alla
rinfusa verso il fortino. Tim prese la sua spada e indossò rapidamente la sua
corazza semplice e leggera per proteggere petto e schiena, allacciandosi poi
anche un leggero elmetto. Vide alcuni compagni mentre afferravano le lance
lunghe per i combattimenti a distanza.
Poi, senza guardarsi attorno, tornò
rapidamente alla barricata. John contò rapidamente che ci fossero tutti e
quaranta, per iniziare infine ad impartire ordini. Tim lanciò di sfuggita uno
sguardo verso il deserto; ormai si potevano distinguere le sagome umane a dorso
di resistenti cammelli.
‘’Avanti; i soldati che hanno le
lance lunghe formino una prima linea e abbassino le punte di ferro di fronte a
loro; i soldati senza lance si preparino a supportare l’urto che ci sarà tra
non molto, tenendosi pronti a spingere in avanti i loro compagni per non farli
ripiegare sotto la carica nemica! Perché quegli sconosciuti ci vogliono
piombare addosso e falciare, lo vedo dalla velocità con cui si stanno muovendo’’,
ruggì il comandante, dando i suoi ultimi ordini, iniziando poi a camminare tra
i suoi uomini, sempre pronto a strattonarli e a riprenderli nel caso che qualcosa
non gli andasse bene.
I soldati dopo pochi minuti erano
pronti e ben disposti. Si erano sistemati di fronte alla barricata, poiché il
comandante aveva preferito affrontare il nemico a viso aperto, ed in più le lance
avrebbero potuto mietere maggiori vittime e rallentare la velocità nemica,
mentre invece la debole barriera sarebbe stata distrutta in un batter d’occhio
mettendo seriamente nei guai i soldati.
Il contingente imperiale era diviso
in due file, da venti uomini ciascuna. Nella prima erano disposti venti soldati
con le lance lunghe puntate verso il nemico, mentre la seconda fila impugnava
solo la spada.
Era il primo combattimento vero per
tutti, anche per il vecchio comandante, che continuava a impartire disciplina
ai soldati.
I nemici iniziarono ben presto ad
essere ben distinguibili. Indossavano corazze molto diverse da quelle di foggia
imperiale, ed erano sorprendentemente belle e sgargianti e sfavillavano nella
luce della sera.
Quando si avvicinarono ulteriormente,
i soldati si compattarono. Sicuramente i nemici avrebbero continuato la loro
folle corsa e avrebbero provato a sfondare le linee per disperderli.
Gli imperiali di John, nonostante la
scarsa esperienza, sapevano bene che nel caso che i nemici fossero riusciti a
sfondare le linee e a disperderli, sarebbe stata la fine per tutti loro. Tim
smise di fissare i nemici per un attimo, deglutì e si volse verso i suoi
compagni.
Non c’era sicurezza sui loro volti,
solo paura, tanta paura. Poi, calò un silenzio teso prima dell’impatto.
Quando i cavalieri sconosciuti
giunsero a pochi passi da Tim, il giovane poté sentire distintamente i rumori
attutiti nella sabbia prodotti dalla folle corsa dei cammelli, mentre il rauco
grido nemico di battaglia risuonava ovunque.
Tim sperò per un istante che i
cammelli si spaventassero di fronte alle lance che venivano puntate loro contro,
nella vana speranza che disarcionassero i nemici, ma in cuor suo sapeva che non
sarebbe stato così facile e che non sarebbe successa una cosa del genere.
Il giovane soldato si trovava in
seconda fila e poté vedere chiaramente il compagno davanti mentre si
irrigidiva. E in un solo attimo fu tutto finito.
Il cammello lanciato al galoppo
proprio di fronte a Tim si fermò. Ma proprio nel centro dello schieramento i
cammelli non si fermarono e si gettarono sulle lance, e mentre gli animali
della prima linea morirono infilzati, i quelli che si trovavano dietro di loro piombarono
sui soldati di John, abbattendoli e distruggendo la valida formazione da
battaglia degli imperiali. Divisi in due gruppi distinti, i soldati capirono
che sarebbero morti. E allora iniziò la fuga.
I compagni di Tim vacillarono, poi cercarono
di fuggire, braccati dai nemici. Tim si trovò a fianco di Glen. Si compresero
con uno solo sguardo e si misero spalla contro spalla ad affrontare tre nemici
che li stavano inseguendo a piedi.
Dopo un attimo, il giovane soldato
sentì un urlo di dolore, e vide Anthos a terra, ferito gravemente e poi
disarmato da un nemico, anche se comunque riuscì a deviare un fendente e a
ritirarsi, evitando la morte istantanea per un soffio. Poi, ovunque divamparono
alte grida, questa volta esultanti, mentre un altro nemico sconosciuto e in
tenuta colorata infilzava su una picca la testa del vecchio comandante John.
’’Siamo perduti, dobbiamo abbattere
questi tre e poi scappare ‘’ disse a Glen.
I tre nemici sconosciuti li affrontarono. Sembravano
invincibili e incredibilmente sicuri.
Dopo qualche affondo Tim si mise
sulla difensiva ma si rese conto ben presto che avrebbe potuto combattere
ancora per poco, ed era già sfinito, fuori forma com’era, accorgendosi che stava
per morire. Poi accadde l’imprevedibile.
Due frecce, a distanza di pochi
secondi l’una dall’altra, trafissero i due avversari di Tim. Il giovane soldato
si girò per vedere da dove provenivano, e riconobbe che era stato Anthos a
scoccarle, mentre stava scagliando frecce alla rinfusa con un arco rubato ad un
nemico, cercando di combattere fino alla morte. Un solo istante dopo fu
trafitto da decine di frecce e il suo corpo rovinò a terra esanime.
Tim si volse a guardare Glen, che
aveva perso di vista poco dopo il fortuito avvenimento. E lo ritrovò disteso a
terra, trafitto da un nemico. Stava perdendo molto sangue dal ventre e molto
presto sarebbe stato sopraffatto.
Il giovane soldato imperiale si
guardò attorno, e vide che i suoi compagni giacevano tutti a terra, morti o
feriti a morte, e ad aggravare ulteriormente la situazione stavano iniziando a
scendere le tenebre notturne e gelide del deserto.
Approfittando del fatto che i nemici
sembravano presi dai festeggiamenti e dal massacro dei feriti,
disinteressandosi momentaneamente a lui, si nascose dietro la barricata e
rapidamente raggiunse le prime case. I nemici stavano iniziando a sfondarne le
porte per saccheggiarle.
Nascosto dietro un cespuglio spinoso,
tolse un abito ad un nemico morto che giaceva li vicino e lo indossò. Doveva
raggiungere il forte a tutti i costi.
Si armò di coraggio e iniziò a
camminare a passo svelto tra i nemici. Essendosi camuffato, nessuno badava a
lui, ed ogni nemico faceva i propri interessi saccheggiando le case e uccidendo
i civili.
In pochi passi era al fortino, in cui
nessuno per ora era entrato, ma Tim sapeva che di lì a poco sarebbe successo.
Entrò dalla porta spalancata e si diresse dritto al luogo che solo i soldati
del suo contingente conoscevano. Molto rapidamente percorse il breve corridoio
interno, superò i dormitori comuni dei soldati e giunse di fronte alla porta
della camera privata del comandante.
Con un forte spintone aprì la porta
di legno ed entrò. La camera era quasi completamente spoglia e di ridotte dimensioni,
e conteneva solo un letto, un comodino con una candela sopra, un mobiletto con
un cassetto aperto e pieno di biancheria, ed infine uno strano armadio. Con
grande fretta, Tim prese a cercare disperatamente quell’oggetto che aveva visto
tante volte e che gli sarebbe stato utile nel caso fosse riuscito a fuggire
dall’oasi senza essere ucciso.
Ed in fondo ad un cassetto, nascosto
sotto la biancheria, Tim trovò quello che cercava.
Era il piccolo forziere dove il
comandante conservava i soldi per la paga dei soldati, che distribuiva
personalmente ogni mese e che gli venivano consegnati da un corriere imperiale.
Il giovane soldato superstite constatò che la paga avrebbe dovuto essere
effettuata tra due giorni, però c’era possibilità che nel piccolo forziere ci
fosse qualche soldo. Lo sbatté con vigore, e dentro risuonò il suono classico
del denaro sonante. Tim si sentì sollevato, udendo quel rumore.
In quel momento, riconobbe che non
poteva far altro che nascondersi, poiché tra pochi istanti il fortino sarebbe
stato pieno di nemici, che sicuramente avrebbero trascorso la gelida notte del
deserto riposando al suo interno, dopo averlo saccheggiato.
Tim percosse con le mani la parete,
non avendo molto tempo a disposizione, poi passò al pavimento, ma continuando a
non trovare nulla. Eppure, ogni comandante nella propria camera aveva una via
di fuga in modo da potersi salvare in casi di disperati attacchi al forte, in
modo da poter avvisare gli altri imperiali del pericolo.
Tentando il tutto per tutto, si
infilò sotto il letto, che era più rialzato del normale dalla pavimentazione. E
fu lì che il legno risuonò.
Il giovane soldato spostò il letto
incredibilmente leggero, aprì la botola e si infilò al suo interno. Appena in
tempo, poiché ben presto le urla dei nemici ubriachi iniziarono a sentirsi
ovunque, sopra di lui.
Tim abbassò la botola e la richiuse
con un tonfo, non dopo aver cercato di rimettere il letto nella miglior
posizione possibile e naturale, trovandosi proprio sotto la pavimentazione in
legno della stanza del comandante.
Lì sotto era buio, l’aria era fresca
ma non vedeva nulla. Sopra di lui sentì i passi di più uomini, poi dei tonfi, riconoscendo
che i nemici stavano distruggendo tutta la mobilia in ricerca di soldi o cose
da portare con sé. Poi, di lì a poco il frastuono cessò.
Tim si tastò le tasche delle brache
che aveva sotto la veste colorata del nemico, ed estrasse un piccolo mozzicone
di candela. La mise a terra, poi si ricordò che non aveva nulla per accenderla.
Con rabbia, pugnò a terra e si mise a
sedere a pensare. Non sapeva neppure se lo spazio ignoto che lo circondava era
ampio o ristretto, anche se pareva abbastanza spazioso. E non sapeva neppure
che direzione prendere, per provare a tentare una folle fuga da quella
situazione pericolosa.
Pian piano la sua mente si offuscò, perdendo
lucidità. Il giovane soldato si accorse di ciò, ma non poté fare nulla contro
il suo corpo che gli chiedeva riposo.
Volente o nolente, perse i sensi,
cadendo in un sonno profondo e pieno di incubi, mentre il silenzio della notte
del deserto veniva lacerato dalle urla degli invasori che festeggiavano la
prima, anche se piccola, vittoria sul nemico.
Al suo risveglio, Tim si sentiva
perso. Aveva il suo corpo indolenzito, e la testa gli doleva. Un lieve bruciore
alla gamba destra gli fece notare che aveva una lieve ferita, e se la tastò con
le mani.
Il sangue si era già raggrumato e fortunatamente
non era nulla di grave, solo un taglietto di striscio. Nel frattempo, il buio
lo circondava; sopra di lui regnava un silenzio pesante, ma sapeva che i nemici
erano ancora lì, anche se addormentati.
Doveva aver dormito un paio d’ore e
fuori doveva essere notte fonda. Con la mano afferrò e si riprese il mozzicone
di candela, rimettendosela in tasca, mentre intanto pensava a come uscire di
lì. Dalla botola non poteva uscire, ma poteva procedere pian piano per trovare
una via d’uscita, seguendo la galleria che partiva dall’ambiente in cui si
trovava.
Con decisione, si tirò su e batté la
testa. Imprecò e si abbassò leggermente, sperando di non aver fatto troppo
baccano.
Proseguì a lungo per un tempo
indefinito, seguendo la galleria tortuosa e urtando le friabili pareti del
cunicolo che continuava ad aprirsi di fronte a sé.
Poi, all’improvviso, sentì un lieve
alito d’aria fresca sfiorargli il volto, e capì che era sulla giusta strada e
che mancava poco al suo obiettivo. Seguendo l’aria fresca si ritrovò pochi
istanti dopo ad osservare la luna da un piccolo spazio nascosto tra rocce e
cespugli spinosi.
Con un ultimo sforzo silenzioso,
spostò le pietre che nascondevano l’ingresso della via di fuga del forte e si
nascose tra i cespugli.
Si guardò attorno; era una bella
nottata di luna piena, e poco distante da lui uno scorpione stava proseguendo
la sua caccia notturna, mentre un cammello ancora imbrigliato restava sdraiato
sulla sabbia poco distante, masticando placidamente un po’ di foraggio secco.
Tim riconobbe che si trovava
abbastanza distante dal fortino e dalle povere casupole distrutte, che poteva
ancora vedere chiaramente grazie alla luna. Attorno a lui, era tutto calmo.
Quando si sentì sicuro, uscì allo
scoperto e decise di tentare la fortuna; si avvicinò al cammello, che nel
frattempo continuava a restare a terra in attesa del suo padrone, probabilmente
morto durante lo scontro di quella sera, oppure doveva essere riverso da
qualche parte, ubriaco di quel poco vino contenuto negli scarni otri dei pochi
abitanti dell’oasi. L’animale era molto mansueto, e fu subito pronto a muoversi
quando Tim gli salì in groppa.
Nessuno, a parte lo scorpione a
caccia di insetti, notò le due sagome che venivano rapidamente inghiottite dal
deserto. Non le notarono neppure le due guardie nemiche che dovevano
controllare l’oasi appena conquistata, che erano alticce e mezze addormentate
in mezzo alle palme.
Tim ora sapeva dove doveva andare e
cosa fare; era coraggioso e avrebbe fatto di tutto per salvare l’impero ed
avvisare i suoi superiori del pericolo e dell’invasione di un nemico
sconosciuto.
Era libero, aveva una cavalcatura e un
po’ d’acqua, ed era ancora vivo e vegeto, e ciò era davvero un miracolo e una
fortuna che non doveva sciupare.
Il giovane soldato imperiale
superstite pensò che quella notte doveva avere gli dèi dalla sua parte, e si
lasciò sfuggire un lieve sorriso mentre ormai era sufficientemente distante dal
nemico, sentendosi già un po’ più al sicuro. Nonostante tutto, sfoggiò un
sorriso nervoso, di quelli che si fanno per scaricare la tensione sopportata
durante gli ultimi tragici eventi.
In quel momento si sentiva libero
come non mai e pieno di sé, poiché sapeva che aveva una grande missione da
portare a termine e che la vita di numerosi civili dipendeva da lui e dalla
velocità con cui avrebbe avvisato gli altri fortini militari, mentre la luna
piena gli illuminava la strada e lo osservava come solo una fiera compagna di
viaggio poteva fare.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto
questo primo capitolo J
Questa è la prima storia in assoluto
che ho scritto, e mi scuso già se troverete qualche piccolo errore o svista.
Comunque, sto revisionando la storia.
Vi ringrazio se siete giunti fin qui,
e spero abbiate voglia di proseguire la lettura e di seguire il nostro giovane
protagonista nelle sue avventure. Avremo modo di conoscerlo meglio a breve J
Grazie ancora a tutti J
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2 revisionato
CAPITOLO 2
Tim arrivò ad Arus in una mattina
bella e serena.
La sua fuga dall’oasi era durata 4
giorni.
L’ultimo margine di deserto che lo
separava dalle fertili terre vicino alla grande città di Arus lo aveva percorso
col cammello, poi si era cambiato d’abito, si era recato in una locanda dove
aveva potuto cambiare il cammello con un buon cavallo ed aveva ripreso il
percorso senza mai fermarsi.
L’obiettivo era uno solo; giungere ad
Arus il più presto possibile ed allertare la guarnigione di soldati che
presidiavano la città.
Tim stava percorrendo l’ultimo tratto
di strada principale, che consisteva in un lungo e largo rettilineo lastricato.
Arus si mostrava in tutta la sua
magnificenza davanti a Tim; era una bella città, situata tra l’altro molto vicino
all’oceano e disponeva di un molo fortificato e ben protetto.
Le mura erano imponenti, altissime e
pressoché invalicabili, anche se in alcuni tratti mostravano segni d’incuria,
dovuti ad un lungo periodo di pace. La strada principale era piena di gente che
voleva entrare in città; ma presto Tim si accorse che le guardie alle porte
facevano entrare solo personaggi importanti o militari.
Così, migliaia di profughi in fuga
dalla guerra che stava dilagando nelle campagne vicine si trovavano accalcati e
rissosi di fronte alle porte cittadine, che erano state parzialmente chiuse per
facilitare il controllo del traffico umano in entrata nella città. Tim in
effetti era stato, per così dire, inseguito dalla guerra.
I Popoli Sconosciuti, di cui nessuno
conosceva il nome, parevano invincibili, ed erano ben presto divenuti migliaia
grazie a nuovi rinforzi giunti dal deserto.
Disponendo ora anche di una ristretta
cavalleria, erano riusciti a devastare i piccoli centri rurali e le campagne.
Arus era la città più importante della zona e l’unica con mura consistenti e
con un discreto numero di soldati a disposizione. I nemici non avevano trovato
alcuna resistenza nelle campagne e avevano conquistato territori senza avere
neppure una perdita, devastando e distruggendo ogni cosa, come se al loro
passaggio volessero cancellare ogni ricordo dei conquistati. Ormai erano giunti
alle porte di Arus, e secondo alcuni profughi, il loro accampamento era situato
nelle basse colline boscose a sole due ore di cavallo dalla grande città.
Tim si fece largo tra l’assembramento
di gente che protestava di fronte alle porte della città, e grazie al fatto che
era a cavallo, spintonò via i profughi rissosi, sordo alle imprecazioni che
riceveva. Mostrò il suo lasciapassare militare, e i soldati di guardia non gli
diedero problemi a farlo entrare.
Appena entrò, provò sensazioni
contrastanti; si era ritrovato sulla strada principale, ben lastricata ma
sporca e piena di mendicanti. In lontananza si potevano scorgere grandi e
sfarzosi palazzi, che superavano in altezza le altre dimore, molto più umili.
L’odore di sporco, di rifiuti alimentari e di ogni genere, arrivava alle narici
di Tim, lasciandolo un po’ schifato, anche se sapeva che era un odore tipico
delle città, mentre restava senza parole guardandosi attorno a sé.
C’era tantissima gente lungo la
strada, con a fianco bancarelle con generi di prime necessità, che venivano
venduti a prezzi sempre più elevati, poiché la città ben presto sarebbe stata
messa sotto assedio. Le urla e gli schiamazzi di mercanti e clienti erano, nel
complesso, a dir poco assordanti.
Tim continuò a camminare per un po’,
immerso nei suoi pensieri, poi si riscosse. Si fece indicare da un rozzo
mercante la strada da percorrere per giungere al presidio militare, poi con
passo svelto continuò il suo cammino spintonandosi con le altre persone.
Dopo pochi minuti la via lastricata
sfociava in una vasta e spaziosa piazza centrale, e subito notò il presidio,
grazie allo stemma dell’Impero che aveva affisso sopra la porta d’ingresso.
Rimase estremamente deluso; notò
infatti che l’edificio dei soldati era praticamente impossibile da notare. Di
fronte ad esso, decine di mendicanti stavano stesi, protetti dal piccolo
loggiato senza intonaco e pericolante. Sì, pericolante proprio come l’intero
edificio, un grande casolare con crepe e tutto trasandato immerso in un
contorno di lusso sfrenato rappresentato dalle ville signorili che lo
stringevano tutt’attorno, come a volerlo umiliare. Le grandi case signorili
avevano tutte i battenti chiusi; indubbiamente chi poteva aveva già abbandonato
la città.
Con un occhiata rapida, seguì il
percorso dell’altra strada che partiva esattamente di fronte a lui. Vide che
giungeva al grande molo, che si spingeva nell’oceano senza paure, affrontandone
le tempeste più infernali, notando però, da distanza, che non c’erano
imbarcazioni noleggiate. Chiunque ne aveva una, aveva già lasciato anzitempo la
città. Con un sorriso amaro leggermente abbozzato, Tim spintonò un mendicante
ed entrò con circospezione nell’edificio militare.
Nessuno lo fermò, nessuno gli chiese
chi era e cosa voleva, permettendogli quindi di girovagare all’interno
dell’edificio, percorrendone un lungo corridoio dove i pochi soldati presenti
non lo notarono neppure. Sempre più sbalordito dalla situazione in cui versava
l’esercito imperiale, non si rese conto che però, sull’ingresso di un grande
stanzone, un giovane soldato lo stava guardando. Tim si sentì afferrare da
dietro.
‘’Chi sei?’’ gli chiese una voce.
‘’Sono un soldato proprio come te, ma provengo
da un altro distaccamento. Vorrei parlare con il comandante’’ ,disse Tim tutto
d’un fiato. Il ragazzo mollò la presa dal braccio di Tim ma gli puntò un
coltello alle costole.’’Una piccola precauzione’’ gli disse il giovane con un
sorriso da ebete sul volto. Lo condusse proprio all’interno dello stanzone che
vigilava fino a poco prima dell’arrivo di Tim. La prima cosa che Tim notò fu il
disordine; fogli e volumi giacevano abbandonati ovunque. Un uomo maturo e
brizzolato se ne stava seduto placidamente su una sedia di legno gridando
ordini a un imbranato sottoposto che non era in grado di sistemare
correttamente due registri. Quando vide i due nuovi arrivati l’uomo fece un
grande sorriso. Aveva il viso arrossato e in mano aveva un bicchiere ancora
mezzo pieno di birra, ed era visibilmente alticcio. Fu introdotto dal suo
accompagnatore.
’’ Signore, questo qui l’ho beccato
poco fa a gironzolare per l’edificio. Sostiene di essere un soldato e vuole
parlare con lei’’. Con il volto contratto in una smorfia incomprensibile, il
comandante lanciò il bicchiere a terra, facendo sussultare tutti i presenti
nella stanza, e con un gesto congedò il sodato imbranato e colui che aveva
accompagnato Tim.
‘’ Resta sulla porta Sergej’’ disse
poi al soldato che era di guardia. Poi si risistemò ben seduto in una posa
strana e interpellò Tim guardandolo dritto negli occhi.
’’Allora? sei muto? Volevi parlarmi.
Dimmi’’ Non gli lasciò il tempo di rispondere, e continuò.
‘’Sei un soldato a quanto dici. Da
dove provieni? Porti dei messaggi?’’. Ora gli diede il tempo di rispondere.
Tim, cauto, iniziò a parlare, prima
però deglutì.
‘’Sono un soldato di frontiera. Ero
stato assegnato al piccolo distaccamento dell’oasi di Sulamba, e sono riuscito
a salvarmi dalla strage dei miei compagni. Volevo parlarle poiché, visto che
non appartengo più a un distaccamento, vorrei far parte del vostro e fornire un
aiuto contro gli invasori. Li ho visti in azione e potrei darvi informazioni
utili…..’’. A quel punto lo sguardo
iroso del comandante si abbattè su di lui, e lo interruppe.
’’Nessuno, se non un codardo, è mai
uscito vivo dallo scontro con gli Sconosciuti. Non so chi sei e non voglio
fidarmi di te. Qui resti solo intruso’’ e, continuando imperterrito dopo una
breve pausa aggiunse;’’Verrai sfamato oggi qui presso il nostro presidio, ma
domani te ne andrai. Sarebbe meglio oggi stesso, vedi tu. Abbandonerai la
città, anche a costo di essere gettato tra le braccia del nemico. Non voglio
problemi, disertore. Sappiamo già tutto dei nemici, non c’è alcun bisogno delle
tue informazioni. Ora vai, fatti dare un giaciglio da Sergej, questa notte
dormirai con i mendicanti, potrai spartire con noi solo il pranzo. E ora non
disturbarmi più’’ Il fiume di parole del comandante avevano lasciato un Tim a
dir poco sbalordito.
Sergej giunse da dietro e gli prese un
braccio, e lo strattonò fino all’uscita dell’edificio. Sul suo volto aleggiava
un sorriso soddisfatto, come se godesse della brutta figura di
quell’insignificante che si era presentato lì quella mattina. Non gli assegnò
neanche un giaciglio.
Tim riprese a camminare, ancora
frastornato dall’accaduto.
Girò in lungo e in largo la città per
tutto l’arco della giornata. Con i pochi soldi rimasti, quelli del piccolo
forziere, si ricomprò un cavallo nuovo e un po’ di cibo. Era pomeriggio
inoltrato ormai, e si affrettò a raggiungere la porta della città per uscire ed
andarsene.
Percorse distrattamente una buona
parte del percorso che conduceva alla porta principale, pensando a cosa avrebbe
fatto ora, allontanato anche dai suoi commilitoni. Poi, improvvisamente , si
trovò nel bel mezzo di una calca. Una donna urlava come una disperata. Tim non
ne capiva la causa; attorno a lui apparivano solo persone sconcertate che
formavano capannelli ai margini delle strade, mentre improvvisamente i mercanti
con le ormai rare merci rimaste invendute si gettavano a raccogliere e ad
andarsene.
Di lì a pochi istanti il caos quotidiano di
Arus era concluso. La gente se ne andava velocemente verso le loro dimore. Poi
per Tim ci fu l’ultima sorpresa. Le porte cittadine iniziarono a richiudersi,
sta volta definitivamente, mentre i soldati tutti concitati si gridavano
direttive tra loro, mentre saliva un rumore incessante al di là delle mura.
Erano grida di battaglia.
Tim improvvisamente ebbe un dubbio,
ma non ci volle credere. Si avvicinò ad un anziano mercante che stava per
abbandonare il suo posto di lavoro, che lo ignorò totalmente, tanto era
impegnato. Tim gli si avvicinò e gli chiese che cosa stava succedendo, mentre
dal di fuori delle mura si alzavano grida sempre più forti e la gente che aveva
intorno fino a pochi attimi fa spariva rapidamente. Con gli occhi fuori dalle
orbite per la rabbia di dover rispondere a una domanda così sciocca, il
mercante fissò per un secondo Tim prima di rispondergli.
‘’Stupido d’un ragazzo, che starà mai
succedendo? Sono arrivati i nemici’’, disse, prima di raccogliere il fagotto
dei suoi oggetti e sparire in una viuzza laterale, quasi inghiottito dalle
viscere della città, lasciando Tim disperato. Era in trappola, inerme, nel bel
mezzo del putiferio che sarebbe scoppiato di lì a poco. Per ora, si sentivano
riecheggiare le urla dei profughi che
erano stati lasciati fuori città, mentre venivano massacrati dagli invasori.
La notte aveva avvolto con le sue
tenebre la città di Arus. Tim era riuscito a malapena a trovarsi un giaciglio
per la notte. Mentre nella città regnava un silenzio tombale, al di là delle
mura i nemici facevano baldoria. Grida di scherno e urla spaventose giungevano
in città, spaventandone gli abitanti che non riuscivano neppure a dormire.
Tim stava sdraiato sulla paglia
sporca e piena di pulci, in un giaciglio di una sudicia locanda sul porto.
Dalla potenza del rumore, ora poteva capire che i nemici dovevano essere
migliaia, e non solo le poche decine che aveva incontrato all’oasi.
Probabilmente erano solo le avanguardie di un esercito molto più grande.
Era strano che l’esercito nemico
stesse sveglio tutta la notte, se il giorno successivo metteva in conto di combattere.
O era un esercito immenso, oppure…. Era notte fonda e la mente di Tim abbandonò
progressivamente la lucidità facendolo scivolare in un sonno agitato, turbato
dalle urla nemiche.
Tim si risvegliò dopo poche ore, e
constatò che non era cambiato nulla, a parte che albeggiava. Le urla nemiche
continuavano imperterrite. Abbandonò il giaciglio grattandosi vigorosamente, ed
imprecando sottovoce abbandonò la locanda, tanto aveva già pagato in anticipo.
L’aria fresca del mattino, con l’odore di salsedine gli diedero nuova lucidità
ed ora sapeva che fare. Si sarebbe fatto arruolare tra i civili che volevano
aiutare i soldati, e grazie alle sue abilità con le armi avrebbe abbattuto
nemici dall’alto delle mura.
L’intera giornata passò monotona. Non
c’erano molti intervalli nei movimenti ripetitivi dei nemici; brevi attacchi,
avvicinamento alle mura di corsa e poi alle prime frecce, partiva una
frettolosa ritirata. Un atteggiamento molto pavido che aveva riportato il buon
umore nei volontari e nei soldati.
Tutti pensavano ora di vivere in una
città inespugnabile,e pensavano che il nemico non sarebbe mai entrato al suo
interno. Nella città si poteva resistere per mesi, grazie alle scorte di viveri
d’acqua, e nessuno sarebbe mai riuscito a valicare le mura. In effetti le mura
erano molto solide e alte, e le macchine d’assedio nemiche, tra l’altro molto
rudimentali, non ce l’avrebbero mai fatta ad abbatterle. Era quasi sera e per
Tim era finito il suo turno.
Scese dalle mura ed andò diretto al
punto sottostante le mura dove veniva distribuito un magro pasto ai volontari.
Bevve e mangiò da solo, mentre calava un'altra notte, ed i rumori nemici
salivano al cielo sempre più forti, cancellando ogni rumore della città. Aveva
appena finito di consumare il pasto, quando una figura in tenuta militare gli
si avvicinò e gli rivolse la parola all’improvviso.
’’Sei ancora qui? Vedo che hai
veramente voglia di essere utile, visto che dovevi lasciare la città,
possibilmente anche ieri..’’. Così Tim riconobbe chi gli rivolgeva la parola.
Era quell’antipatico che l’aveva sbattuto fuori dal presidio. Come si chiamava
già?.. cercò per un attimo disperatamente nella sua mente lievemente offuscata
dalla stanchezza. Sergej, ecco come si chiama, si disse, e decise di
rispondergli a tono, mentre l’altro si sedeva proprio al suo fianco.
’’uhm,si direbbe che i giorni passino
e che la tua simpatia diminuisca sempre di più. Guarda, me ne sarei andato
subito ieri mattina, ma sono arrivati i nemici e sono rimasto bloccato
dentro…’’. Sergej non lo lasciò concludere.
‘’Sì sì immagino.. Però il
prolungamento del tuo soggiorno potrebbe essere positivo per la comunità. Qui
son pochi quelli che si danno da fare, e sta mattina ti ho visto trasportare carriole
di pietre come un somaro’’ Un sorriso ironico, ma anche lievemente amichevole,
affiorò sulle labbra di Sergej. Magari in un altro posto e situazione saremmo
anche potuti divenire buoni amici, pensò Tim.
‘’Vado a prendere qualche altra birra. Se non
ti dispiace, aspettami qui. Torno tra un attimo, offro io eh!’’ disse bonario
Sergej.
Tim non si sarebbe mai aspettato di
trovare un buon amico in quel ragazzo alto e robusto, di indole taciturna, fino
al punto di apparire scontroso e aggressivo. Decise di aspettarlo.
Infatti, tornò dopo poco con due bei
boccali colmi di birra spumosa.
Ringraziò affettuosamente Sergej, poi
si misero a bere, e bevvero talmente tanto da non ricordarsi neppure ciò che si
erano detti. Il tempo passò in fretta, e il piccolo locale, fin a poco prima
pieno di gente, si andò svuotando, fino al punto di lasciare i due nuovi amici
da soli. Rendendosi conto dell’orario, in un momento di lucidità, Tim si alzò.
Non era molto sbronzo, ma quanto basta da metterlo un filino in difficoltà,
tanto era abituato alle sbornie. Anche il suo amico si alzò. Poi accadde
qualcosa di strano.
Un tonfo risuonò per un istante nel
sottosuolo.
Tim fissò Sergej; anche lui lo guardava,
anche lui aveva sentito.
‘’Abbiamo pure le stesse
allucinazioni, amico..’’ disse ridendo Sergej.
Tim non era tanto sicuro che fosse
frutto della sbornia, non gli era mai capitata un cosa simile. Poi, dal
sottosuolo si udì, appena percepibile nel frastuono dei nemici che facevano
festa, un grido di dolore. Tim non aspettò un altro attimo. Con difficoltà, si
stese al suolo e con le orecchie cercò di ascoltare ciò che succedeva lì sotto.
Nonostante la vista gli facesse brutti scherzi e tutto vorticasse attorno a
lui, anche Sergej lo imitò. Quello che si poteva udire, anche se un po’
smorzato, era il rumore di pale e persone che scavavano. Incredibile! I nemici
non avrebbero perso tempo a mettere sotto assedio la città. Stavano scavando
tunnel nel sottosuolo, ed erano proprio sotto di loro, pronti a sbucare a
momenti.
Non c’erano bisogno di parole.
Anche Sergej aveva capito.
Si alzarono, e , traballando
lievemente, raggiunsero un barile d’acqua fresca poco distante. Tim prese un
secchio, lo riempì e se lo rovesciò addosso, poi ne gettò un altro sull’amico.
Un vero toccasana; i due ritrovarono quasi tutti i loro riflessi.
‘’Ora che facciamo?’’ chiese Tim. Di
risposta ricevette uno sguardo un po’ vacuo, ma una risposta sicura;’’Ovvio, andiamo
ad avvisare il comandante’’.
Il percorso fino al presidio fu un
po’ lungo ma i due amici percorsero la via principale molto rapidamente, e si
presentarono al soldato di guardia, chiedendo del comandante. Il ragazzo fese
cenno di no con la testa, non l’avrebbe svegliato per nessun motivo, non voleva
mica esser gettato dalle mura l’indomani. Fu solo riconoscendo Sergej, il
braccio destro del comandante, che il soldato si decise ad andarlo a svegliare.
Il comandante si presentò tutto arruffato e insonnolito. E anche molto
arrabbiato.
‘’Ancora tu! Ti ho detto che non
voglio seccature’’ disse rivolto a Tim, per poi rivolgersi a Sergej,’’ Anche tu
ora ti metti a far baldoria la notte e a fare l’ubriacone con un disertore? Male,
male. Andatevene a letto’’, concluse, e fece per girarsi e tornare dentro.
Sergej, disperato, gli urlò dietro.
’’Comandante, i nemici sono sotto di
noi; hanno scavato gallerie e tra poco saranno in città e la conquisteranno.
Deve svegliare subito i soldati, sennò saranno impreparati…’’. Il comandante li
fissò per un istante con gli occhi fuori dalle orbite.
’’Fuori di qui, ubriachi! Andate a
smaltire la vostra sbronza da un'altra parte’’ Disse in tono risoluto il
comandante, che si ritirò facendo cenno alla sentinella di cacciarli. La
sentinella, brandendo la spada si avvicinò.’’Mi dispiace ragazzi, siete troppo
ubriachi..’’.
Tim e Sergej si allontanarono un po’,
poi si fissarono. ‘’E ora? Nessuno ci crede, che facciamo? ‘’ disse deluso Tim.
‘’Ovvio’’ rispose l’amico, ‘’Lasciamo la città’’.
Era freddo e l’acqua puzzolente e
stagnante della via di fuga segreta conosciuta solo da Sergej e pochi altri era
veramente schifosa. Tim seguiva l’amico, stando attento a non perderlo.
Dovevano essere passate in paio d’ore da quando era iniziata la loro fuga. Ma
avevano la libertà ad un soffio. Di lì a poco la fogna abbandonata sfociò
all’aria aperta, al di là delle mura e, fortunatamente, dalle parte opposta
dell’accampamento nemico. Velocemente nella notte i due si dileguarono,
correndo attraverso i campi ora incolti, senza avere, momentaneamente, una meta
precisa. Dalla città di Arus si levavano urla di terrore e le case erano in
fiamme.
L’inferno era iniziato.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
CAPITOLO 3
Il Gran Re Fermei era raggiante. Stava per raggiungere il suo
obiettivo, cioè iniziare a saccheggiare e a distruggere le città più ricche
dell’impero di Fortwar.
Fin da quando era bambino aveva sempre sognato quel momento.
Era cresciuto in un luogo aspro e difficile al di là del
grande deserto, dove la natura selvaggia e incontaminata faceva da padrona,
disperdendo come biglie le tribù umane, che tra l’altro vivevano in modi molto
differenti dagli abitanti dell’impero di Fortwar.
Le terre al di là del deserto erano abitate dagli uomini solo
nella parte più meridionale, dove i fiumi provenienti dalle alte montagne
dell’entroterra rendevano fertili e piene di vita un territorio che, senza
essi, sarebbe stato deserto.
Nessun umano, che lui sapesse, aveva mai oltrepassato i monti
altissimi della catena montuosa di Akras, che segnava un confine pressoché
invalicabile per gli umani.
Tra i monti Akras e il deserto si svolgeva la vita quotidiana
di decine di tribù umane che combattevano tra loro ogni giorno. Lui era nato a
Valake, la cittadina fondata da suo padre, e che probabilmente era stata la
prima città organizzata in quelle terre.
In confronto alle grandi città in pietra dell’impero, Valake
non era che un villaggio costruito in legno ben protetto da una fitta foresta.
Fermei era il primo e unico figlio maschio del re Valaki il Grande. Suo padre
aveva infatti condotto la propria tribù in un luogo sicuro, rendendola stabile
e fermando i continui spostamenti che provocavano solo guerre con i popoli
vicini, fondando la città di Valake e dandogli il suo nome. Il popolo di Valaki
veniva dal territorio che fa da margine col deserto, ed aveva sempre fatto la
fame, ma grazie allo stanziamento in una zona fertile e sicura, aveva iniziato
a prosperare, con grande gioia del re.
All’epoca Fermei era solo un neonato, sfuggito alla morte
grazie all’aiuto di una balia, visto che sua madre era morta di parto, mentre
sua sorella iniziava già ad essere un’adolescente.
Ora era un ragazzo di 22 anni, con la pelle leggermente
ambrata, segno tipico del suo popolo, e da quando era poco più che un bambino
aveva sempre e solo combattuto con rabbia e odio contro chiunque.
Infatti Valaki era morto molto giovane, a causa di una rara
malattia incurabile, che lo aveva condotto dopo pochi giorni dalla comparsa dei
primi sintomi, a una morte tra atroci sofferenze. Fermei era rimasto molto
scosso, all’epoca aveva appena 17 anni ma sapeva che ora avrebbe dovuto
rivendicare il trono, aveva l’appoggio incondizionato del popolo ma non quello
dell’esercito.
Sua sorella, infatti, si era sposata con il generale Taruk,
ed avevano già tre figli maschi e due femmine. Taruk, avido di potere come
Mary, la sorella di Fermei, non aveva perso tempo, ed aveva subito inviato un
manipolo di soldati al palazzo reale per ucciderlo. Fermei era riuscito a
fuggire e a nascondersi nella foresta
grazie a pochi fedelissimi,che mantennero i contatti con lui, e che grazie ad
alcune promesse, riuscirono ad avvelenare Taruk e Mary.
Al suo ritorno in
città, Fermei fu accolto come un liberatore; con lui veniva ristabilito
l’ordine reale. Fece avvelenare, senza alcuno scrupolo, tutti i suoi nipoti e i
simpatizzanti di sua sorella furono imprigionati e giustiziati.
In pochi mesi aveva rifondato l’esercito, e grazie al
servizio di leva da lui imposto, aveva a disposizione ingenti forze. In quel
momento aveva a disposizione un esercito di 4000 uomini, e, all’età di 18 anni,
si lanciò alla conquista delle tribù vicine, tutte meno numerose e più deboli.
Inoltre esse erano povere e con pochi guerrieri, ma comunque sempre molto
valorosi.
Attraversò foreste rigogliose e zone semidesertiche,
sottomettendo ogni nemico e ogni tribù, che si rivelarono anche molto
disorganizzate tra loro. In un solo anno e mezzo il suo nome spargeva il
terrore ovunque, e con il suo esercito aveva conquistato tutto il possibile.
Nonostante la sua giovane età, era temuto da tutti. Si era fermato solo di
fronte ai monti Akras, e solo allora aveva deciso di tornare a Valake. Il suo
esercito aveva sofferto molto, più per i diversi climi e per le malattie che
per i nemici.
Tornò alla capitale con soli 50 uomini, più 200 valorosi
guerrieri che avevano deciso di seguirlo e giurargli fedeltà, lasciando le loro
tribù nomadi e le loro famiglie.
Anche lui ora aveva fondato un impero, ma non desiderava
essere chiamato imperatore, ma Gran Re, proprio come suo padre, da cui aveva
preso esempio. Trovò Valake molto cambiata; nei 18 mesi della sua assenza il
villaggio era diventato una bella città, che si stava espandendo in
continuazione, ai danni della foresta circostante. Il suo sogno era quello di
spostare i suoi interessi verso le terre del sud, l’impero, da dove provenivano
genti sconosciute che affrontavano il deserto per giungere nei Regni Ignoti.
Valaki gliene aveva parlato, aveva pensato che una volta costruito il suo
impero, avrebbe invaso il sud, e aveva già piani che suo figlio aveva studiato
e imparato a memoria.
Il deserto non era un ostacolo.
Il problema era che non aveva a disposizione un grande
esercito. Per ora.
Ogni giorno giungevano a Valake decine di ambasciate, inviate
da popoli distanti, che intimoriti dal Re gli chiedevano amicizia e giuravano
fedeltà. Sfruttando la situazione li convinse a combattere per lui e a mandare
tutti i guerrieri disponibili a Valake, dove avrebbero preso le armi per
combattere per il Re. In cambio aveva offerto la sua benevolenza e tante
ricchezze. Gli ambasciatori se ne andavano felici e in quattro anni aveva
racimolato un immenso esercito ben addestrato, pronto per attraversare il
deserto. I guerrieri arrivavano continuamente in città, ed ora possedeva un
esercito immenso.
All’età di 22 anni si era sentito pronto per invadere il sud
e così fu. D’altronde, tutti quei guerrieri in città stavano iniziando a dargli
problemi. Così aveva iniziato la sua marcia, e, guidato da una ristretta
avanguardia a dorso di cammello, aveva attraversato il deserto, e si era
trovato ben presto in un luogo magnifico, con grandi pianure fertili, grandi e
ricche città e migliaia di pacifici abitanti inadatti a combattere.
Aveva devastato gran
parte del confine per poi riversare il suo esercito verso la grande città di
Arus, di cui ora restavano solo rovine. Aveva distribuito le ricchezze
depredate tra i suoi guerrieri, che erano sempre più felici e bramosi di
rimettersi in marcia. Aveva perso pochissimi uomini ed aveva fatto molti
schiavi, che gli sarebbero stati utili in seguito, poiché ben presto, se fosse
riuscita la missione da lui commissionata,avrebbe avuto dei validissimi alleati,
talmente tanto potenti da far vacillare qualsiasi forma di vita. Doveva
rallentare la marcia in attesa di notizie.
Ora si stava sedendo sul trono nella sua grande tenda, ed
avrebbe ostentato un sorriso sicuro sul volto, per nascondere la sua indecisione.
Doveva mostrarsi sicuro, stava per ricevere i suoi generali.
Shon, che era uno dei guerrieri più abili e resistenti del
Gran Re, stava impazzendo.
Era passato un bel po’
di giorni, non ricordava quanti, da quando aveva accettato di portare a termine
la missione più importante del Re. Fermei gliene aveva parlato e lui,
ingenuamente, aveva accettato, pensando di non temere nulla.
Ora si pentiva amaramente della sua scelta, mentre il suo
corpo e la sua mente stavano collassando. La missione consisteva
nell’affrontare gli impervi monti Akras e trovare, in una vallata dove la luce
non arriva mai, la caverna in cui riposavano da tempi antichissimi i Demoni.
Era partito da Valake con 8 dei suoi migliori guerrieri, e
nel giro di pochi giorni, a cavallo, erano già giunti ai piedi dei primi monti.
Aveva capito fin da subito che qualcosa non andava. Avrebbe seguito una pista
costruita da chissà chi migliaia di anni fa, e ben presto i nove si erano
ritrovati, come morti, a percorrerla.
Seguivano i fianchi dei monti, poi scendevano in buie vallate
da giorni, mentre tutt’attorno a loro non c’era nulla, se non la neve perenne.
Non c’era traccia di forme di vita attorno a loro, e vivevano con magre scorte
di alimenti che si portavano dietro da inizio viaggio.
Ma non erano state le
bufere continue di neve o i paesaggi spettrali a destabilizzarli.
Nell’aria aleggiava
qualcosa di strano. Lui e i suoi guerrieri, ben addestrati a sopravvivere
ovunque, non riuscivano a riposare, la loro mente veniva scossa da visioni
terribili mentre i loro corpi perdevano le forze. Pian piano, ogni giorno.. ora
doveva mancare veramente poco alla loro meta.
In uno dei rari momenti di lucidità mentale, Shon si girò
indietro a controllare i suoi uomini. Avevano tutti gli sguardi vacui, erano
deboli e scossi da tremori, mentre cavalcavano cavalli ancor più sofferenti.
Nessuno parlava da giorni, non ne avevano le forze.
Quel luogo era indubbiamente maledetto.
La sua mente iniziava a offuscarsi di nuovo. Poi tutto ad un
tratto, nella buia vallata che stava percorrendo senza orientamento, scorse un
bagliore. Sì, un bagliore che usciva da una grotta.
La sua mente si risvegliò, come quella dei suoi soldati e dei
cavalli, che si lanciarono al trotto verso il bagliore. I soldati smontarono,e,
senza dire parola, abbandonarono i cavalli ed entrarono nella grotta. Attorno a
loro c’era solo buio, non si potevano vedere i limiti dell’ambiente, mentre una
fioca luce violetta brillava sospesa poco distante da loro. I soldati si
guardarono per un istante in faccia, poi si lanciarono verso la luce, e,
contemporaneamente, ci misero le mani, come per afferrarla. Shon aveva solo
seguito il suo istinto, guidato da forze sconosciute, come anche gli altri
avevano fatto.
La luce in un primo istante infuse calore nei loro corpi, che
si rilassarono.
Poi, inaspettatamente, esplose.
Shon fu gettato a
terra, sotto di sé sentiva la roccia
gelida, mentre si contorceva dal dolore. Non vedeva nulla attorno a sé, solo il
buio, mentre cercava di far uscire un grido dalla sua gola secca. Non uscì
nulla dalla sua gola. Ora però si sentiva mancare il fiato. Non riusciva più a
respirare, mentre si contorceva al suolo. Il suo volto divenne violaceo, poi
perse i sensi e morì lì, a pochi passi dai suoi soldati, che avevano condiviso
con lui la stessa fine.
Dalla grotta, dopo poco, uscirono nove figure umane. Erano
gli stessi soldati che erano entrati poco prima, ma avevano il volto pallido
tipico dei morti e gli occhi completamente bianchi, senza iride. Presero i
cavalli e partirono, dovevano raggiungere in fretta l’esercito del gran Re. Ben
presto, il Re si sarebbe accorto del grave errore che aveva commesso ridando il
corpo ai Demoni della Morte.
La bella Ilse si trovava
al torrente che scorreva placido vicino a Frampul, e stava lavando i
panni dei suoi padroni. Frampul era un villaggio vicino ad Arus, ed era il
posto dove lei viveva ora come serva. Come gli sembravano lontani quei giorni
spensierati a Fortwar! Era abbastanza bella e ricca, alta, mora e con dei bei
capelli raccolti in una grossa treccia, aveva anche gli occhi di una rara
tonalità grigia, come sua madre, ma l’unico corteggiatore che aveva era Tim, un altro ragazzo del suo quartiere,
e lei lo aveva rifiutato e allontanato.
Non che lo odiasse, ma voleva essere frequentata solo da
persone del suo stesso rango. Aveva provato un soffio al cuore quando aveva
saputo che il giovane si sarebbe arruolato nell’esercito a causa dei suoi
problemi economici e familiari. Gli era dispiaciuto un po’, forse lei
ricambiava il suo amore, ma sapeva di non poterlo dimostrare. Lei mirava a ben
altri uomini, ricchi e influenti. Ma suo padre, consigliere reale, era stato
accusato, ingiustamente, di tradimento. Suo padre, sua madre e i suoi tre
fratelli maschi furono imprigionati e condannati a morte, mentre tutti i
possedimenti di famiglia venivano confiscati. Si era trovata sola e in strada,
risparmiata solo perché veniva ritenuta innocua. Aveva lasciato la capitale, ed
aveva percorso l’impero in cerca di un lavoro.
L’aveva trovato lì, dove veniva trattata come una schiava.
’’Pensi troppo ragazza. Poi non strofini bene i panni, che
restano sporchi.’’. Il rimprovero gli giunse, distante, alle orecchie. Dopo
alcuni mesi era riuscita ad abituarsi alla governante che se la prendeva con
lei.
Raccolse i panni in una cesta e, incurante della vecchia che
la fissava, iniziò a percorrere i pochi metri che la separavano dalla villa dei
padroni, non senza andare a sbattere contro una giovane inserviente.’’Stai
attenta, caspita!guarda dove vai almeno!’’, le gridò l’anziana governante da
dietro. Sbuffando, entrò nella villa. Posò la cesta a terra. Qualcosa non
andava. Non c’erano più schiamazzi della servitù e neppure ospiti che ogni
giorno andavano a visitare i suoi padroni. Inaspettatamente, comparve di corsa Vale,
un'altra giovane domestica. La fermò.
’’Cosa sta succedendo?’’, chiese spaventata.
‘’ Ma come non lo sai? Non le senti le grida distanti? Dopo
Arus, i nemici stanno distruggendo Frampul, che sta già venendo saccheggiata,
visto che non ha neppure le mura. Vattene e scappa, qui lo stanno facendo
tutti. Nasconditi bene, se ti prendono quelli ti uccideranno di sicuro..’’, e
scappò via nel cortile di corsa.
Frastornata, Ilse sentiva già i primi rumori riecheggiare
dalle case vicine. Era troppo tardi per fuggire. Guardò in cortile. La vecchia
governante giaceva riversa al suolo, trafitta da una freccia, mentre nei vicoli
poco distanti riecheggiavano le grida d’aiuto della domestica, probabilmente
già catturata. La sua unica possibilità di fuga era nascondersi nella villa.
Salì frettolosamente una rampa di scale e poi si accorse che qualcuno, appena
entrato, la stava fissando. Erano cinque nemici, avvolti in tuniche colorate.
Iniziò a correre più veloce, inseguita dai guerrieri che sghignazzavano
divertiti. Per loro era un gioco.
Corse il più
velocemente possibile nel piano superiore, ma inciampò in un secchio mezzo
d’acqua abbandonato nel corridoio, cadde rovinosamente a terra. Piangendo, si
accorse che i suoi inseguitori la stavano per afferrare.
Tentò di rialzarsi, ma
ricadde, scivolando nell’acqua. Una mano forte l’afferrò, e la rialzò.
Ora era in mano nemiche.
I nemici parlavano una lingua sconosciuta, e ridevano mentre
la gettavano tra gli altri prigionieri. Erano tantissimi. Ilse piangeva, perché
era una stupida, era un disastro per sé stessa. Aveva sbagliato tutto, solo ora
ci pensava.
Se solo avesse accettato quel ragazzo, Tim, ora sarebbe
sposata, magari con qualche problema economico ma in una città sicura come
Fortwar, amata e circondata dai suoi figli. Invece ora si trovava schiava del
nemico, con il suo amore segreto Tim probabilmente già morto in battaglia,
ucciso e deriso dagli amici.
Le sue erano lacrime amare, era stata la condanna per sé
stessa e per chi l’amava. Si sedette sulla terra battuta, disperata, ignorando
gli altri schiavi già con le mani legate, che gridavano attorno a lei.
Frampul era stata distrutta, proprio come la sua stessa vita.
NOTA DELL’AUTORE
Ho risistemato meglio i capitoli. Spero che la storia vi stia
piacendo. Naturalmente, le recensioni sono sempre ben accette. Grazie per la
lettura.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
CAPITOLO 4
Swaden era una città di ridotte dimensioni e poco caotica. Era
distante dal caos di Arus, situata sempre nelle province settentrionali
dell’impero, e lontanissima dalla capitale Fortwar, situata nelle province
meridionali dell’omonimo impero.
Era stata fondata centinaia d’anni fa dagli elfi, e poi
successivamente abitata e ricostruita dagli esseri umani.
Infatti, la parte più a nord est dell’Impero di Fortwar era
abitato, in passato, solo da creature non umane. Gli umani vivevano nel sud,
sulle coste del grande oceano e nella provincia di Fortwar, e poi avevano
cacciato tutti i non umani.
Ma Swaden era una
città particolare; aveva un porto antichissimo e custodiva grandi segreti. Gli
elfi, prima di andarsene, con un ultimo atto benevolo verso uno dei pochi umani
loro amici, avevano lasciato un segreto considerato come la chiave di salvezza
dell’impero. Da allora, per secoli, d’in generazione in generazione, un vecchio
saggio sceglieva un giovane per lui adatto, e gli consegnava il segreto, e così
via.
A distanza di secoli
dal primo, in quell’istante il ragazzo scelto dall’anziano maestro, si stava
dirigendo, tutto infreddolito, verso l’antico tempio, dove poco distante viveva
il vecchio.
Sam, il giovane prescelto, pensava di essere un ragazzo
normalissimo; un pò tarchiato, scuro di capelli e dagli occhi castani, con un
carattere un po’ introverso.
Aveva appena vent’anni ma sapeva fare cose che altri a stenti
facevano, aveva una mente aperta, era volenteroso ed aveva buone capacità
matematiche e lessicali. Non era proprio normalissimo. Il suo maestro lo
definiva come uno studente eccezionale e in grado di apprendere molto in
fretta, cosa importante per i destinatari del segreto, che dovevano essere
anche colti.
Grazie al fatto di essere stato scelto tra i tanti ragazzi
della città, Sam aveva potuto ricevere un’ottima educazione che,altrimenti, gli
sarebbe stata preclusa. I suoi genitori erano contadini e vivevano in
condizioni miserevoli, tanto da non potersi pagare neppure una visita medica. Infatti
i suoi genitori erano morti entrambi un paio d’anni fa durante un epidemia di
febbre, lasciando Sam solo al mondo e nella disperazione. Dopo poco era stato
scelto dal maestro.
Ora viveva abbastanza bene, il cibo e un tetto sulla testa
non gli mancavano ed era stimato da tutta la comunità.
Sam era stato fatto chiamare da poco dal suo maestro. Era
urgente. Il servo che portava il messaggio diceva di aver visto il maestro
molto scosso, cosa veramente rara.
Anche a Swaden erano giunte notizie dell’invasione, e si
diceva che i nemici non fossero tanto distanti da lì e che ormai avessero
sottomesso la maggior parte dell’impero senza che l’imperatore avesse mosso un
solo dito per fermarli. Forse era quella la causa di tanta fretta. Comunque, tra
poco lo avrebbe scoperto.
In pochi passi si trovò di fronte alla porta del maestro.
Bussò vigorosamente. Il vecchio maestro lo aprì. La lunga barba e l’aspetto
trasandato gli davano di solito un aspetto da uomo tranquillo, mentre quel
giorno era particolarmente trascurato e spaventato. Il vecchio tremava tutto, e
Sam rimase colpito dal suo aspetto, talmente tanto da non riuscire più ad
immaginarsi cosa potesse volere il maestro da lui.
Il maestro prese Sam per un braccio e lo trascinò in casa,
per poi sbattere di fretta la parta dietro di lui. Appena si entrava c’era
subito una camera disadorna con al centro un tavolo ed alcune sedie, dove Sam
in passato si sedeva intanto che il maestro gli spiegava qualcosa. Si accomodò,
ed il vecchio decise di non attendere altro tempo.
‘’Devi andartene. Devi partire subito. E’ già tutto pronto’’.
Sam non capiva le frasi incomplete che il vecchio gli diceva
con fare agitato.
‘’Ma partire e andare dove? Non capisco..’’.
‘’E’ presto detto. Ora ti spiegherò tutto, anche se c’è poco
da spiegare. Devi semplicemente eseguire la missione per cui sei stato
preparato e per cui centinaia di persone hanno tramandato il segreto per secoli’’.
Un barlume di lucidità era ricomparso sul volto del maestro.
Sam si adagiò meglio sulla sedia, e si preparò attentamente per ascoltare il
seguito.
’’Sam,
devi capire che siamo arrivati all’epilogo. Tutto sta
per cambiare, nulla sarà più come prima. Non sono
riuscito a insegnarti tutto
ciò che dovevo, ma ciò che sai è sufficiente per
poter affrontare il tuo
destino.’’. Deglutì, e riprese a parlare, un
po’ più tranquillo. ‘’La tua ora è
giunta. Partirai sulla piccola imbarcazione da me preparata e con due
schiavi
ai remi, ed affronterai l’oceano e la Tempesta perenne. Ti prego
di ascoltarmi
e di non fare troppe domande, non c’è più tempo.
Devi sbrigarti, i nemici sono
a pochi giorni da qui’’.
La breve pausa del maestro permise a Sam di esprimere le sue
perplessità.
’’ Ma.. scusi, maestro, ma come può pensare che io possa
affrontare la Tempesta permanente con una bagnarola e due schiavi, se non ci
riescono neppure i marinai più esperti con le loro grandi imbarcazioni? E poi,
perché mai..’’. Non gli fu lasciata finire la frase. Il vecchio riprese con
foga crescente.
‘’Smettila ragazzo. Tu non lo sai ancora, ma la tempesta
aspetta solo te, e ti custodirà.. non devi temerla, valle incontro e affronta
le sue terribili onde a testa alta. Al di là di essa troverai l’unico modo per
salvare Fortwar e le sue genti dal male che sta per distruggere l’umanità e il
nostro mondo. Due cose sole devi fare, capito? Affronta la tempesta, fai remare
gli uomini verso ad essa, loro obbediranno. Poi convinci ad intervenire e a
salvare Fortwar coloro che troverai sul tuo nuovo percorso. Seguimi, è ora di
partire’’. Il tono non ammetteva repliche.
Sam seguì il vecchio
nel retro dell’abitazione, che era proprio sulla spiaggia, e vide la sua
bagnarola con due uomini già ai remi. Sam si tirò su i calzoni, stava per
entrare in acqua ed andare incontro a morte certa. Si girò un ultimo istante, e
vide il suo maestro con le lacrime agli occhi.
’’E lei maestro? Mi aspetterà qui?’’ disse, titubante. Il maestro
lo fissò intensamente.
’’No, le nostre strade si dividono qui. Ho piena fiducia in
te e nelle tue capacità, e so che seguirai alla lettera le mie indicazioni. Mi
fido di te, e ricorda che la tua missione era già stata programmata secoli fa,
non puoi scappare di fronte al tuo destino. Segui i miei consigli e il tuo
istinto, e troverai la strada giusta. Non morirai prima di aver compiuto la tua
missione’’. Una lacrima scese rapidamente tra le rughe del vecchio volto e
scomparve tra la barba bianca ancora folta.’’ In quanto a me, tra poco mi
avvelenerò, così nessun nemico potrà catturarmi e scoprire la tua missione.
Invierò una lettera all’imperatore in cui spiegherò tutto, lui sì che ti
aspetterà. Il mio ultimo consiglio è questo; anzi, prendilo come un ordine. In
qualsiasi luogo tu ti troverai dopo aver superato la tempesta non sarà reale.
Ricordalo; ti troverai quasi sicuramente in un luogo stupendo dove non esiste
il tempo. Tu non farti ingannare e svolgi la tua missione nel più breve tempo
possibile, perché nel reale il tempo continuerà a scorrere, e tu potresti
tornare troppo tardi. Intesi?’’. Il maestro gli fece l’occhiolino, mentre altre
lacrime scorrevano nel suo viso, per poi essere nascoste dalla barba.
Sam capì che era ora di congedarsi.
Accennò un saluto con il capo, ed entrò in acqua. Salì sulla
bagnarola scricchiolante. Gli schiavi ai remi si misero subito a remare con
foga. Sam si girò per un attimo indietro; il maestro lo stava ancora
osservando. Consapevole che al suo ritorno, sempre che ci fosse stato, nulla
sarebbe stato più come prima, si accorse che stava piangendo. Rosso in volto,
si girò in avanti e non guardò più dietro di sé.
Ora lo aspettava la Tempesta permanente.
Di lì a poche ore ore Sam si trovò a fissare l’immensa
tempesta.
L’immensa massa di nuvole nere che si estendeva all’infinito
all’orizzonte scagliava innumerevoli fulmini, mentre generava forti venti e
immense onde. Tuoni violenti come esplosioni risuonavano nel cielo. Gli schiavi
remavano dritto verso quell’incubo.
Senza titubare un attimo, quegli esseri umani, muti come
pesci, lo stavano portando verso il cuore della tempesta. L’oceano si stava
facendo sempre più mosso, e le onde iniziavano a sovrastare la bagnarola,
mentre il giorno scompariva, coperto dalle nubi. Sam chiuse gli occhi per un
po’, e li riaprì solo quando gli scossoni e gli spruzzi d’acqua non lo
spaventarono a morte.
Aprì gli occhi e vide di essere all’interno della tempesta.
Tutto attorno a lui era buio, illuminato ogni tanto da fulmini. Poi, un immensa
onda si abbatté su di lui, e notò che i due schiavi non erano più ai loro posti
mentre la bagnarola stava affondando. Stringendo forte il legno
dell’imbarcazione, cacciò un urlo di terrore mentre veniva inghiottito da
un'altra onda. Le sue mani non trattennero oltre il legno e Sam fu scaraventato
in acqua, mentre l’imbarcazione si frantumava in mille pezzi.
Cercò disperatamente di respirare, mentre si accorgeva che
stava sprofondando negli abissi oceanici, trascinato da una grande forza. Non
poteva più resistere senza ossigeno. Per un istante pensò che stava per morire
senza aver compiuto la missione.
Poi, la sua mente si offuscò e perse i sensi, mentre
sprofondava nell’oceano in tempesta.
Intanto, sulla terraferma, i nove cavalieri stavano per
raggiungere l’esercito del Gran Re dopo giorni e giorni di trotto continuo.
I cavalli erano sfiniti, mente i loro cavalieri erano
impassibili. Ma, all’interno di essi, la loro fame stava crescendo. Erano
giorni che non si erano nutriti decentemente, poiché fin tanto che non avevano
avuto corpo bastavano pochi vegetali per tenerli in vita nel loro letargo. Ma
ora volevano cibarsi dei loro piatti preferiti. Entrarono nell’immenso
accampamento di mattina presto, ma già alcuni soldati erano impegnati davanti
alle loro tende a prepararsi per la lunga giornata.
A pochi chilometri dall’accampamento, i cavalieri avevano
attraversato le rovine di Frampul, e avevano notato che la distruzione era
stata feroce, proprio come piaceva a loro. I soldati fuori dalle tende
iniziarono improvvisamente a guardarli, prima con un espressione stupita, poi
con una disgustata e impaurita.
I nove Demoni, dall’alto delle loro cavalcature, osservavano
con interesse gli umani, a tal punto che
riuscirono a rompere il silenzio, e nelle loro menti diaboliche risuonava
un'unica parola; cibo. Si diressero rapidamente verso la tenda imperiale,
cercando di non cadere in tentazione con i soldati. Non volevano giocarsi le
loro carte subito. Volevano solo divertirsi un po’ con quegli esseri inferiori.
La sentinella, impaurita, li annunciò subito al Gran Re, che
non li fece attendere e li ricevette subito.
Fermei per un istante era felice. Shon era tornato, e
comunque fosse andata la missione, la sua opera di conquista avrebbe potuto
continuare. Poi notò che la sentinella era atterrita. Fermei non comprese
subito. Fece accomodare Shon, ma a sorpresa entrarono nove soggetti, tutti insieme.
Non fece caso all’etichetta e si avvicinò per abbracciare il buon guerriero,
uno dei suoi migliori uomini.
’’Shon, sei tornato finalmente..’’. Non riuscì a dire altro.
Le figure che aveva davanti non erano umane, anche se ne mostravano le
sembianze. Un brivido di terrore percosse il suo corpo, e si allontanò con un
balzo dai soggetti.
’’Cosa siete?’’, chiese con una vocina tremolante. Gli
rispose una voce forte e potente, ma che non usciva da nessuna bocca in
particolare. Anzi, le bocche non si muovevano proprio e i corpi erano pallidi
come quelli dei morti.
’’Shon è morto. Noi siamo chi cercavi. Saremo tuoi alleati in
questa guerra’’, disse brevemente la voce.
Fermei era impaurito come mai prima; cosa aveva ordinato di
rievocare?. Come se avesse potuto leggere nella sua mente, la voce rispose alle
sue domande.
’’Non temerci, siamo tuoi alleati. Siamo i nove Demoni che in
un tempo lontano furono imprigionati dagli esseri fantastici nei monti Akras.
Ma ora grazie a te, siamo tornati. Siamo nove corpi ma ragioniamo come uno
solo. Ti siamo grati per averci salvati. Ma ora, per favore, nutrici’’. Fermei
era lievemente rassicurato, ma non molto.
’’C’è tutto il cibo che volete. Pane e carne non mancano,
e..’’.
’’Fermati Re. Noi non mangiamo carne o pane… ma anime’’,
disse la voce, e i volti impassibili lasciarono trapelare un sogghigno
malefico.
‘’Ti prego, nutrici; non hai degli schiavi? A noi possono
bastare solo 30 schiavi, per oggi’’. Fermei tremava. Doveva sbarazzarsi di
quelli. Ma come? In fondo gli sarebbero potuti essere utili. Chiamò la
sentinella e gli disse di portare 30 schiavi. La sentinella partì di gran
corsa, e dopo pochi minuti di uno strano silenzio, alcune guardie proruppero
nella tenda reale con i prigionieri. Fermei andò per contarli. Non voleva
offrirgliene troppi, a quei mostri.
Gli schiavi furono messi rapidamente in fila. Fermei iniziò a
contarli. A metà della sua conta, si trovò davanti a una ragazza magnifica. Era
semplicemente stupenda, era alta, mora e con dei bei capelli raccolti in una
lunga treccia, lievemente sporca di fango. Non resistette alla tentazione, e si
fermò un attimo. Sfruttando il fatto che aveva imparato un po’ di linguaggio
basilare dell’impero, facendoselo insegnare da dei dotti prigionieri, Fermei
non resistette.
’’Come ti chiami?’’, chiese in un linguaggio stentato.
’’Ilse’’, rispose la bella. Fermei passò oltre. Doveva
salvarla da morte certa. Finì rapidamente la conta, e constatò, con infinito
sollievo, che i prigionieri erano trentuno. Si fermo un istante.
‘’Non sapete neppure contare?’’, chiese ai suoi soldati. ‘’Sono
trentuno, riportatene via uno’’. I soldati si guardarono con fare circospetto.
’’Naturalmente scelgo io. Riportate indietro la ragazza’’ e
indicò Ilse, che fu subito allontanata dal gruppo. ‘’Bene, ora potete nutrirvi’’,
disse ai Demoni.
I nove non si fecero
ripetere l’invito. Senza alcun movimento esteriore, iniziarono il pasto.
Rapidamente, i 30 prigionieri, resi schiavi dal Gran Re, iniziarono a dimenarsi
e a urlare. I loro volti si fecero prima rossi e poi sempre più pallidi, mentre
smettevano di dimenarsi. La scena era raccapricciante e aveva lasciato
sconvolto sia Fermei che i suoi uomini, ancora presenti nella tenda.
Ora i 30 corpi giacevano senza vita nel pavimento, con la
loro anima dannata per sempre. Era uno scenario orribile. I nove Demoni non
attesero altro tempo, e si congedarono ringraziando del pasto e dicendo che
l’indomani si sarebbero ripresentati per essere sfamati.
Fermei ascoltò distratto, troppo scosso per capire bene. Solo
quando furono usciti dalla tenda poté tirare un sospiro di sollievo. E se
avessero fatto la stessa cosa con lui? No dai non doveva pensare così, erano
alleati, avevano detto. Mah, ora non voleva più pensarci. Si sedette e ripensò
all’unica cosa bella che gli era capitato di vedere nell’ultimo mese. Ilse.
Naturalmente, ai demoni non era sfuggita la debolezza del Re
per la prigioniera. Quello era un punto a loro favore che prima o poi avrebbero
sfruttato. Giusto per divertirsi un po’, prima della loro grande vittoria.
NOTA DELL’AUTORE.
Vorrei ringraziarvi per la lettura. E’ la mia prima storia,
spero vogliate continuare a seguirla. Mi piacerebbe conoscere le vostre
opinioni, e naturalmente le recensioni sono ben accette. Alla prossima.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
CAPITOLO 5
Tim e Sergej, dopo un lungo viaggio attraverso l’Impero,
giunsero alla loro meta finale, la capitale Fortwar.
Avevano percorso
miglia e miglia, erano stanchi e sporchi, ma erano diventati grandi amici e
durante il lungo viaggio avevano diviso avversità e cibo, come veri fratelli.
Erano molto uniti e si volevano bene.
Durante tutto il viaggio, avevano notato la più totale
assenza di soldati. Le poche grandi città erano pressoché indifese, e le
campagne erano abbandonate al loro destino.
La popolazione dell’impero non si sentiva sicura da nessuna
parte, e molti avevano abbandonato le loro case andando a nascondersi nei
boschi o scavandosi rifugi sotterranei, che riempivano di provviste. Nessuno si
illudeva più; tutti si sentivano abbandonati dall’impero, ed avrebbero dovuto
difendersi da soli, se volevano sopravvivere. Fortunatamente, l’esercito nemico
stava sostando già da un po’ nei pressi di Arus, prendendosela con i villaggi
vicini, dando quindi più tempo alle città imperiali per cercare di organizzare
una difesa.
Tim e Sergej avevano quindi deciso di conseguenza; sarebbero
andati a chiedere udienza all’imperatore in persona.
Così, dopo aver
sostato per un po’ a Palok, la grande città che governava l’omonima provincia,
avevano deciso di andare a Fortwar.
Ora avevano la grande città di fronte a loro. Erano molto
felici di essere giunti al loro obiettivo. Entrarono in città dalla grande
porta principale, dopo aver oltrepassato un immenso fossato. Le mura di Fortwar
erano ancora più invalicabili di quelle di Arus; erano alte e robuste, con
spaziosi camminamenti e spaziosi bastioni. Stranamente, c’erano molti soldati
di ronda. Varcata la grande porta, la visuale era splendida; rimase senza
parole pure Tim, che ci aveva vissuto per molti anni.
‘’Ma è magnifica! E’ una citta splendida!’’, disse emozionato
Sergej.
‘’Sì, è bellissima’’ , confermò Tim.
Di fronte a loro, si dispiegava la città; magnifiche case con
bellissimi giardini mostravano tutta la ricchezza della capitale, e i tetti
degli edifici rilucevano dorati nel sole della mattina.
La gente era tutta ben vestita, tanto da fare imbarazzare i
due nuovi entrati, che erano piuttosto sporchi. Anche nella capitale si
svolgeva il mercato, che impiegava i margini delle spaziose strade. Lì venivano
vendute merci provenienti da tutto l’impero. Tutti parlavano animatamente, e
non parevano preoccuparsi per gli invasori.
Tutto quel buon umore
e quello splendore fecero rallegrare anche i due amici, che ripresero a
scherzare tra loro. Si sarebbero recati subito al palazzo imperiale. Il palazzo
era visibile da tutta la città: era situato in un punto centrale, e le sue alte
torri si potevano distinguere da ogni luogo.
Orientandosi con le torri, ben presto Tim e Sergej si
trovarono di fronte al palazzo, che era costruito a lato della grande piazza
centrale cittadina, che dava sull’oceano. Poco distante, il grande molo
protetto di Fortwar mostrava tutto il suo splendore, ed era pieno zeppo di
imbarcazioni.
I due si avvicinarono alla porta del palazzo, ben sorvegliato
da sentinelle ben vestite.
Il palazzo era immenso, era molto alto e aveva centinaia di
camere. La porta imperiale aveva due sentinelle di guardia, che tenevano
d’occhio chi si avvicinava, mentre dietro a loro c’erano pochi metri di
giardino prima di giungere al palazzo.
Poco più indietro, all’interno del giardinetto, sul selciato
ben curato che separava il palazzo dalla piazza, era in corso un furioso
dibattito. Un giovane molto ben vestito stava discutendo animatamente con
alcune guardie. Tim si chiese chi osasse turbare così la quiete
dell’imperatore, ma ciò non gli riguardava e in pochi passi fu di fronte alle
guardie, seguito da Sergej.
Le sentinelle, vedendoli avvicinarsi, abbassarono
frettolosamente le lance di cui erano muniti per bloccare l’entrata, mentre
dietro a loro, all’interno . Tim si accorse che le sentinelle erano a disagio;
non doveva accadere tanto spesso che due soggetti tutti sporchi si avvicinassero
così tanto a loro.
’’ Scusate, noi siamo due soldati, proveniamo da due città
già cadute in mano al nemico, veniamo da molto lontano,e ne abbiamo viste di
belle.. Ci piacerebbe richiedere un colloquio con l’imperatore..’’, disse,
balbettando, Tim.
Le due guardie che
avevano di fronte si guardarono tra loro e scoppiarono a ridere, mandando in
confusione Tim, che sapeva di non essere abile con le parole, e che divenne
paonazzo. Sergej notò che il dibattito all’interno del giardino era terminato e
che il giovane aristocratico stava ascoltando la discussione all’esterno.
’’Ragazzi, l’imperatore non vuole vedere né sentire nessuno,
neppure suo figlio. Qui non c’è nessuno disposto ad ascoltarvi. Via di qui’’,
rispose risoluta una guardia. Il tono non ammetteva repliche, e Tim si sentì
umiliato come non mai. Quelli prima lo avevano preso in giro, poi lo cacciavano
come se fosse una mosca molesta, senza neppure ascoltarlo. A risvegliarlo fu
Sergej, che lo strattonò per un braccio.
’’Andiamo via’’, gli disse a bassa voce. I due diedero le
spalle alle guardie, e ritornarono sui loro passi, con le loro speranze ormai
in frantumi.
’’Ehi voi! Tornate indietro per favore!’’, disse dietro di
loro una voce con i toni decisi ma con sfumature gentili. Tim e Sergej si
girarono. A parlare era stato quel giovane che era all’interno del giardino a
litigare con le guardie. Era sbucato prendendo alla sprovvista le due
sentinelle, che ora guardavano fisso a terra, intimidite. Effettivamente il
giovane era molto alto di statura; aveva i capelli biondi e una barbetta ben
curata, anch’essa bionda, e gli occhi azzurri. A occhio, notò Tim, non doveva
avere più di trent’anni. Ed era furioso.
’’E voi? Voi che fate tutto il giorno eh? State a deridere
tutti quelli che si vogliono rivolgere all’imperatore. Ecco cosa fate, inetti’’,
disse il giovane rivolto alle sentinelle,che erano sempre più imbarazzate. Sui
loro volti non compariva più alcuna traccia d’ilarità. Intanto, Tim e Sergej si
avvicinarono quatti, chiedendosi chi fosse quel giovane per potersi permettere
di sgridare pubblicamente le sentinelle imperiali.
’’ Salve sono Iulius. Ho sentito che cercavate di contattare
l’imperatore. Lui non vi ascolterà di certo, ma io sì, se volete’’, disse il
giovane rivolto ai due soldati, non badando più alle due sentinelle
imbarazzate.
’’Ah.. beh, sì, ok… Però noi eravamo interessati a conferire
con l’imperatore, non con uno qualsiasi..’’, disse, con imbarazzo Sergej. Si
pentì subito di ciò che aveva detto: il
viso tranquillo del giovane si adombrò e guardò malissimo i due.
’’Io sono il figlio dell’imperatore Claudio, nonché unico
erede dell’impero alla morte di mio padre. Posso perdonarvi la vostra
maleducazione solo perché non mi ero presentato. Se volete parlare con me, vi ascolterò,
ma seguitemi ora. Altrimenti, se non vi interessa parlare con me, continuate a
cercare di contattare mio padre l’imperatore, ma sappiate che non vi riceverà
MAI’’.
Il ‘’mai’’ fu pronunciato in malo modo e il discorso era
rabbioso, ma appena ebbe concluso, Iulius rientrò nel giardino, lasciando
stupefatti i due amici che, senza neppure pensarci su, lo seguirono.
Il volto dell’erede imperiale era tornato sereno. I due amici
lo affiancarono.
Lui li lasciò fare, ignorando la rigida etichetta impostagli
da suo padre. Nessuno osò fermare i due amici per fare domande, e tutti i
servitori e le guardie che incontrarono nel loro cammino abbassavano lo sguardo
e interrompevano ogni mansione che stavano svolgendo per salutare l’erede al
trono. Le sfuriate di Iulius dovevano essere ben conosciute nel palazzo, notò
Tim.
I tre percorsero i pochi metri di giardino ben curato che li
separava dal palazzo, poi, seguendo Iulius, che si era voltato per invitarli a
seguirlo senza timori, entrarono nel palazzo. Appena si entrava, si veniva
investiti da una marea di profumi, tutti ottimi. Percorsero un breve tratto di
un immenso corridoio, dove ai margini erano poste, in bella mostra, grandiose
opere d’arte e le statue degli imperatori.
Dopo poco Iulius entrò in una stanza laterale, seguito dai
due amici, e prese posto su un trono rialzato ma poco elaborato negli intagli .
Tim si guardò attorno e notò che l’arredo della stanza era molto austera, ed
era tra l’altro anche poco spaziosa, probabilmente per il fatto che doveva
essere un ambiente dove poter accogliere sconosciuti. Pochi stanti dopo il loro
ingresso, due guardie armate presero posto ai lati della porta, pronti ad
intervenire in caso di bisogno, ma un po’ troppo distanti per poter afferrare
il senso dei discorsi fatti a voce normale. Tim e Sergej restarono in piedi.
Avrebbero dovuto conferire stando in piedi, sottolineando che comunque tra loro
e il futuro imperatore c’era un bel po’ di differenza.
’’Bene, qui possiamo parlare tranquillamente. Poco fa avete
detto di venire da dislocamenti lontani da qui, e che siete riusciti a sfuggire
al nemico.. Raccontatemi tutto, potrebbe essere interessante’’, esordì Iulius.
Tim e Sergej narrarono la loro storia nei minimi particolari, e Iulius non fece
nulla per interromperli, ed anzi appariva molto interessato dalla loro
avventura. Poi si fece mostrare i tesserini militari che venivano usati come
riconoscimento, e decise di fidarsi dei due.
‘’Uhm, non voglio nascondervi che siete stati intelligenti,
siete riusciti a salvarvi dai nemici in ben due situazioni critiche. Ma questo
loda voi e interessa parzialmente a me; la cosa grave che mi sembra di capire è
il fatto che non abbiamo un esercito addestrato. Anzi, non abbiamo proprio un
esercito. Qui a fortwar ho richiamato molti soldati e ne ho reclutate svariate
migliaia, ma sono poco addestrate e inette’’, disse Iulius, facendo una breve
pausa, per poi riprendere il discorso da dove l’aveva lasciato.
’’ Mio padre non fa nulla e non pensa a nulla, è una persona
instabile. Sta chiuso tutto il giorno nelle sue camere, tra il lusso sfrenato,
e non vuole nemmeno vedere la realtà. Questo mi preoccupa. Ho preparato
comunque un piano; grazie alla mia autorità e alla lontananza mentale di mio
padre, posso prendere qualche decisione. Ho incaricato il generale supremo John
di radunare alcune migliaia di uomini e di andare ad affrontare il nemico.
Prima di tutto presidieranno Palok e cercheranno di difendere le province che
circondano Fortwar. Non affronteranno il nemico a viso aperto ma in piccoli
scontri, causando problemi all’avanzata nemica e presidiando in modo
intelligente le cittadine e i villaggi. Così guadagneremo tempo prezioso’’.
Iulius si fermò di nuovo. Tim, notando segni di assenso nello sguardo del principe
espose il suo dubbio.
’’ Ma prendere tempo per cosa, se posso permettermi.. Se la
mettete così Fortwar è spacciata, cosi come tutto il suo impero. Le terre del
nord cadranno tra poco in mano nemiche, mentre quelle centrali saranno in mano
ad un generale che dovrebbe rallentare l’avanzata, senza riuscire ad
arrestarla, poiché i suoi uomini sono poco addestrati. Poi toccherà a fortwar e
alle sue province confinanti nel sud dell’impero, ma allora sarà troppo tardi’’.
Tim si penti nuovamente delle sue parole, che erano uscita da lui come un fiume
in piena. Iulius non sembrò farci caso, tanto era preso dall’argomento.
’’Innanzi tutto le terre più a nord dell’impero, insieme alla
provincia di Arus, al confine con il deserto, sono già perdute. Ho ricevuto una
missiva poco fa da quelle guardie insolenti che avete visto in giardino.
Ebbene, a quanto pare i nemici si sono rimessi in marcia, ed avrebbero come
alleati 9 demoni implacabili, e nulla parrebbe fermarli ed anche la città di
Swaden è caduta tre giorni fa. Ma ho ricevuto anche un'altra missiva; proviene
sempre da Swaden, dove il vecchio saggio custode del segreto millenario,
l’unico lasciato dalle creature mitologiche al genere umano, ci avrebbe
informato che il suo allievo sarebbe partito per una missione che si sarebbe
risolta entro breve, e che ci avrebbe aiutato. Ha richiesto a mio padre di
attendere un ragazzo di nome Sam, lui forse ci salverà. Inoltre abbiamo un buon
esercito che guidato dall’esperto generale imperiale, magari potrà compiere un
miracolo’’. Il tono di Iulius lasciava trapelare incertezza.
’’Ragazzi, scommetto che sapete usare bene le armi, giusto?’’.
Chiese improvvisamente Iulius, cambiando repentinamente discorso.
’’Certamente signore!’’, risposero senza dubbi i due amici.
’’ Allora vi farò una proposta. Visto che il generale John a
breve se ne andrà, io resterò senza persone affidabili e preparate che
controllino gli addestramenti delle nuove reclute e le varie esercitazioni. E’
un lavoro molto importante e impegnativo e, mi piacerebbe lasciarlo in mani
vostre. Non siete coinvolti negli intrighi della capitale, ed inoltre conoscete
il nemico e le sue tattiche. Visto che siete due, vi dividerete il lavoro: uno
seguirà le nuove reclute appena arrivate mentre l’altro seguirà le
esercitazioni dei soldati e delle guardie che resteranno nella capitale. Sarà
un lavoro molto duro, e che andrà svolto ogni giorno e sotto ogni condizione
climatica, perché dobbiamo rendere questi pappamolla in un vero esercito pronto
a difendere valorosamente la capitale. Che dite, accettate l’incarico?’’.
Ovviamente la domanda di Iulius era puramente retorica. Esigeva un sì da quei
due soldati appena arrivati. I due infatti accettarono.
’’Molto bene, domani presentatevi alle guardie, che vi daranno
una divisa nuova e il lasciapassare per entrare agevolmente nel palazzo’’. Guardò
i due in maniera strana.’’Tranquilli, qui non vi deriderà più nessuno’’, disse,
sorridendo. Poi, rapidamente si alzò e si avviò verso la porta. Era ora di
congedarsi.
’’Ragazzi, ce l’avete un posto in cui andare a dormire?’’,
riprese.
‘’Signore, io possiedo una casa poco distante da qui, se non
me l’hanno occupata dei senzatetto potremmo risiedere lì.’’, azzardò Tim,
pensando alla sua vecchia, piccola dimora che aveva lasciato molti mesi fa.
’’Perfetto. Vedrai che sarà libera. Nella capitale non c’è
molta malvivenza. Ora andate pure’’, e li congedò. Tim e Sergej si avviarono
verso la piazza, da dove raggiunsero velocemente la casa di Tim, che versava in
uno stato pietoso, era tutta piena di ragnatele, ma almeno nessuno l’aveva
occupata o depredata. L’aria di casa fece riemergere in Tim un ricordo lontano,
che fino a poco fa sembrava far parte del passato; la bella Ilse. Avrebbe
voluto rivederla. La tentazione fu talmente tanto forte che Tim dovette
lasciare a svolgere i lavoretti di riparazione domestica all’amico, e corse in
strada con la scusa di dover smaltire l’ansia delle ultime ore.
Era quasi metà giornata. Tutto ad un tratto la capitale gli
ritornò famigliare, come se non l’avesse mai lasciata. Di lì a poco raggiunse
il quartiere dei più benestanti, e li davanti a lui si mostrava in tutto il suo
splendore la bella dimora di Ilse. Era tutto in ordine. Bussò cautamente alla
porta, timoroso, poiché era già stato allontanato più di una volta dalla
ragazza. Ad aprirlo fu Elvira, la vecchia serva di Ilse. Stupefatta, la serva
si avvicinò a Tim.
’’Che c’è da guardare, vecchia? Annunciami alla tua padrona
Ilse’’, disse, arrogante.
’’Signore, se cercate la padroncina non la troverete qui. La
sua famiglia è stata giustiziata dall’imperatore, e lei se n’é andata. Qui è
stato tutto sequestrato, ora è di proprietà di altri nobili’’, disse la serva.
‘’Ma come, non hai idea di dove sia andata?’’, continuò Tim,
allibito.
’’No mi dispiace. È sparita nel nulla, probabilmente sarà
pure morta. E ora devo andare, i miei padroni mi aspettano’’. La serva girò i
tacchi e rientrò in casa, lasciando lì fuori Tim, che si disperava. Ma come, la
sua bella e nobile Ilse.. che fine che aveva fatto. Gli occhi gli si riempirono
di lacrime, e si lanciò di corsa verso casa sua. Aveva bisogno di sfogarsi con
un amico. Infatti, più tardi, dopo aver raccontato tutto a Sergej, si sentì
meglio, ma comunque il suo umore restava grigio. E lo sarebbe rimasto per
molto, molto tempo.
Iulius odiava suo padre e doveva fare qualcosa per
liberarsene. L’anziano imperatore non lo voleva neppure vedere, e non voleva
neppure salvare il suo popolo. Era a causa della sua inerzia e delle sue spese
folli se ora l’impero vacillava. Doveva fare qualcosa e al più presto. Decise
che avrebbe parlato con la madre e che gli avrebbe consigliato un azione
estrema. Era certo che sua madre, l’imperatrice, l’avrebbe capito.
Il giorno dopo, mentre tim e Sergej andavano a prendere
servizio ed iniziavano la prima durissima giornata di lavoro, Iulius era andato
negli appartamenti riservati a sua madre, per cercarla. Come l’ebbe visto, la
madre capì subito che aveva bisogno di qualche favore. Era sempre stato così,
tra madre e figlio c’era un legame molto forte. Inoltre sua madre era una
potente indovina.
’’So perché sei venuto qui. Vuoi il trono. Giusto?’’, disse
impaziente la madre.
’’Non ti si può nascondere nulla, madre. Dove hai visto le
mie intenzioni? Nei tuoi sogni? O forse in qualche fondo di caffè?’’, sogghignò
benevolmente il figlio. La madre era una donna matura, molto magra e con i
capelli che iniziavano ad ingrigirsi. Era una donna dall’apparenza fragile, ma
molto forte ed amava crogiolarsi in letture di carte magiche o in altri
passatempi esoterici.
’’Figlio, io so tutto. Ebbene, non ti farò sprecare altro
fiato; io so come farti avere il trono imperiale. Ci ho pensato molto, sai. Avvelenerò
tuo padre e poi mi avvelenerò anch’io, e mi prenderò su tutte le responsabilità
del gesto lasciandoti immacolato agli occhi di tutti. Ma, sappilo, questo
gesto, in futuro, decreterà la tua morte’’, disse la madre.
’’Sì certo madre, tanto prima o poi dobbiamo morire tutti.
Per favore, porta a termine la tua missione così come hai detto. Te ne sarò
grato per sempre’’, rispose gioioso Iulius. Era stato più facile del previsto.
‘’Ultima cosa; ricevi
il ragazzo di nome Sam con tutti gli onori del caso, e credigli ciecamente’’,
disse la madre.
‘’Mi è già giunta la lettera, non temere. So tutto’’, la rassicurò
Iulius. La madre poi fece cenno d’assenso e si dileguò rapidamente. Iulius non
vide le lacrime silenziose che scivolavano sulle guance di sua madre, che era
consapevole di essere solo uno strumento del destino. A Iulius non gliene
importava della sua futura morte, voleva solo il trono imperiale. Ora.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
CAPITOLO 6
Sam si risvegliò, e pian piano
riprese i sensi.
Il suo corpo era tutto intorpidito e umido.
Non aprì gli occhi subito. Era
disteso su qualcosa di soffice, sembrava erba, e dalle sue narici entrava aria
fresca e pura. Il corpo riprese rapidamente sensibilità ed uscì dallo stato di
torpore in cui era stato avvolto fino a quel momento.
Si rigirò su un fianco, e, sempre
senza aprire gli occhi, decise che voleva continuare a stare lì immobile e a
riposare. Poi, tutto a un tratto, rivide gli ultimi istanti della sua vita. La
tempesta, l’oceano che lo inghiottiva, il suo urlo di terrore strozzato
dall’acqua, ed infine era sprofondato e svenuto. Forse era morto.
Spalancò gli occhi. La vista
all’inizio era un po’ confusa, ma tornò subito limpida. Era immerso in un luogo
bellissimo. Era disteso su un bel prato di erba verde, il sole splendeva sopra
di lui, e a fargli ombra c’era un magnifico albero. Di fronte a lui iniziava
una breve spiaggia, che dopo pochi metri si gettava nelle profondità delle acque
limpide dell’oceano. Dietro di sé, il bel prato continuava, e si trasformava in
un rigoglioso sottobosco, mentre albero altissimi e verdeggianti si innalzavano
fino al cielo, che tra l’altro era completamente sgombro da nubi.
Era un territorio idilliaco, immerso
in una pace estrema ed eterna.
Sam si sentiva benissimo; si alzò e
fece qualche passo barcollando, la situazione ancora non gli era ben chiara.
Poi sentì alcuni rumori provenire da dietro alcuni alberi, e anche qualche
parola, che divenne sempre più nitida, finché pure Sam riuscì a comprendere.
’’Sei sempre il solito, Wolfy: ti era
stato detto di stare con l’umano, ed invece tu sei andato in giro, lasciandolo
incustodito’’. Il tono era di rimprovero, ma la voce non aveva nulla di umano,
era molto pacata.
Sam fece per allontanarsi, ma cadde, poiché i
suoi sensi non si erano ancora ben ristabiliti. Decise quindi di attendere chi
lo cercava.
’’Siete sempre così, voi unicorni;
non ve la prendete mai una responsabilità, vi piace cavalcare liberi e poi ve
la prendete con gli altri’’, rispose una nuova voce, un po’ irritata, ma non di
certo arrabbiata.
Poi, due figure sbucarono da dietro
le fronde di un alberello piuttosto basso, e Sam rimase molto sorpreso da ciò
che vide.
Di fronte a sé c’era un bel cavallo bianco
immacolato, con lunghi crini bianchissimi, ed aveva un corno lunghissimo che
fuoriusciva dalla testa, e un bel paio di ali sulla schiena; al suo fianco,
c’era un grosso lupo, grigio e con il pelo leggermente irto nella schiena, con
profondi occhi verdi. Entrambe le creature non erano di grosse dimensioni, ma
ciò spaventò molto Sam, che fissò male le creature, terrorizzato. Non riusciva
a comprendere che razza di luogo fosse quello. Le creature, d’altro canto,
sembravano altrettanto scosse; si erano fermate e fissavano stupite l’umano.
’’Bene, si è svegliato e si stava
quasi per inoltrare nel bosco. Hai visto anche tu no? A momenti lo perdevamo.
Bene, Wolfy, farò rapporto’’, disse l’unicorno, e senza attendere che il lupo
rispondesse, continuò.
’’Oh, umano, non ci temere. Noi siamo
qui per te; ti abbiamo atteso per molto, molto tempo. Qui nessuno ti farà del
male. E tu Wolfy, visto che ai tanta fretta di tornare a casa, puoi andare’’,
disse con fare sbrigativo.
Il lupo non se lo fece ripetere, ma
prima si avvicinò a Sam e lo annusò. Sam si ritrasse, spaventato. Con un
espressione quasi dispiaciuta, il lupo parlante si diresse a passo lento verso
l’oceano. Sam continuò ad osservarlo per qualche istante. Il lupo entrò in
acqua e percorse qualche metro, prima di immergersi in essa. Non riapparve più,
ma poco più in là affiorò una grande pinna dorsale, simile a quella di una
balena.
Sam guardava ad occhi spalancati dallo
stupore.’’Umano, andiamo via di qui. Non badare a Wolfy, come tutta la sua specie
a volte è inaffidabile. Vieni con me, ti porterò da un mio caro amico che potrà
ospitarti’’, disse l’unicorno, con voce molto gentile.
Sam decise di fidarsi di lui e lo
seguì.
’’Io mi chiamo Sam. E tu chi sei? E
dove mi trovo?’’, furono le domande che uscirono spontanee al ragazzo.
’’Ma come, non lo sai? Pensavo che il
tuo saggio maestro ti avesse preparato per giungere fin qui. Io mi chiamo Saby,
e sono un unicorno’’, disse l’unicorno, che evidentemente era femmina, un po’
stupito dal ragazzo.
’’Benvenuto nel mondo di Harlowhy’’,
concluse.
Saby rimase pensierosa per tutto il resto del percorso, mentre Sam la
seguiva, arrancando, lungo un sentiero che si inoltrava nella foresta. Di lì a
breve, il sentiero sfociò in un bellissimo villaggio, che però era in
miniatura. Infatti le casette erano molto piccole e basse.
Ma le sorprese per Sam non erano
finite. Da un cespuglio spuntò una strana creatura; sembrava uno scimmiotto, ma
non lo era. Era di taglia ridotta, con il pelo folto e grigio, molto simile a
quello dei gatti, ed in testa portava un bel cappellino rosso da contadino.
Sapeva parlare e gli si avvicinò con fare baldanzoso, camminando eretto ma
lievemente ingobbito.
’’Sì, brava Saby, ce l’hai portato.
Ciao umano, io sono Jack, sono un folletto e faccio parte della tribù dei
Pegul-cat. Benvenuto!’’, disse, tutto raggiante, verso Sam.
’’Ciao, mi chiamo Sam e non ho la più
pallida idea di come abbia fatto per finire qui’’, disse Sam,’’Però mi piacete
e mi state simpatici’’, confidò.
L’unicorno guardò Jack in maniera
confusa.
’’Ma sì certo che siamo simpatici!
Pensa, ti abbiamo aspettato a lungo. Ma ora per favore accomodati nel nostro
villaggio’’, disse Jack.
Sam entrò nel villaggio, ma era tutto
decisamente fuori misura per lui. Rendendosene conto, Jack lo rassicurò
dicendogli che avrebbero trovato una soluzione a breve.
’’Bene, ora devo andarmene. Buona
permanenza, Sam’’. Disse l’unicorno, che venne seguito per un breve tratto da
Jack. Parlarono tra loro per un ultima volta, piano, cercando di non farsi
udire da Sam.
’’Dove andrai adesso?’’, chiese Jack.
’’Ovvio, andrò dal Grande Drago, che
farà certamente convocare un grande raduno di tutte le creature fantastiche per
decidere il da fare’’, disse Saby.
’’ E io con l’umano che devo farci?’’,
chiese l’impaziente folletto.
’’ Trattienilo qui per un po’;
vedrai, a breve anche il tuo popolo sarà convocato al raduno. Quando ti
giungerà la convocazione dal Grande Drago, accompagna l’umano alla piana dei
vetri, poiché sarà lì che noi creature emaneremo un verdetto. Per ora fattelo
amico e fai in modo che si fidi di te. Poi, il resto si vedrà’’, concluse
l’unicorno, che si congedò velocemente e dopo pochi balzi prese il volo.
Jack, un po’ confuso, tornò dal suo
ospite umano, che continuava ad attenderlo, immobile, al centro del villaggio.
In quel mondo, gli elementi
leggendari, mitologici e magici si fondevano, dando vita a una realtà tutta
nuova agli occhi di Sam. Da quando era giunto al villaggio dei Pegul-cat, cioè
da parecchio, Sam era divenuto un fenomeno da circo. I piccoli folletti si
divertivano a fargli dispetti innocui nel sonno, ed erano molto buffi.
Jack gli aveva spiegato come era andata la sua
storia. Quando era stato risucchiato nelle profondità oceaniche, era stato
raccolto da Wolfy, una creatura che apparteneva al gruppo di creature
mitologiche degli Akluth, ossia orche che svolgono il mestiere di guardiano sul
confine con il mondo umano, e che possono salire sulla terra ferma diventando
lupi, per poi tornare in mare sottoforma di orche.
Infatti era stato atteso
dall’unicorno Saby, che era il preferito da Jack, il capo tribù dei Pegul-cat.
Infatti aveva imparato dal suo nuovo amico Jack che c’erano più tribù di Pegul,
tutte risiedenti poco distante da lì, ma che avevano abitudini diverse, e per
evitare discussioni i gruppi si erano divisi. A differenziare una tribù
dall’altra era il colore del cappello che i Pegul portavano sempre in testa, e
che tenevano in grande considerazione.
In più, ogni Pegul era legato ad un
unicorno, ed erano molto amici. I Pegul amavano quelle figure equine, e si
divertivano a passare il tempo intrecciando i crini degli unicorni, che
riposavano placidamente, contenti delle attenzioni ricevute dai loro amici
folletti.
I più grossi problemi per Sam erano
quelli di svolgere una regolare vita biologica. Infatti, nel mondo fatato in
cui si trovava, non esisteva la notte, ma solo un giorno eterno, non c’erano
neppure le stagioni, era come se lo scorrere del tempo non esistesse. Gli
alberi erano sempre verdi, e gli esseri fantastici vivevano in pace in un
giorno eterno.
Per dormire e rispettare i ritmi
biologici, Sam si era fatto costruire dai folletti una capanna a sua misura,
dove poteva ricreare un po’ d’ombra. Per nutrirsi c’erano stati grossi
problemi; aveva scoperto che i folletti non mangiavano, e aveva iniziato a
nutrirsi, di nascosto, di vegetali che trovava nel sottobosco. Nonostante ciò,
quel mondo stava iniziando a sfinirlo. Perdeva peso, mentre non aveva neppure
idea di quanto tempo fosse rimasto lì fermo nel villaggio. Voleva andarsene.
Sam prese una decisione: uscì dalla
sua capanna e si recò a parlare con Jack. Jack gli stava simpatico. Anche se
inizialmente il folletto e la sua tribù si erano mostrati un po’ distaccati con
lui, come se fosse un peso, ora invece lo accettavano e lo trattavano quasi da
loro pari. Trovò il folletto seduto sotto un grande albero, con gli occhi
chiusi. Ora sapeva che si poteva fidare di lui. Si sedette al fianco della
minuta creatura, ma lui non lo guardò, e i suoi occhi continuarono a restare
chiusi, ma Sam non poteva più rimandare.
’’Scusa Jack, disturbo?’’, chiese
cortesemente.
Il folletto parve riscuotersi dal suo stato di
trance.
’’No, certo che no, amico. Stavo
meditando un po’, in compagnia degli alberi’’, disse il pacifico Jack.
’’In compagnia degli alberi? Ahah
..’’, disse un incredulo Sam.
‘’Non ridere Sam: qui tutto quello che vedi è
pieno di vita e può comunicare, se vuoi sentirlo. Ma dimmi, ti vedo un po’
preoccupato. C’è qualcosa che non va?’’, chiese il folletto.
Sam si rese conto che i folletti erano sì
creature scherzose, ma anche molto sensibili. Decise di essere sincero con lui.
’’Sì Jack, qualcosa non va. Questo
non è un posto per me, ma non a causa vostra, anzi, voi folletti siete gentili
con me e con voi mi trovo bene, ma io ho bisogno di nutrirmi con regolarità e
sono ancora legato al mio mondo. Vorrei andarmene’’, concluse Sam.
’’Questo non è possibile. Tu resti
qui. Non puoi gironzolare per la foresta, ci sono altre innumerevoli razze di
esseri fantastici. Ci sono arpie, elfi, draghi.. No è troppo pericoloso. Poi
sei sotto la mia custodia. Da qui non parti. Inoltre potresti girare il questo
mondo fintanto che le tue gambe non ti reggeranno più, ma non troverai mai un
posto per te, poiché esso non ha confini né limiti, ed è abitato da tutte le
creature magiche e mitologiche che vengono narrate nei racconti di voi umani. E
non tutte le creature vedono di buon occhio gli umani’’, concluse il folletto
in tono risoluto.
Sam a quel punto era esasperato.
’’Non posso resistere qui; devi
capirmi. Voi ormai non mangiate, non dormite.. Non fate nulla di ciò che fanno
gli umani nel loro mondo. E io sono un umano’’, ribadì il ragazzo.
Jack constatò che l’umano aveva ragione. Saby
non aveva ancora fatto ritorno, non si sapeva ancora nulla. Se l’umano avesse
continuato a dormire e a strappare frutti del sottobosco, avrebbe di certo
intaccato l’ordine del mondo delle creature fantastiche, mutandolo. E questo
non doveva succedere. Decise di parlargli chiaramente.
’’Sam, devi sapere che noi questo
mondo ce lo siamo costruito. Gli umani ci stavano dando la caccia per tutto il
nostro mondo, che ora è vostro. E’ stata la volontà del Grande Drago, che qui
regola tutte le cose grazie ai suoi infiniti poteri, a creare questo mondo,
dove noi creature di tutte le specie abbiamo potuto vivere in pace e armonia
fino ad ora. Noi non abbiamo più bisogni materiali: sì, in un certo senso voi
umani potreste considerarci ‘’morti’’. Ma non lo siamo; anzi, abbiamo raggiunto
un perfetto equilibrio, che sostiene il nostro magico mondo, che è stato
appositamente separato dal vostro grazie alla grande tempesta, che solo tu
potevi attraversare’’. Il folletto fece una pausa breve, e poi riprese.’’E’
stato un elfo a lasciare una chiave di salvezza al genere umano. Tu ora sei qui
per richiedere il nostro aiuto, scommetto’’.
’’Sì, non ti stai sbagliando, ma io
sto male Jack. Tanto male’’, ribadì Sam.
Il folletto non sapeva che fare.
L’umano sarebbe potuto scappare, o peggio ancora avrebbe potuto rovinare un
albero o il sottobosco, rompendo l’equilibrio che domina il mondo magico.
All’inizio, pensava che di lì a poco Saby fosse tornata, e che si fosse ripresa
l’umano. Ma ciò non era accaduto, e per l’umano il tempo continuava a scorrere
a causa dei suoi bisogni biologici e non c’era via d’uscita. Tranne una
estrema.
’’Aspettami qui. Non ti muovere, ho
una soluzione’’, disse Jack, alzandosi repentinamente.
Si era ricordato solo ora della
pozione magica. La pozione era stata creata del grande drago, ed era stata
distribuita a tutte le creature fantastiche, in modo che la bevessero, poiché
aveva il potere di togliere qualsiasi bisogno biologico, ed ingerirla era stato
necessario per chiunque avesse voluto vivere nel nuovo mondo magico.
Sam osservò il folletto mentre
balzava in piedi, e in pochi passi fu dentro la sua capanna, quella del capo
tribù. Se ne tornò poco dopo con un ampolla, che conteneva un liquido
verdastro. La porse a Sam.
’’Bevi’’, gli disse,’’questa pozione
porrà fine alle tue sofferenze’’.
Sam non ne era convinto, ma era
disperato. Prese l’ampolla e, senza fare ulteriori domande al folletto,
ingurgitò un po’ del contenuto. Immediatamente, il suo corpo si rigenerò, fame
e sete non esistevano più, lasciando spazio ad una profonda sensazione di
benessere. Ora si sentiva meglio, si distese pigramente mentre tutte le
sofferenze da lui patite sembravano essere solo un lontano ricordo.
’’Come ti senti?’’, chiese Jack, incurvando
un folto sopracciglio.
’’Bene, benissimo!’’, disse raggiante
Sam.
E se ne stettero lì a chiacchierare
all’ombra del grande albero, come due veri amici. Solo dopo un bel po’, a Sam venne un dubbio. Era come se una
parte di sé stesso fosse stata rimossa. Non riusciva più a pensare in modo
critico, la sua mente era come abbagliata da una luce profonda e benevola, che
gli impediva di utilizzare appieno le sue facoltà mentali, lasciandolo lì
immerso in una sensazione strana di profondo benessere.
Ma fu un dubbio passeggero; pochi
istanti dopo, Sam se n’era già dimenticato, e non aveva neppure più intenzione
di lasciare il villaggio. Quasi non gliene importava più nemmeno della sua
missione.
Jack non si rese conto del grave errore che
aveva fatto dando la pozione a Sam. La pozione era stata creata per le creature
fatate, non per gli umani.
L’errore di Jack in futuro costerà molto caro
a Sam.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
CAPITOLO 7
Per il Gran Re Fermei era stato veramente molto facile
devastare tutta la parte nord dell’impero di Fortwar.
Ora a separarlo dalla
capitale e dalla sua ricca provincia c’era la grande provincia di Palok,
situata al centro dell’impero, con città fortificate e sicuramente molti più
soldati imperiali che avrebbero rallentato la conquista. Comunque, nessuno
poteva più sconfiggere il Gran Re.
I suoi alleati, i demoni, seminavano panico e distruzione
ovunque, e lui li spediva nelle avanguardie, così che potessero seminare il
terrore ancor prima che giungesse l’esercito reale. La gente del nord non aveva
neanche più la volontà di difendersi, visto la fine che aveva fatto Arus,
Frampul, e ultimamente anche Swaden e una moltitudine di villaggi e piccole
città.
Ora il nord era suo. Doveva solo scendere verso Palok.
L’unica cosa che l’aveva reso inquieto era stata la storia di una profezia, di
cui gliene aveva parlato la gente di Swaden. Molti di loro erano stati
torturati per saperne di più sulla questione, che pareva essere talmente tanto
importante da far vacillare tutti i suoi piani di invasione dell’impero. Tutti
avevano parlato del maestro e del destinatario della profezia, a quanto pare un
vecchio e un giovane.
Dopo opportune
ricerche, il vecchio era stato trovato morto vicino alla sua casa, situata
sulla spiaggia dell’oceano, ma del giovane non ce n’era una minima traccia. In
fondo, per Fermei e per i suoi generali si trattava solo di una sciocchezza, di
una favola inventata per dare più forza di opporre resistenza agli invasori.
Comunque, Fermei voleva essere rassicurato anche dai Demoni, che sicuramente
erano i più esperti in materia. Li aveva fatti convocare, ma come al solito era
un bel po’ che li attendeva e loro non si erano ancora presentati.
Se ne stava seduto su uno scranno di legno nella sua tenda,
vicino ad un fuoco caldo, che riscaldava l’ambiente, rendendolo più gradevole,
e pensava ai disagi del suo popolo. Ora che il suo esercito aveva messo a ferro
e fuoco ogni città della zona, e visto che stava iniziando una stagione
particolarmente fredda e umida nella provincia di Arus, i suoi soldati non
riuscivano più a sistemarsi comodamente negli accampamenti.
Il terreno era impregnato d’acqua, quasi tutti i giorni
pioveva e tutto era umido e malsano, mentre le temperature iniziavano
gradualmente a diminuire. Il cibo era scarso, e ben presto sarebbero giunte le
prime malattie, che sarebbero poi divenute pestilenze.
Ora il Gran Re non sapeva più se era conveniente continuare
la conquista, poiché Palok era distante e molto ben difesa, ed inoltre non
poteva invadere una provincia ben organizzata come quella senza neanche aver
formulato un piano. Insomma, nella testa del re regnava l’indecisione. Da una
parte, pensava che ormai l’Impero fosse ai suoi piedi, dall’altra sapeva che
non sarebbe stato così facile conquistare tutti quei territori. A toglierlo dai
suoi pensieri fu l’arrivo dei Demoni. Come al solito, con fare arrogante,
entrarono nella tenda senza neanche farsi introdurre.
‘’Ci hai fatto convocare, re; dicci pure’’, disse la voce
demoniaca. I Demoni infatti avevano un'unica voce che risuonava nell’ambiente
circostante, ne potevano monitorare la potenza, e non usavano le proprie
singole bocche.
Come sempre, il re si sentì in soggezione. Erano esseri
orripilanti, che emanavano un aurea di dolore che poteva far intristire
chiunque.
‘’Sì, ho una faccenda di cui discutere con voi. Non farò giri
inutili di parole. A Swaden circolava voce di un prescelto, che avrebbe
compiuto un viaggio e che sarebbe tornato per portare la salvezza all’impero.
La leggenda sarebbe stata lasciata in tempi remoti da un elfo, e poi tramandata
da un maestro a un giovane, che sarebbe poi divenuto esso stesso maestro. A
quanto pare l’ora è giunta, e il prescelto sarebbe partito poco prima del
nostro arrivo in città, ma noi non abbiamo certezze su ciò. E’ stato trovato un
vecchio morto, che corrisponderebbe alla descrizione del maestro, ma del
giovane non ci è chiara neanche la sua reale esistenza. Potrebbe essere un grave
pericolo per noi. Voi che ne pensate?’’, interpellò Fermei, alla fine.
‘’Re, sono certamente sciocchezze di poveri contadini. Le
voci girano, e tutti ci credono. Nulla può fermarci; solo questa è la verità.
Non temere, tra non molto l’impero di fortwar sarà ai tuoi piedi’’, dissero
sicuri i demoni.
‘’Voi mi rassicurate, vi ringrazio’’, disse Fermei, ora più
tranquillo. Non vedeva l’ora di far uscire dalla sua tenda quei tipi
disgustosi, e li congedò frettolosamente.
‘’Un attimo solo, re; per favore, concedici in pasto tutti
quei contadini che ti hanno messo in testa quelle bugie. Loro ti odiano e ti
han raccontato tutto ciò solo per farti desistere dai tuoi impegni. E noi
abbiamo tanta fame’’, disse la voce disgustosa. Fermei aveva fretta, e non
gliene importava più nulle dei cittadini bugiardi di Swaden. Tanto, di schiavi
e prigionieri ne aveva fin troppi.
‘’Sì, certo, prendetene quanti ne volete e sfamatevi. Andate
pure’’, concluse il re. Sapeva di aver consegnato altri umani a quegli esseri
immondi, ma non poteva fare altrimenti, sennò quelli avrebbero iniziato a
uccidere anche i suoi soldati. Ma ora non voleva pensarci più.
Tirò un sospiro di sollievo. Ora che sapeva che i suoi piani
di conquista non sembravano in imminente pericolo, poteva crogiolarsi nei suoi
pensieri. Basta tristezza, avrebbe passato quell’intera giornata a pensare alla
sua bellissima schiava, Ilse. Era magnifica e lui l’amava, ma non appariva
ricambiato. Ora che le azioni militari erano momentaneamente ferme, ne avrebbe
approfittato per imparare meglio la lingua dell’impero e per fare doni alla
ragazza.
Aveva deciso così, e
così fu.
Ilse era una schiava particolare.
Molto particolare.
Infatti, da quando era stata salvata dal Gran Re, non faceva
altro che ricevere doni da lui. Ora lei non viveva più mischiata con gli altri
schiavi, ma viveva in una lussuosa tenda ai margini dell’accampamento, ed aveva
tre guardie a sorvegliarla e ad assecondare ogni suo desiderio.
Ilse non era una stupida; aveva ben compreso che il Gran Re
si era preso una cotta per lei. E lei
aveva paura. In certi momenti pensava che quello era il suo riscatto, e che il
destino gli stava dando un opportunità grandiosa per avere un futuro migliore.
D’altra parte, non aveva ben chiara l’idea di chi fosse quel re,
e se fosse come tutti gli altri, che usavano le ragazze belle come lei a loro
piacimento e poi le gettavano come oggetti usati, quando riuscivano a trovarne
altre. Per questi motivi Ilse era titubante.
Ma ora aveva preso una decisione; sarebbe stata al gioco, e
si sarebbe offerta ella stessa al re, nel qual caso ce ne fosse stata
l’occasione. Era la sua grande opportunità e non doveva sprecarla.
Intanto che pensava, si pettinava. Poi si intrecciò i suoi
bei capelli, che ora erano lisci e puliti come un tempo, grazie alle
benevolenze del re. Poi, improvvisamente, un uomo entrò nella tenda.
Ilse si girò
bruscamente; le guardie di solito chiedevano il permesso prima di entrare.
Nella penombra vide una bella figura lievemente scura, e non troppo alta. Era
Fermei, il Gran Re. Il suo cuore ebbe un sussulto, come ne aveva quando, in
passato, vedeva Tim di fronte all’ingresso di casa sua, per chiedere di
vederla.
Ma ora era tutto diverso; Tim non era nessuno, e
probabilmente, anzi, sicuramente, era già morto, mentre colui che aveva di
fronte in quel momento era uno dei più grandi re della storia, e un grande
combattente. Capì che lo amava follemente. Anche se era un po’ un amore
condizionato, lei lo amava, punto.
‘’Mio signore’’, disse Ilse, facendosi coraggio ed alzandosi
in piedi.
‘’Tranquilla Ilse; ti vedo turbata. Ti ho forse spaventato?’’,
chiese in tono benevolo il re.
‘’Certo che no, mio signore, lei qui è padrone di tutto e può
venire quando vuole’’, concluse Ilse, anche per elogiarlo.
‘’Per tutto il pomeriggio
non ho fatto altro che pensare a te’’, disse Fermei, fissandola, e Ilse non
poté non notare come la fissava. Anche lui la amava.
‘’Spero di essere tenuta in buona considerazione da lei, mio
re. Ma come mai il signore questa sera ha deciso di far visita ad un umile
schiava, quale io sono?’’, disse Ilse.
‘’Oh, tu non sei solo un umile schiava. Vedo bene che hai i
tratti di una nobile, poi hai un portamento perfetto. Sono venuto qui di
nascosto, l’intera corte pensa che io mi sia ritirato per riposare. Invece
eccomi qui, solo per te’’, disse il re. Poi non fece altri preamboli.’’Ilse, io
ti amo. Non ho mai visto una ragazza più bella di te, ed ho viaggiato per quasi
tutto il mondo conosciuto. Ti amo e basta. Raccontami un po’ di te, e della tua
vita’’.
Ilse si risedette, e
incominciò dall’inizio. la sua famiglia e la sua brutta fine, poi la povertà,
la ricerca di un lavoro, il periodo di servitù.. e poi il suo destino da
schiava. Erano passate molte ore, e il re l’aveva ascoltata interessato, senza
mai interromperla, e lei gli aveva sussurrato la sua storia molto piano, in
modo che nessuna guardia potesse sentirla.
Aveva concluso il suo racconto.
Allora Fermei iniziò il suo, e raccontò della sua vita
difficile al dì la del deserto. Quando concluse, era notte fonda. I due erano
vicinissimi, illuminati da una candela. Ci fu qualche attimo di imbarazzato
silenzio, interrotto poi dal re.
‘’Io ti amo veramente, Ilse. Ora che poi so la tua storia, e
che sei di origine nobile, mi son reso conto che potrei addirittura sposarti.
Sì, una volta che avrò conquistato Fortwar ti sposerò, e sarai l’imperatrice.
Ti piace come idea?’’, chiese il re, sorridendo.
‘’Certo, signore’’, disse Ilse.
‘’Ti prego, non chiamarmi più signore in privato; ora qui per
te sono solo Fermei, e dammi del tu’’, disse il re.
Poi successe
l’imprevedibile. Fermei prese una mano di Ilse tra le sue, in segno di profondo
rispetto ed amore, poi la baciò. Fu un lungo bacio pieno di passione. Ben
presto fu ben chiaro che il re avrebbe passato le ultime ore di buio lì con
lei, e si sentì lusingata. Allungò un braccio, spense la candela e si abbandonò
tra le robuste braccia del Gran Re.
Era notte fonda, ed i nove demoni avevano appena finito di
nutrirsi. Quel giorno si erano sfamati a dovere. Si sentivano finalmente sazi,
anche se per poco tempo.
Sapevano per certo che
quello stupido re ora si trovava nella tenda della schiava, ne percepivano
l’essenza. Era orribile stare alle dipendenze di un umano come quello.
Quello che sarebbe dovuto diventare, entro breve, il più
grande imperatore della storia umana, si stava mostrando ai loro occhi come un
essere indegno. Tutto il giorno pensava all’amore, a quella schiava, e in fondo
non odiava i nemici.
Secondo i demoni, i soldati erano più degni di rispetto del
loro re, poiché combattevano e commettevano qualche atrocità, mentre quello
stupido amoreggiava solo. Fortunatamente, ben presto i demoni sarebbero stati
liberi di agire. Dentro di loro c’era spazio solo per il male e per la
sofferenza, e avrebbero voluto eliminare fin da subito quel re, ma per ora
serviva ancora. Tra non molto si sarebbero presi la loro rivincita, e questo
pensiero li aiutava a sopportare Fermei.
Sì, in fondo quel re era l’ultimo dei loro problemi, era come
una bambola di pezza in mano a dei bambini. Ciò che aveva lievemente scosso i
demoni era la storia della profezia. Avevano strappato le anime e le vita dei cittadini di Swaden, per vedere
se risultava vera o no, e lo era. A quanto pare, il ragazzo che svolgeva il
compito di salvare Fortwar, era scomparso dalla città.
I demoni improvvisamente avevano capito tutto; il ragazzo era
andato a cercare l’appoggio delle creature magiche. Ovviamente i demoni non
avevano paura di loro, poiché le avevano già sconfitte più volte , ma dovevano
ricordare che l’ultima volta che si erano riunite tutte sotto lo scettro del
Grande Drago i demoni erano stati sconfitti e rintanati per secoli nella
caverna dei monti Akras. Dovevano quindi stare molto attenti.
Ovviamente, i demoni non avevano idea di dove si fossero
nascoste le creature magiche. E, naturalmente, potevano succedere imprevisti al
ragazzo, che comunque difficilmente sarebbe riuscito a convincere il Grande
Drago a intervenire nei conflitti umani. Non dovevano dire assolutamente nulla
a Fermei, sennò si sarebbe preoccupato ed avrebbe messo a repentaglio
l’invasione, che tra l’altro in quel momento gli interessava solo
marginalmente.
Ma ora basta pensare;
la notte era giunta al suo apice, ed era il momento di scatenarsi. Come
passatempo, i demoni si divertivano a provocare orribili incubi ai soldati, e
se ne compiacevano, poiché i guerrieri si terrorizzavano, e il terrore e la
paura erano cose molto gradite a loro. Bene, li aspettava un'altra breve notte
per sfogarsi nelle menti dei soldati, giusto per intrattenersi un po’ e passare
meglio il tempo. Il loro momento di gloria si avvicinava a grandi passi.
Il mattino seguente, una figura tutta infagottata uscì di
buon ora dalla tenda di Ilse. Le tre sentinelle sussultarono, poi si misero
sull’attenti. Quella figura che se ne andava a passi svelti era sicuramente il
Gran Re.
I tre si guardarono, e sorrisero.
Ben presto, nell’accampamento, i soldati avrebbero sparlato
dietro al loro re per la sua debolezza, e il fatto sarebbe stato sulla bocca di
tutti.
NOTA DELL’AUTORE.
Grazie per la lettura. Vorrei ringraziare pubblicamente
Steph808 per aver supportato la mia storia, per aver letto attentamente ogni
capitolo, per i suoi preziosi consigli ed anche per le recensioni. Grazie di
tutto. Grazie anche a tutti gli altri lettori. Alla prossima.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 7
CAPITOLO 8
La notizia della morte dell’imperatore Claudio sconvolse
Fortwar.
Il tanto odiato imperatore era deceduto in circostanze
misteriose, e ancora la notizia non era ufficiale, ma era trapelata dalla
servitù del palazzo imperiale. Se era una notizia vera, tra poco ci sarebbe
stato un nuovo imperatore, che senza ombra di dubbio sarebbe stato Iulius.
Era quasi mezzogiorno e Tim non aveva ancora visto il suo
amico Sergej. Ma era naturale, pensò, poiché ovunque regnava il caos. Non era
neppure riuscito a fare concentrare le sue nuove reclute, che volevano solo
sparlare sulla morte dell’imperatore. Tim era riuscito a capire che quasi per
certo l’imperatore era stato avvelenato dalla moglie, che era pazza, e
successivamente si era tolta la vita anch’essa, per non affrontare un processo.
Tim ora camminava verso il palazzo imperiale, andava a
prendere congedo per quella giornata. Infatti le reclute non riuscivano a stare
un secondo zitte, e sbagliavano tutto, così Tim aveva concesso un giorno di
riposo, grazie al fatto che ultimamente aveva fatto lavorare molto duramente i
ragazzi, che sembravano sempre più svelti nei movimenti. Tim era soddisfatto di
loro, anche se quel giorno non si erano comportati bene, ma era comprensibile.
La morte di un imperatore non era una cosa che accadeva ogni giorno, tanto più
se ucciso in circostanze non proprio chiare.
Giunto al palazzo imperiale, entrò salutando le guardie, e
nel corridoio scorse una figura familiare. Era Sergej. Si affrettò a
raggiungere l’amico, che in quel momento gli stava dando le spalle.
‘’Sergej, anche tu qui!’’, esclamò Tim.
‘’Oh, Tim!’’, disse Sergej, sorpreso di vedere l’amico.’’Amico,
pensavo di non vederti oggi! Sai, credevo che le reclute volessero allenarsi e
che non fossero inclini al pettegolezzo come i veterani’’, concluse,
sorridendo.
‘’Eh no, purtroppo oggi ho dovuto sospendere le
esercitazioni. Solo chiacchiere e nient’altro. Comunque li capisco; i miei
ragazzi si sono impegnati tantissimo le ultime settimane’’, disse Tim, facendo
un cenno impercettibile all’amico.
Indicò con gli occhi
l’uscita. Doveva parlargli.
Sergej comprese
immediatamente, ed attese che l’amico uscisse dal palazzo, per poi seguirlo
disinvolto. Col fatto che erano molto apprezzati dai loro allievi e dalle
milizie cittadine, i due amici avevano ormai un immenso potere in pugno. Con
una sola parola avrebbero potuto far insorgere le milizie al completo, e ciò
poteva essere una grave minaccia per l’imperatore, visto che una buona parte
dell’esercito imperiale era in procinto di partire verso Palok al seguito del
generale John.
Per non destare sospetti, parlavano di argomenti importanti
lontani da occhi e orecchie indiscrete, che avrebbero potuto accusarli
ingiustamente di tramare qualcosa. Ma i due amici erano fedeli alla parola data
all’imperatore e non l’avrebbero tradito. Mai. Comunque era sempre meglio avere
precauzioni contro le malelingue, e stare attenti a parlare era molto
importante. Sergej raggiunse Tim nella piazza, nel mezzo della folla impegnata
a spettegolare e distanti dalla vista delle guardie. Tim, infatti, lo aspettava
all’ombra di un alberello marginale alla piazza.
‘’Dimmi Tim. Ti ascolto’’.
‘’Cosa ne pensi dell’accaduto?’’, chiese Tim, senza
preamboli.
‘’Non saprei; le cose non sono chiare e Iulius non si fa
vedere in circolazione. L’ho visto ieri, poco prima che il fatto accadesse, ed
era molto felice’’, azzardò Sergej.
‘’Sì, effettivamente potrebbe essere tutto un piano di Iulius
per raggiungere il potere’’, disse Tim, pensieroso.
‘’Non lo escludo’’, concluse l’amico.
I due si guardarono negli occhi. Nonostante che in quel
periodo si vedessero poco, solo alla sera, poiché vivevano nella stessa casa,
il loro rapporto fraterno era rimasto pressoché inalterato. Ad un tratto, si
formò un grande affollamento di fronte all’ingresso del palazzo. Infatti,
qualcuno stava parlando pubblicamente dal giardino.
Era Iulius.
Tim e Sergej si
avvicinarono rapidamente, giusto in tempo per sentire le ultime frasi.
‘’… mio padre, quindi, è deceduto in seguito ad una follia di
mia madre, che ultimamente aveva gravi problemi di salute. Quindi, in assenza
di altri eredi legittimi, mi dichiaro erede unico e imperatore dell’impero’’.
Il discorso era stato molto breve, il nuovo imperatore non amava mostrarsi
troppo alla folla. All’inizio, tra la folla, che stava aumentando a vista
d’occhio, scorreva solo un sommesso mormorio. Poi il popolo insorse.
‘’Inetto che non sei altro! Salva l’impero, non vedi che la
situazione è critica? Qui moriremo tutti, non abbiamo neppure un esercito!’’,
gridò un uomo dalla folla.
Iulius, che era in procinto di andarsene, si girò ed
individuò l’uomo. Iniziava già a fare i capelli bianchi, ed era sicuramente un
fomentatore di rivolte.
‘’Guardie, catturate quell’uomo’’, disse Iulius, senza indugi.
Quattro guardie si avviarono verso la folla, che invece di
fare largo, caricò all’improvviso. Nascosti tra i popolani c’erano individui
armati, che si fecero largo e fecero rapidamente a pezzi le guardie. Il novello
imperatore impallidì, ed iniziò a correre verso l’interno del palazzo, mentre
dalla piazza era iniziata una fuga generale, alla quale parteciparono anche Tim
e Sergej. Con la coda dell’occhio notarono che gli individui armati si stavano
avventando contro le sentinelle a guardia dell’ingresso al palazzo. Una volta
tornati a casa, i due amici erano molto scossi.
Le ore passarono senza che Tim e Sergej osassero ricordare
ciò che era successo a mezzodì. La capitale stava diventando un nido di serpi.
Per svagarsi un po’, decisero di andare in una locanda lì
nelle vicinanze a fare una bella cena. Iniziava ad imbrunire, e non avevano
ricevuto nessuna notizia dal palazzo imperiale. Ma ora erano affamati e
volevano gustarsi in santa pace una bella cena.
Ma quella non era la sera giusta. Entrarono nel locale, si
sedettero e ordinarono. Il locale era pieno zeppo di avventori. Di lì a poco
vennero serviti. Mentre iniziavano a nutrirsi, nella locanda entrarono tre individui.
Tutti osservavano solo loro. Erano vestiti di nero, con una foggia strana, simile
agli assalitori di mezzogiorno, e presero a parlare a tutti.
‘’Gente, è ora di sollevarsi! Sono secoli che gli imperatori
ci tartassano di tasse e che ci sfruttano senza limite, e non ci danno nulla in
cambio! Guardate, le province del nord sono state distrutte e quelle del centro
sono indifese! Tra poco toccherà a noi, e moriremo tutti. No, noi non ci
stiamo! Armatevi tutti, insieme potremmo mettere sotto assedio il palazzo
imperiale, conquistarlo e razziarlo dalle sue immense ricchezze! E allora
saremo noi i padroni del nostro destino! Ribelliamoci!’’, gridavano i tipi
loschi.
Ben presto, all’interno del locale, l’atmosfera si riscaldò.
Le parole degli istigatori furono seguiti da mormorii di consenso. A quanto
pare, il popolo stava dalla loro parte.
Poi, rapidamente, come
erano apparsi, essi sparirono, inghiottiti dalla folla che si riversava fuori
dal locale. Tim e Sergej decisero di non rischiare di farsi vedere in
situazioni ambigue e se ne tornarono a casa. Lungo il breve tragitto che
dovevano percorrere, incontrarono molta gente, tutta diretta al palazzo
imperiale, ed alcuni erano pure armati di picche e forconi. Evidentemente, gli
istigatori si stavano dando da fare in tutta la capitale.
‘’Qui si mette male!’’, disse Sergej.
Tim non poté far altro che annuire, e accelerò il passo per
arrivare prima a casa, seguito a ruota dall’amico. Giunti finalmente a casa, i
due si sprangarono all’interno, e finalmente si rilassarono. Quando Tim riuscì
ad appisolarsi, le urla del popolo in rivolta risuonavano ovunque.
L’indomani preparava
nuove sciagure per Fortwar.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
CAPITOLO 9
Sam e il suo amico Jack parlarono a lungo, sotto le fronde
del grande albero.
Jack gli raccontava le storie delle varie creature che
abitavano il mondo magico, e Sam ascoltava, attento.
Ora stava molto bene, aveva recuperato le forze, ma non capiva
perché doveva usarle, quando poteva starsene disteso lì, in compagnia, per
l’eternità. Non che gli interessassero particolarmente i discorsi del saggio
folletto, e in effetti era spesso disattento. Era consapevole che sarebbe
dovuto tornare nel mondo reale, e che se nel mondo magico di Harlowhy non
esisteva il concetto di tempo, nel mondo reale esso scorreva inesorabile.
La specie umana era in
pericolo, lo sapeva, ma non trovava più molti stimoli per lasciare quel luogo
tranquillo e tornare in un mondo sconvolto dalla guerra. Intanto, Jack pareva
instancabile, e continuava a raccontare.
‘’Sam? Sam? Mi stai ascoltando?’’, disse il folletto,
gesticolando di fronte a Sam, che si risvegliò bruscamente dai suoi pensieri e
tornò ad ascoltare l’amico.
Stavano bene insieme, anche se erano due creature di razza
diversa, scherzavano e si divertivano ugualmente.
‘’Sì, sì’’, gli rispose.
‘’Uhm, allora, dov’ero rimasto … Ah, sì, ti stavo raccontando
di quando ebbi quel breve litigio con un grosso drago rosso. Tu devi stare
attento se incontri un drago, poiché sono creature permalose, e se rechi loro
offesa poi sono guai grossi. Eh eh eh!’’, rise infine Jack, sotto i lunghi peli
facciali che formavano una rigogliosa barba.
Anche Sam rise, e notò che altri membri della tribù dei
folletti si erano seduti attorno a loro, accompagnati da alcuni unicorni, per
ascoltare i racconti del loro capo. Ma, tutto a un tratto, qualcosa interruppe
la risata di Sam, smorzando anche quella dei folletti.
Un fruscio.
Poi un altro.
Il lieve rumore sembrava provenire dall’alto.
Sam fu il primo ad alzare lo sguardo. E ciò che vide lo turbò
profondamente, ed era uno spettacolo inedito. Sopra le loro teste, gli alberi
avevano iniziato ad avere foglie secche, che poi, rapidamente, si staccavano, e
cadevano a terra, frusciando. Intanto stava iniziando a tirare una lieve
brezza, che col passare del tempo stava aumentando. Sam guardò i folletti;
erano tutti a naso in su, increduli. Non si erano mai trovati in quella
situazione, da quando vivevano nel mondo di Harlowhy.
‘’Che succede?’’,
disse Sam, preoccupato.
‘’Non ne ho idea’’, rispose Jack, in modo brusco e allarmato.
Il tempo stava tornando reale nel magico mondo di Harlowhy, ora la brezza stava
diventando vento.
‘’Al riparo! Tutti!’’, gridò Jack, terrorizzato.
I folletti fuggirono
verso le loro capanne, e velocemente si chiusero dentro. Anche Jack se ne andò
di fretta, lasciando Sam solo in mezzo al vento crescente. Il folletto si
ricordò dell’umano solo pochi istanti prima di chiudersi nella sua capanna; si
girò e gridò allarmato verso Sam, gli gridò di mettersi al riparo nella sua
tenda e di non uscire, e forse gridò altre cose che comunque il ragazzo non
sentì, a causa del vento. Sam non riusciva a capire tutto l’allarmismo dei folletti;
d’altronde, era solo un po’ di vento.
Ma a breve dovette
ricredersi, poiché il vento divenne violentissimo, e gli alberi persero molte
foglie, tutto mentre il rigoglioso sottobosco, composto da numerosi arbusti,
veniva schiacciato a terra senza pietà. Poi, un rumore assordante squarciò
l’aria; era un tuono, riconobbe Sam.
Si alzò da sotto l’albero, che intanto veniva violentemente
strapazzato, mentre alcuni tra i rami più alti erano sul punto di rompersi.
Quasi non riusciva a stare in piedi, e la forza del vento stava aumentando a
dismisura. Intanto, nell’orizzonte si stavano formando nuvoloni neri carichi di
pioggia.
Tutto tremante, Sam riuscì a raggiungere la sua capanna, ma
per un soffio; mentre richiudeva la porta dietro di sé, notò che nel villaggio
volava di tutto, dai rami agli oggetti dei folletti. Il ragazzo si mise comodo
a guardare da una finestrella, che guardava verso la foresta.
Gli eventi continuavano a susseguirsi. Tuoni colossali
straziavano l’aria, e il vento completava l’opera, distruggendo tutto. La
capanna di Sam tremò innumerevoli volte, stava per essere distrutta. Notò che
probabilmente le tende dei folletti erano più a rischio della sua, poiché erano
state costruite con meno cure e non erano state rinforzate bene.
Poi, il vento cessò,
improvvisamente. Un tuono, meno violento degli altri, risuonò al di sopra della
sua testa. Il cielo si riempì di nuvole scure, mentre il buio avvolgeva per la
prima volta il mondo magico. Nella quiete, un rumore violento risuonò per tutta
la capanna dell’umano. Poi se ne sentì un'altra. E un'altra ancora. Era
grandine. Dal cielo cadevano chicchi di grandine grossi come pugni, che si
abbatterono sulla foresta e sul villaggio. Tutto ciò durò per ore,
incessantemente.
Sam era terrorizzato, non pensava di uscirne vivo. Si
acquattò vicino a una parete, si coprì il viso con un fazzoletto e iniziò a
piangere. Maledì infinitamente quella volta che aveva accettato di lasciare
l’impero, poiché da quel momento su di lui si erano abbattute solo disgrazie.
Ormai quello stato di apatia e di pace che lo aveva avvolto per un tempo
indefinito era sparito. Scivolò in uno stato d’incoscienza, dovuto al panico
che stava sopportando da molto tempo.
Quando ebbe il
coraggio di alzarsi e di guardare al di fuori della finestra, notò che la
grandine non cadeva più, ma era sorta una densa e gelida foschia che opprimeva
tutto. Non si vedeva quasi nulla dalla finestra. Sam tornò a sedersi, e a
mettersi la testa tra le mani. Si tormentò per ore, come se avesse perso la
ragione, lì sulla terra battuta che gli faceva da pavimento.
Molto tempo dopo, si coprì con qualche straccio che trovò in
giro, e si accinse ad uscire, per la prima volta dopo molte ore.
Quando aprì la porta,
non poté credere ai propri occhi. Era tutto bianco. Nel mondo di Harlowhy stava
nevicando copiosamente, ed al suolo la neve iniziava già a formare ingenti
accumuli. La foresta era quasi sparita; si potevano notare solo alcuni tronchi,
senza neppure più i rami. A terra, il sottobosco era morto, congelato sotto la
neve. Le capanne dei folletti non esistevano più; erano state distrutte,
schiacciate al solo insieme ai loro abitanti. Il ragazzo notò che era solo, in
mezzo a quel cataclisma.
Ebbe i brividi, e non solo per la paura. La temperatura stava
crollando rapidamente di molti gradi al di sotto dello zero. Si recò
rapidamente nella zona dove sorgeva la capanna del suo amico Jack. Affondò le
mani nella neve, alla ricerca di tracce della capanna. E le trovò,
fortunatamente senza troppi sforzi. Iniziò a spingere via la neve, e giunse
alle travi del tetto, che era crollato su sé stesso. Quindi, il suo amico Jack,
o vivo o morto era lì sotto.
Scavò con rinnovata energia, e spostò le travi e la paglia
superstite.
‘’Jack! Jack! Amico mi senti?’’, continuava a ripetere, con
la voce rotta dalla disperazione e dal freddo.
Pensò di morire lì,
non aveva più energie. Ma ad un tratto udì una voce flebile.
‘’Sono.. qui… aiuto..’’, stava sussurrando.
Sam riconobbe la voce dell’amico, e riprese a scavare con
nuove speranze. Spostando un'altra trave, non molto lunga ma pesante, vide
spuntare un po’ di pelo dai detriti. Si buttò a capofitto, scavò come un folle,
ed in breve tempo rinvenne l’amico. Era tutto ammaccato, aveva lividi ovunque
ma non sembrava ferito. Finalmente Sam poté lasciarsi andare, e si lasciò
cadere a terra, distrutto dallo sforzo e dal freddo.
’’Grazie amico! Senza il tuo aiuto, sarei sicuramente morto
lì sotto’’, disse il folletto, indicando il mucchietto di macerie da dove era
stato tratto in salvo.
’’Jack, che sta succedendo? Mi avevi detto che qui ad
Harlowhy non esiste il tempo, né le stagioni e neppure le tempeste’’, chiese
Sam, con voce flebile.
’’Non lo so, amico. Puoi star certo che da quando questo
magico mondo è stato creato, non è mai successo nulla di simile’’, disse il
folletto, affranto.
Sam si passò le mani tra i suoi folti capelli, e si guardò
attorno. La neve non accennava a smettere di cadere, e il manto bianco
aumentava continuamente il suo spessore. E le temperature erano in caduta libera.
’’Jack, caspita, devi coprirti un po’ o morirai assiderato’’,
disse Sam.
‘’Non ti preoccupare; tanto questo sarà frutto solo di un
interferenza momentanea … Vedrai, presto il clima si risistemerà e tutto
tornerà a posto’’, disse il folletto.
Le sue parole, purtroppo, lasciavano trasparire chiaramente
tutta l’insicurezza del caso. Intanto, si iniziavano a sentire deboli lamenti,
soffocati dalla neve. Erano gli altri folletti sopravvissuti, che cercavano di
salvarsi.
’’Presto Jack, aiutami. Dobbiamo salvare gli altri folletti’’,
disse Sam, risoluto.
Ma non aveva fatto i conti col suo corpo, che aveva ripreso
sensibilità, gli faceva male, e allo stesso tempo gli faceva capire che non
avrebbe potuto sforzarlo troppo. Con un gemito di dolore, Sam riuscì a
rimettersi in piedi. Il suo amico folletto, invece, pareva mosso da una forza
sconosciuta, e si era già gettato a capofitto nell’operazione di salvataggio.
’’Dai Sam, per favore, dammi una mano..’’, chiese l’amico
folletto.
Sam arrancò fino al punto da cui si sentiva provenire i
lamenti di un folletto. Una mano robusta e callosa si appoggiò sulla schiena di
Sam, che si girò immediatamente. Era un altro folletto del villaggio.
’’Vorrei dare una mano anch’io’’, disse.
’’Ma certo’’, dissero i due amici insieme, e i tre si misero
a scavare e a spostare assi.
Con il passare del
tempo, si aggiunsero altri folletti, che erano riusciti a salvarsi, ed anche
alcuni unicorni, che cercavano di fare del loro meglio utilizzando i duri
zoccoli, mentre i folletti creavano pale improvvisate, sfruttando assi semidistrutte..
Intanto il mondo magico stava sprofondando in una notte profonda. La neve
continuava a cadere incessantemente.
Ad un certo punto, fu impossibile continuare i lavori di
salvataggio, poiché il buio e la neve ostacolavano la visuale. Fortunatamente,
Jack riuscì a dare una contata ai suoi, ed affermò che c’erano tutti. Sam tirò
un sospiro di sollievo.
’’E ora che si fa? Non possiamo restare qui fuori o moriremo’’,
fece notare un folletto.
‘’ La mia capanna dovrebbe essere ancora in piedi. Lì dentro
c’è posto per tutti, e potremmo riuscire ad accendere un fuoco. Seguitemi
tutti, e state attenti a non perdervi nella tormenta’’, disse Sam, prendendo,
per un attimo, il comando.
Seguendo i suoi ricordi e il suo istinto, Sam riuscì a
ritrovare la sua capanna. Fortunatamente, non era crollata, ma la neve ne
ostacolava l’ingresso. Con due pale improvvisate, due folletti ne sgombrarono
l’ingresso, e finalmente tutti poterono accedere al comodo locale. Come aveva
previsto Sam, c’era posto per tutti all’interno, sia per il grosso umano che
per i piccoli folletti. Gli unicorni preferirono andarsi a riparare sotto una
tettoia nel retro della capanna. Si stava stretti, ma questo non era di certo
un male; infatti, i corpi ravvicinati si scaldavano a vicenda. Sam riuscì a
trovare due pietre focaie nei suoi indumenti. Se le portava sempre dietro,
ovunque andasse.
A tentoni, riuscì a
trovare un pugno di paglia piuttosto asciutta, e qualche pezzo di legno. Iniziò
a sbattere le due pietre. Le mani gli facevano male, ma continuò. Poco dopo,
ecco la prima scintilla. Non incendiò la paglia. Pazienza. Riprese di nuovo il
suo lavoro con le pietre.
Ecco, una seconda scintilla. Non incendiò la paglia.
Sconfortato, Sam imprecò rumorosamente, ed alzò lo sguardo, scoprendo che era
osservato da tutti i folletti. La calma si rimpossessò di lui, e riprese ad
agitare le pietre. Una terza scintilla finalmente prese a bruciare la paglia.
C’era riuscito, finalmente. Dopo poco, prese qualche pezzetto di legno e lo
mise sopra la debole fiammella, che lo iniziò a divorare rapidamente. Ben
presto fu chiaro che serviva legna; Sam non esitò un attimo e iniziò a spezzare
le pale dei folletti, che iniziarono a lamentarsi.
’’Che c’è? Se non bruciamo le pale, il fuoco si spegnerà.
Volete morire assiderati?’’, chiese Sam.
Le lamentele si placarono subito. Il legno era umido, e ben
presto la capanna fu invasa da un leggero fumo, che sfumava i contorni delle
cose, mentre il calore emanato dal fuoco dava pace ai sopravvissuti, che si
sentirono sollevati. Lentamente, il corpo di Sam fu preso dal torpore, era
stanco. Il fuoco gettava luce sui volti dei folletti, e notò che molti
dormivano. Il tempo era tornato a scorrere nel mono magico, e i folletti erano
tornati esseri viventi. Poi il fumo gli impedì di avere la totale padronanza di
quello che lo circondava. Si addormentò anche lui, lasciando il fuoco
incustodito.
Calci e colpi. Sam sentiva solo calci e colpi violenti che si
abbattevano sul legno. Sì, li continuava a sentire, ma probabilmente stava solo
sognando. O forse no.
Aprì gli occhi. Era disteso nel mezzo della sua capanna, ed
effettivamente qualcuno stava bussando con forza alla porta, che probabilmente
era stata bloccata da un qualche folletto durante la notte. Poco distante da
lui, c’erano i resti del fuoco, cioè alcuni pezzetti di carbone scuro. Doveva
essersi spento già da molto tempo.
Eppure non faceva freddo. Eppure c’era la luce.
Volse lo sguardo verso
la finestra. Entrava la luce calda del sole, e non c’era nessuna traccia della
neve e del buio di poco prima.
I folletti
continuavano tutti a dormire, così come gli unicorni, che russavano
rumorosamente al di là della parete. Un'altra raffica di pugni costrinse Sam ad
alzarsi. Si avvicinò quatto alla porta, cercando di non disturbare i folletti.
Nonostante tutto, alcuni iniziavano a svegliarsi.
Quando fu davanti alla porta, venne assalito da un dubbio.
Aprire o non aprire? Era questo il suo dilemma. Chissà chi era quello che
bussava, e cosa voleva. Decise in fretta, prese una delle poche pale superstiti
dei folletti ed aprì lentamente la porta. Si trovò davanti Saby.
’’Alla buon ora! Finalmente! E’ da un bel po’ che calcio in
questa maledetta porta. Dimmi, umano, volevi farmi spezzare gli zoccoli eh?’’,
chiese con arroganza l’unicorno. Era furente.’’Dove sono i folletti e gli
unicorni?’’, chiese, senza lasciarlo parlare.
’’i folletti sono qui dentro, al sicuro. Gli unicorni sono
sotto la tettoia qui dietro. Riposano tutti’’, disse Sam.
’’E’ meglio che si sveglino. Senti umano, io devo parlare con
te e con Jack, urgentemente. Quindi sveglialo e portalo qui da me’’, disse
l’unicorno.
Sam era traumatizzato;
non aveva mai visto nessuno così arrabbiato nel mondo magico. Nonostante fosse
tornato il sole, le creature risultavano ancora molto cambiate nei loro
comportamenti. Erano più ‘umane’ del solito. Jack, che nel frattempo si era
svegliato ed aveva sentito tutto, si avvicinò alle spalle di Sam.
’’Non c’è bisogno che tu mi faccia svegliare. Sono qui’’,
disse il folletto, tra l’altro in maniera prepotente.
Sam e jack uscirono dalla capanna e richiusero la porta
dietro di loro. Qualunque cosa avesse da dire l’unicorno, era un discorso
riservato solo a loro due. Saby attese un attimo prima di iniziare a parlare,
forse nel tentativo di calmarsi un po’. Sam notò che all’esterno tutto era
tornato alla normalità, o quasi; come incanto, gli alberi erano tornati belli,
forti e ricoperti di foglie, mentre un fitto sottobosco di arbusti e fragole in
fiore inebriava di profumo i due amici. Il cielo era limpido e terso, e solo
all’estremo orizzonte era visibile ancora qualche nube. Anche Jack appariva
colpito da quel cambiamento repentino.
’’Perché lo hai fatto?’’, chiese infine Saby, pronunciando le
parole ben scandite, come se volesse trattenersi.
’’Fatto cosa?’’, chiese Jack.
’’Non fare finta di non sapere’’, continuò ad infierire
Saby.’’Solo tu avevi il potere di farlo.’’.
’’Continuo a non capire’’,precisò Jack. Sam si limitò a stare
in silenzio.
’’Ora basta! Hai dato la pozione all’umano’’, disse Saby con
foga crescente. Jack parve intimidito dall’unicorno.
’’Sì, certo, l’ho fatto, ma solo perché voleva andarsene di
qui.. per via dei suoi bisogni. Non ho fatto nulla di male’’, concluse il
folletto.
’’Non hai fatto nulla di male eh? Hai quasi distrutto il
nostro mondo grazie al tuo errore. Non te ne sei accorto vero?’’, disse
l’unicorno, in un misto crescente di disprezzo e rabbia.’’Non lo sapevi che la
pozione del mondo magico è stata creata solo per creature magiche, e non per
gli umani? Ti avevo dato delle precauzioni ben precise. Eppure tu eri il
detentore dell’ultima dose. Ho deciso di fidarmi di te perché tra i vari capi
mi sembravi il più saggio. Invece non lo eri, hai fatto del male a noi e all’umano’’.
’’A me? Cosa centro io in tutto questo? A me del male qui non
me ne ha fatto nessuno’’, disse ingenuamente Sam.
’’Ah no? Tra poco lo vedrai con i tuoi occhi’’, disse Saby.
Jack era affranto e disperato, i suoi giorni di gloria nel
mondo magico erano in pericolo.
’’Sì, purtroppo ricordo le precauzioni che mi avevate detto.
Non le ho rispettate, ma ho agito in buona fede. Mi dispiace’’, disse il
folletto, che stava per mettersi a piangere.
’’Mi dispiace molto, Jack. Giuro, mi dispiace veramente. Ero
molto legato a te. Il tuo grave errore ha messo in pericolo tutte le creature
del mondo magico e quasi sicuramente rovinerà la missione dell’umano. Hai
sancito la tua fine’’, disse Saby, sta volta con voce amareggiata.’’Tra poco vi
mostrerò il risultato dell’errore di Jack, quando i miei assistenti saranno
pronti. Il mondo magico è stato sconvolto, e il Grande Drago sta impiegando
tutte le sue energie per ripristinarlo, almeno in parte. Quello che è successo
lo capirete a breve, come vi ho già detto. Il consiglio delle creature magiche
vuole vedervi subito. Per l’umano deve decidere se appoggiare la sua missione o
no. Per te, jack, si deve decidere il tuo destino e quello del tuo popolo’’.
‘’No! Punite me ma non il mio popolo. L’errore è stato mio’’,
disse il folletto.
’’Mi dispiace, così è deciso. Ora aspetterete qui, sotto la
mia sorveglianza, l’arrivo dei miei assistenti, così capirete la causa del
trambusto. Poi andremo tutti alla sede del consiglio magico, dove saranno
emesse le due sentenze. Così è stato deciso e così sarà’’, concluse Saby, che
poi si allontanò di qualche passo, lasciando i due amici nella disperazione.
Jack era disperato, piangeva. Sam si limitò a sedersi a terra
e ad attendere di conoscere il motivo che avrebbe creato disagi alla sua
missione. Ormai era pronto a sopportare di tutto.
NOTA DELL’AUTORE
Vorrei ringraziare, ancora una volta, Steph808, che ha deciso
di mettere la mia storia tra le sue preferite. Ho finito le parole per
ringraziarti, veramente, grazie infinite per la fiducia che stai riponendo nel
mio racconto. E grazie anche per le recensioni, che mi sono risultate
utilissime per comprendere dove sbagliavo, se potevo fare meglio, e se invece
la mia storia poteva già andare bene così. Grazie, grazie, e grazie ancora.
Vorrei ringraziare anche Amisa, che ha scelto di seguire la
mia storia. Grazie, Amisa.
Naturalmente, ringrazio anche tutti gli altri lettori.
Ragazzi/e, non siate timidi, se volete esprimere un giudizio, le vostre
recensioni sono sempre ben accette. Grazie a tutti.
AVVISO PER I LETTORI
Cari lettori, questa è stata una settimana molto produttiva
per me. Quindi voglio darvi la notizia che la prossima settimana pubblicherò
ben due capitoli, invece che uno solo. Ne pubblicherò uno nella giornata di
mercoledì, ed un altro nella giornata di sabato, come di consuetudine. Grazie a
tutti.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10
CAPITOLO 10
I Demoni erano impazienti.
Non ne potevano più di
restare fermi in quella fanghiglia, e neppure le torture mentali notturne che
applicavano ai soldati servivano più a farli divertire.
Non facevano altro che pensare a quello stupido re, lo odiavano.
A parte il fatto che loro odiavano tutte le creature, e in particolar modo gli
umani, poiché erano i più ingenui, quel re non riuscivano proprio a
sopportarlo. L’unico sollievo era quello di pensare a come punire quel Fermei.
Oh, quante sofferenze gli avrebbero creato prima di ucciderlo. Ecco, grazie a
questo pensiero ora si sentivano già più soddisfatti.
Si alzarono e si
incamminarono verso la tenda reale, volevano nutrirsi abbondantemente e
riprendere le conquiste. Le province del nord erano diventate invivibili
persino per dei Demoni che non temevano neppure le malattie.
Camminando tra le sudice tende dell’accampamento, notarono
che i soldati quel giorno li guardavano con particolare disgusto e odio.
Naturalmente era pienamente ricambiato. Un soldato li guardò con più cattiveria
degli altri, tanto da riuscire a farla percepire chiaramente dai Demoni.
’’Aspetta che si faccia notte, verme, così ti faremo visita’’,
bisbigliò la voce d’oltre tomba, stando attenta a non farsi sentire.
Giunsero alla tenda imperiale, ed irruppero dentro, senza
badare alle quattro guardie impaurite, che si erano fatte subito da parte,
abituate a quel comportamento insolente. Il Gran re era seduto sul suo solito
scranno, ed era impegnato in una conversazione con i suoi generali. Si dimostrò
infastidito alla vista dei Demoni.
’’Scusate, miei alleati, non vi ho convocato. Ora uscite dalla
mia tenda e tornate più tardi’’, disse il re, con tono seccato.
’’Ci dispiace, nostro re, ma noi abbiamo delle richieste
urgenti da farvi’’, disse la voce demoniaca.
’’Oh, bene, visto che insistete ne ho alcune anch’io da farvi’’,
disse Fermei. Il suo tono confidenziale voleva evidenziare l’insolenza dei
Demoni, che sentirono crescere una rabbia primitiva dentro di loro, e cercarono
di calmarsi.
’’Noi, nostro re, vorremmo partire alla conquista dei
territori della provincia di Palok. Siamo stanchi di attendere’’, dissero al
re.
’’No, è ancora presto. Mi servono ancora un paio di settimane
per organizzare un buon piano d’invasione. Non posso attaccare allo sbaraglio.
Ho mandato alcuni uomini fidati nei territori limitrofi per avere maggiori
informazioni sulla presenza di soldati e sulle fortificazioni. Comunque, come
stavo precisando ora con i miei generali, mi servono ancora una decina di
giorni per avere un buon piano in mente. Quindi non parte nessuno’’, concluse
Fermei, risoluto.
I Demoni si
irritarono. Il re sapeva bene come doveva muoversi, ma voleva prendersi del
tempo per se, per stare con quella schiava.
’’Scusi l’impertinenza, sire, ma vorremmo sapere dovremo
aspettare una decina di giorni a causa delle scarse informazioni sul territorio
o a causa di una bellissima schiava bisognosa d’amore e di cure?’’, dissero
tutto d’un fiato.
Nella tenda, i
generali indietreggiarono ed abbassarono lo sguardo, imbarazzati. Il re era su
tutte le furie. Non poteva lasciar correre una simile offesa come se niente
fosse.
’’Non permettevi più di rivolgervi a me in questa maniera.
Siete miei alleati, e io vi rispetto e vi fornisco il cibo. Ma voi mi fate solo
pressioni, siete insolenti e disturbate i miei soldati’’, disse il Gran re,
quasi urlando.
’’Vi preghiamo di scusarci, sire. Non volevamo offenderla’’,
dissero i Demoni, soddisfatti per aver svergognato il re di fronte ai suoi
generali.
’’Ora vi devo fare io una richiesta importante. Anzi, due’’,
disse Fermei.’’Non permettetevi mai più di turbare il riposo dei miei soldati.
Il vostro male tenetevelo per voi, anzi fatevene una buona scorta da sfruttare
sul nemico. Inoltre, non dovete interessarvi della mia vita personale’’,
concluse.
’’Va bene, sire. Ci dispiace, non volevamo creare disguidi
all’interno del nostro rapporto d’alleanza. Ora se non le dispiace dovremmo
congedarci, ci riteniamo soddisfatti delle vostre risposte. Però potrebbe assegnarci
un buon numero di schiavi? Abbiamo fame’’, chiese infine la voce.
’’ Sì, certo, ma non più di dieci. Chissà che soffrendo la
fame non diventiate un po’ meno acidi’’, concluse il re, facendo il gesto di
congedo.
I Demoni non replicarono, per quella giornata avevano offeso
fin troppo. Quando uscirono dalla tenda, erano molto arrabbiati. Il loro
profondo odio per quel re era immenso.
Ma almeno quella mattina si erano divertiti un po’ a
stuzzicarlo.
Quando videro gli
schiavi, si sentirono ristorati. Era un magro pasto, ma erano certi che tra ben
poco avrebbero avuto più cibo a disposizione. Iniziarono a selezionare le
vittime, soddisfatti.
Quella notte, nonostante il divieto, sarebbero andati a fare
visita alla mente di quel verme di soldato che li aveva fissati con odio. Si
sarebbero sicuramente divertiti.
Fermei era arrabbiatissimo. I Demoni erano appena usciti
dalla tenda, e lo avevano svergognato e importunato con un modo di fare
inammissibile. Ma gli facevano comodo, non poteva metterseli contro. Sperava
che non se la fossero presa troppo per quello che aveva detto, ma doveva
salvare la faccia. Non concluse il discorso con i generali; anzi, li congedò
velocemente.
Tanto erano solo lamentele.
Tutti si lamentavano che il cibo scarseggiava, l’acqua era
sporca, c’era la malaria e altre febbri. Ma lui non poteva farci nulla. In
realtà, però, il piano d’invasione l’aveva già formulato da alcuni giorni.
La verità era che Ilse
ultimamente si era ammalata, ed era preferibile non spostarla, quindi aspettava
la sua piena guarigione. Aveva paura che morisse, che lo lasciasse solo. Ma non
voleva pensare male, la ragazza si era dimostrata forte.
Nonostante tutto, si
sentiva in colpa. I suoi soldati soffrivano immensamente, immersi nel fango e
tutti sporchi. Stavano male, proprio come Ilse. Prese una decisione rapida; al
più presto avrebbe ripreso la campagna di conquista. Sapeva che un grosso
esercito imperiale era già in procinto di partire da Fortwar, e non poteva
permettersi di farsi cogliere impreparato.
Si rilassò per un attimo, poiché era arrivato a giungere ad
una conclusione. Però il suo pensiero razionale fu subito allontanato dal
pensiero della sua giovane amata, sofferente. Quel pensiero gli fece
dimenticare la campagna militare e le insolenze dei Demoni.
Era il potere dell’amore.
Ilse era stata veramente male. Ad un certo punto era arrivata
a pensare che sarebbe morta.
Il giorno successivo
alla prima notte d’amore con Fermei, si sentiva tremendamente stanca.
All’inizio pensò che la stanchezza fosse dovuta solo al fatto che durante
quella notte aveva riposato decisamente troppo poco. Ma nel pomeriggio di
quella stessa giornata, si sentì talmente tanto spossata che richiese
l’intervento di un medico. Naturalmente, il medico le fu inviato subito.
Al seguito dei Popoli del Gran re c’erano pochi medici, ma
tutti molto bravi. Non venivano utilizzati per gli umili soldati, ed erano a
disposizione solo delle persone importanti.
Il medico le diagnosticò subito una grave forma d’influenza,
e gli lasciò al suo fianco un assistente, che l’aiutasse a bere liquidi amari e
che ogni tanto le bagnasse la fronte, per far calare la temperatura. Per due
notti e due giorni aveva delirato, era diventata pallidissima e molto debole.
Ma ora si sentiva
decisamente meglio. Si alzò piano dal letto in cui aveva riposato per tre
giorni. Ignorando le lamentele che gli porgevano le guardie e l’assistente del
medico, Ilse camminò fino alla porta della tenda, e uscì all’esterno. Fece un
profondo respiro. Attorno a lei c’era solo fango e schiavi sporchi. L’odore era
terribile. Rientrò subito, e notò che tutti la guardavano, sbalorditi.
’’Bèh, che c’è da guardare? Non avete mai visto nessuno
guarire?’’, chiese gentilmente, con un lieve sorriso sulle labbra. Era felice,
poiché ora stava molto meglio.
’’No, signora, non abbiamo mai visto nessuno guarire da
queste febbri. Chi ne è afflitto muore entro due giorni dalla comparsa dei
primi sintomi’’, disse l’assistente.
’’Forse non sono assistiti bene come lo sono stata io’’,
disse Ilse,’’E non chiamatemi più signora. Chiamatemi semplicemente Ilse.
D’altronde, non sono altro che una schiava’’.
Tutti i presenti nella tenda si guardarono l’un l’altro. Fu
solo uno sguardo fulmineo. Tutti sapevano che era l’amante del re. Sorrise
debolmente.
’’Per favore, portatemi un po’ d’acqua’’, disse.
Ci fu un parapiglia per eseguire l’ordine, e Ilse rise ad
alta voce.
’’Vedo che oggi stai meglio, amore’’, disse l’inconfondibile
voce di Fermei.
Subito Ilse tornò a girarsi verso la porta. Il re era appena
entrato, e la stava guardando. Le stava rivolgendo un magnifico sorriso. Ilse
sorrise e corse ad abbracciarlo.
’’Sì, Fermei, sto meglio. Molto meglio. Entro un paio di
giorni penso di riuscire a tornare in forze completamente. Così potrò seguire
le tue nuove conquiste’’, disse Ilse.
’’Ma certo. Ma non sforzarti troppo. Ti serve qualcosa?’’,
chiese il re, preoccupato.
’’No, non mi serve nulla; guarda, ho tutto quello che mi
serve. Acqua, cibo, una tenda riscaldata e brave persone che eseguono ogni mia
richiesta’’, rispose, indicando le guardie e l’assistente medico che guardavano
a terra, imbarazzate.
’’Molto bene allora. Penso di ripartire tra tre giorni.
Riprenditi. Questa sera ripasserò a trovarti’’, disse il re, che si voltò ed
uscì a grandi passi dalla tenda.
Ilse lo guardò, mentre
se ne andava. Era certa che la fortuna fosse dalla sua parte, ora. Aveva
sconfitto una malattia mortale, aveva al suo fianco un uomo ricco e potente che
l’amava, e ben presto, se le cose fossero continuate ad andare così bene,
sarebbe divenuta un’imperatrice.
Lei, però, nel suo intimo poteva ammettere che non amava il
Gran Re. in realtà, lei non riusciva ad amare nessuno. In fondo, si disse, non
era tanto diversa da quei Demoni che scorrazzavano liberi per l’accampamento. Era
solo un’approfittatrice. L’aveva capito durante il periodo di malattia. Ma ora
non voleva pensare più a queste cose.
Sorrise, tutta felice,
e tornò a sdraiarsi nel suo comodo letto.
Fermei era felice. Ilse stava meglio, e quindi poteva muoversi.
Prese una rapida decisione; se tutto avesse continuato andare
bene, entro due giorni avrebbe iniziato ad invadere la grande provincia
centrale dell’impero, quella di Palok.
Decise di riconvocare immediatamente i suoi generali. Ben
presto ci sarebbero state grandi battaglie.
Si risistemò nella sua tenda, ed attese pazientemente. Si
sentiva felice di poter riprendere le conquiste.
Tutto aveva ripreso la giusta piega.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti. Ragazzi/e, volevo informarvi che se vi appare
un capitolo in più (ora dovrebbero essere 11 invece che 10), è solo perché ho
pubblicato un piccolo prologo, che ho messo al posto del primo capitolo. Non mi
piaceva ‘forzare’ il lettore e gettarlo direttamente all’interno del racconto,
quindi ho deciso di pubblicare questo prologo per spiegare brevemente
l’evoluzione del racconto. Contiene anche alcune piccole anticipazioni anche
per voi, che avete seguito la mia storia fino a questo punto. Se volete, potete
darci un occhiata anche voi. Non preoccupatevi, ogni vostro dubbio sarà risolto
entro un paio di capitoli. A parte l’aggiunta del prologo, la storia è intatta,
non ho cambiato nulla. Ringrazio Steph808 per i consigli e le recensioni. Grazie
a tutti. A sabato J
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11
CAPITOLO 11
Il mattino successivo ai tumulti, Tim e Sergej si alzarono di
buon ora e fecero una piccola colazione. Purtroppo, Tim non aveva molti generi
alimentari in casa, poiché era sempre molto impegnato e difficilmente
trovava il tempo per fare compere al
mercato.
Comunque, i due si saziarono, e si prepararono ad uscire per
andare al palazzo. un attimo prima di uscire, un portaordini bussò alla loro
porta, lasciando un messaggio scritto.
Tim aprì con foga il
sigillo. Il messaggio era stato scritto dall’imperatore in persona, che li
invitava ad andare sui bastioni delle mura di Fortwar, i più spaziosi in
prossimità della porta principale, per porgere saluto alle truppe del generale
John, che si accingeva a partire per Palok. Ovviamente, anche per quel giorno
le esercitazioni e gli allenamenti militari erano sospesi.
I due quindi si
incamminarono verso le mura. Ovunque, per le strade imperversava il malumore.
Il popolo non gridava più, ma guardava con fare malevolo i due amici, che erano
in tenuta militare.
La città riportava i segni di una notte di tumulti.
Immondizia, pezzi di legno e forconi spezzati giacevano ovunque.
Attraversarono la piazza centrale, e notarono che di fronte
al palazzo c’era ancora un folto gruppo di popolani in rivolta, che tiravano
sassi all’interno del giardino e verso il palazzo. Poi, i due amici si
apprestarono a raggiungere rapidamente le mura, senza guardarsi troppo intorno,
spaventati.
Quando giunsero a destinazione, notarono un grande
assembramento di soldati, molti dei quali stavano per partire alla volta di
Palok. Tim e Sergej salirono sui bastioni, e ciò che videro non fu positivo.
C’erano ancora numerosi tumulti in atto, in tutta la capitale. Il rumore di
passi li tolse dai loro tristi pensieri. Si voltarono, e si trovarono di fronte
l’imperatore Iulius e il generale John.
‘’Salve, Imperatore!’’, dissero i due amici.
Iulius era immerso in una fitta e seria conversazione con il
generale, e notò i due solo perché lo avevano salutato. L’imperatore interruppe
bruscamente la conversazione, il suo bel volto era incorniciato da una barbetta
mal curata ed aveva uno sguardo molto stanco, senza neppure una traccia del suo
solito buonumore.
‘’Buongiorno! Tim e Sergej, era da un bel po’ che volevo
vedervi. Vi volevo far conoscere il grande generale dell’impero, che voi
sostituirete in città nella sua assenza. Questo è il miglior generale supremo
che l’impero abbai mai avuto, il generale John. John, questi sono Tim e Sergej,
due ragazzi molto bravi con le armi che ti sostituiranno’’, disse Iulius.
I due amici strinsero
la mano tesa del generale. John era un uomo maturo, i capelli iniziavano a
diventare bianchi, ed aveva una folta barba bianca ben curata. Aveva una stazza
imponente, e in battaglia doveva essere un uomo in grado di farsi onore.
Nonostante ciò, non convinceva i due amici. Era vestito
sontuosamente, e aveva un aria di superiorità, e quando strinse la mano ai due
amici fece una faccia strana, come se avesse fatto quel gesto solo per
compiacere l’imperatore.
‘’Piacere di conoscervi. Ma, mio signore, non credete che
siano troppo giovani? A mio parere sono inadatti per ricoprire un ruolo così
importante’’, disse John, seccamente.
I due amici ebbero un
moto di rabbia, che nascosero molto bene. John aveva l’aria di un pallone
gonfiato.
‘’Ricorda che è solo un ruolo temporaneo; ovviamente, quando
ritornerai, perché son certo che lo farai, ti riprenderai il tuo posto’’, disse
Iulius, impaziente di riprendere la conversazione privata con il generale.
’’Bene, tra poco terremo un discorso davanti all’esercito.
Voi due e i soldati che resteranno in città assisterete dai bastioni, pronti ad
intervenire con frecce se qualcosa va storto. Armate gli uomini e salite, ed
ascoltate attentamente. Voglio degli arcieri anche sui camminamenti. A dopo’’, disse Iulius, troncando così il loro
discorso, e riprese a parlare a bassa voce con il generale, dando le spalle ai
due amici, che si affrettarono a scendere e a radunare tutti i soldati che
sarebbero rimasti in città, per farli salire sui bastioni. Li munirono anche di
arco e frecce, per precauzione, come era stato loro ordinato.
Era ovvio, comunque, che Iulius era cambiato molto negli
ultimi giorni. Ed ora sapevano che erano solo marionette dell’imperatore, e che
per lui non contavano niente, servivano solo per impartire qualche allenamento
alle truppe cittadine e basta. Chissà che fine avrebbero fatto, se John avesse
compiuto un miracolo sconfiggendo il nemico, e se fosse tornato vincitore nella
capitale.
Di certo potevano
scordarsi il loro nuovo lavoro.
Accumunati da pensieri
tristi, i due amici si sistemarono con i loro soldati sugli spaziosi bastioni
di Fortwar, che erano ampi proprio in corrispondenza della porta principale,
dove le truppe in partenza si stavano chiudendo nei ranghi di marcia.
Dopo circa un ora di trepidante attesa, il generale John
prese posto di fianco alle sue truppe e l’imperatore comparve, circondato da
una folta scorta di guardie del corpo. Intanto, la gente stava fluendo tutta
verso di loro, per udire il discorso dell’imperatore.
L’imperatore si fece avanti, e si mise per un momento in
mostra, pensando di essere al sicuro.
Aveva tutti gli occhi puntati su di lui, e tra pochi secondi
avrebbe iniziato il suo discorso di saluto alle truppe in partenza. Ma il suo discorso
non lo iniziò mai.
Inizialmente il popolo iniziò a mormorare, poi iniziarono
grida di scherno verso i soldati in partenza. Infatti, i soldati diretti a
Palok erano tutti stranieri, col fatto che nessuno di loro era nato nella
provincia di Fortwar, ma erano stati costretti a venire lì dalle province del
nord e del centro dell’impero.
Poi accadde
l’imprevedibile; un cittadino prese un grosso sasso, e lo scagliò verso
l’imperatore, con una mira eccellente.
L’imperatore cadde.
Il suo volto grondava di
sangue, e le sue grida di dolore giungevano ovunque. Il popolo, invece di
ritirarsi, parve rinforzato ed iniziarono a comparire forconi e armi varie. Il
generale John fu subito a fianco dell’imperatore, che se ne stava in uno stato
di incoscienza, ma quando lo vide riuscì a pronunciare una frase, un ordine.
’’Bisogna allontanarli da qui, o mi ammazzeranno. Dì ai tuoi
soldati di caricare e disperdere la folla, dandogli una bella lezione. Arcieri,
tirate!’’, gridò con una potenza inaudita l’imperatore, prima di svenire
definitivamente.
Tim e Sergej non poterono far altro che ordinare ai loro
ragazzi di scagliare frecce sulla folla. I soldati sui bastioni attesero un
istante, titubanti. Sapevano che tra la folla poteva esserci anche un loro
parente o amico. Ma gli ordini erano ordini, e andavano rispettati.
Partirono le prime frecce, che parvero flebili e che
mancarono i bersagli. Le milizie cittadine stavano dalla parte dei civili.
Ma la situazione degenerò; John diede ordine di vendicarsi e
di caricare la folla con violenza. I soldati, che fino ad un attimo prima
dovevano andarsene, sguainarono spade e mazze e si avventarono sui civili, di
cui gran parte non era neppure armata.
La folla si disperse in un batter d’occhio, ma i soldati
inseguirono i civili per le strade, attaccando le case e distruggendo tutto.
Intanto, l’imperatore svenuto veniva caricato su un carro ben protetto da un
grosso contingente di guardie, per essere riportato al palazzo. ben presto, di
fronte alla grande porta principale c’erano rimasti solo alcuni capannelli di
soldati che assaltavano alcuni civili indifesi.
Tim si girò a controllare i suoi uomini, e poi notò che il
ragazzo vicino a lui scagliò una freccia. Una freccia che colpì in pieno un
altro soldato al di sotto dei bastioni.
‘’Sei impazzito?’’, chiese Tim, gettandogli via l’arco.
‘’No signore; quei soldati stanno uccidendo della povera
gente innocente. L’ordine era di disperdere la folla, e non di massacrare i
civili per le strade e assaltare le abitazioni. Sono dei tiranni, il generale
produrrà danni irreparabili alla città’’, disse il ragazzo.
Tim non poté far altro che annuire. Il ragazzo aveva ragione,
John stava soltanto istigando le sue
milizie contro il popolo solo per sfogarsi e divertirsi, ora che l’imperatore
era in stato d’incoscienza.
Tim e Sergej non poterono far altro che costringere i loro
soldati a lasciare gli archi, e non li fecero scendere dai bastioni. Erano
impotenti, i soldati del generale erano forti e maggiori in numero, e poi non
si poteva incorrere nelle ire dell’imperatore, se si attaccavano truppe amiche.
Rapidamente si fece sera, mentre da ogni parte della città si alzavano le
fiamme delle case incendiate. Fortwar si stava distruggendo da sola.
I soldati della milizia cittadina sbraitavano e si agitavano.
Riconobbero di essere inferiori ai soldati di John, e piansero in silenzio, pregando solo che le
loro famiglie fossero al sicuro.
Infine, con l’arrivo delle tenebre, il grande esercito del
generale si radunò di fronte alla porta principale, si decise a lasciare la
capitale, e partì alla volta di Palok, a marce forzate per recuperare il tempo
perduto. Il giorno successivo, Tim e Sergej avrebbero dovuto fare la conta dei
danni.
Il mattino seguente, Tim e Sergej ispezionarono la città.
Cadaveri insepolti giacevano ovunque, e case e negozi erano stati incendiati e
razziati.
Fortwar giaceva in una condizione pietosa; non c’era tempo
per fare nuove conte dei danni, bisognava ricostruire fin da subito, grazie
all’aiuto delle milizie cittadine.
Il popolo era terrorizzato, e per le strade non c’era
nessuno.
Intanto, l’imperatore Iulius stava male ed era in fin di
vita, mentre l’impero di Fortwar restava così senza un capo, e con una capitale
semidistrutta.
Ci sarebbe stato molto lavoro da fare, per i due amici e per
i loro soldati.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la
lettura. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Naturalmente, se volete
potete lasciare una recensione. Mi farebbe molto piacere leggere le vostre
opinioni.
Ringrazio Steph808, questo è il tanto atteso capitolo sulla
rivolta J te
lo dedico. Grazie per aver seguito attentamente la mia storia, e per i
consigli. Spero ti sia piaciuto J .
Ringrazio anche Amisa, che sta continuando a seguire la mia
storia. Grazie J
Ragazze, avrei un quesito da porvi. Preferite che pubblichi
due capitoli a settimana(nelle giornate di mercoledì e sabato), oppure uno
solo(nella giornata di sabato)? Premetto che posso permettermi di pubblicare
due capitoli anche per le prossime due settimane. Spero mi rispondiate J
Alla prossima :)
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12
CAPITOLO 12
Sam e Jack restarono ad aspettare per un po’, lì sotto le
fronde di un grande albero.
Harlowhy sembrava essere tornato il mondo di sempre,
nonostante alcune nuvole nere continuassero ad offuscare l’orizzonte.
Lo sguardo di Saby,
che nel frattempo li stava controllando, era severo e duro. A poca distanza da
loro, i folletti e gli unicorni se ne stavano a discutere su ciò che era
accaduto al loro mondo. Apparentemente, nessuno aveva una spiegazione, a parte l’unicorno.
Sam non ne poteva più di aspettare. Voleva sapere cosa gli
stava venendo nascosto.
Jack era ancora seduto a terra, e a tratti si copriva il
volto con il suo bel cappello rosso, che ormai era tutto logoro, a causa degli
eventi atmosferici a cui era stato sottoposto. Eppure, nonostante continuasse a
piangere disperatamente, non aveva l’espressione di chi non ne sapeva nulla.
E Sam voleva delle
risposte subito. Così decise di farsi coraggio e di porre domande al folletto.
Si sedette a terra ed iniziò a parlare a bassa voce.
‘’Jack, tu sai in cosa consiste questo rischio per me,
vero?’’, chiese.
’’Temo di sì, ma non ne sono sicuro’’, disse il folletto,
sempre a voce bassa. Mentiva. Saby li fissava ma non fece nulla per farli
smettere di parlare, non gliene importava nulla. Sam decise di approfondire.
’’Jack, per favore, dimmi quello che sai! Non ne posso più di
aspettare’’, disse Sam.
’’Tra poco lo scoprirai; non affrettare le cose, e non avere
troppa fretta. Vedi, se è successo quello che temo, purtroppo, non è nulla di
positivo’’, concluse il folletto, che smise di asciugarsi le lacrime e si
calmò.
Sam non era soddisfatto, ma i suoi pensieri furono interrotti
da alcuni rumori di passi provenienti dalla foresta.
Sam si girò indietro, giusto in tempo per veder spuntare una
creatura bassa e grassoccia dalla foresta. La creatura si muoveva spedita, era
simile ad un umano ed aveva una lunga barba rossiccia. Era indubbiamente un
nano.
Questi, quando vide Sam, si fermò un attimo, impietrito. Poi
sul suo volto apparve un espressione tranquilla e si diresse verso Saby.
’’Saby, è qui dietro a me. A un tuo cenno, spunteranno i miei
aiutanti con il prigioniero. Ora è sedato, scusa per il ritardo ma il Grande
Drago ha impiegato molto tempo per farlo cadere in un sonno magico’’.
‘’Allora avete visto
il Grande Drago eh? Come sta?’’, chiese Saby, stupita.
Il nano sospirò, e fissò ancora una volta l’incredulo Sam,
che non capiva il perché di tutti quegli sguardi. I folletti, a loro volta,
ascoltavano nascosti dietro i cespugli.
’’E’ molto, ma molto arrabbiato. Fino a poco fa era furioso.
Sta spendendo un sacco di energie per ricostruire Harlowhy, e gli è toccato
pure sedare una creatura impazzita‘’, continuò il nano.
Jack trasalì, consapevole che di lì a poco la rabbia del
Grande Drago si sarebbe riversata su di lui, mentre Saby restò indifferente.
’’Bene, nano, mostra al nostro amico umano con chi dovrà
convivere d’ora in poi’’, disse l’unicorno.
Il nano batté le mani.
Dalla foresta uscirono
altri quattro nani, forti e robusti e dalle barbe lunghe. Trasportavano una
barella, sulla quale c’era qualcosa disteso.
Sam si alzò e cercò di vedere bene, ma la figura era coperta
da un telo bianco ed era incatenata, comunque pareva avere una forma umana. I
nani lasciarono a terra la sagoma, e si scostarono di poco.
‘’Dai, Sam, avvicinati
e sposta il telo bianco’’, disse Saby. Sam si avvicinò, quatto. Prese il telo,
si fece forza, e lo spostò, scoprendo la figura. Il ragazzo rimase sconvolto.
Quello che aveva di fronte era un umano addormentato. Ma non
era un umano qualsiasi.
Di fronte a lui, nel
terreno, c’era una pozzanghera, che rifletteva la scena. Sam la fissò per un
attimo, e comprese che non c’era alcuna differenza tra lui e l’addormentato.
L’umano che dormiva era lui stesso.
‘’Che significa?’’, chiese all’unicorno.
‘’Come avrai notato,
tu e lui siete identici’’, disse Saby, facendo poi una pausa.
‘’Questo l’avevo
capito anch’io’’, disse Sam, impaziente.
‘’Questa somiglianza non è frutto del caso. Tu e lui avete
convissuto fino ad ora nello stesso corpo. Come saprai, voi umani avete due
parti contrastanti dentro di voi. Una buona e l’altra cattiva. La pozione
magica che hai bevuto qui ad Harlowhy non era adatta per gli umani, ma solo per
le creature magiche, che non hanno questa distinzione. Dal momento che l’hai
bevuta, ti sei involontariamente diviso. Ultimamente ti è capitato di sentirti
diverso?’’, chiese Saby al ragazzo.
‘’Sì, a volte mi sento
come se avessi perso qualcosa di me, e non riesco a vedere il lato cattivo
delle cose. A volte resto apatico, per dirla breve’’, rispose Sam.
‘’Ecco. Ti dovrai abituare. Questa sarà la tua vita, d’ora in
poi. Ora arriverò al punto. Tutto il caos dei giorni passati, ed il ritorno del
tempo ad Harlowhy, è stato dovuto al fatto che questa tua parte umana,’’, ed
indicò il Sam dormiente, ‘’stava letteralmente distruggendo il nostro mondo.
Strappava i cespugli, rompeva i rami degli alberi, non portava rispetto alle
creature magiche. Così, l’equilibrio magico si è interrotto. Ci è voluto un po’
prima che il Grande drago riuscisse ad addormentare questo essere malvagio e
riuscisse a ripristinare, almeno in parte, il mondo magico’’, concluse
l’unicorno.
‘’E.. che rischi ci sono per me e per la mia missione?’’,
azzardò Sam, mentre Jack continuava a tenersi il volto tra le mani, senza
proferir parola.
‘’Lui, una volta svegliato, ti ostacolerà in tutto. Devi
tenere presente che in lui non c’è una parte buona, quindi non fidarti mai di
lui. Comunque, fintanto che resterai qui nel mondo del Grande drago, non
correrai pericoli. Lui continuerà a dormire’’, rispose l’unicorno.
‘’E non c’è un modo
per fare tornare tutto com’era prima della pozione?’’, chiese il ragazzo,
speranzoso. L’unicorno increspò le sue labbra, prima di rispondere alla domanda
dell’umano.
‘’No, non esiste un
rimedio. Il percorso è definitivo. Dovrai conviverci per sempre. Ricorda,
comunque, che se uno di voi due morirà, morirà anche l’altro. Siete divisi ma legati
da un legame inscindibile’’.
Sam guardò la sua copia. Stava dormendo beatamente. Per pochi
istanti, ci fu solo silenzio attorno a loro. Poi, Saby decise di interromperlo.
‘’Ora, dobbiamo metterci in marcia subito. Il Grande Drago ci
attende. Vuole risolvere questa situazione una volta per tutte. Ricordati,
umano, di portare rispetto al Drago. Da lui dipende il destino del tuo popolo.
Vedrai anche numerose creature magiche, che si riuniranno in consiglio per
giudicare te e Jack, in maniera distinta. Ma ora andiamo, non voglio perdere
altro tempo’’, disse l’unicorno.
Saby si incamminò di fronte a loro, mentre tre dei quattro nani si preparavano a trasportare
l’addormentato, ed il quarto legò Jack, come se fosse un fuorilegge, e prese a
tirarselo dietro.
Sam fissò il suo vecchio amico. Lo vide in miseria, legato
come un delinquente. eppure continuava a non capire perché gli avesse
somministrato la pozione, se era a conoscenza dei suoi effetti sugli umani. Si
avvicinò al folletto, per un istante.
‘’Perché lo hai fatto?’’, chiese, con un filo di voce. Il
folletto lo guardò, con gli occhi pieni di lacrime.
‘’Perché non ti sopportavo, Sam. Per te provavo lo stesso antico
rancore che portano tutte le creature magiche verso gli umani.’’, disse,
riprendendo a piangere.’’Ma Sam, perdonami, ho sbagliato. Tu in realtà eri un
bravo umano, un buon amico che mi ha pure salvato la vita. Perdonami, non
credevo che la pozione fosse realmente così pericolosa per gli umani. Perdonami’’,
concluse il folletto.
‘’Nonostante il fatto che noi, creature magiche, non abbiamo
un lato buono e uno cattivo, proviamo ugualmente rancore per un’unica razza;
quella umana. E’ universale, tra noi. Ci avete cacciato dalle nostre terre.
Questo comunque non giustifica la gravità del gesto commesso da Jack. Tu eri
solo un ambasciatore. E’ per questo che dovrà subire una punizione. Il Grande
Drago, probabilmente, lo condannerà a morte’’, disse un nano anziano, che aveva
origliato la conversazione tra i due ex amici, ed aveva deciso di intervenire.
Sam girò le spalle a Jack e al nano. Non voleva ascoltare
altro. Era stato preso in giro. Da tutti. Prima dal suo maestro, che gli aveva
affidato quella missione senza che fosse preparato ad ogni evenienza. Poi, da
quel folletto, che si era finto suo amico. Ne aveva abbastanza. Ora lo
aspettava pure un grande drago arrabbiato.
‘’Sam! Perdonami, Sam! Te ne prego. Mi sono comportato male,
non mi importa se morirò, voglio solo che tu mi perdoni’’, disse il folletto,
singhiozzando, mentre i nani iniziavano a trascinarselo dietro. Il ragazzo non
lo ascoltò neppure.
Sam fu lasciato libero, ma veniva controllato costantemente
dall’unicorno.
Non fece più caso al folletto, non badò neppure al popolo di
Jack, che si era messo in cammino, poiché non voleva abbandonare il loro capo
tribù. Non guardò neppure le creature magiche che erano attorno a lui. E non
pensò più al sé stesso che stava dormendo, legato. Pensava solo a camminare,
mentre a tratti il terreno diventava insidioso, ed il fango faceva affondare i
suoi piedi di parecchi centimetri.
Tutto questo era
troppo da sopportare, per lui.
E il viaggio si preannunciava lungo e difficile.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la lettura.
Questo era un capitolo
un po’ complesso, comunque ho cercato di fare del mio meglio per spiegare bene
le varie situazioni.
Spero che vi sia
piaciuto J
Vorrei ringraziare Steph808, grazie di tutto, dalle
recensioni ai consigli.
Grazie anche a Lav22, che sta leggendo questa storia e che mi
ha già lasciato un suo pensiero.
Voglio ringraziare anche Amisa e Angel Story, che continuano
a seguire questo mio racconto. Ragazze, se volete lasciare un pensiero su
questa storia, sarò ben lieto di rispondervi.
Grazie, di nuovo, a tutti. A sabato J
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Capitolo 13
CAPITOLO 13
Grazie alle marce forzate, l’esercito imperiale giunse a
Palok in cinque giorni.
Il generale John non
era per niente pentito di quello che aveva fatto a Fortwar. Ora i suoi soldati
erano contenti, perché avevano razziato molti oggetti di valore, e si erano
pure esercitati nel combattere.
I soldati avevano viaggiato per quasi tutta la notte, con una
sola breve sosta di qualche ora verso mezzanotte, quando era troppo buio per
continuare a proseguire.
Quando giunsero in città, furono acclamati come se fossero
degli dèi. La gente della città amava i soldati di John, perché provenivano
tutti dalla grande provincia di Palok, quindi lì erano a casa loro.
I soldati erano
felici, nonostante la stanchezza, e il generale John concedette un pomeriggio
libero, in modo che potessero riposarsi un po’.
Le notizie però non erano delle migliori. Infatti, in
concomitanza con l’arrivo dei soldati imperiali, i nemici avevano ripreso a
muoversi, e stavano devastando le zone rurali a nord di Palok. John doveva agire
subito, per non perdere il controllo della situazione.
Il generale radunò
subito le sue truppe, e decise di andare verso nord, per dare una bella lezione
al nemico. Entro pochi giorni avrebbero dato una dimostrazione della loro
potenza ai nemici e all’impero.
Appena le truppe imperiali misero piede a Palok, Atah, uno
dei maghi anziani della setta di Huru, iniziò ad avere oscuri presagi.
La setta di Huru era
un istituzione religiosa sviluppatasi nell’antichità a Fortwar, e ben presto
era diventata una setta che era stata allontanata e discriminata dall’impero.
Al suo interno si praticava la magia e la preveggenza, ed i
suoi adepti potevano giungere ad avere un potere magico inimmaginabile nelle
loro mani. Era un culto misterico ed occulto, che aveva terrorizzato gli
imperatori, poiché i maghi che ne prendevano possesso erano in grado di
compiere grandi cose.
Huru era il loro dio,
che adoravano e pregavano, ed in cambio lui forniva agli adepti molta energia.
Il loro dio era buono,
ed amava gli umani, che erano le sue creature predilette. Non ammetteva l’uso
di violenza, ma era molto potente, ed era dotato di immense forze.
Gli adepti erano selezionati in maniera molto rigorosa, solo
i ragazzi migliori potevano diventare maghi di Huru.
Purtroppo, la setta
era caduta in disgrazia con l’avvento degli imperatori, ed era totalmente
scomparsa dall’impero, tranne a Palok, dove esisteva un’ultima cellula. Aveva
poche centinaia di adepti, poiché ormai nessuno desiderava che i propri figli
frequentassero i maghi, che erano discriminati da tutti. Quindi, diventare mago
era una scelta dura, che comportava grosse privazioni.
C’era anche un tempio aperto a tutti, dove i fedeli potevano
lasciare versamenti per il sostentamento dei maghi, però senza poter avere
contatti con essi.
Atah ormai era
vecchio, ed era abituato a quella triste vita, che non aveva alcun aspetto
sociale al di fuori della setta, ma che forniva la magia, altrimenti preclusa
agli umani.
Ringraziava continuamente Huru, la sua unica divinità, che gli
aveva conferito molti poteri e molta saggezza.
La setta era governata
dai maghi più anziani, che erano una dozzina. A loro veniva dato il potere
decisionale, e solo loro potevano scegliere come spendere le ricchezze del dio,
ricevute tramite donazioni di fedeli al tempio. E loro avevano il potere di
decidere le sorti dei maghi più giovani e degli apprendisti.
Naturalmente, Atah era uno di loro. Ma non andava d’accordo
con gli altri.
A causa del declino del culto, all’interno della setta si
erano creati contrasti, che sfociavano in corruzione e investimenti di somme
rubate dal tempio per motivi personali.
I vecchi chiudevano
gli occhi, e permettevano ai loro maghi preferiti di fare quello che gli
pareva.
Di conseguenza i giovani non rispettavano più gli anziani,
erano smoderati, rubavano dal tempio il denaro per soddisfare i loro bisogni,
poiché molti avevano preso l’abitudine di uscire di notte per divertirsi.
Nessuno rispettava più i gradi dell’insegnamento magico, e la
maggior parte faceva di testa propria. Non c’erano più regole, al tempio. Atah,
ovviamente, odiava tutto questo, e voleva punire i maghi corrotti e ladri, ma
aveva le mani legate dagli altri anziani, che cercavano di sostenere coloro che
non rispettavano le regole, forse perché anche a loro veniva qualcosa in tasca.
Fortunatamente, Atah
stava addestrando due giovani maghi, che erano differenti dagli altri.
Smith e Lee, i suoi apprendisti stregoni, nonché futuri
maghi, erano molto rispettosi e intelligenti.
Ben presto li avrebbe proclamati maghi a tutti gli effetti. Avevano
una mente al di fuori del comune, e padroneggiavano la magia come nessun altro
prima di allora. Non avevano mai violato una legge del tempio.
Ben presto, la benevolenza di Huru era stata solo per loro e
per Atah, e questo incolleriva gli altri anziani. Smith era bravissimo nella
magia, mentre Lee era in grado di prevedere il futuro. Cose non da tutti,
considerando che erano appena dei ragazzi.
Atah non ne conosceva l’età, poiché li aveva trovati
abbandonati davanti a tempio quando erano bambini piccoli. I loro genitori li
avevano abbandonati, o forse erano morti a causa di malattie, lasciandoli soli
al mondo, e senza nulla, e i parenti avevano provveduto a portarli al tempio,
dove il cibo non mancava mai.
Il vecchio non si era
fatto scrupoli ad adottarli e a crescerli, e loro avevano scelto di diventare
maghi. Huru non li aveva mai abbandonati, e aveva dato a loro dei poteri
straordinari.
Lee era un bel
ragazzo, di statura media e introverso, mentre Smith era più alto, era
estroverso e ironico. Ebbene, quella notte Huru era apparso in sogno ad Atah,
dandogli oscuri presagi, e chiedendogli di parlare con i suoi apprendisti, e di
credere ad ogni cosa che gli fosse stata detta.
Il vecchio si stava
dirigendo proprio dai due apprendisti. Smith stava ancora dormendo, mentre Lee
era sveglio, ed era seduto al margine del suo letto. Il ragazzo si teneva stretta la testa tra le
mani. Singhiozzava. Non si accorse di essere osservato dal maestro.
Subito, Atah si avvicinò al ragazzo, e gli posò una mano
sulla spalla destra. Il ragazzo ritornò in sé e sollevò lo sguardo per guardare
il vecchio.
Quando vide il suo viso, il vecchio rimase molto scosso.
Il volto di Lee, che di solito era rilassato e tranquillo,
ora era deformato dalla disperazione. Aveva gli occhi arrossati, aveva pianto
molto. Atah si ritrasse.
‘’Lee, cosa ti è successo?’’, chiese il vecchio, spaventato.
Huru non gli aveva mentito. Si era rivelato a Lee.
‘’Ho visto tutto,
maestro.’’, disse il giovane, senza esitazione. Con la coda dell’occhio, il
maestro notò che Smith si era svegliato e li stava osservando, incuriosito.
‘’Visto cosa?’’, continuò il maestro.
‘’Il futuro’’.
‘’Ah’’, disse Smith, intromettendosi.
‘’Basta, Smith! Questa
volta l’ho visto, l’ho visto veramente…’’, continuò a dire Lee, singhiozzando.
Fece una breve pausa.
‘’Lei mi crede, maestro?’’, concluse.
‘’Ma certo che ti
credo’’, disse il maestro, fulminando il sarcastico Smith con uno sguardo
gelido. ‘’Vorresti condividere con noi ciò che hai visto?’’, chiese nuovamente
il vecchio. Lee lo guardò, i suoi occhi trasmettevano tutto il suo terrore.
‘’Ho visto il male che vinceva, il male che entrava in città’’,
disse vagamente Lee.
‘’Per favore, potresti essere più preciso?’’, chiese Smith,
questa volta con cortesia.
‘’Ho visto un uomo, che ci tradiva. Non tradiva solo noi, ma
l’impero intero. Un esercito nemico poi entrava a Palok, commettendo ogni
brutalità. Il nostro tempio era distrutto e i maghi tutti morti, uccisi dai
Demoni. La città era già stata incendiata dai suoi stessi abitanti. Moriremo
presto’’, concluse Lee. Atah e Smith si guardarono reciprocamente, sorpresi.
Nessuno dei due volle aggiungere qualcosa.
Dopo un po’, Lee li
fissò di nuovo.
‘’Ma voi non mi credete’’, disse, amaro.
‘’No, invece noi ti
crediamo’’, disse il maestro.
‘’Ma se ciò che ha
visto Lee succederà veramente, noi tra poco moriremo’’, osservò Smith. Il maestro
ebbe un idea, che d’altronde gli frullava in testa già da un po’.
‘’No, noi non moriremo. Noi lasceremo la città, questa sera
stessa’’, disse il vecchio maestro, con decisione.
I due ragazzi lo fissarono, stupiti.
Atah non perse altro tempo, e chiese di convocare con urgenza
un consiglio degli anziani.
Gli altri vecchi maghi erano abituati alle sue stravaganze,
quindi decisero di acconsentire e di riunirsi per discutere. Una volta che
furono presenti tutti, gli sguardi caddero sul vecchio Atah.
Il vecchio mago poteva
sentire su di sé tutta l’ostilità del consiglio. Era ovvio ormai che lo
odiassero tutti. Si era opposto ad ogni violazione delle leggi divine, e aveva
sempre cercato di dare punizioni ai colpevoli, che poi non venivano assegnate
poiché il suo giudizio era contro quello di tutti gli altri anziani.
I dodici lo fissavano,
fintanto che Shasha, il mago più anziano, nonché l’unico in grado di esprimere
il verdetto finale, prese la parola.
‘’Allora, oggi l’onorevole mago anziano Atah, ha deciso di
esporci con urgenza una sua personale richiesta. Ora, può esprimerla’’, disse
Shasha, prendendo le redini del consiglio. Erano tutti seccati, si aspettavano
altre richieste di punizioni severe per chi violava le regole del tempio, ormai
ampiamente in disuso.
‘’Ho richiesto il
consiglio d’urgenza, poiché ho deciso di lasciare il tempio. Ovviamente, con me
verranno i miei due apprendisti’’, disse Atah, tutto d’un fiato. Tutti gli
anziani del consiglio lo guardarono stupefatti. Qualcuno rise, ma Atah, dal
tanto che era teso, non lo individuò.
‘’Che significa ‘ho
deciso di lasciare il tempio’? Atah, ci hai sempre riempito di proteste, sul
fatto che non bisogna violare le regole del tempio, e tu ora vorresti violare
la più importante. Naturalmente, tu, in qualità di mago anziano, conoscerai la
regola base del tempio. Ma comunque te la voglio ricordare in ogni caso; non si
può abbandonare il tempio’’, disse Shasha, nell’ilarità comune.
Tutti gli altri membri del consiglio fissavano il vecchio
mago, divertiti. Quella, forse, sarebbe stata la loro occasione per mettere il
vecchio in imbarazzo.
‘’Da qui, non se ne
andrà nessuno!’’, disse qualcuno ad alta voce, mimando Atah nei gesti.
Tutti lo deridevano.
Atah rimase per un istante in silenzio, prima di rispondere. Li lasciò ridere,
e in quel momento capì che non avrebbe mai potuto continuare a vivere in quel
posto misero e corrotto, al punto da diventare stupido e vergognoso. Quando
ritenne che lo avessero deriso a sufficienza, riprese la parola, pronto a
ferirli.
‘’Miei cari colleghi, maghi anziani, mi meraviglio di voi.
Vivete tra le mura del tempio da molteplici decenni ormai, e non avete neppure
letto e tradotto alla perfezione la prima regola di Huru. Come sempre, vi siete
fermati alla prima riga, all’esteriorità di una legge, senza sforzarvi di
tradurla e di comprenderla. Se, invece di rendere corrotti i vostri
apprendisti, aveste letto insieme a loro le regole del tempio, ora non fareste
brutte figure. La prima regola del tempio dice che non si dovrà mai abbandonare
il tempio a cui si è affiliati, tranne nel caso che un anziano si senta pronto
per uscire e fondare un nuovo tempio di Huru, per far accrescere i fedeli.
Quindi, è mio diritto chiedervi di lasciarmi andare, poiché mi sento pronto per
iniziare una mia missione nell’impero’’, concluse Atah.
L’ilarità degli spettatori si tramutò in rabbia. Li aveva
umiliati tutti, affermando che non avevano neppure fatto caso alle righe che
seguivano la prima legge.
Colpiti nel profondo, e sentendosi imbarazzati, nessuno, a
fine discorso, si azzardò a dire qualcosa. Erano appena stati svergognati.
‘’Basta così, Atah, accettiamo
la tua richiesta. L’importante è che entro domani mattina a Palok non ci sia
più traccia né di te né dei tuoi due apprendisti. Andatevene pure, ma sappiate
che al di fuori di questo tempio, i maghi sono discriminati e odiati. Non
vivrete neppure un giorno. Ma ora vai, ed inizia a preparare le tue cose’’,
disse infine Shasha, prendendo la parola con rabbia, senza consultare nessuno.
Il suo giudizio fu condiviso, in silenzio, da tutti.
Poi si alzò, diede le spalle ad Atah, ed uscì dalla camera
del consiglio, seguito a ruota da tutti gli altri maghi.
Atah aveva vinto.
Quella sera, mentre le tenebre si preparavano ad avvolgere
Palok, tre figure incappucciate abbandonarono la città.
Erano il vecchio Atah
e i suoi due apprendisti.
Si sarebbero diretti a sud, a Vargan, una piccola città a
poca distanza dal confine con la provincia di Fortwar.
Da lì, i tre, guidati dal loro dio Huru, avrebbero iniziato
la loro missione, cioè di contrastare, con la magia, l’avanzata nemica verso la
capitale, nel caso ce ne fosse stato bisogno.
Huru odiava la guerra e l’impero, ma non poteva permettere
alle forze del male e dei Demoni di vincere.
In gioco non c’era più
solo l’impero, ma anche il destino di tutti gli umani.
E Huru doveva
intervenire, usando anche la violenza, se necessario.
NOTA DELL’AUTORE
Ed ecco i nostri maghi, pronti a combattere contro gli
invasori e i Demoni! J
Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo. Vi informo
che ormai abbiamo fatto la conoscenza di tutti i personaggi principali del
racconto, quindi ora penserò solo a sviluppare la storia. E anche a fare
interagire i diversi schieramenti.
Mi scuso per i nomi, so che non sono il massimo, ma ho
cercato di fare del mio meglio per trovarne di originali.
Grazie a tutti per la lettura! Spero vogliate lasciarmi
qualche vostro pensiero su questa storia.
A mercoledì J
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
CAPITOLO 14
I calcoli del generale John non erano sbagliati.
Già dopo pochi giorni di marcia, avevano intravisto gli
esploratori nemici. Erano quattro, e li osservavano a dovuta distanza. Li aveva
fatti inseguire, ma erano stati rapidissimi a dileguarsi nei boschi
circostanti.
Ora il nemico sapeva che un esercito gli stava marciando
contro. E sapeva anche dove si trovava e quale percorso aveva scelto. E questo
era un male.
Il nemico poteva
scegliere di tendere imboscate, oppure poteva dare battaglia in un luogo scelto
da lui, e magari sfavorevole alle truppe imperiali. L’unica fortuna era che
quella zona era scarsamente abitata, quindi non sarebbero stati colpiti i
civili.
Il generale faceva
marciare i soldati sempre armati, in modo che fossero pronti ad affrontare
un’imboscata. Ora che i Popoli Sconosciuti avevano individuato il nemico,
avrebbero deciso tutto loro.
I soldati imperiali erano tesi. Sapeva che era questione di
ore, ormai, prima di intravedere i nemici.
Anche quella mattinata
passò tranquilla. I soldati si erano rilassati, e chiacchieravano animatamente,
mentre pranzavano.
Il sole era tenue quel giorno, non faceva particolarmente
caldo. D’altronde stavano andando verso il nord, dove era in corso la stagione
delle piogge.
Chissà quanto erano
stati male i nemici, impantanati nel fango della provincia di Arus, si chiese
il generale John, che se ne stava seduto all’ombra. Era tranquillo, ormai anche
quel giorno si sarebbe concluso.
Aveva un leggero prurito al
fondoschiena. Si girò lentamente, e scoprì che si era seduto proprio
sopra ad una pianta di ortica. Il prurito divenne velocemente fastidioso.
Imprecò come non aveva mai fatto prima, e balzò in piedi, allontanandosi di un
passo.
Appena un secondo dopo, sentì una cosa sfiorargli l’orecchio.
Mentre si girava per vedere, sentì un forte dolore alla
testa. Era ferito sopra un orecchio, per fortuna di striscio, e poco distante
da lui, proprio sopra alla pianta di ortica, una freccia si era conficcata nel
terreno.
Era un agguato. Si mise a gridare per richiamare l’attenzione,
e i suoi soldati si misero all’erta, appena in tempo poiché iniziarono a cadere
altre frecce, che mancarono, fortunatamente, i bersagli.
Il generale si nascose
dietro un albero. Il nemico lo prendeva di mira, visto che lo aveva
riconosciuto dal colore della divisa, e dal drappo rosso che portava stretto
attorno all’avambraccio, simbolo del suo potere sull’esercito.
In pochi istanti, l’esercito fu pronto. E le frecce smisero
di cadere.
Poi, videro il nemico. Una decina di soldati a cavallo li
stavano osservando, allo scoperto. Appena si accorsero che erano stati
avvistati, sparirono dietro la boscaglia. Intanto, John notò che gli ufficiali
stavano facendo preparare la fanteria.
Uscì allo scoperto e chiamò i suoi ufficiali. Ordinò che un
piccolo gruppo di soldati fosse mandato in avanscoperta nel boschetto, per
vedere se era sicuro o se fosse una trappola.
Diede gli ordini come un automa, era preoccupatissimo. Se non
fosse stato per quelle ortiche, lui sarebbe morto sicuramente… un brivido lo
percosse.
Sei ragazzi furono
mandati nel boschetto, e fecero ritorno già dopo pochi minuti, facendo rapporto
ad un ufficiale, che poi gli andò a riferire tutto.
‘’E’ tutto a posto, generale. I ragazzi hanno detto che non
c’è nessun nemico nella boscaglia, e che la possiamo attraversare
tranquillamente. Però dopo qualche centinaio di metri c’è una vasta radura. E
lì c’è l’esercito nemico che ci aspetta, pronto per darci battaglia’’, riferì
l’ufficiale.
‘’Spero per i ragazzi
che abbiano ispezionato bene, perché se lì cadiamo in un’imboscata, li farò
decapitare all’istante. Riferisciglielo’’, disse John.
L’ufficiale raggiunse
i ragazzi e riferì. Loro sbiancarono, ma spergiurarono che non c’era nessun
nemico nella boscaglia. L’ufficiale fece segno affermativo. Si poteva andare.
John fece muovere le
truppe. Effettivamente, c’era una strada di terra battuta che attraversava la
boscaglia. Per primi mandò avanti i fanti, poi la cavalleria, poi i carri con i
viveri e le donne che li custodivano, ed infine, per chiudere la colonna, alcune
decine di altri fanti.
La colonna attraversò il boschetto senza incontrare intralci.
Appena percorso il breve tragitto nel bosco, sbucarono in una
vasta radura, proprio come era stato riferito dagli esploratori. E lì c’era la
sorpresa, già preannunciata dagli esploratori.
Ad una certa distanza, c’era già un esercito schierato,
pronto a dar battaglia. Appena la colonna ebbe finito l’attraversata, John
organizzò la fanteria. Avrebbe
combattuto con quella. Davanti i più scarsi, dietro i più forti, in modo da
dare una buona spinta alla carica contro il nemico.
Gli ufficiali predisposero al meglio l’esercito ben allineato
e in formazione perfetta. La prima linea era dotata di spada corta, lancia e
scudo, mentre quelli dietro avevano solo una spada e un ascia. A loro non
sarebbe servito lo scudo, nella mischia.
Mandò indietro la cavalleria, per accompagnare i viveri e le
donne, e per aiutarle a costruire il campo per la notte, e a montare le tende.
Quella notte, o avrebbero riposato per alcune ore, o avrebbero riposato in un
sonno eterno.
Comunque, diede l’ordine di tornare a metà cavalleria, che si
sarebbe dovuta appostare tra la boscaglia, in caso di necessità.
Fece preparare anche un centinaio di arcieri e di lanciatori
di giavellotti, per rendere difficoltosa l’avanzata nemica.
Di lì a poco, l’esercito imperiale era pronto e ben disposto,
ma l’esercito nemico non accennava ad avanzare. Nella mente di John iniziarono
a sorgere dei dubbi.
I suoi soldati iniziavano a spazientirsi, mentre le ore
passavano.
Ma John non aveva alcuna intenzione di gettarsi sul nemico,
rischiando di cadere in tranelli e imboscate. Se volevano attaccare, lo
avrebbero dovuto fare per primi. John avrebbe atteso, con pazienza.
Si fece tardo pomeriggio, ed ancora non c’erano stati
cambiamenti.
Alcuni soldati si erano seduti, e gli ufficiali li facevano
rialzare a pedate nel sedere.
Nonostante la sfiancante attesa, la tensione era ancora
palpabile.
L’esercito nemico
continuava a mantenere la posizione, ad alcune centinaia di metri di distanza,
senza dare alcun segno di voler attaccare.
John pensò che i nemici volessero stancarli e sfiduciarli, e
probabilmente per quel giorno non avrebbero combattuto. D’altronde, era quasi
sera.
John si prese la testa tra le mani, ed iniziò a pensare. Quei
fanti erano veramente pochi, un numero troppo ridotto per essere l’intero,
immenso esercito del re degli Sconosciuti.
Probabilmente facevano parte di un dislocamento, che si era
distaccato dal grosso dell’esercito per conquistare e razziare più territori.
Purtroppo, John non poté ragionare per molto tempo.
Dopo pochi istanti, un
forte grido di battaglia risuonò per tutta la radura.
Immediatamente, John
cercò di individuarne la provenienza. Non erano stati i fanti nemici.
Tutti i soldati imperiali ora erano in piedi, ed in rigoroso
silenzio. Si chiusero bene i ranghi. Appena in tempo, poiché dal bosco alle
spalle della fanteria nemica iniziarono ad uscire cavalieri.
I nemici non avrebbero attaccato con la fanteria, ma con la
cavalleria, ed avevano atteso tutto quel tempo per prepararsi al meglio. Il
generale imperiale era caduto, inconsapevolmente, nella trappola del nemico.
I cavalieri si
avvicinavano velocemente. Le prime file degli imperiali abbassarono le lance, e
avanzarono gli scudi, pronti allo scontro. Gli arcieri incoccarono gli archi,
mentre altri preparavano i giavellotti, per colpire i nemici a distanza
ravvicinata. Tutti erano pronti al contatto.
I cavalieri erano tantissimi, e procedettero velocemente
fintanto che non giunsero a un centinaio di metri dai soldati imperiali. Poi
rallentarono, e si fermarono.
Dopo neppure un istante, il cielo fu oscurato dalle frecce. I
cavalieri incoccarono una seconda volta, mentre gli imperiali erano nel caos.
Una volta effettuato il secondo lancio, la cavalleria tornò sui suoi passi e
scomparve, come se fosse stata solo un’illusione.
La pioggia di frecce
aveva mietuto tantissime vittime tra i soldati imperiali, che non si erano
protetti. Ora, nelle truppe di John, regnava il caos.
I ranghi si erano
sfasciati, poiché ovunque si erano formati spazi vuoti, dovuti al fatto che le
frecce nemiche erano andate a centro. Davanti alla prima linea, il terreno
appariva come il dorso di un istrice, dal tanto che era pieno di frecce, cadute
prima di poter infilzare altri soldati.
John iniziò a gridare ai suoi sottoposti di richiudere i
ranghi, cosa che fu effettuata immediatamente.
Gli arcieri non
avevano neppure tentato di scoccare frecce, poiché il nemico si era mantenuto a
distanza di sicurezza, ed inoltre gli imperiali avevano anche una leggera
brezza contraria, che non ne favoriva appieno il tiro. Avevano già perso
parecchi uomini.
La fanteria nemica si mise in marcia, in ordine perfetto.
John ordinò ai suoi di attendere, ma la rabbia verso il nemico era
incontrollabile. Il suo esercito si mise in marcia, senza ascoltarlo.
I nemici avevano
iniziato a procedere a passo svelto verso di loro, e la distanza tra i due
eserciti si era ristretta notevolmente. Senza dare ascolto al generale e agli
ufficiali, l’esercito imperiale continuava ad avanzare, incontrando alcuni
metri di terreno reso impervio dalle frecce conficcate nel terreno, che
rendevano difficile il movimento.
Quello che sarebbe potuto divenire un ostacolo per il nemico,
improvvisamente divenne un ostacolo per le truppe imperiali.
‘’Fate tornare
indietro quegli stupidi!’’, iniziò a gridare il generale, purtroppo consapevole
che le sue grida ora non avevano più valore.
Fu così che i due eserciti si scontrarono. Da una parte,
c’erano i nemici Sconosciuti, avvolti nei loro abiti di diversi colori, per
indicare la tribù alla quale appartenevano, protetti da farsetti ben imbottiti
rivestiti di cuoio duro, ed erano ben compatti e pronti all’urto.
Dall’altra, c’era
l’esercito imperiale, che aveva già subito numerose perdite, e per di più
appariva tutto sfasciato, senza alcuna compattezza.
Gli Sconosciuti combattevano con valore, e iniziarono subito
a mettere in seria difficoltà gli imperiali.
Ma ben presto si
giunse ad un punto morto. Sia imperiali che Sconosciuti combattevano in uno
stato di equità, e nessuno cedeva. Il crepuscolo stava giungendo rapidamente, e
ben presto sarebbe stato impossibile continuare a combattere.
Fu in quel momento che
i Demoni iniziarono la loro opera di terrore. Sensazioni di dolore e sconforto
avvolsero i soldati imperiali, che comunque continuarono a battersi con grande
dignità.
La battaglia si concluse così, con un nulla di fatto e poche
perdite per gli Sconosciuti. I due eserciti, col crepuscolo, si ritirarono nei
rispettivi accampamenti.
John non era completamente soddisfatto, i suoi si erano
comportati male ed erano stati disobbedienti, ma almeno avevano mostrato
coraggio e resistenza.
Ma il gran Re Fermei, nell’altro schieramento, era arrabbiato
a dismisura con i Demoni. Quella battaglia avrebbe dovuto essersi conclusa
subito, entro quel giorno. Aveva fretta di procedere, e non poteva permettersi
di perdere altre giornate in battaglie campali e inutili.
Appena giunti all’accampamento, Fermei fece convocare subito
i Demoni. Era furioso.
Non con i suoi uomini, che avevano combattuto bene. Tra
l’altro, aveva deciso di far combattere solo una parte ristretta dl suo
esercito, tenendo migliaia di soldati nascosti e riposati, in modo che fossero
stati in grado di intervenire nel caso ce ne fosse stato bisogno.
La causa di tutto
erano i Demoni. Appena entrarono nella sua tenda, li aggredì, senza neppure
lasciarli parlare.
‘’Grazie, alleati. Vedo che state svolgendo bene il vostro
compito. Oggi abbiamo avuto l’occasione di spianarci la strada verso Palok, e
se arrivavamo a sconfiggere l’esercito imperiale avremmo avuto l’occasione di
conquistare tutto il cuore dell’impero. Il mio esercito è prontissimo, si batte
bene e segue tutte le mie indicazioni alla perfezione. Quando arriva il momento
di dare il colpo di grazia, che stava a voi darlo, avete colpito così
fiaccamente che neppure un bambino si sarebbe spaventato. Da che parte state,
scusate? Ora dovremmo combattere per giorni, perdendo tempo prezioso. Spero che
domani vi impegnate un po’ meglio di oggi’’, concluse Fermei, pronunciando un
fiume di parole, con rabbia.
I Demoni vollero
apparire stupiti dal suo comportamento, talmente tanto che il gran re non ebbe
dubbi sul fatto che stessero fingendo strano stupore.
‘’Ma, sire, noi
abbiamo fatto il nostro dovere alla
perfezione! Purtroppo ad un certo punto ci sono venute meno le energie. Sapete,
noi non veniamo nutriti da giorni. Gli schiavi sono finiti, ed è da molto tempo
ormai che non saccheggiamo grandi città molto popolose. Senza cibo, noi non
combattiamo’’, dissero i demoni, risoluti.
‘’Bene. Vorrà dire che faremo senza di voi, perché non ho
alcuna intenzione di darvi altro cibo prima di aver conquistato Palok. Tornatevene
alle vostre tende e non importunate nessuno’’, disse il gran Re, congedandoli
di fretta.
Era ovvio che doveva
trovarselo da solo il modo per uscire da quella situazione.
Ci pensò un attimo, poi ebbe un’idea. Un’idea molto, molto
rischiosa. Una missione, che se fosse andata a buon segno, gli avrebbe
consegnato l’esercito imperiale senza altri scontri o spargimenti di sangue, e
pure senza utilizzare i Demoni.
Avrebbe affidato
quella missione ad una persona affidabile, quella che amava di più al mondo.
‘’Ilse! Vieni qui!’’,
gridò a gran voce.
Fermei gli spiegò tutto rapidamente. Ilse capì tutto al volo,
ed era pronta a rischiare.
Ora non era più la ragazzina che viveva in una capitale, un’ingenua
figlia aristocratici che pensava solo all’amore.
Ora, fortificata anche dal periodo di malattia, era pronta ad
affrontare di tutto, perché lei voleva una sola cosa; diventare imperatrice.
E se questo avesse
significato fingere amore per il gran Re, oppure tradire il proprio popolo
d’origine, per lei tutto ciò non aveva più
importanza. Tutto perdeva di significato, al cospetto di coronare il suo
sogno di gloria e potere.
Mentre usciva dalla tenda di Fermei, dopo aver accettato la
missione, capì che quella sarebbe stata la svolta definitiva della sua vita.
Sarebbe stata una nuova Ilse, crudele e bugiarda. Le sfuggì
un sorriso amaro, mentre iniziò ad inoltrarsi nel bosco, tutta sola. Avrebbe
potuto morire, ma questo non le importava più di tanto. Benvenuta nuova Ilse,
si disse, mentre, in realtà, tremava dalla paura.
Mentre Ilse si accingeva a compiere la missione più
importante della sua vita, i Demoni se ne stavano al buio nelle loro tende.
Erano rabbiosi.
Fermei non li avrebbe
nutriti fino a Palok, e potevano passare giorni o mesi prima di arrivarci. O
forse non ci sarebbero arrivati mai.
Dalle loro bocche uscì un lamento infernale.
Il gran Re,
rifiutandosi di nutrirli, teneva a bada i loro poteri.
Ma loro non potevano sbagliarsi; avevano previsto il loro
giorno di gloria. Era solo questione di tempo. E poi sarebbe stato il loro
turno di comando.
In ogni caso, non avrebbero avuto alcuna clemenza verso gli
esseri umani.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la lettura! J
Spero che la battaglia vi sia piaciuta. Attenzione, nel
prossimo capitolo seguiremo Ilse nella sua missione segreta J
Ringrazio Steph808, grazie di tutto, dalle recensioni ai
consigli. Spero ti sia piaciuto questo capitolo J
Ringrazio anche Amisa, Angel Story, hola1994 e Lav22, che
continuano a seguire la mia storia.
Ragazzi/e, mi
piacerebbe veramente sapere cosa ne pensate di questa mia prima storia, e se
volete lasciarmi un vostro pensiero, sarò veramente felice di rispondervi e di
ringraziarvi di persona J
Grazie a tutti!! J A sabato J
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
CAPITOLO 15
Ilse attraversò indisturbata la boscaglia che la separava
dall’accampamento nemico.
Con sé aveva alcune piccole dosi di veleno e un piccolo panno
imbevuto nel sonnifero.
Notò subito che c’erano alcune sentinelle che, a coppie,
controllavano il perimetro dell’accampamento dell’esercito imperiale. Ma lei
non si fece intimorire.
Uscì con passo svelto e sicuro dalla boscaglia, stringendo
tra le mani un rametto di una qualche pianta. Subito, fu avvistata da due
sentinelle, che le si affiancarono rapidamente.
‘’Ferma, ragazza’’, disse la prima, ansimando, poiché l’aveva
raggiunta quasi di corsa.
‘’Da dove vieni?’’,
chiese l’altra, che era poco più di un ragazzo, e in più aveva anche uno
sguardo da ebete.
‘’Dal bosco, idiota’’, rispose Ilse, con fare sicuro e
arrogante. Faccia da ebete arrossì e non disse più nulla, mentre l’altra
sentinella era dubbiosa e più furba, anche se comunque appariva rassicurata,
poiché era solo una ragazza, che parlava molto bene la lingua dell’impero ed
era come tante altre che vivevano nei carri delle scorte, per controllare e
preparare il cibo.
‘’Ehi, donna, datti una calmata. Stai parlando con dei
soldati, non con tuo fratello. Che ci facevi nel bosco?’’, chiese la sentinella
astuta.
‘’Ero andata a
raccogliere rami di ginepro, per poter insaporire meglio i pasti’’, disse Ilse,
sventagliando in faccia alle sentinelle quei due miseri rametti che aveva
strappato nel bosco. Non erano di ginepro, ma il buio rendeva difficile
riconoscerli. E comunque le due sentinelle non se ne intendevano molto di
cucina.
‘’Ah. Sei una cuoca, allora’’, disse la guardia furba.
‘’No, sono la serva della cuoca del vostro generale’’,
affermò Ilse con fare disinvolto, anche se un brivido le attraversò la schiena.
Ora doveva liberarsi di quei due, prima che approfondissero l’argomento.
‘’Ehi, volete lasciarmi andare dalla mia padrona, o volete
che il generale e gli ufficiali rimangano senza cena, questa sera? La mia
padrona mi attende’’, continuò Ilse.
‘’Vai pure’’, disse la sentinella furba, intimorita dal fatto
che le sue domande potessero rovinare un pasto al generale.
Ilse non se lo fece
ripetere due volte, e riprese a camminare verso il centro dell’accampamento.
Non ebbe problemi a giungere alla tenda del generale, poiché nessuno si degnò
di posare lo sguardo su di lei o di farle domande. D’altronde, si era vestita
come una qualsiasi sguattera.
Si presentò alle
guardie all’ingresso della tenda, affermando che era una serva e che doveva
aiutare la cuoca a preparare la cena. Le due guardie annuirono, e le intimarono
di entrare e di fare in fretta, poiché la cena stava già per essere servita.
Lei entrò dentro rapidamente.
Nessuno sospettò che
lei fosse un’infiltrata nemica, d’altronde parlava alla perfezione la lingua
dell’impero. Inoltre, aveva anche le caratteristiche somatiche tipiche delle
popolazioni imperiali, mentre i nemici erano più bassi di statura e con la
pelle più scura. Appariva agli occhi di tutti come una qualsiasi ragazza al
seguito dell’esercito.
Non si trovò subito nel luogo principale, dove il generale e
i suoi ufficiali stavano per iniziare a consumare il pasto serale, ma in un
ambiente simile a una zona di smistamento.
Gli ospiti entravano nella zona principale, i servi invece
andavano a destra, verso un ambiente laterale.
Una tendina separava
l’ingresso dalla zona pasti, in modo che l’andirivieni della servitù non
disturbasse troppo chi mangiava. Andò quindi nell’ambiente laterale, e si trovò nel caos più completo.
Una donna grassa dava ordini a tutti, e una buona decina di
giovani serve si accingevano a preparare i cibi all’interno dei piatti, per
rendere più invitante la pietanza. Ilse si avvicinò a lei.
‘’Buonasera, signora’’,
disse, con fare intimorito. Ora stava perdendo tutto il suo coraggio, ed aveva
timore di essere scoperta.
‘’Ah, tu dovresti essere quella che ho richiesto prima, per
servire ai tavoli. E’ da un bel po’ che ti aspettavo. Prendi su quei piatti e
portali in tavola, veloce. E sbrigati, che sei in ritardo’’, disse la donna
robusta.
Ilse non poté far
altro che fare un cenno affermativo con la testa e correre subito a prendere le
pietanze. La fortuna l’aveva assistita anche questa volta.
Ma il difficile doveva
ancora venire. Raccolse un grosso piatto pieno di selvaggina, ed entrò nella
sala principale, dove c’erano alcuni ufficiali e il generale, tutti in attesa.
Si avvicinò al tavolo con fare sicuro e disinvolto, e servì
tutti.
Il generale era
facilmente distinguibile dagli altri. A parte il fatto che era l’unico ad avere
ancora indosso la divisa con i gradi, era anche il più maturo di tutti, e
l’unico ad avere la barba, che era quasi totalmente bianca, a parte qualche
pelo ancora nero. Mentre i commensali mangiavano e parlavano tra loro, il
generale non levò mai gli occhi di dosso da lei.
Ilse fece finta di
nulla, continuò a servire e fece ampi sorrisi al generale. Nessuno si era
accorto che, durante il breve tragitto che separava l’improvvisata cucina dalla
zona pranzo, lei era riuscita a rovesciare una piccola dose di liquido chiaro
come l’acqua nelle vivande.
Era veleno. Un potente
veleno che avrebbe fatto azione entro poche ore.
Avvelenò tutte le pietanze, tranne quelle riservate al
generale, poiché solo lui aveva cibi diversi dagli altri, scelti personalmente
per il suo palato raffinato. Il generale le serviva vivo e vegeto. Si nascose
un coltellino ben affilato all’interno della manica del suo vestito,
assicurandolo ad un piccolo pezzo di stoffa rattoppato appositamente da lei
poco prima di iniziare la missione.
Era solo una
precauzione, che comunque l’avrebbe resa un po’ rigida nei movimenti.
Ma che gliene importava, se fosse riuscita a completare la
sua missione, sarebbe stata ricoperta da molti onori. Se non ci fosse riuscita,
sarebbe semplicemente morta.
Ma non voleva pensare male, poiché quella sarebbe dovuta
essere l’occasione di riscatto verso l’impero, assassino dei suoi familiari, e
mortificatore della sua vita.
La cena fu consumata in fretta.
Il generale John non aveva molta voglia di parlare. Aveva
solo voglia di guardare.
A servire al tavolo c’era una bellissima ragazza. La più
bella che lui avesse mai visto.
Mentre i componenti di spicco del suo esercito conversavano
animatamente sulla battaglia appena conclusa, e di come affrontare al meglio i
nemici l’indomani, lui era perso nei suoi pensieri.
La ragazza appariva un po’ rigida nei movimenti, quasi fosse
leggermente impedita da qualcosa, ma nessuno le fece caso, a parte il generale,
che la prese come una forma di gentilezza e rispetto.
Non ascoltò neppure
per un istante quelli che lo circondavano, che cercavano di coinvolgerlo in una
qualche conversazione.
Quando aveva deciso di cenare con tutti i suoi sottoposti di
spicco, gli era parsa una buona idea. E si era rivelata tale fintanto che
quella ragazza non aveva iniziato a servire il tavolo. John sapeva che
l’indomani mattina la battaglia avrebbe ripreso. E non sapeva se questa volta
fosse riuscito a scamparla e a rimanere vivo. In vita sua, si era sempre
interessato poco alle donne, più che altro perché era sempre molto impegnato.
A metà cena capì che quella era la sera buona per commettere
una follia. Si sentiva attratto da quella giovane.
Appena ebbe concluso il suo pasto, congedò rapidamente tutti
i commensali, ordinando loro di andare a dormire, con la scusa che all’indomani
li avrebbe voluti ben riposati. Congedò anche tutte le serve e le cuoche.
Ben presto, la sua grande tenda era sgombra. Tutti se n’erano
andati. Tutti, tranne la bellissima ragazza, quella che aveva servito fino a
poco prima, alla quale era stato ordinato di restare. Quando tutto fu
tranquillo, John le si avvicinò.
‘’Come ti chiami?’’, chiese.
‘’Jeanne’’, rispose la
ragazza.
‘’Che bel nome. Sono poche le ragazza ad avere un nome così
bello. D’altronde, sono anche poche le ragazze ad essere belle come te’’, le
disse, sorridendo.
‘’Grazie, signore’’, rispose la ragazza, chinando il capo e
facendo la timida. Lui le si avvicinò.
Il suo volto lasciava trasparire una traccia di nobiltà, non
sembrava una che avesse svolto da sempre il lavoro da sguattera. Le si avvicinò
ancora di più e la abbracciò d’istinto. Sentì la ragazza tremare, era stata
alla sprovvista.
Allentò un po’ l’abbraccio.
‘’Jeanne, scusami…’’, provò a dire, imbarazzato.
Si era lasciato prendere alla sprovvista anche lui, da un suo
istinto. La ragazza non lo lasciò parlare. Lo abbracciò, ed infilò la sua mano
destra sotto la sua divisa. Poi lo baciò appassionatamente, talmente tanto da
togliere il respiro a John. Lui la lasciò fare.
La mano della ragazza accarezzò la sua schiena. Poi accadde
l’imprevedibile.
John sentì una lama
fredda puntata proprio nella sua schiena. Era affilata come un rasoio.
Il generale tentò, per un istante, di divincolarsi
dall’abbraccio e chiamare le guardie, appostate all’ingesso, fuori dalla tenda,
in suo soccorso.
Ma la ragazza si mostrò tenace, non tolse il coltello mentre
con l’altro braccio teneva il generale stretto a sé, in una morsa dalla quale
non riuscì a staccarsi. La ragazza era fortissima, e tratteneva a sé il
generale, che cercò di gridare. Ma la ragazza continuava a baciarlo con
passione, e non riuscì a far uscire altro che mugugni.
Poi, improvvisamente, la ragazza smise di baciarlo e tappò la
bocca del generale con la sua mano sinistra. John la guardava con gli occhi
spalancati, in preda al terrore.
‘’Tranquillo, generale. Non chiamare le guardie, se ci tieni
alla tua vita. Non ti farò nulla. Basta che tu segua le mie indicazioni. Se non
le seguirai, ti pugnalerò all’istante. Intesi?’’, disse la ragazza. John non poté
far altro che annuire.
Lei pian piano tolse la mano dalla sua bocca e parlò a bassa
voce.
‘’Ora, noi due usciamo. Abbracciati, così il mio coltello ti
ricorderà che devi comportarti bene, se vuoi vivere. Congeda le guardie
appostate davanti alla tua tenda, e se qualche sentinella tenta di fermarci
allontanala. Noi andiamo a fare un bel giro nel bosco’’, concluse la ragazza,
sorridendo. John annuì.
Lei lo costrinse a
tenerla vicina a sé con il suo braccio sinistro, con un modo molto
confidenziale, mentre continuava a puntare il coltello con il suo braccio destro,
ben nascosto sotto la divisa.
‘’E ricorda, generale. Niente scherzi, o sei morto’’, disse.
Chiunque, ora, poteva vederli come due amanti in cerca di un
luogo appartato. Uscirono dalla tenda.
John sentì che la lama del coltello aveva iniziato a premere
contro la sua pelle, al livello dei polmoni. Sudava, era teso e non aveva idea
di ciò che gli avrebbe fatto quella pazza. Pensò che quella era stata la
punizione per aver ceduto all’attrazione di quella sconosciuta. Le tre guardie
all’ingresso lo guardarono, sorprese.
‘’Bèh, che c’è da guardare? Questa notte mi voglio divertire
un po’. E ora andatevene a riposare. Non voglio che nessuno mi vigili, questa
notte‘’, disse John, con fare quasi deciso.
Le guardie tentennarono un po’, guardarono la ragazza, poi
scrollarono le spalle e se ne andarono. Camminarono, sempre abbracciati, per
l’accampamento, che era desolato. Non c’era più nessuno sveglio. Tutti erano
nelle loro tende, a dormire o a pensare.
Giunsero in fretta al
limitare del bosco. E in quel momento furono avvistati da due sentinelle. Non
erano le stesse che avevano fermato Ilse poche ore prima.
‘’Ehi, voi due! Dove
vi credete di andare? Tornate dentro all’accampamento, subito!’’, gridò una di
esse, sbarrando il percorso delle due figure. Ma, quando si avvicinarono,
scoprirono che i personaggi erano una bella ragazza e il generale.
‘’Oh, ci scusi
generale. Non volevamo importunarla. Stavamo solo svolgendo la nostra mansione.
Ci dispiace’’, dissero, affrettatamente.
‘’Va bene, siete scusati, ma ora lasciatemi andare. Voglio
divertirmi, questa notte. Non azzardatevi a seguirmi o ad importunarmi’’, disse
John, cercando di ostentare sicurezza. Eppure, ora aveva solo paura di morire.
Quella ragazza era molto forte, e pure pazza. Chissà cosa voleva da lui.
La lama continuava a
premere, incessantemente, nella sua schiena, senza che nessuno potesse vederla.
Le due sentinelle si guardarono, e si allontanarono in fretta, bisbigliando e
dandosi di gomito. John le sentì pure ridacchiare.
La ragazza lo portò
fino ai primi alberi.
Poi, vide uscire dal bosco tre figure avvolte in manti
colorati. John capì che erano nemici. Tentò di muoversi e di tornare indietro,
ma la ragazza abbandonò il coltello e gli premette sul viso un panno umido,
bagnato di una qualche sostanza.
John iniziò da subito
a perdere i sensi, mentre i tre stavano per prenderlo per le braccia, poiché
stava per cadere.
‘’Jeanne…’’, sussurrò, mentre il potente sonnifero faceva
effetto.
‘’No, generale,
smettila di chiamarmi Jeanne. Il mio nome è Ilse. Buonanotte’’, disse la
ragazza.
Quelle furono le
ultime parole che John udì, prima di cadere in un sonno profondo.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la lettura! J
Spero vi sia piaciuto questo capitolo, che è sicuramente uno
dei più complessi di questa storia. D’altronde, una missione che si svolge
all’interno di un accampamento nemico è sempre qualcosa di molto pericoloso e
azzardato. J
Ma la nostra Ilse sa cavarsela ovunque, grazie alla sua
bellezza e ad un pizzico di fortuna.
Su questo capitolo ho avuto dubbi fino all’ultimo, poi ho
deciso di proporvelo così.
Ragazzi/e, grazie a tutti. La nostra storia sta ricevendo un
bel pò di visite, sono sorpreso. Grazie a tutti voi, che continuate a leggerla.
Come sempre, vi invito a lasciare una vostra opinione sul
capitolo, poi fate voi J
Ancora grazie a tutti!!! J A mercoledì J
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo 16
CAPITOLO 16
Ilse era felicissima. Aveva concluso la sua missione.
John era stato consegnato al gran Re Fermei, e lei stava
andando, appunto, a fargli visita.
Fu accolta con grandi onori, e Fermei le andò subito
incontro.
L’abbracciò e la baciò intensamente, e a lei tornarono in
mente i baci di solo poche ore prima. Ma quello era un altro discorso.
‘’Come hai fatto,
amore mio? Sta volta hai superato te stessa! Non ti credevo una ragazza così
forte e determinata. Hai eseguito alla perfezione la missione che ti era stata
affidata, ed hai eseguito tutto con precisione e scaltrezza. Dai, raccontami’’,
le chiese, sorridendo. Ilse sorrise a sua volta.
‘’E’ stato un gioco da ragazzi. Il vecchio generale non è
così forte e intelligente come credi. Dovevi vederlo, obbediva ai miei ordini
come un animale ammaestrato’’, disse, ridendo. Non voleva di certo confessare
al Re i suoi metodi per attrarre il generale. Fermei rise, e non indagò oltre.
‘’Vieni, cara. Ti devo
offrire una grande cena, perché è solo grazie a te che domani riprenderemo la
marcia verso Palok. Grazie, sei più forte del mio intero esercito’’, disse il
Re.
‘’No, grazie, temo
dovrò rifiutare il tuo invito. Sai, ne ho avuto abbastanza di cene e banchetti,
questa sera’’, disse, continuando a sorridere.
‘’Ma certo,questo potevo capirlo anche da solo. Scusami. Se
hai bisogno di qualcosa, non devi far altro che chiedere’’ disse il Re,
bonariamente.
‘’Ora, mio caro Fermei, desidero solo di riposare.
Nient’altro’’.
‘’Va bene, vai pure. Buonanotte, amore. Domani, vedrai, ci
godremo la nostra gloria’’, disse il re, congedandola.
Ilse si allontanò
velocemente. Finalmente, era felice.
Fermei si fece portare il prigioniero. Fu svegliato a
schiaffi.
Appena riprese coscienza, cominciò a borbottare.
‘’Cosa mi è successo? Dove sono?’’, disse John.
‘’Generale, ora siete mio ospite. O meglio, mio schiavo’’,
disse il Re.
‘’Capisco. Voi siete il gran Re e io sono stato rapito’’,
concluse da sé il generale.
‘’Esatto. Siete
perspicace, John. E pensare che la mia Ilse, poco fa, mi ha detto che non siete
molto intelligente’’, disse il Re, sorridendo.
‘’Oh, quella ragazza è
proprio una gran…’’, disse il generale, velocemente e con toni oltraggiosi,
pronto a pronunciare un’offesa.
John non riuscì a concludere, perché una guardia gli diede un
calcio, facendolo gemere di dolore.
‘’Non azzardatevi mai
più a tentare di fare commenti infidi su Ilse. Ne va della vostra salute’’,
disse Fermei, rabbuiandosi. John restò in silenzio.
‘’Bene, mio caro ex generale, ora siete mio schiavo, e farete
ogni cosa io vi imponga, se vorrete vivere. Domani voi, anzi, tu, sarai
presentato alle tue truppe, in catene, e li costringerai a gettare le armi e a
consegnarsi a me. Diventeranno miei schiavi. Ma tu gli dirai che diventeranno
miei alleati, se no morirai all’istante, trafitto dalla mia spada. Gli
spiegherai che non c’è via d’uscita, se non quella della resa incondizionata, e
che chiunque si azzarderà ancora ad opporsi alle truppe del gran Re sarà
ridotto come te, e poi verrà ucciso. Farai ciò che ti ho chiesto?’’, chiese
infine Fermei.
‘’No’’, disse
seccamente il generale.
‘’Demoni! Entrate’’, disse Fermei. Li aveva riconvocati per
far torturare il generale.
‘’Iniziate!’’, disse ai Demoni, che iniziarono ad opprimere
la mente di John, imponendogli il loro dolore.
Il generale gridò, e bastarono pochi minuti per fargli
giurare che l’indomani mattina avrebbe convinto le sue truppe a non combattere
e a consegnarsi.
Il Re fu felice, ed andò a riposare per qualche ora, mentre
il generale veniva incarcerato.
Come ricompensa,
concedette due schiavi ai Demoni, che comunque continuavano ad apparire
scontenti e con poche energie.
Il mattino giunse rapidamente, e l’accampamento dell’esercito
imperiale era immerso nel caos.
Tutti i personaggi di spicco al comando dell’esercito erano
morti nei loro letti, avvelenati, mentre il generale era sparito. Girava voce
che fosse uscito con una sguattera, poi non l’aveva visto più nessuno.
Mentre l’accampamento era in subbuglio, le sentinelle
avvistarono dei nemici. Fortunatamente era solo un piccolo drappello, che
sventolava bandiera bianca, quindi si trattava di un’ambasciata.
Tutti i soldati si
radunarono, pronti ad ascoltare quello che volevano dire i nemici. D’altronde,
l’esercito era senza guida.
Poi, ci fu la sorpresa generale. Insieme con il gran Re, che
era accompagnato da una scorta di trenta guerrieri, c’era anche il generale
John. Era legato ed aveva un’aria assente.
Quello fu il momento di trionfo tanto agognato da Fermei.
Tutti i soldati imperiali erano stupiti, e pendevano dalle sue labbra.
‘’Soldati, siamo qui per proporvi un patto. Un patto che, tra
l’altro, è già stato accettato dal vostro generale. Lui stesso vi spiegherà tutto’’,
disse il gran Re, parlando nella lingua dell’impero. Poi, fece parlare John.
‘’Soldati, se volete salvarvi unitevi al gran Re. Non avete
speranze. Come ormai avrete già scoperto, tutti i membri di spicco al vostro
comando sono morti. Non avrete scampo. O vi unite al Re, o morirete. Se
accettate di unirvi a lui, sua magnanimità il gran Re avrà pietà di voi, e non
saccheggerà la provincia di Palok, mantenendo in vita tutto il suo popolo. Se
non accettate quest’offerta, morirete. A voi la scelta’’, disse John, con la
sua solita voce potente. Naturalmente, non disse che il loro destino sarebbe
stato quello di diventare schiavi.
L’esercito iniziò a gridare, e risultò spaccato. Molti
urlarono di no, che avrebbero combattuto. Altri gridarono che bisognava arrendersi.
Di fronte all’indecisione generale, Fermei decise di scendere a patti.
‘’Soldati, vi do una mezza giornata per decidervi. A
mezzogiorno in punto, verranno i miei soldati qui nel vostro accampamento. Se
sventolerete bandiera bianca, verremo e festeggeremo insieme, per siglare
l’alleanza. Però le armi vi saranno tolte, almeno momentaneamente. Se
sventolerete bandiera nera, vi attaccheremo, e non avremo pietà di voi. Avete
esattamente metà giornata per decidere il vostro destino. A più tardi’’, concluse
il gran Re, sorridendo a tutti.
Poi si voltò, e
seguito dai suoi guerrieri scomparve, portandosi dietro anche John.
Mancavano due ore a mezzogiorno, e i soldati non avevano
ancora deciso il da farsi.
La spaccatura che c’era tra loro non accennava a ricucirsi.
Poi accadde il miracolo.
Nel mezzo
dell’accampamento, apparve una figura, uno spettro. I soldati rimasero colpiti
da quell’evento, che non avevano mai visto.
La figura, un anziano con una lunga barba bianca, cominciò
dapprima a gridare forte, per attrarre l’attenzione di tutti, poi iniziò a
parlare.
Alcuni soldati gli si avvicinarono, e provarono a toccarlo,
senza prendere nulla. Non era materiale. Tutti indietreggiarono, e stavano
attenti alle sue parole.
‘’Soldati, non ascoltate il gran Re. Lui vi mente, e se vi
consegnate vi darà in pasto ai suoi Demoni. Lui è il male, lui è la menzogna.
Iniziate a fuggire, visto che siete ancora in tempo. A Vargan, la città più a
sud della provincia di Palok e confinante con la provincia di Fortwar, vi stiamo
aspettando. Lì vi sarà data una seconda possibilità, ed avrete a disposizione
la magia. Non indugiate oltre; andate a prendere i vostri familiari, salvate
più vite possibili, e poi venite a Vargan. Seguite la strada che da Palok porta
a Fortwar, non potrete sbagliarvi. Vi attendiamo a Vargan, la città
indistruttibile; siate numerosi’’, disse infine l’ologramma, svanendo nel
nulla.
Per i soldati quella era l’occasione per avere una rivincita.
Presero su poche cose, e si misero subito in cammino, in silenzio,
tutti insieme.
Il gran Re non si
accorse di nulla, tanto era preso dai festeggiamenti. Quando giunse l’orario
prestabilito, le guardie del gran re dissero che sull’accampamento sventolava
una bandiera bianca. Subito, tutto l’esercito di Fermei vi si recò all’interno.
C’erano ancora le tende, ma i soldati se n’erano andati tutti.
‘’Sire! Sire! C’è un problema!’’, annunciò una delle guardie
al gran Re, che voleva entrare tra gli ultimi, per non cadere in eventuali
trappole.
‘’E quale sarebbe?’’, chiese Fermei, con toni pacati.
‘’I soldati imperiali se ne sono andati. Hanno lasciato qui
le loro tende e sono scappati’’, disse la guardia, tentennando.
Fermei, che non si aspettava una simile mossa, gridò,
frustrato.
E giurò vendetta.
Avrebbe messo a ferro e fuoco tutta la provincia di Palok,
senza alcuna pietà.
Le vittime della sua
ira sarebbero state migliaia.
A Vargan, Atah e i suoi due apprendisti esultarono come non
mai. Erano riusciti nel loro intento.
Erano giunti a Vargan
senza problemi, ed avevano convinto i soldati in rotta a sottrarsi ai nemici e
a difenderla. Ben presto la cittadina sarebbe stata protetta da migliaia di
soldati, ed inoltre avevano salvato innumerevoli vite umane.
Inoltre, avevano inviato un messaggero a Fortwar, per richiederne
un intervento.
Tra non molto anche Vargan sarebbe stata messa sotto assedio,
e loro dovevano ancora finire di fortificarla.
Fortunatamente, erano riusciti a trovare l’appoggio della
popolazione locale, che vedendo qualche premessa per un futuro migliore, era
stata ben lieta di unire i loro sforzi con quelli dei maghi. Così, una
piccolissima città in pochi mesi era diventata una metropoli fiorente e ben
protetta.
Ben presto ci sarebbero stati altri scontri, e loro tre,
grazie al supporto del loro dio Huru, sarebbero stati pronti per usare la
magia.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la lettura! J
Questa volta non ho molto da dire, a parte ringraziarvi, come
sempre.
Quindi, spero che anche questo capitolo vi abbia intrattenuto
un po’, e che vi sia piaciuto.
Ancora grazie a tutti !!!! A sabato J J
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Capitolo 17
CAPITOLO 17
Sam era tremendamente stanco.
Il viaggio era stato
lunghissimo, e non avevano mai effettuato soste che superiori alle tre ore di
durata. Avevano attraversato numerosi territori, tutti uniti da tratti comuni.
Il verde regnava
ovunque, e fitte foreste coprivano quasi la totalità del magico mondo di
Harlowhy.
Nonostante tutto sembrasse tornato alla normalità, si
notavano ancora i segni del disastro provocato dall’altro sé stesso.
Il tempo aveva ripreso a scorrere, e neppure il Grande Drago
era riuscito a fermarlo, come aveva già fatto in passato.
La terra era zuppa d’acqua, e si procedeva a fatica. Stavano
procedendo lungo una larga strada che attraversava la foresta, e che
attraversava quasi tutto il mondo di Harlowhy.
Il terreno era ricoperto d’erba, mentre attorno ai suoi
margini c’erano bassi cespugli, tutti in fiore. Comunque, in certi tratti il
fango riusciva ad avere la meglio sull’erba, e i calzari di Sam erano
costantemente bagnati e ricoperti da fango.
Durante
quell’estenuante viaggio, aveva visto numerose razze di creature magiche e
mitologiche; dalle arpie ai giganti, dagli elfi ai nani, dai troll alle fate.
Tutte le varie comunità si avvicinavano per vedere la colonna
che procedeva lungo la strada, e guardavano con rabbia, poiché sapevano che
erano loro i fautori del disastro. Sam non li aveva osservati attentamente, ma
aveva gettato loro solo sfuggevoli occhiate.
In tutta sincerità,
non gliene importava molto di loro. Non si riconosceva più, era vero che aveva
perso una parte di sé. Non provava più né odio né rabbia, ma aveva solo voglia
di essere lasciato in pace.
Mentre arrancava con
fatica, alzò lo sguardo, per la prima volta dopo molto tempo. Si era
concentrato a guardare fisso a terra, per non vedere nient’altro.
Non ne poteva più di
creature magiche, di guerre e di catastrofi. Voleva solo tornare ad essere sé
stesso. voleva solo tornare indietro di qualche anno, e rifiutare gli
insegnamenti del suo maestro. Ma questo era impossibile.
La sua parte mancante
era ancora addormentata, coperta da un telo bianco per non mostrarla a nessuno,
e ben vigilata.
Il suo ex amico Jack
era ancora incatenato, ed era poco più avanti di lui. Era vigilato da due nani.
Anche il suo sguardo era vacuo. Era rassegnato ad essere punito, perché sapeva
che nel mondo magico era vietato fare del male agli altri. E lui ci era
riuscito con un ambasciatore umano.
Saby procedeva in testa alla colonna, insegnando il percorso
a chi la seguiva.
A chiudere la colonna
c’erano i folletti della tribù di Jack e alcuni dei loro amici unicorni.
Avevano voluto seguire il loro capo a tutti i costi.
Sam sbuffò, e tornò a guardare fisso a terra.
Nonostante tutto, non odiava Jack, anche se si sentiva preso
in giro. No, non lo odiava, si disse nuovamente, come per convincersi meglio.
Mentre pensava, andò a sbattere addosso ad un nano tarchiato
che si era fermato davanti a lui. Si scusò, ed alzò lo sguardo. La colonna si
era fermata. Saby prese la parola.
‘’Stiamo per giungere
a destinazione. Tra pochi istanti, entreremo nella reggia del Grande Drago.
Prego tutti di non parlare ad alta voce e di non violare la pace di questo
luogo magico, la culla del nostro mondo’’, disse, e riprese ad avanzare.
Tutti tacquero, compreso i nani, che si divertivano sempre a
fare battute e a ridere.
Sam, per la prima
volta dopo molto tempo, si sentì pervadere dalla curiosità. Si guardò attorno,
e notò che tutti erano tesi. Nessuno di loro, a parte Saby e il capo dei nani,
era mai stato ammesso alla reggia.
Sam osservò con
attenzione, ma non riusciva a vedere nulla; solo alberi, verde e pozzanghere.
Poi, vide tremare le figure di fronte a sé. Sì, i nani, Saby, e Jack stavano
tremando, e improvvisamente divennero figure sfocate, come in un sogno.
Guardò le sue mani. Non tremavano.
Non ancora.
Ebbe paura.
Non voleva avanzare, e si bloccò di colpo, impedendo
l’avanzata a chi lo seguiva. Sentì immediatamente una lama fredda insinuarsi
tra le pieghe della sua veste, per essere puntata contro la sua schiena. Era la
lancia di un nano. Doveva avanzare, non aveva altre possibilità.
Tutti quelli davanti a lui erano spariti, e tutto era
sfocato, talmente tanto da non riuscire più ad avere un profilo delle cose che
aveva attorno. Procedette.
Improvvisamente, fu
invaso da una strana sensazione di pace e tranquillità. La sua paura si
acquietò, e procedette per un breve tratto in una zona di transizione, un
limbo. Non si vedeva quasi nulla. Capì che quella zona poteva essere definita
come una forma di difesa, che poteva essere attraversata solo da chi era atteso
dal Drago.
E finalmente gli
apparve la reggia. Davanti a sé riapparvero le figure familiari di sempre,
Saby, jack e i nani. Si ritrovò dentro ad un grande salone. Aveva il soffitto,
ma era grigio, quasi fosse nebbia, pareva pure inconsistente.
Attorno a sé, tutto era di marmo. Il marmo era freddo, e i
suoi piedi umidi ne sentirono subito gli effetti. L’aria era gelida.
Ebbe un brivido.
Anche gli altri ora
avevano paura. Persino Saby, che si era sempre dimostrata sicura, pareva
timorosa.
Sam si avvicinò al
nano anziano che gli aveva rivolto la parola il giorno della partenza dal
villaggio dei Pegul-cat, che in seguito si era presentato come loro capo. Parlò
a voce bassissima.
‘’Scusa se ti disturbo, capo dei nani. Ma questa sarebbe la
reggia del Grande Drago?’’, chiese.
Il nano lo guardò male, ma rispose ugualmente.
‘’Sì, Sam, è questa.
Comunque, non è mai stata così. Ora ti spiego meglio’’, disse il nano,
facendosi più loquace,’’ Devi sapere che il Grande drago ha fondato la sua
reggia al centro del suo mondo, per poter interagire meglio con i suoi
abitanti. Tutte le strade che attraversano Harlowhy portano qui. Questo è il
centro del potere del Drago. E rispecchia i suoi sentimenti. In parole povere,
è come se fosse il suo secondo cuore. Da sempre, fino a poco fa, questo era un
luogo dove tutti potevano entrare, e dove c’era felicità e gioia. Qui era pieno
di fiori e di profumi, faceva sempre caldo, e chiunque entrava veniva accolto
con vari festeggiamenti. Ora, guarda tu stesso; c’è solo freddo marmo, l’aria è
gelida, e non si vedono neppure le stelle, tanto amate dal Grande Drago, che
sono nascoste da una nebbia fitta. Inoltre, il Grande Drago ora si fa difendere
da guardie elfiche. Quindi puoi capire la nostra sorpresa’’, concluse il nano,
sempre a toni bassi.
La colonna, intanto, aveva superato l’iniziale stupore ed
aveva ripreso ad avanzare.
‘’Ma.. perché il Drago ha cambiato tutto allora?’’, chiese
Sam, ingenuamente.
‘’ Umano, credevo che tu potessi rispondere da solo a questa
tua domanda. Ti ho sopravvalutato. Il grande Drago ora sta male, è infelice. E
la sua reggia, che non è altro che uno specchio del suo animo, sta riflettendo
il suo dolore. Tutto qui. Niente di più, niente di meno’’, concluse il nano,
con fare sbrigativo e scontato.
Sam decise di stare in silenzio. Non avrebbe chiesto più
nulla a quello strano nano. Come poteva permettersi di pretendere che lui
conoscesse i segreti della reggia del Drago, si chiese, tra sé e se.
Improvvisamente, davanti a Saby, apparve una creatura alta e
slanciata, con dei bei capelli lunghi e gli occhi lievemente a mandorla. Era
una delle guardie elfiche del Grande Drago. Si avvicinò all’unicorno, e le
parlò sottovoce.
Poi se ne andò, e con un balzo scomparve dietro a una porta
laterale, in parte nascosta da una lastra di marmo. Saby radunò il gruppo, e
parlò a con un tono di voce moderata, in modo che potessero sentire tutti.
‘’Bene,
siamo giunti a destinazione. Il Grande Drago ha già
riunito il Consiglio delle creature magiche, e attende solo noi. Per
ora,
verranno con me il folletto’’, e indicò
Jack,’’ e l’addormentato’’, e
indicò la
copia di Sam. Si alzò un po’ di vocio, soprattutto tra i
folletti.
‘’Silenzio! Il Drago nostro Re vuole, per prima cosa,
giudicare il capo dei folletti, e sottoporre alla magia la copia dell’umano.
Sarà una seduta a porte chiuse, nessuno di voi potrà partecipare’’, disse Saby,
lasciando tutti ammutoliti.
Jack fu liberato dalle
catene, e docilmente entrò nella porta seminascosta.
Poi, due guardie elfiche vennero a prendere la copia di Sam.
Ed infine, Saby si apprestò ad entrare. Prima di varcare la soglia della porta,
si girò un attimo, e fissò Sam.
‘’Ah, quasi dimenticavo. Preparati, dopo di loro sarà il tuo
turno’’, disse l’unicorno, che si girò e scomparve. La porta si richiuse. Tutti
si sedettero sul gelido marmo, tanto non potevano far altro che aspettare.
Mentre i folletti si disperavano per il loro capo, Sam restò impassibile.
Desiderava solo ritrovare la pace e la tranquillità.
Ma ben presto si sarebbe trovato davanti ad un drago
rabbioso.
Meglio non pensarci, si disse, e prese ad osservare fisso la
porta che conduceva nel consiglio magico. La prossima volta che si sarebbe
riaperta, sarebbe stato per condurre lui lì dentro.
Ebbe un brivido. Ma ora basta disperarsi.
Chiuse gli occhi, e cercò di rilassarsi.
Il tempo passò lentamente.
Sam se ne stava seduto
e non rivolse la parola a nessuno.
Solo il vecchio nano
gli posò una mano sulla spalla e gliela strinse in modo lieve. Era un gesto per
fargli capire che gli era vicino. Lo ringraziò con un sorriso stentato. A
volte, per comunicare, non servono le parole.
Poi, accadde ciò che
tutti aspettavano. La porta si aprì, ed uscì Saby.
‘’Avanti, umano, sei atteso dal Consiglio magico’’, disse.
L’unicorno non mostrava alcuna emozione, né nella voce né nei movimenti. Era
sempre sicura di sé. Sam si alzò, e le si avvicinò.
‘’Venite anche voi, se
volete. Il Grande Drago vi ha concesso il permesso di entrare. A patto che non
disturbiate. E ricordatevi che voi non potete intervenire in alcun modo’’,
disse Saby, rivolgendosi ai nani e al popolo di Jack.
Tutti accettarono ed entrarono. Sam fu affiancato da Saby, e
varcò la soglia della porta del Consiglio.
Si trovò nel bel mezzo
di una vastissima stanza. A qualche centinaio di passi da lui, c’era il
Consiglio magico riunito.
Non vide il Drago, e i
rappresentanti delle varie razze magiche gli davano le spalle.
Doveva solo percorrere
un piccolo percorso, e poi sarebbe stato giudicato. Saby gli parlò all’orecchio.
‘’Allora, umano, è giunto il tuo momento. Ti chiediamo solo
di essere rispettoso verso tutti, e di non arrabbiarti o fare azioni
sconsigliate in riferimento a ciò che ti diranno. Non devi temere per la tua
vita. Qui sei solo un ambasciatore, limitati a parlare in favore degli umani e
prova a convincerci a stare dalla tua parte. Nessuno ti torcerà un capello, non
sei sottoposto alle nostre leggi, e non hai commesso reati volontari. Quindi,
stai calmo. Ultima cosa; ricorda che il tuo tempo da trascorrere ad Harlowhy è
scaduto. Qualunque risposta ti sia data, abbandonerai a breve questo mondo, per
tornare nel tuo. Per sempre. Te ne andrai appena finito questo Consiglio. Ma
questa è un’indiscrezione. Comportati bene e vedrai che tutto andrà per il
meglio. Intesi?’’, disse Saby, sottovoce e frettolosamente. Sam fece un cenno
affermativo con la testa.
Il suo calvario
sarebbe finito a breve.
Tra l’altro, era quasi giunto al punto dove avrebbe dovuto
parlare.
Ancora non vedeva in
volto le creature, né scorgeva il Drago, ma sapeva che sarebbe stata questione
solo di alcuni attimi. Poi, sarebbe stato il suo turno.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la lettura! J
Dunque, che dire.. Spero che anche questo capitolo sia stato
di vostro gradimento J
Ieri, munito di tanta forza di volontà, mi sono messo a
rileggere tutti i capitoli pubblicati, e ho risistemato tutti gli errori. Fin
qui, la storia dovrebbe essere quasi perfetta. Ringrazio chi mi ha segnalato
alcuni errori, poiché mi ha facilitato un po’ i lavori. Posso dirvi che è stata
dura revisionare tutto. Ma ci sono riuscito, spero di non aver combinato
disastri ahah J
Inoltre, come ben saprete, questa non è una storia conclusa,
quindi anch’io procedo insieme a voi. Sono più avanti di voi di due capitoli,
quindi mi sono anche divertito un po’ a rileggere e a risistemare questa mia
opera. Spero che anche a voi stia continuando a piacere J
Di nuovo, grazie a tutti !! J A mercoledì J
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18
CAPITOLO 18
Erano già passati quasi due mesi dal saccheggio di Fortwar,
in cui la capitale era stata devastata dalle truppe del generale John.
Erano state prese di
mira numerose case, e quasi tutti i negozi. Di loro, c’era rimasta solo cenere
e le pareti inscurite dal fumo degli incendi.
Ma Tim e Sergej avevano compiuto un miracolo. Grazie
all’aiuto delle milizie cittadine, che si fidavano dei due amici, e anche
grazie all’aiuto degli abitanti superstiti, ora la capitale era tornata quasi
come prima.
Ovviamente, c’erano ancora i segni degli incendi.
Ma almeno le strade erano pulite, i negozi erano in ordine ed
erano già operativi, e i morti erano stati sepolti.
Le case distrutte dalle fiamme erano state quasi totalmente
ricostruite.
Questi lavori avevano
impiegato migliaia di uomini, che lavoravano giorno e notte per la loro città.
Tim e Sergej erano diventati improvvisamente degli eroi agli occhi delle truppe
e dei cittadini. Tutti li vedevano come dei salvatori.
D’altronde, il generale John se n’era andato in malo modo, e
l’imperatore non aveva fatto un bel nulla per riparare i disordini.
Quando era giunto un
messaggero da Vargan, con un messaggio che parlava di ciò che era accaduto
all’esercito imperiale, i due amici erano rimasti impietriti.
Ma, in fondo, avevano provato sollievo.
Se quel vecchio e pazzo generale avesse vinto contro i
nemici, sarebbe tornato a Fortwar, e probabilmente avrebbe finito l’opera che
aveva già iniziato prima di partire, e poi chissà cos’altro avrebbe fatto.
Tim stava finendo di leggere il messaggio proprio in quel
momento. Sergej lo fissava, con uno sguardo tra lo stupito e lo spaventato.
‘’C’è scritto altro?’’, chiese.
‘’Sì, che ciò che è rimasto dell’esercito di John, e parliamo
di migliaia di uomini, è in rotta, e sta scendendo verso sud, alla volta di
Vargan. Vogliono preparare una resistenza’’, rispose Tim.
‘’Ma.. un esercito
così grosso, con così tanti soldati e senza più salmerie..’’, intuì Sergej. Tim
sorrise all’amico. Era un sorriso amaro.
‘’Purtroppo stanno
saccheggiando e distruggendo tutto. D’altronde, non vogliono lasciare nulla al
nemico. Inoltre, l’esercito si è spaccato in più parti, e i soldati stanno
raccogliendo i loro familiari per portarseli dietro fino a Vargan. E dietro di
loro non vogliono lasciare nulla di utilizzabile’’, disse all’amico.
‘’Perfetto. Quindi abbiamo un numero indefinito di persone
che stanno confluendo tutte verso Vargan, per organizzare una resistenza
guidata da.. tre maghi’’.
‘’Sì, Sergej, tre maghi. Strano, i componenti della setta di
Huru si nascondevano nel loro tempio da centinaia di anni. Effettivamente, non
sappiamo neppure se sono persone affidabili o no. Tra l’altro, ci invitano ad
andare a Vargan con un truppe di supporto’’.
‘’Bene, dovremmo
andarci. O vogliamo lasciare una moltitudine di persone in mano a maghi
rinnegati e fanatici?’’, disse Sergej.
‘’Hai ragione. Andrò io con duecento dei nostri soldati’’,
disse Tim.
‘’Bene, e io resterò nella capitale a vigilare un imperatore
pazzo’’, disse Sergej, tra l‘ironico e l’amareggiato. Tim sorrise all’amico.
Aveva ragione. L’imperatore si era risvegliato, ma, a quanto pare, era
impazzito e non stava per niente bene.
‘’Sergej, tu hai più esperienza di me nelle grandi città.
Cerca di far sistemare al meglio la capitale, poi inizia ad evacuare i civili
che vivono nelle zone rurali della provincia di Fortwar, e portali tutti qui,
all’interno delle mura. Tanto, ora abbiamo a disposizione molte case sgombre,
no?’’.
‘’Sì, sì, certo. Ci sto, allora facciamo così. Ti concedo cinquanta
dei miei soldati’’, disse Sergej.
‘’Perfetto. Il resto dei
soldati li scelgo tra i miei’’.
I due amici si
strinsero la mano, siglando il patto.
Sergej avrebbe lavorato nella capitale, vicino all’imperatore
pazzo, ma Tim sarebbe andato e rischiare la vita.
‘’Bene. Ora che ci siamo accordati, non resta altro che andare
a riferire all’imperatore’’, Disse Sergej. Tim lo fissò di sbieco, e sorrise.
Era da un bel po’ che non l’avevano visto. Quello che
sapevano su di lui era solo quello che veniva detto loro dai medici imperiali.
Scesero in strada, e si avviarono verso il palazzo imperiale.
Ovunque, i cittadini erano impegnati nella ricostruzione, e le cose andavano
benone.
I soldati erano sempre in mezzo agli abitanti, aiutandoli, e
così in città regnava un clima di tranquillità assoluta.
Tranne per il fatto che tutti, dai soldati ai civili, e dal
servo più umile al più nobile tra gli
aristocratici, erano accomunati da un odio comune: quello verso l’imperatore.
Su Iulius, ogni giorno il popolo mormorava molte cose; che
fosse totalmente impazzito, che fosse in coma, che fosse un traditore. In
realtà, neppure i due Tim e Sergej sapevano quali di queste cose fosse vera
oppure falsa.
In così tanto tempo, l’unica volta che avevano visto
l’imperatore era stato il giorno dopo la partenza delle truppe per Palok.
Iulius giaceva ancora
in uno stato d’incoscienza, ed aveva la testa tutta avvolta da garze e
materiali vari. Era seguito da numerosi medici, che avevano emesso sentenze non
molto positive.
Comunque, l’imperatore si era risvegliato dopo due giorni. E
i due amici non erano riusciti ad intravederlo neppure una volta. Ogni volta
che richiedevano un’udienza, i medici affermavano che non potevano vederlo,
perché aveva mal di testa o altri svariati mali. E questa cosa non piaceva ai
due amici.
‘’Tim, se anche questa
volta quei dannati medici ci allontanano e ci rifiutano di vedere l’imperatore,
mi arrabbio’’, disse Sergej all’amico.
‘’Stai calmo, Sergej. Vedrai, questa volta lo incontreremo’’,
disse Tim, in modo risoluto.
Stavano già percorrendo la via principale, erano quasi giunti
alla piazza principale e al palazzo imperiale, quando i civili si avvicinarono
a loro. Tutti sorrisero, e salutarono. I due amici ricambiarono, ormai erano
abituati alle adorazioni del popolo. Ma quella volta fu diverso.
I civili sapevano che ogni giorno in quell’ora loro si
recavano al palazzo imperiale, e quel giorno si misero a seguirli.
La folla continuò a seguirli, e i due non ne capivano il
perché. C’erano anche alcuni soldati. Tim rallentò un attimo e si rivolse ad un
suo giovane allievo, che si era mischiato con i civili e li stava seguendo.
‘’Che sta
succedendo?’’, gli chiese.
‘’Oh, vedrete. E’ una
sorpresa’’, disse il soldato, con un sorriso raggiante sul volto. Tim accostò
di nuovo Sergej. L’amico lo guardò, imbarazzato.
‘’Ma cosa diamine
stanno per combinare?’’, chiese, sussurrandogli all’orecchio.
‘’Una sorpresa’’, disse Tim, ironico. Sergej lo fissò,
stupito.
‘’Chissà cosa ci
attende, allora’’, disse Sergej, e si lasciò sfuggire un tremito. Tim sorrise.
Erano passati mesi da quando l’aveva conosciuto, e si era sempre mostrato come
un duro. Ma, al primo imprevisto, si spaventava subito. Decise di continuare a tranquillizzarlo.
‘’Tranquillo, Sergej.
Non vedi come sono felici? Non ci faranno nulla di male, avranno organizzato un
banchetto..’’.
‘’Sì, un banchetto nella Piazza delle Impiccagioni?’’, disse
Sergej.
La piazza centrale di Fortwar era stata soprannominata, dal
popolo, Piazza delle Impiccagioni, poiché per secoli gli imperatori avevano
impiccato lì i loro nemici, in modo da poter osservare meglio l’esecuzione dal
loro palazzo poco distante. Tim gli strinse un braccio.
‘’Sergej qualunque
cosa succeda, stai tranquillo. Per ora sono calmi, vedi, ci sorridono. Vedrai,
sarà sicuramente un banchetto’’, disse Tim all’amico.
Sergej non ne era
tanto convinto, comunque non parlò più. Purtroppo, sapevano che il popolo era
volubile, dal giorno della sommossa contro l’imperatore. In poche ore si era
passato da un clima tranquillo a una guerra civile.
Comunque, ormai non valeva più la pena di crogiolarsi in tali
pensieri. Erano quasi giunti alla piazza antistante il palazzo imperiale.
Ma quando entrarono
nella piazza principale, e ne ebbero la piena visuale, i due amici sbiancarono.
La piazza era piena di gente. Tutti stavano in silenzio, ma
sorridevano. Si aprì un varco per lasciarli passare, che si richiudeva subito
dietro loro.
Tutti li spingevano avanti.
E poi, ecco la sorpresa; nel mezzo della piazza, c’era una
struttura in legno lievemente rialzata, a fare da palco. Poco dietro, c’era una
bella corda che penzolava da un palo rialzato. Sotto, c’era una cassetta. Era una
forca per le impiccagioni.
I due amici si guardarono, terrorizzati. Furono spinti fino
al palco, e furono costretti a salirci, tra le pacche affettuose di tutti.
Quell’atteggiamento ambiguo stava facendo perdere la testa ai
due amici.
Subito, due soldati si appostarono dietro a loro.
Poi, sul palco salì
una figura in divisa nera. Era un giudice. Uno dei giudici più importanti della
corte imperiale, che tra l’altro erano gli unici che avevano potere di vita o
di morte anche sul sovrano.
Non erano mai riusciti a giudicare un imperatore, poiché essi
sceglievano solo persone fidate per ricoprire tale carica, e chi dava
impressioni negative al sovrano veniva immediatamente fatto sparire. Di solito
non si mostravano al pubblico, avevano un ala laterale del palazzo imperiale
tutto per loro, dove erano serviti e riveriti.
Il loro, in genere, era un lavoro nascosto. Si mostravano
solo, appunto, per le esecuzioni pubbliche di rilievo. I due amici notarono che
c’erano anche altri giudici, ma erano tutti un po’ distanti da loro. Avrebbero
fatto parlare il loro capo.
Il giudice si avvicinò, impassibile, ai due amici, e li
scrutò. Fece un cenno affermativo con la testa, e srotolò una pergamena di
carta, sulla quale c’erano scritte delle lettere.
Lettere che formavano un testo con un preciso significato,
che poteva significare una sola cosa; che qualcuno sarebbe morto di lì a breve.
Sergej si voltò verso la folla, e cercò di indietreggiare. Fu
nuovamente spinto avanti. La folla notò lo sguardo terrorizzato dei due amici.
Si fecero seri, e dalla folla si alzarono grida.
‘’Hei, ragazzi, non ve la dovete fare sotto, eh!’’, disse
uno, sghignazzando.
‘’Già, d’altronde vi stiamo solo facendo un favore!’’, gridò
un altro.
‘’Ma.. Ma..’’, ebbe il coraggio di balbettare Sergej.
‘’Niente ma! Ascoltate ciò che vi stanno per leggere. Poi ci
ringrazierete per questa sorpresa!’’, gridò un altro ancora.
Poi, improvvisamente, il giudice alzò una mano. Era il gesto
utilizzato per richiedere il silenzio. Subito la folla ammutolì.
Il giudice, un uomo sui quarant’anni, con un volto torvo e
butterato, faceva quasi paura. Lanciò un ultimo sguardo ai due amici, prima di
iniziare a parlare.
Tim e Sergej si fissarono, in un istante che parve
interminabile.
I due amici erano frastornati, non capivano se era una
congiura, un tradimento, o chissà quale altra cosa. Ormai la paura iniziale si
era acquietata, d’altronde non avevano altra possibilità che ascoltare in
silenzio.
Abbassarono lo sguardo, proprio mentre il giudice apriva la
bocca per pronunciare le prime parole.
Avrebbero accettato qualsiasi cosa fosse stata loro detta.
Erano sempre stati due
ragazzi giusti e rispettosi, non temevano la morte.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti ! grazie per la lettura J
Steph808, ti prego di scusarmi l’interruzione del capitolo,
dovevo creare un po’ di suspense! J Poi, non volevo pubblicare un
capitolo lunghissimo.
Mercoledì prossimo pubblicherò il continuo di questo
capitolo, e scopriremo cosa sta succedendo a Fortwar. Spero di aver creato un
po’ di attesa J
Sabato invece andremo a far visita a Sam, che deve parlare al
Consiglio magico. Povero Sam! Dovrà fare delle scelte complicate, ma lui sa il
fatto suo J
Grazie per aver letto anche questo capitolo. Ringrazio Monte
Cristo per aver messo la mia storia tra le seguite!
Grazie anche a Angel
Story, Amisa, Hola1994 e Lav22, che continuano a seguire la mia storia già da
un po’ di tempo. Grazie di cuore! Spero che questo racconto continui ad
intrattenervi un po’ J
Ovviamente, un grande grazie anche a chi ha inserito la mia
storia tra le preferite! J
Grazie di tutto!!! J A sabato J
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
CAPITOLO 19
Tutte le creature magiche lo stavano fissando.
Sam era emozionatissimo.
Aveva sempre sognato di trovarsi in una situazione simile, ma
non l’aveva mai voluto ammettere a nessuno, neppure a sé stesso. Era circondato
da creature di ogni specie e di svariata grandezza.
Il Consiglio magico
era costituito in questo modo: colui che doveva parlare al Consiglio veniva
messo al centro di uno spiazzo simile a quello di un’arena, e i membri che
dovevano giudicare erano seduti tutti attorno a lui, quasi a formare un cerchio
perfetto.
Per ogni razza, c’era un solo esponente a poter esprimere un
giudizio, e, di solito, era anche capo e signore della sua specie.
C’erano decine e
decine di creature ad ascoltare quell’udienza, poiché era qualcosa di sensazionale,
che si erano sistemate dietro i membri che detenevano lo speciale diritto di
poter giudicare.
Era da lungo tempo che non vedevano un umano.
Saby si scostò da lui, lasciandolo solo. Ben presto, Sam si
ritrovò al centro dell’arena, con centinaia di creature che lo osservavano.
Ma notò che mancava la creatura più importante: il Grande Drago.
Sam continuava a
guardarsi attorno, inebetito, poi sentì un fremito che percosse tutto il marmo
sottostante.
Poi, a poca distanza da lui, apparve il Grande Drago. Era,
senza dubbio, la creatura più bella che Sam avesse mai visto. Le sue squame
erano di mille colori, ed era gigantesco. Il suo viso non era malvagio, ma
comunque era arrabbiato.
Sam si inginocchiò, in
segno di rispetto. E la creatura parlò.
‘’Alzati, umano. Io non sono il tuo re. Puoi stare in piedi,
in mia presenza’’, disse il Drago. Sam obbedì e si rialzò.
‘’Bene. Innanzi tutto, tu sei qui come ambasciatore del tuo
popolo. Quindi, sei giunto qui in pace. E invece, qualcuno del mondo magico ti
ha fatto del male. Scommetto che già sai di chi ti sto parlando’’. Sam fece
cenno affermativo della testa.
‘’Umano, puoi anche
parlare, o ti hanno pure tagliato la lingua? Come ti chiami?’’, chiese il Drago,
con un modo di fare molto irritato.
‘’Sam, signore’’.
‘’Ho detto che non sono il tuo signore. Chiamami pure Grande
Drago’’.
‘’Va bene, Grande Drago.’’
‘’Perfetto. Prima di ascoltare il tuo messaggio rivolto alle
creature di questo mondo, devo risolvere la questione del folletto Jack’’.
Appena fu pronunciato
il suo nome, Jack si materializzò a poca distanza da Sam.
Appena il ragazzo lo vide, rimase sconvolto. Il benevolo
visino del folletto era una maschera di paura. Piangeva di nuovo, emettendo
singhiozzi soffocati, tipici di chi, ormai, non ha più lacrime da versare,
poiché le ha già versate tutte. Non guardò Sam, e rimase assente.
Sam provò un immensa pietà di lui, e in quel momento la sua
mente andò al di là del tradimento.
Era vero che Jack gli
aveva fatto del male nel primo periodo di soggiorno ad Harlowhy, ma poi si era
sempre comportato bene, da buon amico.. e gli tornarono in mente le sue
invocazioni di perdono e pietà. Sam si emozionò immensamente, ma non lo diede a
vedere.
‘’Sam, io non mi sento
in grado di valutare e punire in modo corretto il folletto. Lui ha fatto del
male a te, e a te toccherà giudicarlo. Ma ricorda; dopo aver emanato il tuo
verdetto, non potrai più tornare indietro. A te la parola’’, disse il Grande Drago.
Questa richiesta colse
di sprovvista Sam, ma non il Consiglio magico. A quanto pare, erano già tutti
d’accordo.
Sam capì che il Grande Drago non voleva mettersi contro i
folletti, emettendo una dura condanna. Quindi lasciava cadere tutto il peso di
quella decisione su di lui, che non era altro che l’umano, ovvero colui che di
lì a poco avrebbe lasciato quel mondo per sempre.
E le creature magiche sapevano che gli umani erano crudeli,
cattivi, e sempre pronti a vendicarsi e a fare del male.
Quindi, si stava cercando
di scaricare tutto su di lui, che era visto come il capro espiatorio di turno.
Anche il Grande Drago, in realtà, era un subdolo, si disse Sam tra sé e sé.
Ed ebbe subito la
sentenza pronta. Lasciò parlare il suo cuore e i suoi sentimenti in maniera
libera, mentre tutti lo osservavano col fiato sospeso.
‘’Grande Drago, questa
è la mia sentenza. Voglio che jack torni libero e che riprenda il comando del
suo popolo. E’ vero, lui inizialmente mi ha fatto un torto, ma poi è stato un
buon amico. Mi stava vicino, e mi raccontava storie, trattandomi da fratello.
Mi ha fatto accettare dal suo popolo, e mi ha fatto sentire a casa. Io lo
perdono. Non richiedo alcuna punizione’’, disse Sam tutto d’un fiato.
All’inizio, ci fu solo
il silenzio. Poi, la platea emise un grido di giubilo. I rappresentanti delle
creature magiche sorrisero, e il Grande Drago parve stupito. Subito, le catene
che tenevano imprigionato Jack scomparvero, e il folletto fu libero.
‘’Vai, Jack, torna dal
tuo popolo. Io rispetto sempre la parola data’’, disse il drago. Jack passò di
fronte a Sam; ora il suo sguardo era tra lo stupito e il felice. Prima di
raggiungere il suo popolo, sfiorò Sam, e gli parlò sottovoce.
‘’Grazie, Sam. Non lo dimenticherò’’, disse, mentre le
lacrime continuavano a scendere lungo il suo viso.
Con la sostanziale differenza che questa volta stava
piangendo per la felicità, e non più per il dolore. Sam sorrise al folletto,
mentre si allontanava velocemente.
‘’Grazie, Sam. Sapevo che era un ragazzo giusto. Bene, questa
vicenda è conclusa. Torniamo alla tua richiesta. Spiegacela pure, ti
ascoltiamo.’’, disse il Grande Drago. Le
varie creature ora lo guardavano, e parevano bendisposte verso di lui.
‘’Sarò breve. Sono giunto fin qui affrontando mille pericoli,
per richiedervi di intervenire a favore degli umani di Fortwar. Il nostro
impero sta venendo distrutto da popoli sconosciuti, che vengono aiutati da
perfidi Demoni. Sono qui per richiedervi un aiuto, un’alleanza’’, concluse Sam.
‘’Va bene, Sam, grazie
del messaggio. Ma non sta a me decidere su questa questione. Avanti, esponenti
di ogni razza magica, dite se i vostri popoli sono disposti ad allearsi con gli
umani’’, disse il Grande Drago.
Nonostante che la parola ‘Demoni’ avesse generato un brivido
generale, e che il verdetto di Sam fosse piaciuto, quasi tutti i componenti del
Consiglio scossero la testa.
La maggior parte non si prese neppure la briga di dire due
parole. Giganti, arpie e tanti altri dissero che non avrebbero partecipato a
nessun conflitto, tantomeno avrebbero offerto alcun supporto agli umani.
Neppure i draghi e gli unicorni avrebbero partecipato.
Nessuno, fino a quel momento, si era espresso favorevole
all’invio di truppe agli umani. Sam era avvilito.
Tra gli ultimi a dire la loro, ci furono gli elfi, che
promisero di mandare una quindicina di guerrieri.
Poi, anche i nani si fecero avanti, e promisero di mandare
alcuni dei loro, per supportare gli umani. Comunque, si continuava a parlare di
cifre molto ridotte.
Con grande sorpresa di Sam, che fino a quel momento non
l’aveva notato, parlò Wolfy, il grosso lupo che l’aveva salvato dalla Grande
Tempesta, e che l’aveva consegnato a Saby.
Sam scoprì così che era lui il capo degli Akluth, gli
invincibili lupi guerrieri che seminavano il terrore sulla terraferma e che
potevano combattere anche in mare, sotto forma di grosse e feroci balene.
Ebbene, Wolfy assicurò il pieno appoggio del suo popolo, e
promise che avrebbe partecipato al conflitto con tutti i suoi guerrieri.
Finalmente qualche
alleato, si disse Sam.
Per ultimi, alcuni
capi dei folletti promisero che avrebbero inviato alcuni dei loro. E così, il Consiglio
era finito.
Sam ringraziò tutte le creature magiche, e in particolar modo
quelle che sarebbero tornate con lui a Fortwar. Mentre molti si accingevano ad
andarsene, il Grande Drago parlò a Sam.
‘’Ragazzo, ti aspetto tra poco in un luogo appartato. Devo
parlarti di varie questioni, come la presenza dell’altra tua parte. Non so fino
a che punto ti abbiano spiegato questo evento, ma io lo farò in modo completo.
Saby ti accompagnerà nel luogo stabilito. A dopo’’, concluse il Drago,
sparendo.
Sam rimase a fissare il vuoto. Le creature magiche erano
uscite quasi tutte, c’era rimasta solo un po’ di calca di fronte alla grande
porta principale, che era situata all’opposto di quella da cui era entrato Sam.
Sentì dei passi provenire da dietro di lui.
Si voltò, e si trovò
faccia a faccia con Saby e Jack. Jack fece un balzo, e lo abbracciò. Sam non
sciolse l’abbraccio del folletto, anzi, lo ricambiò.
‘’Ben fatto, Sam. Ti
sei comportato eccellentemente. Ora, però, andiamo; il mio signore ti attende’’,
disse Saby.
‘’Aspetta un attimo. Volevo dirti una cosa’’, disse Jack.
‘’Dimmi pure’’, disse Sam.
‘’Mi odi per quello
che ti ho fatto?’’.
‘’No’’, disse Sam, sorridendo.
‘’Allora mi hai realmente perdonato?’’, disse il folletto.
‘’Sì, Jack’’, concluse il ragazzo, con sincerità.
‘’Grazie, amico. Volevo anche dirti che sei stato leale con
me. Se fossi stato giudicato dal Grande Drago, sicuramente mi avrebbe messo a
morte. Come ricompensa per avermi salvato la vita, ti offro il mio posto di
capo tribù. Sei un ragazzo saggio e leale, più buono di me, sapresti farti
voler bene dal mio popolo. Ho già parlato con loro, sono disposti ad accettarti’’,
disse il folletto.
‘’Oh, Jack, per favore! Il tuo popolo ha bisogno di un capo
come te, io sono un umano, non potrei guidarvi. E poi è giusto che sia tu il
loro capo, insomma’’, disse Sam.
Il folletto si ritrasse da lui, e gli fece un inchino, in
segno di profondo rispetto.
‘’Grazie di tutto,
Sam. Io e il mio popolo ti giuriamo fedeltà eterna. Ovunque andrai tu, andremo
anche noi’’, disse il folletto.
‘’Ora basta ciance, però. Il Grande drago ci sta aspettando.
Vieni, Sam’’, disse Saby, incurante di interrompere la conversazione.
‘’Andiamo’’, disse Sam, allontanandosi dal folletto, ma non
senza lanciargli un sorriso. Un sorriso che significava molte cose. Amicizia,
lealtà.. e questo il folletto lo capì.
Mentre Sam andava dal Grande drago, Jack si affrettò ad
andare ad informare il suo popolo sulle sue decisioni.
Aveva deciso che avrebbe seguito quel ragazzo, anche a
condizione di prendere parte ad un conflitto e ad abbandonare per sempre il
mondo magico di Harlowhy.
E così avrebbe fatto.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la lettura! Spero vi sia piaciuto anche
questo capitolo J
Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire la mia
storia. Grazie J J
A mercoledì J
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
CAPITOLO 20
Tim e Sergej attesero con ansia le prime parole del giudice.
Erano pronti a tutto, ormai.
Attorno a loro, erano riuniti tutti i cittadini e i soldati
di Fortwar.
‘’Io , Giudice Supremo della corte imperiale, oggi parlerò
per esprimere il volere del popolo della capitale e di ciò che rimane
dell’impero’’, disse il giudice, in parte leggendo.
Fece una breve pausa, prima di riprendere il discorso.
Lanciava strane occhiate ai due amici. Sembravano quasi divertite. Tim
desiderava solo che quella farsa terminasse in fretta.
‘’Il popolo, supportato dalle milizie cittadine, grida a gran
voce la parola ‘morte’. E sarà quello che avverrà. Noi, giudici imperiali,
abbiamo ricevuto migliaia di segnalazioni provenienti da altrettante migliaia
di persone diverse, e abbiamo ritenuto giusto il nostro intervento. Il popolo
richiede giustizia, e questa sarà loro concessa!’’, disse il giudice, scandendo
molto bene le parole.
Dal popolo si alzò un
grido di giubilo. I due amici continuavano a non capire.
Il giudice indietreggiò, e posò la pergamena nella mani di un
suo segretario, che si avvicinò apposta. Poi, si avvicinò ai due amici, e
riprese a parlare.
‘’Il popolo ha deciso. Anche noi, giudici imperiali, sulla
base di prove concrete e referti medici, siamo d’accordo con esso. La decisione
è questa. L’imperatore Iulius, figlio dell’empio e corrotto Claudio e di una
negromante, a sua volta frutto di decine di altri imperatori corrotti che
l’hanno preceduto sul trono, deve essere giustiziato pubblicamente. Nessun imperatore può
permettersi di far saccheggiare la sua capitale, e di far straziare il suo
popolo. Lui, e il generale traditore John, sono ritenuti traditori da tutti noi
qui presenti’’, disse il giudice, fermandosi un attimo.
Tim e Sergej tornarono
a fissarsi, stupiti. La folla, intanto, urlava di gioia.
‘’Noi giudici, grazie
al potere conferitoci dal popolo e dagli imperatori precedenti, dichiariamo
conclusa questa fase dell’impero. L’imperatore sarà giustiziato oggi stesso, la
forca è già pronta. Il generale John, che sia per sempre maledetto, si è
venduto al nemico, quindi non avremo modo di giudicarlo. Ma in ogni caso lo
dichiariamo esiliato dalla capitale. A guidare i territori imperiali che non
sono ancora caduti in mano nemiche, conferiamo pieni poteri e il titolo di
generali supremi ai valorosi Tim e Sergej, che per mesi sono stati vicino al
popolo ed hanno fornito un sostanziale aiuto a tutti. quindi, dichiariamo la
nascita del nuovo impero di Fortwar, guidato dai nostri due nuovi e valorosi
generali’’, disse il giudice, lanciando un fugace sorriso ai due amici, che
erano sbalorditi.
Il popolo festeggiava
e gridava.
Già molti avevano iniziato a tracannare birra e a
festeggiare.
Tim e Sergej finalmente si rilassarono un po’. Almeno, non
erano loro quelli da impiccare. Ma non avevano intenzione di tradire
l’imperatore. Almeno, Tim non ne aveva affatto. Il giudice parlò di nuovo.
‘’Ora, invitiamo i nostri due generali supremi ad andare a
prendere l’imperatore dal palazzo. Portatelo qui, e giustiziatelo pubblicamente’’,
disse nuovamente il giudice, mentre i due soldati che erano stati appostati
dietro ai due amici per tutto quel tempo, si fecero avanti e strinsero due
fasce di tessuto color porpora attorno ai loro avambracci.
Tim e Sergej sapevano che quel pezzo di stoffa significava
che loro, ora, erano diventati ufficialmente i due generali supremi
dell’impero. Erano rimasti senza parole, completamente travolti dagli eventi.
Il giudice si avvicinò a loro, e parlò.
‘’Avanti, generali, andate e portate fuori il traditore. Al
resto ci penseremo noi.’’
‘’No, noi non andremo a prelevare nessuno. Anzi, vogliamo
dire a tutti che noi non siamo pronti per ricoprire questo incarico. Tantomeno
per catturare e uccidere un imperatore’’, disse Tim.
‘’Allora, provate a
spiegarlo a loro’’, disse il giudice, sorridendo, mentre indicava la folla.
La folla aveva
iniziato a gridare una sola frase; a morte il traditore.
Tim e Sergej scesero dal palco e iniziarono a muoversi verso
il palazzo imperiale. Ora la situazione era ingestibile, ma magari, aspettando
un po’, si sarebbe calmata.
Appena i due amici scesero dal palco, la folla li accompagnò
fino al palazzo imperiale, lanciando grida sguaiate e offensive verso
l’imperatore. I due amici non poterono fare altro che assecondare la
situazione, e cercarono di dimostrarsi tranquilli, sorridendo a tutti.
Ricoprirono in fretta
i pochi metri che li separavano dal palazzo imperiale, e si accinsero ad
entrare nel giardinetto. Notarono subito che era sguarnito.
Entrarono, e si diressero verso l’ingresso.
Lì c’erano appostate due guardie, che si congedarono,
lasciando il passo ai nuovi venuti. Tutti erano d’accordo, tutti conoscevano il
piano, tranne loro due.
Mentre i due generali
entravano, il popolo si fermò fuori, per devastare il giardino. Tim e Sergej si
fecero coraggio, e percorsero quel lungo e largo corridoio, che percorrevano
ogni giorno, e fecero una rampa di scale.
All’ingresso di una porta laterale, li stava aspettando una
figura vestita con un semplice camicie bianco. Era un medico.
‘’Venite, generali, vi stavamo aspettando‘’, disse loro. I due
amici entrarono nella stanza.
Di fronte alla finestra, che godeva di una buona vista sulla
piazza principale, c’era l’imperatore Iulius. Era tutto trasandato, e aveva
ancora una fasciatura stretta attorno alla testa. Si girò per guardare i due
amici.
‘’Salve, generali e reggenti del nuovo impero di Fortwar. Sono
pronto per essere giustiziato’’, disse loro, e con calma si avvicinò.
Pose in avanti le
braccia, pronto ad essere legato per essere trascinato fuori ed essere
umiliato. Quella reazione prese alla sprovvista i due amici.
‘’Noi non giustiziamo
nessuno. Staremo qui dentro per un po’, ad attendere che si calmino le acque.
Poi contratteremo. Noi non tradiamo il nostro imperatore’’, disse Tim. Iulius
ridacchiò con cattiveria.
‘’E’ inutile che fingiate. Avete approfittato della mia
malattia e della mia assenza per ingraziarvi tutti. E ci siete riusciti.
Avanti, portatemi fuori e impiccatemi. Ormai, qui nessuno mi seguirà più. Ho
perso l’onore, e tutti mi odiano’’, disse Iulius, con toni sicuri.
‘’Ma, no sire, noi non
l’abbiamo tradita così..’’, provò a dire Tim.
Ma ormai, l’imperatore si era già fatto delle sue idee. Era
freddo in tutto, non era più il ragazzo che avevano conosciuto qualche mese fa.
Forse, era colpa della botta che aveva ricevuto. I due amici questo non lo
seppero mai con certezza.
‘’Avanti, portatemi fuori’’, disse.
‘’No’’, disse Tim, che guardò poi l’amico, che era rimasto
impassibile. Strano, pensò Tim.
‘’Bene. Allora farò
tutto da solo, come un vero sovrano rinnegato dal suo popolo. Uscite,
guardie!’’, disse iulius.
I due amici non fecero
tempo a muoversi, perché furono immobilizzati da quattro grosse guardie, che
erano rimaste nascoste alle spalle dei due amici. Tra l’altro, anche il medico
che li aveva chiamati dentro la stanza si era tolto il camice. In realtà era
una guardia camuffata.
‘’Visto cos’è successo? Avrei potuto dare l’ordine di
eliminarvi, tutti e due, traditori che non siete altro. Ma non l’ho fatto, e
questo solo per un semplice motivo. Perché il mio popolo non mi accetterebbe
comunque’’.
‘’Basta, imperatore!
Noi non siamo traditori! Noi non vi uccideremo! Lasciateci e troveremo un
accordo’’, disse Tim.
‘’Ma allora non capisci?
No, tu stai fingendo. Tu mi credi uno stupido’’, disse iulius, avvicinandosi a
Tim.
Tim voleva parlare con Iulius, spiegarsi bene e chiarire
tutto, e lanciò un’occhiata disperata a Sergej. L’amico gli riservò solo uno
sguardo gelido. E Tim capì che doveva tacere.
Alzò gli occhi sull’imperatore, che ora era proprio di fronte
a lui. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, e un sorriso folle sulle labbra. Un
suo pugno serrato era a poca distanza dal suo volto. E in quel momento Tim
comprese che Iulius era già morto, ucciso nel suo intimo dalla follia e dalla
solitudine.
Per mesi era rimasto solo, chiuso dentro al suo palazzo,
aveva sofferto, era stato vittima di una rivolta, si era beccato una pietra in
testa ed infine era stato detronizzato dai suoi stessi sudditi. Inoltre, aveva
ascoltato tutto quello che aveva detto il giudice dal suo palazzo.
La sua malattia non era scaturita solo da una botta in testa,
ma dal potere. Tim attese una reazione di Iulius, e chiuse gli occhi, pronto a
ricevere un pugno. Ma non fu colpito. Quando riaprì gli occhi, l’imperatore si
era allontanato, e si accingeva ad aprire la finestra. Si girò, per un ultima
volta.
‘’Io tra poco morirò,
ma voglio darti un consiglio, mio caro Tim. Tu sei troppo buono e ingenuo. Stai
attento a chi ti circonda. Le cose non sono sempre così come appaiono.
Guardami, per un’ultima volta. Io sono il risultato dell’ingenuità,
dell’incomprensione. Non commettere mai il mio errore, e tieni presente le mie
parole. Oh, quasi dimenticavo; chiedi col tuo migliore amico’’, e segnò
Sergej,’’ quello che faceva prima di incontrarti ad Arus. E quello che continua
a fare, fingendo emozioni che in realtà non prova. Scommetto che non te l’ha
mai detto, vero? E lui si dichiara tuo amico. Per un ultima volta, tieni gli
occhi aperti, e impara a non fidarti di nessuno, se vuoi vivere’’, disse
l’imperatore, pronunciando tutto come se fosse una profezia.
Poi spalancò la finestra, lasciando Tim a rodersi nel dubbio
e nell’insicurezza.
Iulius uscì su un terrazzo che si affacciava proprio sul
giardino, ormai devastato dai rivoltosi.
Il popolo lo fissò, e calò il silenzio. Le quattro guardie si
fecero avanti, trascinando i due amici sul terrazzo. Tutti li stavano fissando.
Iulius parlò.
‘’Popolo, guardatemi bene. Io sono il vostro imperatore,
quello che voi avete condannato a morte poco fa. Sappiate che morirò, ma non
per mano di quei due codardi dei vostri nuovi generali, ma per mano mia’’,
disse Iulius tutto d’un fiato.
Poi, rapidamente, estrasse un minuscolo pugnale e se lo conficcò
nel fianco destro.
Tim notò che era
decisamente troppo corto per provocare una ferita mortale. Eppure, in pochi
istanti, iulius si accasciò e spirò. Si era pugnalato con un arma intinta in un
potente veleno. A quel punto, le quattro guardie liberarono i due amici.
‘’Siete contenti, ora? Il vostro nemico è morto’’, disse una
di esse.
Poi, insieme,
sfoderarono i loro pugnali e si colpirono, proprio come aveva fatto
l’imperatore. Spirarono in pochi istanti.
Il popolo, nel giardino e nella piazza, urlava, intristito
per lo scarso divertimento.
Avevano pregustato una
processione con l’imperatore in catene, la sua umiliazione, e poi la sua morte.
Ma invece Iulius aveva scelto un percorso diverso per raggiungere il regno dei
morti. Tim raggiunse la salma dell’imperatore.
‘’Sergej, aiutami’’,
disse. Sergej lo guardò con un’aria interrogativa, ma obbedì, e sollevarono il
corpo dell’imperatore.
‘’Non possiamo lasciarlo qui. Se lo prende il popolo, Iulius
non potrà godere neppure di una sepoltura’’, disse Tim. Sergej scosse il capo,
ma continuò ad aiutarlo.
Lo portarono giù, in cortile, dove furono acclamati come se
fossero stati eroi. Il giudice che li aveva proclamati generali si avvicinò.
‘’Generali, volete festeggiare con noi? Ehi, ma che fate con
quel cadavere? Lasciatelo subito lì. Il popolo lo deve vedere’’, disse,
arrogante.
‘’No, questo lo teniamo noi come.. trofeo’’, disse tim, con
un moto di disgusto verso sé stesso.
‘’Oh, ma il popolo potrebbe aversene per male. Dovete
concedergli qualcosa in cambio, visto che vi hanno resi generali supremi e
tutori del nuovo impero’’, disse l’avveduto giudice.
‘’Che si prendano il palazzo. Tanto noi non lo useremo’’,
continuò Tim. Notò che Sergej gli stava lanciando brutti sguardi. Sguardi che
sottolineavano il fatto che si era creata una frattura tra loro. E Tim,
improvvisamente, si sentì solo.
Facendosi aiutare dall’amico, abbandonarono la piazza,
mantenendosi ai margini in modo da non essere seguiti e riconosciuti, e si
diressero al cimitero cittadino, dove scavarono una buca.
Così seppellirono l’ultimo degli imperatori di Fortwar.
Iulius non godette di nessun onore, ma solo delle lacrime sincere di Tim.
Mentre per tutta la città si faceva festa, il palazzo
imperiale stava venendo razziato e incendiato. Nella sera, l’orizzonte si fece
di un rosso intenso, oscurato, ogni tanto, dal fumo provocato dal palazzo in
fiamme.
Tim si sentì perduto;
era sempre stato un ragazzo amante dell’ordine, e ora nulla era più come prima.
Finirono con calma la sepoltura effettuata in una fossa
anonima, nell’area riservata ai poveri, che non potevano neppure concedersi una
lapide, per fare in modo che nessuno potesse disturbare il sonno eterno di
Iulius.
Tim volle ricordarlo
per un ultima volta, in segno di rispetto. Volle dimenticare gli ultimi momenti
della sua vita, per far riaffiorare i ricordi che aveva del giorno in cui
l’aveva conosciuto.
Gli era sempre sembrato un duro, da quando li aveva salvati
dalla derisione delle sentinelle, il primo giorno che erano giunti a Fortwar. In
altre circostanze, avrebbe potuto fare meglio, e diventare un buon imperatore.
Seguito dall’amico, si allontanarono e andarono a sedersi in
una panchina davanti casa loro. La gente passava di corsa per la strada, e
gridava dalla felicità. L’imperatore, l’oppressore, era morto.
Nessuno li degnava di
uno sguardo, tanto erano presi dai festeggiamenti. Tim si fece forza ed espose
la fatidica domanda.
‘’Sergej, cosa facevi
prima di incontrarmi ad Arus?’’, chiese.
Sergej sorrise.
‘’Anzi, mi farebbe piacere
scoprire chi sei veramente. In realtà siamo stati amici, abbiamo condiviso
numerosi momenti insieme, io ti ho raccontato tutto su di me, ma tu non mi hai
mai raccontato nulla su di te. Sul tuo passato, prima che ci incontrassimo’’,
continuò.
‘’In realtà, quello
che facevo è anche quello che ho continuato a fare fino a pochi istanti fa’’,
disse Sergej, e il suo volto si fece triste.
‘’Cosa? Spiegati meglio’’, chiese Tim, curioso. Non riusciva
più a riconoscere il suo amico. Ora, erano tornati ad essere i due estranei che
erano entrati in conflitto ad Arus, il primo giorno che si erano visti.
Sergej fece un respiro
profondo, e iniziò il suo racconto.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Grazie per la lettura J
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro
gradimento.
Vorrei informarvi che ormai siamo a metà storia. Mi farebbe
molto piacere se vorreste dirmi cosa ne pensate di questi primi venti capitoli,
se la storia è curiosa, cosa vi è piaciuto di più.. J
Come vi ho già
ripetuto mille volte, questa è la prima storia che scrivo, e il vostro parere è
molto importante per me. Lo so che non sono proprio il top come scrittore, ma
ho sempre cercato di migliorare, un po’ per volta, ogni giorno, per cercare di
scrivere qualcosa di leggibile e interessante. Spero, fin qui, di esserci
riuscito, e di continuare a riuscirci anche nei capitoli futuri J
Grazie mille a tutti quelli che continuano a seguire la mia
storia, dandomi fiducia.
Grazie a tutti! J
Sabato pubblicherò un capitolo inedito, spero vi piaccia. I
prossimi due capitoli saranno molto movimentati, e in più finiremo di conoscere
tutti i nostri personaggi. Ci saranno sostanziali novità che riguarderanno
alcuni dei nostri amici, ma mi fermo qui, non dico altro. Il resto lo
scopriremo insieme, volta per volta J
Ancora una volta , un grande grazie a tutti!! J A sabato J
|
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21
CAPITOLO 21
Ignaro di quello che stava accadendo a Fortwar, il Gran re
Fermei era su tutte le furie.
Era vero che aveva
vinto sull’impero usando l’inganno, ma a sua volta era stato beffato.
I soldati imperiali stavano retrocedendo, avvisando la
popolazione dell’imminente arrivo del nemico.
Inoltre, il popolo in fuga aveva bruciato i propri villaggi,
e non era rimasto nulla per il suo esercito.
Era stato inutile il tentativo di inseguire i fuggitivi. Loro
conoscevano meglio il territorio,e si erano sparsi su di esso a macchia di
leopardo. Inoltre, avevano abbandonato i carri degli alimenti, e li avevano
incendiati, tant’erano sicuri di trovare cibo presso gli abitanti della zona.
Ora, Fermei stava
fissando Palok. O, meglio, ciò che rimaneva di Palok.
La grande città era stata abbandonata dai suoi abitanti, e
data alle fiamme. Certo, doveva essere stata una gran bella città, fino a pochi
giorni prima. Alcune case fumavano ancora; era segno che i fuggitivi non
dovevano essere andati molto lontano.
Ma la grande città era circondata da tre lati da un fitto
bosco, così come tutte le città dell’impero. Ed un bosco era pieno di
nascondigli, e stanare una ad uno ogni abitante sarebbe stato un immenso spreco
di forze.
Appena il suo esercito avesse ripreso la marcia verso sud,
probabilmente i civili sarebbero rispuntati come conigli. Ma non ora.
Gli unici che erano rimasti all’interno della città erano
stati dei maghi di una strana setta, che erano stati subito eliminati dai
Demoni. Il loro tempio, che era l’unica struttura rimasta intatta, era stato
dato alle fiamme e razziato. Ma il malloppo era stato veramente scarso.
Rabbioso, il re fece
convocare i Demoni, che si presentarono subito dopo.
‘’Demoni, voi siete in
grado di scovare tutti i civili che si nascondono nel bosco?’’, chiese.
‘’Certo, sire. Siamo
specializzati nella caccia all’uomo’’, risposero, con un tono che non piacque
per nulla al re.
‘’Bene. Allora, visto che siete affamati, vi do il permesso
di catturare tutti quelli che troverete nel bosco. Ovviamente, i tre quarti di
essi ve li concedo come pasto. Basta che me ne portiate una piccola parte di
loro, da utilizzare come vostra scorta in caso ce ne sia bisogno.’’
‘’Perfetto, sire’’, dissero, soddisfatti. Fecero per
incamminarsi. Il Gran re li bloccò.
‘’Ma ad una condizione.’’
‘’Dica pure.’’
‘’In cambio, dovrete
racimolare tutta l’energia che potete raccogliere dentro di voi, per poterla
riversare sui nemici, che ci attendono a sud. Ci state?’’, chiese il re.
‘’Va bene, sire. Ci stiamo’’, dissero.
‘’Bene, andate allora.
Andate dove volete, e catturate più civili che potete. Tanto lo so che non vi
daranno problemi, e che vi obbediranno. Sapete dove trovarci. Fate un buon
lavoro, mi raccomando’’, disse Fermei. Sorrise ironico, poiché sapeva che quei
mostri avrebbero stanato fino all’ultimo umano che si nascondeva nella zona.
Ormai, non provava più pena quando doveva affidare degli
umani a quei mostri.
Quegli umani lo avevano beffato e gli avevano recato danno,
quindi dovevano essere dannati. E poi, ogni loro vita sarebbe stata tramutata
in forza per i Demoni.
Il suo animo, che stava diventando sempre più duro, si
scioglieva come burro al sole solo quando vedeva la sua amata Ilse. Lei lo
ricambiava, ne era sicuro. Ogni notte, giacevano insieme senza provare più la
vergogna iniziale. Anche se ultimamente la ragazza era stata un po’ più
assente, poiché affermava di avere alcuni disturbi, questo lasciava immutato il
loro rapporto.
Questo, andava a
confermare il fatto che la doveva sposare al più presto.
Appena avrebbe conquistato Fortwar, l’avrebbe portata al
palazzo imperiale e se la sarebbe sposata. L’avrebbe resa imperatrice dei due
imperi, quello a nord e quello a sud del grande deserto.
Quando, la sera, confidava quei pensieri alla sua amata,
vedeva chiaramente che erano cose che le interessavano. I suoi occhi brillavano
nel buio, e lo amava ancora di più.
Fermei non si sarebbe mai aspettato di trovare l’amore così
presto. E pensare che se non avesse avuto il coraggio, cinque mesi prima, di attraversare
il grande deserto, non avrebbe mai incontrato Ilse.
Ma ora, purtroppo, aveva altro a cui pensare. I suoi soldati
erano riusciti a reperire molto pollame e diversi cibi commestibili dal bosco,
ma bisognava razionare tutto, e lui doveva dirigere attentamente questo
processo, in modo che nessuno avesse modo di commettere degli illeciti.
Ancora una volta, convocò i suoi ufficiali.
Avrebbe avuto molto da
fare. Inoltre, non aveva intenzione di trovarsi a tu per tu con i nemici nel
breve termine. Prima di tutto, i suoi uomini si dovevano rifocillare, così come
i Demoni.
Intanto, in questo
modo avrebbe dato una bella lezione a quegli stolti che gli avevano incendiato
le città.
Poi, chissà. Comunque, questa volta l’esercito imperiale non
avrebbe vinto. Si sarebbe preparato in modo impeccabile.
Si sarebbe vendicato di tutto, a suo tempo.
I Demoni erano felicissimi.
Finalmente, avrebbero potuto fare ciò che più piaceva a loro.
La caccia all’umano.
Dopo mesi di
sofferenza e fame, avevano pensato di non riuscire più a trattenersi. Avrebbero
voluto strangolare quello stupido Gran re, gettarlo nella polvere insieme al
suo misero esercito.
Ma, purtroppo, dovevano ancora stare al gioco. Il loro
momento non era ancora giunto, ma si avvicinava ogni giorno di più.
Mentre pensavano, iniziarono la loro silenziosa caccia.
Avrebbero cacciato insieme, avevano deciso di non dividersi.
Subito, individuarono una preda. Era a poca distanza da loro.
Si avvicinarono, quatti.
Avevano già
l’acquolina in bocca.
Una nuova vittima da veder soffrire, che poi non era altro
che un pasto sostanzioso consumato con una buona dose di soddisfazione.
Si acquattarono dietro un largo e basso cespuglio di ginepro.
E scostarono le foglie, leggermente, senza fare rumore. Prima volevano vedere
quello che stava facendo la vittima, visto che restava immobile, seduta a terra.
Poi, era troppo vicina al campo dei guerrieri Sconosciuti.
Chiunque fosse, era stato veramente un imprudente ad
avvicinarsi così tanto.
Ma quando videro chi era l’umano, o meglio, l’umana, rimasero
stupiti.
Si guardarono, con i loro volti umani stirati dalla sorpresa,
e decisero di attendere un attimo, prima di presentarsi e di uscire allo
scoperto. Volevano proprio farle una sorpresa. Una sorpresa non gradita.
Ilse se ne stava china a cercare ciò che gli serviva, immersa
nella boscaglia.
Era uscita dalla sua tenda, e si era addentrata nel fitto
bosco che circondava il campo militare.
Aveva una particolare passione per le more selvatiche, che lì
crescevano spontaneamente. Tra l’altro, il cibo dell’accampamento era scarso e
disgustoso. Inoltre, ne approfittava per andare a cercare delle speciali erbe
anticoncezionali, che crescevano solo nel fitto e umido sottobosco di quella
zona.
Naturalmente, era uscita senza guardie. Non le piaceva
sentirsi seguita, ed inoltre, dopo la missione contro il generale, si sentiva
pronta a difendersi da qualsiasi cosa.
Si preparò a tornare alla sua tenda, tanto ormai aveva
trovato tutto quello che cercava. Ma, da un cespuglio poco distante, spuntarono
i Demoni.
‘’Che ci fate qui, mostri?’’, disse Ilse.
‘’Ehi, ragazza, non offenderci. E non agitarti. Potrebbe
farti male’’, disse la voce demoniaca.
‘’Non sta a voi dirmi ciò che mi può far male o meno. Andatevene,
e lasciatemi in pace.’’
‘’Vedo che tra poco il nostro Gran re avrà buone novelle.
Complimenti, Ilse. Non potevi fare di meglio.’’
‘’Cosa volete insinuare?’’, disse Ilse, che iniziò ad
indietreggiare.
‘’Che sei una serpe.
Ti abbiamo tenuto d’occhio, sai? Tu non ami il Gran re, e certo una gravidanza
va a tuo favore. Ora potrai far fare a Fermei ogni cosa che ti pare. Sei la sua
donna ormai, la futura madre di suo figlio’’, dissero i Demoni.
‘’Che cosa state dicendo?’’, chiese Ilse, non capendo bene
fin dove volessero spingersi quegli esseri, non nascondendo un po’ di stupore.
‘’Che sei incinta, cara. Noi che possiamo vedere le anime
abbiamo visto tutto di te. E sei incinta di quasi un mese’’, dissero i Demoni,
lanciandogli un’occhiata per vedere meglio la sua reazione.
No, si disse Ilse, non è possibile. Era stata attentissima a
seguire alla lettera i consigli della sua anziana serva, e aveva sempre assunto
le speciali erbe ogni sera, come le era stato detto.
‘’Basta. Lasciatemi in pace e andatevene. Voglio tornare alla
mia tenda’’, disse Ilse, fingendosi risoluta, per allontanare quei mostri.
Intanto, la sorpresa stava crescendo dentro di lei.
‘’Non avevi pensato a una possibile gravidanza? Adesso
aspetti un figlio di quello stupido Gran re. speriamo venga un po’ più furbo del
padre’’, dissero ancora i Demoni, con
ironia crescente.
‘’Vedo che neppure voi lo amate. Eppure in sua presenza lo lodate,
e lo chiamate alleato.’’
‘’Brava, Ilse. Vediamo
che hai intuito più del previsto.’’
‘’Credete che io sia cieca?
Vedo odio, odio profondo nei vostri occhi, ogni volta che parlate con il Gran
re’’, disse Ilse.
‘’Ragazza, noi possiamo solo riferirti una cosa; che le
pagherete tutte. Vi pentirete di averci risvegliati di nuovo’’, dissero i
Demoni, e fecero per andarsene. Poi, si girarono all’improvviso.
‘’E non tentare di metterci contro il Gran re. Se fai
qualcosa contro di noi, la tua vita avrà fine. Tutto quello che ti abbiamo
detto è un segreto. Un segreto tra noi e te. Conservalo bene, ragazza, se non
vuoi provare immense sofferenze. Ma sappiamo già che tu non ci tradirai. Perché
tu, in fondo, sei come noi’’, conclusero i Demoni, pronunciando tutto con un
odio crescente.
Poi si girarono, e sparirono nella boscaglia.
Ilse era scossa. I Demoni erano creature pericolose per
tutti. E lei ora li temeva. Si chiese se fosse vera la rivelazione che gli
avevano appena fatto. Per scoprirlo, aveva solo un modo.
Con passi decisi,
tornò alla sua tenda e si gettò sul letto. Chiamò subito la sua anziana serva
di fiducia.
Dopo solo una piccola e frettolosa visita, la serva garantì
che lei era incinta.
Ilse doveva ancora metabolizzare quel fatto, ma era anche
vero che tutto girava nuovamente in suo favore. Avrebbe tenuto quel bambino, e
ne avrebbe affrontato tutti i possibili rischi o conseguenze.
Costrinse la serva a giurare che non avrebbe detto nulla su
ciò. Nessuno doveva saperlo, per ora. Lei avrebbe aspettato il momento più
opportuno per dirlo a Fermei.
E allora, lo avrebbe
costretto a sposarlo.
Lei sarebbe diventata l’imperatrice, e suo figlio un
principe.
Quello era un sogno che stava diventando realtà. Sorrise, e
cercò di dimenticare le odiose parole dei Demoni.
Non avrebbe detto nulla a Fermei su di loro, ma non avrebbe
mai permesso a quelle creature meschine di mandare in frantumi i suoi piani.
Anche a costo di
perdere la vita. Perché, per lei, una vita senza potere non era vita. Era una
delusione.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a
tutti per la lettura!
Spero che
anche questo capitolo vi sia piaciuto J
Grazie a
tutti quelli che ormai mi seguono da un bel po’ e grazie a chi recensisce.
Grazie,
ancora, a tutti!! J A mercoledì
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
Capitolo 22
CAPITOLO 22
Sergej fece un altro profondo respiro, ed iniziò a parlare.
Per Tim, quella breve attesa era quasi diventata
insostenibile.
‘’Bene, Tim, devi
sapere che io non sono originario di Arus, come pensavi tu. Io vengo da Fortwar,
come te. Mio padre era una spia segreta dell’imperatore Claudio, ma è morto
eseguendo una missione molto complicata. La stessa che poi fu affidata a me,
poco dopo la sua scomparsa’’, disse, prima di essere interrotto da Tim.
‘’Ma come? Tu quindi eri una spia imperiale?’’, chiese, sorpreso.
‘’Non ti eri mai
accorto di nulla? Non avevi mai avuto dei sospetti sulla mia reale attività?
Non importa, ti dirò tutto. Non voglio più segreti fra noi’’.
‘’No, lo ammetto, non ho mai sospettato nulla’’, rispose
ugualmente Tim.
‘’Va bene, ma tutto ciò che ti dirò non deve mettere in
affanno la nostra amicizia. Voglio precisare che ora posso parlare liberamente
di tutto, perché non devo più mantenere il segreto professionale. L’imperatore,
ormai, è morto. Ma torniamo indietro. Quando tu mi conobbi, mi stavo fingendo
un soldato spedito per punizione ad Arus. Arus era disprezzata dai soldati di
Fortwar, la motivazione quindi ci stava, così venni accettato senza dubbi dal
comandante della guarnigione. In realtà ero giunto fin lì per tenere sotto osservazione
quella critica situazione, che come hai notato anche tu, era pessima. Il
comandante era sempre ubriaco, e la vigilanza era scarsa.’’
‘’Oh. Fin qui capisco.
Ma poi, perché ti avvicinasti a me, la sera dell’invasione?’’, chiese Tim,
sempre più sorpreso di scoprire un lato oscuro dell’amico.
‘’Perché tu ti
presentasti, come sicuramente ricorderai, come un soldato sopravvissuto al
nemico. Io lo riferii ai miei superiori, e loro mi ordinarono di seguirti e pedinarti.
Nessuno era mai sfuggito all’ira degli Sconosciuti, e tu potevi essere un
pericoloso disertore. Così decisi di avvicinarti, la sera della caduta di Arus,
per socializzare e farti confidare con me. Poi, però, la storia ha preso una
certa piega.
Arus era caduta, e ho
deciso di continuare a seguirti. D’altronde, non avevo altre possibilità. Non
ho avuto molte possibilità di contatti con i miei superiori durante il viaggio
verso Fortwar, anche se qualcosa riuscii ugualmente a passarglielo. Comunque,
appena giungemmo alla capitale, quando tu andasti a cercare Ilse, io andai a
recapitare dettagliate informazioni su di te’’.
‘’Che bell’amico! Grazie’’, disse Tim, in modo sarcastico, ma
allo stesso tempo duro.
‘’Tim, a quel punto
eravamo già amici. Io mi fidavo di te, ed ho sempre riferito belle parole sulla
tua condotta. Come potresti credere che l’allora principe ereditario Iulius
avesse dato a due perfetti sconosciuti il ruolo di sostituti del generale
supremo nella capitale?’’.
‘’Oh, ora capisco. Non
valeva la motivazione che eravamo estranei alla vita di Fortwar, ma ci è stata
affidata questa mansione solo perché tu eri una delle più fidate spie
dell’imperatore, e io ero sotto il tuo controllo. Ed inoltre avevi parlato bene
di me. Oh, Sergej, che grande amico che sei, mi hai fatto proprio un piacere!’’,
ribadì Tim in toni irosi, e si alzò da sedere per allontanarsi dall’amico.
‘’Tim, non fare così!
Ti voglio bene, mi sono affezionato a te, non ho convissuto con te sotto lo
stesso tetto per spiarti, caspita! Devi anche sforzarti un attimo e capirmi.
Non avevo altra scelta’’, disse Sergej, costernato.
‘’Ora capisco perché Iulius
ha parlato di tradimento. Quando ci ha visto nella piazza principale, ha
pensato che tu, uno dei più scaltri in circolazione, avesse sparso voci su di
lui. Ed ecco anche perché Iulius non ha voluto più vederci dopo il suo
risveglio. Perché pensava fossi stato tu a pagare i sobillatori per ribellarsi
a lui!’’, disse Tim, facendo a voce alta dei ragionamenti logici.
‘’E se anche fosse andata così?’’, disse Sergej, scrollando
le spalle. Tim si girò di scatto verso lui, e lo fissò intensamente.
‘’No.. questo non
dovevi dirmelo. Sei stato tu ad aizzare tutti! E’ per questo che le ribellioni
sono iniziate quando siamo arrivati noi in città. Hai pagato dei sobillatori,
quegli uomini vestiti di nero prima, e i giudici imperiali poi, con i soldi che
ti dava l’imperatore per le tue spiate. Hai usato il popolo e l’esercito, hai
fatto condannare l’imperatore.. Ma tu sei un mostro. Chissà fin dove può
spingersi la tua mente malata’’, disse Tim all’amico.
E prese ad allontanarsi a piedi, scioccato.
‘’Torna qui, Tim! Ma
non capisci? Ho fatto tutto per il nostro bene! Io non volevo fare la spia!
Sono stato costretto dalle circostanze. Mio padre doveva estinguere un debito
con le casse imperiali, ed è morto improvvisamente, poco prima di riuscire a
concludere una sua missione delicata.. e io dovevo pur trovare un modo per
tirare avanti. L’unico modo che mi fu offerto fu quello di continuare ciò che
lui faceva. Oh, Tim, tu sei l’unica persona al mondo a cui io tenga veramente.
Devi credermi e capirmi. Vienimi incontro, anche se è difficile’’.
‘’In tutta sincerità, non ti comprendo. Almeno, non fino in
fondo’’.
‘’Tim, se l’imperatore non fosse morto, non sarei mai potuto
essere me stesso. Io dovevo svolgere l’attività di spia perché mi permetteva di
dare un contributo all’impero senza versare denaro, poiché non avevo neppure
uno spicciolo in tasca. Ero solo una nullità che doveva usare solo le orecchie
e nascondersi il viso dietro una maschera di falsità! E poi, io ti volevo bene.
Vedo che tu, Tim, sei una persona buona e giusta. Non tradiresti mai nessuno
così come ho fatto io. Tu devi salire al potere. E io ti ho facilitato il
percorso. Ti giuro che appena finita questa guerra, se saremo ancora vivi, lascerò
a te il governo di Fortwar, e mi ritirerò dalla mia carica! Comprendi quello
che sto dicendo? Ti renderò un re!’’, disse Sergej con foga crescente.
Tim non riconosceva
più il suo amico. Doveva riconoscergli che era stato bravo a mantenere una
maschera sul suo viso, a fingere timidezza e varie sensazioni che in realtà non
aveva mai provato.
‘’Tu, Sergej, sei un essere molto diverso da me. Lo comprendo
solo ora. Io non voglio il potere. Io non voglio inganni. Io non voglio doppi
giochi. Io voglio vivere la mia vita in pace e onestà’’, disse Tim.
‘’Io..’’.
‘’No, tu niente. Ho sentito abbastanza, per questa sera. Ora
voglio solo riposare’’, disse Tim, e andò ad aprire la porta di casa.
‘’Tim, ho fatto tutto questo per il mio bene.. e per il tuo’’.
‘’No, tu lo hai fatto
solo per te stesso. per salvare la tua pellaccia dai ricatti dei tuoi
creditori! Ma ti rendi conto della gravità delle tue azioni? Hai fatto
suicidare un imperatore, hai fatto in modo che il popolo si ribellasse, poi Fortwar
è stata data alle fiamme.. e ora, pure il palazzo imperiale è distrutto.
L’impero sta morendo anche per colpa tua. Inoltre, io continuo a sentirmi
tradito’’.
‘’Tim, Tim, ti prego,
ragiona.. comprendimi’’.
‘’Non ci riesco. Buonanotte’’, disse Tim, entrando in casa.
‘’Mi ospiterai ancora?’’, chiese Sergej.
‘’Tanto, ormai, che
differenza fa?’’, disse Tim, che si gettò sul suo letto e chiuse gli occhi,
fingendo di dormire.
Quella notte non
chiuse occhio, e sentì l’amico piangere, mentre cercava di nascondere i
singhiozzi con il cuscino.
Il mattino successivo, Sergej andò a fare colazione solo
quando Tim si accinse ad uscire.
‘’Tim..’’.
‘’No, non dire nulla. Oggi è un nuovo giorno. Ti prego di non
rovinarmelo’’.
Sergej si zittì subito.
‘’Partirò oggi stesso.
dammi cinquanta dei tuoi soldati. Parto per Vargan’’, continuò Tim.
Sergej rimase stupito da quella decisione repentina. Ma
voleva troppo bene all’amico per ferirlo ancora, e mostrare dei dubbi. Annuì.
‘’Va bene. Io ti
aspetterò qui’’.
‘’Sì, tu coprici.
Inizia a rinforzare le mura di Fortwar, e prepara la capitale per accogliere
degli eventuali profughi. Non dare la nostra vittoria per scontata’’.
‘’Sarà fatto tutto come tu hai detto’’, disse Sergej, docile.
E Tim capì che l’amico ci teneva veramente a lui, anche se la pensava sempre in
modo diverso.
Tim andò a prepararsi. Sopra la solita giubba verdognola, si
mise una veste nera. Simbolo di lutto. Sergej lo guardò, incuriosito.
‘’Volevi così bene a
Iulius?’’, chiese.
‘’No. Questo lutto riguarda me stesso. Io non sono un
traditore. E lo dimostrerò. Il traditore, qui, sei solo tu. Sarò pronto a
morire per l’impero. Il vero Tim, quello ingenuo, è stato seppellito ieri sera
insieme all’imperatore a cui aveva giurato fedeltà’’, disse Tim, stringendosi
poi il pezzo di stoffa color porpora nell’avambraccio. Quello era il simbolo
del suo potere, l’unica cosa che gli fosse rimasta.
‘’Tim ti prego di
smettere di provare rancore per me. Sarei morto se ti avessi confidato chi ero.
E saresti morto anche tu. Ti chiedo scusa se ti ho spiato, e se ti ho messo in
condizioni diverse da quelle che tu volevi. Ma non ho mai fatto nulla di male
nei tuoi confronti. Ho solo speso belle parole’’.
‘’Ma tu proprio
continui a non capire! Lo so che non potevi svelarti di fronte a me. Ma è stato
il tuo comportamento vigliacco, usando me e il popolo. Basta cercare
giustificazioni, mi hai usato per i tuoi scopi. Come se io non contassi nulla.
Ricorda, che mi hai preso in giro fino a poche ore fa fingendo che fosse tutto
a posto. Fingevi stupore, fingevi di non saper nulla, ma in realtà eri già
libero dalle tue catene, perché tutti odiavano già l’imperatore, e nessuno ti
avrebbe più fatto nulla o ricercato. Sei solo un essere crudele’’.
‘’Ora sei tu, che non
capisci. Tutto questo io l’ho fatto anche per te, per darti un futuro! Come ti
ho già detto, ti voglio bene. Molto bene. E ho voluto darti un’opportunità. Iulius
non era la soluzione della crisi dell’impero! Iulius era un instabile, che
ultimamente aveva problemi sia fisici che mentali. Lui non era più un soggetto
idoneo a dirigere questa critica situazione. Da quando ti ho visto in veste di
sostituto del generale supremo, ho visto in te qualcosa di importante. Ho visto
che eri leale e sincero, pronto a farti in quattro per i tuoi uomini e per il
popolo, e questo non è da tutti. per di più, sei portato per il comando. Quando
giurai fedeltà all’impero, anche se fui quasi costretto, giurai di sostenere
per sempre il suo bene. E tu lo sei, e io ti ho voluto far posto. Poi, poco
importa i mezzi che ho dovuto utilizzare. All’impero, ormai, servono solo
uomini come te’’.
‘’Ora basta. Vado a
preparare i miei soldati. Fammi raggiungere dai tuoi entro due ore’’, disse
Tim, interrompendo quell’ormai ripetitiva conversazione.
Era inutile rodersi
dentro, era già accaduto tutto. Tim ora si sentiva cambiato, e giurò di non
farsi prendere più in giro.
Radunò i suoi soldati
in fretta, e li costrinse a partire senza neppure salutare i familiari. Chi gli
si avvicinò per fargli i complimenti per la sua nuova carica, fu preso e punito
con quattro frustate.
Ben presto, tutti stavano ben attenti a seguire ordinatamente
i suoi ordini e a non fare più i lecchini.
Quando giunsero gli altri cinquanta soldati, li mise in riga
subito e partì immediatamente alla volta di Vargan. Avrebbe percorso il
tragitto a marce forzate, ed entro tre giorni sarebbe stato lì.
Quando lasciò la
capitale, in testa al suo esercito vestito di un verde omogeneo, Tim appariva
forte e severo.
Sergej lo guardava dai camminamenti. Gli fece un cenno di
saluto, che ovviamente non fu ricambiato. Sergej sorrise tra sé e sé. Appena
capirà che lui è portato per il comando, e che il fato vuole solo lui alla
giuda di ciò che resta dell’impero, tornerà come prima, si disse, mentre osservava
l’allontanarsi del piccolo esercito. E tornerà ad essere il mio amico di
sempre, continuò a ripetersi dentro. Non era pentito per quello che aveva
fatto, poiché sapeva che quella era la strada giusta per seguire il bene di
tutti.
Il popolo rimase colpito
dalla veste nera di Tim, e dal suo comportamento rigido.
Quel giorno nacque la leggenda del Generale Nero.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la lettura! J
Questo è stato un capitolo molto complesso da scrivere,
quindi vi chiedo clemenza se trovate qualcosa che non va. L’ho letto e riletto,
spero che la vicenda sia ben comprensibile.
Povero Tim! Si è sentito tradito da un amico, ma non ha
ancora compreso che questo è stato fatto solo per il suo bene.. Ma il resto lo
scopriremo insieme più avanti J
Ho cancellato quell’inutile prologo, quindi vi apparirà un
capitolo in meno.
Spero vogliate lasciare un vostro pensiero su questo capitoloJ
Grazie, a sabato J
|
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Capitolo 23
CAPITOLO 23
Sam si trovò di fronte ad una porta chiusa.
Doveva solo premere sulla maniglia, ed ella si sarebbe
aperta. Era in legno, ed aveva l’aria di essere ben resistente.
I suoi stupidi pensieri, dovuti allo stress a cui era stato
sottoposto nelle ultime ore, sparirono quando Saby lo lasciò lì , da solo.
Mentre si allontanava, gli gridò dietro.
‘’Apri quella porta,
Sam, avanti! Lì ti sta aspettando il Grande drago’’, disse, continuando ad
allontanarsi.
La realtà era che Sam stava perdendo tempo volontariamente.
Aveva paura di aprire quella porta, perché sentiva dentro sé
che non sarebbe stato più in grado di sostenere altro stress mentale. Era
stanco.
Ma alla fine si decise. Abbassò la maniglia ed aprì la porta.
Dentro era buio pesto.
Sorpreso, fece per richiudere. Tanto, lì non c’era nessuno.
Ma una voce lo fermò.
‘’Entra e chiudi la porta’’, disse. Era la voce del Grande
drago.
Sam entrò, e si richiuse la porta dietro di sè. Poi, la
stanza fu illuminata improvvisamente da una luce, che proveniva da una torcia.
La stanza era piccola, e Sam, inizialmente, non vide nessuno.
‘’Sono qui, Sam’’, disse di nuovo il drago. Sam si girò in
modo brusco, e vide un uomo adulto seduto poco distante da lui. Sam fu
sorpreso.
‘’Che c’è? Ti spavento così? Scusa, avevo pensato che mutando
il mio aspetto ti avrei fatto sentire più a tuo agio. Ma rimediamo subito’’,
disse, e l’uomo si tramutò in un piccolo drago, che risplendeva mille colori.
‘’Mi hai riconosciuto, ora?’’, continuò a dire il Grande
drago, ridacchiando.
‘’Sì, certo, Grande drago. Ma tu sai anche cambiare aspetto,
quindi?’’, chiese ingenuamente Sam. Era ovvio che poteva, l’aveva appena visto
coi suoi stessi occhi, si disse Sam, e maledì la stanchezza che gli intorpidiva
il cervello.
‘’Oh, sì, Sam. Io posso prendere qualsiasi forma tu desideri.
Soprattutto in questo luogo, dentro la mia reggia. Ma torniamo a noi. E al
nostro problema. Non ho intenzione di farti preamboli, rubando solo tempo
prezioso. Il tuo popolo avrà bisogno di te, a breve. Ma, prima di tutto, ora
devi conoscere meglio l’altra tua parte. Perché sarà proprio quello il tuo
problema’’, disse, ed apparve la sua parte addormentata.
‘’Dunque, innanzi tutto, prima di risvegliarlo dal sonno
magico, vorrei consigliarti di non fidarti mai di lui. Lui cercherà di
ingannarti, stai attento alle belle parole che usciranno dalle sue labbra. Lui,
d’altronde, rimane sempre la tua parte malvagia. Ti consiglio di tenerlo sempre
sorvegliato, anzi, è meglio se lo farai imprigionare in qualche segreta quando
tornerai nel tuo mondo, in modo che non possa combinare guai. Poi, ultima cosa,
devi sapere che voi due vivrete fintanto che uno dei due muore. Non potete più
fondervi per tornare entrambi in un unico corpo, poiché gli effetti della
pozione magica sono irreversibili. Ma, ripeto, se uno dei due morirà, morirà
anche l’altro’’, disse il drago, concedendosi una pausa.
‘’Sì, a grandi linee
me lo aveva già accennato anche Saby’’, disse Sam.
‘’Bene. Allora direi che sai tutto. Ora lo risveglio, così
potrete fare conoscenza sotto il mio controllo. In caso di reazioni esagerate,
lo riaddormenterò’’, disse il drago, che andò a sfiorare le tempie
dell’addormentato con le lunghe unghie della sua zampa sinistra.
Il Sam dormiente si
mosse per la prima volta. Poi, aprì gli occhi, e si alzò di scatto. Si guardò
attorno, e fissò i suoi occhi su Sam. Sam rimase immobile. Alla fine fu la sua
copia a rompere il silenzio.
‘’Ciao, fratello. Alla
fine, come vedi, il lucertolone mi ha svegliato. Piacere di conoscerti’’, disse
la copia, avvicinandosi e sorridendo.
Il Grande drago non fece commenti sul vocabolo utilizzato per
descriverlo. Anzi, se ne stette fermo, attento a tutto e pronto ad intervenire.
I due Sam si avvicinarono, e si fissarono. Poi, d’istinto, si abbracciarono.
‘’Finalmente, fratello! È da quando siamo stati divisi che
sognavo questo momento. Ma quello mi ha addormentato’’, disse la copia,
indicando il Grande drago.
‘’Sì, ma ora ho un problema. Non so come chiamarti’’, ammise
Sam.
‘’Chiamalo Bad. Così, ogni volta che pronuncerai il suo nome,
ti tornerà in mente chi è in realtà’’, disse il Grande drago, intervenendo.
‘’Senti, bestiola luccicante, lo so che ce l’hai con me. Ora
basta però, se no inizio a risponderti per le rime’’, disse Bad, con toni
infantili. Sam rimase un po’ sorpreso.
‘’Va bene, Bad. Però ora, siediti e lascia finire gli ultimi
discorsi che ho rimasto in sospeso con Sam’’, disse il drago. Sam si avvicinò
al dragò, per sussurrargli qualcosa.
‘’In fondo Bad mi sta
già simpatico’’, sussurrò Sam al drago.
‘’Sì, ma è solo apparenza. Ai tuoi occhi apparirà docile e
infantile, ma non è così. Stai sempre attento e controllalo sempre. Non
smettere mai di sorvegliarlo, e non perderlo mai di vista’’, sussurrò il drago.
Ci fu una piccola
pausa. Poi, il grande drago riprese a parlare.
‘’Molto bene, Sam. La tua permanenza nel mondo magico si
concluderà tra poco. Voglio scusarmi dell’inconveniente, ma so che ormai hai
già perdonato tutto. Ti ringrazio, ti sei comportato in modo saggio. Tra poco salperete
per Fortwar’’, disse.
‘’Chi verrà con me?’’, chiese Sam.
‘’Verranno Bad e tutti
quelli che hanno accettato di combattere a fianco degli umani. Con la magia,
creerò un numero sufficiente di navi, per potervi scortare tutti. Sulle navi ci
salirete te e Bad, con elfi, nani e folletti. Gli Akluth, i feroci lupi,
invece, vi scorteranno sotto forma di balene’’, disse il drago.
‘’Oh, però dubito che saremo sufficienti per salvare il
destino dell’impero’’, disse Sam, esprimendo quel fatidico dubbio che frullava
già da un po’ nella sua mente.
‘’Devo specificarti una cosa. Se i Demoni non avessero preso
parte alla guerra, nessuno ti avrebbe seguito. Quindi, accontentati del tuo
risultato. Comunque, per aiutarti, ho deciso di farti un dono. Un dono
importantissimo. Guarda’’, disse il drago, mostrando a Sam una piccola sfera
che emanava una luce propria.
Era bellissima, al tatto sembrava che fosse fatta di vetro,
con al suo interno un materiale che risplendeva al buio, un materiale che
sembrava fosforescente. Era lievemente tiepida, come se fosse viva.
‘’Che cos’è?’’, chiese
Sam, affascinato.
‘’Consideralo un mio
dono. Conservalo. Nel caso che tutto sembri perduto, e che nessuno possa più
fare nulla per salvare il tuo popolo, tu gettala a terra, e grida Diamond. Diamond
è il mio nome, non dirlo mai con nessuno. Lo conosciamo solo io, te e Bad. Mi
raccomando, è un segreto. Tranquillo, Bad non lo riferirà a nessuno, l’ho
sottoposto a una magia che gli impedirà di pronunciare questo nome. Quindi, nel
caso non ci siano più possibilità di successo, tu getta a terra la sfera e
grida il mio nome. Ella si romperà, avvisandomi, e io ti verrò in soccorso.
Intesi?’’, disse il drago.
‘’Sì, grazie Grande drago’’, disse Sam, con gentilezza.
‘’Ultima cosa. Con voi
verranno anche Jack e il suo popolo, me lo hanno richiesto poco fa. Spero non
ti dispiaccia.’’
‘’No, nessun problema. Anzi, meglio, più siamo meglio è.’’
‘’Bene, Sam, tu e Bad
siete pronti per partire. Appena uscirete da questa camera, verrete
automaticamente teletrasportati nel luogo da cui salperete. Addio, Sam’’, disse
il drago.
‘’Avrò modo di tornare ancora nel mondo magico?’’, chiese Sam
con malinconia.
‘’No. Però mi sa
proprio che, presto o tardi, ci rivedremo da qualche parte. Addio, Sam. Vai, è ora.
Anzi, siamo già in ritardo’’, concluse il drago.
Sam, seguito da Bad, uscirono dalla stanza, aprendo la stessa
porta dalla quale Sam era entrato poco prima. Erano avvolti da un buio pesto.
Poi, tutto a un
tratto, si ritrovarono sulla stessa spiaggia dove si era risvegliato Sam al suo
arrivo ad Harlowhy. C’erano già sei
grosse imbarcazioni di legno, pronte a prendere il largo. Le grosse
balene erano già pronte a partire.
Sam e Bad si affrettarono a salire sull’imbarcazione dove
Jack li stava aspettando con ansia. Il folletto e il ragazzo si abbracciarono,
felici di rivedersi. Il folletto lanciò uno sguardo di terrore a Bad.
‘’Oh, Jack, tranquillo. Si chiama Bad’’, disse Sam
,ridacchiando.
‘’E’ tutto a posto. Potete partire’’, disse Saby, sbucando
all’improvviso dietro a loro.
‘’Saby! Vieni anche tu con noi?’’, chiese Sam.
‘’No. Ma non temere, umano, ci rivedremo molto presto, in un
altro mondo. Addio!’’, gridò, prima di spiccare il volo e di tagliare gli
ormeggi.
Le imbarcazioni
presero velocemente il largo, come se fossero spinte da una forza magica. Il
mondo magico scomparve, velocemente, dietro di loro.
Attorno a loro, ogni
tanto, a pelo d’acqua, spuntava il dorso di una balena, spruzzando acqua. Era
un grande branco, composto forse da centinaia di individui. Gli Akluth avevano
voluto partecipare in massa alla guerra.
Poi, dopo un breve periodo, le navi rallentarono, talmente
tanto da sembrare quasi immobili, immerse nella bonaccia dell’oceano. La Grande
Tempesta era scomparsa, resa quieta dalla magia del Grande drago.
Così, anche se il percorso verso Fortwar sembrava spianato
senza imprevisti, sarebbe sempre stato lunghissimo. A Sam non importava molto.
Era in buona compagnia, e passava il suo tempo giocando a
dadi con i folletti o parlando con Bad, con cui legò molto. Mai una volta diede
segno di essere aggressivo o inquieto.
Sam sapeva che era
trascorso molto tempo da quando aveva lasciato l’impero, e non sapeva cosa si
sarebbe trovato di fronte una volta tornato a casa.
Ma ogni cosa a suo tempo, e ora Sam voleva solo godersi il
meritato riposo, che gli veniva permesso da quella navigazione lenta.
Sì, il viaggio si preannunciava veramente molto lungo, si
ripeté Sam a sé stesso, prima di riprendere il suo solito riposino pomeridiano,
cullato dal lento oscillare dell’imbarcazione.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per la lettura!
Sam ha abbandonato il mondo magico, e sa che non ci tornerà
mai più. Però, ora lo attende Fortwar. Sarà pronto ad affrontare tutti i
cambiamenti che sono avvenuti durante la sua assenza? Chissà J Lo vedremo tra un po’.
Per ora, mi limito a ringraziare tutti voi che avete letto
fin qui, e spero vogliate lasciarmi una qualche recensione.
Grazie a tutti J A mercoledì
|
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
Capitolo 24
CAPITOLO 24
Tim giunse a Vargan dopo cinque giorni di marce.
Aveva impiegato due giorni in più del previsto, poiché, alla
fine, aveva ceduto di fronte alla stanchezza dei suoi soldati. E così avevano
riposato, durante la notte, e avevano piantato l’accampamento regolarmente.
Così aveva percorso il
tragitto con calma. Ora i suoi soldati erano calmi e ben riposati, e marciavano
in modo costante.
Tim purtroppo sapeva che quei miseri duecento uomini non
avrebbero salvato l’impero da soli, e quindi aveva un’unica speranza; che
Vargan fosse ben equipaggiata di uomini e strumenti difensivi.
Tim però si aspettava che quella misera cittadina fosse
sguarnita, che alla fine fosse affluita solo una parte dell’esercito in rotta
da Palok, e che molti avessero disertato. Si sentiva pronto ad affrontare una
situazione critica.
E invece le sue preoccupazioni svanirono appena vide la
città.
Vargan non era più la semplice cittadina di confine con la
provincia di Fortwar, povera e sguarnita di tutto. Ora era una grande città,
con spesse mura difensive e un fossato pieno d’acqua. La porta principale aveva
un ponte levatoio, che si poteva sollevare facilmente in caso di pericolo.
Notò che la città non
era circondata da boschi e foreste, come lo erano di solito le altre città
dell’impero. Attorno alla città c’erano campi coltivati a foraggio, ed era
situata in una vasta piana. Era il luogo ideale per combattere una battaglia.
Tim si accorse che anche i suoi soldati erano rimasti stupiti
dallo splendore di Vargan.
Si affrettarono a raggiungere il ponte levatoio, d’altronde
era già pomeriggio inoltrato. Furono accolti con grandi onori da tutti. E, una
volta dentro la città, scoprirono che
era piena di soldati. Fu offerto pure un breve banchetto di ristoro per i nuovi
venuti.
Poi, dopo aver mangiato, i suoi soldati furono accompagnati
negli alloggi appositamente preparati per loro. Ma Tim, prima di andare a
riposarsi, era desideroso di conoscere l’artefice di tutto quello che stava
vedendo. Si avvicinò a una guardia.
‘’Guardia, potresti portarmi dai maghi che hanno generato
questo splendore in così poco tempo?’’, chiese. La guardia sorrise.
‘’Non c’è bisogno che vi accompagni io, loro arriveranno a
breve’’, rispose con gentilezza.
In quel preciso istante, Tim si sentì sfiorare una spalla. Si
girò immediatamente. E si trovò di fronte ad un uomo alto, anziano e con una
lunga barba. Era seguito da due giovani. Rimase stupito, poiché sembravano
apparsi dal nulla.
‘’Eccomi, generale.
Sono Atah, un mago di Huru. E questi sono i due miei apprendisti, Lee e Smith.
Tra poco li proclamerò maghi a tutti gli effetti. Piacere di conoscerla,
generale Tim’’, disse il vecchio. Sanno già chi sono e quale carica mi hanno
affidato, pensò Tim. Le notizie correvano veloci nell’impero.
‘’Piacere mio, Atah.
Devo complimentarmi con te, hai fatto un ottimo lavoro. Questa città è
inespugnabile’’.
‘’Oh, e non ha ancora
visto nulla. Venga, l’accompagniamo noi’’, disse Atah.
E così Tim si concesse un giro della città. La città era
molto grande, ed ospitava migliaia di persone, perlopiù profughi provenienti da
ogni parte dell’impero, felici di vivere in quel luogo protetto.
Atah gli mostrò le mura, possenti e con larghi camminamenti,
e con profonde fondamenta, in modo che nessuno protesse provare ad entrarci
scavando tunnel sotterranei, com’era successo ad Arus.
Inoltre, il mago disse
anche che la città era inespugnabile perché, insieme con i suoi apprendisti,
aveva evocato un sortilegio eterno, impossibile da spezzare pure per i Demoni.
Quel sortilegio avrebbe protetto la città da qualsiasi insidia.
In poche parole, l’unico modo per gli invasori di entrare a
Vargan era quello di farsi aprire la grande porta principale dall’interno. E
questo era impossibile, poiché tutte le guardie cittadine erano tutte estremamente
fedeli all’impero, aggiunse Atah.
‘’Perfetto. La città è imprendibile e difesa dalla magia
eterna, da voi evocata. Ma come si fa a mantenere una città così grande durante un lungo assedio?’’, chiese Tim. Atah
sorrise.
Lo accompagnò sotto le
mura al lato ovest della città. C’erano numerosi appezzamenti di terreno pieno
di ogni tipo di delizia, tutti protetti dal maltempo e dai nemici. Il tutto era
irrigato da una serie di stretti canali, dove scorreva continuamente acqua
pura.
Inoltre, poco distante
c’erano numerosi allevamenti di animali, e al centro della città c’era un
grande pozzo e una grande cisterna. Non mancava nulla. Tim, alla fine, batté le
mani ai maghi.
‘’Ottimo lavoro.
Questa città è imprendibile. L’acqua e il cibo non mancheranno mai, neppure
durante la calda e secca estate?’’.
‘’No, generale. L’acqua qui presente in città è fornita da
falde naturali situate proprio sotto gli edifici, e viene incanalata grazie a
una serie di tunnel e canali, che l’accompagnano fino alla superficie. E il
nostro sottosuolo è ricco di acqua. Non ci sono rischi’’, lo assicurò.
‘’Ho un’altra domanda;
e se i nemici riuscissero ad attraversare il fossato e ad arrivare sotto le
mura con le scale?’’, chiese Tim. In effetti, poco prima aveva notato che dopo
il fossato c’era un breve lembo di terra che lo divideva dalle mura. Breve ma
sufficiente per compiere tale azione.
‘’Impossibile. Il
fossato è pieno di creature fameliche, che aggrediscono ogni cosa che
non passi dal ponte levatoio. Ed è difeso anche da altri sortilegi. Generale,
come ha detto lei, questa città è imprendibile’’, disse Atah.
‘’Ma voi, che avete compiuto tutto questo lavoro, cosa ci
avete guadagnato?’’, chiese, infine, Tim.
Quella fu una domanda inaspettata per i tre. I due ragazzi, che
non avevano ancora aperto bocca, si fissarono l’un l’altro. Il vecchio, però,
rispose subito.
‘’Abbiamo guadagnato la benevolenza del nostro dio,
proteggendo migliaia di umani. Ammetto che il culto di Huru si sta impadronendo
della città, quasi tutti i cittadini si sono convertiti. Sono stati fondati
numerosi templi, che ogni giorno si riempiono di fedeli. Così, saremmo protetti
dai mostri del male che circolano là fuori’’, disse il vecchio con sincerità.
Tim rimase stupito, ma annuì come niente fosse. Non aveva mai
sentito parlare di maghi e di Huru fino a quel momento, e sinceramente non
gliene importava nulla, visto che non sembravano pericolosi. L’importante erano
altre questioni.
‘’Bene, la città è imprendibile, ma il mio esercito è
mortale. Tra poco dovremmo affrontare i nemici. Ce la potremmo fare?’’, chiese
Tim al vecchio.
‘’Non lo so, generale. Ma potrete star certo che, mentre voi
combatterete contro gli umani nemici, noi terremmo impegnati i Demoni, così il
combattimento sarà equo. Di più non possiamo fare. Sperando solo che i Demoni
non siano diventati troppo potenti’’.
‘’Chi lo sa. Vorrei
sapere quanti soldati sono presenti in città’’.
‘’All’incirca trentacinque mila, generale. Inoltre, se
applicate la leva militare sui cittadini, potrete pure superare i quaranta mila’’.
Tim impallidì. Erano cifre da capogiro. Aveva a disposizione
un esercito immenso, e già pronto allo scontro.
‘’Perfetto! Se il nemico tenterà di abbandonare l’assedio e
di dirigersi verso sud, sarò costretto a sbarrargli la strada. E questo numero
di soldati è più che sufficiente. Grazie di tutto, mago Atah. Ora, che ho tutto
chiaro, vorrei però ritirarmi a riposare un po’. Il viaggio è stato lungo’’,
disse Tim, dapprima ragionando ad alta voce, poi esprimendo la sua grande
stanchezza.
‘’Ma certo. C’è già
una camera pronta per ospitarla, al castello. Spero che l’accoglienza le sia stata
gradita’’.
‘’Certamente. Non potevo richiedere di meglio’’, disse Tim,
tornando a sorridere e allontanandosi.
I maghi avevano pure
costruito un castello, al centro della città, a fianco della grande cisterna.
Tim si trovò subito a
suo agio, ed era seguito da decine di servitori. Il castello era ampio e
spazioso, con mura solide.
Si concedette una
bella dormita su un comodo letto, che era essenzialmente diversa dalle sue
ultime effettuate su una branda in una tenda. Si addormentò di colpo, felice
per quello che aveva visto. Riuscì pure a dimenticare i tristi eventi di
Fortwar.
Mentre Tim si concedeva ad un meritato riposo, il buio stava
già per diventare padrone del mondo di Fortwar.
Fermei giunse in vista della città di Vargan, che era
illuminata dall’ultimo bagliore del tramonto, ed esplose dalla rabbia. Quella
era la città più bella e meglio difesa dell’impero, non aveva dubbi. Non ne
aveva mai viste di città così ben difese.
Ora, nel suo cuore,
provava solo odio verso quei dannati soldati che erano asserragliati tra le sue
mura. Lo smacco subìto a Palok era stato decisamente troppo, per lui. Di certo,
aveva reso tutto più difficile.
Se quei soldati si
fossero lasciati incantare da lui, e gli si fossero consegnati spontaneamente, ora i Demoni sarebbero già stati sazi, i suoi
soldati sarebbero stati felici e carichi di bottino, e l’impero sarebbe già
stato in ginocchio. Ma era ora di voltare pagina. Il giorno suo giorno di
gloria era vicino, se lo sentiva.
Sapeva che, se fosse riuscito a sconfiggere l’esercito
imperiale lì a Vargan, avrebbe avuto tutte le porte aperte per giungere fino a
Fortwar. Fermei sospirò.
Fortwar era veramente
un sogno per lui. Una volta conquistata, avrebbe messo fine alla guerra, e
avrebbe fondato il suo impero universale. Inoltre, avrebbe sposato Ilse, e si
sarebbe costruito un immenso palazzo. Ma questo, per ora, era solo un sogno.
Ora doveva solo pensare a combattere.
Il suo sterminato
esercito era tutto dietro a lui, ed era pronto a dar battaglia.
Ma mancavano ancora i Demoni, che sicuramente si sarebbero
aggiunti all’esercito quella notte stessa, come pattuito. Fece preparare
l’accampamento ai soldati, e si fece montare la sua grande tenda.
Poi, a passi svelti, sarebbe entrata Ilse, il suo amore. Quella sera
glielo aveva promesso, che sarebbe venuta.. e da lì, da quell’istante, per
alcune ore avrebbe dimenticato tutti i suoi problemi.
Fermei non notò nulla di particolare che non andasse in Ilse,
tanto era preso dall’amore.
Ilse si stava preparando.
Ora era sul suo carro privato, ma ben presto sarebbe andata
dal Gran Re.
Fortunatamente, Fermei non si era ancora accorto della sua
gravidanza, nonostante alcune volte lo rifiutasse con la scusa di avere un po’
di febbre o scuse varie.
In realtà, non gli si
mostrava più tanto spesso. Era vero che le stava crescendo il pancione, ma
ancora non era molto vistoso, e comunque voleva evitare in tutti i modi che Fermei
scoprisse la sua gravidanza. Almeno, non ora.
Voleva tenerglielo nascosto fin tanto che non fossero stati
sotto le mura di Fortwar. Non voleva deconcentrarlo dai suoi compiti. Quella sera,
probabilmente, si sarebbe solo mostrata per poco, per poi tornare di fretta al
suo carro, con un’altra scusa, l’ennesima. Ma sapeva che avrebbe dovuto mentire
ancora solo per pochi giorni.
Ilse sapeva che, se
entro pochi giorni Fermei fosse riuscito ad aggiudicarsi la vittoria sugli
imperiali, la capitale dell’impero sarebbe stata vicinissima. E sarebbe stata
vicinissima anche la sua rivelazione.
E lei, probabilmente, questa volta poteva solo fare da
spettatrice. Le sue carte le aveva già giocate tutte nella battaglia precedente.
Quella sarebbe stata la volta del riscatto di quei mostruosi
Demoni.
Si fece preparare un po’ di cibo in più, che poi avrebbe
portato al generale imperiale. Se si fosse messa male, lei lo avrebbe liberato
e lo avrebbe poi riportato agli imperiali, cambiando di nuovo schieramento. Ma
d’altronde lei era disposta a stare solo dalla parte dei vincenti, ormai non
poteva più permettersi sconfitte.
I Demoni raggiunsero l’accampamento del Gran Re quando era
già notte fonda, come di pattuito.
Erano sazi, ed erano
carichi di energia. Con una tale potenza, avrebbero potuto spazzare via un grande
esercito da soli.
Ma, appena videro la città di Vargan, capirono subito che
qualcosa non andava. La città era protetta da una magia invalicabile, che
nessuno poteva spezzare, se non chi l’aveva praticata.
Sentivano anche la presenza di un mago esperto, un seguace di
Huru, come quelli che avevano ucciso alcune settimane prima a Palok. Con la
differenza che questo era veramente potente e difeso dal suo dio. Un dio da
nulla, poiché loro erano in possesso del suo più grande segreto. Avevano
un’arma talmente tanto potente da poterlo annientare.
Per ora, avrebbero lasciato in pace quei maghi, fintanto che
non causavano problemi e se ne stavano rinchiusi nella loro città stregata. Non
volevano giocarsi subito le loro carte.
Avrebbero riferito tutti i rischi e i vari problemi al Gran
Re, ma non subito. Ora, approfittando delle tenebre, avrebbero fatto una bella
ispezione attorno alle mura, per avere informazioni più dettagliate.
L’indomani mattina le
avrebbero riferite tutte a Fermei.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti! J
Proprio ora che il nostro Tim iniziava a sentirsi al sicuro,
all’interno di una città stregata, ecco che arrivano i Demoni… Ma la loro arma
segreta la scopriremo solo nel prossimo capitolo J Ilse, invece, sta diventando sempre
più subdola..
Ragazze, vorrei informarvi che ho iniziato a scrivere una
nuova storia. Si intitola ‘Il brigante’, ed ho già pubblicato un breve
prologo(per ora). Avverto tutti però che non si tratta di un fantasy, ma di un
racconto storico ambientato nell’Ottocento. I protagonisti dovranno affrontare
numerose avventure, solo per poter stare insieme. Ci sarà anche parecchia
azione. Sicuramente, non sarà una storia noiosa. Almeno spero J Se vi va di darci un’occhiata, e di
farmi sapere cosa ne pensate, ben venga J
Ringrazio tutti quelli che hanno letto anche questo capitolo J
Grazie a tutti!! J a sabato ;)
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Capitolo 25 *** Capitolo 25 ***
Capitolo 25
CAPITOLO 25
Appena furono calate le tenebre, sicuri che i soldati fossero
andati tutti a letto, Lee e Smith raggiunsero il loro maestro sotto le mura
occidentali di Vargan.
Lui li stava
attendendo di fronte a un grande albero. Era una grande quercia, con un tronco
molto grosso. Doveva essere un albero molto vecchio, ma comunque godeva ancora
di buona salute, visto che era ancora molto rigoglioso.
Il maestro Atah li stava aspettando, seduto a terra. Teneva
stretto tra le mani un rotolo di pergamena, che doveva essere molto antico,
poiché era di colore giallastro. Lee e Smith, i due apprendisti dell’anziano
mago, si avvicinarono cautamente.
‘’Perchè ci hai detto di venire qui a quest’ora della notte,
maestro?’’, chiese Smith.
‘’Perché è giunto il momento che voi diventiate maghi. Nei
prossimi giorni avrà luogo uno scontro epico, e se muoio non voglio che i maghi
di Huru scompaiano. E poi siete pronti per diventare maghi a tutti gli effetti.
Guardate là’’, disse Atah, indicando con un dito il cielo.
I due ragazzi guardarono. Al di là delle mura, il cielo era
rossastro, illuminato da migliaia di torce accese.
‘’No..’’, mormorò Lee.
‘’Sì, invece. I nostri
nemici sono arrivati in tarda serata, e l’armata è al gran completo. Ci sono
anche i Demoni, che ho intravisto poco fa mentre ispezionavano le mura esterne.
Sono pronti ad attaccarci’’, disse Atah. I due ragazzi si guardarono in modo
strano.
‘’Che c’è? Se sapete
qualcosa riguardo il futuro, ditemelo’’, ribadì di nuovo il maestro. Lee
tentennò, poi Smith gli diede una lieve spinta con un gomito.
‘’Ecco, maestro, i segnali, ecco, come devo spiegarmi..
insomma, i miei sogni non sono positivi’’, disse Lee, facendosi forza.
‘’Cos’ai visto?’’,
chiese il maestro.
‘’Scenari terribili.
Posso dirle solo questo, maestro. Huru, l’essere superiore, non vuole che
esprima ciò che mi rivela, poiché potrei interferire in modo irreparabile con
la realtà’’, rispose Lee.
‘’Certo, capisco’’, disse Atah, facendosi pensieroso.
Quindi, l’impero era vicino ad una nuova disfatta, si disse.
O forse no. Lee non avrebbe detto di più, ed inoltre gli scenari terribili
tirati in ballo dal ragazzo potevano riguardare anche l’esercito nemico. Meglio
non pensarci più per ora, si disse.
Poi, si alzò e si
preparò per effettuare il rito d’iniziazione.
‘’E’ ora, ragazzi. Verrete a conoscenza di tutti i segreti
della nostra setta. Leggete’’, disse il maestro, porgendo ai ragazzi il rotolo
di pergamena. Era scritto fitto, nella lingua segreta della setta e di Huru.
I due lessero quello
che c’era scritto senza alcun problema, però senza capire alla perfezione il
suo contenuto. Erano tutte parole d’amore, amore verso la terra, verso gli
altri e verso tutte le creature viventi, ma ai due novizi continuava a sfuggire
il significato più intimo di quel racconto.
Appena finito di leggere, i due alzarono gli occhi e
fissarono con fare interrogativo il maestro, che sorrise.
‘’So cosa pensate. Siete
riusciti a leggerlo senza difficoltà, ma non avete ben capito il significato di
quello che c’è scritto. Ma lo capirete strada facendo. Anche a me è successo
così. Comunque, non so se ve ne siete accorti, avete letto le antiche rune
magiche della nostra divinità. Era questo l’importante, per ora’’, disse,
sorridendo.
‘’Ora il segreto di Huru vi è stato svelato attraverso le sue
parole. Tra poco, sarete maghi’’, continuò Atah, chinandosi a raccogliere una
piccola ampolla che era sfuggita alla vista dei due apprendisti.
La aprì, e si versò
nelle mani un pizzico di una polverina bianca immacolata. Con un gesto, fece
inginocchiare i due, e gliela fece cadere in maniera equa sulla testa e sul
corpo. Poi, pronunciò alcune formule di rito, e tornò a sedersi.
‘’Bene, ora siete
maghi a tutti gli effetti. Potrete fondare templi vostri ed avere tutti gli
apprendisti che volete, basta che continuiate a seguire le leggi di pace e bene
che avete appena letto. Per questo, per non farvele dimenticare, ve le ho
trascritte. La polverina bianca è la farina sacra degli orti dedicati a Huru, a
Palok. Un giorno, se avrete l’occasione di ritornarci, potrete ripiantare
quelle pianta sacra, battesimare nuovi maghi e sfamare i poveri e i bisognosi,
producendo del buon pane’’, disse Atah, prendendo poi dalla sua saccoccia due
piccoli rotoli di pergamena nuova e ben scritta. Poi, porse loro anche un
sacchettino di tela, che conteneva molti semi del grano sacro. I due
ringraziarono il maestro, e presero i doni, osservandoli con attenzione.
‘’Ora potete andare a
riposarvi. Tempi bui si preparano per rendere la vita grama agli esseri umani.
Voglio solo che mi promettiate una cosa;
che continuerete ad essere fedeli all’impero. Comunque vada’’, disse il
vecchio.
‘’ Lo saremo,
maestro’’, dissero all’unisono i due nuovi maghi.
’’Benissimo. Però smettetela di chiamarmi maestro, ora
abbiamo lo stesso status. Chiamatemi pure Atah. E ora andate’’, disse il
vecchio con fare sbrigativo. I due si congedarono velocemente, e sparirono
nell’oscurità.
Atah fisso quel rossore al di là delle mura. Erano i fuochi
dell’accampamento nemico a provocarlo.
Sospirò, e si accasciò a terra, sicuro di avere rimasto ben
poco tempo da vivere. Ma almeno ora poteva andarsene tranquillo, perché Huru
aveva due nuovi maghi giovani e giusti, e che avrebbero seguito alla perfezione
i suoi insegnamenti.
Aveva solo un piccolo rimorso. Gli sembrava di aver
dimenticato qualcosa a Palok. Qualcosa di importante. Ma era vecchio, la sua
mente a volte sbagliava. Probabilmente, non era nulla di che.
Pian piano, nel cielo iniziò a vedersi un altro bagliore. Era
l’alba che stava tornando per portare la luce.
I Demoni rientrarono all’accampamento che era quasi l’alba.
Avevano ispezionato tutto, e avevano scoperto che la città
era difesa da sortilegi formidabili. Erano insuperabili, c’era poco da fare. La
città, per ora, era inviolabile.
Però, un’eventuale battaglia si poteva vincere. Loro erano
pronti e potentissimi, e non temevano un mago inetto. Avrebbero combattuto ad
armi pari. Anche perché loro continuavano a custodire la loro arma segreta.
Infatti, alcuni giorni dopo la partenza dell’esercito verso
Vargan, loro erano tornati al tempio dei maghi di Huru, a Palok, dove solo
pochi giorni prima avevano sterminato tutti i maghi che erano riusciti a
trovare. E lì avevano rinvenuto la reliquia.
In quel momento, avevano nelle loro tasche un potentissimo
strumento, in grado di catturare la potente forza di Huru e di renderlo
inoffensivo.
I maghi l’avevano nascosta bene, in una cripta nascosta nel
sottosuolo del tempio, e successivamente se n’erano dimenticati. Millenni di
pace ininterrotta avevano fatto dimenticare a loro quel potente oggetto. Ma i
Demoni l’avevano ritrovato e razziato.
Il piccolo e importante oggetto sembrava un sasso, un piccolo
pezzetto di quarzo bianco. Ma era molto di più.
Quel pezzetto di roccia dura come il diamante avrebbe fatto
la differenza sul campo di battaglia.
E avevano già un piano per far uscire subito allo scoperto
gli imperiali. Un piano che, tra poche ore, avrebbero riferito al Gran re.
Intanto, anche Tim si svegliò. Aveva riposato moltissimo, e
aveva ripreso le forze.
Nel bagliore delle prime luci, si vestì e andò subito alle
mura. E lì ebbe la sorpresa.
L’immenso esercito nemico si era accampato tutto poco
distante dalla città, e nonostante fosse mattino presto, era già in fervore.
Tim scese dai camminamenti e diede l’ordine a due sentinelle
di risvegliare e far preparare tutti i soldati, e proclamò lo stato d’assedio
della città, vietando a chiunque di uscire o entrare dalle porte, che furono
immediatamente bloccate. Voleva liberarsi di quell’impiccio, ma con prudenza.
Doveva attaccarli entro i prossimi tre giorni, prima che si riposassero troppo.
Ma non in quel momento.
E inoltre, doveva tenere sotto controllo la situazione fin da
subito, per evitare che i nemici si mettessero in marcia verso sud, abbandonando
Vargan e cercando quindi di porre sotto assedio Fortwar, mettendo in pericolo
l’intera provincia del sud.
Se avessero tentato quella mossa, per Tim ci sarebbe stata
solo un’alternativa; uscire allo scoperto e attaccare direttamente i nemici.
Ignara della vicinanza dei suoi nemici, Ilse se ne stava in
compagnia del generale.
Lui era molto più
vecchio di lei, ma era un uomo sensibile e in gamba. Dopo un’iniziale
reticenza, aveva iniziato a parlarle volentieri. Anche perché era l’unica persona
al campo a rivolgergli la parola.
In realtà, lei si recava lì per via dei suoi sentimenti. Quell’uomo
le aveva fatto pena fin da quando era stato rinchiuso in quella cella. E se era
finito lì, la causa era solamente sua, che l’aveva prelevato dal campo degli
imperiali e consegnato a Fermei e ai Demoni.
Quindi, di fronte alla precaria situazione del generale, il
quale veniva a malapena nutrito, lei si era sentita in colpa. Cosa rara, per
lei.
Comunque, appena scendeva la notte si recava da lui, per portargli
un po’ di cibo decente.
Mentre John la
ringraziava per il pasto, lei si affrettò ad allontanarsi nel buio, avvolta in
un pesante mantello nero, per nascondere tutto di lei. Nessuno doveva vederla,
nessuno doveva sapere, per evitare inutili chiacchiere che avrebbero solo
compromesso la sua reputazione agli occhi del re.
Nei prossimi giorni Fermei avrebbe sicuramente combattuto una
qualche battaglia, e Ilse non poteva far altro che pregare per la sua vita. Se il
re fosse morto durante lo scontro, nessuno l’avrebbe più protetta. E lei doveva
pensare sia a sé stessa sia per il piccolo che aveva in grembo.
Nel caso fosse venuto a mancare il re, lei avrebbe liberato
il generale e sarebbero tornati dagli
imperiali. Poi, sicuramente, si sarebbe inventata qualche storia triste, e
l’avrebbero riaccolta tra loro. Certo, non sarebbe diventata imperatrice, ma
avrebbe potuto continuare a vivere.
D’altronde, gli Sconosciuti non l’amavano molto, e in caso di
disgrazie non poteva restare con loro. Lei era pur sempre una ragazza
dell’impero, figlia e sorella di quegli stessi uomini che loro stavano ormai
combattendo da mesi.
Ilse, a quel punto, quasi si sgridò da sola. Certe cose non
doveva neppure pensarle. Sicuramente, tutto sarebbe andato per il meglio, si
disse, rassicurandosi, mentre si affrettava a tornare nel suo carro privato.
Aveva piena fiducia nel re.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per la lettura!
Come vedete, la storia procede.. e ben presto lo scontro tra
i Demoni e i maghi sarà inevitabile, così come uno scontro armato tra i due
eserciti umani.
Ragazze, vi prego di farmi sapere qualcosa. Sono a metà di
una storia molto lunga, e mi farebbe piacere conoscere anche i vostri pareri.
Grazie a tutti! a mercoledì J
|
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Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
Capitolo 26
CAPITOLO 26
I Demoni si recarono a parlare con il Gran re. Naturalmente, non
si fecero annunciare.
Le guardie poste all’ingresso della tenda reale si scostarono
subito, ormai si erano abituate alle loro spedizioni.
Varcarono la soglia con fare baldanzoso. Intanto, il Gran re
era impegnato a baciare avidamente sulle labbra Ilse, e non si accorse dei
visitatori. I Demoni provarono ribrezzo e disgusto a tale vista.
‘’Sire, se disturbiamo
togliamo ce ne andiamo subito’’, dissero, per attirare l’attenzione di Fermei.
Subito, il Gran Re scostò da sé la ragazza, e provò grande sorpresa. Sul suo
volto comparve un’espressione adirata.
‘’Come devo comportarmi con voi? Quante volte vi ho detto di
farvi annunciare, prima di irrompere nella mia tenda?’’, disse Fermei,
schiumante di rabbia.
Intanto la bella e seducente Ilse si allontanò dal re e si
avviò verso l’uscita. La ragazza li fissò con fare arrogante e prepotente.
Senza ombra di dubbio, li odiava. Che tu sia maledetta, serpe, pensarono i
Demoni.
I Demoni le rivolsero un blando sorriso, poiché pensarono che
ora che aveva soddisfatto le voglie reali probabilmente andava a far visita al
generale. L’avevano vista, quella notte, mentre lei usciva dalla sua tenda per
andare a portare del cibo a John. Chissà come avrebbe reagito il re, se avesse
saputo che la sua amata cercava di pararsi le spalle.
Ma non c’era tempo per dilungarsi in quei pensieri. Subito,
tornarono a focalizzare l’attenzione sul Gran re.
‘’Sire, ci dispiace, a volte siamo impulsivi. Abbiamo delle
notizie importanti per voi’’, dissero, con tono di scuse.
‘’Avanti, ditemele. Spero proprio che siano veramente importanti’’,
disse Fermei, fissandoli con rancore.
I Demoni stavano per esplodere. Odiavano quel dannato re e
quella serpe della sua amante, non potevano tollerarli oltre. Poi, si
calmarono.
Non potevano
smascherare la loro vera essenza proprio ora, che erano vicinissimi al loro
obiettivo. Sospirarono.
‘’Allora, abbiamo analizzato le mura e le difese della città.
Le notizie non sono incoraggianti’’, dissero.
‘’Avanti, proseguite’’, disse Fermei, sistemandosi meglio sul
suo trono di legno.
‘’Le mura sono
invalicabili e la città è praticamente imprendibile. All’interno, un dannato
mago ha compiuto sortilegi potentissimi e inviolabili per chiunque. Ma non è
questo il problema principale. Dentro la città ci sono migliaia di soldati ben
equipaggiati e riposati, e pronti ad attingere energia magica da un mago
anziano, che a sua volta viene rifornito di energia magica dalla sua divinità
benevola’’, dissero i Demoni.
‘’Quindi, siamo fermi
qui e non c’è nulla che possiamo fare’’, disse il Re.
‘’No, sire, in realtà possiamo ancora vincere. Se non
possiamo prendere la città, possiamo vincere la battaglia contro i soldati che
sono asserragliati dentro Vargan e spingerci più a sud fino alla capitale. Una
volta che avremo conquistato Fortwar, questa città si arrenderà, se non lo avrà
fatto prima’’.
‘’Ma scusate, i soldati imperiali sono dentro e al sicuro,
perché mai dovrebbero uscire allo scoperto e darci battaglia?’’, chiese il Re.
‘’Sappiamo per
certezza che all’interno c’è anche uno dei generali dell’impero. E ha portato
con sé nuovi soldati. Ora si credono più forti di noi, perché hanno la magia, e
non ci permetteranno di proseguire verso sud senza ingaggiare uno scontro. E
noi li provocheremo. Basterà che Lei dia l’ordine di bersagliare la città con
frecce, come per deriderli, mentre farà partire l’esercito, per mandarlo verso
sud. Vedrete, Sire, che il nemico uscirà subito allo scoperto. Gli imperiali
non possono permettere al nostro esercito di mettersi in marcia verso Fortwar, perché
sanno che la loro capitale non è in condizione per resistere ad un assedio’’,
dissero i Demoni. Il re annuì. Aveva capito il piano dei Demoni, ed era
d’accordo con loro.
‘’E al mago anziano chi
ci pensa? Deve essere potentissimo, vedendo i risultati delle sue magie’’.
‘’Sire, al mago non pensarci. A lui ci pensiamo noi’’,
dissero i Demoni, gonfiandosi d’orgoglio.
‘’Grazie, alleati.
Provvederò subito. Non voglio marcire qui, come è successo ad Arus. Ora, potete
congedarvi e andare a ritirare qualche schiavo’’, disse il Re, raggiante.
I Demoni si
allontanarono subito, ed uscirono dalla tenda. Quell’inetto che osava farsi
chiamare Re era uno senza cervello. Era toccato a loro dargli le idee. Ma ora,
finalmente, li aspettava un lauto pasto.
Fermei applicò i consigli dei Demoni.
Nonostante fosse mattino presto, e che i suoi soldati fossero
ancora stanchi dalle marce dei giorni precedenti, li fece preparare subito.
La maggior parte
dell’esercito non avrebbe dovuto fare nulla, solo fingere di spostarsi verso
sud, percorrendo la strada che porta a Fortwar, mentre alcuni arcieri a cavallo
avrebbero dovuto provocare gli assediati con alcuni tiri di frecce.
Fece equipaggiare tutti al meglio, e fece in modo che in una
sola ora il campo fosse totalmente smontato, pronto a muoversi. Ilse lo
raggiunse nella sua tenda.
‘’Cosa vuoi fare? Fuori c’è una gran agitazione’’, chiese la
ragazza. Fermei sorrise.
‘’Voglio stanare il nemico. Vedrai, gli imperiali appena
vedranno le mie finte mosse cadranno in pieno nel mio tranello, e allora potremmo dare un’altra bella batosta
al loro esercito. Ora farò spostare il mio esercito verso sud, fingendo di
invadere la provincia di Fortwar, e loro ci attaccheranno. Mi raccomando, tu
stai dentro al tuo carro, che sarà ben protetto, e non uscire per nessun
motivo’’, disse il Re.
‘’Fermei, se vai verso sud il tuo esercito darà le spalle a
quello imperiale. Vuoi subire un’aggressione dalle retrovie? E’ molto
rischioso’’.
‘’No, mia cara, non è molto rischioso se il tutto è già
premeditato. I miei soldati sono ben armati e pronti ad eseguire il mio piano.
Appena vedranno uscire gli imperiali dalla porta di Vargan, ritorneranno
improvvisamente sui loro passi e li attaccheranno. I nemici non saranno ben
preparati, perché la nostra mossa li avrà colti di sorpresa, mentre noi saremo
già in vantaggio su di loro. Abbiamo anche i Demoni pronti a combattere. Abbiamo
la vittoria in pugno’’, disse Fermei, sicuro di sé.
‘’Se lo dici tu’’,
disse Ilse, sorridendo anch’essa. Era felice che il re fosse così certo della
vittoria.
‘’Ma ora vai. Tra poco inizieremo a spostarci, poi
probabilmente ci sarà una battaglia. Non credo che gli imperiali ci lascino
varcare impunemente l’ultimo confine che ci separa dalla capitale. Farò in modo
che il tuo carro sia ben protetto’’. Ilse gli si avvicinò, e lo baciò.
‘’Ora vai, te ne
prego. Devi stare al sicuro, non voglio perderti’’, ripeté Fermei, allontanando
la ragazza e accompagnandola all’uscita.
Ilse scomparve subito tra i soldati, tutti indaffarati. I
carri delle salmerie erano già pronti per partire. Il suo piano stava per
prendere piede.
Si sentì molto soddisfatto, comunque doveva ringraziare anche
quei mostri dei Demoni. Se loro non l’avessero consigliato, lui avrebbe posto
un assedio alla città per conquistarla, che probabilmente si sarebbe protratto
per mesi senza alcun risultato.
Fu così che il suo
esercito fu pronto, e iniziò a marciare verso sud. Mentre l’esercito marciava,
un piccolo drappello di cavalleria andò fin quasi sotto le mura di Vargan,
scagliando alcune frecce, per provocare i nemici.
Sarebbe stata solo
questione di tempo prima che gli imperiali uscissero allo scoperto.
Il generale Tim aveva assistito a tutta la scena dalle
feritoie delle mura di Vargan. Era preoccupatissimo.
Ancora una volta, i
nemici li avrebbero tratti in trappola. L’immenso esercito nemico aveva
smontato il campo, abbandonando l’assedio dopo neppure un giorno, e si
accingeva a dirigersi verso sud. E questo Tim non poteva permetterlo.
La provincia di Fortwar era di ridotte dimensioni e
abbastanza abitata. Probabilmente Sergej non era neppure riuscito ad iniziare l’evacuazione
dalle zone più a rischio, e non aveva neppure soldati a sufficienza per potersi
opporre ad un attacco di un esercito così grande. L’esercito nemico doveva
essere composto da più di cinquantamila uomini. Una cifra ancora fuori portata
per gli imperiali.
Inoltre Fortwar non era Vargan, e non era protetta da
sortilegi, quindi le mura potevano essere violate con facilità, se non c’erano
soldati a sufficienza sui bastioni. Una goccia di sudore freddo gli scese dalla
fronte.
Era costretto a far uscire allo scoperto il suo esercito, di
cui non conosceva neppure le effettive capacità, e sferrare un attacco in una
probabile inferiorità numerica contro un nemico già preparato ad ogni evenienza.
Quel Gran Re doveva essere un tipo scaltro, si disse, perché aveva visto giusto
tentando di mettere a repentaglio lo sguarnito sud.
E ora, per Tim non
c’era altra possibilità se non quella di andare incontro al nemico, anche se
questo significava anche mettere a rischio la propria vita. In ogni caso, il
suo attacco sarebbe servito per rallentare e indebolire la marcia nemica. Sentì una mano
fredda appoggiarsi sulla sua spalla.
Si girò di scatto, spaventato, poiché non si era accorto
della vicinanza di qualcuno. Fortunatamente, era solo il vecchio Atah.
‘’Generale, oggi
combatteremo la nostra battaglia’’, disse, malinconico.
‘’Sì, Atah, oggi
combatteremo. Non abbiamo altre possibilità, se non quella di gettarci tra le
loro spade. Forse moriremo tutti’’, disse Tim, con fare pessimistico. Il
nemico, d’altronde, li stava costringendo a combattere proprio per sconfiggerli
più in fretta e levare l’assedio.
‘’No, generale, non moriremo. Farò in modo che questo non
accada’’.
‘’Lo spero. Ora, però devo andare ad organizzare i miei
soldati. Grazie del tuo sostegno, saggio mago. Difendici, perché noi
probabilmente non saremo in grado di farlo’’, disse Tim.
‘’Oh, generale, non
essere così catastrofico. In un modo o nell’altro, ce la faremo’’, disse il
vecchio mago.
Intanto, un piccolo
distaccamento di nemici a cavallo si allontanò dal gruppo per scagliare alcune
frecce contro Vargan. Le frecce si infransero contro il velo magico a
protezione della città.
‘’Ci provocano’’, disse Atah.
‘’Esatto. E noi non
possiamo far altro che rispondere a tono’’, disse il generale, che si allontanò
rapidamente, sparendo in fretta.
Il vecchio Atah aveva molti dubbi sulla riuscita della difesa
imperiale. Si era mostrato positivo con Tim, ma in realtà non lo era. Sbuffò
sonoramente.
Provava dolori alle
articolazioni, ormai era troppo vecchio per far qualsiasi cosa, figuriamoci per
combattere. Ma lui confidava nella forza di Huru, che fino a quel momento non
lo aveva mai abbandonato.
Una cosa, comunque, era certa; quella sarebbe stata l’ultima
sua battaglia da mago vivente.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Grazie per aver letto anche questo capitolo.
Sta per iniziare una grande battaglia. Un’altra battaglia in
cui gli imperiali partono da sfavoriti. Atah riuscirà a fermare i Demoni e gli
Sconosciuti? Tim riuscirà a sconfiggere il Gran re, o almeno a rallentare la
sua avanzata verso Fortwar? Lo scopriremo presto J
Grazie, di nuovo, a tutti! a sabato J
|
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Capitolo 27 *** Capitolo 27 ***
Capitolo 27
CAPITOLO 27
Tim aveva di fronte a sé tutte le sue truppe, pronte ad
uscire e a dar battaglia al nemico, che intanto continuava a seguire la strada
che portava alla capitale.
La grande porta principale della città magica di Vargan si
spalancò, e gli imperiali iniziarono ad uscire.
I nemici che continuavano a scagliare frecce contro la città
presero a indietreggiare, e speronarono i cavalli per raggiungere in fretta i
compagni. Tim sbottò, stizzito. Era una trappola, il nemico aveva un piano e
lui era costretto a gettare il suo esercito nella mischia.
Tra l’altro, avrebbe utilizzato un esercito che non era
neppure suo, e non ne conosceva neppure le potenzialità. Aveva schierato ciò
che era rimasto dell’esercito di John, e nelle retrovie aveva lasciato i suoi
duecento, quelli della milizia cittadina di Fortwar. Non voleva perderli in una
battaglia inutile.
Velocemente, i soldati imperiali uscirono dalla città, e si
riversarono nella campagna circostante. Fin da subito cercò di riorganizzare un
assetto tattico il più idoneo possibile alla conformazione del territorio.
Poteva quindi permettersi di distendere al meglio il suo
esercito, poiché c’era spazio a sufficienza. I suoi ufficiali si diedero da
fare alla meglio per sistemare la formazione, e il risultato finale fu
discreto.
Quei soldati,
inconsapevoli di essere di fronte a un nemico nettamente superiore, volevano
rifarsi dal tradimento di Palok. L’esercito iniziò a marciare verso il nemico, fortunatamente
mantenendo intatta la formazione.
Tim aveva cercato di
fare del suo meglio per bilanciare le forze in campo; aveva rinforzato il
centro dello schieramento con gli elementi che apparivano più forti e robusti,
in modo da non ripetere lo sfondamento centrale che era avvenuto durante la sua
prima battaglia nell’oasi di Sulamba. Nelle ultime file, aveva posizionato
anche alcuni arcieri, che in caso di bisogno sapevano pure combattere con la
spada.
Intanto, il ponte levatoio di Vargan iniziò a risollevarsi.
Dentro le mura aveva
lasciato alcune centinaia di cavalieri, pronti a intervenire tempestivamente in
caso di bisogno, e numerosi fanti, più che altro civili, mal equipaggiati ma
pronti anch’essi a mettersi in gioco in caso di bisogno. Atah e i suoi due
giovani maghi, invece, avrebbero assistito e combattuto dalle mura, insieme ad
altri arcieri.
E’ tutto a posto, si
disse Tim osservando meglio il suo esercito.
Poi, vide i nemici.
Stavano tornando sui loro passi di corsa, si stavano preparando a lanciarsi
sugli imperiali come fanno gli avvoltoi quando riescono a trovare una carcassa
da divorare.
Gli imperiali si fermarono. Il grido di guerra degli
Sconosciuti si faceva sempre più vicino e lugubre.
Un tremito di paura scosse l’esercito di Tim. A passi rapidi,
gli Sconosciuti avevano quasi ricoperto tutto lo spazio che separava i due
eserciti.
Gli imperiali abbassarono velocemente le lance. Gli arcieri
incoccarono gli archi.
Tim chiuse gli occhi.
Tra poco ci sarebbe
stata una carneficina. Era questione di pochi istanti, poi da tutto il campo di
battaglia si sarebbero levate le grida di dolore dei feriti, e uomini sporchi
di sangue avrebbero combattuto fino alla fine, come veri eroi.
Riaprì gli occhi solo quando sentì che lo scontro tra i due eserciti era avvenuto.
Lui non avrebbe combattuto, per ora. Si tenne nelle ultime
file, su una portantina rialzata in modo da poter tenere la situazione sotto
controllo. Fin da subito, l’esercito imperiale si mantenne fermo e stabile.
L’urto barbaro dei
nemici non fece danni allo schieramento, e anzi, la maggior parte delle lance
imperiali divennero inutilizzabili, perché si erano spezzate nei corpi nemici
che avevano urtato.
Che guerrieri, si disse Tim. Davanti a sé, gli imperiali,
nonostante fossero in netta inferiorità numerica, stavano mostrando grandi
doti. Erano agguerriti, e dimostravano di sapersela cavare egregiamente anche
contro un nemico superiore a loro.
Le spade imperiali trafiggevano, colpivano sui fianchi, e
decapitavano il nemico, senza alcuna sosta.
In breve tempo, gli
Sconosciuti iniziarono a temere il nemico, e iniziarono a indietreggiare,
mentre le frecce imperiali li trafiggevano senza pietà. Il terreno iniziò a
ricoprirsi di corpi, appartenenti quasi esclusivamente agli Sconosciuti. Le
loro tuniche multicolore giacevano a terra, pestate e lordate dal sangue dei
loro stessi proprietari. Lo scontro era iniziato da poco, ma sembrava che
stesse già prendendo una piega nettamente favorevole per i soldati di Tim.
Gli imperiali presero
ad impegnarsi e a lottare con più forza, e un’onda di entusiasmo pervase le loro
fila, mentre i nemici perdevano terreno. Ormai, gli Sconosciuti avevano
iniziato ad indietreggiare sempre di più, e cercavano di disimpegnarsi,
mostrando che erano pronti per ritirarsi ed accettare la sconfitta. Ma fu
allora che comparvero i Demoni.
Atah osservava la scena dalle mura di Vargan.
A suo fianco c’erano i
due giovani maghi, un tempo suoi apprendisti. Osservarono tutto attentamente, e
gioirono quando videro gli imperiali avanzare con forza tra le file dei nemici.
Gli Sconosciuti erano atterriti, o forse era solo l’effetto
della stanchezza, dovuta a mesi e mesi di lontananza da casa e di marce
forzate. Ma il peggio doveva ancora venire.
Quando gli Sconosciuti parvero vacillare, apparvero i Demoni.
E la loro aura malvagia iniziò ad imprimersi nei volti degli imperiali.
Atah sondò subito la situazione, e notò che era più grave del
previsto. I Demoni si erano rafforzati molto ultimamente, e soltanto Huru in
questione poteva fornirgli la magia necessaria per contrastare una forza
maligna così potente.
Prima di tutto, però, doveva mettere in salvo i due giovani
maghi.
‘’Smith, Lee, voi non
combatterete oggi. Andate giù dalle mura, e fatevi dare un cavallo’’, disse il
mago.
‘’Perchè no? Noi vogliamo batterci’’, dissero i due giovani,
quasi all’unisono.
‘’Non pensateci nemmeno. Ci sarà tempo per voi. Questa volta
tocca a me combattere. Prendete le vostre cose e seguite le mie indicazioni.
Quando avrete i cavalli, mischiatevi ai cavalieri. Se qualcosa andrà storto, la
cavalleria uscirà dalla città per intervenire, ma voi non combatterete e ve ne
andrete il più velocemente possibile attraverso i campi. Stando attenti a non
seguire la strada principale, vi recherete a Fortwar. Sarà lì il luogo dove si
compirà il vostro destino. Andate, buona fortuna’’, disse Atah mentre
allontanava i due giovani, che lo guardavano perplessi.
Smith avrebbe voluto
ribattere, ma Lee lo prese delicatamente per un braccio e lo condusse giù dalle
mura.
Atah scosse la testa. Lee sapeva già tutto, come al solito.
Si concentrò subito
sui Demoni, non c’era tempo da perdere. Invocò Huru, e si sentì subito pieno di
energie.
Iniziò a pronunciare formule magiche potentissime, che subito
andarono a bloccare e a interferire con l’azione dei Demoni. Questi stavano
importunando gli imperiali, le cui linee avevano preso ad oscillare sotto i
colpi degli Sconosciuti. I Demoni alzarono lo sguardo, e lo fissarono.
L’avevano individuato.
Subito, una marea di sensazioni contrastanti pervasero il
corpo del vecchio mago. Nonostante ci fosse la barriera magica a difesa della
città, lui, attraverso l’utilizzo dei suoi sortilegi, si era esposto ai Demoni.
Atah si piegò in due dal dolore, ma si riprese subito, poiché
Huru era intervenuto in suo soccorso.
In quell’istante
furono i Demoni a piegarsi in due dal dolore. Huru era più forte del male, e li
avrebbe schiacciati senza pietà.
Atah pronunciò un anatema contro di loro.
I Demoni a quel punto ruzzolarono in terra, schiumanti, come
se fossero vittima di un attacco epilettico. I loro corpi si irrigidirono,
mentre Atah li osservava dall’alto. Era stato fin troppo facile batterli.
Huru li stava
strangolando, li stava privando della vita. I nove corpi si rilassarono, come
se fossero deceduti.
Tutti i soldati si fermarono un attimo ad osservare la scena.
Poi, la battaglia riprese, e gli imperiali ripresero terreno.
Poi, accadde l’imprevedibile.
Fermei per un attimo vide i suoi sogni andare in frantumi.
I Demoni erano a terra, quasi morti. Il suo esercito era quasi
pronto a ritirarsi. Il re gettò a terra la sua spada, con violenza. Era inutile
continuare a combattere, si sarebbe ritirato.
Sarebbe tornato nelle sue terre al di là del deserto, si
sarebbe rafforzato e poi sarebbe tornato ancora. Il suo esercito ora era quasi
allo sfacelo. Quel giorno aveva perso tantissimi soldati.
Si girò, e fece per chiamare i suoi ufficiali.
Ma in quel momento, uno dei nove Demoni si rialzò, ed
estrasse un pezzo di roccia.
Sembrava quarzo
bianco, ed era trasparente. Lo puntò verso il cielo, gridando qualcosa di
incomprensibile.
E si scatenò l’inferno.
NOTA DELL’AUTORE
La battaglia è iniziata.. ma è ancora tutto in bilico. Chissà
cosa riusciranno a fare i Demoni. Per ora, spero di avervi incuriosito un po’ J
Certo, è un po’ fatica fare tre aggiornamenti a
settimana(come vi ho già detto sto portando avanti un’altra storia, ancora più
complessa di questa), ma penso di poterci riuscire J ultimamente sto scrivendo molto,
quindi non ci sono pubblicazioni a rischio, per ora.
Grazie a tutti per avermi letto!! A mercoledì J
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Capitolo 28 *** Capitolo 28 ***
Capitolo 28
CAPITOLO 28
Fermei indietreggiò.
La battaglia si fermò,
e anche i soldati smisero di combattere e iniziarono ad allontanarsi dai
Demoni.
Uno dei Demoni, quello con il corpo di Shon, il suo vecchio
amico, alzò verso il cielo una pietra. Una pietra trasparente, di un colore
simile al quarzo bianco.
In quel momento
sembrava che gli Sconosciuti fossero spacciati, poiché i Demoni sembravano
morti.
E invece, un potente
raggio di luce scese dal cielo e s’incanalò all’interno della pietra. Quella
pietra era senz’ombra di dubbio qualcosa di magico, poiché sembrava che fosse
stata lievemente intagliata, per assumere una forma molto simile a quella di
una lacrima. Inoltre, un filo di uno strano tessuto, che passava in un piccolo
foro all’estremità più stretta dell’amuleto, la rendeva una collana.
I Demoni pronunciarono
un’oscura formula con una voce stridula d’oltretomba.
Fermei tremò, impaurito.
Il raggio di luce che
stava colpendo flebilmente la pietra si fece molto più intenso, e ad un certo
punto divenne abbagliante. Tutti abbassarono lo sguardo, e il re si coprì il
volto con una mano, per non essere accecato.
Un forte tuono squarciò l’aria, e la terra tremò.
I soldati gridarono, mentre
il suolo iniziava a crepare sotto i loro piedi. Un forte vento li travolse,
molti finirono a terra.
Poi, tutto si concluse.
Il vento cessò, la terra smise di tremare e il bagliore
accecante scomparve, risucchiato dalla pietra.
Per un attimo solo calò la notte, e fu buio pesto.
Poco dopo, tutto tornò la normalità, e riapparve la luce del
giorno, anche se pareva molto flebile. I soldati si rialzarono, e si guardarono
tra loro, stupiti. I Demoni erano tutti in piedi, vivi e vegeti. E più potenti
che mai.
La battaglia doveva riprendere, e Fermei ricominciò a gridare
ordini ai suoi sottoposti.
Senza porsi troppe domande, il re voleva riprendere subito lo
scontro, visto che i suoi alleati Demoni erano ancora vivi, quindi c’erano ancora
possibilità di vittoria.
Infatti gli Sconosciuti ripresero forza, e si lanciarono con
rinnovata potenza sugli imperiali. Gli imperiali indietreggiarono, e furono
travolti dall’attacco mentale dei Demoni, che li destabilizzò.
E l’esercito imperiale capitolò, in preda al panico. I Demoni
erano potenti come non mai.
Atah gridò, in preda al terrore.
L’essenza di Huru, che gli forniva la magia, era stata
catturata dai Demoni, ed era stata racchiusa in quella pietra magica di cui lui
non sapeva nulla. Il vecchio mago sapeva che era giunta la sua fine.
I vittoriosi Demoni
gli scagliarono contro decine di anatemi potentissimi, e il vecchio non aveva
più i poteri per potersi difendere.
I sortilegi lo
colpirono in pieno, e gli tolsero il respiro.
Atah barcollò, in
preda a terribili spasmi. In pochi istanti il dolore divenne insostenibile, e
si sporse dai camminamenti, e cadde giù dalle mura.
Il suo corpo cadde giù
a peso morto, sotto gli occhi dei suoi due allievi.
Smith trattenne il fiato.
Il suo maestro, il più forte dei maghi di Huru, cadde, e il
suo corpo si maciullò al suolo, proprio poco distante da lui. Una pozza di
sangue si allargò sotto il suo corpo, e impregnò tutto il terreno circostante.
E il vecchio mago non si mosse più.
‘’No!’’, gridò Smith, e fece per scendere dalla sella e
andare dal maestro.
Ma Lee, che era vicino
a lui, lo prese per un braccio e lo trattenne in sella.
‘’No, Smith. Non ti crucciare per lui. Lo sapeva. Ora
dobbiamo pensare a noi’’.
‘’No, Lee, non puoi
dirmi che non provi nulla di fronte a questo scempio’’, disse Smith, mentre una
lacrima gli scivolava sulla guancia.
‘’Amico mio, anch’io
sto soffrendo. Più di quanto immagini. Ma non c’è tempo per disperarci,
dobbiamo pensare a salvarci. Ora non abbiamo neppure i nostri poteri magici,
poiché li abbiamo perduti per sempre’’.
‘’Che significa?’’, disse Smith all’amico, incredulo.
‘’I Demoni hanno imprigionato Huru in quell’amuleto magico.
Con Huru sotto il loro controllo, noi abbiamo perso la magia’’, rispose Lee.
Smith pronunciò una formula magica basilare, quella per
accendere un fuoco. Che non si accese.
‘’E’ vero, Lee. Che ne
sarà di noi?’’.
‘’Dobbiamo andarcene di qui. Questa città è una trappola ad
orologeria. Tutti qui si credono al sicuro, ma ora che non c’è più nessun mago
in grado di tenere la situazione sotto controllo, qui è tutto precario. Tra
poco i cavalieri usciranno dalla città per coprire la ritirata degli imperiali,
e noi usciremo con loro, e ce la daremo a gambe. Andremo a Fortwar, ultimo
baluardo dell’impero’’, disse Lee.
‘’Quindi qui è tutto
perduto?’’, chiese Smith.
Lee fece un cenno
affermativo con la testa. Non fece in tempo a dire altro, perché la campana
d’allarme della città iniziò a suonare. Il ponte levatoio si abbassò
rapidamente e la porta principale si aprì.
I cavalieri si
lanciarono fuori dalla città in un galoppo sfrenato, e i due amici li
seguirono. Appena furono usciti tutti,
la porta cittadina si richiuse, e il ponte levatoio si risollevò.
Gli ordini erano stati
chiari; in caso di disfatta, quelle poche centinaia di cavalieri si sarebbero
frapposte tra gli imperiali in fuga e gli inseguitori nemici, limitando quindi
ulteriori danni o inseguimenti. Poi, dopo aver trattenuto per breve tempo il
nemico, i cavalieri sarebbero dovuti fuggire, evitando quindi uno scontro
prolungato.
Lee e Smith deviarono, e abbandonarono il gruppo, spingendo i
loro cavalli a una corsa sfrenata, che concluse dopo una decina di minuti,
quando riuscirono a raggiungere i margini del bosco.
Si voltarono, e videro la disfatta.
I fanti imperiali erano in fuga, inseguiti dal nemico. Anche
loro si stavano dirigendo verso il bosco, dove avrebbero potuto trovare riparo
e nascondersi al nemico. I Demoni erano troppo forti, ed erano capaci di
infliggere tremende sofferenze ai corpi degli umani.
Intanto però l’azione di arginamento dell’inseguimento stava
venendo svolta eccellentemente dai cavalieri imperiali, che tennero un po’
occupate le truppe degli Sconosciuti. Poi, i cavalli presero ad imbizzarrirsi a
causa dei Demoni, e parecchi disarcionarono i loro cavalieri.
L’impero aveva perso anche quella battaglia.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo.
Ora che l’impero è stato nuovamente sconfitto, che ne sarà di
Tim? Che ne sarà dei due giovani maghi, che hanno perso anche i poteri? Fermei si
accontenterà della vittoria e si dirigerà direttamente verso Fortwar o tenterà
di porre sotto assedio Vargan? Lo scopriremo nei prossimi capitoli J Anche perché nuove e inaspettate
forze stanno per unirsi agli imperiali…
A presto J
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Capitolo 29 *** Capitolo 29 ***
Capitolo 29
CAPITOLO 29
Tim se ne stava in sella ad un cavallo che gli era stato
fornito da un suo cavaliere.
Stavano attraversando l’ultima parte di bosco che lo separava
dalla strada principale, quella che avrebbe condotto lui e il suo residuo
d’esercito alla capitale. Perché ormai, ciò che rimaneva dell’ex impero di
Fortwar era solo la capitale.
La provincia di
Fortwar era completamente sguarnita, e ben presto sarebbe stata alla mercé
degli Sconosciuti. Aveva spedito una ventina di soldati affidabili a informare
tutti i villaggi della provincia, per invitarli ad evacuare e a prepararsi
all’arrivo dei nemici.
Aveva inviato anche un
messaggero a Fortwar, per dare la brutta notizia.
Era uscito da Vargan
con 30000 soldati, e ora con lui ne aveva appena seimila. Almeno la metà della
cifra iniziale era deceduta, ma il resto aveva preferito darsi alla macchia e
cercare rifugio nel cuore del bosco invece che continuare una causa persa.
Infatti, con lui c’erano anche i due giovani maghi di Huru,
che avevano perso i poteri magici. Altre due bocche inutili da sfamare, aveva
pensato Tim. Tanto, ormai, non c’era più nulla da fare. Si sentiva molto
abbattuto.
L’impero non aveva più un esercito, non aveva più la magia, e
l’ambasciatore umano che era partito da Swaden parecchi mesi prima, per ritrovare
le creature magiche, non aveva più fatto ritorno.
Il morale era a terra,
e nessuno parlava. Anche perché tutti erano sporchi e feriti, parecchi
zoppicavano e tanti altri sarebbero morti prima di giungere alla capitale. Tim
non aveva idea di come avrebbe reagito il nemico di fronte a quella vittoria,
se avesse tentato un assedio a Vargan o se avesse preferito proseguire verso
un’indifesa capitale.
Comunque, i nemici per ora non li avevano inseguiti.
Nonostante tutto, per Tim iniziava a profilarsi un altro
problema; appena sarebbe rientrato nella capitale, sempre se ci fosse riuscito,
avrebbe dovuto incontrare nuovamente Sergej. Anche se il suo ex amico aveva
fatto passare tutta la vicenda passata e piena di violenza come qualcosa che si
doveva necessariamente fare per dare un futuro migliore all’impero, lui era
ancora rabbioso e dubbioso. Ben presto, avrebbe dovuto chiudere la questione,
in un modo che neppure lui per ora sapeva.
Ora però doveva solo concentrarsi per riuscire in qualche
modo a tornare a casa vivo.
Fermei non era molto felice.
Era riuscito a vincere una battaglia complicata, ma non aveva
guadagnato quasi nulla. Le sue casse erano quasi vuote, non aveva neppure più
soldi per finanziare il suo esercito. Aveva pensato di riuscire a fare più
bottino a Palok, oppure di conquistare Vargan senza problemi, pensando che
fosse solo un borgo con scarse fortificazioni. Ma aveva fatto i conti in modo
sbagliato.
In fondo, era stato un bene che tanti dei suoi soldati
fossero deceduti nello scontro contro gli imperiali. Tanto, non avrebbe potuto
pagarli. Urgeva una soluzione immediata. E la soluzione era lì, di fronte a lui.
Era Vargan, l’immensa e imprendibile città stregata.
Doveva conquistarla a
tutti i costi, poiché era una città ricchissima e piena d’oro e oggetti
preziosi. I nobili della provincia di Palok si erano insediati tutti dentro le
sue invincibili mura, sicuri di essere protetti dalla magia.
Inoltre, non poteva proseguire direttamente fino a Fortwar,
perché non poteva economicamente permetterselo. D’altronde, ora la capitale era
molto debole, ed era un bocconcino molto facile per lui.
Comunque, ormai l’impero era suo. Era quasi riuscito nella
sua impresa di conquista. Ma prima, doveva distruggere e saccheggiare uno degli
ultimi baluardi imperiali; Vargan.
Per ora, aveva fatto piantare il campo al limitare del bosco,
abbastanza lontano dalla piana coltivata dove era avvenuta la battaglia. Ma ben
presto l’odore terribile di migliaia di corpi in decomposizione avrebbe contaminato
l’aria, portando disagi e malattie. Quindi si doveva agire in fretta, entro
poche ore, poiché il clima caldo tipico di quel luogo avrebbe accelerato di
molto il processo di decomposizione.
Ora era fuori dalla sua tenda, e stava fissando le imponenti
mura dell’invincibile città.
Sentì dei passi dietro di sé, e si voltò. Era uno dei suoi
ufficiali maggiori.
‘’Sire, i nostri soldati vogliono ricevere la paga. Si
lamentano molto, poiché è da un po’ che non viene effettuata. Ho paura che, se
non li soddisfa subito, si possano ribellare’’, disse l‘ufficiale senza tante
cerimonie.
Fermei annuì. Ecco,
era arrivato il momento tanto temuto, ed era arrivato pure in anticipo. I suoi
soldati, subito dopo lo scontro, non avevano atteso altro tempo. Volevano
soldi.
‘’Dì ai soldati che entro poche ore non potranno godere di
una sola paga, ma di un’ingente bottino’’, disse Fermei con fare sicuro, e
indicò Vargan.
‘’Sire, dite davvero? Avete
già un piano per prendere Vargan?’’, chiese l’ufficiale, che si era sentito
talmente tanto sollevato da essersi dimenticato che non si rivolgono domande al
re.
Fermei chiuse un
occhio. Doveva farlo contento.
‘’Certo. E ora vai a tranquillizzarli’’, disse, mentendo.
‘’Subito, sire!’’, disse l’ufficiale, sparendo a passo svelto
tra le tende.
Fermei rimase lì a rimuginare, perché se non fosse riuscito a
prendere Vargan si sarebbe trovato di fronte a guai grossi. I suoi soldati
erano stanchi e stressati, quindi anche particolarmente imprevedibili. Una
sommossa in quel momento avrebbe potuto costare cara a tutta la sua campagna di
conquista. Doveva trovare immediatamente una soluzione.
Fece convocare i
Demoni.
I Demoni, stranamente, erano felicissimi.
La loro missione era
vicinissima al compimento. Ora avevano racchiuso il potere di Huru dentro
all’amuleto, dal quale potevano attingere energia in grosse quantità.
Sorrisero, perché Huru
era sempre stato un’entità positiva, a difesa del bene e degli umani. E ora
avrebbe contribuito alla loro distruzione. Quello era un altro elemento che
andava ad aggiungersi all’energia che avevano già racimolato. Ora mancavano
solo altri due elementi. Ben presto, loro avrebbero potuto mostrare chi erano
veramente.
‘’Alleati, il Re ha richiesto la vostra presenza’’, disse una
guardia, con fare circospetto.
I Demoni la fissarono male, poiché era entrata nella loro
tenda senza avvisare. La guardia se ne andò subito, senza dire altro,
atterrita.
I Demoni si avviarono subito verso la tenda reale, sbuffando,
ma sempre più soddisfatti del fatto che ben presto avrebbero iniziato la loro
missione.
E sarebbero diventati
padroni del mondo, signori incontrastati di tutte le terre.
I Demoni entrarono nella tenda reale, facendosi annunciare da
una guardia. Solo dopo aver fatto avvisare il re della loro presenza,
entrarono.
‘’Alleati, questa
volta che vi attendavo con ansia vi siete fatti annunciare e avete seguito una
lunga cerimonia. A cosa devo tutta questa galanteria?’’, chiese il Re con
ironia, appena li vide.
‘’Oh, Sire, per nulla al mondo vorremmo metterla in imbarazzo
come l’ultima volta che ci siamo presentati’’, dissero i Demoni, facendo
ricordare al re la scena privata con Ilse, alla quale loro avevano
involontariamente preso parte.
‘’Va bene.
L’importante è che vi siate presentati subito’’, disse il re cambiando
discorso.
Poi, fece una breve pausa, come per riflettere meglio su ciò
che stava per dire. Ma non sapeva che i Demoni immaginavano già l’argomento del
discorso.
‘’Demoni, devo conquistare Vargan a tutti i costi. E subito.
Vi prego di consigliarmi qualcosa, visto che siete più esperti di me sulle arti
magiche’’, disse Fermei, senza preamboli.
‘’Sire, la città è
imprendibile. La si può assediare anche per millenni senza ricevere alcun
risultato. Ma un modo per conquistarla esiste, è rapido ma è anche molto
rischioso’’, dissero, mentre nelle loro menti malvagie c’era già un’idea.
‘’Ditemelo, ve ne prego. Devo conquistare e saccheggiare
questa città, o sarà la fine del mio sogno. Pensavo di fare più bottino a
Palok, dove invece è stato bruciato tutto, e gli abitanti sono scappati. Così,
sono rimasto quasi al verde, e non posso offrire una buona paga ai miei uomini.
Voglio conquistare Vargan, costi quel che costi’’, disse il Re.
‘’La città si può
conquistare solo se uno al suo interno fa aprire la porta e abbassare il ponte
levatoio. In questo modo le vostre truppe entreranno indisturbate. Non esiste
altro modo’’.
‘’Va bene. Ma nessuno da dentro aprirà le porte a me’’, disse
il re.
‘’Ma se lei manda qualche infiltrato dentro, che azioni il
meccanismo di apertura della porta, sarà possibile entrare’’, risposero i
Demoni. Fermei iniziò a riflettere.
I Demoni si
spazientirono. Loro avevano già un’idea, e quello stupido re tentennava, come
se non capisse nulla di tecniche militari.
‘’Sire, mandi la ragazza là dentro. Ha già compiuto missioni
pericolose, e ne è sempre uscita illesa. Ed è molto scaltra’’, dissero i
Demoni, interrompendo i pensieri di Fermei.
‘’Chi? Ilse? Ma vi sbagliate di grosso. Non ho alcuna
intenzione di metterla nei guai, non voglio perderla. Io la amo!’’, disse il
Re, con foga crescente.
I Demoni sorrisero. Il
Re non aveva neppure ancora capito che Ilse era incinta. Comunque, la ragazza
era incinta di poco più di un paio di mesi, e ancora non si notava molto.
Stupido re, si dissero. Era un re disattento a tutto. Si
chiesero come potesse uno così ignobile governare un immenso impero.
‘’Vada a prendere due
imperiali feriti, o caduti nelle vostre mani come schiavi. Scelga due che siano
ben conosciuti dai soldati di guardia alle mura, e prometta a loro che avranno
salva la vita. Poi, vi daremo una mano noi a convincerli di seguire la nostra
causa. Intanto, faccia muovere nuovamente l’esercito verso sud, come se fosse
in procinto di inseguire ciò che rimane dell’esercito imperiale. Una volta
giunti ai margini del bosco, faccia nascondere bene i soldati, e attenda la
notte. i due imperiali a quel punto si faranno aprire dagli amici di guardia, e
introdurranno dentro anche Ilse, che farà la parte di una superstite di un
villaggio vicino, sopravvissuta al passaggio delle truppe del nemico. Durante
la notte, Ilse, sfruttando il fatto che di guardia alle mura non ci sarà quasi
nessuno, visto che sono difese dalla barriera magica, ci aprirà da dentro. A
quel punto, i nostri soldati faranno irruzione nella città silenziosamente, e
la conquisteranno. E’ così semplice’’, conclusero i Demoni.
‘’Sì, l’idea è buona.
Ma non mi va di utilizzare Ilse’’, disse Fermei.
‘’Ilse è l’unica che può mischiarsi tranquillamente agli
imperiali senza far sorgere alcun dubbio, e questo lei lo sa bene. Parla
perfettamente la loro lingua, è identica a loro ed è pur sempre una ragazza,
una che sembra innocua. Ed è molto in gamba a mentire’’.
‘’Sì, avete ragione.
Ilse è in gamba, non ho mai visto nessuna donna come lei. Bene, se lei
accetterà, applicheremo questo piano. D'altronde non ho molte altre alternative.
O rischio Ilse, o perdo il mio esercito, e anche i miei sogni’’, concluse il
Gran Re, scuotendo la testa con fare preoccupato.
Non perse tempo, visto
che era già pomeriggio inoltrato, e a malincuore fece convocare Ilse. Se voleva
Fortwar, era necessario conquistare Vargan.
I Demoni, intanto, abbandonarono la tenda reale, ed erano
ancora più felici. Probabilmente il re avrebbe affidato quella rischiosa
missione ad Ilse, facendole rischiare la vita. E se Ilse fosse morta, loro ne
avrebbero gioito, poiché lei era l’unica a conoscere, almeno in parte, il loro
odio segreto per Fermei. E poi era motivata e decisa.
Lei era un ostacolo.
Un ostacolo che prima o poi doveva essere eliminato.
NOTA DELL’AUTORE
Tim è un po’ abbattuto. D’altronde, chi non lo capisce? J
Fermei invece è disposto a giocarsi tutto ciò che ha di più
importante al mondo per avere Vargan; la sua amata Ilse.
Nel prossimo capitolo scopriremo se Ilse si lascerà
coinvolgere in una pericolosissima avventura nonostante il suo stato(anche se
non ha molte alternative), e come andrà a concludersi la vicenda di Vargan.
Grazie a tutti per la lettura! A mercoledì J
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Capitolo 30 *** Capitolo 30 ***
Capitolo 30
CAPITOLO 30
Ilse si avviò ancora una volta verso una missione dall’esito
incerto. E in più, questa volta era in compagnia di due perfetti sconosciuti.
I Demoni e Fermei li avevano convinti a collaborare,
nonostante all’inizio fossero apparsi un po’ reticenti.
Erano due guardie molto note a Vargan, ed erano entrambe
ferite di striscio. La loro identità era stata garantita dai Demoni e dagli
altri prigionieri.
D’altronde, per lei non c’erano altre possibilità cha
affidarsi a quei due, sperando che i Demoni avessero stregato le loro menti in
modo corretto. L’esercito degli Sconosciuti era pronto alla rivolta, e senza
qualcuno che fosse pronto ad entrare in quella dannata città ed aprire la porta
principale, tutti gli sforzi finora compiuti avrebbero rischiato di diventar
vani. Lei doveva aprire quella grande porta, in un modo o nell’altro.
L’esercito di Fermei
aveva abbandonato l’assedio, e aveva percorso qualche centinaio di metri,
percorrendo la strada che portava verso sud, e sparendo alla vista delle guardie
appostate sulle mura. In realtà, l’esercito era tornato indietro, e si era
appostato in silenzio nel bosco, pronto a scattare non appena la porta
cittadina si fosse aperta.
Ilse proseguiva, e a
tratti veniva sorretta da quei due perfetti sconosciuti. Doveva fingersi stanca
e malata. Per precauzione, aveva un piccolo pugnale nella tasca, sicuramente
più simile a un bisturi di un chirurgo, e per questo molto affilato e letale.
Sospirò, preoccupata. Si era affidata al caso anche quella
volta. Ma non aveva altra scelta; se voleva che Fermei conquistasse Fortwar e
che la sposasse, doveva affrontare quei rischi. In più era anche in stato
interessante. Ma si ripeté che non poteva fare altrimenti. Fece un respiro
profondo, per calmare le sue inutili ansie.
Ben presto si trovarono di fronte alla porta principale, a
separarli dalle mura c’era solo il fossato, che era pieno d’acqua e di bestiole
molto aggressive.
‘’Steven! Steven!’’,
prese a gridare uno dei suoi due accompagnatori.
Subito, dai bastioni rispose una voce.
‘’Rohn, sei tu! E sei
vivo!’’, disse con gioia quello che doveva chiamarsi Steven.
Probabilmente, Rohn conosceva bene i turni di guardia, e
sapeva perfettamente chi stava svolgendo il compito di sentinella in quel
preciso momento della giornata. Il sole stava calando, e la battaglia si era
conclusa da sole cinque ore.
‘’Steven, per favore,
aprici. C’è anche Josh con noi, è ferito, e questa è una ragazza che abbiamo
trovato dispersa nel bosco poco distante, dove ci siamo rifugiati. I nemici se ne
sono andati, e noi siamo rimasti chiusi fuori, e siamo lievemente feriti’’,
disse Rohn.
‘’Sì, adesso vi calo il ponte e vi apro la porta. Aspettate
un attimo’’, disse Steven, con voce sicura.
Ilse tremò tutta dalla
gioia; stava per entrare a Vargan. quei suoi strani accompagnatori conoscevano
veramente molto bene gli assediati. E fu così che poco dopo il ponte si
abbassò, e fu aperta la porta.
Ilse entrò, seguita
dai suoi due accompagnatori, e la porta si richiuse dietro di loro. Subito, i
tre furono circondati da guardie armate. Ilse tremò.
Ma si rilassò quando vide che i suoi due accompagnatori
venivano abbracciati dai loro compagni, sicuri che fossero morti.
‘’Ma come avete fatto a salvarvi?’’, chiese il tizio, che
doveva essere Steven.
‘’Quando l’esercito
imperiale ha iniziato la ritirata, noi ci siamo rifugiati nel bosco, come
tutti. ma poi li abbiamo persi di vista, e ci siamo ritrovati soli. Dopo
neppure tre ore, abbiamo trovato questa ragazza, che vagava sperduta nella
foresta’’, disse Rohn.
Tutti fissarono i loro sguardi su Ilse.
Il suo accompagnatore non aveva detto chi era, e tutti gli
sguardi erano indagatori. Sentì che stava per diventare paonazza, e cercò di
ritrovare fin da subito l’autocontrollo.
‘’Ragazza, da dove
vieni?’’, le chiese Steven.
‘’Mi chiamo Anna e
sono figlia di un mercante di stoffe. Mio padre stava percorrendo la strada
principale che collega i villaggi di frontiera della provincia di Fortwar,
quando abbiamo incontrato i nemici. Mio padre è stato ucciso,ma io sono riuscita
a scendere dal carro che conteneva la merce, dove stavo riposando, e sono corsa
nel bosco. Fortunatamente nessuno mi ha inseguito. E poi, mi sono incontrata
con Rohn e il suo amico’’, rispose, tirando un sospiro di sollievo.
‘’Un mercante di stoffe che va a vendere la propria mercanzia
in territori a rischio, dove i soldati nemici sono distanti solo pochi
passi?’’, chiese Steven, in modo perplesso.
Ilse iniziò ad essere nei guai, poiché doveva trovare
un’altra scusa. Comunque, mascherò la sua insicurezza con uno sguardo stanco e
un po’ di atteggiamenti timidi.
‘’Mio padre purtroppo
era disperato. In tempo di guerra non riusciva più a vendere quasi nulla, e ha
deciso di rischiare il tutto per tutto’’, disse Ilse. Steven parve soddisfatto
dalle risposte ricevute, e annuì. Tutti si erano convinti che Ilse fosse
veramente una comune ragazza dell’impero, e anche quella volta la sua pronuncia
perfetta e il suo aspetto fisico la salvarono. D’altronde, per tutti loro
restava solo una semplice e innocua donna.
I soldati continuarono
a discutere tra loro per un po’, rassicurandosi del fatto che l’esercito nemico
stava andando verso sud, non badando a Ilse, almeno per un pò.
‘’Rohn, accompagna la
ragazza in qualche alloggiamento. Potrebbe sostare da noi questa notte, sui
bastioni’’, disse Steven dopo un po’ di tempo.
‘’Va bene’’, disse Rohn, calmo, e la condusse nella scalinata
che conduceva nei piani alti della mura.
‘’Ragazza, io adesso ti lascerò in un posto privilegiato. Ti
segnalerò dove sono i meccanismi per far abbassare il ponte levatoio e per
aprire la porta principale. Poi io me ne andrò, e tu te la dovrai cavare da
sola. Se resto con te, verranno a cercarmi o si insospettiranno, quindi devo
tornare giù’’, disse Rohn, non appena fu sicuro che nessuno potesse sentirli.
Fuori era già buio, e la città aveva già iniziato a spegnere
le sue luci, poiché molti si apprestavano ad andare a letto.
Dopo alcune rampe di scale, Rohn le segnalò con una mano i
meccanismi, poi la condusse velocemente più in alto, proprio sotto i
camminamenti, dove c’erano alcuni alloggiamenti.
‘’Ti lascio qui. Valuta tu il momento opportuno per svolgere
la tua missione. Addio’’, disse Rohn, sparendo poi a passi svelti giù per le
scale.
Ilse non aveva intenzione di starsene ferma lì a lungo, ma
non poteva agire subito, perché molti soldati erano ancora attivi. Dai piani
inferiori si sentivano numerosi rumori. Poi, dopo un po’, cessarono.
Ilse non avrebbe
saputo dire quanto tempo fosse trascorso dal suo arrivo, quando iniziò la sua
missione. Steven stava ancora svolgendo il servizio di guardia notturno, poiché
non era ancora rientrato negli alloggiamenti. Ilse prese a camminare quatta,
lasciò quelle due misere stanzine e iniziò a scendere le scale.
Scese di numerosi gradini, poi sentì dei passi che venivano
verso di lei. Passi svelti e sicuri.
Ilse ebbe paura.
Non poteva tornare su di corsa, poiché l’altro l’avrebbe
sentita e inseguita, poi le avrebbe posto delle domande. E non poteva neanche
starsene lì ferma. Allora, in un attimo decise di continuare a scendere con
fare disinvolto.
Scese altri due
scalini, e si trovò di fronte un soldato, che apparve all’improvviso, immerso
nella penombra.
‘’Dove vai, ragazza?’’, chiese, con toni duri.
‘’Cerco il bagno’’, disse Ilse, con fare intimorito.
‘’Donne! Sempre in cerca di qualche comodità’’, sbottò il
soldato. ‘’Vai giù, qualche servizio igienico c’è’’, disse infine, riprendendo
a salire.
Ilse tirò un sospiro
di sollievo, e non incontrò più nessuno.
E dopo poco si trovò di nuovo di fronte ai meccanismi. Non
c’era nessuno a controllarli, poiché nessuno temeva una minaccia interna alla
città.
Lei si avvicinò di più, e li osservò. Il meccanismo che
faceva alzare e abbassare il ponte era composto da corde, che venivano
allentate quando doveva scendere, e messe sotto tensione per farlo risalire.
Ilse notò che quell’operazione doveva richiedere molti uomini.
Poi osservò il
meccanismo di apertura della porta principale. Era una leva, che andava spinta.
Ed era molto dura.
Ilse non aveva tempo
da perdere, e decise di buttarsi. Estrasse il suo affilatissimo pugnale, e
iniziò a rompere le corde che tenevano sollevato il ponte levatoio. Ci mise un
paio di minuti, prima di riuscire a tagliarne una. E il meccanismo si ruppe
definitivamente.
In pochi istanti, le altre corde si spezzarono tutte da sole,
non riuscendo più a sorreggere il peso del legno del grosso ponte, che cadde
giù facendo un bel tonfo.
Ilse si spaventò.
I soldati di guardia
sulle mura a quel punto dovevano essersene accorti che qualcuno stava
manomettendo la porta cittadina.
Corse immediatamente alla leva per aprire la porta principale.
Ma era troppo dura per lei.
Insistette, riuscendo
a smuoverla di un paio di centimetri. Poi non si mosse più.
Sentì dei passi, e sbucò una figura incappucciata. Si mostrò
a Ilse, e lei lo riconobbe immediatamente. Era Josh, l’amico di Rohn. Prese la
leva con entrambe le mani, e iniziò a spingere con forza, ed ebbe qualche
risultato.
Ilse fremette, non
c’era più tanto tempo. Anche lei si gettò sulla leva con foga, che a quel punto
scattò con forza, e la leva si fece più morbida. La porta principale si aprì
velocemente.
Josh lanciò un grido disperato, e Ilse si accorse che giaceva
trafitto al suolo. Dietro di lui, c’erano Steven e un altro soldato a spade
sguainate.
‘’Brutta strega! Hai aperto la porta, ci hai traditi. Ma ora
morirai’’, disse Steven.
Ilse notò che i soldati di Fermei avrebbero impiegato ancora
un paio di minuti prima di riuscire ad entrare tutti, sempre se avevano
iniziato.
E invece, sentì delle forti grida. Erano loro, era l’esercito
di Fermei, che era già arrivato. Ilse quasi pianse dalla commozione, poiché era
riuscita a farli entrare in città. Ma ora doveva salvarsi.
I due soldati si
guardarono tra loro, disperati.
‘’La nostra città è perduta, ma anche tu lo sei. Tra poco ti
infilzeremo, sporca traditrice’’, le disse Steven.
Ma lei scattò di corsa, e raggiunse le scale, catapultandosi
giù. Dietro di lei, i due soldati la inseguivano, pronti a raggiungerla e ad
ucciderla. Le tornarono in mente i ricordi dell’ultimo inseguimento al quale
lei doveva sottrarsi, a Frampul. Era finito male, e gli Sconosciuti l’avevano
catturata. Ma quella volta lei sarebbe stata più svelta, anche perché aveva
saputo sfruttare bene il suo piccolo margine di vantaggio sui nemici.
Ridiscese tutta la scalinata senza incontrare ostacoli e
riuscì ad uscire dalle mura, trovandosi proprio a fianco della porta
principale, nel punto dove era stata interrogata dai soldati solo poche ore fa.
Non c’era nessun soldato imperiale, erano fuggiti tutti a cercare i loro
familiari, per proteggerli dagli invasori. Intanto, i soldati di Fermei stavano
già devastando diverse abitazioni.
Dalle case si alzavano
grida fortissime, e da quelle più vicine alle mura si alzavano già le prime
fiamme. Ilse riprese a correre verso l’esterno delle mura.
Iniziò a correre sul ponte levatoio, e inciampò rovinosamente
in un pezzo di legno che si era frantumato nello schianto di poco prima. Ilse
si trovò distesa a terra, mentre i due soldati di Vargan l’avevano già
raggiunta. Cercò di rialzarsi, con un ultimo gesto disperato. Steven la
raggiunse e le tirò un calcio, facendola ruzzolare fin sul margine del ponte.
Stava per cadere in acqua.
Provò un fortissimo dolore la ventre. Temette per suo figlio.
Ilse gridò, disperata,
mentre Steven e il suo amico sguainavano le spade.
Steven la affrontò per
primo, e le si avventò addosso. Ilse deviò un fendente, estrasse il coltello e
lo colpì al polpaccio. Mentre l’avversario cadeva a terra, Ilse lo afferrò per
la divisa e lo pugnalò più volte con forza.
Però aveva commesso l’errore di perdere di vista l’altro
nemico, che le si era avvicinato, e ora la sovrastava con tutta la sua stazza.
Ilse lasciò il corpo ormai inerte di Steven, e cercò di muoversi.
Ma era troppo tardi,
ormai il soldato si stava preparando a lanciare l’affondo finale. L’avrebbe
colpita comunque, qualunque mossa lei avrebbe fatto. Vide la morte in faccia.
Ma improvvisamente il
soldato lasciò cadere la spada ed emise un rantolo, prima di cadere al suolo.
Era stato trafitto da una freccia.
Ilse alzò lo sguardo, per vedere il suo salvatore. E si trovò
di fronte il Gran Re in persona.
‘’Ilse, questa volta hai rischiato troppo! Ti giuro
solennemente che questa è stata la tua ultima missione pericolosa’’, disse
Fermei, abbracciandola.
Ilse si lasciò andare,
e pianse, dando sfogo alla tensione che aveva accumulato da parecchie ore. Si
sentì indebolita, stava perdendo tutte le forze, forse a causa dello spavento
ricevuto. Inoltre, le faceva molto male il ventre, ed aveva paura per
l’incolumità di suo figlio.
‘’Stai tranquilla, è tutto a posto. La città è nostra,
abbiamo vinto anche questa sfida impossibile. Anzi, tu l’hai vinta. Tutta sola,
come una vera eroina. Ti amo amore mio..’’.
Quelle furono le
ultime parole che sentì Ilse, prima di perdere i sensi, e di svenire tra le
braccia di Fermei.
NOTA DELL’AUTORE
Ilse se l’è vista brutta, ma alla fine è riuscita a
completare la sua missione. Ma al caro costo di rischiare di perdere la vita e
suo figlio. Per quanto tempo ancora riuscirà a nascondere la gravidanza al re?
Questo lo scopriremo a breve J
Spero che questo capitolo, dove ho cercato di inserire un bel
pizzico d’azione, come al solito, vi sia piaciuto J
Beh, non ho molto da dire. Non ho alcuna pretesa con questa
storia se non quella di intrattenervi un po’, e spero di esserci riuscito
finora J
Auguro a tutti voi buone feste, e di passare un buon Natale !
J
Grazie per la lettura J A sabato J
|
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Capitolo 31 *** Capitolo 31 ***
Capitolo 31
CAPITOLO 31
Fermei era molto soddisfatto della sua Ilse.
Grazie a lei, ora mancava solo la conquista della provincia
di Fortwar, poi sarebbe diventato un imperatore universale. E lei sarebbe stata
la sua sposa.
La città di Vargan era
stata distrutta, e con essa erano pure sparite le difese magiche che la
proteggevano da attacchi esterni. Vargan era in fiamme, e dei suoi bei palazzi
ben presto sarebbe rimasta solo cenere.
I suoi soldati
navigavano nelle monete d’oro strappate ai ricconi, che si erano nascosti in
quella città solo esteriormente inviolabile. Quindi, loro erano molto
soddisfatti, e non ci sarebbero stati problemi a proseguire la marcia verso la
capitale.
Tutti i cittadini erano stati raggruppati nella grande piazza
centrale, e sarebbero stati ceduti in pasto ai Demoni, che così sarebbero
diventati invincibili. Nulla avrebbe più potuto fermare l’avanzata del Gran re.
Era ormai l’alba, e Fermei aveva abbandonato Ilse in mano di
un medico esperto, per tenerla sotto controllo dopo quel repentino svenimento.
Il re si sentiva in colpa per averla lasciata sola, dopo tutto quello che aveva
fatto per lui, ma doveva mostrarsi ai suoi uomini e gioire con loro per la
vittoria.
Appena aveva potuto,
infatti, si era dileguato, e ora si accingeva a recarsi nella sua tenda, dove
Ilse era ricoverata e controllata dal medico di fiducia. Ricoprì gli ultimi
pochi metri che lo separavano dalla tenda reale, ed entrò.
L’aria dentro era quasi irrespirabile, decine di aromi
mescolati creavano un odore forte e pungente, quasi irritante. Fermei non ci
badò, e cercò subito con gli occhi la sua amata. Ilse giaceva ancora senza
sensi su un piccolo letto. Il medico le stava sentendo il polso.
‘’Alan, come mai è
ancora in stato d’incoscienza?’’, chiese subito Fermei, preoccupato. Alan era
il nome del suo medico privato, il più bravo di tutti.
‘’Sire, la ragazza ha subito un forte spavento’’, disse Alan,
girandosi verso il Re e facendo un inchino. Fermei gli fece cenno di non badare
a cerimoniali. Ormai tutti lo vedevano come un imperatore.
‘’Sicuro? E’ solo
l’effetto di uno spavento, quindi?’’, domandò preoccupato.
‘’Sì, colpa dello spavento. Ora deve solo riposare, tra poco
si sveglierà, vedrà. Inoltre, la ragazza è stata sottoposta ad una condizione
di stress troppo elevata per una donna in gravidanza..’’.
Fermei non lasciò concludere la diagnosi al medico.
‘’Cosa? Cosa hai
detto?’’. Il medico si guardò attorno, spaventato dalla reazione esagerata del
re.
‘’No, Sire, mi
perdoni, non volevo dirle che è stato un imprudente a mandare..’’.
‘’No! Hai detto
gravidanza’’, disse Fermei, agitato al massimo.
‘’Certo, sire. Ma questo lo sapeva anche lei, no?’’, chiese
con circospezione il medico.
‘’E tu questo come fai a saperlo?’’, chiese Fermei, senza
ammettere che in realtà era stato tenuto all’oscuro di tutto. Non voleva
credere al medico.
‘’Ma chiunque lo può vedere. Guardi il ventre, e poi chieda
con lei. Inoltre, il suo battito cardiaco è lievemente diverso dal normale, ed
è tipico delle donne in stato interessante’’, disse Alan.
Fermei si guardò attorno, sconcertato.
Perché Ilse non gli
aveva detto che aspettava un bambino, si chiese. Forse non era il suo. No,
impossibile, lei lo amava, si disse.
D’altronde, era da ormai parecchio tempo che lei non voleva
più dormire con lui, e utilizzava varie scuse. Doveva averlo capito da solo che
c’era qualcosa che non andava. Si diede dello stupido.
Cacciò via il medico malamente, dopo essersi accertato che a
lei non serviva più nulla, e si sedette a fianco del suo letto, in attesa del
suo risveglio.
Dovette attendere
altre due ore prima che la ragazza si risvegliasse.
Quando Ilse riprese i sensi, si trovò nella tenda reale.
Tutto gli era
familiare lì dentro, e si sentì a casa, in un posto tranquillo. Pian piano
riaffiorarono i ricordi tremendi che aveva vissuto solo poche ore fa, e sentì
un altro giramento di testa.
Poi la situazione si stabilizzò, e fece per alzarsi a sedere.
Solo in quel momento vide che a suo fianco c’era Fermei.
Ma non il Fermei
amorevole di sempre, bensì un Fermei pieno di rabbia. Appena si accorse che si
era risvegliata, l’aggredì subito.
‘’Perché non me l’hai detto subito?’’, chiese.
‘’Detto cosa?’’, disse
Ilse, incerta su dove volesse arrivare il re.
‘’Che sei incinta!’’,
disse ad alta voce Fermei, con fare aggressivo.
‘’Io..’’, riuscì a
dire Ilse.
‘’Forse quello che aspetti non è mio figlio?’’, insinuò il re
con rabbia crescente.
Ilse capì che la stanchezza doveva aver sconvolto la sua
mente. Non era da lui avere reazioni così esagerate, ma d’altronde erano due
notti che non riposava a dovere. Ed aveva pure combattuto una battaglia.
‘’Fermei, quello che è nel mio grembo è nostro figlio. Non ti
permetto di dubitare della mia lealtà nei tuoi confronti. Non dopo tutto quello
che ho rischiato per te. Anzi, per noi’’, disse Ilse, con toni pacati.
Fermei si tranquillizzò subito, e si pentì delle parole che
aveva pronunciato poco fa.
‘’Perdonami, Ilse. Non
volevo offenderti. Volevo solo sapere perché non me lo avevi detto, e perché
l’ho dovuto sapere da un medico, invece che dalla tua bocca’’, disse, con più
calma. Ilse per un momento si sentì frastornata. Qualcuno doveva averla
visitata, per poi far la spia al re.
‘’Non te l’ho detto perché non volevo distrarti dal tuo
compito, ovvero quello di distruggere questo dannato impero. Inoltre, se tu lo
avessi saputo, non mi avresti lasciato andare in missione qui a Vargan, e la
città non sarebbe caduta. E ciò avrebbe significato solo una cosa; la fine del
nostro sogno’’, disse Ilse con sincerità.
‘’Hai ragione. Scusami. Però, d’ora in poi voglio che
tu non mi nasconda più nulla. Non voglio
più farti correre rischi, d’ora in poi’’.
‘’Va bene. Ma ora abbracciami, ti prego’’, disse Ilse, con
infinita dolcezza.
Fermei le si avvicinò, con un sorriso sincero stampato sul
volto, e l’abbracciò. Restarono uniti in quel caldo abbraccio per parecchi
minuti.
Intanto che Fermei si riappacificava con Ilse, Tim stava
sdraiato sul terreno umido, cercando di riprendere un po’ di forze.
Il suo corpo era tutto indebolito e indolenzito, e la fuga
verso la relativa sicurezza di Fortwar si stava rivelando estenuante, per un
fisico già provato dalla stanchezza come il suo e quello dei suoi uomini.
Per riposarsi un po’,
si erano nascosti nel bosco, con il terrore di essere raggiunti e sopraffatti
dal nemico. Ma questo non accadde.
Ogni tanto si sentivano fruscii, e tutti tremavano di paura,
temendo che si trattasse di nemici o pericolose bestie selvatiche.
Per fortuna, fino a quel momento non era accaduto nulla. La
sua marcia forzata verso Fortwar continuava.
NOTA DELL’AUTORE
Ora Fermei è a conoscenza della gravidanza, e che ben presto
avrà un figlio.
Tim, intanto, continua il suo viaggio di ritorno verso Fortwar, l’ultimo baluardo dell’impero
dove si svolgeranno le ultime ed importanti vicende dei nostri protagonisti. Sarà
proprio sotto le mura di Fortwar dove i destini dei nostri personaggi
troveranno finalmente la svolta decisiva. Ma non corriamo troppo; per ora, Tim
deve solo pensare a tornare a casa vivo, e ad affrontare il clima agitato della
capitale imperiale.
Grazie a tutti per avermi letto J alla prossima J
AVVISO PER I LETTORI
Molto probabilmente, la prossima settimana, a causa di
festività, non pubblicherò il consueto capitolo di mercoledì, ma ne pubblicherò
solo uno nella giornata di sabato. Poi, dalle settimane a venire, tutto tornerà
alla normalità, con due pubblicazioni a settimana. Ancora grazie a tutti J
|
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Capitolo 32 *** Capitolo 32 ***
Capitolo 32
CAPITOLO 32
Sergej aveva appena ricevuto il messaggero inviatogli da Tim.
Ora, quell’uomo stanco e ferito era ancora di fronte a lui, in piedi.
‘’Vai a farti
assegnare un posto letto e a prendere un pasto caldo’’, gli disse, e l’uomo
annuì, riconoscente.
Sergej doveva riconoscere il fatto che ormai c’era poco da
fare per salvare ciò che rimaneva dell’impero. Non avevano un esercito in grado
di mettere in difficoltà il nemico, e avevano pure perso la speranza di
utilizzare la magia. Inesorabilmente, lo sconforto stava aumentando in lui.
Si prese il volto tra le mani, e si concesse alcuni minuti di
tregua. C’era tanto da fare; le mura dovevano essere ancora riparate in più
punti, e se si voleva affrontare un assedio era necessario prepararsi a dovere.
Almeno, gli alloggi per ricevere diverse centinaia di sfollati dalla provincia
di Fortwar erano pronti.
Uscì fuori dalla sala
ricevimenti dell’ex palazzo imperiale, e si diresse verso la piazza. Aveva
preparato una sorpresa per Tim; nonostante il generale non avesse più voluto
sapere nulla del palazzo degli imperatori, lui aveva fatto iniziare i lavori di
ricostruzione. In realtà, bastava solo imbiancare le pareti, spazzare il
pavimento e ricostruire il tetto, che era crollato durante l’incendio appiccato
dal popolo in rivolta. Comunque, quello
ora non era il suo obiettivo primario.
Mentre camminava nella piazza centrale, iniziò a sentire
delle grida di sgomento. Provenivano dal porto cittadino, poco distante da lì.
Tutti i presenti nella piazza iniziarono a farsi strada verso il porto, creando
una ressa incredibile.
Sergej, incuriosito, a sua volta si mosse verso il porto, per
scoprire cosa avesse attirato tanto l’attenzione di tutti verso un luogo che
peraltro non era neppure tanto utilizzato ultimamente, se non da qualche
pescatore. Facendosi largo a spintoni tra la folla, riuscì a raggiungere il
porto indenne.
Situato all’interno di un’insenatura naturale, il porto di
Fortwar era composto da diversi attracchi, dove i marinai potevano fissare le
loro imbarcazioni, grazie all’utilizzo di resistenti funi. Sul luogo erano
presenti numerosi soldati. Sergej si fece largo fino a che non ne raggiunse
uno.
‘’Che succede, soldato?’’, chiese, con toni bruschi.
Il soldato interpellato era solo un ragazzo, ed era pure
timido. Quando si accorse chi aveva a suo fianco, ovvero uno dei due generali
supremi, divenne tutto rosso in volto, ma comunque riuscì a trovare la forza
per rispondere.
‘’Guardi là, generale. Stanno arrivando delle navi. E non
sono semplici imbarcazioni di pescatori’’, rispose. Sergej pensò subito a un
attacco via mare.
‘’Via di qui! Soldati,
ricacciate via la folla dal porto! Potrebbe essere pericoloso’’, gridò ai
soldati che erano attorno a lui.
Subito, i suoi soldati eseguirono gli ordini senza alcun
esitazione. In poco tempo, tutta la
folla venne allontanata, e la zona del porto fu transennata e ben vigilata, in
modo che nessun civile potesse intrufolarsi dentro. Sergej fece suonare le
campane d’allarme in tutta la città, e radunò tutte le milizie cittadine in
tempo record. Fu fiero dei propri ragazzi e della loro capacità di reazione
fulminea.
Intanto, le
imbarcazioni apparvero nitide, a poca distanza dal porto, e ben presto
sarebbero entrate. Erano sei, grandi e resistenti. Non erano un numero
preoccupante, quindi Sergej impose ai suoi uomini di non agire fintanto che lui
non fosse riuscito a comprendere l’identità dei soggetti che pilotavano le navi.
Ad un certo punto, le imbarcazioni parvero prendere velocità,
ed entrarono nel porto, preparandosi ad attraccare. Tutti i soldati si
spaventarono, e Sergej non poté fare a meno di fare un balzo indietro. Le navi
erano circondate da grossi animali marini, che a ritmi regolari si avvicinavano
al pelo dell’acqua e compivano grandi spruzzi. Erano balene, dovette
riconoscere Sergej, sgomento per quello spettacolo così inusuale.
Riprese ad indietreggiare, fintanto che le imbarcazioni non
furono vicini alla banchina, e qualcuno saltò giù dalla nave, e prese ad
avvicinarsi a lui, imperterrito. I suoi soldati sguainarono le spade.
‘’Attendete un attimo.
Non agite se non ve lo richiedo’’, disse ai suoi uomini, e prese ad avanzare a
sua volta verso lo sconosciuto.
Si trovò di fronte ad
un ragazzo. Un normalissimo ragazzo.
‘’Salve. Questa è Fortwar, vero?’’, chiese lo sconosciuto.
Sergej quasi scoppiò a ridere.
‘’Certo, ragazzo. Ma
tu cosa vuoi? Qui non era atteso lo sbarco di sei navi’’.
‘’Oh, certo che non era atteso. Mi potrebbe portare
dall’imperatore? Ho una vicenda importante da esporre’’, continuò il ragazzo.
Sergej continuò a guardarlo, divertito. Si chiese chi fosse quel tizio.
‘’No, qui non c’è più nessun imperatore. La massima autorità
con cui puoi parlare sono io. Quindi, dì quello che hai da dire con me. In
fretta possibilmente, prima che i miei uomini si stanchino’’, disse Sergej.
Sam si trovava di fronte a un perfetto sconosciuto, che gli
aveva appena riferito che non c’era più nessun imperatore. Si chiese cosa fosse
successo all’impero da quando l’aveva abbandonato. Forse era stato via troppo,
si disse. Ma sperava di essere ancora in tempo per salvare la situazione. Decise
di fidarsi di quel giovane, che doveva avere un paio d’anni in più di lui,
d’altronde non aveva altre possibilità.
‘’Signore, io mi
chiamo Sam, e porto con me delle creature magiche, pronte a combattere per
l’impero’’, disse, tutto d’un fiato.
L’altro parve sconvolto, come se non si aspettasse una cosa
simile. Poi sorrise.
‘’No, quasi non ci
credo. Ti abbiamo aspettato a lungo. Ce l’hai fatta, allora?’’.
‘’Sì, ci sono riuscito’’, disse, rispondendo alla domanda. Non
ammise che la sua missione, in realtà, si era rivelata quasi un fallimento.
‘’Posso fare sbarcare
gli alleati che mi hanno seguito?’’, chiese, approfittando di un minuto di
silenzio.
‘’Sì, certo’’, disse l’altro.
‘’Oh, aspetta, non mi
sono ancora presentato. Io sono Sergej, e sono uno dei due generali reggenti
del regno di Fortwar’’, disse Sergej, tendendogli la mano.
Sam gliela strinse, e
sorrise. Sentiva di potersi fidare di lui.
‘’Avanti, potete scendere!’’, gridò Sam verso le imbarcazioni,
dopo aver ottenuto il via libera da Sergej.
I suoi soldati
avrebbero continuato a controllare che nessun cittadino entrasse nel porto, in
modo da evitare bruschi contatti con le creature magiche. D’altronde, tutti gli
abitanti di Fortwar non sapevano neppure che le creature magiche esistevano
ancora.
Prontamente,
iniziarono a scendere i nani, gli elfi e i folletti. Per ultimi, emersero
dall’acqua i grossi lupi con gli occhi rossi, che erano tornati alla loro forma
terrestre. Ed infine, anche Bad scese.
Sergej fissò la copia
di Sam, stupefatto. Sam sorrise nuovamente, di fronte all’incredulità del
generale.
‘’Oh, generale Sergej, non fate caso a Bad. Io e lui siamo
identici. Ecco, in certe parole.. siamo gemelli’’, concluse Sam, cercando di
semplificare la situazione. Sergej annuì, convinto. Si avvicinò alle creature
magiche, e le fissò con molto interesse.
‘’Dammi del tu, Sam’’, disse Sergej, cercando di evitare
possibili cerimoniali che avrebbero solo rallentato le operazioni. Sam annuì.
‘’Generale, ti
presento i nostri alleati. Loro combatteranno al nostro fianco contro i Demoni
e i nemici. Dunque, quelli sono i nani, che sono a fianco dei folletti. Sono
guidati da Jack’’, disse nuovamente Sam.
Jack, a quel punto, fece un passo avanti e un inchino. Tese
la sua piccola mano verso Sergej.
‘’Salve. Sono Jack, il capo dei folletti. Per il momento, guiderò
anche i nani’’, disse il folletto. Sergej gli strinse la mano e annuì.
‘’Quelli son gli elfi,
e quelli gli Akluth, feroci lupi guerrieri. Il loro capo è Wolfy’’, disse
infine Sam, finendo le presentazioni.
Il grosso lupo si avvicinò al generale, con il pelo
arruffato. Sergej si spaventò, e fece due passi indietro. Ma Wolfy continuò ad
avvicinarsi, e Sam trattenne per un istante il braccio di Sergej.
‘’Lascialo fare. Non è cattivo come sembra’’, gli sussurrò
all’orecchio.
Il generale gli lanciò un’occhiata strana, e si fermò. Il
grosso lupo lo annusò.
‘’Bene. Possiamo
fidarci di lui, anche se a volte tende più a dire bugie che verità’’, disse
Wolfy al suo popolo. Sergej arrossì vistosamente appena Sam gli posò gli occhi
addosso, come quasi per chiedergli a
cosa avesse fatto riferimento il saggio lupo. Ma fu discreto, e non chiese
nulla. D’altronde, l’aveva appena conosciuto.
I lupi, intanto,
presero ad ululare dalla gioia. Il lungo viaggio era finito, e tutte le creature erano gioiose. Facevano
un tale fracasso che tutti gli abitanti di Fortwar si sarebbero presto chiesti
cosa fosse stato a provocarlo.
Mentre Sergej era ancora in pieno imbarazzo, Sam si chiese se
anche lui era felice. Aveva atteso da molto tempo quel preciso momento, ma in
realtà pensò che era meglio prima. Nel mondo magico non c’erano guerre e si
stava in pace, mentre lì, ben presto sarebbe sgorgato sangue ovunque. No, non
era felice, si disse.
Improvvisamente, gli tornò in mente che era da un po’ che
aveva perso di vista Bad. Almeno da quando l’aveva presentato a Sergej, cioè
subito dopo lo sbarco.
Nonostante si fosse sempre comportato eccellentemente durante
il viaggio, a Sam quella sua copia non piaceva. Stava spesso e volentieri in
disparte, e sembrava sempre che complottasse qualcosa. A volte, aveva un modo
di fare losco e meschino, comunque senza lanciare segnali eloquenti di pericolosità.
E Sam lo lasciava stare.
Finalmente, dopo un po’ lo vide. Stava discutendo
animatamente con due soldati, ai margini del porto. Sam non perse tempo a
raggiungerlo, non voleva guai fin da subito.
‘’Cosa stai
combinando, Bad?’’, chiese, interrompendo la conversazione.
Bad lo fissò male, mentre i due soldati li fissarono, prima
uno e poi l’altro, con fare stupito.
‘’ Oh, ecco il mio
fratellino, che pretende di farmi da balia’’, disse Bad, ironico.
‘’Voleva uscire dalla zona transennata. Ma non può’’, disse
un soldato rivolgendosi a Sam.
‘’Certo che non può.
Scusate il mio gemello, a volte dimentica l’educazione. Andiamo, Bad’’, disse
Sam, rivolgendosi alla sua copia. Per non creare scompigli inutili, aveva
deciso di dire con tutti che erano gemelli.
‘’Oh, no fratello. Io vado dove voglio, e se voglio uscire di
qui, questi non me lo impediranno di certo’’, disse Bad. I soldati sguainarono
le spade.
‘’Basta, Bad. Vieni con me. Non voglio guai. Seguimi’’, disse
Sam, e prese Bad per un braccio, tirandolo verso sé.
Per un attimo, Sam fu sicuro di vedere nei suoi occhi un
lampo di odio. Un odio cieco, brutale, talmente tanto che ne ebbe quasi paura.
Poi, Bad parve tornare in sé e riprese improvvisamente ad avere il suo solito
comportamento docile.
‘’Va bene, fratello. Andiamo. Scusatemi’’, disse rivolto ai
soldati. Poi, prese a seguire Sam, che tornò da Sergej.
‘’Eccoti. Dunque, vi
farò alloggiare tutti qui, nei magazzini vuoti del porto. Naturalmente, avrete
a disposizione i soldati, che vi aiuteranno subito a sistemarvi a dovere e a
fornirvi qualche accessorio o confort. Per precauzione, il cibo vi sarà fornito
qui, e la zona del porto resterà transennata, tanto a noi non serve più. In
questo modo, le creature magiche non dovranno mischiarsi al popolo, così non ci
saranno disordini. D’altronde, non si sa mai. Solo tu e il tuo gemello potrete
uscire, sempre sotto scorta e sorvegliati. La precauzione non è mai troppa’’,
disse Sergej, spiegando tutto con chiarezza.
‘’Va bene. Vedrai, non
ci saranno problemi. Per quanto riguarda il mio gemello, lui non ci tiene ad
uscire, non gli è mai piaciuto girare nelle grandi città. Quindi uscirò solo
io, e mi distinguerete da lui perché porterò sempre un fazzoletto azzurro
annodato nell’avambraccio. Così non ci saranno scambi’’, disse Sam, tutto d’un
fiato. Bad non disse nulla.
‘’Perfetto. Accordo raggiunto, allora. A più tardi’’, disse
Sergej, iniziando a camminare, pronto a congedarsi.
‘’Un attimo. Mi piacerebbe rendermi conto di cosa è successo
durante la mia assenza. Non è che me lo puoi spiegare?’’, disse Sam.
‘’Ma certo. Vieni
all’ex palazzo imperiale tra un’oretta. Ti racconterò tutto. Tranquillo, ti
accompagneranno lì i miei uomini, non ti perderai. A dopo’’, disse Sergej,
congedandosi definitivamente.
Sam non potè far altro che andare con Bad ai magazzini, e
iniziare a sistemare le loro cose. Solo a loro due e ai due capi delle creature
fu concessa una camera privata.
Dopo un’ora, Sam uscì.
Uscì a cuor leggero, perché per precauzione aveva chiuso a
chiave Bad dentro la sua stanza. Non poteva rischiare che fuggisse, e che
compisse nuove malefatte, come aveva fatto nel mondo magico.
Alcune guardie lo stavano già aspettando, e lo condussero
subito all’ex palazzo imperiale, un posto decadente, senza neppure il tetto e
con le pareti annerite. Non si chiese cosa fosse successo a quel palazzo, tanto
lo avrebbe scoperto tra poco.
Fu ricevuto in una camera ben ristrutturata del piano terra,
subito poco distante dall’ingresso.
Il generale lo stava aspettando, e lo ricevette con un
caloroso sorriso.
Fu così che Sam apprese ciò che era successo all’impero, e
che Sergej apprese i motivi del ritardo di Sam.
Sam gli parlò sinceramente, e non gli nascose neppure la
storia della sua perfida copia.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo.
La prossima settimana tornerò a pubblicare nuovamente due
capitoli J
A mercoledì J
|
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Capitolo 33 *** Capitolo 33 ***
Capitolo 33
CAPITOLO 33
Fermei si rilassò, mentre si godeva il suo soggiorno nella
città di Vargan.
Aveva appena fatto uccidere Rohn, il traditore di quella
città. Non gliene importava di non aver rispettato la sua parola, cioè di
donargli la libertà, ma per lui un traditore restava un traditore, e doveva
semplicemente morire.
Ora, anche i suoi soldati si erano riposati, e già dopo
cinque giorni di sosta ormai tutti si erano rigenerati. C’erano cibo e
ricchezze in abbondanza in quella città, che ora non potevano più essere
sfruttate dai suoi abitanti.
Tra chi era riuscito a fuggire e chi invece era diventato un
pasto per i Demoni, ormai la popolazione autoctona era scomparsa dalla città.
Una città che, tra l’altro, era bellissima e piena di confort, che però erano stati
distrutti dai soldati Sconosciuti.
Per il Gran Re ormai si stava avvicinando il giorno del suo
trionfo, ma non voleva in alcun modo farsi fretta. Perché, a volte, la fretta
può essere una cattiva consigliera. Così aveva deciso di far riposare un po’ il
suo esercito, che ora era pulito, in ordine e ben pagato.
Non c’era più nulla da elargire; i suoi soldati erano pronti
a dar battaglia. Ben presto avrebbe dovuto abbandonare Vargan, per muoversi
verso Fortwar, se no i suoi soldati si sarebbero rammolliti, tra tutti quegli
agi. I suoi soldati si erano meritati un po’ di riposo, ma non troppo.
Insomma, si doveva tornare al più presto alla solita vita in
tenda, e non nei sontuosi palazzi di una città. Ma comunque, ormai la vittoria
era sua, e anche se aveva perso molti uomini, il suo esercito restava comunque
ben cospicuo.
Ed inoltre gli
imperiali stavano facendo evacuare tutti i villaggi nella provincia di Fortwar,
quindi non possedevano alcun esercito. Quindi, si doveva preparare ad un
assedio.
Un assedio che sarebbe
comunque durato poco, poiché aveva truppe fresche e i Demoni erano più in forma
di sempre.
Ora si trovava nel
grande castello di Vargan, ampio e spazioso. Un castello da favola, peccato che
dovesse essere abbandonato. Se ne stava sdraiato comodamente su un bel letto di
morbida piuma, e il suo corpo ancora un po’ indolenzito si sentì sprofondare
nel calore di quel morbido giaciglio.
In quel momento, sentì
dei passi, e vide che Ilse lo aveva raggiunto.
‘’Ilse! Allora, sei soddisfatta dei tuoi alloggiamenti?’’,
gli chiese con lentezza, per non rovinare quel momento di riposo assoluto.
‘’Certamente, non potevo richiedere di meglio. Ho tanti
servitori, letti morbidi.. in poche parole, questo castello è stupendo’’,
rispose, sorridendo.
‘’Senti, mia cara.. ti piacerebbe se venissimo a vivere qui
dopo il nostro matrimonio? Naturalmente, qui sarai trattata da imperatrice, e
potremmo modificare ancora la struttura del palazzo, per renderla ancora più
confortevole.’’
Lì per lì Ilse ci rimase di stucco per quell’affermazione.
Sapeva che non era un bene fare dei piani prima di aver completato l’opera,
poiché portava sfortuna. Ma stette al gioco.
‘’Ma certo che mi piacerebbe. Ma non credo che saremo in
grado di fare ulteriori modifiche a questo posto. E’ già tutto perfetto così’’,
rispose, sorridendo.
Fermei sorrise a sua volta, sornione, e gli fece cenno di
avvicinarsi. Anche lei si distese sul morbido letto, e subito il re
l’abbracciò.
Fermei era
rilassatissimo e mezzo addormentato, ma volle avvicinarsi alla sua amata. Gli
posò una mano sul ventre, che ogni giorno si faceva sempre più prominente,
anche se ora poteva sembrare semplicemente ingrassata di un poco.
‘’Come sta nostro
figlio? Ti dà problemi?’’, chiese Fermei, con dolcezza.
‘’No, a parte qualche nausea mattutina, per ora sto
benissimo. Non vedo l’ora di vedere se sarà una bambina o un bambino’’, disse
Ilse, sorridendo.
‘’Mah, io preferirei che fosse un maschio. Un maschio forte e
degno di suo padre. Ma anche se nascerà una femmina furba e scaltra come sua
madre, non me ne dispiacerà affatto’’, disse Fermei, prendendo il volto della
sua amata tra le mani.
‘’Per ora, dovremo
limitarci ad attendere pazientemente’’, disse Ilse.
I due poi si baciarono
appassionatamente. Fermei lasciò correre la sua mano lungo la schiena della sua
amata, che ebbe un brivido. Infilò la sua mano destra sotto la sua tunica, e
accarezzò la sua pelle morbida e delicata.
In quel momento, i due sentirono un brontolio, come se
qualcuno volesse attirare la loro attenzione. Fermei alzò immediatamente la
testa, scostando delicatamente Ilse. E vide che sulla porta della stanza
c’erano i Demoni, che fissavano sdegnati quella scena, per l’ennesima volta.
Lì per lì, a Fermei
prese un colpo, ma fu questione d’un attimo prima che l’incredulità lasciasse
spazio ad una rabbia cieca.
‘’E voi da dove sbucate? Chi vi ha fatto entrare qui? Ma
l’educazione non la conoscete proprio voi, vero?’’, gridò il re, infuriato, e
diventando paonazzo.
Si alzò dal letto, e si avvicinò ai demoni con fare rabbioso.
‘’Calma, Sire. Non
volevamo disturbarla in alcun modo. Avevamo solo una questione da porvi, in
qualità di nostro alleato’’, disse i Demoni.
‘’Certo, immagino.
Ilse, per favore lasciaci soli. Avanti, ditemi tutto’’, disse il re, cercando
di ritrovare la calma.
Gli tornò in mente che l’ultima volta che gli avevano
riferito qualcosa, era riuscito a compiere grandi imprese, quindi valeva la
pena soffermarsi un attimo ad ascoltarli. Ilse intanto uscì dalla stanza di
soppiatto.
‘’Sire, noi vorremmo consigliarti di muoverti al più presto
verso Fortwar. Il nemico è stanco, e se lo bracchiamo come un animale ferito,
cederà prima’’, dissero i Demoni.
‘’Avete ragione,
alleati. Ci avevo pensato anch’io, poco fa. Dobbiamo muoverci’’, disse il Re, riflettendo.
‘’Bene, vediamo che concordi con noi. Magari potremmo partire
domani stesso’’, dissero i Demoni, speranzosi.
‘’No, partiremo entro
tre giorni. Non subito domani’’, disse il Re. voleva lasciare ancora qualche
giorno di riposo ai suoi uomini.
‘’Va bene, sire. Grazie per averci ascoltato’’, dissero i
Demoni, che si dileguarono rapidamente, con un’espressione non soddisfatta.
Comunque, non tentarono di insistere ulteriormente.
Che strani soggetti,
pensò Fermei. Poi, chiamò un servitore, e lo inviò ad avvertire i suoi
ufficiali che erano attesi da lui al castello, il prima possibile.
Voleva mettere subito
in chiaro che la guerra non era finita, e che mancava la battaglia finale e che
si sarebbe tenuta tra una settimana massimo. Poi, avrebbe dato l’ordine ai
soldati di iniziare a prepararsi, e avrebbe divulgato il giorno della partenza.
Avrebbe marciato direttamente verso Fortwar.
I Demoni erano ancora schifati dall’ultima scenetta amorosa
alla quale avevano preso involontariamente parte.
Comunque, non potevano fare altrimenti, poiché le guardie
reali appena li vedevano avvicinarsi si allontanavano, e non li lasciavano
parlare. Avevano paura di loro, e facevano bene. Ora erano veramente
potentissimi, e ben presto avrebbero mostrato la loro vera essenza.
Ma dovevano attendere
il momento più opportuno. Per ora, dovevano limitarsi a sopportare in silenzio
quegli ultimi giorni al servizio di un re innamorato, poi si sarebbero
vendicati di tutto e di tutti.
Tim finalmente vide le mura di Fortwar.
Era distrutto, dilaniato dalla stanchezza, con i suoi uomini
che arrancavano a piedi dietro di lui. Si immaginò la loro entrata in città; sarebbe
stata un’umiliazione totale. Ma non potevano farci nulla.
Purtroppo, aveva appreso anche della caduta di Vargan. Alcuni
fuggitivi a cavallo li avevano raggiunti, e avevano raccontato tutto.
Non aveva compreso
bene le dinamiche dell’accaduto, ma intanto la città invincibile era stata
saccheggiata. Non era stato ad avvertire Sergej dell’accaduto, inviandogli
qualche messaggero già duramente provato dalle marce estenuanti, ma glielo
avrebbe riferito di persona.
Per ciò che rimaneva della provincia di Fortwar, non c’erano
più speranze. Bisognava chiudersi dentro le mura della capitale e sperare.
Si chiese che cosa stessero facendo i nemici in quel momento.
Ma in fondo si convinse che era meglio non saperlo.
Il dolore dei suoi piedi lo riportarono alla realtà. Il suo
cavallo era morto, e non c’era altro modo di proseguire se non a piedi.
Smise di pensare, per concentrarsi sugli ultimi trecento
passi che lo separavano dalla capitale.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per essere giunti fin qui ed aver letto anche
questo capitolo! J
Tim è quasi riuscito a tornare nella capitale, mentre il Gran
re vuole iniziare a prepararsi per lo scontro finale. Il tutto inizia a prender
forma per l’ultima ed imminente battaglia.
Vorrei chiedervi una piccola cortesia; di lasciarmi una
piccola recensione. Ormai, negli ultimi capitoli mi sono sentito un po’
abbandonato, ed anzi, lo sono sempre di più. Anche solo due righe con i vostri
pensieri potrebbero aiutarmi a continuare e a fare meglio. Non vi costerà
nulla, e io ve ne sarò immensamente grato. Vi ringrazio J
Ringrazio di cuore Dan per aver letto tutto d’un fiato il
racconto, e per avermi lasciato una magnifica recensione. Naturalmente, vorrei
ringraziarla anche per aver inserito la storia tra le sue preferite. Grazie,
Dan J
Grazie a tutti, a sabato J
|
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Capitolo 34 *** Capitolo 34 ***
Capitolo 34
CAPITOLO 34
Tim continuò a trascinarsi per gli ultimi metri che lo
separavano da Fortwar.
Lui e il suo esercito dovevano essere stati avvistati appena
erano usciti dalla vegetazione, poiché la grande porta principale aveva
iniziato ad aprirsi subito. Ma nessuno venne loro incontro.
I suoi uomini, più sfiniti di lui, arrancavano pochi passi
dietro di lui. Chissà quanti ne erano rimasti indietro, per morire nelle
foreste. Alla fine avevano scelto di non seguire la strada principale, che
sarebbe stata più agevole e lastricata, per paura di essere raggiunti e
sopraffatti dal nemico.
Tim era tutto sporco si fango secco, la sua bella divisa nera
era lacera in più punti, e i suoi capelli, che trattava sempre con attenzione,
erano tutti inzaccherati e sporchi. L’unica cosa che era rimasta pressoché
intatta era il fazzoletto rosso legato stretto all’avambraccio. Non seppe
descrivere altro di sé, ma si immaginava il suo volto smunto e magro, per via
della scarsa alimentazione dell’ultima settimana.
I suoi soldati erano
ridotti ancora peggio, poiché molti erano feriti e destabilizzati, altri erano
ancora sporchi del sangue della battaglia, che era ormai raggrumato da un bel
po’ ed aveva assunto una colorazione scura, quasi violacea.
Tim si tirò uno schiaffo, poiché stava tornando a perdersi
nei suoi pensieri, che ormai erano un delirio puro, e invece doveva
concentrarsi su ciò che avrebbe dovuto dire a Sergej, e di come sarebbe stata
l’accoglienza.
Ben presto si trovò, ansante, di fronte all’ingresso della
capitale. Prese a camminare, sempre in testa al suo esercito, sul breve
lastricato semimobile che attraversava il fossato, ed entrò in città, varcando
la grande porta. Non c’era nessuno ad accoglierli, e questo indispettì Tim, che
non sapeva più cosa aspettarsi.
La città era cambiata molto cambiata dall’ultima volta che
aveva varcato quella porta per entrare all’interno delle mura.
Non c’era più il mercato che impiegava tutti i margini della
strada principale, che portava alla piazza principale, dove aveva ricevuto il
titolo di generale, e al palazzo imperiale. Alcune delle grandi case addossate
alle mura, che erano state splendide alla vista fino a pochi mesi fa, erano in
stato di abbandono. Comunque, entro poco sarebbero state riempite di profughi.
Sui bastioni, vide
alcuni soldati fissarli, ma senza scendere per parlare o ad accoglierli.
Finalmente, nella strada semideserta, apparvero alcune persone a cavallo, che
si dirigevano verso di loro. Subito, riconobbe il suo vecchio amico Sergej, che
guidava i gruppo.
Tim fu assalito dalle emozioni. Durante il suo breve
soggiorno a Vargan, non aveva mai pensato come avrebbe dovuto trattare il suo
collega nel momento in cui lo avrebbe rincontrato. Comunque, ormai Sergej gli
era già giunto di fronte.
Smontò da cavallo, e gli andò vicino. Con lui aveva due
guardie, e un ragazzo, che dagli abiti che indossava non doveva trattarsi di un
soldato, bensì di un civile.
Sergej fissò Tim per
un attimo, impassibile. Poi, gli si avvicinò lo abbracciò con calore.
‘’Tim, per fortuna sei tornato. Abbiamo sbagliato a voler
intervenire a Vargan; la situazione era disperata e dovevamo concentrarci sulle
difese della nostra ultima provincia e della capitale. E invece, ora..’’, disse
Sergej, lasciando la frase incompleta, per non assillare il nuovo venuto.
Intanto, anche Tim, che inizialmente si era mostrato rigido,
aveva ricambiato l’abbraccio con l’amico. Si chiese se erano ancora amici. Veri
amici, o falsi amici, come lo erano stati prima di scoprire tutti i piani
segreti.
‘’Piano, Sergej, sono
tutto ammaccato. Lasciami, per favore’’, disse Tim, con modi non troppo
cortesi.
Sergej sciolse l’abbraccio fraterno e si allontanò da lui
alcuni passi. Sembrava contrariato dal suo rifiuto.
‘’Devi perdonare i soldati, è colpa mia se non ti hanno accolto, perché avevo detto loro
che volevo parlarti e abbracciarti per primo. Devo dirti molte cose, quando ti
sentirai pronto per ascoltarmi’’, disse Sergej, guardandolo fisso negli occhi.
Se l’era presa con lui per il suo atteggiamento scostante, ma
ne aveva compreso il motivo.
‘’Certo. Anch’io ho da
darti alcune notizie. Ma prima, vorrei tornare a casa e riposarmi un poco’’,
disse Tim. Non gli andava di parlare con colui che considerava un traditore.
Almeno, non in quel momento. Quel soggetto, nonostante fosse stato il più
grande amico che lui avesse mai avuto, era stato anche colui che aveva tradito
gli ultimi due imperatori.
‘’Va bene. Soldati, potete andare nel quartier generale dei
soldati e ritirare abbigliamento pulito e a cambiarvi. I feriti e i malati
saranno curati sul posto. Naturalmente, sarete anche sfamati a dovere.
Andate’’, disse poi Sergej, rivolgendosi ai soldati di Tim, che partirono
subito.
Per la prima volta dopo la battaglia di Vargan, molti di loro
sorrisero, e ripresero a chiacchierare.
Tim partì spedito per andare a casa sua. Sergej si fermò a
fissarlo, ma non lo seguì.
Tim si stiracchiò.
Si era fatto una bella
dormita, e per la prima volta da parecchie notti si era potuto rilassare in un
letto comodo.
Dopo esser tornato a
casa, si era cambiato e lavato in fretta, ed era subito crollato nel sonno,
senza neppure mangiare. Il suo stomaco brontolava, e decise di alzarsi.
Dovevano essere passate solo alcune ore dal suo ritorno. Si alzò di scatto dal
letto, e si trovò di fronte Sergej, che lo stava fissando.
‘’Tim.’’
Tim non rispose, e prese ad andare verso la cucina.
‘’Tim, basta fare
scene mute. Puoi essere arrabbiato con me, puoi odiarmi, ma ti chiedo solo una
cosa. Dopo non ti parlerò più in privato, se così vorrai. Ti chiedo solo di
comportarti normalmente con me quando ci troviamo con i soldati o con i civili.
Loro hanno bisogno di vederci uniti, per continuare ad avere speranze. Non
voglio che tu metta a rischio la nostra collaborazione solo per vicende
personali. E comunque, ti giuro che quello che ho fatto in passato era solo per
il mio e per il tuo bene. Per il nostro bene, e anche di quello del popolo e
dei nostri soldati. Voglio solo che tu ti sforzi un attimo per capirmi. Se non
riuscirai più a stare al mio fianco, mi congederò e ti lascerò il titolo di
generale supremo di Fortwar’’, disse Sergej, mentre Tim si fermò a fissarlo,
senza interromperlo. Ma i suoi toni erano eccessivamente melliflui. Troppo per
uno come Sergej.
‘’E poi cosa farai? Inciterai il popolo a fare un’altra
rivolta?’’, chiese Tim, incrociando le braccia e sorridendo, ironico.
Sergej si prese la testa tra le mani.
‘’Basta, Tim. Tu non vuoi capirmi. E’ meglio che me ne vada,
noi non vivremo più insieme. Quando sarai pronto per parlarmi di questioni
pubbliche, ti aspetterò al palazzo imperiale. A dopo’’, disse Sergej,
muovendosi verso l’uscita. Tim, di fronte a quell’azione inaspettata, fu colto
dal dubbio.
‘’Aspetta’’, disse, in
un sibilo. Sergej si voltò, e lo guardò. Tim gli si avvicinò con un balzo e lo
abbracciò.
‘’Basta con il passato. Voglio solo che tu mi dia la tua
parola che sarai leale con me, e con tutti, d’ora in poi. Questo è un momento
critico per tutta la comunità, e le rivolte e le spiate non possono far altro
che peggiorare la situazione. Quindi, ti chiedo solo una cosa, sulla quale mi
sembra che anche tu concordi; di restare uniti di fronte all’avanzata nemica.
Il resto, lo risolveremo alla fine di tutto, se saremo ancora vivi’’, disse Tim
al collega.
‘’Tim, ti do la mia parola che non mentirò mai più a nessuno.
Né a te, ne a nessun altro. Ti giuro che sarò giusto, e non falso. Ti giuro che
mi sforzerò di non nuocere più a nessuno. Ti giuro che..’’. Tim sciolse
l’abbraccio, e gli mise una mano sulla bocca, per chiudergliela.
‘’No, basta
giuramenti. Mi hai già dato la tua parola, e io mi fido già di te, perché ho
visto da come parli che sei sincero, e che ci tieni a me e a tutta la comunità.
Chiudiamo qui questa parentesi, e mettiamoci all’opera per salvare Fortwar. Di
nuovo colleghi?’’, chiese Tim, sorridendo all’amico ritrovato. Anche se non era
troppo sicuro della sincerità di Sergej. Aveva imparato già una volta, a sue
spese, che quel giovane non aveva amici, e forse non ne avrebbe mai avuti. Ma
ora gli serviva il suo sostegno. D’altronde, ora era il punto di riferimento
delle guardie cittadine.
‘’Ma certo’’, rispose
Sergej, ricambiando il sorriso.
Finalmente, dopo tanti problemi, erano tornati
apparentemente, o sinceramente amici e avevano risolto momentaneamente tutte le
questioni in sospeso che c’erano tra loro. Tim attese un attimo, poi si fece
truce e parlò di nuovo.
‘’Sergej, Vargan è stata conquistata con l’inganno. Le
frontiere con la provincia di Fortwar sono state violate, e il nemico quando
vorrà potrà mettere sotto assedio la nostra capitale’’.
Sergej parve sorpreso, ma non molto.
‘’Bene, le cose si complicano sempre di più. Questi nemici
sembrano implacabili e inarrestabili. Ma noi, fortunatamente, abbiamo un’arma
di riserva’’, disse Sergej.
‘’Ah, sì? E quale sarebbe?’’, chiese Tim.
Sergej non fece tempo a rispondere alla domanda, perché un
soldato bussò alla porta di casa. Sergej aprì, e il ragazzo si fece avanti.
‘’Generali, una lunga colonna di profughi sta avanzando verso
la capitale. I primi della colonna sono già sotto le mura, e vogliono essere
aperti. Che facciamo?’’, chiese.
‘’Aprite’’, dissero i
due generali, quasi all’unanimità.
‘’Anche se tra poco sarà
buio?’’, chiese dubbioso il soldato.
‘’Certo, è
un’emergenza’’, disse Sergej.
‘’Perfetto’’, disse il
giovane soldato, che sparì di corsa.
‘’Andiamo. Dobbiamo sistemarli, fornirgli giacigli e
cibo..’’, prese a dire Tim, tutto agitato, e iniziando ad andare verso la
porta.
‘’Non se ne parla. Me ne occuperò io stesso. Tu sei appena
tornato, riposati. E stai tranquillo; ci metterò poco tempo perché ho già
organizzato tutto alla perfezione. Per favore, Tim, non stressarti troppo’’,
disse Sergej, con tono implorante.
Tim annuì, e decise di
assecondarlo, anche perché era ancora stanco morto, e desiderava solo di
tornare a dormire.
‘’Va bene. Grazie, Sergej, e buon lavoro. Se avrai bisogno di
me, sono qui. All’ora di cena, se dormo, svegliami’’, disse Tim, sorridendo
all’amico.
‘’Certo’’, disse Sergej, andandosene.
Tim tornò a dormire, felice di aver in parte risolto il
problema con l’amico, ma preoccupato per Fortwar.
Intanto, a Vargan, le truppe di Fermei erano pronte per
partire.
Il Gran re aveva deciso che l’indomani mattina sarebbero
partiti alla volta di Forwar.
Fermei, in quel momento, se ne stava disteso nel letto, e a
suo fianco c’era la sua Ilse.
‘’Ilse, mia cara, entro una settimana saremo sposati. Te lo
prometto’’, gli sussurrò alle orecchie.
La ragazza fremette.
Poi, si girò verso di lui, e lo guardò negli occhi.
‘’Non desidero altro,
amore mio’’, gli rispose.
Poi, si abbracciarono ancora più stretti, e ripresero a
baciarsi, mentre l’ultimo barlume del giorno lasciava il posto al buio profondo
della notte.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J
Tim è tornato a casa, e i suoi problemi con Sergej sembrano
risolti. Fermei e il suo esercito, invece, sono pronti a marciare verso la
capitale imperiale. Si sta per preparare lo scontro finale…
Ringrazio Dan per le sue recensioni! Sei gentilissima J spero vorrai lasciarmi un tuo
pensiero anche per questo capitolo J
Grazie anche a Chia Tag J spero vorrai continuare a seguire la
vicenda, e magari a lasciare qualche tuo pensiero sulla storia J
Grazie di nuovo a tutti! La prossima settimana pubblicherò
ancora due capitoli, così ci avvicineremo di più alla parte conclusiva del
racconto.
A mercoledì J
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Capitolo 35 *** Capitolo 35 ***
Capitolo 35
CAPITOLO 35
Tim si asciugò la fronte con un fazzoletto.
Nonostante il fatto
che la stagione delle piogge si stesse rapidamente avvicinando, ponendo fine
alla calda estate, gli ultimi giorni erano stati afosi e carichi di umidità.
Il tempo stava rapidamente
cambiando, e ben presto sarebbero arrivate le grandi nubi cariche di pioggia,
che più avanti avrebbero creato imponenti alluvioni, impedendo l’afflusso della
popolazione della provincia di Fortwar verso la capitale.
Comunque, nel giro di pochi giorni erano giunti quasi tutti
gli abitanti dei villaggi circostanti, mentre quelli che avevano deciso di non
ripararsi a Fortwar avevano preparato dei rifugi nascosti nella foresta o sulle
colline limitrofe.
La grande capitale ora era stracolma di gente. Tutte le case
erano state occupate, e non c’era più spazio libero. Persino il grande palazzo
imperiale era stato occupato dai rifugiati. Lui stesso aveva lavorato
tantissimo, e insieme a Sergej avevano dato una mano a tutti.
Mentre Tim si stava occupando
di sistemare alcune buche nella strada principale, sentì uno scalpiccio di
zoccoli dietro di sé. Si voltò, e si trovò di fronte i due giovani maghi di
Huru.
Si grattò il capo,
perplesso, poiché non li aveva visti più da quando era iniziata la fuga da
Vargan.
‘’Salve, generale’’, disse Lee.
‘’Salve, ragazzi.
Avete bisogno di qualcosa?’’, chiese cortesemente Tim.
‘’No, in realtà
volevamo solo informarti che l’evacuazione della provincia di Fortwar è
riuscita. Non ci sono più villaggi impreparati al rischio, e ora sono tutti
disabitati, con la popolazione al sicuro’’, disse Smith.
‘’Ne siete sicuri,
ragazzi?’’, chiese Tim.
‘’Certamente. Siamo andati noi stessi a controllare. Come
sicuramente saprai, poiché te lo abbiamo riferito durante la fuga verso
Fortwar. Abbiamo girovagato per tutta la provincia per avvisare tutti i
villaggi, anche quelli più sperduti. E ora, come ho già detto, è tutto a posto.
Si possono chiudere le porte di Fortwar’’, ribadì Smith.
Tim lo fissò, perplesso. Aveva sempre creduto che i due
giovani si trovassero nelle retrovie, e invece erano andati in missione, per di
più con il suo consenso. E lui non ne sapeva niente.
Attribuì la colpa alla
stanchezza e alla delusione, che erano state le sue uniche e fedeli compagne
durante il tragico viaggio di ritorno verso la capitale. Probabilmente, i due
ragazzi l’avevano veramente informato, e lui se n’era dimenticato.
Poi, annuì, fingendo
di essere consapevole di tutto. Intanto, udì altri passi dietro di sé, e si
accorse che Sergej stava per raggiungerlo, seguito da quel ragazzo che aveva
visto alcuni giorni fa, appena era entrato nella capitale.
‘’Tim, ecco chi ti volevo presentare. Questo è Sam’’, disse
Sergej mentre si avvicinava, tutto sorridente.
‘’Non ci credo. E’ quel Sam?’’, chiese Tim, sorpreso.
‘’Certo che lo è’’, Rispose Sergej.
Sam si avvicinò a Tim
e gli allungò la mano, sorridendo. Tim gliela strinse con vigore.
‘’Sono Tim, l’altro
generale a capo di ciò che rimane dell’impero. Sergej, perché non me lo avevi
presentato prima? Pensavo che la sua missione fosse andata a finire male’’,
disse Tim.
‘’Non era il caso. Eri
molto scosso. Ora invece stai meglio, e ti sei ripreso dalla stanchezza’’,
disse l’amico, continuando a sorridere.
‘’Sam, hai poi
completato la tua missione?’’, riprese a chiedere Tim.
‘’Sì, almeno in parte. Ho portato con me alcune creature, che
si trovano nel porto’’, disse Sam.
‘’Ho deciso di tenerle momentaneamente lontane dai cittadini,
per fare in modo che non si spaventassero. Ma ormai la voce si sta spargendo in
giro, e ben presto anche le creature magiche potranno circolare liberamente in
città. Tra l’altro, sono arrivate a Fortwar il giorno prima del tuo ritorno,
quindi non sono qui da molto’’, disse Sergej.
Tim si fece loquace, e
si fece spiegare nei dettagli tutta la situazione. Voleva conoscere tutti i
numeri e le potenzialità di quel nuovo aiuto giunto dal mondo magico. Mentre
Sam rispondeva alle sue domande, i due giovani maghi restarono lì, in attesa di
essere congedati.
Sam parlò e raccontò, per l’ennesima volta, tutta la sua
vicenda, senza omettere nulla. Dopo un po’, Tim tornò a puntare la sua
attenzione su di loro, e sentendosi soddisfatto delle risposte del ragazzo,
pensò di presentarglieli.
‘’Bene, Sam, se un giorno vorrai presentarmi anche Bad, sarò
ben lieto di fare la sua conoscenza. Ma qui con noi ci sono altri due amici,
che ho conosciuto a Vargan. Loro sono Lee e Smith, due giovani maghi di Huru’’,
disse Tim, presentandoli. I due sorrisero, si fecero avanti e porsero la mano a
Sergej e Sam, che gliela strinsero.
‘’Bene, due maghi. Ci saranno utili nella battaglia finale
contro gli Sconosciuti’’, affermò Sergej.
‘’Non credo. I Demoni hanno intrappolato il nostro dio, ed
ora detengono i suoi poteri. Noi non possiamo fare molto senza magia. Siamo
inutili’’, disse Lee, tentennando. Sergej ci rimase male.
‘’Bene, vedo che siamo
messi proprio bene. Abbiamo pochi soldati, poche creature magiche, che tra
l’altro hanno pochi poteri, e abbiamo perso la magia. Possiamo vincere,
insomma’’, disse Sergej con nefasta ironia, dopo aver ragionato un attimo.
Nessuno disse nulla, consci che in quella battuta era
racchiusa la pura e mera verità.
Tim ordinò subito ad una guardia di richiudere la porta
principale della città, tanto ormai chi voleva entrare l’aveva già fatto, e
bisognava prepararsi per l’imminente assedio.
Il gruppo si sciolse poco dopo, e tutti tornarono alle loro
rispettive mansioni.
Tim riprese a lavorare, ma con meno impegno. Tanto, ormai, si
sentiva già nelle fauci di quei schifosi Demoni.
Sam era deluso.
Si era aspettato di
trovare una situazione critica, ma non così tanto. In realtà, sembrava già
tutto perduto.
Intanto, continuò a pensare alla sua copia, che era ancora
rinchiusa a chiave in una stanza dei magazzini. Bad aveva capito la sua
situazione e aveva accettato tutto senza batter ciglio o reagire. E questo
insospettiva molto Sam, che sapeva che comunque quell’essere, in fondo, era
malvagio e perfido.
Quando andò verso la
zona del porto, incominciò a sentire risate gioiose di bambini. Questo lo fece distrarre
dai suoi pensieri, e sorrise tra sé e sé, senza sapere che ben presto si
sarebbe trovato di fronte ad una gradita sorpresa.
Appena giunse alla piazza principale, quella di fronte all’ex
palazzo imperiale, e che fiancheggiava il porto, vide un grande agglomerato di
gente.
Subito, Sam non perse tempo, temendo che qualche creatura
magica fosse riuscita a fuggire dalla zona transennata e a mischiarsi con gli
umani. Eppure, si sentivano solo risate divertite.
Sam procedette a spintoni tra la calca. Attorno a lui,
c’erano adulti e anziani che osservavano i loro bambini giocare. Giocare con le
creature magiche.
Infatti, erano
tantissimi i bambini che stavano giocando con i grossi lupi magici e i
folletti, mentre i nani raccontavano storie. Invece, gli elfi se ne stavano
poco distante, più seri, ma comunque gentili con gli umani, che si mostravano
molto interessati a loro.
Sam si avvicinò ad una
guardia, che avrebbe dovuto vigilare la zona.
‘’Come mai è accaduto tutto questo?’’, chiese, con una
leggera nota di preoccupazione, poiché sapeva che avrebbero potuto nascere
incomprensioni tra gli umani e le creature. L’uomo gli sorrise.
‘’I miei figli mi
erano venuti un attimo a trovare, e hanno visto i lupi. Si sono avvicinati e
hanno iniziato a giocarci. Dopo poco, sentendo le risate, si sono aggiunti
altri bambini e altri adulti, e anche le altre creature. Ammetto che la
situazione ci stava sfuggendo di mano, poiché erano tantissime le persone che
cercavano di superare la zona transennata per raggiungere le creature, poi alla
fine abbiamo visto che anche loro si divertivano,e quindi… piuttosto che
cercare di separare inutilmente i gruppi e creare scompiglio, abbiamo lasciato
le cose come stavano’’, disse la guardia, continuando a sorridere.
Sam si rilassò un po’, vedendo tutti gli umani rilassati e
tranquilli. Si sentì soddisfatto, poiché ormai la diffidenza iniziale era
sfumata, e tutti andavano d’accordo.
Non fece in tempo a rispondere alla guardia, perché sentì che
qualcuno gi stava tirando i pantaloni. Si girò, e si trovò di fronte la minuta
figura di Jack.
‘’Sam, hai visto? Non
mi credevo che i piccoli degli umani fossero così agitati’’, disse, mentre si
sistemava il suo cappello rosso in testa. La sua lieve peluria era tutta
arruffata, mentre altri bambini lo stavano per raggiungere.
‘’Vedi? Qui mi apprezzano! Non sono come il mio popolo, che
ormai sa tutto di me. Loro non mi conoscono, e vogliono sentire storie,
vogliono giocare’’, disse il folletto, sorridendo. Sam annuì, felice per il
folletto.
Mentre Jack veniva condotto poco distante dai bambini
festanti, Sam notò che anche numerosi adulti si stavano accalcando attorno ai
nani, e stavano ascoltando i loro racconti, che erano antichissimi e molto interessanti.
Poi, sempre immerso
nella calca, sentì un piccolo ruggito, che fortunatamente non aveva nulla di
feroce. Sam riconobbe subito Wolfy, il grosso lupo guerriero. Il suo pelo era
tutto irto, mentre alcuni bambini glielo accarezzavano.
Appena il lupo lo
vide, gli andò in contro.
‘’Sam, non mi aspettavo che i vostri cuccioli fossero così
impegnativi’’, disse, confermando ciò che aveva detto Jack poco prima, e
cercando di scrollarsi di dosso alcuni monelli che stavano cercando di salirgli
sulla schiena.
Sam corse in suo aiuto, ma i bambini maneschi erano veramente
pestiferi.
‘’Woooof!’’, ruggì il
grosso lupo, disperato. Subito, i bambini mollarono la presa, e si
allontanarono un attimo.
‘’Wolfy, stai tranquillo! Ti tireranno un po’ il pelo, ma non
ti faranno nulla di male!’’, disse Sam, sorridendo. Il lupo lo guardò con i
suoi occhi rossi.
‘’Non lo so, questi sono piuttosto pestiferi’’, disse, mente
i bambini tornavano di nuovo alla carica.
Dal suo tono di voce, Sam capì che in fondo anche il lupo si
stava divertendo a stare al centro dell’attenzione.
E fu così che umani e
creature magiche erano tornati ad unirsi, in pace, dopo migliaia d’anni. Sam ne
fu veramente felice.
Poi, notò che sul luogo erano giunti anche Sergej e Tim, che
gli stavano andando incontro. Entrambi erano molto rilassati, e sorridevano
anch’essi.
‘’Ero veramente preoccupato per la loro integrazione con gli
umani.. ma vedo che il problema si è risolto da sé’’, disse Sergej,
rivolgendosi a Sam.
‘’A quanto pare, sì’’,
disse Sam.
‘’Che dite? Andiamo ad ascoltare i nani?’’, disse Tim.
‘’Certo. Vieni anche tu, Sam?’’, chiese Sergej.
Sam non ne aveva voglia, poiché ormai aveva ascoltato molte
volte i loro racconti, ma accettò lo stesso l’invito.
I tre si misero seduti attorno ai nani, che avevano una
grande platea pronta ad ascoltarli, ed erano evidentemente compiaciuti di
questo.
Stavano per iniziare a raccontare una storia che Sam aveva
ascoltato già alcune volte, durante il suo soggiorno nel mondo magico. La
storia della nascita del mondo di Fortwar.
‘’All’inizio c’era solo il caos. O, meglio, questo era il
regno del Principe del Caos. Un regno dove tutto era presente, ma allo stesso
tempo non era presente nulla. Il Principe, infatti, era un immenso gigante
composto da materia oscura, ed era in grado di pensare e di fare del male.
Aveva immensi poteri, poteri talmente grandi da permettergli di fondere o
creare nuove dimensioni’’, esordì un nano. Gli adulti osservarono i nani con
fare curioso, mentre i più piccoli si facevano seri. Non erano in molti a
capire quanto fosse delicata la questione che stava raccontando il nano. Sam si
fece serio e si preparò per intervenire, nel qual caso la situazione fosse
fuggita di mano. Fino a quel punto, il racconto poteva sembrare una favola per
bambini.
‘’Il Principe del Caos, che era un signore malvagio e
perfido, stava ben attento a non lasciarsi sfuggire la sua terra, e impediva lo
sviluppo di ogni forma di vita, fintanto che non sono giunte le creature
magiche. Noi, tutte insieme, radunati sotto lo scettro del Grande drago,
abbiamo sconfitto il Principe, e abbiamo spezzato la sua essenza primordiale in
più parti, in modo da rendergli difficile ogni qualsiasi tentativo di
ricostituirsi in un essere unitario. Fu così che noi, draghi, elfi, folletti e
tanti altri, siamo riusciti a rendere questa terra accogliente e fertile. Poi,
come ben saprete, sono arrivati i vostri antenati, e hanno fondato Fortwar. Ciò
che accadde in seguito, lo sapete già’’, disse il nano più anziano, con fare
diplomatico, tentando di evitare possibili brutti ricordi della guerra che
c’era stata tra gli umani e le creature magiche, che quella volta ne uscirono
sconfitte, e furono costrette all’esilio nel mondo magico di Harlowhy. Sam
apprezzò la diplomazia del nano, anche se non capiva dove volesse andare a
parare.
‘’Ma il Principe del Caos, prima di essere diviso, ha giurato
di fare ritorno. Sarebbe ritornato, per riportare il tutto alla condizione
originaria, come quando lui era il
signore incontrastato di questo mondo. E se lo ha detto, lo farà. Tutto inizierà
a cambiare, mentre…’’. Il nano stava prendendo sempre più enfasi, mentre i
volti attorno a lui si adombravano. Gli umani lo guardarono stupiti, mentre i
due nani che aveva a suo fianco gli posarono le mani sulle braccia, invitandolo
a tacere. Sam si preparò ad intervenire, ed interruppe il racconto.
‘’Per ora basta, nano. I bambini sono seduti qui attorno a te
per ascoltare delle storie divertenti, e non delle favole tristi. Per favore,
raccontaci la storia di Hudson’’, disse Sam, stando attendo a misurare le
parole e a sottolineare la parola favola. Hudson era un nano burlone, che ne
aveva combinate di tutti i colori, ed era un vero e proprio idolo per i nani.
Il nano anziano sorrise, e sembrò non prendersene per male per l’intervento di
Sam.
‘’Hai ragione, Sam. Dunque, Hudson…’’, presero a raccontare
nuovamente i nani.
Sam si sentì sollevato. Involontariamente, i nani stavano
raccontando una storia che poteva far accigliare le persone della capitale, che
stavano per affrontare un assedio. Qualcuno poteva mettersi in testa che il
Principe del Caos fosse il re degli Sconosciuti, che già di per sé era una cosa
improbabile, ma se fosse iniziata a circolare quella voce, probabilmente ci
sarebbero state brutte ripercussioni sul popolo. Fortunatamente, quel discorso
cadde nel dimenticatoio, mentre tutti tornarono a sorridere, ascoltando le
disastrate avventure del nano burlone.
Sam restò lì seduto, per ascoltare tutto e per evitare
possibili incidenti. Fortunatamente, la mattinata passò senza inconvenienti.
Così quella giornata
passò all’insegna della tranquillità e dello studio reciproco. Ma all’orizzonte
stavano già per apparire coloro che avrebbero posto fine a quella
spensieratezza.
Fermei aveva marciato a marce forzate per tre giorni, quasi
sfiancando i propri soldati, che comunque non avevano risentito molto della
stanchezza, poiché si erano riposati, erano carichi di bottino e sapevano che
ben presto la loro avventura si sarebbe conclusa.
E avrebbero potuto
tornare a casa, oppure vivere un’esistenza tranquilla nei nuovi territori
conquistati.
Il Gran re aveva
deciso di seguire la strada principale e lastricata, che portava direttamente
alla capitale, poiché sapeva che dei villaggi della provincia di Fortwar non
era rimasto quasi nulla.
Ed era pure felice,
poiché a breve avrebbe sposato la sua amata.
E tra poco, si sarebbe
finalmente trovato sotto le mura di Fortwar.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J
In questi giorni mi sto impegnando per concludere l’opera, se
così la si può definire J
Piccola informazione; con questo capitolo, finiamo la parte
più descrittiva della vicenda. A breve entreremo nella parte finale del
racconto. Sarà molto movimentato, e spero anche che possa essere di vostro
gradimento J
Oh, una piccola curiosità; in questo capitolo, nel bel mezzo
di ciò che può sembrare banale, ho inserito anche alcune informazioni che
riprenderò in seguito. Poi, lo vedremo insieme tra non molto J
Ringrazio tutti coloro che mi lasciano sempre una recensione,
ovvero Dan, steph808, Jordan Hemingway e Chia Tag.
Grazie, di nuovo, a tutti J A sabato J
|
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Capitolo 36 *** Capitolo 36 ***
Capitolo 36
CAPITOLO 36
Appena apparvero in lontananza le mura di Fortwar, Fermei
fece fermare il suo esercito.
Avanzò circospetto e solitario, percorrendo un breve tratto
della strada lastricata che conduceva alla città. Voleva essere lui stesso il
primo uomo del suo esercito a vedere da vicino la capitale imperiale.
Andò avanti un per un po’, mentre le immense mura della città
gli apparivano in tutto il loro splendore. In più, stava per calare la notte, e
un tramonto rosso fuoco illuminava la grande capitale, che emanava mille
bagliori, così immersa nel sole morente.
Il re tornò indietro, e ordinò ad un suo sottoposto di far
venire lì Ilse.
Intanto che attendeva, Fermei notò che la maggior parte dei
suoi guerrieri si era comodamente seduta in terra, e tutti chiacchieravano
animatamente tra loro. Ogni tanto si sentiva una qualche risata.
Il re fu felice di sentirle, poiché ciò significava che gli
uomini erano dell’umore migliore per affrontare l’ultima, grande battaglia. Però,
non vide i Demoni. Saranno nelle retrovie, si disse, per rassicurarsi. Poi,
apparve Ilse.
Era a cavallo, ed era splendida. Mentre cavalcava, i soldati
aprirono un varco per lasciarla passare, e tutti le rivolgevano sguardi
maliziosi. In effetti, sembrava una bellissima principessa, ed indossava una
lieve e stretta veste, che lasciava ben in mostra le sue curve. Il ventre stava
iniziando a crescere, e si poteva intuire che era incinta.
Nessuno in quel momento rideva o parlava, ma tutti se ne
stavano immobili a fissarla. Fermei in un primo momento provò un moto di rabbia
e gelosia. Non voleva che tutti la guardassero così. Però, poco dopo, quella
sensazione si tramutò in stupore e gioia. Era felice che tutti vedessero che
genere di donna aveva al suo fianco.
Ilse lo raggiunse, e gli fece un magnifico sorriso.
‘’Amore, vieni con me’’, gli disse, e montò a cavallo anche
lui.
Lei annuì, accondiscendente, e lo seguì senza proferir
parola. L’accompagnò fino al punto in cui le possenti mura di Fortwar si
potevano vedere ed apprezzare al meglio.
‘’Mia cara amata, è questa la mitica Fortwar, culla
dell’umanità, dalla quale provengono anche i miei più antichi antenati?’’,
chiese il re, con tono pacati e gentili.
‘’Sì, Fermei, è questa. Siamo arrivati alla fine di questa
lunga avventura’’, disse Ilse, fissandolo.
‘’No, non siamo ancora
arrivati alla fine. Diciamo che siamo arrivati alla meta finale. Ma la fine la
scopriremo domani’’, disse il re.
‘’Fermei, loro non
hanno più possibilità di vincere. Le loro carte le hanno giocate’’, disse Ilse,
malinconica.
‘’Perché hai usato quel tono così triste? Dovresti gioire.
Hai sempre detto di odiare l’impero. E domani, molto probabilmente, l’impero
scomparirà per sempre’’, disse il re, con curiosità.
‘’Amore, sono
cresciuta tra quelle mura. Lì c’è ancora la mia casa e i ricordi della mia
famiglia. Vederla distrutta mi darebbe un immenso dispiacere’’.
‘’Oh, Ilse, ti capisco. Ma non essere triste per questo. Vedendo
il tuo dispiacere, ho deciso di scendere a patti; domattina, prima di
attaccarla con tutte le nostre forze, chiederò la resa. Se gli abitanti
apriranno la porta principale, e mi consegneranno i due generali supremi, io
giuro che non farò nulla di male a questa città e a chi ci vive. Va meglio?’’,
chiese il re.
‘’Fermei, grazie, sei
così buono. Grazie, sarebbe veramente un bel gesto da parte tua’’, disse Ilse,
tornando felice.
‘’Ma ritienilo un regalo. Un grande regalo’’, disse Fermei,
con toni più cupi, mentre faceva girare il cavallo.
Ilse non disse più nulla. Una volta tornati di fronte al
grande esercito, Fermei diede l’ordine
di alzarsi. Doveva parlare con tutti i suoi uomini. Il suo ordine fu eseguito
immediatamente. Tutti puntarono il loro sguardo sul re e sulla sua futura
consorte.
‘’Miei cari soldati,
devo darvi la notizia che tutti aspettavate. Tra meno di duecento passi potrete
vedere Fortwar e le sue mura da vicino, e insieme potremo finalmente godere di
una splendida visuale della capitale imperiale. Dopo lunghi mesi di sacrifici,
alla fine siamo giunti alla meta’’, disse il re, alzando la voce più che
poteva.
Dai soldati si alzò un grido di giubilo, subito sedato da un
gesto della mano del re, che indicava che non aveva ancora concluso il
discorso.
‘’Questo è il mio ultimo discorso da Gran re. Il prossimo lo
farò o da perdente, o da imperatore. Da imperatore di tutte le terre
conosciute!’’, gridò Fermei.
I soldati erano in
visibilio, ma, ancora una volta, Fermei interruppe le loro grida, per
concludere il discorso.
Improvvisamente, i suoi occhi individuarono i Demoni, e sentì
la sua gioia morirgli dentro. Erano abbastanza lontani da lui, ma
sufficientemente vicini per poter vedere i loro truci sguardi. Lo stavano
fissando con odio, ma non un odio normale. Loro provavano un odio
inimmaginabile.
Addirittura, quello
con il corpo del suo caro amico Shon lo stava fissando con le palpebre
semisocchiuse ed un orribile ghigno stampato sul volto.
Fermei, per un istante, lasciò far rumore ai suoi soldati,
senza trovare il modo per continuare il suo discorso. Il suo sorriso e il suo
essere euforico sparirono all’istante, lasciandolo prosciugato, mentre il suo
sguardo si perdeva all’interno di quello dei Demoni. Loro se ne accorsero, e
sostennero per alcuni minuti quel suo sguardo vacuo, come per volerlo
intrappolarlo dentro a loro stessi.
Poi, come d’incanto, i Demoni si girarono, e presero ad
andare verso le retrovie. Fermei si sentì momentaneamente tranquillo, mentre
ricominciava a riacquisire le sue facoltà mentali. E capì che doveva essergli
successo qualcosa, e che quello sguardo prolungato era stato in realtà un segno
di sventura.
Con il collo ancora rigido, con una smorfia indefinita
stampata sul volto, si ritrovò nuovamente padrone di sé stesso, ma con meno
coraggio. Si voltò di lato, e vide che Ilse si era accorta che era successo
qualcosa che lo aveva turbato, e lo stava fissando con aria interrogativa.
Se non fossero stati
di fronte ai soldati, era sicuro che lei lo avrebbe scosso, per risvegliarlo.
Ma ora era tornato tutto a posto. Sorrise alla sua ragazza, che si rilassò
lievemente, poi tornò a concentrarsi sui suoi uomini, che nel frattempo lo
stavano inneggiando, sbattendo le spade sugli scudi, e facendo un baccano
terribile.
Probabilmente a Fortwar ci hanno già sentito, si disse
Fermei. Poi, alzò la mano destra e riprese a parlare.
‘’Miei cari soldati, domani questa guerra finirà. Domani
sera, a quest’ora, o sarò morto, o sarò il più grande imperatore che il genere
umano abbia mai conosciuto. Vorrei darvi quest’ultima informazione; se vivrò, e
questo sarà quasi certo, sposerò la mia amata Ilse a Fortwar, il giorno dopo la
sua conquista. Farò una settimana di festeggiamenti, e, se vorrete,
parteciperete tutti. Questo è tutto; ora andremo fin sotto le mura della
capitale, ci mostreremo al nemico e poi costruiremo il nostro campo fuori dal
raggio delle loro frecce. E, mi raccomando, riposate questa notte. Domani sarà
il giorno decisivo, il giorno che cambierà le vostre vite. O Fortwar aprirà
spontaneamente la sua porta principale, o gliela apriremo noi!’’, gridò Fermei,
che poi si girò e andò dai suoi ufficiali, per ordinare che venisse ripresa
subito la marcia.
I soldati rimasero un momento in silenzio, perché non
volevano che Ilse, la giovane originaria dell’impero, divenisse la loro
imperatrice, ma poi non ci pensarono molto su ed iniziarono a gridare di nuovo.
Poco dopo, la marcia riprese, e Fermei girò tra i ranghi, per
mostrarsi ai suoi uomini, e rivolse larghi sorrisi e calorose pacche a tutti
quelli che trovò a suo fianco. I soldati cantavano canzoni che provenivano da
luoghi lontani, i luoghi dov’erano nati.
Poi, tutto ad un tratto, le grida cessarono. Tutti si
trovarono a fissare la magnificenza della capitale dell’impero. L’ultimo
rossore del tramonto stava colpendo in quell’istante i tetti dorati della
città, creando un magnifico panorama. Poi, dopo poco, il sole tramontò,
lasciando l’esercito nella penombra. Fermei lasciò avanzare il suo esercito
nella piana che circondava Fortwar, poi stabilì il punto giusto dove piantare
il campo per la notte.
‘’Avanti, accendete
molte fiaccole e iniziate a piantare le tende’’, ordinò il re ai suoi
sottoposti, che si diedero subito da fare.
Gli uomini lavoravano con lena, e il campo fu pronto in tempo
record. Fermei si fermò a fissare il buio, che nel frattempo si stava facendo
ancora più pesto, poi si diresse verso la sua tenda.
C’era qualcosa che non andava più in lui. Mentre i suoi
uomini ridevano e scherzavano in armonia, sicuri della vittoria, lui rimaneva
triste. Stava provando una tristezza profonda, che l’assillava da quando aveva
scambiato quello sguardo con i Demoni. Una tristezza che sembrava premonitrice
di sventure.
Appena entrò nella sua
grande tenda, trovò subito Ilse lì ad aspettarlo. Era bellissima, indossava
ancora gli splendidi abiti di poco fa e sorrideva, felice. Fermei fece fatica a
ricambiarla, ma le si avvicinò e l’abbracciò.
‘’C’è qualcosa che non va. Dimmelo, amore’’, disse Ilse,
provando un tremito mentre era tra le sue braccia.
‘’Come sta nostro figlio?’’, chiese Fermei, accarezzandole
dolcemente il ventre. Voleva evitare di dover dare risposte alla sua amata,
anche perché non sapeva bene neanche lui come risponderle.
‘’Tutto bene. Pure io sto piuttosto bene, non ho alcun
problema. Ma tu sì, a quanto pare. E non mi vuoi dire ciò che ti assilla’’,
disse Ilse, imbronciandosi. Fermei sorrise, sta volta con più calore.
‘’Non è niente, è solo
stanchezza. Vedrai, domani sarà il giorno della nostra vittoria. Ma ora vorrei
riposare, poiché domattina dovrò svegliarmi prima dell’alba, per organizzare il
programma della giornata, e dovrò essere ben riposato’’, disse alla sua amata.
Ilse lo guardò di
traverso, come se si sentisse rifiutata da lui. Il re in quel momento avrebbe
voluto abbracciarla ancora, chiederle di dargli quel coraggio che proprio in
quel momento gli era venuto a mancare. Ma non disse nulla, anzi, abbassò lo
sguardo e si diresse verso la sua semplice ma comoda branda.
Lei restò a fissarlo, mentre si svestiva e si metteva a
letto, senza dire una parola. Fermei, appena si distese, lanciò un’ultima occhiata
alla sua amata; lei si stava per allontanare, sarebbe tornata nel suo carro,
lasciandolo solo ad affrontare quella lunga notte, che precedeva il giorno
delle verità. Quel fatidico giorno in cui tutto si sarebbe finalmente deciso,
ma di cui tutto era ancora incerto. L’incertezza appariva tutta in quel
momento, cancellando quel clima sicuro che si era creato durante quei lunghi
mesi di conquiste. Certo, lui aveva fatto costruire grandi scale e alcune
catapulte, ma non si poteva mai essere sicuri di una vittoria.
Il re fissò Ilse mentre si allontanava. Solo allora trovò il
coraggio per dire qualcosa.
‘’Amore’’.
Ilse si girò di scatto verso di lui.
‘’Dimmi’’, disse pazientemente.
‘’Ti chiedo solo di capirmi e di scusarmi. Questa sera sono
stanco e agitato, non me la sento di stare con qualcuno…’’.
‘’Ti capisco. A domani’’, disse Ilse, rivolgendogli un ultimo
ma radioso sorriso, che, illuminato dal lume di una piccola candela posizionata
vicino all’ingresso della tenda, lo rendeva magnifico.
Fermei fissò la sua
amata, sbalordito, come la prima volta che l’aveva vista… e come se fosse
l’ultima. Poi, lei si voltò ed uscì definitivamente dalla tenda.
Lui avrebbe voluto richiamarla indietro, baciarla, darle
tutto il suo amore. Ma quella sera non ci riuscì. Qualcosa era cambiato,
qualcosa stava continuando a cambiare.
Nonostante fosse certo che le mura Fortwar, indifese com’erano,
non avessero potuto resistere neppure ad uno degli attacchi combinati dei suoi
uomini, questo non lo rincuorava.
Spinse il suo volto contro il cuscino, e tentò di
addormentarsi. Restò sveglio e vigile fino a tardi, poi cadde in un dormiveglia
pieno di incubi e brutti presagi, mentre i suoi uomini, dopo un po’, smisero di
cantare, facendo cadere l’accampamento in un lugubre silenzio.
Ilse era turbata.
Quel comportamento non
era tipico di Fermei, c’era qualcosa che non andava. Non volle pensarci su più
di tanto, e se ne andò a letto.
Dopo un po’, non
riuscendo a dormire, si rialzò. Aveva bisogno di conforto, di parlare con
qualcuno. L’indomani mattina, molto probabilmente, ci sarebbe stata l’ultima
battaglia, l’ultimo ostacolo che impediva al suo sogno di realizzarsi. Oppure,
una semplice resa. In ogni caso, gli Sconosciuti erano favoriti, ma in realtà
non si poteva mai sapere. A volte, in guerra, possono in gioco anche variabili
ignote alla razionalità umana.
E lei sapeva bene che, a volte, il destino tirava brutti
scherzi. L’atteggiamento di Fermei, infatti, lo confermava. Tra meno di dodici
ore sarà tutto concluso, si disse, e questo la rassicurò per un istante. Poi,
però, tornò a tremare, sopraffatta dalla tensione.
Si avvolse nel suo
mantello ed uscì, cercando di non farsi riconoscere da nessuno. Notò che
nessuno dei soldati stava dormendo, quella notte. In ogni tenda c’erano candele
accese, e si sentivano bisbigli. Erano pochi quelli che continuavano a cantare.
La notte, con il suo
buio e le sue incertezze, stava instillando dubbi anche in quelle menti
semplici che, fino a poco fa, si erano sentiti certi della vittoria. Qualcosa
non andava. La sicurezza degli ultimi mesi era ormai svanita.
Ilse pensò che fosse
normale. Non incontrò nessuno nel suo percorso, che la condusse alla cella dove
era rinchiuso il generale John ormai da parecchio tempo.
Il maturo generale, si era estremamente invecchiato durante
la prigionia. Ilse si avvicinò alle grate, che erano applicate solo nella parte
laterale destra del carro che fungeva da cella, e che comunque lasciavano intravedere
la luce del giorno e l’ambiente circostante.
‘’John, sono io’’,
sussurrò al generale.
‘’Buonasera, Ilse. Qual
buon vento ti riporta a chiacchierare qui con me? O è forse un cattivo
vento?’’, sussurro il vecchio. Ilse si accigliò.
‘’Perché mi dici così? Sei sempre stato felice di parlare con
me, di avere qualcuno con cui conversare un po’. Questa volta, necessito
veramente di qualcuno che mi ascolti’’, disse al vecchio.
‘’Oh, Ilse, tu sei qui
perché vuoi dirmi i tuoi dubbi e le tue inquietudini sul domani. Ma io non sono
un veggente, io non sono nessuno’’, disse il vecchio, con un sussurro.
‘’Ma…’’, tentò di dire
Ilse, ma non trovò le parole giuste per esprimersi. Il vecchio l’aveva
sorpresa. Però le parole le trovò John.
‘’Ilse, senti questo
odore?’’, chiese improvvisamente il vecchio, dopo un breve silenzio. Ilse non
sentì nulla.
‘’No. Odore di cosa?’’, chiese tranquillamente la ragazza.
‘’Odore di morte.
Odore di cambiamento. Nulla sarà più come prima… per nessuno. Né per i
vincitori, né per i vinti’’, sussurrò John, scandendo bene le parole.
La ragazza si ritrasse improvvisamente dalle grate, sicura di
aver sentito un filo d’aria sfiorargli il volto, ovvero il respiro di John che
si era avvicinato a lei.
Ilse si mosse,
inquieta, dopo quelle ultime parole, e prese a correre. Correva verso il suo
carro, l’unico posto dove avrebbe trovato un po’ di sicurezza. Quella sera non
voleva più parlare con nessuno, era tutto così strano.
Rientrò nel carro, sbarrò la porta dietro di sé, si sedette
di fronte allo specchio e iniziò a pettinarsi i capelli. Quell’azione così
usuale l’aiutava a calmarsi un po’.
Poi, prese a
passeggiare avanti e indietro nella sua piccola dimora, e alla fine si sdraiò
nel letto e si addormentò di colpo. Ma il suo sonno fu pieno di incubi.
Dentro le mura di Fortwar, regnava il silenzio.
I nemici erano
accampati sotto le mura della capitale, ed erano arrivati pure in anticipo,
rovinando quella magnifica giornata. Tutti gli abitanti di Fortwar si erano
intrattenuti per tutta la giornata con le creature magiche, e si erano
divertiti tutti. Si era creata un’aura felice, che mancava ormai da numerosi
mesi.
Ma poi era tutto
finito, e come un incantesimo era sparito tutto il clima di tranquillità.
Tutti, sentendo le grida di giubilo degli Sconosciuti, si erano riversati in
strada, dirigendosi verso le mura, e le guardie cittadine avevano impiegato
molto tempo per dissuadere il popolo dal vedere i nemici.
Poi, la calma era tornata, e tutti erano tornati alle loro
case, sconsolati. Probabilmente quello era stato il loro ultimo giorno passato
da creature viventi.
Tim era ancora sui camminamenti della capitale, a fissare il
campo del nemico. Le tende erano ancora tutte illuminate, e questo significava
solo che anche i nemici erano turbati dall’indomani. I cittadini di Fortwar
erano chiusi nelle loro case, ascoltando in silenzio ogni minimo rumore del
nemico, dapprima ascoltandone le canzoni sguaiate, poi ascoltando anche il
minimo crepitio che fosse giunto alle loro orecchie.
Sergej era a casa, e
cercava di riposare un po’. Tim scosse il capo, e si avviò anche lui verso
casa. Quella giornata in apparenza perfetta si era rivelata un inganno. Un
triste scherzo del destino.
Mentre camminava per strada, non udiva alcun rumore, a parte
qualche pianto di bambino, o qualche cane che abbaiava. Tutti erano svegli, ma
in silenzio.
Quando giunse a casa, notò che Sergej dormiva già. Beato lui,
si disse. Fece per tornare in cucina, quando sentì la voce dell’amico.
‘’Sei tornato alla
fine? Pensavo volessi passare tutta la notte là, sulle mura’’, disse, con un tono
ironico. La sua voce non era impastata dal sonno, quindi probabilmente non
aveva neppure chiuso occhio, fino a quel momento.
‘’Pensavo dormissi. Ti va una spremuta?’’, chiese Tim.
‘’No, non ho dormito. Cercavo di rilassarmi. Comunque sì, mi
va’’, rispose Sergej.
I due amici si
prepararono una spremuta, poi restarono in piedi, a chiacchierare sottovoce, in
attesa del mattino imminente.
I Demoni se ne stavano al buio della loro tenda, seduti a
terra.
Sentivano che quella era una notte diversa da tutte le altre.
Tutti gli umani erano tutti attivi, tutti svegli ed agitati. D’altronde, non
potevano non esserlo. Erano loro stessi a preoccuparli, a dare loro una parte
di quell’ansia primordiale, visto che le loro menti quella notte erano
particolarmente attive, poiché soffrivano.
La realtà era che i loro corpi avevano iniziato a dare forti
spasmi, e a fare male. Era giunto il tempo. Era giunto il loro momento, quello
che avevano tanto atteso da mesi.
Uno di loro si alzò, e si lasciò sfuggire un gemito.
‘’Non ne posso più. Giuro, non riesco più a sopportare questo
dolore’’, disse agli altri in un momento di lucidità.
‘’Stai calmo. Cerca di
trattenerti. Tra poche ore sarà tutto finito. Torna a sederti e cerca di
rilassarti’’, disse uno degli altri, l’unico che riusciva in parte a domare
quel grande dolore.
I Demoni avevano
iniziato a sentirsi male da alcune ore, dopo lo sguardo prolungato con il Gran
re. Erano sicuri che Fermei fosse riuscito a scrutare qualcosa in loro, e ad un
certo punto le loro dieci menti erano state vicine a fondersi. Ma
fortunatamente loro erano riusciti a sciogliere quello sguardo pericoloso
giusto in tempo, prima che avesse potuto creare danni irreparabili. Anche loro
stavano perdendo il controllo.
Ma questo era il
segnale che i tempi erano maturi. All’indomani, avrebbero mostrato a tutti gli
umani, e non solo, chi erano in realtà. Infatti avevano notato che all’interno
di Fortwar c’erano anime non umane. Anime di creature magiche, che avevano
cercato di sondare, per scoprire qualcosa di più.
All’inizio si erano sorpresi, ma per poco. Loro sapevano di
essere i più forti, e d’ora in poi nessuno li avrebbe più potuti fermare.
Grazie ad Huru, il dio che avevano imprigionato, ora erano quasi invincibili. E
tra poche ore, se fossero riusciti a recuperare gli ultimi due oggetti
mancanti, loro avrebbero fatto il buono e il cattivo tempo del mondo di
Fortwar. Avrebbero potuto tornare ad esser parte di un unico corpo.
Loro erano l’infinito,
che ben presto avrebbe inglobato tutto quel mondo semplice, fatto di esseri
viventi senza poteri. Ben presto, tutto sarebbe tornato in loro possesso,
quindi valeva la pena soffrire quelle ultime ore.
Jack trovò Sam che parlava con i due giovani maghi
all’interno dei magazzini.
Aveva fatto uscire per
la prima volta anche Bad, per farlo parlare un po’ con qualcuno e dargli
fiducia.
‘’Sam, Sam!’’, gridò Jack, spaventando l’amico umano.
‘’Che succede, Jack?’’, chiese Sam.
‘’Li ho sentiti. Loro sono qui, ed hanno cercato di sondare
la mia mente. Ora sanno che nella capitale ci siamo anche noi’’, disse il
folletto.
‘’Ti riferisci ai Demoni?’’, chiese Lee.
‘’Sì, proprio loro’’, rispose il folletto.
‘’Il tempo del mondo che conosciamo è finito, umani. Domani
tutto sarà sconvolto. Niente e nessuno sarà più come prima’’, disse la voce di
Wolfy, con fare profetico.
Il grosso lupo era apparso all’improvviso, e altrettanto
improvvisamente era scomparso, lasciando i quattro ragazzi e il folletto senza
parole. Tutti si fissarono tra loro, sconvolti.
NOTA DELL’AUTORE
Siete pronte, mie care lettrici? Dal prossimo capitolo inizia
la parte finale.
Sarei curioso di conoscere i vostri pronostici ahah J no, a parte tutto, spero di avervi
messo un po’ d’ansia con questo capitolo ahah J J
Come preferite che vi passi il finale? Pubblicando due
capitoli a settimana, in modo da non lasciarvi troppo sulle spine, oppure
pubblicando un solo capitolo a settimana? Scegliete voi J Io sarei più propenso a pubblicare
due capitoli a settimana. Siete d’accordo con me?
Il finale sarà complesso, spero di non deludervi…
Grazie di tutto, alla prossima J
p.s. la prossima settimana pubblicherò due capitoli, come al
solito(nelle giornate di mercoledì e sabato). Se da quella successiva volete
che rallenti, lo farò J
|
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Capitolo 37 *** Capitolo 37 ***
Capitolo 37
CAPITOLO 37
Mancava ancora un po’ all’alba, ma Fermei era già in
fermento.
Si chiese se aveva riposato un po’, visto che era stato per
alcune ore in uno stato di dormiveglia, e si rispose di no, poiché aveva ancora
una grande stanchezza sulle spalle. Le pesanti borse sotto gli occhi ne erano
testimoni.
Comunque, la stanchezza lasciò spazio all’agitazione e
all’ansia non appena iniziò i preparativi per quella lunga giornata.
Probabilmente, quella sarebbe stata la giornata più lunga e decisiva della sua vita.
Non voleva perdere tempo in inutili assedi, o in piccoli scontri. Voleva la
battaglia finale o la resa. Porre sotto assedio la capitale avrebbe significato
solo dare tempo al nemico, che avrebbe sicuramente organizzato qualche sorpresa
sgradita. E Fermei, a quel punto, non aveva alcuna intenzione di rischiare.
Subito dopo essersi alzato, aveva iniziato a far chiamare
tutti i suoi ufficiali e a distribuire ordini. Poco dopo l’alba tutto il suo
esercito doveva essere pronto per la sfida finale.
Poi, fece convocare i Demoni, anche per chiedere consigli,
visto che spesso e volentieri si erano rivelati utili.
E fu in quel momento che si ricordò di Ilse. Ma ora non aveva
tempo per vederla, doveva sbrigarsi. In realtà aveva paura di mostrarsi a lei,
perché in quel momento era insicuro, e la sua solita aura di sicurezza
vacillava. Meglio vederla a battaglia conclusa, si disse.
Intanto che attendeva
i Demoni, iniziò ad indossare tutti gli indumenti da combattimento. Si sistemò
al meglio il pettorale, talmente tanto lucidato da risultare sgargiante anche
solo al lume di candela.
Poi, prese da un suo scrigno la corona che era stata di suo
padre e dei suoi antenati. Se l’era portata dietro da Valake, ma non l’aveva
mai indossata né mostrata in pubblico durante quei lunghi mesi. Quello era il
giorno giusto per indossarla. Se la sistemò al meglio sulla testa, e si andò a
posizionare sul suo scranno.
Improvvisamente sentì un fruscio, e i Demoni fecero capolino
nella sua tenda.
‘’Sire, hai bisogno di noi?’’, chiese la loro voce profonda e
lugubre.
Fermei rimase stupito,
perché quel giorno aveva una nota sofferente. Il re si ricordò improvvisamente
del giorno precedente, quando si era perso nei loro sguardi… sguardi pieni di
sofferenza.
‘’Sì. Vi ho convocato
per chiedervi consiglio e per mostrare i miei piani per la giornata’’, disse,
senza guardarli in volto.
‘’Va bene’’, dissero i Demoni, accondiscendenti.
‘’Voglio dichiarar
guerra subito, senza attendere altro tempo. Vorrei concludere la vicenda oggi
stesso. Non voglio che i nemici si organizzino. All’interno di quelle mura
potrebbero riuscire a resistere anche per un paio di mesi, senza contare che
potrebbero inviare truppe via mare ed attaccarci di notte, nelle retroguardie. Gli
imperiali conoscono molto bene il territorio circostante, e potrebbero causarci
grossi disagi. Posso contare sul vostro aiuto per questo assalto, vero?’’,
chiese infine il re.
‘’Certo’’, dissero i
Demoni, cambiando tono di voce.
‘’Siete abbastanza forti per sconfiggere il nemico cercando
di limitare il più possibile le perdite nel mio schieramento?’’, chiese ancora
il re.
‘’Sì. Non siamo mai stati così potenti come lo siamo ora. E
lo dimostreremo’’, dissero con sicurezza i Demoni.
Fermei provò un brivido, perché quegli esseri avevano utilizzato
un tono lugubre, ma allo stesso tempo che lasciava intuire che avrebbero
combinato qualcosa di grande. Il re decise di non pensarci per ora. Non voleva
perdere i suoi fini principali.
‘’Allora, questi sono
i piani. Due ore dopo l’alba, dopo che l’esercito sarà stato schierato di tutto
punto, inizieremo ad avanzare. Posizionerò tutte le mie truppe sotto le mura di
Fortwar, mantenendo comunque una certa distanza di sicurezza, in modo che
possibili frecce scoccate dalle mura non possano mietere inutili vittime. Poi,
chiederò la resa della città. Se la risposta sarà negativa, proprio come temo,
daremo il via all’assalto. Ho numerose scale, e altrettante numerose passerelle
di legno, pronte per essere montate in pochi attimi, in modo da attraversare il
fossato. Cosa ne pensate?’’.
‘’Sire, per noi va bene. Però, a noi piacerebbe attaccare
subito, senza trattative’’, dissero i Demoni, desiderosi di iniziare lo scontro
e di potersi liberare di quel peso che li stava assillando da quando erano
stati risvegliati.
Fermei si accorse che tramavano qualcosa, e preferì non
prendere in considerazione la loro opinione, anche perché aveva da rispettare
la promessa che aveva fatto a Ilse.
‘’Frenate il vostro spirito guerriero, alleati. Non voglio
distruggere questa magnifica città per niente. La distruggerò solo se non me la
consegneranno i cittadini stessi, aprendo la porta principale e portandomi i
due generali supremi. Se così sarà, potrò fare di questa città la mia capitale
senza recarle alcun danno’’, disse il re. I Demoni parvero offesi, ma non
cercarono di proporre altro.
‘’Sire, se per te questo piano va bene, andrà bene anche per
noi’’, dissero infine.
‘’Benissimo allora’’, disse il re, sorridendo debolmente.
I Demoni fecero cenno
affermativo con il capo, ribadendo che anche per loro andava bene così. Era ora
di prendere congedo.
‘’Sire, se non ti serve altro noi dovremmo andare a prepararci.
Tra poco sarà l’alba’’, dissero i Demoni. Fermei annuì.
‘’Certo, certo, andate pure. A dopo’’, disse il re, guardandoli
uscire dalla sua tenda con fare furtivo.
Senz’ombra di dubbio dovevano fare qualcosa di importante,
perché non si erano mai congedati così in fretta. Erano strani quel giorno,
parevano pure sofferenti.
Il re, rimasto solo, scrollò le spalle e continuò a
prepararsi. Sarà l’ansia che abbiamo tutti a fare quell’effetto su di loro, si
disse. Intanto, provò pure due affondi
con la spada.
Poi uscì dalla tenda.
Non sarebbe andato a
trovare Ilse, quella mattina. Ripeté a sé stesso che non voleva mostrarsi a lei
così titubante.
Andò a vedere come si stava preparando il suo esercito.
I Demoni erano in piena frenesia.
Mancava pochissimo al
loro momento di gloria.
Erano esaltati al
massimo, ma per essere sicuri di far adempiere al meglio il loro destino,
dovevano estirpare la serpe. Lei era il loro ultimo ostacolo. Sapevano che era
ancora nel suo carro, e che era sveglia.
Intanto, i dolori continuavano a lacerare la carne dei loro
corpi mortali, ma ormai potevano sopportarli, perché ben presto si sarebbero
liberati da tutto ciò.
Camminarono furtivamente tra le tende dei soldati.
Intanto, nessuno
badava a loro, e tutti erano presi dalla preparazione della battaglia finale.
Molti stavano affilando le spade e le lance, altri cercavano di indossare
armature strette e scomode che non avevano mai indossato fino a quel momento.
Quella giornata sarebbe stata speciale per tutti. Anche per Ilse, si dissero,
sogghignando.
Quella vipera doveva
essere catturata. Non potevano lasciarla libera e permetterle di mettere dubbi
nella mente del re o di cercare di rovinare la loro posizione.
Ben presto si
trovarono di fronte al carro privato della ragazza, che si trovava nelle
retrovie, e bussarono alla porta, attendendo di vedere la loro preda.
Ilse era agitata.
Doveva vedere subito
Fermei, e dirgli che quella non era una giornata propizia per combattere. aveva
avuto incubi per tutta la notte. Incubi funesti, che erano sinonimo di grandi
disgrazie.
Poi, improvvisamente,
sentì bussare forte alla porta. Andò subito ad aprire, con il sorriso sul
volto, pronta a vedere il re che la veniva a salutare.
Aprì lentamente la porta, e si trovò di fronte i Demoni, che la fissavano con il loro visi
tirati dall’odio.
Si sentì sbiancare, e cercò di richiudere la porta, ma
questi, con un’azione fulminea e una forza sovrumana, spalancarono l’uscio ed
entrarono nel suo carro. Lei indietreggiò.
‘’Cosa volete?’’, chiese, a bassa voce.
‘’Vogliamo te. Anzi, per essere più precisi, vogliamo farti
sparire’’, dissero quelle disgustose creature.
Ilse provò una fitta
al ventre, forse dovuta alla forte paura che stava provando. Doveva pensare
anche a suo figlio, e se quei mostri l’avessero presa, chissà cosa ne avrebbero
fatto di lei.
Cercò con lo sguardo una via d’uscita. I Demoni fecero lo
stesso, e si distribuirono in cerchio, cercando di circondarla.
Terrorizzata, Ilse cacciò un grido e si lanciò di lato, verso
la porticina secondaria che era a fianco del suo specchio, che utilizzava per
pettinarsi.
Ma un Demone, con uno
scatto fulmineo la prese per un braccio, sbilanciandola e facendola scivolare.
Per fortuna, non si fece male.
Con il braccio libero prese lo specchio, e con tutte le sue
forze lo abbatté in testa al Demone che la stava trattenendo.
Lo specchio si frantumò, ma il mostro non mollò la presa, e
neppure sanguinò. A quel punto, fu subito circondata dagli altri mostri, e un
altro Demone la prese per il braccio libero e la sollevò da terra.
Per Ilse fu subito
chiaro che ormai era nelle loro mani. Cacciò un grido fortissimo, poi un altro
ancora.
‘’Stai zitta, umana.
Nessuno verrà in tuo aiuto. Ora sei sola, e sei nelle nostre mani’’, disse la
voce cavernosa dei Demoni.
Intanto, la
trascinarono fuori dal carro.
Lei gridò, disperata, ma notò che tutti gli uomini che erano
lì attorno erano indifferenti alla scena, e continuavano a fare le loro cose
senza batter ciglio.
‘’Puoi gridare quanto
ti pare, cara Ilse. Nessuno ti sentirà. Questo mondo sta già iniziando a
cambiare, e il suo mutamento lo decidiamo noi. Ora, loro non ci vedono neppure.
Ilse, sei sola! Sola!’’, disse la voce demoniaca, con un tono crescente. Ilse
si mise a piangere.
‘’Mostri! Come vi permettete di trattare così una donna
indifesa e incinta? Ma che razza di creature siete?’’, chiese, in preda alla
disperazione. I demoni sghignazzarono.
‘’Non ce ne importa
nulla di te, ragazza. E’ finita, sia per te che per gli altri umani. Ma noi ti
faremo un dono. Sì, un dono. Visto che tu sei stata la nostra peggior nemica,
nonché quella che ci ha odiato di più in questo mondo, abbiamo deciso di
premiarti. Tu sarai l’unica umana a vedere la fine della tua razza’’, dissero i
Demoni.
Ilse capì che, in un
modo o nell’altro, non c’era più nulla che la potesse salvare.
‘’Vi odio,
bastardi!’’, gridò, cercando di divincolarsi per raggiungere qualche oggetto
contundente e difendersi. I Demoni mostrarono il loro solito sorriso ironico,
leggendo i suoi pensieri.
‘’Smettila, ragazza. Potresti
anche pugnalarci, che non ci lasceresti nessun segno’’, dissero.
Ilse smise di agitarsi, tanto non poteva fare più nulla
contro la presa ferrea di quei mostri. Si guardò attorno. La stavano portando
proprio in fondo al campo, blandamente illuminato da alcune fiaccole in
procinto di spegnersi. Era ancora buio. Attorno a lei c’era ancora qualche uomo
indaffarato, ma che comunque non si accorse di nulla.
‘’Perchè restano
impassibili? Mi odiano anche loro?’’, chiese Ilse ai Demoni.
‘’No, Ilse. Ora noi siamo in una realtà diversa dalla loro.
Siamo in una dimensione parallela’’, gli risposero.
‘’Non è possibile. Nessuno può viaggiare nelle dimensioni’’,
disse Ilse, incredula.
‘’Noi sì. E possiamo
anche fonderle. In questo istante, noi ci troviamo in una dimensione parallela
che sta entrando in collisione con quella in cui tu hai sempre vissuto. Per
questo tu li vedi, e loro no. Sai, questa notte abbiamo evocato uno dei più
grandi incantesimi primordiali’’, risposero i Demoni, felici di mostrare ciò
che stava succedendo.
Ilse rimase in silenzio, incredula. Poi, finalmente, capì ciò
che le sarebbe successo.
La portarono alla cella di John, dov’era rinchiuso il
generale imperiale. Magicamente, aprirono il lucchetto ed illuminarono
l’interno della cella con una fiaccola.
John era lì, riverso a
terra e tutto lercio.
Ilse si sentì male a
quella vista, e pure i Demoni storsero il naso. Poi, dopo l’iniziale reticenza,
tre di loro entrarono e tirarono su John. L’uomo aveva una barba lunghissima e
bianca, indossava abiti a brandelli ed era in una situazione di salute
precaria, immerso nella sporcizia.
Ilse rimase sbalordita da ciò che vide, anche perché lei gli
faceva visita solo di notte, e non aveva mai avuto modo di vedere bene la
situazione in cui versava quell’uomo. Ma d’altronde, lui non le aveva neppure
mai chiesto nulla. John mugugnò, e si risvegliò.
‘’Che succede?’’,
chiese.
‘’Zitto, vecchio. Tra poco capirai’’, risposero i Demoni,
zittendolo.
Poi, lo portarono fuori, e gettarono Ilse dentro. E
richiusero la cella.
Ilse si gettò contro le grate , e gridò di nuovo. I Demoni
sorrisero nuovamente.
‘’Umana, cos’è che non
capisci? Nessuno ti può sentire, a parte
noi e il vecchio. Quindi, zitta’’.
Ilse gridò nuovamente,
con tutto il fiato che aveva in gola, in preda alla disperazione.
‘’Basta, ti dobbiamo calmare, o ci disturberai troppo’’,
dissero, e una mano attraversò le grate e prese il volto di Ilse. La ragazza
cercò di sottrarsi al suo tocco, ma era troppo tardi. La mano gelida percorse
tutto il suo viso, poi si ritrasse, scomparendo nel buio.
‘’Parla, Ilse’’, dissero i Demoni.
Lei fece per gridare,
ma dalla sua bocca non uscì nessun suono. Le avevano tolto pure la voce. I
Demoni, accorgendosi che il loro sortilegio aveva fatto effetto, risero
sguaiatamente. Era la prima volta che ridevano, da quando erano stati
risvegliati.
Legarono John e lo
lasciarono a terra, mentre intanto con la forza delle loro menti spostarono la
cella, in modo da posizionarla in un punto dove anche Ilse avrebbe potuto
vedere il campo di battaglia.
Fuori era ancora buio, ma un lieve rossore, ad oriente, stava
già iniziando a colorare il cielo.
Dopo un po’, quando
furono soddisfatti del loro operato, raccolsero John e iniziarono ad
allontanarsi.
Nel frattempo, Ilse la muta li aveva osservati dalle grate,
continuando a piangere. Lei era sempre stata una tipa attiva, e non aveva mai
avuto paura di mettersi in gioco. Ma ormai per lei il gioco era concluso.
‘’Ciao, Ilse. L’addio te lo darò tra qualche ora, quando
tornerò da te. Ma allora sarà già tutto finito, e potrai finalmente conoscermi.
Goditi lo spettacolo! A dopo’’, le dissero i Demoni, andandosene.
Ilse rimase immobile
lì, attaccata alle grate della cella, cercando di respirare aria fresca, per
evitare quella stantia che era all’interno di quel luogo.
Si chiese perché i Demoni, nel loro ultimo discorso, avessero
parlato al singolare. Qualcosa le sfuggiva. Qualcosa di grave, ed era certa che
non fosse qualcosa di positivo per Fermei. Ma non poteva fare più nulla,
neppure cercare di avvisarlo. Ora si trovava intrappolata in un potentissimo
incantesimo, in grado persino di smuovere le diverse dimensioni della realtà.
Disperata, cercò nuovamente di gridare, ma dalla sua gola non uscì alcun suono.
E fu proprio in quel momento che il primo raggio di sole
trafisse il cielo, riportando la luce su Fortwar dopo quella lunga notte di
paure.
Il giorno della gloria
dei Demoni, alla fine, era giunto. E Ilse aveva già perso la sua battaglia.
NOTA DELL’AUTORE
Ilse, incredibilmente, è stata intrappolata, e non può far
nulla. E la situazione sta per precipitare. Che intenzioni avranno i Demoni? E
perché, sul finale, hanno parlato al singolare? Beh, tutto questo lo scopriremo
prestissimo J sta di fatto che quei mostri stanno acquisendo sempre
più poteri.
Spero di avervi intrattenuto un po’ anche con questo
capitolo.
Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J A sabato J
|
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Capitolo 38 *** Capitolo 38 ***
Capitolo 38
CAPITOLO 38
Fermei stava osservando il suo esercito. Ormai era pronto per
scendere in campo.
All’orizzonte, il primo spiraglio di sole stava illuminando
la capitale dell’impero, donando una vista mozzafiato a tutti i soldati del re.
Per prepararsi a quel giorno speciale, molti degli
Sconosciuti avevano indossato le delle splendide armature, che riflettevano la
prima luce del giorno. Fermei restò impressionato dai suoi uomini, che volevano
mostrarsi in tutta la loro magnificenza in quell’ultimo confronto decisivo.
Altri soldati stavano tirando fuori armi strane, e ben presto
l’accampamento fu pieno di uomini corazzati con in mano grosse mazze ferrate o
asce da usare a due mani. E questo non andava bene, poiché i suoi uomini erano
abituati a combattere con corsetti imbottiti e tuniche leggere, e nel corpo a
corpo combattevano, in genere, con la spada.
Ma quel giorno tutti volevano mettere in mostra ciò che si
erano portati dietro dalla loro lontana terra, per mostrarsi ai nemici come
esseri forti e magnifici. Fermei, a
quella vista, diede subito ordine ai suoi ufficiali di radunare tutti gli
uomini al centro dell’accampamento, mentre lui si accingeva già a sedersi sul
trono rialzato che aveva fatto sistemare in bellavista già la sera precedente.
Dopo poco, tutti i
suoi uomini si erano radunati in cerchi attorno a lui, in silenzio. Parecchi di
essi non riuscivano a vedere il Gran re, poiché non riuscivano a starci nel
piazzale centrale già gremito, e si limitavano a stare negli spazi tra le prime
tende, pronti ad ascoltare ciò che doveva dire il loro comandante.
Fermei, quando vide
che tutto era a posto e che gli ufficiali erano tutti vicino a lui, iniziò a
parlare.
‘’Miei abili soldati,
il giorno tanto atteso è giunto. Tra poco combatteremo la nostra ultima
battaglia. Innanzi tutto, mi sembra giusto riferirvi che proporrò una resa
incondizionata a Fortwar. Se la città ci aprirà le porte, noi entreremo da
vincitori e non la distruggeremo. Il caso più probabile, però è quello che gli
imperiali non si arrendano. Ebbene, noi ingaggeremo uno scontro, e vinceremo.
Solo allora, dopo aver annientato il nemico, prenderemo possesso della città,
ma nessuno dovrà compiere saccheggi fintanto che non vi sarà dato l’ordine dai
vostri superiori. Ora, invece, andatevi a cambiare ed indossate il vostro
solito abbigliamento da guerra. Quello che stiamo per affrontare sarà una
battaglia fondamentale per il nostro futuro, e non una parata per mettere in
mostra le vostre belle ed inutili armature. Andate nelle vostre tende a cambiarvi,
ed entro un’ora vi voglio pronti ed armati di sole spade, asce e lance. Niente
mazze ferrate, al massimo qualche giavellotto. Parecchi di voi dovranno salire
sulle scale, ed essere agili, in modo da conquistare rapidamente i bastioni.
Naturalmente, chiunque disubbidirà anche solo ad una di queste cose che vi ho
appena detto, sarà frustato e decapitato sul posto. A dopo’’, disse Fermei,
abbandonando il suo scranno.
Un lieve malumore si diffuse tra i suoi soldati. Vestirsi da
bellimbusti forse era servito a loro per sfogare un po’ la tensione accumulata,
ed ora invece toccava loro rivestirsi con quei soliti abiti leggeri e logori
che indossavano ormai da quasi un anno. Ma d’altronde il re sapeva che i suoi
uomini non avrebbero saputo né combattere né scalare, con quelle pose così
forzose e rigide.
Fermei vide che tutti erano indaffarati a risistemarsi, e
richiamò gli ufficiali per dare gli ultimi ordini di schieramento.
Disse di far schierare tutte le truppe al gran completo.
Fanti armati di lancia e spada nelle due prime linee, fanti semplici con
giavellotti, spada e pugnale corto
schierati nel centro dell’esercito per dare maggior stabilità, mentre la
piccola e limitata cavalleria sarebbe stata posta ai lati dello schieramento.
Lo schieramento doveva essere rigido, in modo da risultare impressionante ai
nemici che li avrebbero osservati da sopra la cinta muraria, e nessuna parte di
esso doveva muoversi di testa propria. Almeno, fintanto che non avessero
raggiunto le mura della città. Solo allora i soldati avrebbero dovuto rompere
gli schemi, tentare di passare sulle
passerelle di legno e successivamente di salire fino ai camminamenti, mentre i
cavalieri, muniti di arco e faretra, avrebbero tentato di colpire i difensori
dal basso. Nel caso gli imperiali avessero deciso di uscire allo scoperto, si
sarebbero comunque trovati di fronte ad un’armata formidabile.
Parecchi schiavi sarebbero stati momentaneamente sistemati
nelle retrovie. Loro avrebbero dovuto posizionare le passerelle di legno e
portare le scale fin sotto le mura.
Dopo aver sistemato
bene tutta la faccenda dell’organizzazione, Fermei si diresse verso le retrovie
dell’accampamento, per salutare Ilse. Ora, si sentiva pronto per vederla,
pensando che fosse ingiusto non andarla a salutare in un giorno così importante
per tutti.
Ma proprio quando stava per giungere al suo carro, spuntarono
i Demoni.
‘’Sire, dove stai andando? Qui ormai non c’è più nessuno’’,
dissero.
Fermei sorvolò sulla loro insubordinazione, poiché nessuno
poteva rivolgere domande al re, che comunque notò che quei mostri erano strani.
I loro volti continuavano ad esprimere sofferenza, ma qualcosa, nel loro
comportamento, era cambiato. Comunque, non badò a loro e continuò a seguire la
sua direzione.
Improvvisamente, la sua mente provò un po’ di panico, per poi
essere sconvolta da un dolore lancinante. Fermei si prese la testa tra le mani.
‘’Re, d’ora in avanti tu farai quello che ti diremo noi, se
ci tieni alla tua vita. Non cercare Ilse, ma preparati allo scontro e fai organizzare
una bella scenetta divertente. Divertente per noi, ovviamente’’, dissero quelle
dannate creature.
Fermei continuava a star male, la testa gli pulsava, e aveva
dolori ovunque. Nonostante tutto, trovò la forza per rispondere male.
‘’Chi vi credete di essere, mostri? Io non mi faccio dare
ordini da nessuno. Andate via’’, disse il re, spaventato.
Ma i Demoni si incupirono, e chiusero i loro orribili occhi
privi di pupille. Il re andò nel panico, mentre la sua mente veniva sconvolta
da una serie di sensazioni a lui sconosciute. Un terrore primordiale si
impossessò del suo corpo e della sua mente, e gridò forte. Poi, dopo alcuni
attimi, tutto cessò.
‘’Allora, re, farai
ciò che ti diremo noi senza tante storie o dobbiamo essere più convincenti?’’,
chiesero i Demoni, mentre sul loro volto si andava a stampare un pittoresco
sorriso. Erano pronti a fargli del male.
Fermei si guardò
attorno. C’erano pochi uomini nelle vicinanze. Lanciò un forte grido, per
attirare la loro attenzione. Ma nessuno gli badò.
‘’Qualcuno mi aiuti!’’, gridò nuovamente, senza alcun
risultato.
Tornò a guardare i
Demoni. Loro lo stavano fissando, con un espressione divertita.
‘’Grida quanto vuoi, re. Nessuno ti sentirà. Benvenuto nella
nostra dimensione! Pensa, anche Ilse e John ci hanno fatto un viaggetto, poco
fa’’, dissero, con fare quasi allegro.
‘’Cosa avete fatto a
Ilse?’’, chiese Fermei, spaventato.
‘’L’abbiamo
semplicemente tolta dalla scacchiera. Ora, è una pedina in meno, proprio come te. Ti consigliamo di
arrenderti a noi, e di goderti gli ultimi attimi di questo pericoloso gioco’’,
dissero.
‘’Portatemi rispetto, mostri! Sono quello che vi ha fatto
risvegliare e quello che vi ha nutriti per tutti questi mesi, caspita! Cosa
avete fatto alla mia amata?’’, gridò Fermei, fuori di sé.
Il re era confuso. Quei mostri parlavano di scacchiera, di
gioco e di pedine, e lui non riusciva a comprendere a fondo tutto. Sguainò la
spada, anche se sapeva che non poteva fare molto contro quei mostri.
‘’Bene, abbiamo visto che non vuoi collaborare. Sei una
pedina indispensabile per il nostro gioco, quindi prenderemo possesso del tuo
corpo. Addio, re!’’, dissero nuovamente i Demoni.
Fermei, in preda ad un panico cieco, decise di darsela a gambe.
Erano troppo forti per lui. Si girò e prese a correre verso la foresta. Ma finì
a sbattere contro un muro invisibile.
‘’Fermo, Fermei, sei nostro adesso.. sei il nostro
giocattolo’’, dissero i Demoni, avvicinandosi, parlando con una voce demoniaca
ma estremamente infantile. Una voce che poteva far rabbrividire anche il più
impavido degli eroi.
Fermei cercò di
rialzarsi da terra, ma non ci riuscì. I Demoni gli si avvicinarono in cerchio,
e si chinarono per togliergli la corona.
‘’No!’’, gridò il re,
disperato.
Dai suoi occhi iniziarono a scendere lacrime, mentre malediva
quel giorno ormai lontano in cui aveva inviato Shon, il suo miglior amico, a
risvegliare quei mostri. E ora stava pagando le conseguenze della sua azione.
Aveva perso la sua donna, suo figlio, il suo esercito, ed era
stato cacciato in chissà quale dimensione parallela. Ora giaceva a terra,
incapace di muoversi e senza corona. E, probabilmente, tra poco sarebbe morto.
I demoni stettero posizionati sopra di lui, a fissarlo.
Sembrava stessero traendo godimento dalla sua situazione.
Fermei continuò a
maledirsi per la propria stupidità. Si era lasciato abbindolare per quasi un
anno da quegli esseri, senza neppure comprendere le loro vere capacità, e l’odio
che provavano verso di lui. Si sentì un inetto, uno stupido.
Poi, la mano di un
Demone si avvicinò al suo volto. Il re voleva sottrarsi al suo tocco, ma non ci
riuscì.
Quella mano gelida, che un tempo era stata la mano di uno dei
suoi soldati, una mano calda e amica sulla quale fare affidamento nei momenti
di difficoltà, ora era una mano gelida, in grado di seminare solo morte e
distruzione.
La sua gelida carezza lo fece gridare di dolore, mentre tutto
attorno a lui si faceva buio.
Fermei rimase solo, per un istante, in compagnia della sua
coscienza, che andava affievolendosi. Una fitta lancinante tornò a trafiggere
il suo corpo, un corpo che ormai non riusciva più comandare, mentre nel buio
esplodevano mille luci, simili a stelle lontane.
Il Gran re, ormai in preda di quella visione, le guardò per
un attimo. E queste parvero prendere i volti delle persone che aveva condannato
a morire tra le fauci dei Demoni. Tutti sorridevano, con ghigni malvagi.
Lui si limitò ad osservare, non aveva più la facoltà di
gridare o muoversi. Neppure di respirare.
Poi, le mille luci
esplosero, provocando un boato che distrusse il suo ultimo spiraglio di
coscienza, e si trovò, in un ultimo istante, a pensare a Ilse, al loro bambino
e al loro futuro, se solo lui fosse stato più attento nel passato.
Ilse, la bella Ilse,
la più bella ragazza che lui avesse mai visto… e che lui avesse mai condannato,
grazie ad un suo errore, all’infelicità eterna. Sapeva quanto quella bellissima
fanciulla adorasse l’idea di diventare una grande regina. Ma ora non lo sarebbe
diventata mai. Quella era la fine del suo sogno. La fine di entrambi e della
loro futura famiglia.
Fu così che l’ultimo barlume di coscienza del Gran re svanì,
mentre la sua ultima essenza veniva inghiottita in un abisso nero, pieno di
dolore e di odio. Un abisso dal quale nessuno aveva mai fatto più ritorno.
Il re era morto.
Pochi minuti dopo, il Gran
re si stava dirigendo verso il suo esercito schierato.
Il suo passo era
lievemente rigido, e non rivolgeva sorrisi o sguardi a nessuno, come invece era
suo solito fare. Nessuno, però, si accorse che c’era qualcosa di strano in lui.
O, meglio, nel suo corpo.
L’esercito degli Sconosciuti era schierato di tutto punto, ed
era pronto a muoversi verso Fortwar. Fermei fece un gesto con il braccio
destro, e il grande esercito si mise in marcia.
La marcia durò per alcuni minuti, fintanto che l’esercito non
si trovò al limitare della zona sicura, oltre la quale poi sarebbe iniziata a
cadere la pioggia di frecce degli imperiali, che nel frattempo stavano fissando
la scena dai bastioni e dai camminamenti della capitale.
A quel punto, Fermei alzò nuovamente il braccio destro,
facendo fermare l’avanzata del suo esercito.
Senza dire nulla, due dei Demoni si fecero strada tra i
soldati, e portarono a spalla lo scranno intarsiato sul quale il re sedeva
durante le riunioni con gli ufficiali.
Giunti vicino al re, posarono lo scranno e fecero un lieve
inchino, mentre un terzo Demone si avvicinò da dietro, sistemandogli la corona
sulla testa. Poi, i tre si allontanarono di qualche passo, mentre tutti gli
Sconosciuti erano immersi nel silenzio, curiosi di conoscere le intenzioni del
loro re, e perché ci fossero solo tre Demoni invece che i soliti nove. Non si
erano mai separati fino a quel momento.
Intanto Tim, Sergej, Sam, Bad, Lee, Smith e i capi delle
creature magiche stavano osservando la scena dai camminamenti delle mura di
Fortwar.
Tim si chiese il
perché di quella improvvisa scenata. Ma ben presto i suoi dubbi trovarono
risposta. Il Gran re parlò. Ma non con una voce umana, bensì con una voce
demoniaca, alta e potente, talmente tanto forte da creare un eco tra le mura
della città e la foresta, e da essere ben comprensibile per chiunque si
trovasse all’interno della capitale assediata.
‘’Questo messaggio è rivolto a voi, che state asserragliati
dentro le mura di Fortwar. Aprite la porta principale della città e
accoglietemi come vostro signore assoluto, e consegnatemi i vostri generali.
Arrendetevi a noi, non c’è più nulla che vi possa salvare. Se decidete di
arrendervi, sventolate una bandiera bianca da sopra le mura, ed aprite la porta
principale. Se invece scegliete di combattere, scagliate un paio di frecce. A
voi la scelta’’, disse il Gran re.
Un mormorio di voci percosse le file degli Sconosciuti, che
non riuscivano più a riconoscere il loro re, che aveva pure cambiato voce,
sembrando più un Demone che un umano, mentre da dentro le mura di Fortwar si
alzò il ruggito della folla. Nessuno voleva aprire la porta al male e a quegli
esseri demoniaci.
Ancora prima che Tim e
Sergej si consultassero tra loro, una ventina di frecce partirono dai bastioni,
e andarono a conficcarsi nella terra, a pochi passi da Fermei.
Il re mostrò un ghigno malvagio, e poco dopo fece una risata
talmente tanto demoniaca da far accapponar la pelle a tutti.
‘’Bene, avete fatto la scelta giusta. Che il divertimento
abbia inizio’’, concluse il re.
Tim e Sergej si
guardarono, spaventati. Quello non era un umano, era un mostro. E chissà cosa
intendeva per divertimento.
NOTA DELL’AUTORE
Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J
Fermei è morto. Ora, i Demoni hanno preso possesso del suo
corpo.
Quei mostri sono scatenati, e chissà se riusciranno a portare
a termine la loro missione. Ormai, comunque, tra gli Sconosciuti non c’è più
nessuno in grado di affrontarli.
Ammetto che far morire Fermei è stato doloroso anche per me,
mi ero affezionato a lui. Ma è stato necessario. I prossimi capitoli saranno un
po’ violenti, ma niente di eccessivo.
A mercoledì, allora J grazie ancora J
|
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Capitolo 39 *** Capitolo 39 ***
Capitolo 39
CAPITOLO 39
Tim e Sergej, insieme ai due giovani maghi di Huru e a Sam e
Bad, se ne stettero a guardare passivamente quello che i Demoni e il Gran re
stavano per fare.
Quel Gran re non era più quello di un tempo, e sicuramente la
sua voce e il suo comportamento non erano umani. Il suo corpo se ne rimase
rigido sul trono, mentre i sei Demoni mancanti usciva vano dall’accampamento,
trascinando qualcosa.
Per Tim tutto ciò non aveva più senso. Si era aspettato una
battaglia, e che i nemici avessero tentato in tutti i modi di ingaggiare uno
scontro fisico, mentre ormai si parlava di scene divertenti e di giochi.
Naturalmente, tutto in senso strettamente negativo, come veniva ricordato ogni
volta che il re apriva la bocca.
Ben presto, fu chiaro cos’era ciò che veniva trascinato a
forza dai Demoni; era un uomo incappucciato e legato.
I sei Demoni non si fermarono di fronte al re, ma
proseguirono, inoltrandosi fin quasi sotto le mura di Fortwar. Gli arcieri
iniziarono a scoccare frecce, ma queste venivano deviate, come se ci fosse una
parete invisibile a dividere i Demoni dalla realtà. Gli arcieri, dopo poco,
smisero di tirare frecce, tanto era evidente che non avrebbero avuto risultati.
Tutti coloro che erano sui camminamenti di Fortwar, e sui
bastioni, si accalcarono per vedere quello che stava per succedere. I Demoni
tirarono su il prigioniero, e appena giunsero in un punto dove gli assediati
potevano vedere meglio la scena, tolsero il cappuccio all’uomo legato. E tutti
lo riconobbero; era il vecchio generale John.
Tim lo riconobbe subito; era parecchio invecchiato, ma ancora
ben riconoscibile. Non aveva più quell’aria fiera come quando Tim e Sergej
l’avevano conosciuto, e il suo sguardo sembrava perso. John all’improvviso alzò
il suo volto verso l’alto, e probabilmente vide e riconobbe Tim, visto che si
soffermò il più possibile a guardare verso di lui, e un barlume di coscienza
comparve sul suo volto.
‘’Miei cari nemici, ho deciso di farvi un regalo. Sì,
mettiamola così, vi voglio fare un dono. Anche se avrete capito che ormai non
c’è più nulla da fare per voi, voglio comunque mostrarvi la fine che fanno i
traditori. Questo, l’avrete riconosciuto, è il generale John, traditore
dell’impero. Io vi offrirò la sua testa, in questo modo mostrerò che la lealtà
e la giustizia sono presenti solo nel mio schieramento, poiché nessuno mi ha
mai tradito, passando dalla parte del nemico’’, disse il Gran re, sempre con un
vocione gelido e d’oltretomba.
Tim notò che i Demoni
non avevano mai parlato fino a quel momento. Anzi, agivano quasi come se loro
stessi fossero un tutt’uno con il re. Improvvisamente, ebbe un brutto sospetto,
mentre ormai era chiaro ciò che sarebbe successo a John.
‘’Procedete’’, disse nuovamente il re, rivolto ai Demoni.
Uno di loro estrasse
una spada, e si avvicinò a John.
Il Demone calò un potente fendente, che tranciò di netto la
testa di John dal suo corpo. Poi, subito dopo, raccolse la testa per i capelli
bianchi, e la piantò su una picca, in bella vista. Poi, abbandonarono il corpo
a terra, e tornarono a riunirsi con i loro tre compagni, che erano a fianco
del re degli Sconosciuti.
‘’Questo è quello che succede ai traditori. Questo è
esattamente quello che accadrà a voi tra poco’’, ribatté il Gran re. Tutti, sia
gli Sconosciuti che gli imperiali, avevano osservato l’inedita scena in
silenzio, sbigottiti. Nessuno si era aspettato di vedere una cosa simile. Grida
rancorose si levarono dalla città di Fortwar, mentre i soldati del Gran re
avevano preso ad agitarsi, in preda ad una strana inquietudine. Nonostante John
fosse accusato dai giudici imperiali di aver contribuito alla disfatta di
Palok, lo spettacolo offerto dai Demoni non era piaciuto.
Poi, accadde nuovamente l’imprevedibile. I Demoni presero la
parola, per la prima volta.
‘’Sire, noi, da bravi
alleati fedeli, vorremmo farle un inchino. Vorremmo mostrarle tutta la
gratitudine che portiamo nei suoi confronti’’, disse la loro forte voce
cavernosa, che tra l’altro era identica a quella che aveva utilizzato il Gran
re fino a quel momento.
I nove Demoni
avanzarono fino ai piedi dello scranno di Fermei, e fecero cenno di
inginocchiarsi, per giurare fedeltà prima della battaglia.
Ma, mentre gli altri si stavano inginocchiando, uno di loro
si alzò improvvisamente, e sputò a terra, proprio di fronte al re. Poi,
estrasse nuovamente la spada, la impugnò a due mani e lo decapitò. La testa di
Fermei cadde a terra, mentre la corona ruzzolò per un po’, fino a fermarsi
vicino ad un cespuglio poco distante.
Tutti erano in preda
alla sorpresa. Tim lanciò uno sguardo esasperato verso Sergej. Non ci stava
capendo più nulla, e notò, dallo sguardo che gli rivolse l’amico, che neppure
lui ci stava capendo qualcosa.
Poi, Tim tornò a fissare i nemici. Il panico aveva travolto
le fila dell’esercito degli Sconosciuti. I soldati, visto quello che era
successo al loro re, presero ad indietreggiare, mentre i Demoni si lanciarono a
raccogliere la corona di Fermei. La raccolsero, e se la passarono tra loro,
fissandola.
Dieci ufficiali anziani dell’esercito del Gran re lasciarono
le loro postazioni, e si lanciarono a spade sguainate verso i Demoni, ma non
riuscirono a raggiungerli. Poco prima di riuscire ad avvicinarsi
sufficientemente per colpirli, gli ufficiali furono sbalzati indietro, e
caddero rovinosamente a terra, ed iniziarono a gridare.
Le loro grida di terrore e morte sconvolsero definitivamente
gli Sconosciuti, e il grosso esercito abbandonò lo schieramento. Tutti i
soldati presero a correre verso l’accampamento, mentre gli ufficiali anziani
morivano sul campo di battaglia, uccisi dai loro stessi alleati.
Poi, i Demoni alzarono
le loro teste verso il cielo.
‘’Il tempo della vita è finito. Il Caos ora tornerà a
riprendersi ciò che è suo di diritto’’, disse la voce dei mostri. Lentamente,
una sinfonia antica, dimenticata, iniziò a farsi strada nel mondo di Fortwar.
Tim cercò di guardare i volti di quelli che aveva a suo fianco. Sam e Bad erano
spariti, mentre Sergej e i soldati sembravano persi, quasi ipnotizzati.
Tim ebbe paura, e
prese a tremare. Non capiva più nulla, e continuava a chiedersi cosa stesse
succedendo attorno a lui.
Poi, iniziò a perdere il contatto con la realtà, mentre i
suoi nervi tornavano a rilassarsi. Quel dolce suono… lui era sicuro di non
averlo mai udito in vita sua. Però, alle sue orecchie appariva come qualcosa
che faceva parte di lui, mentre provava la quella strana sensazione che si
prova quando torna alla mente un ricordo che si credeva dimenticato o
definitivamente perso.
Tutti gli umani attorno a lui erano concentrati su sé stessi,
erano concentrati sulla loro morte.
Tim iniziò a perdere le forze, mentre si lasciava trasportare
da quell’arcana sinfonia, che continuava ad accrescere nella sua mente, e
intravide che alcuni dei suoi soldati erano già crollati al suolo. Dopo pochi
attimi, sentì un qualcosa di gelido sfiorargli il volto, come se fosse una
mano. Sentì che stava perdendo l’uso del suo corpo, mentre attorno a lui si
stava facendo tutto buio. Poi, rimase solo con la sua coscienza, mentre nel
buio apparvero tante luci. Lui le guardò, mentre sentiva la sua coscienza
affievolirsi.
Improvvisamente, un’incredibile ululato scosse l’aria,
interrompendo la sinfonia magica. Tim rinvenne, e si trovò in preda al panico.
Non sapeva neppure per quanto tempo era rimasto in sotto i
potenti flussi di quello che doveva essere un potentissimo ed antico
incantesimo. Anche Sergej si era
ripreso, e si stava guardando intorno, disperso. Poi, inaspettatamente, i
grossi lupi guerrieri piombarono su di loro, guidati da Wolfy.
‘’Via di qui! Andate giù dalle mura, umani!’’, gridava
incessantemente il capobranco, prendendo a morsi i soldati che restavano ancora
in uno stato d’incoscienza.
Subito, sia Tim che
Sergej presero a scendere lungo la stretta scalinata che portava giù sulla
strada principale, spinti da dietro dai soldati, che nel frattempo si erano
risvegliati tutti, e non volevano beccarsi dei morsi.
Tim continuava a
sentirsi completamente rapito dagli eventi, non ci capiva più nulla. L’unica
cosa certa era che qualcosa di superiore era intervenuto nel conflitto.
Qualcosa di superiore agli esseri umani.
Appena si ritrovò
nella strada principale, si fece da parte e prese a dirigersi verso la porta
principale.
‘’Tim, fermo! Stai qui, abbiamo immediatamente bisogno di
te!’’ disse Wolfy, sfiorandogli una mano con il muso. ‘’Seguimi’’, ribadì il
lupo poco dopo.
Tim lo seguì, e si ritrovò di nuovo a rifare una parte del
percorso che aveva fatto solo pochi istanti prima, e si recò sui bastioni.
Lì ritrovò tutti i suoi amici; c’erano Sergej, Sam e il suo
gemello, i due giovani maghi e i capi delle creature magiche, tutti assorti a
guardare quello che stava succedendo su quello che doveva essere il campo di
battaglia. Tim si unì immediatamente a loro, giusto in tempo per vedere tutta
la scena.
I nove Demoni si stavano rotolando a terra, sembrava fossero
in preda a dolori tremendi, mentre tutti gli Sconosciuti erano tornati al loro
accampamento.
Ad un tratto, i Demoni si rialzarono ed estrassero nuovamente
quel pezzo di roccia che avevano già utilizzato a Vargan, e lo posarono a
terra. Poco distante, posarono anche la corona del re dei nemici. Poi, sempre
con fatica, si disposero in cerchio attorno ad essi, e presero a gridare forte.
Improvvisamente, nello spazio tra la roccia e la corona
esplosero delle scintille, che divennero fiamma. Una fiamma nera come la pece.
Le creature magiche sussultarono, mentre Tim continuò a guardare ciò che stava
accadendo poco più un basso.
La fiamma prese a crescere, e pian piano perse la forma di un
fuocherello per divenire qualcosa dalle sembianze mostruose. Poi, i Demoni smisero di gridare, e i loro
corpi umani si accasciarono al suolo, definitivamente senza vita.
In compenso, la figura
mostruosa accrebbe all’inverosimile, e lanciò un grido demoniaco. Sui bastioni,
tutti sussultarono.
Un vento gelido iniziò a travolgere tutto, mentre una foschia
densa iniziò a spandersi nel cielo, nascondendo la luce del sole. Su Fortwar
calò una penombra innaturale, mentre la forma mostruosa prese delle sembianze
quasi umane. Aveva due lunghe braccia, e mani con lunghe dita. Alla fine,
spalancò gli occhi, che erano rosso sangue.
‘’Chiunque abbia
interrotto l’antico sortilegio che stavo rievocando poco fa, il sortilegio che
avrebbe stregato tutti gli umani, sarà punito. Anzi, tutti sarete puniti,
perché il Principe del Caos è tornato!’’, gridò quell’essere, con una voce molto
simile a quella che utilizzavano i Demoni. Quel mostro era un gigante composto
da una materia oscura. Tim si girò improvvisamente verso le creature magiche.
‘’Ora dovete spiegarci qualcosa. Cosa significa tutto
questo?’’, chiese frettolosamente. Fu Jack, il capo dei folletti, a dargli la
risposta.
‘’Significa che
abbiamo sbagliato tutto, fin dall’inizio. Credevamo che i Demoni fossero solo
spiriti maligni, invece erano le parti che componevano il Principe del Caos.
Ora si sono riunite. Il Principe del male è tornato’’, disse jack, rivolgendosi
a tutti i presenti.
‘’Cosa possiamo fare?
Spiegatecelo, ve ne prego, perché noi non stiamo comprendendo più nulla’’,
disse Tim, notando i volti sconcertati degli altri uomini.
‘’C’è poco da dire o
da fare, ma partiamo dall’inizio. Tutto quello che è successo dall’inizio, da
quando i nemici si sono fermati di fronte alle nostre mura fino alla
decapitazione del re, era un modo per vendicarsi e per irridere voi umani. Niente
di che, il Principe è abituato ad agire in modo violento e casuale. I Demoni,
infatti, erano le parti divise del Principe, ed hanno finto di essere creature
pressoché innocue fino a poco fa, mentre in realtà stavano accumulando energia
e prendendo tempo per giungere al punto giusto. Il re degli Sconosciuti era già
morto, quando si è seduto sul trono, e il suo corpo era posseduto da quelle
entità malvagie. Poi, han messo in scena le decapitazioni per spaventare gli
assediati, e anche per completare l’estrazione dell’anima del generale, ed
hanno estratto la pietra contenente la forza benigna di Huru e la corona del
re. Infatti, al Principe, per ritornare al suo stato primordiale, servivano
l’immensa forza di una divinità, la corona di un grande re guerriero, l’anima
di trentamila umani e la coscienza di un grande generale. E durante tutto
l’anno in cui sono stati svegli, i Demoni hanno raccolto tutti gli elementi che
servivano a loro per tornare ad essere un tutt’uno. Ed ora ecco il risultato;
il Principe del Caos è di nuovo tra noi ’’, disse Wolfy, che prese un ‘attimo
di respiro, prima di continuare.
‘’Poco fa, ha cercato di incantarvi con l’incantesimo Arcano,
quello più antico di tutti, nonché lo stesso con cui ha formato questo mondo.
Però, noi creature magiche ne siamo immuni, almeno all’inizio, e siamo riusciti
a salvarvi. Poi, con il mio popolo vi abbiamo presi a morsi per farvi scendere
dai camminamenti, perché lì eravate bersagli facili per questo mostro. Ed ora…
non lo so’’, concluse il grosso lupo.
Tim ora aveva tutto un po’ più chiaro, ma non aveva tempo per
metabolizzare il tutto. Bisognava intervenire subito, per distruggere quel
mostro del male.
‘’Cosa dobbiamo fare per distruggere quel mostro gigante?’’,
chiese Tim, senza tanti giri di parole.
L’orribile essere, intanto, si stava ancora dimenando, mentre
nella città di Fortwar tutti gli abitanti stavano gridando dal terrore.
‘’Nulla. Noi non possiamo fare nulla. Il tuo esercito,
generale Tim, non può combattere contro il Principe, così come non possiamo
combatterlo noi creature magiche. Siamo troppo deboli per farlo. E i due maghi
non hanno neppure più la magia’’, disse uno degli elfi, che se ne stava un po’
in disparte.
‘’E quindi?’’, domandò ancora Tim.
‘’Quindi siamo tutti spacciati. Tra poco, quella creatura ci
inghiottirà tutti, e tutti noi moriremo, tornando nell’infinito che ha generato
la materia di cui siamo composti milioni di anni fa’’, ribatté l’elfo, con aria
abbattuta. Tim sapeva che l’elfo non mentiva.
‘’Perché non ce l’avete detto prima? Magari potevamo
intervenire tempestivamente, e fermare in tempo il processo di ricostituzione
del mostro’’, disse ancora Tim.
‘’Impossibile. Prima
di tutto, neppure noi avevamo compreso la gravità della situazione. Poi,
nessuno, a parte il Grande drago, può sconfiggere o rallentare questo essere,
perché è l’unico ormai ad avere forze sufficienti per tenerlo a bada. Loro due
sono gli unici due potentissimi creatori. E il grande drago non è qui con
noi’’, disse Wolfy, con fare rassegnato.
‘’Gua.. Guardate!’’, disse Sergej, tentennando. Tutti si
girarono verso di lui, e seguirono il suo dito alzato, che puntava verso
l’esterno. Dietro alla massa informe e mostruosa dal principe del Caos, la foresta
era scomparsa. Al suo posto, c’era una vasta pianura arida. Proprio in quell’istante,
forti grida si alzarono dall’interno di Fortwar.
‘’Al fuoco! Al fuoco!’’, gridava la gente, in preda al panico.
Un istante dopo, un giovane soldato trafelato fece apparve di
fronte ai capi riuniti.
‘’La città va a fuoco, generali! Si appiccano incendi
ovunque, senza che nessuno li abbai provocati!’’ gridò il ragazzo, che poi
cadde riverso al suolo, morto. Tim indietreggiò, seguito da tutti gli altri.
‘’Cosa significa tutto
ciò?’’, chiese sergej.
‘’Ricordate quella storia che raccontò il vecchio nano il primo
giorno che noi creature magiche entrammo in contatto con gli abitanti della
capitale? Sì, eravate tutti presenti, ricordo che Sam era pure intervenuto.
Ebbene, il Principe del Caos sta distruggendo questa dimensione, facendola
collidere altre. Le conseguenze di ciò sono che prima della fine, scoppiano
strani incendi e i mondi si mescolano… prima che tutto esploda’’, disse ancora
Jack, tentennando.
‘’Ma quale Principe arriva a distruggere il suo regno e tutto
ciò che ha creato?’’, disse Sam, che fino a quel momento aveva ascoltato in
rigoroso silenzio.
‘’Un Principe che ama
vivere nel caos’’, disse semplicemente un elfo, scrollando le spalle.
‘’Tra poco faremo la stessa fine di questo soldato. Moriremo
così, poi scompariremo per sempre’’, disse ancora Jack. In quell’istante, le
mura di Fortwar tremarono.
‘’Qui, tra poco crollerà tutto, e la realtà, così come la conosciamo
noi, sparirà per sempre. E non c’è nulla che noi possiamo fare per fermare
tutto questo’’, ribadì Wolfy. Ormai erano tutti pronti a morire, con gli occhi
spalancati a causa del panico, e con la risata demoniaca del mostro che
risuonava ovunque.
‘’E’ finita. Moriremo tutti!’’ disse uno degli elfi,
spaventato.
‘’Se solo potesse
intervenire il Grande drago…’’, disse tra sé e sé Jack.
A quel punto, Bad iniziò a strattonare Sam.
‘’Fratello, tira fuori
la sfera’’.
‘’Cosa?’’, ribatté Sam, sorpreso.
‘’La sfera, caspita! Il regalo che ti ha fatto il Grande
drago’’, continuò Bad.
Sam a quel punto ricordò e infilò la mano dentro la bisaccia
verde, che si portava sempre dietro. E lì, calda al tatto, c’era la sfera luminescente,
il regalo del drago. A Sam tornarono i
mente le parole del capo delle creature magiche, e sapeva che doveva
romperla e chiamare quel nome. Capì che doveva agire subito.
‘’Vai!’’, disse Bad, spingendo Sam.
Mentre tutti li stavano
guardando sbalorditi, Sam prese la corsa e d iniziò a salire l’ultimo pezzo di
scale che conducevano ai camminamenti. Appena uscì allo scoperto, prese a
correre fino ai merli delle mura, e tirò fuori la sfera.
Sotto di lui, c’era l’inferno. Fortwar era in fiamme, mentre
il Principe del Caos era impegnato a distruggere l’accampamento degli
Sconosciuti. Attorno a lui tutto stava cambiando, compreso il paesaggio. Capì
che non restava molto tempo.
Strinse con forza la
calda sfera e la gettò giù dalle mura.
‘’Diamond!’’, gridò, con tutta la sua forza.
In quell’istante, l’essere mostruoso si volse verso di lui, e
con una velocità incredibile si gettò verso la sfera, che cadeva dritta verso
la terra. Sam per un attimo temette il peggio, pensando che forse il mostro
sarebbe stato in grado di frenarne la caduta.
Appena il Principe del Caos la sfiorò con una sua grande mano
scura, gridò forte e si ritrasse, non riuscendo a trattenerla. La sfera
continuò la sua caduta, e appena toccò terra, finì in mille frantumi, mentre il
liquido bianco fluorescente prese a spargersi sul terreno circostante.
E la luce tornò nel mondo di Fortwar.
Ilse era sbigottita.
Il suo re, il suo
fermei, il padre di suo figlio, era morto per mano di quei mostri. Il Principe
del Caos era riuscito a tornare, e stava distruggendo il mondo di Fortwar.
Anche John, il vecchio generale imperiale, era morto.
E lei si sentì inutile, poiché non era riuscita ad avvisare
nessuno. Si perdonò da sola, poiché d’altronde era vittima di un sortilegio che
le impediva pure di parlare.
Ma non si perdonò il fatto di non aver mai avvisato Fermei
dell’odio che provavano i Demoni nei suoi confronti, e del fatto che quei
mostri avessero più volte accennato ad una brutale vendetta. Forse, se ne
avesse parlato con il re, lui sarebbe riuscito a liberarsi di quei mostri prima
che avessero potuto raccogliere così tanta forza.
Ma ora Fermei era morto, Fortwar bruciava, e l’intero mondo
stava crollando sotto i sortilegi del Principe del Caos, che era tornato per
riprendere possesso del suo antico regno. Ilse perse le sue ultime forze, e si
accasciò al suolo.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti J
Questo è stato senz’ombra di dubbio il capitolo più duro da
scrivere. Qui ho iniziato seriamente a tirare le somme del racconto. Spero
almeno che sia stato di vostro gradimento J
Grazie per aver letto anche questo capitolo J spero vi vada di farmi sapere se vi
è piaciuto J
Grazie, ancora, a tutti J a sabato J
|
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Capitolo 40 *** Capitolo 40 ***
Capitolo 40
CAPITOLO 40
La sfera, appena toccò terra, si frantumò.
Il liquido fluorescente che era contenuto al suo interno
schizzò via e si sparse nel terreno circostante. Sam, per un istante, non notò
nessun cambiamento. Si chiese se aveva dimenticato qualcosa. Forse aveva
dimenticato una parte di una qualche formula, o chissà cos’altro. Lo sconforto
prese a crescere in lui.
Poi, però, dopo alcuni minuti di stallo, il liquido
fuoriuscito dalla sfera distrutta iniziò a prendere una colorazione verde
intenso.
Poco dopo fu subito raggiunto da tutti i capi delle creature
magiche e da Tim, che si misero anch’essi ad osservare la scena.
Sam rimase fin da subito stupito da quel colore; quel verde
così intenso l’aveva visto solo una volta, quando si trovava nel mondo magico.
E fu a quel punto che ebbe un presagio. Dopo poco, capì che ciò che aveva
gettato dalle mura della capitale non era un semplice oggetto, ma era il
contenitore dell’essenza del mondo magico, racchiusa lì dentro in tempi
antichissimi dal Grande drago.
Il liquido, sempre più verde, continuò a spargersi sul
terreno sabbioso sotto le mura della capitale, e in pochi istanti ne ricoprì
una vasta area. Il Principe del Caos se ne stette fermo, inerte a guardare
quello spettacolo, come se anche lui fosse ipnotizzato da quel verde.
Fu così che la terra prese a tremare, e un ruggito selvaggio
surclassò tutti i rumori del mondo di Fortwar.
Improvvisamente, dal liquido verde iniziarono ad uscire strane
forme, che divennero ben presto molto chiare. Sam gridò dalla felicità non
appena vide il Grande drago formarsi e sollevarsi in piedi, continuando a
ruggire.
Attorno a lui, presero a materializzarsi miriadi di creature
magiche, che lui aveva già incontrato nel loro mondo. Il Grande drago divenne
di grosse dimensioni, e diventando talmente tanto grande da riuscire quasi a
surclassare il Principe del Caos, che se ne stava ancora immobile, a guardare.
Mentre la piana sotto le mura di Fortwar si riempiva di
migliaia di creature, il Grande drago smise di ruggire e di crescere, e puntò i
suoi gelidi occhi di ghiaccio sul Principe del Caos. Il Principe, a quel punto,
rise.
‘’Finalmente ci rincontriamo, vecchio drago’’, disse il Principe,
smettendo di sghignazzare.
‘’A quanto pare, sì.
Pensavo di non doverti più rivedere, dopo la brutta sconfitta che ti ho inflitto
nell’antichità’’, rispose il Grande drago, serio.
‘’Oh, Grande drago, lo hai sempre saputo che sarei tornato.
L’ho promesso prima di venire diviso in nove parti. E io le promesse le
mantengo sempre’’, disse il mostro gigantesco, beffardo.
‘’Hai combinato un bel disastro. Si vede che sei tornato. Ma la
tua presenza in questo mondo non durerà a lungo’’, disse il drago, guardandosi
attorno. A quel punto, il Principe scoppiò nuovamente a ridere.
‘’Drago, è tutto finito
ormai. Non puoi più fermarmi, nessuno può fermarmi. Ora ho raccolto tutti gli
elementi che mi servivano per raggiungere la mia continuità nel tempo; tu, con
la tua magia e i tuoi poteri, non puoi nemmeno sfiorarmi’’.
‘’Ne sei certo?’’, disse il drago, che pronunciò una formula
magica.
In pochi istanti, gli incendi magici che stavano distruggendo
la capitale si spensero, e il deserto smise di inghiottire la foresta, che
riapparve così com’era prima del ritorno del male.
‘’Bene, vedo che hai fatto qualche progresso. Ma non basta.
Ora sei riuscito a fermare il caos e la sua forza distruttiva, ma non me. Io ti distruggerò, poi tornerò a
completare la mia opera. A meno che tu non voglia scendere a patti’’, disse il Principe.
‘’Non scherzare.
Affrontami’’, rispose il drago, con fare sicuro.
‘’Io e te, se diventiamo alleati, possiamo fare tutto ciò che
ci pare di questo mondo. Possiamo fondare realtà nostre e distruggere questa,
creare creature e nuovi mondi a nostro piacimento. D’altronde, siamo gli unici
due creatori, possiamo andare d’accordo. Se ti allei con me, ti prometto che
non toccherò nessuna delle tue creature. Voi potrete vivere in pace in una
vostra dimensione, così come avete fatto fin ora, e io mi accontenterò di
questa’’ disse il Principe. Fu il Grande drago a ridere, questa volta.
‘’No, demone, la tua
era sta per finire. Non siglerò nessun patto con te, neppure costo di morire’’,
disse il drago.
‘’E tu moriresti e sacrificheresti la tua vita per un pugno
di esseri umani? Sai anche tu quanto sono infidi, ti hanno già cacciato una
volta. Divertiamoci a distruggerli insieme con il loro mondo corrotto, e
ricreiamo due nostre distinte realtà, di cui poi faremo ciò che più ci aggrada.
Dammi retta; diventa mio alleato e lasciami distruggere questo inutile mondo’’,
ripeté il Principe.
‘’No. Ho dato la mia parola agli umani che li avrei aiutati’’,
ribadì il Grande drago, con fare sicuro.
‘’Ma guarda, che senso di onestà. Comunque, tieni presente
che loro torneranno a cacciarti da queste terre, se ne sarà data loro
occasione. Stai dalla mia parte; non te ne pentirai. Avrai un nuovo mondo tutto
tuo, con le tue creature potrete vivere in pace…. Non combattermi, ma
sostienimi’’, continuò il Principe. Il drago ghignò.
‘’Perché la fai tanto
lunga? Ti ho già detto che non mi alleerò mai con te, anche a costo di dover
perire insieme al mio popolo. Hai forse paura di affrontarmi?’’.
‘’Oh, no, Grande drago. Questa volta no. Fintanto che ho gli
elementi, sono invincibile’’.
‘’Esatto. Sarai invincibile fintanto che terrai con te gli
elementi’’, sottolineò il drago.
‘’E come pensi di
riuscire a sottrarmeli, sentiamo?’’.
‘’Che tu sia dannato,
Principe del Caos! Io ti distruggerò!’’, ruggì il drago, facendosi forza.
‘’E va bene, lo
scontro l’hai voluto tu. Ma sarò io a distruggerti!’’, disse il Principe, che
cominciò subito a biascicare sortilegi.
In pochi attimi, una foschia oscura tentò di circondare il Grande
drago, che con fatica prese anch’esso a formulare incantesimi. Il Principe
chiuse quei suoi occhiacci rossi, e prese a pronunciare formule su formule,
mentre il drago subiva gli attacchi con una smorfia di dolore sul suo volto
squamato. Si vedeva chiaramente che stava soffrendo.
Sui camminamenti delle
mura di Fortwar, gli umani avevano assistito a tutta la scena, ed avevano
ascoltato tutti i discorsi. Il primo a prendere la parola fu Tim.
‘’Dalla sua
espressione pare che stia soffrendo’’, disse.
‘’Certo che sta
soffrendo, e pure tanto. Il Principe è troppo potente’’, fece notare Jack.
Improvvisamente, dal nulla apparve Saby. Sam la riconobbe
subito e le si avvicinò, mentre gli altri umani presero ad arretrare,
spaventati dalla creatura, che sorrise a Sam.
‘’Visto? te l’avevo
detto che ci saremmo rincontrati presto’’, disse, ‘’ma ora non c’è tempo per
salutarci a dovere. Dobbiamo combattere’’, continuò l’unicorno.
‘’E come?’’, chiesero
tutti, sbalorditi da quell’affermazione.
‘’Il Grande drago non
potrà resistere a lungo agli attacchi del Principe del Caos. Mi servono tre
volontari umani, tre di voi pronti a tutto, anche a rischiare la vita per
salvare questo mondo, poi vi spiegherò tutto meglio’’, disse l’unicorno.
Sam, Bad, Tim, Sergej, Lee e Smith si guardarono l’un
l’altro. Poi, Tim si fece avanti, senza pensarci troppo. Aveva deciso di
difendere l’impero anche a costo della vita, e l’avrebbe fatto.
‘’Io voglio far
qualcosa. Quasi tutti quelli qui presenti hanno già fatto la loro parte; Sergej
ha risistemato la capitale ed ha lavorato giorno e notte per accogliere i
profughi. Sam e Bad hanno condotto qui voi, attraverso quella sfera, dopo mille
peripezie. Lee e Smith si sono addentrati in lungo e in largo per la provincia
di Fortwar per salvare molte vite, ed hanno cooperato per costruire la città
magica di Vargan. Io, invece, sono stato solo in grado di subire sconfitte.
Quindi, mi sembra giusto combattere ora’’, disse Tim, avanzando verso Saby.
‘’Bene. Questo sì che
è lo spirito giusto. Vedrai, se riuscirai in questa impresa riscatterai anche
il tuo passato, ed entrerai nella storia. Ma non basta. Voglio altri due di
voi, e alla svelta’’, disse l’unicorno, impaziente.
‘’Io e Smith
combatteremo. Ci sembra giusto, poiché quel mostro ci ha strappato la nostra
divinità per farne un suo uso personale. E noi la libereremo’’, disse Lee,
prendendo ad avvicinarsi a Saby, seguito da Smith.
‘’Perfetto, ci siamo. Ora venite con me’’, disse l’unicorno,
abbassandosi. I tre umani si fissarono tra loro, senza sapere cosa fare.
‘’Avanti, salite in
groppa!’’, disse l’unicorno, che scoccò la lingua, facendo apparire altri due
unicorni.
Tim salì in groppa a Saby, e ben presto si trovò a volare
giù, verso la terra sotto le mura esterne di Fortwar, dove avrebbe dovuto aver
luogo la battaglia epica. Ben presto, si ritrovò nuovamente a terra, e scese
dalla groppa dell’unicorno, mentre Lee e Smith erano ancora per aria. Loro non
erano scesi.
‘’Ho selezionato te perché mi sembri quello più motivato
nella missione. Quindi, ora sfodera la tua spada’’, disse Saby. Tim guardò
l’unicorno stupito, e sguainò la spada.
‘’Ora, vedi il liquido
verde, l’essenza del mio mondo? Bene, bagna la tua spada nel liquido. Veloce,
non c’è più tempo’’.
Tim si abbassò, e si avvicinò al liquido verde. Poi, bagnò la
punta della sua spada. In pochi istanti, la spada cambiò colore; la lama divenne
di un azzurro cielo, mentre l’elsa divenne verde intenso, proprio come
l’essenza del mondo magico.
‘’Ora tra le tue mani hai la spada più potente del mondo
conosciuto. Può trafiggere qualsiasi cosa, non teme né urti né fratture’’,
disse l’unicorno, lasciando per un attimo Tim a contemplare la magnificenza di
quell’arma.
‘’Ora basta fissare la spada, è ora di combattere. Ora noi vi
porteremo in volo sul principe del Caos, e vi faremo atterrare sulle sue
spalle. Mentre i tuoi amici sono senza alcuna difesa, loro fungeranno come esca
e saranno vittime sacrificabili, mentre tu, con la tua spada, cercherai di
prendere possesso o della corona reale, o della pietra magica di Huru. Il
Principe sarà molto concentrato nel combattimento contro il Grande drago, ma
cercherà di difendersi in tutti i modi. Con le sue grosse mani tenterà di gettarti
giù e di allontanarti da lui, ma tu colpiscile con la spada magica, e lui non
ti potrà far più nulla. L’importante, è che tu getti via la corona, o la
pietra. Scegli tu. Comunque, ti consiglio di prenderti la corona, che il mostro
si è sistemato sulla testa. Una volta fatto questo, il Principe si ritroverà
lontano da almeno uno dei suoi amuleti e perderà momentaneamente una parte di
poteri. Solo allora il Grande drago riuscirà a dargli il colpo finale’’, disse
Saby, con foga. A quel punto, Tim gli porse un’inevitabile domanda.
‘’E perché non lo fate
voi creature magiche, che sapete pure volare?’’, gli chiese. Saby lo fissò male.
‘’Perché noi esseri che abbiamo la magia nel sangue non
possiamo toccarlo. Il suo corpo, che a te parrà molliccio, per noi è
intoccabile, perché è stregato dalla notte dei tempi, per difendersi dai nostri
attacchi. Solo voi umani, creature semplici e senza poteri, potete toccarlo e strappargli o la corona, o la pietra. Tutto
chiaro?’’, chiese Saby con fare sempre più sbrigativo e irritato.
‘’Sì’’, disse Tim, scrollando le spalle.
‘’Benissimo allora. Avanti, monta su che andiamo, prima che
sia troppo tardi’’, disse ancora l’unicorno.
Tim salì in groppa della creatura, che raggiunse subito gli
altri due in aria. Il grande drago aveva ancora un’espressione sofferente,
mentre il Principe era ad occhi chiusi, ignaro dell’arrivo degli umani, e
continuava a sfornare sortilegi. Poi, tutto a un tratto, il Principe scattò, e
allungò una mano, colpendo in testa il nemico.
Il Grande drago prese a sanguinare e smise di pronunciare
formule magiche. A quel punto, il Principe lo afferrò per il collo, cercando di
soffocarlo e di finirlo una volta per tutte. Il drago tentò di ruggire, ma la
prese del Principe era ferrea. Sarebbe morto a breve.
Infatti, il gigante malefico strinse più forte il collo del drago,
e con una spinta violenta lo scaraventò contro le mura di Fortwar. Poi, con un
incantesimo potentissimo, spazzò via tutte le migliaia di creature magiche che
erano venute in soccorso del Grande drago.
‘’Devi agire in fretta,
o moriremo tutti’’, disse l’unicorno a Tim.
Saby e i due unicorni ad un certo punto fecero una piroetta,
e gettarono giù Tim e i due giovani maghi.
Tim gridò, mentre improvvisamente si trovava a precipitare
verso le larghe ed immense spalle del Principe, che intanto continuava ad
occuparsi dell’avversario.
Poi, cadde, facendo un
tonfo sordo sulla spalla destra del gigante. Si rialzò barcollando, era illeso,
poiché tutto sotto di lui era molliccio ed aveva attutito la caduta. Pian piano,
prese a muoversi. Era solo, poiché Lee e Smith erano sull’altra spalla.
I due maghi umani sembravano formiche sul corpo del Principe,
e questo fece riflettere Tim, che poi dovette riconoscere il fatto che probabilmente
anche lui non doveva apparire molto diverso.
Mentre arrancava, il Principe continuò a non accorgersi di
lui, tant’era preso dalle creature magiche. Troppo facile, si disse Tim.
Poi, però Lee e Smith giunsero al collo, e tentarono di
aggrapparsi all’orecchio sinistro del mostro. Fu allora che il gigante si
accorse degli invasori. Con la manaccia
nera libera, andò a gettare giù i due maghi.
Mentre la mano si muoveva veloce contro di loro, Lee sguainò
la spada, mentre Tim prese a correre, fintanto che non fu alla sommità del
collo.
Quando si voltò a vedere che fine avevamo fatto gli altri due
amici, li vide a terra, morti o privi di sensi. Con una potente manata, il
gigante li aveva sbattuti al suolo.
Il Grande drago ebbe un po’ di respiro, poiché il Principe
aveva lasciato momentaneamente la presa, e riprese a biascicare incantesimi,
cercando di alzarsi dal suolo e distruggendo una parte delle mura della
capitale.
Il Principe, però si accorse anche della presenza di Tim
vicino al suo collo. Prese a muovere la mano verso di lui, per scacciarlo. Tim
tentò di saltare, di afferrare il lobo dell’orecchio e di tentare di arrivare
alla sommità del cranio dov’era posta la corona del re degli Sconosciuti, ma
ben presto fu chiaro che non ci sarebbe mai riuscito e che non aveva più tempo.
La mano del mostro si
avvicinava, e Tim preparò la spada.
Poi, il grosso corpo prese a contorcersi, quasi come per
volerlo far cadere. Tim piantò la spada nella spalla del mostro, e si tenne
forte ad essa, in modo da non sbilanciarsi e cadere. L’essere trafitto gridò
forte, mentre velocizzò la mano.
Ben presto Tim si trovò tra due grosse e immense dita, pronte
a stritolarlo. E fu lì che ebbe un’idea. Estrasse la spada dalla materia del
mostro, e attese per un attimo. Appena le grandi dita del mostro tentarono di
chiudersi su di lui ed afferrarlo, le colpì con la spada, creando un vasto taglio
nella materia oscura. La creatura ruggì di dolore, e scosse la mano, senza spostarla
troppo.
Tim non perse l’occasione, e saltò sulla grande mano ferita.
La trafisse con violenza, e la creatura la alzò, pronta a scuoterla nuovamente.
Ma il ragazzo ora
aveva di fronte a se una grande opportunità e non voleva farsela sfuggire; appena
la mano si alzò verso l’alto, lui balzò sul lobo dell’orecchio e con un ultimo
balzo saltò sulla testa della creatura.
Con il fiatone, prese a correre verso la corona, mentre
l’ultima mano illesa del principe andava veloce verso di lui, per stritolarlo.
Tim, fu più veloce, prese la corona e se la mise sotto le
vesti, bloccandola nella cintura in modo da non perderla. Poi, si accorse che
ancora una volta stava per finire stritolato. Prese la spada, la puntò nella
pelle scura e coriacea della creatura, e si lasciò cadere sulla schiena del
mostro, trafiggendogli la spessa pelle e urlando. Il Principe gridò ancora, come
se fosse impazzito dal dolore, mentre il generale si trovò a cadere verso terra.
Per il panico, Tim perse quasi i sensi, e i suoi ricordi da
quel momento divennero sbiaditi. Si ritrovò improvvisamente sulla schiena di
Saby, che lo stava portando lontano, mentre il principe si inginocchiava,
gridando sempre più forte.
Il Grande drago finalmente si rialzò da terra, sanguinante. Poi,
un immenso fiume di fuoco uscì dalle sue narici, travolgendo il mostro gigante,
che si disciolse, avvolto da mille fiamme.
Mentre sveniva, Tim poté sentire chiaramente l’esultanza di
Saby. Il Principe del Caos era stato sconfitto, ma pagando un caro prezzo.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti J
Ce l’ho messa veramente tutta per scrivere questo capitolo.
Spero sia stato di vostro gradimento J
Vi anticipo che anche il prossimo capitolo sarà pieno
d’azione, quindi preparatevi J
Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J a mercoledì J
|
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Capitolo 41 *** Capitolo 41 ***
Capitolo 41
CAPITOLO 41
Tim si risvegliò non appena Saby lo gettò a terra con
violenza.
Nell’impatto contro il suolo duro, il generale imperiale
riprese subito coscienza.
‘’Avanti generale, ora che il Principe del Caos è stato
sconfitto, bisogna organizzare l’esercito dei tuoi umani e distruggere i
nemici’’, disse l’unicorno.
Subito, Tim riprese padronanza di sé, e scoprì che si trovava
nuovamente sui camminamenti di Fortwar. Una parte delle mura era crollata
durante lo scontro magico tra il Principe e il Grande drago.
Sul campo di battaglia, non restava nessun segno del Principe
e dello scontro appena avvenuto, solo il terreno era tutto bruciacchiato, come
dopo un comune incendio.
Il Grande drago era riverso al suolo, sanguinante e ferito,
poco distante dalla porta principale di Fortwar. Attorno a lui, centinaia di
creature magiche ferite si stavano radunando per richiedere il suo aiuto.
Il cielo era tornato
azzurro, e il sole splendeva e riscaldava l’aria. La foresta primordiale che
circondava Fortwar era tornata così com’era sempre stata, e gli incendi
spontanei si erano definitivamente spenti.
Tim notò che l’accampamento nemico, nonostante fosse stato
distrutto in parte dal Principe, fremeva di vita. E notò che numerosi guerrieri
si stavano schierando nuovamente, pronti a dar battaglia. Il generale prese
subito la sua decisione e iniziò a scendere la scalinata che portava a terra.
Doveva raccogliere subito il suo esercito, e sferrare l’attacco al nemico
fintanto che non si era ancora completamente riorganizzato, visto che gli
Sconosciuti avevano voglia di combattere.
Appena uscì
dall’interno delle mura, Tim si trovò subito nel bel mezzo del caos. Ovunque, i
suoi soldati si stavano preparando per lo scontro, seguiti dai feroci lupi
magici e dai nani, che non avevano ancora combattuto. Poco distante, Sergej si
stava fasciando un braccio.
‘’Cosa ti è successo?’’, gli chiese subito Tim, vedendolo in
difficoltà.
‘’Sono stato colpito da una scheggia quando sono crollate le
mura orientali. Ma ora non fermarti, Tim, tu che puoi. Tutti abbiamo visto con
quanto coraggio ti sei battuto contro il Principe, e se il nostro mondo è salvo
e se siamo tutti ancora in vita, beh, questo è merito solo tuo. Ma ora vai, e
finisci gli Sconosciuti. Ora che hanno una breccia nelle mura, tenteranno di riorganizzarsi
e di entrare in città ad ogni costo, e se entreranno nella capitale, sarà tutto
finito per noi. Non c’è tempo da perdere’’, disse Sergej, sempre più pallido.
Tim annuì con la testa
e si allontanò velocemente. Subito, iniziò ad impartire ordini.
‘’Voglio che buona parte delle milizie cittadine siano pronte
entro pochissimo tempo, poi attaccheremo subito il nemico’’, disse Tim, avvicinandosi
ad un ufficiale maggiore, che non l’aveva neppure riconosciuto dal tanto che
era indaffarato. L’uomo lo guardò di sbieco.
‘’Le milizie cittadine
sono composte da un numero piuttosto ridotto di soldati, generale. Non possiamo
affrontare un nemico con un manipolo di uomini’’, disse l’ufficiale.
‘’Non sta a te
decidere cosa è meglio fare. Fa come ti ho detto, e sbrigati. Schiera anche
alcuni lupi guerrieri, alcuni elfi arcieri e una piccola parte della cavalleria’’,
disse Tim, con toni duri.
L’uomo avrebbe voluto replicare, ma comunque si allontanò
velocemente, e iniziò a gridare ordini agli uomini. Subito ebbe buoni risultati,
e ben presto parecchi soldati furono pronti per combattere. Tim, intanto diede
l’ordine di aprire la porta principale, cosa che fu subito fatta.
Tim si posizionò in testa ai suoi uomini, e li portò fuori da
Fortwar. I nemici, intanto, si stavano riorganizzando, ma con poca efficacia.
Numerosi Sconosciuti si rifiutavano di combattere, d’altronde avevano perso
tutti gli ufficiali anziani, il Re e i Demoni. Non avevano più capi, quindi non
avevano motivi per battersi. Ma quattro strani uomini continuavano ad aizzare i
guerrieri, e ormai ne aveva raccolti un bel po’ attorno a loro. Dovevano essere
quattro ufficiali sopravvissuti alla strage dei Demoni.
Tim fece arrestare i suoi e si avvicinò al galoppo al Grande
drago. Dovette deviare più volte, per non calpestare le creature magiche che
giacevano al suolo ferite e gementi. Il drago era ancora disteso al suolo.
‘’Drago! Grazie per averci soccorso. Anche se, al contrario
di Sam non ti ho mai conosciuto, voglio porti tutti i ringraziamenti che ti
dobbiamo. Senza il tuo intervento, da quest’ora saremmo stati tutti morti. Se
hai bisogno di qualcosa, non devi far altro che chiedere’’, disse Tim.
‘’No, ti sbagli, generale, il più l’hai fatto tu. Ricorda,
che sei stato tu a gettarti sul capo del Principe come un grande guerriero, e
sei stato tu a farlo piegare in due dal dolore. A me è toccato soltanto
finirlo. Quindi, il merito è più tuo che mio, ma non devi gioire troppo. Sei tu
l’eroe del tuo popolo. In quanto a me, non preoccuparti, sopravviverò’’, disse
il drago, con voce sofferente.
‘’No, drago, non dire così. Non lodarmi troppo, sai anche tu
che ciò che hai appena detto non è vero’’, ribadì Tim.
‘’Ora le nostre parole
hanno poca importanza. Il male è stato rimarginato, ma i nemici umani sono lì
pronti a caricarvi. Generale, non preoccuparti per me, ma elimina e sconfiggi
gli Sconosciuti. Io ho già riparato alla maggior parte dei danni causati dal Principe,
ed ora sono stanco, privo di energie e ferito, mentre il mio popolo morente
invoca a gran voce un aiuto che io per ora non potrò dare. E se gli Sconosciuti
riuscissero a giungere fin qui, ci uccideranno tutti. Quindi, veloce, grande
generale, sconfiggi una volta per tutte i nemici e rispediscili da dove sono
venuti, per il resto ne riparleremo dopo con più calma. Vai, ora che detieni la
più forte spada che sia mai stata forgiata su questo pianeta, la spada di un
eroe. Vai!’’, disse nuovamente il Grande drago, sottovoce, socchiudendo le
palpebre.
Tim non se lo fece
ripetere altre volte, e tornò al galoppo a raggiungere i suoi uomini, e ne fece
partire alla carica una prima fila a cavallo, mentre dietro lui arrivavano di
corsa anche i fanti. Diede l’ordine di non scontrarsi direttamente con i
nemici, ma di fermarsi pochi istanti ad una certa distanza e di lanciare
giavellotti, in modo da non sprecare cavalli e uomini in una carica inutile.
I nemici erano più numerosi degli imperiali, ma più disuniti
e mal armati. Appena videro arrivare la cavalleria imperiale, gli Sconosciuti tentarono
di compattarsi, e spuntarono alcune lance.
Ma, come stabilito, i cavalieri fermarono i loro cavalli poco
prima di andarsi a infilzare nelle lance, e lanciarono decine di giavellotti,
mentre dalle mura gli arcieri elfici scoccavano lunghe frecce avvelenate. I
nemici caddero trafitti, mentre la prima linea era stata pressoché decimata. E
poco dopo subirono il tremendo urto dei fanti imperiali, che erano sì inferiori
di numero, ma molto più agguerriti. Subito, i nani, i folletti e grossi lupi
guerrieri si gettarono anche loro nella mischia.
Tim si sentì sicuro di sé, estrasse la sua spada e smontò dal cavallo,
consegnando l’animale ad un giovane paggio imperiale. Questa volta non avrebbe
commesso l’errore di Vargan, standosene immobile su una portantina ad attendere
la sconfitta. Questa volta avrebbe combattuto anche lui.
I nemici, dopo l’urto,
iniziarono ad indietreggiare. Tim non attese altro tempo; doveva mostrare a
tutti il suo valore. Se lui stesso, il generale supremo, si fosse gettato come
un pazzo nella mischia, di certo i suoi soldati l’avrebbero seguito, aumentando
la foga. E fu così che andò.
Tim impugnò bene la
sua spada, e si gettò sui nemici, gridando. La sua lama iniziò a fendere
l’aria, e iniziò ad abbattere nemici. I primi Sconosciuti che capitarono di
fronte a lui furono guerrieri da nulla, e si fecero trucidare senza neppure
riuscire a difendersi.
Il generale imperiale iniziò ad avanzare nella mischia, senza
più badare alla posizione dei suoi uomini, certo che loro l’avrebbero seguito.
Come un fulmine, trafisse un nemico, che aveva cercato di colpirlo con un’ascia.
Tim prosegui,
falciando arti, uccidendo nemici senza alcuna sosta. La sua lama mulinava
continuamente, e ben presto i raggi di sole che rifletteva divennero un segnale
per i suoi uomini, che lo tenevano sempre d’occhio, impressionati dalle sue
abilità.
Tim scoprì di essere un gran bravo spadaccino, e che la sua
spada, ora resa magica, era potentissima. Ben presto divenne chiara una cosa;
che i nemici sarebbero andati avanti ad oltranza fintanto che gli ultimi
quattro ufficiali superstiti li avrebbero spronati. Costantemente, le grida dei
quattro ufficiali Sconosciuti superavano il clangore della battaglia, per
continuare ad urlare ordini.
Il generale iniziò a cercarli con lo sguardo, e individuò le
loro figure ai margini dell’area di combattimento. Quei fannulloni preferivano
lasciar massacrare il loro esercito piuttosto che muovere un dito. Ma lui li
avrebbe sistemati a dovere.
Rapidamente, prese a correre verso di loro, ignorando la sua
stanchezza ed evitando ogni possibile duello o scontro. Quando i quattro lo
videro, tutto solo, correre verso di loro, si fissarono e sorrisero.
Probabilmente, pensavano che fosse un pazzo.
Capendo le sue intenzioni, sguainarono le spade, e lo
attesero. Tim non si fece intimorire, e gridando si avventò contro il primo di
loro. Ci mise troppa foga, e perse di vista gli altri tre, che lo circondarono.
Tim, a quel punto, si pentì del suo gesto eroico. Si guardò attorno, ma notò
che vicino a lui non c’era nessuno dei suoi soldati, che erano impegnati tutti
in scontri corpo a corpo più indietro. Quindi, doveva cavarsela da solo.
I quattro erano giovani, tre di loro forse anche più di lui,
ma uno era talmente grosso da sembrare un gigante. Il generale non si fece
scoraggiare, anzi, si preparò ad attaccare. Poco distante, a terra, c’era uno
scudo rotondo. Con un balzo, prima che qualcuno avesse potuto prevederlo, lo
raccolse, e si lanciò a spada sguainata verso il primo ufficiale, che parò il suo
colpo e si scansò lievemente di lato.
Prima mossa sbagliata, poiché aveva momentaneamente rotto il
cerchio. Tim si ritrovò a suo fianco, e mentre il ragazzo cercava invano di
contenere la sua rapida serie di stoccate, andò ad inciampare su un corpo morto
a terra. Il ragazzo barcollò, e Tim lo trapassò al petto senza alcuna pietà.
I tre ufficiali
rimasti non avevano fatto molto per evitare la brutta fine al compagno, e Tim
comprese che erano avidi di potere, quindi quell’uomo in meno era anche un
rischio in meno per loro, e maggior potere nelle loro mani. Il generale dovette
smuoversi di lato per evitare l’attacco combinato di due uomini, poi impugnò
saldamente lo scudo e andò a sbattere contro la corazza del terzo ufficiale che
fino a quel momento ci era limitato a stare un po’ in disparte. L’uomo, per ripararsi
dall’urto, lasciò scoperto il basso ventre, e fu proprio lì dove Tim colpì con
la sua poderosa spada.
L’uomo, ferito a
morte, cadde a terra, gridando, e Tim lo decapitò senza alcuna pietà. Ne rimanevano
due. Si fecero avanti, e parevano tosti. Poi, un suo uomo, vedendolo in
difficoltà, riuscì a raggiungerlo, e uccise con un colpo d’ascia uno dei due
ufficiali rimanenti.
Prima che Tim potesse
fare qualcosa, il suo soldato venne trapassato dalla lama dell’ultimo
ufficiale, un colosso che poi si voltò verso di lui. Il suo volto era tutto
insanguinato, e indossava una pesante armatura di metallo. Sembrava
invincibile.
L’uomo, che si accorse di essere in vantaggio, gli si gettò
contro senza tanta prudenza. Tim non poté far altro che evitare i suoi potentissimi
colpi, e cercare di pararli. Ben presto, il suo scudo fu inutilizzabile.
Mentre l’uomo gli si
avventava ancora contro, Tim impugnò ciò che rimaneva dello scudo e lo scagliò
con tutta la forza rimastagli contro la testa dell’ufficiale. Con un tonfo
sordo, il pezzo di legno colpì l’elmo metallico dello Sconosciuto, che barcollò
e cadde all’indietro.
Tim doveva approfittare dell’occasione e si fece avanti. Però,
alcuni dei soldati nemici si erano accorti di quello che stava succedendo, e
due di loro gli sbarrarono la strada. Con una potenza incredibile, uno dei due
abbassò con violenza la sua mazza ferrata, cercando di colpire gli organi
vitali di Tim, che balzò all’indietro, evitando il pericoloso urto.
La mazza si piantò in
terra, e lo Sconosciuto non riuscì più a tirarla fuori. Con un balzo, Tim lo
colpì al ventre, e lo lasciò morente a terra, mentre l’altro combattente prese
a tempestarlo di colpi con la sua spada.
La spada leggera del nemico era poco affilata e poco
maneggevole, e Tim si trovò avvantaggiato. Preso dalla foga, il nemico
continuava a colpire e a cercare di coprire il suo ufficiale, che giaceva
ancora a terra. Tim, con un ultimo slancio, si fece avanti e riuscì a mozzare
il braccio destro del nemico, che cacciò un grido e si inginocchiò, invocando
pietà. Tim trafisse anche lui, e avanzò verso l’ultimo ufficiale degli
Sconosciuti, che giaceva ancora a terra.
Appena l’uomo si accorse che non c’era più nessuno a
difenderlo, cercò disperatamente di rialzarsi, ma l’armatura pesante lo
rallentava nei movimenti. Tim gli fu subito sopra, gli tolse l’elmo e lo colpì
di piatto alla testa, facendogli perdere i sensi. Poi, lo finì. Anche il
colosso era morto.
Tim si rialzò
gridando, mentre attorno a lui i nemici avevano iniziato a ritirarsi. Avevano
compreso che, ormai senza re, generali, ufficiali e Demoni, non avevano più
nulla da fare, erano spacciati.
Tim vide un vessillo degli Sconosciuti lì a terra, lo strappò
dalle mani gelide di un cadavere e lo alzò in aria, gridando e attirando
l’attenzione su di lui. Non appena fu chiaro che il generale imperiale aveva
ucciso gli ultimi ufficiali, ed ora armeggiava il vessillo del Gran re per
mostrare che per gli Sconosciuti ormai era tutto perduto, anche la loro
bandiera, i nemici preso a correre, in una ritirata precipitosa.
Subito, gli imperiali si misero ad inseguirli, lanciando
acute grida di gioia e uccidendo chiunque restasse indietro o tentasse di
opporre un’ultima disperata resistenza. Tim strappò con forza le redini di un
cavallo dalle mani di un suo cavaliere, che era sceso a terra per finire un
nemico, e salì in groppa al suo cavallo, lanciandosi al galoppo per giunger per
primo in testa ai suoi uomini, che si stavano riversando verso l’accampamento
nemico.
Mentre l’esercito
degli sconosciuti era in rotta, e cercava un ultimo rifugio dentro al loro
accampamento semidistrutto, una decina di nemici aveva indossato tuniche
bianche, ed uscì dall’accampamento in controtendenza, cercando di raggiungere
Tim.
Alzarono una bandiera
bianca, simbolo di resa. Tim puntò dritto verso di loro, per evitare che i suoi
uomini li aggredissero. Infatti, dovette ricacciarne indietro alcuni.
I nemici, appena lo riconobbero dall’uniforme nera e dalla
fascia rossa all’avambraccio, si gettarono a terra, inchinandosi. Solo uno di
loro osò parlare.
‘’Grande generale imperiale, noi ci arrendiamo. Parliamo per
voce del nostro intero esercito, e siamo qui per pattuire una ritirata
dignitosa’’, disse uno Sconosciuto, con una scarsa padronanza della lingua
imperiale.
‘’E sia. Venite con me all’interno della capitale. E niente
armi’’, disse Tim, stanco di combattere e di uccidere.
Subito, dette ordine ai suoi uomini di circondare
l’accampamento dei nemici e di uccidere chiunque avesse tentato di uscire dal
suo interno, mentre fece gettare le armi all’ambasciata.
Poi, fece condurre in ginocchio gli ambasciatori nemici fino
alla sua tenda, e li fece umiliare, prima di farli parlare.
In ogni caso, nonostante li avesse umiliati, Tim avrebbe
cercato di evitare un’inutile mattanza. Avrebbe dovuto trovare un qualche
accordo a lui conveniente.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J spero sia stato di vostro gradimento
J
Tim è riuscito a sconfiggere gli Sconosciuti nell’ultima
battaglia. Nei prossimi capitoli, però, ci saranno altre sorprese J
Grazie a tutti, a sabato J J
|
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Capitolo 42 *** Capitolo 42 ***
Capitolo 42
CAPITOLO 42
‘’Voglio concludere le trattative in fretta, e visto che sono
io il vincitore, alla fine sarò io stesso a tirare le somme degli accordi’’,
disse Tim, passeggiando avanti e indietro per il locale adibito a consiglio
nelle mura di Fortwar, mentre gli anziani ambasciatori degli Sconosciuti se ne
stavano inginocchiati a poca distanza da lui. Sergej non aveva potuto prendere
parte al consiglio, poiché era a medicarsi le ferite.
‘’Certo. Noi non
abbiamo più motivo per combattere. abbiamo perso tutti i nostri punti di
riferimento e quasi tutti i nostri compagni. Quindi, chiediamo a te, grande
generale, di togliere l’assedio al nostro accampamento e di lasciarci andare’’,
disse un ambasciatore.
‘’Lasciarvi andare?
Così continuerete a scorrazzare nelle terre dell’impero? Giammai’’, disse Tim,
ironico.
‘’Perdonateci, grande generale, ma noi abbiamo perso quasi
tutti i nostri compagni in questa giornata. Il Principe del Caos ne ha
abbattuti parecchi, e il colpo di grazia ce lo hai inflitto tu e il tuo esercito.
Ora siamo solo poche migliaia, e vogliamo tornare nelle nostre terre natie.
Quindi, se tu ci prometterai che ci lascerai in vita, e che ci lascerai fare
ritorno alle nostre famiglie, noi ci impegneremo non solo a sottoscrivere
accordi di pace a lunga durata, imponendoci di non tentare più di invadere le
terre imperiali, ma cederemo tutto ciò che abbiamo conquistato finora, ridando
vita e riconoscendo l’impero di Fortwar. Quindi, per favore, lasciaci tornare
vivi alle nostre terre’’, proseguì l’ambasciatore.
‘’Troppo facile, così.
Prima di tutto, voglio sapere se voi godete dell’appoggio dei vostri popoli, e
che i vostri guerrieri siano disposti ad accettare tutti gli accordi che voi
sottoscriverete con me’’, disse Tim.
‘’Ovvio che sì. Noi siamo l’assemblea degli anziani
guerrieri, e tutti ci stimano. Ora che non c’è più nessun re, siamo noi a
governare’’, disse lo Sconosciuto, con fare offeso.
‘’Stai tranquillo, non
conoscevo il grado che ricoprivi nella tua comunità’’, disse Tim, notando
l’irrequietezza del nemico,’’però ora so che posso farvi siglare gli accordi.
Perfetto, dunque. Queste sono le mie richieste; voi e i vostri popoli vi
impegnerete a restare al di là del deserto, e di non invadere mai più l’impero.
Inoltre, prima di abbandonare il vostro campo, tutti gli uomini saranno
perquisiti, e tutti gli oggetti di valore rubati all’impero e le vostre armi
diventeranno mie, come prezzo per la vostra sconfitta. In più, una parte del
mio esercito vi osserverà a distanza, fintanto che voi non sarete tornati nelle
vostre terre, in modo che nessuno possa tentare di violare gli accordi e di
sferrare attacchi a sorpresa. Se sarete pronti a sottoscrivere questi accordi,
e se vi impegnerete a rispettarli e a farli rispettare, vi lascerò tornare vivi
alle vostre terre’’, disse Tim.
‘’Ciò che ci chiedi è
molto, ma noi accetteremo’’, disse, con fare prudente, il nemico.
‘’Bene’’, disse Tim, che attese poi i rispettivi giuramenti.
Poi, concluse gli
accordi e fece rispedire indietro i nemici, seguiti da numerose guardie
imperiali, pronte a perquisire tutti gli Sconosciuti, uno ad uno.
Appena si furono allontanati un po’, Tim estrasse la corona
del Gran re, che si era tenuto appesa alla cintura per tutto il tempo, e la
lanciò dietro a quegli uomini.
La corona cadde a
pochi passi dagli Sconosciuti, che la guardarono sconsolati, ma nessuno di loro
si azzardò a raccoglierla.
Una guardia imperiale, ghignando, la calciò via con odio.
Fu così che gli Sconosciuti, dopo mesi di lunghe marce e dopo
dure battaglie, furono costretti ad abbandonare tutto quello che erano riusciti
a conquistare, tra odio e umiliazione.
Intanto, al margine del campo di battaglia, parecchi soldati
avevano scavato le fosse comuni dove tumulare i morti. Fu lì che senza gloria
né onore fu gettato il corpo del più grande re che gli Sconosciuti abbiano mai
avuto, il Gran re Fermei.
Poco dopo, Tim si trovò improvvisamente di fronte a Bad.
Il gemello di Sam appariva strano, agitato. Gli porse un
messaggio, scritto su un pezzetto di pergamena, poi si allontanò, senza dire
nulla ma guardandolo in modo strano. Tim non poté far a meno di chiedersi cosa
avesse quel giorno in testa quel ragazzo.
Aprì il messaggio, e si accorse che il sigillo in ceralacca
era lievemente rovinato. Ciò poteva significare solo una cosa; che qualcuno
aveva aperto in precedenza il messaggio.
Tim ruppe
definitivamente il sigillo, e riconobbe la scrittura di Sergej.
Il suo collega generale richiedeva di vederlo subito sul
pezzo di mura ad est di Fortwar, nella zona limitata tra le due torrette
d’avvistamento, poco distante dal pezzo di mura crollato durante lo scontro con
il Principe. Sergej voleva chiudere i conti con lui una volta per tutte. E, per
di più, in quel posto pericoloso, dove i soldati non avrebbero potuto intervenire.
Comunque, a Tim non sfuggì che in alcuni punti le lettere
sembravano manomesse, lievemente modificate. Lì ci doveva essere lo zampino di
Bad. Si chiese perché quel ragazzo avesse avuto intenzione di intromettersi
nelle faccende personali che c’erano tra lui e Sergej. D’altronde, il suo
collega generale ultimamente si era impegnato a rispettare gli accordi di pace
tra loro, ed erano quasi tornati amici.
Scosse la testa, e
capì che, per scoprire il perché di quel gesto, poteva fare solo una cosa; presentarsi
nel luogo dell’appuntamento. Ma non sarebbe andato solo, si sarebbe fatto
accompagnare da alcune delle sue guardie più fidate.
Quello sguardo vacuo, ma rancoroso, che gli aveva lanciato
Bad poco prima non presagiva nulla di buono.
Ilse si risvegliò.
Pian piano, ricordò tutto quello che era successo. Doveva
essere morta, eppure era ancora viva, e doveva essere tardo pomeriggio.
Lentamente, si rialzò.
La porta della sua cella era socchiusa. Con una mano, la spinse verso
l’esterno, e si aprì.
La ragazza fu avvolta
dal dolce canto degli uccelli, e si ritrovò al margine della grande foresta di
Fortwar. Le era tornata anche la voce, e si sentiva nuovamente padrona del suo
corpo.
Il deserto creato dal Principe era sparito, tutto sembrava
come prima, e Ilse capì che quel mostro era stato sconfitto. Guardando più
lontano, non c’era nessuno scontro in corso, solo alcuni Sconosciuti vestiti
con tuniche bianche che venivano scortati verso il loro accampamento
semidistrutto da alcune guardie imperiali.
Ad un certo punto, una corona cadde vicino ai piedi di una di
queste, che con rabbia la calciò via, gettandola vicino a dei cespugli.
Ilse si sentì male, e
lanciò un grido disperato. Quella era la corona del sul re, di colui che
sarebbe dovuto diventare suo marito e padre di suo figlio. Come una valanga, i
duri ricordi piombarono su di lei, togliendole il respiro.
Fermei era morto, il suo esercito era sconfitto, e ora lei
non aveva più nessuno a quel mondo. Forse sarebbe stato meglio morire,
togliersi la vita. Si chiese come poteva andare avanti, ora. Sola, con un
figlio in grembo.
Lentamente, prese a
muoversi verso l’oggetto. Si nascose dietro al cespuglio, poi allungò la mano e
l’afferrò. Si sedette a terra, e strinse la corona del suo amato tra le mani,
girandola e toccando ogni sua pietra o imperfezione.
Le lacrime iniziarono a scenderle copiose lungo le guancie,
mentre toccava la sua corona, tutto ciò che le rimaneva di colui che l’avrebbe
dovuta rendere imperatrice. Quell’uomo che all’inizio non aveva amato, ma che
poi, grazie anche alla gravidanza, aveva iniziato a rispettare. Senza lui,
senza la sua protezione, le sue carezze e i suoi baci, lei non era nessuno, ma
se ne rendeva conto solo ora. Ed ora era troppo tardi.
Aveva fatto tanti sforzi per diventare importante, aveva
affrontato missioni pericolosissime e rischiose per lei, per il suo amato e per
il loro figlio, ma tutto questo non era bastato. Lei aveva commesso l’errore
più grande, cioè quello di non aver avvisato in tempo il Gran re sui Demoni.
Non che alla fine avesse potuto cambiare molto, ma comunque aveva sbagliato e
per questo aveva pagato un caro prezzo.
Pianse, e pianse
all’infinito, mentre stringeva forte quell’ultimo legame che aveva con il suo
amato. Pensò che il destino era stato crudele con lei; ogni volta che riusciva
quasi a raggiungere qualcosa, veniva rigettata nella polvere a mani vuote.
Se ne stette lì, parzialmente nascosta alla vista, a
osservare passivamente l’estrema umiliazione degli Sconosciuti, che furono
perquisiti, spintonati e cacciati senza alcun briciolo di umanità.
L’intero accampamento,
con le poche tende rimaste in piedi, fu incendiato.
Ilse cercò con lo sguardo la tenda reale, ma quando la
individuò la vide in preda alle fiamme, mentre crollava su sé stessa.
Gli imperiali avrebbero fatto tornare indietro gli
Sconosciuti senza neppure una tenda o una moneta, tra risa di scherno e
umiliazioni varie.
Ilse rimase lì, immobile e nascosta tra le sterpaglie fin
quasi a sera, quando le operazioni di controllo furono concluse, e la massa
umana degli sconfitti fu cacciata via da sotto le mura di Fortwar.
Ilse non sapeva cosa
fare. Non poteva tornare tra gli imperiali. Se l’avesse fatto, l’avrebbero
denunciata e fatta imprigionare. Sapeva che la pena per il suo tradimento era
quella del rogo pubblico, e non voleva morire avvolta da mille fiamme e
travolta dal dolore.
Ma d’altronde non poteva restare lì a vivere da sola nella
foresta, ora che aspettava pure un figlio; un figlio di un re decaduto.
L’unica cosa che avrebbe potuto fare per sopravvivere sarebbe
stata quella di seguire gli Sconosciuti, ed elemosinare un po’ di cibo da loro.
Era vero che quei soldati la odiavano, ma d’altronde aveva nel grembo la diretta
discendenza del loro re.
Ilse, quindi si decise
di seguire a piedi la colonna degli Sconosciuti, ma a debita distanza. Si
sarebbe ricongiunta a loro non appena avesse avuto bisogno di nutrirsi, oppure
in cerca di protezione.
Fu così che si alzò e
si mise a seguire la colonna dei perdenti, che se ne stavano per tornare nelle
loro terre, tra le risa e le offese degli imperiali.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J
Ilse si è risvegliata, ed ha dovuto prendere una decisione.
Voi cosa le avreste consigliato di fare? J
Ok, questo era un capitolo un po’ triste. Però, attenzione;
nei prossimi capitoli accadranno altri avvenimenti importanti… J
Mancano 4 capitoli alla fine, mi sembra impossibile che io
sia riuscito quasi a concludere questo racconto(si applaude da solo) ahah J no ragazze a parte le sciocchezze
che sparo, siamo agli sgoccioli… però dobbiamo ancora seguire la vicenda per un
po’ J
Grazie di tutto, a mercoledì J J
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Capitolo 43 *** Capitolo 43 ***
Capitolo 43
CAPITOLO 43
Sam continuava a fissare con fare interrogativo Bad.
‘’Perché mi hai
trascinato fin qui? Non riesco proprio a capire’’, chiese nuovamente alla sua
copia.
Bad l’aveva prelevato dai bastioni di Fortwar, da dove lui
aveva seguito tutta la vicenda della disfatta degli Sconosciuti e dove stava
vegliando e curando i due giovani maghi di Huru. Lee e Smith erano riusciti a
sopravvivere allo scontro contro il Principe del Caos, ma erano in coma. Il
loro volto era stato ustionato, e nel caso fossero riusciti a risvegliarsi e a
tornare a muoversi, sarebbero rimasti orrendamente sfigurati.
Bad l’aveva costretto ad abbandonare il loro capezzale e a
seguirlo fin sopra le mura, nell’ampio spazio dei camminamenti tra le due
torrette di guardia nel muro est della città, proprio vicino al pezzo di mura
crollato poche ore prima nella battaglia magica.
Bad l’aveva condotto
quasi con la forza fin lì, evitando accuratamente di fornirgli informazioni di
alcun genere.
‘’Ora te lo posso dire. Vedi, ho appena messo in atto una
congiura’’, disse la copia, fissandolo con occhi pieni di rabbia.
Sam si spaventò. Non aveva mai visto la sua copia così
furiosa. E l’affermazione che fece lo sconvolse ancora di più.
‘’Una… una congiura?’’,
chiese Sam, con fare incerto, domandandosi dove la copia volesse andare a
parare.
‘’Sì, una congiura che ci porterà direttamente al trono di
Fortwar’’, rispose Bad, sorridendo con cattiveria. Sam provò un brivido freddo.
Bad stava mostrando tutto il suo lato perfido.
‘’Cosa significa tutto ciò?’’, chiese nuovamente Sam,
spaventato.
‘’Ora ti spiego tutto. Sergej mi aveva incaricato di portare
un messaggio a Tim. Io l’ho aperto, ne ho modificato il testo e gliel’ho
consegnato. Ben presto i due saranno qui, pronti a battersi per il trono di
Fortwar, ma non hanno calcolato la terza incognita. Io e te, fratellino’’,
disse Bad, iniziando ad affilare il suo pugnale con un’apposita pietra.
‘’Noi li uccideremo.
Sì, li attenderemo nascosti a fianco delle porte delle due torrette. Appena
loro le apriranno, ed usciranno sui camminamenti, sarà troppo tardi. Noi gli
saremo subito addosso, e li
pugnaleremo’’, continuò a dire Bad, senza lasciare spazio a Sam.
‘’Bad, cosa stai dicendo? Smettila di dire queste cose. Noi
non pugnaleremo nessuno. Anzi, ora vado a dire a Tim di non stare a venire qui,
e che il mio gemello ha sbagliato a consegnare il messaggio’’, disse Sam, tentando
di allontanarsi. Bad gli fu subito davanti, sbarrandogli la strada.
‘’Dove credi di andare? Tu starai qui, e ne ucciderai uno di
loro. Ne uccideremo uno a testa, così la gloria sarà di entrambi’’.
‘’La gloria non sarà né mia né tua. Muoviti, andiamocene di
qui’’, disse Sam, titubante.
‘’Non credevo di
doverlo fare, pensavo fossi più furbo, fratellino’’, disse Bad, puntando il pugnale
contro Sam.
Sam sentì una goccia di sudore freddo scenderli lungo la
schiena. Il Grande drago glielo aveva detto che la sua copia, per il bene di
tutti, doveva esser tenuta segregata in una cella, e rinchiusa lì dentro per
sempre.
Però Bad fino a quel momento si era sempre comportato molto
bene, e Sam non aveva avuto il coraggio di rinchiuderlo. Ma ora se ne stava
pentendo.
‘’Ragiona, fratello! Tutto questo lo sto facendo per il bene
di noi due. Se Tim e Sergej muoiono oggi, ci saremo tolti dal mezzo l’unico
ostacolo che ci separa dalla corona di Fortwar. Tu godi dell’appoggio del
Grande drago, e grazie al supporto delle creature magiche, ci prenderemo
legalmente il trono’’, continuò Bad, senza scostare il pugnale. Sam rise.
‘’E chi ti dice che il
Grande drago non scopra che siamo stati noi ad uccidere i due generali supremi,
e che successivamente non ci supporti come possibili eredi del trono
vacante?’’, chiese Sam.
‘’Basta, fratello. Ti fai troppi problemi. Con le bugie, con
l’inganno e con il male si ottiene tutto. La stupida lucertola farà tutto ciò
che tu gli dirai, perché si fida di te. Io mi occuperò di far sparire i corpi.
I due generali sono stati uccisi durante i festeggiamenti per la vittoria da
qualche ladro dei bassifondi, e gettati chissà dove. Non ci sono prove che i
due si siano incontrati qui sopra. E poi, vedrai che la tua parola vale più di
ogni altra cosa, tutti ti vedono come un essere buono, come un salvatore’’,
disse Bad.
‘’In sostanza, mi stai
chiedendo di mentire, uccidere, tradire e ingannare. Ma sai che io non farò mai
cose del genere’’, disse Sam, facendo un passo indietro.
Bad gli fu subito
addosso, e lo gettò a terra. Poi, con una forza sovrumana, lo immobilizzò e gli
puntò il pugnale alla gola.
‘’Se sei ancora vivo è solo perché mi servi, Sam. Se ti
ammazzo, muoio anch’io. Quindi, vedi di collaborare. Se ci scoprono a
complottare, saranno guai per entrambi’’ , disse ancora Bad.
‘’Tu sei un mostro, proprio come aveva detto il Grande drago.
Tu, appena avrai finito di usarmi per le tue menzogne, e avrai preso possesso
del trono, mi eliminerai, rinchiudendomi in qualche segreta sperduta chissà
dove. Tu sei l’essere più perfido che io abbia mai visto’’, gli sputo in faccia
Sam.
Quella volta, fu bad a ridere.
‘’Può darsi che tu abbia ragione. In fondo, anche tu sei
perspicace. Ma ricorda che io sono te stesso, io sono quasi una tua creatura;
io sono un pezzo di te. Inoltre, non è il caso di ribellarti a me. Come vedi,
ti ho in pugno’’, gli sibilò in faccia la copia.
Sam rimase immobile, mentre Bad si zittì, aguzzando l’udito.
‘’Lo senti?’’, gli chiese, dopo un istante.
‘’Cosa?’’.
‘’Dei passi. Qualcuno sta arrivando. In posizione. Non
tentare di scappare o altro, ti sarò addosso subito. Non potrò ammazzarti, ma
legarti e tagliarti la lingua sì. Quindi, occhio’’, disse bad, lasciandolo
andare, e mettendogli un pugnale in mano. Voleva che anche lui uccidesse.
Mentre Sam cercava di rialzarsi, bad si posizionò dietro una
porta di legno della torretta sinistra. Ben presto il suono dei passi fu ben
udibile, così come le voci. Chi stava arrivando non era solo.
La porta di legno si spalancò, e sui camminamenti uscirono
Sergej e Wolfy, giunti lì per valutare i danni.
Sam gridò con tutta la voce che aveva in corpo, per avvertirli.
Bad gli lanciò un’occhiataccia, e si avventò su di loro.
Sergej rimase per un secondo stupito, mentre la lama di Bad
penetrava nel suo fianco, pugnalandolo a morte. Il generale cadde
immediatamente al suolo, mentre Wolfy, il grosso lupo, si rigirò inferocito
verso Bad.
Compiendo un grande balzo, fu subito addosso al ragazzo, e lo
addentò ad un braccio. Bad gridò, straziato dal dolore.
Poi, con uno scatto
fulmineo, con la mano libera piantò il pugnale nel ventre del lupo, che lasciò
subito la presa, ululando di dolore. Con un calcio, Bad lo gettò al suolo, e lo
tramortì.
Il lupo non si mosse
più mentre Sergej restava anch’esso a terra, in una pozza di sangue. Sembrava
avesse già smesso di respirare.
‘’Tu sei un mostro!’’, gridò Sam, inferocito. In pochi passi
si avvicinò alla sua copia, e cercò di allontanarla da Sergej e da Wolfy.
Infatti, Bad voleva finirli.
‘’Smettila, fratello!
Ci siamo quasi! Tra poco avremo tolto di mezzo anche Tim, e poi saremo re! Ci
divideremo la corona, lo capisci?’’, disse Bad, con gli occhi fuori dalle
orbite. Era un pazzo.
‘’No! Tu mi menti! Noi non ci divideremo nulla, tu mi userai
per i tuoi loschi scopi, per poi farmi sparire, solo perché non mi puoi
uccidere, se no l’avresti già fatto’’, disse Sam.
‘’No, non dire così, fratellino. Sento già dei passi, Tim sta
arrivando. Ormai è già dietro quella porta chiusa, tra poco la aprirà, e noi potremo completare
l’opera’’, continuò a dire bad, sgranando le orbite e cercando di avvicinare
una mano a Sam. Sam si ritrasse.
‘’Non ti permetterò di far del male anche a Tim, costi quel
che costi’’, disse Sam.
‘’Ah sì, e che cosa credi di fare? Ormai non puoi più
fermarmi, senza perdere te stesso’’, disse bad ghignando.
‘’Ed è proprio quello che sto per fare’’, disse Sam,
puntandosi il pugnale al petto.
‘’No, tu non lo farai!’’, ruggì Bad.
‘’Sì, invece’’, ribadì
Sam.
In quell’attimo aveva
paura, ma sapeva che doveva suicidarsi. Se non l’avesse fatto, avrebbe lasciato
via libera a Bad, che avrebbe compiuto solo brutte azioni e brutali violenze.
Strinse il pugnale tra le mani e si preparò ad affondarlo nelle sue carni. La
realtà era che lui era morto il giorno stesso in cui era stato diviso
dall’effetto della pozione dei folletti.
‘’No!’’, gridò bad, lanciandosi contro di lui.
Sam spinse con forza
il pugnale appuntito verso di sé, ma Bad fu più veloce e gli prese il braccio.
Ma non fu sufficiente, poiché riuscì solo a deviarne la traiettoria. Il pugnale
si piantò nel ventre di Sam, procurando una ferita mortale.
Sam e Bad caddero a terra, urlando di dolore.
Sam continuò a respirare, mentre le sue mani erano zuppe di
sangue. Non trovò la forza per sfilarsi il pugnale e darsi il colpo di grazia.
Bad, in un ultimo atto
di ripicca, strinse il suo pugnale e preparò le sue ultime forze per lanciarlo
verso Tim, che tra pochi istanti sarebbe giunto sui camminamenti, a portata di
tiro.
‘’Il tuo… il nostro… sacrificio… sarà vano. Lo ucciderò
comunque’’, disse sottovoce Bad, ansimando.
Sam si guardò attorno,
sconsolato. La sua coscienza veniva a meno, mentre il dolore lancinante gli
impediva di pensare lucidamente. E se anche Tim fosse morto, il suo sacrificio
sarebbe stato veramente vano.
Sergej aveva ascoltato e visto tutto, nonostante la fosse
ferito a morte.
Aveva cercato di
controllare il suo respiro, fingendosi morto per non essere nuovamente
aggredito, ma non appena sentì il rumore della lama del pugnale penetrare nella
carne di Sam, era riuscito a tirare su lo sguardo.
Sam era lì, poco
distante da lui, che si premeva il ventre, con le mani tutte rosse di sangue. I
suoi occhi erano tutti per Bad, che era in attesa di veder sbucare Tim, per
colpirlo a morte, utilizzando le sue ultime forze. Sam non era riuscito a
suicidarsi.
Poi, vide che il
ragazzo puntò gli occhi su di lui; i suoi occhi invocavano aiuto.
Sergej seppe cosa doveva fare. Bad, intanto, non badava a
loro, e stava concentrando tutte le sue ultime energie vitali sulla porta dove
tra pochi istanti sarebbe sbucato Tim.
Il generale si mise in ginocchio, e si tastò la ferita. Le
sue mani divennero subito rosse di sangue; erano stati lesi gli organi vitali,
e tra poco sarebbe morto dissanguato. Di ferite così, ne aveva già viste molte
in battaglia, e chiunque le aveva ricevute, moriva nel giro di pochi minuti.
Sergej prese la sua
spada, che era caduta a terra ai suoi piedi, e si avvicinò a carponi di pochi
passi a Sam. Ansimò, e sentì che la sua ora era giunta. Doveva fare in fretta.
Utilizzando le sue ultime forze rimaste, alzò le braccia, e
calò la spada nel corpo di Sam, che si accasciò subito al suolo, morto.
Poco distante, Bad si rivoltò a terra, e la sua carne diventò
una sostanza verdastra, che si riversò a terra, sparendo in pochi attimi.
Sergej si ribaltò a terra, perdendo le ultime forze, e la sua
testa sbatté violentemente nelle pietre della pavimentazione. Sentì un
rivoletto di sangue uscirgli dalla bocca.
Giunse ad un’ultima conclusione. Per lui non ci sarebbe stato
nessun trono, ma solo una morte onorevole. Ma a lui, ormai, bastava anche solo
quella.
E proprio mentre la sua coscienza stava sparendo
definitivamente, sentì aprirsi la porta della torretta destra. Tim era
arrivato, ed era sano e salvo.
Sergej chiuse lentamente le palpebre, dando così il suo addio
al mondo dei viventi.
Tim si trovò sconcertato a fissare la scena che si era
trovato di fronte.
A fianco suo, Jack era rimasto senza parole, mentre le tre
guardie che si era portato dietro sguainarono le spade. A terra, sui
camminamenti tra le due torrette di guardia, c’erano i corpi di Sergej, Sam e Wolfy,
tutti immersi nel loro stesso sangue.
‘’Cos’è successo qui?’’, trovò la forza di dire Tim, che poi
si gettò verso i due amici morti.
‘’Avanti, non state lì impalate; il sangue è ancora caldo, il
colpevole di questi omicidi non deve essere lontano’’, gridò Tim alle guardie,
che presero subito a perlustrare la zona. Jack si gettò verso Sam.
‘’Tim, è tutta colpa mia’’, disse il folletto, tornando a
pensare alla pozione che aveva offerto a Sam parecchi mesi prima, quando tutto
era cominciato.
‘’Colpa tua? Cosa stai dicendo?’’, disse Tim, percuotendo il
folletto, che si limitò a piangere e a non rispondere.
‘’Non è colpa di
nessuno. Quello che è successo era inevitabile’’, disse la voce di Saby, alle
spalle di Tim. Tim si voltò di colpo, e vide che l’unicorno si era appena
posato a terra poco distante.
‘’Quella creatura
malvagia andava fatta sparire. Noi tutti abbiamo sbagliato a lasciare che Sam
continuasse a portarsi dietro quell’essere malvagio’’, disse un’altra voce. Tim
questa volta guardò verso l’altro, e vide un minuscolo drago tutto sporco di
sangue e ferito. Tim lo guardò stupito.
‘’Tim, tranquillo, sono il Grande drago. Solo che ora,
fintanto che non sarò guarito, non avrò le forze per mantenere il mio magnifico
aspetto, quindi mi sono… ridotto’’, disse, pensieroso, per trovare un termine
adeguato, ‘’diciamo che ho ridotto le mie dimensioni per risparmiare energia
vitale. Ma è ancora vivo!’’, disse tutto ad un tratto il Grande drago,
indicando il grosso capo dei lupi. Wolfy, effettivamente, respirava ancora.
Il Grande drago gli si
avvicinò, e gli posò una zampa sullo squarcio che aveva nel ventre.
‘’Si salverà, se lo
curiamo bene. La sua ferita non è mortale. Saby, Jack, portatelo giù insieme
con gli altri feriti’’, disse nuovamente il drago. Jack si staccò a malincuore dal corpo
di Sam, e, insieme a Saby, iniziarono a trasportare Wolfy giù dalle mura.
Tim, intanto, stava realizzando ciò che era accaduto lì
sopra. Tutto era iniziato con quel messaggio manipolato, e gli sguardi pieni
d’odio di Bad. E tutto si era concluso con un massacro.
Tim, approfittando di
quel momento, mostrò tutte le sue perplessità riguardo all’accaduto con il
drago, che lo guardò. Il suo sguardo era triste e dolorante, ma ancora pieno di
vita.
‘’Devi essere felice, in qualche modo, Tim, anche se non c’è
nulla di cui gioire. Qui ci dovevi essere anche tu. Come vedi, Bad, il perfido,
ha nascosto la sua natura quanto basta per cercare di ingannarci. Sapeva che se
avesse eliminato te e Sergej, avrebbe avuto una possibilità di coronare i suoi
perfidi ideali, spingendo Sam a richiedere a me la corona, per poi farlo
sparire e governare al suo posto. Sii felice, Tim; il sacrificio dei tuoi amici
non è stato vano, ed ha sconfitto l’ultima parte di male che attanagliava Fortwar.
Da oggi, Fortwar torna a vivere, nonostante le sue cospicue perdite. Ti farò
una rivelazione; la capitale ben presto avrà il suo nuovo re. Lo incoronerò io
stesso domani, prima che ci siano altri conflitti per il trono’’, concluse il Grande
drago, che non lasciò neppure il tempo di ribattere a Tim, e si allontanò.
L’ultimo generale rimase
solo, a ripensare alla rivelazione che gli aveva fatto il Grande drago. Si
chiese chi potesse essere il nuovo re. Al suo fianco, c’era il corpo di quello
che era stato prima un nemico, ad Arus, poi un migliore amico durante il
viaggio verso Fortwar, ed in seguito un collega pericoloso. Doveva odiarlo, ma
non ci riusciva. Per un certo verso, si era affezionato a Sergej. Sentì una
lacrima scorrergli lungo il volto.
Si girò, diede l’ordine ai suoi uomini di pulire il tutto e
di seppellire i cadaveri nel cimitero cittadino.
Poi, se ne tornò a casa per riposarsi. Quello fu l’unica cosa
che gli venne in mente per concludere quella lunghissima e durissima giornata. Una
giornata che sarebbe rimasta incisa per sempre nella storia di Fortwar.
Mentre camminava per le strade, dalla città si alzavano le
grida della gente, che piangeva i loro cari morti durante i vari combattimenti,
e gli ululati degli Akluth risuonavano ovunque. Erano ululati pieni di dolore,
per il loro capo.
Era ormai sera, e la
giornata più lunga dell’impero stava volgendo al termine, tra pianti e lacrime.
Dalla grande battaglia finale, nessuno ne uscì vincitore.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J
È un capitolo un po’ triste, lo ammetto. La grande battaglia
finale è conclusa, l’impero ha sconfitto il Principe del Caos, gli Sconosciuti
e Bad, ma ora resta l’incognita del nuovo re di Fortwar, che poi, di diritto,
diventerà imperatore. Secondo voi chi sarà? J lo scopriremo prossimamente… J
Ciao ragazze, a sabato J
|
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Capitolo 44 *** Capitolo 44 ***
Capitolo 44
CAPITOLO 44
Tim fu risvegliato bruscamente. Qualcuno stava bussando alla
sua porta.
‘’Sergej… vai tu..’’, tentò di dire, sonnecchiando. Poi, come
una doccia fredda, gli tornarono in mente i ricordi della settimana precedente.
La battaglia, il Principe, migliaia di morti e feriti, Sam riverso nel suo
sangue, i due giovani maghi di Huru sfigurati… e Sergej morto, ucciso in un
attentato.
Tim si alzò, dal letto, barcollante. La testa gli faceva un
gran male, probabilmente a causa della stanchezza che accumulava da giorni.
Gettò un occhio alle cose di Sergej, ancora sistemate così come il loro defunto
proprietario le aveva lasciate. Non aveva trovato il coraggio per spostarle.
Quasi arrancando, raggiunse la porta, sistemandosi addosso un
mantello in modo da coprirsi un po’.
Aprì la porta di casa. C’erano due soldati in uniforme.
‘’Generale Tim, il Grande drago ti attende alla piazza
principale di Fortwar. Ha detto di vestirti in maniera idonea, e di presentarti
lì entro un’ora’’, disse uno dei due.
‘’E cosa vuole da me,
di preciso?’’, chiese Tim, con toni assonnati. I due soldati scrollarono
simultaneamente le spalle.
‘’Questo a noi non ci riguarda, e non ne siamo stati
informati. Ha detto solo di venire ben vestito e in uniforme, e di presentarti
nella piazza principale di Fortwar entro un’ora’’, ripeté uno dei due, come se
fosse un automa.
‘’Va bene, ho capito. Riferitegli che mi presenterò al più
presto’’, disse Tim, chiudendo la porta in faccia ai soldati. Quei due non gli
avrebbero detto altro, era evidente.
Non perse tempo, e si
risistemò meglio, in modo da apparire presentabile. Si sistemò i capelli
ribelli, e in pochi gesti si sistemò la sua solita divisa nera, con la fascia
rossa all’avambraccio.
Poi, uscì. Le strade
erano nuovamente deserte. E questo era un gran brutto segno. L’ultima volta che
erano state deserte era stato il giorno in cui si era suicidato Iulius,
l’ultimo imperatore.
Trascinandosi, ancora
in preda alla sonnolenza, che non accennava a sparire, vagò fino a raggiungere
una delle tre strade principali della capitale. Le botteghe erano chiuse, e
c’era poca gente, tutta che proseguiva verso la piazza principale, proprio come
lui.
Aumentò l’andatura, per paura di arrivare in ritardo. Non
appena sbucò nella piazza principale, scoprì che era gremita di gente. Non
c’era più spazio, e per l’occasione era
stato aperto anche l’ex giardino del palazzo imperiale, in modo da ospitare più
gente.
Nel centro della piazza, c’era una specie di palco rialzato,
e sopra di esso era presente l’inconfondibile figura del Grande drago, in
dimensioni notevolmente ridotte, e attorno a sé c’erano i Giudici Supremi della
corte imperiale. Tim ebbe subito altri pessimi presentimenti. Fortunatamente,
non erano presenti forche o oggetti contundenti.
Si fece forza ed iniziò a camminare, mentre la folla
ammutoliva ed apriva un varco per farlo passare. Tutti lo fissavano, e i loro
occhi erano inquisitori, come se volessero comprendere meglio chi era.
Tim si sforzò di camminare a testa alta e in modo disinvolto fino
ai piedi del palco. Il Grande drago gli fece cenno di salire. Salì sul palco, e
si avvicinò subito alla creatura.
‘’Cos’è tutta questa
messinscena?’’, chiese Tim, con fare irritato.
‘’E’ la tua elevazione a imperatore. Tra poco tu sarai
imperatore di Fortwar’’, disse il drago, tenendo bassa la voce. Tim era ansioso
di portare avanti quella conversazione a due, nonostante tutti gli occhi
fossero puntati su di lui.
‘’Io non voglio essere imperatore. Scordatelo’’, disse Tim,
iroso. Gli ultimi imperatori erano morti tutti assassinati, e lui non voleva
fare quella morte lì. E poi a lui il potere non piaceva, non l’aveva mai
richiesto, ed aveva solo ricevuto cariche in momenti problematici.
‘’Tu sarai l’imperatore di tutti gli umani che vivono a sud
del Grande deserto. Io ti ho scelto, Tim. Prima che qualcun altro con loschi
scopi tenti di impadronirsi di ciò che rimane dell’impero, io ho fatto in modo di renderti l’uomo più potente
di tutti. E tra pochi istanti inizia la cerimonia d’incoronazione. Non deludermi,
e accetta il mio dono. Sei un uomo giusto e onesto, e vai ricompensato’’,
concluse il Grande drago, che poi fece cenno ai giudici di iniziare la
cerimonia.
Tim aveva mille e più domande che gli frullavano per la
mente, prima fra tutte come avesse fatto il drago a convincere i giudici ad
incoronarlo. Ma non aveva più tempo per pensare. Una voce stridula di un
giudice mise a tacere la folla.
‘’Gente di Fortwar,
oggi siamo tutti qui riuniti per prendere parte ad un evento eccezionale. Oggi,
sarà eletto da noi un nuovo imperatore, un uomo giusto che guidi di nuovo il
nostro esercito e le nostre leggi. Ciò non avveniva dall’inizio dei tempi’’, disse
il giudice, mentre la folla esplose in un boato. L’uomo attese un istante,
prima di riprendere a parlare.
‘’Oggi, su acclamazione
nostra, ovvero dei Giudici Supremi della corte, e su acclamazione del popolo,
dell’esercito, della guardia cittadina e delle creature magiche, sarà
incoronato imperatore Tim, ovvero colui che finora è stato conosciuto da tutti
come il Generale Nero, che con la sua tagliente spada ci ha liberato dagli
invasori e dal Principe del Caos. Vieni avanti, Tim’’, disse nuovamente il
giudice.
Tim avanzò di due passi soltanto. Il giudice lo guardò,
incuriosito dal suo comportamento reticente, per poi andargli incontro. Nelle
mani stringeva una spada.
‘’Inginocchiati, a noi tutti, Tim. Inginocchiati e giura
fedeltà al tuo popolo e al tuo regno’’, disse, sempre con la sua voce alta e
squillante. Tim si inginocchiò, ed abbassò la testa. Conosceva il giuramento
che gli veniva richiesto, era lo stesso che effettuavano i soldati imperiali
prima di venire annessi nell’esercito.
Alzò lo sguardo per un attimo solo, a cercare il Grande
drago. La creatura era a poca distanza da lui, appoggiato a terra. Nonostante
fosse di dimensioni ridotte in quel momento, le sue scaglie multicolori
rilucevano ovunque.
E anche il drago posò
il suo sguardo su di lui. Non aveva il solito sguardo benevolo, ma pareva
pronto a ringhiare a sputare fuoco. Non aspettava altro che Tim giurasse. Se
non l’avesse fatto, avrebbe scatenato la sua ira.
‘’Io giuro sul mio
onore e sulla mia vita di difendere e combattere per il mio regno, e di essere
sempre pronto ad affrontare il nemico, anche in prima linea, senza neppure
provare paura, perché è l’impero mi ha donato protezione, e io farò
altrettanto. Combatterò per tutti, e cercherò di essere un buon sovrano. Lo
giuro’’, disse infine Tim, anche se le ultime frasi uscirono senza troppa
convinzione.
Il giudice e il Grande drago annuirono, soddisfatti.
In pochi istanti, il giudice appoggiò la sua spada prima
sulla spalla destra, poi su quella sinistra. Intanto, un giovane paggio si avvicinò,
porgendo la corona imperiale al Grande drago.
Il drago afferrò con
una zampa la corona, e la pose in testa a Tim.
‘’Tu sarai nostro re e imperatore allo stesso tempo, e il
trono sarà tuo anche per la futura discendenza a venire. Festeggiate e cantate,
gente; Fortwar ha un nuovo imperatore e un nuovo destino’’, disse il giudice supremo,
concludendo l’incoronazione.
La folla esplose, totalmente in visibilio. Tutti, più o meno,
conoscevano il nuovo sovrano, poiché era molto conosciuto dai cittadini e dai
soldati, e tutti lo sostenevano.
Tim si rialzò in piedi, con la corona in testa. La corona era
pesantissima, intarsiata d’oro ed ornata con grossi rubini e brillanti
smeraldi. Ora nessuno badava più a lui.
I giudici supremi si allontanarono, e fecero capannello tra
loro, mentre la folla festeggiava e gridava, e parecchi si stavano già
spostando verso le taverne, per ordinare birra.
‘’Vedi, Tim? Tutti gli
umani ora vogliono festeggiare, perché il caos è sconfitto, e l’ordine è
tornato, grazie alla tua saggia scelta di lasciarti eleggere imperatore’’,
disse il Grande drago, avvicinandosi quatto a Tim, cercando di approfittarne di
quel momento in cui nessuno badava a loro.
‘’Potevo scegliere diversamente?’’,
rispose Tim. La creatura increspò un labbro.
‘’Ovviamente no. Ho
predisposto tutto io per la tua elezione. Vedi, tu, Tim, sei bravo, buono, ti
impegni e sei onesto e leale. Tutte qualità che ti contraddistinguono dagli
altri umani. Ma la lealtà non va a pari passo con il potere. Questi umani
avrebbero scelto un altro re, che si sarebbe dimostrato poi come un pazzo
sanguinario, e le rivolte avrebbero ripreso, in una spirale senza fine. Io ti
ho fatto strada per questo; tu sei giusto, e non combatterai guerre inutili, né
compirai tradimenti e intrighi. Tu sei l’uomo adatto a ricoprire questo ruolo,
fidati’’, gli rispose il drago, continuando a fissarlo.
‘’Come hai fatto a combinare la mia elezione a imperatore?’’,
sussurrò Tim, avvilito. Odiava i complotti e le cose ingiuste, e quindi
riteneva giusto che la capitale e i giudici avessero scelto loro il successore
di Iulius.
‘’Non ho combinato niente. Io ho solo proposto te, e loro
hanno accettato. Vedrai, loro sanno che sei supportato dalle creature magiche,
e nessuno ti torcerà un capello. Sarai un buon imperatore’’, rispose il drago.
Tim si accorse solo ora che quella creatura in realtà non era
proprio buona come si diceva. Nel suo cuore c’era anche una vena di perfidia.
‘’Oh, e ricorda questo, ragazzo; il male è stato sconfitto,
ma non distrutto. Sarei pronto a giurare che, da qualche parte, in un qualche
luogo sperduto di questa terra, una piccola fiammella violacea abbia ripreso a
brillare. Il Principe del Caos è stato sconfitto, ma non cancellato
definitivamente. C’è caso che ci vogliamo millenni prima che faccia il suo
ritorno, o forse non tornerà mai più. Ma sappi che lui è ancora vivo, nascosto da
qualche parte, poiché un Creatore non si distrugge mai. Quindi, occhi aperti. E
poi, ultimissima cosa; vorrei chiederti un lembo di terra, da condividere con
il mio popolo. Il mondo magico è andato distrutto, e non abbiamo più un luogo
in cui vivere in tranquillità’’, continuò il Grande drago.
‘’Ti va bene una terra qualsiasi?’’, chiese Tim, per niente
turbato dalle parole appena pronunciate dalla creatura.
‘’Certo. Purché sia a
distanza dagli uomini. Noi vogliamo vivere da soli’’.
‘’Vi concedo il lato est del Grande deserto, allora. L’ovest
dovrà essere libero, per lasciare transitare i miei uomini e le carovane’’,
disse Tim, quasi con disprezzo. Il drago lo fissò, e le squame si scurirono
improvvisamente.
‘’Non c’è una terra migliore per me? Magari una foresta’’.
‘’No, solo il Grande deserto. E quando ti rivolgi a me, per
favore, chiamami Sire. Non sono più un semplice generale, ora sono un
imperatore. L’imperatore nero’’, disse Tim, pronunciando le parole con odio
crescente.
Quella vile lucertola l’aveva reso imperatore, ed aveva avuto
il coraggio di usarlo come una marionetta. Ma lui gli aveva risposto a tono. Il
Grande drago lo fissò, con lo sguardo carico d’odio.
‘’Allora va benissimo,
Sire. Oggi stesso lasceremo le terre degli umani. Per la tua incolumità, spero
che non tenti mai di violare le mie nuove terre, che tu ora mi hai gentilmente
donato. Addio, imperatore, non so quando ci rincontreremo’’, disse la creatura,
sparendo all’improvviso.
Tim si rimproverò a sé stesso per le parole che aveva appena
pronunciato. Parole cattive che lui non aveva mai detto.
Però, ora lui era un imperatore, e gli imperatori possono
fare di tutto.
Finalmente, Tim si sentì libero come non lo era mai stato.
Ora, lui sarebbe entrato nella storia del mondo di Fortwar.
Il Grande deserto si estendeva oltre i confini
dell’immaginabile.
Ilse, sfiancata,
guardò davanti a sé, vedendo solo una marea di sabbia rovente. Con passi
incerti, iniziò a seguire a distanza la colonna degli Sconosciuti.
Lei fino a quel momento non aveva mai tentato di avvicinarsi
al gruppo. Seguendoli dappresso, aveva avuto l’opportunità di saccheggiare quel
poco che rimaneva addosso a quelli che restavano indietro.
Molti Sconosciuti, stanchi e feriti, si erano lasciati
andare, ed erano rimasti abbandonati nel bel mezzo delle fitte foreste di
Fortwar. I compagni avevano un po’ di carità nei loro confronti, e non appena
uno si accasciava, e non pareva più in grado di proseguire, spesso gli
lasciavano qualcosa di commestibile vicino, in modo almeno di non lasciarlo
perire dalla fame, un gesto più caritatevole che utile.
E lei, con la perfidia
di un avvoltoio, aveva iniziato a derubare quelle persone in fin di vita,
troppo deboli per risponderle o cacciarla. Così, tra un furto e qualche bacca
selvatica, era riuscita a sopravvivere alla dura attraversata dell’impero.
Ma nel deserto la situazione era cambiata. Coloro che
restavano indietro non avevano più nulla addosso, e cibo e acqua erano già
razionati per i sopravvissuti, e non venivano sprecati inutilmente.
Ilse, scalza, poiché i
suoi calzari si erano distrutti nella dura marcia verso nord, procedeva
barcollando, mentre attorno a lei ballavano oasi e stupendi animali che
vivevano solo nella sua mente.
Il caldo era rovente, e i suoi piedi erano tutti piagati, a
causa del calore della sabbia, ed ogni passo era un grande dolore per lei. E
aveva sete. Tutt’attorno c’era solo sabbia e aveva già finito l’acqua.
Aveva due soluzioni; o cercare di tornare indietro, verso una
morte certa, o cercare di raggiungere la colonna, cercando di elemosinare un
po’ d’acqua.
Con la mente offuscata, decise di raggiungere per la prima
volta la colonna. Stava seguendo le loro orme nella sabbia, che svanivano
velocemente dopo il passaggio degli uomini. Ben presto le fu chiaro che doveva
sbrigarsi a raggiungerla.
Cercò di avanzare nel modo più spedito possibile. Le fu anche
chiaro che se voleva uscirne viva da quell’inferno infuocato, doveva cercare il
riparo del gruppo. E lei si sentiva che quegli uomini l’avrebbero difesa,
poiché portava in grembo l’unico erede del loro Gran re.
Ben presto individuò la colonna; si era arrestata, a fianco
di una duna, e stavano distribuendo la razione di acqua. Ilse perse la ragione,
e rapida come un animale del deserto, si avvicinò al gruppo.
‘’Acqua! Acqua, per favore!’’ gridò, non appena loro poterono
sentirla. Poi, si unì al gruppo, avvicinandosi al giovane che riempiva le
borracce.
‘’Acqua!’’, gridò, aprendo i palmi a coppa, in modo che
potessero versargliene un po’.
Non si accorse che tutti la stavano guardando da sotto gli
stracci con sui si erano avvolti la testa per fornirsi una blanda difesa dal
sole, stupiti.
‘’Una donna!’’, gridò una voce indefinita.
Il ragazzo abbassò il piccolo otre che conteneva il prezioso
liquido, e le si avvicinò. Ilse fece per spingerlo via.
‘’Acqua!’’, gridò, nuovamente, senza riuscire a dire altro.
‘’Tutto a tempo debito. Fatti vedere’’, disse il giovane,
tenendola per un braccio.
Poi, il ragazzo gridò qualcosa nella lingua degli
Sconosciuti. Prese a parlare rapidamente, e Ilse rischiò di perdersi nei loro
discorsi, ma qualcosa riuscì a comprendere ugualmente.
‘’E’ lei! È la sgualdrina del re! Ed è pure incinta!’’, disse
uno di quei uomini, afferrandola per un braccio e malmenandola.
‘’Cosa ne facciamo?’’,
disse un altro.
Ilse bruciava dalla
sete, e non le importava più di tanto dei vocaboli che le venivano proferiti.
Voleva solo bere.
Gli uomini discussero
per alcuni minuti, poi decisero.
‘’La riportiamo
indietro. La venderemo ai soldati imperiali, che la porteranno al loro
generale, così la brucerà viva, la strega!’’, disse un uomo risoluto. Tutti
annuirono.
Senza capire molto altro, Ilse fu presa e trascinata indietro
con la forza. La stavano veramente riportando nei territori imperiali. Gli
Sconosciuti non volevano un re figlio di una straniera.
‘’Nooo! Voglio solo
bere.. e basta… lasciatemi…’’, piagnucolò, mentre la trascinavano nella sabbia.
Non ebbero alcuna pietà di lei, né le offrirono da bere. Lei non contava più
nulla per loro.
I suoi ricordi furono confusi. I suoi occhi, ancora accecati
dal sole del deserto, non focalizzavano quasi nulla. Era tutto sfocato.
Gli Sconosciuti che la consegnavano ad alcuni soldati
imperiali, e lei che continuava a chiedere acqua, ma riceveva solo manrovesci.
Ilse ricordò di essere rimasta sola, e che i soldati che
l’avevano consegnata agli imperiali se n’erano andati, senza ricevere né
complimenti né ricompense.
Ben gli sta, pensò.
Poi, le dure mani di un soldato la presero, e le legarono i
polsi e le caviglie. Lei cercò disperatamente di gridare, di dimenarsi, ma la
sua gola era secca, e il suo corpo era straziato. Un soldato, poco distante,
rideva.
Poi, finalmente, qualcuno le avvicinò alle labbra una
borraccia, e le versò qualche sorso d’acqua, ridandole un pizzico di vita.
‘’Sarà meglio che tu beva un po’, sai, ti devi preparare alle
fiamme. Chiederemo al nostro nuovo imperatore di bruciarti viva, proprio nella
piazza di Fortwar, applicando il tipico trattamento che riserviamo alle
traditrici. Sarà uno spettacolo magnifico’’, continuò a dire l’uomo dai
contorni sfocati, che poi prese a ridere sguaiatamente. Ad Ilse parve che
quella risata fosse durata ore, giorni o addirittura mesi.
No, pensò, non può finire così. Non dopo
tutti gli sforzi che ho fatto per avere il potere.
Pensò anche a quel
figlio che aveva in grembo, e che forse non sarebbe mai venuto al mondo.
Voleva piangere, ma
non ci riuscì. Dalla sua bocca uscì solo un gemito soffocato.
Poi, qualcuno le versò una strana sostanza amara in bocca.
Lei conosceva quel sapore; era quello del sonnifero.
Tentò inutilmente di agitarsi, ma ormai era tutto finito,
nulla aveva più senso. Ilse crollò in un sonno pesante, senza sogni.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti J
In questo capitolo vi ho lasciato degli indizi chiari su ciò
che succederà nel prossimo capitolo, quindi non preannuncio altro, anche perché
siamo quasi arrivati al finale… sabato prossimo pubblicherò l’ultimo capitolo e
l’epilogo, quindi finiremo quest’avventura J
Per far immedesimare ancora di più il lettore, nell’ultima
parte del capitolo, che è volutamente la più confusa(Ilse sta morendo di sete, è
confusa ed è nei guai), ho scelto di entrare ancor di più nell’intimo della
protagonista, offrendovi alcuni dei suoi pensieri. Spero di essere riuscito nel
mio intento J
Grazie a tutti, a mercoledì J
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Capitolo 45 *** Capitolo 45 ***
Capitolo 45
CAPITOLO 45
Tim aveva passato le sue prime due settimane da imperatore
immerso tra lussi ed agi.
Sergej aveva fatto di
tutto per riparare il palazzo imperiale, che ora risultava quasi totalmente
ristrutturato, ed era pronto all’uso. C’erano piscine piene d’acqua tiepida in
cui stare a mollo, morbidi letti, e tanta servitù. Tim non si era mai sentito
così a suo agio in un luogo. E pensare che inizialmente si era opposto alla
ricostruzione di quel palazzo.
Ormai era passato un mese dalla grande e ultima battaglia,
dove tutto si era concluso, ma i presagi erano dei più lugubri.
Da alcuni giorni non
facevano altro che giungere piccioni con dei messaggi, e soldati agitati. A
loro dire, gli abitanti sopravvissuti delle provincie di Palok e Arus erano
usciti dalle foreste, ed avevano ripreso a ricostruire le loro città.
Quella poteva sembrare una cosa positiva, ma in realtà non lo
era affatto; infatti, i provinciali si rifiutavano di riconoscere la carica
dell’imperatore, ed erano determinati a fondare stati indipendenti. Non
volevano più essere riammessi all’impero, volevano essere autonomi.
Tim se ne stava sdraiato tra i soffici cuscini del suo letto,
senza preoccuparsi troppo di quelle voci.
‘’Sire’’, disse una voce indistinta, facendo ritornare in sé
l’imperatore.
‘’Dimmi’’, disse Tim, svogliatamente, senza neppure degnare
di uno sguardo il tizio che lo chiamava.
‘’Ho una notizia buona, e una cattiva. Parto dalla buona. Gli
Sconosciuti sono rimpatriati tutti, ed hanno intenzione di tener fede ai patti
stabiliti’’, disse la voce. Tim riconobbe un suo dignitario di corte.
‘’Oh, bene. E quella cattiva?’’, chiese nuovamente Tim,
svogliato.
‘’Palok, Arus e Vargan non riconoscono la sua magnificente
figura, e si sono proclamati indipendenti dall’impero’’, disse, tutto d’un
soffio l’uomo. Tim sobbalzò.
‘’Non è possibile.
Voglio che entro domani sia richiamato l’esercito. Anche la guardia cittadina
parteciperà. Scenderemo in guerra’’, disse Tim, con fare deciso.
‘’Ehm, non credo, signore. Dopo la recente guerra, le casse
dell’impero sono totalmente vuote. Non possiamo pagare l’esercito, e la guardia
cittadina non muoverà un dito’’, disse ancora l’uomo.
‘’Dannazione. Allora
andrò io stesso a trattare con i provinciali’’.
‘’Nessuna trattativa, Sire; sono armati, e hanno preso il
controllo delle loro province in pochissimo tempo. Hanno già eletto i loro
nuovi signori. L’impero può dirsi concluso, Sire. Nelle sue mani, resta solo la
piccola provincia di Fortwar’’, continuò il dignitario di corte, sprezzante.
‘’Non sta a te dirmi
quello che devo fare. I loro antenati si sono vincolati all’impero tramite
antichi giuramenti. E loro li rispetteranno. Fai preparare un’ambasciata; io
stesso ne prenderò parte. Partiremo tra tre giorni massimo. E ora vai a
svolgere le tue mansioni’’, disse Tim, cacciando via in malo modo l’uomo.
Mentre il nuovo imperatore continuava a starsene sdraiato a
rimuginare sugli ultimi eventi, un giovane servo si affacciò sulla porta della
stanza.
‘’Che vuoi?’’, gli
rispose in malo modo Tim.
‘’Ecco… Sire… volevo dirle che i due maghi si sono
risvegliati, e che vogliono vederla’’, disse il giovane, balbettando, in pieno
imbarazzo. Poi, fece un breve inchino, ed uscì frettolosamente dalla stanza.
Tim fu certo di
sentire i suoi passi diventare sempre più frettolosi, come se il giovane avesse
iniziato a correre, pur di mettere qualche metro di distanza da lui. Si chiese
se ora facesse così tanta paura. Ma non voleva pensarci, per ora.
Si tirò su, in piedi, e uscì dalla stanza, che lui chiamava
stanza dei cuscini. Infatti, era tutta piena di divani imbottiti di soffici
piume, e i cuscini non erano da meno.
Con un sospiro, prese a percorrere frettolosamente gli ampi
corridoi del palazzo, per giungere prima alla sua destinazione. I due giovani
maghi di Huru non si erano più risvegliati, da quando avevano affrontato
insieme a lui il Principe del Caos. Erano in coma, i loro volti erano tumefatti
e sfigurati a tal punto da incutere terrore a chiunque. Eppure, quasi per
miracolo erano ancora vivi, e a quanto pare si erano risvegliati.
Non appena Tim entrò nella camera a loro riservata, sentì
l’odore forte degli unguenti che venivano applicati alle ustioni del loro
volto. L’odore acre, comunque, parve attenuarsi solo dopo due inspirate.
E si trovò di fronte a
Smith e Lee. I due maghi erano orribili; i loro volti erano ancora rossastri, e
Tim non ebbe il coraggio di guardare se avessero ancora le orecchie o no.
Comunque, Smith il naso non l’aveva più.
Però appena Tim trovò nuovamente il coraggio per guardarli,
notò che stranamente i due non erano ciechi. I loro occhi brillavano come due
stelle, in mezzo a quel volti mutilati.
‘’Imperatore Tim! Finalmente ci rincontriamo’’, disse Lee,
tirandosi su dal letto.
‘’No, stai giù, è meglio che ti riposi’’, provò a dire Tim,
ma il ragazzo si era già alzato in piedi, nel pieno delle forze.
In pochi istanti, anche Smith fece lo stesso. Tim
indietreggiò di un passo, sorpreso dalla forza dei due. D’altronde, erano stati
costretti a letto per quasi un mese, ma sembrava che non fossero mai stati in
coma.
‘’Niente riposo, per noi. Abbiamo già riposato a sufficienza,
e il nostro dio ci ha riempiti di nuova energia. Domani ce ne andiamo’’, disse
ancora Lee.
‘’Ve ne andate?’’, chiese Tim, tra lo stupito e lo
sconcertato.
‘’Sì, certo. Vorremmo andare a ricostruire Vargan, così come
il nostro stesso maestro ha fatto. E poi vorremmo tornare a piantare il grano
sacro nella piana antistante a Palok’’, continuò a dire Smith.
‘’Con il suo permesso, naturalmente’’, concluse Lee, dando
una gomitata all’amico.
‘’Oh, beh, certo, vi concedo il permesso. Anche se non
starebbe più a me darvelo. Quelle terre si sono ribellate al mio dominio’’,
disse Tim.
‘’Sua maestà ci ha concesso il permesso di partire e di
comportarci come più ci aggrada, e noi le siamo riconoscenti. Per questo, noi
cercheremo di far passare le persone dalla vostra parte. Con qualche buona
parola, forse potremmo trovare una soluzione ai suoi problemi’’, disse Lee.
Tim si chiese se fosse
sempre stato così quel ragazzo. Forse sì. Si diceva che fosse in grado di
vedere il futuro, e di conoscere ampliamente il presente e il passato.
‘’Mi fareste un grande favore, se cercaste di far ragionare
il mio popolo. In questo caso, sarò io a ringraziare voi. E se riusciste a far
ragionare le mie provincie, vi garantirò la più totale libertà di culto’’,
disse l’imperatore. Lee accennò un inchino.
‘’Faremo del nostro meglio. Grazie di tutto, Sire’’, concluse
il ragazzo, che iniziò a mettersi la sua tunica grigia da mago. Tim continuava
a fissarli, esterrefatto.
‘’Sire, non ci guardi
così. Noi siamo stati addormentati perché il nostro dio ci ha voluto
ringraziare dei nostri servigi. Ora, abbiamo perso il volto, ma abbiamo
rinsaldato l’anima. D’altronde, ogni cosa ha un suo prezzo’’, disse Smith,
sorridendo, anche se in realtà il tutto pareva un diabolico ghigno. Tim abbassò
nuovamente lo sguardo.
Poi, sentì una lama gelida sfiorargli le spalle.
‘’Questa è sua. E grazie di tutto’’, disse Lee, porgendo
all’imperatore la spada magica dall’impugnatura verde. Tim aveva pensato di
farla riporre nascosta sotto il letto di Smith, sperando che con la sua forza
magica avesse dato una mano ai due giovani per uscire dal coma.
Poi, i due maghi superarono Tim, gli fecero un gesto di
congedo, e si allontanarono lungo il corridoio.
‘’Lee, dimmi cosa
riserva il futuro al mio regno’’, chiese Tim, sperando che il giovane gli
fornisse qualche risposta. Lee, lo guardò. Il suo volto era pieno di
consapevolezza, e Tim ne fu certo che lui sapeva.
‘’Sire, il segreto del mio dio mi impone di non parlare. Ma
ho solo un consiglio; di stare attento alle tenebre. Il male è ancora in
agguato, pronto a mordere. Il male tornerà, e allora tutto dovrà essere pronto
per sconfiggerlo nuovamente. Altrimenti, sarà la fine. Quindi, cerchi di essere
il più morale possibile, e veda di non diventare uno scansafatiche. Ora lei
dovrebbe essere l’eroe del suo popolo, e comportarsi come tale. E ora, con il
suo permesso, noi ci congediamo’’, disse Lee, con toni che non ammettevano altre
domande. A Tim rimase solo di congedarli definitivamente, e non chiese più
nulla, tanto il ragazzo, cocciuto com’era, on avrebbe rivelato più nulla.
I due si allontanarono
velocemente, parlando a bassa voce tra loro. L’imperatore continuò a seguirli
con lo sguardo, stranito. Doveva riflettere sulle frasi appena pronunciate dal
giovane mago, ma non ci riuscì più di tanto.
Infatti, i suoi occhi
furono subito attratti da un flebile bagliore che scaturiva dalla mano destra
di Lee, che stava stringendo qualcosa. Ed ebbe la consapevolezza che il giovane
teneva tra le mani quella pietra mistica che aveva segnato il destino della
battaglia di Vargan; era la pietra sacra di Huru. Tim non l’aveva più vista dal
giorno della battaglia finale, sotto le mura di Fortwar. Però, fu felice di
constatare che era ben custodita.
A passi lenti e stanchi, prese a trascinarsi nuovamente nella
sua stanza dei cuscini. Si chiese se tutto quel riposo gli stesse facendo male.
Tim non seppe neppure rispondere alla sua domanda.
Era pomeriggio inoltrato quando Tim si decise ad andare nella
sala delle udienze, ovvero il luogo specifico del palazzo dove chiunque, dai
semplici sudditi ai nobili, potevano rivolgersi a lui, per richiedere
l’applicazione della giustizia dell’imperatore.
I giudici supremi della corte imperiale se ne stavano ad
ascoltare le varie lamentele, mentre il nuovo imperatore faceva solo presenza
fisica. Per questo si poteva permettere di giungere anche in ritardo.
Il novello imperatore
si gettò subito seduto, proprio sullo scranno imperiale, che lui stesso aveva
provveduto a farlo rendere più comodo.
Ben presto, Tim fu totalmente preso dal suo calice di vino,
smettendo fin da subito di ascoltare le chiacchiere di vecchie vedove o le liti
tra vicini di casa, e lasciando lavorare al posto suo i giudici. Voleva proprio
che se la guadagnassero, la pagnotta.
La sua mente tornò ai maghi di Huru, e ai loro volti
sfigurati. Per fortuna, non avevano atteso neppure un giorno in più, e se
n’erano andati alla volta di Vargan a dorso di somaro. Tim pensò che quei due
ragazzi erano veramente strani. Ma d’altronde, notò che lo erano sempre stati. Poi,
la sua mente tornò al Grande drago, con il quale aveva litigato. La creatura se
n’era andata il giorno stesso della sua incoronazione, seguita da tutto il suo
popolo. Probabilmente, non l’avrebbe rivisto mai più.
Improvvisamente, la porta della sala delle udienze fu
brutalmente spalancata, e i pensieri dell’imperatore si frantumarono. Tim,
infuriato, si dimenò sul trono.
‘’Chi osa interrompere
il corso della giustizia imperiale con così malo modo?’’, gridò l’imperatore
dal suo scranno.
‘’Ci scusi, Sire. Ma abbiamo una questione urgentissima da
risolvere’’, disse una delle guardie di palazzo, che si era affacciata sulla
porta.
‘’E di che si
tratta?’’, continuò a chiedere in malo modo Tim, mentre i giudici si
preparavano a ritrarsi.
‘’E’ una questione
delicata’’, continuò a borbottare la guardia. Insomma, volevano parlare con lui
da solo.
‘’Fuori tutti! Le udienze riprendono domani. Via!’’, disse
Tim.
Subito, tutti i presenti si accalcarono sulla porta d’uscita,
andandosene velocemente, compreso i giudici.
‘’Bene. Illustratemi la questione, allora’’, disse Tim, con
ritrovata pazienza. Ora aveva quasi voglia di ringraziarle quelle guardie, che
l’avevano salvato da ore di noia.
‘’Passerò subito al dunque. Gli Sconosciuti, prima di
attraversare il Grande deserto, ci hanno lasciato un dono per lei, Sire. Un
dono importante, di cui lei farà sicuramente buon uso’’, disse la guardia, ghignando.
Tim comprese che doveva essere qualcuno da condannare a morte. Le guardie
assumevano quel ghigno quando era ora di sopprimere qualcuno, e a volte trovavano il tutto molto divertente.
‘’Va bene. E di che si tratta?’’, chiese nuovamente
l’imperatore, incuriosito.
‘’Di una creatura da
arrostire, Sire. Della più grande traditrice dell’impero. La sgualdrina gravida
del Gran re degli Sconosciuti’’, disse, con tono pacato la guardia.
‘’Interessante. E come la vorreste, quindi? Vederla bruciare
in un rogo pubblico, come tutti i traditori? Uhm, potrebbe essere un’idea.
Mostratemela’’, continuò a dire Tim, sempre più curioso. La guardia sorrise, e
fece cenno alle altre di entrare nella sala.
Altre due guardie si fecero avanti, trascinando una figura
femminile, che pareva addormentata. La lunga chioma castana ricadeva sul suo
volto, tutta sudicia.
Quando furono di fronte all’imperatore, le guardie le
tirarono due rapidi e dolorosi schiaffi. La donna sussultò, si svegliò e tirò
su il volto.
E fu solo allora che, nonostante il sudiciume che la
ricopriva, Tim fu in grado di riconoscerla.
‘’Ilse!’’, disse l’imperatore ad alta voce, trasalendo.
La ragazza lo guardò, con i suoi occhi penetranti.
Era proprio lei, la ragazza che aveva cercato a lungo e che
aveva creduto morta. Era proprio la sua Ilse, e lui l’aveva ritrovata.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie J
Vi ho sorpresi un po’ eh? Ahah no dai avevo già lasciato
indizi su ciò che sarebbe accaduto. E ora che succederà? Ilse arrostirà,
oppure….beh, lo vedremo sabato, quando pubblicherò l’ultimo capitolo e
l’epilogo di questa immensa storia J
Spero che fin qui tutto torni. Spero veramente di essere
riuscito a sorprendervi durante la storia, e di non avervi offerto nulla di
banale o scontato. Ma le mie conclusioni le lascio per sabato J
Grazie ancora a tutti coloro che mi hanno seguito in questo
lungo viaggio, che sta per terminare, purtroppo… ma ho una sorpresa per tutti
voi lettori(spero vi piaccia) che vi rivelerò solo sabato J
Per ora, grazie ancora J a sabato, per il gran finale J
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Capitolo 46 *** Capitolo 46 ***
Capitolo 46
CAPITOLO 46
Ilse riprese lentamente i sensi.
Sentì che la stavano schiaffeggiando, e che la volevano
risvegliare. Pian piano, cercò di riaprire gli occhi.
Per un attimo, fu indecisa sul da farsi. Il suo corpo era
ancora tutto intorpidito per l’effetto dei sonniferi, e non sapeva se la sua
gravidanza stesse continuando correttamente.
Non voleva riaprire gli occhi. Ora sapeva quello che si
sarebbe trovata davanti. L’imperatore, insieme con le sue guardie, l’avrebbero
giudicata e giustiziata, molto probabilmente la pena che le sarebbe stata
inflitta era il rogo pubblico. La pena dei traditori.
Eppure, le mani dei
soldati continuavano a percuoterla, e con un sospiro, alzò la testa ed aprì gli
occhi. E si trovò di fronte ad una scena inaspettata.
C’era un uomo, di fronte a lei, vestito come un imperatore e
seduto sul trono. Ma non era un uomo qualsiasi. La sua vista era ancora
sfocata, a causa delle lunghe ore di sonno, ma quella sagoma le era familiare.
Molto familiare.
Mentre lei riprendeva l’uso dei sensi, l’uomo aveva i tratti
sconvolti. Non appena Ilse riuscì a vederlo chiaramente, dopo una manciata di
secondi, vide che lo sgomento dell’uomo, che doveva essere l’imperatore, si era
tramutato in un sorriso. Fu solo allora che Ilse lo riconobbe.
Era Tim, quello sciocco che per parecchi anni le aveva fatto
regali e l’aveva corteggiata, senza ricevere nulla da lei.
‘’Ilse! sei proprio tu?’’, chiese l’imperatore, che era
indubbiamente Tim.
Ilse ne riconobbe
subito la voce, e nonostante fossero passati quasi due anni dall’ultima volta
che l’aveva visto, il suo volto non era cambiato di molto.
‘’Tim? Sei imperatore, ora?’’, gli chiese, con fare
assonnato. Una guardia le mollò uno schiaffo.
‘’Non rivolgerti così
all’imperatore, traditrice!’’, gridò uno dei suoi aguzzini.
‘’E tu non permetterti più di toccarla! Mai più! Mettetela
giù, liberatela’’, gridò Tim, paonazzo in volto.
‘’Ma, Sire… lei è la
traditrice, colei che porta in grembo il figlio di colui che ci ha quasi spinti
nel baratro’’, provò a dire il capo delle guardie.
‘’No, lei è Ilse, una
dolce donzella che fino a poco tempo fa viveva proprio qui, a Fortwar. Non so
chi vi abbia detto tutte queste sciocchezze. E ora, andatevene. La traditrice è
indubbiamente un’altra, andate a cercarla’’, disse l’imperatore.
‘’No è lei! Sire, ci ascolti!’’.
‘’Via di qui! Mi avete
sentito? Non può essere lei, la conosco da sempre. E ora lasciateci soli’’,
gridò nuovamente Tim.
Le guardie lasciarono Ilse, e abbandonarono la sala, con
volti decisamente contrariati ed offesi.
Tim restava indubbiamente il solito ragazzo stupido, si disse
la ragazza.
Ilse si lasciò sfuggire un sorriso incerto. Quella svolta
proprio non se l’aspettava più. Il destino le stava dando un’altra grossa
opportunità di rivincita, e lei non se la sarebbe lasciata sfuggire a qualunque
costo.
‘’Grazie, mio imperatore’’, provò a dirgli, con toni incerti.
Lui non si smosse dallo scranno, e agitò la mano, come per
dire che i ringraziamenti non servivano. Poi, passò subito alle domande. Ilse
notò che lo stolto aveva dei dubbi su di lei, che infatti espresse subito dopo.
‘’Dove sei stata, fino a questo momento? Eri misteriosamente
sparita’’, disse Tim, con fare indagatore.
‘’Ero con gli
Sconosciuti’’, affermò Ilse, tutto d’un colpo. Se voleva vivere, aveva capito
che doveva raccontare anche una parte di verità. Una piccola parte, però
cosparsa di abbondanti bugie.
‘’Allora è vero quello che mi han detto i miei uomini!’’,
tuonò Tim, agitandosi sul trono.
‘’No, non è vero. O almeno lo è solo in parte’’, tentò di
dire Ilse. Tim stava diventando rabbioso, cosa insolita per lui. La ragazza
dovette notare che in realtà un po’ era cambiato.
‘’Cioè?’’, chiese nuovamente l’imperatore, con gli occhi
socchiusi.
‘’Io… ecco… non so come spiegarlo. Mi ero ridotta a fare la
serva in una casa nobiliare a Frampul. Ero sola a questo mondo. Quando la
provincia di Arus è stata conquistata dagli Sconosciuti, sono stata catturata,
e sono diventata una loro schiava. Una schiava che è entrata subito nella vita
del loro re’’.
‘’Oh, vedi allora che
è vero? Sei una traditrice’’.
‘’Per favore, ascoltami…’’.
‘’Io sono l’imperatore, ora, e inizia a rivolgerti a me con
toni adeguati’’, tornò a gridare Tim.
Ilse lo odiava di già,
ancora di più di quando le faceva la corte. Però, decise di assecondarlo. La
sua vita ora era appesa al tenue filo di bugie che stava per tendere.
‘’La prego di perdonarmi, Sire. Il re degli Sconosciuti non
era il mio uomo. Lui… ecco, mi violentava. Lui non mi amava, e io non amavo lui, però gli piacevo fisicamente. Mi
teneva rinchiusa in una cella, da dove io non potevo uscire, e mi veniva a
prendere solo la notte. Ero solo una delle sue tante schiave, che usava per
soddisfare i suoi piaceri più intimi’’, continuò a dire Ilse.
Le parole, pian piano, le morirono in gola. Lei stava
scaricando l’uomo che l’aveva sinceramente amata, e che avrebbe perso la vita
per difenderla. Si sentì un essere disgustoso. Ma ora doveva continuare a
mentire, se voleva vivere. Fermei era morto, e nessuno l’avrebbe più protetta.
Comunque, quelle parole fecero presa su quel bonaccione di
Tim, che si alzò dal suo scranno, con il volto preoccupato.
‘’Ti faceva tutto
questo, quel mostro?’’, le chiese l’imperatore, mentre le si avvicinava.
‘’Sì. Ogni notte era il mio calvario. Piangevo,
inconsolabile. Ma non potevo respingerlo, ero una sua schiava’’, continuò Ilse,
la voce ridotta ad un sussurro. Sapeva di continuare a mentire spudoratamente,
ma d’altronde Tim non avrebbe più avuto modo di verificare se le sue parole
erano vere o no. L’imperatore le sfiorò una guancia.
‘’Povera, piccola Ilse. Il mondo, a volte è crudele’’, le
disse.
‘’Lo so. L’ho imparato sulla mia pelle. Ogni notte… io…’’,
prese di nuovo a dire, mentre lacrime calde iniziarono a scivolarle sul suo
viso.
‘’Continua’’, le disse
l’imperatore, asciugandole una lacrima con il lieve tocco della sua mano.
‘’Io piangevo, soffrivo… avrei voluto che fossi stato tu
quell’uomo che mi toccava, che mi desiderava. Ma in realtà era quel bruto’’,
gli disse, tornando ad utilizzare un tono confidenziale.
Tim rimase di stucco non appena sentì quella risposta, e non
disse nulla riguardo alla sua mancanza di rispetto. Ilse continuò la scenata,
piangendo e singhiozzando. Si impegnò veramente bene, anche perché le lacrime
le sgorgavano copiose dagli occhi, spinte dalla paura. Sapeva che in gioco
c’era la sua vita, e quella di suo figlio.
‘’Oh, Ilse. non temere, è tutto concluso. Ora sei libera,
finalmente. Ben presto tornerai a vivere spensierata, te lo prometto. Te lo
prometto nel nome dell’antica amicizia che ci lega da una vita’’, le disse
quello stupido imperatore, che poi le andò incontro e, inaspettatamente, l’abbracciò.
Ilse fu subito pronta a ricambiare quell’abbraccio, e a continuare la scenata.
‘’Tim, per fortuna ti ho ritrovato. Senza di te, e senza le
tue attenzioni, mi sentivo persa. È anche per quello che ho abbandonato
Fortwar, subito dopo la tua partenza per servire l’esercito’’, continuò a sussurrargli
all’orecchio. Tim la strinse ancora più forte, e fu allora che Ilse capì che le
sue menzogne avevano attecchito nel suo cuore.
‘’Anche a me sei mancata, Ilse. Ma ora che so che anche tu mi
vuoi e mi desideri, non ci lasceremo più. Te lo prometto’’.
‘’Grazie, Sire, ma c’è un piccolo problema’’, tornò a dire
Ilse, con toni più distaccati.
‘’E quale sarebbe?’’.
‘’Sono incinta.
Aspetto un figlio del re degli Sconosciuti’’.
Tim si agitò, e si allontanò da lei.
‘’Per quello troveremo
una soluzione. Non preoccuparti, per ora’’, le disse, tornando a sorriderle.
Lei ricambiò con cortesia.
‘’Guardie!’’, chiamò
Tim ad alta voce. Le guardie entrarono da una porticina laterale.
‘’Dica, Sire’’, disse
il loro capo.
‘’Preparate un’ala del palazzo solo per Ilse, lei ora è la
mia protetta. E assicuratevi di vigilarla e proteggerla sempre, ma non lasciatela
uscire dal palazzo. Potrebbe essere pericoloso’’, disse Tim. Le guardie lo
guardarono, sbalordite.
‘’Sire, ma questa è una traditrice da mettere al rogo…’’.
‘’Qui comando io. Ilse
ora è la mia protetta, e va trattata con immenso rispetto. E se qualcun altro
si azzarda a darle della traditrice, gli farò tagliare la testa e la esporrò
sui merli delle mura per una settimana. Quindi, svolgete solo i miei ordini.
Nessuno qui vi ha chiesto di esprimere i vostri pareri personali. Intesi?’’,
continuò l’imperatore, con toni duri e decisi.
‘’Certo’’, disse a denti stretti il capo delle guardie, che
fece un gesto, dando il via libera ai suoi uomini. Le guardie si mossero con
fare reticente, e con odio celato dietro ai loro musi lunghi. Tim non doveva
star loro molto simpatico.
‘’Ci segua, per favore’’, disse una giovane guardia, con fare
guardingo.
Ilse annuì, e lo segui fuori. Le guardie la scortarono in una
zona morta del palazzo, dove però c’erano letti e divani ovunque. Doveva esser
stato un dormitorio comune utilizzato dai servi.
‘’Questa sarà la sua nuova casa, protetta dell’imperatore.
Ogni suo desiderio sarà esaudito. Entro poco farò arrivare qui la servitù, così
lei potrà adibire come meglio crede questi nuovi spazi. E ora, con il suo
permesso…’’, disse il capo del drappello, facendo un lieve ma sprezzante
inchino.
Ilse si sentì quasi
derisa, e fu certa che, appena le guardie le passarono da fianco per andarsene,
una le abbia sussurrato la parola traditrice.
La ragazza scrollò le spalle, e prese a esplorare il nuovo e
spazioso ambiente, che era quasi nulla in confronto al castello di Vargan.
Ben presto arrivò la servitù, e lei si mise a dare ordini,
godendosi il suo nuovo ruolo di rilievo. Ma lei non era ancora contenta; non voleva
limitarsi ad essere solo una protetta, e doveva ancora salvare suo figlio.
Quella notte, Ilse non si addormentò e rimase in trepidante
attesa.
Dopo aver fatto un bel bagno, passò il tempo stringendo tra
le mani la corona di Fermei. Nessuno le aveva mai perquisito o sottratto la sua
piccola bisaccia verde, che aveva sempre portato con sé, in cui custodiva i
suoi ultimi oggetti. Dopo un po’, nascose la corona nel suo armadio, sotto i
vestiti, e prese a spazzolarsi i capelli. Fortunatamente, la gravidanza
procedeva bene nonostante tutti i vari disguidi dell’ultimo periodo.
Non appena si fece
notte fonda, e il grande palazzo fu silenzioso, lei uscì dai suoi appartamenti,
a passi felpati.
Una guardia era posizionata poco distante dalla porta della
sua camera da letto, ma era serenamente
addormentata, raggomitolata nel pavimento. Ilse sorrise, e continuò la sua avanzata.
Sapeva che gli imperatori dormivano nell’ala nord del
palazzo, dove c’era la camera tinta di blu scuro, a voler rappresentare la notte.
Suo padre, quando svolgeva compiti al palazzo, sapeva tutto di tutti. La
ragazza sperò solo che Tim non avesse cambiato le abitudini imperiali.
Continuò a camminare spedita, senza incontrare nessuno. Il
palazzo era immerso nella penombra, e nei corridoi ormai erano rimaste poche le
fiaccole ancora accese. Ben presto, si trovò a destinazione. La porta
dell’immensa camera da letto imperiale era sorvegliata da ben due uomini
armati, che sonnecchiavano sulla soglia, ma era ovvio che Ilse non avrebbe potuto
entrare.
Dalla sua tasca estrasse un sassolino. Lo lanciò in aria, e
cadde dalla parte opposta del corridoio, tintinnando.
Le guardie sobbalzarono, e presero subito a cercare la causa
del rumore, dandole le spalle e lasciandole via libera.
I due sciocchi credevano si trattasse di uno dei tanti gatti
che si aggiravano all’interno del palazzo, costantemente a caccia di possibili
prede. Immaginando che non avessero continuato l’ispezione per molto altro
tempo, Ilse sgattaiolò fino alla grande porta, ed abbassò la maniglia, sperando
che nulla cigolasse. Ed infatti, non fece alcun rumore.
Con rapidità, entrò nella stanza, e richiuse subito la porta
dietro di sè.
Una candela, orami esaurita, bruciava ancora su un comodino,
mentre Tim stava dormendo profondamente.
Ilse, sempre più
sorridente, estrasse dalla tasca un piccolo involucro, che conteneva alcuni
granuli di una sostanza dura come la roccia. Prese il bicchiere
dell’imperatore, che come andava d’uso era appoggiato a fianco della candela, sempre
sul comodino, e rovesciò le piccole scaglie al suo interno, mettendoci un po’
d’acqua.
Tim continuò a dormire, fintanto che lei non si infilò sotto
le coperte, e gli strofinò il petto. L’imperatore trasalì.
‘’Cosa…’’.
Tim quasi gridò. Ilse
gli poggiò una mano sulla bocca, prima che potesse attirare l’attenzione delle
guardie.
‘’Sono io, Tim. La tua amata Ilse’’.
‘’Che ci fai tu qui a quest’ora?’’, sussurrò Tim,
insonnolito.
‘’Ma è ovvio, no? Per
giacere con te. È tutta la vita che lo desidero’’, gli disse, continuando a
mentire spudoratamente.
‘’Come hai fatto a passare senza farti scoprire dalle
guardie?’’, continuò a chiedere Tim.
‘’Oh, le donne hanno i loro stratagemmi. Ma ora, per favore,
mio imperatore, dobbiamo parlare’’.
‘’E di cosa?’’, chiese
Tim, incuriosito.
‘’Di amore. E di qualcos’altro’’, continuò Ilse, con fare
intrigante, e iniziando a slacciarsi la sua lunga veste da notte. Tim sbiancò.
La ragazza sorrise, pensando che doveva essere tutta la vita che quello stolto
immaginava quella situazione.
Nonostante il suo ventre lievemente prominente, il suo corpo
era magnifico. Tim fece per aprire la bocca, ma Ilse lo interruppe.
‘’Prima, mio grande imperatore, è meglio bere un sorso
d’acqua. Non vorrei che tu fossi assetato in seguito’’, disse la ragazza, con
fare malizioso, ed allungandogli il bicchiere che era sopra al comodino.
Tim stette al gioco, e
sorridendo, bevve.
Poco dopo, il suo
sguardo divenne vacuo. Ilse temette che potesse diventare pericoloso. Gli aveva
somministrato un potente eccitante, che in dosi errate poteva causare malevoli
disturbi. Quella tecnica l’aveva vista applicare in passato dalla moglie del
suo signore a Frampul, poiché il marito non era particolarmente attratto dalle
donne. Il tentativo, da quanto ne sapeva, doveva essere fallito, poiché la
ragazza era uscita dalla stanza dello sposo in lacrime, però con Tim funzionò.
Il suo volto divenne quasi irriconoscibile, e dopo poco si alzò dal letto.
‘’Ilse, io ti amo da
impazzire’’, le disse, cercando di prenderla.
Ilse ebbe paura, e sgusciò via di lato, cercando di fare meno
trambusto possibile. Poi, si lasciò prendere da Tim, ma non si lasciò baciare.
‘’Eh no, mio imperatore, prima di avere tutto, bisogna
stipulare anche qualche accordo. Si sa, nulla è gratuito’’, gli sussurrò
all’orecchio.
‘’Scherzi? Io sono il tuo sovrano e ti voglio ora. Se no ti
prenderò con la forza. È questo che vuoi?’’, disse Tim. La sua voce era dura,
spietata, quasi irriconoscibile.
‘’Non provarci, o
griderò talmente tanto forte da richiamare tutte le guardie del palazzo. Loro
non ti amano molto, e se poi facessero l’amara scoperta che violenti giovani
ragazze nei tuoi appartamenti, non so se ti lasceranno in vita. Farai la fine
degli imperatori precedenti’’, gli sussurrò Ilse, in preda al panico.
Sperava che Tim
abboccasse. E fu così.
‘’Hai ragione. Dimmi ciò che vuoi, e farò in modo di
accettare tutto’’, le disse, poco dopo. Ilse sorrise, fingendo sicurezza.
‘’Voglio che tu mi
prenda per moglie. E che tu cresca mio figlio, quello che porto in grembo,
senza torcergli un capello. Lui sarà un tuo protetto, crescerà a corte, e
riceverà la medesima educazione dei figli dei reali. Ovviamente, non avrà
diritto di successione al trono, però dovrà essere trattato molto bene. Io in
cambio offrirò il mio corpo e la mia anima a te, per sempre, e concepirò tutti
i figli che vorrai. Ma tu rispetterai me e mio figlio’’, gli sibilò, con la sua
lingua tagliente. Tim non ci pensò molto su.
‘’Non mi importa. Io
ti voglio. Figlio o non figlio, ti voglio ora. Quindi, accetto i tuoi
termini’’, le disse, in preda all’eccitazione. Le diede un bacio sul collo.
‘’No, la fai troppo
facile. Voglio la garanzia che tu rispetterai questi termini. Sai, domattina potresti
esserti dimenticato di questa nottata piena di emozioni’’, gli disse Ilse,
estraendo dalla tasca della sua veste una piccola pergamena. Lì, al suo
interno, la ragazza aveva stabilito e scritto tutti i termini che aveva da poco
esposto.
‘’Poni qui il tuo sigillo’’, gli disse.
Tim prese il suo
anello dal tavolino vicino alla porta, e pose il suo sigillo di imperatore sul
contratto.
Ilse si affrettò ad afferrare la pergamena e a nascondeva
nella tasca della veste. Quello stupido di Tim si era appena impegnato a
prenderla in moglie ed allevare suo figlio, quello che aveva già in grembo.
Felice come non mai, si lasciò andare tra le braccia
dell’imperatore, e lasciò che lui dirigesse il tanto atteso amplesso.
Non provò alcun piacere durante l’atto, anzi, digrignò i
denti e lasciandolo fare. Tim non era molto esperto, e si lasciò totalmente
andare allo sfogo, e ben presto fu tutto concluso. L’imperatore si lasciò
cadere di fianco, e ben presto si addormentò.
Ilse, trionfante, gli si avvicinò e gli passò una mano tra i
capelli, con delicatezza, per non svegliarlo. Poi, anche lei cercò di
appisolarsi, sempre lì, a fianco di quello che a breve sarebbe diventato il suo
uomo.
Cosa mi tocca fare per avere il potere, pensò, lasciandosi sfuggire un
sospiro. Aveva vinto, ma si sentiva da schifo, poiché aveva ripudiato il Gran
re, l’unico uomo che l’aveva amata veramente. Con le lacrime agli occhi,
affondò la testa nel cuscino, e poco dopo si addormentò.
Il mattino giunse in fretta, e Ilse si trovò ad essere
svegliata da Tim, che naturalmente non aveva alcuna voglia di accettare il suo
giuramento e i suoi impegni presi durante la notte.
La ragazza gli dovette
sbattere la pergamena in faccia.
Tim, sempre così rigido nel suo amore per le regole, dovette
riconoscere che il tutto era autentico, e, anche se poco volentieri, si accollò
le sue responsabilità.
Il mese successivo, l’imperatore Tim si sposò con la
bellissima Ilse, già incinta di un figlio, frutto di una precedente relazione.
Il popolo e le guardie
furono sgomente, mentre l’impero annegava nei suoi problemi interni, che
nessuno ormai era in grado di risolvere.
NOTA DELL’AUTORE
Questo è l’ultimo capitolo. Spero che sia stato di vostro
gradimento.
So di non aver accontentato tutti con questo finale, e che
quasi tutte voi lettrici avreste preferito che Ilse fosse punita, ma alla fine
ho provato a concludere così la vicenda.
I miei pensieri, i miei ringraziamenti e la ‘sorpresa’ li ho
scritti tutti nel prossimo ed ultimo capitolo, che è l’epilogo. Quindi, per l’ennesima
volta, buona lettura, e spero che tutto sia di vostro gradimento e che tutto
alla fine torni.
Grazie a tutti! J
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Capitolo 47 *** Epilogo ***
Epilogo 2
EPILOGO
Tim, il nuovo imperatore, nonché fondatore della nuova casa
dei Timsson, dovette ben presto affrontare le spinte indipendentistiche delle
varie provincie dell’impero appena ricostituito.
Non avendo oro nelle casse imperiali, non fu in grado di creare
un esercito regolare e di riportare l’ordine nelle città provinciali appena
rifondate. Per questo fu costretto a lasciare le provincie di Palok e Arus
nelle mani di due governatori da lui scelti, che avrebbero applicato le sue
leggi e gli avrebbero giurato fedeltà, ma che avrebbero utilizzato eserciti
stipendiati da loro stessi. Quello fu l’unico modo rimasto per non perdere le
due provincie. I due governatori avrebbero tenuto parte delle tasse imperiali,
concedendone la metà all’imperatore. Così fu stabilito, e così fu.
La provincia di Vargan, molto ridotta rispetto alle altre, fu
affidata a Smith e Lee, i due maghi sfigurati che rifondarono l’ordine dei
maghi di Huru e ricostruirono la città magica di Vargan, che tornò ad essere
sfarzosa come un tempo. Il culto di Huru si diffuse a macchia d’olio in tutti i
territori imperiali, tanto che quasi tutti i sudditi si convertirono a quella nuova fede, abbandonando le antiche
divinità della natura e l’ateismo.
Fortwar e la sua rispettiva provincia, restarono totalmente
in mano all’imperatore Tim. Contrariamente alle altre città provinciali,
Fortwar rimase immersa in una condizione miserabile; non ci fu crescita
demografica, e nello stesso tempo crebbe
la fame e la povertà. L’imperatore non seppe come risolvere la situazione,
anche perché era continuamente disturbato da liti familiari.
Sua moglie Ilse diede alla luce Abel, un ragazzo forte e
gentile, chiamato da tutti il bastardo dell’imperatrice, poiché era frutto di
una precedente relazione. A seguire, nel giro di pochi anni nacquero anche
Briand Timsson, l’erede imperiale, e Leshana e Jamie, le due figlie
dell’imperatore. I quattro ragazzi erano tutti e quattro ribelli, mentre
l’imperatrice non smetteva mai di cospirare nell’ombra. l’imperatore Tim, negli
anni, prese a cambiare radicalmente. Sempre in peggio.
Ben presto, fu chiaro che i governatori non intendevano più
farsi comandare da un imperatore dubbio, e iniziarono alcune scaramucce sui
confini.
Intanto, nel Grande deserto, le creature magiche se ne restavano
immerse in quell’inferno di sabbia rovente, odiando e maledicendo ogni giorno
gli umani e l’imperatore. Il Grande drago invecchiò rapidamente, e senza alcuna
motivazione. Il suo regno vacillava.
Più a nord, quelli che venivano chiamati Sconosciuti abbandonarono
la vita nomade e fondarono grandi città commerciali. Il regno che era stato del
gran re Fermei fu diviso in 12 stati autonomi, chiamati Marche libere. Ogni
Marca era guidata da un ristretto consiglio di anziani, che si riunirono ben
presto per eleggere una figura superiore, il Gran Marchese, che svolgeva un
compito simile a quello di un comune re, ma le sue azioni erano monitorate
dagli anziani che lo avevano eletto, per fare in modo che non prendesse troppo
potere. La sua era una figura unificatrice e superiore al frazionamento del
regno. Comunque, non si azzardarono più ad invadere l’impero, e rispettarono
gli accordi di pace.
Però, ancora più a nord, sui monti Akràs, una piccola
fiammella violacea aveva ripreso a brillare, immersa nell’oscurità di una
profonda grotta. Il male non era stato sconfitto, anzi, era pronto a rimettersi
in gioco. Era disposto a tutto pur di trovare un nuovo corpo in cui
reincarnarsi. E quel corpo l’aveva praticamente già trovato.
Mentre forti venti di guerra presero a soffiare sull’impero
di Fortwar, l’imperatore Tim fu costretto a vedersela con la sua sposa e con il
figlio bastardo da lei concepito, mentre una nuova, grande guerra per il potere
era sempre più imminente.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Questa è la mia ultima nota J
Vi parrà strano, sono sette mesi che ne scrivo ahah J beh, alla fine sono riuscito a
completare questa storia. A me sembra ancora impossibile, irreale… Ammetto di
essermi affezionato molto ai personaggi, con i quali ho condiviso più della metà
di un anno della mia vita. Però, è giusto anche finirla una storia, no? J mi sento abbastanza soddisfatto di
me stesso.
Questo racconto è nato così, pensando che nessuno l’avesse
mai letto. Invece, qualcuno mi ha seguito J È stata la prima storia che ho
scritto, quindi chiedo perdono se in alcuni punti sono risultato scontato, ci
ho messo tutto me stesso per non esserlo.
Arrivati a questo punto, spero solo che tutto il quadro
narrativo funzioni. Spero di avervi fatto appassionare un po’ alla vicenda e
perché no, di avervi lasciato qualcosa(ma non credo proprio ahah J ).
Basta, non voglio annoiarvi oltre con i miei pensieri, e
passo a ringraziarvi.
Grazie Steph808, sei stata la prima in assoluto a leggermi, a
recensirmi, a inserire il mio racconto tra i tuoi preferiti e a credere nei
miei personaggi. Ti mando un abbraccio e un grazie grande quanto una casa, sei
stata sempre gentilissima e disponibilissima nei miei confronti J
Grazie anche a Dan, prima in assoluto ad aver inserito tra le
preferite entrambe le mie storie. Grazie per le tue recensioni, per il tuo
sostegno e per le tue belle parole. Anche a te, un abbraccio e un grandissimo
grazie! J
Grazie anche a ChiaTag, per aver letto e recensito il
racconto. Anche a te, un grande grazie J
Grazie anche a Jordan Hemingway, che è rimasta un po’
indietro. Ti lascio un grande grazie, che troverai non appena arriverai qui J ovviamente, grazie anche a tutte le
altre persone che han seguito la storia. Un caloroso abbraccio a tutti! J
Non mi dilungo più, vi lascio la sorpresa e poi sparisco J
SORPRESA PER I LETTORI; (*si ripara per evitare il lancio di
pomodori e verdure varie*)
Ho scelto di non abbandonare il mondo di Fortwar. Entro un
mese, pubblicherò il primo capitolo della ‘Guerra di Fortwar II’’. Quindi, se
la vicenda vi ha appassionato, potrete tornare a seguirla con le nuove
avventure dei nostri protagonisti J vi dico solo che sarà ambientata 22
anni dopo gli eventi che ho appena finito di narrare. Se siete interessati, vi
fornirò maggiori informazioni nelle risposte alle recensioni, oppure, se siete
timidi, potete scrivermi un messaggio privato. Per chi volesse continuare a
seguirmi, sto già pubblicando una storia, intitolata ‘il brigante’, se vi va di
darci un’occhiata.
Ora devo dileguarmi, ho scritto veramente troppo! A presto,
carissime lettrici J e ancora grazie! J
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