La guerra di Fortwar

di alessandroago_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 F.

CAPITOLO 1

 

 

 

 

Un’altra monotona giornata stava per concludersi nell’oasi di Sulamba, ultimo avamposto dell’Impero di Fortwar.

Il sole stava già per abbassarsi all’orizzonte quando il giovane soldato Tim andò a raggiungere il fortino militare situato al centro dell’oasi. Mentre camminava a passo spedito lungo la stradina sabbiosa che lo avrebbe condotto dai suoi compagni, il giovane era sempre più immerso nei suoi pensieri. Ora che erano mesi che aveva lasciato casa sua, situata proprio a Fortwar, la capitale dell’impero, a Tim mancava tantissimo la sua città e i suoi amici.

Fino a pochi mesi prima era un ragazzo svogliato, che aveva molti amici e gli piaceva girovagare per i sobborghi della capitale, osservando la vita della gente ordinaria che svolgeva le proprie mansioni quotidiane. Oppure faceva lunghe bevute con gli amici. Effettivamente, fu costretto a riconoscere che in quel periodo felice non si era mai preoccupato tanto della sua vita, della sua famiglia o dell’amore.

Poi tutto era cambiato nel giro di pochi giorni. La notizia che suo padre era morto, ucciso in una rissa in strada da un ubriacone, l’aveva distrutto, e con lui anche sua madre aveva sofferto un immenso dolore. Forse per questo si era ammalata ed era morta nel giro di qualche mese, depressa e magra come non mai. Inoltre, a dare a Tim il colpo di grazia, ci fu un amore triste, provato verso una ragazza di nome Ilse, che di lui non gliene importava proprio nulla, e che lo aveva costretto a demordere, e a ciò andava aggiunto lo stato di più totale indigenza in cui si era ritrovato subito dopo la morte di entrambi i genitori.

Era figlio unico, e non avendo più soldi o altri parenti disposti ad aiutarlo, si era visto costretto ad arruolarsi nell’esercito oramai in declino dell’Impero. E così si era ritrovato lì in quel luogo sperduto, dove ovunque attorno a lui la vita scorreva sempre regolare e con gli stessi ritmi.  Anche in quell’istante i soliti e scarsi venditori di oggetti pressoché inutili si affollavano davanti al fortino dei militari, cercando di guadagnare qualche soldo per tirare avanti in quel luogo ostile agli uomini.

L’oasi era l’avamposto imperiale più avanzato nel deserto infinito che svolgeva da confine con i Regni Ignoti. Regni dai quali mai nessuno era tornato e mai nessuno era giunto, ma tutti sapevano che al di là del deserto fino ad un certo periodo tutto pullulava di vita umana.

La legittimazione di ciò era la leggenda tramandata d’in generazione in generazione che narrava dei Signori della Guerra, validi guerrieri che avevano tentato già in passato di invadere l’allora nascente Impero, ma che erano stati spazzati via dagli imperatori fondatori di Fortwar.

Comunque, erano centinaia d’anni, se non migliaia, che non riaffiorava più nessuno da quella marea di sabbia rovente. Era passato talmente tanto tempo dalle ultime invasioni esterne e dalle guerre di consolidamento interne che lo stesso imperatore aveva di recente fatto capire che intendeva smilitarizzare il confine. Ovviamente per risparmiare denaro. Le casse imperiali non eran mai state più vuote di allora, lo sapevano tutti.

Tim era soltanto uno degli ultimi quaranta soldati a vivere e presidiare quel luogo angusto, con pochi civili ma pur sempre avidi e pronti ad ingannare il prossimo, per non parlare poi del caldo soffocante, terribile nemico di ogni giorno. Le poche abitazioni dell’oasi erano state costruite tutte a ridosso della piccola pozza d’acqua, che si trovava a fianco del fortino. Alcune palme offrivano un po’ d’ombra, che purtroppo alleviava ben poco le sofferenze dei militari, tra l’altro mal sopportati dai civili poiché bevevano e consumavano la maggioranza della già ben scarsa acqua della pozza.

In quel momento, Tim aveva quasi finito di percorrere il breve percorso che lo separava dalle logore e semidistrutte palizzate difensive del fortino. Notò con dispiacere che pensava troppo ultimamente, e che la causa di ciò doveva essere la vita monotona del militare di frontiera. Se avesse avuto i soldi per vivere una vita dignitosa non si sarebbe mai arruolato.

Improvvisamente, un grido fortissimo, deciso ma anche spaventato, squarciò la pesante calma dell’oasi e strappò bruscamente Tim dai suoi pensieri. Era stato Glen a urlare, un suo caro amico, anch’esso soldato, che aveva conosciuto proprio nell’oasi. L’aveva lasciato solo pochi minuti prima a finire il proprio turno di vigilanza a quelle che tutti chiamavano palizzate esterne di difesa, ma che in realtà non erano altro che pezzi di legno e mattoni spezzati buttati alla rinfusa a cercare di arginare le pretese che aveva la sabbia del deserto verso l’oasi. Tim si guardò rapidamente indietro e sentì che il grido d’allarme veniva ripetuto.

Molto scosso, sentì i suoi compagni gridare dall’interno del fortino, e poi li vide rapidamente riversarsi fuori. Tim riprese a tornare di corsa sui suoi passi, e in pochi attimi raggiunse il posto di guardia che aveva lasciato solo pochi istanti prima. Con un rapido sguardo constatò che tutto appariva a posto, e, leggermente infastidito, cercò il compagno con lo sguardo e lo vide poco più in là, mentre lo fissava con un volto pallido e tirato tipico di chi è molto spaventato. Tim lo fissò intensamente, ricambiandolo.

’’Che c’è, Glen?’’ chiese all’amico, con grande curiosità.

‘’Guarda’’, gli rispose l’amico che aveva lanciato l’allarme, indicando poi con una mano un punto indefinito nel deserto.

Intanto erano giunti sul luogo quasi tutti gli altri soldati e anche parecchi civili. E tutti guardarono il deserto, rimanendo sorpresi.

Calò improvvisamente un silenzio profondo. Il deserto, all’orizzonte pareva aver preso vita. Una nube di sabbia si sollevava verso il cielo, come quando si accingeva a crearsi una tempesta di vento.

Alcuni, più inesperti, iniziarono a bisbigliare tra loro, fintanto che uno più deciso degli altri si decise a parlare apertamente.

‘’E’ solo una tempesta di sabbia’’, disse un giovane soldato dalla retrovie, ridendo.

Tutti si girarono a guardarlo. Si trattava di Anthos, un ragazzo particolarmente stupido ed arrogante. A prendere la parola a quel punto fu l’anziano comandante del piccolo distaccamento dell’oasi, il vecchio John, che era appena giunto sul posto in modo molto silenzioso e discreto.

‘’Soldati, quello che vedete non è un fenomeno naturale, il cielo è terso e non si tratta di una tempesta’’ disse con la voce che trasudava stupore e spavento. ‘’Si tratta di un esercito, che tra poco arriverà fin qui’’ concluse l’uomo, pochi istanti dopo.

‘’Ma è impossibile’’, continuò Anthos, esprimendo un tacito dubbio comune. ‘’Sono secoli che nessuno sbuca da quel deserto, e di certo nessuno lo farà ora! Sarà sicuramente un distaccamento amico che viene fin qua da noi per fare un esercitazione’’.

La risposta del comandante John non si fece attendere. Il suo sguardo si fece talmente duro che persino Anthos impallidì e si zittì.

’’Basta soldato! Sono senza dubbio nemici, osservate meglio. Nessun contingente imperiale si trova in questa arida distesa senza vita, e in più costoro stanno viaggiando a dorso di cammello, come potete notare dal polverone che alzano, mentre i nostri cavalcano solo cavalli. Noi inoltre non attendiamo nessun distaccamento amico, e quindi dobbiamo armarci e prepararci a combattere in caso di necessità. Ora, chi non è già equipaggiato torni al forte e prenda le armi, e si ripresenti qui.

‘’Veloci, siete dei rammolliti vi voglio qui entro cinque minuti! Abbiamo poco tempo per prepararci prima che ci siano addosso’’, concluse in modo concitato il vecchio comandante, facendo smuovere ogni sottoposto.

I soldati iniziarono a correre alla rinfusa verso il fortino. Tim prese la sua spada e indossò rapidamente la sua corazza semplice e leggera per proteggere petto e schiena, allacciandosi poi anche un leggero elmetto. Vide alcuni compagni mentre afferravano le lance lunghe per i combattimenti a distanza.

Poi, senza guardarsi attorno, tornò rapidamente alla barricata. John contò rapidamente che ci fossero tutti e quaranta, per iniziare infine ad impartire ordini. Tim lanciò di sfuggita uno sguardo verso il deserto; ormai si potevano distinguere le sagome umane a dorso di resistenti cammelli.

‘’Avanti; i soldati che hanno le lance lunghe formino una prima linea e abbassino le punte di ferro di fronte a loro; i soldati senza lance si preparino a supportare l’urto che ci sarà tra non molto, tenendosi pronti a spingere in avanti i loro compagni per non farli ripiegare sotto la carica nemica! Perché quegli sconosciuti ci vogliono piombare addosso e falciare, lo vedo dalla velocità con cui si stanno muovendo’’, ruggì il comandante, dando i suoi ultimi ordini, iniziando poi a camminare tra i suoi uomini, sempre pronto a strattonarli e a riprenderli nel caso che qualcosa non gli andasse bene.

I soldati dopo pochi minuti erano pronti e ben disposti. Si erano sistemati di fronte alla barricata, poiché il comandante aveva preferito affrontare il nemico a viso aperto, ed in più le lance avrebbero potuto mietere maggiori vittime e rallentare la velocità nemica, mentre invece la debole barriera sarebbe stata distrutta in un batter d’occhio mettendo seriamente nei guai i soldati.

Il contingente imperiale era diviso in due file, da venti uomini ciascuna. Nella prima erano disposti venti soldati con le lance lunghe puntate verso il nemico, mentre la seconda fila impugnava solo la spada.

Era il primo combattimento vero per tutti, anche per il vecchio comandante, che continuava a impartire disciplina ai soldati.

I nemici iniziarono ben presto ad essere ben distinguibili. Indossavano corazze molto diverse da quelle di foggia imperiale, ed erano sorprendentemente belle e sgargianti e sfavillavano nella luce della sera.

Quando si avvicinarono ulteriormente, i soldati si compattarono. Sicuramente i nemici avrebbero continuato la loro folle corsa e avrebbero provato a sfondare le linee per disperderli.

Gli imperiali di John, nonostante la scarsa esperienza, sapevano bene che nel caso che i nemici fossero riusciti a sfondare le linee e a disperderli, sarebbe stata la fine per tutti loro. Tim smise di fissare i nemici per un attimo, deglutì e si volse verso i suoi compagni.

Non c’era sicurezza sui loro volti, solo paura, tanta paura. Poi, calò un silenzio teso prima dell’impatto.

Quando i cavalieri sconosciuti giunsero a pochi passi da Tim, il giovane poté sentire distintamente i rumori attutiti nella sabbia prodotti dalla folle corsa dei cammelli, mentre il rauco grido nemico di battaglia risuonava ovunque.

Tim sperò per un istante che i cammelli si spaventassero di fronte alle lance che venivano puntate loro contro, nella vana speranza che disarcionassero i nemici, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe stato così facile e che non sarebbe successa una cosa del genere.

Il giovane soldato si trovava in seconda fila e poté vedere chiaramente il compagno davanti mentre si irrigidiva. E in un solo attimo fu tutto finito.

Il cammello lanciato al galoppo proprio di fronte a Tim si fermò. Ma proprio nel centro dello schieramento i cammelli non si fermarono e si gettarono sulle lance, e mentre gli animali della prima linea morirono infilzati, i quelli che si trovavano dietro di loro piombarono sui soldati di John, abbattendoli e distruggendo la valida formazione da battaglia degli imperiali. Divisi in due gruppi distinti, i soldati capirono che sarebbero morti. E allora iniziò la fuga.

 I compagni di Tim vacillarono, poi cercarono di fuggire, braccati dai nemici. Tim si trovò a fianco di Glen. Si compresero con uno solo sguardo e si misero spalla contro spalla ad affrontare tre nemici che li stavano inseguendo a piedi.

Dopo un attimo, il giovane soldato sentì un urlo di dolore, e vide Anthos a terra, ferito gravemente e poi disarmato da un nemico, anche se comunque riuscì a deviare un fendente e a ritirarsi, evitando la morte istantanea per un soffio. Poi, ovunque divamparono alte grida, questa volta esultanti, mentre un altro nemico sconosciuto e in tenuta colorata infilzava su una picca la testa del vecchio comandante John.

’’Siamo perduti, dobbiamo abbattere questi tre e poi scappare ‘’ disse a Glen.

 I tre nemici sconosciuti li affrontarono. Sembravano invincibili e incredibilmente sicuri.

Dopo qualche affondo Tim si mise sulla difensiva ma si rese conto ben presto che avrebbe potuto combattere ancora per poco, ed era già sfinito, fuori forma com’era, accorgendosi che stava per morire. Poi accadde l’imprevedibile.

Due frecce, a distanza di pochi secondi l’una dall’altra, trafissero i due avversari di Tim. Il giovane soldato si girò per vedere da dove provenivano, e riconobbe che era stato Anthos a scoccarle, mentre stava scagliando frecce alla rinfusa con un arco rubato ad un nemico, cercando di combattere fino alla morte. Un solo istante dopo fu trafitto da decine di frecce e il suo corpo rovinò a terra esanime.

Tim si volse a guardare Glen, che aveva perso di vista poco dopo il fortuito avvenimento. E lo ritrovò disteso a terra, trafitto da un nemico. Stava perdendo molto sangue dal ventre e molto presto sarebbe stato sopraffatto.

Il giovane soldato imperiale si guardò attorno, e vide che i suoi compagni giacevano tutti a terra, morti o feriti a morte, e ad aggravare ulteriormente la situazione stavano iniziando a scendere le tenebre notturne e gelide del deserto.

Approfittando del fatto che i nemici sembravano presi dai festeggiamenti e dal massacro dei feriti, disinteressandosi momentaneamente a lui, si nascose dietro la barricata e rapidamente raggiunse le prime case. I nemici stavano iniziando a sfondarne le porte per saccheggiarle.

Nascosto dietro un cespuglio spinoso, tolse un abito ad un nemico morto che giaceva li vicino e lo indossò. Doveva raggiungere il forte a tutti i costi.

Si armò di coraggio e iniziò a camminare a passo svelto tra i nemici. Essendosi camuffato, nessuno badava a lui, ed ogni nemico faceva i propri interessi saccheggiando le case e uccidendo i civili.

In pochi passi era al fortino, in cui nessuno per ora era entrato, ma Tim sapeva che di lì a poco sarebbe successo. Entrò dalla porta spalancata e si diresse dritto al luogo che solo i soldati del suo contingente conoscevano. Molto rapidamente percorse il breve corridoio interno, superò i dormitori comuni dei soldati e giunse di fronte alla porta della camera privata del comandante.

Con un forte spintone aprì la porta di legno ed entrò. La camera era quasi completamente spoglia e di ridotte dimensioni, e conteneva solo un letto, un comodino con una candela sopra, un mobiletto con un cassetto aperto e pieno di biancheria, ed infine uno strano armadio. Con grande fretta, Tim prese a cercare disperatamente quell’oggetto che aveva visto tante volte e che gli sarebbe stato utile nel caso fosse riuscito a fuggire dall’oasi senza essere ucciso.

Ed in fondo ad un cassetto, nascosto sotto la biancheria, Tim trovò quello che cercava.

Era il piccolo forziere dove il comandante conservava i soldi per la paga dei soldati, che distribuiva personalmente ogni mese e che gli venivano consegnati da un corriere imperiale. Il giovane soldato superstite constatò che la paga avrebbe dovuto essere effettuata tra due giorni, però c’era possibilità che nel piccolo forziere ci fosse qualche soldo. Lo sbatté con vigore, e dentro risuonò il suono classico del denaro sonante. Tim si sentì sollevato, udendo quel rumore.

In quel momento, riconobbe che non poteva far altro che nascondersi, poiché tra pochi istanti il fortino sarebbe stato pieno di nemici, che sicuramente avrebbero trascorso la gelida notte del deserto riposando al suo interno, dopo averlo saccheggiato.

Tim percosse con le mani la parete, non avendo molto tempo a disposizione, poi passò al pavimento, ma continuando a non trovare nulla. Eppure, ogni comandante nella propria camera aveva una via di fuga in modo da potersi salvare in casi di disperati attacchi al forte, in modo da poter avvisare gli altri imperiali del pericolo.

Tentando il tutto per tutto, si infilò sotto il letto, che era più rialzato del normale dalla pavimentazione. E fu lì che il legno risuonò.

Il giovane soldato spostò il letto incredibilmente leggero, aprì la botola e si infilò al suo interno. Appena in tempo, poiché ben presto le urla dei nemici ubriachi iniziarono a sentirsi ovunque, sopra di lui.

Tim abbassò la botola e la richiuse con un tonfo, non dopo aver cercato di rimettere il letto nella miglior posizione possibile e naturale, trovandosi proprio sotto la pavimentazione in legno della stanza del comandante.

Lì sotto era buio, l’aria era fresca ma non vedeva nulla. Sopra di lui sentì i passi di più uomini, poi dei tonfi, riconoscendo che i nemici stavano distruggendo tutta la mobilia in ricerca di soldi o cose da portare con sé. Poi, di lì a poco il frastuono cessò.

Tim si tastò le tasche delle brache che aveva sotto la veste colorata del nemico, ed estrasse un piccolo mozzicone di candela. La mise a terra, poi si ricordò che non aveva nulla per accenderla.

Con rabbia, pugnò a terra e si mise a sedere a pensare. Non sapeva neppure se lo spazio ignoto che lo circondava era ampio o ristretto, anche se pareva abbastanza spazioso. E non sapeva neppure che direzione prendere, per provare a tentare una folle fuga da quella situazione pericolosa.

Pian piano la sua mente si offuscò, perdendo lucidità. Il giovane soldato si accorse di ciò, ma non poté fare nulla contro il suo corpo che gli chiedeva riposo.

Volente o nolente, perse i sensi, cadendo in un sonno profondo e pieno di incubi, mentre il silenzio della notte del deserto veniva lacerato dalle urla degli invasori che festeggiavano la prima, anche se piccola, vittoria sul nemico.

 

 

Al suo risveglio, Tim si sentiva perso. Aveva il suo corpo indolenzito, e la testa gli doleva. Un lieve bruciore alla gamba destra gli fece notare che aveva una lieve ferita, e se la tastò con le mani.

 Il sangue si era già raggrumato e fortunatamente non era nulla di grave, solo un taglietto di striscio. Nel frattempo, il buio lo circondava; sopra di lui regnava un silenzio pesante, ma sapeva che i nemici erano ancora lì, anche se addormentati.

Doveva aver dormito un paio d’ore e fuori doveva essere notte fonda. Con la mano afferrò e si riprese il mozzicone di candela, rimettendosela in tasca, mentre intanto pensava a come uscire di lì. Dalla botola non poteva uscire, ma poteva procedere pian piano per trovare una via d’uscita, seguendo la galleria che partiva dall’ambiente in cui si trovava.

Con decisione, si tirò su e batté la testa. Imprecò e si abbassò leggermente, sperando di non aver fatto troppo baccano.

Proseguì a lungo per un tempo indefinito, seguendo la galleria tortuosa e urtando le friabili pareti del cunicolo che continuava ad aprirsi di fronte a sé.

Poi, all’improvviso, sentì un lieve alito d’aria fresca sfiorargli il volto, e capì che era sulla giusta strada e che mancava poco al suo obiettivo. Seguendo l’aria fresca si ritrovò pochi istanti dopo ad osservare la luna da un piccolo spazio nascosto tra rocce e cespugli spinosi.

Con un ultimo sforzo silenzioso, spostò le pietre che nascondevano l’ingresso della via di fuga del forte e si nascose tra i cespugli.

Si guardò attorno; era una bella nottata di luna piena, e poco distante da lui uno scorpione stava proseguendo la sua caccia notturna, mentre un cammello ancora imbrigliato restava sdraiato sulla sabbia poco distante, masticando placidamente un po’ di foraggio secco.

Tim riconobbe che si trovava abbastanza distante dal fortino e dalle povere casupole distrutte, che poteva ancora vedere chiaramente grazie alla luna. Attorno a lui, era tutto calmo.

Quando si sentì sicuro, uscì allo scoperto e decise di tentare la fortuna; si avvicinò al cammello, che nel frattempo continuava a restare a terra in attesa del suo padrone, probabilmente morto durante lo scontro di quella sera, oppure doveva essere riverso da qualche parte, ubriaco di quel poco vino contenuto negli scarni otri dei pochi abitanti dell’oasi. L’animale era molto mansueto, e fu subito pronto a muoversi quando Tim gli salì in groppa.

Nessuno, a parte lo scorpione a caccia di insetti, notò le due sagome che venivano rapidamente inghiottite dal deserto. Non le notarono neppure le due guardie nemiche che dovevano controllare l’oasi appena conquistata, che erano alticce e mezze addormentate in mezzo alle palme.

Tim ora sapeva dove doveva andare e cosa fare; era coraggioso e avrebbe fatto di tutto per salvare l’impero ed avvisare i suoi superiori del pericolo e dell’invasione di un nemico sconosciuto.

Era libero, aveva una cavalcatura e un po’ d’acqua, ed era ancora vivo e vegeto, e ciò era davvero un miracolo e una fortuna che non doveva sciupare.

Il giovane soldato imperiale superstite pensò che quella notte doveva avere gli dèi dalla sua parte, e si lasciò sfuggire un lieve sorriso mentre ormai era sufficientemente distante dal nemico, sentendosi già un po’ più al sicuro. Nonostante tutto, sfoggiò un sorriso nervoso, di quelli che si fanno per scaricare la tensione sopportata durante gli ultimi tragici eventi.

In quel momento si sentiva libero come non mai e pieno di sé, poiché sapeva che aveva una grande missione da portare a termine e che la vita di numerosi civili dipendeva da lui e dalla velocità con cui avrebbe avvisato gli altri fortini militari, mentre la luna piena gli illuminava la strada e lo osservava come solo una fiera compagna di viaggio poteva fare.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto questo primo capitolo J

Questa è la prima storia in assoluto che ho scritto, e mi scuso già se troverete qualche piccolo errore o svista. Comunque, sto revisionando la storia.

Vi ringrazio se siete giunti fin qui, e spero abbiate voglia di proseguire la lettura e di seguire il nostro giovane protagonista nelle sue avventure. Avremo modo di conoscerlo meglio a breve J

Grazie ancora a tutti J

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2 revisionato

CAPITOLO 2

 

Tim arrivò ad Arus in una mattina bella e serena.

La sua fuga dall’oasi era durata 4 giorni.

L’ultimo margine di deserto che lo separava dalle fertili terre vicino alla grande città di Arus lo aveva percorso col cammello, poi si era cambiato d’abito, si era recato in una locanda dove aveva potuto cambiare il cammello con un buon cavallo ed aveva ripreso il percorso senza mai fermarsi.

L’obiettivo era uno solo; giungere ad Arus il più presto possibile ed allertare la guarnigione di soldati che presidiavano la città.

Tim stava percorrendo l’ultimo tratto di strada principale, che consisteva in un lungo e largo rettilineo lastricato.

Arus si mostrava in tutta la sua magnificenza davanti a Tim; era una bella città, situata tra l’altro molto vicino all’oceano e disponeva di un molo fortificato e ben protetto.

Le mura erano imponenti, altissime e pressoché invalicabili, anche se in alcuni tratti mostravano segni d’incuria, dovuti ad un lungo periodo di pace. La strada principale era piena di gente che voleva entrare in città; ma presto Tim si accorse che le guardie alle porte facevano entrare solo personaggi importanti o militari.

Così, migliaia di profughi in fuga dalla guerra che stava dilagando nelle campagne vicine si trovavano accalcati e rissosi di fronte alle porte cittadine, che erano state parzialmente chiuse per facilitare il controllo del traffico umano in entrata nella città. Tim in effetti era stato, per così dire, inseguito dalla guerra.

I Popoli Sconosciuti, di cui nessuno conosceva il nome, parevano invincibili, ed erano ben presto divenuti migliaia grazie a nuovi rinforzi giunti dal deserto.

Disponendo ora anche di una ristretta cavalleria, erano riusciti a devastare i piccoli centri rurali e le campagne. Arus era la città più importante della zona e l’unica con mura consistenti e con un discreto numero di soldati a disposizione. I nemici non avevano trovato alcuna resistenza nelle campagne e avevano conquistato territori senza avere neppure una perdita, devastando e distruggendo ogni cosa, come se al loro passaggio volessero cancellare ogni ricordo dei conquistati. Ormai erano giunti alle porte di Arus, e secondo alcuni profughi, il loro accampamento era situato nelle basse colline boscose a sole due ore di cavallo dalla grande città.

Tim si fece largo tra l’assembramento di gente che protestava di fronte alle porte della città, e grazie al fatto che era a cavallo, spintonò via i profughi rissosi, sordo alle imprecazioni che riceveva. Mostrò il suo lasciapassare militare, e i soldati di guardia non gli diedero problemi a farlo entrare.

Appena entrò, provò sensazioni contrastanti; si era ritrovato sulla strada principale, ben lastricata ma sporca e piena di mendicanti. In lontananza si potevano scorgere grandi e sfarzosi palazzi, che superavano in altezza le altre dimore, molto più umili. L’odore di sporco, di rifiuti alimentari e di ogni genere, arrivava alle narici di Tim, lasciandolo un po’ schifato, anche se sapeva che era un odore tipico delle città, mentre restava senza parole guardandosi attorno a sé.

C’era tantissima gente lungo la strada, con a fianco bancarelle con generi di prime necessità, che venivano venduti a prezzi sempre più elevati, poiché la città ben presto sarebbe stata messa sotto assedio. Le urla e gli schiamazzi di mercanti e clienti erano, nel complesso, a dir poco assordanti.

Tim continuò a camminare per un po’, immerso nei suoi pensieri, poi si riscosse. Si fece indicare da un rozzo mercante la strada da percorrere per giungere al presidio militare, poi con passo svelto continuò il suo cammino spintonandosi con le altre persone.

Dopo pochi minuti la via lastricata sfociava in una vasta e spaziosa piazza centrale, e subito notò il presidio, grazie allo stemma dell’Impero che aveva affisso sopra la porta d’ingresso.

Rimase estremamente deluso; notò infatti che l’edificio dei soldati era praticamente impossibile da notare. Di fronte ad esso, decine di mendicanti stavano stesi, protetti dal piccolo loggiato senza intonaco e pericolante. Sì, pericolante proprio come l’intero edificio, un grande casolare con crepe e tutto trasandato immerso in un contorno di lusso sfrenato rappresentato dalle ville signorili che lo stringevano tutt’attorno, come a volerlo umiliare. Le grandi case signorili avevano tutte i battenti chiusi; indubbiamente chi poteva aveva già abbandonato la città.

Con un occhiata rapida, seguì il percorso dell’altra strada che partiva esattamente di fronte a lui. Vide che giungeva al grande molo, che si spingeva nell’oceano senza paure, affrontandone le tempeste più infernali, notando però, da distanza, che non c’erano imbarcazioni noleggiate. Chiunque ne aveva una, aveva già lasciato anzitempo la città. Con un sorriso amaro leggermente abbozzato, Tim spintonò un mendicante ed entrò con circospezione nell’edificio militare.

Nessuno lo fermò, nessuno gli chiese chi era e cosa voleva, permettendogli quindi di girovagare all’interno dell’edificio, percorrendone un lungo corridoio dove i pochi soldati presenti non lo notarono neppure. Sempre più sbalordito dalla situazione in cui versava l’esercito imperiale, non si rese conto che però, sull’ingresso di un grande stanzone, un giovane soldato lo stava guardando. Tim si sentì afferrare da dietro.

‘’Chi sei?’’ gli chiese una voce.

 ‘’Sono un soldato proprio come te, ma provengo da un altro distaccamento. Vorrei parlare con il comandante’’ ,disse Tim tutto d’un fiato. Il ragazzo mollò la presa dal braccio di Tim ma gli puntò un coltello alle costole.’’Una piccola precauzione’’ gli disse il giovane con un sorriso da ebete sul volto. Lo condusse proprio all’interno dello stanzone che vigilava fino a poco prima dell’arrivo di Tim. La prima cosa che Tim notò fu il disordine; fogli e volumi giacevano abbandonati ovunque. Un uomo maturo e brizzolato se ne stava seduto placidamente su una sedia di legno gridando ordini a un imbranato sottoposto che non era in grado di sistemare correttamente due registri. Quando vide i due nuovi arrivati l’uomo fece un grande sorriso. Aveva il viso arrossato e in mano aveva un bicchiere ancora mezzo pieno di birra, ed era visibilmente alticcio. Fu introdotto dal suo accompagnatore.

’’ Signore, questo qui l’ho beccato poco fa a gironzolare per l’edificio. Sostiene di essere un soldato e vuole parlare con lei’’. Con il volto contratto in una smorfia incomprensibile, il comandante lanciò il bicchiere a terra, facendo sussultare tutti i presenti nella stanza, e con un gesto congedò il sodato imbranato e colui che aveva accompagnato Tim.

‘’ Resta sulla porta Sergej’’ disse poi al soldato che era di guardia. Poi si risistemò ben seduto in una posa strana e interpellò Tim guardandolo dritto negli occhi.

’’Allora? sei muto? Volevi parlarmi. Dimmi’’ Non gli lasciò il tempo di rispondere, e continuò.

‘’Sei un soldato a quanto dici. Da dove provieni? Porti dei messaggi?’’. Ora gli diede il tempo di rispondere.

Tim, cauto, iniziò a parlare, prima però deglutì.

‘’Sono un soldato di frontiera. Ero stato assegnato al piccolo distaccamento dell’oasi di Sulamba, e sono riuscito a salvarmi dalla strage dei miei compagni. Volevo parlarle poiché, visto che non appartengo più a un distaccamento, vorrei far parte del vostro e fornire un aiuto contro gli invasori. Li ho visti in azione e potrei darvi informazioni utili…..’’.  A quel punto lo sguardo iroso del comandante si abbattè su di lui, e lo interruppe.

’’Nessuno, se non un codardo, è mai uscito vivo dallo scontro con gli Sconosciuti. Non so chi sei e non voglio fidarmi di te. Qui resti solo intruso’’ e, continuando imperterrito dopo una breve pausa aggiunse;’’Verrai sfamato oggi qui presso il nostro presidio, ma domani te ne andrai. Sarebbe meglio oggi stesso, vedi tu. Abbandonerai la città, anche a costo di essere gettato tra le braccia del nemico. Non voglio problemi, disertore. Sappiamo già tutto dei nemici, non c’è alcun bisogno delle tue informazioni. Ora vai, fatti dare un giaciglio da Sergej, questa notte dormirai con i mendicanti, potrai spartire con noi solo il pranzo. E ora non disturbarmi più’’ Il fiume di parole del comandante avevano lasciato un Tim a dir poco sbalordito.

 Sergej giunse da dietro e gli prese un braccio, e lo strattonò fino all’uscita dell’edificio. Sul suo volto aleggiava un sorriso soddisfatto, come se godesse della brutta figura di quell’insignificante che si era presentato lì quella mattina. Non gli assegnò neanche un giaciglio.

 

 

Tim riprese a camminare, ancora frastornato dall’accaduto.

Girò in lungo e in largo la città per tutto l’arco della giornata. Con i pochi soldi rimasti, quelli del piccolo forziere, si ricomprò un cavallo nuovo e un po’ di cibo. Era pomeriggio inoltrato ormai, e si affrettò a raggiungere la porta della città per uscire ed andarsene.

Percorse distrattamente una buona parte del percorso che conduceva alla porta principale, pensando a cosa avrebbe fatto ora, allontanato anche dai suoi commilitoni. Poi, improvvisamente , si trovò nel bel mezzo di una calca. Una donna urlava come una disperata. Tim non ne capiva la causa; attorno a lui apparivano solo persone sconcertate che formavano capannelli ai margini delle strade, mentre improvvisamente i mercanti con le ormai rare merci rimaste invendute si gettavano a raccogliere e ad andarsene.

 Di lì a pochi istanti il caos quotidiano di Arus era concluso. La gente se ne andava velocemente verso le loro dimore. Poi per Tim ci fu l’ultima sorpresa. Le porte cittadine iniziarono a richiudersi, sta volta definitivamente, mentre i soldati tutti concitati si gridavano direttive tra loro, mentre saliva un rumore incessante al di là delle mura. Erano grida di battaglia.

Tim improvvisamente ebbe un dubbio, ma non ci volle credere. Si avvicinò ad un anziano mercante che stava per abbandonare il suo posto di lavoro, che lo ignorò totalmente, tanto era impegnato. Tim gli si avvicinò e gli chiese che cosa stava succedendo, mentre dal di fuori delle mura si alzavano grida sempre più forti e la gente che aveva intorno fino a pochi attimi fa spariva rapidamente. Con gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia di dover rispondere a una domanda così sciocca, il mercante fissò per un secondo Tim prima di rispondergli.

 ‘’Stupido d’un ragazzo, che starà mai succedendo? Sono arrivati i nemici’’, disse, prima di raccogliere il fagotto dei suoi oggetti e sparire in una viuzza laterale, quasi inghiottito dalle viscere della città, lasciando Tim disperato. Era in trappola, inerme, nel bel mezzo del putiferio che sarebbe scoppiato di lì a poco. Per ora, si sentivano riecheggiare  le urla dei profughi che erano stati lasciati fuori città, mentre venivano massacrati dagli invasori.

 

La notte aveva avvolto con le sue tenebre la città di Arus. Tim era riuscito a malapena a trovarsi un giaciglio per la notte. Mentre nella città regnava un silenzio tombale, al di là delle mura i nemici facevano baldoria. Grida di scherno e urla spaventose giungevano in città, spaventandone gli abitanti che non riuscivano neppure a dormire.

Tim stava sdraiato sulla paglia sporca e piena di pulci, in un giaciglio di una sudicia locanda sul porto. Dalla potenza del rumore, ora poteva capire che i nemici dovevano essere migliaia, e non solo le poche decine che aveva incontrato all’oasi. Probabilmente erano solo le avanguardie di un esercito molto più grande.

Era strano che l’esercito nemico stesse sveglio tutta la notte, se il giorno successivo metteva in conto di combattere. O era un esercito immenso, oppure…. Era notte fonda e la mente di Tim abbandonò progressivamente la lucidità facendolo scivolare in un sonno agitato, turbato dalle urla nemiche.

 

Tim si risvegliò dopo poche ore, e constatò che non era cambiato nulla, a parte che albeggiava. Le urla nemiche continuavano imperterrite. Abbandonò il giaciglio grattandosi vigorosamente, ed imprecando sottovoce abbandonò la locanda, tanto aveva già pagato in anticipo. L’aria fresca del mattino, con l’odore di salsedine gli diedero nuova lucidità ed ora sapeva che fare. Si sarebbe fatto arruolare tra i civili che volevano aiutare i soldati, e grazie alle sue abilità con le armi avrebbe abbattuto nemici dall’alto delle mura.

 

L’intera giornata passò monotona. Non c’erano molti intervalli nei movimenti ripetitivi dei nemici; brevi attacchi, avvicinamento alle mura di corsa e poi alle prime frecce, partiva una frettolosa ritirata. Un atteggiamento molto pavido che aveva riportato il buon umore nei volontari e nei soldati.

Tutti pensavano ora di vivere in una città inespugnabile,e pensavano che il nemico non sarebbe mai entrato al suo interno. Nella città si poteva resistere per mesi, grazie alle scorte di viveri d’acqua, e nessuno sarebbe mai riuscito a valicare le mura. In effetti le mura erano molto solide e alte, e le macchine d’assedio nemiche, tra l’altro molto rudimentali, non ce l’avrebbero mai fatta ad abbatterle. Era quasi sera e per Tim era finito il suo turno.

Scese dalle mura ed andò diretto al punto sottostante le mura dove veniva distribuito un magro pasto ai volontari. Bevve e mangiò da solo, mentre calava un'altra notte, ed i rumori nemici salivano al cielo sempre più forti, cancellando ogni rumore della città. Aveva appena finito di consumare il pasto, quando una figura in tenuta militare gli si avvicinò e gli rivolse la parola all’improvviso.

’’Sei ancora qui? Vedo che hai veramente voglia di essere utile, visto che dovevi lasciare la città, possibilmente anche ieri..’’. Così Tim riconobbe chi gli rivolgeva la parola. Era quell’antipatico che l’aveva sbattuto fuori dal presidio. Come si chiamava già?.. cercò per un attimo disperatamente nella sua mente lievemente offuscata dalla stanchezza. Sergej, ecco come si chiama, si disse, e decise di rispondergli a tono, mentre l’altro si sedeva proprio al suo fianco.

’’uhm,si direbbe che i giorni passino e che la tua simpatia diminuisca sempre di più. Guarda, me ne sarei andato subito ieri mattina, ma sono arrivati i nemici e sono rimasto bloccato dentro…’’. Sergej non lo lasciò concludere.

‘’Sì sì immagino.. Però il prolungamento del tuo soggiorno potrebbe essere positivo per la comunità. Qui son pochi quelli che si danno da fare, e sta mattina ti ho visto trasportare carriole di pietre come un somaro’’ Un sorriso ironico, ma anche lievemente amichevole, affiorò sulle labbra di Sergej. Magari in un altro posto e situazione saremmo anche potuti divenire buoni amici, pensò Tim.

 ‘’Vado a prendere qualche altra birra. Se non ti dispiace, aspettami qui. Torno tra un attimo, offro io eh!’’ disse bonario Sergej.

Tim non si sarebbe mai aspettato di trovare un buon amico in quel ragazzo alto e robusto, di indole taciturna, fino al punto di apparire scontroso e aggressivo. Decise di aspettarlo.

Infatti, tornò dopo poco con due bei boccali colmi di birra spumosa.

Ringraziò affettuosamente Sergej, poi si misero a bere, e bevvero talmente tanto da non ricordarsi neppure ciò che si erano detti. Il tempo passò in fretta, e il piccolo locale, fin a poco prima pieno di gente, si andò svuotando, fino al punto di lasciare i due nuovi amici da soli. Rendendosi conto dell’orario, in un momento di lucidità, Tim si alzò. Non era molto sbronzo, ma quanto basta da metterlo un filino in difficoltà, tanto era abituato alle sbornie. Anche il suo amico si alzò. Poi accadde qualcosa di strano.

Un tonfo risuonò per un istante nel sottosuolo.

Tim fissò Sergej; anche lui lo guardava, anche lui aveva sentito.

‘’Abbiamo pure le stesse allucinazioni, amico..’’ disse ridendo Sergej.

Tim non era tanto sicuro che fosse frutto della sbornia, non gli era mai capitata un cosa simile. Poi, dal sottosuolo si udì, appena percepibile nel frastuono dei nemici che facevano festa, un grido di dolore. Tim non aspettò un altro attimo. Con difficoltà, si stese al suolo e con le orecchie cercò di ascoltare ciò che succedeva lì sotto. Nonostante la vista gli facesse brutti scherzi e tutto vorticasse attorno a lui, anche Sergej lo imitò. Quello che si poteva udire, anche se un po’ smorzato, era il rumore di pale e persone che scavavano. Incredibile! I nemici non avrebbero perso tempo a mettere sotto assedio la città. Stavano scavando tunnel nel sottosuolo, ed erano proprio sotto di loro, pronti a sbucare a momenti.

 Non c’erano bisogno di parole.

Anche Sergej aveva capito.

Si alzarono, e , traballando lievemente, raggiunsero un barile d’acqua fresca poco distante. Tim prese un secchio, lo riempì e se lo rovesciò addosso, poi ne gettò un altro sull’amico. Un vero toccasana; i due ritrovarono quasi tutti i loro riflessi.

‘’Ora che facciamo?’’ chiese Tim. Di risposta ricevette uno sguardo un po’ vacuo, ma una risposta sicura;’’Ovvio, andiamo ad avvisare il comandante’’.

Il percorso fino al presidio fu un po’ lungo ma i due amici percorsero la via principale molto rapidamente, e si presentarono al soldato di guardia, chiedendo del comandante. Il ragazzo fese cenno di no con la testa, non l’avrebbe svegliato per nessun motivo, non voleva mica esser gettato dalle mura l’indomani. Fu solo riconoscendo Sergej, il braccio destro del comandante, che il soldato si decise ad andarlo a svegliare. Il comandante si presentò tutto arruffato e insonnolito. E anche molto arrabbiato.

‘’Ancora tu! Ti ho detto che non voglio seccature’’ disse rivolto a Tim, per poi rivolgersi a Sergej,’’ Anche tu ora ti metti a far baldoria la notte e a fare l’ubriacone con un disertore? Male, male. Andatevene a letto’’, concluse, e fece per girarsi e tornare dentro. Sergej, disperato, gli urlò dietro.

’’Comandante, i nemici sono sotto di noi; hanno scavato gallerie e tra poco saranno in città e la conquisteranno. Deve svegliare subito i soldati, sennò saranno impreparati…’’. Il comandante li fissò per un istante con gli occhi fuori dalle orbite.

’’Fuori di qui, ubriachi! Andate a smaltire la vostra sbronza da un'altra parte’’ Disse in tono risoluto il comandante, che si ritirò facendo cenno alla sentinella di cacciarli. La sentinella, brandendo la spada si avvicinò.’’Mi dispiace ragazzi, siete troppo ubriachi..’’.

Tim e Sergej si allontanarono un po’, poi si fissarono. ‘’E ora? Nessuno ci crede, che facciamo? ‘’ disse deluso Tim.

 ‘’Ovvio’’ rispose l’amico, ‘’Lasciamo la città’’.

 

Era freddo e l’acqua puzzolente e stagnante della via di fuga segreta conosciuta solo da Sergej e pochi altri era veramente schifosa. Tim seguiva l’amico, stando attento a non perderlo. Dovevano essere passate in paio d’ore da quando era iniziata la loro fuga. Ma avevano la libertà ad un soffio. Di lì a poco la fogna abbandonata sfociò all’aria aperta, al di là delle mura e, fortunatamente, dalle parte opposta dell’accampamento nemico. Velocemente nella notte i due si dileguarono, correndo attraverso i campi ora incolti, senza avere, momentaneamente, una meta precisa. Dalla città di Arus si levavano urla di terrore e le case erano in fiamme.

L’inferno era iniziato.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

CAPITOLO 3

 

Il Gran Re Fermei era raggiante. Stava per raggiungere il suo obiettivo, cioè iniziare a saccheggiare e a distruggere le città più ricche dell’impero di Fortwar.

Fin da quando era bambino aveva sempre sognato quel momento.

Era cresciuto in un luogo aspro e difficile al di là del grande deserto, dove la natura selvaggia e incontaminata faceva da padrona, disperdendo come biglie le tribù umane, che tra l’altro vivevano in modi molto differenti dagli abitanti dell’impero di Fortwar.

Le terre al di là del deserto erano abitate dagli uomini solo nella parte più meridionale, dove i fiumi provenienti dalle alte montagne dell’entroterra rendevano fertili e piene di vita un territorio che, senza essi, sarebbe stato deserto.

Nessun umano, che lui sapesse, aveva mai oltrepassato i monti altissimi della catena montuosa di Akras, che segnava un confine pressoché invalicabile per gli umani.

Tra i monti Akras e il deserto si svolgeva la vita quotidiana di decine di tribù umane che combattevano tra loro ogni giorno. Lui era nato a Valake, la cittadina fondata da suo padre, e che probabilmente era stata la prima città organizzata in quelle terre.

In confronto alle grandi città in pietra dell’impero, Valake non era che un villaggio costruito in legno ben protetto da una fitta foresta. Fermei era il primo e unico figlio maschio del re Valaki il Grande. Suo padre aveva infatti condotto la propria tribù in un luogo sicuro, rendendola stabile e fermando i continui spostamenti che provocavano solo guerre con i popoli vicini, fondando la città di Valake e dandogli il suo nome. Il popolo di Valaki veniva dal territorio che fa da margine col deserto, ed aveva sempre fatto la fame, ma grazie allo stanziamento in una zona fertile e sicura, aveva iniziato a prosperare, con grande gioia del re.

All’epoca Fermei era solo un neonato, sfuggito alla morte grazie all’aiuto di una balia, visto che sua madre era morta di parto, mentre sua sorella iniziava già ad essere un’adolescente.

Ora era un ragazzo di 22 anni, con la pelle leggermente ambrata, segno tipico del suo popolo, e da quando era poco più che un bambino aveva sempre e solo combattuto con rabbia e odio contro chiunque.

Infatti Valaki era morto molto giovane, a causa di una rara malattia incurabile, che lo aveva condotto dopo pochi giorni dalla comparsa dei primi sintomi, a una morte tra atroci sofferenze. Fermei era rimasto molto scosso, all’epoca aveva appena 17 anni ma sapeva che ora avrebbe dovuto rivendicare il trono, aveva l’appoggio incondizionato del popolo ma non quello dell’esercito.

Sua sorella, infatti, si era sposata con il generale Taruk, ed avevano già tre figli maschi e due femmine. Taruk, avido di potere come Mary, la sorella di Fermei, non aveva perso tempo, ed aveva subito inviato un manipolo di soldati al palazzo reale per ucciderlo. Fermei era riuscito a fuggire  e a nascondersi nella foresta grazie a pochi fedelissimi,che mantennero i contatti con lui, e che grazie ad alcune promesse, riuscirono ad avvelenare Taruk e Mary.

 Al suo ritorno in città, Fermei fu accolto come un liberatore; con lui veniva ristabilito l’ordine reale. Fece avvelenare, senza alcuno scrupolo, tutti i suoi nipoti e i simpatizzanti di sua sorella furono imprigionati e giustiziati.

In pochi mesi aveva rifondato l’esercito, e grazie al servizio di leva da lui imposto, aveva a disposizione ingenti forze. In quel momento aveva a disposizione un esercito di 4000 uomini, e, all’età di 18 anni, si lanciò alla conquista delle tribù vicine, tutte meno numerose e più deboli. Inoltre esse erano povere e con pochi guerrieri, ma comunque sempre molto valorosi.

Attraversò foreste rigogliose e zone semidesertiche, sottomettendo ogni nemico e ogni tribù, che si rivelarono anche molto disorganizzate tra loro. In un solo anno e mezzo il suo nome spargeva il terrore ovunque, e con il suo esercito aveva conquistato tutto il possibile. Nonostante la sua giovane età, era temuto da tutti. Si era fermato solo di fronte ai monti Akras, e solo allora aveva deciso di tornare a Valake. Il suo esercito aveva sofferto molto, più per i diversi climi e per le malattie che per i nemici.

Tornò alla capitale con soli 50 uomini, più 200 valorosi guerrieri che avevano deciso di seguirlo e giurargli fedeltà, lasciando le loro tribù nomadi e le loro famiglie.

Anche lui ora aveva fondato un impero, ma non desiderava essere chiamato imperatore, ma Gran Re, proprio come suo padre, da cui aveva preso esempio. Trovò Valake molto cambiata; nei 18 mesi della sua assenza il villaggio era diventato una bella città, che si stava espandendo in continuazione, ai danni della foresta circostante. Il suo sogno era quello di spostare i suoi interessi verso le terre del sud, l’impero, da dove provenivano genti sconosciute che affrontavano il deserto per giungere nei Regni Ignoti. Valaki gliene aveva parlato, aveva pensato che una volta costruito il suo impero, avrebbe invaso il sud, e aveva già piani che suo figlio aveva studiato e imparato a memoria.

Il deserto non era un ostacolo.

Il problema era che non aveva a disposizione un grande esercito. Per ora.

Ogni giorno giungevano a Valake decine di ambasciate, inviate da popoli distanti, che intimoriti dal Re gli chiedevano amicizia e giuravano fedeltà. Sfruttando la situazione li convinse a combattere per lui e a mandare tutti i guerrieri disponibili a Valake, dove avrebbero preso le armi per combattere per il Re. In cambio aveva offerto la sua benevolenza e tante ricchezze. Gli ambasciatori se ne andavano felici e in quattro anni aveva racimolato un immenso esercito ben addestrato, pronto per attraversare il deserto. I guerrieri arrivavano continuamente in città, ed ora possedeva un esercito immenso.

 

All’età di 22 anni si era sentito pronto per invadere il sud e così fu. D’altronde, tutti quei guerrieri in città stavano iniziando a dargli problemi. Così aveva iniziato la sua marcia, e, guidato da una ristretta avanguardia a dorso di cammello, aveva attraversato il deserto, e si era trovato ben presto in un luogo magnifico, con grandi pianure fertili, grandi e ricche città e migliaia di pacifici abitanti inadatti a combattere.

 Aveva devastato gran parte del confine per poi riversare il suo esercito verso la grande città di Arus, di cui ora restavano solo rovine. Aveva distribuito le ricchezze depredate tra i suoi guerrieri, che erano sempre più felici e bramosi di rimettersi in marcia. Aveva perso pochissimi uomini ed aveva fatto molti schiavi, che gli sarebbero stati utili in seguito, poiché ben presto, se fosse riuscita la missione da lui commissionata,avrebbe avuto dei validissimi alleati, talmente tanto potenti da far vacillare qualsiasi forma di vita. Doveva rallentare la marcia in attesa di notizie.

Ora si stava sedendo sul trono nella sua grande tenda, ed avrebbe ostentato un sorriso sicuro sul volto, per nascondere la sua indecisione.

Doveva mostrarsi sicuro, stava per ricevere i suoi generali.

 

 

Shon, che era uno dei guerrieri più abili e resistenti del Gran Re, stava impazzendo.

 Era passato un bel po’ di giorni, non ricordava quanti, da quando aveva accettato di portare a termine la missione più importante del Re. Fermei gliene aveva parlato e lui, ingenuamente, aveva accettato, pensando di non temere nulla.

Ora si pentiva amaramente della sua scelta, mentre il suo corpo e la sua mente stavano collassando. La missione consisteva nell’affrontare gli impervi monti Akras e trovare, in una vallata dove la luce non arriva mai, la caverna in cui riposavano da tempi antichissimi i Demoni.

Era partito da Valake con 8 dei suoi migliori guerrieri, e nel giro di pochi giorni, a cavallo, erano già giunti ai piedi dei primi monti. Aveva capito fin da subito che qualcosa non andava. Avrebbe seguito una pista costruita da chissà chi migliaia di anni fa, e ben presto i nove si erano ritrovati, come morti, a percorrerla.

Seguivano i fianchi dei monti, poi scendevano in buie vallate da giorni, mentre tutt’attorno a loro non c’era nulla, se non la neve perenne. Non c’era traccia di forme di vita attorno a loro, e vivevano con magre scorte di alimenti che si portavano dietro da inizio viaggio.

 Ma non erano state le bufere continue di neve o i paesaggi spettrali a destabilizzarli.

 Nell’aria aleggiava qualcosa di strano. Lui e i suoi guerrieri, ben addestrati a sopravvivere ovunque, non riuscivano a riposare, la loro mente veniva scossa da visioni terribili mentre i loro corpi perdevano le forze. Pian piano, ogni giorno.. ora doveva mancare veramente poco alla loro meta.

In uno dei rari momenti di lucidità mentale, Shon si girò indietro a controllare i suoi uomini. Avevano tutti gli sguardi vacui, erano deboli e scossi da tremori, mentre cavalcavano cavalli ancor più sofferenti. Nessuno parlava da giorni, non ne avevano le forze.

Quel luogo era indubbiamente maledetto.

La sua mente iniziava a offuscarsi di nuovo. Poi tutto ad un tratto, nella buia vallata che stava percorrendo senza orientamento, scorse un bagliore. Sì, un bagliore che usciva da una grotta.

La sua mente si risvegliò, come quella dei suoi soldati e dei cavalli, che si lanciarono al trotto verso il bagliore. I soldati smontarono,e, senza dire parola, abbandonarono i cavalli ed entrarono nella grotta. Attorno a loro c’era solo buio, non si potevano vedere i limiti dell’ambiente, mentre una fioca luce violetta brillava sospesa poco distante da loro. I soldati si guardarono per un istante in faccia, poi si lanciarono verso la luce, e, contemporaneamente, ci misero le mani, come per afferrarla. Shon aveva solo seguito il suo istinto, guidato da forze sconosciute, come anche gli altri avevano fatto.

La luce in un primo istante infuse calore nei loro corpi, che si rilassarono.

Poi, inaspettatamente, esplose.

 Shon fu gettato a terra, sotto di sé  sentiva la roccia gelida, mentre si contorceva dal dolore. Non vedeva nulla attorno a sé, solo il buio, mentre cercava di far uscire un grido dalla sua gola secca. Non uscì nulla dalla sua gola. Ora però si sentiva mancare il fiato. Non riusciva più a respirare, mentre si contorceva al suolo. Il suo volto divenne violaceo, poi perse i sensi e morì lì, a pochi passi dai suoi soldati, che avevano condiviso con lui la stessa fine.

 

 

Dalla grotta, dopo poco, uscirono nove figure umane. Erano gli stessi soldati che erano entrati poco prima, ma avevano il volto pallido tipico dei morti e gli occhi completamente bianchi, senza iride. Presero i cavalli e partirono, dovevano raggiungere in fretta l’esercito del gran Re. Ben presto, il Re si sarebbe accorto del grave errore che aveva commesso ridando il corpo ai Demoni della Morte.

 

 

La bella Ilse si trovava  al torrente che scorreva placido vicino a Frampul, e stava lavando i panni dei suoi padroni. Frampul era un villaggio vicino ad Arus, ed era il posto dove lei viveva ora come serva. Come gli sembravano lontani quei giorni spensierati a Fortwar! Era abbastanza bella e ricca, alta, mora e con dei bei capelli raccolti in una grossa treccia, aveva anche gli occhi di una rara tonalità grigia, come sua madre, ma l’unico corteggiatore che aveva  era Tim, un altro ragazzo del suo quartiere, e lei lo aveva rifiutato e allontanato.

Non che lo odiasse, ma voleva essere frequentata solo da persone del suo stesso rango. Aveva provato un soffio al cuore quando aveva saputo che il giovane si sarebbe arruolato nell’esercito a causa dei suoi problemi economici e familiari. Gli era dispiaciuto un po’, forse lei ricambiava il suo amore, ma sapeva di non poterlo dimostrare. Lei mirava a ben altri uomini, ricchi e influenti. Ma suo padre, consigliere reale, era stato accusato, ingiustamente, di tradimento. Suo padre, sua madre e i suoi tre fratelli maschi furono imprigionati e condannati a morte, mentre tutti i possedimenti di famiglia venivano confiscati. Si era trovata sola e in strada, risparmiata solo perché veniva ritenuta innocua. Aveva lasciato la capitale, ed aveva percorso l’impero in cerca di un lavoro.

L’aveva trovato lì, dove veniva trattata come una schiava.

’’Pensi troppo ragazza. Poi non strofini bene i panni, che restano sporchi.’’. Il rimprovero gli giunse, distante, alle orecchie. Dopo alcuni mesi era riuscita ad abituarsi alla governante che se la prendeva con lei.

Raccolse i panni in una cesta e, incurante della vecchia che la fissava, iniziò a percorrere i pochi metri che la separavano dalla villa dei padroni, non senza andare a sbattere contro una giovane inserviente.’’Stai attenta, caspita!guarda dove vai almeno!’’, le gridò l’anziana governante da dietro. Sbuffando, entrò nella villa. Posò la cesta a terra. Qualcosa non andava. Non c’erano più schiamazzi della servitù e neppure ospiti che ogni giorno andavano a visitare i suoi padroni. Inaspettatamente, comparve di corsa Vale, un'altra giovane domestica. La fermò.

’’Cosa sta succedendo?’’, chiese spaventata.

‘’ Ma come non lo sai? Non le senti le grida distanti? Dopo Arus, i nemici stanno distruggendo Frampul, che sta già venendo saccheggiata, visto che non ha neppure le mura. Vattene e scappa, qui lo stanno facendo tutti. Nasconditi bene, se ti prendono quelli ti uccideranno di sicuro..’’, e scappò via nel cortile di corsa.

Frastornata, Ilse sentiva già i primi rumori riecheggiare dalle case vicine. Era troppo tardi per fuggire. Guardò in cortile. La vecchia governante giaceva riversa al suolo, trafitta da una freccia, mentre nei vicoli poco distanti riecheggiavano le grida d’aiuto della domestica, probabilmente già catturata. La sua unica possibilità di fuga era nascondersi nella villa. Salì frettolosamente una rampa di scale e poi si accorse che qualcuno, appena entrato, la stava fissando. Erano cinque nemici, avvolti in tuniche colorate. Iniziò a correre più veloce, inseguita dai guerrieri che sghignazzavano divertiti. Per loro era un gioco.

 Corse il più velocemente possibile nel piano superiore, ma inciampò in un secchio mezzo d’acqua abbandonato nel corridoio, cadde rovinosamente a terra. Piangendo, si accorse che i suoi inseguitori la stavano per afferrare.

 Tentò di rialzarsi, ma ricadde, scivolando nell’acqua. Una mano forte l’afferrò, e la rialzò.

Ora era in mano nemiche.

 

 

I nemici parlavano una lingua sconosciuta, e ridevano mentre la gettavano tra gli altri prigionieri. Erano tantissimi. Ilse piangeva, perché era una stupida, era un disastro per sé stessa. Aveva sbagliato tutto, solo ora ci pensava.

Se solo avesse accettato quel ragazzo, Tim, ora sarebbe sposata, magari con qualche problema economico ma in una città sicura come Fortwar, amata e circondata dai suoi figli. Invece ora si trovava schiava del nemico, con il suo amore segreto Tim probabilmente già morto in battaglia, ucciso e deriso dagli amici.

Le sue erano lacrime amare, era stata la condanna per sé stessa e per chi l’amava. Si sedette sulla terra battuta, disperata, ignorando gli altri schiavi già con le mani legate, che gridavano attorno a lei.

Frampul era stata distrutta, proprio come la sua stessa vita.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

Ho risistemato meglio i capitoli. Spero che la storia vi stia piacendo. Naturalmente, le recensioni sono sempre ben accette. Grazie per la lettura.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

CAPITOLO 4

 

Swaden era una città di ridotte dimensioni e poco caotica. Era distante dal caos di Arus, situata sempre nelle province settentrionali dell’impero, e lontanissima dalla capitale Fortwar, situata nelle province meridionali dell’omonimo impero.

Era stata fondata centinaia d’anni fa dagli elfi, e poi successivamente abitata e ricostruita dagli esseri umani.

Infatti, la parte più a nord est dell’Impero di Fortwar era abitato, in passato, solo da creature non umane. Gli umani vivevano nel sud, sulle coste del grande oceano e nella provincia di Fortwar, e poi avevano cacciato tutti i non umani.

Ma  Swaden era una città particolare; aveva un porto antichissimo e custodiva grandi segreti. Gli elfi, prima di andarsene, con un ultimo atto benevolo verso uno dei pochi umani loro amici, avevano lasciato un segreto considerato come la chiave di salvezza dell’impero. Da allora, per secoli, d’in generazione in generazione, un vecchio saggio sceglieva un giovane per lui adatto, e gli consegnava il segreto, e così via.

 A distanza di secoli dal primo, in quell’istante il ragazzo scelto dall’anziano maestro, si stava dirigendo, tutto infreddolito, verso l’antico tempio, dove poco distante viveva il vecchio.

 

Sam, il giovane prescelto, pensava di essere un ragazzo normalissimo; un pò tarchiato, scuro di capelli e dagli occhi castani, con un carattere un po’ introverso.

Aveva appena vent’anni ma sapeva fare cose che altri a stenti facevano, aveva una mente aperta, era volenteroso ed aveva buone capacità matematiche e lessicali. Non era proprio normalissimo. Il suo maestro lo definiva come uno studente eccezionale e in grado di apprendere molto in fretta, cosa importante per i destinatari del segreto, che dovevano essere anche colti.

Grazie al fatto di essere stato scelto tra i tanti ragazzi della città, Sam aveva potuto ricevere un’ottima educazione che,altrimenti, gli sarebbe stata preclusa. I suoi genitori erano contadini e vivevano in condizioni miserevoli, tanto da non potersi pagare neppure una visita medica. Infatti i suoi genitori erano morti entrambi un paio d’anni fa durante un epidemia di febbre, lasciando Sam solo al mondo e nella disperazione. Dopo poco era stato scelto dal maestro.

Ora viveva abbastanza bene, il cibo e un tetto sulla testa non gli mancavano ed era stimato da tutta la comunità.

Sam era stato fatto chiamare da poco dal suo maestro. Era urgente. Il servo che portava il messaggio diceva di aver visto il maestro molto scosso, cosa veramente rara.

Anche a Swaden erano giunte notizie dell’invasione, e si diceva che i nemici non fossero tanto distanti da lì e che ormai avessero sottomesso la maggior parte dell’impero senza che l’imperatore avesse mosso un solo dito per fermarli. Forse era quella la causa di tanta fretta. Comunque, tra poco lo avrebbe scoperto.

In pochi passi si trovò di fronte alla porta del maestro. Bussò vigorosamente. Il vecchio maestro lo aprì. La lunga barba e l’aspetto trasandato gli davano di solito un aspetto da uomo tranquillo, mentre quel giorno era particolarmente trascurato e spaventato. Il vecchio tremava tutto, e Sam rimase colpito dal suo aspetto, talmente tanto da non riuscire più ad immaginarsi cosa potesse volere il maestro da lui.

Il maestro prese Sam per un braccio e lo trascinò in casa, per poi sbattere di fretta la parta dietro di lui. Appena si entrava c’era subito una camera disadorna con al centro un tavolo ed alcune sedie, dove Sam in passato si sedeva intanto che il maestro gli spiegava qualcosa. Si accomodò, ed il vecchio decise di non attendere altro tempo.

‘’Devi andartene. Devi partire subito. E’ già tutto pronto’’.

Sam non capiva le frasi incomplete che il vecchio gli diceva con fare agitato.

‘’Ma partire e andare dove? Non capisco..’’.

‘’E’ presto detto. Ora ti spiegherò tutto, anche se c’è poco da spiegare. Devi semplicemente eseguire la missione per cui sei stato preparato e per cui centinaia di persone hanno tramandato il segreto per secoli’’.

Un barlume di lucidità era ricomparso sul volto del maestro. Sam si adagiò meglio sulla sedia, e si preparò attentamente per ascoltare il seguito.

’’Sam, devi capire che siamo arrivati all’epilogo. Tutto sta per cambiare, nulla sarà più come prima. Non sono riuscito a insegnarti tutto ciò che dovevo, ma ciò che sai è sufficiente per poter affrontare il tuo destino.’’. Deglutì, e riprese a parlare, un po’ più tranquillo. ‘’La tua ora è giunta. Partirai sulla piccola imbarcazione da me preparata e con due schiavi ai remi, ed affronterai l’oceano e la Tempesta perenne. Ti prego di ascoltarmi e di non fare troppe domande, non c’è più tempo. Devi sbrigarti, i nemici sono a pochi giorni da qui’’.

La breve pausa del maestro permise a Sam di esprimere le sue perplessità.

’’ Ma.. scusi, maestro, ma come può pensare che io possa affrontare la Tempesta permanente con una bagnarola e due schiavi, se non ci riescono neppure i marinai più esperti con le loro grandi imbarcazioni? E poi, perché mai..’’. Non gli fu lasciata finire la frase. Il vecchio riprese con foga crescente.

‘’Smettila ragazzo. Tu non lo sai ancora, ma la tempesta aspetta solo te, e ti custodirà.. non devi temerla, valle incontro e affronta le sue terribili onde a testa alta. Al di là di essa troverai l’unico modo per salvare Fortwar e le sue genti dal male che sta per distruggere l’umanità e il nostro mondo. Due cose sole devi fare, capito? Affronta la tempesta, fai remare gli uomini verso ad essa, loro obbediranno. Poi convinci ad intervenire e a salvare Fortwar coloro che troverai sul tuo nuovo percorso. Seguimi, è ora di partire’’. Il tono non ammetteva repliche.

 Sam seguì il vecchio nel retro dell’abitazione, che era proprio sulla spiaggia, e vide la sua bagnarola con due uomini già ai remi. Sam si tirò su i calzoni, stava per entrare in acqua ed andare incontro a morte certa. Si girò un ultimo istante, e vide il suo maestro con le lacrime agli occhi.

’’E lei maestro? Mi aspetterà qui?’’ disse, titubante. Il maestro lo fissò intensamente.

’’No, le nostre strade si dividono qui. Ho piena fiducia in te e nelle tue capacità, e so che seguirai alla lettera le mie indicazioni. Mi fido di te, e ricorda che la tua missione era già stata programmata secoli fa, non puoi scappare di fronte al tuo destino. Segui i miei consigli e il tuo istinto, e troverai la strada giusta. Non morirai prima di aver compiuto la tua missione’’. Una lacrima scese rapidamente tra le rughe del vecchio volto e scomparve tra la barba bianca ancora folta.’’ In quanto a me, tra poco mi avvelenerò, così nessun nemico potrà catturarmi e scoprire la tua missione. Invierò una lettera all’imperatore in cui spiegherò tutto, lui sì che ti aspetterà. Il mio ultimo consiglio è questo; anzi, prendilo come un ordine. In qualsiasi luogo tu ti troverai dopo aver superato la tempesta non sarà reale. Ricordalo; ti troverai quasi sicuramente in un luogo stupendo dove non esiste il tempo. Tu non farti ingannare e svolgi la tua missione nel più breve tempo possibile, perché nel reale il tempo continuerà a scorrere, e tu potresti tornare troppo tardi. Intesi?’’. Il maestro gli fece l’occhiolino, mentre altre lacrime scorrevano nel suo viso, per poi essere nascoste dalla barba.

Sam capì che era ora di congedarsi.

Accennò un saluto con il capo, ed entrò in acqua. Salì sulla bagnarola scricchiolante. Gli schiavi ai remi si misero subito a remare con foga. Sam si girò per un attimo indietro; il maestro lo stava ancora osservando. Consapevole che al suo ritorno, sempre che ci fosse stato, nulla sarebbe stato più come prima, si accorse che stava piangendo. Rosso in volto, si girò in avanti e non guardò più dietro di sé.

Ora lo aspettava la Tempesta permanente.

 

 

Di lì a poche ore ore Sam si trovò a fissare l’immensa tempesta.

L’immensa massa di nuvole nere che si estendeva all’infinito all’orizzonte scagliava innumerevoli fulmini, mentre generava forti venti e immense onde. Tuoni violenti come esplosioni risuonavano nel cielo. Gli schiavi remavano dritto verso quell’incubo.

Senza titubare un attimo, quegli esseri umani, muti come pesci, lo stavano portando verso il cuore della tempesta. L’oceano si stava facendo sempre più mosso, e le onde iniziavano a sovrastare la bagnarola, mentre il giorno scompariva, coperto dalle nubi. Sam chiuse gli occhi per un po’, e li riaprì solo quando gli scossoni e gli spruzzi d’acqua non lo spaventarono a morte.

Aprì gli occhi e vide di essere all’interno della tempesta. Tutto attorno a lui era buio, illuminato ogni tanto da fulmini. Poi, un immensa onda si abbatté su di lui, e notò che i due schiavi non erano più ai loro posti mentre la bagnarola stava affondando. Stringendo forte il legno dell’imbarcazione, cacciò un urlo di terrore mentre veniva inghiottito da un'altra onda. Le sue mani non trattennero oltre il legno e Sam fu scaraventato in acqua, mentre l’imbarcazione si frantumava in mille pezzi.

Cercò disperatamente di respirare, mentre si accorgeva che stava sprofondando negli abissi oceanici, trascinato da una grande forza. Non poteva più resistere senza ossigeno. Per un istante pensò che stava per morire senza aver compiuto la missione.

Poi, la sua mente si offuscò e perse i sensi, mentre sprofondava nell’oceano in tempesta.

 

 

Intanto, sulla terraferma, i nove cavalieri stavano per raggiungere l’esercito del Gran Re dopo giorni e giorni di trotto continuo.

I cavalli erano sfiniti, mente i loro cavalieri erano impassibili. Ma, all’interno di essi, la loro fame stava crescendo. Erano giorni che non si erano nutriti decentemente, poiché fin tanto che non avevano avuto corpo bastavano pochi vegetali per tenerli in vita nel loro letargo. Ma ora volevano cibarsi dei loro piatti preferiti. Entrarono nell’immenso accampamento di mattina presto, ma già alcuni soldati erano impegnati davanti alle loro tende a prepararsi per la lunga giornata.

A pochi chilometri dall’accampamento, i cavalieri avevano attraversato le rovine di Frampul, e avevano notato che la distruzione era stata feroce, proprio come piaceva a loro. I soldati fuori dalle tende iniziarono improvvisamente a guardarli, prima con un espressione stupita, poi con una disgustata e impaurita.

I nove Demoni, dall’alto delle loro cavalcature, osservavano con interesse gli umani,  a tal punto che riuscirono a rompere il silenzio, e nelle loro menti diaboliche risuonava un'unica parola; cibo. Si diressero rapidamente verso la tenda imperiale, cercando di non cadere in tentazione con i soldati. Non volevano giocarsi le loro carte subito. Volevano solo divertirsi un po’ con quegli esseri inferiori.

La sentinella, impaurita, li annunciò subito al Gran Re, che non li fece attendere e li ricevette subito.

 

 

Fermei per un istante era felice. Shon era tornato, e comunque fosse andata la missione, la sua opera di conquista avrebbe potuto continuare. Poi notò che la sentinella era atterrita. Fermei non comprese subito. Fece accomodare Shon, ma a sorpresa entrarono nove soggetti, tutti insieme. Non fece caso all’etichetta e si avvicinò per abbracciare il buon guerriero, uno dei suoi migliori uomini.

’’Shon, sei tornato finalmente..’’. Non riuscì a dire altro. Le figure che aveva davanti non erano umane, anche se ne mostravano le sembianze. Un brivido di terrore percosse il suo corpo, e si allontanò con un balzo dai soggetti.

’’Cosa siete?’’, chiese con una vocina tremolante. Gli rispose una voce forte e potente, ma che non usciva da nessuna bocca in particolare. Anzi, le bocche non si muovevano proprio e i corpi erano pallidi come quelli dei morti.

’’Shon è morto. Noi siamo chi cercavi. Saremo tuoi alleati in questa guerra’’, disse brevemente la voce.

Fermei era impaurito come mai prima; cosa aveva ordinato di rievocare?. Come se avesse potuto leggere nella sua mente, la voce rispose alle sue domande.

’’Non temerci, siamo tuoi alleati. Siamo i nove Demoni che in un tempo lontano furono imprigionati dagli esseri fantastici nei monti Akras. Ma ora grazie a te, siamo tornati. Siamo nove corpi ma ragioniamo come uno solo. Ti siamo grati per averci salvati. Ma ora, per favore, nutrici’’. Fermei era lievemente rassicurato, ma non molto.

’’C’è tutto il cibo che volete. Pane e carne non mancano, e..’’.

’’Fermati Re. Noi non mangiamo carne o pane… ma anime’’, disse la voce, e i volti impassibili lasciarono trapelare un sogghigno malefico.

‘’Ti prego, nutrici; non hai degli schiavi? A noi possono bastare solo 30 schiavi, per oggi’’. Fermei tremava. Doveva sbarazzarsi di quelli. Ma come? In fondo gli sarebbero potuti essere utili. Chiamò la sentinella e gli disse di portare 30 schiavi. La sentinella partì di gran corsa, e dopo pochi minuti di uno strano silenzio, alcune guardie proruppero nella tenda reale con i prigionieri. Fermei andò per contarli. Non voleva offrirgliene troppi, a quei mostri.

Gli schiavi furono messi rapidamente in fila. Fermei iniziò a contarli. A metà della sua conta, si trovò davanti a una ragazza magnifica. Era semplicemente stupenda, era alta, mora e con dei bei capelli raccolti in una lunga treccia, lievemente sporca di fango. Non resistette alla tentazione, e si fermò un attimo. Sfruttando il fatto che aveva imparato un po’ di linguaggio basilare dell’impero, facendoselo insegnare da dei dotti prigionieri, Fermei non resistette.

’’Come ti chiami?’’, chiese in un linguaggio stentato.

’’Ilse’’, rispose la bella. Fermei passò oltre. Doveva salvarla da morte certa. Finì rapidamente la conta, e constatò, con infinito sollievo, che i prigionieri erano trentuno. Si fermo un istante.

‘’Non sapete neppure contare?’’, chiese ai suoi soldati. ‘’Sono trentuno, riportatene via uno’’. I soldati si guardarono con fare circospetto.

’’Naturalmente scelgo io. Riportate indietro la ragazza’’ e indicò Ilse, che fu subito allontanata dal gruppo. ‘’Bene, ora potete nutrirvi’’, disse ai Demoni.

 I nove non si fecero ripetere l’invito. Senza alcun movimento esteriore, iniziarono il pasto. Rapidamente, i 30 prigionieri, resi schiavi dal Gran Re, iniziarono a dimenarsi e a urlare. I loro volti si fecero prima rossi e poi sempre più pallidi, mentre smettevano di dimenarsi. La scena era raccapricciante e aveva lasciato sconvolto sia Fermei che i suoi uomini, ancora presenti nella tenda.

Ora i 30 corpi giacevano senza vita nel pavimento, con la loro anima dannata per sempre. Era uno scenario orribile. I nove Demoni non attesero altro tempo, e si congedarono ringraziando del pasto e dicendo che l’indomani si sarebbero ripresentati per essere sfamati.

Fermei ascoltò distratto, troppo scosso per capire bene. Solo quando furono usciti dalla tenda poté tirare un sospiro di sollievo. E se avessero fatto la stessa cosa con lui? No dai non doveva pensare così, erano alleati, avevano detto. Mah, ora non voleva più pensarci. Si sedette e ripensò all’unica cosa bella che gli era capitato di vedere nell’ultimo mese. Ilse.

 

Naturalmente, ai demoni non era sfuggita la debolezza del Re per la prigioniera. Quello era un punto a loro favore che prima o poi avrebbero sfruttato. Giusto per divertirsi un po’, prima della loro grande vittoria.

 

 NOTA DELL’AUTORE.

Vorrei ringraziarvi per la lettura. E’ la mia prima storia, spero vogliate continuare a seguirla. Mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni, e naturalmente le recensioni sono ben accette. Alla prossima.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

CAPITOLO 5

 

Tim e Sergej, dopo un lungo viaggio attraverso l’Impero, giunsero alla loro meta finale, la capitale Fortwar.

 Avevano percorso miglia e miglia, erano stanchi e sporchi, ma erano diventati grandi amici e durante il lungo viaggio avevano diviso avversità e cibo, come veri fratelli. Erano molto uniti e si volevano bene.

Durante tutto il viaggio, avevano notato la più totale assenza di soldati. Le poche grandi città erano pressoché indifese, e le campagne erano abbandonate al loro destino.

La popolazione dell’impero non si sentiva sicura da nessuna parte, e molti avevano abbandonato le loro case andando a nascondersi nei boschi o scavandosi rifugi sotterranei, che riempivano di provviste. Nessuno si illudeva più; tutti si sentivano abbandonati dall’impero, ed avrebbero dovuto difendersi da soli, se volevano sopravvivere. Fortunatamente, l’esercito nemico stava sostando già da un po’ nei pressi di Arus, prendendosela con i villaggi vicini, dando quindi più tempo alle città imperiali per cercare di organizzare una difesa.

Tim e Sergej avevano quindi deciso di conseguenza; sarebbero andati a chiedere udienza all’imperatore in persona.

 Così, dopo aver sostato per un po’ a Palok, la grande città che governava l’omonima provincia, avevano deciso di andare a Fortwar.

Ora avevano la grande città di fronte a loro. Erano molto felici di essere giunti al loro obiettivo. Entrarono in città dalla grande porta principale, dopo aver oltrepassato un immenso fossato. Le mura di Fortwar erano ancora più invalicabili di quelle di Arus; erano alte e robuste, con spaziosi camminamenti e spaziosi bastioni. Stranamente, c’erano molti soldati di ronda. Varcata la grande porta, la visuale era splendida; rimase senza parole pure Tim, che ci aveva vissuto per molti anni.

‘’Ma è magnifica! E’ una citta splendida!’’, disse emozionato Sergej.

‘’Sì, è bellissima’’ , confermò Tim.

Di fronte a loro, si dispiegava la città; magnifiche case con bellissimi giardini mostravano tutta la ricchezza della capitale, e i tetti degli edifici rilucevano dorati nel sole della mattina.

La gente era tutta ben vestita, tanto da fare imbarazzare i due nuovi entrati, che erano piuttosto sporchi. Anche nella capitale si svolgeva il mercato, che impiegava i margini delle spaziose strade. Lì venivano vendute merci provenienti da tutto l’impero. Tutti parlavano animatamente, e non parevano preoccuparsi per gli invasori.

 Tutto quel buon umore e quello splendore fecero rallegrare anche i due amici, che ripresero a scherzare tra loro. Si sarebbero recati subito al palazzo imperiale. Il palazzo era visibile da tutta la città: era situato in un punto centrale, e le sue alte torri si potevano distinguere da ogni luogo.

Orientandosi con le torri, ben presto Tim e Sergej si trovarono di fronte al palazzo, che era costruito a lato della grande piazza centrale cittadina, che dava sull’oceano. Poco distante, il grande molo protetto di Fortwar mostrava tutto il suo splendore, ed era pieno zeppo di imbarcazioni.

I due si avvicinarono alla porta del palazzo, ben sorvegliato da sentinelle ben vestite.

Il palazzo era immenso, era molto alto e aveva centinaia di camere. La porta imperiale aveva due sentinelle di guardia, che tenevano d’occhio chi si avvicinava, mentre dietro a loro c’erano pochi metri di giardino prima di giungere al palazzo.

Poco più indietro, all’interno del giardinetto, sul selciato ben curato che separava il palazzo dalla piazza, era in corso un furioso dibattito. Un giovane molto ben vestito stava discutendo animatamente con alcune guardie. Tim si chiese chi osasse turbare così la quiete dell’imperatore, ma ciò non gli riguardava e in pochi passi fu di fronte alle guardie, seguito da Sergej.

Le sentinelle, vedendoli avvicinarsi, abbassarono frettolosamente le lance di cui erano muniti per bloccare l’entrata, mentre dietro a loro, all’interno . Tim si accorse che le sentinelle erano a disagio; non doveva accadere tanto spesso che due soggetti tutti sporchi si avvicinassero così tanto a loro.

’’ Scusate, noi siamo due soldati, proveniamo da due città già cadute in mano al nemico, veniamo da molto lontano,e ne abbiamo viste di belle.. Ci piacerebbe richiedere un colloquio con l’imperatore..’’, disse, balbettando, Tim.

 Le due guardie che avevano di fronte si guardarono tra loro e scoppiarono a ridere, mandando in confusione Tim, che sapeva di non essere abile con le parole, e che divenne paonazzo. Sergej notò che il dibattito all’interno del giardino era terminato e che il giovane aristocratico stava ascoltando la discussione all’esterno.

’’Ragazzi, l’imperatore non vuole vedere né sentire nessuno, neppure suo figlio. Qui non c’è nessuno disposto ad ascoltarvi. Via di qui’’, rispose risoluta una guardia. Il tono non ammetteva repliche, e Tim si sentì umiliato come non mai. Quelli prima lo avevano preso in giro, poi lo cacciavano come se fosse una mosca molesta, senza neppure ascoltarlo. A risvegliarlo fu Sergej, che lo strattonò per un braccio.

’’Andiamo via’’, gli disse a bassa voce. I due diedero le spalle alle guardie, e ritornarono sui loro passi, con le loro speranze ormai in frantumi.

’’Ehi voi! Tornate indietro per favore!’’, disse dietro di loro una voce con i toni decisi ma con sfumature gentili. Tim e Sergej si girarono. A parlare era stato quel giovane che era all’interno del giardino a litigare con le guardie. Era sbucato prendendo alla sprovvista le due sentinelle, che ora guardavano fisso a terra, intimidite. Effettivamente il giovane era molto alto di statura; aveva i capelli biondi e una barbetta ben curata, anch’essa bionda, e gli occhi azzurri. A occhio, notò Tim, non doveva avere più di trent’anni. Ed era furioso.

’’E voi? Voi che fate tutto il giorno eh? State a deridere tutti quelli che si vogliono rivolgere all’imperatore. Ecco cosa fate, inetti’’, disse il giovane rivolto alle sentinelle,che erano sempre più imbarazzate. Sui loro volti non compariva più alcuna traccia d’ilarità. Intanto, Tim e Sergej si avvicinarono quatti, chiedendosi chi fosse quel giovane per potersi permettere di sgridare pubblicamente le sentinelle imperiali.

’’ Salve sono Iulius. Ho sentito che cercavate di contattare l’imperatore. Lui non vi ascolterà di certo, ma io sì, se volete’’, disse il giovane rivolto ai due soldati, non badando più alle due sentinelle imbarazzate.

’’Ah.. beh, sì, ok… Però noi eravamo interessati a conferire con l’imperatore, non con uno qualsiasi..’’, disse, con imbarazzo Sergej. Si pentì subito di ciò che aveva detto: il  viso tranquillo del giovane si adombrò e guardò malissimo i due.

’’Io sono il figlio dell’imperatore Claudio, nonché unico erede dell’impero alla morte di mio padre. Posso perdonarvi la vostra maleducazione solo perché non mi ero presentato. Se volete parlare con me, vi ascolterò, ma seguitemi ora. Altrimenti, se non vi interessa parlare con me, continuate a cercare di contattare mio padre l’imperatore, ma sappiate che non vi riceverà MAI’’.

Il ‘’mai’’ fu pronunciato in malo modo e il discorso era rabbioso, ma appena ebbe concluso, Iulius rientrò nel giardino, lasciando stupefatti i due amici che, senza neppure pensarci su, lo seguirono.

Il volto dell’erede imperiale era tornato sereno. I due amici lo affiancarono.

Lui li lasciò fare, ignorando la rigida etichetta impostagli da suo padre. Nessuno osò fermare i due amici per fare domande, e tutti i servitori e le guardie che incontrarono nel loro cammino abbassavano lo sguardo e interrompevano ogni mansione che stavano svolgendo per salutare l’erede al trono. Le sfuriate di Iulius dovevano essere ben conosciute nel palazzo, notò Tim.

I tre percorsero i pochi metri di giardino ben curato che li separava dal palazzo, poi, seguendo Iulius, che si era voltato per invitarli a seguirlo senza timori, entrarono nel palazzo. Appena si entrava, si veniva investiti da una marea di profumi, tutti ottimi. Percorsero un breve tratto di un immenso corridoio, dove ai margini erano poste, in bella mostra, grandiose opere d’arte e le statue degli imperatori.

Dopo poco Iulius entrò in una stanza laterale, seguito dai due amici, e prese posto su un trono rialzato ma poco elaborato negli intagli . Tim si guardò attorno e notò che l’arredo della stanza era molto austera, ed era tra l’altro anche poco spaziosa, probabilmente per il fatto che doveva essere un ambiente dove poter accogliere sconosciuti. Pochi stanti dopo il loro ingresso, due guardie armate presero posto ai lati della porta, pronti ad intervenire in caso di bisogno, ma un po’ troppo distanti per poter afferrare il senso dei discorsi fatti a voce normale. Tim e Sergej restarono in piedi. Avrebbero dovuto conferire stando in piedi, sottolineando che comunque tra loro e il futuro imperatore c’era un bel po’ di differenza.

’’Bene, qui possiamo parlare tranquillamente. Poco fa avete detto di venire da dislocamenti lontani da qui, e che siete riusciti a sfuggire al nemico.. Raccontatemi tutto, potrebbe essere interessante’’, esordì Iulius. Tim e Sergej narrarono la loro storia nei minimi particolari, e Iulius non fece nulla per interromperli, ed anzi appariva molto interessato dalla loro avventura. Poi si fece mostrare i tesserini militari che venivano usati come riconoscimento, e decise di fidarsi dei due.

‘’Uhm, non voglio nascondervi che siete stati intelligenti, siete riusciti a salvarvi dai nemici in ben due situazioni critiche. Ma questo loda voi e interessa parzialmente a me; la cosa grave che mi sembra di capire è il fatto che non abbiamo un esercito addestrato. Anzi, non abbiamo proprio un esercito. Qui a fortwar ho richiamato molti soldati e ne ho reclutate svariate migliaia, ma sono poco addestrate e inette’’, disse Iulius, facendo una breve pausa, per poi riprendere il discorso da dove l’aveva lasciato.

’’ Mio padre non fa nulla e non pensa a nulla, è una persona instabile. Sta chiuso tutto il giorno nelle sue camere, tra il lusso sfrenato, e non vuole nemmeno vedere la realtà. Questo mi preoccupa. Ho preparato comunque un piano; grazie alla mia autorità e alla lontananza mentale di mio padre, posso prendere qualche decisione. Ho incaricato il generale supremo John di radunare alcune migliaia di uomini e di andare ad affrontare il nemico. Prima di tutto presidieranno Palok e cercheranno di difendere le province che circondano Fortwar. Non affronteranno il nemico a viso aperto ma in piccoli scontri, causando problemi all’avanzata nemica e presidiando in modo intelligente le cittadine e i villaggi. Così guadagneremo tempo prezioso’’. Iulius si fermò di nuovo. Tim, notando segni di assenso nello sguardo del principe espose il suo dubbio.

’’ Ma prendere tempo per cosa, se posso permettermi.. Se la mettete così Fortwar è spacciata, cosi come tutto il suo impero. Le terre del nord cadranno tra poco in mano nemiche, mentre quelle centrali saranno in mano ad un generale che dovrebbe rallentare l’avanzata, senza riuscire ad arrestarla, poiché i suoi uomini sono poco addestrati. Poi toccherà a fortwar e alle sue province confinanti nel sud dell’impero, ma allora sarà troppo tardi’’. Tim si penti nuovamente delle sue parole, che erano uscita da lui come un fiume in piena. Iulius non sembrò farci caso, tanto era preso dall’argomento.

’’Innanzi tutto le terre più a nord dell’impero, insieme alla provincia di Arus, al confine con il deserto, sono già perdute. Ho ricevuto una missiva poco fa da quelle guardie insolenti che avete visto in giardino. Ebbene, a quanto pare i nemici si sono rimessi in marcia, ed avrebbero come alleati 9 demoni implacabili, e nulla parrebbe fermarli ed anche la città di Swaden è caduta tre giorni fa. Ma ho ricevuto anche un'altra missiva; proviene sempre da Swaden, dove il vecchio saggio custode del segreto millenario, l’unico lasciato dalle creature mitologiche al genere umano, ci avrebbe informato che il suo allievo sarebbe partito per una missione che si sarebbe risolta entro breve, e che ci avrebbe aiutato. Ha richiesto a mio padre di attendere un ragazzo di nome Sam, lui forse ci salverà. Inoltre abbiamo un buon esercito che guidato dall’esperto generale imperiale, magari potrà compiere un miracolo’’. Il tono di Iulius lasciava trapelare incertezza.

’’Ragazzi, scommetto che sapete usare bene le armi, giusto?’’. Chiese improvvisamente Iulius, cambiando repentinamente discorso.

’’Certamente signore!’’, risposero senza dubbi i due amici.

’’ Allora vi farò una proposta. Visto che il generale John a breve se ne andrà, io resterò senza persone affidabili e preparate che controllino gli addestramenti delle nuove reclute e le varie esercitazioni. E’ un lavoro molto importante e impegnativo e, mi piacerebbe lasciarlo in mani vostre. Non siete coinvolti negli intrighi della capitale, ed inoltre conoscete il nemico e le sue tattiche. Visto che siete due, vi dividerete il lavoro: uno seguirà le nuove reclute appena arrivate mentre l’altro seguirà le esercitazioni dei soldati e delle guardie che resteranno nella capitale. Sarà un lavoro molto duro, e che andrà svolto ogni giorno e sotto ogni condizione climatica, perché dobbiamo rendere questi pappamolla in un vero esercito pronto a difendere valorosamente la capitale. Che dite, accettate l’incarico?’’. Ovviamente la domanda di Iulius era puramente retorica. Esigeva un sì da quei due soldati appena arrivati. I due infatti accettarono.

’’Molto bene, domani presentatevi alle guardie, che vi daranno una divisa nuova e il lasciapassare per entrare agevolmente nel palazzo’’. Guardò i due in maniera strana.’’Tranquilli, qui non vi deriderà più nessuno’’, disse, sorridendo. Poi, rapidamente si alzò e si avviò verso la porta. Era ora di congedarsi.

’’Ragazzi, ce l’avete un posto in cui andare a dormire?’’, riprese.

‘’Signore, io possiedo una casa poco distante da qui, se non me l’hanno occupata dei senzatetto potremmo risiedere lì.’’, azzardò Tim, pensando alla sua vecchia, piccola dimora che aveva lasciato molti mesi fa.

’’Perfetto. Vedrai che sarà libera. Nella capitale non c’è molta malvivenza. Ora andate pure’’, e li congedò. Tim e Sergej si avviarono verso la piazza, da dove raggiunsero velocemente la casa di Tim, che versava in uno stato pietoso, era tutta piena di ragnatele, ma almeno nessuno l’aveva occupata o depredata. L’aria di casa fece riemergere in Tim un ricordo lontano, che fino a poco fa sembrava far parte del passato; la bella Ilse. Avrebbe voluto rivederla. La tentazione fu talmente tanto forte che Tim dovette lasciare a svolgere i lavoretti di riparazione domestica all’amico, e corse in strada con la scusa di dover smaltire l’ansia delle ultime ore.

Era quasi metà giornata. Tutto ad un tratto la capitale gli ritornò famigliare, come se non l’avesse mai lasciata. Di lì a poco raggiunse il quartiere dei più benestanti, e li davanti a lui si mostrava in tutto il suo splendore la bella dimora di Ilse. Era tutto in ordine. Bussò cautamente alla porta, timoroso, poiché era già stato allontanato più di una volta dalla ragazza. Ad aprirlo fu Elvira, la vecchia serva di Ilse. Stupefatta, la serva si avvicinò a Tim.

’’Che c’è da guardare, vecchia? Annunciami alla tua padrona Ilse’’, disse, arrogante.

’’Signore, se cercate la padroncina non la troverete qui. La sua famiglia è stata giustiziata dall’imperatore, e lei se n’é andata. Qui è stato tutto sequestrato, ora è di proprietà di altri nobili’’, disse la serva.

‘’Ma come, non hai idea di dove sia andata?’’, continuò Tim, allibito.

’’No mi dispiace. È sparita nel nulla, probabilmente sarà pure morta. E ora devo andare, i miei padroni mi aspettano’’. La serva girò i tacchi e rientrò in casa, lasciando lì fuori Tim, che si disperava. Ma come, la sua bella e nobile Ilse.. che fine che aveva fatto. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, e si lanciò di corsa verso casa sua. Aveva bisogno di sfogarsi con un amico. Infatti, più tardi, dopo aver raccontato tutto a Sergej, si sentì meglio, ma comunque il suo umore restava grigio. E lo sarebbe rimasto per molto, molto tempo.

 

 

Iulius odiava suo padre e doveva fare qualcosa per liberarsene. L’anziano imperatore non lo voleva neppure vedere, e non voleva neppure salvare il suo popolo. Era a causa della sua inerzia e delle sue spese folli se ora l’impero vacillava. Doveva fare qualcosa e al più presto. Decise che avrebbe parlato con la madre e che gli avrebbe consigliato un azione estrema. Era certo che sua madre, l’imperatrice, l’avrebbe capito.

 

 

Il giorno dopo, mentre tim e Sergej andavano a prendere servizio ed iniziavano la prima durissima giornata di lavoro, Iulius era andato negli appartamenti riservati a sua madre, per cercarla. Come l’ebbe visto, la madre capì subito che aveva bisogno di qualche favore. Era sempre stato così, tra madre e figlio c’era un legame molto forte. Inoltre sua madre era una potente indovina.

’’So perché sei venuto qui. Vuoi il trono. Giusto?’’, disse impaziente la madre.

’’Non ti si può nascondere nulla, madre. Dove hai visto le mie intenzioni? Nei tuoi sogni? O forse in qualche fondo di caffè?’’, sogghignò benevolmente il figlio. La madre era una donna matura, molto magra e con i capelli che iniziavano ad ingrigirsi. Era una donna dall’apparenza fragile, ma molto forte ed amava crogiolarsi in letture di carte magiche o in altri passatempi esoterici.

’’Figlio, io so tutto. Ebbene, non ti farò sprecare altro fiato; io so come farti avere il trono imperiale. Ci ho pensato molto, sai. Avvelenerò tuo padre e poi mi avvelenerò anch’io, e mi prenderò su tutte le responsabilità del gesto lasciandoti immacolato agli occhi di tutti. Ma, sappilo, questo gesto, in futuro, decreterà la tua morte’’, disse la madre.

’’Sì certo madre, tanto prima o poi dobbiamo morire tutti. Per favore, porta a termine la tua missione così come hai detto. Te ne sarò grato per sempre’’, rispose gioioso Iulius. Era stato più facile del previsto.

 ‘’Ultima cosa; ricevi il ragazzo di nome Sam con tutti gli onori del caso, e credigli ciecamente’’, disse la madre.

‘’Mi è già giunta la lettera, non temere. So tutto’’, la rassicurò Iulius. La madre poi fece cenno d’assenso e si dileguò rapidamente. Iulius non vide le lacrime silenziose che scivolavano sulle guance di sua madre, che era consapevole di essere solo uno strumento del destino. A Iulius non gliene importava della sua futura morte, voleva solo il trono imperiale. Ora.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

CAPITOLO  6

 

Sam si risvegliò, e pian piano riprese i sensi.

 Il suo corpo era tutto intorpidito e umido.

Non aprì gli occhi subito. Era disteso su qualcosa di soffice, sembrava erba, e dalle sue narici entrava aria fresca e pura. Il corpo riprese rapidamente sensibilità ed uscì dallo stato di torpore in cui era stato avvolto fino a quel momento.

Si rigirò su un fianco, e, sempre senza aprire gli occhi, decise che voleva continuare a stare lì immobile e a riposare. Poi, tutto a un tratto, rivide gli ultimi istanti della sua vita. La tempesta, l’oceano che lo inghiottiva, il suo urlo di terrore strozzato dall’acqua, ed infine era sprofondato e svenuto. Forse era morto.

Spalancò gli occhi. La vista all’inizio era un po’ confusa, ma tornò subito limpida. Era immerso in un luogo bellissimo. Era disteso su un bel prato di erba verde, il sole splendeva sopra di lui, e a fargli ombra c’era un magnifico albero. Di fronte a lui iniziava una breve spiaggia, che dopo pochi metri si gettava nelle profondità delle acque limpide dell’oceano. Dietro di sé, il bel prato continuava, e si trasformava in un rigoglioso sottobosco, mentre albero altissimi e verdeggianti si innalzavano fino al cielo, che tra l’altro era completamente sgombro da nubi.

Era un territorio idilliaco, immerso in una pace estrema ed eterna.

Sam si sentiva benissimo; si alzò e fece qualche passo barcollando, la situazione ancora non gli era ben chiara. Poi sentì alcuni rumori provenire da dietro alcuni alberi, e anche qualche parola, che divenne sempre più nitida, finché pure Sam riuscì a comprendere.

’’Sei sempre il solito, Wolfy: ti era stato detto di stare con l’umano, ed invece tu sei andato in giro, lasciandolo incustodito’’. Il tono era di rimprovero, ma la voce non aveva nulla di umano, era molto pacata.

 Sam fece per allontanarsi, ma cadde, poiché i suoi sensi non si erano ancora ben ristabiliti. Decise quindi di attendere chi lo cercava.

’’Siete sempre così, voi unicorni; non ve la prendete mai una responsabilità, vi piace cavalcare liberi e poi ve la prendete con gli altri’’, rispose una nuova voce, un po’ irritata, ma non di certo arrabbiata.

Poi, due figure sbucarono da dietro le fronde di un alberello piuttosto basso, e Sam rimase molto sorpreso da ciò che vide.

 Di fronte a sé c’era un bel cavallo bianco immacolato, con lunghi crini bianchissimi, ed aveva un corno lunghissimo che fuoriusciva dalla testa, e un bel paio di ali sulla schiena; al suo fianco, c’era un grosso lupo, grigio e con il pelo leggermente irto nella schiena, con profondi occhi verdi. Entrambe le creature non erano di grosse dimensioni, ma ciò spaventò molto Sam, che fissò male le creature, terrorizzato. Non riusciva a comprendere che razza di luogo fosse quello. Le creature, d’altro canto, sembravano altrettanto scosse; si erano fermate e fissavano stupite l’umano.

’’Bene, si è svegliato e si stava quasi per inoltrare nel bosco. Hai visto anche tu no? A momenti lo perdevamo. Bene, Wolfy, farò rapporto’’, disse l’unicorno, e senza attendere che il lupo rispondesse, continuò.

’’Oh, umano, non ci temere. Noi siamo qui per te; ti abbiamo atteso per molto, molto tempo. Qui nessuno ti farà del male. E tu Wolfy, visto che ai tanta fretta di tornare a casa, puoi andare’’, disse con fare sbrigativo.

Il lupo non se lo fece ripetere, ma prima si avvicinò a Sam e lo annusò. Sam si ritrasse, spaventato. Con un espressione quasi dispiaciuta, il lupo parlante si diresse a passo lento verso l’oceano. Sam continuò ad osservarlo per qualche istante. Il lupo entrò in acqua e percorse qualche metro, prima di immergersi in essa. Non riapparve più, ma poco più in là affiorò una grande pinna dorsale, simile a quella di una balena.

 Sam guardava ad occhi spalancati dallo stupore.’’Umano, andiamo via di qui. Non badare a Wolfy, come tutta la sua specie a volte è inaffidabile. Vieni con me, ti porterò da un mio caro amico che potrà ospitarti’’, disse l’unicorno, con voce molto gentile.

Sam decise di fidarsi di lui e lo seguì.

’’Io mi chiamo Sam. E tu chi sei? E dove mi trovo?’’, furono le domande che uscirono spontanee al ragazzo.

’’Ma come, non lo sai? Pensavo che il tuo saggio maestro ti avesse preparato per giungere fin qui. Io mi chiamo Saby, e sono un unicorno’’, disse l’unicorno, che evidentemente era femmina, un po’ stupito dal ragazzo.

’’Benvenuto nel mondo di Harlowhy’’, concluse.

 Saby rimase pensierosa per  tutto il resto del percorso, mentre Sam la seguiva, arrancando, lungo un sentiero che si inoltrava nella foresta. Di lì a breve, il sentiero sfociò in un bellissimo villaggio, che però era in miniatura. Infatti le casette erano molto piccole e basse.

Ma le sorprese per Sam non erano finite. Da un cespuglio spuntò una strana creatura; sembrava uno scimmiotto, ma non lo era. Era di taglia ridotta, con il pelo folto e grigio, molto simile a quello dei gatti, ed in testa portava un bel cappellino rosso da contadino. Sapeva parlare e gli si avvicinò con fare baldanzoso, camminando eretto ma lievemente ingobbito.

’’Sì, brava Saby, ce l’hai portato. Ciao umano, io sono Jack, sono un folletto e faccio parte della tribù dei Pegul-cat. Benvenuto!’’, disse, tutto raggiante, verso Sam.

’’Ciao, mi chiamo Sam e non ho la più pallida idea di come abbia fatto per finire qui’’, disse Sam,’’Però mi piacete e mi state simpatici’’, confidò.

L’unicorno guardò Jack in maniera confusa.

’’Ma sì certo che siamo simpatici! Pensa, ti abbiamo aspettato a lungo. Ma ora per favore accomodati nel nostro villaggio’’, disse Jack.

Sam entrò nel villaggio, ma era tutto decisamente fuori misura per lui. Rendendosene conto, Jack lo rassicurò dicendogli che avrebbero trovato una soluzione a breve.

’’Bene, ora devo andarmene. Buona permanenza, Sam’’. Disse l’unicorno, che venne seguito per un breve tratto da Jack. Parlarono tra loro per un ultima volta, piano, cercando di non farsi udire da Sam.

’’Dove andrai adesso?’’, chiese Jack.

’’Ovvio, andrò dal Grande Drago, che farà certamente convocare un grande raduno di tutte le creature fantastiche per decidere il da fare’’, disse Saby.

’’ E io con l’umano che devo farci?’’, chiese l’impaziente folletto.

’’ Trattienilo qui per un po’; vedrai, a breve anche il tuo popolo sarà convocato al raduno. Quando ti giungerà la convocazione dal Grande Drago, accompagna l’umano alla piana dei vetri, poiché sarà lì che noi creature emaneremo un verdetto. Per ora fattelo amico e fai in modo che si fidi di te. Poi, il resto si vedrà’’, concluse l’unicorno, che si congedò velocemente e dopo pochi balzi prese il volo.

Jack, un po’ confuso, tornò dal suo ospite umano, che continuava ad attenderlo, immobile, al centro del villaggio.

 

 

In quel mondo, gli elementi leggendari, mitologici e magici si fondevano, dando vita a una realtà tutta nuova agli occhi di Sam. Da quando era giunto al villaggio dei Pegul-cat, cioè da parecchio, Sam era divenuto un fenomeno da circo. I piccoli folletti si divertivano a fargli dispetti innocui nel sonno, ed erano molto buffi.

 Jack gli aveva spiegato come era andata la sua storia. Quando era stato risucchiato nelle profondità oceaniche, era stato raccolto da Wolfy, una creatura che apparteneva al gruppo di creature mitologiche degli Akluth, ossia orche che svolgono il mestiere di guardiano sul confine con il mondo umano, e che possono salire sulla terra ferma diventando lupi, per poi tornare in mare sottoforma di orche.

Infatti era stato atteso dall’unicorno Saby, che era il preferito da Jack, il capo tribù dei Pegul-cat. Infatti aveva imparato dal suo nuovo amico Jack che c’erano più tribù di Pegul, tutte risiedenti poco distante da lì, ma che avevano abitudini diverse, e per evitare discussioni i gruppi si erano divisi. A differenziare una tribù dall’altra era il colore del cappello che i Pegul portavano sempre in testa, e che tenevano in grande considerazione.

In più, ogni Pegul era legato ad un unicorno, ed erano molto amici. I Pegul amavano quelle figure equine, e si divertivano a passare il tempo intrecciando i crini degli unicorni, che riposavano placidamente, contenti delle attenzioni ricevute dai loro amici folletti.

I più grossi problemi per Sam erano quelli di svolgere una regolare vita biologica. Infatti, nel mondo fatato in cui si trovava, non esisteva la notte, ma solo un giorno eterno, non c’erano neppure le stagioni, era come se lo scorrere del tempo non esistesse. Gli alberi erano sempre verdi, e gli esseri fantastici vivevano in pace in un giorno eterno.

Per dormire e rispettare i ritmi biologici, Sam si era fatto costruire dai folletti una capanna a sua misura, dove poteva ricreare un po’ d’ombra. Per nutrirsi c’erano stati grossi problemi; aveva scoperto che i folletti non mangiavano, e aveva iniziato a nutrirsi, di nascosto, di vegetali che trovava nel sottobosco. Nonostante ciò, quel mondo stava iniziando a sfinirlo. Perdeva peso, mentre non aveva neppure idea di quanto tempo fosse rimasto lì fermo nel villaggio. Voleva andarsene.

Sam prese una decisione: uscì dalla sua capanna e si recò a parlare con Jack. Jack gli stava simpatico. Anche se inizialmente il folletto e la sua tribù si erano mostrati un po’ distaccati con lui, come se fosse un peso, ora invece lo accettavano e lo trattavano quasi da loro pari. Trovò il folletto seduto sotto un grande albero, con gli occhi chiusi. Ora sapeva che si poteva fidare di lui. Si sedette al fianco della minuta creatura, ma lui non lo guardò, e i suoi occhi continuarono a restare chiusi, ma Sam non poteva più rimandare.

’’Scusa Jack, disturbo?’’, chiese cortesemente.

 Il folletto parve riscuotersi dal suo stato di trance.

’’No, certo che no, amico. Stavo meditando un po’, in compagnia degli alberi’’, disse il pacifico Jack.

’’In compagnia degli alberi? Ahah ..’’, disse un incredulo Sam.

 ‘’Non ridere Sam: qui tutto quello che vedi è pieno di vita e può comunicare, se vuoi sentirlo. Ma dimmi, ti vedo un po’ preoccupato. C’è qualcosa che non va?’’, chiese il folletto.

 Sam si rese conto che i folletti erano sì creature scherzose, ma anche molto sensibili. Decise di essere sincero con lui.

’’Sì Jack, qualcosa non va. Questo non è un posto per me, ma non a causa vostra, anzi, voi folletti siete gentili con me e con voi mi trovo bene, ma io ho bisogno di nutrirmi con regolarità e sono ancora legato al mio mondo. Vorrei andarmene’’, concluse Sam.

’’Questo non è possibile. Tu resti qui. Non puoi gironzolare per la foresta, ci sono altre innumerevoli razze di esseri fantastici. Ci sono arpie, elfi, draghi.. No è troppo pericoloso. Poi sei sotto la mia custodia. Da qui non parti. Inoltre potresti girare il questo mondo fintanto che le tue gambe non ti reggeranno più, ma non troverai mai un posto per te, poiché esso non ha confini né limiti, ed è abitato da tutte le creature magiche e mitologiche che vengono narrate nei racconti di voi umani. E non tutte le creature vedono di buon occhio gli umani’’, concluse il folletto in tono risoluto.

 Sam a quel punto era esasperato.

’’Non posso resistere qui; devi capirmi. Voi ormai non mangiate, non dormite.. Non fate nulla di ciò che fanno gli umani nel loro mondo. E io sono un umano’’, ribadì il ragazzo.

 Jack constatò che l’umano aveva ragione. Saby non aveva ancora fatto ritorno, non si sapeva ancora nulla. Se l’umano avesse continuato a dormire e a strappare frutti del sottobosco, avrebbe di certo intaccato l’ordine del mondo delle creature fantastiche, mutandolo. E questo non doveva succedere. Decise di parlargli chiaramente.

’’Sam, devi sapere che noi questo mondo ce lo siamo costruito. Gli umani ci stavano dando la caccia per tutto il nostro mondo, che ora è vostro. E’ stata la volontà del Grande Drago, che qui regola tutte le cose grazie ai suoi infiniti poteri, a creare questo mondo, dove noi creature di tutte le specie abbiamo potuto vivere in pace e armonia fino ad ora. Noi non abbiamo più bisogni materiali: sì, in un certo senso voi umani potreste considerarci ‘’morti’’. Ma non lo siamo; anzi, abbiamo raggiunto un perfetto equilibrio, che sostiene il nostro magico mondo, che è stato appositamente separato dal vostro grazie alla grande tempesta, che solo tu potevi attraversare’’. Il folletto fece una pausa breve, e poi riprese.’’E’ stato un elfo a lasciare una chiave di salvezza al genere umano. Tu ora sei qui per richiedere il nostro aiuto, scommetto’’.

’’Sì, non ti stai sbagliando, ma io sto male Jack. Tanto male’’, ribadì Sam.

Il folletto non sapeva che fare. L’umano sarebbe potuto scappare, o peggio ancora avrebbe potuto rovinare un albero o il sottobosco, rompendo l’equilibrio che domina il mondo magico. All’inizio, pensava che di lì a poco Saby fosse tornata, e che si fosse ripresa l’umano. Ma ciò non era accaduto, e per l’umano il tempo continuava a scorrere a causa dei suoi bisogni biologici e non c’era via d’uscita. Tranne una estrema.

’’Aspettami qui. Non ti muovere, ho una soluzione’’, disse Jack, alzandosi repentinamente.

Si era ricordato solo ora della pozione magica. La pozione era stata creata del grande drago, ed era stata distribuita a tutte le creature fantastiche, in modo che la bevessero, poiché aveva il potere di togliere qualsiasi bisogno biologico, ed ingerirla era stato necessario per chiunque avesse voluto vivere nel nuovo mondo magico.

Sam osservò il folletto mentre balzava in piedi, e in pochi passi fu dentro la sua capanna, quella del capo tribù. Se ne tornò poco dopo con un ampolla, che conteneva un liquido verdastro. La porse a Sam.

’’Bevi’’, gli disse,’’questa pozione porrà fine alle tue sofferenze’’.

Sam non ne era convinto, ma era disperato. Prese l’ampolla e, senza fare ulteriori domande al folletto, ingurgitò un po’ del contenuto. Immediatamente, il suo corpo si rigenerò, fame e sete non esistevano più, lasciando spazio ad una profonda sensazione di benessere. Ora si sentiva meglio, si distese pigramente mentre tutte le sofferenze da lui patite sembravano essere solo un lontano ricordo.

’’Come ti senti?’’, chiese Jack, incurvando un folto sopracciglio.

’’Bene, benissimo!’’, disse raggiante Sam.

E se ne stettero lì a chiacchierare all’ombra del grande albero, come due veri amici. Solo dopo un bel  po’, a Sam venne un dubbio. Era come se una parte di sé stesso fosse stata rimossa. Non riusciva più a pensare in modo critico, la sua mente era come abbagliata da una luce profonda e benevola, che gli impediva di utilizzare appieno le sue facoltà mentali, lasciandolo lì immerso in una sensazione strana di profondo benessere.

Ma fu un dubbio passeggero; pochi istanti dopo, Sam se n’era già dimenticato, e non aveva neppure più intenzione di lasciare il villaggio. Quasi non gliene importava più nemmeno della sua missione.

 Jack non si rese conto del grave errore che aveva fatto dando la pozione a Sam. La pozione era stata creata per le creature fatate, non per gli umani.

 L’errore di Jack in futuro costerà molto caro a Sam.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

CAPITOLO 7

 

Per il Gran Re Fermei era stato veramente molto facile devastare tutta la parte nord dell’impero di Fortwar.

 Ora a separarlo dalla capitale e dalla sua ricca provincia c’era la grande provincia di Palok, situata al centro dell’impero, con città fortificate e sicuramente molti più soldati imperiali che avrebbero rallentato la conquista. Comunque, nessuno poteva più sconfiggere il Gran Re.

I suoi alleati, i demoni, seminavano panico e distruzione ovunque, e lui li spediva nelle avanguardie, così che potessero seminare il terrore ancor prima che giungesse l’esercito reale. La gente del nord non aveva neanche più la volontà di difendersi, visto la fine che aveva fatto Arus, Frampul, e ultimamente anche Swaden e una moltitudine di villaggi e piccole città.

Ora il nord era suo. Doveva solo scendere verso Palok. L’unica cosa che l’aveva reso inquieto era stata la storia di una profezia, di cui gliene aveva parlato la gente di Swaden. Molti di loro erano stati torturati per saperne di più sulla questione, che pareva essere talmente tanto importante da far vacillare tutti i suoi piani di invasione dell’impero. Tutti avevano parlato del maestro e del destinatario della profezia, a quanto pare un vecchio e un giovane.

 Dopo opportune ricerche, il vecchio era stato trovato morto vicino alla sua casa, situata sulla spiaggia dell’oceano, ma del giovane non ce n’era una minima traccia. In fondo, per Fermei e per i suoi generali si trattava solo di una sciocchezza, di una favola inventata per dare più forza di opporre resistenza agli invasori. Comunque, Fermei voleva essere rassicurato anche dai Demoni, che sicuramente erano i più esperti in materia. Li aveva fatti convocare, ma come al solito era un bel po’ che li attendeva e loro non si erano ancora presentati.

Se ne stava seduto su uno scranno di legno nella sua tenda, vicino ad un fuoco caldo, che riscaldava l’ambiente, rendendolo più gradevole, e pensava ai disagi del suo popolo. Ora che il suo esercito aveva messo a ferro e fuoco ogni città della zona, e visto che stava iniziando una stagione particolarmente fredda e umida nella provincia di Arus, i suoi soldati non riuscivano più a sistemarsi comodamente negli accampamenti.

Il terreno era impregnato d’acqua, quasi tutti i giorni pioveva e tutto era umido e malsano, mentre le temperature iniziavano gradualmente a diminuire. Il cibo era scarso, e ben presto sarebbero giunte le prime malattie, che sarebbero poi divenute pestilenze.

Ora il Gran Re non sapeva più se era conveniente continuare la conquista, poiché Palok era distante e molto ben difesa, ed inoltre non poteva invadere una provincia ben organizzata come quella senza neanche aver formulato un piano. Insomma, nella testa del re regnava l’indecisione. Da una parte, pensava che ormai l’Impero fosse ai suoi piedi, dall’altra sapeva che non sarebbe stato così facile conquistare tutti quei territori. A toglierlo dai suoi pensieri fu l’arrivo dei Demoni. Come al solito, con fare arrogante, entrarono nella tenda senza neanche farsi introdurre.

‘’Ci hai fatto convocare, re; dicci pure’’, disse la voce demoniaca. I Demoni infatti avevano un'unica voce che risuonava nell’ambiente circostante, ne potevano monitorare la potenza, e non usavano le proprie singole bocche.

Come sempre, il re si sentì in soggezione. Erano esseri orripilanti, che emanavano un aurea di dolore che poteva far intristire chiunque.

‘’Sì, ho una faccenda di cui discutere con voi. Non farò giri inutili di parole. A Swaden circolava voce di un prescelto, che avrebbe compiuto un viaggio e che sarebbe tornato per portare la salvezza all’impero. La leggenda sarebbe stata lasciata in tempi remoti da un elfo, e poi tramandata da un maestro a un giovane, che sarebbe poi divenuto esso stesso maestro. A quanto pare l’ora è giunta, e il prescelto sarebbe partito poco prima del nostro arrivo in città, ma noi non abbiamo certezze su ciò. E’ stato trovato un vecchio morto, che corrisponderebbe alla descrizione del maestro, ma del giovane non ci è chiara neanche la sua reale esistenza. Potrebbe essere un grave pericolo per noi. Voi che ne pensate?’’, interpellò Fermei, alla fine.

‘’Re, sono certamente sciocchezze di poveri contadini. Le voci girano, e tutti ci credono. Nulla può fermarci; solo questa è la verità. Non temere, tra non molto l’impero di fortwar sarà ai tuoi piedi’’, dissero sicuri i demoni.

‘’Voi mi rassicurate, vi ringrazio’’, disse Fermei, ora più tranquillo. Non vedeva l’ora di far uscire dalla sua tenda quei tipi disgustosi, e li congedò frettolosamente.

‘’Un attimo solo, re; per favore, concedici in pasto tutti quei contadini che ti hanno messo in testa quelle bugie. Loro ti odiano e ti han raccontato tutto ciò solo per farti desistere dai tuoi impegni. E noi abbiamo tanta fame’’, disse la voce disgustosa. Fermei aveva fretta, e non gliene importava più nulle dei cittadini bugiardi di Swaden. Tanto, di schiavi e prigionieri ne aveva fin troppi.

‘’Sì, certo, prendetene quanti ne volete e sfamatevi. Andate pure’’, concluse il re. Sapeva di aver consegnato altri umani a quegli esseri immondi, ma non poteva fare altrimenti, sennò quelli avrebbero iniziato a uccidere anche i suoi soldati. Ma ora non voleva pensarci più.

Tirò un sospiro di sollievo. Ora che sapeva che i suoi piani di conquista non sembravano in imminente pericolo, poteva crogiolarsi nei suoi pensieri. Basta tristezza, avrebbe passato quell’intera giornata a pensare alla sua bellissima schiava, Ilse. Era magnifica e lui l’amava, ma non appariva ricambiato. Ora che le azioni militari erano momentaneamente ferme, ne avrebbe approfittato per imparare meglio la lingua dell’impero e per fare doni alla ragazza.

 Aveva deciso così, e così fu.

 

 

Ilse era una schiava particolare.

Molto particolare.

Infatti, da quando era stata salvata dal Gran Re, non faceva altro che ricevere doni da lui. Ora lei non viveva più mischiata con gli altri schiavi, ma viveva in una lussuosa tenda ai margini dell’accampamento, ed aveva tre guardie a sorvegliarla e ad assecondare ogni suo desiderio.

Ilse non era una stupida; aveva ben compreso che il Gran Re si era preso una cotta per lei. E  lei aveva paura. In certi momenti pensava che quello era il suo riscatto, e che il destino gli stava dando un opportunità grandiosa per avere un futuro migliore.

D’altra parte, non aveva ben chiara l’idea di chi fosse quel re, e se fosse come tutti gli altri, che usavano le ragazze belle come lei a loro piacimento e poi le gettavano come oggetti usati, quando riuscivano a trovarne altre. Per questi motivi Ilse era titubante.

Ma ora aveva preso una decisione; sarebbe stata al gioco, e si sarebbe offerta ella stessa al re, nel qual caso ce ne fosse stata l’occasione. Era la sua grande opportunità e non doveva sprecarla.

Intanto che pensava, si pettinava. Poi si intrecciò i suoi bei capelli, che ora erano lisci e puliti come un tempo, grazie alle benevolenze del re. Poi, improvvisamente, un uomo entrò nella tenda.

 Ilse si girò bruscamente; le guardie di solito chiedevano il permesso prima di entrare. Nella penombra vide una bella figura lievemente scura, e non troppo alta. Era Fermei, il Gran Re. Il suo cuore ebbe un sussulto, come ne aveva quando, in passato, vedeva Tim di fronte all’ingresso di casa sua, per chiedere di vederla.

Ma ora era tutto diverso; Tim non era nessuno, e probabilmente, anzi, sicuramente, era già morto, mentre colui che aveva di fronte in quel momento era uno dei più grandi re della storia, e un grande combattente. Capì che lo amava follemente. Anche se era un po’ un amore condizionato, lei lo amava, punto.

‘’Mio signore’’, disse Ilse, facendosi coraggio ed alzandosi in piedi.

‘’Tranquilla Ilse; ti vedo turbata. Ti ho forse spaventato?’’, chiese in tono benevolo il re.

‘’Certo che no, mio signore, lei qui è padrone di tutto e può venire quando vuole’’, concluse Ilse, anche per elogiarlo.

 ‘’Per tutto il pomeriggio non ho fatto altro che pensare a te’’, disse Fermei, fissandola, e Ilse non poté non notare come la fissava. Anche lui la amava.

‘’Spero di essere tenuta in buona considerazione da lei, mio re. Ma come mai il signore questa sera ha deciso di far visita ad un umile schiava, quale io sono?’’, disse Ilse.

‘’Oh, tu non sei solo un umile schiava. Vedo bene che hai i tratti di una nobile, poi hai un portamento perfetto. Sono venuto qui di nascosto, l’intera corte pensa che io mi sia ritirato per riposare. Invece eccomi qui, solo per te’’, disse il re. Poi non fece altri preamboli.’’Ilse, io ti amo. Non ho mai visto una ragazza più bella di te, ed ho viaggiato per quasi tutto il mondo conosciuto. Ti amo e basta. Raccontami un po’ di te, e della tua vita’’.

 Ilse si risedette, e incominciò dall’inizio. la sua famiglia e la sua brutta fine, poi la povertà, la ricerca di un lavoro, il periodo di servitù.. e poi il suo destino da schiava. Erano passate molte ore, e il re l’aveva ascoltata interessato, senza mai interromperla, e lei gli aveva sussurrato la sua storia molto piano, in modo che nessuna guardia potesse sentirla.

Aveva concluso il suo racconto.

Allora Fermei iniziò il suo, e raccontò della sua vita difficile al dì la del deserto. Quando concluse, era notte fonda. I due erano vicinissimi, illuminati da una candela. Ci fu qualche attimo di imbarazzato silenzio, interrotto poi dal re.

‘’Io ti amo veramente, Ilse. Ora che poi so la tua storia, e che sei di origine nobile, mi son reso conto che potrei addirittura sposarti. Sì, una volta che avrò conquistato Fortwar ti sposerò, e sarai l’imperatrice. Ti piace come idea?’’, chiese il re, sorridendo.

‘’Certo, signore’’, disse Ilse.

‘’Ti prego, non chiamarmi più signore in privato; ora qui per te sono solo Fermei, e dammi del tu’’, disse il re.

 Poi successe l’imprevedibile. Fermei prese una mano di Ilse tra le sue, in segno di profondo rispetto ed amore, poi la baciò. Fu un lungo bacio pieno di passione. Ben presto fu ben chiaro che il re avrebbe passato le ultime ore di buio lì con lei, e si sentì lusingata. Allungò un braccio, spense la candela e si abbandonò tra le robuste braccia del Gran Re.

 

 

Era notte fonda, ed i nove demoni avevano appena finito di nutrirsi. Quel giorno si erano sfamati a dovere. Si sentivano finalmente sazi, anche se per poco tempo.

 Sapevano per certo che quello stupido re ora si trovava nella tenda della schiava, ne percepivano l’essenza. Era orribile stare alle dipendenze di un umano come quello.

Quello che sarebbe dovuto diventare, entro breve, il più grande imperatore della storia umana, si stava mostrando ai loro occhi come un essere indegno. Tutto il giorno pensava all’amore, a quella schiava, e in fondo non odiava i nemici.

Secondo i demoni, i soldati erano più degni di rispetto del loro re, poiché combattevano e commettevano qualche atrocità, mentre quello stupido amoreggiava solo. Fortunatamente, ben presto i demoni sarebbero stati liberi di agire. Dentro di loro c’era spazio solo per il male e per la sofferenza, e avrebbero voluto eliminare fin da subito quel re, ma per ora serviva ancora. Tra non molto si sarebbero presi la loro rivincita, e questo pensiero li aiutava a sopportare Fermei.

Sì, in fondo quel re era l’ultimo dei loro problemi, era come una bambola di pezza in mano a dei bambini. Ciò che aveva lievemente scosso i demoni era la storia della profezia. Avevano strappato le anime  e le vita dei cittadini di Swaden, per vedere se risultava vera o no, e lo era. A quanto pare, il ragazzo che svolgeva il compito di salvare Fortwar, era scomparso dalla città.

I demoni improvvisamente avevano capito tutto; il ragazzo era andato a cercare l’appoggio delle creature magiche. Ovviamente i demoni non avevano paura di loro, poiché le avevano già sconfitte più volte , ma dovevano ricordare che l’ultima volta che si erano riunite tutte sotto lo scettro del Grande Drago i demoni erano stati sconfitti e rintanati per secoli nella caverna dei monti Akras. Dovevano quindi stare molto attenti.

Ovviamente, i demoni non avevano idea di dove si fossero nascoste le creature magiche. E, naturalmente, potevano succedere imprevisti al ragazzo, che comunque difficilmente sarebbe riuscito a convincere il Grande Drago a intervenire nei conflitti umani. Non dovevano dire assolutamente nulla a Fermei, sennò si sarebbe preoccupato ed avrebbe messo a repentaglio l’invasione, che tra l’altro in quel momento gli interessava solo marginalmente.

 Ma ora basta pensare; la notte era giunta al suo apice, ed era il momento di scatenarsi. Come passatempo, i demoni si divertivano a provocare orribili incubi ai soldati, e se ne compiacevano, poiché i guerrieri si terrorizzavano, e il terrore e la paura erano cose molto gradite a loro. Bene, li aspettava un'altra breve notte per sfogarsi nelle menti dei soldati, giusto per intrattenersi un po’ e passare meglio il tempo. Il loro momento di gloria si avvicinava a grandi passi.

 

 

 

 

 

Il mattino seguente, una figura tutta infagottata uscì di buon ora dalla tenda di Ilse. Le tre sentinelle sussultarono, poi si misero sull’attenti. Quella figura che se ne andava a passi svelti era sicuramente il Gran Re.

I tre si guardarono, e sorrisero.

Ben presto, nell’accampamento, i soldati avrebbero sparlato dietro al loro re per la sua debolezza, e il fatto sarebbe stato sulla bocca di tutti.

 

 

NOTA DELL’AUTORE.

Grazie per la lettura. Vorrei ringraziare pubblicamente Steph808 per aver supportato la mia storia, per aver letto attentamente ogni capitolo, per i suoi preziosi consigli ed anche per le recensioni. Grazie di tutto. Grazie anche a tutti gli altri lettori. Alla prossima.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 7

CAPITOLO 8

 

La notizia della morte dell’imperatore Claudio sconvolse Fortwar.

Il tanto odiato imperatore era deceduto in circostanze misteriose, e ancora la notizia non era ufficiale, ma era trapelata dalla servitù del palazzo imperiale. Se era una notizia vera, tra poco ci sarebbe stato un nuovo imperatore, che senza ombra di dubbio sarebbe stato Iulius.

Era quasi mezzogiorno e Tim non aveva ancora visto il suo amico Sergej. Ma era naturale, pensò, poiché ovunque regnava il caos. Non era neppure riuscito a fare concentrare le sue nuove reclute, che volevano solo sparlare sulla morte dell’imperatore. Tim era riuscito a capire che quasi per certo l’imperatore era stato avvelenato dalla moglie, che era pazza, e successivamente si era tolta la vita anch’essa, per non affrontare un processo.

Tim ora camminava verso il palazzo imperiale, andava a prendere congedo per quella giornata. Infatti le reclute non riuscivano a stare un secondo zitte, e sbagliavano tutto, così Tim aveva concesso un giorno di riposo, grazie al fatto che ultimamente aveva fatto lavorare molto duramente i ragazzi, che sembravano sempre più svelti nei movimenti. Tim era soddisfatto di loro, anche se quel giorno non si erano comportati bene, ma era comprensibile. La morte di un imperatore non era una cosa che accadeva ogni giorno, tanto più se ucciso in circostanze non proprio chiare.

Giunto al palazzo imperiale, entrò salutando le guardie, e nel corridoio scorse una figura familiare. Era Sergej. Si affrettò a raggiungere l’amico, che in quel momento gli stava dando le spalle.

‘’Sergej, anche tu qui!’’, esclamò Tim.

‘’Oh, Tim!’’, disse Sergej, sorpreso di vedere l’amico.’’Amico, pensavo di non vederti oggi! Sai, credevo che le reclute volessero allenarsi e che non fossero inclini al pettegolezzo come i veterani’’, concluse, sorridendo.

‘’Eh no, purtroppo oggi ho dovuto sospendere le esercitazioni. Solo chiacchiere e nient’altro. Comunque li capisco; i miei ragazzi si sono impegnati tantissimo le ultime settimane’’, disse Tim, facendo un cenno impercettibile all’amico.

 Indicò con gli occhi l’uscita. Doveva parlargli.

 Sergej comprese immediatamente, ed attese che l’amico uscisse dal palazzo, per poi seguirlo disinvolto. Col fatto che erano molto apprezzati dai loro allievi e dalle milizie cittadine, i due amici avevano ormai un immenso potere in pugno. Con una sola parola avrebbero potuto far insorgere le milizie al completo, e ciò poteva essere una grave minaccia per l’imperatore, visto che una buona parte dell’esercito imperiale era in procinto di partire verso Palok al seguito del generale John.

Per non destare sospetti, parlavano di argomenti importanti lontani da occhi e orecchie indiscrete, che avrebbero potuto accusarli ingiustamente di tramare qualcosa. Ma i due amici erano fedeli alla parola data all’imperatore e non l’avrebbero tradito. Mai. Comunque era sempre meglio avere precauzioni contro le malelingue, e stare attenti a parlare era molto importante. Sergej raggiunse Tim nella piazza, nel mezzo della folla impegnata a spettegolare e distanti dalla vista delle guardie. Tim, infatti, lo aspettava all’ombra di un alberello marginale alla piazza.

‘’Dimmi Tim. Ti ascolto’’.

‘’Cosa ne pensi dell’accaduto?’’, chiese Tim, senza preamboli.

‘’Non saprei; le cose non sono chiare e Iulius non si fa vedere in circolazione. L’ho visto ieri, poco prima che il fatto accadesse, ed era molto felice’’, azzardò Sergej.

‘’Sì, effettivamente potrebbe essere tutto un piano di Iulius per raggiungere il potere’’, disse Tim, pensieroso.

‘’Non lo escludo’’, concluse l’amico.

I due si guardarono negli occhi. Nonostante che in quel periodo si vedessero poco, solo alla sera, poiché vivevano nella stessa casa, il loro rapporto fraterno era rimasto pressoché inalterato. Ad un tratto, si formò un grande affollamento di fronte all’ingresso del palazzo. Infatti, qualcuno stava parlando pubblicamente dal giardino.

Era Iulius.

 Tim e Sergej si avvicinarono rapidamente, giusto in tempo per sentire le ultime frasi.

‘’… mio padre, quindi, è deceduto in seguito ad una follia di mia madre, che ultimamente aveva gravi problemi di salute. Quindi, in assenza di altri eredi legittimi, mi dichiaro erede unico e imperatore dell’impero’’. Il discorso era stato molto breve, il nuovo imperatore non amava mostrarsi troppo alla folla. All’inizio, tra la folla, che stava aumentando a vista d’occhio, scorreva solo un sommesso mormorio. Poi il popolo insorse.

‘’Inetto che non sei altro! Salva l’impero, non vedi che la situazione è critica? Qui moriremo tutti, non abbiamo neppure un esercito!’’, gridò un uomo dalla folla.

Iulius, che era in procinto di andarsene, si girò ed individuò l’uomo. Iniziava già a fare i capelli bianchi, ed era sicuramente un fomentatore di rivolte.

‘’Guardie, catturate quell’uomo’’, disse Iulius, senza indugi.

Quattro guardie si avviarono verso la folla, che invece di fare largo, caricò all’improvviso. Nascosti tra i popolani c’erano individui armati, che si fecero largo e fecero rapidamente a pezzi le guardie. Il novello imperatore impallidì, ed iniziò a correre verso l’interno del palazzo, mentre dalla piazza era iniziata una fuga generale, alla quale parteciparono anche Tim e Sergej. Con la coda dell’occhio notarono che gli individui armati si stavano avventando contro le sentinelle a guardia dell’ingresso al palazzo. Una volta tornati a casa, i due amici erano molto scossi.

 

 

 

Le ore passarono senza che Tim e Sergej osassero ricordare ciò che era successo a mezzodì. La capitale stava diventando un nido di serpi.

Per svagarsi un po’, decisero di andare in una locanda lì nelle vicinanze a fare una bella cena. Iniziava ad imbrunire, e non avevano ricevuto nessuna notizia dal palazzo imperiale. Ma ora erano affamati e volevano gustarsi in santa pace una bella cena.

Ma quella non era la sera giusta. Entrarono nel locale, si sedettero e ordinarono. Il locale era pieno zeppo di avventori. Di lì a poco vennero serviti. Mentre iniziavano a nutrirsi, nella locanda entrarono tre individui. Tutti osservavano solo loro. Erano vestiti di nero, con una foggia strana, simile agli assalitori di mezzogiorno, e presero a parlare a tutti.

‘’Gente, è ora di sollevarsi! Sono secoli che gli imperatori ci tartassano di tasse e che ci sfruttano senza limite, e non ci danno nulla in cambio! Guardate, le province del nord sono state distrutte e quelle del centro sono indifese! Tra poco toccherà a noi, e moriremo tutti. No, noi non ci stiamo! Armatevi tutti, insieme potremmo mettere sotto assedio il palazzo imperiale, conquistarlo e razziarlo dalle sue immense ricchezze! E allora saremo noi i padroni del nostro destino! Ribelliamoci!’’, gridavano i tipi loschi.

Ben presto, all’interno del locale, l’atmosfera si riscaldò. Le parole degli istigatori furono seguiti da mormorii di consenso. A quanto pare, il popolo stava dalla loro parte.

 Poi, rapidamente, come erano apparsi, essi sparirono, inghiottiti dalla folla che si riversava fuori dal locale. Tim e Sergej decisero di non rischiare di farsi vedere in situazioni ambigue e se ne tornarono a casa. Lungo il breve tragitto che dovevano percorrere, incontrarono molta gente, tutta diretta al palazzo imperiale, ed alcuni erano pure armati di picche e forconi. Evidentemente, gli istigatori si stavano dando da fare in tutta la capitale.

‘’Qui si mette male!’’, disse Sergej.

Tim non poté far altro che annuire, e accelerò il passo per arrivare prima a casa, seguito a ruota dall’amico. Giunti finalmente a casa, i due si sprangarono all’interno, e finalmente si rilassarono. Quando Tim riuscì ad appisolarsi, le urla del popolo in rivolta risuonavano ovunque.

 L’indomani preparava nuove sciagure per Fortwar.

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

CAPITOLO 9

 

Sam e il suo amico Jack parlarono a lungo, sotto le fronde del grande albero.

Jack gli raccontava le storie delle varie creature che abitavano il mondo magico, e Sam ascoltava, attento.

Ora stava molto bene, aveva recuperato le forze, ma non capiva perché doveva usarle, quando poteva starsene disteso lì, in compagnia, per l’eternità. Non che gli interessassero particolarmente i discorsi del saggio folletto, e in effetti era spesso disattento. Era consapevole che sarebbe dovuto tornare nel mondo reale, e che se nel mondo magico di Harlowhy non esisteva il concetto di tempo, nel mondo reale esso scorreva inesorabile.

 La specie umana era in pericolo, lo sapeva, ma non trovava più molti stimoli per lasciare quel luogo tranquillo e tornare in un mondo sconvolto dalla guerra. Intanto, Jack pareva instancabile, e continuava a raccontare.

‘’Sam? Sam? Mi stai ascoltando?’’, disse il folletto, gesticolando di fronte a Sam, che si risvegliò bruscamente dai suoi pensieri e tornò ad ascoltare l’amico.

Stavano bene insieme, anche se erano due creature di razza diversa, scherzavano e si divertivano ugualmente.

‘’Sì, sì’’, gli rispose.

‘’Uhm, allora, dov’ero rimasto … Ah, sì, ti stavo raccontando di quando ebbi quel breve litigio con un grosso drago rosso. Tu devi stare attento se incontri un drago, poiché sono creature permalose, e se rechi loro offesa poi sono guai grossi. Eh eh eh!’’, rise infine Jack, sotto i lunghi peli facciali che formavano una rigogliosa barba.

Anche Sam rise, e notò che altri membri della tribù dei folletti si erano seduti attorno a loro, accompagnati da alcuni unicorni, per ascoltare i racconti del loro capo. Ma, tutto a un tratto, qualcosa interruppe la risata di Sam, smorzando anche quella dei folletti.

Un fruscio.

Poi un altro.

Il lieve rumore sembrava provenire dall’alto.

Sam fu il primo ad alzare lo sguardo. E ciò che vide lo turbò profondamente, ed era uno spettacolo inedito. Sopra le loro teste, gli alberi avevano iniziato ad avere foglie secche, che poi, rapidamente, si staccavano, e cadevano a terra, frusciando. Intanto stava iniziando a tirare una lieve brezza, che col passare del tempo stava aumentando. Sam guardò i folletti; erano tutti a naso in su, increduli. Non si erano mai trovati in quella situazione, da quando vivevano nel mondo di Harlowhy.

 ‘’Che succede?’’, disse Sam, preoccupato.

‘’Non ne ho idea’’, rispose Jack, in modo brusco e allarmato. Il tempo stava tornando reale nel magico mondo di Harlowhy, ora la brezza stava diventando vento.

‘’Al riparo! Tutti!’’, gridò Jack, terrorizzato.

 I folletti fuggirono verso le loro capanne, e velocemente si chiusero dentro. Anche Jack se ne andò di fretta, lasciando Sam solo in mezzo al vento crescente. Il folletto si ricordò dell’umano solo pochi istanti prima di chiudersi nella sua capanna; si girò e gridò allarmato verso Sam, gli gridò di mettersi al riparo nella sua tenda e di non uscire, e forse gridò altre cose che comunque il ragazzo non sentì, a causa del vento. Sam non riusciva a capire tutto l’allarmismo dei folletti; d’altronde, era solo un po’ di vento.

 Ma a breve dovette ricredersi, poiché il vento divenne violentissimo, e gli alberi persero molte foglie, tutto mentre il rigoglioso sottobosco, composto da numerosi arbusti, veniva schiacciato a terra senza pietà. Poi, un rumore assordante squarciò l’aria; era un tuono, riconobbe Sam.

Si alzò da sotto l’albero, che intanto veniva violentemente strapazzato, mentre alcuni tra i rami più alti erano sul punto di rompersi. Quasi non riusciva a stare in piedi, e la forza del vento stava aumentando a dismisura. Intanto, nell’orizzonte si stavano formando nuvoloni neri carichi di pioggia.

Tutto tremante, Sam riuscì a raggiungere la sua capanna, ma per un soffio; mentre richiudeva la porta dietro di sé, notò che nel villaggio volava di tutto, dai rami agli oggetti dei folletti. Il ragazzo si mise comodo a guardare da una finestrella, che guardava verso la foresta.

Gli eventi continuavano a susseguirsi. Tuoni colossali straziavano l’aria, e il vento completava l’opera, distruggendo tutto. La capanna di Sam tremò innumerevoli volte, stava per essere distrutta. Notò che probabilmente le tende dei folletti erano più a rischio della sua, poiché erano state costruite con meno cure e non erano state rinforzate bene.

 Poi, il vento cessò, improvvisamente. Un tuono, meno violento degli altri, risuonò al di sopra della sua testa. Il cielo si riempì di nuvole scure, mentre il buio avvolgeva per la prima volta il mondo magico. Nella quiete, un rumore violento risuonò per tutta la capanna dell’umano. Poi se ne sentì un'altra. E un'altra ancora. Era grandine. Dal cielo cadevano chicchi di grandine grossi come pugni, che si abbatterono sulla foresta e sul villaggio. Tutto ciò durò per ore, incessantemente.

Sam era terrorizzato, non pensava di uscirne vivo. Si acquattò vicino a una parete, si coprì il viso con un fazzoletto e iniziò a piangere. Maledì infinitamente quella volta che aveva accettato di lasciare l’impero, poiché da quel momento su di lui si erano abbattute solo disgrazie. Ormai quello stato di apatia e di pace che lo aveva avvolto per un tempo indefinito era sparito. Scivolò in uno stato d’incoscienza, dovuto al panico che stava sopportando da molto tempo.

 Quando ebbe il coraggio di alzarsi e di guardare al di fuori della finestra, notò che la grandine non cadeva più, ma era sorta una densa e gelida foschia che opprimeva tutto. Non si vedeva quasi nulla dalla finestra. Sam tornò a sedersi, e a mettersi la testa tra le mani. Si tormentò per ore, come se avesse perso la ragione, lì sulla terra battuta che gli faceva da pavimento.

 

 

Molto tempo dopo, si coprì con qualche straccio che trovò in giro, e si accinse ad uscire, per la prima volta dopo molte ore.

 Quando aprì la porta, non poté credere ai propri occhi. Era tutto bianco. Nel mondo di Harlowhy stava nevicando copiosamente, ed al suolo la neve iniziava già a formare ingenti accumuli. La foresta era quasi sparita; si potevano notare solo alcuni tronchi, senza neppure più i rami. A terra, il sottobosco era morto, congelato sotto la neve. Le capanne dei folletti non esistevano più; erano state distrutte, schiacciate al solo insieme ai loro abitanti. Il ragazzo notò che era solo, in mezzo a quel cataclisma.

Ebbe i brividi, e non solo per la paura. La temperatura stava crollando rapidamente di molti gradi al di sotto dello zero. Si recò rapidamente nella zona dove sorgeva la capanna del suo amico Jack. Affondò le mani nella neve, alla ricerca di tracce della capanna. E le trovò, fortunatamente senza troppi sforzi. Iniziò a spingere via la neve, e giunse alle travi del tetto, che era crollato su sé stesso. Quindi, il suo amico Jack, o vivo o morto era lì sotto.

Scavò con rinnovata energia, e spostò le travi e la paglia superstite.

‘’Jack! Jack! Amico mi senti?’’, continuava a ripetere, con la voce rotta dalla disperazione e dal freddo.

 Pensò di morire lì, non aveva più energie. Ma ad un tratto udì una voce flebile.

‘’Sono.. qui… aiuto..’’, stava sussurrando.

Sam riconobbe la voce dell’amico, e riprese a scavare con nuove speranze. Spostando un'altra trave, non molto lunga ma pesante, vide spuntare un po’ di pelo dai detriti. Si buttò a capofitto, scavò come un folle, ed in breve tempo rinvenne l’amico. Era tutto ammaccato, aveva lividi ovunque ma non sembrava ferito. Finalmente Sam poté lasciarsi andare, e si lasciò cadere a terra, distrutto dallo sforzo e dal freddo.

’’Grazie amico! Senza il tuo aiuto, sarei sicuramente morto lì sotto’’, disse il folletto, indicando il mucchietto di macerie da dove era stato tratto in salvo.

’’Jack, che sta succedendo? Mi avevi detto che qui ad Harlowhy non esiste il tempo, né le stagioni e neppure le tempeste’’, chiese Sam, con voce flebile.

’’Non lo so, amico. Puoi star certo che da quando questo magico mondo è stato creato, non è mai successo nulla di simile’’, disse il folletto, affranto.

Sam si passò le mani tra i suoi folti capelli, e si guardò attorno. La neve non accennava a smettere di cadere, e il manto bianco aumentava continuamente il suo spessore. E le temperature erano in caduta libera.

’’Jack, caspita, devi coprirti un po’ o morirai assiderato’’, disse Sam.

‘’Non ti preoccupare; tanto questo sarà frutto solo di un interferenza momentanea … Vedrai, presto il clima si risistemerà e tutto tornerà a posto’’, disse il folletto.

Le sue parole, purtroppo, lasciavano trasparire chiaramente tutta l’insicurezza del caso. Intanto, si iniziavano a sentire deboli lamenti, soffocati dalla neve. Erano gli altri folletti sopravvissuti, che cercavano di salvarsi.

’’Presto Jack, aiutami. Dobbiamo salvare gli altri folletti’’, disse Sam, risoluto.

Ma non aveva fatto i conti col suo corpo, che aveva ripreso sensibilità, gli faceva male, e allo stesso tempo gli faceva capire che non avrebbe potuto sforzarlo troppo. Con un gemito di dolore, Sam riuscì a rimettersi in piedi. Il suo amico folletto, invece, pareva mosso da una forza sconosciuta, e si era già gettato a capofitto nell’operazione di salvataggio.

’’Dai Sam, per favore, dammi una mano..’’, chiese l’amico folletto.

Sam arrancò fino al punto da cui si sentiva provenire i lamenti di un folletto. Una mano robusta e callosa si appoggiò sulla schiena di Sam, che si girò immediatamente. Era un altro folletto del villaggio.

’’Vorrei dare una mano anch’io’’, disse.

’’Ma certo’’, dissero i due amici insieme, e i tre si misero a scavare e a spostare assi.

 Con il passare del tempo, si aggiunsero altri folletti, che erano riusciti a salvarsi, ed anche alcuni unicorni, che cercavano di fare del loro meglio utilizzando i duri zoccoli, mentre i folletti creavano pale improvvisate, sfruttando assi semidistrutte.. Intanto il mondo magico stava sprofondando in una notte profonda. La neve continuava a cadere incessantemente.

Ad un certo punto, fu impossibile continuare i lavori di salvataggio, poiché il buio e la neve ostacolavano la visuale. Fortunatamente, Jack riuscì a dare una contata ai suoi, ed affermò che c’erano tutti. Sam tirò un sospiro di sollievo.

’’E ora che si fa? Non possiamo restare qui fuori o moriremo’’, fece notare un folletto.

‘’ La mia capanna dovrebbe essere ancora in piedi. Lì dentro c’è posto per tutti, e potremmo riuscire ad accendere un fuoco. Seguitemi tutti, e state attenti a non perdervi nella tormenta’’, disse Sam, prendendo, per un attimo, il comando.

Seguendo i suoi ricordi e il suo istinto, Sam riuscì a ritrovare la sua capanna. Fortunatamente, non era crollata, ma la neve ne ostacolava l’ingresso. Con due pale improvvisate, due folletti ne sgombrarono l’ingresso, e finalmente tutti poterono accedere al comodo locale. Come aveva previsto Sam, c’era posto per tutti all’interno, sia per il grosso umano che per i piccoli folletti. Gli unicorni preferirono andarsi a riparare sotto una tettoia nel retro della capanna. Si stava stretti, ma questo non era di certo un male; infatti, i corpi ravvicinati si scaldavano a vicenda. Sam riuscì a trovare due pietre focaie nei suoi indumenti. Se le portava sempre dietro, ovunque andasse.

 A tentoni, riuscì a trovare un pugno di paglia piuttosto asciutta, e qualche pezzo di legno. Iniziò a sbattere le due pietre. Le mani gli facevano male, ma continuò. Poco dopo, ecco la prima scintilla. Non incendiò la paglia. Pazienza. Riprese di nuovo il suo lavoro con le pietre.

Ecco, una seconda scintilla. Non incendiò la paglia. Sconfortato, Sam imprecò rumorosamente, ed alzò lo sguardo, scoprendo che era osservato da tutti i folletti. La calma si rimpossessò di lui, e riprese ad agitare le pietre. Una terza scintilla finalmente prese a bruciare la paglia. C’era riuscito, finalmente. Dopo poco, prese qualche pezzetto di legno e lo mise sopra la debole fiammella, che lo iniziò a divorare rapidamente. Ben presto fu chiaro che serviva legna; Sam non esitò un attimo e iniziò a spezzare le pale dei folletti, che iniziarono a lamentarsi.

’’Che c’è? Se non bruciamo le pale, il fuoco si spegnerà. Volete morire assiderati?’’, chiese Sam.

Le lamentele si placarono subito. Il legno era umido, e ben presto la capanna fu invasa da un leggero fumo, che sfumava i contorni delle cose, mentre il calore emanato dal fuoco dava pace ai sopravvissuti, che si sentirono sollevati. Lentamente, il corpo di Sam fu preso dal torpore, era stanco. Il fuoco gettava luce sui volti dei folletti, e notò che molti dormivano. Il tempo era tornato a scorrere nel mono magico, e i folletti erano tornati esseri viventi. Poi il fumo gli impedì di avere la totale padronanza di quello che lo circondava. Si addormentò anche lui, lasciando il fuoco incustodito.

 

 

Calci e colpi. Sam sentiva solo calci e colpi violenti che si abbattevano sul legno. Sì, li continuava a sentire, ma probabilmente stava solo sognando. O forse no.

Aprì gli occhi. Era disteso nel mezzo della sua capanna, ed effettivamente qualcuno stava bussando con forza alla porta, che probabilmente era stata bloccata da un qualche folletto durante la notte. Poco distante da lui, c’erano i resti del fuoco, cioè alcuni pezzetti di carbone scuro. Doveva essersi spento già da molto tempo.

Eppure non faceva freddo. Eppure c’era la luce.

 Volse lo sguardo verso la finestra. Entrava la luce calda del sole, e non c’era nessuna traccia della neve e del buio di poco prima.

 I folletti continuavano tutti a dormire, così come gli unicorni, che russavano rumorosamente al di là della parete. Un'altra raffica di pugni costrinse Sam ad alzarsi. Si avvicinò quatto alla porta, cercando di non disturbare i folletti. Nonostante tutto, alcuni iniziavano a svegliarsi.

Quando fu davanti alla porta, venne assalito da un dubbio. Aprire o non aprire? Era questo il suo dilemma. Chissà chi era quello che bussava, e cosa voleva. Decise in fretta, prese una delle poche pale superstiti dei folletti ed aprì lentamente la porta. Si trovò davanti Saby.

’’Alla buon ora! Finalmente! E’ da un bel po’ che calcio in questa maledetta porta. Dimmi, umano, volevi farmi spezzare gli zoccoli eh?’’, chiese con arroganza l’unicorno. Era furente.’’Dove sono i folletti e gli unicorni?’’, chiese, senza lasciarlo parlare.

’’i folletti sono qui dentro, al sicuro. Gli unicorni sono sotto la tettoia qui dietro. Riposano tutti’’, disse Sam.

’’E’ meglio che si sveglino. Senti umano, io devo parlare con te e con Jack, urgentemente. Quindi sveglialo e portalo qui da me’’, disse l’unicorno.

 Sam era traumatizzato; non aveva mai visto nessuno così arrabbiato nel mondo magico. Nonostante fosse tornato il sole, le creature risultavano ancora molto cambiate nei loro comportamenti. Erano più ‘umane’ del solito. Jack, che nel frattempo si era svegliato ed aveva sentito tutto, si avvicinò alle spalle di Sam.

’’Non c’è bisogno che tu mi faccia svegliare. Sono qui’’, disse il folletto, tra l’altro in maniera prepotente.

Sam e jack uscirono dalla capanna e richiusero la porta dietro di loro. Qualunque cosa avesse da dire l’unicorno, era un discorso riservato solo a loro due. Saby attese un attimo prima di iniziare a parlare, forse nel tentativo di calmarsi un po’. Sam notò che all’esterno tutto era tornato alla normalità, o quasi; come incanto, gli alberi erano tornati belli, forti e ricoperti di foglie, mentre un fitto sottobosco di arbusti e fragole in fiore inebriava di profumo i due amici. Il cielo era limpido e terso, e solo all’estremo orizzonte era visibile ancora qualche nube. Anche Jack appariva colpito da quel cambiamento repentino.

’’Perché lo hai fatto?’’, chiese infine Saby, pronunciando le parole ben scandite, come se volesse trattenersi.

’’Fatto cosa?’’, chiese Jack.

’’Non fare finta di non sapere’’, continuò ad infierire Saby.’’Solo tu avevi il potere di farlo.’’.

’’Continuo a non capire’’,precisò Jack. Sam si limitò a stare in silenzio.

’’Ora basta! Hai dato la pozione all’umano’’, disse Saby con foga crescente. Jack parve intimidito dall’unicorno.

’’Sì, certo, l’ho fatto, ma solo perché voleva andarsene di qui.. per via dei suoi bisogni. Non ho fatto nulla di male’’, concluse il folletto.

’’Non hai fatto nulla di male eh? Hai quasi distrutto il nostro mondo grazie al tuo errore. Non te ne sei accorto vero?’’, disse l’unicorno, in un misto crescente di disprezzo e rabbia.’’Non lo sapevi che la pozione del mondo magico è stata creata solo per creature magiche, e non per gli umani? Ti avevo dato delle precauzioni ben precise. Eppure tu eri il detentore dell’ultima dose. Ho deciso di fidarmi di te perché tra i vari capi mi sembravi il più saggio. Invece non lo eri, hai fatto del male a noi e all’umano’’.

’’A me? Cosa centro io in tutto questo? A me del male qui non me ne ha fatto nessuno’’, disse ingenuamente Sam.

’’Ah no? Tra poco lo vedrai con i tuoi occhi’’, disse Saby.

Jack era affranto e disperato, i suoi giorni di gloria nel mondo magico erano in pericolo.

’’Sì, purtroppo ricordo le precauzioni che mi avevate detto. Non le ho rispettate, ma ho agito in buona fede. Mi dispiace’’, disse il folletto, che stava per mettersi a piangere.

’’Mi dispiace molto, Jack. Giuro, mi dispiace veramente. Ero molto legato a te. Il tuo grave errore ha messo in pericolo tutte le creature del mondo magico e quasi sicuramente rovinerà la missione dell’umano. Hai sancito la tua fine’’, disse Saby, sta volta con voce amareggiata.’’Tra poco vi mostrerò il risultato dell’errore di Jack, quando i miei assistenti saranno pronti. Il mondo magico è stato sconvolto, e il Grande Drago sta impiegando tutte le sue energie per ripristinarlo, almeno in parte. Quello che è successo lo capirete a breve, come vi ho già detto. Il consiglio delle creature magiche vuole vedervi subito. Per l’umano deve decidere se appoggiare la sua missione o no. Per te, jack, si deve decidere il tuo destino e quello del tuo popolo’’.

‘’No! Punite me ma non il mio popolo. L’errore è stato mio’’, disse il folletto.

’’Mi dispiace, così è deciso. Ora aspetterete qui, sotto la mia sorveglianza, l’arrivo dei miei assistenti, così capirete la causa del trambusto. Poi andremo tutti alla sede del consiglio magico, dove saranno emesse le due sentenze. Così è stato deciso e così sarà’’, concluse Saby, che poi si allontanò di qualche passo, lasciando i due amici nella disperazione.

Jack era disperato, piangeva. Sam si limitò a sedersi a terra e ad attendere di conoscere il motivo che avrebbe creato disagi alla sua missione. Ormai era pronto a sopportare di tutto.

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Vorrei ringraziare, ancora una volta, Steph808, che ha deciso di mettere la mia storia tra le sue preferite. Ho finito le parole per ringraziarti, veramente, grazie infinite per la fiducia che stai riponendo nel mio racconto. E grazie anche per le recensioni, che mi sono risultate utilissime per comprendere dove sbagliavo, se potevo fare meglio, e se invece la mia storia poteva già andare bene così. Grazie, grazie, e grazie ancora.

Vorrei ringraziare anche Amisa, che ha scelto di seguire la mia storia. Grazie, Amisa.

Naturalmente, ringrazio anche tutti gli altri lettori. Ragazzi/e, non siate timidi, se volete esprimere un giudizio, le vostre recensioni sono sempre ben accette. Grazie a tutti.

 

AVVISO PER I LETTORI

Cari lettori, questa è stata una settimana molto produttiva per me. Quindi voglio darvi la notizia che la prossima settimana pubblicherò ben due capitoli, invece che uno solo. Ne pubblicherò uno nella giornata di mercoledì, ed un altro nella giornata di sabato, come di consuetudine. Grazie a tutti.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

CAPITOLO 10

 

I Demoni erano impazienti.

 Non ne potevano più di restare fermi in quella fanghiglia, e neppure le torture mentali notturne che applicavano ai soldati servivano più a farli divertire.

Non facevano altro che pensare a quello stupido re, lo odiavano. A parte il fatto che loro odiavano tutte le creature, e in particolar modo gli umani, poiché erano i più ingenui, quel re non riuscivano proprio a sopportarlo. L’unico sollievo era quello di pensare a come punire quel Fermei. Oh, quante sofferenze gli avrebbero creato prima di ucciderlo. Ecco, grazie a questo pensiero ora si sentivano già più soddisfatti.

 Si alzarono e si incamminarono verso la tenda reale, volevano nutrirsi abbondantemente e riprendere le conquiste. Le province del nord erano diventate invivibili persino per dei Demoni che non temevano neppure le malattie.

Camminando tra le sudice tende dell’accampamento, notarono che i soldati quel giorno li guardavano con particolare disgusto e odio. Naturalmente era pienamente ricambiato. Un soldato li guardò con più cattiveria degli altri, tanto da riuscire a farla percepire chiaramente dai Demoni.

’’Aspetta che si faccia notte, verme, così ti faremo visita’’, bisbigliò la voce d’oltre tomba, stando attenta a non farsi sentire.

Giunsero alla tenda imperiale, ed irruppero dentro, senza badare alle quattro guardie impaurite, che si erano fatte subito da parte, abituate a quel comportamento insolente. Il Gran re era seduto sul suo solito scranno, ed era impegnato in una conversazione con i suoi generali. Si dimostrò infastidito alla vista dei Demoni.

’’Scusate, miei alleati, non vi ho convocato. Ora uscite dalla mia tenda e tornate più tardi’’, disse il re, con tono seccato.

’’Ci dispiace, nostro re, ma noi abbiamo delle richieste urgenti da farvi’’, disse la voce demoniaca.

’’Oh, bene, visto che insistete ne ho alcune anch’io da farvi’’, disse Fermei. Il suo tono confidenziale voleva evidenziare l’insolenza dei Demoni, che sentirono crescere una rabbia primitiva dentro di loro, e cercarono di calmarsi.

’’Noi, nostro re, vorremmo partire alla conquista dei territori della provincia di Palok. Siamo stanchi di attendere’’, dissero al re.

’’No, è ancora presto. Mi servono ancora un paio di settimane per organizzare un buon piano d’invasione. Non posso attaccare allo sbaraglio. Ho mandato alcuni uomini fidati nei territori limitrofi per avere maggiori informazioni sulla presenza di soldati e sulle fortificazioni. Comunque, come stavo precisando ora con i miei generali, mi servono ancora una decina di giorni per avere un buon piano in mente. Quindi non parte nessuno’’, concluse Fermei, risoluto.

 I Demoni si irritarono. Il re sapeva bene come doveva muoversi, ma voleva prendersi del tempo per se, per stare con quella schiava.

’’Scusi l’impertinenza, sire, ma vorremmo sapere dovremo aspettare una decina di giorni a causa delle scarse informazioni sul territorio o a causa di una bellissima schiava bisognosa d’amore e di cure?’’, dissero tutto d’un fiato.

 Nella tenda, i generali indietreggiarono ed abbassarono lo sguardo, imbarazzati. Il re era su tutte le furie. Non poteva lasciar correre una simile offesa come se niente fosse.

’’Non permettevi più di rivolgervi a me in questa maniera. Siete miei alleati, e io vi rispetto e vi fornisco il cibo. Ma voi mi fate solo pressioni, siete insolenti e disturbate i miei soldati’’, disse il Gran re, quasi urlando.

’’Vi preghiamo di scusarci, sire. Non volevamo offenderla’’, dissero i Demoni, soddisfatti per aver svergognato il re di fronte ai suoi generali.

’’Ora vi devo fare io una richiesta importante. Anzi, due’’, disse Fermei.’’Non permettetevi mai più di turbare il riposo dei miei soldati. Il vostro male tenetevelo per voi, anzi fatevene una buona scorta da sfruttare sul nemico. Inoltre, non dovete interessarvi della mia vita personale’’, concluse.

’’Va bene, sire. Ci dispiace, non volevamo creare disguidi all’interno del nostro rapporto d’alleanza. Ora se non le dispiace dovremmo congedarci, ci riteniamo soddisfatti delle vostre risposte. Però potrebbe assegnarci un buon numero di schiavi? Abbiamo fame’’, chiese infine la voce.

’’ Sì, certo, ma non più di dieci. Chissà che soffrendo la fame non diventiate un po’ meno acidi’’, concluse il re, facendo il gesto di congedo.

I Demoni non replicarono, per quella giornata avevano offeso fin troppo. Quando uscirono dalla tenda, erano molto arrabbiati. Il loro profondo odio per quel re era immenso.

Ma almeno quella mattina si erano divertiti un po’ a stuzzicarlo.

 Quando videro gli schiavi, si sentirono ristorati. Era un magro pasto, ma erano certi che tra ben poco avrebbero avuto più cibo a disposizione. Iniziarono a selezionare le vittime, soddisfatti.

Quella notte, nonostante il divieto, sarebbero andati a fare visita alla mente di quel verme di soldato che li aveva fissati con odio. Si sarebbero sicuramente divertiti.

 

 

Fermei era arrabbiatissimo. I Demoni erano appena usciti dalla tenda, e lo avevano svergognato e importunato con un modo di fare inammissibile. Ma gli facevano comodo, non poteva metterseli contro. Sperava che non se la fossero presa troppo per quello che aveva detto, ma doveva salvare la faccia. Non concluse il discorso con i generali; anzi, li congedò velocemente.

Tanto erano solo lamentele.

Tutti si lamentavano che il cibo scarseggiava, l’acqua era sporca, c’era la malaria e altre febbri. Ma lui non poteva farci nulla. In realtà, però, il piano d’invasione l’aveva già formulato da alcuni giorni.

 La verità era che Ilse ultimamente si era ammalata, ed era preferibile non spostarla, quindi aspettava la sua piena guarigione. Aveva paura che morisse, che lo lasciasse solo. Ma non voleva pensare male, la ragazza si era dimostrata forte.

 Nonostante tutto, si sentiva in colpa. I suoi soldati soffrivano immensamente, immersi nel fango e tutti sporchi. Stavano male, proprio come Ilse. Prese una decisione rapida; al più presto avrebbe ripreso la campagna di conquista. Sapeva che un grosso esercito imperiale era già in procinto di partire da Fortwar, e non poteva permettersi di farsi cogliere impreparato.

Si rilassò per un attimo, poiché era arrivato a giungere ad una conclusione. Però il suo pensiero razionale fu subito allontanato dal pensiero della sua giovane amata, sofferente. Quel pensiero gli fece dimenticare la campagna militare e le insolenze dei Demoni.

Era il potere dell’amore.

 

 

Ilse era stata veramente male. Ad un certo punto era arrivata a pensare che sarebbe morta.

 Il giorno successivo alla prima notte d’amore con Fermei, si sentiva tremendamente stanca. All’inizio pensò che la stanchezza fosse dovuta solo al fatto che durante quella notte aveva riposato decisamente troppo poco. Ma nel pomeriggio di quella stessa giornata, si sentì talmente tanto spossata che richiese l’intervento di un medico. Naturalmente, il medico le fu inviato subito.

Al seguito dei Popoli del Gran re c’erano pochi medici, ma tutti molto bravi. Non venivano utilizzati per gli umili soldati, ed erano a disposizione solo delle persone importanti.

Il medico le diagnosticò subito una grave forma d’influenza, e gli lasciò al suo fianco un assistente, che l’aiutasse a bere liquidi amari e che ogni tanto le bagnasse la fronte, per far calare la temperatura. Per due notti e due giorni aveva delirato, era diventata pallidissima e molto debole.

 Ma ora si sentiva decisamente meglio. Si alzò piano dal letto in cui aveva riposato per tre giorni. Ignorando le lamentele che gli porgevano le guardie e l’assistente del medico, Ilse camminò fino alla porta della tenda, e uscì all’esterno. Fece un profondo respiro. Attorno a lei c’era solo fango e schiavi sporchi. L’odore era terribile. Rientrò subito, e notò che tutti la guardavano, sbalorditi.

’’Bèh, che c’è da guardare? Non avete mai visto nessuno guarire?’’, chiese gentilmente, con un lieve sorriso sulle labbra. Era felice, poiché ora stava molto meglio.

’’No, signora, non abbiamo mai visto nessuno guarire da queste febbri. Chi ne è afflitto muore entro due giorni dalla comparsa dei primi sintomi’’, disse l’assistente.

’’Forse non sono assistiti bene come lo sono stata io’’, disse Ilse,’’E non chiamatemi più signora. Chiamatemi semplicemente Ilse. D’altronde, non sono altro che una schiava’’.

Tutti i presenti nella tenda si guardarono l’un l’altro. Fu solo uno sguardo fulmineo. Tutti sapevano che era l’amante del re. Sorrise debolmente.

’’Per favore, portatemi un po’ d’acqua’’, disse.

Ci fu un parapiglia per eseguire l’ordine, e Ilse rise ad alta voce.

’’Vedo che oggi stai meglio, amore’’, disse l’inconfondibile voce di Fermei.

Subito Ilse tornò a girarsi verso la porta. Il re era appena entrato, e la stava guardando. Le stava rivolgendo un magnifico sorriso. Ilse sorrise e corse ad abbracciarlo.

’’Sì, Fermei, sto meglio. Molto meglio. Entro un paio di giorni penso di riuscire a tornare in forze completamente. Così potrò seguire le tue nuove conquiste’’, disse Ilse.

’’Ma certo. Ma non sforzarti troppo. Ti serve qualcosa?’’, chiese il re, preoccupato.

’’No, non mi serve nulla; guarda, ho tutto quello che mi serve. Acqua, cibo, una tenda riscaldata e brave persone che eseguono ogni mia richiesta’’, rispose, indicando le guardie e l’assistente medico che guardavano a terra, imbarazzate.

’’Molto bene allora. Penso di ripartire tra tre giorni. Riprenditi. Questa sera ripasserò a trovarti’’, disse il re, che si voltò ed uscì a grandi passi dalla tenda.

 Ilse lo guardò, mentre se ne andava. Era certa che la fortuna fosse dalla sua parte, ora. Aveva sconfitto una malattia mortale, aveva al suo fianco un uomo ricco e potente che l’amava, e ben presto, se le cose fossero continuate ad andare così bene, sarebbe divenuta un’imperatrice.

Lei, però, nel suo intimo poteva ammettere che non amava il Gran Re. in realtà, lei non riusciva ad amare nessuno. In fondo, si disse, non era tanto diversa da quei Demoni che scorrazzavano liberi per l’accampamento. Era solo un’approfittatrice. L’aveva capito durante il periodo di malattia. Ma ora non voleva pensare più a queste cose.

 Sorrise, tutta felice, e tornò a sdraiarsi nel suo comodo letto.

 

 

Fermei era felice. Ilse stava meglio, e quindi poteva muoversi.

Prese una rapida decisione; se tutto avesse continuato andare bene, entro due giorni avrebbe iniziato ad invadere la grande provincia centrale dell’impero, quella di Palok.

Decise di riconvocare immediatamente i suoi generali. Ben presto ci sarebbero state grandi battaglie.

Si risistemò nella sua tenda, ed attese pazientemente. Si sentiva felice di poter riprendere le conquiste.

Tutto aveva ripreso la giusta piega.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti. Ragazzi/e, volevo informarvi che se vi appare un capitolo in più (ora dovrebbero essere 11 invece che 10), è solo perché ho pubblicato un piccolo prologo, che ho messo al posto del primo capitolo. Non mi piaceva ‘forzare’ il lettore e gettarlo direttamente all’interno del racconto, quindi ho deciso di pubblicare questo prologo per spiegare brevemente l’evoluzione del racconto. Contiene anche alcune piccole anticipazioni anche per voi, che avete seguito la mia storia fino a questo punto. Se volete, potete darci un occhiata anche voi. Non preoccupatevi, ogni vostro dubbio sarà risolto entro un paio di capitoli. A parte l’aggiunta del prologo, la storia è intatta, non ho cambiato nulla. Ringrazio Steph808 per i consigli e le recensioni. Grazie a tutti. A sabato J

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

CAPITOLO 11

 

Il mattino successivo ai tumulti, Tim e Sergej si alzarono di buon ora e fecero una piccola colazione. Purtroppo, Tim non aveva molti generi alimentari in casa, poiché era sempre molto impegnato e difficilmente trovava  il tempo per fare compere al mercato.

Comunque, i due si saziarono, e si prepararono ad uscire per andare al palazzo. un attimo prima di uscire, un portaordini bussò alla loro porta, lasciando un messaggio scritto.

 Tim aprì con foga il sigillo. Il messaggio era stato scritto dall’imperatore in persona, che li invitava ad andare sui bastioni delle mura di Fortwar, i più spaziosi in prossimità della porta principale, per porgere saluto alle truppe del generale John, che si accingeva a partire per Palok. Ovviamente, anche per quel giorno le esercitazioni e gli allenamenti militari erano sospesi.

 I due quindi si incamminarono verso le mura. Ovunque, per le strade imperversava il malumore. Il popolo non gridava più, ma guardava con fare malevolo i due amici, che erano in tenuta militare.

La città riportava i segni di una notte di tumulti. Immondizia, pezzi di legno e forconi spezzati giacevano ovunque.

Attraversarono la piazza centrale, e notarono che di fronte al palazzo c’era ancora un folto gruppo di popolani in rivolta, che tiravano sassi all’interno del giardino e verso il palazzo. Poi, i due amici si apprestarono a raggiungere rapidamente le mura, senza guardarsi troppo intorno, spaventati.

Quando giunsero a destinazione, notarono un grande assembramento di soldati, molti dei quali stavano per partire alla volta di Palok. Tim e Sergej salirono sui bastioni, e ciò che videro non fu positivo. C’erano ancora numerosi tumulti in atto, in tutta la capitale. Il rumore di passi li tolse dai loro tristi pensieri. Si voltarono, e si trovarono di fronte l’imperatore Iulius e il generale John.

‘’Salve, Imperatore!’’, dissero i due amici.

Iulius era immerso in una fitta e seria conversazione con il generale, e notò i due solo perché lo avevano salutato. L’imperatore interruppe bruscamente la conversazione, il suo bel volto era incorniciato da una barbetta mal curata ed aveva uno sguardo molto stanco, senza neppure una traccia del suo solito buonumore.

‘’Buongiorno! Tim e Sergej, era da un bel po’ che volevo vedervi. Vi volevo far conoscere il grande generale dell’impero, che voi sostituirete in città nella sua assenza. Questo è il miglior generale supremo che l’impero abbai mai avuto, il generale John. John, questi sono Tim e Sergej, due ragazzi molto bravi con le armi che ti sostituiranno’’, disse Iulius.

 I due amici strinsero la mano tesa del generale. John era un uomo maturo, i capelli iniziavano a diventare bianchi, ed aveva una folta barba bianca ben curata. Aveva una stazza imponente, e in battaglia doveva essere un uomo in grado di farsi onore.

Nonostante ciò, non convinceva i due amici. Era vestito sontuosamente, e aveva un aria di superiorità, e quando strinse la mano ai due amici fece una faccia strana, come se avesse fatto quel gesto solo per compiacere l’imperatore.

‘’Piacere di conoscervi. Ma, mio signore, non credete che siano troppo giovani? A mio parere sono inadatti per ricoprire un ruolo così importante’’, disse John, seccamente.

 I due amici ebbero un moto di rabbia, che nascosero molto bene. John aveva l’aria di un pallone gonfiato.

‘’Ricorda che è solo un ruolo temporaneo; ovviamente, quando ritornerai, perché son certo che lo farai, ti riprenderai il tuo posto’’, disse Iulius, impaziente di riprendere la conversazione privata con il generale.

’’Bene, tra poco terremo un discorso davanti all’esercito. Voi due e i soldati che resteranno in città assisterete dai bastioni, pronti ad intervenire con frecce se qualcosa va storto. Armate gli uomini e salite, ed ascoltate attentamente. Voglio degli arcieri anche sui camminamenti.  A dopo’’, disse Iulius, troncando così il loro discorso, e riprese a parlare a bassa voce con il generale, dando le spalle ai due amici, che si affrettarono a scendere e a radunare tutti i soldati che sarebbero rimasti in città, per farli salire sui bastioni. Li munirono anche di arco e frecce, per precauzione, come era stato loro ordinato.

Era ovvio, comunque, che Iulius era cambiato molto negli ultimi giorni. Ed ora sapevano che erano solo marionette dell’imperatore, e che per lui non contavano niente, servivano solo per impartire qualche allenamento alle truppe cittadine e basta. Chissà che fine avrebbero fatto, se John avesse compiuto un miracolo sconfiggendo il nemico, e se fosse tornato vincitore nella capitale.

 Di certo potevano scordarsi il loro nuovo lavoro.

 Accumunati da pensieri tristi, i due amici si sistemarono con i loro soldati sugli spaziosi bastioni di Fortwar, che erano ampi proprio in corrispondenza della porta principale, dove le truppe in partenza si stavano chiudendo nei ranghi di marcia.

Dopo circa un ora di trepidante attesa, il generale John prese posto di fianco alle sue truppe e l’imperatore comparve, circondato da una folta scorta di guardie del corpo. Intanto, la gente stava fluendo tutta verso di loro, per udire il discorso dell’imperatore.

L’imperatore si fece avanti, e si mise per un momento in mostra, pensando di essere al sicuro.

Aveva tutti gli occhi puntati su di lui, e tra pochi secondi avrebbe iniziato il suo discorso di saluto alle truppe in partenza. Ma il suo discorso non lo iniziò mai.

Inizialmente il popolo iniziò a mormorare, poi iniziarono grida di scherno verso i soldati in partenza. Infatti, i soldati diretti a Palok erano tutti stranieri, col fatto che nessuno di loro era nato nella provincia di Fortwar, ma erano stati costretti a venire lì dalle province del nord e del centro dell’impero.

 Poi accadde l’imprevedibile; un cittadino prese un grosso sasso, e lo scagliò verso l’imperatore, con una mira eccellente.

L’imperatore cadde.

 Il suo volto grondava di sangue, e le sue grida di dolore giungevano ovunque. Il popolo, invece di ritirarsi, parve rinforzato ed iniziarono a comparire forconi e armi varie. Il generale John fu subito a fianco dell’imperatore, che se ne stava in uno stato di incoscienza, ma quando lo vide riuscì a pronunciare una frase, un ordine.

’’Bisogna allontanarli da qui, o mi ammazzeranno. Dì ai tuoi soldati di caricare e disperdere la folla, dandogli una bella lezione. Arcieri, tirate!’’, gridò con una potenza inaudita l’imperatore, prima di svenire definitivamente.

Tim e Sergej non poterono far altro che ordinare ai loro ragazzi di scagliare frecce sulla folla. I soldati sui bastioni attesero un istante, titubanti. Sapevano che tra la folla poteva esserci anche un loro parente o amico. Ma gli ordini erano ordini, e andavano rispettati.

Partirono le prime frecce, che parvero flebili e che mancarono i bersagli. Le milizie cittadine stavano dalla parte dei civili.

Ma la situazione degenerò; John diede ordine di vendicarsi e di caricare la folla con violenza. I soldati, che fino ad un attimo prima dovevano andarsene, sguainarono spade e mazze e si avventarono sui civili, di cui gran parte non era neppure armata.

La folla si disperse in un batter d’occhio, ma i soldati inseguirono i civili per le strade, attaccando le case e distruggendo tutto. Intanto, l’imperatore svenuto veniva caricato su un carro ben protetto da un grosso contingente di guardie, per essere riportato al palazzo. ben presto, di fronte alla grande porta principale c’erano rimasti solo alcuni capannelli di soldati che assaltavano alcuni civili indifesi.

Tim si girò a controllare i suoi uomini, e poi notò che il ragazzo vicino a lui scagliò una freccia. Una freccia che colpì in pieno un altro soldato al di sotto dei bastioni.

‘’Sei impazzito?’’, chiese Tim, gettandogli via l’arco.

‘’No signore; quei soldati stanno uccidendo della povera gente innocente. L’ordine era di disperdere la folla, e non di massacrare i civili per le strade e assaltare le abitazioni. Sono dei tiranni, il generale produrrà danni irreparabili alla città’’, disse il ragazzo.

Tim non poté far altro che annuire. Il ragazzo aveva ragione, John  stava soltanto istigando le sue milizie contro il popolo solo per sfogarsi e divertirsi, ora che l’imperatore era in stato d’incoscienza.

Tim e Sergej non poterono far altro che costringere i loro soldati a lasciare gli archi, e non li fecero scendere dai bastioni. Erano impotenti, i soldati del generale erano forti e maggiori in numero, e poi non si poteva incorrere nelle ire dell’imperatore, se si attaccavano truppe amiche. Rapidamente si fece sera, mentre da ogni parte della città si alzavano le fiamme delle case incendiate. Fortwar si stava distruggendo da sola.

I soldati della milizia cittadina sbraitavano e si agitavano. Riconobbero di essere inferiori ai soldati di John,  e piansero in silenzio, pregando solo che le loro famiglie fossero al sicuro.

Infine, con l’arrivo delle tenebre, il grande esercito del generale si radunò di fronte alla porta principale, si decise a lasciare la capitale, e partì alla volta di Palok, a marce forzate per recuperare il tempo perduto. Il giorno successivo, Tim e Sergej avrebbero dovuto fare la conta dei danni.

 

 

 

Il mattino seguente, Tim e Sergej ispezionarono la città. Cadaveri insepolti giacevano ovunque, e case e negozi erano stati incendiati e razziati.

Fortwar giaceva in una condizione pietosa; non c’era tempo per fare nuove conte dei danni, bisognava ricostruire fin da subito, grazie all’aiuto delle milizie cittadine.

Il popolo era terrorizzato, e per le strade non c’era nessuno.

Intanto, l’imperatore Iulius stava male ed era in fin di vita, mentre l’impero di Fortwar restava così senza un capo, e con una capitale semidistrutta.

Ci sarebbe stato molto lavoro da fare, per i due amici e per i loro soldati.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 Grazie a tutti per la lettura. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Naturalmente, se volete potete lasciare una recensione. Mi farebbe molto piacere leggere le vostre opinioni.

Ringrazio Steph808, questo è il tanto atteso capitolo sulla rivolta J te lo dedico. Grazie per aver seguito attentamente la mia storia, e per i consigli. Spero ti sia piaciuto J .

Ringrazio anche Amisa, che sta continuando a seguire la mia storia. Grazie J

Ragazze, avrei un quesito da porvi. Preferite che pubblichi due capitoli a settimana(nelle giornate di mercoledì e sabato), oppure uno solo(nella giornata di sabato)? Premetto che posso permettermi di pubblicare due capitoli anche per le prossime due settimane. Spero mi rispondiate J

Alla prossima :)

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

CAPITOLO 12

 

Sam e Jack restarono ad aspettare per un po’, lì sotto le fronde di un grande albero.

Harlowhy sembrava essere tornato il mondo di sempre, nonostante alcune nuvole nere continuassero ad offuscare l’orizzonte.

 Lo sguardo di Saby, che nel frattempo li stava controllando, era severo e duro. A poca distanza da loro, i folletti e gli unicorni se ne stavano a discutere su ciò che era accaduto al loro mondo. Apparentemente, nessuno aveva una spiegazione, a parte l’unicorno.

Sam non ne poteva più di aspettare. Voleva sapere cosa gli stava venendo nascosto.

Jack era ancora seduto a terra, e a tratti si copriva il volto con il suo bel cappello rosso, che ormai era tutto logoro, a causa degli eventi atmosferici a cui era stato sottoposto. Eppure, nonostante continuasse a piangere disperatamente, non aveva l’espressione di chi non ne sapeva nulla.

 E Sam voleva delle risposte subito. Così decise di farsi coraggio e di porre domande al folletto. Si sedette a terra ed iniziò a parlare a bassa voce.

‘’Jack, tu sai in cosa consiste questo rischio per me, vero?’’, chiese.

’’Temo di sì, ma non ne sono sicuro’’, disse il folletto, sempre a voce bassa. Mentiva. Saby li fissava ma non fece nulla per farli smettere di parlare, non gliene importava nulla. Sam decise di approfondire.

’’Jack, per favore, dimmi quello che sai! Non ne posso più di aspettare’’, disse Sam.

’’Tra poco lo scoprirai; non affrettare le cose, e non avere troppa fretta. Vedi, se è successo quello che temo, purtroppo, non è nulla di positivo’’, concluse il folletto, che smise di asciugarsi le lacrime e si calmò.

Sam non era soddisfatto, ma i suoi pensieri furono interrotti da alcuni rumori di passi provenienti dalla foresta.

Sam si girò indietro, giusto in tempo per veder spuntare una creatura bassa e grassoccia dalla foresta. La creatura si muoveva spedita, era simile ad un umano ed aveva una lunga barba rossiccia. Era indubbiamente un nano.

Questi, quando vide Sam, si fermò un attimo, impietrito. Poi sul suo volto apparve un espressione tranquilla e si diresse verso Saby.

’’Saby, è qui dietro a me. A un tuo cenno, spunteranno i miei aiutanti con il prigioniero. Ora è sedato, scusa per il ritardo ma il Grande Drago ha impiegato molto tempo per farlo cadere in un sonno magico’’.

 ‘’Allora avete visto il Grande Drago eh? Come sta?’’, chiese Saby, stupita.

Il nano sospirò, e fissò ancora una volta l’incredulo Sam, che non capiva il perché di tutti quegli sguardi. I folletti, a loro volta, ascoltavano nascosti dietro i cespugli.

’’E’ molto, ma molto arrabbiato. Fino a poco fa era furioso. Sta spendendo un sacco di energie per ricostruire Harlowhy, e gli è toccato pure sedare una creatura impazzita‘’, continuò il nano.

Jack trasalì, consapevole che di lì a poco la rabbia del Grande Drago si sarebbe riversata su di lui, mentre Saby restò indifferente.

’’Bene, nano, mostra al nostro amico umano con chi dovrà convivere d’ora in poi’’, disse l’unicorno.

Il nano batté le mani.

 Dalla foresta uscirono altri quattro nani, forti e robusti e dalle barbe lunghe. Trasportavano una barella, sulla quale c’era qualcosa disteso.

Sam si alzò e cercò di vedere bene, ma la figura era coperta da un telo bianco ed era incatenata, comunque pareva avere una forma umana. I nani lasciarono a terra la sagoma, e si scostarono di poco.

 ‘’Dai, Sam, avvicinati e sposta il telo bianco’’, disse Saby. Sam si avvicinò, quatto. Prese il telo, si fece forza, e lo spostò, scoprendo la figura. Il ragazzo rimase sconvolto.

Quello che aveva di fronte era un umano addormentato. Ma non era un umano qualsiasi.

 Di fronte a lui, nel terreno, c’era una pozzanghera, che rifletteva la scena. Sam la fissò per un attimo, e comprese che non c’era alcuna differenza tra lui e l’addormentato. L’umano che dormiva era lui stesso.

‘’Che significa?’’, chiese all’unicorno.

 ‘’Come avrai notato, tu e lui siete identici’’, disse Saby, facendo poi una pausa.

 ‘’Questo l’avevo capito anch’io’’, disse Sam, impaziente.

‘’Questa somiglianza non è frutto del caso. Tu e lui avete convissuto fino ad ora nello stesso corpo. Come saprai, voi umani avete due parti contrastanti dentro di voi. Una buona e l’altra cattiva. La pozione magica che hai bevuto qui ad Harlowhy non era adatta per gli umani, ma solo per le creature magiche, che non hanno questa distinzione. Dal momento che l’hai bevuta, ti sei involontariamente diviso. Ultimamente ti è capitato di sentirti diverso?’’, chiese Saby al ragazzo.

 ‘’Sì, a volte mi sento come se avessi perso qualcosa di me, e non riesco a vedere il lato cattivo delle cose. A volte resto apatico, per dirla breve’’, rispose Sam.

‘’Ecco. Ti dovrai abituare. Questa sarà la tua vita, d’ora in poi. Ora arriverò al punto. Tutto il caos dei giorni passati, ed il ritorno del tempo ad Harlowhy, è stato dovuto al fatto che questa tua parte umana,’’, ed indicò il Sam dormiente, ‘’stava letteralmente distruggendo il nostro mondo. Strappava i cespugli, rompeva i rami degli alberi, non portava rispetto alle creature magiche. Così, l’equilibrio magico si è interrotto. Ci è voluto un po’ prima che il Grande drago riuscisse ad addormentare questo essere malvagio e riuscisse a ripristinare, almeno in parte, il mondo magico’’, concluse l’unicorno.

‘’E.. che rischi ci sono per me e per la mia missione?’’, azzardò Sam, mentre Jack continuava a tenersi il volto tra le mani, senza proferir parola.

‘’Lui, una volta svegliato, ti ostacolerà in tutto. Devi tenere presente che in lui non c’è una parte buona, quindi non fidarti mai di lui. Comunque, fintanto che resterai qui nel mondo del Grande drago, non correrai pericoli. Lui continuerà a dormire’’, rispose l’unicorno.

 ‘’E non c’è un modo per fare tornare tutto com’era prima della pozione?’’, chiese il ragazzo, speranzoso. L’unicorno increspò le sue labbra, prima di rispondere alla domanda dell’umano.

 ‘’No, non esiste un rimedio. Il percorso è definitivo. Dovrai conviverci per sempre. Ricorda, comunque, che se uno di voi due morirà, morirà anche l’altro. Siete divisi ma legati da un legame inscindibile’’.

Sam guardò la sua copia. Stava dormendo beatamente. Per pochi istanti, ci fu solo silenzio attorno a loro. Poi, Saby decise di interromperlo.

‘’Ora, dobbiamo metterci in marcia subito. Il Grande Drago ci attende. Vuole risolvere questa situazione una volta per tutte. Ricordati, umano, di portare rispetto al Drago. Da lui dipende il destino del tuo popolo. Vedrai anche numerose creature magiche, che si riuniranno in consiglio per giudicare te e Jack, in maniera distinta. Ma ora andiamo, non voglio perdere altro tempo’’, disse l’unicorno.

Saby si incamminò di fronte a loro, mentre tre  dei quattro nani si preparavano a trasportare l’addormentato, ed il quarto legò Jack, come se fosse un fuorilegge, e prese a tirarselo dietro.

Sam fissò il suo vecchio amico. Lo vide in miseria, legato come un delinquente. eppure continuava a non capire perché gli avesse somministrato la pozione, se era a conoscenza dei suoi effetti sugli umani. Si avvicinò al folletto, per un istante.

‘’Perché lo hai fatto?’’, chiese, con un filo di voce. Il folletto lo guardò, con gli occhi pieni di lacrime.

‘’Perché non ti sopportavo, Sam. Per te provavo lo stesso antico rancore che portano tutte le creature magiche verso gli umani.’’, disse, riprendendo a piangere.’’Ma Sam, perdonami, ho sbagliato. Tu in realtà eri un bravo umano, un buon amico che mi ha pure salvato la vita. Perdonami, non credevo che la pozione fosse realmente così pericolosa per gli umani. Perdonami’’, concluse il folletto.

‘’Nonostante il fatto che noi, creature magiche, non abbiamo un lato buono e uno cattivo, proviamo ugualmente rancore per un’unica razza; quella umana. E’ universale, tra noi. Ci avete cacciato dalle nostre terre. Questo comunque non giustifica la gravità del gesto commesso da Jack. Tu eri solo un ambasciatore. E’ per questo che dovrà subire una punizione. Il Grande Drago, probabilmente, lo condannerà a morte’’, disse un nano anziano, che aveva origliato la conversazione tra i due ex amici, ed aveva deciso di intervenire.

Sam girò le spalle a Jack e al nano. Non voleva ascoltare altro. Era stato preso in giro. Da tutti. Prima dal suo maestro, che gli aveva affidato quella missione senza che fosse preparato ad ogni evenienza. Poi, da quel folletto, che si era finto suo amico. Ne aveva abbastanza. Ora lo aspettava pure un grande drago arrabbiato.

‘’Sam! Perdonami, Sam! Te ne prego. Mi sono comportato male, non mi importa se morirò, voglio solo che tu mi perdoni’’, disse il folletto, singhiozzando, mentre i nani iniziavano a trascinarselo dietro. Il ragazzo non lo ascoltò neppure.

Sam fu lasciato libero, ma veniva controllato costantemente dall’unicorno.

Non fece più caso al folletto, non badò neppure al popolo di Jack, che si era messo in cammino, poiché non voleva abbandonare il loro capo tribù. Non guardò neppure le creature magiche che erano attorno a lui. E non pensò più al sé stesso che stava dormendo, legato. Pensava solo a camminare, mentre a tratti il terreno diventava insidioso, ed il fango faceva affondare i suoi piedi di parecchi centimetri.

 Tutto questo era troppo da sopportare, per lui.

E il viaggio si preannunciava lungo e difficile.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura.

 Questo era un capitolo un po’ complesso, comunque ho cercato di fare del mio meglio per spiegare bene le varie situazioni.

Spero che  vi sia piaciuto J

Vorrei ringraziare Steph808, grazie di tutto, dalle recensioni ai consigli.

Grazie anche a Lav22, che sta leggendo questa storia e che mi ha già lasciato un suo pensiero.

Voglio ringraziare anche Amisa e Angel Story, che continuano a seguire questo mio racconto. Ragazze, se volete lasciare un pensiero su questa storia, sarò ben lieto di rispondervi. 

Grazie, di nuovo, a tutti. A sabato J

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

CAPITOLO 13

 

Grazie alle marce forzate, l’esercito imperiale giunse a Palok in cinque giorni.

 Il generale John non era per niente pentito di quello che aveva fatto a Fortwar. Ora i suoi soldati erano contenti, perché avevano razziato molti oggetti di valore, e si erano pure esercitati nel combattere.

I soldati avevano viaggiato per quasi tutta la notte, con una sola breve sosta di qualche ora verso mezzanotte, quando era troppo buio per continuare a proseguire.

Quando giunsero in città, furono acclamati come se fossero degli dèi. La gente della città amava i soldati di John, perché provenivano tutti dalla grande provincia di Palok, quindi lì erano a casa loro.

 I soldati erano felici, nonostante la stanchezza, e il generale John concedette un pomeriggio libero, in modo che potessero riposarsi un po’.

Le notizie però non erano delle migliori. Infatti, in concomitanza con l’arrivo dei soldati imperiali, i nemici avevano ripreso a muoversi, e stavano devastando le zone rurali a nord di Palok. John doveva agire subito, per non perdere il controllo della situazione.

 Il generale radunò subito le sue truppe, e decise di andare verso nord, per dare una bella lezione al nemico. Entro pochi giorni avrebbero dato una dimostrazione della loro potenza ai nemici e all’impero.

 

 

Appena le truppe imperiali misero piede a Palok, Atah, uno dei maghi anziani della setta di Huru, iniziò ad avere oscuri presagi.

 La setta di Huru era un istituzione religiosa sviluppatasi nell’antichità a Fortwar, e ben presto era diventata una setta che era stata allontanata e discriminata dall’impero.

Al suo interno si praticava la magia e la preveggenza, ed i suoi adepti potevano giungere ad avere un potere magico inimmaginabile nelle loro mani. Era un culto misterico ed occulto, che aveva terrorizzato gli imperatori, poiché i maghi che ne prendevano possesso erano in grado di compiere grandi cose.

 Huru era il loro dio, che adoravano e pregavano, ed in cambio lui forniva agli adepti molta energia.

 Il loro dio era buono, ed amava gli umani, che erano le sue creature predilette. Non ammetteva l’uso di violenza, ma era molto potente, ed era dotato di immense forze.

Gli adepti erano selezionati in maniera molto rigorosa, solo i ragazzi migliori potevano diventare maghi di Huru.

 Purtroppo, la setta era caduta in disgrazia con l’avvento degli imperatori, ed era totalmente scomparsa dall’impero, tranne a Palok, dove esisteva un’ultima cellula. Aveva poche centinaia di adepti, poiché ormai nessuno desiderava che i propri figli frequentassero i maghi, che erano discriminati da tutti. Quindi, diventare mago era una scelta dura, che comportava grosse privazioni.

C’era anche un tempio aperto a tutti, dove i fedeli potevano lasciare versamenti per il sostentamento dei maghi, però senza poter avere contatti con essi.

 Atah ormai era vecchio, ed era abituato a quella triste vita, che non aveva alcun aspetto sociale al di fuori della setta, ma che forniva la magia, altrimenti preclusa agli umani.

Ringraziava continuamente Huru, la sua unica divinità, che gli aveva conferito molti poteri e molta saggezza.

 La setta era governata dai maghi più anziani, che erano una dozzina. A loro veniva dato il potere decisionale, e solo loro potevano scegliere come spendere le ricchezze del dio, ricevute tramite donazioni di fedeli al tempio. E loro avevano il potere di decidere le sorti dei maghi più giovani e degli apprendisti.

Naturalmente, Atah era uno di loro. Ma non andava d’accordo con gli altri.

A causa del declino del culto, all’interno della setta si erano creati contrasti, che sfociavano in corruzione e investimenti di somme rubate dal tempio per motivi personali.

 I vecchi chiudevano gli occhi, e permettevano ai loro maghi preferiti di fare quello che gli pareva.

Di conseguenza i giovani non rispettavano più gli anziani, erano smoderati, rubavano dal tempio il denaro per soddisfare i loro bisogni, poiché molti avevano preso l’abitudine di uscire di notte per divertirsi.

Nessuno rispettava più i gradi dell’insegnamento magico, e la maggior parte faceva di testa propria. Non c’erano più regole, al tempio. Atah, ovviamente, odiava tutto questo, e voleva punire i maghi corrotti e ladri, ma aveva le mani legate dagli altri anziani, che cercavano di sostenere coloro che non rispettavano le regole, forse perché anche a loro veniva qualcosa in tasca.

 Fortunatamente, Atah stava addestrando due giovani maghi, che erano differenti dagli altri.

Smith e Lee, i suoi apprendisti stregoni, nonché futuri maghi, erano molto rispettosi e intelligenti.

Ben presto li avrebbe proclamati maghi a tutti gli effetti. Avevano una mente al di fuori del comune, e padroneggiavano la magia come nessun altro prima di allora. Non avevano mai violato una legge del tempio.

Ben presto, la benevolenza di Huru era stata solo per loro e per Atah, e questo incolleriva gli altri anziani. Smith era bravissimo nella magia, mentre Lee era in grado di prevedere il futuro. Cose non da tutti, considerando che erano appena dei ragazzi.

Atah non ne conosceva l’età, poiché li aveva trovati abbandonati davanti a tempio quando erano bambini piccoli. I loro genitori li avevano abbandonati, o forse erano morti a causa di malattie, lasciandoli soli al mondo, e senza nulla, e i parenti avevano provveduto a portarli al tempio, dove il cibo non mancava mai.

 Il vecchio non si era fatto scrupoli ad adottarli e a crescerli, e loro avevano scelto di diventare maghi. Huru non li aveva mai abbandonati, e aveva dato a loro dei poteri straordinari.

 Lee era un bel ragazzo, di statura media e introverso, mentre Smith era più alto, era estroverso e ironico. Ebbene, quella notte Huru era apparso in sogno ad Atah, dandogli oscuri presagi, e chiedendogli di parlare con i suoi apprendisti, e di credere ad ogni cosa che gli fosse stata detta.

 Il vecchio si stava dirigendo proprio dai due apprendisti. Smith stava ancora dormendo, mentre Lee era sveglio, ed era seduto al margine del suo letto.  Il ragazzo si teneva stretta la testa tra le mani. Singhiozzava. Non si accorse di essere osservato dal maestro.

Subito, Atah si avvicinò al ragazzo, e gli posò una mano sulla spalla destra. Il ragazzo ritornò in sé e sollevò lo sguardo per guardare il vecchio.

Quando vide il suo viso, il vecchio rimase molto scosso.

Il volto di Lee, che di solito era rilassato e tranquillo, ora era deformato dalla disperazione. Aveva gli occhi arrossati, aveva pianto molto. Atah si ritrasse.

‘’Lee, cosa ti è successo?’’, chiese il vecchio, spaventato. Huru non gli aveva mentito. Si era rivelato a Lee.

 ‘’Ho visto tutto, maestro.’’, disse il giovane, senza esitazione. Con la coda dell’occhio, il maestro notò che Smith si era svegliato e li stava osservando, incuriosito.

‘’Visto cosa?’’, continuò il maestro.

 ‘’Il futuro’’.

‘’Ah’’, disse Smith, intromettendosi.

 ‘’Basta, Smith! Questa volta l’ho visto, l’ho visto veramente…’’, continuò a dire Lee, singhiozzando. Fece una breve pausa.

‘’Lei mi crede, maestro?’’, concluse.

 ‘’Ma certo che ti credo’’, disse il maestro, fulminando il sarcastico Smith con uno sguardo gelido. ‘’Vorresti condividere con noi ciò che hai visto?’’, chiese nuovamente il vecchio. Lee lo guardò, i suoi occhi trasmettevano tutto il suo terrore.

‘’Ho visto il male che vinceva, il male che entrava in città’’, disse vagamente Lee.

‘’Per favore, potresti essere più preciso?’’, chiese Smith, questa volta con cortesia.

‘’Ho visto un uomo, che ci tradiva. Non tradiva solo noi, ma l’impero intero. Un esercito nemico poi entrava a Palok, commettendo ogni brutalità. Il nostro tempio era distrutto e i maghi tutti morti, uccisi dai Demoni. La città era già stata incendiata dai suoi stessi abitanti. Moriremo presto’’, concluse Lee. Atah e Smith si guardarono reciprocamente, sorpresi. Nessuno dei due volle aggiungere qualcosa.

 Dopo un po’, Lee li fissò di nuovo.

‘’Ma voi non mi credete’’, disse, amaro.

 ‘’No, invece noi ti crediamo’’, disse il maestro.

 ‘’Ma se ciò che ha visto Lee succederà veramente, noi tra poco moriremo’’, osservò Smith. Il maestro ebbe un idea, che d’altronde gli frullava in testa già da un po’.

‘’No, noi non moriremo. Noi lasceremo la città, questa sera stessa’’, disse il vecchio maestro, con decisione.

I due ragazzi lo fissarono, stupiti.

 

 

Atah non perse altro tempo, e chiese di convocare con urgenza un consiglio degli anziani.

Gli altri vecchi maghi erano abituati alle sue stravaganze, quindi decisero di acconsentire e di riunirsi per discutere. Una volta che furono presenti tutti, gli sguardi caddero sul vecchio Atah.

 Il vecchio mago poteva sentire su di sé tutta l’ostilità del consiglio. Era ovvio ormai che lo odiassero tutti. Si era opposto ad ogni violazione delle leggi divine, e aveva sempre cercato di dare punizioni ai colpevoli, che poi non venivano assegnate poiché il suo giudizio era contro quello di tutti gli altri anziani.

 I dodici lo fissavano, fintanto che Shasha, il mago più anziano, nonché l’unico in grado di esprimere il verdetto finale, prese la parola.

‘’Allora, oggi l’onorevole mago anziano Atah, ha deciso di esporci con urgenza una sua personale richiesta. Ora, può esprimerla’’, disse Shasha, prendendo le redini del consiglio. Erano tutti seccati, si aspettavano altre richieste di punizioni severe per chi violava le regole del tempio, ormai ampiamente in disuso.

 ‘’Ho richiesto il consiglio d’urgenza, poiché ho deciso di lasciare il tempio. Ovviamente, con me verranno i miei due apprendisti’’, disse Atah, tutto d’un fiato. Tutti gli anziani del consiglio lo guardarono stupefatti. Qualcuno rise, ma Atah, dal tanto che era teso, non lo individuò.

 ‘’Che significa ‘ho deciso di lasciare il tempio’? Atah, ci hai sempre riempito di proteste, sul fatto che non bisogna violare le regole del tempio, e tu ora vorresti violare la più importante. Naturalmente, tu, in qualità di mago anziano, conoscerai la regola base del tempio. Ma comunque te la voglio ricordare in ogni caso; non si può abbandonare il tempio’’, disse Shasha, nell’ilarità comune.

Tutti gli altri membri del consiglio fissavano il vecchio mago, divertiti. Quella, forse, sarebbe stata la loro occasione per mettere il vecchio in imbarazzo.

 ‘’Da qui, non se ne andrà nessuno!’’, disse qualcuno ad alta voce, mimando Atah nei gesti.

 Tutti lo deridevano. Atah rimase per un istante in silenzio, prima di rispondere. Li lasciò ridere, e in quel momento capì che non avrebbe mai potuto continuare a vivere in quel posto misero e corrotto, al punto da diventare stupido e vergognoso. Quando ritenne che lo avessero deriso a sufficienza, riprese la parola, pronto a ferirli.

‘’Miei cari colleghi, maghi anziani, mi meraviglio di voi. Vivete tra le mura del tempio da molteplici decenni ormai, e non avete neppure letto e tradotto alla perfezione la prima regola di Huru. Come sempre, vi siete fermati alla prima riga, all’esteriorità di una legge, senza sforzarvi di tradurla e di comprenderla. Se, invece di rendere corrotti i vostri apprendisti, aveste letto insieme a loro le regole del tempio, ora non fareste brutte figure. La prima regola del tempio dice che non si dovrà mai abbandonare il tempio a cui si è affiliati, tranne nel caso che un anziano si senta pronto per uscire e fondare un nuovo tempio di Huru, per far accrescere i fedeli. Quindi, è mio diritto chiedervi di lasciarmi andare, poiché mi sento pronto per iniziare una mia missione nell’impero’’, concluse Atah.

L’ilarità degli spettatori si tramutò in rabbia. Li aveva umiliati tutti, affermando che non avevano neppure fatto caso alle righe che seguivano la prima legge.

Colpiti nel profondo, e sentendosi imbarazzati, nessuno, a fine discorso, si azzardò a dire qualcosa. Erano appena stati svergognati.

 ‘’Basta così, Atah, accettiamo la tua richiesta. L’importante è che entro domani mattina a Palok non ci sia più traccia né di te né dei tuoi due apprendisti. Andatevene pure, ma sappiate che al di fuori di questo tempio, i maghi sono discriminati e odiati. Non vivrete neppure un giorno. Ma ora vai, ed inizia a preparare le tue cose’’, disse infine Shasha, prendendo la parola con rabbia, senza consultare nessuno.

Il suo giudizio fu condiviso, in silenzio, da tutti.

Poi si alzò, diede le spalle ad Atah, ed uscì dalla camera del consiglio, seguito a ruota da tutti gli altri maghi.

Atah aveva vinto.

 

 

Quella sera, mentre le tenebre si preparavano ad avvolgere Palok, tre figure incappucciate abbandonarono la città.

 Erano il vecchio Atah e i suoi due apprendisti.

Si sarebbero diretti a sud, a Vargan, una piccola città a poca distanza dal confine con la provincia di Fortwar.

Da lì, i tre, guidati dal loro dio Huru, avrebbero iniziato la loro missione, cioè di contrastare, con la magia, l’avanzata nemica verso la capitale, nel caso ce ne fosse stato bisogno.

Huru odiava la guerra e l’impero, ma non poteva permettere alle forze del male e dei Demoni di vincere.

 In gioco non c’era più solo l’impero, ma anche il destino di tutti gli umani.

 E Huru doveva intervenire, usando anche la violenza, se necessario.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ed ecco i nostri maghi, pronti a combattere contro gli invasori e i Demoni! J

Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo. Vi informo che ormai abbiamo fatto la conoscenza di tutti i personaggi principali del racconto, quindi ora penserò solo a sviluppare la storia. E anche a fare interagire i  diversi schieramenti.

Mi scuso per i nomi, so che non sono il massimo, ma ho cercato di fare del mio meglio per trovarne di originali.

Grazie a tutti per la lettura! Spero vogliate lasciarmi qualche vostro pensiero su questa storia.

A mercoledì J

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

CAPITOLO 14

 

I calcoli del generale John non erano sbagliati.

Già dopo pochi giorni di marcia, avevano intravisto gli esploratori nemici. Erano quattro, e li osservavano a dovuta distanza. Li aveva fatti inseguire, ma erano stati rapidissimi a dileguarsi nei boschi circostanti.

Ora il nemico sapeva che un esercito gli stava marciando contro. E sapeva anche dove si trovava e quale percorso aveva scelto. E questo era un male.

 Il nemico poteva scegliere di tendere imboscate, oppure poteva dare battaglia in un luogo scelto da lui, e magari sfavorevole alle truppe imperiali. L’unica fortuna era che quella zona era scarsamente abitata, quindi non sarebbero stati colpiti i civili.

 Il generale faceva marciare i soldati sempre armati, in modo che fossero pronti ad affrontare un’imboscata. Ora che i Popoli Sconosciuti avevano individuato il nemico, avrebbero deciso tutto loro.

I soldati imperiali erano tesi. Sapeva che era questione di ore, ormai, prima di intravedere i nemici.

 

 

 Anche quella mattinata passò tranquilla. I soldati si erano rilassati, e chiacchieravano animatamente, mentre pranzavano.

Il sole era tenue quel giorno, non faceva particolarmente caldo. D’altronde stavano andando verso il nord, dove era in corso la stagione delle piogge.

 Chissà quanto erano stati male i nemici, impantanati nel fango della provincia di Arus, si chiese il generale John, che se ne stava seduto all’ombra. Era tranquillo, ormai anche quel giorno si sarebbe concluso.

Aveva un leggero prurito al  fondoschiena. Si girò lentamente, e scoprì che si era seduto proprio sopra ad una pianta di ortica. Il prurito divenne velocemente fastidioso. Imprecò come non aveva mai fatto prima, e balzò in piedi, allontanandosi di un passo.

Appena un secondo dopo, sentì una cosa sfiorargli l’orecchio.

Mentre si girava per vedere, sentì un forte dolore alla testa. Era ferito sopra un orecchio, per fortuna di striscio, e poco distante da lui, proprio sopra alla pianta di ortica, una freccia si era conficcata nel terreno.

Era un agguato. Si mise a gridare per richiamare l’attenzione, e i suoi soldati si misero all’erta, appena in tempo poiché iniziarono a cadere altre frecce, che mancarono, fortunatamente, i bersagli.

 Il generale si nascose dietro un albero. Il nemico lo prendeva di mira, visto che lo aveva riconosciuto dal colore della divisa, e dal drappo rosso che portava stretto attorno all’avambraccio, simbolo del suo potere sull’esercito.

In pochi istanti, l’esercito fu pronto. E le frecce smisero di cadere.

Poi, videro il nemico. Una decina di soldati a cavallo li stavano osservando, allo scoperto. Appena si accorsero che erano stati avvistati, sparirono dietro la boscaglia. Intanto, John notò che gli ufficiali stavano facendo preparare la fanteria.

Uscì allo scoperto e chiamò i suoi ufficiali. Ordinò che un piccolo gruppo di soldati fosse mandato in avanscoperta nel boschetto, per vedere se era sicuro o se fosse una trappola.

Diede gli ordini come un automa, era preoccupatissimo. Se non fosse stato per quelle ortiche, lui sarebbe morto sicuramente… un brivido lo percosse.

 Sei ragazzi furono mandati nel boschetto, e fecero ritorno già dopo pochi minuti, facendo rapporto ad un ufficiale, che poi gli andò a riferire tutto.

‘’E’ tutto a posto, generale. I ragazzi hanno detto che non c’è nessun nemico nella boscaglia, e che la possiamo attraversare tranquillamente. Però dopo qualche centinaio di metri c’è una vasta radura. E lì c’è l’esercito nemico che ci aspetta, pronto per darci battaglia’’, riferì l’ufficiale.

 ‘’Spero per i ragazzi che abbiano ispezionato bene, perché se lì cadiamo in un’imboscata, li farò decapitare all’istante. Riferisciglielo’’, disse John.

 L’ufficiale raggiunse i ragazzi e riferì. Loro sbiancarono, ma spergiurarono che non c’era nessun nemico nella boscaglia. L’ufficiale fece segno affermativo. Si poteva andare.

 John fece muovere le truppe. Effettivamente, c’era una strada di terra battuta che attraversava la boscaglia. Per primi mandò avanti i fanti, poi la cavalleria, poi i carri con i viveri e le donne che li custodivano, ed infine, per chiudere la colonna, alcune decine di altri fanti.

La colonna attraversò il boschetto senza incontrare intralci.

Appena percorso il breve tragitto nel bosco, sbucarono in una vasta radura, proprio come era stato riferito dagli esploratori. E lì c’era la sorpresa, già preannunciata dagli esploratori.

Ad una certa distanza, c’era già un esercito schierato, pronto a dar battaglia. Appena la colonna ebbe finito l’attraversata, John organizzò  la fanteria. Avrebbe combattuto con quella. Davanti i più scarsi, dietro i più forti, in modo da dare una buona spinta alla carica contro il nemico.

Gli ufficiali predisposero al meglio l’esercito ben allineato e in formazione perfetta. La prima linea era dotata di spada corta, lancia e scudo, mentre quelli dietro avevano solo una spada e un ascia. A loro non sarebbe servito lo scudo, nella mischia.

Mandò indietro la cavalleria, per accompagnare i viveri e le donne, e per aiutarle a costruire il campo per la notte, e a montare le tende. Quella notte, o avrebbero riposato per alcune ore, o avrebbero riposato in un sonno eterno.

Comunque, diede l’ordine di tornare a metà cavalleria, che si sarebbe dovuta appostare tra la boscaglia, in caso di necessità.

Fece preparare anche un centinaio di arcieri e di lanciatori di giavellotti, per rendere difficoltosa l’avanzata nemica.

Di lì a poco, l’esercito imperiale era pronto e ben disposto, ma l’esercito nemico non accennava ad avanzare. Nella mente di John iniziarono a sorgere dei dubbi.

I suoi soldati iniziavano a spazientirsi, mentre le ore passavano.

Ma John non aveva alcuna intenzione di gettarsi sul nemico, rischiando di cadere in tranelli e imboscate. Se volevano attaccare, lo avrebbero dovuto fare per primi. John avrebbe atteso, con pazienza.

 

 

Si fece tardo pomeriggio, ed ancora non c’erano stati cambiamenti.

Alcuni soldati si erano seduti, e gli ufficiali li facevano rialzare a pedate nel sedere.

Nonostante la sfiancante attesa, la tensione era ancora palpabile.

 L’esercito nemico continuava a mantenere la posizione, ad alcune centinaia di metri di distanza, senza dare alcun segno di voler attaccare.

John pensò che i nemici volessero stancarli e sfiduciarli, e probabilmente per quel giorno non avrebbero combattuto. D’altronde, era quasi sera.

John si prese la testa tra le mani, ed iniziò a pensare. Quei fanti erano veramente pochi, un numero troppo ridotto per essere l’intero, immenso esercito del re degli Sconosciuti.

Probabilmente facevano parte di un dislocamento, che si era distaccato dal grosso dell’esercito per conquistare e razziare più territori. Purtroppo, John non poté ragionare per molto tempo.

 Dopo pochi istanti, un forte grido di battaglia risuonò per tutta la radura.

 Immediatamente, John cercò di individuarne la provenienza. Non erano stati i fanti nemici.

Tutti i soldati imperiali ora erano in piedi, ed in rigoroso silenzio. Si chiusero bene i ranghi. Appena in tempo, poiché dal bosco alle spalle della fanteria nemica iniziarono ad uscire cavalieri.

I nemici non avrebbero attaccato con la fanteria, ma con la cavalleria, ed avevano atteso tutto quel tempo per prepararsi al meglio. Il generale imperiale era caduto, inconsapevolmente, nella trappola del nemico.

 I cavalieri si avvicinavano velocemente. Le prime file degli imperiali abbassarono le lance, e avanzarono gli scudi, pronti allo scontro. Gli arcieri incoccarono gli archi, mentre altri preparavano i giavellotti, per colpire i nemici a distanza ravvicinata. Tutti erano pronti al contatto.

I cavalieri erano tantissimi, e procedettero velocemente fintanto che non giunsero a un centinaio di metri dai soldati imperiali. Poi rallentarono, e si fermarono.

Dopo neppure un istante, il cielo fu oscurato dalle frecce. I cavalieri incoccarono una seconda volta, mentre gli imperiali erano nel caos. Una volta effettuato il secondo lancio, la cavalleria tornò sui suoi passi e scomparve, come se fosse stata solo un’illusione.

 La pioggia di frecce aveva mietuto tantissime vittime tra i soldati imperiali, che non si erano protetti. Ora, nelle truppe di John, regnava il caos.

 I ranghi si erano sfasciati, poiché ovunque si erano formati spazi vuoti, dovuti al fatto che le frecce nemiche erano andate a centro. Davanti alla prima linea, il terreno appariva come il dorso di un istrice, dal tanto che era pieno di frecce, cadute prima di poter infilzare altri soldati.

John iniziò a gridare ai suoi sottoposti di richiudere i ranghi, cosa che fu effettuata immediatamente.

 Gli arcieri non avevano neppure tentato di scoccare frecce, poiché il nemico si era mantenuto a distanza di sicurezza, ed inoltre gli imperiali avevano anche una leggera brezza contraria, che non ne favoriva appieno il tiro. Avevano già perso parecchi uomini.

La fanteria nemica si mise in marcia, in ordine perfetto. John ordinò ai suoi di attendere, ma la rabbia verso il nemico era incontrollabile. Il suo esercito si mise in marcia, senza ascoltarlo.

 I nemici avevano iniziato a procedere a passo svelto verso di loro, e la distanza tra i due eserciti si era ristretta notevolmente. Senza dare ascolto al generale e agli ufficiali, l’esercito imperiale continuava ad avanzare, incontrando alcuni metri di terreno reso impervio dalle frecce conficcate nel terreno, che rendevano difficile il movimento.

Quello che sarebbe potuto divenire un ostacolo per il nemico, improvvisamente divenne un ostacolo per le truppe imperiali.

 ‘’Fate tornare indietro quegli stupidi!’’, iniziò a gridare il generale, purtroppo consapevole che le sue grida ora non avevano più valore.

Fu così che i due eserciti si scontrarono. Da una parte, c’erano i nemici Sconosciuti, avvolti nei loro abiti di diversi colori, per indicare la tribù alla quale appartenevano, protetti da farsetti ben imbottiti rivestiti di cuoio duro, ed erano ben compatti e pronti all’urto.

 Dall’altra, c’era l’esercito imperiale, che aveva già subito numerose perdite, e per di più appariva tutto sfasciato, senza alcuna compattezza.

Gli Sconosciuti combattevano con valore, e iniziarono subito a mettere in seria difficoltà gli imperiali.

 Ma ben presto si giunse ad un punto morto. Sia imperiali che Sconosciuti combattevano in uno stato di equità, e nessuno cedeva. Il crepuscolo stava giungendo rapidamente, e ben presto sarebbe stato impossibile continuare a combattere.

 Fu in quel momento che i Demoni iniziarono la loro opera di terrore. Sensazioni di dolore e sconforto avvolsero i soldati imperiali, che comunque continuarono a battersi con grande dignità.

La battaglia si concluse così, con un nulla di fatto e poche perdite per gli Sconosciuti. I due eserciti, col crepuscolo, si ritirarono nei rispettivi accampamenti.

John non era completamente soddisfatto, i suoi si erano comportati male ed erano stati disobbedienti, ma almeno avevano mostrato coraggio e resistenza.

Ma il gran Re Fermei, nell’altro schieramento, era arrabbiato a dismisura con i Demoni. Quella battaglia avrebbe dovuto essersi conclusa subito, entro quel giorno. Aveva fretta di procedere, e non poteva permettersi di perdere altre giornate in battaglie campali e inutili.

 

 

 

Appena giunti all’accampamento, Fermei fece convocare subito i Demoni. Era furioso.

Non con i suoi uomini, che avevano combattuto bene. Tra l’altro, aveva deciso di far combattere solo una parte ristretta dl suo esercito, tenendo migliaia di soldati nascosti e riposati, in modo che fossero stati in grado di intervenire nel caso ce ne fosse stato bisogno.

 La causa di tutto erano i Demoni. Appena entrarono nella sua tenda, li aggredì, senza neppure lasciarli parlare.

‘’Grazie, alleati. Vedo che state svolgendo bene il vostro compito. Oggi abbiamo avuto l’occasione di spianarci la strada verso Palok, e se arrivavamo a sconfiggere l’esercito imperiale avremmo avuto l’occasione di conquistare tutto il cuore dell’impero. Il mio esercito è prontissimo, si batte bene e segue tutte le mie indicazioni alla perfezione. Quando arriva il momento di dare il colpo di grazia, che stava a voi darlo, avete colpito così fiaccamente che neppure un bambino si sarebbe spaventato. Da che parte state, scusate? Ora dovremmo combattere per giorni, perdendo tempo prezioso. Spero che domani vi impegnate un po’ meglio di oggi’’, concluse Fermei, pronunciando un fiume di parole, con rabbia.

 I Demoni vollero apparire stupiti dal suo comportamento, talmente tanto che il gran re non ebbe dubbi sul fatto che stessero fingendo strano stupore.

 ‘’Ma, sire, noi abbiamo fatto  il nostro dovere alla perfezione! Purtroppo ad un certo punto ci sono venute meno le energie. Sapete, noi non veniamo nutriti da giorni. Gli schiavi sono finiti, ed è da molto tempo ormai che non saccheggiamo grandi città molto popolose. Senza cibo, noi non combattiamo’’, dissero i demoni, risoluti.

‘’Bene. Vorrà dire che faremo senza di voi, perché non ho alcuna intenzione di darvi altro cibo prima di aver conquistato Palok. Tornatevene alle vostre tende e non importunate nessuno’’, disse il gran Re, congedandoli di fretta.

 Era ovvio che doveva trovarselo da solo il modo per uscire da quella situazione.

Ci pensò un attimo, poi ebbe un’idea. Un’idea molto, molto rischiosa. Una missione, che se fosse andata a buon segno, gli avrebbe consegnato l’esercito imperiale senza altri scontri o spargimenti di sangue, e pure senza utilizzare i Demoni.

 Avrebbe affidato quella missione ad una persona affidabile, quella che amava di più al mondo.

 ‘’Ilse! Vieni qui!’’, gridò a gran voce.

 

 

 

Fermei gli spiegò tutto rapidamente. Ilse capì tutto al volo, ed era pronta a rischiare.

Ora non era più la ragazzina che viveva in una capitale, un’ingenua figlia aristocratici che pensava solo all’amore.

Ora, fortificata anche dal periodo di malattia, era pronta ad affrontare di tutto, perché lei voleva una sola cosa; diventare imperatrice.

 E se questo avesse significato fingere amore per il gran Re, oppure tradire il proprio popolo d’origine, per lei tutto ciò non aveva più  importanza. Tutto perdeva di significato, al cospetto di coronare il suo sogno di gloria e potere.

Mentre usciva dalla tenda di Fermei, dopo aver accettato la missione, capì che quella sarebbe stata la svolta definitiva della sua vita.

Sarebbe stata una nuova Ilse, crudele e bugiarda. Le sfuggì un sorriso amaro, mentre iniziò ad inoltrarsi nel bosco, tutta sola. Avrebbe potuto morire, ma questo non le importava più di tanto. Benvenuta nuova Ilse, si disse, mentre, in realtà, tremava dalla paura.

 

Mentre Ilse si accingeva a compiere la missione più importante della sua vita, i Demoni se ne stavano al buio nelle loro tende. Erano rabbiosi.

 Fermei non li avrebbe nutriti fino a Palok, e potevano passare giorni o mesi prima di arrivarci. O forse non ci sarebbero arrivati mai.

Dalle loro bocche uscì un lamento infernale.

 Il gran Re, rifiutandosi di nutrirli, teneva a bada i loro poteri.

Ma loro non potevano sbagliarsi; avevano previsto il loro giorno di gloria. Era solo questione di tempo. E poi sarebbe stato il loro turno di comando.

In ogni caso, non avrebbero avuto alcuna clemenza verso gli esseri umani.  

 

NOTA DELL’AUTORE

Grazie a tutti per la lettura! J

Spero che la battaglia vi sia piaciuta. Attenzione, nel prossimo capitolo seguiremo Ilse nella sua missione segreta J

Ringrazio Steph808, grazie di tutto, dalle recensioni ai consigli. Spero ti sia piaciuto questo capitolo J

Ringrazio anche Amisa, Angel Story, hola1994 e Lav22, che continuano a seguire la mia storia.

 Ragazzi/e, mi piacerebbe veramente sapere cosa ne pensate di questa mia prima storia, e se volete lasciarmi un vostro pensiero, sarò veramente felice di rispondervi e di ringraziarvi di persona J

Grazie a tutti!! J A sabato J

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

CAPITOLO 15

 

Ilse attraversò indisturbata la boscaglia che la separava dall’accampamento nemico.

Con sé aveva alcune piccole dosi di veleno e un piccolo panno imbevuto nel sonnifero.

Notò subito che c’erano alcune sentinelle che, a coppie, controllavano il perimetro dell’accampamento dell’esercito imperiale. Ma lei non si fece intimorire.

Uscì con passo svelto e sicuro dalla boscaglia, stringendo tra le mani un rametto di una qualche pianta. Subito, fu avvistata da due sentinelle, che le si affiancarono rapidamente.

‘’Ferma, ragazza’’, disse la prima, ansimando, poiché l’aveva raggiunta quasi di corsa.

 ‘’Da dove vieni?’’, chiese l’altra, che era poco più di un ragazzo, e in più aveva anche uno sguardo da ebete.

‘’Dal bosco, idiota’’, rispose Ilse, con fare sicuro e arrogante. Faccia da ebete arrossì e non disse più nulla, mentre l’altra sentinella era dubbiosa e più furba, anche se comunque appariva rassicurata, poiché era solo una ragazza, che parlava molto bene la lingua dell’impero ed era come tante altre che vivevano nei carri delle scorte, per controllare e preparare il cibo.

‘’Ehi, donna, datti una calmata. Stai parlando con dei soldati, non con tuo fratello. Che ci facevi nel bosco?’’, chiese la sentinella astuta.

 ‘’Ero andata a raccogliere rami di ginepro, per poter insaporire meglio i pasti’’, disse Ilse, sventagliando in faccia alle sentinelle quei due miseri rametti che aveva strappato nel bosco. Non erano di ginepro, ma il buio rendeva difficile riconoscerli. E comunque le due sentinelle non se ne intendevano molto di cucina.

‘’Ah. Sei una cuoca, allora’’, disse la guardia furba.

‘’No, sono la serva della cuoca del vostro generale’’, affermò Ilse con fare disinvolto, anche se un brivido le attraversò la schiena. Ora doveva liberarsi di quei due, prima che approfondissero l’argomento.

‘’Ehi, volete lasciarmi andare dalla mia padrona, o volete che il generale e gli ufficiali rimangano senza cena, questa sera? La mia padrona mi attende’’, continuò Ilse.

‘’Vai pure’’, disse la sentinella furba, intimorita dal fatto che le sue domande potessero rovinare un pasto al generale.

 Ilse non se lo fece ripetere due volte, e riprese a camminare verso il centro dell’accampamento. Non ebbe problemi a giungere alla tenda del generale, poiché nessuno si degnò di posare lo sguardo su di lei o di farle domande. D’altronde, si era vestita come una qualsiasi sguattera.

 Si presentò alle guardie all’ingresso della tenda, affermando che era una serva e che doveva aiutare la cuoca a preparare la cena. Le due guardie annuirono, e le intimarono di entrare e di fare in fretta, poiché la cena stava già per essere servita. Lei entrò dentro rapidamente.

 Nessuno sospettò che lei fosse un’infiltrata nemica, d’altronde parlava alla perfezione la lingua dell’impero. Inoltre, aveva anche le caratteristiche somatiche tipiche delle popolazioni imperiali, mentre i nemici erano più bassi di statura e con la pelle più scura. Appariva agli occhi di tutti come una qualsiasi ragazza al seguito dell’esercito.

Non si trovò subito nel luogo principale, dove il generale e i suoi ufficiali stavano per iniziare a consumare il pasto serale, ma in un ambiente simile a una zona di smistamento.

Gli ospiti entravano nella zona principale, i servi invece andavano a destra, verso un ambiente laterale.

 Una tendina separava l’ingresso dalla zona pasti, in modo che l’andirivieni della servitù non disturbasse troppo chi mangiava. Andò quindi nell’ambiente laterale,  e si trovò nel caos più completo.

Una donna grassa dava ordini a tutti, e una buona decina di giovani serve si accingevano a preparare i cibi all’interno dei piatti, per rendere più invitante la pietanza. Ilse si avvicinò a lei.

 ‘’Buonasera, signora’’, disse, con fare intimorito. Ora stava perdendo tutto il suo coraggio, ed aveva timore di essere scoperta.

‘’Ah, tu dovresti essere quella che ho richiesto prima, per servire ai tavoli. E’ da un bel po’ che ti aspettavo. Prendi su quei piatti e portali in tavola, veloce. E sbrigati, che sei in ritardo’’, disse la donna robusta.

 Ilse non poté far altro che fare un cenno affermativo con la testa e correre subito a prendere le pietanze. La fortuna l’aveva assistita anche questa volta.

 Ma il difficile doveva ancora venire. Raccolse un grosso piatto pieno di selvaggina, ed entrò nella sala principale, dove c’erano alcuni ufficiali e il generale, tutti in attesa.

Si avvicinò al tavolo con fare sicuro e disinvolto, e servì tutti.

 Il generale era facilmente distinguibile dagli altri. A parte il fatto che era l’unico ad avere ancora indosso la divisa con i gradi, era anche il più maturo di tutti, e l’unico ad avere la barba, che era quasi totalmente bianca, a parte qualche pelo ancora nero. Mentre i commensali mangiavano e parlavano tra loro, il generale non levò mai gli occhi di dosso da lei.

 Ilse fece finta di nulla, continuò a servire e fece ampi sorrisi al generale. Nessuno si era accorto che, durante il breve tragitto che separava l’improvvisata cucina dalla zona pranzo, lei era riuscita a rovesciare una piccola dose di liquido chiaro come l’acqua nelle vivande.

 Era veleno. Un potente veleno che avrebbe fatto azione entro poche ore.

Avvelenò tutte le pietanze, tranne quelle riservate al generale, poiché solo lui aveva cibi diversi dagli altri, scelti personalmente per il suo palato raffinato. Il generale le serviva vivo e vegeto. Si nascose un coltellino ben affilato all’interno della manica del suo vestito, assicurandolo ad un piccolo pezzo di stoffa rattoppato appositamente da lei poco prima di iniziare la missione.

 Era solo una precauzione, che comunque l’avrebbe resa un po’ rigida nei movimenti.

Ma che gliene importava, se fosse riuscita a completare la sua missione, sarebbe stata ricoperta da molti onori. Se non ci fosse riuscita, sarebbe semplicemente morta.

Ma non voleva pensare male, poiché quella sarebbe dovuta essere l’occasione di riscatto verso l’impero, assassino dei suoi familiari, e mortificatore della sua vita.

 

 

La cena fu consumata in fretta.

Il generale John non aveva molta voglia di parlare. Aveva solo voglia di guardare.

A servire al tavolo c’era una bellissima ragazza. La più bella che lui avesse mai visto.

Mentre i componenti di spicco del suo esercito conversavano animatamente sulla battaglia appena conclusa, e di come affrontare al meglio i nemici l’indomani, lui era perso nei suoi pensieri.

La ragazza appariva un po’ rigida nei movimenti, quasi fosse leggermente impedita da qualcosa, ma nessuno le fece caso, a parte il generale, che la prese come una forma di gentilezza e rispetto.

 Non ascoltò neppure per un istante quelli che lo circondavano, che cercavano di coinvolgerlo in una qualche conversazione.

Quando aveva deciso di cenare con tutti i suoi sottoposti di spicco, gli era parsa una buona idea. E si era rivelata tale fintanto che quella ragazza non aveva iniziato a servire il tavolo. John sapeva che l’indomani mattina la battaglia avrebbe ripreso. E non sapeva se questa volta fosse riuscito a scamparla e a rimanere vivo. In vita sua, si era sempre interessato poco alle donne, più che altro perché era sempre molto impegnato.

A metà cena capì che quella era la sera buona per commettere una follia. Si sentiva attratto da quella giovane.

Appena ebbe concluso il suo pasto, congedò rapidamente tutti i commensali, ordinando loro di andare a dormire, con la scusa che all’indomani li avrebbe voluti ben riposati. Congedò anche tutte le serve e le cuoche.

Ben presto, la sua grande tenda era sgombra. Tutti se n’erano andati. Tutti, tranne la bellissima ragazza, quella che aveva servito fino a poco prima, alla quale era stato ordinato di restare. Quando tutto fu tranquillo, John le si avvicinò.

‘’Come ti chiami?’’, chiese.

 ‘’Jeanne’’, rispose la ragazza.

‘’Che bel nome. Sono poche le ragazza ad avere un nome così bello. D’altronde, sono anche poche le ragazze ad essere belle come te’’, le disse, sorridendo.

‘’Grazie, signore’’, rispose la ragazza, chinando il capo e facendo la timida. Lui le si avvicinò.

Il suo volto lasciava trasparire una traccia di nobiltà, non sembrava una che avesse svolto da sempre il lavoro da sguattera. Le si avvicinò ancora di più e la abbracciò d’istinto. Sentì la ragazza tremare, era stata alla sprovvista.

Allentò un po’ l’abbraccio.

‘’Jeanne, scusami…’’, provò a dire, imbarazzato.

Si era lasciato prendere alla sprovvista anche lui, da un suo istinto. La ragazza non lo lasciò parlare. Lo abbracciò, ed infilò la sua mano destra sotto la sua divisa. Poi lo baciò appassionatamente, talmente tanto da togliere il respiro a John. Lui la lasciò fare.

La mano della ragazza accarezzò la sua schiena. Poi accadde l’imprevedibile.

 John sentì una lama fredda puntata proprio nella sua schiena. Era affilata come un rasoio.

Il generale tentò, per un istante, di divincolarsi dall’abbraccio e chiamare le guardie, appostate all’ingesso, fuori dalla tenda, in suo soccorso.

Ma la ragazza si mostrò tenace, non tolse il coltello mentre con l’altro braccio teneva il generale stretto a sé, in una morsa dalla quale non riuscì a staccarsi. La ragazza era fortissima, e tratteneva a sé il generale, che cercò di gridare. Ma la ragazza continuava a baciarlo con passione, e non riuscì a far uscire altro che mugugni. 

Poi, improvvisamente, la ragazza smise di baciarlo e tappò la bocca del generale con la sua mano sinistra. John la guardava con gli occhi spalancati, in preda al terrore.

‘’Tranquillo, generale. Non chiamare le guardie, se ci tieni alla tua vita. Non ti farò nulla. Basta che tu segua le mie indicazioni. Se non le seguirai, ti pugnalerò all’istante. Intesi?’’, disse la ragazza. John non poté far altro che annuire.

Lei pian piano tolse la mano dalla sua bocca e parlò a bassa voce.

‘’Ora, noi due usciamo. Abbracciati, così il mio coltello ti ricorderà che devi comportarti bene, se vuoi vivere. Congeda le guardie appostate davanti alla tua tenda, e se qualche sentinella tenta di fermarci allontanala. Noi andiamo a fare un bel giro nel bosco’’, concluse la ragazza, sorridendo. John annuì.

 Lei lo costrinse a tenerla vicina a sé con il suo braccio sinistro, con un modo molto confidenziale, mentre continuava a puntare il coltello con il suo braccio destro, ben nascosto sotto la divisa.

‘’E ricorda, generale. Niente scherzi, o sei morto’’, disse.

Chiunque, ora, poteva vederli come due amanti in cerca di un luogo appartato. Uscirono dalla tenda.

John sentì che la lama del coltello aveva iniziato a premere contro la sua pelle, al livello dei polmoni. Sudava, era teso e non aveva idea di ciò che gli avrebbe fatto quella pazza. Pensò che quella era stata la punizione per aver ceduto all’attrazione di quella sconosciuta. Le tre guardie all’ingresso lo guardarono, sorprese.

‘’Bèh, che c’è da guardare? Questa notte mi voglio divertire un po’. E ora andatevene a riposare. Non voglio che nessuno mi vigili, questa notte‘’, disse John, con fare quasi deciso.

Le guardie tentennarono un po’, guardarono la ragazza, poi scrollarono le spalle e se ne andarono. Camminarono, sempre abbracciati, per l’accampamento, che era desolato. Non c’era più nessuno sveglio. Tutti erano nelle loro tende, a dormire o a pensare.

 Giunsero in fretta al limitare del bosco. E in quel momento furono avvistati da due sentinelle. Non erano le stesse che avevano fermato Ilse poche ore prima.

 ‘’Ehi, voi due! Dove vi credete di andare? Tornate dentro all’accampamento, subito!’’, gridò una di esse, sbarrando il percorso delle due figure. Ma, quando si avvicinarono, scoprirono che i personaggi erano una bella ragazza e il generale.

 ‘’Oh, ci scusi generale. Non volevamo importunarla. Stavamo solo svolgendo la nostra mansione. Ci dispiace’’, dissero, affrettatamente.

‘’Va bene, siete scusati, ma ora lasciatemi andare. Voglio divertirmi, questa notte. Non azzardatevi a seguirmi o ad importunarmi’’, disse John, cercando di ostentare sicurezza. Eppure, ora aveva solo paura di morire. Quella ragazza era molto forte, e pure pazza. Chissà cosa voleva da lui.

 La lama continuava a premere, incessantemente, nella sua schiena, senza che nessuno potesse vederla.

Le due sentinelle si guardarono,  e si allontanarono in fretta, bisbigliando e dandosi di gomito. John le sentì pure ridacchiare.

 La ragazza lo portò fino ai primi alberi.

Poi, vide uscire dal bosco tre figure avvolte in manti colorati. John capì che erano nemici. Tentò di muoversi e di tornare indietro, ma la ragazza abbandonò il coltello e gli premette sul viso un panno umido, bagnato di una qualche sostanza.

 John iniziò da subito a perdere i sensi, mentre i tre stavano per prenderlo per le braccia, poiché stava per cadere.

‘’Jeanne…’’, sussurrò, mentre il potente sonnifero faceva effetto.

 ‘’No, generale, smettila di chiamarmi Jeanne. Il mio nome è Ilse. Buonanotte’’, disse la ragazza.

 Quelle furono le ultime parole che John udì, prima di cadere in un sonno profondo.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura! J

Spero vi sia piaciuto questo capitolo, che è sicuramente uno dei più complessi di questa storia. D’altronde, una missione che si svolge all’interno di un accampamento nemico è sempre qualcosa di molto pericoloso e azzardato. J

Ma la nostra Ilse sa cavarsela ovunque, grazie alla sua bellezza e ad un pizzico di fortuna.

Su questo capitolo ho avuto dubbi fino all’ultimo, poi ho deciso di proporvelo così.

Ragazzi/e, grazie a tutti. La nostra storia sta ricevendo un bel pò di visite, sono sorpreso. Grazie a tutti voi, che continuate a leggerla.

Come sempre, vi invito a lasciare una vostra opinione sul capitolo, poi fate voi J

Ancora grazie a  tutti!!! J A mercoledì J

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

CAPITOLO 16

 

Ilse era felicissima. Aveva concluso la sua missione.

John era stato consegnato al gran Re Fermei, e lei stava andando, appunto, a fargli visita.

Fu accolta con grandi onori, e Fermei le andò subito incontro.

L’abbracciò e la baciò intensamente, e a lei tornarono in mente i baci di solo poche ore prima. Ma quello era un altro discorso.

 ‘’Come hai fatto, amore mio? Sta volta hai superato te stessa! Non ti credevo una ragazza così forte e determinata. Hai eseguito alla perfezione la missione che ti era stata affidata, ed hai eseguito tutto con precisione e scaltrezza. Dai, raccontami’’, le chiese, sorridendo. Ilse sorrise a sua volta.

‘’E’ stato un gioco da ragazzi. Il vecchio generale non è così forte e intelligente come credi. Dovevi vederlo, obbediva ai miei ordini come un animale ammaestrato’’, disse, ridendo. Non voleva di certo confessare al Re i suoi metodi per attrarre il generale. Fermei rise, e non indagò oltre.

 ‘’Vieni, cara. Ti devo offrire una grande cena, perché è solo grazie a te che domani riprenderemo la marcia verso Palok. Grazie, sei più forte del mio intero esercito’’, disse il Re.

 ‘’No, grazie, temo dovrò rifiutare il tuo invito. Sai, ne ho avuto abbastanza di cene e banchetti, questa sera’’, disse, continuando a sorridere.

‘’Ma certo,questo potevo capirlo anche da solo. Scusami. Se hai bisogno di qualcosa, non devi far altro che chiedere’’ disse il Re, bonariamente.

‘’Ora, mio caro Fermei, desidero solo di riposare. Nient’altro’’.

‘’Va bene, vai pure. Buonanotte, amore. Domani, vedrai, ci godremo la nostra gloria’’, disse il re, congedandola.

 Ilse si allontanò velocemente. Finalmente, era felice.

 

 

Fermei si fece portare il prigioniero. Fu svegliato a schiaffi.

Appena riprese coscienza, cominciò a borbottare.

‘’Cosa mi è successo? Dove sono?’’, disse John.

‘’Generale, ora siete mio ospite. O meglio, mio schiavo’’, disse il Re.

‘’Capisco. Voi siete il gran Re e io sono stato rapito’’, concluse da sé il generale.

 ‘’Esatto. Siete perspicace, John. E pensare che la mia Ilse, poco fa, mi ha detto che non siete molto intelligente’’, disse il Re, sorridendo.

 ‘’Oh, quella ragazza è proprio una gran…’’, disse il generale, velocemente e con toni oltraggiosi, pronto a pronunciare un’offesa.

John non riuscì a concludere, perché una guardia gli diede un calcio, facendolo gemere di dolore.

 ‘’Non azzardatevi mai più a tentare di fare commenti infidi su Ilse. Ne va della vostra salute’’, disse Fermei, rabbuiandosi. John restò in silenzio.

‘’Bene, mio caro ex generale, ora siete mio schiavo, e farete ogni cosa io vi imponga, se vorrete vivere. Domani voi, anzi, tu, sarai presentato alle tue truppe, in catene, e li costringerai a gettare le armi e a consegnarsi a me. Diventeranno miei schiavi. Ma tu gli dirai che diventeranno miei alleati, se no morirai all’istante, trafitto dalla mia spada. Gli spiegherai che non c’è via d’uscita, se non quella della resa incondizionata, e che chiunque si azzarderà ancora ad opporsi alle truppe del gran Re sarà ridotto come te, e poi verrà ucciso. Farai ciò che ti ho chiesto?’’, chiese infine Fermei.

 ‘’No’’, disse seccamente il generale.

‘’Demoni! Entrate’’, disse Fermei. Li aveva riconvocati per far torturare il generale.

‘’Iniziate!’’, disse ai Demoni, che iniziarono ad opprimere la mente di John, imponendogli il loro dolore.

Il generale gridò, e bastarono pochi minuti per fargli giurare che l’indomani mattina avrebbe convinto le sue truppe a non combattere e a consegnarsi.

Il Re fu felice, ed andò a riposare per qualche ora, mentre il generale veniva incarcerato.

 Come ricompensa, concedette due schiavi ai Demoni, che comunque continuavano ad apparire scontenti e con poche energie.

 

 

Il mattino giunse rapidamente, e l’accampamento dell’esercito imperiale era immerso nel caos.

Tutti i personaggi di spicco al comando dell’esercito erano morti nei loro letti, avvelenati, mentre il generale era sparito. Girava voce che fosse uscito con una sguattera, poi non l’aveva visto più nessuno.

Mentre l’accampamento era in subbuglio, le sentinelle avvistarono dei nemici. Fortunatamente era solo un piccolo drappello, che sventolava bandiera bianca, quindi si trattava di un’ambasciata.

 Tutti i soldati si radunarono, pronti ad ascoltare quello che volevano dire i nemici. D’altronde, l’esercito era senza guida.

Poi, ci fu la sorpresa generale. Insieme con il gran Re, che era accompagnato da una scorta di trenta guerrieri, c’era anche il generale John. Era legato ed aveva un’aria assente.

 

 

Quello fu il momento di trionfo tanto agognato da Fermei. Tutti i soldati imperiali erano stupiti, e pendevano dalle sue labbra.

‘’Soldati, siamo qui per proporvi un patto. Un patto che, tra l’altro, è già stato accettato dal vostro generale. Lui stesso vi spiegherà tutto’’, disse il gran Re, parlando nella lingua dell’impero. Poi, fece parlare John.

‘’Soldati, se volete salvarvi unitevi al gran Re. Non avete speranze. Come ormai avrete già scoperto, tutti i membri di spicco al vostro comando sono morti. Non avrete scampo. O vi unite al Re, o morirete. Se accettate di unirvi a lui, sua magnanimità il gran Re avrà pietà di voi, e non saccheggerà la provincia di Palok, mantenendo in vita tutto il suo popolo. Se non accettate quest’offerta, morirete. A voi la scelta’’, disse John, con la sua solita voce potente. Naturalmente, non disse che il loro destino sarebbe stato quello di diventare schiavi.

L’esercito iniziò a gridare, e risultò spaccato. Molti urlarono di no, che avrebbero combattuto. Altri gridarono che bisognava arrendersi. Di fronte all’indecisione generale, Fermei decise di scendere a patti.

‘’Soldati, vi do una mezza giornata per decidervi. A mezzogiorno in punto, verranno i miei soldati qui nel vostro accampamento. Se sventolerete bandiera bianca, verremo e festeggeremo insieme, per siglare l’alleanza. Però le armi vi saranno tolte, almeno momentaneamente. Se sventolerete bandiera nera, vi attaccheremo, e non avremo pietà di voi. Avete esattamente metà giornata per decidere il vostro destino. A più tardi’’, concluse il gran Re, sorridendo a tutti.

 Poi si voltò, e seguito dai suoi guerrieri scomparve, portandosi dietro anche John.

 

 

Mancavano due ore a mezzogiorno, e i soldati non avevano ancora deciso il da farsi.

La spaccatura che c’era tra loro non accennava a ricucirsi. Poi accadde il miracolo.

 Nel mezzo dell’accampamento, apparve una figura, uno spettro. I soldati rimasero colpiti da quell’evento, che non avevano mai visto.

La figura, un anziano con una lunga barba bianca, cominciò dapprima a gridare forte, per attrarre l’attenzione di tutti, poi iniziò a parlare.

Alcuni soldati gli si avvicinarono, e provarono a toccarlo, senza prendere nulla. Non era materiale. Tutti indietreggiarono, e stavano attenti alle sue parole.

‘’Soldati, non ascoltate il gran Re. Lui vi mente, e se vi consegnate vi darà in pasto ai suoi Demoni. Lui è il male, lui è la menzogna. Iniziate a fuggire, visto che siete ancora in tempo. A Vargan, la città più a sud della provincia di Palok e confinante con la provincia di Fortwar, vi stiamo aspettando. Lì vi sarà data una seconda possibilità, ed avrete a disposizione la magia. Non indugiate oltre; andate a prendere i vostri familiari, salvate più vite possibili, e poi venite a Vargan. Seguite la strada che da Palok porta a Fortwar, non potrete sbagliarvi. Vi attendiamo a Vargan, la città indistruttibile; siate numerosi’’, disse infine l’ologramma, svanendo nel nulla.

Per i soldati quella era l’occasione per avere una rivincita.

Presero su poche cose, e si misero subito in cammino, in silenzio, tutti insieme.

 

 

 Il gran Re non si accorse di nulla, tanto era preso dai festeggiamenti. Quando giunse l’orario prestabilito, le guardie del gran re dissero che sull’accampamento sventolava una bandiera bianca. Subito, tutto l’esercito di Fermei vi si recò all’interno.

C’erano ancora le tende, ma i soldati se n’erano andati tutti.

‘’Sire! Sire! C’è un problema!’’, annunciò una delle guardie al gran Re, che voleva entrare tra gli ultimi, per non cadere in eventuali trappole.

‘’E quale sarebbe?’’, chiese Fermei, con toni pacati.

‘’I soldati imperiali se ne sono andati. Hanno lasciato qui le loro tende e sono scappati’’, disse la guardia, tentennando.

Fermei, che non si aspettava una simile mossa, gridò, frustrato.

 E giurò vendetta.

Avrebbe messo a ferro e fuoco tutta la provincia di Palok, senza alcuna pietà.

 Le vittime della sua ira sarebbero state migliaia.

 

 

A Vargan, Atah e i suoi due apprendisti esultarono come non mai. Erano riusciti nel loro intento.

 Erano giunti a Vargan senza problemi, ed avevano convinto i soldati in rotta a sottrarsi ai nemici e a difenderla. Ben presto la cittadina sarebbe stata protetta da migliaia di soldati, ed inoltre avevano salvato innumerevoli vite umane.

Inoltre, avevano inviato un messaggero a Fortwar, per richiederne un intervento.

Tra non molto anche Vargan sarebbe stata messa sotto assedio, e loro dovevano ancora finire di fortificarla.

Fortunatamente, erano riusciti a trovare l’appoggio della popolazione locale, che vedendo qualche premessa per un futuro migliore, era stata ben lieta di unire i loro sforzi con quelli dei maghi. Così, una piccolissima città in pochi mesi era diventata una metropoli fiorente e ben protetta.

Ben presto ci sarebbero stati altri scontri, e loro tre, grazie al supporto del loro dio Huru, sarebbero stati pronti per usare la magia.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura! J

Questa volta non ho molto da dire, a parte ringraziarvi, come sempre.

Quindi, spero che anche questo capitolo vi abbia intrattenuto un po’, e che vi sia piaciuto.

Ancora grazie a tutti !!!! A sabato J J

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

CAPITOLO 17

 

Sam era tremendamente stanco.

 Il viaggio era stato lunghissimo, e non avevano mai effettuato soste che superiori alle tre ore di durata. Avevano attraversato numerosi territori, tutti uniti da tratti comuni.

 Il verde regnava ovunque, e fitte foreste coprivano quasi la totalità del magico mondo di Harlowhy.

Nonostante tutto sembrasse tornato alla normalità, si notavano ancora i segni del disastro provocato dall’altro sé stesso.

Il tempo aveva ripreso a scorrere, e neppure il Grande Drago era riuscito a fermarlo, come aveva già fatto in passato.

La terra era zuppa d’acqua, e si procedeva a fatica. Stavano procedendo lungo una larga strada che attraversava la foresta, e che attraversava quasi tutto il mondo di Harlowhy.

Il terreno era ricoperto d’erba, mentre attorno ai suoi margini c’erano bassi cespugli, tutti in fiore. Comunque, in certi tratti il fango riusciva ad avere la meglio sull’erba, e i calzari di Sam erano costantemente bagnati e ricoperti da fango.

 Durante quell’estenuante viaggio, aveva visto numerose razze di creature magiche e mitologiche; dalle arpie ai giganti, dagli elfi ai nani, dai troll alle fate.

Tutte le varie comunità si avvicinavano per vedere la colonna che procedeva lungo la strada, e guardavano con rabbia, poiché sapevano che erano loro i fautori del disastro. Sam non li aveva osservati attentamente, ma aveva gettato loro solo sfuggevoli occhiate.

 In tutta sincerità, non gliene importava molto di loro. Non si riconosceva più, era vero che aveva perso una parte di sé. Non provava più né odio né rabbia, ma aveva solo voglia di essere lasciato in pace.

 Mentre arrancava con fatica, alzò lo sguardo, per la prima volta dopo molto tempo. Si era concentrato a guardare fisso a terra, per non vedere nient’altro.

 Non ne poteva più di creature magiche, di guerre e di catastrofi. Voleva solo tornare ad essere sé stesso. voleva solo tornare indietro di qualche anno, e rifiutare gli insegnamenti del suo maestro. Ma questo era impossibile.

 La sua parte mancante era ancora addormentata, coperta da un telo bianco per non mostrarla a nessuno, e ben vigilata.

 Il suo ex amico Jack era ancora incatenato, ed era poco più avanti di lui. Era vigilato da due nani. Anche il suo sguardo era vacuo. Era rassegnato ad essere punito, perché sapeva che nel mondo magico era vietato fare del male agli altri. E lui ci era riuscito con un ambasciatore umano.

Saby procedeva in testa alla colonna, insegnando il percorso a chi la seguiva.

 A chiudere la colonna c’erano i folletti della tribù di Jack e alcuni dei loro amici unicorni. Avevano voluto seguire il loro capo a tutti i costi.

Sam sbuffò, e tornò a guardare fisso a terra.

Nonostante tutto, non odiava Jack, anche se si sentiva preso in giro. No, non lo odiava, si disse nuovamente, come per convincersi meglio.

Mentre pensava, andò a sbattere addosso ad un nano tarchiato che si era fermato davanti a lui. Si scusò, ed alzò lo sguardo. La colonna si era fermata. Saby prese la parola.

 ‘’Stiamo per giungere a destinazione. Tra pochi istanti, entreremo nella reggia del Grande Drago. Prego tutti di non parlare ad alta voce e di non violare la pace di questo luogo magico, la culla del nostro mondo’’, disse, e riprese ad avanzare.

Tutti tacquero, compreso i nani, che si divertivano sempre a fare battute e a ridere.

 Sam, per la prima volta dopo molto tempo, si sentì pervadere dalla curiosità. Si guardò attorno, e notò che tutti erano tesi. Nessuno di loro, a parte Saby e il capo dei nani, era mai stato ammesso alla reggia.

 Sam osservò con attenzione, ma non riusciva a vedere nulla; solo alberi, verde e pozzanghere. Poi, vide tremare le figure di fronte a sé. Sì, i nani, Saby, e Jack stavano tremando, e improvvisamente divennero figure sfocate, come in un sogno.

Guardò le sue mani. Non tremavano.

Non ancora.

Ebbe paura.

Non voleva avanzare, e si bloccò di colpo, impedendo l’avanzata a chi lo seguiva. Sentì immediatamente una lama fredda insinuarsi tra le pieghe della sua veste, per essere puntata contro la sua schiena. Era la lancia di un nano. Doveva avanzare, non aveva altre possibilità.

Tutti quelli davanti a lui erano spariti, e tutto era sfocato, talmente tanto da non riuscire più ad avere un profilo delle cose che aveva attorno. Procedette.

 Improvvisamente, fu invaso da una strana sensazione di pace e tranquillità. La sua paura si acquietò, e procedette per un breve tratto in una zona di transizione, un limbo. Non si vedeva quasi nulla. Capì che quella zona poteva essere definita come una forma di difesa, che poteva essere attraversata solo da chi era atteso dal Drago.

 E finalmente gli apparve la reggia. Davanti a sé riapparvero le figure familiari di sempre, Saby, jack e i nani. Si ritrovò dentro ad un grande salone. Aveva il soffitto, ma era grigio, quasi fosse nebbia, pareva pure inconsistente.

Attorno a sé, tutto era di marmo. Il marmo era freddo, e i suoi piedi umidi ne sentirono subito gli effetti. L’aria era gelida.

 Ebbe un brivido.

 Anche gli altri ora avevano paura. Persino Saby, che si era sempre dimostrata sicura, pareva timorosa.

 Sam si avvicinò al nano anziano che gli aveva rivolto la parola il giorno della partenza dal villaggio dei Pegul-cat, che in seguito si era presentato come loro capo. Parlò a voce bassissima.

‘’Scusa se ti disturbo, capo dei nani. Ma questa sarebbe la reggia del Grande Drago?’’, chiese.

Il nano lo guardò male, ma rispose ugualmente.

 ‘’Sì, Sam, è questa. Comunque, non è mai stata così. Ora ti spiego meglio’’, disse il nano, facendosi più loquace,’’ Devi sapere che il Grande drago ha fondato la sua reggia al centro del suo mondo, per poter interagire meglio con i suoi abitanti. Tutte le strade che attraversano Harlowhy portano qui. Questo è il centro del potere del Drago. E rispecchia i suoi sentimenti. In parole povere, è come se fosse il suo secondo cuore. Da sempre, fino a poco fa, questo era un luogo dove tutti potevano entrare, e dove c’era felicità e gioia. Qui era pieno di fiori e di profumi, faceva sempre caldo, e chiunque entrava veniva accolto con vari festeggiamenti. Ora, guarda tu stesso; c’è solo freddo marmo, l’aria è gelida, e non si vedono neppure le stelle, tanto amate dal Grande Drago, che sono nascoste da una nebbia fitta. Inoltre, il Grande Drago ora si fa difendere da guardie elfiche. Quindi puoi capire la nostra sorpresa’’, concluse il nano, sempre a toni bassi.

La colonna, intanto, aveva superato l’iniziale stupore ed aveva ripreso ad avanzare.

‘’Ma.. perché il Drago ha cambiato tutto allora?’’, chiese Sam, ingenuamente.

‘’ Umano, credevo che tu potessi rispondere da solo a questa tua domanda. Ti ho sopravvalutato. Il grande Drago ora sta male, è infelice. E la sua reggia, che non è altro che uno specchio del suo animo, sta riflettendo il suo dolore. Tutto qui. Niente di più, niente di meno’’, concluse il nano, con fare sbrigativo e scontato.

Sam decise di stare in silenzio. Non avrebbe chiesto più nulla a quello strano nano. Come poteva permettersi di pretendere che lui conoscesse i segreti della reggia del Drago, si chiese, tra sé e se.

Improvvisamente, davanti a Saby, apparve una creatura alta e slanciata, con dei bei capelli lunghi e gli occhi lievemente a mandorla. Era una delle guardie elfiche del Grande Drago. Si avvicinò all’unicorno, e le parlò sottovoce.

Poi se ne andò, e con un balzo scomparve dietro a una porta laterale, in parte nascosta da una lastra di marmo. Saby radunò il gruppo, e parlò a con un tono di voce moderata, in modo che potessero sentire tutti.

‘’Bene, siamo giunti a destinazione. Il Grande Drago ha già riunito il Consiglio delle creature magiche, e attende solo noi. Per ora, verranno con me il folletto’’, e indicò Jack,’’ e l’addormentato’’, e indicò la copia di Sam. Si alzò un po’ di vocio, soprattutto tra i folletti.

‘’Silenzio! Il Drago nostro Re vuole, per prima cosa, giudicare il capo dei folletti, e sottoporre alla magia la copia dell’umano. Sarà una seduta a porte chiuse, nessuno di voi potrà partecipare’’, disse Saby, lasciando tutti ammutoliti.

 Jack fu liberato dalle catene, e docilmente entrò nella porta seminascosta.

Poi, due guardie elfiche vennero a prendere la copia di Sam. Ed infine, Saby si apprestò ad entrare. Prima di varcare la soglia della porta, si girò un attimo, e fissò Sam.

‘’Ah, quasi dimenticavo. Preparati, dopo di loro sarà il tuo turno’’, disse l’unicorno, che si girò e scomparve. La porta si richiuse. Tutti si sedettero sul gelido marmo, tanto non potevano far altro che aspettare. Mentre i folletti si disperavano per il loro capo, Sam restò impassibile. Desiderava solo ritrovare la pace e la tranquillità.

Ma ben presto si sarebbe trovato davanti ad un drago rabbioso.

Meglio non pensarci, si disse, e prese ad osservare fisso la porta che conduceva nel consiglio magico. La prossima volta che si sarebbe riaperta, sarebbe stato per condurre lui lì dentro.

Ebbe un brivido. Ma ora basta disperarsi.

Chiuse gli occhi, e cercò di rilassarsi.

 

 

Il tempo passò lentamente.

 Sam se ne stava seduto e non rivolse la parola a nessuno.

 Solo il vecchio nano gli posò una mano sulla spalla e gliela strinse in modo lieve. Era un gesto per fargli capire che gli era vicino. Lo ringraziò con un sorriso stentato. A volte, per comunicare, non servono le parole.

 Poi, accadde ciò che tutti aspettavano. La porta si aprì, ed uscì Saby.

‘’Avanti, umano, sei atteso dal Consiglio magico’’, disse. L’unicorno non mostrava alcuna emozione, né nella voce né nei movimenti. Era sempre sicura di sé. Sam si alzò, e le si avvicinò.

 ‘’Venite anche voi, se volete. Il Grande Drago vi ha concesso il permesso di entrare. A patto che non disturbiate. E ricordatevi che voi non potete intervenire in alcun modo’’, disse Saby, rivolgendosi ai nani e al popolo di Jack.

Tutti accettarono ed entrarono. Sam fu affiancato da Saby, e varcò la soglia della porta del Consiglio.

 Si trovò nel bel mezzo di una vastissima stanza. A qualche centinaio di passi da lui, c’era il Consiglio magico riunito.

 Non vide il Drago, e i rappresentanti delle varie razze magiche gli davano le spalle.

 Doveva solo percorrere un piccolo percorso, e poi sarebbe stato giudicato. Saby gli parlò all’orecchio.

‘’Allora, umano, è giunto il tuo momento. Ti chiediamo solo di essere rispettoso verso tutti, e di non arrabbiarti o fare azioni sconsigliate in riferimento a ciò che ti diranno. Non devi temere per la tua vita. Qui sei solo un ambasciatore, limitati a parlare in favore degli umani e prova a convincerci a stare dalla tua parte. Nessuno ti torcerà un capello, non sei sottoposto alle nostre leggi, e non hai commesso reati volontari. Quindi, stai calmo. Ultima cosa; ricorda che il tuo tempo da trascorrere ad Harlowhy è scaduto. Qualunque risposta ti sia data, abbandonerai a breve questo mondo, per tornare nel tuo. Per sempre. Te ne andrai appena finito questo Consiglio. Ma questa è un’indiscrezione. Comportati bene e vedrai che tutto andrà per il meglio. Intesi?’’, disse Saby, sottovoce e frettolosamente. Sam fece un cenno affermativo con la testa.

 Il suo calvario sarebbe finito a breve.

Tra l’altro, era quasi giunto al punto dove avrebbe dovuto parlare.

 Ancora non vedeva in volto le creature, né scorgeva il Drago, ma sapeva che sarebbe stata questione solo di alcuni attimi. Poi, sarebbe stato il suo turno.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura! J

Dunque, che dire.. Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento J

Ieri, munito di tanta forza di volontà, mi sono messo a rileggere tutti i capitoli pubblicati, e ho risistemato tutti gli errori. Fin qui, la storia dovrebbe essere quasi perfetta. Ringrazio chi mi ha segnalato alcuni errori, poiché mi ha facilitato un po’ i lavori. Posso dirvi che è stata dura revisionare tutto. Ma ci sono riuscito, spero di non aver combinato disastri ahah J

Inoltre, come ben saprete, questa non è una storia conclusa, quindi anch’io procedo insieme a voi. Sono più avanti di voi di due capitoli, quindi mi sono anche divertito un po’ a rileggere e a risistemare questa mia opera. Spero che anche a voi stia continuando a piacere J

Di nuovo, grazie a tutti !! J A mercoledì J

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

CAPITOLO 18

 

Erano già passati quasi due mesi dal saccheggio di Fortwar, in cui la capitale era stata devastata dalle truppe del generale John.

 Erano state prese di mira numerose case, e quasi tutti i negozi. Di loro, c’era rimasta solo cenere e le pareti inscurite dal fumo degli incendi.

Ma Tim e Sergej avevano compiuto un miracolo. Grazie all’aiuto delle milizie cittadine, che si fidavano dei due amici, e anche grazie all’aiuto degli abitanti superstiti, ora la capitale era tornata quasi come prima.

Ovviamente, c’erano ancora i segni degli incendi.

Ma almeno le strade erano pulite, i negozi erano in ordine ed erano già operativi, e i morti erano stati sepolti.

Le case distrutte dalle fiamme erano state quasi totalmente ricostruite.

 Questi lavori avevano impiegato migliaia di uomini, che lavoravano giorno e notte per la loro città. Tim e Sergej erano diventati improvvisamente degli eroi agli occhi delle truppe e dei cittadini. Tutti li vedevano come dei salvatori.

D’altronde, il generale John se n’era andato in malo modo, e l’imperatore non aveva fatto un bel nulla per riparare i disordini.

 Quando era giunto un messaggero da Vargan, con un messaggio che parlava di ciò che era accaduto all’esercito imperiale, i due amici erano rimasti impietriti.

Ma, in fondo, avevano provato sollievo.

Se quel vecchio e pazzo generale avesse vinto contro i nemici, sarebbe tornato a Fortwar, e probabilmente avrebbe finito l’opera che aveva già iniziato prima di partire, e poi chissà cos’altro avrebbe fatto.

Tim stava finendo di leggere il messaggio proprio in quel momento. Sergej lo fissava, con uno sguardo tra lo stupito e lo spaventato.

‘’C’è scritto altro?’’, chiese.

‘’Sì, che ciò che è rimasto dell’esercito di John, e parliamo di migliaia di uomini, è in rotta, e sta scendendo verso sud, alla volta di Vargan. Vogliono preparare una resistenza’’, rispose Tim.

 ‘’Ma.. un esercito così grosso, con così tanti soldati e senza più salmerie..’’, intuì Sergej. Tim sorrise all’amico. Era un sorriso amaro.

 ‘’Purtroppo stanno saccheggiando e distruggendo tutto. D’altronde, non vogliono lasciare nulla al nemico. Inoltre, l’esercito si è spaccato in più parti, e i soldati stanno raccogliendo i loro familiari per portarseli dietro fino a Vargan. E dietro di loro non vogliono lasciare nulla di utilizzabile’’, disse all’amico.

‘’Perfetto. Quindi abbiamo un numero indefinito di persone che stanno confluendo tutte verso Vargan, per organizzare una resistenza guidata da.. tre maghi’’.

‘’Sì, Sergej, tre maghi. Strano, i componenti della setta di Huru si nascondevano nel loro tempio da centinaia di anni. Effettivamente, non sappiamo neppure se sono persone affidabili o no. Tra l’altro, ci invitano ad andare a Vargan con un truppe di supporto’’.

 ‘’Bene, dovremmo andarci. O vogliamo lasciare una moltitudine di persone in mano a maghi rinnegati e fanatici?’’, disse Sergej.

‘’Hai ragione. Andrò io con duecento dei nostri soldati’’, disse Tim.

‘’Bene, e io resterò nella capitale a vigilare un imperatore pazzo’’, disse Sergej, tra l‘ironico e l’amareggiato. Tim sorrise all’amico. Aveva ragione. L’imperatore si era risvegliato, ma, a quanto pare, era impazzito e non stava per niente bene.

‘’Sergej, tu hai più esperienza di me nelle grandi città. Cerca di far sistemare al meglio la capitale, poi inizia ad evacuare i civili che vivono nelle zone rurali della provincia di Fortwar, e portali tutti qui, all’interno delle mura. Tanto, ora abbiamo a disposizione molte case sgombre, no?’’.

‘’Sì, sì, certo. Ci sto, allora facciamo così. Ti concedo cinquanta dei miei soldati’’, disse Sergej.

 ‘’Perfetto. Il resto dei soldati li scelgo tra i miei’’.

 I due amici si strinsero la mano, siglando il patto.

Sergej avrebbe lavorato nella capitale, vicino all’imperatore pazzo, ma Tim sarebbe andato e rischiare la vita.

‘’Bene. Ora che ci siamo accordati, non resta altro che andare a riferire all’imperatore’’, Disse Sergej. Tim lo fissò di sbieco, e sorrise.

Era da un bel po’ che non l’avevano visto. Quello che sapevano su di lui era solo quello che veniva detto loro dai medici imperiali.

Scesero in strada, e si avviarono verso il palazzo imperiale. Ovunque, i cittadini erano impegnati nella ricostruzione, e le cose andavano benone.

I soldati erano sempre in mezzo agli abitanti, aiutandoli, e così in città regnava un clima di tranquillità assoluta.

Tranne per il fatto che tutti, dai soldati ai civili, e dal servo  più umile al più nobile tra gli aristocratici, erano accomunati da un odio comune: quello verso l’imperatore.

Su Iulius, ogni giorno il popolo mormorava molte cose; che fosse totalmente impazzito, che fosse in coma, che fosse un traditore. In realtà, neppure i due Tim e Sergej sapevano quali di queste cose fosse vera oppure falsa.

In così tanto tempo, l’unica volta che avevano visto l’imperatore era stato il giorno dopo la partenza delle truppe per Palok.

 Iulius giaceva ancora in uno stato d’incoscienza, ed aveva la testa tutta avvolta da garze e materiali vari. Era seguito da numerosi medici, che avevano emesso sentenze non molto positive.

Comunque, l’imperatore si era risvegliato dopo due giorni. E i due amici non erano riusciti ad intravederlo neppure una volta. Ogni volta che richiedevano un’udienza, i medici affermavano che non potevano vederlo, perché aveva mal di testa o altri svariati mali. E questa cosa non piaceva ai due amici.

 ‘’Tim, se anche questa volta quei dannati medici ci allontanano e ci rifiutano di vedere l’imperatore, mi arrabbio’’, disse Sergej all’amico.

‘’Stai calmo, Sergej. Vedrai, questa volta lo incontreremo’’, disse Tim, in modo risoluto.

Stavano già percorrendo la via principale, erano quasi giunti alla piazza principale e al palazzo imperiale, quando i civili si avvicinarono a loro. Tutti sorrisero, e salutarono. I due amici ricambiarono, ormai erano abituati alle adorazioni del popolo. Ma quella volta fu diverso.

I civili sapevano che ogni giorno in quell’ora loro si recavano al palazzo imperiale, e quel giorno si misero a seguirli.

La folla continuò a seguirli, e i due non ne capivano il perché. C’erano anche alcuni soldati. Tim rallentò un attimo e si rivolse ad un suo giovane allievo, che si era mischiato con i civili e li stava seguendo.

 ‘’Che sta succedendo?’’, gli chiese.

 ‘’Oh, vedrete. E’ una sorpresa’’, disse il soldato, con un sorriso raggiante sul volto. Tim accostò di nuovo Sergej. L’amico lo guardò, imbarazzato.

 ‘’Ma cosa diamine stanno per combinare?’’, chiese, sussurrandogli all’orecchio.

‘’Una sorpresa’’, disse Tim, ironico. Sergej lo fissò, stupito.

 ‘’Chissà cosa ci attende, allora’’, disse Sergej, e si lasciò sfuggire un tremito. Tim sorrise. Erano passati mesi da quando l’aveva conosciuto, e si era sempre mostrato come un duro. Ma, al primo imprevisto, si spaventava subito. Decise di continuare a tranquillizzarlo.

 ‘’Tranquillo, Sergej. Non vedi come sono felici? Non ci faranno nulla di male, avranno organizzato un banchetto..’’.

‘’Sì, un banchetto nella Piazza delle Impiccagioni?’’, disse Sergej.

La piazza centrale di Fortwar era stata soprannominata, dal popolo, Piazza delle Impiccagioni, poiché per secoli gli imperatori avevano impiccato lì i loro nemici, in modo da poter osservare meglio l’esecuzione dal loro palazzo poco distante. Tim gli strinse un braccio.

 ‘’Sergej qualunque cosa succeda, stai tranquillo. Per ora sono calmi, vedi, ci sorridono. Vedrai, sarà sicuramente un banchetto’’, disse Tim all’amico.

 Sergej non ne era tanto convinto, comunque non parlò più. Purtroppo, sapevano che il popolo era volubile, dal giorno della sommossa contro l’imperatore. In poche ore si era passato da un clima tranquillo a una guerra civile.

Comunque, ormai non valeva più la pena di crogiolarsi in tali pensieri. Erano quasi giunti alla piazza antistante il palazzo imperiale.

 Ma quando entrarono nella piazza principale, e ne ebbero la piena visuale, i due amici sbiancarono.

La piazza era piena di gente. Tutti stavano in silenzio, ma sorridevano. Si aprì un varco per lasciarli passare, che si richiudeva subito dietro loro.

Tutti li spingevano avanti.

E poi, ecco la sorpresa; nel mezzo della piazza, c’era una struttura in legno lievemente rialzata, a fare da palco. Poco dietro, c’era una bella corda che penzolava da un palo rialzato. Sotto, c’era una cassetta. Era una forca per le impiccagioni.

I due amici si guardarono, terrorizzati. Furono spinti fino al palco, e furono costretti a salirci, tra le pacche affettuose di tutti.

Quell’atteggiamento ambiguo stava facendo perdere la testa ai due amici.

Subito, due soldati si appostarono dietro a loro.

 Poi, sul palco salì una figura in divisa nera. Era un giudice. Uno dei giudici più importanti della corte imperiale, che tra l’altro erano gli unici che avevano potere di vita o di morte anche sul sovrano.

Non erano mai riusciti a giudicare un imperatore, poiché essi sceglievano solo persone fidate per ricoprire tale carica, e chi dava impressioni negative al sovrano veniva immediatamente fatto sparire. Di solito non si mostravano al pubblico, avevano un ala laterale del palazzo imperiale tutto per loro, dove erano serviti e riveriti.

Il loro, in genere, era un lavoro nascosto. Si mostravano solo, appunto, per le esecuzioni pubbliche di rilievo. I due amici notarono che c’erano anche altri giudici, ma erano tutti un po’ distanti da loro. Avrebbero fatto parlare il loro capo.

Il giudice si avvicinò, impassibile, ai due amici, e li scrutò. Fece un cenno affermativo con la testa, e srotolò una pergamena di carta, sulla quale c’erano scritte delle lettere.

Lettere che formavano un testo con un preciso significato, che poteva significare una sola cosa; che qualcuno sarebbe morto di lì a breve.

Sergej si voltò verso la folla, e cercò di indietreggiare. Fu nuovamente spinto avanti. La folla notò lo sguardo terrorizzato dei due amici. Si fecero seri, e dalla folla si alzarono grida.

‘’Hei, ragazzi, non ve la dovete fare sotto, eh!’’, disse uno, sghignazzando.

‘’Già, d’altronde vi stiamo solo facendo un favore!’’, gridò un altro.

‘’Ma.. Ma..’’, ebbe il coraggio di balbettare Sergej.

‘’Niente ma! Ascoltate ciò che vi stanno per leggere. Poi ci ringrazierete per questa sorpresa!’’, gridò un altro ancora.

Poi, improvvisamente, il giudice alzò una mano. Era il gesto utilizzato per richiedere il silenzio. Subito la folla ammutolì.

Il giudice, un uomo sui quarant’anni, con un volto torvo e butterato, faceva quasi paura. Lanciò un ultimo sguardo ai due amici, prima di iniziare a parlare.

Tim e Sergej si fissarono, in un istante che parve interminabile.

I due amici erano frastornati, non capivano se era una congiura, un tradimento, o chissà quale altra cosa. Ormai la paura iniziale si era acquietata, d’altronde non avevano altra possibilità che ascoltare in silenzio.

Abbassarono lo sguardo, proprio mentre il giudice apriva la bocca per pronunciare le prime parole. 

Avrebbero accettato qualsiasi cosa fosse stata loro detta.

 Erano sempre stati due ragazzi giusti e rispettosi, non temevano la morte.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti ! grazie per la lettura J

Steph808, ti prego di scusarmi l’interruzione del capitolo, dovevo creare un po’ di suspense!  J Poi, non volevo pubblicare un capitolo lunghissimo.

Mercoledì prossimo pubblicherò il continuo di questo capitolo, e scopriremo cosa sta succedendo a Fortwar. Spero di aver creato un po’ di attesa J

Sabato invece andremo a far visita a Sam, che deve parlare al Consiglio magico. Povero Sam! Dovrà fare delle scelte complicate, ma lui sa il fatto suo J

Grazie per aver letto anche questo capitolo. Ringrazio Monte Cristo per aver messo la mia storia tra le seguite!

 Grazie anche a Angel Story, Amisa, Hola1994 e Lav22, che continuano a seguire la mia storia già da un po’ di tempo. Grazie di cuore! Spero che questo racconto continui ad intrattenervi un po’ J

Ovviamente, un grande grazie anche a chi ha inserito la mia storia tra le preferite! J

Grazie di tutto!!! J A sabato J

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

CAPITOLO 19

 

Tutte le creature magiche lo stavano fissando.

Sam era emozionatissimo.

Aveva sempre sognato di trovarsi in una situazione simile, ma non l’aveva mai voluto ammettere a nessuno, neppure a sé stesso. Era circondato da creature di ogni specie e di svariata grandezza.

 Il Consiglio magico era costituito in questo modo: colui che doveva parlare al Consiglio veniva messo al centro di uno spiazzo simile a quello di un’arena, e i membri che dovevano giudicare erano seduti tutti attorno a lui, quasi a formare un cerchio perfetto.

Per ogni razza, c’era un solo esponente a poter esprimere un giudizio, e, di solito, era anche capo e signore della sua specie.

 C’erano decine e decine di creature ad ascoltare quell’udienza, poiché era qualcosa di sensazionale, che si erano sistemate dietro i membri che detenevano lo speciale diritto di poter giudicare.

Era da lungo tempo che non vedevano un umano.

Saby si scostò da lui, lasciandolo solo. Ben presto, Sam si ritrovò al centro dell’arena, con centinaia di creature che lo osservavano.

Ma notò che mancava la creatura più importante: il Grande Drago.

 Sam continuava a guardarsi attorno, inebetito, poi sentì un fremito che percosse tutto il marmo sottostante.

Poi, a poca distanza da lui, apparve il Grande Drago. Era, senza dubbio, la creatura più bella che Sam avesse mai visto. Le sue squame erano di mille colori, ed era gigantesco. Il suo viso non era malvagio, ma comunque era arrabbiato.

 Sam si inginocchiò, in segno di rispetto. E la creatura parlò.

‘’Alzati, umano. Io non sono il tuo re. Puoi stare in piedi, in mia presenza’’, disse il Drago. Sam obbedì e si rialzò.

‘’Bene. Innanzi tutto, tu sei qui come ambasciatore del tuo popolo. Quindi, sei giunto qui in pace. E invece, qualcuno del mondo magico ti ha fatto del male. Scommetto che già sai di chi ti sto parlando’’. Sam fece cenno affermativo della testa.

 ‘’Umano, puoi anche parlare, o ti hanno pure tagliato la lingua? Come ti chiami?’’, chiese il Drago, con un modo di fare molto irritato.

‘’Sam, signore’’.

‘’Ho detto che non sono il tuo signore. Chiamami pure Grande Drago’’.

‘’Va bene, Grande Drago.’’

‘’Perfetto. Prima di ascoltare il tuo messaggio rivolto alle creature di questo mondo, devo risolvere la questione del folletto Jack’’.

 Appena fu pronunciato il suo nome, Jack si materializzò a poca distanza da Sam.

Appena il ragazzo lo vide, rimase sconvolto. Il benevolo visino del folletto era una maschera di paura. Piangeva di nuovo, emettendo singhiozzi soffocati, tipici di chi, ormai, non ha più lacrime da versare, poiché le ha già versate tutte. Non guardò Sam, e rimase assente.

Sam provò un immensa pietà di lui, e in quel momento la sua mente andò al di là del tradimento.

 Era vero che Jack gli aveva fatto del male nel primo periodo di soggiorno ad Harlowhy, ma poi si era sempre comportato bene, da buon amico.. e gli tornarono in mente le sue invocazioni di perdono e pietà. Sam si emozionò immensamente, ma non lo diede a vedere.

 ‘’Sam, io non mi sento in grado di valutare e punire in modo corretto il folletto. Lui ha fatto del male a te, e a te toccherà giudicarlo. Ma ricorda; dopo aver emanato il tuo verdetto, non potrai più tornare indietro. A te la parola’’, disse il Grande Drago.

 Questa richiesta colse di sprovvista Sam, ma non il Consiglio magico. A quanto pare, erano già tutti d’accordo.

Sam capì che il Grande Drago non voleva mettersi contro i folletti, emettendo una dura condanna. Quindi lasciava cadere tutto il peso di quella decisione su di lui, che non era altro che l’umano, ovvero colui che di lì a poco avrebbe lasciato quel mondo per sempre.

E le creature magiche sapevano che gli umani erano crudeli, cattivi, e sempre pronti a vendicarsi e a fare del male.

 Quindi, si stava cercando di scaricare tutto su di lui, che era visto come il capro espiatorio di turno. Anche il Grande Drago, in realtà, era un subdolo, si disse Sam tra sé e sé.

 Ed ebbe subito la sentenza pronta. Lasciò parlare il suo cuore e i suoi sentimenti in maniera libera, mentre tutti lo osservavano col fiato sospeso.

 ‘’Grande Drago, questa è la mia sentenza. Voglio che jack torni libero e che riprenda il comando del suo popolo. E’ vero, lui inizialmente mi ha fatto un torto, ma poi è stato un buon amico. Mi stava vicino, e mi raccontava storie, trattandomi da fratello. Mi ha fatto accettare dal suo popolo, e mi ha fatto sentire a casa. Io lo perdono. Non richiedo alcuna punizione’’, disse Sam tutto d’un fiato.

 All’inizio, ci fu solo il silenzio. Poi, la platea emise un grido di giubilo. I rappresentanti delle creature magiche sorrisero, e il Grande Drago parve stupito. Subito, le catene che tenevano imprigionato Jack scomparvero, e il folletto fu libero.

 ‘’Vai, Jack, torna dal tuo popolo. Io rispetto sempre la parola data’’, disse il drago. Jack passò di fronte a Sam; ora il suo sguardo era tra lo stupito e il felice. Prima di raggiungere il suo popolo, sfiorò Sam, e gli parlò sottovoce.

‘’Grazie, Sam. Non lo dimenticherò’’, disse, mentre le lacrime continuavano a scendere lungo il suo viso.

Con la sostanziale differenza che questa volta stava piangendo per la felicità, e non più per il dolore. Sam sorrise al folletto, mentre si allontanava velocemente.

‘’Grazie, Sam. Sapevo che era un ragazzo giusto. Bene, questa vicenda è conclusa. Torniamo alla tua richiesta. Spiegacela pure, ti ascoltiamo.’’,  disse il Grande Drago. Le varie creature ora lo guardavano, e parevano bendisposte verso di lui.

‘’Sarò breve. Sono giunto fin qui affrontando mille pericoli, per richiedervi di intervenire a favore degli umani di Fortwar. Il nostro impero sta venendo distrutto da popoli sconosciuti, che vengono aiutati da perfidi Demoni. Sono qui per richiedervi un aiuto, un’alleanza’’, concluse Sam.

 ‘’Va bene, Sam, grazie del messaggio. Ma non sta a me decidere su questa questione. Avanti, esponenti di ogni razza magica, dite se i vostri popoli sono disposti ad allearsi con gli umani’’, disse il Grande Drago.

Nonostante che la parola ‘Demoni’ avesse generato un brivido generale, e che il verdetto di Sam fosse piaciuto, quasi tutti i componenti del Consiglio scossero la testa.

La maggior parte non si prese neppure la briga di dire due parole. Giganti, arpie e tanti altri dissero che non avrebbero partecipato a nessun conflitto, tantomeno avrebbero offerto alcun supporto agli umani. Neppure i draghi e gli unicorni avrebbero partecipato.

Nessuno, fino a quel momento, si era espresso favorevole all’invio di truppe agli umani. Sam era avvilito.

Tra gli ultimi a dire la loro, ci furono gli elfi, che promisero di mandare una quindicina di guerrieri.

Poi, anche i nani si fecero avanti, e promisero di mandare alcuni dei loro, per supportare gli umani. Comunque, si continuava a parlare di cifre molto ridotte.

Con grande sorpresa di Sam, che fino a quel momento non l’aveva notato, parlò Wolfy, il grosso lupo che l’aveva salvato dalla Grande Tempesta, e che l’aveva consegnato a Saby.

Sam scoprì così che era lui il capo degli Akluth, gli invincibili lupi guerrieri che seminavano il terrore sulla terraferma e che potevano combattere anche in mare, sotto forma di grosse e feroci balene.

Ebbene, Wolfy assicurò il pieno appoggio del suo popolo, e promise che avrebbe partecipato al conflitto con tutti i suoi guerrieri.

 Finalmente qualche alleato, si disse Sam.

 Per ultimi, alcuni capi dei folletti promisero che avrebbero inviato alcuni dei loro. E così, il Consiglio era finito.

Sam ringraziò tutte le creature magiche, e in particolar modo quelle che sarebbero tornate con lui a Fortwar. Mentre molti si accingevano ad andarsene, il Grande Drago parlò a Sam.

‘’Ragazzo, ti aspetto tra poco in un luogo appartato. Devo parlarti di varie questioni, come la presenza dell’altra tua parte. Non so fino a che punto ti abbiano spiegato questo evento, ma io lo farò in modo completo. Saby ti accompagnerà nel luogo stabilito. A dopo’’, concluse il Drago, sparendo.

Sam rimase a fissare il vuoto. Le creature magiche erano uscite quasi tutte, c’era rimasta solo un po’ di calca di fronte alla grande porta principale, che era situata all’opposto di quella da cui era entrato Sam.

Sentì dei passi provenire da dietro di lui.

 Si voltò, e si trovò faccia a faccia con Saby e Jack. Jack fece un balzo, e lo abbracciò. Sam non sciolse l’abbraccio del folletto, anzi, lo ricambiò.

 ‘’Ben fatto, Sam. Ti sei comportato eccellentemente. Ora, però, andiamo; il mio signore ti attende’’, disse Saby.

‘’Aspetta un attimo. Volevo dirti una cosa’’, disse Jack.

‘’Dimmi pure’’, disse Sam.

 ‘’Mi odi per quello che ti ho fatto?’’.

‘’No’’, disse Sam, sorridendo.

‘’Allora mi hai realmente perdonato?’’, disse il folletto.

‘’Sì, Jack’’, concluse il ragazzo, con sincerità.

‘’Grazie, amico. Volevo anche dirti che sei stato leale con me. Se fossi stato giudicato dal Grande Drago, sicuramente mi avrebbe messo a morte. Come ricompensa per avermi salvato la vita, ti offro il mio posto di capo tribù. Sei un ragazzo saggio e leale, più buono di me, sapresti farti voler bene dal mio popolo. Ho già parlato con loro, sono disposti ad accettarti’’, disse il folletto.

‘’Oh, Jack, per favore! Il tuo popolo ha bisogno di un capo come te, io sono un umano, non potrei guidarvi. E poi è giusto che sia tu il loro capo, insomma’’, disse Sam.

Il folletto si ritrasse da lui, e gli fece un inchino, in segno di profondo rispetto.

 ‘’Grazie di tutto, Sam. Io e il mio popolo ti giuriamo fedeltà eterna. Ovunque andrai tu, andremo anche noi’’, disse il folletto.

‘’Ora basta ciance, però. Il Grande drago ci sta aspettando. Vieni, Sam’’, disse Saby, incurante di interrompere la conversazione.

‘’Andiamo’’, disse Sam, allontanandosi dal folletto, ma non senza lanciargli un sorriso. Un sorriso che significava molte cose. Amicizia, lealtà.. e questo il folletto lo capì.

Mentre Sam andava dal Grande drago, Jack si affrettò ad andare ad informare il suo popolo sulle sue decisioni.

Aveva deciso che avrebbe seguito quel ragazzo, anche a condizione di prendere parte ad un conflitto e ad abbandonare per sempre il mondo magico di Harlowhy.

E così avrebbe fatto.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura! Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo J

Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire la mia storia. Grazie J J

A mercoledì J

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

CAPITOLO 20

 

Tim e Sergej attesero con ansia le prime parole del giudice. Erano pronti a tutto, ormai.

Attorno a loro, erano riuniti tutti i cittadini e i soldati di Fortwar.

‘’Io , Giudice Supremo della corte imperiale, oggi parlerò per esprimere il volere del popolo della capitale e di ciò che rimane dell’impero’’, disse il giudice, in parte leggendo.

Fece una breve pausa, prima di riprendere il discorso. Lanciava strane occhiate ai due amici. Sembravano quasi divertite. Tim desiderava solo che quella farsa terminasse in fretta.

‘’Il popolo, supportato dalle milizie cittadine, grida a gran voce la parola ‘morte’. E sarà quello che avverrà. Noi, giudici imperiali, abbiamo ricevuto migliaia di segnalazioni provenienti da altrettante migliaia di persone diverse, e abbiamo ritenuto giusto il nostro intervento. Il popolo richiede giustizia, e questa sarà loro concessa!’’, disse il giudice, scandendo molto bene le parole.

 Dal popolo si alzò un grido di giubilo. I due amici continuavano a non capire.

Il giudice indietreggiò, e posò la pergamena nella mani di un suo segretario, che si avvicinò apposta. Poi, si avvicinò ai due amici, e riprese a parlare.

‘’Il popolo ha deciso. Anche noi, giudici imperiali, sulla base di prove concrete e referti medici, siamo d’accordo con esso. La decisione è questa. L’imperatore Iulius, figlio dell’empio e corrotto Claudio e di una negromante, a sua volta frutto di decine di altri imperatori corrotti che l’hanno preceduto sul trono, deve essere giustiziato  pubblicamente. Nessun imperatore può permettersi di far saccheggiare la sua capitale, e di far straziare il suo popolo. Lui, e il generale traditore John, sono ritenuti traditori da tutti noi qui presenti’’, disse il giudice, fermandosi un attimo.

 Tim e Sergej tornarono a fissarsi, stupiti. La folla, intanto, urlava di gioia.

 ‘’Noi giudici, grazie al potere conferitoci dal popolo e dagli imperatori precedenti, dichiariamo conclusa questa fase dell’impero. L’imperatore sarà giustiziato oggi stesso, la forca è già pronta. Il generale John, che sia per sempre maledetto, si è venduto al nemico, quindi non avremo modo di giudicarlo. Ma in ogni caso lo dichiariamo esiliato dalla capitale. A guidare i territori imperiali che non sono ancora caduti in mano nemiche, conferiamo pieni poteri e il titolo di generali supremi ai valorosi Tim e Sergej, che per mesi sono stati vicino al popolo ed hanno fornito un sostanziale aiuto a tutti. quindi, dichiariamo la nascita del nuovo impero di Fortwar, guidato dai nostri due nuovi e valorosi generali’’, disse il giudice, lanciando un fugace sorriso ai due amici, che erano sbalorditi.

 Il popolo festeggiava e gridava.

Già molti avevano iniziato a tracannare birra e a festeggiare.

Tim e Sergej finalmente si rilassarono un po’. Almeno, non erano loro quelli da impiccare. Ma non avevano intenzione di tradire l’imperatore. Almeno, Tim non ne aveva affatto. Il giudice parlò di nuovo.

‘’Ora, invitiamo i nostri due generali supremi ad andare a prendere l’imperatore dal palazzo. Portatelo qui, e giustiziatelo pubblicamente’’, disse nuovamente il giudice, mentre i due soldati che erano stati appostati dietro ai due amici per tutto quel tempo, si fecero avanti e strinsero due fasce di tessuto color porpora attorno ai loro avambracci.

Tim e Sergej sapevano che quel pezzo di stoffa significava che loro, ora, erano diventati ufficialmente i due generali supremi dell’impero. Erano rimasti senza parole, completamente travolti dagli eventi. Il giudice si avvicinò a loro, e parlò.

‘’Avanti, generali, andate e portate fuori il traditore. Al resto ci penseremo noi.’’

‘’No, noi non andremo a prelevare nessuno. Anzi, vogliamo dire a tutti che noi non siamo pronti per ricoprire questo incarico. Tantomeno per catturare e uccidere un imperatore’’, disse Tim.

 ‘’Allora, provate a spiegarlo a loro’’, disse il giudice, sorridendo, mentre indicava la folla.

 La folla aveva iniziato a gridare una sola frase; a morte il traditore.

Tim e Sergej scesero dal palco e iniziarono a muoversi verso il palazzo imperiale. Ora la situazione era ingestibile, ma magari, aspettando un po’, si sarebbe calmata.

Appena i due amici scesero dal palco, la folla li accompagnò fino al palazzo imperiale, lanciando grida sguaiate e offensive verso l’imperatore. I due amici non poterono fare altro che assecondare la situazione, e cercarono di dimostrarsi tranquilli, sorridendo a tutti.

 Ricoprirono in fretta i pochi metri che li separavano dal palazzo imperiale, e si accinsero ad entrare nel giardinetto. Notarono subito che era sguarnito.

Entrarono, e si diressero verso l’ingresso.

Lì c’erano appostate due guardie, che si congedarono, lasciando il passo ai nuovi venuti. Tutti erano d’accordo, tutti conoscevano il piano, tranne loro due.

 Mentre i due generali entravano, il popolo si fermò fuori, per devastare il giardino. Tim e Sergej si fecero coraggio, e percorsero quel lungo e largo corridoio, che percorrevano ogni giorno, e fecero una rampa di scale.

All’ingresso di una porta laterale, li stava aspettando una figura vestita con un semplice camicie bianco. Era un medico.

‘’Venite, generali, vi stavamo aspettando‘’, disse loro. I due amici entrarono nella stanza.

Di fronte alla finestra, che godeva di una buona vista sulla piazza principale, c’era l’imperatore Iulius. Era tutto trasandato, e aveva ancora una fasciatura stretta attorno alla testa. Si girò per guardare i due amici.

‘’Salve, generali e reggenti del nuovo impero di Fortwar. Sono pronto per essere giustiziato’’, disse loro, e con calma si avvicinò.

 Pose in avanti le braccia, pronto ad essere legato per essere trascinato fuori ed essere umiliato. Quella reazione prese alla sprovvista i due amici.

 ‘’Noi non giustiziamo nessuno. Staremo qui dentro per un po’, ad attendere che si calmino le acque. Poi contratteremo. Noi non tradiamo il nostro imperatore’’, disse Tim. Iulius ridacchiò con cattiveria.

‘’E’ inutile che fingiate. Avete approfittato della mia malattia e della mia assenza per ingraziarvi tutti. E ci siete riusciti. Avanti, portatemi fuori e impiccatemi. Ormai, qui nessuno mi seguirà più. Ho perso l’onore, e tutti mi odiano’’, disse Iulius, con toni sicuri.

 ‘’Ma, no sire, noi non l’abbiamo tradita così..’’, provò a dire Tim.

Ma ormai, l’imperatore si era già fatto delle sue idee. Era freddo in tutto, non era più il ragazzo che avevano conosciuto qualche mese fa. Forse, era colpa della botta che aveva ricevuto. I due amici questo non lo seppero mai con certezza.

‘’Avanti, portatemi fuori’’, disse.

‘’No’’, disse Tim, che guardò poi l’amico, che era rimasto impassibile. Strano, pensò Tim.

 ‘’Bene. Allora farò tutto da solo, come un vero sovrano rinnegato dal suo popolo. Uscite, guardie!’’, disse iulius.

 I due amici non fecero tempo a muoversi, perché furono immobilizzati da quattro grosse guardie, che erano rimaste nascoste alle spalle dei due amici. Tra l’altro, anche il medico che li aveva chiamati dentro la stanza si era tolto il camice. In realtà era una guardia camuffata.

‘’Visto cos’è successo? Avrei potuto dare l’ordine di eliminarvi, tutti e due, traditori che non siete altro. Ma non l’ho fatto, e questo solo per un semplice motivo. Perché il mio popolo non mi accetterebbe comunque’’.

 ‘’Basta, imperatore! Noi non siamo traditori! Noi non vi uccideremo! Lasciateci e troveremo un accordo’’, disse Tim.

 ‘’Ma allora non capisci? No, tu stai fingendo. Tu mi credi uno stupido’’, disse iulius, avvicinandosi a Tim.

Tim voleva parlare con Iulius, spiegarsi bene e chiarire tutto, e lanciò un’occhiata disperata a Sergej. L’amico gli riservò solo uno sguardo gelido. E Tim capì che doveva tacere.

Alzò gli occhi sull’imperatore, che ora era proprio di fronte a lui. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, e un sorriso folle sulle labbra. Un suo pugno serrato era a poca distanza dal suo volto. E in quel momento Tim comprese che Iulius era già morto, ucciso nel suo intimo dalla follia e dalla solitudine.

Per mesi era rimasto solo, chiuso dentro al suo palazzo, aveva sofferto, era stato vittima di una rivolta, si era beccato una pietra in testa ed infine era stato detronizzato dai suoi stessi sudditi. Inoltre, aveva ascoltato tutto quello che aveva detto il giudice dal suo palazzo.

La sua malattia non era scaturita solo da una botta in testa, ma dal potere. Tim attese una reazione di Iulius, e chiuse gli occhi, pronto a ricevere un pugno. Ma non fu colpito. Quando riaprì gli occhi, l’imperatore si era allontanato, e si accingeva ad aprire la finestra. Si girò, per un ultima volta.

 ‘’Io tra poco morirò, ma voglio darti un consiglio, mio caro Tim. Tu sei troppo buono e ingenuo. Stai attento a chi ti circonda. Le cose non sono sempre così come appaiono. Guardami, per un’ultima volta. Io sono il risultato dell’ingenuità, dell’incomprensione. Non commettere mai il mio errore, e tieni presente le mie parole. Oh, quasi dimenticavo; chiedi col tuo migliore amico’’, e segnò Sergej,’’ quello che faceva prima di incontrarti ad Arus. E quello che continua a fare, fingendo emozioni che in realtà non prova. Scommetto che non te l’ha mai detto, vero? E lui si dichiara tuo amico. Per un ultima volta, tieni gli occhi aperti, e impara a non fidarti di nessuno, se vuoi vivere’’, disse l’imperatore, pronunciando tutto come se fosse una profezia.

Poi spalancò la finestra, lasciando Tim a rodersi nel dubbio e nell’insicurezza.

Iulius uscì su un terrazzo che si affacciava proprio sul giardino, ormai devastato dai rivoltosi.

Il popolo lo fissò, e calò il silenzio. Le quattro guardie si fecero avanti, trascinando i due amici sul terrazzo. Tutti li stavano fissando. Iulius parlò.

‘’Popolo, guardatemi bene. Io sono il vostro imperatore, quello che voi avete condannato a morte poco fa. Sappiate che morirò, ma non per mano di quei due codardi dei vostri nuovi generali, ma per mano mia’’, disse Iulius tutto d’un fiato.

Poi, rapidamente, estrasse un minuscolo pugnale e se lo conficcò nel fianco destro.

 Tim notò che era decisamente troppo corto per provocare una ferita mortale. Eppure, in pochi istanti, iulius si accasciò e spirò. Si era pugnalato con un arma intinta in un potente veleno. A quel punto, le quattro guardie liberarono i due amici.

‘’Siete contenti, ora? Il vostro nemico è morto’’, disse una di esse.

 Poi, insieme, sfoderarono i loro pugnali e si colpirono, proprio come aveva fatto l’imperatore. Spirarono in pochi istanti.

Il popolo, nel giardino e nella piazza, urlava, intristito per lo scarso divertimento.

 Avevano pregustato una processione con l’imperatore in catene, la sua umiliazione, e poi la sua morte. Ma invece Iulius aveva scelto un percorso diverso per raggiungere il regno dei morti. Tim raggiunse la salma dell’imperatore.

 ‘’Sergej, aiutami’’, disse. Sergej lo guardò con un’aria interrogativa, ma obbedì, e sollevarono il corpo dell’imperatore.

‘’Non possiamo lasciarlo qui. Se lo prende il popolo, Iulius non potrà godere neppure di una sepoltura’’, disse Tim. Sergej scosse il capo, ma continuò ad aiutarlo.

Lo portarono giù, in cortile, dove furono acclamati come se fossero stati eroi. Il giudice che li aveva proclamati generali si avvicinò.

‘’Generali, volete festeggiare con noi? Ehi, ma che fate con quel cadavere? Lasciatelo subito lì. Il popolo lo deve vedere’’, disse, arrogante.

‘’No, questo lo teniamo noi come.. trofeo’’, disse tim, con un moto di disgusto verso sé stesso.

‘’Oh, ma il popolo potrebbe aversene per male. Dovete concedergli qualcosa in cambio, visto che vi hanno resi generali supremi e tutori del nuovo impero’’, disse l’avveduto giudice.

‘’Che si prendano il palazzo. Tanto noi non lo useremo’’, continuò Tim. Notò che Sergej gli stava lanciando brutti sguardi. Sguardi che sottolineavano il fatto che si era creata una frattura tra loro. E Tim, improvvisamente, si sentì solo.

Facendosi aiutare dall’amico, abbandonarono la piazza, mantenendosi ai margini in modo da non essere seguiti e riconosciuti, e si diressero al cimitero cittadino, dove scavarono una buca.

Così seppellirono l’ultimo degli imperatori di Fortwar. Iulius non godette di nessun onore, ma solo delle lacrime sincere di Tim.

Mentre per tutta la città si faceva festa, il palazzo imperiale stava venendo razziato e incendiato. Nella sera, l’orizzonte si fece di un rosso intenso, oscurato, ogni tanto, dal fumo provocato dal palazzo in fiamme.

 Tim si sentì perduto; era sempre stato un ragazzo amante dell’ordine, e ora nulla era più come prima.

Finirono con calma la sepoltura effettuata in una fossa anonima, nell’area riservata ai poveri, che non potevano neppure concedersi una lapide, per fare in modo che nessuno potesse disturbare il sonno eterno di Iulius.

 Tim volle ricordarlo per un ultima volta, in segno di rispetto. Volle dimenticare gli ultimi momenti della sua vita, per far riaffiorare i ricordi che aveva del giorno in cui l’aveva conosciuto.

Gli era sempre sembrato un duro, da quando li aveva salvati dalla derisione delle sentinelle, il primo giorno che erano giunti a Fortwar. In altre circostanze, avrebbe potuto fare meglio, e diventare un buon imperatore.

Seguito dall’amico, si allontanarono e andarono a sedersi in una panchina davanti casa loro. La gente passava di corsa per la strada, e gridava dalla felicità. L’imperatore, l’oppressore, era morto.

 Nessuno li degnava di uno sguardo, tanto erano presi dai festeggiamenti. Tim si fece forza ed espose la fatidica domanda.

 ‘’Sergej, cosa facevi prima di incontrarmi ad Arus?’’, chiese.

Sergej sorrise.

 ‘’Anzi, mi farebbe piacere scoprire chi sei veramente. In realtà siamo stati amici, abbiamo condiviso numerosi momenti insieme, io ti ho raccontato tutto su di me, ma tu non mi hai mai raccontato nulla su di te. Sul tuo passato, prima che ci incontrassimo’’, continuò.

 ‘’In realtà, quello che facevo è anche quello che ho continuato a fare fino a pochi istanti fa’’, disse Sergej, e il suo volto si fece triste.

‘’Cosa? Spiegati meglio’’, chiese Tim, curioso. Non riusciva più a riconoscere il suo amico. Ora, erano tornati ad essere i due estranei che erano entrati in conflitto ad Arus, il primo giorno che si erano visti.

 Sergej fece un respiro profondo, e iniziò il suo racconto.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti! Grazie per la lettura J

Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.

Vorrei informarvi che ormai siamo a metà storia. Mi farebbe molto piacere se vorreste dirmi cosa ne pensate di questi primi venti capitoli, se la storia è curiosa, cosa vi è piaciuto di più.. J

 Come vi ho già ripetuto mille volte, questa è la prima storia che scrivo, e il vostro parere è molto importante per me. Lo so che non sono proprio il top come scrittore, ma ho sempre cercato di migliorare, un po’ per volta, ogni giorno, per cercare di scrivere qualcosa di leggibile e interessante. Spero, fin qui, di esserci riuscito, e di continuare a riuscirci anche nei capitoli futuri J

Grazie mille a tutti quelli che continuano a seguire la mia storia, dandomi fiducia.

Grazie a tutti! J

Sabato pubblicherò un capitolo inedito, spero vi piaccia. I prossimi due capitoli saranno molto movimentati, e in più finiremo di conoscere tutti i nostri personaggi. Ci saranno sostanziali novità che riguarderanno alcuni dei nostri amici, ma mi fermo qui, non dico altro. Il resto lo scopriremo insieme, volta per volta J

Ancora una volta , un grande grazie a tutti!! J A sabato J

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

CAPITOLO 21

 

Ignaro di quello che stava accadendo a Fortwar, il Gran re Fermei era su tutte le furie.

 Era vero che aveva vinto sull’impero usando l’inganno, ma a sua volta era stato beffato.

I soldati imperiali stavano retrocedendo, avvisando la popolazione dell’imminente arrivo del nemico.

Inoltre, il popolo in fuga aveva bruciato i propri villaggi, e non era rimasto nulla per il suo esercito.

Era stato inutile il tentativo di inseguire i fuggitivi. Loro conoscevano meglio il territorio,e si erano sparsi su di esso a macchia di leopardo. Inoltre, avevano abbandonato i carri degli alimenti, e li avevano incendiati, tant’erano sicuri di trovare cibo presso gli abitanti della zona.

 Ora, Fermei stava fissando Palok. O, meglio, ciò che rimaneva di Palok.

La grande città era stata abbandonata dai suoi abitanti, e data alle fiamme. Certo, doveva essere stata una gran bella città, fino a pochi giorni prima. Alcune case fumavano ancora; era segno che i fuggitivi non dovevano essere andati molto lontano.

Ma la grande città era circondata da tre lati da un fitto bosco, così come tutte le città dell’impero. Ed un bosco era pieno di nascondigli, e stanare una ad uno ogni abitante sarebbe stato un immenso spreco di forze.

Appena il suo esercito avesse ripreso la marcia verso sud, probabilmente i civili sarebbero rispuntati come conigli. Ma non ora.

Gli unici che erano rimasti all’interno della città erano stati dei maghi di una strana setta, che erano stati subito eliminati dai Demoni. Il loro tempio, che era l’unica struttura rimasta intatta, era stato dato alle fiamme e razziato. Ma il malloppo era stato veramente scarso.

 Rabbioso, il re fece convocare i Demoni, che si presentarono subito dopo.

 ‘’Demoni, voi siete in grado di scovare tutti i civili che si nascondono nel bosco?’’, chiese.

 ‘’Certo, sire. Siamo specializzati nella caccia all’uomo’’, risposero, con un tono che non piacque per nulla al re.

‘’Bene. Allora, visto che siete affamati, vi do il permesso di catturare tutti quelli che troverete nel bosco. Ovviamente, i tre quarti di essi ve li concedo come pasto. Basta che me ne portiate una piccola parte di loro, da utilizzare come vostra scorta in caso ce ne sia bisogno.’’

‘’Perfetto, sire’’, dissero, soddisfatti. Fecero per incamminarsi. Il Gran re li bloccò.

‘’Ma ad una condizione.’’

‘’Dica pure.’’

 ‘’In cambio, dovrete racimolare tutta l’energia che potete raccogliere dentro di voi, per poterla riversare sui nemici, che ci attendono a sud. Ci state?’’, chiese il re.

‘’Va bene, sire. Ci stiamo’’, dissero.

 ‘’Bene, andate allora. Andate dove volete, e catturate più civili che potete. Tanto lo so che non vi daranno problemi, e che vi obbediranno. Sapete dove trovarci. Fate un buon lavoro, mi raccomando’’, disse Fermei. Sorrise ironico, poiché sapeva che quei mostri avrebbero stanato fino all’ultimo umano che si nascondeva nella zona.

Ormai, non provava più pena quando doveva affidare degli umani a quei mostri.

Quegli umani lo avevano beffato e gli avevano recato danno, quindi dovevano essere dannati. E poi, ogni loro vita sarebbe stata tramutata in forza per i Demoni.

Il suo animo, che stava diventando sempre più duro, si scioglieva come burro al sole solo quando vedeva la sua amata Ilse. Lei lo ricambiava, ne era sicuro. Ogni notte, giacevano insieme senza provare più la vergogna iniziale. Anche se ultimamente la ragazza era stata un po’ più assente, poiché affermava di avere alcuni disturbi, questo lasciava immutato il loro rapporto.

 Questo, andava a confermare il fatto che la doveva sposare al più presto.

Appena avrebbe conquistato Fortwar, l’avrebbe portata al palazzo imperiale e se la sarebbe sposata. L’avrebbe resa imperatrice dei due imperi, quello a nord e quello a sud del grande deserto.

Quando, la sera, confidava quei pensieri alla sua amata, vedeva chiaramente che erano cose che le interessavano. I suoi occhi brillavano nel buio, e lo amava ancora di più.

Fermei non si sarebbe mai aspettato di trovare l’amore così presto. E pensare che se non avesse avuto il coraggio, cinque mesi prima, di attraversare il grande deserto, non avrebbe mai incontrato Ilse.

Ma ora, purtroppo, aveva altro a cui pensare. I suoi soldati erano riusciti a reperire molto pollame e diversi cibi commestibili dal bosco, ma bisognava razionare tutto, e lui doveva dirigere attentamente questo processo, in modo che nessuno avesse modo di commettere degli illeciti.

Ancora una volta, convocò i suoi ufficiali.

 Avrebbe avuto molto da fare. Inoltre, non aveva intenzione di trovarsi a tu per tu con i nemici nel breve termine. Prima di tutto, i suoi uomini si dovevano rifocillare, così come i Demoni.

 Intanto, in questo modo avrebbe dato una bella lezione a quegli stolti che gli avevano incendiato le città.

Poi, chissà. Comunque, questa volta l’esercito imperiale non avrebbe vinto. Si sarebbe preparato in modo impeccabile.

Si sarebbe vendicato di tutto, a suo tempo.

 

 

I Demoni erano felicissimi.

Finalmente, avrebbero potuto fare ciò che più piaceva a loro. La caccia all’umano.

 Dopo mesi di sofferenza e fame, avevano pensato di non riuscire più a trattenersi. Avrebbero voluto strangolare quello stupido Gran re, gettarlo nella polvere insieme al suo misero esercito.

Ma, purtroppo, dovevano ancora stare al gioco. Il loro momento non era ancora giunto, ma si avvicinava ogni giorno di più.

Mentre pensavano, iniziarono la loro silenziosa caccia. Avrebbero cacciato insieme, avevano deciso di non dividersi.

Subito, individuarono una preda. Era a poca distanza da loro.

Si avvicinarono, quatti.

 Avevano già l’acquolina in bocca.

Una nuova vittima da veder soffrire, che poi non era altro che un pasto sostanzioso consumato con una buona dose di soddisfazione.

Si acquattarono dietro un largo e basso cespuglio di ginepro. E scostarono le foglie, leggermente, senza fare rumore. Prima volevano vedere quello che stava facendo la vittima, visto che restava immobile, seduta a terra. Poi, era troppo vicina al campo dei guerrieri Sconosciuti.

Chiunque fosse, era stato veramente un imprudente ad avvicinarsi così tanto.

Ma quando videro chi era l’umano, o meglio, l’umana, rimasero stupiti.

Si guardarono, con i loro volti umani stirati dalla sorpresa, e decisero di attendere un attimo, prima di presentarsi e di uscire allo scoperto. Volevano proprio farle una sorpresa. Una sorpresa non gradita.

 

 

Ilse se ne stava china a cercare ciò che gli serviva, immersa nella boscaglia.

Era uscita dalla sua tenda, e si era addentrata nel fitto bosco che circondava il campo militare.

Aveva una particolare passione per le more selvatiche, che lì crescevano spontaneamente. Tra l’altro, il cibo dell’accampamento era scarso e disgustoso. Inoltre, ne approfittava per andare a cercare delle speciali erbe anticoncezionali, che crescevano solo nel fitto e umido sottobosco di quella zona.

Naturalmente, era uscita senza guardie. Non le piaceva sentirsi seguita, ed inoltre, dopo la missione contro il generale, si sentiva pronta a difendersi da qualsiasi cosa.

Si preparò a tornare alla sua tenda, tanto ormai aveva trovato tutto quello che cercava. Ma, da un cespuglio poco distante, spuntarono i Demoni.

‘’Che ci fate qui, mostri?’’, disse Ilse.

‘’Ehi, ragazza, non offenderci. E non agitarti. Potrebbe farti male’’, disse la voce demoniaca.

‘’Non sta a voi dirmi ciò che mi può far male o meno. Andatevene, e lasciatemi in pace.’’

‘’Vedo che tra poco il nostro Gran re avrà buone novelle. Complimenti, Ilse. Non potevi fare di meglio.’’

‘’Cosa volete insinuare?’’, disse Ilse, che iniziò ad indietreggiare.

 ‘’Che sei una serpe. Ti abbiamo tenuto d’occhio, sai? Tu non ami il Gran re, e certo una gravidanza va a tuo favore. Ora potrai far fare a Fermei ogni cosa che ti pare. Sei la sua donna ormai, la futura madre di suo figlio’’, dissero i Demoni.

‘’Che cosa state dicendo?’’, chiese Ilse, non capendo bene fin dove volessero spingersi quegli esseri, non nascondendo un po’ di stupore.

‘’Che sei incinta, cara. Noi che possiamo vedere le anime abbiamo visto tutto di te. E sei incinta di quasi un mese’’, dissero i Demoni, lanciandogli un’occhiata per vedere meglio la sua reazione.

No, si disse Ilse, non è possibile. Era stata attentissima a seguire alla lettera i consigli della sua anziana serva, e aveva sempre assunto le speciali erbe ogni sera, come le era stato detto.

‘’Basta. Lasciatemi in pace e andatevene. Voglio tornare alla mia tenda’’, disse Ilse, fingendosi risoluta, per allontanare quei mostri. Intanto, la sorpresa stava crescendo dentro di lei.

‘’Non avevi pensato a una possibile gravidanza? Adesso aspetti un figlio di quello stupido Gran re. speriamo venga un po’ più furbo del padre’’, dissero ancora  i Demoni, con ironia crescente.

‘’Vedo che neppure voi lo amate. Eppure in sua presenza lo lodate, e lo chiamate alleato.’’

 ‘’Brava, Ilse. Vediamo che hai intuito più del previsto.’’

 ‘’Credete che io sia cieca? Vedo odio, odio profondo nei vostri occhi, ogni volta che parlate con il Gran re’’, disse Ilse.

‘’Ragazza, noi possiamo solo riferirti una cosa; che le pagherete tutte. Vi pentirete di averci risvegliati di nuovo’’, dissero i Demoni, e fecero per andarsene. Poi, si girarono all’improvviso.

‘’E non tentare di metterci contro il Gran re. Se fai qualcosa contro di noi, la tua vita avrà fine. Tutto quello che ti abbiamo detto è un segreto. Un segreto tra noi e te. Conservalo bene, ragazza, se non vuoi provare immense sofferenze. Ma sappiamo già che tu non ci tradirai. Perché tu, in fondo, sei come noi’’, conclusero i Demoni, pronunciando tutto con un odio crescente.

Poi si girarono, e sparirono nella boscaglia.

Ilse era scossa. I Demoni erano creature pericolose per tutti. E lei ora li temeva. Si chiese se fosse vera la rivelazione che gli avevano appena fatto. Per scoprirlo, aveva solo un modo.

 Con passi decisi, tornò alla sua tenda e si gettò sul letto. Chiamò subito la sua anziana serva di fiducia.

 

 

Dopo solo una piccola e frettolosa visita, la serva garantì che lei era incinta.

Ilse doveva ancora metabolizzare quel fatto, ma era anche vero che tutto girava nuovamente in suo favore. Avrebbe tenuto quel bambino, e ne avrebbe affrontato tutti i possibili rischi o conseguenze.

Costrinse la serva a giurare che non avrebbe detto nulla su ciò. Nessuno doveva saperlo, per ora. Lei avrebbe aspettato il momento più opportuno per dirlo a Fermei.

 E allora, lo avrebbe costretto a sposarlo.

Lei sarebbe diventata l’imperatrice, e suo figlio un principe.

Quello era un sogno che stava diventando realtà. Sorrise, e cercò di dimenticare le odiose parole dei Demoni.

Non avrebbe detto nulla a Fermei su di loro, ma non avrebbe mai permesso a quelle creature meschine di mandare in frantumi i suoi piani.

 Anche a costo di perdere la vita. Perché, per lei, una vita senza potere non era vita. Era una delusione.

 

 

NOTA  DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura!

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto J

Grazie a tutti quelli che ormai mi seguono da un bel po’ e grazie a chi recensisce.

Grazie, ancora, a tutti!! J A mercoledì

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

CAPITOLO 22

 

Sergej fece un altro profondo respiro, ed iniziò a parlare.

Per Tim, quella breve attesa era quasi diventata insostenibile.

 ‘’Bene, Tim, devi sapere che io non sono originario di Arus, come pensavi tu. Io vengo da Fortwar, come te. Mio padre era una spia segreta dell’imperatore Claudio, ma è morto eseguendo una missione molto complicata. La stessa che poi fu affidata a me, poco dopo la sua scomparsa’’, disse, prima di essere interrotto da Tim.

‘’Ma come? Tu quindi eri una spia imperiale?’’, chiese, sorpreso.

 ‘’Non ti eri mai accorto di nulla? Non avevi mai avuto dei sospetti sulla mia reale attività? Non importa, ti dirò tutto. Non voglio più segreti fra noi’’.

‘’No, lo ammetto, non ho mai sospettato nulla’’, rispose ugualmente Tim.

‘’Va bene, ma tutto ciò che ti dirò non deve mettere in affanno la nostra amicizia. Voglio precisare che ora posso parlare liberamente di tutto, perché non devo più mantenere il segreto professionale. L’imperatore, ormai, è morto. Ma torniamo indietro. Quando tu mi conobbi, mi stavo fingendo un soldato spedito per punizione ad Arus. Arus era disprezzata dai soldati di Fortwar, la motivazione quindi ci stava, così venni accettato senza dubbi dal comandante della guarnigione. In realtà ero giunto fin lì per tenere sotto osservazione quella critica situazione, che come hai notato anche tu, era pessima. Il comandante era sempre ubriaco, e la vigilanza era scarsa.’’

 ‘’Oh. Fin qui capisco. Ma poi, perché ti avvicinasti a me, la sera dell’invasione?’’, chiese Tim, sempre più sorpreso di scoprire un lato oscuro dell’amico.

 ‘’Perché tu ti presentasti, come sicuramente ricorderai, come un soldato sopravvissuto al nemico. Io lo riferii ai miei superiori, e loro mi ordinarono di seguirti e pedinarti. Nessuno era mai sfuggito all’ira degli Sconosciuti, e tu potevi essere un pericoloso disertore. Così decisi di avvicinarti, la sera della caduta di Arus, per socializzare e farti confidare con me. Poi, però, la storia ha preso una certa piega.

 Arus era caduta, e ho deciso di continuare a seguirti.  D’altronde, non avevo altre possibilità. Non ho avuto molte possibilità di contatti con i miei superiori durante il viaggio verso Fortwar, anche se qualcosa riuscii ugualmente a passarglielo. Comunque, appena giungemmo alla capitale, quando tu andasti a cercare Ilse, io andai a recapitare dettagliate informazioni su di te’’.

‘’Che bell’amico! Grazie’’, disse Tim, in modo sarcastico, ma allo stesso tempo duro.

 ‘’Tim, a quel punto eravamo già amici. Io mi fidavo di te, ed ho sempre riferito belle parole sulla tua condotta. Come potresti credere che l’allora principe ereditario Iulius avesse dato a due perfetti sconosciuti il ruolo di sostituti del generale supremo nella capitale?’’.

 ‘’Oh, ora capisco. Non valeva la motivazione che eravamo estranei alla vita di Fortwar, ma ci è stata affidata questa mansione solo perché tu eri una delle più fidate spie dell’imperatore, e io ero sotto il tuo controllo. Ed inoltre avevi parlato bene di me. Oh, Sergej, che grande amico che sei, mi hai fatto proprio un piacere!’’, ribadì Tim in toni irosi, e si alzò da sedere per allontanarsi dall’amico.

 ‘’Tim, non fare così! Ti voglio bene, mi sono affezionato a te, non ho convissuto con te sotto lo stesso tetto per spiarti, caspita! Devi anche sforzarti un attimo e capirmi. Non avevo altra scelta’’, disse Sergej, costernato.

 ‘’Ora capisco perché Iulius ha parlato di tradimento. Quando ci ha visto nella piazza principale, ha pensato che tu, uno dei più scaltri in circolazione, avesse sparso voci su di lui. Ed ecco anche perché Iulius non ha voluto più vederci dopo il suo risveglio. Perché pensava fossi stato tu a pagare i sobillatori per ribellarsi a lui!’’, disse Tim, facendo a voce alta dei ragionamenti logici.

‘’E se anche fosse andata così?’’, disse Sergej, scrollando le spalle. Tim si girò di scatto verso lui, e lo fissò intensamente.

 ‘’No.. questo non dovevi dirmelo. Sei stato tu ad aizzare tutti! E’ per questo che le ribellioni sono iniziate quando siamo arrivati noi in città. Hai pagato dei sobillatori, quegli uomini vestiti di nero prima, e i giudici imperiali poi, con i soldi che ti dava l’imperatore per le tue spiate. Hai usato il popolo e l’esercito, hai fatto condannare l’imperatore.. Ma tu sei un mostro. Chissà fin dove può spingersi la tua mente malata’’, disse Tim all’amico.

E prese ad allontanarsi a piedi, scioccato.

 ‘’Torna qui, Tim! Ma non capisci? Ho fatto tutto per il nostro bene! Io non volevo fare la spia! Sono stato costretto dalle circostanze. Mio padre doveva estinguere un debito con le casse imperiali, ed è morto improvvisamente, poco prima di riuscire a concludere una sua missione delicata.. e io dovevo pur trovare un modo per tirare avanti. L’unico modo che mi fu offerto fu quello di continuare ciò che lui faceva. Oh, Tim, tu sei l’unica persona al mondo a cui io tenga veramente. Devi credermi e capirmi. Vienimi incontro, anche se è difficile’’.

‘’In tutta sincerità, non ti comprendo. Almeno, non fino in fondo’’.

‘’Tim, se l’imperatore non fosse morto, non sarei mai potuto essere me stesso. Io dovevo svolgere l’attività di spia perché mi permetteva di dare un contributo all’impero senza versare denaro, poiché non avevo neppure uno spicciolo in tasca. Ero solo una nullità che doveva usare solo le orecchie e nascondersi il viso dietro una maschera di falsità! E poi, io ti volevo bene. Vedo che tu, Tim, sei una persona buona e giusta. Non tradiresti mai nessuno così come ho fatto io. Tu devi salire al potere. E io ti ho facilitato il percorso. Ti giuro che appena finita questa guerra, se saremo ancora vivi, lascerò a te il governo di Fortwar, e mi ritirerò dalla mia carica! Comprendi quello che sto dicendo? Ti renderò un re!’’, disse Sergej con foga crescente.

 Tim non riconosceva più il suo amico. Doveva riconoscergli che era stato bravo a mantenere una maschera sul suo viso, a fingere timidezza e varie sensazioni che in realtà non aveva mai provato.

‘’Tu, Sergej, sei un essere molto diverso da me. Lo comprendo solo ora. Io non voglio il potere. Io non voglio inganni. Io non voglio doppi giochi. Io voglio vivere la mia vita in pace e onestà’’, disse Tim.

 ‘’Io..’’.

‘’No, tu niente. Ho sentito abbastanza, per questa sera. Ora voglio solo riposare’’, disse Tim, e andò ad aprire la porta di casa.

‘’Tim, ho fatto tutto questo per il mio bene.. e per il tuo’’.

 ‘’No, tu lo hai fatto solo per te stesso. per salvare la tua pellaccia dai ricatti dei tuoi creditori! Ma ti rendi conto della gravità delle tue azioni? Hai fatto suicidare un imperatore, hai fatto in modo che il popolo si ribellasse, poi Fortwar è stata data alle fiamme.. e ora, pure il palazzo imperiale è distrutto. L’impero sta morendo anche per colpa tua. Inoltre, io continuo a sentirmi tradito’’.

 ‘’Tim, Tim, ti prego, ragiona.. comprendimi’’.

‘’Non ci riesco. Buonanotte’’, disse Tim, entrando in casa.

‘’Mi ospiterai ancora?’’, chiese Sergej.

 ‘’Tanto, ormai, che differenza fa?’’, disse Tim, che si gettò sul suo letto e chiuse gli occhi, fingendo di dormire.

 Quella notte non chiuse occhio, e sentì l’amico piangere, mentre cercava di nascondere i singhiozzi con il cuscino.

 

 

Il mattino successivo, Sergej andò a fare colazione solo quando Tim si accinse ad uscire.

 ‘’Tim..’’.

‘’No, non dire nulla. Oggi è un nuovo giorno. Ti prego di non rovinarmelo’’.

Sergej si zittì subito.

 ‘’Partirò oggi stesso. dammi cinquanta dei tuoi soldati. Parto per Vargan’’, continuò Tim.

Sergej rimase stupito da quella decisione repentina. Ma voleva troppo bene all’amico per ferirlo ancora, e mostrare dei dubbi. Annuì.

 ‘’Va bene. Io ti aspetterò qui’’.

 ‘’Sì, tu coprici. Inizia a rinforzare le mura di Fortwar, e prepara la capitale per accogliere degli eventuali profughi. Non dare la nostra vittoria per scontata’’.

‘’Sarà fatto tutto come tu hai detto’’, disse Sergej, docile. E Tim capì che l’amico ci teneva veramente a lui, anche se la pensava sempre in modo diverso.

Tim andò a prepararsi. Sopra la solita giubba verdognola, si mise una veste nera. Simbolo di lutto. Sergej lo guardò, incuriosito.

 ‘’Volevi così bene a Iulius?’’, chiese.

‘’No. Questo lutto riguarda me stesso. Io non sono un traditore. E lo dimostrerò. Il traditore, qui, sei solo tu. Sarò pronto a morire per l’impero. Il vero Tim, quello ingenuo, è stato seppellito ieri sera insieme all’imperatore a cui aveva giurato fedeltà’’, disse Tim, stringendosi poi il pezzo di stoffa color porpora nell’avambraccio. Quello era il simbolo del suo potere, l’unica cosa che gli fosse rimasta.

 ‘’Tim ti prego di smettere di provare rancore per me. Sarei morto se ti avessi confidato chi ero. E saresti morto anche tu. Ti chiedo scusa se ti ho spiato, e se ti ho messo in condizioni diverse da quelle che tu volevi. Ma non ho mai fatto nulla di male nei tuoi confronti. Ho solo speso belle parole’’.

 ‘’Ma tu proprio continui a non capire! Lo so che non potevi svelarti di fronte a me. Ma è stato il tuo comportamento vigliacco, usando me e il popolo. Basta cercare giustificazioni, mi hai usato per i tuoi scopi. Come se io non contassi nulla. Ricorda, che mi hai preso in giro fino a poche ore fa fingendo che fosse tutto a posto. Fingevi stupore, fingevi di non saper nulla, ma in realtà eri già libero dalle tue catene, perché tutti odiavano già l’imperatore, e nessuno ti avrebbe più fatto nulla o ricercato. Sei solo un essere crudele’’.

 ‘’Ora sei tu, che non capisci. Tutto questo io l’ho fatto anche per te, per darti un futuro! Come ti ho già detto, ti voglio bene. Molto bene. E ho voluto darti un’opportunità. Iulius non era la soluzione della crisi dell’impero! Iulius era un instabile, che ultimamente aveva problemi sia fisici che mentali. Lui non era più un soggetto idoneo a dirigere questa critica situazione. Da quando ti ho visto in veste di sostituto del generale supremo, ho visto in te qualcosa di importante. Ho visto che eri leale e sincero, pronto a farti in quattro per i tuoi uomini e per il popolo, e questo non è da tutti. per di più, sei portato per il comando. Quando giurai fedeltà all’impero, anche se fui quasi costretto, giurai di sostenere per sempre il suo bene. E tu lo sei, e io ti ho voluto far posto. Poi, poco importa i mezzi che ho dovuto utilizzare. All’impero, ormai, servono solo uomini come te’’.

 ‘’Ora basta. Vado a preparare i miei soldati. Fammi raggiungere dai tuoi entro due ore’’, disse Tim, interrompendo quell’ormai ripetitiva conversazione.

 Era inutile rodersi dentro, era già accaduto tutto. Tim ora si sentiva cambiato, e giurò di non farsi prendere più in giro.

 Radunò i suoi soldati in fretta, e li costrinse a partire senza neppure salutare i familiari. Chi gli si avvicinò per fargli i complimenti per la sua nuova carica, fu preso e punito con quattro frustate.

Ben presto, tutti stavano ben attenti a seguire ordinatamente i suoi ordini e a non fare più i lecchini.

Quando giunsero gli altri cinquanta soldati, li mise in riga subito e partì immediatamente alla volta di Vargan. Avrebbe percorso il tragitto a marce forzate, ed entro tre giorni sarebbe stato lì.

 Quando lasciò la capitale, in testa al suo esercito vestito di un verde omogeneo, Tim appariva forte e severo.

Sergej lo guardava dai camminamenti. Gli fece un cenno di saluto, che ovviamente non fu ricambiato. Sergej sorrise tra sé e sé. Appena capirà che lui è portato per il comando, e che il fato vuole solo lui alla giuda di ciò che resta dell’impero, tornerà come prima, si disse, mentre osservava l’allontanarsi del piccolo esercito. E tornerà ad essere il mio amico di sempre, continuò a ripetersi dentro. Non era pentito per quello che aveva fatto, poiché sapeva che quella era la strada giusta per seguire il bene di tutti.

 Il popolo rimase colpito dalla veste nera di Tim, e dal suo comportamento rigido.

Quel giorno nacque la leggenda del Generale Nero.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura! J

Questo è stato un capitolo molto complesso da scrivere, quindi vi chiedo clemenza se trovate qualcosa che non va. L’ho letto e riletto, spero che la vicenda sia ben comprensibile.

Povero Tim! Si è sentito tradito da un amico, ma non ha ancora compreso che questo è stato fatto solo per il suo bene.. Ma il resto lo scopriremo insieme più avanti J

Ho cancellato quell’inutile prologo, quindi vi apparirà un capitolo in meno.

Spero vogliate lasciare un vostro pensiero su questo capitoloJ

Grazie, a sabato J

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

CAPITOLO 23

 

Sam si trovò di fronte ad una porta chiusa.

Doveva solo premere sulla maniglia, ed ella si sarebbe aperta. Era in legno, ed aveva l’aria di essere ben resistente.

I suoi stupidi pensieri, dovuti allo stress a cui era stato sottoposto nelle ultime ore, sparirono quando Saby lo lasciò lì , da solo. Mentre si allontanava, gli gridò dietro.

 ‘’Apri quella porta, Sam, avanti! Lì ti sta aspettando il Grande drago’’, disse, continuando ad allontanarsi.

La realtà era che Sam stava perdendo tempo volontariamente.

Aveva paura di aprire quella porta, perché sentiva dentro sé che non sarebbe stato più in grado di sostenere altro stress mentale. Era stanco.

Ma alla fine si decise. Abbassò la maniglia ed aprì la porta. Dentro era buio pesto.

Sorpreso, fece per richiudere. Tanto, lì non c’era nessuno. Ma una voce lo fermò.

‘’Entra e chiudi la porta’’, disse. Era la voce del Grande drago.

Sam entrò, e si richiuse la porta dietro di sè. Poi, la stanza fu illuminata improvvisamente da una luce, che proveniva da una torcia. La stanza era piccola, e Sam, inizialmente, non vide nessuno.

‘’Sono qui, Sam’’, disse di nuovo il drago. Sam si girò in modo brusco, e vide un uomo adulto seduto poco distante da lui. Sam fu sorpreso.

‘’Che c’è? Ti spavento così? Scusa, avevo pensato che mutando il mio aspetto ti avrei fatto sentire più a tuo agio. Ma rimediamo subito’’, disse, e l’uomo si tramutò in un piccolo drago, che risplendeva mille colori.

‘’Mi hai riconosciuto, ora?’’, continuò a dire il Grande drago, ridacchiando.

‘’Sì, certo, Grande drago. Ma tu sai anche cambiare aspetto, quindi?’’, chiese ingenuamente Sam. Era ovvio che poteva, l’aveva appena visto coi suoi stessi occhi, si disse Sam, e maledì la stanchezza che gli intorpidiva il cervello.

‘’Oh, sì, Sam. Io posso prendere qualsiasi forma tu desideri. Soprattutto in questo luogo, dentro la mia reggia. Ma torniamo a noi. E al nostro problema. Non ho intenzione di farti preamboli, rubando solo tempo prezioso. Il tuo popolo avrà bisogno di te, a breve. Ma, prima di tutto, ora devi conoscere meglio l’altra tua parte. Perché sarà proprio quello il tuo problema’’, disse, ed apparve la sua parte addormentata.

‘’Dunque, innanzi tutto, prima di risvegliarlo dal sonno magico, vorrei consigliarti di non fidarti mai di lui. Lui cercherà di ingannarti, stai attento alle belle parole che usciranno dalle sue labbra. Lui, d’altronde, rimane sempre la tua parte malvagia. Ti consiglio di tenerlo sempre sorvegliato, anzi, è meglio se lo farai imprigionare in qualche segreta quando tornerai nel tuo mondo, in modo che non possa combinare guai. Poi, ultima cosa, devi sapere che voi due vivrete fintanto che uno dei due muore. Non potete più fondervi per tornare entrambi in un unico corpo, poiché gli effetti della pozione magica sono irreversibili. Ma, ripeto, se uno dei due morirà, morirà anche l’altro’’, disse il drago, concedendosi una pausa.

 ‘’Sì, a grandi linee me lo aveva già accennato anche Saby’’, disse Sam.

‘’Bene. Allora direi che sai tutto. Ora lo risveglio, così potrete fare conoscenza sotto il mio controllo. In caso di reazioni esagerate, lo riaddormenterò’’, disse il drago, che andò a sfiorare le tempie dell’addormentato con le lunghe unghie della sua zampa sinistra.

 Il Sam dormiente si mosse per la prima volta. Poi, aprì gli occhi, e si alzò di scatto. Si guardò attorno, e fissò i suoi occhi su Sam. Sam rimase immobile. Alla fine fu la sua copia a rompere il silenzio.

 ‘’Ciao, fratello. Alla fine, come vedi, il lucertolone mi ha svegliato. Piacere di conoscerti’’, disse la copia, avvicinandosi e sorridendo.

Il Grande drago non fece commenti sul vocabolo utilizzato per descriverlo. Anzi, se ne stette fermo, attento a tutto e pronto ad intervenire. I due Sam si avvicinarono, e si fissarono. Poi, d’istinto, si abbracciarono.

‘’Finalmente, fratello! È da quando siamo stati divisi che sognavo questo momento. Ma quello mi ha addormentato’’, disse la copia, indicando il Grande drago.

‘’Sì, ma ora ho un problema. Non so come chiamarti’’, ammise Sam.

‘’Chiamalo Bad. Così, ogni volta che pronuncerai il suo nome, ti tornerà in mente chi è in realtà’’, disse il Grande drago, intervenendo.

‘’Senti, bestiola luccicante, lo so che ce l’hai con me. Ora basta però, se no inizio a risponderti per le rime’’, disse Bad, con toni infantili. Sam rimase un po’ sorpreso.

‘’Va bene, Bad. Però ora, siediti e lascia finire gli ultimi discorsi che ho rimasto in sospeso con Sam’’, disse il drago. Sam si avvicinò al dragò, per sussurrargli qualcosa.

 ‘’In fondo Bad mi sta già simpatico’’, sussurrò Sam al drago.

‘’Sì, ma è solo apparenza. Ai tuoi occhi apparirà docile e infantile, ma non è così. Stai sempre attento e controllalo sempre. Non smettere mai di sorvegliarlo, e non perderlo mai di vista’’, sussurrò il drago.

 Ci fu una piccola pausa. Poi, il grande drago riprese a parlare.

‘’Molto bene, Sam. La tua permanenza nel mondo magico si concluderà tra poco. Voglio scusarmi dell’inconveniente, ma so che ormai hai già perdonato tutto. Ti ringrazio, ti sei comportato in modo saggio. Tra poco salperete per Fortwar’’, disse.

‘’Chi verrà con me?’’, chiese Sam.

 ‘’Verranno Bad e tutti quelli che hanno accettato di combattere a fianco degli umani. Con la magia, creerò un numero sufficiente di navi, per potervi scortare tutti. Sulle navi ci salirete te e Bad, con elfi, nani e folletti. Gli Akluth, i feroci lupi, invece, vi scorteranno sotto forma di balene’’, disse il drago.

‘’Oh, però dubito che saremo sufficienti per salvare il destino dell’impero’’, disse Sam, esprimendo quel fatidico dubbio che frullava già da un po’ nella sua mente.

‘’Devo specificarti una cosa. Se i Demoni non avessero preso parte alla guerra, nessuno ti avrebbe seguito. Quindi, accontentati del tuo risultato. Comunque, per aiutarti, ho deciso di farti un dono. Un dono importantissimo. Guarda’’, disse il drago, mostrando a Sam una piccola sfera che emanava una luce propria.

Era bellissima, al tatto sembrava che fosse fatta di vetro, con al suo interno un materiale che risplendeva al buio, un materiale che sembrava fosforescente. Era lievemente tiepida, come se fosse viva.

 ‘’Che cos’è?’’, chiese Sam, affascinato.

 ‘’Consideralo un mio dono. Conservalo. Nel caso che tutto sembri perduto, e che nessuno possa più fare nulla per salvare il tuo popolo, tu gettala a terra, e grida Diamond. Diamond è il mio nome, non dirlo mai con nessuno. Lo conosciamo solo io, te e Bad. Mi raccomando, è un segreto. Tranquillo, Bad non lo riferirà a nessuno, l’ho sottoposto a una magia che gli impedirà di pronunciare questo nome. Quindi, nel caso non ci siano più possibilità di successo, tu getta a terra la sfera e grida il mio nome. Ella si romperà, avvisandomi, e io ti verrò in soccorso. Intesi?’’, disse il drago.

‘’Sì, grazie Grande drago’’, disse Sam, con gentilezza.

 ‘’Ultima cosa. Con voi verranno anche Jack e il suo popolo, me lo hanno richiesto poco fa. Spero non ti dispiaccia.’’

‘’No, nessun problema. Anzi, meglio, più siamo meglio è.’’

 ‘’Bene, Sam, tu e Bad siete pronti per partire. Appena uscirete da questa camera, verrete automaticamente teletrasportati nel luogo da cui salperete. Addio, Sam’’, disse il drago.

‘’Avrò modo di tornare ancora nel mondo magico?’’, chiese Sam con malinconia.

 ‘’No. Però mi sa proprio che, presto o tardi, ci rivedremo da qualche parte. Addio, Sam. Vai, è ora. Anzi, siamo già in ritardo’’, concluse il drago.

Sam, seguito da Bad, uscirono dalla stanza, aprendo la stessa porta dalla quale Sam era entrato poco prima. Erano avvolti da un buio pesto.

 Poi, tutto a un tratto, si ritrovarono sulla stessa spiaggia dove si era risvegliato Sam al suo arrivo ad Harlowhy. C’erano già sei  grosse imbarcazioni di legno, pronte a prendere il largo. Le grosse balene erano già pronte a partire.

Sam e Bad si affrettarono a salire sull’imbarcazione dove Jack li stava aspettando con ansia. Il folletto e il ragazzo si abbracciarono, felici di rivedersi. Il folletto lanciò uno sguardo di terrore a Bad.

‘’Oh, Jack, tranquillo. Si chiama Bad’’, disse Sam ,ridacchiando.

‘’E’ tutto a posto. Potete partire’’, disse Saby, sbucando all’improvviso dietro a loro.

‘’Saby! Vieni anche tu con noi?’’, chiese Sam.

‘’No. Ma non temere, umano, ci rivedremo molto presto, in un altro mondo. Addio!’’, gridò, prima di spiccare il volo e di tagliare gli ormeggi.

 Le imbarcazioni presero velocemente il largo, come se fossero spinte da una forza magica. Il mondo magico scomparve, velocemente, dietro di loro.

 Attorno a loro, ogni tanto, a pelo d’acqua, spuntava il dorso di una balena, spruzzando acqua. Era un grande branco, composto forse da centinaia di individui. Gli Akluth avevano voluto partecipare in massa alla guerra.

Poi, dopo un breve periodo, le navi rallentarono, talmente tanto da sembrare quasi immobili, immerse nella bonaccia dell’oceano. La Grande Tempesta era scomparsa, resa quieta dalla magia del Grande drago.

Così, anche se il percorso verso Fortwar sembrava spianato senza imprevisti, sarebbe sempre stato lunghissimo. A Sam non importava molto.

Era in buona compagnia, e passava il suo tempo giocando a dadi con i folletti o parlando con Bad, con cui legò molto. Mai una volta diede segno di essere aggressivo o inquieto.

 Sam sapeva che era trascorso molto tempo da quando aveva lasciato l’impero, e non sapeva cosa si sarebbe trovato di fronte una volta tornato a casa.

Ma ogni cosa a suo tempo, e ora Sam voleva solo godersi il meritato riposo, che gli veniva permesso da quella navigazione lenta.

Sì, il viaggio si preannunciava veramente molto lungo, si ripeté Sam a sé stesso, prima di riprendere il suo solito riposino pomeridiano, cullato dal lento oscillare dell’imbarcazione.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per la lettura!

Sam ha abbandonato il mondo magico, e sa che non ci tornerà mai più. Però, ora lo attende Fortwar. Sarà pronto ad affrontare tutti i cambiamenti che sono avvenuti durante la sua assenza? Chissà J Lo vedremo tra un po’.

Per ora, mi limito a ringraziare tutti voi che avete letto fin qui, e spero vogliate lasciarmi una qualche recensione.

Grazie a tutti J A mercoledì

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

CAPITOLO 24

 

Tim giunse a Vargan dopo cinque giorni di marce.

Aveva impiegato due giorni in più del previsto, poiché, alla fine, aveva ceduto di fronte alla stanchezza dei suoi soldati. E così avevano riposato, durante la notte, e avevano piantato l’accampamento regolarmente.

 Così aveva percorso il tragitto con calma. Ora i suoi soldati erano calmi e ben riposati, e marciavano in modo costante.

Tim purtroppo sapeva che quei miseri duecento uomini non avrebbero salvato l’impero da soli, e quindi aveva un’unica speranza; che Vargan fosse ben equipaggiata di uomini e strumenti difensivi.

Tim però si aspettava che quella misera cittadina fosse sguarnita, che alla fine fosse affluita solo una parte dell’esercito in rotta da Palok, e che molti avessero disertato. Si sentiva pronto ad affrontare una situazione critica.

E invece le sue preoccupazioni svanirono appena vide la città.

Vargan non era più la semplice cittadina di confine con la provincia di Fortwar, povera e sguarnita di tutto. Ora era una grande città, con spesse mura difensive e un fossato pieno d’acqua. La porta principale aveva un ponte levatoio, che si poteva sollevare facilmente in caso di pericolo.

 Notò che la città non era circondata da boschi e foreste, come lo erano di solito le altre città dell’impero. Attorno alla città c’erano campi coltivati a foraggio, ed era situata in una vasta piana. Era il luogo ideale per combattere una battaglia.

Tim si accorse che anche i suoi soldati erano rimasti stupiti dallo splendore di Vargan.

Si affrettarono a raggiungere il ponte levatoio, d’altronde era già pomeriggio inoltrato. Furono accolti con grandi onori da tutti. E, una volta dentro  la città, scoprirono che era piena di soldati. Fu offerto pure un breve banchetto di ristoro per i nuovi venuti.

Poi, dopo aver mangiato, i suoi soldati furono accompagnati negli alloggi appositamente preparati per loro. Ma Tim, prima di andare a riposarsi, era desideroso di conoscere l’artefice di tutto quello che stava vedendo. Si avvicinò a una guardia.

‘’Guardia, potresti portarmi dai maghi che hanno generato questo splendore in così poco tempo?’’, chiese. La guardia sorrise.

‘’Non c’è bisogno che vi accompagni io, loro arriveranno a breve’’, rispose con gentilezza.

In quel preciso istante, Tim si sentì sfiorare una spalla. Si girò immediatamente. E si trovò di fronte ad un uomo alto, anziano e con una lunga barba. Era seguito da due giovani. Rimase stupito, poiché sembravano apparsi dal nulla.

 ‘’Eccomi, generale. Sono Atah, un mago di Huru. E questi sono i due miei apprendisti, Lee e Smith. Tra poco li proclamerò maghi a tutti gli effetti. Piacere di conoscerla, generale Tim’’, disse il vecchio. Sanno già chi sono e quale carica mi hanno affidato, pensò Tim. Le notizie correvano veloci nell’impero.

 ‘’Piacere mio, Atah. Devo complimentarmi con te, hai fatto un ottimo lavoro. Questa città è inespugnabile’’.

 ‘’Oh, e non ha ancora visto nulla. Venga, l’accompagniamo noi’’, disse Atah.

E così Tim si concesse un giro della città. La città era molto grande, ed ospitava migliaia di persone, perlopiù profughi provenienti da ogni parte dell’impero, felici di vivere in quel luogo protetto.

Atah gli mostrò le mura, possenti e con larghi camminamenti, e con profonde fondamenta, in modo che nessuno protesse provare ad entrarci scavando tunnel sotterranei, com’era successo ad Arus.

 Inoltre, il mago disse anche che la città era inespugnabile perché, insieme con i suoi apprendisti, aveva evocato un sortilegio eterno, impossibile da spezzare pure per i Demoni. Quel sortilegio avrebbe protetto la città da qualsiasi insidia.

In poche parole, l’unico modo per gli invasori di entrare a Vargan era quello di farsi aprire la grande porta principale dall’interno. E questo era impossibile, poiché tutte le guardie cittadine erano tutte estremamente fedeli all’impero, aggiunse Atah.

‘’Perfetto. La città è imprendibile e difesa dalla magia eterna, da voi evocata. Ma come si fa a mantenere una città così grande  durante un lungo assedio?’’, chiese Tim. Atah sorrise.

 Lo accompagnò sotto le mura al lato ovest della città. C’erano numerosi appezzamenti di terreno pieno di ogni tipo di delizia, tutti protetti dal maltempo e dai nemici. Il tutto era irrigato da una serie di stretti canali, dove scorreva continuamente acqua pura.

 Inoltre, poco distante c’erano numerosi allevamenti di animali, e al centro della città c’era un grande pozzo e una grande cisterna. Non mancava nulla. Tim, alla fine, batté le mani ai maghi.

 ‘’Ottimo lavoro. Questa città è imprendibile. L’acqua e il cibo non mancheranno mai, neppure durante la calda e secca estate?’’.

‘’No, generale. L’acqua qui presente in città è fornita da falde naturali situate proprio sotto gli edifici, e viene incanalata grazie a una serie di tunnel e canali, che l’accompagnano fino alla superficie. E il nostro sottosuolo è ricco di acqua. Non ci sono rischi’’, lo assicurò.

 ‘’Ho un’altra domanda; e se i nemici riuscissero ad attraversare il fossato e ad arrivare sotto le mura con le scale?’’, chiese Tim. In effetti, poco prima aveva notato che dopo il fossato c’era un breve lembo di terra che lo divideva dalle mura. Breve ma sufficiente per compiere tale azione.

‘’Impossibile. Il  fossato è pieno di creature fameliche, che aggrediscono ogni cosa che non passi dal ponte levatoio. Ed è difeso anche da altri sortilegi. Generale, come ha detto lei, questa città è imprendibile’’, disse Atah.

‘’Ma voi, che avete compiuto tutto questo lavoro, cosa ci avete guadagnato?’’, chiese, infine, Tim.

Quella fu una domanda inaspettata per i tre. I due ragazzi, che non avevano ancora aperto bocca, si fissarono l’un l’altro. Il vecchio, però, rispose subito.

‘’Abbiamo guadagnato la benevolenza del nostro dio, proteggendo migliaia di umani. Ammetto che il culto di Huru si sta impadronendo della città, quasi tutti i cittadini si sono convertiti. Sono stati fondati numerosi templi, che ogni giorno si riempiono di fedeli. Così, saremmo protetti dai mostri del male che circolano là fuori’’, disse il vecchio con sincerità.

Tim rimase stupito, ma annuì come niente fosse. Non aveva mai sentito parlare di maghi e di Huru fino a quel momento, e sinceramente non gliene importava nulla, visto che non sembravano pericolosi. L’importante erano altre questioni.

‘’Bene, la città è imprendibile, ma il mio esercito è mortale. Tra poco dovremmo affrontare i nemici. Ce la potremmo fare?’’, chiese Tim al vecchio.

‘’Non lo so, generale. Ma potrete star certo che, mentre voi combatterete contro gli umani nemici, noi terremmo impegnati i Demoni, così il combattimento sarà equo. Di più non possiamo fare. Sperando solo che i Demoni non siano diventati troppo potenti’’.

 ‘’Chi lo sa. Vorrei sapere quanti soldati sono presenti in città’’.

‘’All’incirca trentacinque mila, generale. Inoltre, se applicate la leva militare sui cittadini, potrete pure superare i quaranta mila’’.

Tim impallidì. Erano cifre da capogiro. Aveva a disposizione un esercito immenso, e già pronto allo scontro.

‘’Perfetto! Se il nemico tenterà di abbandonare l’assedio e di dirigersi verso sud, sarò costretto a sbarrargli la strada. E questo numero di soldati è più che sufficiente. Grazie di tutto, mago Atah. Ora, che ho tutto chiaro, vorrei però ritirarmi a riposare un po’. Il viaggio è stato lungo’’, disse Tim, dapprima ragionando ad alta voce, poi esprimendo la sua grande stanchezza.

 ‘’Ma certo. C’è già una camera pronta per ospitarla, al castello. Spero che l’accoglienza le sia stata gradita’’.

‘’Certamente. Non potevo richiedere di meglio’’, disse Tim, tornando a sorridere e allontanandosi.

 I maghi avevano pure costruito un castello, al centro della città, a fianco della grande cisterna.

 Tim si trovò subito a suo agio, ed era seguito da decine di servitori. Il castello era ampio e spazioso, con mura solide.

 Si concedette una bella dormita su un comodo letto, che era essenzialmente diversa dalle sue ultime effettuate su una branda in una tenda. Si addormentò di colpo, felice per quello che aveva visto. Riuscì pure a dimenticare i tristi eventi di Fortwar.

 

 

Mentre Tim si concedeva ad un meritato riposo, il buio stava già per diventare padrone del mondo di Fortwar.

Fermei giunse in vista della città di Vargan, che era illuminata dall’ultimo bagliore del tramonto, ed esplose dalla rabbia. Quella era la città più bella e meglio difesa dell’impero, non aveva dubbi. Non ne aveva mai viste di città così ben difese.

 Ora, nel suo cuore, provava solo odio verso quei dannati soldati che erano asserragliati tra le sue mura. Lo smacco subìto a Palok era stato decisamente troppo, per lui. Di certo, aveva reso tutto più difficile.

 Se quei soldati si fossero lasciati incantare da lui, e gli si fossero consegnati spontaneamente,  ora i Demoni sarebbero già stati sazi, i suoi soldati sarebbero stati felici e carichi di bottino, e l’impero sarebbe già stato in ginocchio. Ma era ora di voltare pagina. Il giorno suo giorno di gloria era vicino, se lo sentiva.

Sapeva che, se fosse riuscito a sconfiggere l’esercito imperiale lì a Vargan, avrebbe avuto tutte le porte aperte per giungere fino a Fortwar. Fermei sospirò.

 Fortwar era veramente un sogno per lui. Una volta conquistata, avrebbe messo fine alla guerra, e avrebbe fondato il suo impero universale. Inoltre, avrebbe sposato Ilse, e si sarebbe costruito un immenso palazzo. Ma questo, per ora, era solo un sogno. Ora doveva solo pensare a combattere.

 Il suo sterminato esercito era tutto dietro a lui, ed era pronto a dar battaglia.

Ma mancavano ancora i Demoni, che sicuramente si sarebbero aggiunti all’esercito quella notte stessa, come pattuito. Fece preparare l’accampamento ai soldati, e si fece montare la sua grande tenda.

Poi, a passi svelti,  sarebbe entrata Ilse, il suo amore. Quella sera glielo aveva promesso, che sarebbe venuta.. e da lì, da quell’istante, per alcune ore avrebbe dimenticato tutti i suoi problemi.

Fermei non notò nulla di particolare che non andasse in Ilse, tanto era preso dall’amore.

 

 

Ilse si stava preparando.

Ora era sul suo carro privato, ma ben presto sarebbe andata dal Gran Re.

Fortunatamente, Fermei non si era ancora accorto della sua gravidanza, nonostante alcune volte lo rifiutasse con la scusa di avere un po’ di febbre o scuse varie.

 In realtà, non gli si mostrava più tanto spesso. Era vero che le stava crescendo il pancione, ma ancora non era molto vistoso, e comunque voleva evitare in tutti i modi che Fermei scoprisse la sua gravidanza. Almeno, non ora.

Voleva tenerglielo nascosto fin tanto che non fossero stati sotto le mura di Fortwar. Non voleva deconcentrarlo dai suoi compiti. Quella sera, probabilmente, si sarebbe solo mostrata per poco, per poi tornare di fretta al suo carro, con un’altra scusa, l’ennesima. Ma sapeva che avrebbe dovuto mentire ancora solo per pochi giorni.

 Ilse sapeva che, se entro pochi giorni Fermei fosse riuscito ad aggiudicarsi la vittoria sugli imperiali, la capitale dell’impero sarebbe stata vicinissima. E sarebbe stata vicinissima anche la sua rivelazione.

E lei, probabilmente, questa volta poteva solo fare da spettatrice. Le sue carte le aveva già giocate tutte nella battaglia precedente.

Quella sarebbe stata la volta del riscatto di quei mostruosi Demoni.

Si fece preparare un po’ di cibo in più, che poi avrebbe portato al generale imperiale. Se si fosse messa male, lei lo avrebbe liberato e lo avrebbe poi riportato agli imperiali, cambiando di nuovo schieramento. Ma d’altronde lei era disposta a stare solo dalla parte dei vincenti, ormai non poteva più permettersi sconfitte.

 

 

 

I Demoni raggiunsero l’accampamento del Gran Re quando era già notte fonda, come di pattuito.

 Erano sazi, ed erano carichi di energia. Con una tale potenza, avrebbero potuto spazzare via un grande esercito da soli.

Ma, appena videro la città di Vargan, capirono subito che qualcosa non andava. La città era protetta da una magia invalicabile, che nessuno poteva spezzare, se non chi l’aveva praticata.

Sentivano anche la presenza di un mago esperto, un seguace di Huru, come quelli che avevano ucciso alcune settimane prima a Palok. Con la differenza che questo era veramente potente e difeso dal suo dio. Un dio da nulla, poiché loro erano in possesso del suo più grande segreto. Avevano un’arma talmente tanto potente da poterlo annientare.

Per ora, avrebbero lasciato in pace quei maghi, fintanto che non causavano problemi e se ne stavano rinchiusi nella loro città stregata. Non volevano giocarsi subito le loro carte.

Avrebbero riferito tutti i rischi e i vari problemi al Gran Re, ma non subito. Ora, approfittando delle tenebre, avrebbero fatto una bella ispezione attorno alle mura, per avere informazioni più dettagliate.

 L’indomani mattina le avrebbero riferite tutte a Fermei.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti! J

Proprio ora che il nostro Tim iniziava a sentirsi al sicuro, all’interno di una città stregata, ecco che arrivano i Demoni… Ma la loro arma segreta la scopriremo solo nel prossimo capitolo J Ilse, invece, sta diventando sempre più subdola..

Ragazze, vorrei informarvi che ho iniziato a scrivere una nuova storia. Si intitola ‘Il brigante’, ed ho già pubblicato un breve prologo(per ora). Avverto tutti però che non si tratta di un fantasy, ma di un racconto storico ambientato nell’Ottocento. I protagonisti dovranno affrontare numerose avventure, solo per poter stare insieme. Ci sarà anche parecchia azione. Sicuramente, non sarà una storia noiosa. Almeno spero J Se vi va di darci un’occhiata, e di farmi sapere cosa ne pensate, ben venga J

Ringrazio tutti quelli che hanno letto anche questo capitolo J

Grazie a tutti!! J a sabato ;)

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25

CAPITOLO 25

 

 

Appena furono calate le tenebre, sicuri che i soldati fossero andati tutti a letto, Lee e Smith raggiunsero il loro maestro sotto le mura occidentali di Vargan.

 Lui li stava attendendo di fronte a un grande albero. Era una grande quercia, con un tronco molto grosso. Doveva essere un albero molto vecchio, ma comunque godeva ancora di buona salute, visto che era ancora molto rigoglioso.

Il maestro Atah li stava aspettando, seduto a terra. Teneva stretto tra le mani un rotolo di pergamena, che doveva essere molto antico, poiché era di colore giallastro. Lee e Smith, i due apprendisti dell’anziano mago, si avvicinarono cautamente.

‘’Perchè ci hai detto di venire qui a quest’ora della notte, maestro?’’, chiese Smith.

‘’Perché è giunto il momento che voi diventiate maghi. Nei prossimi giorni avrà luogo uno scontro epico, e se muoio non voglio che i maghi di Huru scompaiano. E poi siete pronti per diventare maghi a tutti gli effetti. Guardate là’’, disse Atah, indicando con un dito il cielo.

I due ragazzi guardarono. Al di là delle mura, il cielo era rossastro, illuminato da migliaia di torce accese.

 ‘’No..’’, mormorò Lee.

 ‘’Sì, invece. I nostri nemici sono arrivati in tarda serata, e l’armata è al gran completo. Ci sono anche i Demoni, che ho intravisto poco fa mentre ispezionavano le mura esterne. Sono pronti ad attaccarci’’, disse Atah. I due ragazzi si guardarono in modo strano.

 ‘’Che c’è? Se sapete qualcosa riguardo il futuro, ditemelo’’, ribadì di nuovo il maestro. Lee tentennò, poi Smith gli diede una lieve spinta con un gomito.

‘’Ecco, maestro, i segnali, ecco, come devo spiegarmi.. insomma, i miei sogni non sono positivi’’, disse Lee, facendosi forza.

 ‘’Cos’ai visto?’’, chiese il maestro.

 ‘’Scenari terribili. Posso dirle solo questo, maestro. Huru, l’essere superiore, non vuole che esprima ciò che mi rivela, poiché potrei interferire in modo irreparabile con la realtà’’, rispose Lee.

‘’Certo, capisco’’, disse Atah, facendosi pensieroso.

Quindi, l’impero era vicino ad una nuova disfatta, si disse. O forse no. Lee non avrebbe detto di più, ed inoltre gli scenari terribili tirati in ballo dal ragazzo potevano riguardare anche l’esercito nemico. Meglio non pensarci più  per ora, si disse.

 Poi, si alzò e si preparò per effettuare il rito d’iniziazione.

‘’E’ ora, ragazzi. Verrete a conoscenza di tutti i segreti della nostra setta. Leggete’’, disse il maestro, porgendo ai ragazzi il rotolo di pergamena. Era scritto fitto, nella lingua segreta della setta e di Huru.

 I due lessero quello che c’era scritto senza alcun problema, però senza capire alla perfezione il suo contenuto. Erano tutte parole d’amore, amore verso la terra, verso gli altri e verso tutte le creature viventi, ma ai due novizi continuava a sfuggire il significato più intimo di quel racconto.

Appena finito di leggere, i due alzarono gli occhi e fissarono con fare interrogativo il maestro, che sorrise.

 ‘’So cosa pensate. Siete riusciti a leggerlo senza difficoltà, ma non avete ben capito il significato di quello che c’è scritto. Ma lo capirete strada facendo. Anche a me è successo così. Comunque, non so se ve ne siete accorti, avete letto le antiche rune magiche della nostra divinità. Era questo l’importante, per ora’’, disse, sorridendo.

‘’Ora il segreto di Huru vi è stato svelato attraverso le sue parole. Tra poco, sarete maghi’’, continuò Atah, chinandosi a raccogliere una piccola ampolla che era sfuggita alla vista dei due apprendisti.

 La aprì, e si versò nelle mani un pizzico di una polverina bianca immacolata. Con un gesto, fece inginocchiare i due, e gliela fece cadere in maniera equa sulla testa e sul corpo. Poi, pronunciò alcune formule di rito, e tornò a sedersi.

 ‘’Bene, ora siete maghi a tutti gli effetti. Potrete fondare templi vostri ed avere tutti gli apprendisti che volete, basta che continuiate a seguire le leggi di pace e bene che avete appena letto. Per questo, per non farvele dimenticare, ve le ho trascritte. La polverina bianca è la farina sacra degli orti dedicati a Huru, a Palok. Un giorno, se avrete l’occasione di ritornarci, potrete ripiantare quelle pianta sacra, battesimare nuovi maghi e sfamare i poveri e i bisognosi, producendo del buon pane’’, disse Atah, prendendo poi dalla sua saccoccia due piccoli rotoli di pergamena nuova e ben scritta. Poi, porse loro anche un sacchettino di tela, che conteneva molti semi del grano sacro. I due ringraziarono il maestro, e presero i doni, osservandoli con attenzione.

 ‘’Ora potete andare a riposarvi. Tempi bui si preparano per rendere la vita grama agli esseri umani. Voglio solo che  mi promettiate una cosa; che continuerete ad essere fedeli all’impero. Comunque vada’’, disse il vecchio.

 ‘’ Lo saremo, maestro’’, dissero all’unisono i due nuovi maghi.

’’Benissimo. Però smettetela di chiamarmi maestro, ora abbiamo lo stesso status. Chiamatemi pure Atah. E ora andate’’, disse il vecchio con fare sbrigativo. I due si congedarono velocemente, e sparirono nell’oscurità.

Atah fisso quel rossore al di là delle mura. Erano i fuochi dell’accampamento nemico a provocarlo.

Sospirò, e si accasciò a terra, sicuro di avere rimasto ben poco tempo da vivere. Ma almeno ora poteva andarsene tranquillo, perché Huru aveva due nuovi maghi giovani e giusti, e che avrebbero seguito alla perfezione i suoi insegnamenti.

Aveva solo un piccolo rimorso. Gli sembrava di aver dimenticato qualcosa a Palok. Qualcosa di importante. Ma era vecchio, la sua mente a volte sbagliava. Probabilmente, non era nulla di che.

Pian piano, nel cielo iniziò a vedersi un altro bagliore. Era l’alba che stava tornando per portare la luce.

 

 

I Demoni rientrarono all’accampamento che era quasi l’alba.

Avevano ispezionato tutto, e avevano scoperto che la città era difesa da sortilegi formidabili. Erano insuperabili, c’era poco da fare. La città, per ora, era inviolabile.

Però, un’eventuale battaglia si poteva vincere. Loro erano pronti e potentissimi, e non temevano un mago inetto. Avrebbero combattuto ad armi pari. Anche perché loro continuavano a custodire la loro arma segreta.

Infatti, alcuni giorni dopo la partenza dell’esercito verso Vargan, loro erano tornati al tempio dei maghi di Huru, a Palok, dove solo pochi giorni prima avevano sterminato tutti i maghi che erano riusciti a trovare. E lì avevano rinvenuto la reliquia.

In quel momento, avevano nelle loro tasche un potentissimo strumento, in grado di catturare la potente forza di Huru e di renderlo inoffensivo.

I maghi l’avevano nascosta bene, in una cripta nascosta nel sottosuolo del tempio, e successivamente se n’erano dimenticati. Millenni di pace ininterrotta avevano fatto dimenticare a loro quel potente oggetto. Ma i Demoni l’avevano ritrovato e razziato.

Il piccolo e importante oggetto sembrava un sasso, un piccolo pezzetto di quarzo bianco. Ma era molto di più.

Quel pezzetto di roccia dura come il diamante avrebbe fatto la differenza sul campo di battaglia.

E avevano già un piano per far uscire subito allo scoperto gli imperiali. Un piano che, tra poche ore, avrebbero riferito al Gran re.

 

 

Intanto, anche Tim si svegliò. Aveva riposato moltissimo, e aveva ripreso le forze.

Nel bagliore delle prime luci, si vestì e andò subito alle mura. E lì ebbe la sorpresa.

L’immenso esercito nemico si era accampato tutto poco distante dalla città, e nonostante fosse mattino presto, era già in fervore.

Tim scese dai camminamenti e diede l’ordine a due sentinelle di risvegliare e far preparare tutti i soldati, e proclamò lo stato d’assedio della città, vietando a chiunque di uscire o entrare dalle porte, che furono immediatamente bloccate. Voleva liberarsi di quell’impiccio, ma con prudenza. Doveva attaccarli entro i prossimi tre giorni, prima che si riposassero troppo. Ma non in quel momento.

E inoltre, doveva tenere sotto controllo la situazione fin da subito, per evitare che i nemici si mettessero in marcia verso sud, abbandonando Vargan e cercando quindi di porre sotto assedio Fortwar, mettendo in pericolo l’intera provincia del sud.

Se avessero tentato quella mossa, per Tim ci sarebbe stata solo un’alternativa; uscire allo scoperto e attaccare direttamente i nemici.

 

 

Ignara della vicinanza dei suoi nemici, Ilse se ne stava in compagnia del generale.

 Lui era molto più vecchio di lei, ma era un uomo sensibile e in gamba. Dopo un’iniziale reticenza, aveva iniziato a parlarle volentieri. Anche perché era l’unica persona al campo a rivolgergli la parola.

In realtà, lei si recava lì per via dei suoi sentimenti. Quell’uomo le aveva fatto pena fin da quando era stato rinchiuso in quella cella. E se era finito lì, la causa era solamente sua, che l’aveva prelevato dal campo degli imperiali e consegnato a Fermei e ai Demoni.

Quindi, di fronte alla precaria situazione del generale, il quale veniva a malapena nutrito, lei si era sentita in colpa. Cosa rara, per lei.

Comunque, appena scendeva la notte si recava da lui, per portargli un po’ di cibo decente.

 Mentre John la ringraziava per il pasto, lei si affrettò ad allontanarsi nel buio, avvolta in un pesante mantello nero, per nascondere tutto di lei. Nessuno doveva vederla, nessuno doveva sapere, per evitare inutili chiacchiere che avrebbero solo compromesso la sua reputazione agli occhi del re.

Nei prossimi giorni Fermei avrebbe sicuramente combattuto una qualche battaglia, e Ilse non poteva far altro che pregare per la sua vita. Se il re fosse morto durante lo scontro, nessuno l’avrebbe più protetta. E lei doveva pensare sia a sé stessa sia per il piccolo che aveva in grembo.

Nel caso fosse venuto a mancare il re, lei avrebbe liberato il generale  e sarebbero tornati dagli imperiali. Poi, sicuramente, si sarebbe inventata qualche storia triste, e l’avrebbero riaccolta tra loro. Certo, non sarebbe diventata imperatrice, ma avrebbe potuto continuare a vivere.

D’altronde, gli Sconosciuti non l’amavano molto, e in caso di disgrazie non poteva restare con loro. Lei era pur sempre una ragazza dell’impero, figlia e sorella di quegli stessi uomini che loro stavano ormai combattendo da mesi.

Ilse, a quel punto, quasi si sgridò da sola. Certe cose non doveva neppure pensarle. Sicuramente, tutto sarebbe andato per il meglio, si disse, rassicurandosi, mentre si affrettava a tornare nel suo carro privato. Aveva piena fiducia nel re.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura!

Come vedete, la storia procede.. e ben presto lo scontro tra i Demoni e i maghi sarà inevitabile, così come uno scontro armato tra i due eserciti umani.

Ragazze, vi prego di farmi sapere qualcosa. Sono a metà di una storia molto lunga, e mi farebbe piacere conoscere anche i vostri pareri.

Grazie a tutti! a mercoledì J

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26

CAPITOLO 26

 

I Demoni si recarono a parlare con il Gran re. Naturalmente, non si fecero annunciare.

Le guardie poste all’ingresso della tenda reale si scostarono subito, ormai si erano abituate alle loro spedizioni.

Varcarono la soglia con fare baldanzoso. Intanto, il Gran re era impegnato a baciare avidamente sulle labbra Ilse, e non si accorse dei visitatori. I Demoni provarono ribrezzo e disgusto a tale vista.

 ‘’Sire, se disturbiamo togliamo ce ne andiamo subito’’, dissero, per attirare l’attenzione di Fermei. Subito, il Gran Re scostò da sé la ragazza, e provò grande sorpresa. Sul suo volto comparve un’espressione adirata.

‘’Come devo comportarmi con voi? Quante volte vi ho detto di farvi annunciare, prima di irrompere nella mia tenda?’’, disse Fermei, schiumante di rabbia.

Intanto la bella e seducente Ilse si allontanò dal re e si avviò verso l’uscita. La ragazza li fissò con fare arrogante e prepotente. Senza ombra di dubbio, li odiava. Che tu sia maledetta, serpe, pensarono i Demoni.

I Demoni le rivolsero un blando sorriso, poiché pensarono che ora che aveva soddisfatto le voglie reali probabilmente andava a far visita al generale. L’avevano vista, quella notte, mentre lei usciva dalla sua tenda per andare a portare del cibo a John. Chissà come avrebbe reagito il re, se avesse saputo che la sua amata cercava di pararsi le spalle.

Ma non c’era tempo per dilungarsi in quei pensieri. Subito, tornarono a focalizzare l’attenzione sul Gran re.

‘’Sire, ci dispiace, a volte siamo impulsivi. Abbiamo delle notizie importanti per voi’’, dissero, con tono di scuse.

‘’Avanti, ditemele. Spero proprio che siano veramente importanti’’, disse Fermei, fissandoli con rancore.

I Demoni stavano per esplodere. Odiavano quel dannato re e quella serpe della sua amante, non potevano tollerarli oltre. Poi, si calmarono.

 Non potevano smascherare la loro vera essenza proprio ora, che erano vicinissimi al loro obiettivo. Sospirarono.

‘’Allora, abbiamo analizzato le mura e le difese della città. Le notizie non sono incoraggianti’’, dissero.

‘’Avanti, proseguite’’, disse Fermei, sistemandosi meglio sul suo trono di legno.

 ‘’Le mura sono invalicabili e la città è praticamente imprendibile. All’interno, un dannato mago ha compiuto sortilegi potentissimi e inviolabili per chiunque. Ma non è questo il problema principale. Dentro la città ci sono migliaia di soldati ben equipaggiati e riposati, e pronti ad attingere energia magica da un mago anziano, che a sua volta viene rifornito di energia magica dalla sua divinità benevola’’, dissero  i Demoni.

 ‘’Quindi, siamo fermi qui e non c’è nulla che possiamo fare’’, disse il Re.

‘’No, sire, in realtà possiamo ancora vincere. Se non possiamo prendere la città, possiamo vincere la battaglia contro i soldati che sono asserragliati dentro Vargan e spingerci più a sud fino alla capitale. Una volta che avremo conquistato Fortwar, questa città si arrenderà, se non lo avrà fatto prima’’.

‘’Ma scusate, i soldati imperiali sono dentro e al sicuro, perché mai dovrebbero uscire allo scoperto e darci battaglia?’’, chiese il Re.

 ‘’Sappiamo per certezza che all’interno c’è anche uno dei generali dell’impero. E ha portato con sé nuovi soldati. Ora si credono più forti di noi, perché hanno la magia, e non ci permetteranno di proseguire verso sud senza ingaggiare uno scontro. E noi li provocheremo. Basterà che Lei dia l’ordine di bersagliare la città con frecce, come per deriderli, mentre farà partire l’esercito, per mandarlo verso sud. Vedrete, Sire, che il nemico uscirà subito allo scoperto. Gli imperiali non possono permettere al nostro esercito di mettersi in marcia verso Fortwar, perché sanno che la loro capitale non è in condizione per resistere ad un assedio’’, dissero i Demoni. Il re annuì. Aveva capito il piano dei Demoni, ed era d’accordo con loro.

 ‘’E al mago anziano chi ci pensa? Deve essere potentissimo, vedendo i risultati delle sue magie’’.

‘’Sire, al mago non pensarci. A lui ci pensiamo noi’’, dissero i Demoni, gonfiandosi d’orgoglio.

 ‘’Grazie, alleati. Provvederò subito. Non voglio marcire qui, come è successo ad Arus. Ora, potete congedarvi e andare a ritirare qualche schiavo’’, disse il Re, raggiante.

 I Demoni si allontanarono subito, ed uscirono dalla tenda. Quell’inetto che osava farsi chiamare Re era uno senza cervello. Era toccato a loro dargli le idee. Ma ora, finalmente, li aspettava un lauto pasto.

 

 

Fermei applicò i consigli dei Demoni.

Nonostante fosse mattino presto, e che i suoi soldati fossero ancora stanchi dalle marce dei giorni precedenti, li fece preparare subito.

 La maggior parte dell’esercito non avrebbe dovuto fare nulla, solo fingere di spostarsi verso sud, percorrendo la strada che porta a Fortwar, mentre alcuni arcieri a cavallo avrebbero dovuto provocare gli assediati con alcuni tiri di frecce.

Fece equipaggiare tutti al meglio, e fece in modo che in una sola ora il campo fosse totalmente smontato, pronto a muoversi. Ilse lo raggiunse nella sua tenda.

‘’Cosa vuoi fare? Fuori c’è una gran agitazione’’, chiese la ragazza. Fermei sorrise.

‘’Voglio stanare il nemico. Vedrai, gli imperiali appena vedranno le mie finte mosse cadranno in pieno nel mio tranello,  e allora potremmo dare un’altra bella batosta al loro esercito. Ora farò spostare il mio esercito verso sud, fingendo di invadere la provincia di Fortwar, e loro ci attaccheranno. Mi raccomando, tu stai dentro al tuo carro, che sarà ben protetto, e non uscire per nessun motivo’’, disse il Re.

‘’Fermei, se vai verso sud il tuo esercito darà le spalle a quello imperiale. Vuoi subire un’aggressione dalle retrovie? E’ molto rischioso’’.

‘’No, mia cara, non è molto rischioso se il tutto è già premeditato. I miei soldati sono ben armati e pronti ad eseguire il mio piano. Appena vedranno uscire gli imperiali dalla porta di Vargan, ritorneranno improvvisamente sui loro passi e li attaccheranno. I nemici non saranno ben preparati, perché la nostra mossa li avrà colti di sorpresa, mentre noi saremo già in vantaggio su di loro. Abbiamo anche i Demoni pronti a combattere. Abbiamo la vittoria in pugno’’, disse Fermei, sicuro di sé.

 ‘’Se lo dici tu’’, disse Ilse, sorridendo anch’essa. Era felice che il re fosse così certo della vittoria.

‘’Ma ora vai. Tra poco inizieremo a spostarci, poi probabilmente ci sarà una battaglia. Non credo che gli imperiali ci lascino varcare impunemente l’ultimo confine che ci separa dalla capitale. Farò in modo che il tuo carro sia ben protetto’’. Ilse gli si avvicinò, e lo baciò.

 ‘’Ora vai, te ne prego. Devi stare al sicuro, non voglio perderti’’, ripeté Fermei, allontanando la ragazza e accompagnandola all’uscita.

Ilse scomparve subito tra i soldati, tutti indaffarati. I carri delle salmerie erano già pronti per partire. Il suo piano stava per prendere piede.

Si sentì molto soddisfatto, comunque doveva ringraziare anche quei mostri dei Demoni. Se loro non l’avessero consigliato, lui avrebbe posto un assedio alla città per conquistarla, che probabilmente si sarebbe protratto per mesi senza alcun risultato.

 Fu così che il suo esercito fu pronto, e iniziò a marciare verso sud. Mentre l’esercito marciava, un piccolo drappello di cavalleria andò fin quasi sotto le mura di Vargan, scagliando alcune frecce, per provocare i nemici.

 Sarebbe stata solo questione di tempo prima che gli imperiali uscissero allo scoperto.

 

 

Il generale Tim aveva assistito a tutta la scena dalle feritoie delle mura di Vargan. Era preoccupatissimo.

 Ancora una volta, i nemici li avrebbero tratti in trappola. L’immenso esercito nemico aveva smontato il campo, abbandonando l’assedio dopo neppure un giorno, e si accingeva a dirigersi verso sud. E questo Tim non poteva permetterlo.

La provincia di Fortwar era di ridotte dimensioni e abbastanza abitata. Probabilmente Sergej non era neppure riuscito ad iniziare l’evacuazione dalle zone più a rischio, e non aveva neppure soldati a sufficienza per potersi opporre ad un attacco di un esercito così grande. L’esercito nemico doveva essere composto da più di cinquantamila uomini. Una cifra ancora fuori portata per gli imperiali.

Inoltre Fortwar non era Vargan, e non era protetta da sortilegi, quindi le mura potevano essere violate con facilità, se non c’erano soldati a sufficienza sui bastioni. Una goccia di sudore freddo gli scese dalla fronte.

Era costretto a far uscire allo scoperto il suo esercito, di cui non conosceva neppure le effettive capacità, e sferrare un attacco in una probabile inferiorità numerica contro un nemico già preparato ad ogni evenienza. Quel Gran Re doveva essere un tipo scaltro, si disse, perché aveva visto giusto tentando di mettere a repentaglio lo sguarnito sud.

 E ora, per Tim non c’era altra possibilità se non quella di andare incontro al nemico, anche se questo significava anche mettere a rischio la propria vita. In ogni caso, il suo attacco sarebbe servito per rallentare e  indebolire la marcia nemica. Sentì una mano fredda appoggiarsi sulla sua spalla.

Si girò di scatto, spaventato, poiché non si era accorto della vicinanza di qualcuno. Fortunatamente, era solo il vecchio Atah.

 ‘’Generale, oggi combatteremo la nostra battaglia’’, disse, malinconico.

 ‘’Sì, Atah, oggi combatteremo. Non abbiamo altre possibilità, se non quella di gettarci tra le loro spade. Forse moriremo tutti’’, disse Tim, con fare pessimistico. Il nemico, d’altronde, li stava costringendo a combattere proprio per sconfiggerli più in fretta e levare l’assedio.

‘’No, generale, non moriremo. Farò in modo che questo non accada’’.

‘’Lo spero. Ora, però devo andare ad organizzare i miei soldati. Grazie del tuo sostegno, saggio mago. Difendici, perché noi probabilmente non saremo in grado di farlo’’, disse Tim.

 ‘’Oh, generale, non essere così catastrofico. In un modo o nell’altro, ce la faremo’’, disse il vecchio mago.

 Intanto, un piccolo distaccamento di nemici a cavallo si allontanò dal gruppo per scagliare alcune frecce contro Vargan. Le frecce si infransero contro il velo magico a protezione della città.

‘’Ci provocano’’, disse Atah.

 ‘’Esatto. E noi non possiamo far altro che rispondere a tono’’, disse il generale, che si allontanò rapidamente, sparendo in fretta.

Il vecchio Atah aveva molti dubbi sulla riuscita della difesa imperiale. Si era mostrato positivo con Tim, ma in realtà non lo era. Sbuffò sonoramente.

 Provava dolori alle articolazioni, ormai era troppo vecchio per far qualsiasi cosa, figuriamoci per combattere. Ma lui confidava nella forza di Huru, che fino a quel momento non lo aveva mai abbandonato.

Una cosa, comunque, era certa; quella sarebbe stata l’ultima sua battaglia da mago vivente.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti! Grazie per aver letto anche questo capitolo.

Sta per iniziare una grande battaglia. Un’altra battaglia in cui gli imperiali partono da sfavoriti. Atah riuscirà a fermare i Demoni e gli Sconosciuti? Tim riuscirà a sconfiggere il Gran re, o almeno a rallentare la sua avanzata verso Fortwar? Lo scopriremo presto J

Grazie, di nuovo, a tutti! a sabato J

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27

CAPITOLO 27

 

 

Tim aveva di fronte a sé tutte le sue truppe, pronte ad uscire e a dar battaglia al nemico, che intanto continuava a seguire la strada che portava alla capitale.

La grande porta principale della città magica di Vargan si spalancò, e gli imperiali iniziarono ad uscire.

I nemici che continuavano a scagliare frecce contro la città presero a indietreggiare, e speronarono i cavalli per raggiungere in fretta i compagni. Tim sbottò, stizzito. Era una trappola, il nemico aveva un piano e lui era costretto a gettare il suo esercito nella mischia.

Tra l’altro, avrebbe utilizzato un esercito che non era neppure suo, e non ne conosceva neppure le potenzialità. Aveva schierato ciò che era rimasto dell’esercito di John, e nelle retrovie aveva lasciato i suoi duecento, quelli della milizia cittadina di Fortwar. Non voleva perderli in una battaglia inutile.

Velocemente, i soldati imperiali uscirono dalla città, e si riversarono nella campagna circostante. Fin da subito cercò di riorganizzare un assetto tattico il più idoneo possibile alla conformazione del territorio.

Poteva quindi permettersi di distendere al meglio il suo esercito, poiché c’era spazio a sufficienza. I suoi ufficiali si diedero da fare alla meglio per sistemare la formazione, e il risultato finale fu discreto.

 Quei soldati, inconsapevoli di essere di fronte a un nemico nettamente superiore, volevano rifarsi dal tradimento di Palok. L’esercito iniziò a marciare verso il nemico, fortunatamente mantenendo intatta la formazione.

 Tim aveva cercato di fare del suo meglio per bilanciare le forze in campo; aveva rinforzato il centro dello schieramento con gli elementi che apparivano più forti e robusti, in modo da non ripetere lo sfondamento centrale che era avvenuto durante la sua prima battaglia nell’oasi di Sulamba. Nelle ultime file, aveva posizionato anche alcuni arcieri, che in caso di bisogno sapevano pure combattere con la spada.

Intanto, il ponte levatoio di Vargan iniziò a risollevarsi.

 Dentro le mura aveva lasciato alcune centinaia di cavalieri, pronti a intervenire tempestivamente in caso di bisogno, e numerosi fanti, più che altro civili, mal equipaggiati ma pronti anch’essi a mettersi in gioco in caso di bisogno. Atah e i suoi due giovani maghi, invece, avrebbero assistito e combattuto dalle mura, insieme ad altri arcieri.

 E’ tutto a posto, si disse Tim osservando meglio il suo esercito.

 Poi, vide i nemici. Stavano tornando sui loro passi di corsa, si stavano preparando a lanciarsi sugli imperiali come fanno gli avvoltoi quando riescono a trovare una carcassa da divorare.

Gli imperiali si fermarono. Il grido di guerra degli Sconosciuti si faceva sempre più vicino e lugubre.

Un tremito di paura scosse l’esercito di Tim. A passi rapidi, gli Sconosciuti avevano quasi ricoperto tutto lo spazio che separava i due eserciti.

Gli imperiali abbassarono velocemente le lance. Gli arcieri incoccarono gli archi.

 Tim chiuse gli occhi.

 Tra poco ci sarebbe stata una carneficina. Era questione di pochi istanti, poi da tutto il campo di battaglia si sarebbero levate le grida di dolore dei feriti, e uomini sporchi di sangue avrebbero combattuto fino alla fine, come veri eroi.

Riaprì gli occhi solo quando sentì che lo scontro tra  i due eserciti era avvenuto.

Lui non avrebbe combattuto, per ora. Si tenne nelle ultime file, su una portantina rialzata in modo da poter tenere la situazione sotto controllo. Fin da subito, l’esercito imperiale si mantenne fermo e stabile.

 L’urto barbaro dei nemici non fece danni allo schieramento, e anzi, la maggior parte delle lance imperiali divennero inutilizzabili, perché si erano spezzate nei corpi nemici che avevano urtato.

Che guerrieri, si disse Tim. Davanti a sé, gli imperiali, nonostante fossero in netta inferiorità numerica, stavano mostrando grandi doti. Erano agguerriti, e dimostravano di sapersela cavare egregiamente anche contro un nemico superiore a loro.

Le spade imperiali trafiggevano, colpivano sui fianchi, e decapitavano il nemico, senza alcuna sosta.

 In breve tempo, gli Sconosciuti iniziarono a temere il nemico, e iniziarono a indietreggiare, mentre le frecce imperiali li trafiggevano senza pietà. Il terreno iniziò a ricoprirsi di corpi, appartenenti quasi esclusivamente agli Sconosciuti. Le loro tuniche multicolore giacevano a terra, pestate e lordate dal sangue dei loro stessi proprietari. Lo scontro era iniziato da poco, ma sembrava che stesse già prendendo una piega nettamente favorevole per i soldati di Tim.

 Gli imperiali presero ad impegnarsi e a lottare con più forza, e un’onda di entusiasmo pervase le loro fila, mentre i nemici perdevano terreno. Ormai, gli Sconosciuti avevano iniziato ad indietreggiare sempre di più, e cercavano di disimpegnarsi, mostrando che erano pronti per ritirarsi ed accettare la sconfitta. Ma fu allora che comparvero i Demoni.

 

 

Atah osservava la scena dalle mura di Vargan.

 A suo fianco c’erano i due giovani maghi, un tempo suoi apprendisti. Osservarono tutto attentamente, e gioirono quando videro gli imperiali avanzare con forza tra le file dei nemici.

Gli Sconosciuti erano atterriti, o forse era solo l’effetto della stanchezza, dovuta a mesi e mesi di lontananza da casa e di marce forzate. Ma il peggio doveva ancora venire.

Quando gli Sconosciuti parvero vacillare, apparvero i Demoni. E la loro aura malvagia iniziò ad imprimersi nei volti degli imperiali.

Atah sondò subito la situazione, e notò che era più grave del previsto. I Demoni si erano rafforzati molto ultimamente, e soltanto Huru in questione poteva fornirgli la magia necessaria per contrastare una forza maligna così potente.

Prima di tutto, però, doveva mettere in salvo i due giovani maghi.

 ‘’Smith, Lee, voi non combatterete oggi. Andate giù dalle mura, e fatevi dare un cavallo’’, disse il mago.

‘’Perchè no? Noi vogliamo batterci’’, dissero i due giovani, quasi all’unisono.

‘’Non pensateci nemmeno. Ci sarà tempo per voi. Questa volta tocca a me combattere. Prendete le vostre cose e seguite le mie indicazioni. Quando avrete i cavalli, mischiatevi ai cavalieri. Se qualcosa andrà storto, la cavalleria uscirà dalla città per intervenire, ma voi non combatterete e ve ne andrete il più velocemente possibile attraverso i campi. Stando attenti a non seguire la strada principale, vi recherete a Fortwar. Sarà lì il luogo dove si compirà il vostro destino. Andate, buona fortuna’’, disse Atah mentre allontanava i due giovani, che lo guardavano perplessi.

 Smith avrebbe voluto ribattere, ma Lee lo prese delicatamente per un braccio e lo condusse giù dalle mura.

Atah scosse la testa. Lee sapeva già tutto, come al solito.

 Si concentrò subito sui Demoni, non c’era tempo da perdere. Invocò Huru, e si sentì subito pieno di energie.

Iniziò a pronunciare formule magiche potentissime, che subito andarono a bloccare e a interferire con l’azione dei Demoni. Questi stavano importunando gli imperiali, le cui linee avevano preso ad oscillare sotto i colpi degli Sconosciuti. I Demoni alzarono lo sguardo, e lo fissarono.

L’avevano individuato.

Subito, una marea di sensazioni contrastanti pervasero il corpo del vecchio mago. Nonostante ci fosse la barriera magica a difesa della città, lui, attraverso l’utilizzo dei suoi sortilegi, si era esposto ai Demoni.

Atah si piegò in due dal dolore, ma si riprese subito, poiché Huru era intervenuto in suo soccorso.

 In quell’istante furono i Demoni a piegarsi in due dal dolore. Huru era più forte del male, e li avrebbe schiacciati senza pietà.

Atah pronunciò un anatema contro di loro.

I Demoni a quel punto ruzzolarono in terra, schiumanti, come se fossero vittima di un attacco epilettico. I loro corpi si irrigidirono, mentre Atah li osservava dall’alto. Era stato fin troppo facile batterli.

 Huru li stava strangolando, li stava privando della vita. I nove corpi si rilassarono, come se fossero deceduti.

Tutti i soldati si fermarono un attimo ad osservare la scena. Poi, la battaglia riprese, e gli imperiali ripresero terreno.

Poi, accadde l’imprevedibile.

 

 

 

Fermei per un attimo vide i suoi sogni andare in frantumi.

I Demoni erano a terra, quasi morti. Il suo esercito era quasi pronto a ritirarsi. Il re gettò a terra la sua spada, con violenza. Era inutile continuare a combattere, si sarebbe ritirato.

Sarebbe tornato nelle sue terre al di là del deserto, si sarebbe rafforzato e poi sarebbe tornato ancora. Il suo esercito ora era quasi allo sfacelo. Quel giorno aveva perso tantissimi soldati.

Si girò, e fece per chiamare i suoi ufficiali.

Ma in quel momento, uno dei nove Demoni si rialzò, ed estrasse un pezzo di roccia.

 Sembrava quarzo bianco, ed era trasparente. Lo puntò verso il cielo, gridando qualcosa di incomprensibile.

E si scatenò l’inferno.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

La battaglia è iniziata.. ma è ancora tutto in bilico. Chissà cosa riusciranno a fare i Demoni. Per ora, spero di avervi incuriosito un po’ J

Certo, è un po’ fatica fare tre aggiornamenti a settimana(come vi ho già detto sto portando avanti un’altra storia, ancora più complessa di questa), ma penso di poterci riuscire J ultimamente sto scrivendo molto, quindi non ci sono pubblicazioni a rischio, per ora.

Grazie a tutti per avermi letto!! A mercoledì J

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

CAPITOLO 28

 

 

Fermei indietreggiò.

 La battaglia si fermò, e anche i soldati smisero di combattere e iniziarono ad allontanarsi dai Demoni.

Uno dei Demoni, quello con il corpo di Shon, il suo vecchio amico, alzò verso il cielo una pietra. Una pietra trasparente, di un colore simile al quarzo bianco.

 In quel momento sembrava che gli Sconosciuti fossero spacciati, poiché i Demoni sembravano morti.

 E invece, un potente raggio di luce scese dal cielo e s’incanalò all’interno della pietra. Quella pietra era senz’ombra di dubbio qualcosa di magico, poiché sembrava che fosse stata lievemente intagliata, per assumere una forma molto simile a quella di una lacrima. Inoltre, un filo di uno strano tessuto, che passava in un piccolo foro all’estremità più stretta dell’amuleto, la rendeva una collana.

 I Demoni pronunciarono un’oscura formula con una voce stridula d’oltretomba.

Fermei tremò, impaurito.

 Il raggio di luce che stava colpendo flebilmente la pietra si fece molto più intenso, e ad un certo punto divenne abbagliante. Tutti abbassarono lo sguardo, e il re si coprì il volto con una mano, per non essere accecato.

Un forte tuono squarciò l’aria, e la terra tremò.

 I soldati gridarono, mentre il suolo iniziava a crepare sotto i loro piedi. Un forte vento li travolse, molti finirono a terra.

Poi, tutto si concluse.

Il vento cessò, la terra smise di tremare e il bagliore accecante scomparve, risucchiato dalla pietra.

Per un attimo solo calò la notte, e fu buio pesto.

Poco dopo, tutto tornò la normalità, e riapparve la luce del giorno, anche se pareva molto flebile. I soldati si rialzarono, e si guardarono tra loro, stupiti. I Demoni erano tutti in piedi, vivi e vegeti. E più potenti che mai.

La battaglia doveva riprendere, e Fermei ricominciò a gridare ordini ai suoi sottoposti.

Senza porsi troppe domande, il re voleva riprendere subito lo scontro, visto che i suoi alleati Demoni erano ancora vivi, quindi c’erano ancora possibilità di vittoria.

Infatti gli Sconosciuti ripresero forza, e si lanciarono con rinnovata potenza sugli imperiali. Gli imperiali indietreggiarono, e furono travolti dall’attacco mentale dei Demoni, che li destabilizzò.

E l’esercito imperiale capitolò, in preda al panico. I Demoni erano potenti come non mai.

 

 

 

Atah gridò, in preda al terrore.

L’essenza di Huru, che gli forniva la magia, era stata catturata dai Demoni, ed era stata racchiusa in quella pietra magica di cui lui non sapeva nulla. Il vecchio mago sapeva che era giunta la sua fine.

 I vittoriosi Demoni gli scagliarono contro decine di anatemi potentissimi, e il vecchio non aveva più i poteri per potersi difendere.

 I sortilegi lo colpirono in pieno, e gli tolsero il respiro.

 Atah barcollò, in preda a terribili spasmi. In pochi istanti il dolore divenne insostenibile, e si sporse dai camminamenti, e cadde giù dalle mura.

 Il suo corpo cadde giù a peso morto, sotto gli occhi dei suoi due allievi.

 

 

Smith trattenne il fiato.

Il suo maestro, il più forte dei maghi di Huru, cadde, e il suo corpo si maciullò al suolo, proprio poco distante da lui. Una pozza di sangue si allargò sotto il suo corpo, e impregnò tutto il terreno circostante. E il vecchio mago non si mosse più.

‘’No!’’, gridò Smith, e fece per scendere dalla sella e andare dal maestro.

 Ma Lee, che era vicino a lui, lo prese per un braccio e lo trattenne in sella.

‘’No, Smith. Non ti crucciare per lui. Lo sapeva. Ora dobbiamo pensare a noi’’.

 ‘’No, Lee, non puoi dirmi che non provi nulla di fronte a questo scempio’’, disse Smith, mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia.

 ‘’Amico mio, anch’io sto soffrendo. Più di quanto immagini. Ma non c’è tempo per disperarci, dobbiamo pensare a salvarci. Ora non abbiamo neppure i nostri poteri magici, poiché li abbiamo perduti per sempre’’.

‘’Che significa?’’, disse Smith all’amico, incredulo.

‘’I Demoni hanno imprigionato Huru in quell’amuleto magico. Con Huru sotto il loro controllo, noi abbiamo perso la magia’’, rispose Lee.

Smith pronunciò una formula magica basilare, quella per accendere un fuoco. Che non si accese.

 ‘’E’ vero, Lee. Che ne sarà di noi?’’.

‘’Dobbiamo andarcene di qui. Questa città è una trappola ad orologeria. Tutti qui si credono al sicuro, ma ora che non c’è più nessun mago in grado di tenere la situazione sotto controllo, qui è tutto precario. Tra poco i cavalieri usciranno dalla città per coprire la ritirata degli imperiali, e noi usciremo con loro, e ce la daremo a gambe. Andremo a Fortwar, ultimo baluardo dell’impero’’, disse Lee.

 ‘’Quindi qui è tutto perduto?’’, chiese Smith.

 Lee fece un cenno affermativo con la testa. Non fece in tempo a dire altro, perché la campana d’allarme della città iniziò a suonare. Il ponte levatoio si abbassò rapidamente e la porta principale si aprì.

 I cavalieri si lanciarono fuori dalla città in un galoppo sfrenato, e i due amici li seguirono. Appena furono usciti tutti,  la porta cittadina si richiuse, e il ponte levatoio si risollevò.

 Gli ordini erano stati chiari; in caso di disfatta, quelle poche centinaia di cavalieri si sarebbero frapposte tra gli imperiali in fuga e gli inseguitori nemici, limitando quindi ulteriori danni o inseguimenti. Poi, dopo aver trattenuto per breve tempo il nemico, i cavalieri sarebbero dovuti fuggire, evitando quindi uno scontro prolungato.

Lee e Smith deviarono, e abbandonarono il gruppo, spingendo i loro cavalli a una corsa sfrenata, che concluse dopo una decina di minuti, quando riuscirono a raggiungere i margini  del bosco.

Si voltarono, e videro la disfatta.

I fanti imperiali erano in fuga, inseguiti dal nemico. Anche loro si stavano dirigendo verso il bosco, dove avrebbero potuto trovare riparo e nascondersi al nemico. I Demoni erano troppo forti, ed erano capaci di infliggere tremende sofferenze ai corpi degli umani.  

Intanto però l’azione di arginamento dell’inseguimento stava venendo svolta eccellentemente dai cavalieri imperiali, che tennero un po’ occupate le truppe degli Sconosciuti. Poi, i cavalli presero ad imbizzarrirsi a causa dei Demoni, e parecchi disarcionarono i loro cavalieri.

L’impero aveva perso anche quella battaglia.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo.

Ora che l’impero è stato nuovamente sconfitto, che ne sarà di Tim? Che ne sarà dei due giovani maghi, che hanno perso anche i poteri? Fermei si accontenterà della vittoria e si dirigerà direttamente verso Fortwar o tenterà di porre sotto assedio Vargan? Lo scopriremo nei prossimi capitoli J Anche perché nuove e inaspettate forze stanno per unirsi agli imperiali…

A presto J

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29

CAPITOLO 29

 

 

Tim se ne stava in sella ad un cavallo che gli era stato fornito da un suo cavaliere.

Stavano attraversando l’ultima parte di bosco che lo separava dalla strada principale, quella che avrebbe condotto lui e il suo residuo d’esercito alla capitale. Perché ormai, ciò che rimaneva dell’ex impero di Fortwar era solo la capitale.

 La provincia di Fortwar era completamente sguarnita, e ben presto sarebbe stata alla mercé degli Sconosciuti. Aveva spedito una ventina di soldati affidabili a informare tutti i villaggi della provincia, per invitarli ad evacuare e a prepararsi all’arrivo dei nemici.

 Aveva inviato anche un messaggero a Fortwar, per dare la brutta notizia.

 Era uscito da Vargan con 30000 soldati, e ora con lui ne aveva appena seimila. Almeno la metà della cifra iniziale era deceduta, ma il resto aveva preferito darsi alla macchia e cercare rifugio nel cuore del bosco invece che continuare una causa persa.

Infatti, con lui c’erano anche i due giovani maghi di Huru, che avevano perso i poteri magici. Altre due bocche inutili da sfamare, aveva pensato Tim. Tanto, ormai, non c’era più nulla da fare. Si sentiva molto abbattuto.

L’impero non aveva più un esercito, non aveva più la magia, e l’ambasciatore umano che era partito da Swaden parecchi mesi prima, per ritrovare le creature magiche, non aveva più fatto ritorno.

 Il morale era a terra, e nessuno parlava. Anche perché tutti erano sporchi e feriti, parecchi zoppicavano e tanti altri sarebbero morti prima di giungere alla capitale. Tim non aveva idea di come avrebbe reagito il nemico di fronte a quella vittoria, se avesse tentato un assedio a Vargan o se avesse preferito proseguire verso un’indifesa capitale.

Comunque, i nemici per ora non li avevano inseguiti.

Nonostante tutto, per Tim iniziava a profilarsi un altro problema; appena sarebbe rientrato nella capitale, sempre se ci fosse riuscito, avrebbe dovuto incontrare nuovamente Sergej. Anche se il suo ex amico aveva fatto passare tutta la vicenda passata e piena di violenza come qualcosa che si doveva necessariamente fare per dare un futuro migliore all’impero, lui era ancora rabbioso e dubbioso. Ben presto, avrebbe dovuto chiudere la questione, in un modo che neppure lui per ora sapeva.

Ora però doveva solo concentrarsi per riuscire in qualche modo a tornare a casa vivo.

 

 

Fermei non era molto felice.

Era riuscito a vincere una battaglia complicata, ma non aveva guadagnato quasi nulla. Le sue casse erano quasi vuote, non aveva neppure più soldi per finanziare il suo esercito. Aveva pensato di riuscire a fare più bottino a Palok, oppure di conquistare Vargan senza problemi, pensando che fosse solo un borgo con scarse fortificazioni. Ma aveva fatto i conti in modo sbagliato.

In fondo, era stato un bene che tanti dei suoi soldati fossero deceduti nello scontro contro gli imperiali. Tanto, non avrebbe potuto pagarli. Urgeva una soluzione immediata. E la soluzione era lì, di fronte a lui. Era Vargan, l’immensa e imprendibile città stregata.

 Doveva conquistarla a tutti i costi, poiché era una città ricchissima e piena d’oro e oggetti preziosi. I nobili della provincia di Palok si erano insediati tutti dentro le sue invincibili mura, sicuri di essere protetti dalla magia.

Inoltre, non poteva proseguire direttamente fino a Fortwar, perché non poteva economicamente permetterselo. D’altronde, ora la capitale era molto debole, ed era un bocconcino molto facile per lui.

Comunque, ormai l’impero era suo. Era quasi riuscito nella sua impresa di conquista. Ma prima, doveva distruggere e saccheggiare uno degli ultimi baluardi imperiali; Vargan.

Per ora, aveva fatto piantare il campo al limitare del bosco, abbastanza lontano dalla piana coltivata dove era avvenuta la battaglia. Ma ben presto l’odore terribile di migliaia di corpi in decomposizione avrebbe contaminato l’aria, portando disagi e malattie. Quindi si doveva agire in fretta, entro poche ore, poiché il clima caldo tipico di quel luogo avrebbe accelerato di molto il processo di decomposizione.

Ora era fuori dalla sua tenda, e stava fissando le imponenti mura dell’invincibile città.

Sentì dei passi dietro di sé, e si voltò. Era uno dei suoi ufficiali maggiori.

‘’Sire, i nostri soldati vogliono ricevere la paga. Si lamentano molto, poiché è da un po’ che non viene effettuata. Ho paura che, se non li soddisfa subito, si possano ribellare’’, disse l‘ufficiale senza tante cerimonie.

 Fermei annuì. Ecco, era arrivato il momento tanto temuto, ed era arrivato pure in anticipo. I suoi soldati, subito dopo lo scontro, non avevano atteso altro tempo. Volevano soldi.

‘’Dì ai soldati che entro poche ore non potranno godere di una sola paga, ma di un’ingente bottino’’, disse Fermei con fare sicuro, e indicò Vargan.

 ‘’Sire, dite davvero? Avete già un piano per prendere Vargan?’’, chiese l’ufficiale, che si era sentito talmente tanto sollevato da essersi dimenticato che non si rivolgono domande al re.

 Fermei chiuse un occhio. Doveva farlo contento.

‘’Certo. E ora vai a tranquillizzarli’’, disse, mentendo.

‘’Subito, sire!’’, disse l’ufficiale, sparendo a passo svelto tra le tende.

Fermei rimase lì a rimuginare, perché se non fosse riuscito a prendere Vargan si sarebbe trovato di fronte a guai grossi. I suoi soldati erano stanchi e stressati, quindi anche particolarmente imprevedibili. Una sommossa in quel momento avrebbe potuto costare cara a tutta la sua campagna di conquista. Doveva trovare immediatamente una soluzione.

 Fece convocare i Demoni.

 

 

I Demoni, stranamente, erano felicissimi.

 La loro missione era vicinissima al compimento. Ora avevano racchiuso il potere di Huru dentro all’amuleto, dal quale potevano attingere energia in grosse quantità.

 Sorrisero, perché Huru era sempre stato un’entità positiva, a difesa del bene e degli umani. E ora avrebbe contribuito alla loro distruzione. Quello era un altro elemento che andava ad aggiungersi all’energia che avevano già racimolato. Ora mancavano solo altri due elementi. Ben presto, loro avrebbero potuto mostrare chi erano veramente.

‘’Alleati, il Re ha richiesto la vostra presenza’’, disse una guardia, con fare circospetto.

I Demoni la fissarono male, poiché era entrata nella loro tenda senza avvisare. La guardia se ne andò subito, senza dire altro, atterrita.

I Demoni si avviarono subito verso la tenda reale, sbuffando, ma sempre più soddisfatti del fatto che ben presto avrebbero iniziato la loro missione.

 E sarebbero diventati padroni del mondo, signori incontrastati di tutte le terre.

 

 

I Demoni entrarono nella tenda reale, facendosi annunciare da una guardia. Solo dopo aver fatto avvisare il re della loro presenza, entrarono.

 ‘’Alleati, questa volta che vi attendavo con ansia vi siete fatti annunciare e avete seguito una lunga cerimonia. A cosa devo tutta questa galanteria?’’, chiese il Re con ironia, appena li vide.

‘’Oh, Sire, per nulla al mondo vorremmo metterla in imbarazzo come l’ultima volta che ci siamo presentati’’, dissero i Demoni, facendo ricordare al re la scena privata con Ilse, alla quale loro avevano involontariamente preso parte.

 ‘’Va bene. L’importante è che vi siate presentati subito’’, disse il re cambiando discorso.

Poi, fece una breve pausa, come per riflettere meglio su ciò che stava per dire. Ma non sapeva che i Demoni immaginavano già l’argomento del discorso.

‘’Demoni, devo conquistare Vargan a tutti i costi. E subito. Vi prego di consigliarmi qualcosa, visto che siete più esperti di me sulle arti magiche’’, disse Fermei, senza preamboli.

 ‘’Sire, la città è imprendibile. La si può assediare anche per millenni senza ricevere alcun risultato. Ma un modo per conquistarla esiste, è rapido ma è anche molto rischioso’’, dissero, mentre nelle loro menti malvagie c’era già un’idea.

‘’Ditemelo, ve ne prego. Devo conquistare e saccheggiare questa città, o sarà la fine del mio sogno. Pensavo di fare più bottino a Palok, dove invece è stato bruciato tutto, e gli abitanti sono scappati. Così, sono rimasto quasi al verde, e non posso offrire una buona paga ai miei uomini. Voglio conquistare Vargan, costi quel che costi’’, disse il Re.

 ‘’La città si può conquistare solo se uno al suo interno fa aprire la porta e abbassare il ponte levatoio. In questo modo le vostre truppe entreranno indisturbate. Non esiste altro modo’’.

‘’Va bene. Ma nessuno da dentro aprirà le porte a me’’, disse il re.

‘’Ma se lei manda qualche infiltrato dentro, che azioni il meccanismo di apertura della porta, sarà possibile entrare’’, risposero i Demoni. Fermei iniziò a riflettere.

 I Demoni si spazientirono. Loro avevano già un’idea, e quello stupido re tentennava, come se non capisse nulla di tecniche militari.

‘’Sire, mandi la ragazza là dentro. Ha già compiuto missioni pericolose, e ne è sempre uscita illesa. Ed è molto scaltra’’, dissero i Demoni, interrompendo i pensieri di Fermei.

‘’Chi? Ilse? Ma vi sbagliate di grosso. Non ho alcuna intenzione di metterla nei guai, non voglio perderla. Io la amo!’’, disse il Re, con foga crescente.

 I Demoni sorrisero. Il Re non aveva neppure ancora capito che Ilse era incinta. Comunque, la ragazza era incinta di poco più di un paio di mesi, e ancora non si notava molto.

Stupido re, si dissero. Era un re disattento a tutto. Si chiesero come potesse uno così ignobile governare un immenso impero.

 ‘’Vada a prendere due imperiali feriti, o caduti nelle vostre mani come schiavi. Scelga due che siano ben conosciuti dai soldati di guardia alle mura, e prometta a loro che avranno salva la vita. Poi, vi daremo una mano noi a convincerli di seguire la nostra causa. Intanto, faccia muovere nuovamente l’esercito verso sud, come se fosse in procinto di inseguire ciò che rimane dell’esercito imperiale. Una volta giunti ai margini del bosco, faccia nascondere bene i soldati, e attenda la notte. i due imperiali a quel punto si faranno aprire dagli amici di guardia, e introdurranno dentro anche Ilse, che farà la parte di una superstite di un villaggio vicino, sopravvissuta al passaggio delle truppe del nemico. Durante la notte, Ilse, sfruttando il fatto che di guardia alle mura non ci sarà quasi nessuno, visto che sono difese dalla barriera magica, ci aprirà da dentro. A quel punto, i nostri soldati faranno irruzione nella città silenziosamente, e la conquisteranno. E’ così semplice’’, conclusero i Demoni.

 ‘’Sì, l’idea è buona. Ma non mi va di utilizzare Ilse’’, disse Fermei.

‘’Ilse è l’unica che può mischiarsi tranquillamente agli imperiali senza far sorgere alcun dubbio, e questo lei lo sa bene. Parla perfettamente la loro lingua, è identica a loro ed è pur sempre una ragazza, una che sembra innocua. Ed è molto in gamba a mentire’’.

 ‘’Sì, avete ragione. Ilse è in gamba, non ho mai visto nessuna donna come lei. Bene, se lei accetterà, applicheremo questo piano. D'altronde non ho molte altre alternative. O rischio Ilse, o perdo il mio esercito, e anche i miei sogni’’, concluse il Gran Re, scuotendo la testa con fare preoccupato.

 Non perse tempo, visto che era già pomeriggio inoltrato, e a malincuore fece convocare Ilse. Se voleva Fortwar, era necessario conquistare Vargan.

 

 

I Demoni, intanto, abbandonarono la tenda reale, ed erano ancora più felici. Probabilmente il re avrebbe affidato quella rischiosa missione ad Ilse, facendole rischiare la vita. E se Ilse fosse morta, loro ne avrebbero gioito, poiché lei era l’unica a conoscere, almeno in parte, il loro odio segreto per Fermei. E poi era motivata e decisa.

 Lei era un ostacolo. Un ostacolo che prima o poi doveva essere eliminato.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Tim è un po’ abbattuto. D’altronde, chi non lo capisce? J

Fermei invece è disposto a giocarsi tutto ciò che ha di più importante al mondo per avere Vargan; la sua amata Ilse.

Nel prossimo capitolo scopriremo se Ilse si lascerà coinvolgere in una pericolosissima avventura nonostante il suo stato(anche se non ha molte alternative), e come andrà a concludersi la vicenda di Vargan.

Grazie a tutti per la lettura! A mercoledì J

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30

CAPITOLO 30

 

 

Ilse si avviò ancora una volta verso una missione dall’esito incerto. E in più, questa volta era in compagnia di due perfetti sconosciuti.

I Demoni e Fermei li avevano convinti a collaborare, nonostante all’inizio fossero apparsi un po’ reticenti.

Erano due guardie molto note a Vargan, ed erano entrambe ferite di striscio. La loro identità era stata garantita dai Demoni e dagli altri prigionieri.

D’altronde, per lei non c’erano altre possibilità cha affidarsi a quei due, sperando che i Demoni avessero stregato le loro menti in modo corretto. L’esercito degli Sconosciuti era pronto alla rivolta, e senza qualcuno che fosse pronto ad entrare in quella dannata città ed aprire la porta principale, tutti gli sforzi finora compiuti avrebbero rischiato di diventar vani. Lei doveva aprire quella grande porta, in un modo o nell’altro.

 L’esercito di Fermei aveva abbandonato l’assedio, e aveva percorso qualche centinaio di metri, percorrendo la strada che portava verso sud, e sparendo alla vista delle guardie appostate sulle mura. In realtà, l’esercito era tornato indietro, e si era appostato in silenzio nel bosco, pronto a scattare non appena la porta cittadina si fosse aperta.

 Ilse proseguiva, e a tratti veniva sorretta da quei due perfetti sconosciuti. Doveva fingersi stanca e malata. Per precauzione, aveva un piccolo pugnale nella tasca, sicuramente più simile a un bisturi di un chirurgo, e per questo molto affilato e letale.

Sospirò, preoccupata. Si era affidata al caso anche quella volta. Ma non aveva altra scelta; se voleva che Fermei conquistasse Fortwar e che la sposasse, doveva affrontare quei rischi. In più era anche in stato interessante. Ma si ripeté che non poteva fare altrimenti. Fece un respiro profondo, per calmare le sue inutili ansie.

Ben presto si trovarono di fronte alla porta principale, a separarli dalle mura c’era solo il fossato, che era pieno d’acqua e di bestiole molto aggressive.

 ‘’Steven! Steven!’’, prese a gridare uno dei suoi due accompagnatori.

Subito, dai bastioni rispose una voce.

 ‘’Rohn, sei tu! E sei vivo!’’, disse con gioia quello che doveva chiamarsi Steven.

Probabilmente, Rohn conosceva bene i turni di guardia, e sapeva perfettamente chi stava svolgendo il compito di sentinella in quel preciso momento della giornata. Il sole stava calando, e la battaglia si era conclusa da sole cinque ore.

 ‘’Steven, per favore, aprici. C’è anche Josh con noi, è ferito, e questa è una ragazza che abbiamo trovato dispersa nel bosco poco distante, dove ci siamo rifugiati. I nemici se ne sono andati, e noi siamo rimasti chiusi fuori, e siamo lievemente feriti’’, disse Rohn.

‘’Sì, adesso vi calo il ponte e vi apro la porta. Aspettate un attimo’’, disse Steven, con voce sicura.

 Ilse tremò tutta dalla gioia; stava per entrare a Vargan. quei suoi strani accompagnatori conoscevano veramente molto bene gli assediati. E fu così che poco dopo il ponte si abbassò, e fu aperta la porta.

 Ilse entrò, seguita dai suoi due accompagnatori, e la porta si richiuse dietro di loro. Subito, i tre furono circondati da guardie armate. Ilse tremò.

Ma si rilassò quando vide che i suoi due accompagnatori venivano abbracciati dai loro compagni, sicuri che fossero morti.

‘’Ma come avete fatto a salvarvi?’’, chiese il tizio, che doveva essere Steven.

 ‘’Quando l’esercito imperiale ha iniziato la ritirata, noi ci siamo rifugiati nel bosco, come tutti. ma poi li abbiamo persi di vista, e ci siamo ritrovati soli. Dopo neppure tre ore, abbiamo trovato questa ragazza, che vagava sperduta nella foresta’’, disse Rohn.

Tutti fissarono i loro sguardi su Ilse.

Il suo accompagnatore non aveva detto chi era, e tutti gli sguardi erano indagatori. Sentì che stava per diventare paonazza, e cercò di ritrovare fin da subito l’autocontrollo.

 ‘’Ragazza, da dove vieni?’’, le chiese Steven.

 ‘’Mi chiamo Anna e sono figlia di un mercante di stoffe. Mio padre stava percorrendo la strada principale che collega i villaggi di frontiera della provincia di Fortwar, quando abbiamo incontrato i nemici. Mio padre è stato ucciso,ma io sono riuscita a scendere dal carro che conteneva la merce, dove stavo riposando, e sono corsa nel bosco. Fortunatamente nessuno mi ha inseguito. E poi, mi sono incontrata con Rohn e il suo amico’’, rispose, tirando un sospiro di sollievo.

‘’Un mercante di stoffe che va a vendere la propria mercanzia in territori a rischio, dove i soldati nemici sono distanti solo pochi passi?’’, chiese Steven, in modo perplesso.

Ilse iniziò ad essere nei guai, poiché doveva trovare un’altra scusa. Comunque, mascherò la sua insicurezza con uno sguardo stanco e un po’ di atteggiamenti timidi.

 ‘’Mio padre purtroppo era disperato. In tempo di guerra non riusciva più a vendere quasi nulla, e ha deciso di rischiare il tutto per tutto’’, disse Ilse. Steven parve soddisfatto dalle risposte ricevute, e annuì. Tutti si erano convinti che Ilse fosse veramente una comune ragazza dell’impero, e anche quella volta la sua pronuncia perfetta e il suo aspetto fisico la salvarono. D’altronde, per tutti loro restava solo una semplice e innocua donna.

 I soldati continuarono a discutere tra loro per un po’, rassicurandosi del fatto che l’esercito nemico stava andando verso sud, non badando a Ilse, almeno per un pò.

 ‘’Rohn, accompagna la ragazza in qualche alloggiamento. Potrebbe sostare da noi questa notte, sui bastioni’’, disse Steven dopo un po’ di tempo.

‘’Va bene’’, disse Rohn, calmo, e la condusse nella scalinata che conduceva nei piani alti della mura.

‘’Ragazza, io adesso ti lascerò in un posto privilegiato. Ti segnalerò dove sono i meccanismi per far abbassare il ponte levatoio e per aprire la porta principale. Poi io me ne andrò, e tu te la dovrai cavare da sola. Se resto con te, verranno a cercarmi o si insospettiranno, quindi devo tornare giù’’, disse Rohn, non appena fu sicuro che nessuno potesse sentirli.

Fuori era già buio, e la città aveva già iniziato a spegnere le sue luci, poiché molti si apprestavano ad andare a letto.

Dopo alcune rampe di scale, Rohn le segnalò con una mano i meccanismi, poi la condusse velocemente più in alto, proprio sotto i camminamenti, dove c’erano alcuni alloggiamenti.

‘’Ti lascio qui. Valuta tu il momento opportuno per svolgere la tua missione. Addio’’, disse Rohn, sparendo poi a passi svelti giù per le scale.

Ilse non aveva intenzione di starsene ferma lì a lungo, ma non poteva agire subito, perché molti soldati erano ancora attivi. Dai piani inferiori si sentivano numerosi rumori. Poi, dopo un po’, cessarono.

 Ilse non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso dal suo arrivo, quando iniziò la sua missione. Steven stava ancora svolgendo il servizio di guardia notturno, poiché non era ancora rientrato negli alloggiamenti. Ilse prese a camminare quatta, lasciò quelle due misere stanzine e iniziò a scendere le scale.

Scese di numerosi gradini, poi sentì dei passi che venivano verso di lei. Passi svelti e sicuri.

 Ilse ebbe paura.

Non poteva tornare su di corsa, poiché l’altro l’avrebbe sentita e inseguita, poi le avrebbe posto delle domande. E non poteva neanche starsene lì ferma. Allora, in un attimo decise di continuare a scendere con fare disinvolto.

 Scese altri due scalini, e si trovò di fronte un soldato, che apparve all’improvviso, immerso nella penombra.

‘’Dove vai, ragazza?’’, chiese, con toni duri.

‘’Cerco il bagno’’, disse Ilse, con fare intimorito.

‘’Donne! Sempre in cerca di qualche comodità’’, sbottò il soldato. ‘’Vai giù, qualche servizio igienico c’è’’, disse infine, riprendendo a salire.

 Ilse tirò un sospiro di sollievo, e non incontrò più nessuno.

E dopo poco si trovò di nuovo di fronte ai meccanismi. Non c’era nessuno a controllarli, poiché nessuno temeva una minaccia interna alla città.

Lei si avvicinò di più, e li osservò. Il meccanismo che faceva alzare e abbassare il ponte era composto da corde, che venivano allentate quando doveva scendere, e messe sotto tensione per farlo risalire. Ilse notò che quell’operazione doveva richiedere molti uomini.

 Poi osservò il meccanismo di apertura della porta principale. Era una leva, che andava spinta. Ed era molto dura.

 Ilse non aveva tempo da perdere, e decise di buttarsi. Estrasse il suo affilatissimo pugnale, e iniziò a rompere le corde che tenevano sollevato il ponte levatoio. Ci mise un paio di minuti, prima di riuscire a tagliarne una. E il meccanismo si ruppe definitivamente.

In pochi istanti, le altre corde si spezzarono tutte da sole, non riuscendo più a sorreggere il peso del legno del grosso ponte, che cadde giù facendo un bel tonfo.

 Ilse si spaventò.

 I soldati di guardia sulle mura a quel punto dovevano essersene accorti che qualcuno stava manomettendo la porta cittadina.

Corse immediatamente alla leva per aprire la porta principale. Ma era troppo dura per lei.

 Insistette, riuscendo a smuoverla di un paio di centimetri. Poi non si mosse più.

Sentì dei passi, e sbucò una figura incappucciata. Si mostrò a Ilse, e lei lo riconobbe immediatamente. Era Josh, l’amico di Rohn. Prese la leva con entrambe le mani, e iniziò a spingere con forza, ed ebbe qualche risultato.

 Ilse fremette, non c’era più tanto tempo. Anche lei si gettò sulla leva con foga, che a quel punto scattò con forza, e la leva si fece più morbida. La porta principale si aprì velocemente.

Josh lanciò un grido disperato, e Ilse si accorse che giaceva trafitto al suolo. Dietro di lui, c’erano Steven e un altro soldato a spade sguainate.

‘’Brutta strega! Hai aperto la porta, ci hai traditi. Ma ora morirai’’, disse Steven.

Ilse notò che i soldati di Fermei avrebbero impiegato ancora un paio di minuti prima di riuscire ad entrare tutti, sempre se avevano iniziato.

E invece, sentì delle forti grida. Erano loro, era l’esercito di Fermei, che era già arrivato. Ilse quasi pianse dalla commozione, poiché era riuscita a farli entrare in città. Ma ora doveva salvarsi.

 I due soldati si guardarono tra loro, disperati.

‘’La nostra città è perduta, ma anche tu lo sei. Tra poco ti infilzeremo, sporca traditrice’’, le disse Steven.

Ma lei scattò di corsa, e raggiunse le scale, catapultandosi giù. Dietro di lei, i due soldati la inseguivano, pronti a raggiungerla e ad ucciderla. Le tornarono in mente i ricordi dell’ultimo inseguimento al quale lei doveva sottrarsi, a Frampul. Era finito male, e gli Sconosciuti l’avevano catturata. Ma quella volta lei sarebbe stata più svelta, anche perché aveva saputo sfruttare bene il suo piccolo margine di vantaggio sui nemici.

Ridiscese tutta la scalinata senza incontrare ostacoli e riuscì ad uscire dalle mura, trovandosi proprio a fianco della porta principale, nel punto dove era stata interrogata dai soldati solo poche ore fa. Non c’era nessun soldato imperiale, erano fuggiti tutti a cercare i loro familiari, per proteggerli dagli invasori. Intanto, i soldati di Fermei stavano già devastando diverse abitazioni.

 Dalle case si alzavano grida fortissime, e da quelle più vicine alle mura si alzavano già le prime fiamme. Ilse riprese a correre verso l’esterno delle mura.

Iniziò a correre sul ponte levatoio, e inciampò rovinosamente in un pezzo di legno che si era frantumato nello schianto di poco prima. Ilse si trovò distesa a terra, mentre i due soldati di Vargan l’avevano già raggiunta. Cercò di rialzarsi, con un ultimo gesto disperato. Steven la raggiunse e le tirò un calcio, facendola ruzzolare fin sul margine del ponte. Stava per cadere in acqua.

Provò un fortissimo dolore la ventre. Temette per suo figlio.

 Ilse gridò, disperata, mentre Steven e il suo amico sguainavano le spade.

 Steven la affrontò per primo, e le si avventò addosso. Ilse deviò un fendente, estrasse il coltello e lo colpì al polpaccio. Mentre l’avversario cadeva a terra, Ilse lo afferrò per la divisa e lo pugnalò più volte con forza.

Però aveva commesso l’errore di perdere di vista l’altro nemico, che le si era avvicinato, e ora la sovrastava con tutta la sua stazza. Ilse lasciò il corpo ormai inerte di Steven, e cercò di muoversi.

 Ma era troppo tardi, ormai il soldato si stava preparando a lanciare l’affondo finale. L’avrebbe colpita comunque, qualunque mossa lei avrebbe fatto. Vide la morte in faccia.

 Ma improvvisamente il soldato lasciò cadere la spada ed emise un rantolo, prima di cadere al suolo. Era stato trafitto da una freccia.

Ilse alzò lo sguardo, per vedere il suo salvatore. E si trovò di fronte il Gran Re in persona.

‘’Ilse, questa volta hai rischiato troppo! Ti giuro solennemente che questa è stata la tua ultima missione pericolosa’’, disse Fermei, abbracciandola.

 Ilse si lasciò andare, e pianse, dando sfogo alla tensione che aveva accumulato da parecchie ore. Si sentì indebolita, stava perdendo tutte le forze, forse a causa dello spavento ricevuto. Inoltre, le faceva molto male il ventre, ed aveva paura per l’incolumità di suo figlio.

‘’Stai tranquilla, è tutto a posto. La città è nostra, abbiamo vinto anche questa sfida impossibile. Anzi, tu l’hai vinta. Tutta sola, come una vera eroina. Ti amo amore mio..’’.

 Quelle furono le ultime parole che sentì Ilse, prima di perdere i sensi, e di svenire tra le braccia di Fermei.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ilse se l’è vista brutta, ma alla fine è riuscita a completare la sua missione. Ma al caro costo di rischiare di perdere la vita e suo figlio. Per quanto tempo ancora riuscirà a nascondere la gravidanza al re? Questo lo scopriremo a breve J

Spero che questo capitolo, dove ho cercato di inserire un bel pizzico d’azione, come al solito, vi sia piaciuto J

Beh, non ho molto da dire. Non ho alcuna pretesa con questa storia se non quella di intrattenervi un po’, e spero di esserci riuscito finora J

Auguro a tutti voi buone feste, e di passare un buon Natale ! J

Grazie per la lettura J A sabato J

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

CAPITOLO 31

 

 

Fermei era molto soddisfatto della sua Ilse.

Grazie a lei, ora mancava solo la conquista della provincia di Fortwar, poi sarebbe diventato un imperatore universale. E lei sarebbe stata la sua sposa.

 La città di Vargan era stata distrutta, e con essa erano pure sparite le difese magiche che la proteggevano da attacchi esterni. Vargan era in fiamme, e dei suoi bei palazzi ben presto sarebbe rimasta solo cenere.

 I suoi soldati navigavano nelle monete d’oro strappate ai ricconi, che si erano nascosti in quella città solo esteriormente inviolabile. Quindi, loro erano molto soddisfatti, e non ci sarebbero stati problemi a proseguire la marcia verso la capitale.

Tutti i cittadini erano stati raggruppati nella grande piazza centrale, e sarebbero stati ceduti in pasto ai Demoni, che così sarebbero diventati invincibili. Nulla avrebbe più potuto fermare l’avanzata del Gran re.

Era ormai l’alba, e Fermei aveva abbandonato Ilse in mano di un medico esperto, per tenerla sotto controllo dopo quel repentino svenimento. Il re si sentiva in colpa per averla lasciata sola, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, ma doveva mostrarsi ai suoi uomini e gioire con loro per la vittoria.

 Appena aveva potuto, infatti, si era dileguato, e ora si accingeva a recarsi nella sua tenda, dove Ilse era ricoverata e controllata dal medico di fiducia. Ricoprì gli ultimi pochi metri che lo separavano dalla tenda reale, ed entrò.

L’aria dentro era quasi irrespirabile, decine di aromi mescolati creavano un odore forte e pungente, quasi irritante. Fermei non ci badò, e cercò subito con gli occhi la sua amata. Ilse giaceva ancora senza sensi su un piccolo letto. Il medico le stava sentendo il polso.

 ‘’Alan, come mai è ancora in stato d’incoscienza?’’, chiese subito Fermei, preoccupato. Alan era il nome del suo medico privato, il più bravo di tutti.

‘’Sire, la ragazza ha subito un forte spavento’’, disse Alan, girandosi verso il Re e facendo un inchino. Fermei gli fece cenno di non badare a cerimoniali. Ormai tutti lo vedevano come un imperatore.

 ‘’Sicuro? E’ solo l’effetto di uno spavento, quindi?’’, domandò preoccupato.

‘’Sì, colpa dello spavento. Ora deve solo riposare, tra poco si sveglierà, vedrà. Inoltre, la ragazza è stata sottoposta ad una condizione di stress troppo elevata per una donna in gravidanza..’’.

Fermei non lasciò concludere la diagnosi al medico.

 ‘’Cosa? Cosa hai detto?’’. Il medico si guardò attorno, spaventato dalla reazione esagerata del re.

 ‘’No, Sire, mi perdoni, non volevo dirle che è stato un imprudente a mandare..’’.

 ‘’No! Hai detto gravidanza’’, disse Fermei, agitato al massimo.

‘’Certo, sire. Ma questo lo sapeva anche lei, no?’’, chiese con circospezione il medico.

‘’E tu questo come fai a saperlo?’’, chiese Fermei, senza ammettere che in realtà era stato tenuto all’oscuro di tutto. Non voleva credere al medico.

‘’Ma chiunque lo può vedere. Guardi il ventre, e poi chieda con lei. Inoltre, il suo battito cardiaco è lievemente diverso dal normale, ed è tipico delle donne in stato interessante’’, disse Alan.

Fermei si guardò attorno, sconcertato.

 Perché Ilse non gli aveva detto che aspettava un bambino, si chiese. Forse non era il suo. No, impossibile, lei lo amava, si disse.

D’altronde, era da ormai parecchio tempo che lei non voleva più dormire con lui, e utilizzava varie scuse. Doveva averlo capito da solo che c’era qualcosa che non andava. Si diede dello stupido.

Cacciò via il medico malamente, dopo essersi accertato che a lei non serviva più nulla, e si sedette a fianco del suo letto, in attesa del suo risveglio.

 Dovette attendere altre due ore prima che la ragazza si risvegliasse.

 

 

Quando Ilse riprese i sensi, si trovò nella tenda reale.

 Tutto gli era familiare lì dentro, e si sentì a casa, in un posto tranquillo. Pian piano riaffiorarono i ricordi tremendi che aveva vissuto solo poche ore fa, e sentì un altro giramento di testa.

Poi la situazione si stabilizzò, e fece per alzarsi a sedere. Solo in quel momento vide che a suo fianco c’era  Fermei.

 Ma non il Fermei amorevole di sempre, bensì un Fermei pieno di rabbia. Appena si accorse che si era risvegliata, l’aggredì subito.

‘’Perché non me l’hai detto subito?’’, chiese.

 ‘’Detto cosa?’’, disse Ilse, incerta su dove volesse arrivare il re.

 ‘’Che sei incinta!’’, disse ad alta voce Fermei, con fare aggressivo.

 ‘’Io..’’, riuscì a dire Ilse.

‘’Forse quello che aspetti non è mio figlio?’’, insinuò il re con rabbia crescente.

Ilse capì che la stanchezza doveva aver sconvolto la sua mente. Non era da lui avere reazioni così esagerate, ma d’altronde erano due notti che non riposava a dovere. Ed aveva pure combattuto una battaglia.

‘’Fermei, quello che è nel mio grembo è nostro figlio. Non ti permetto di dubitare della mia lealtà nei tuoi confronti. Non dopo tutto quello che ho rischiato per te. Anzi, per noi’’, disse Ilse, con toni pacati.

Fermei si tranquillizzò subito, e si pentì delle parole che aveva pronunciato poco fa.

 ‘’Perdonami, Ilse. Non volevo offenderti. Volevo solo sapere perché non me lo avevi detto, e perché l’ho dovuto sapere da un medico, invece che dalla tua bocca’’, disse, con più calma. Ilse per un momento si sentì frastornata. Qualcuno doveva averla visitata, per poi far  la spia al re.

‘’Non te l’ho detto perché non volevo distrarti dal tuo compito, ovvero quello di distruggere questo dannato impero. Inoltre, se tu lo avessi saputo, non mi avresti lasciato andare in missione qui a Vargan, e la città non sarebbe caduta. E ciò avrebbe significato solo una cosa; la fine del nostro sogno’’, disse Ilse con sincerità.

 ‘’Hai ragione.  Scusami. Però, d’ora in poi voglio che tu  non mi nasconda più nulla. Non voglio più farti correre rischi, d’ora in poi’’.

‘’Va bene. Ma ora abbracciami, ti prego’’, disse Ilse, con infinita dolcezza.

Fermei le si avvicinò, con un sorriso sincero stampato sul volto, e l’abbracciò. Restarono uniti in quel caldo abbraccio per parecchi minuti.

 

 

Intanto che Fermei si riappacificava con Ilse, Tim stava sdraiato sul terreno umido, cercando di riprendere un po’ di forze.

Il suo corpo era tutto indebolito e indolenzito, e la fuga verso la relativa sicurezza di Fortwar si stava rivelando estenuante, per un fisico già provato dalla stanchezza come il suo e quello dei suoi uomini.

 Per riposarsi un po’, si erano nascosti nel bosco, con il terrore di essere raggiunti e sopraffatti dal nemico. Ma questo non accadde.

Ogni tanto si sentivano fruscii, e tutti tremavano di paura, temendo che si trattasse di nemici o pericolose bestie selvatiche.

Per fortuna, fino a quel momento non era accaduto nulla. La sua marcia forzata verso Fortwar continuava.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ora Fermei è a conoscenza della gravidanza, e che ben presto avrà un figlio.

Tim, intanto, continua il suo viaggio di ritorno  verso Fortwar, l’ultimo baluardo dell’impero dove si svolgeranno le ultime ed importanti vicende dei nostri protagonisti. Sarà proprio sotto le mura di Fortwar dove i destini dei nostri personaggi troveranno finalmente la svolta decisiva. Ma non corriamo troppo; per ora, Tim deve solo pensare a tornare a casa vivo, e ad affrontare il clima agitato della capitale imperiale.

Grazie a tutti per avermi letto J alla prossima J

 

AVVISO PER I LETTORI

 

Molto probabilmente, la prossima settimana, a causa di festività, non pubblicherò il consueto capitolo di mercoledì, ma ne pubblicherò solo uno nella giornata di sabato. Poi, dalle settimane a venire, tutto tornerà alla normalità, con due pubblicazioni a settimana. Ancora grazie a tutti J

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 32

CAPITOLO 32

 

 

Sergej aveva appena ricevuto il messaggero inviatogli da Tim. Ora, quell’uomo stanco e ferito era ancora di fronte a lui, in piedi.

 ‘’Vai a farti assegnare un posto letto e a prendere un pasto caldo’’, gli disse, e l’uomo annuì, riconoscente.

Sergej doveva riconoscere il fatto che ormai c’era poco da fare per salvare ciò che rimaneva dell’impero. Non avevano un esercito in grado di mettere in difficoltà il nemico, e avevano pure perso la speranza di utilizzare la magia. Inesorabilmente, lo sconforto stava aumentando in lui.

Si prese il volto tra le mani, e si concesse alcuni minuti di tregua. C’era tanto da fare; le mura dovevano essere ancora riparate in più punti, e se si voleva affrontare un assedio era necessario prepararsi a dovere. Almeno, gli alloggi per ricevere diverse centinaia di sfollati dalla provincia di Fortwar erano pronti.

 Uscì fuori dalla sala ricevimenti dell’ex palazzo imperiale, e si diresse verso la piazza. Aveva preparato una sorpresa per Tim; nonostante il generale non avesse più voluto sapere nulla del palazzo degli imperatori, lui aveva fatto iniziare i lavori di ricostruzione. In realtà, bastava solo imbiancare le pareti, spazzare il pavimento e ricostruire il tetto, che era crollato durante l’incendio appiccato dal popolo in rivolta. Comunque, quello  ora non era il suo obiettivo primario.

Mentre camminava nella piazza centrale, iniziò a sentire delle grida di sgomento. Provenivano dal porto cittadino, poco distante da lì. Tutti i presenti nella piazza iniziarono a farsi strada verso il porto, creando una ressa incredibile.

Sergej, incuriosito, a sua volta si mosse verso il porto, per scoprire cosa avesse attirato tanto l’attenzione di tutti verso un luogo che peraltro non era neppure tanto utilizzato ultimamente, se non da qualche pescatore. Facendosi largo a spintoni tra la folla, riuscì a raggiungere il porto indenne.

Situato all’interno di un’insenatura naturale, il porto di Fortwar era composto da diversi attracchi, dove i marinai potevano fissare le loro imbarcazioni, grazie all’utilizzo di resistenti funi. Sul luogo erano presenti numerosi soldati. Sergej si fece largo fino a che non ne raggiunse uno.

‘’Che succede, soldato?’’, chiese, con toni bruschi.

Il soldato interpellato era solo un ragazzo, ed era pure timido. Quando si accorse chi aveva a suo fianco, ovvero uno dei due generali supremi, divenne tutto rosso in volto, ma comunque riuscì a trovare la forza per rispondere.

‘’Guardi là, generale. Stanno arrivando delle navi. E non sono semplici imbarcazioni di pescatori’’, rispose. Sergej pensò subito a un attacco via mare.

 ‘’Via di qui! Soldati, ricacciate via la folla dal porto! Potrebbe essere pericoloso’’, gridò ai soldati che erano attorno a lui.

Subito, i suoi soldati eseguirono gli ordini senza alcun esitazione.  In poco tempo, tutta la folla venne allontanata, e la zona del porto fu transennata e ben vigilata, in modo che nessun civile potesse intrufolarsi dentro. Sergej fece suonare le campane d’allarme in tutta la città, e radunò tutte le milizie cittadine in tempo record. Fu fiero dei propri ragazzi e della loro capacità di reazione fulminea.

 Intanto, le imbarcazioni apparvero nitide, a poca distanza dal porto, e ben presto sarebbero entrate. Erano sei, grandi e resistenti. Non erano un numero preoccupante, quindi Sergej impose ai suoi uomini di non agire fintanto che lui non fosse riuscito a comprendere l’identità dei soggetti che pilotavano le navi.

Ad un certo punto, le imbarcazioni parvero prendere velocità, ed entrarono nel porto, preparandosi ad attraccare. Tutti i soldati si spaventarono, e Sergej non poté fare a meno di fare un balzo indietro. Le navi erano circondate da grossi animali marini, che a ritmi regolari si avvicinavano al pelo dell’acqua e compivano grandi spruzzi. Erano balene, dovette riconoscere Sergej, sgomento per quello spettacolo così inusuale.

Riprese ad indietreggiare, fintanto che le imbarcazioni non furono vicini alla banchina, e qualcuno saltò giù dalla nave, e prese ad avvicinarsi a lui, imperterrito. I suoi soldati sguainarono le spade.

 ‘’Attendete un attimo. Non agite se non ve lo richiedo’’, disse ai suoi uomini, e prese ad avanzare a sua volta verso lo sconosciuto.

 Si trovò di fronte ad un ragazzo. Un normalissimo ragazzo.

‘’Salve. Questa è Fortwar, vero?’’, chiese lo sconosciuto. Sergej quasi scoppiò a ridere.

 ‘’Certo, ragazzo. Ma tu cosa vuoi? Qui non era atteso lo sbarco di sei navi’’.

‘’Oh, certo che non era atteso. Mi potrebbe portare dall’imperatore? Ho una vicenda importante da esporre’’, continuò il ragazzo. Sergej continuò a guardarlo, divertito. Si chiese chi fosse quel tizio.

‘’No, qui non c’è più nessun imperatore. La massima autorità con cui puoi parlare sono io. Quindi, dì quello che hai da dire con me. In fretta possibilmente, prima che i miei uomini si stanchino’’, disse Sergej.

 

 

Sam si trovava di fronte a un perfetto sconosciuto, che gli aveva appena riferito che non c’era più nessun imperatore. Si chiese cosa fosse successo all’impero da quando l’aveva abbandonato. Forse era stato via troppo, si disse. Ma sperava di essere ancora in tempo per salvare la situazione. Decise di fidarsi di quel giovane, che doveva avere un paio d’anni in più di lui, d’altronde non aveva altre possibilità.

 ‘’Signore, io mi chiamo Sam, e porto con me delle creature magiche, pronte a combattere per l’impero’’, disse, tutto d’un fiato.

L’altro parve sconvolto, come se non si aspettasse una cosa simile. Poi sorrise.

 ‘’No, quasi non ci credo. Ti abbiamo aspettato a lungo. Ce l’hai fatta, allora?’’.

‘’Sì, ci sono riuscito’’, disse, rispondendo alla domanda. Non ammise che la sua missione, in realtà, si era rivelata quasi un fallimento.

 ‘’Posso fare sbarcare gli alleati che mi hanno seguito?’’, chiese, approfittando di un minuto di silenzio.

‘’Sì, certo’’, disse l’altro.

 ‘’Oh, aspetta, non mi sono ancora presentato. Io sono Sergej, e sono uno dei due generali reggenti del regno di Fortwar’’, disse Sergej, tendendogli la mano.

 Sam gliela strinse, e sorrise. Sentiva di potersi fidare di lui.

 

 

‘’Avanti, potete scendere!’’, gridò Sam verso le imbarcazioni, dopo aver ottenuto il via libera da Sergej.

 I suoi soldati avrebbero continuato a controllare che nessun cittadino entrasse nel porto, in modo da evitare bruschi contatti con le creature magiche. D’altronde, tutti gli abitanti di Fortwar non sapevano neppure che le creature magiche esistevano ancora.

 Prontamente, iniziarono a scendere i nani, gli elfi e i folletti. Per ultimi, emersero dall’acqua i grossi lupi con gli occhi rossi, che erano tornati alla loro forma terrestre. Ed infine, anche Bad scese.

 Sergej fissò la copia di Sam, stupefatto. Sam sorrise nuovamente, di fronte all’incredulità del generale.

‘’Oh, generale Sergej, non fate caso a Bad. Io e lui siamo identici. Ecco, in certe parole.. siamo gemelli’’, concluse Sam, cercando di semplificare la situazione. Sergej annuì, convinto. Si avvicinò alle creature magiche, e le fissò con molto interesse.

‘’Dammi del tu, Sam’’, disse Sergej, cercando di evitare possibili cerimoniali che avrebbero solo rallentato le operazioni. Sam annuì.

 ‘’Generale, ti presento i nostri alleati. Loro combatteranno al nostro fianco contro i Demoni e i nemici. Dunque, quelli sono i nani, che sono a fianco dei folletti. Sono guidati da Jack’’, disse nuovamente Sam.

Jack, a quel punto, fece un passo avanti e un inchino. Tese la sua piccola mano verso Sergej.

‘’Salve. Sono Jack, il capo dei folletti. Per il momento, guiderò anche i nani’’, disse il folletto. Sergej gli strinse la mano e annuì.

 ‘’Quelli son gli elfi, e quelli gli Akluth, feroci lupi guerrieri. Il loro capo è Wolfy’’, disse infine Sam, finendo le presentazioni.

Il grosso lupo si avvicinò al generale, con il pelo arruffato. Sergej si spaventò, e fece due passi indietro. Ma Wolfy continuò ad avvicinarsi, e Sam trattenne per un istante il braccio di Sergej.

‘’Lascialo fare. Non è cattivo come sembra’’, gli sussurrò all’orecchio.

Il generale gli lanciò un’occhiata strana, e si fermò. Il grosso lupo lo annusò.

 ‘’Bene. Possiamo fidarci di lui, anche se a volte tende più a dire bugie che verità’’, disse Wolfy al suo popolo. Sergej arrossì vistosamente appena Sam gli posò gli occhi addosso, come quasi per chiedergli  a cosa avesse fatto riferimento il saggio lupo. Ma fu discreto, e non chiese nulla. D’altronde, l’aveva appena conosciuto.

 I lupi, intanto, presero ad ululare dalla gioia. Il lungo viaggio era finito,  e tutte le creature erano gioiose. Facevano un tale fracasso che tutti gli abitanti di Fortwar si sarebbero presto chiesti cosa fosse stato a provocarlo.

Mentre Sergej era ancora in pieno imbarazzo, Sam si chiese se anche lui era felice. Aveva atteso da molto tempo quel preciso momento, ma in realtà pensò che era meglio prima. Nel mondo magico non c’erano guerre e si stava in pace, mentre lì, ben presto sarebbe sgorgato sangue ovunque. No, non era felice, si disse.

Improvvisamente, gli tornò in mente che era da un po’ che aveva perso di vista Bad. Almeno da quando l’aveva presentato a Sergej, cioè subito dopo lo sbarco.

Nonostante si fosse sempre comportato eccellentemente durante il viaggio, a Sam quella sua copia non piaceva. Stava spesso e volentieri in disparte, e sembrava sempre che complottasse qualcosa. A volte, aveva un modo di fare losco e meschino, comunque senza lanciare segnali eloquenti di pericolosità. E Sam lo lasciava stare.

Finalmente, dopo un po’ lo vide. Stava discutendo animatamente con due soldati, ai margini del porto. Sam non perse tempo a raggiungerlo, non voleva guai fin da subito.

 ‘’Cosa stai combinando, Bad?’’, chiese, interrompendo la conversazione.

Bad lo fissò male, mentre i due soldati li fissarono, prima uno e poi l’altro, con fare stupito.

 ‘’ Oh, ecco il mio fratellino, che pretende di farmi da balia’’, disse Bad, ironico.

‘’Voleva uscire dalla zona transennata. Ma non può’’, disse un soldato rivolgendosi a Sam.

 ‘’Certo che non può. Scusate il mio gemello, a volte dimentica l’educazione. Andiamo, Bad’’, disse Sam, rivolgendosi alla sua copia. Per non creare scompigli inutili, aveva deciso di dire con tutti che erano gemelli.

‘’Oh, no fratello. Io vado dove voglio, e se voglio uscire di qui, questi non me lo impediranno di certo’’, disse Bad. I soldati sguainarono le spade.

‘’Basta, Bad. Vieni con me. Non voglio guai. Seguimi’’, disse Sam, e prese Bad per un braccio, tirandolo verso sé.

Per un attimo, Sam fu sicuro di vedere nei suoi occhi un lampo di odio. Un odio cieco, brutale, talmente tanto che ne ebbe quasi paura. Poi, Bad parve tornare in sé e riprese improvvisamente ad avere il suo solito comportamento docile.

‘’Va bene, fratello. Andiamo. Scusatemi’’, disse rivolto ai soldati. Poi, prese a seguire Sam, che tornò da Sergej.

 ‘’Eccoti. Dunque, vi farò alloggiare tutti qui, nei magazzini vuoti del porto. Naturalmente, avrete a disposizione i soldati, che vi aiuteranno subito a sistemarvi a dovere e a fornirvi qualche accessorio o confort. Per precauzione, il cibo vi sarà fornito qui, e la zona del porto resterà transennata, tanto a noi non serve più. In questo modo, le creature magiche non dovranno mischiarsi al popolo, così non ci saranno disordini. D’altronde, non si sa mai. Solo tu e il tuo gemello potrete uscire, sempre sotto scorta e sorvegliati. La precauzione non è mai troppa’’, disse Sergej, spiegando tutto con chiarezza.

 ‘’Va bene. Vedrai, non ci saranno problemi. Per quanto riguarda il mio gemello, lui non ci tiene ad uscire, non gli è mai piaciuto girare nelle grandi città. Quindi uscirò solo io, e mi distinguerete da lui perché porterò sempre un fazzoletto azzurro annodato nell’avambraccio. Così non ci saranno scambi’’, disse Sam, tutto d’un fiato. Bad non disse nulla.

‘’Perfetto. Accordo raggiunto, allora. A più tardi’’, disse Sergej, iniziando a camminare, pronto a congedarsi.

‘’Un attimo. Mi piacerebbe rendermi conto di cosa è successo durante la mia assenza. Non è che me lo puoi spiegare?’’, disse Sam.

 ‘’Ma certo. Vieni all’ex palazzo imperiale tra un’oretta. Ti racconterò tutto. Tranquillo, ti accompagneranno lì i miei uomini, non ti perderai. A dopo’’, disse Sergej, congedandosi definitivamente.

Sam non potè far altro che andare con Bad ai magazzini, e iniziare a sistemare le loro cose. Solo a loro due e ai due capi delle creature fu concessa una camera privata.

 

 

Dopo un’ora, Sam uscì.

Uscì a cuor leggero, perché per precauzione aveva chiuso a chiave Bad dentro la sua stanza. Non poteva rischiare che fuggisse, e che compisse nuove malefatte, come aveva fatto nel mondo magico.

Alcune guardie lo stavano già aspettando, e lo condussero subito all’ex palazzo imperiale, un posto decadente, senza neppure il tetto e con le pareti annerite. Non si chiese cosa fosse successo a quel palazzo, tanto lo avrebbe scoperto tra poco.

Fu ricevuto in una camera ben ristrutturata del piano terra, subito poco distante dall’ingresso.

Il generale lo stava aspettando, e lo ricevette con un caloroso sorriso.

Fu così che Sam apprese ciò che era successo all’impero, e che Sergej apprese i motivi del ritardo di Sam.

Sam gli parlò sinceramente, e non gli nascose neppure la storia della sua perfida copia.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo.

La prossima settimana tornerò a pubblicare nuovamente due capitoli J

A mercoledì J

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Capitolo 33

CAPITOLO 33

 

 

Fermei si rilassò, mentre si godeva il suo soggiorno nella città di Vargan.

Aveva appena fatto uccidere Rohn, il traditore di quella città. Non gliene importava di non aver rispettato la sua parola, cioè di donargli la libertà, ma per lui un traditore restava un traditore, e doveva semplicemente morire.

Ora, anche i suoi soldati si erano riposati, e già dopo cinque giorni di sosta ormai tutti si erano rigenerati. C’erano cibo e ricchezze in abbondanza in quella città, che ora non potevano più essere sfruttate dai suoi abitanti.

Tra chi era riuscito a fuggire e chi invece era diventato un pasto per i Demoni, ormai la popolazione autoctona era scomparsa dalla città. Una città che, tra l’altro, era bellissima e piena di confort, che però erano stati distrutti dai soldati Sconosciuti.

Per il Gran Re ormai si stava avvicinando il giorno del suo trionfo, ma non voleva in alcun modo farsi fretta. Perché, a volte, la fretta può essere una cattiva consigliera. Così aveva deciso di far riposare un po’ il suo esercito, che ora era pulito, in ordine e ben pagato.

Non c’era più nulla da elargire; i suoi soldati erano pronti a dar battaglia. Ben presto avrebbe dovuto abbandonare Vargan, per muoversi verso Fortwar, se no i suoi soldati si sarebbero rammolliti, tra tutti quegli agi. I suoi soldati si erano meritati un po’ di riposo, ma non troppo.

Insomma, si doveva tornare al più presto alla solita vita in tenda, e non nei sontuosi palazzi di una città. Ma comunque, ormai la vittoria era sua, e anche se aveva perso molti uomini, il suo esercito restava comunque ben cospicuo.

 Ed inoltre gli imperiali stavano facendo evacuare tutti i villaggi nella provincia di Fortwar, quindi non possedevano alcun esercito. Quindi, si doveva preparare ad un assedio.

 Un assedio che sarebbe comunque durato poco, poiché aveva truppe fresche e i Demoni erano più in forma di sempre.

 Ora si trovava nel grande castello di Vargan, ampio e spazioso. Un castello da favola, peccato che dovesse essere abbandonato. Se ne stava sdraiato comodamente su un bel letto di morbida piuma, e il suo corpo ancora un po’ indolenzito si sentì sprofondare nel calore di quel morbido giaciglio.

 In quel momento, sentì dei passi, e vide che Ilse lo aveva raggiunto.

‘’Ilse! Allora, sei soddisfatta dei tuoi alloggiamenti?’’, gli chiese con lentezza, per non rovinare quel momento di riposo assoluto.

‘’Certamente, non potevo richiedere di meglio. Ho tanti servitori, letti morbidi.. in poche parole, questo castello è stupendo’’, rispose, sorridendo.

‘’Senti, mia cara.. ti piacerebbe se venissimo a vivere qui dopo il nostro matrimonio? Naturalmente, qui sarai trattata da imperatrice, e potremmo modificare ancora la struttura del palazzo, per renderla ancora più confortevole.’’

Lì per lì Ilse ci rimase di stucco per quell’affermazione. Sapeva che non era un bene fare dei piani prima di aver completato l’opera, poiché portava sfortuna. Ma stette al gioco.

‘’Ma certo che mi piacerebbe. Ma non credo che saremo in grado di fare ulteriori modifiche a questo posto. E’ già tutto perfetto così’’, rispose, sorridendo.

Fermei sorrise a sua volta, sornione, e gli fece cenno di avvicinarsi. Anche lei si distese sul morbido letto, e subito il re l’abbracciò.

 Fermei era rilassatissimo e mezzo addormentato, ma volle avvicinarsi alla sua amata. Gli posò una mano sul ventre, che ogni giorno si faceva sempre più prominente, anche se ora poteva sembrare semplicemente ingrassata di un poco.

 ‘’Come sta nostro figlio? Ti dà problemi?’’, chiese Fermei, con dolcezza.

‘’No, a parte qualche nausea mattutina, per ora sto benissimo. Non vedo l’ora di vedere se sarà una bambina o un bambino’’, disse Ilse, sorridendo.

‘’Mah, io preferirei che fosse un maschio. Un maschio forte e degno di suo padre. Ma anche se nascerà una femmina furba e scaltra come sua madre, non me ne dispiacerà affatto’’, disse Fermei, prendendo il volto della sua amata tra le mani.

 ‘’Per ora, dovremo limitarci ad attendere pazientemente’’, disse Ilse.

 I due poi si baciarono appassionatamente. Fermei lasciò correre la sua mano lungo la schiena della sua amata, che ebbe un brivido. Infilò la sua mano destra sotto la sua tunica, e accarezzò la sua pelle morbida e delicata.

In quel momento, i due sentirono un brontolio, come se qualcuno volesse attirare la loro attenzione. Fermei alzò immediatamente la testa, scostando delicatamente Ilse. E vide che sulla porta della stanza c’erano i Demoni, che fissavano sdegnati quella scena, per l’ennesima volta.

 Lì per lì, a Fermei prese un colpo, ma fu questione d’un attimo prima che l’incredulità lasciasse spazio ad una rabbia cieca.

‘’E voi da dove sbucate? Chi vi ha fatto entrare qui? Ma l’educazione non la conoscete proprio voi, vero?’’, gridò il re, infuriato, e diventando paonazzo.

Si alzò dal letto, e si avvicinò ai demoni con fare rabbioso.

 ‘’Calma, Sire. Non volevamo disturbarla in alcun modo. Avevamo solo una questione da porvi, in qualità di nostro alleato’’, disse i Demoni.

 ‘’Certo, immagino. Ilse, per favore lasciaci soli. Avanti, ditemi tutto’’, disse il re, cercando di ritrovare la calma.

Gli tornò in mente che l’ultima volta che gli avevano riferito qualcosa, era riuscito a compiere grandi imprese, quindi valeva la pena soffermarsi un attimo ad ascoltarli. Ilse intanto uscì dalla stanza di soppiatto.

‘’Sire, noi vorremmo consigliarti di muoverti al più presto verso Fortwar. Il nemico è stanco, e se lo bracchiamo come un animale ferito, cederà prima’’, dissero i Demoni.

 ‘’Avete ragione, alleati. Ci avevo pensato anch’io, poco fa. Dobbiamo muoverci’’, disse il Re, riflettendo.

‘’Bene, vediamo che concordi con noi. Magari potremmo partire domani stesso’’, dissero i Demoni, speranzosi.

 ‘’No, partiremo entro tre giorni. Non subito domani’’, disse il Re. voleva lasciare ancora qualche giorno di riposo ai suoi uomini.

‘’Va bene, sire. Grazie per averci ascoltato’’, dissero i Demoni, che si dileguarono rapidamente, con un’espressione non soddisfatta. Comunque, non tentarono di insistere ulteriormente.

 Che strani soggetti, pensò Fermei. Poi, chiamò un servitore, e lo inviò ad avvertire i suoi ufficiali che erano attesi da lui al castello, il prima possibile.

 Voleva mettere subito in chiaro che la guerra non era finita, e che mancava la battaglia finale e che si sarebbe tenuta tra una settimana massimo. Poi, avrebbe dato l’ordine ai soldati di iniziare a prepararsi, e avrebbe divulgato il giorno della partenza.

Avrebbe marciato direttamente verso Fortwar.

 

 

I Demoni erano ancora schifati dall’ultima scenetta amorosa alla quale avevano preso involontariamente parte.

Comunque, non potevano fare altrimenti, poiché le guardie reali appena li vedevano avvicinarsi si allontanavano, e non li lasciavano parlare. Avevano paura di loro, e facevano bene. Ora erano veramente potentissimi, e ben presto avrebbero mostrato la loro vera essenza.

 Ma dovevano attendere il momento più opportuno. Per ora, dovevano limitarsi a sopportare in silenzio quegli ultimi giorni al servizio di un re innamorato, poi si sarebbero vendicati di tutto e di tutti.

 

 

Tim finalmente vide le mura di Fortwar.

Era distrutto, dilaniato dalla stanchezza, con i suoi uomini che arrancavano a piedi dietro di lui. Si immaginò la loro entrata in città; sarebbe stata un’umiliazione totale. Ma non potevano farci nulla.

Purtroppo, aveva appreso anche della caduta di Vargan. Alcuni fuggitivi a cavallo li avevano raggiunti, e avevano raccontato tutto.

 Non aveva compreso bene le dinamiche dell’accaduto, ma intanto la città invincibile era stata saccheggiata. Non era stato ad avvertire Sergej dell’accaduto, inviandogli qualche messaggero già duramente provato dalle marce estenuanti, ma glielo avrebbe riferito di persona.

Per ciò che rimaneva della provincia di Fortwar, non c’erano più speranze. Bisognava chiudersi dentro le mura della capitale e sperare.

Si chiese che cosa stessero facendo i nemici in quel momento. Ma in fondo si convinse che era meglio non saperlo.

Il dolore dei suoi piedi lo riportarono alla realtà. Il suo cavallo era morto, e non c’era altro modo di proseguire se non a piedi.

Smise di pensare, per concentrarsi sugli ultimi trecento passi che lo separavano dalla capitale.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per essere giunti fin qui ed aver letto anche questo capitolo! J

Tim è quasi riuscito a tornare nella capitale, mentre il Gran re vuole iniziare a prepararsi per lo scontro finale. Il tutto inizia a prender forma per l’ultima ed imminente battaglia.

Vorrei chiedervi una piccola cortesia; di lasciarmi una piccola recensione. Ormai, negli ultimi capitoli mi sono sentito un po’ abbandonato, ed anzi, lo sono sempre di più. Anche solo due righe con i vostri pensieri potrebbero aiutarmi a continuare e a fare meglio. Non vi costerà nulla, e io ve ne sarò immensamente grato. Vi ringrazio J

Ringrazio di cuore Dan per aver letto tutto d’un fiato il racconto, e per avermi lasciato una magnifica recensione. Naturalmente, vorrei ringraziarla anche per aver inserito la storia tra le sue preferite. Grazie, Dan J

Grazie a tutti, a sabato J

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Capitolo 34

CAPITOLO 34

 

 

Tim continuò a trascinarsi per gli ultimi metri che lo separavano da Fortwar.

Lui e il suo esercito dovevano essere stati avvistati appena erano usciti dalla vegetazione, poiché la grande porta principale aveva iniziato ad aprirsi subito. Ma nessuno venne loro incontro.

I suoi uomini, più sfiniti di lui, arrancavano pochi passi dietro di lui. Chissà quanti ne erano rimasti indietro, per morire nelle foreste. Alla fine avevano scelto di non seguire la strada principale, che sarebbe stata più agevole e lastricata, per paura di essere raggiunti e sopraffatti dal nemico.

Tim era tutto sporco si fango secco, la sua bella divisa nera era lacera in più punti, e i suoi capelli, che trattava sempre con attenzione, erano tutti inzaccherati e sporchi. L’unica cosa che era rimasta pressoché intatta era il fazzoletto rosso legato stretto all’avambraccio. Non seppe descrivere altro di sé, ma si immaginava il suo volto smunto e magro, per via della scarsa alimentazione dell’ultima settimana.

 I suoi soldati erano ridotti ancora peggio, poiché molti erano feriti e destabilizzati, altri erano ancora sporchi del sangue della battaglia, che era ormai raggrumato da un bel po’ ed aveva assunto una colorazione scura, quasi violacea.

Tim si tirò uno schiaffo, poiché stava tornando a perdersi nei suoi pensieri, che ormai erano un delirio puro, e invece doveva concentrarsi su ciò che avrebbe dovuto dire a Sergej, e di come sarebbe stata l’accoglienza.

Ben presto si trovò, ansante, di fronte all’ingresso della capitale. Prese a camminare, sempre in testa al suo esercito, sul breve lastricato semimobile che attraversava il fossato, ed entrò in città, varcando la grande porta. Non c’era nessuno ad accoglierli, e questo indispettì Tim, che non sapeva più cosa aspettarsi.

La città era cambiata molto cambiata dall’ultima volta che aveva varcato quella porta per entrare all’interno delle mura.

Non c’era più il mercato che impiegava tutti i margini della strada principale, che portava alla piazza principale, dove aveva ricevuto il titolo di generale, e al palazzo imperiale. Alcune delle grandi case addossate alle mura, che erano state splendide alla vista fino a pochi mesi fa, erano in stato di abbandono. Comunque, entro poco sarebbero state riempite di profughi.

 Sui bastioni, vide alcuni soldati fissarli, ma senza scendere per parlare o ad accoglierli. Finalmente, nella strada semideserta, apparvero alcune persone a cavallo, che si dirigevano verso di loro. Subito, riconobbe il suo vecchio amico Sergej, che guidava i gruppo.

Tim fu assalito dalle emozioni. Durante il suo breve soggiorno a Vargan, non aveva mai pensato come avrebbe dovuto trattare il suo collega nel momento in cui lo avrebbe rincontrato. Comunque, ormai Sergej gli era già giunto di fronte.

Smontò da cavallo, e gli andò vicino. Con lui aveva due guardie, e un ragazzo, che dagli abiti che indossava non doveva trattarsi di un soldato, bensì di un civile.

 Sergej fissò Tim per un attimo, impassibile. Poi, gli si avvicinò lo abbracciò con calore.

‘’Tim, per fortuna sei tornato. Abbiamo sbagliato a voler intervenire a Vargan; la situazione era disperata e dovevamo concentrarci sulle difese della nostra ultima provincia e della capitale. E invece, ora..’’, disse Sergej, lasciando la frase incompleta, per non assillare il nuovo venuto.

Intanto, anche Tim, che inizialmente si era mostrato rigido, aveva ricambiato l’abbraccio con l’amico. Si chiese se erano ancora amici. Veri amici, o falsi amici, come lo erano stati prima di scoprire tutti i piani segreti.

 ‘’Piano, Sergej, sono tutto ammaccato. Lasciami, per favore’’, disse Tim, con modi non troppo cortesi.

Sergej sciolse l’abbraccio fraterno e si allontanò da lui alcuni passi. Sembrava contrariato dal suo rifiuto.

‘’Devi perdonare i soldati, è colpa mia se  non ti hanno accolto, perché avevo detto loro che volevo parlarti e abbracciarti per primo. Devo dirti molte cose, quando ti sentirai pronto per ascoltarmi’’, disse Sergej, guardandolo fisso negli occhi.

Se l’era presa con lui per il suo atteggiamento scostante, ma ne aveva compreso il motivo.

 ‘’Certo. Anch’io ho da darti alcune notizie. Ma prima, vorrei tornare a casa e riposarmi un poco’’, disse Tim. Non gli andava di parlare con colui che considerava un traditore. Almeno, non in quel momento. Quel soggetto, nonostante fosse stato il più grande amico che lui avesse mai avuto, era stato anche colui che aveva tradito gli ultimi due imperatori.

‘’Va bene. Soldati, potete andare nel quartier generale dei soldati e ritirare abbigliamento pulito e a cambiarvi. I feriti e i malati saranno curati sul posto. Naturalmente, sarete anche sfamati a dovere. Andate’’, disse poi Sergej, rivolgendosi ai soldati di Tim, che partirono subito.

Per la prima volta dopo la battaglia di Vargan, molti di loro sorrisero, e ripresero a chiacchierare.

Tim partì spedito per andare a casa sua. Sergej si fermò a fissarlo, ma non lo seguì.

 

 

Tim si stiracchiò.

 Si era fatto una bella dormita, e per la prima volta da parecchie notti si era potuto rilassare in un letto comodo.

 Dopo esser tornato a casa, si era cambiato e lavato in fretta, ed era subito crollato nel sonno, senza neppure mangiare. Il suo stomaco brontolava, e decise di alzarsi. Dovevano essere passate solo alcune ore dal suo ritorno. Si alzò di scatto dal letto, e si trovò di fronte Sergej, che lo stava fissando.

‘’Tim.’’

Tim non rispose, e prese ad andare verso la cucina.

 ‘’Tim, basta fare scene mute. Puoi essere arrabbiato con me, puoi odiarmi, ma ti chiedo solo una cosa. Dopo non ti parlerò più in privato, se così vorrai. Ti chiedo solo di comportarti normalmente con me quando ci troviamo con i soldati o con i civili. Loro hanno bisogno di vederci uniti, per continuare ad avere speranze. Non voglio che tu metta a rischio la nostra collaborazione solo per vicende personali. E comunque, ti giuro che quello che ho fatto in passato era solo per il mio e per il tuo bene. Per il nostro bene, e anche di quello del popolo e dei nostri soldati. Voglio solo che tu ti sforzi un attimo per capirmi. Se non riuscirai più a stare al mio fianco, mi congederò e ti lascerò il titolo di generale supremo di Fortwar’’, disse Sergej, mentre Tim si fermò a fissarlo, senza interromperlo. Ma i suoi toni erano eccessivamente melliflui. Troppo per uno come Sergej.

‘’E poi cosa farai? Inciterai il popolo a fare un’altra rivolta?’’, chiese Tim, incrociando le braccia e sorridendo, ironico.

Sergej si prese la testa tra le mani.

‘’Basta, Tim. Tu non vuoi capirmi. E’ meglio che me ne vada, noi non vivremo più insieme. Quando sarai pronto per parlarmi di questioni pubbliche, ti aspetterò al palazzo imperiale. A dopo’’, disse Sergej, muovendosi verso l’uscita. Tim, di fronte a quell’azione inaspettata, fu colto dal dubbio.

 ‘’Aspetta’’, disse, in un sibilo. Sergej si voltò, e lo guardò. Tim gli si avvicinò con un balzo e lo abbracciò.

‘’Basta con il passato. Voglio solo che tu mi dia la tua parola che sarai leale con me, e con tutti, d’ora in poi. Questo è un momento critico per tutta la comunità, e le rivolte e le spiate non possono far altro che peggiorare la situazione. Quindi, ti chiedo solo una cosa, sulla quale mi sembra che anche tu concordi; di restare uniti di fronte all’avanzata nemica. Il resto, lo risolveremo alla fine di tutto, se saremo ancora vivi’’, disse Tim al collega.

‘’Tim, ti do la mia parola che non mentirò mai più a nessuno. Né a te, ne a nessun altro. Ti giuro che sarò giusto, e non falso. Ti giuro che mi sforzerò di non nuocere più a nessuno. Ti giuro che..’’. Tim sciolse l’abbraccio, e gli mise una mano sulla bocca, per chiudergliela.

 ‘’No, basta giuramenti. Mi hai già dato la tua parola, e io mi fido già di te, perché ho visto da come parli che sei sincero, e che ci tieni a me e a tutta la comunità. Chiudiamo qui questa parentesi, e mettiamoci all’opera per salvare Fortwar. Di nuovo colleghi?’’, chiese Tim, sorridendo all’amico ritrovato. Anche se non era troppo sicuro della sincerità di Sergej. Aveva imparato già una volta, a sue spese, che quel giovane non aveva amici, e forse non ne avrebbe mai avuti. Ma ora gli serviva il suo sostegno. D’altronde, ora era il punto di riferimento delle guardie cittadine.

 ‘’Ma certo’’, rispose Sergej, ricambiando il sorriso.

Finalmente, dopo tanti problemi, erano tornati apparentemente, o sinceramente amici e avevano risolto momentaneamente tutte le questioni in sospeso che c’erano tra loro. Tim attese un attimo, poi si fece truce e parlò di nuovo.

‘’Sergej, Vargan è stata conquistata con l’inganno. Le frontiere con la provincia di Fortwar sono state violate, e il nemico quando vorrà potrà mettere sotto assedio la nostra capitale’’.

Sergej parve sorpreso, ma non molto.

‘’Bene, le cose si complicano sempre di più. Questi nemici sembrano implacabili e inarrestabili. Ma noi, fortunatamente, abbiamo un’arma di riserva’’, disse Sergej.

‘’Ah, sì? E quale sarebbe?’’, chiese Tim.

Sergej non fece tempo a rispondere alla domanda, perché un soldato bussò alla porta di casa. Sergej aprì, e il ragazzo si fece avanti.

‘’Generali, una lunga colonna di profughi sta avanzando verso la capitale. I primi della colonna sono già sotto le mura, e vogliono essere aperti. Che facciamo?’’, chiese.

 ‘’Aprite’’, dissero i due generali, quasi all’unanimità.

 ‘’Anche se tra poco sarà buio?’’, chiese dubbioso il soldato.

 ‘’Certo, è un’emergenza’’, disse Sergej.

 ‘’Perfetto’’, disse il giovane soldato, che sparì di corsa.

‘’Andiamo. Dobbiamo sistemarli, fornirgli giacigli e cibo..’’, prese a dire Tim, tutto agitato, e iniziando ad andare verso la porta.

‘’Non se ne parla. Me ne occuperò io stesso. Tu sei appena tornato, riposati. E stai tranquillo; ci metterò poco tempo perché ho già organizzato tutto alla perfezione. Per favore, Tim, non stressarti troppo’’, disse Sergej, con tono implorante.

 Tim annuì, e decise di assecondarlo, anche perché era ancora stanco morto, e desiderava solo di tornare a dormire.

‘’Va bene. Grazie, Sergej, e buon lavoro. Se avrai bisogno di me, sono qui. All’ora di cena, se dormo, svegliami’’, disse Tim, sorridendo all’amico.

‘’Certo’’, disse Sergej, andandosene.

Tim tornò a dormire, felice di aver in parte risolto il problema con l’amico, ma preoccupato per Fortwar.

 

 

 

Intanto, a Vargan, le truppe di Fermei erano pronte per partire.

Il Gran re aveva deciso che l’indomani mattina sarebbero partiti alla volta di Forwar.

Fermei, in quel momento, se ne stava disteso nel letto, e a suo fianco c’era la sua Ilse.

‘’Ilse, mia cara, entro una settimana saremo sposati. Te lo prometto’’, gli sussurrò alle orecchie.

 La ragazza fremette. Poi, si girò verso di lui, e lo guardò negli occhi.

 ‘’Non desidero altro, amore mio’’, gli rispose.

Poi, si abbracciarono ancora più stretti, e ripresero a baciarsi, mentre l’ultimo barlume del giorno lasciava il posto al buio profondo della notte.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J

Tim è tornato a casa, e i suoi problemi con Sergej sembrano risolti. Fermei e il suo esercito, invece, sono pronti a marciare verso la capitale imperiale. Si sta per preparare lo scontro finale…

Ringrazio Dan per le sue recensioni! Sei gentilissima J spero vorrai lasciarmi un tuo pensiero anche per questo capitolo J

Grazie anche a Chia Tag J spero vorrai continuare a seguire la vicenda, e magari a lasciare qualche tuo pensiero sulla storia J

Grazie di nuovo a tutti! La prossima settimana pubblicherò ancora due capitoli, così ci avvicineremo di più alla parte conclusiva del racconto.

A mercoledì J

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Capitolo 35

CAPITOLO 35

 

 

Tim si asciugò la fronte con un fazzoletto.

 Nonostante il fatto che la stagione delle piogge si stesse rapidamente avvicinando, ponendo fine alla calda estate, gli ultimi giorni erano stati afosi e carichi di umidità.

 Il tempo stava rapidamente cambiando, e ben presto sarebbero arrivate le grandi nubi cariche di pioggia, che più avanti avrebbero creato imponenti alluvioni, impedendo l’afflusso della popolazione della provincia di Fortwar verso la capitale.

Comunque, nel giro di pochi giorni erano giunti quasi tutti gli abitanti dei villaggi circostanti, mentre quelli che avevano deciso di non ripararsi a Fortwar avevano preparato dei rifugi nascosti nella foresta o sulle colline limitrofe.

La grande capitale ora era stracolma di gente. Tutte le case erano state occupate, e non c’era più spazio libero. Persino il grande palazzo imperiale era stato occupato dai rifugiati. Lui stesso aveva lavorato tantissimo, e insieme a Sergej avevano dato una mano a tutti.

 Mentre Tim si stava occupando di sistemare alcune buche nella strada principale, sentì uno scalpiccio di zoccoli dietro di sé. Si voltò, e si trovò di fronte i due giovani maghi di Huru.

 Si grattò il capo, perplesso, poiché non li aveva visti più da quando era iniziata la fuga da Vargan.

‘’Salve, generale’’, disse Lee.

 ‘’Salve, ragazzi. Avete bisogno di qualcosa?’’, chiese cortesemente Tim.

 ‘’No, in realtà volevamo solo informarti che l’evacuazione della provincia di Fortwar è riuscita. Non ci sono più villaggi impreparati al rischio, e ora sono tutti disabitati, con la popolazione al sicuro’’, disse Smith.

 ‘’Ne siete sicuri, ragazzi?’’, chiese Tim.

‘’Certamente. Siamo andati noi stessi a controllare. Come sicuramente saprai, poiché te lo abbiamo riferito durante la fuga verso Fortwar. Abbiamo girovagato per tutta la provincia per avvisare tutti i villaggi, anche quelli più sperduti. E ora, come ho già detto, è tutto a posto. Si possono chiudere le porte di Fortwar’’, ribadì Smith.

Tim lo fissò, perplesso. Aveva sempre creduto che i due giovani si trovassero nelle retrovie, e invece erano andati in missione, per di più con il suo consenso. E lui non ne sapeva niente.

 Attribuì la colpa alla stanchezza e alla delusione, che erano state le sue uniche e fedeli compagne durante il tragico viaggio di ritorno verso la capitale. Probabilmente, i due ragazzi l’avevano veramente informato, e lui se n’era dimenticato.

 Poi, annuì, fingendo di essere consapevole di tutto. Intanto, udì altri passi dietro di sé, e si accorse che Sergej stava per raggiungerlo, seguito da quel ragazzo che aveva visto alcuni giorni fa, appena era entrato nella capitale.

‘’Tim, ecco chi ti volevo presentare. Questo è Sam’’, disse Sergej mentre si avvicinava, tutto sorridente.

‘’Non ci credo. E’ quel Sam?’’, chiese Tim, sorpreso.

‘’Certo che lo è’’, Rispose Sergej.

 Sam si avvicinò a Tim e gli allungò la mano, sorridendo. Tim gliela strinse con vigore.

 ‘’Sono Tim, l’altro generale a capo di ciò che rimane dell’impero. Sergej, perché non me lo avevi presentato prima? Pensavo che la sua missione fosse andata a finire male’’, disse Tim.

 ‘’Non era il caso. Eri molto scosso. Ora invece stai meglio, e ti sei ripreso dalla stanchezza’’, disse l’amico, continuando a sorridere.

 ‘’Sam, hai poi completato la tua missione?’’, riprese a chiedere Tim.

‘’Sì, almeno in parte. Ho portato con me alcune creature, che si trovano nel porto’’, disse Sam.

‘’Ho deciso di tenerle momentaneamente lontane dai cittadini, per fare in modo che non si spaventassero. Ma ormai la voce si sta spargendo in giro, e ben presto anche le creature magiche potranno circolare liberamente in città. Tra l’altro, sono arrivate a Fortwar il giorno prima del tuo ritorno, quindi non sono qui da molto’’, disse Sergej.

 Tim si fece loquace, e si fece spiegare nei dettagli tutta la situazione. Voleva conoscere tutti i numeri e le potenzialità di quel nuovo aiuto giunto dal mondo magico. Mentre Sam rispondeva alle sue domande, i due giovani maghi restarono lì, in attesa di essere congedati.

Sam parlò e raccontò, per l’ennesima volta, tutta la sua vicenda, senza omettere nulla. Dopo un po’, Tim tornò a puntare la sua attenzione su di loro, e sentendosi soddisfatto delle risposte del ragazzo, pensò di presentarglieli.

‘’Bene, Sam, se un giorno vorrai presentarmi anche Bad, sarò ben lieto di fare la sua conoscenza. Ma qui con noi ci sono altri due amici, che ho conosciuto a Vargan. Loro sono Lee e Smith, due giovani maghi di Huru’’, disse Tim, presentandoli. I due sorrisero, si fecero avanti e porsero la mano a Sergej e Sam, che gliela strinsero.

‘’Bene, due maghi. Ci saranno utili nella battaglia finale contro gli Sconosciuti’’, affermò Sergej.

‘’Non credo. I Demoni hanno intrappolato il nostro dio, ed ora detengono i suoi poteri. Noi non possiamo fare molto senza magia. Siamo inutili’’, disse Lee, tentennando. Sergej ci rimase male.

 ‘’Bene, vedo che siamo messi proprio bene. Abbiamo pochi soldati, poche creature magiche, che tra l’altro hanno pochi poteri, e abbiamo perso la magia. Possiamo vincere, insomma’’, disse Sergej con nefasta ironia, dopo aver ragionato un attimo.

Nessuno disse nulla, consci che in quella battuta era racchiusa la pura e mera verità.

Tim ordinò subito ad una guardia di richiudere la porta principale della città, tanto ormai chi voleva entrare l’aveva già fatto, e bisognava prepararsi per l’imminente assedio.

Il gruppo si sciolse poco dopo, e tutti tornarono alle loro rispettive mansioni.

Tim riprese a lavorare, ma con meno impegno. Tanto, ormai, si sentiva già nelle fauci di quei schifosi Demoni.

 

 

Sam era deluso.

 Si era aspettato di trovare una situazione critica, ma non così tanto. In realtà, sembrava già tutto perduto.

Intanto, continuò a pensare alla sua copia, che era ancora rinchiusa a chiave in una stanza dei magazzini. Bad aveva capito la sua situazione e aveva accettato tutto senza batter ciglio o reagire. E questo insospettiva molto Sam, che sapeva che comunque quell’essere, in fondo, era malvagio e perfido.

 Quando andò verso la zona del porto, incominciò a sentire risate gioiose di bambini. Questo lo fece distrarre dai suoi pensieri, e sorrise tra sé e sé, senza sapere che ben presto si sarebbe trovato di fronte ad una gradita sorpresa.

Appena giunse alla piazza principale, quella di fronte all’ex palazzo imperiale, e che fiancheggiava il porto, vide un grande agglomerato di gente.

Subito, Sam non perse tempo, temendo che qualche creatura magica fosse riuscita a fuggire dalla zona transennata e a mischiarsi con gli umani. Eppure, si sentivano solo risate divertite.

Sam procedette a spintoni tra la calca. Attorno a lui, c’erano adulti e anziani che osservavano i loro bambini giocare. Giocare con le creature magiche.

 Infatti, erano tantissimi i bambini che stavano giocando con i grossi lupi magici e i folletti, mentre i nani raccontavano storie. Invece, gli elfi se ne stavano poco distante, più seri, ma comunque gentili con gli umani, che si mostravano molto interessati a loro.

 Sam si avvicinò ad una guardia, che avrebbe dovuto vigilare la zona.

‘’Come mai è accaduto tutto questo?’’, chiese, con una leggera nota di preoccupazione, poiché sapeva che avrebbero potuto nascere incomprensioni tra gli umani e le creature. L’uomo gli sorrise.

 ‘’I miei figli mi erano venuti un attimo a trovare, e hanno visto i lupi. Si sono avvicinati e hanno iniziato a giocarci. Dopo poco, sentendo le risate, si sono aggiunti altri bambini e altri adulti, e anche le altre creature. Ammetto che la situazione ci stava sfuggendo di mano, poiché erano tantissime le persone che cercavano di superare la zona transennata per raggiungere le creature, poi alla fine abbiamo visto che anche loro si divertivano,e quindi… piuttosto che cercare di separare inutilmente i gruppi e creare scompiglio, abbiamo lasciato le cose come stavano’’, disse la guardia, continuando a sorridere.

Sam si rilassò un po’, vedendo tutti gli umani rilassati e tranquilli. Si sentì soddisfatto, poiché ormai la diffidenza iniziale era sfumata, e tutti andavano d’accordo.

Non fece in tempo a rispondere alla guardia, perché sentì che qualcuno gi stava tirando i pantaloni. Si girò, e si trovò di fronte la minuta figura di Jack.

 ‘’Sam, hai visto? Non mi credevo che i piccoli degli umani fossero così agitati’’, disse, mentre si sistemava il suo cappello rosso in testa. La sua lieve peluria era tutta arruffata, mentre altri bambini lo stavano per raggiungere.

‘’Vedi? Qui mi apprezzano! Non sono come il mio popolo, che ormai sa tutto di me. Loro non mi conoscono, e vogliono sentire storie, vogliono giocare’’, disse il folletto, sorridendo. Sam annuì, felice per il folletto.

Mentre Jack veniva condotto poco distante dai bambini festanti, Sam notò che anche numerosi adulti si stavano accalcando attorno ai nani, e stavano ascoltando i loro racconti, che erano antichissimi e molto interessanti.

 Poi, sempre immerso nella calca, sentì un piccolo ruggito, che fortunatamente non aveva nulla di feroce. Sam riconobbe subito Wolfy, il grosso lupo guerriero. Il suo pelo era tutto irto, mentre alcuni bambini glielo accarezzavano.

 Appena il lupo lo vide, gli andò in contro.

‘’Sam, non mi aspettavo che i vostri cuccioli fossero così impegnativi’’, disse, confermando ciò che aveva detto Jack poco prima, e cercando di scrollarsi di dosso alcuni monelli che stavano cercando di salirgli sulla schiena.

Sam corse in suo aiuto, ma i bambini maneschi erano veramente pestiferi.

 ‘’Woooof!’’, ruggì il grosso lupo, disperato. Subito, i bambini mollarono la presa, e si allontanarono un attimo.

‘’Wolfy, stai tranquillo! Ti tireranno un po’ il pelo, ma non ti faranno nulla di male!’’, disse Sam, sorridendo. Il lupo lo guardò con i suoi occhi rossi.

‘’Non lo so, questi sono piuttosto pestiferi’’, disse, mente i bambini tornavano di nuovo alla carica.

Dal suo tono di voce, Sam capì che in fondo anche il lupo si stava divertendo a stare al centro dell’attenzione.

 E fu così che umani e creature magiche erano tornati ad unirsi, in pace, dopo migliaia d’anni. Sam ne fu veramente felice.

Poi, notò che sul luogo erano giunti anche Sergej e Tim, che gli stavano andando incontro. Entrambi erano molto rilassati, e sorridevano anch’essi.

‘’Ero veramente preoccupato per la loro integrazione con gli umani.. ma vedo che il problema si è risolto da sé’’, disse Sergej, rivolgendosi a Sam.

 ‘’A quanto pare, sì’’, disse Sam.

‘’Che dite? Andiamo ad ascoltare i nani?’’, disse Tim.

‘’Certo. Vieni anche tu, Sam?’’, chiese Sergej.

Sam non ne aveva voglia, poiché ormai aveva ascoltato molte volte i loro racconti, ma accettò lo stesso l’invito.

I tre si misero seduti attorno ai nani, che avevano una grande platea pronta ad ascoltarli, ed erano evidentemente compiaciuti di questo.

Stavano per iniziare a raccontare una storia che Sam aveva ascoltato già alcune volte, durante il suo soggiorno nel mondo magico. La storia della nascita del mondo di Fortwar.

‘’All’inizio c’era solo il caos. O, meglio, questo era il regno del Principe del Caos. Un regno dove tutto era presente, ma allo stesso tempo non era presente nulla. Il Principe, infatti, era un immenso gigante composto da materia oscura, ed era in grado di pensare e di fare del male. Aveva immensi poteri, poteri talmente grandi da permettergli di fondere o creare nuove dimensioni’’, esordì un nano. Gli adulti osservarono i nani con fare curioso, mentre i più piccoli si facevano seri. Non erano in molti a capire quanto fosse delicata la questione che stava raccontando il nano. Sam si fece serio e si preparò per intervenire, nel qual caso la situazione fosse fuggita di mano. Fino a quel punto, il racconto poteva sembrare una favola per bambini.

‘’Il Principe del Caos, che era un signore malvagio e perfido, stava ben attento a non lasciarsi sfuggire la sua terra, e impediva lo sviluppo di ogni forma di vita, fintanto che non sono giunte le creature magiche. Noi, tutte insieme, radunati sotto lo scettro del Grande drago, abbiamo sconfitto il Principe, e abbiamo spezzato la sua essenza primordiale in più parti, in modo da rendergli difficile ogni qualsiasi tentativo di ricostituirsi in un essere unitario. Fu così che noi, draghi, elfi, folletti e tanti altri, siamo riusciti a rendere questa terra accogliente e fertile. Poi, come ben saprete, sono arrivati i vostri antenati, e hanno fondato Fortwar. Ciò che accadde in seguito, lo sapete già’’, disse il nano più anziano, con fare diplomatico, tentando di evitare possibili brutti ricordi della guerra che c’era stata tra gli umani e le creature magiche, che quella volta ne uscirono sconfitte, e furono costrette all’esilio nel mondo magico di Harlowhy. Sam apprezzò la diplomazia del nano, anche se non capiva dove volesse andare a parare.

‘’Ma il Principe del Caos, prima di essere diviso, ha giurato di fare ritorno. Sarebbe ritornato, per riportare il tutto alla condizione originaria,  come quando lui era il signore incontrastato di questo mondo. E se lo ha detto, lo farà. Tutto inizierà a cambiare, mentre…’’. Il nano stava prendendo sempre più enfasi, mentre i volti attorno a lui si adombravano. Gli umani lo guardarono stupiti, mentre i due nani che aveva a suo fianco gli posarono le mani sulle braccia, invitandolo a tacere. Sam si preparò ad intervenire, ed interruppe il racconto.

‘’Per ora basta, nano. I bambini sono seduti qui attorno a te per ascoltare delle storie divertenti, e non delle favole tristi. Per favore, raccontaci la storia di Hudson’’, disse Sam, stando attendo a misurare le parole e a sottolineare la parola favola. Hudson era un nano burlone, che ne aveva combinate di tutti i colori, ed era un vero e proprio idolo per i nani. Il nano anziano sorrise, e sembrò non prendersene per male per l’intervento di Sam.

‘’Hai ragione, Sam. Dunque, Hudson…’’, presero a raccontare nuovamente i nani.

Sam si sentì sollevato. Involontariamente, i nani stavano raccontando una storia che poteva far accigliare le persone della capitale, che stavano per affrontare un assedio. Qualcuno poteva mettersi in testa che il Principe del Caos fosse il re degli Sconosciuti, che già di per sé era una cosa improbabile, ma se fosse iniziata a circolare quella voce, probabilmente ci sarebbero state brutte ripercussioni sul popolo. Fortunatamente, quel discorso cadde nel dimenticatoio, mentre tutti tornarono a sorridere, ascoltando le disastrate avventure del nano burlone.

Sam restò lì seduto, per ascoltare tutto e per evitare possibili incidenti. Fortunatamente, la mattinata passò senza inconvenienti.

 Così quella giornata passò all’insegna della tranquillità e dello studio reciproco. Ma all’orizzonte stavano già per apparire coloro che avrebbero posto fine a quella spensieratezza.

 

 

 

Fermei aveva marciato a marce forzate per tre giorni, quasi sfiancando i propri soldati, che comunque non avevano risentito molto della stanchezza, poiché si erano riposati, erano carichi di bottino e sapevano che ben presto la loro avventura si sarebbe conclusa.

 E avrebbero potuto tornare a casa, oppure vivere un’esistenza tranquilla nei nuovi territori conquistati.

 Il Gran re aveva deciso di seguire la strada principale e lastricata, che portava direttamente alla capitale, poiché sapeva che dei villaggi della provincia di Fortwar non era rimasto quasi nulla.

 Ed era pure felice, poiché a breve avrebbe sposato la sua amata.

 E tra poco, si sarebbe finalmente trovato sotto le mura di Fortwar.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

In questi giorni mi sto impegnando per concludere l’opera, se così la si può definire J

Piccola informazione; con questo capitolo, finiamo la parte più descrittiva della vicenda. A breve entreremo nella parte finale del racconto. Sarà molto movimentato, e spero anche che possa essere di vostro gradimento J

Oh, una piccola curiosità; in questo capitolo, nel bel mezzo di ciò che può sembrare banale, ho inserito anche alcune informazioni che riprenderò in seguito. Poi, lo vedremo insieme tra non molto J

Ringrazio tutti coloro che mi lasciano sempre una recensione, ovvero Dan, steph808, Jordan Hemingway e Chia Tag.

Grazie, di nuovo, a tutti J A sabato J

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Capitolo 36

CAPITOLO 36

 

 

Appena apparvero in lontananza le mura di Fortwar, Fermei fece fermare il suo esercito.

Avanzò circospetto e solitario, percorrendo un breve tratto della strada lastricata che conduceva alla città. Voleva essere lui stesso il primo uomo del suo esercito a vedere da vicino la capitale imperiale.

Andò avanti un per un po’, mentre le immense mura della città gli apparivano in tutto il loro splendore. In più, stava per calare la notte, e un tramonto rosso fuoco illuminava la grande capitale, che emanava mille bagliori, così immersa nel sole morente.

Il re tornò indietro, e ordinò ad un suo sottoposto di far venire lì Ilse.

Intanto che attendeva, Fermei notò che la maggior parte dei suoi guerrieri si era comodamente seduta in terra, e tutti chiacchieravano animatamente tra loro. Ogni tanto si sentiva una qualche risata.

Il re fu felice di sentirle, poiché ciò significava che gli uomini erano dell’umore migliore per affrontare l’ultima, grande battaglia. Però, non vide i Demoni. Saranno nelle retrovie, si disse, per rassicurarsi. Poi, apparve Ilse.

Era a cavallo, ed era splendida. Mentre cavalcava, i soldati aprirono un varco per lasciarla passare, e tutti le rivolgevano sguardi maliziosi. In effetti, sembrava una bellissima principessa, ed indossava una lieve e stretta veste, che lasciava ben in mostra le sue curve. Il ventre stava iniziando a crescere, e si poteva intuire  che era incinta.

Nessuno in quel momento rideva o parlava, ma tutti se ne stavano immobili a fissarla. Fermei in un primo momento provò un moto di rabbia e gelosia. Non voleva che tutti la guardassero così. Però, poco dopo, quella sensazione si tramutò in stupore e gioia. Era felice che tutti vedessero che genere di donna aveva al suo fianco.

Ilse lo raggiunse, e gli fece un magnifico sorriso.

‘’Amore, vieni con me’’, gli disse, e montò a cavallo anche lui.

Lei annuì, accondiscendente, e lo seguì senza proferir parola. L’accompagnò fino al punto in cui le possenti mura di Fortwar si potevano vedere ed apprezzare al meglio.

‘’Mia cara amata, è questa la mitica Fortwar, culla dell’umanità, dalla quale provengono anche i miei più antichi antenati?’’, chiese il re, con tono pacati e gentili.

‘’Sì, Fermei, è questa. Siamo arrivati alla fine di questa lunga avventura’’, disse Ilse, fissandolo.

 ‘’No, non siamo ancora arrivati alla fine. Diciamo che siamo arrivati alla meta finale. Ma la fine la scopriremo domani’’, disse il re.

 ‘’Fermei, loro non hanno più possibilità di vincere. Le loro carte le hanno giocate’’, disse Ilse, malinconica.

‘’Perché hai usato quel tono così triste? Dovresti gioire. Hai sempre detto di odiare l’impero. E domani, molto probabilmente, l’impero scomparirà per sempre’’, disse il re, con curiosità.

 ‘’Amore, sono cresciuta tra quelle mura. Lì c’è ancora la mia casa e i ricordi della mia famiglia. Vederla distrutta mi darebbe un immenso dispiacere’’.

‘’Oh, Ilse, ti capisco. Ma non essere triste per questo. Vedendo il tuo dispiacere, ho deciso di scendere a patti; domattina, prima di attaccarla con tutte le nostre forze, chiederò la resa. Se gli abitanti apriranno la porta principale, e mi consegneranno i due generali supremi, io giuro che non farò nulla di male a questa città e a chi ci vive. Va meglio?’’, chiese il re.

 ‘’Fermei, grazie, sei così buono. Grazie, sarebbe veramente un bel gesto da parte tua’’, disse Ilse, tornando felice.

‘’Ma ritienilo un regalo. Un grande regalo’’, disse Fermei, con toni più cupi, mentre faceva girare il cavallo.

Ilse non disse più nulla. Una volta tornati di fronte al grande esercito,  Fermei diede l’ordine di alzarsi. Doveva parlare con tutti i suoi uomini. Il suo ordine fu eseguito immediatamente. Tutti puntarono il loro sguardo sul re e sulla sua futura consorte.

 ‘’Miei cari soldati, devo darvi la notizia che tutti aspettavate. Tra meno di duecento passi potrete vedere Fortwar e le sue mura da vicino, e insieme potremo finalmente godere di una splendida visuale della capitale imperiale. Dopo lunghi mesi di sacrifici, alla fine siamo giunti alla meta’’, disse il re, alzando la voce più che poteva.

Dai soldati si alzò un grido di giubilo, subito sedato da un gesto della mano del re, che indicava che non aveva ancora concluso il discorso.

‘’Questo è il mio ultimo discorso da Gran re. Il prossimo lo farò o da perdente, o da imperatore. Da imperatore di tutte le terre conosciute!’’, gridò Fermei.

 I soldati erano in visibilio, ma, ancora una volta, Fermei interruppe le loro grida, per concludere il discorso.

Improvvisamente, i suoi occhi individuarono i Demoni, e sentì la sua gioia morirgli dentro. Erano abbastanza lontani da lui, ma sufficientemente vicini per poter vedere i loro truci sguardi. Lo stavano fissando con odio, ma non un odio normale. Loro provavano un odio inimmaginabile.

 Addirittura, quello con il corpo del suo caro amico Shon lo stava fissando con le palpebre semisocchiuse ed un orribile ghigno stampato sul volto.

Fermei, per un istante, lasciò far rumore ai suoi soldati, senza trovare il modo per continuare il suo discorso. Il suo sorriso e il suo essere euforico sparirono all’istante, lasciandolo prosciugato, mentre il suo sguardo si perdeva all’interno di quello dei Demoni. Loro se ne accorsero, e sostennero per alcuni minuti quel suo sguardo vacuo, come per volerlo intrappolarlo dentro a loro stessi.

Poi, come d’incanto, i Demoni si girarono, e presero ad andare verso le retrovie. Fermei si sentì momentaneamente tranquillo, mentre ricominciava a riacquisire le sue facoltà mentali. E capì che doveva essergli successo qualcosa, e che quello sguardo prolungato era stato in realtà un segno di sventura.

Con il collo ancora rigido, con una smorfia indefinita stampata sul volto, si ritrovò nuovamente padrone di sé stesso, ma con meno coraggio. Si voltò di lato, e vide che Ilse si era accorta che era successo qualcosa che lo aveva turbato, e lo stava fissando con aria interrogativa.

 Se non fossero stati di fronte ai soldati, era sicuro che lei lo avrebbe scosso, per risvegliarlo. Ma ora era tornato tutto a posto. Sorrise alla sua ragazza, che si rilassò lievemente, poi tornò a concentrarsi sui suoi uomini, che nel frattempo lo stavano inneggiando, sbattendo le spade sugli scudi, e facendo un baccano terribile.

Probabilmente a Fortwar ci hanno già sentito, si disse Fermei. Poi, alzò la mano destra e riprese a parlare.

‘’Miei cari soldati, domani questa guerra finirà. Domani sera, a quest’ora, o sarò morto, o sarò il più grande imperatore che il genere umano abbia mai conosciuto. Vorrei darvi quest’ultima informazione; se vivrò, e questo sarà quasi certo, sposerò la mia amata Ilse a Fortwar, il giorno dopo la sua conquista. Farò una settimana di festeggiamenti, e, se vorrete, parteciperete tutti. Questo è tutto; ora andremo fin sotto le mura della capitale, ci mostreremo al nemico e poi costruiremo il nostro campo fuori dal raggio delle loro frecce. E, mi raccomando, riposate questa notte. Domani sarà il giorno decisivo, il giorno che cambierà le vostre vite. O Fortwar aprirà spontaneamente la sua porta principale, o gliela apriremo noi!’’, gridò Fermei, che poi si girò e andò dai suoi ufficiali, per ordinare che venisse ripresa subito la marcia.

I soldati rimasero un momento in silenzio, perché non volevano che Ilse, la giovane originaria dell’impero, divenisse la loro imperatrice, ma poi non ci pensarono molto su ed iniziarono a gridare di nuovo.

Poco dopo, la marcia riprese, e Fermei girò tra i ranghi, per mostrarsi ai suoi uomini, e rivolse larghi sorrisi e calorose pacche a tutti quelli che trovò a suo fianco. I soldati cantavano canzoni che provenivano da luoghi lontani, i luoghi dov’erano nati.

Poi, tutto ad un tratto, le grida cessarono. Tutti si trovarono a fissare la magnificenza della capitale dell’impero. L’ultimo rossore del tramonto stava colpendo in quell’istante i tetti dorati della città, creando un magnifico panorama. Poi, dopo poco, il sole tramontò, lasciando l’esercito nella penombra. Fermei lasciò avanzare il suo esercito nella piana che circondava Fortwar, poi stabilì il punto giusto dove piantare il campo per la notte.

 ‘’Avanti, accendete molte fiaccole e iniziate a piantare le tende’’, ordinò il re ai suoi sottoposti, che si diedero subito da fare.

Gli uomini lavoravano con lena, e il campo fu pronto in tempo record. Fermei si fermò a fissare il buio, che nel frattempo si stava facendo ancora più pesto, poi si diresse verso la sua tenda.

C’era qualcosa che non andava più in lui. Mentre i suoi uomini ridevano e scherzavano in armonia, sicuri della vittoria, lui rimaneva triste. Stava provando una tristezza profonda, che l’assillava da quando aveva scambiato quello sguardo con i Demoni. Una tristezza che sembrava premonitrice di sventure.

 Appena entrò nella sua grande tenda, trovò subito Ilse lì ad aspettarlo. Era bellissima, indossava ancora gli splendidi abiti di poco fa e sorrideva, felice. Fermei fece fatica a ricambiarla, ma le si avvicinò e l’abbracciò.

‘’C’è qualcosa che non va. Dimmelo, amore’’, disse Ilse, provando un tremito mentre era tra le sue braccia.

‘’Come sta nostro figlio?’’, chiese Fermei, accarezzandole dolcemente il ventre. Voleva evitare di dover dare risposte alla sua amata, anche perché non sapeva bene neanche lui come risponderle.

‘’Tutto bene. Pure io sto piuttosto bene, non ho alcun problema. Ma tu sì, a quanto pare. E non mi vuoi dire ciò che ti assilla’’, disse Ilse, imbronciandosi. Fermei sorrise, sta volta con più calore.

 ‘’Non è niente, è solo stanchezza. Vedrai, domani sarà il giorno della nostra vittoria. Ma ora vorrei riposare, poiché domattina dovrò svegliarmi prima dell’alba, per organizzare il programma della giornata, e dovrò essere ben riposato’’, disse alla sua amata.

 Ilse lo guardò di traverso, come se si sentisse rifiutata da lui. Il re in quel momento avrebbe voluto abbracciarla ancora, chiederle di dargli quel coraggio che proprio in quel momento gli era venuto a mancare. Ma non disse nulla, anzi, abbassò lo sguardo e si diresse verso la sua semplice ma comoda branda.

Lei restò a fissarlo, mentre si svestiva e si metteva a letto, senza dire una parola. Fermei, appena si distese, lanciò un’ultima occhiata alla sua amata; lei si stava per allontanare, sarebbe tornata nel suo carro, lasciandolo solo ad affrontare quella lunga notte, che precedeva il giorno delle verità. Quel fatidico giorno in cui tutto si sarebbe finalmente deciso, ma di cui tutto era ancora incerto. L’incertezza appariva tutta in quel momento, cancellando quel clima sicuro che si era creato durante quei lunghi mesi di conquiste. Certo, lui aveva fatto costruire grandi scale e alcune catapulte, ma non si poteva mai essere sicuri di una vittoria.

Il re fissò Ilse mentre si allontanava. Solo allora trovò il coraggio per dire qualcosa.

 ‘’Amore’’.

Ilse si girò di scatto verso di lui.

‘’Dimmi’’, disse pazientemente.

‘’Ti chiedo solo di capirmi e di scusarmi. Questa sera sono stanco e agitato, non me la sento di stare con qualcuno…’’.

‘’Ti capisco. A domani’’, disse Ilse, rivolgendogli un ultimo ma radioso sorriso, che, illuminato dal lume di una piccola candela posizionata vicino all’ingresso della tenda, lo rendeva magnifico.

 Fermei fissò la sua amata, sbalordito, come la prima volta che l’aveva vista… e come se fosse l’ultima. Poi, lei si voltò ed uscì definitivamente dalla tenda.

Lui avrebbe voluto richiamarla indietro, baciarla, darle tutto il suo amore. Ma quella sera non ci riuscì. Qualcosa era cambiato, qualcosa stava continuando a cambiare.

Nonostante fosse certo che le mura Fortwar, indifese com’erano, non avessero potuto resistere neppure ad uno degli attacchi combinati dei suoi uomini, questo non lo rincuorava.

Spinse il suo volto contro il cuscino, e tentò di addormentarsi. Restò sveglio e vigile fino a tardi, poi cadde in un dormiveglia pieno di incubi e brutti presagi, mentre i suoi uomini, dopo un po’, smisero di cantare, facendo cadere l’accampamento in un lugubre silenzio.

 

 

 

Ilse era turbata.

 Quel comportamento non era tipico di Fermei, c’era qualcosa che non andava. Non volle pensarci su più di tanto, e se ne andò a letto.

 Dopo un po’, non riuscendo a dormire, si rialzò. Aveva bisogno di conforto, di parlare con qualcuno. L’indomani mattina, molto probabilmente, ci sarebbe stata l’ultima battaglia, l’ultimo ostacolo che impediva al suo sogno di realizzarsi. Oppure, una semplice resa. In ogni caso, gli Sconosciuti erano favoriti, ma in realtà non si poteva mai sapere. A volte, in guerra, possono in gioco anche variabili ignote alla razionalità umana.

E lei sapeva bene che, a volte, il destino tirava brutti scherzi. L’atteggiamento di Fermei, infatti, lo confermava. Tra meno di dodici ore sarà tutto concluso, si disse, e questo la rassicurò per un istante. Poi, però, tornò a tremare, sopraffatta dalla tensione.

 Si avvolse nel suo mantello ed uscì, cercando di non farsi riconoscere da nessuno. Notò che nessuno dei soldati stava dormendo, quella notte. In ogni tenda c’erano candele accese, e si sentivano bisbigli. Erano pochi quelli che continuavano a cantare.

 La notte, con il suo buio e le sue incertezze, stava instillando dubbi anche in quelle menti semplici che, fino a poco fa, si erano sentiti certi della vittoria. Qualcosa non andava. La sicurezza degli ultimi mesi era ormai svanita.

 Ilse pensò che fosse normale. Non incontrò nessuno nel suo percorso, che la condusse alla cella dove era rinchiuso il generale John ormai da parecchio tempo.

Il maturo generale, si era estremamente invecchiato durante la prigionia. Ilse si avvicinò alle grate, che erano applicate solo nella parte laterale destra del carro che fungeva da cella, e che comunque lasciavano intravedere la luce del giorno e l’ambiente circostante.

 ‘’John, sono io’’, sussurrò al generale.

 ‘’Buonasera, Ilse. Qual buon vento ti riporta a chiacchierare qui con me? O è forse un cattivo vento?’’, sussurro il vecchio. Ilse si accigliò.

‘’Perché mi dici così? Sei sempre stato felice di parlare con me, di avere qualcuno con cui conversare un po’. Questa volta, necessito veramente di qualcuno che mi ascolti’’, disse al vecchio.

 ‘’Oh, Ilse, tu sei qui perché vuoi dirmi i tuoi dubbi e le tue inquietudini sul domani. Ma io non sono un veggente, io non sono nessuno’’, disse il vecchio, con un sussurro.

 ‘’Ma…’’, tentò di dire Ilse, ma non trovò le parole giuste per esprimersi. Il vecchio l’aveva sorpresa. Però le parole le trovò John.

 ‘’Ilse, senti questo odore?’’, chiese improvvisamente il vecchio, dopo un breve silenzio. Ilse non sentì nulla.

‘’No. Odore di cosa?’’, chiese tranquillamente la ragazza.

 ‘’Odore di morte. Odore di cambiamento. Nulla sarà più come prima… per nessuno. Né per i vincitori, né per i vinti’’, sussurrò John, scandendo bene le parole.

La ragazza si ritrasse improvvisamente dalle grate, sicura di aver sentito un filo d’aria sfiorargli il volto, ovvero il respiro di John che si era avvicinato a lei.

 Ilse si mosse, inquieta, dopo quelle ultime parole, e prese a correre. Correva verso il suo carro, l’unico posto dove avrebbe trovato un po’ di sicurezza. Quella sera non voleva più parlare con nessuno, era tutto così strano.

Rientrò nel carro, sbarrò la porta dietro di sé, si sedette di fronte allo specchio e iniziò a pettinarsi i capelli. Quell’azione così usuale l’aiutava a calmarsi un po’.

 Poi, prese a passeggiare avanti e indietro nella sua piccola dimora, e alla fine si sdraiò nel letto e si addormentò di colpo. Ma il suo sonno fu pieno di incubi.

 

 

 

Dentro le mura di Fortwar, regnava il silenzio.

 I nemici erano accampati sotto le mura della capitale, ed erano arrivati pure in anticipo, rovinando quella magnifica giornata. Tutti gli abitanti di Fortwar si erano intrattenuti per tutta la giornata con le creature magiche, e si erano divertiti tutti. Si era creata un’aura felice, che mancava ormai da numerosi mesi.

 Ma poi era tutto finito, e come un incantesimo era sparito tutto il clima di tranquillità. Tutti, sentendo le grida di giubilo degli Sconosciuti, si erano riversati in strada, dirigendosi verso le mura, e le guardie cittadine avevano impiegato molto tempo per dissuadere il popolo dal vedere i nemici.

Poi, la calma era tornata, e tutti erano tornati alle loro case, sconsolati. Probabilmente quello era stato il loro ultimo giorno passato da creature viventi.

Tim era ancora sui camminamenti della capitale, a fissare il campo del nemico. Le tende erano ancora tutte illuminate, e questo significava solo che anche i nemici erano turbati dall’indomani. I cittadini di Fortwar erano chiusi nelle loro case, ascoltando in silenzio ogni minimo rumore del nemico, dapprima ascoltandone le canzoni sguaiate, poi ascoltando anche il minimo crepitio che fosse giunto alle loro orecchie.

 Sergej era a casa, e cercava di riposare un po’. Tim scosse il capo, e si avviò anche lui verso casa. Quella giornata in apparenza perfetta si era rivelata un inganno. Un triste scherzo del destino.

Mentre camminava per strada, non udiva alcun rumore, a parte qualche pianto di bambino, o qualche cane che abbaiava. Tutti erano svegli, ma in silenzio.

Quando giunse a casa, notò che Sergej dormiva già. Beato lui, si disse. Fece per tornare in cucina, quando sentì la voce dell’amico.

 ‘’Sei tornato alla fine? Pensavo volessi passare tutta la notte là, sulle mura’’, disse, con un tono ironico. La sua voce non era impastata dal sonno, quindi probabilmente non aveva neppure chiuso occhio, fino a quel momento.

‘’Pensavo dormissi. Ti va una spremuta?’’, chiese Tim.

‘’No, non ho dormito. Cercavo di rilassarmi. Comunque sì, mi va’’, rispose Sergej.

 I due amici si prepararono una spremuta, poi restarono in piedi, a chiacchierare sottovoce, in attesa del mattino imminente.

 

 

 

I Demoni se ne stavano al buio della loro tenda, seduti a terra.

Sentivano che quella era una notte diversa da tutte le altre. Tutti gli umani erano tutti attivi, tutti svegli ed agitati. D’altronde, non potevano non esserlo. Erano loro stessi a preoccuparli, a dare loro una parte di quell’ansia primordiale, visto che le loro menti quella notte erano particolarmente attive, poiché soffrivano.

La realtà era che i loro corpi avevano iniziato a dare forti spasmi, e a fare male. Era giunto il tempo. Era giunto il loro momento, quello che avevano tanto atteso da mesi.

Uno di loro si alzò, e si lasciò sfuggire un gemito.

‘’Non ne posso più. Giuro, non riesco più a sopportare questo dolore’’, disse agli altri in un momento di lucidità.

 ‘’Stai calmo. Cerca di trattenerti. Tra poche ore sarà tutto finito. Torna a sederti e cerca di rilassarti’’, disse uno degli altri, l’unico che riusciva in parte a domare quel grande dolore.

 I Demoni avevano iniziato a sentirsi male da alcune ore, dopo lo sguardo prolungato con il Gran re. Erano sicuri che Fermei fosse riuscito a scrutare qualcosa in loro, e ad un certo punto le loro dieci menti erano state vicine a fondersi. Ma fortunatamente loro erano riusciti a sciogliere quello sguardo pericoloso giusto in tempo, prima che avesse potuto creare danni irreparabili. Anche loro stavano perdendo il controllo.

 Ma questo era il segnale che i tempi erano maturi. All’indomani, avrebbero mostrato a tutti gli umani, e non solo, chi erano in realtà. Infatti avevano notato che all’interno di Fortwar c’erano anime non umane. Anime di creature magiche, che avevano cercato di sondare, per scoprire qualcosa di più.

All’inizio si erano sorpresi, ma per poco. Loro sapevano di essere i più forti, e d’ora in poi nessuno li avrebbe più potuti fermare. Grazie ad Huru, il dio che avevano imprigionato, ora erano quasi invincibili. E tra poche ore, se fossero riusciti a recuperare gli ultimi due oggetti mancanti, loro avrebbero fatto il buono e il cattivo tempo del mondo di Fortwar. Avrebbero potuto tornare ad esser parte di un unico corpo.

 Loro erano l’infinito, che ben presto avrebbe inglobato tutto quel mondo semplice, fatto di esseri viventi senza poteri. Ben presto, tutto sarebbe tornato in loro possesso, quindi valeva la pena soffrire quelle ultime ore.

 

 

 

Jack trovò Sam che parlava con i due giovani maghi all’interno dei magazzini.

 Aveva fatto uscire per la prima volta anche Bad, per farlo parlare un po’ con qualcuno e dargli fiducia.

‘’Sam, Sam!’’, gridò Jack, spaventando l’amico umano.

‘’Che succede, Jack?’’, chiese Sam.

‘’Li ho sentiti. Loro sono qui, ed hanno cercato di sondare la mia mente. Ora sanno che nella capitale ci siamo anche noi’’, disse il folletto.

‘’Ti riferisci ai Demoni?’’, chiese Lee.

‘’Sì, proprio loro’’, rispose il folletto.

‘’Il tempo del mondo che conosciamo è finito, umani. Domani tutto sarà sconvolto. Niente e nessuno sarà più come prima’’, disse la voce di Wolfy, con fare profetico.

Il grosso lupo era apparso all’improvviso, e altrettanto improvvisamente era scomparso, lasciando i quattro ragazzi e il folletto senza parole. Tutti si fissarono tra loro, sconvolti.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Siete pronte, mie care lettrici? Dal prossimo capitolo inizia la parte finale.

Sarei curioso di conoscere i vostri pronostici ahah J no, a parte tutto, spero di avervi messo un po’ d’ansia con questo capitolo ahah J J

Come preferite che vi passi il finale? Pubblicando due capitoli a settimana, in modo da non lasciarvi troppo sulle spine, oppure pubblicando un solo capitolo a settimana? Scegliete voi J Io sarei più propenso a pubblicare due capitoli a settimana. Siete d’accordo con me?

Il finale sarà complesso, spero di non deludervi…

Grazie di tutto, alla prossima J

p.s. la prossima settimana pubblicherò due capitoli, come al solito(nelle giornate di mercoledì e sabato). Se da quella successiva volete che rallenti, lo farò J

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Capitolo 37

CAPITOLO 37

 

 

Mancava ancora un po’ all’alba, ma Fermei era già in fermento.

Si chiese se aveva riposato un po’, visto che era stato per alcune ore in uno stato di dormiveglia, e si rispose di no, poiché aveva ancora una grande stanchezza sulle spalle. Le pesanti borse sotto gli occhi ne erano testimoni.

Comunque, la stanchezza lasciò spazio all’agitazione e all’ansia non appena iniziò i preparativi per quella lunga giornata. Probabilmente, quella sarebbe stata la giornata più lunga e decisiva della sua vita. Non voleva perdere tempo in inutili assedi, o in piccoli scontri. Voleva la battaglia finale o la resa. Porre sotto assedio la capitale avrebbe significato solo dare tempo al nemico, che avrebbe sicuramente organizzato qualche sorpresa sgradita. E Fermei, a quel punto, non aveva alcuna intenzione di rischiare.

Subito dopo essersi alzato, aveva iniziato a far chiamare tutti i suoi ufficiali e a distribuire ordini. Poco dopo l’alba tutto il suo esercito doveva essere pronto per la sfida finale.

Poi, fece convocare i Demoni, anche per chiedere consigli, visto che spesso e volentieri si erano rivelati utili.

E fu in quel momento che si ricordò di Ilse. Ma ora non aveva tempo per vederla, doveva sbrigarsi. In realtà aveva paura di mostrarsi a lei, perché in quel momento era insicuro, e la sua solita aura di sicurezza vacillava. Meglio vederla a battaglia conclusa, si disse.

 Intanto che attendeva i Demoni, iniziò ad indossare tutti gli indumenti da combattimento. Si sistemò al meglio il pettorale, talmente tanto lucidato da risultare sgargiante anche solo al lume di candela.

Poi, prese da un suo scrigno la corona che era stata di suo padre e dei suoi antenati. Se l’era portata dietro da Valake, ma non l’aveva mai indossata né mostrata in pubblico durante quei lunghi mesi. Quello era il giorno giusto per indossarla. Se la sistemò al meglio sulla testa, e si andò a posizionare sul suo scranno.

Improvvisamente sentì un fruscio, e i Demoni fecero capolino nella sua tenda.

‘’Sire, hai bisogno di noi?’’, chiese la loro voce profonda e lugubre.

 Fermei rimase stupito, perché quel giorno aveva una nota sofferente. Il re si ricordò improvvisamente del giorno precedente, quando si era perso nei loro sguardi… sguardi pieni di sofferenza.

 ‘’Sì. Vi ho convocato per chiedervi consiglio e per mostrare i miei piani per la giornata’’, disse, senza guardarli in volto.

‘’Va bene’’, dissero i Demoni, accondiscendenti.

 ‘’Voglio dichiarar guerra subito, senza attendere altro tempo. Vorrei concludere la vicenda oggi stesso. Non voglio che i nemici si organizzino. All’interno di quelle mura potrebbero riuscire a resistere anche per un paio di mesi, senza contare che potrebbero inviare truppe via mare ed attaccarci di notte, nelle retroguardie. Gli imperiali conoscono molto bene il territorio circostante, e potrebbero causarci grossi disagi. Posso contare sul vostro aiuto per questo assalto, vero?’’, chiese infine il re.

 ‘’Certo’’, dissero i Demoni, cambiando tono di voce.

‘’Siete abbastanza forti per sconfiggere il nemico cercando di limitare il più possibile le perdite nel mio schieramento?’’, chiese ancora il re.

‘’Sì. Non siamo mai stati così potenti come lo siamo ora. E lo dimostreremo’’, dissero con sicurezza i Demoni.

Fermei provò un brivido, perché quegli esseri avevano utilizzato un tono lugubre, ma allo stesso tempo che lasciava intuire che avrebbero combinato qualcosa di grande. Il re decise di non pensarci per ora. Non voleva perdere i suoi fini principali.

 ‘’Allora, questi sono i piani. Due ore dopo l’alba, dopo che l’esercito sarà stato schierato di tutto punto, inizieremo ad avanzare. Posizionerò tutte le mie truppe sotto le mura di Fortwar, mantenendo comunque una certa distanza di sicurezza, in modo che possibili frecce scoccate dalle mura non possano mietere inutili vittime. Poi, chiederò la resa della città. Se la risposta sarà negativa, proprio come temo, daremo il via all’assalto. Ho numerose scale, e altrettante numerose passerelle di legno, pronte per essere montate in pochi attimi, in modo da attraversare il fossato. Cosa ne pensate?’’.

‘’Sire, per noi va bene. Però, a noi piacerebbe attaccare subito, senza trattative’’, dissero i Demoni, desiderosi di iniziare lo scontro e di potersi liberare di quel peso che li stava assillando da quando erano stati risvegliati.

Fermei si accorse che tramavano qualcosa, e preferì non prendere in considerazione la loro opinione, anche perché aveva da rispettare la promessa che aveva fatto a Ilse.

‘’Frenate il vostro spirito guerriero, alleati. Non voglio distruggere questa magnifica città per niente. La distruggerò solo se non me la consegneranno i cittadini stessi, aprendo la porta principale e portandomi i due generali supremi. Se così sarà, potrò fare di questa città la mia capitale senza recarle alcun danno’’, disse il re. I Demoni parvero offesi, ma non cercarono di proporre altro.

‘’Sire, se per te questo piano va bene, andrà bene anche per noi’’, dissero infine.

‘’Benissimo allora’’, disse il re, sorridendo debolmente.

 I Demoni fecero cenno affermativo con il capo, ribadendo che anche per loro andava bene così. Era ora di prendere congedo.

‘’Sire, se non ti serve altro noi dovremmo andare a prepararci. Tra poco sarà l’alba’’, dissero i Demoni. Fermei annuì.

‘’Certo, certo, andate pure. A dopo’’, disse il re, guardandoli uscire dalla sua tenda con fare furtivo.

Senz’ombra di dubbio dovevano fare qualcosa di importante, perché non si erano mai congedati così in fretta. Erano strani quel giorno, parevano pure sofferenti.

Il re, rimasto solo, scrollò le spalle e continuò a prepararsi. Sarà l’ansia che abbiamo tutti a fare quell’effetto su di loro, si disse.  Intanto, provò pure due affondi con la spada.

Poi uscì dalla tenda.

 Non sarebbe andato a trovare Ilse, quella mattina. Ripeté a sé stesso che non voleva mostrarsi a lei così titubante.

Andò a vedere come si stava preparando il suo esercito.

 

 

I Demoni erano in piena frenesia.

 Mancava pochissimo al loro momento di gloria.

 Erano esaltati al massimo, ma per essere sicuri di far adempiere al meglio il loro destino, dovevano estirpare la serpe. Lei era il loro ultimo ostacolo. Sapevano che era ancora nel suo carro, e che era sveglia.

Intanto, i dolori continuavano a lacerare la carne dei loro corpi mortali, ma ormai potevano sopportarli, perché ben presto si sarebbero liberati da tutto ciò.

Camminarono furtivamente tra le tende dei soldati.

 Intanto, nessuno badava a loro, e tutti erano presi dalla preparazione della battaglia finale. Molti stavano affilando le spade e le lance, altri cercavano di indossare armature strette e scomode che non avevano mai indossato fino a quel momento. Quella giornata sarebbe stata speciale per tutti. Anche per Ilse, si dissero, sogghignando.

 Quella vipera doveva essere catturata. Non potevano lasciarla libera e permetterle di mettere dubbi nella mente del re o di cercare di rovinare la loro posizione.

 Ben presto si trovarono di fronte al carro privato della ragazza, che si trovava nelle retrovie, e bussarono alla porta, attendendo di vedere la loro preda.

 

 

 

Ilse era agitata.

 Doveva vedere subito Fermei, e dirgli che quella non era una giornata propizia per combattere. aveva avuto incubi per tutta la notte. Incubi funesti, che erano sinonimo di grandi disgrazie.

 Poi, improvvisamente, sentì bussare forte alla porta. Andò subito ad aprire, con il sorriso sul volto, pronta a vedere il re che la veniva a salutare.

Aprì lentamente la porta, e si trovò di fronte i  Demoni, che la fissavano con il loro visi tirati dall’odio.

Si sentì sbiancare, e cercò di richiudere la porta, ma questi, con un’azione fulminea e una forza sovrumana, spalancarono l’uscio ed entrarono nel suo carro. Lei indietreggiò.

‘’Cosa volete?’’, chiese, a bassa voce.

‘’Vogliamo te. Anzi, per essere più precisi, vogliamo farti sparire’’, dissero quelle disgustose creature.

 Ilse provò una fitta al ventre, forse dovuta alla forte paura che stava provando. Doveva pensare anche a suo figlio, e se quei mostri l’avessero presa, chissà cosa ne avrebbero fatto di lei.

Cercò con lo sguardo una via d’uscita. I Demoni fecero lo stesso, e si distribuirono in cerchio, cercando di circondarla.

Terrorizzata, Ilse cacciò un grido e si lanciò di lato, verso la porticina secondaria che era a fianco del suo specchio, che utilizzava per pettinarsi.

 Ma un Demone, con uno scatto fulmineo la prese per un braccio, sbilanciandola e facendola scivolare. Per fortuna, non si fece male.

Con il braccio libero prese lo specchio, e con tutte le sue forze lo abbatté in testa al Demone che la stava trattenendo.

Lo specchio si frantumò, ma il mostro non mollò la presa, e neppure sanguinò. A quel punto, fu subito circondata dagli altri mostri, e un altro Demone la prese per il braccio libero e la sollevò da terra.

 Per Ilse fu subito chiaro che ormai era nelle loro mani. Cacciò un grido fortissimo, poi un altro ancora.

 ‘’Stai zitta, umana. Nessuno verrà in tuo aiuto. Ora sei sola, e sei nelle nostre mani’’, disse la voce cavernosa dei Demoni.

 Intanto, la trascinarono fuori dal carro.

Lei gridò, disperata, ma notò che tutti gli uomini che erano lì attorno erano indifferenti alla scena, e continuavano a fare le loro cose senza batter ciglio.

 ‘’Puoi gridare quanto ti pare, cara Ilse. Nessuno ti sentirà. Questo mondo sta già iniziando a cambiare, e il suo mutamento lo decidiamo noi. Ora, loro non ci vedono neppure. Ilse, sei sola! Sola!’’, disse la voce demoniaca, con un tono crescente. Ilse si mise a piangere.

‘’Mostri! Come vi permettete di trattare così una donna indifesa e incinta? Ma che razza di creature siete?’’, chiese, in preda alla disperazione. I demoni sghignazzarono.

 ‘’Non ce ne importa nulla di te, ragazza. E’ finita, sia per te che per gli altri umani. Ma noi ti faremo un dono. Sì, un dono. Visto che tu sei stata la nostra peggior nemica, nonché quella che ci ha odiato di più in questo mondo, abbiamo deciso di premiarti. Tu sarai l’unica umana a vedere la fine della tua razza’’, dissero i Demoni.

 Ilse capì che, in un modo o nell’altro, non c’era più nulla che la potesse salvare.

 ‘’Vi odio, bastardi!’’, gridò, cercando di divincolarsi per raggiungere qualche oggetto contundente e difendersi. I Demoni mostrarono il loro solito sorriso ironico, leggendo i suoi pensieri.

 ‘’Smettila, ragazza. Potresti anche pugnalarci, che non ci lasceresti nessun segno’’, dissero.

Ilse smise di agitarsi, tanto non poteva fare più nulla contro la presa ferrea di quei mostri. Si guardò attorno. La stavano portando proprio in fondo al campo, blandamente illuminato da alcune fiaccole in procinto di spegnersi. Era ancora buio. Attorno a lei c’era ancora qualche uomo indaffarato, ma che comunque non si accorse di nulla.

 ‘’Perchè restano impassibili? Mi odiano anche loro?’’, chiese Ilse ai Demoni.

‘’No, Ilse. Ora noi siamo in una realtà diversa dalla loro. Siamo in una dimensione parallela’’, gli risposero.

‘’Non è possibile. Nessuno può viaggiare nelle dimensioni’’, disse Ilse, incredula.

 ‘’Noi sì. E possiamo anche fonderle. In questo istante, noi ci troviamo in una dimensione parallela che sta entrando in collisione con quella in cui tu hai sempre vissuto. Per questo tu li vedi, e loro no. Sai, questa notte abbiamo evocato uno dei più grandi incantesimi primordiali’’, risposero i Demoni, felici di mostrare ciò che stava succedendo.

Ilse rimase in silenzio, incredula. Poi, finalmente, capì ciò che le sarebbe successo.

La portarono alla cella di John, dov’era rinchiuso il generale imperiale. Magicamente, aprirono il lucchetto ed illuminarono l’interno della cella con una fiaccola.

 John era lì, riverso a terra e tutto lercio.

 Ilse si sentì male a quella vista, e pure i Demoni storsero il naso. Poi, dopo l’iniziale reticenza, tre di loro entrarono e tirarono su John. L’uomo aveva una barba lunghissima e bianca, indossava abiti a brandelli ed era in una situazione di salute precaria, immerso nella sporcizia.

Ilse rimase sbalordita da ciò che vide, anche perché lei gli faceva visita solo di notte, e non aveva mai avuto modo di vedere bene la situazione in cui versava quell’uomo. Ma d’altronde, lui non le aveva neppure mai chiesto nulla. John mugugnò, e si risvegliò.

 ‘’Che succede?’’, chiese.

‘’Zitto, vecchio. Tra poco capirai’’, risposero i Demoni, zittendolo.

Poi, lo portarono fuori, e gettarono Ilse dentro. E richiusero la cella.

Ilse si gettò contro le grate , e gridò di nuovo. I Demoni sorrisero nuovamente.

 ‘’Umana, cos’è che non capisci?  Nessuno ti può sentire, a parte noi e il vecchio. Quindi, zitta’’.

 Ilse gridò nuovamente, con tutto il fiato che aveva in gola, in preda alla disperazione.

‘’Basta, ti dobbiamo calmare, o ci disturberai troppo’’, dissero, e una mano attraversò le grate e prese il volto di Ilse. La ragazza cercò di sottrarsi al suo tocco, ma era troppo tardi. La mano gelida percorse tutto il suo viso, poi si ritrasse, scomparendo nel buio.

‘’Parla, Ilse’’, dissero i Demoni.

 Lei fece per gridare, ma dalla sua bocca non uscì nessun suono. Le avevano tolto pure la voce. I Demoni, accorgendosi che il loro sortilegio aveva fatto effetto, risero sguaiatamente. Era la prima volta che ridevano, da quando erano stati risvegliati.

 Legarono John e lo lasciarono a terra, mentre intanto con la forza delle loro menti spostarono la cella, in modo da posizionarla in un punto dove anche Ilse avrebbe potuto vedere il campo di battaglia.

Fuori era ancora buio, ma un lieve rossore, ad oriente, stava già iniziando a colorare il cielo.

 Dopo un po’, quando furono soddisfatti del loro operato, raccolsero John e iniziarono ad allontanarsi.

Nel frattempo, Ilse la muta li aveva osservati dalle grate, continuando a piangere. Lei era sempre stata una tipa attiva, e non aveva mai avuto paura di mettersi in gioco. Ma ormai per lei il gioco era concluso.

‘’Ciao, Ilse. L’addio te lo darò tra qualche ora, quando tornerò da te. Ma allora sarà già tutto finito, e potrai finalmente conoscermi. Goditi lo spettacolo! A dopo’’, le dissero i Demoni, andandosene.

 Ilse rimase immobile lì, attaccata alle grate della cella, cercando di respirare aria fresca, per evitare quella stantia che era all’interno di quel luogo.  

Si chiese perché i Demoni, nel loro ultimo discorso, avessero parlato al singolare. Qualcosa le sfuggiva. Qualcosa di grave, ed era certa che non fosse qualcosa di positivo per Fermei. Ma non poteva fare più nulla, neppure cercare di avvisarlo. Ora si trovava intrappolata in un potentissimo incantesimo, in grado persino di smuovere le diverse dimensioni della realtà. Disperata, cercò nuovamente di gridare, ma dalla sua gola non uscì alcun suono.

E fu proprio in quel momento che il primo raggio di sole trafisse il cielo, riportando la luce su Fortwar dopo quella lunga notte di paure.

 Il giorno della gloria dei Demoni, alla fine, era giunto. E Ilse aveva già perso la sua battaglia.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ilse, incredibilmente, è stata intrappolata, e non può far nulla. E la situazione sta per precipitare. Che intenzioni avranno i Demoni? E perché, sul finale, hanno parlato al singolare? Beh, tutto questo lo scopriremo prestissimo J sta di fatto che quei mostri stanno acquisendo sempre più poteri.

Spero di avervi intrattenuto un po’ anche con questo capitolo.

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J A sabato J

 

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Capitolo 38

CAPITOLO 38

 

 

Fermei stava osservando il suo esercito. Ormai era pronto per scendere in campo.

All’orizzonte, il primo spiraglio di sole stava illuminando la capitale dell’impero, donando una vista mozzafiato a tutti i soldati del re.

Per prepararsi a quel giorno speciale, molti degli Sconosciuti avevano indossato le delle splendide armature, che riflettevano la prima luce del giorno. Fermei restò impressionato dai suoi uomini, che volevano mostrarsi in tutta la loro magnificenza in quell’ultimo confronto decisivo.

Altri soldati stavano tirando fuori armi strane, e ben presto l’accampamento fu pieno di uomini corazzati con in mano grosse mazze ferrate o asce da usare a due mani. E questo non andava bene, poiché i suoi uomini erano abituati a combattere con corsetti imbottiti e tuniche leggere, e nel corpo a corpo combattevano, in genere, con la spada.

Ma quel giorno tutti volevano mettere in mostra ciò che si erano portati dietro dalla loro lontana terra, per mostrarsi ai nemici come esseri forti e magnifici.  Fermei, a quella vista, diede subito ordine ai suoi ufficiali di radunare tutti gli uomini al centro dell’accampamento, mentre lui si accingeva già a sedersi sul trono rialzato che aveva fatto sistemare in bellavista già la sera precedente.

 Dopo poco, tutti i suoi uomini si erano radunati in cerchi attorno a lui, in silenzio. Parecchi di essi non riuscivano a vedere il Gran re, poiché non riuscivano a starci nel piazzale centrale già gremito, e si limitavano a stare negli spazi tra le prime tende, pronti ad ascoltare ciò che doveva dire il loro comandante.

 Fermei, quando vide che tutto era a posto e che gli ufficiali erano tutti vicino a lui, iniziò a parlare.

 ‘’Miei abili soldati, il giorno tanto atteso è giunto. Tra poco combatteremo la nostra ultima battaglia. Innanzi tutto, mi sembra giusto riferirvi che proporrò una resa incondizionata a Fortwar. Se la città ci aprirà le porte, noi entreremo da vincitori e non la distruggeremo. Il caso più probabile, però è quello che gli imperiali non si arrendano. Ebbene, noi ingaggeremo uno scontro, e vinceremo. Solo allora, dopo aver annientato il nemico, prenderemo possesso della città, ma nessuno dovrà compiere saccheggi fintanto che non vi sarà dato l’ordine dai vostri superiori. Ora, invece, andatevi a cambiare ed indossate il vostro solito abbigliamento da guerra. Quello che stiamo per affrontare sarà una battaglia fondamentale per il nostro futuro, e non una parata per mettere in mostra le vostre belle ed inutili armature. Andate nelle vostre tende a cambiarvi, ed entro un’ora vi voglio pronti ed armati di sole spade, asce e lance. Niente mazze ferrate, al massimo qualche giavellotto. Parecchi di voi dovranno salire sulle scale, ed essere agili, in modo da conquistare rapidamente i bastioni. Naturalmente, chiunque disubbidirà anche solo ad una di queste cose che vi ho appena detto, sarà frustato e decapitato sul posto. A dopo’’, disse Fermei, abbandonando il suo scranno.

Un lieve malumore si diffuse tra i suoi soldati. Vestirsi da bellimbusti forse era servito a loro per sfogare un po’ la tensione accumulata, ed ora invece toccava loro rivestirsi con quei soliti abiti leggeri e logori che indossavano ormai da quasi un anno. Ma d’altronde il re sapeva che i suoi uomini non avrebbero saputo né combattere né scalare, con quelle pose così forzose e rigide.

Fermei vide che tutti erano indaffarati a risistemarsi, e richiamò gli ufficiali per dare gli ultimi ordini di schieramento.

Disse di far schierare tutte le truppe al gran completo. Fanti armati di lancia e spada nelle due prime linee, fanti semplici con giavellotti, spada  e pugnale corto schierati nel centro dell’esercito per dare maggior stabilità, mentre la piccola e limitata cavalleria sarebbe stata posta ai lati dello schieramento. Lo schieramento doveva essere rigido, in modo da risultare impressionante ai nemici che li avrebbero osservati da sopra la cinta muraria, e nessuna parte di esso doveva muoversi di testa propria. Almeno, fintanto che non avessero raggiunto le mura della città. Solo allora i soldati avrebbero dovuto rompere gli schemi,  tentare di passare sulle passerelle di legno e successivamente di salire fino ai camminamenti, mentre i cavalieri, muniti di arco e faretra, avrebbero tentato di colpire i difensori dal basso. Nel caso gli imperiali avessero deciso di uscire allo scoperto, si sarebbero comunque trovati di fronte ad un’armata formidabile.

Parecchi schiavi sarebbero stati momentaneamente sistemati nelle retrovie. Loro avrebbero dovuto posizionare le passerelle di legno e portare le scale fin sotto le mura.

 Dopo aver sistemato bene tutta la faccenda dell’organizzazione, Fermei si diresse verso le retrovie dell’accampamento, per salutare Ilse. Ora, si sentiva pronto per vederla, pensando che fosse ingiusto non andarla a salutare in un giorno così importante per tutti.

Ma proprio quando stava per giungere al suo carro, spuntarono i Demoni.

‘’Sire, dove stai andando? Qui ormai non c’è più nessuno’’, dissero.

Fermei sorvolò sulla loro insubordinazione, poiché nessuno poteva rivolgere domande al re, che comunque notò che quei mostri erano strani. I loro volti continuavano ad esprimere sofferenza, ma qualcosa, nel loro comportamento, era cambiato. Comunque, non badò a loro e continuò a seguire la sua direzione.

Improvvisamente, la sua mente provò un po’ di panico, per poi essere sconvolta da un dolore lancinante. Fermei si prese la testa tra le mani.

‘’Re, d’ora in avanti tu farai quello che ti diremo noi, se ci tieni alla tua vita. Non cercare Ilse, ma preparati allo scontro e fai organizzare una bella scenetta divertente. Divertente per noi, ovviamente’’, dissero quelle dannate creature.

Fermei continuava a star male, la testa gli pulsava, e aveva dolori ovunque. Nonostante tutto, trovò la forza per rispondere male.

‘’Chi vi credete di essere, mostri? Io non mi faccio dare ordini da nessuno. Andate via’’, disse il re, spaventato.

Ma i Demoni si incupirono, e chiusero i loro orribili occhi privi di pupille. Il re andò nel panico, mentre la sua mente veniva sconvolta da una serie di sensazioni a lui sconosciute. Un terrore primordiale si impossessò del suo corpo e della sua mente, e gridò forte. Poi, dopo alcuni attimi, tutto cessò.

 ‘’Allora, re, farai ciò che ti diremo noi senza tante storie o dobbiamo essere più convincenti?’’, chiesero i Demoni, mentre sul loro volto si andava a stampare un pittoresco sorriso. Erano pronti a fargli del male.

 Fermei si guardò attorno. C’erano pochi uomini nelle vicinanze. Lanciò un forte grido, per attirare la loro attenzione. Ma nessuno gli badò.

‘’Qualcuno mi aiuti!’’, gridò nuovamente, senza alcun risultato.

 Tornò a guardare i Demoni. Loro lo stavano fissando, con un espressione divertita.

‘’Grida quanto vuoi, re. Nessuno ti sentirà. Benvenuto nella nostra dimensione! Pensa, anche Ilse e John ci hanno fatto un viaggetto, poco fa’’, dissero, con fare quasi allegro.

 ‘’Cosa avete fatto a Ilse?’’, chiese Fermei, spaventato.

 ‘’L’abbiamo semplicemente tolta dalla scacchiera. Ora, è una pedina in  meno, proprio come te. Ti consigliamo di arrenderti a noi, e di goderti gli ultimi attimi di questo pericoloso gioco’’, dissero.

‘’Portatemi rispetto, mostri! Sono quello che vi ha fatto risvegliare e quello che vi ha nutriti per tutti questi mesi, caspita! Cosa avete fatto alla mia amata?’’, gridò Fermei, fuori di sé.

Il re era confuso. Quei mostri parlavano di scacchiera, di gioco e di pedine, e lui non riusciva a comprendere a fondo tutto. Sguainò la spada, anche se sapeva che non poteva fare molto contro quei mostri.

‘’Bene, abbiamo visto che non vuoi collaborare. Sei una pedina indispensabile per il nostro gioco, quindi prenderemo possesso del tuo corpo. Addio, re!’’, dissero nuovamente i Demoni.

Fermei, in preda ad un panico cieco, decise di darsela a gambe. Erano troppo forti per lui. Si girò e prese a correre verso la foresta. Ma finì a sbattere contro un muro invisibile.

‘’Fermo, Fermei, sei nostro adesso.. sei il nostro giocattolo’’, dissero i Demoni, avvicinandosi, parlando con una voce demoniaca ma estremamente infantile. Una voce che poteva far rabbrividire anche il più impavido degli eroi.

 Fermei cercò di rialzarsi da terra, ma non ci riuscì. I Demoni gli si avvicinarono in cerchio, e si chinarono per togliergli la corona.

 ‘’No!’’, gridò il re, disperato.

Dai suoi occhi iniziarono a scendere lacrime, mentre malediva quel giorno ormai lontano in cui aveva inviato Shon, il suo miglior amico, a risvegliare quei mostri. E ora stava pagando le conseguenze della sua azione.

Aveva perso la sua donna, suo figlio, il suo esercito, ed era stato cacciato in chissà quale dimensione parallela. Ora giaceva a terra, incapace di muoversi e senza corona. E, probabilmente, tra poco sarebbe morto.

I demoni stettero posizionati sopra di lui, a fissarlo. Sembrava stessero traendo godimento dalla sua situazione.

 Fermei continuò a maledirsi per la propria stupidità. Si era lasciato abbindolare per quasi un anno da quegli esseri, senza neppure comprendere le loro vere capacità, e l’odio che provavano verso di lui. Si sentì un inetto, uno stupido.

 Poi, la mano di un Demone si avvicinò al suo volto. Il re voleva sottrarsi al suo tocco, ma non ci riuscì.

Quella mano gelida, che un tempo era stata la mano di uno dei suoi soldati, una mano calda e amica sulla quale fare affidamento nei momenti di difficoltà, ora era una mano gelida, in grado di seminare solo morte e distruzione.

La sua gelida carezza lo fece gridare di dolore, mentre tutto attorno a lui si faceva buio.

Fermei rimase solo, per un istante, in compagnia della sua coscienza, che andava affievolendosi. Una fitta lancinante tornò a trafiggere il suo corpo, un corpo che ormai non riusciva più comandare, mentre nel buio esplodevano mille luci, simili a stelle lontane.

Il Gran re, ormai in preda di quella visione, le guardò per un attimo. E queste parvero prendere i volti delle persone che aveva condannato a morire tra le fauci dei Demoni. Tutti sorridevano, con ghigni malvagi.

Lui si limitò ad osservare, non aveva più la facoltà di gridare o muoversi. Neppure di respirare.

 Poi, le mille luci esplosero, provocando un boato che distrusse il suo ultimo spiraglio di coscienza, e si trovò, in un ultimo istante, a pensare a Ilse, al loro bambino e al loro futuro, se solo lui fosse stato più attento nel passato.

 Ilse, la bella Ilse, la più bella ragazza che lui avesse mai visto… e che lui avesse mai condannato, grazie ad un suo errore, all’infelicità eterna. Sapeva quanto quella bellissima fanciulla adorasse l’idea di diventare una grande regina. Ma ora non lo sarebbe diventata mai. Quella era la fine del suo sogno. La fine di entrambi e della loro futura famiglia.

Fu così che l’ultimo barlume di coscienza del Gran re svanì, mentre la sua ultima essenza veniva inghiottita in un abisso nero, pieno di dolore e di odio. Un abisso dal quale nessuno aveva mai fatto più ritorno.

 Il re era morto.

 

 

Pochi minuti dopo, il Gran  re si stava dirigendo verso il suo esercito schierato.

 Il suo passo era lievemente rigido, e non rivolgeva sorrisi o sguardi a nessuno, come invece era suo solito fare. Nessuno, però, si accorse che c’era qualcosa di strano in lui. O, meglio, nel suo corpo.

L’esercito degli Sconosciuti era schierato di tutto punto, ed era pronto a muoversi verso Fortwar. Fermei fece un gesto con il braccio destro, e il grande esercito si mise in marcia.

La marcia durò per alcuni minuti, fintanto che l’esercito non si trovò al limitare della zona sicura, oltre la quale poi sarebbe iniziata a cadere la pioggia di frecce degli imperiali, che nel frattempo stavano fissando la scena dai bastioni e dai camminamenti della capitale.

A quel punto, Fermei alzò nuovamente il braccio destro, facendo fermare l’avanzata del suo esercito.

Senza dire nulla, due dei Demoni si fecero strada tra i soldati, e portarono a spalla lo scranno intarsiato sul quale il re sedeva durante le riunioni con gli ufficiali.

Giunti vicino al re, posarono lo scranno e fecero un lieve inchino, mentre un terzo Demone si avvicinò da dietro, sistemandogli la corona sulla testa. Poi, i tre si allontanarono di qualche passo, mentre tutti gli Sconosciuti erano immersi nel silenzio, curiosi di conoscere le intenzioni del loro re, e perché ci fossero solo tre Demoni invece che i soliti nove. Non si erano mai separati fino a quel momento.

 

 

Intanto Tim, Sergej, Sam, Bad, Lee, Smith e i capi delle creature magiche stavano osservando la scena dai camminamenti delle mura di Fortwar.

 Tim si chiese il perché di quella improvvisa scenata. Ma ben presto i suoi dubbi trovarono risposta. Il Gran re parlò. Ma non con una voce umana, bensì con una voce demoniaca, alta e potente, talmente tanto forte da creare un eco tra le mura della città e la foresta, e da essere ben comprensibile per chiunque si trovasse all’interno della capitale assediata.

‘’Questo messaggio è rivolto a voi, che state asserragliati dentro le mura di Fortwar. Aprite la porta principale della città e accoglietemi come vostro signore assoluto, e consegnatemi i vostri generali. Arrendetevi a noi, non c’è più nulla che vi possa salvare. Se decidete di arrendervi, sventolate una bandiera bianca da sopra le mura, ed aprite la porta principale. Se invece scegliete di combattere, scagliate un paio di frecce. A voi la scelta’’, disse il Gran re.

Un mormorio di voci percosse le file degli Sconosciuti, che non riuscivano più a riconoscere il loro re, che aveva pure cambiato voce, sembrando più un Demone che un umano, mentre da dentro le mura di Fortwar si alzò il ruggito della folla. Nessuno voleva aprire la porta al male e a quegli esseri demoniaci.

 Ancora prima che Tim e Sergej si consultassero tra loro, una ventina di frecce partirono dai bastioni, e andarono a conficcarsi nella terra, a pochi passi da Fermei.

Il re mostrò un ghigno malvagio, e poco dopo fece una risata talmente tanto demoniaca da far accapponar la pelle a tutti.

‘’Bene, avete fatto la scelta giusta. Che il divertimento abbia inizio’’, concluse il re.

 Tim e Sergej si guardarono, spaventati. Quello non era un umano, era un mostro. E chissà cosa intendeva per divertimento.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J

Fermei è morto. Ora, i Demoni hanno preso possesso del suo corpo.

Quei mostri sono scatenati, e chissà se riusciranno a portare a termine la loro missione. Ormai, comunque, tra gli Sconosciuti non c’è più nessuno in grado di affrontarli.

Ammetto che far morire Fermei è stato doloroso anche per me, mi ero affezionato a lui. Ma è stato necessario. I prossimi capitoli saranno un po’ violenti, ma niente di eccessivo.

A mercoledì, allora J grazie ancora J

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


Capitolo 39

CAPITOLO 39

 

 

Tim e Sergej, insieme ai due giovani maghi di Huru e a Sam e Bad, se ne stettero a guardare passivamente quello che i Demoni e il Gran re stavano per fare.

Quel Gran re non era più quello di un tempo, e sicuramente la sua voce e il suo comportamento non erano umani. Il suo corpo se ne rimase rigido sul trono, mentre i sei Demoni mancanti usciva vano dall’accampamento, trascinando qualcosa.

Per Tim tutto ciò non aveva più senso. Si era aspettato una battaglia, e che i nemici avessero tentato in tutti i modi di ingaggiare uno scontro fisico, mentre ormai si parlava di scene divertenti e di giochi. Naturalmente, tutto in senso strettamente negativo, come veniva ricordato ogni volta che il re apriva la bocca.

Ben presto, fu chiaro cos’era ciò che veniva trascinato a forza dai Demoni; era un uomo incappucciato e legato.

I sei Demoni non si fermarono di fronte al re, ma proseguirono, inoltrandosi fin quasi sotto le mura di Fortwar. Gli arcieri iniziarono a scoccare frecce, ma queste venivano deviate, come se ci fosse una parete invisibile a dividere i Demoni dalla realtà. Gli arcieri, dopo poco, smisero di tirare frecce, tanto era evidente che non avrebbero avuto risultati.

Tutti coloro che erano sui camminamenti di Fortwar, e sui bastioni, si accalcarono per vedere quello che stava per succedere. I Demoni tirarono su il prigioniero, e appena giunsero in un punto dove gli assediati potevano vedere meglio la scena, tolsero il cappuccio all’uomo legato. E tutti lo riconobbero; era il vecchio generale John.

Tim lo riconobbe subito; era parecchio invecchiato, ma ancora ben riconoscibile. Non aveva più quell’aria fiera come quando Tim e Sergej l’avevano conosciuto, e il suo sguardo sembrava perso. John all’improvviso alzò il suo volto verso l’alto, e probabilmente vide e riconobbe Tim, visto che si soffermò il più possibile a guardare verso di lui, e un barlume di coscienza comparve sul suo volto.

‘’Miei cari nemici, ho deciso di farvi un regalo. Sì, mettiamola così, vi voglio fare un dono. Anche se avrete capito che ormai non c’è più nulla da fare per voi, voglio comunque mostrarvi la fine che fanno i traditori. Questo, l’avrete riconosciuto, è il generale John, traditore dell’impero. Io vi offrirò la sua testa, in questo modo mostrerò che la lealtà e la giustizia sono presenti solo nel mio schieramento, poiché nessuno mi ha mai tradito, passando dalla parte del nemico’’, disse il Gran re, sempre con un vocione gelido e d’oltretomba.

 Tim notò che i Demoni non avevano mai parlato fino a quel momento. Anzi, agivano quasi come se loro stessi fossero un tutt’uno con il re. Improvvisamente, ebbe un brutto sospetto, mentre ormai era chiaro ciò che sarebbe successo a John.

‘’Procedete’’, disse nuovamente il re, rivolto ai Demoni.

 Uno di loro estrasse una spada, e si avvicinò a John.

Il Demone calò un potente fendente, che tranciò di netto la testa di John dal suo corpo. Poi, subito dopo, raccolse la testa per i capelli bianchi, e la piantò su una picca, in bella vista. Poi, abbandonarono il corpo a terra, e tornarono a riunirsi con i loro tre compagni, che erano a fianco del  re degli Sconosciuti.

‘’Questo è quello che succede ai traditori. Questo è esattamente quello che accadrà a voi tra poco’’, ribatté il Gran re. Tutti, sia gli Sconosciuti che gli imperiali, avevano osservato l’inedita scena in silenzio, sbigottiti. Nessuno si era aspettato di vedere una cosa simile. Grida rancorose si levarono dalla città di Fortwar, mentre i soldati del Gran re avevano preso ad agitarsi, in preda ad una strana inquietudine. Nonostante John fosse accusato dai giudici imperiali di aver contribuito alla disfatta di Palok, lo spettacolo offerto dai Demoni non era piaciuto.

Poi, accadde nuovamente l’imprevedibile. I Demoni presero la parola, per la prima volta.

 ‘’Sire, noi, da bravi alleati fedeli, vorremmo farle un inchino. Vorremmo mostrarle tutta la gratitudine che portiamo nei suoi confronti’’, disse la loro forte voce cavernosa, che tra l’altro era identica a quella che aveva utilizzato il Gran re fino a quel momento.

 I nove Demoni avanzarono fino ai piedi dello scranno di Fermei, e fecero cenno di inginocchiarsi, per giurare fedeltà prima della battaglia.

Ma, mentre gli altri si stavano inginocchiando, uno di loro si alzò improvvisamente, e sputò a terra, proprio di fronte al re. Poi, estrasse nuovamente la spada, la impugnò a due mani e lo decapitò. La testa di Fermei cadde a terra, mentre la corona ruzzolò per un po’, fino a fermarsi vicino ad un cespuglio poco distante.

 Tutti erano in preda alla sorpresa. Tim lanciò uno sguardo esasperato verso Sergej. Non ci stava capendo più nulla, e notò, dallo sguardo che gli rivolse l’amico, che neppure lui ci stava capendo qualcosa.

Poi, Tim tornò a fissare i nemici. Il panico aveva travolto le fila dell’esercito degli Sconosciuti. I soldati, visto quello che era successo al loro re, presero ad indietreggiare, mentre i Demoni si lanciarono a raccogliere la corona di Fermei. La raccolsero, e se la passarono tra loro, fissandola.

Dieci ufficiali anziani dell’esercito del Gran re lasciarono le loro postazioni, e si lanciarono a spade sguainate verso i Demoni, ma non riuscirono a raggiungerli. Poco prima di riuscire ad avvicinarsi sufficientemente per colpirli, gli ufficiali furono sbalzati indietro, e caddero rovinosamente a terra, ed iniziarono a gridare.

Le loro grida di terrore e morte sconvolsero definitivamente gli Sconosciuti, e il grosso esercito abbandonò lo schieramento. Tutti i soldati presero a correre verso l’accampamento, mentre gli ufficiali anziani morivano sul campo di battaglia, uccisi dai loro stessi alleati.

 Poi, i Demoni alzarono le loro teste verso il cielo.

‘’Il tempo della vita è finito. Il Caos ora tornerà a riprendersi ciò che è suo di diritto’’, disse la voce dei mostri. Lentamente, una sinfonia antica, dimenticata, iniziò a farsi strada nel mondo di Fortwar. Tim cercò di guardare i volti di quelli che aveva a suo fianco. Sam e Bad erano spariti, mentre Sergej e i soldati sembravano persi, quasi ipnotizzati.

 Tim ebbe paura, e prese a tremare. Non capiva più nulla, e continuava a chiedersi cosa stesse succedendo attorno a lui.

Poi, iniziò a perdere il contatto con la realtà, mentre i suoi nervi tornavano a rilassarsi. Quel dolce suono… lui era sicuro di non averlo mai udito in vita sua. Però, alle sue orecchie appariva come qualcosa che faceva parte di lui, mentre provava la quella strana sensazione che si prova quando torna alla mente un ricordo che si credeva dimenticato o definitivamente perso.

Tutti gli umani attorno a lui erano concentrati su sé stessi, erano concentrati sulla loro morte.

Tim iniziò a perdere le forze, mentre si lasciava trasportare da quell’arcana sinfonia, che continuava ad accrescere nella sua mente, e intravide che alcuni dei suoi soldati erano già crollati al suolo. Dopo pochi attimi, sentì un qualcosa di gelido sfiorargli il volto, come se fosse una mano. Sentì che stava perdendo l’uso del suo corpo, mentre attorno a lui si stava facendo tutto buio. Poi, rimase solo con la sua coscienza, mentre nel buio apparvero tante luci. Lui le guardò, mentre sentiva la sua coscienza affievolirsi.

Improvvisamente, un’incredibile ululato scosse l’aria, interrompendo la sinfonia magica. Tim rinvenne, e si trovò in preda al panico.

Non sapeva neppure per quanto tempo era rimasto in sotto i potenti flussi di quello che doveva essere un potentissimo ed antico incantesimo.  Anche Sergej si era ripreso, e si stava guardando intorno, disperso. Poi, inaspettatamente, i grossi lupi guerrieri piombarono su di loro, guidati da Wolfy.

‘’Via di qui! Andate giù dalle mura, umani!’’, gridava incessantemente il capobranco, prendendo a morsi i soldati che restavano ancora in uno stato d’incoscienza.

 Subito, sia Tim che Sergej presero a scendere lungo la stretta scalinata che portava giù sulla strada principale, spinti da dietro dai soldati, che nel frattempo si erano risvegliati tutti, e non volevano beccarsi dei morsi.

 Tim continuava a sentirsi completamente rapito dagli eventi, non ci capiva più nulla. L’unica cosa certa era che qualcosa di superiore era intervenuto nel conflitto. Qualcosa di superiore agli esseri umani.

 Appena si ritrovò nella strada principale, si fece da parte e prese a dirigersi verso la porta principale.

‘’Tim, fermo! Stai qui, abbiamo immediatamente bisogno di te!’’ disse Wolfy, sfiorandogli una mano con il muso. ‘’Seguimi’’, ribadì il lupo poco dopo.

Tim lo seguì, e si ritrovò di nuovo a rifare una parte del percorso che aveva fatto solo pochi istanti prima, e si recò sui bastioni.

Lì ritrovò tutti i suoi amici; c’erano Sergej, Sam e il suo gemello, i due giovani maghi e i capi delle creature magiche, tutti assorti a guardare quello che stava succedendo su quello che doveva essere il campo di battaglia. Tim si unì immediatamente a loro, giusto in tempo per vedere tutta la scena.

I nove Demoni si stavano rotolando a terra, sembrava fossero in preda a dolori tremendi, mentre tutti gli Sconosciuti erano tornati al loro accampamento.

Ad un tratto, i Demoni si rialzarono ed estrassero nuovamente quel pezzo di roccia che avevano già utilizzato a Vargan, e lo posarono a terra. Poco distante, posarono anche la corona del re dei nemici. Poi, sempre con fatica, si disposero in cerchio attorno ad essi, e presero a gridare forte.

Improvvisamente, nello spazio tra la roccia e la corona esplosero delle scintille, che divennero fiamma. Una fiamma nera come la pece. Le creature magiche sussultarono, mentre Tim continuò a guardare ciò che stava accadendo poco più un basso.

La fiamma prese a crescere, e pian piano perse la forma di un fuocherello per divenire qualcosa dalle sembianze mostruose.  Poi, i Demoni smisero di gridare, e i loro corpi umani si accasciarono al suolo, definitivamente senza vita.

 In compenso, la figura mostruosa accrebbe all’inverosimile, e lanciò un grido demoniaco. Sui bastioni, tutti sussultarono.

Un vento gelido iniziò a travolgere tutto, mentre una foschia densa iniziò a spandersi nel cielo, nascondendo la luce del sole. Su Fortwar calò una penombra innaturale, mentre la forma mostruosa prese delle sembianze quasi umane. Aveva due lunghe braccia, e mani con lunghe dita. Alla fine, spalancò gli occhi, che erano rosso sangue.

 ‘’Chiunque abbia interrotto l’antico sortilegio che stavo rievocando poco fa, il sortilegio che avrebbe stregato tutti gli umani, sarà punito. Anzi, tutti sarete puniti, perché il Principe del Caos è tornato!’’, gridò quell’essere, con una voce molto simile a quella che utilizzavano i Demoni. Quel mostro era un gigante composto da una materia oscura. Tim si girò improvvisamente verso le creature magiche.

‘’Ora dovete spiegarci qualcosa. Cosa significa tutto questo?’’, chiese frettolosamente. Fu Jack, il capo dei folletti, a dargli la risposta.

 ‘’Significa che abbiamo sbagliato tutto, fin dall’inizio. Credevamo che i Demoni fossero solo spiriti maligni, invece erano le parti che componevano il Principe del Caos. Ora si sono riunite. Il Principe del male è tornato’’, disse jack, rivolgendosi a tutti i presenti.

 ‘’Cosa possiamo fare? Spiegatecelo, ve ne prego, perché noi non stiamo comprendendo più nulla’’, disse Tim, notando i volti sconcertati degli altri uomini.

 ‘’C’è poco da dire o da fare, ma partiamo dall’inizio. Tutto quello che è successo dall’inizio, da quando i nemici si sono fermati di fronte alle nostre mura fino alla decapitazione del re, era un modo per vendicarsi e per irridere voi umani. Niente di che, il Principe è abituato ad agire in modo violento e casuale. I Demoni, infatti, erano le parti divise del Principe, ed hanno finto di essere creature pressoché innocue fino a poco fa, mentre in realtà stavano accumulando energia e prendendo tempo per giungere al punto giusto. Il re degli Sconosciuti era già morto, quando si è seduto sul trono, e il suo corpo era posseduto da quelle entità malvagie. Poi, han messo in scena le decapitazioni per spaventare gli assediati, e anche per completare l’estrazione dell’anima del generale, ed hanno estratto la pietra contenente la forza benigna di Huru e la corona del re. Infatti, al Principe, per ritornare al suo stato primordiale, servivano l’immensa forza di una divinità, la corona di un grande re guerriero, l’anima di trentamila umani e la coscienza di un grande generale. E durante tutto l’anno in cui sono stati svegli, i Demoni hanno raccolto tutti gli elementi che servivano a loro per tornare ad essere un tutt’uno. Ed ora ecco il risultato; il Principe del Caos è di nuovo tra noi ’’, disse Wolfy, che prese un ‘attimo di respiro, prima di continuare.

‘’Poco fa, ha cercato di incantarvi con l’incantesimo Arcano, quello più antico di tutti, nonché lo stesso con cui ha formato questo mondo. Però, noi creature magiche ne siamo immuni, almeno all’inizio, e siamo riusciti a salvarvi. Poi, con il mio popolo vi abbiamo presi a morsi per farvi scendere dai camminamenti, perché lì eravate bersagli facili per questo mostro. Ed ora… non lo so’’, concluse il grosso lupo.

Tim ora aveva tutto un po’ più chiaro, ma non aveva tempo per metabolizzare il tutto. Bisognava intervenire subito, per distruggere quel mostro del male.

‘’Cosa dobbiamo fare per distruggere quel mostro gigante?’’, chiese Tim, senza tanti giri di parole.

L’orribile essere, intanto, si stava ancora dimenando, mentre nella città di Fortwar tutti gli abitanti stavano gridando dal terrore.

‘’Nulla. Noi non possiamo fare nulla. Il tuo esercito, generale Tim, non può combattere contro il Principe, così come non possiamo combatterlo noi creature magiche. Siamo troppo deboli per farlo. E i due maghi non hanno neppure più la magia’’, disse uno degli elfi, che se ne stava un po’ in disparte.

‘’E quindi?’’, domandò ancora Tim.

‘’Quindi siamo tutti spacciati. Tra poco, quella creatura ci inghiottirà tutti, e tutti noi moriremo, tornando nell’infinito che ha generato la materia di cui siamo composti milioni di anni fa’’, ribatté l’elfo, con aria abbattuta. Tim sapeva che l’elfo non mentiva.

‘’Perché non ce l’avete detto prima? Magari potevamo intervenire tempestivamente, e fermare in tempo il processo di ricostituzione del mostro’’, disse ancora Tim.

 ‘’Impossibile. Prima di tutto, neppure noi avevamo compreso la gravità della situazione. Poi, nessuno, a parte il Grande drago, può sconfiggere o rallentare questo essere, perché è l’unico ormai ad avere forze sufficienti per tenerlo a bada. Loro due sono gli unici due potentissimi creatori. E il grande drago non è qui con noi’’, disse Wolfy, con fare rassegnato.

‘’Gua.. Guardate!’’, disse Sergej, tentennando. Tutti si girarono verso di lui, e seguirono il suo dito alzato, che puntava verso l’esterno. Dietro alla massa informe e mostruosa dal principe del Caos, la foresta era scomparsa. Al suo posto, c’era una vasta pianura arida. Proprio in quell’istante, forti grida si alzarono dall’interno di Fortwar.

‘’Al fuoco! Al fuoco!’’, gridava la gente, in preda al panico.

Un istante dopo, un giovane soldato trafelato fece apparve di fronte ai capi riuniti.

‘’La città va a fuoco, generali! Si appiccano incendi ovunque, senza che nessuno li abbai provocati!’’ gridò il ragazzo, che poi cadde riverso al suolo, morto. Tim indietreggiò, seguito da tutti gli altri.

 ‘’Cosa significa tutto ciò?’’, chiese sergej.

‘’Ricordate quella storia che raccontò il vecchio nano il primo giorno che noi creature magiche entrammo in contatto con gli abitanti della capitale? Sì, eravate tutti presenti, ricordo che Sam era pure intervenuto. Ebbene, il Principe del Caos sta distruggendo questa dimensione, facendola collidere altre. Le conseguenze di ciò sono che prima della fine, scoppiano strani incendi e i mondi si mescolano… prima che tutto esploda’’, disse ancora Jack, tentennando.

‘’Ma quale Principe arriva a distruggere il suo regno e tutto ciò che ha creato?’’, disse Sam, che fino a quel momento aveva ascoltato in rigoroso silenzio.

 ‘’Un Principe che ama vivere nel caos’’, disse semplicemente un elfo, scrollando le spalle.

‘’Tra poco faremo la stessa fine di questo soldato. Moriremo così, poi scompariremo per sempre’’, disse ancora Jack. In quell’istante, le mura di Fortwar tremarono.

‘’Qui, tra poco crollerà tutto, e la realtà, così come la conosciamo noi, sparirà per sempre. E non c’è nulla che noi possiamo fare per fermare tutto questo’’, ribadì Wolfy. Ormai erano tutti pronti a morire, con gli occhi spalancati a causa del panico, e con la risata demoniaca del mostro che risuonava ovunque.

‘’E’ finita. Moriremo tutti!’’ disse uno degli elfi, spaventato.

 ‘’Se solo potesse intervenire il Grande drago…’’, disse tra sé e sé Jack.

A quel punto, Bad iniziò a strattonare Sam.

 ‘’Fratello, tira fuori la sfera’’.

‘’Cosa?’’, ribatté Sam, sorpreso.

‘’La sfera, caspita! Il regalo che ti ha fatto il Grande drago’’, continuò Bad.

Sam a quel punto ricordò e infilò la mano dentro la bisaccia verde, che si portava sempre dietro. E lì, calda al tatto, c’era la sfera luminescente, il regalo del drago. A Sam tornarono i  mente le parole del capo delle creature magiche, e sapeva che doveva romperla e chiamare quel nome. Capì che doveva agire subito.

‘’Vai!’’, disse Bad, spingendo Sam.

 Mentre tutti li stavano guardando sbalorditi, Sam prese la corsa e d iniziò a salire l’ultimo pezzo di scale che conducevano ai camminamenti. Appena uscì allo scoperto, prese a correre fino ai merli delle mura, e tirò fuori la sfera.

Sotto di lui, c’era l’inferno. Fortwar era in fiamme, mentre il Principe del Caos era impegnato a distruggere l’accampamento degli Sconosciuti. Attorno a lui tutto stava cambiando, compreso il paesaggio. Capì che non restava molto tempo.

 Strinse con forza la calda sfera e la gettò giù dalle mura.

‘’Diamond!’’, gridò, con tutta la sua forza.

In quell’istante, l’essere mostruoso si volse verso di lui, e con una velocità incredibile si gettò verso la sfera, che cadeva dritta verso la terra. Sam per un attimo temette il peggio, pensando che forse il mostro sarebbe stato in grado di frenarne la caduta.

Appena il Principe del Caos la sfiorò con una sua grande mano scura, gridò forte e si ritrasse, non riuscendo a trattenerla. La sfera continuò la sua caduta, e appena toccò terra, finì in mille frantumi, mentre il liquido bianco fluorescente prese a spargersi sul terreno circostante.

E la luce tornò nel mondo di Fortwar.

 

 

 

Ilse era sbigottita.

 Il suo re, il suo fermei, il padre di suo figlio, era morto per mano di quei mostri. Il Principe del Caos era riuscito a tornare, e stava distruggendo il mondo di Fortwar. Anche John, il vecchio generale imperiale, era morto.

E lei si sentì inutile, poiché non era riuscita ad avvisare nessuno. Si perdonò da sola, poiché d’altronde era vittima di un sortilegio che le impediva pure di parlare.

Ma non si perdonò il fatto di non aver mai avvisato Fermei dell’odio che provavano i Demoni nei suoi confronti, e del fatto che quei mostri avessero più volte accennato ad una brutale vendetta. Forse, se ne avesse parlato con il re, lui sarebbe riuscito a liberarsi di quei mostri prima che avessero potuto raccogliere così tanta forza.

Ma ora Fermei era morto, Fortwar bruciava, e l’intero mondo stava crollando sotto i sortilegi del Principe del Caos, che era tornato per riprendere possesso del suo antico regno. Ilse perse le sue ultime forze, e si accasciò al suolo.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti J

Questo è stato senz’ombra di dubbio il capitolo più duro da scrivere. Qui ho iniziato seriamente a tirare le somme del racconto. Spero almeno che sia stato di vostro gradimento J

Grazie per aver letto anche questo capitolo J spero vi vada di farmi sapere se vi è piaciuto J

Grazie, ancora, a tutti J a sabato J

 

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Capitolo 40

CAPITOLO 40

 

 

La sfera, appena toccò terra, si frantumò.

Il liquido fluorescente che era contenuto al suo interno schizzò via e si sparse nel terreno circostante. Sam, per un istante, non notò nessun cambiamento. Si chiese se aveva dimenticato qualcosa. Forse aveva dimenticato una parte di una qualche formula, o chissà cos’altro. Lo sconforto prese a crescere in lui.

Poi, però, dopo alcuni minuti di stallo, il liquido fuoriuscito dalla sfera distrutta iniziò a prendere una colorazione verde intenso.

Poco dopo fu subito raggiunto da tutti i capi delle creature magiche e da Tim, che si misero anch’essi ad osservare la scena.

Sam rimase fin da subito stupito da quel colore; quel verde così intenso l’aveva visto solo una volta, quando si trovava nel mondo magico. E fu a quel punto che ebbe un presagio. Dopo poco, capì che ciò che aveva gettato dalle mura della capitale non era un semplice oggetto, ma era il contenitore dell’essenza del mondo magico, racchiusa lì dentro in tempi antichissimi dal Grande drago.

Il liquido, sempre più verde, continuò a spargersi sul terreno sabbioso sotto le mura della capitale, e in pochi istanti ne ricoprì una vasta area. Il Principe del Caos se ne stette fermo, inerte a guardare quello spettacolo, come se anche lui fosse ipnotizzato da quel verde.

Fu così che la terra prese a tremare, e un ruggito selvaggio surclassò tutti i rumori del mondo di Fortwar.

Improvvisamente, dal liquido verde iniziarono ad uscire strane forme, che divennero ben presto molto chiare. Sam gridò dalla felicità non appena vide il Grande drago formarsi e sollevarsi in piedi, continuando a ruggire.

Attorno a lui, presero a materializzarsi miriadi di creature magiche, che lui aveva già incontrato nel loro mondo. Il Grande drago divenne di grosse dimensioni, e diventando talmente tanto grande da riuscire quasi a surclassare il Principe del Caos, che se ne stava ancora immobile, a guardare.

Mentre la piana sotto le mura di Fortwar si riempiva di migliaia di creature, il Grande drago smise di ruggire e di crescere, e puntò i suoi gelidi occhi di ghiaccio sul Principe del Caos. Il Principe, a quel punto, rise.

‘’Finalmente ci rincontriamo, vecchio drago’’, disse il Principe, smettendo di sghignazzare.

 ‘’A quanto pare, sì. Pensavo di non doverti più rivedere, dopo la brutta sconfitta che ti ho inflitto nell’antichità’’, rispose il Grande drago, serio.

‘’Oh, Grande drago, lo hai sempre saputo che sarei tornato. L’ho promesso prima di venire diviso in nove parti. E io le promesse le mantengo sempre’’, disse il mostro gigantesco, beffardo.

‘’Hai combinato un bel disastro. Si vede che sei tornato. Ma la tua presenza in questo mondo non durerà a lungo’’, disse il drago, guardandosi attorno. A quel punto, il Principe scoppiò nuovamente a ridere.

 ‘’Drago, è tutto finito ormai. Non puoi più fermarmi, nessuno può fermarmi. Ora ho raccolto tutti gli elementi che mi servivano per raggiungere la mia continuità nel tempo; tu, con la tua magia e i tuoi poteri, non puoi nemmeno sfiorarmi’’.

‘’Ne sei certo?’’, disse il drago, che pronunciò una formula magica.

In pochi istanti, gli incendi magici che stavano distruggendo la capitale si spensero, e il deserto smise di inghiottire la foresta, che riapparve così com’era prima del ritorno del male.

‘’Bene, vedo che hai fatto qualche progresso. Ma non basta. Ora sei riuscito a fermare il caos e la sua forza distruttiva, ma non  me. Io ti distruggerò, poi tornerò a completare la mia opera. A meno che tu non voglia scendere a patti’’, disse il Principe.

 ‘’Non scherzare. Affrontami’’, rispose il drago, con fare sicuro.

‘’Io e te, se diventiamo alleati, possiamo fare tutto ciò che ci pare di questo mondo. Possiamo fondare realtà nostre e distruggere questa, creare creature e nuovi mondi a nostro piacimento. D’altronde, siamo gli unici due creatori, possiamo andare d’accordo. Se ti allei con me, ti prometto che non toccherò nessuna delle tue creature. Voi potrete vivere in pace in una vostra dimensione, così come avete fatto fin ora, e io mi accontenterò di questa’’ disse il Principe. Fu il Grande drago a ridere, questa volta.

 ‘’No, demone, la tua era sta per finire. Non siglerò nessun patto con te, neppure costo di morire’’, disse il drago.

‘’E tu moriresti e sacrificheresti la tua vita per un pugno di esseri umani? Sai anche tu quanto sono infidi, ti hanno già cacciato una volta. Divertiamoci a distruggerli insieme con il loro mondo corrotto, e ricreiamo due nostre distinte realtà, di cui poi faremo ciò che più ci aggrada. Dammi retta; diventa mio alleato e lasciami distruggere questo inutile mondo’’, ripeté il Principe.

‘’No. Ho dato la mia parola agli umani che li avrei aiutati’’, ribadì il Grande drago, con fare sicuro.

‘’Ma guarda, che senso di onestà. Comunque, tieni presente che loro torneranno a cacciarti da queste terre, se ne sarà data loro occasione. Stai dalla mia parte; non te ne pentirai. Avrai un nuovo mondo tutto tuo, con le tue creature potrete vivere in pace…. Non combattermi, ma sostienimi’’, continuò il Principe. Il drago ghignò.

 ‘’Perché la fai tanto lunga? Ti ho già detto che non mi alleerò mai con te, anche a costo di dover perire insieme al mio popolo. Hai forse paura di affrontarmi?’’.

‘’Oh, no, Grande drago. Questa volta no. Fintanto che ho gli elementi, sono invincibile’’.

‘’Esatto. Sarai invincibile fintanto che terrai con te gli elementi’’, sottolineò il drago.

 ‘’E come pensi di riuscire a sottrarmeli, sentiamo?’’.

 ‘’Che tu sia dannato, Principe del Caos! Io ti distruggerò!’’, ruggì il drago, facendosi forza.

 ‘’E va bene, lo scontro l’hai voluto tu. Ma sarò io a distruggerti!’’, disse il Principe, che cominciò subito a biascicare sortilegi.

In pochi attimi, una foschia oscura tentò di circondare il Grande drago, che con fatica prese anch’esso a formulare incantesimi. Il Principe chiuse quei suoi occhiacci rossi, e prese a pronunciare formule su formule, mentre il drago subiva gli attacchi con una smorfia di dolore sul suo volto squamato. Si vedeva chiaramente che stava soffrendo.

 Sui camminamenti delle mura di Fortwar, gli umani avevano assistito a tutta la scena, ed avevano ascoltato tutti i discorsi. Il primo a prendere la parola fu Tim.

 ‘’Dalla sua espressione pare che stia soffrendo’’, disse.

 ‘’Certo che sta soffrendo, e pure tanto. Il Principe è troppo potente’’, fece notare Jack.

Improvvisamente, dal nulla apparve Saby. Sam la riconobbe subito e le si avvicinò, mentre gli altri umani presero ad arretrare, spaventati dalla creatura, che sorrise a Sam.

 ‘’Visto? te l’avevo detto che ci saremmo rincontrati presto’’, disse, ‘’ma ora non c’è tempo per salutarci a dovere. Dobbiamo combattere’’, continuò l’unicorno.

 ‘’E come?’’, chiesero tutti, sbalorditi da quell’affermazione.

 ‘’Il Grande drago non potrà resistere a lungo agli attacchi del Principe del Caos. Mi servono tre volontari umani, tre di voi pronti a tutto, anche a rischiare la vita per salvare questo mondo, poi vi spiegherò tutto meglio’’, disse l’unicorno.

Sam, Bad, Tim, Sergej, Lee e Smith si guardarono l’un l’altro. Poi, Tim si fece avanti, senza pensarci troppo. Aveva deciso di difendere l’impero anche a costo della vita, e l’avrebbe fatto.

 ‘’Io voglio far qualcosa. Quasi tutti quelli qui presenti hanno già fatto la loro parte; Sergej ha risistemato la capitale ed ha lavorato giorno e notte per accogliere i profughi. Sam e Bad hanno condotto qui voi, attraverso quella sfera, dopo mille peripezie. Lee e Smith si sono addentrati in lungo e in largo per la provincia di Fortwar per salvare molte vite, ed hanno cooperato per costruire la città magica di Vargan. Io, invece, sono stato solo in grado di subire sconfitte. Quindi, mi sembra giusto combattere ora’’, disse Tim, avanzando verso Saby.

 ‘’Bene. Questo sì che è lo spirito giusto. Vedrai, se riuscirai in questa impresa riscatterai anche il tuo passato, ed entrerai nella storia. Ma non basta. Voglio altri due di voi, e alla svelta’’, disse l’unicorno, impaziente.

 ‘’Io e Smith combatteremo. Ci sembra giusto, poiché quel mostro ci ha strappato la nostra divinità per farne un suo uso personale. E noi la libereremo’’, disse Lee, prendendo ad avvicinarsi a Saby, seguito da Smith.

‘’Perfetto, ci siamo. Ora venite con me’’, disse l’unicorno, abbassandosi. I tre umani si fissarono tra loro, senza sapere cosa fare.

 ‘’Avanti, salite in groppa!’’, disse l’unicorno, che scoccò la lingua, facendo apparire altri due unicorni.

Tim salì in groppa a Saby, e ben presto si trovò a volare giù, verso la terra sotto le mura esterne di Fortwar, dove avrebbe dovuto aver luogo la battaglia epica. Ben presto, si ritrovò nuovamente a terra, e scese dalla groppa dell’unicorno, mentre Lee e Smith erano ancora per aria. Loro non erano scesi.

‘’Ho selezionato te perché mi sembri quello più motivato nella missione. Quindi, ora sfodera la tua spada’’, disse Saby. Tim guardò l’unicorno stupito, e sguainò la spada.

 ‘’Ora, vedi il liquido verde, l’essenza del mio mondo? Bene, bagna la tua spada nel liquido. Veloce, non c’è più tempo’’.

Tim si abbassò, e si avvicinò al liquido verde. Poi, bagnò la punta della sua spada. In pochi istanti, la spada cambiò colore; la lama divenne di un azzurro cielo, mentre l’elsa divenne verde intenso, proprio come l’essenza del mondo magico.

‘’Ora tra le tue mani hai la spada più potente del mondo conosciuto. Può trafiggere qualsiasi cosa, non teme né urti né fratture’’, disse l’unicorno, lasciando per un attimo Tim a contemplare la magnificenza di quell’arma.

‘’Ora basta fissare la spada, è ora di combattere. Ora noi vi porteremo in volo sul principe del Caos, e vi faremo atterrare sulle sue spalle. Mentre i tuoi amici sono senza alcuna difesa, loro fungeranno come esca e saranno vittime sacrificabili, mentre tu, con la tua spada, cercherai di prendere possesso o della corona reale, o della pietra magica di Huru. Il Principe sarà molto concentrato nel combattimento contro il Grande drago, ma cercherà di difendersi in tutti i modi. Con le sue grosse mani tenterà di gettarti giù e di allontanarti da lui, ma tu colpiscile con la spada magica, e lui non ti potrà far più nulla. L’importante, è che tu getti via la corona, o la pietra. Scegli tu. Comunque, ti consiglio di prenderti la corona, che il mostro si è sistemato sulla testa. Una volta fatto questo, il Principe si ritroverà lontano da almeno uno dei suoi amuleti e perderà momentaneamente una parte di poteri. Solo allora il Grande drago riuscirà a dargli il colpo finale’’, disse Saby, con foga. A quel punto, Tim gli porse un’inevitabile domanda.

 ‘’E perché non lo fate voi creature magiche, che sapete pure volare?’’, gli chiese. Saby lo fissò male.

‘’Perché noi esseri che abbiamo la magia nel sangue non possiamo toccarlo. Il suo corpo, che a te parrà molliccio, per noi è intoccabile, perché è stregato dalla notte dei tempi, per difendersi dai nostri attacchi. Solo voi umani, creature semplici e senza poteri, potete toccarlo e  strappargli o la corona, o la pietra. Tutto chiaro?’’, chiese Saby con fare sempre più sbrigativo e irritato.

‘’Sì’’, disse Tim, scrollando le spalle.

‘’Benissimo allora. Avanti, monta su che andiamo, prima che sia troppo tardi’’, disse ancora l’unicorno.

Tim salì in groppa della creatura, che raggiunse subito gli altri due in aria. Il grande drago aveva ancora un’espressione sofferente, mentre il Principe era ad occhi chiusi, ignaro dell’arrivo degli umani, e continuava a sfornare sortilegi. Poi, tutto a un tratto, il Principe scattò, e allungò una mano, colpendo in testa il nemico.

Il Grande drago prese a sanguinare e smise di pronunciare formule magiche. A quel punto, il Principe lo afferrò per il collo, cercando di soffocarlo e di finirlo una volta per tutte. Il drago tentò di ruggire, ma la prese del Principe era ferrea. Sarebbe morto a breve.

Infatti, il gigante malefico strinse più forte il collo del drago, e con una spinta violenta lo scaraventò contro le mura di Fortwar. Poi, con un incantesimo potentissimo, spazzò via tutte le migliaia di creature magiche che erano venute in soccorso del Grande drago.

 ‘’Devi agire in fretta, o moriremo tutti’’, disse l’unicorno a Tim.

Saby e i due unicorni ad un certo punto fecero una piroetta, e gettarono giù Tim e i due giovani maghi.

Tim gridò, mentre improvvisamente si trovava a precipitare verso le larghe ed immense spalle del Principe, che intanto continuava ad occuparsi dell’avversario.

 Poi, cadde, facendo un tonfo sordo sulla spalla destra del gigante. Si rialzò barcollando, era illeso, poiché tutto sotto di lui era molliccio ed aveva attutito la caduta. Pian piano, prese a muoversi. Era solo, poiché Lee e Smith erano sull’altra spalla.

I due maghi umani sembravano formiche sul corpo del Principe, e questo fece riflettere Tim, che poi dovette riconoscere il fatto che probabilmente anche lui non doveva apparire molto diverso.

Mentre arrancava, il Principe continuò a non accorgersi di lui, tant’era preso dalle creature magiche. Troppo facile, si disse Tim.

Poi, però Lee e Smith giunsero al collo, e tentarono di aggrapparsi all’orecchio sinistro del mostro. Fu allora che il gigante si accorse degli invasori. Con la  manaccia nera libera, andò a gettare giù i due maghi.

Mentre la mano si muoveva veloce contro di loro, Lee sguainò la spada, mentre Tim prese a correre, fintanto che non fu alla sommità del collo.

Quando si voltò a vedere che fine avevamo fatto gli altri due amici, li vide a terra, morti o privi di sensi. Con una potente manata, il gigante li aveva sbattuti al suolo.

Il Grande drago ebbe un po’ di respiro, poiché il Principe aveva lasciato momentaneamente la presa, e riprese a biascicare incantesimi, cercando di alzarsi dal suolo e distruggendo una parte delle mura della capitale.

Il Principe, però si accorse anche della presenza di Tim vicino al suo collo. Prese a muovere la mano verso di lui, per scacciarlo. Tim tentò di saltare, di afferrare il lobo dell’orecchio e di tentare di arrivare alla sommità del cranio dov’era posta la corona del re degli Sconosciuti, ma ben presto fu chiaro che non ci sarebbe mai riuscito e che non aveva più tempo.

 La mano del mostro si avvicinava, e Tim preparò la spada.

Poi, il grosso corpo prese a contorcersi, quasi come per volerlo far cadere. Tim piantò la spada nella spalla del mostro, e si tenne forte ad essa, in modo da non sbilanciarsi e cadere. L’essere trafitto gridò forte, mentre velocizzò la mano.

Ben presto Tim si trovò tra due grosse e immense dita, pronte a stritolarlo. E fu lì che ebbe un’idea. Estrasse la spada dalla materia del mostro, e attese per un attimo. Appena le grandi dita del mostro tentarono di chiudersi su di lui ed afferrarlo, le colpì con la spada, creando un vasto taglio nella materia oscura. La creatura ruggì di dolore, e scosse la mano, senza spostarla troppo.

Tim non perse l’occasione, e saltò sulla grande mano ferita. La trafisse con violenza, e la creatura la alzò, pronta a scuoterla nuovamente.

 Ma il ragazzo ora aveva di fronte a se una grande opportunità e non voleva farsela sfuggire; appena la mano si alzò verso l’alto, lui balzò sul lobo dell’orecchio e con un ultimo balzo saltò sulla testa della creatura.

Con il fiatone, prese a correre verso la corona, mentre l’ultima mano illesa del principe andava veloce verso di lui, per stritolarlo.

Tim, fu più veloce, prese la corona e se la mise sotto le vesti, bloccandola nella cintura in modo da non perderla. Poi, si accorse che ancora una volta stava per finire stritolato. Prese la spada, la puntò nella pelle scura e coriacea della creatura, e si lasciò cadere sulla schiena del mostro, trafiggendogli la spessa pelle e urlando. Il Principe gridò ancora, come se fosse impazzito dal dolore, mentre il generale si trovò a cadere verso terra.

Per il panico, Tim perse quasi i sensi, e i suoi ricordi da quel momento divennero sbiaditi. Si ritrovò improvvisamente sulla schiena di Saby, che lo stava portando lontano, mentre il principe si inginocchiava, gridando sempre più forte.

Il Grande drago finalmente si rialzò da terra, sanguinante. Poi, un immenso fiume di fuoco uscì dalle sue narici, travolgendo il mostro gigante, che si disciolse, avvolto da mille fiamme.

Mentre sveniva, Tim poté sentire chiaramente l’esultanza di Saby. Il Principe del Caos era stato sconfitto, ma pagando un caro prezzo.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti J

Ce l’ho messa veramente tutta per scrivere questo capitolo. Spero sia stato di vostro gradimento J

Vi anticipo che anche il prossimo capitolo sarà pieno d’azione, quindi preparatevi J

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J a mercoledì J

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


Capitolo 41

CAPITOLO 41

 

 

Tim si risvegliò non appena Saby lo gettò a terra con violenza.

Nell’impatto contro il suolo duro, il generale imperiale riprese subito coscienza.

‘’Avanti generale, ora che il Principe del Caos è stato sconfitto, bisogna organizzare l’esercito dei tuoi umani e distruggere i nemici’’, disse l’unicorno.

Subito, Tim riprese padronanza di sé, e scoprì che si trovava nuovamente sui camminamenti di Fortwar. Una parte delle mura era crollata durante lo scontro magico tra il Principe e il Grande drago.

Sul campo di battaglia, non restava nessun segno del Principe e dello scontro appena avvenuto, solo il terreno era tutto bruciacchiato, come dopo un comune incendio.

Il Grande drago era riverso al suolo, sanguinante e ferito, poco distante dalla porta principale di Fortwar. Attorno a lui, centinaia di creature magiche ferite si stavano radunando per richiedere il suo aiuto.

 Il cielo era tornato azzurro, e il sole splendeva e riscaldava l’aria. La foresta primordiale che circondava Fortwar era tornata così com’era sempre stata, e gli incendi spontanei si erano definitivamente spenti.

Tim notò che l’accampamento nemico, nonostante fosse stato distrutto in parte dal Principe, fremeva di vita. E notò che numerosi guerrieri si stavano schierando nuovamente, pronti a dar battaglia. Il generale prese subito la sua decisione e iniziò a scendere la scalinata che portava a terra. Doveva raccogliere subito il suo esercito, e sferrare l’attacco al nemico fintanto che non si era ancora completamente riorganizzato, visto che gli Sconosciuti avevano voglia di combattere.

 Appena uscì dall’interno delle mura, Tim si trovò subito nel bel mezzo del caos. Ovunque, i suoi soldati si stavano preparando per lo scontro, seguiti dai feroci lupi magici e dai nani, che non avevano ancora combattuto. Poco distante, Sergej si stava fasciando un braccio.

‘’Cosa ti è successo?’’, gli chiese subito Tim, vedendolo in difficoltà.

‘’Sono stato colpito da una scheggia quando sono crollate le mura orientali. Ma ora non fermarti, Tim, tu che puoi. Tutti abbiamo visto con quanto coraggio ti sei battuto contro il Principe, e se il nostro mondo è salvo e se siamo tutti ancora in vita, beh, questo è merito solo tuo. Ma ora vai, e finisci gli Sconosciuti. Ora che hanno una breccia nelle mura, tenteranno di riorganizzarsi e di entrare in città ad ogni costo, e se entreranno nella capitale, sarà tutto finito per noi. Non c’è tempo da perdere’’, disse Sergej, sempre più pallido.

 Tim annuì con la testa e si allontanò velocemente. Subito, iniziò ad impartire ordini.

‘’Voglio che buona parte delle milizie cittadine siano pronte entro pochissimo tempo, poi attaccheremo subito il nemico’’, disse Tim, avvicinandosi ad un ufficiale maggiore, che non l’aveva neppure riconosciuto dal tanto che era indaffarato. L’uomo lo guardò di sbieco.

 ‘’Le milizie cittadine sono composte da un numero piuttosto ridotto di soldati, generale. Non possiamo affrontare un nemico con un manipolo di uomini’’, disse l’ufficiale.

 ‘’Non sta a te decidere cosa è meglio fare. Fa come ti ho detto, e sbrigati. Schiera anche alcuni lupi guerrieri, alcuni elfi arcieri e una piccola parte della cavalleria’’, disse Tim, con toni duri.

L’uomo avrebbe voluto replicare, ma comunque si allontanò velocemente, e iniziò a gridare ordini agli uomini. Subito ebbe buoni risultati, e ben presto parecchi soldati furono pronti per combattere. Tim, intanto diede l’ordine di aprire la porta principale, cosa che fu subito fatta.

Tim si posizionò in testa ai suoi uomini, e li portò fuori da Fortwar. I nemici, intanto, si stavano riorganizzando, ma con poca efficacia. Numerosi Sconosciuti si rifiutavano di combattere, d’altronde avevano perso tutti gli ufficiali anziani, il Re e i Demoni. Non avevano più capi, quindi non avevano motivi per battersi. Ma quattro strani uomini continuavano ad aizzare i guerrieri, e ormai ne aveva raccolti un bel po’ attorno a loro. Dovevano essere quattro ufficiali sopravvissuti alla strage dei Demoni.

Tim fece arrestare i suoi e si avvicinò al galoppo al Grande drago. Dovette deviare più volte, per non calpestare le creature magiche che giacevano al suolo ferite e gementi. Il drago era ancora disteso al suolo.

‘’Drago! Grazie per averci soccorso. Anche se, al contrario di Sam non ti ho mai conosciuto, voglio porti tutti i ringraziamenti che ti dobbiamo. Senza il tuo intervento, da quest’ora saremmo stati tutti morti. Se hai bisogno di qualcosa, non devi far altro che chiedere’’, disse Tim.

‘’No, ti sbagli, generale, il più l’hai fatto tu. Ricorda, che sei stato tu a gettarti sul capo del Principe come un grande guerriero, e sei stato tu a farlo piegare in due dal dolore. A me è toccato soltanto finirlo. Quindi, il merito è più tuo che mio, ma non devi gioire troppo. Sei tu l’eroe del tuo popolo. In quanto a me, non preoccuparti, sopravviverò’’, disse il drago, con voce sofferente.

‘’No, drago, non dire così. Non lodarmi troppo, sai anche tu che ciò che hai appena detto non è vero’’, ribadì Tim.

 ‘’Ora le nostre parole hanno poca importanza. Il male è stato rimarginato, ma i nemici umani sono lì pronti a caricarvi. Generale, non preoccuparti per me, ma elimina e sconfiggi gli Sconosciuti. Io ho già riparato alla maggior parte dei danni causati dal Principe, ed ora sono stanco, privo di energie e ferito, mentre il mio popolo morente invoca a gran voce un aiuto che io per ora non potrò dare. E se gli Sconosciuti riuscissero a giungere fin qui, ci uccideranno tutti. Quindi, veloce, grande generale, sconfiggi una volta per tutte i nemici e rispediscili da dove sono venuti, per il resto ne riparleremo dopo con più calma. Vai, ora che detieni la più forte spada che sia mai stata forgiata su questo pianeta, la spada di un eroe. Vai!’’, disse nuovamente il Grande drago, sottovoce, socchiudendo le palpebre.

 Tim non se lo fece ripetere altre volte, e tornò al galoppo a raggiungere i suoi uomini, e ne fece partire alla carica una prima fila a cavallo, mentre dietro lui arrivavano di corsa anche i fanti. Diede l’ordine di non scontrarsi direttamente con i nemici, ma di fermarsi pochi istanti ad una certa distanza e di lanciare giavellotti, in modo da non sprecare cavalli e uomini in una carica inutile.

I nemici erano più numerosi degli imperiali, ma più disuniti e mal armati. Appena videro arrivare la cavalleria imperiale, gli Sconosciuti tentarono di compattarsi, e spuntarono alcune lance.

Ma, come stabilito, i cavalieri fermarono i loro cavalli poco prima di andarsi a infilzare nelle lance, e lanciarono decine di giavellotti, mentre dalle mura gli arcieri elfici scoccavano lunghe frecce avvelenate. I nemici caddero trafitti, mentre la prima linea era stata pressoché decimata. E poco dopo subirono il tremendo urto dei fanti imperiali, che erano sì inferiori di numero, ma molto più agguerriti. Subito, i nani, i folletti e grossi lupi guerrieri si gettarono anche loro nella mischia.

Tim si sentì sicuro di sé,  estrasse la sua spada e smontò dal cavallo, consegnando l’animale ad un giovane paggio imperiale. Questa volta non avrebbe commesso l’errore di Vargan, standosene immobile su una portantina ad attendere la sconfitta. Questa volta avrebbe combattuto anche lui.

 I nemici, dopo l’urto, iniziarono ad indietreggiare. Tim non attese altro tempo; doveva mostrare a tutti il suo valore. Se lui stesso, il generale supremo, si fosse gettato come un pazzo nella mischia, di certo i suoi soldati l’avrebbero seguito, aumentando la foga. E fu così che andò.

 Tim impugnò bene la sua spada, e si gettò sui nemici, gridando. La sua lama iniziò a fendere l’aria, e iniziò ad abbattere nemici. I primi Sconosciuti che capitarono di fronte a lui furono guerrieri da nulla, e si fecero trucidare senza neppure riuscire a difendersi.

Il generale imperiale iniziò ad avanzare nella mischia, senza più badare alla posizione dei suoi uomini, certo che loro l’avrebbero seguito. Come un fulmine, trafisse un nemico, che aveva cercato di colpirlo con un’ascia.

 Tim prosegui, falciando arti, uccidendo nemici senza alcuna sosta. La sua lama mulinava continuamente, e ben presto i raggi di sole che rifletteva divennero un segnale per i suoi uomini, che lo tenevano sempre d’occhio, impressionati dalle sue abilità.

Tim scoprì di essere un gran bravo spadaccino, e che la sua spada, ora resa magica, era potentissima. Ben presto divenne chiara una cosa; che i nemici sarebbero andati avanti ad oltranza fintanto che gli ultimi quattro ufficiali superstiti li avrebbero spronati. Costantemente, le grida dei quattro ufficiali Sconosciuti superavano il clangore della battaglia, per continuare ad urlare ordini.

Il generale iniziò a cercarli con lo sguardo, e individuò le loro figure ai margini dell’area di combattimento. Quei fannulloni preferivano lasciar massacrare il loro esercito piuttosto che muovere un dito. Ma lui li avrebbe sistemati a dovere.

Rapidamente, prese a correre verso di loro, ignorando la sua stanchezza ed evitando ogni possibile duello o scontro. Quando i quattro lo videro, tutto solo, correre verso di loro, si fissarono e sorrisero. Probabilmente, pensavano che fosse un pazzo.

Capendo le sue intenzioni, sguainarono le spade, e lo attesero. Tim non si fece intimorire, e gridando si avventò contro il primo di loro. Ci mise troppa foga, e perse di vista gli altri tre, che lo circondarono. Tim, a quel punto, si pentì del suo gesto eroico. Si guardò attorno, ma notò che vicino a lui non c’era nessuno dei suoi soldati, che erano impegnati tutti in scontri corpo a corpo più indietro. Quindi, doveva cavarsela da solo.

I quattro erano giovani, tre di loro forse anche più di lui, ma uno era talmente grosso da sembrare un gigante. Il generale non si fece scoraggiare, anzi, si preparò ad attaccare. Poco distante, a terra, c’era uno scudo rotondo. Con un balzo, prima che qualcuno avesse potuto prevederlo, lo raccolse, e si lanciò a spada sguainata verso il primo ufficiale, che parò il suo colpo e si scansò lievemente di lato.

Prima mossa sbagliata, poiché aveva momentaneamente rotto il cerchio. Tim si ritrovò a suo fianco, e mentre il ragazzo cercava invano di contenere la sua rapida serie di stoccate, andò ad inciampare su un corpo morto a terra. Il ragazzo barcollò, e Tim lo trapassò al petto senza alcuna pietà.

 I tre ufficiali rimasti non avevano fatto molto per evitare la brutta fine al compagno, e Tim comprese che erano avidi di potere, quindi quell’uomo in meno era anche un rischio in meno per loro, e maggior potere nelle loro mani. Il generale dovette smuoversi di lato per evitare l’attacco combinato di due uomini, poi impugnò saldamente lo scudo e andò a sbattere contro la corazza del terzo ufficiale che fino a quel momento ci era limitato a stare un po’ in disparte. L’uomo, per ripararsi dall’urto, lasciò scoperto il basso ventre, e fu proprio lì dove Tim colpì con la sua poderosa spada.

 L’uomo, ferito a morte, cadde a terra, gridando, e Tim lo decapitò senza alcuna pietà. Ne rimanevano due. Si fecero avanti, e parevano tosti. Poi, un suo uomo, vedendolo in difficoltà, riuscì a raggiungerlo, e uccise con un colpo d’ascia uno dei due ufficiali rimanenti.

 Prima che Tim potesse fare qualcosa, il suo soldato venne trapassato dalla lama dell’ultimo ufficiale, un colosso che poi si voltò verso di lui. Il suo volto era tutto insanguinato, e indossava una pesante armatura di metallo. Sembrava invincibile.

L’uomo, che si accorse di essere in vantaggio, gli si gettò contro senza tanta prudenza. Tim non poté far altro che evitare i suoi potentissimi colpi, e cercare di pararli. Ben presto, il suo scudo fu inutilizzabile.

 Mentre l’uomo gli si avventava ancora contro, Tim impugnò ciò che rimaneva dello scudo e lo scagliò con tutta la forza rimastagli contro la testa dell’ufficiale. Con un tonfo sordo, il pezzo di legno colpì l’elmo metallico dello Sconosciuto, che barcollò e cadde all’indietro.

Tim doveva approfittare dell’occasione e si fece avanti. Però, alcuni dei soldati nemici si erano accorti di quello che stava succedendo, e due di loro gli sbarrarono la strada. Con una potenza incredibile, uno dei due abbassò con violenza la sua mazza ferrata, cercando di colpire gli organi vitali di Tim, che balzò all’indietro, evitando il pericoloso urto.

 La mazza si piantò in terra, e lo Sconosciuto non riuscì più a tirarla fuori. Con un balzo, Tim lo colpì al ventre, e lo lasciò morente a terra, mentre l’altro combattente prese a tempestarlo di colpi con la sua spada.

La spada leggera del nemico era poco affilata e poco maneggevole, e Tim si trovò avvantaggiato. Preso dalla foga, il nemico continuava a colpire e a cercare di coprire il suo ufficiale, che giaceva ancora a terra. Tim, con un ultimo slancio, si fece avanti e riuscì a mozzare il braccio destro del nemico, che cacciò un grido e si inginocchiò, invocando pietà. Tim trafisse anche lui, e avanzò verso l’ultimo ufficiale degli Sconosciuti, che giaceva ancora a terra.

Appena l’uomo si accorse che non c’era più nessuno a difenderlo, cercò disperatamente di rialzarsi, ma l’armatura pesante lo rallentava nei movimenti. Tim gli fu subito sopra, gli tolse l’elmo e lo colpì di piatto alla testa, facendogli perdere i sensi. Poi, lo finì. Anche il colosso era morto.

 Tim si rialzò gridando, mentre attorno a lui i nemici avevano iniziato a ritirarsi. Avevano compreso che, ormai senza re, generali, ufficiali e Demoni, non avevano più nulla da fare, erano spacciati.

Tim vide un vessillo degli Sconosciuti lì a terra, lo strappò dalle mani gelide di un cadavere e lo alzò in aria, gridando e attirando l’attenzione su di lui. Non appena fu chiaro che il generale imperiale aveva ucciso gli ultimi ufficiali, ed ora armeggiava il vessillo del Gran re per mostrare che per gli Sconosciuti ormai era tutto perduto, anche la loro bandiera, i nemici preso a correre, in una ritirata precipitosa.

Subito, gli imperiali si misero ad inseguirli, lanciando acute grida di gioia e uccidendo chiunque restasse indietro o tentasse di opporre un’ultima disperata resistenza. Tim strappò con forza le redini di un cavallo dalle mani di un suo cavaliere, che era sceso a terra per finire un nemico, e salì in groppa al suo cavallo, lanciandosi al galoppo per giunger per primo in testa ai suoi uomini, che si stavano riversando verso l’accampamento nemico.

 Mentre l’esercito degli sconosciuti era in rotta, e cercava un ultimo rifugio dentro al loro accampamento semidistrutto, una decina di nemici aveva indossato tuniche bianche, ed uscì dall’accampamento in controtendenza, cercando di raggiungere Tim.

 Alzarono una bandiera bianca, simbolo di resa. Tim puntò dritto verso di loro, per evitare che i suoi uomini li aggredissero. Infatti, dovette ricacciarne indietro alcuni.

I nemici, appena lo riconobbero dall’uniforme nera e dalla fascia rossa all’avambraccio, si gettarono a terra, inchinandosi. Solo uno di loro osò parlare.

‘’Grande generale imperiale, noi ci arrendiamo. Parliamo per voce del nostro intero esercito, e siamo qui per pattuire una ritirata dignitosa’’, disse uno Sconosciuto, con una scarsa padronanza della lingua imperiale.

‘’E sia. Venite con me all’interno della capitale. E niente armi’’, disse Tim, stanco di combattere e di uccidere.

Subito, dette ordine ai suoi uomini di circondare l’accampamento dei nemici e di uccidere chiunque avesse tentato di uscire dal suo interno, mentre fece gettare le armi all’ambasciata.

Poi, fece condurre in ginocchio gli ambasciatori nemici fino alla sua tenda, e li fece umiliare, prima di farli parlare.

In ogni caso, nonostante li avesse umiliati, Tim avrebbe cercato di evitare un’inutile mattanza. Avrebbe dovuto trovare un qualche accordo a lui conveniente.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J spero sia stato di vostro gradimento J

Tim è riuscito a sconfiggere gli Sconosciuti nell’ultima battaglia. Nei prossimi capitoli, però, ci saranno altre sorprese J

Grazie a tutti, a sabato J J

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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


Capitolo 42

CAPITOLO 42

 

 

‘’Voglio concludere le trattative in fretta, e visto che sono io il vincitore, alla fine sarò io stesso a tirare le somme degli accordi’’, disse Tim, passeggiando avanti e indietro per il locale adibito a consiglio nelle mura di Fortwar, mentre gli anziani ambasciatori degli Sconosciuti se ne stavano inginocchiati a poca distanza da lui. Sergej non aveva potuto prendere parte al consiglio, poiché era a medicarsi le ferite.

 ‘’Certo. Noi non abbiamo più motivo per combattere. abbiamo perso tutti i nostri punti di riferimento e quasi tutti i nostri compagni. Quindi, chiediamo a te, grande generale, di togliere l’assedio al nostro accampamento e di lasciarci andare’’, disse un ambasciatore.

 ‘’Lasciarvi andare? Così continuerete a scorrazzare nelle terre dell’impero? Giammai’’, disse Tim, ironico.

‘’Perdonateci, grande generale, ma noi abbiamo perso quasi tutti i nostri compagni in questa giornata. Il Principe del Caos ne ha abbattuti parecchi, e il colpo di grazia ce lo hai inflitto tu e il tuo esercito. Ora siamo solo poche migliaia, e vogliamo tornare nelle nostre terre natie. Quindi, se tu ci prometterai che ci lascerai in vita, e che ci lascerai fare ritorno alle nostre famiglie, noi ci impegneremo non solo a sottoscrivere accordi di pace a lunga durata, imponendoci di non tentare più di invadere le terre imperiali, ma cederemo tutto ciò che abbiamo conquistato finora, ridando vita e riconoscendo l’impero di Fortwar. Quindi, per favore, lasciaci tornare vivi alle nostre terre’’, proseguì l’ambasciatore.

 ‘’Troppo facile, così. Prima di tutto, voglio sapere se voi godete dell’appoggio dei vostri popoli, e che i vostri guerrieri siano disposti ad accettare tutti gli accordi che voi sottoscriverete con me’’, disse Tim.

‘’Ovvio che sì. Noi siamo l’assemblea degli anziani guerrieri, e tutti ci stimano. Ora che non c’è più nessun re, siamo noi a governare’’, disse lo Sconosciuto, con fare offeso.

 ‘’Stai tranquillo, non conoscevo il grado che ricoprivi nella tua comunità’’, disse Tim, notando l’irrequietezza del nemico,’’però ora so che posso farvi siglare gli accordi. Perfetto, dunque. Queste sono le mie richieste; voi e i vostri popoli vi impegnerete a restare al di là del deserto, e di non invadere mai più l’impero. Inoltre, prima di abbandonare il vostro campo, tutti gli uomini saranno perquisiti, e tutti gli oggetti di valore rubati all’impero e le vostre armi diventeranno mie, come prezzo per la vostra sconfitta. In più, una parte del mio esercito vi osserverà a distanza, fintanto che voi non sarete tornati nelle vostre terre, in modo che nessuno possa tentare di violare gli accordi e di sferrare attacchi a sorpresa. Se sarete pronti a sottoscrivere questi accordi, e se vi impegnerete a rispettarli e a farli rispettare, vi lascerò tornare vivi alle vostre terre’’, disse Tim.

 ‘’Ciò che ci chiedi è molto, ma noi accetteremo’’, disse, con fare prudente, il nemico.

‘’Bene’’, disse Tim, che attese poi i rispettivi giuramenti.

 Poi, concluse gli accordi e fece rispedire indietro i nemici, seguiti da numerose guardie imperiali, pronte a perquisire tutti gli Sconosciuti, uno ad uno.

Appena si furono allontanati un po’, Tim estrasse la corona del Gran re, che si era tenuto appesa alla cintura per tutto il tempo, e la lanciò dietro a quegli uomini.

 La corona cadde a pochi passi dagli Sconosciuti, che la guardarono sconsolati, ma nessuno di loro si azzardò a raccoglierla.

Una guardia imperiale, ghignando, la calciò via con odio.

Fu così che gli Sconosciuti, dopo mesi di lunghe marce e dopo dure battaglie, furono costretti ad abbandonare tutto quello che erano riusciti a conquistare, tra odio e umiliazione.

Intanto, al margine del campo di battaglia, parecchi soldati avevano scavato le fosse comuni dove tumulare i morti. Fu lì che senza gloria né onore fu gettato il corpo del più grande re che gli Sconosciuti abbiano mai avuto, il Gran re Fermei.

 

 

Poco dopo, Tim si trovò improvvisamente di fronte a Bad.

Il gemello di Sam appariva strano, agitato. Gli porse un messaggio, scritto su un pezzetto di pergamena, poi si allontanò, senza dire nulla ma guardandolo in modo strano. Tim non poté far a meno di chiedersi cosa avesse quel giorno in testa quel ragazzo.

Aprì il messaggio, e si accorse che il sigillo in ceralacca era lievemente rovinato. Ciò poteva significare solo una cosa; che qualcuno aveva aperto in precedenza il messaggio.

 Tim ruppe definitivamente il sigillo, e riconobbe la scrittura di Sergej.

Il suo collega generale richiedeva di vederlo subito sul pezzo di mura ad est di Fortwar, nella zona limitata tra le due torrette d’avvistamento, poco distante dal pezzo di mura crollato durante lo scontro con il Principe. Sergej voleva chiudere i conti con lui una volta per tutte. E, per di più, in quel posto pericoloso, dove i soldati non avrebbero potuto intervenire.

Comunque, a Tim non sfuggì che in alcuni punti le lettere sembravano manomesse, lievemente modificate. Lì ci doveva essere lo zampino di Bad. Si chiese perché quel ragazzo avesse avuto intenzione di intromettersi nelle faccende personali che c’erano tra lui e Sergej. D’altronde, il suo collega generale ultimamente si era impegnato a rispettare gli accordi di pace tra loro, ed erano quasi tornati amici.

 Scosse la testa, e capì che, per scoprire il perché di quel gesto, poteva fare solo una cosa; presentarsi nel luogo dell’appuntamento. Ma non sarebbe andato solo, si sarebbe fatto accompagnare da alcune delle sue guardie più fidate.

Quello sguardo vacuo, ma rancoroso, che gli aveva lanciato Bad poco prima non presagiva nulla di buono.

 

 

Ilse si risvegliò.

Pian piano, ricordò tutto quello che era successo. Doveva essere morta, eppure era ancora viva, e doveva essere tardo pomeriggio.

 Lentamente, si rialzò. La porta della sua cella era socchiusa. Con una mano, la spinse verso l’esterno, e si aprì.

 La ragazza fu avvolta dal dolce canto degli uccelli, e si ritrovò al margine della grande foresta di Fortwar. Le era tornata anche la voce, e si sentiva nuovamente padrona del suo corpo.

Il deserto creato dal Principe era sparito, tutto sembrava come prima, e Ilse capì che quel mostro era stato sconfitto. Guardando più lontano, non c’era nessuno scontro in corso, solo alcuni Sconosciuti vestiti con tuniche bianche che venivano scortati verso il loro accampamento semidistrutto da alcune guardie imperiali.

Ad un certo punto, una corona cadde vicino ai piedi di una di queste, che con rabbia la calciò via, gettandola vicino a dei cespugli.

 Ilse si sentì male, e lanciò un grido disperato. Quella era la corona del sul re, di colui che sarebbe dovuto diventare suo marito e padre di suo figlio. Come una valanga, i duri ricordi piombarono su di lei, togliendole il respiro.

Fermei era morto, il suo esercito era sconfitto, e ora lei non aveva più nessuno a quel mondo. Forse sarebbe stato meglio morire, togliersi la vita. Si chiese come poteva andare avanti, ora. Sola, con un figlio in grembo.

 Lentamente, prese a muoversi verso l’oggetto. Si nascose dietro al cespuglio, poi allungò la mano e l’afferrò. Si sedette a terra, e strinse la corona del suo amato tra le mani, girandola e toccando ogni sua pietra o imperfezione.

Le lacrime iniziarono a scenderle copiose lungo le guancie, mentre toccava la sua corona, tutto ciò che le rimaneva di colui che l’avrebbe dovuta rendere imperatrice. Quell’uomo che all’inizio non aveva amato, ma che poi, grazie anche alla gravidanza, aveva iniziato a rispettare. Senza lui, senza la sua protezione, le sue carezze e i suoi baci, lei non era nessuno, ma se ne rendeva conto solo ora. Ed ora era troppo tardi.

Aveva fatto tanti sforzi per diventare importante, aveva affrontato missioni pericolosissime e rischiose per lei, per il suo amato e per il loro figlio, ma tutto questo non era bastato. Lei aveva commesso l’errore più grande, cioè quello di non aver avvisato in tempo il Gran re sui Demoni. Non che alla fine avesse potuto cambiare molto, ma comunque aveva sbagliato e per questo aveva pagato un caro prezzo.

 Pianse, e pianse all’infinito, mentre stringeva forte quell’ultimo legame che aveva con il suo amato. Pensò che il destino era stato crudele con lei; ogni volta che riusciva quasi a raggiungere qualcosa, veniva rigettata nella polvere a mani vuote.

Se ne stette lì, parzialmente nascosta alla vista, a osservare passivamente l’estrema umiliazione degli Sconosciuti, che furono perquisiti, spintonati e cacciati senza alcun briciolo di umanità.

 L’intero accampamento, con le poche tende rimaste in piedi, fu incendiato.

Ilse cercò con lo sguardo la tenda reale, ma quando la individuò la vide in preda alle fiamme, mentre crollava su sé stessa.

Gli imperiali avrebbero fatto tornare indietro gli Sconosciuti senza neppure una tenda o una moneta, tra risa di scherno e umiliazioni varie.

Ilse rimase lì, immobile e nascosta tra le sterpaglie fin quasi a sera, quando le operazioni di controllo furono concluse, e la massa umana degli sconfitti fu cacciata via da sotto le mura di Fortwar.

 Ilse non sapeva cosa fare. Non poteva tornare tra gli imperiali. Se l’avesse fatto, l’avrebbero denunciata e fatta imprigionare. Sapeva che la pena per il suo tradimento era quella del rogo pubblico, e non voleva morire avvolta da mille fiamme e travolta dal dolore.

Ma d’altronde non poteva restare lì a vivere da sola nella foresta, ora che aspettava pure un figlio; un figlio di un re decaduto.

L’unica cosa che avrebbe potuto fare per sopravvivere sarebbe stata quella di seguire gli Sconosciuti, ed elemosinare un po’ di cibo da loro. Era vero che quei soldati la odiavano, ma d’altronde aveva nel grembo la diretta discendenza del loro re.

 Ilse, quindi si decise di seguire a piedi la colonna degli Sconosciuti, ma a debita distanza. Si sarebbe ricongiunta a loro non appena avesse avuto bisogno di nutrirsi, oppure in cerca di protezione.

 Fu così che si alzò e si mise a seguire la colonna dei perdenti, che se ne stavano per tornare nelle loro terre, tra le risa e le offese degli imperiali.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Ilse si è risvegliata, ed ha dovuto prendere una decisione. Voi cosa le avreste consigliato di fare? J

Ok, questo era un capitolo un po’ triste. Però, attenzione; nei prossimi capitoli accadranno altri avvenimenti importanti… J

Mancano 4 capitoli alla fine, mi sembra impossibile che io sia riuscito quasi a concludere questo racconto(si applaude da solo) ahah J no ragazze a parte le sciocchezze che sparo, siamo agli sgoccioli… però dobbiamo ancora seguire la vicenda per un po’ J

Grazie di tutto, a mercoledì J J

 

 

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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


Capitolo 43

CAPITOLO 43

 

 

Sam continuava a fissare con fare interrogativo Bad.

 ‘’Perché mi hai trascinato fin qui? Non riesco proprio a capire’’, chiese nuovamente alla sua copia.

Bad l’aveva prelevato dai bastioni di Fortwar, da dove lui aveva seguito tutta la vicenda della disfatta degli Sconosciuti e dove stava vegliando e curando i due giovani maghi di Huru. Lee e Smith erano riusciti a sopravvivere allo scontro contro il Principe del Caos, ma erano in coma. Il loro volto era stato ustionato, e nel caso fossero riusciti a risvegliarsi e a tornare a muoversi, sarebbero rimasti orrendamente sfigurati.

Bad l’aveva costretto ad abbandonare il loro capezzale e a seguirlo fin sopra le mura, nell’ampio spazio dei camminamenti tra le due torrette di guardia nel muro est della città, proprio vicino al pezzo di mura crollato poche ore prima nella battaglia magica.

 Bad l’aveva condotto quasi con la forza fin lì, evitando accuratamente di fornirgli informazioni di alcun genere.

‘’Ora te lo posso dire. Vedi, ho appena messo in atto una congiura’’, disse la copia, fissandolo con occhi pieni  di rabbia.

Sam si spaventò. Non aveva mai visto la sua copia così furiosa. E l’affermazione che fece lo sconvolse ancora di più.

 ‘’Una… una congiura?’’, chiese Sam, con fare incerto, domandandosi dove la copia volesse andare a parare.

‘’Sì, una congiura che ci porterà direttamente al trono di Fortwar’’, rispose Bad, sorridendo con cattiveria. Sam provò un brivido freddo. Bad stava mostrando tutto il suo lato perfido.

‘’Cosa significa tutto ciò?’’, chiese nuovamente Sam, spaventato.

‘’Ora ti spiego tutto. Sergej mi aveva incaricato di portare un messaggio a Tim. Io l’ho aperto, ne ho modificato il testo e gliel’ho consegnato. Ben presto i due saranno qui, pronti a battersi per il trono di Fortwar, ma non hanno calcolato la terza incognita. Io e te, fratellino’’, disse Bad, iniziando ad affilare il suo pugnale con un’apposita pietra.

 ‘’Noi li uccideremo. Sì, li attenderemo nascosti a fianco delle porte delle due torrette. Appena loro le apriranno, ed usciranno sui camminamenti, sarà troppo tardi. Noi gli saremo subito addosso, e li  pugnaleremo’’, continuò a dire Bad, senza lasciare spazio a Sam.

‘’Bad, cosa stai dicendo? Smettila di dire queste cose. Noi non pugnaleremo nessuno. Anzi, ora vado a dire a Tim di non stare a venire qui, e che il mio gemello ha sbagliato a consegnare il messaggio’’, disse Sam, tentando di allontanarsi. Bad gli fu subito davanti, sbarrandogli la strada.

‘’Dove credi di andare? Tu starai qui, e ne ucciderai uno di loro. Ne uccideremo uno a testa, così la gloria sarà di entrambi’’.

‘’La gloria non sarà né mia né tua. Muoviti, andiamocene di qui’’, disse Sam, titubante.

 ‘’Non credevo di doverlo fare, pensavo fossi più furbo, fratellino’’, disse Bad, puntando il pugnale contro Sam.

Sam sentì una goccia di sudore freddo scenderli lungo la schiena. Il Grande drago glielo aveva detto che la sua copia, per il bene di tutti, doveva esser tenuta segregata in una cella, e rinchiusa lì dentro per sempre.

Però Bad fino a quel momento si era sempre comportato molto bene, e Sam non aveva avuto il coraggio di rinchiuderlo. Ma ora se ne stava pentendo.

‘’Ragiona, fratello! Tutto questo lo sto facendo per il bene di noi due. Se Tim e Sergej muoiono oggi, ci saremo tolti dal mezzo l’unico ostacolo che ci separa dalla corona di Fortwar. Tu godi dell’appoggio del Grande drago, e grazie al supporto delle creature magiche, ci prenderemo legalmente il trono’’, continuò Bad, senza scostare il pugnale. Sam rise.

 ‘’E chi ti dice che il Grande drago non scopra che siamo stati noi ad uccidere i due generali supremi, e che successivamente non ci supporti come possibili eredi del trono vacante?’’, chiese Sam.

‘’Basta, fratello. Ti fai troppi problemi. Con le bugie, con l’inganno e con il male si ottiene tutto. La stupida lucertola farà tutto ciò che tu gli dirai, perché si fida di te. Io mi occuperò di far sparire i corpi. I due generali sono stati uccisi durante i festeggiamenti per la vittoria da qualche ladro dei bassifondi, e gettati chissà dove. Non ci sono prove che i due si siano incontrati qui sopra. E poi, vedrai che la tua parola vale più di ogni altra cosa, tutti ti vedono come un essere buono, come un salvatore’’, disse Bad.

 ‘’In sostanza, mi stai chiedendo di mentire, uccidere, tradire e ingannare. Ma sai che io non farò mai cose del genere’’, disse Sam, facendo un passo indietro.

 Bad gli fu subito addosso, e lo gettò a terra. Poi, con una forza sovrumana, lo immobilizzò e gli puntò il pugnale alla gola.

‘’Se sei ancora vivo è solo perché mi servi, Sam. Se ti ammazzo, muoio anch’io. Quindi, vedi di collaborare. Se ci scoprono a complottare, saranno guai per entrambi’’ , disse ancora Bad.

‘’Tu sei un mostro, proprio come aveva detto il Grande drago. Tu, appena avrai finito di usarmi per le tue menzogne, e avrai preso possesso del trono, mi eliminerai, rinchiudendomi in qualche segreta sperduta chissà dove. Tu sei l’essere più perfido che io abbia mai visto’’, gli sputo in faccia Sam.

Quella volta, fu bad a ridere.

‘’Può darsi che tu abbia ragione. In fondo, anche tu sei perspicace. Ma ricorda che io sono te stesso, io sono quasi una tua creatura; io sono un pezzo di te. Inoltre, non è il caso di ribellarti a me. Come vedi, ti ho in pugno’’, gli sibilò in faccia la copia.

Sam rimase immobile, mentre Bad si zittì, aguzzando l’udito.

‘’Lo senti?’’, gli chiese, dopo un istante.

‘’Cosa?’’.

‘’Dei passi. Qualcuno sta arrivando. In posizione. Non tentare di scappare o altro, ti sarò addosso subito. Non potrò ammazzarti, ma legarti e tagliarti la lingua sì. Quindi, occhio’’, disse bad, lasciandolo andare, e mettendogli un pugnale in mano. Voleva che anche lui uccidesse.

Mentre Sam cercava di rialzarsi, bad si posizionò dietro una porta di legno della torretta sinistra. Ben presto il suono dei passi fu ben udibile, così come le voci. Chi stava arrivando non era solo.

La porta di legno si spalancò, e sui camminamenti uscirono Sergej e Wolfy, giunti lì per valutare i danni.

Sam gridò con tutta la voce che aveva in corpo, per avvertirli. Bad gli lanciò un’occhiataccia, e si avventò su di loro.

Sergej rimase per un secondo stupito, mentre la lama di Bad penetrava nel suo fianco, pugnalandolo a morte. Il generale cadde immediatamente al suolo, mentre Wolfy, il grosso lupo, si rigirò inferocito verso Bad.

Compiendo un grande balzo, fu subito addosso al ragazzo, e lo addentò ad un braccio. Bad gridò, straziato dal dolore.

 Poi, con uno scatto fulmineo, con la mano libera piantò il pugnale nel ventre del lupo, che lasciò subito la presa, ululando di dolore. Con un calcio, Bad lo gettò al suolo, e lo tramortì.

 Il lupo non si mosse più mentre Sergej restava anch’esso a terra, in una pozza di sangue. Sembrava avesse già smesso di respirare.

‘’Tu sei un mostro!’’, gridò Sam, inferocito. In pochi passi si avvicinò alla sua copia, e cercò di allontanarla da Sergej e da Wolfy. Infatti, Bad voleva finirli.

 ‘’Smettila, fratello! Ci siamo quasi! Tra poco avremo tolto di mezzo anche Tim, e poi saremo re! Ci divideremo la corona, lo capisci?’’, disse Bad, con gli occhi fuori dalle orbite. Era un pazzo.

‘’No! Tu mi menti! Noi non ci divideremo nulla, tu mi userai per i tuoi loschi scopi, per poi farmi sparire, solo perché non mi puoi uccidere, se no l’avresti già fatto’’, disse Sam.

‘’No, non dire così, fratellino. Sento già dei passi, Tim sta arrivando. Ormai è già dietro quella porta chiusa,  tra poco la aprirà, e noi potremo completare l’opera’’, continuò a dire bad, sgranando le orbite e cercando di avvicinare una mano a Sam. Sam si ritrasse.

‘’Non ti permetterò di far del male anche a Tim, costi quel che costi’’, disse Sam.

‘’Ah sì, e che cosa credi di fare? Ormai non puoi più fermarmi, senza perdere te stesso’’, disse bad ghignando.

‘’Ed è proprio quello che sto per fare’’, disse Sam, puntandosi il pugnale al petto.

‘’No, tu non lo farai!’’, ruggì Bad.

 ‘’Sì, invece’’, ribadì Sam.

 In quell’attimo aveva paura, ma sapeva che doveva suicidarsi. Se non l’avesse fatto, avrebbe lasciato via libera a Bad, che avrebbe compiuto solo brutte azioni e brutali violenze. Strinse il pugnale tra le mani e si preparò ad affondarlo nelle sue carni. La realtà era che lui era morto il giorno stesso in cui era stato diviso dall’effetto della pozione dei folletti.

‘’No!’’, gridò bad, lanciandosi contro di lui.

 Sam spinse con forza il pugnale appuntito verso di sé, ma Bad fu più veloce e gli prese il braccio. Ma non fu sufficiente, poiché riuscì solo a deviarne la traiettoria. Il pugnale si piantò nel ventre di Sam, procurando una ferita mortale.

Sam e Bad caddero a terra, urlando di dolore.

Sam continuò a respirare, mentre le sue mani erano zuppe di sangue. Non trovò la forza per sfilarsi il pugnale e darsi il colpo di grazia.

 Bad, in un ultimo atto di ripicca, strinse il suo pugnale e preparò le sue ultime forze per lanciarlo verso Tim, che tra pochi istanti sarebbe giunto sui camminamenti, a portata di tiro.

‘’Il tuo… il nostro… sacrificio… sarà vano. Lo ucciderò comunque’’, disse sottovoce Bad, ansimando.

 Sam si guardò attorno, sconsolato. La sua coscienza veniva a meno, mentre il dolore lancinante gli impediva di pensare lucidamente. E se anche Tim fosse morto, il suo sacrificio sarebbe stato veramente vano.

 

 

Sergej aveva ascoltato e visto tutto, nonostante la fosse ferito a morte.

 Aveva cercato di controllare il suo respiro, fingendosi morto per non essere nuovamente aggredito, ma non appena sentì il rumore della lama del pugnale penetrare nella carne di Sam, era riuscito a tirare su lo sguardo.

 Sam era lì, poco distante da lui, che si premeva il ventre, con le mani tutte rosse di sangue. I suoi occhi erano tutti per Bad, che era in attesa di veder sbucare Tim, per colpirlo a morte, utilizzando le sue ultime forze. Sam non era riuscito a suicidarsi.

 Poi, vide che il ragazzo puntò gli occhi su di lui; i suoi occhi invocavano aiuto.

Sergej seppe cosa doveva fare. Bad, intanto, non badava a loro, e stava concentrando tutte le sue ultime energie vitali sulla porta dove tra pochi istanti sarebbe sbucato Tim.

Il generale si mise in ginocchio, e si tastò la ferita. Le sue mani divennero subito rosse di sangue; erano stati lesi gli organi vitali, e tra poco sarebbe morto dissanguato. Di ferite così, ne aveva già viste molte in battaglia, e chiunque le aveva ricevute, moriva nel giro di pochi minuti.

 Sergej prese la sua spada, che era caduta a terra ai suoi piedi, e si avvicinò a carponi di pochi passi a Sam. Ansimò, e sentì che la sua ora era giunta. Doveva fare in fretta.

Utilizzando le sue ultime forze rimaste, alzò le braccia, e calò la spada nel corpo di Sam, che si accasciò subito al suolo, morto.

Poco distante, Bad si rivoltò a terra, e la sua carne diventò una sostanza verdastra, che si riversò a terra, sparendo in pochi attimi.

Sergej si ribaltò a terra, perdendo le ultime forze, e la sua testa sbatté violentemente nelle pietre della pavimentazione. Sentì un rivoletto di sangue uscirgli dalla bocca.

Giunse ad un’ultima conclusione. Per lui non ci sarebbe stato nessun trono, ma solo una morte onorevole. Ma a lui, ormai, bastava anche solo quella.

E proprio mentre la sua coscienza stava sparendo definitivamente, sentì aprirsi la porta della torretta destra. Tim era arrivato, ed era sano e salvo.

Sergej chiuse lentamente le palpebre, dando così il suo addio al mondo dei viventi.

 

 

 

Tim si trovò sconcertato a fissare la scena che si era trovato di fronte.

A fianco suo, Jack era rimasto senza parole, mentre le tre guardie che si era portato dietro sguainarono le spade. A terra, sui camminamenti tra le due torrette di guardia, c’erano i corpi di Sergej, Sam e Wolfy, tutti immersi nel loro stesso sangue.

‘’Cos’è successo qui?’’, trovò la forza di dire Tim, che poi si gettò verso i due amici morti.

‘’Avanti, non state lì impalate; il sangue è ancora caldo, il colpevole di questi omicidi non deve essere lontano’’, gridò Tim alle guardie, che presero subito a perlustrare la zona. Jack si gettò verso Sam.

‘’Tim, è tutta colpa mia’’, disse il folletto, tornando a pensare alla pozione che aveva offerto a Sam parecchi mesi prima, quando tutto era cominciato.

‘’Colpa tua? Cosa stai dicendo?’’, disse Tim, percuotendo il folletto, che si limitò a piangere e a non rispondere.

 ‘’Non è colpa di nessuno. Quello che è successo era inevitabile’’, disse la voce di Saby, alle spalle di Tim. Tim si voltò di colpo, e vide che l’unicorno si era appena posato a terra poco distante.

 ‘’Quella creatura malvagia andava fatta sparire. Noi tutti abbiamo sbagliato a lasciare che Sam continuasse a portarsi dietro quell’essere malvagio’’, disse un’altra voce. Tim questa volta guardò verso l’altro, e vide un minuscolo drago tutto sporco di sangue e ferito. Tim lo guardò stupito.

‘’Tim, tranquillo, sono il Grande drago. Solo che ora, fintanto che non sarò guarito, non avrò le forze per mantenere il mio magnifico aspetto, quindi mi sono… ridotto’’, disse, pensieroso, per trovare un termine adeguato, ‘’diciamo che ho ridotto le mie dimensioni per risparmiare energia vitale. Ma è ancora vivo!’’, disse tutto ad un tratto il Grande drago, indicando il grosso capo dei lupi. Wolfy, effettivamente, respirava ancora.

 Il Grande drago gli si avvicinò, e gli posò una zampa sullo squarcio che aveva nel ventre.

 ‘’Si salverà, se lo curiamo bene. La sua ferita non è mortale. Saby, Jack, portatelo giù insieme con gli altri feriti’’, disse nuovamente il  drago. Jack si staccò a malincuore dal corpo di Sam, e, insieme a Saby, iniziarono a trasportare Wolfy giù dalle mura.

Tim, intanto, stava realizzando ciò che era accaduto lì sopra. Tutto era iniziato con quel messaggio manipolato, e gli sguardi pieni d’odio di Bad. E tutto si era concluso con un massacro.

 Tim, approfittando di quel momento, mostrò tutte le sue perplessità riguardo all’accaduto con il drago, che lo guardò. Il suo sguardo era triste e dolorante, ma ancora pieno di vita.

‘’Devi essere felice, in qualche modo, Tim, anche se non c’è nulla di cui gioire. Qui ci dovevi essere anche tu. Come vedi, Bad, il perfido, ha nascosto la sua natura quanto basta per cercare di ingannarci. Sapeva che se avesse eliminato te e Sergej, avrebbe avuto una possibilità di coronare i suoi perfidi ideali, spingendo Sam a richiedere a me la corona, per poi farlo sparire e governare al suo posto. Sii felice, Tim; il sacrificio dei tuoi amici non è stato vano, ed ha sconfitto l’ultima parte di male che attanagliava Fortwar. Da oggi, Fortwar torna a vivere, nonostante le sue cospicue perdite. Ti farò una rivelazione; la capitale ben presto avrà il suo nuovo re. Lo incoronerò io stesso domani, prima che ci siano altri conflitti per il trono’’, concluse il Grande drago, che non lasciò neppure il tempo di ribattere a Tim, e si allontanò.

 L’ultimo generale rimase solo, a ripensare alla rivelazione che gli aveva fatto il Grande drago. Si chiese chi potesse essere il nuovo re. Al suo fianco, c’era il corpo di quello che era stato prima un nemico, ad Arus, poi un migliore amico durante il viaggio verso Fortwar, ed in seguito un collega pericoloso. Doveva odiarlo, ma non ci riusciva. Per un certo verso, si era affezionato a Sergej. Sentì una lacrima scorrergli lungo il volto.

Si girò, diede l’ordine ai suoi uomini di pulire il tutto e di seppellire i cadaveri nel cimitero cittadino.

Poi, se ne tornò a casa per riposarsi. Quello fu l’unica cosa che gli venne in mente per concludere quella lunghissima e durissima giornata. Una giornata che sarebbe rimasta incisa per sempre nella storia di Fortwar.

Mentre camminava per le strade, dalla città si alzavano le grida della gente, che piangeva i loro cari morti durante i vari combattimenti, e gli ululati degli Akluth risuonavano ovunque. Erano ululati pieni di dolore, per il loro capo.

 Era ormai sera, e la giornata più lunga dell’impero stava volgendo al termine, tra pianti e lacrime. Dalla grande battaglia finale, nessuno ne uscì vincitore.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

È un capitolo un po’ triste, lo ammetto. La grande battaglia finale è conclusa, l’impero ha sconfitto il Principe del Caos, gli Sconosciuti e Bad, ma ora resta l’incognita del nuovo re di Fortwar, che poi, di diritto, diventerà imperatore. Secondo voi chi sarà? J lo scopriremo prossimamente… J

Ciao ragazze, a sabato J

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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Capitolo 44

CAPITOLO 44

 

 

Tim fu risvegliato bruscamente. Qualcuno stava bussando alla sua porta.

‘’Sergej… vai tu..’’, tentò di dire, sonnecchiando. Poi, come una doccia fredda, gli tornarono in mente i ricordi della settimana precedente. La battaglia, il Principe, migliaia di morti e feriti, Sam riverso nel suo sangue, i due giovani maghi di Huru sfigurati… e Sergej morto, ucciso in un attentato.

Tim si alzò, dal letto, barcollante. La testa gli faceva un gran male, probabilmente a causa della stanchezza che accumulava da giorni. Gettò un occhio alle cose di Sergej, ancora sistemate così come il loro defunto proprietario le aveva lasciate. Non aveva trovato il coraggio per spostarle.

Quasi arrancando, raggiunse la porta, sistemandosi addosso un mantello in modo da coprirsi un po’.

Aprì la porta di casa. C’erano due soldati in uniforme.

‘’Generale Tim, il Grande drago ti attende alla piazza principale di Fortwar. Ha detto di vestirti in maniera idonea, e di presentarti lì entro un’ora’’, disse uno dei due.

 ‘’E cosa vuole da me, di preciso?’’, chiese Tim, con toni assonnati. I due soldati scrollarono simultaneamente le spalle.

‘’Questo a noi non ci riguarda, e non ne siamo stati informati. Ha detto solo di venire ben vestito e in uniforme, e di presentarti nella piazza principale di Fortwar entro un’ora’’, ripeté uno dei due, come se fosse un automa.

‘’Va bene, ho capito. Riferitegli che mi presenterò al più presto’’, disse Tim, chiudendo la porta in faccia ai soldati. Quei due non gli avrebbero detto altro, era evidente.

 Non perse tempo, e si risistemò meglio, in modo da apparire presentabile. Si sistemò i capelli ribelli, e in pochi gesti si sistemò la sua solita divisa nera, con la fascia rossa all’avambraccio.

 Poi, uscì. Le strade erano nuovamente deserte. E questo era un gran brutto segno. L’ultima volta che erano state deserte era stato il giorno in cui si era suicidato Iulius, l’ultimo imperatore.

 Trascinandosi, ancora in preda alla sonnolenza, che non accennava a sparire, vagò fino a raggiungere una delle tre strade principali della capitale. Le botteghe erano chiuse, e c’era poca gente, tutta che proseguiva verso la piazza principale, proprio come lui.

Aumentò l’andatura, per paura di arrivare in ritardo. Non appena sbucò nella piazza principale, scoprì che era gremita di gente. Non c’era più spazio, e per l’occasione  era stato aperto anche l’ex giardino del palazzo imperiale, in modo da ospitare più gente.

Nel centro della piazza, c’era una specie di palco rialzato, e sopra di esso era presente l’inconfondibile figura del Grande drago, in dimensioni notevolmente ridotte, e attorno a sé c’erano i Giudici Supremi della corte imperiale. Tim ebbe subito altri pessimi presentimenti. Fortunatamente, non erano presenti forche o oggetti contundenti.

Si fece forza ed iniziò a camminare, mentre la folla ammutoliva ed apriva un varco per farlo passare. Tutti lo fissavano, e i loro occhi erano inquisitori, come se volessero comprendere meglio chi era.

Tim si sforzò di camminare a testa alta e in modo disinvolto fino ai piedi del palco. Il Grande drago gli fece cenno di salire. Salì sul palco, e si avvicinò subito alla creatura.

 ‘’Cos’è tutta questa messinscena?’’, chiese Tim, con fare irritato.

‘’E’ la tua elevazione a imperatore. Tra poco tu sarai imperatore di Fortwar’’, disse il drago, tenendo bassa la voce. Tim era ansioso di portare avanti quella conversazione a due, nonostante tutti gli occhi fossero puntati su di lui.

‘’Io non voglio essere imperatore. Scordatelo’’, disse Tim, iroso. Gli ultimi imperatori erano morti tutti assassinati, e lui non voleva fare quella morte lì. E poi a lui il potere non piaceva, non l’aveva mai richiesto, ed aveva solo ricevuto cariche in momenti problematici.

‘’Tu sarai l’imperatore di tutti gli umani che vivono a sud del Grande deserto. Io ti ho scelto, Tim. Prima che qualcun altro con loschi scopi tenti di impadronirsi di ciò che rimane dell’impero, io ho  fatto in modo di renderti l’uomo più potente di tutti. E tra pochi istanti inizia la cerimonia d’incoronazione. Non deludermi, e accetta il mio dono. Sei un uomo giusto e onesto, e vai ricompensato’’, concluse il Grande drago, che poi fece cenno ai giudici di iniziare la cerimonia.

Tim aveva mille e più domande che gli frullavano per la mente, prima fra tutte come avesse fatto il drago a convincere i giudici ad incoronarlo. Ma non aveva più tempo per pensare. Una voce stridula di un giudice mise a tacere la folla.

 ‘’Gente di Fortwar, oggi siamo tutti qui riuniti per prendere parte ad un evento eccezionale. Oggi, sarà eletto da noi un nuovo imperatore, un uomo giusto che guidi di nuovo il nostro esercito e le nostre leggi. Ciò non avveniva dall’inizio dei tempi’’, disse il giudice, mentre la folla esplose in un boato. L’uomo attese un istante, prima di riprendere a parlare.

 ‘’Oggi, su acclamazione nostra, ovvero dei Giudici Supremi della corte, e su acclamazione del popolo, dell’esercito, della guardia cittadina e delle creature magiche, sarà incoronato imperatore Tim, ovvero colui che finora è stato conosciuto da tutti come il Generale Nero, che con la sua tagliente spada ci ha liberato dagli invasori e dal Principe del Caos. Vieni avanti, Tim’’, disse nuovamente il giudice.

Tim avanzò di due passi soltanto. Il giudice lo guardò, incuriosito dal suo comportamento reticente, per poi andargli incontro. Nelle mani stringeva una spada.

‘’Inginocchiati, a noi tutti, Tim. Inginocchiati e giura fedeltà al tuo popolo e al tuo regno’’, disse, sempre con la sua voce alta e squillante. Tim si inginocchiò, ed abbassò la testa. Conosceva il giuramento che gli veniva richiesto, era lo stesso che effettuavano i soldati imperiali prima di venire annessi nell’esercito.

Alzò lo sguardo per un attimo solo, a cercare il Grande drago. La creatura era a poca distanza da lui, appoggiato a terra. Nonostante fosse di dimensioni ridotte in quel momento, le sue scaglie multicolori rilucevano ovunque.

 E anche il drago posò il suo sguardo su di lui. Non aveva il solito sguardo benevolo, ma pareva pronto a ringhiare a sputare fuoco. Non aspettava altro che Tim giurasse. Se non l’avesse fatto, avrebbe scatenato la sua ira.

 ‘’Io giuro sul mio onore e sulla mia vita di difendere e combattere per il mio regno, e di essere sempre pronto ad affrontare il nemico, anche in prima linea, senza neppure provare paura, perché è l’impero mi ha donato protezione, e io farò altrettanto. Combatterò per tutti, e cercherò di essere un buon sovrano. Lo giuro’’, disse infine Tim, anche se le ultime frasi uscirono senza troppa convinzione.

Il giudice e il Grande drago annuirono, soddisfatti.

In pochi istanti, il giudice appoggiò la sua spada prima sulla spalla destra, poi su quella sinistra. Intanto, un giovane paggio si avvicinò, porgendo la corona imperiale al Grande drago.

 Il drago afferrò con una zampa la corona, e la pose in testa a Tim.

‘’Tu sarai nostro re e imperatore allo stesso tempo, e il trono sarà tuo anche per la futura discendenza a venire. Festeggiate e cantate, gente; Fortwar ha un nuovo imperatore e un nuovo destino’’, disse il giudice supremo, concludendo l’incoronazione.

La folla esplose, totalmente in visibilio. Tutti, più o meno, conoscevano il nuovo sovrano, poiché era molto conosciuto dai cittadini e dai soldati, e tutti lo sostenevano.

Tim si rialzò in piedi, con la corona in testa. La corona era pesantissima, intarsiata d’oro ed ornata con grossi rubini e brillanti smeraldi. Ora nessuno badava più a lui.

I giudici supremi si allontanarono, e fecero capannello tra loro, mentre la folla festeggiava e gridava, e parecchi si stavano già spostando verso le taverne, per ordinare birra.

 ‘’Vedi, Tim? Tutti gli umani ora vogliono festeggiare, perché il caos è sconfitto, e l’ordine è tornato, grazie alla tua saggia scelta di lasciarti eleggere imperatore’’, disse il Grande drago, avvicinandosi quatto a Tim, cercando di approfittarne di quel momento in cui nessuno badava a loro.

 ‘’Potevo scegliere diversamente?’’, rispose Tim. La creatura increspò un labbro.

 ‘’Ovviamente no. Ho predisposto tutto io per la tua elezione. Vedi, tu, Tim, sei bravo, buono, ti impegni e sei onesto e leale. Tutte qualità che ti contraddistinguono dagli altri umani. Ma la lealtà non va a pari passo con il potere. Questi umani avrebbero scelto un altro re, che si sarebbe dimostrato poi come un pazzo sanguinario, e le rivolte avrebbero ripreso, in una spirale senza fine. Io ti ho fatto strada per questo; tu sei giusto, e non combatterai guerre inutili, né compirai tradimenti e intrighi. Tu sei l’uomo adatto a ricoprire questo ruolo, fidati’’, gli rispose il drago, continuando a fissarlo.

‘’Come hai fatto a combinare la mia elezione a imperatore?’’, sussurrò Tim, avvilito. Odiava i complotti e le cose ingiuste, e quindi riteneva giusto che la capitale e i giudici avessero scelto loro il successore di Iulius.

‘’Non ho combinato niente. Io ho solo proposto te, e loro hanno accettato. Vedrai, loro sanno che sei supportato dalle creature magiche, e nessuno ti torcerà un capello. Sarai un buon imperatore’’, rispose il drago.

Tim si accorse solo ora che quella creatura in realtà non era proprio buona come si diceva. Nel suo cuore c’era anche una vena di perfidia.

‘’Oh, e ricorda questo, ragazzo; il male è stato sconfitto, ma non distrutto. Sarei pronto a giurare che, da qualche parte, in un qualche luogo sperduto di questa terra, una piccola fiammella violacea abbia ripreso a brillare. Il Principe del Caos è stato sconfitto, ma non cancellato definitivamente. C’è caso che ci vogliamo millenni prima che faccia il suo ritorno, o forse non tornerà mai più. Ma sappi che lui è ancora vivo, nascosto da qualche parte, poiché un Creatore non si distrugge mai. Quindi, occhi aperti. E poi, ultimissima cosa; vorrei chiederti un lembo di terra, da condividere con il mio popolo. Il mondo magico è andato distrutto, e non abbiamo più un luogo in cui vivere in tranquillità’’, continuò il Grande drago.

‘’Ti va bene una terra qualsiasi?’’, chiese Tim, per niente turbato dalle parole appena pronunciate dalla creatura.

 ‘’Certo. Purché sia a distanza dagli uomini. Noi vogliamo vivere da soli’’.

‘’Vi concedo il lato est del Grande deserto, allora. L’ovest dovrà essere libero, per lasciare transitare i miei uomini e le carovane’’, disse Tim, quasi con disprezzo. Il drago lo fissò, e le squame si scurirono improvvisamente.

‘’Non c’è una terra migliore per me? Magari una foresta’’.

‘’No, solo il Grande deserto. E quando ti rivolgi a me, per favore, chiamami Sire. Non sono più un semplice generale, ora sono un imperatore. L’imperatore nero’’, disse Tim, pronunciando le parole con odio crescente.

Quella vile lucertola l’aveva reso imperatore, ed aveva avuto il coraggio di usarlo come una marionetta. Ma lui gli aveva risposto a tono. Il Grande drago lo fissò, con lo sguardo carico d’odio.

 ‘’Allora va benissimo, Sire. Oggi stesso lasceremo le terre degli umani. Per la tua incolumità, spero che non tenti mai di violare le mie nuove terre, che tu ora mi hai gentilmente donato. Addio, imperatore, non so quando ci rincontreremo’’, disse la creatura, sparendo all’improvviso.

Tim si rimproverò a sé stesso per le parole che aveva appena pronunciato. Parole cattive che lui non aveva mai detto.

Però, ora lui era un imperatore, e gli imperatori possono fare di tutto.

Finalmente, Tim si sentì libero come non lo era mai stato. Ora, lui sarebbe entrato nella storia del mondo di Fortwar.

 

 

Il Grande deserto si estendeva oltre i confini dell’immaginabile.

 Ilse, sfiancata, guardò davanti a sé, vedendo solo una marea di sabbia rovente. Con passi incerti, iniziò a seguire a distanza la colonna degli Sconosciuti.

Lei fino a quel momento non aveva mai tentato di avvicinarsi al gruppo. Seguendoli dappresso, aveva avuto l’opportunità di saccheggiare quel poco che rimaneva addosso a quelli che restavano indietro.

Molti Sconosciuti, stanchi e feriti, si erano lasciati andare, ed erano rimasti abbandonati nel bel mezzo delle fitte foreste di Fortwar. I compagni avevano un po’ di carità nei loro confronti, e non appena uno si accasciava, e non pareva più in grado di proseguire, spesso gli lasciavano qualcosa di commestibile vicino, in modo almeno di non lasciarlo perire dalla fame, un gesto più caritatevole che utile.

 E lei, con la perfidia di un avvoltoio, aveva iniziato a derubare quelle persone in fin di vita, troppo deboli per risponderle o cacciarla. Così, tra un furto e qualche bacca selvatica, era riuscita a sopravvivere alla dura attraversata dell’impero.

Ma nel deserto la situazione era cambiata. Coloro che restavano indietro non avevano più nulla addosso, e cibo e acqua erano già razionati per i sopravvissuti, e non venivano sprecati inutilmente.

 Ilse, scalza, poiché i suoi calzari si erano distrutti nella dura marcia verso nord, procedeva barcollando, mentre attorno a lei ballavano oasi e stupendi animali che vivevano solo nella sua mente.

Il caldo era rovente, e i suoi piedi erano tutti piagati, a causa del calore della sabbia, ed ogni passo era un grande dolore per lei. E aveva sete. Tutt’attorno c’era solo sabbia e aveva già finito l’acqua.

Aveva due soluzioni; o cercare di tornare indietro, verso una morte certa, o cercare di raggiungere la colonna, cercando di elemosinare un po’ d’acqua.

Con la mente offuscata, decise di raggiungere per la prima volta la colonna. Stava seguendo le loro orme nella sabbia, che svanivano velocemente dopo il passaggio degli uomini. Ben presto le fu chiaro che doveva sbrigarsi a raggiungerla.

Cercò di avanzare nel modo più spedito possibile. Le fu anche chiaro che se voleva uscirne viva da quell’inferno infuocato, doveva cercare il riparo del gruppo. E lei si sentiva che quegli uomini l’avrebbero difesa, poiché portava in grembo l’unico erede del loro Gran re.

Ben presto individuò la colonna; si era arrestata, a fianco di una duna, e stavano distribuendo la razione di acqua. Ilse perse la ragione, e rapida come un animale del deserto, si avvicinò al gruppo.

‘’Acqua! Acqua, per favore!’’ gridò, non appena loro poterono sentirla. Poi, si unì al gruppo, avvicinandosi al giovane che riempiva le borracce.

‘’Acqua!’’, gridò, aprendo i palmi a coppa, in modo che potessero versargliene un po’.

Non si accorse che tutti la stavano guardando da sotto gli stracci con sui si erano avvolti la testa per fornirsi una blanda difesa dal sole, stupiti.

‘’Una donna!’’, gridò una voce indefinita.

Il ragazzo abbassò il piccolo otre che conteneva il prezioso liquido, e le si avvicinò. Ilse fece per spingerlo via.

‘’Acqua!’’, gridò, nuovamente, senza riuscire a dire altro.

‘’Tutto a tempo debito. Fatti vedere’’, disse il giovane, tenendola per un braccio.

Poi, il ragazzo gridò qualcosa nella lingua degli Sconosciuti. Prese a parlare rapidamente, e Ilse rischiò di perdersi nei loro discorsi, ma qualcosa riuscì a comprendere ugualmente.

‘’E’ lei! È la sgualdrina del re! Ed è pure incinta!’’, disse uno di quei uomini, afferrandola per un braccio e malmenandola.

 ‘’Cosa ne facciamo?’’, disse un altro.

 Ilse bruciava dalla sete, e non le importava più di tanto dei vocaboli che le venivano proferiti. Voleva solo bere.

 Gli uomini discussero per alcuni minuti, poi decisero.

 ‘’La riportiamo indietro. La venderemo ai soldati imperiali, che la porteranno al loro generale, così la brucerà viva, la strega!’’, disse un uomo risoluto. Tutti annuirono.

Senza capire molto altro, Ilse fu presa e trascinata indietro con la forza. La stavano veramente riportando nei territori imperiali. Gli Sconosciuti non volevano un re figlio di una straniera.

 ‘’Nooo! Voglio solo bere.. e basta… lasciatemi…’’, piagnucolò, mentre la trascinavano nella sabbia. Non ebbero alcuna pietà di lei, né le offrirono da bere. Lei non contava più nulla per loro.

 

 

I suoi ricordi furono confusi. I suoi occhi, ancora accecati dal sole del deserto, non focalizzavano quasi nulla. Era tutto sfocato.

Gli Sconosciuti che la consegnavano ad alcuni soldati imperiali, e lei che continuava a chiedere acqua, ma riceveva solo manrovesci.

Ilse ricordò di essere rimasta sola, e che i soldati che l’avevano consegnata agli imperiali se n’erano andati, senza ricevere né complimenti né ricompense.

 Ben gli sta, pensò.

Poi, le dure mani di un soldato la presero, e le legarono i polsi e le caviglie. Lei cercò disperatamente di gridare, di dimenarsi, ma la sua gola era secca, e il suo corpo era straziato. Un soldato, poco distante, rideva.

Poi, finalmente, qualcuno le avvicinò alle labbra una borraccia, e le versò qualche sorso d’acqua, ridandole un pizzico di vita.

‘’Sarà meglio che tu beva un po’, sai, ti devi preparare alle fiamme. Chiederemo al nostro nuovo imperatore di bruciarti viva, proprio nella piazza di Fortwar, applicando il tipico trattamento che riserviamo alle traditrici. Sarà uno spettacolo magnifico’’, continuò a dire l’uomo dai contorni sfocati, che poi prese a ridere sguaiatamente. Ad Ilse parve che quella risata fosse durata ore, giorni o addirittura mesi.

No, pensò, non può finire così. Non dopo tutti gli sforzi che ho fatto per avere il potere.

 Pensò anche a quel figlio che aveva in grembo, e che forse non sarebbe mai venuto al mondo.

 Voleva piangere, ma non ci riuscì. Dalla sua bocca uscì solo un gemito soffocato.

Poi, qualcuno le versò una strana sostanza amara in bocca. Lei conosceva quel sapore; era quello del sonnifero.

Tentò inutilmente di agitarsi, ma ormai era tutto finito, nulla aveva più senso. Ilse crollò in un sonno pesante, senza sogni.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti J

In questo capitolo vi ho lasciato degli indizi chiari su ciò che succederà nel prossimo capitolo, quindi non preannuncio altro, anche perché siamo quasi arrivati al finale… sabato prossimo pubblicherò l’ultimo capitolo e l’epilogo, quindi finiremo quest’avventura J

Per far immedesimare ancora di più il lettore, nell’ultima parte del capitolo, che è volutamente la più confusa(Ilse sta morendo di sete, è confusa ed è nei guai), ho scelto di entrare ancor di più nell’intimo della protagonista, offrendovi alcuni dei suoi pensieri. Spero di essere riuscito nel mio intento J

Grazie a tutti, a mercoledì J

 

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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


Capitolo 45

CAPITOLO 45

 

 

Tim aveva passato le sue prime due settimane da imperatore immerso tra lussi ed agi.

 Sergej aveva fatto di tutto per riparare il palazzo imperiale, che ora risultava quasi totalmente ristrutturato, ed era pronto all’uso. C’erano piscine piene d’acqua tiepida in cui stare a mollo, morbidi letti, e tanta servitù. Tim non si era mai sentito così a suo agio in un luogo. E pensare che inizialmente si era opposto alla ricostruzione di quel palazzo.

Ormai era passato un mese dalla grande e ultima battaglia, dove tutto si era concluso, ma i presagi erano dei più lugubri.

 Da alcuni giorni non facevano altro che giungere piccioni con dei messaggi, e soldati agitati. A loro dire, gli abitanti sopravvissuti delle provincie di Palok e Arus erano usciti dalle foreste, ed avevano ripreso a ricostruire le loro città.

Quella poteva sembrare una cosa positiva, ma in realtà non lo era affatto; infatti, i provinciali si rifiutavano di riconoscere la carica dell’imperatore, ed erano determinati a fondare stati indipendenti. Non volevano più essere riammessi all’impero, volevano essere autonomi.

Tim se ne stava sdraiato tra i soffici cuscini del suo letto, senza preoccuparsi troppo di quelle voci.

‘’Sire’’, disse una voce indistinta, facendo ritornare in sé l’imperatore.

‘’Dimmi’’, disse Tim, svogliatamente, senza neppure degnare di uno sguardo il tizio che lo chiamava.

‘’Ho una notizia buona, e una cattiva. Parto dalla buona. Gli Sconosciuti sono rimpatriati tutti, ed hanno intenzione di tener fede ai patti stabiliti’’, disse la voce. Tim riconobbe un suo dignitario di corte.

‘’Oh, bene. E quella cattiva?’’, chiese nuovamente Tim, svogliato.

‘’Palok, Arus e Vargan non riconoscono la sua magnificente figura, e si sono proclamati indipendenti dall’impero’’, disse, tutto d’un soffio l’uomo. Tim sobbalzò.

 ‘’Non è possibile. Voglio che entro domani sia richiamato l’esercito. Anche la guardia cittadina parteciperà. Scenderemo in guerra’’, disse Tim, con fare deciso.

‘’Ehm, non credo, signore. Dopo la recente guerra, le casse dell’impero sono totalmente vuote. Non possiamo pagare l’esercito, e la guardia cittadina non muoverà un dito’’, disse ancora l’uomo.

 ‘’Dannazione. Allora andrò io stesso a trattare con i provinciali’’.

‘’Nessuna trattativa, Sire; sono armati, e hanno preso il controllo delle loro province in pochissimo tempo. Hanno già eletto i loro nuovi signori. L’impero può dirsi concluso, Sire. Nelle sue mani, resta solo la piccola provincia di Fortwar’’, continuò il dignitario di corte, sprezzante.

 ‘’Non sta a te dirmi quello che devo fare. I loro antenati si sono vincolati all’impero tramite antichi giuramenti. E loro li rispetteranno. Fai preparare un’ambasciata; io stesso ne prenderò parte. Partiremo tra tre giorni massimo. E ora vai a svolgere le tue mansioni’’, disse Tim, cacciando via in malo modo l’uomo.

Mentre il nuovo imperatore continuava a starsene sdraiato a rimuginare sugli ultimi eventi, un giovane servo si affacciò sulla porta della stanza.

 ‘’Che vuoi?’’, gli rispose in malo modo Tim.

‘’Ecco… Sire… volevo dirle che i due maghi si sono risvegliati, e che vogliono vederla’’, disse il giovane, balbettando, in pieno imbarazzo. Poi, fece un breve inchino, ed uscì frettolosamente dalla stanza.

 Tim fu certo di sentire i suoi passi diventare sempre più frettolosi, come se il giovane avesse iniziato a correre, pur di mettere qualche metro di distanza da lui. Si chiese se ora facesse così tanta paura. Ma non voleva pensarci, per ora.

Si tirò su, in piedi, e uscì dalla stanza, che lui chiamava stanza dei cuscini. Infatti, era tutta piena di divani imbottiti di soffici piume, e i cuscini non erano da meno.

Con un sospiro, prese a percorrere frettolosamente gli ampi corridoi del palazzo, per giungere prima alla sua destinazione. I due giovani maghi di Huru non si erano più risvegliati, da quando avevano affrontato insieme a lui il Principe del Caos. Erano in coma, i loro volti erano tumefatti e sfigurati a tal punto da incutere terrore a chiunque. Eppure, quasi per miracolo erano ancora vivi, e a quanto pare si erano risvegliati.

Non appena Tim entrò nella camera a loro riservata, sentì l’odore forte degli unguenti che venivano applicati alle ustioni del loro volto. L’odore acre, comunque, parve attenuarsi solo dopo due inspirate.

 E si trovò di fronte a Smith e Lee. I due maghi erano orribili; i loro volti erano ancora rossastri, e Tim non ebbe il coraggio di guardare se avessero ancora le orecchie o no. Comunque, Smith il naso non l’aveva più.

Però appena Tim trovò nuovamente il coraggio per guardarli, notò che stranamente i due non erano ciechi. I loro occhi brillavano come due stelle, in mezzo a quel volti mutilati.

‘’Imperatore Tim! Finalmente ci rincontriamo’’, disse Lee, tirandosi su dal letto.

‘’No, stai giù, è meglio che ti riposi’’, provò a dire Tim, ma il ragazzo si era già alzato in piedi, nel pieno delle forze.

In pochi istanti, anche Smith fece lo stesso. Tim indietreggiò di un passo, sorpreso dalla forza dei due. D’altronde, erano stati costretti a letto per quasi un mese, ma sembrava che non fossero mai stati in coma.

‘’Niente riposo, per noi. Abbiamo già riposato a sufficienza, e il nostro dio ci ha riempiti di nuova energia. Domani ce ne andiamo’’, disse ancora Lee.

‘’Ve ne andate?’’, chiese Tim, tra lo stupito e lo sconcertato.

‘’Sì, certo. Vorremmo andare a ricostruire Vargan, così come il nostro stesso maestro ha fatto. E poi vorremmo tornare a piantare il grano sacro nella piana antistante a Palok’’, continuò a dire Smith.

‘’Con il suo permesso, naturalmente’’, concluse Lee, dando una gomitata all’amico.

‘’Oh, beh, certo, vi concedo il permesso. Anche se non starebbe più a me darvelo. Quelle terre si sono ribellate al mio dominio’’, disse Tim.

‘’Sua maestà ci ha concesso il permesso di partire e di comportarci come più ci aggrada, e noi le siamo riconoscenti. Per questo, noi cercheremo di far passare le persone dalla vostra parte. Con qualche buona parola, forse potremmo trovare una soluzione ai suoi problemi’’, disse Lee.

 Tim si chiese se fosse sempre stato così quel ragazzo. Forse sì. Si diceva che fosse in grado di vedere il futuro, e di conoscere ampliamente il presente e il passato.

‘’Mi fareste un grande favore, se cercaste di far ragionare il mio popolo. In questo caso, sarò io a ringraziare voi. E se riusciste a far ragionare le mie provincie, vi garantirò la più totale libertà di culto’’, disse l’imperatore. Lee accennò un inchino.

‘’Faremo del nostro meglio. Grazie di tutto, Sire’’, concluse il ragazzo, che iniziò a mettersi la sua tunica grigia da mago. Tim continuava a fissarli, esterrefatto.

 ‘’Sire, non ci guardi così. Noi siamo stati addormentati perché il nostro dio ci ha voluto ringraziare dei nostri servigi. Ora, abbiamo perso il volto, ma abbiamo rinsaldato l’anima. D’altronde, ogni cosa ha un suo prezzo’’, disse Smith, sorridendo, anche se in realtà il tutto pareva un diabolico ghigno. Tim abbassò nuovamente lo sguardo.

Poi, sentì una lama gelida sfiorargli le spalle.

‘’Questa è sua. E grazie di tutto’’, disse Lee, porgendo all’imperatore la spada magica dall’impugnatura verde. Tim aveva pensato di farla riporre nascosta sotto il letto di Smith, sperando che con la sua forza magica avesse dato una mano ai due giovani per uscire dal coma.

Poi, i due maghi superarono Tim, gli fecero un gesto di congedo, e si allontanarono lungo il corridoio.

 ‘’Lee, dimmi cosa riserva il futuro al mio regno’’, chiese Tim, sperando che il giovane gli fornisse qualche risposta. Lee, lo guardò. Il suo volto era pieno di consapevolezza, e Tim ne fu certo che lui sapeva.

‘’Sire, il segreto del mio dio mi impone di non parlare. Ma ho solo un consiglio; di stare attento alle tenebre. Il male è ancora in agguato, pronto a mordere. Il male tornerà, e allora tutto dovrà essere pronto per sconfiggerlo nuovamente. Altrimenti, sarà la fine. Quindi, cerchi di essere il più morale possibile, e veda di non diventare uno scansafatiche. Ora lei dovrebbe essere l’eroe del suo popolo, e comportarsi come tale. E ora, con il suo permesso, noi ci congediamo’’, disse Lee, con toni che non ammettevano altre domande. A Tim rimase solo di congedarli definitivamente, e non chiese più nulla, tanto il ragazzo, cocciuto com’era, on avrebbe rivelato più nulla.

 I due si allontanarono velocemente, parlando a bassa voce tra loro. L’imperatore continuò a seguirli con lo sguardo, stranito. Doveva riflettere sulle frasi appena pronunciate dal giovane mago, ma non ci riuscì più di tanto.

 Infatti, i suoi occhi furono subito attratti da un flebile bagliore che scaturiva dalla mano destra di Lee, che stava stringendo qualcosa. Ed ebbe la consapevolezza che il giovane teneva tra le mani quella pietra mistica che aveva segnato il destino della battaglia di Vargan; era la pietra sacra di Huru. Tim non l’aveva più vista dal giorno della battaglia finale, sotto le mura di Fortwar. Però, fu felice di constatare che era ben custodita.

A passi lenti e stanchi, prese a trascinarsi nuovamente nella sua stanza dei cuscini. Si chiese se tutto quel riposo gli stesse facendo male. Tim non seppe neppure rispondere alla sua domanda.

 

 

Era pomeriggio inoltrato quando Tim si decise ad andare nella sala delle udienze, ovvero il luogo specifico del palazzo dove chiunque, dai semplici sudditi ai nobili, potevano rivolgersi a lui, per richiedere l’applicazione della giustizia dell’imperatore.

I giudici supremi della corte imperiale se ne stavano ad ascoltare le varie lamentele, mentre il nuovo imperatore faceva solo presenza fisica. Per questo si poteva permettere di giungere anche in ritardo.

 Il novello imperatore si gettò subito seduto, proprio sullo scranno imperiale, che lui stesso aveva provveduto a farlo rendere più comodo.

Ben presto, Tim fu totalmente preso dal suo calice di vino, smettendo fin da subito di ascoltare le chiacchiere di vecchie vedove o le liti tra vicini di casa, e lasciando lavorare al posto suo i giudici. Voleva proprio che se la guadagnassero, la pagnotta.

La sua mente tornò ai maghi di Huru, e ai loro volti sfigurati. Per fortuna, non avevano atteso neppure un giorno in più, e se n’erano andati alla volta di Vargan a dorso di somaro. Tim pensò che quei due ragazzi erano veramente strani. Ma d’altronde, notò che lo erano sempre stati. Poi, la sua mente tornò al Grande drago, con il quale aveva litigato. La creatura se n’era andata il giorno stesso della sua incoronazione, seguita da tutto il suo popolo. Probabilmente, non l’avrebbe rivisto mai più.

Improvvisamente, la porta della sala delle udienze fu brutalmente spalancata, e i pensieri dell’imperatore si frantumarono. Tim, infuriato, si dimenò sul trono.

 ‘’Chi osa interrompere il corso della giustizia imperiale con così malo modo?’’, gridò l’imperatore dal suo scranno.

‘’Ci scusi, Sire. Ma abbiamo una questione urgentissima da risolvere’’, disse una delle guardie di palazzo, che si era affacciata sulla porta.

 ‘’E di che si tratta?’’, continuò a chiedere in malo modo Tim, mentre i giudici si preparavano a ritrarsi.

 ‘’E’ una questione delicata’’, continuò a borbottare la guardia. Insomma, volevano parlare con lui da solo.

‘’Fuori tutti! Le udienze riprendono domani. Via!’’, disse Tim.

Subito, tutti i presenti si accalcarono sulla porta d’uscita, andandosene velocemente, compreso i giudici.

‘’Bene. Illustratemi la questione, allora’’, disse Tim, con ritrovata pazienza. Ora aveva quasi voglia di ringraziarle quelle guardie, che l’avevano salvato da ore di noia.

‘’Passerò subito al dunque. Gli Sconosciuti, prima di attraversare il Grande deserto, ci hanno lasciato un dono per lei, Sire. Un dono importante, di cui lei farà sicuramente buon uso’’, disse la guardia, ghignando. Tim comprese che doveva essere qualcuno da condannare a morte. Le guardie assumevano quel ghigno quando era ora di sopprimere qualcuno, e a volte  trovavano il tutto molto divertente.

‘’Va bene. E di che si tratta?’’, chiese nuovamente l’imperatore, incuriosito.

 ‘’Di una creatura da arrostire, Sire. Della più grande traditrice dell’impero. La sgualdrina gravida del Gran re degli Sconosciuti’’, disse, con tono pacato la guardia.

‘’Interessante. E come la vorreste, quindi? Vederla bruciare in un rogo pubblico, come tutti i traditori? Uhm, potrebbe essere un’idea. Mostratemela’’, continuò a dire Tim, sempre più curioso. La guardia sorrise, e fece cenno alle altre di entrare nella sala.

Altre due guardie si fecero avanti, trascinando una figura femminile, che pareva addormentata. La lunga chioma castana ricadeva sul suo volto, tutta sudicia. 

Quando furono di fronte all’imperatore, le guardie le tirarono due rapidi e dolorosi schiaffi. La donna sussultò, si svegliò e tirò su il volto.

E fu solo allora che, nonostante il sudiciume che la ricopriva, Tim fu in grado di riconoscerla.

‘’Ilse!’’, disse l’imperatore ad alta voce, trasalendo.

La ragazza lo guardò, con i suoi occhi penetranti.

Era proprio lei, la ragazza che aveva cercato a lungo e che aveva creduto morta. Era proprio la sua Ilse, e lui l’aveva ritrovata.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie J

Vi ho sorpresi un po’ eh? Ahah no dai avevo già lasciato indizi su ciò che sarebbe accaduto. E ora che succederà? Ilse arrostirà, oppure….beh, lo vedremo sabato, quando pubblicherò l’ultimo capitolo e l’epilogo di questa immensa storia J

Spero che fin qui tutto torni. Spero veramente di essere riuscito a sorprendervi durante la storia, e di non avervi offerto nulla di banale o scontato. Ma le mie conclusioni le lascio per sabato J

Grazie ancora a tutti coloro che mi hanno seguito in questo lungo viaggio, che sta per terminare, purtroppo… ma ho una sorpresa per tutti voi lettori(spero vi piaccia) che vi rivelerò solo sabato J

Per ora, grazie ancora J a sabato, per il gran finale J

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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


Capitolo 46

CAPITOLO 46

 

 

Ilse riprese lentamente i sensi.

Sentì che la stavano schiaffeggiando, e che la volevano risvegliare. Pian piano, cercò di riaprire gli occhi.

Per un attimo, fu indecisa sul da farsi. Il suo corpo era ancora tutto intorpidito per l’effetto dei sonniferi, e non sapeva se la sua gravidanza stesse continuando correttamente.

Non voleva riaprire gli occhi. Ora sapeva quello che si sarebbe trovata davanti. L’imperatore, insieme con le sue guardie, l’avrebbero giudicata e giustiziata, molto probabilmente la pena che le sarebbe stata inflitta era il rogo pubblico. La pena dei traditori.

 Eppure, le mani dei soldati continuavano a percuoterla, e con un sospiro, alzò la testa ed aprì gli occhi. E si trovò di fronte ad una scena inaspettata.

C’era un uomo, di fronte a lei, vestito come un imperatore e seduto sul trono. Ma non era un uomo qualsiasi. La sua vista era ancora sfocata, a causa delle lunghe ore di sonno, ma quella sagoma le era familiare. Molto familiare.

Mentre lei riprendeva l’uso dei sensi, l’uomo aveva i tratti sconvolti. Non appena Ilse riuscì a vederlo chiaramente, dopo una manciata di secondi, vide che lo sgomento dell’uomo, che doveva essere l’imperatore, si era tramutato in un sorriso. Fu solo allora che Ilse lo riconobbe.

Era Tim, quello sciocco che per parecchi anni le aveva fatto regali e l’aveva corteggiata, senza ricevere nulla da lei.

‘’Ilse! sei proprio tu?’’, chiese l’imperatore, che era indubbiamente Tim.

 Ilse ne riconobbe subito la voce, e nonostante fossero passati quasi due anni dall’ultima volta che l’aveva visto, il suo volto non era cambiato di molto.

‘’Tim? Sei imperatore, ora?’’, gli chiese, con fare assonnato. Una guardia le mollò uno schiaffo.

 ‘’Non rivolgerti così all’imperatore, traditrice!’’, gridò uno dei suoi aguzzini.

‘’E tu non permetterti più di toccarla! Mai più! Mettetela giù, liberatela’’, gridò Tim, paonazzo in volto.

 ‘’Ma, Sire… lei è la traditrice, colei che porta in grembo il figlio di colui che ci ha quasi spinti nel baratro’’, provò a dire il capo delle guardie.

 ‘’No, lei è Ilse, una dolce donzella che fino a poco tempo fa viveva proprio qui, a Fortwar. Non so chi vi abbia detto tutte queste sciocchezze. E ora, andatevene. La traditrice è indubbiamente un’altra, andate a cercarla’’, disse l’imperatore.

‘’No è lei! Sire, ci ascolti!’’.

 ‘’Via di qui! Mi avete sentito? Non può essere lei, la conosco da sempre. E ora lasciateci soli’’, gridò nuovamente Tim.

Le guardie lasciarono Ilse, e abbandonarono la sala, con volti decisamente contrariati ed offesi.

Tim restava indubbiamente il solito ragazzo stupido, si disse la ragazza.

Ilse si lasciò sfuggire un sorriso incerto. Quella svolta proprio non se l’aspettava più. Il destino le stava dando un’altra grossa opportunità di rivincita, e lei non se la sarebbe lasciata sfuggire a qualunque costo.

‘’Grazie, mio imperatore’’, provò a dirgli, con toni incerti.

Lui non si smosse dallo scranno, e agitò la mano, come per dire che i ringraziamenti non servivano. Poi, passò subito alle domande. Ilse notò che lo stolto aveva dei dubbi su di lei, che infatti espresse subito dopo.

‘’Dove sei stata, fino a questo momento? Eri misteriosamente sparita’’, disse Tim, con fare indagatore.

 ‘’Ero con gli Sconosciuti’’, affermò Ilse, tutto d’un colpo. Se voleva vivere, aveva capito che doveva raccontare anche una parte di verità. Una piccola parte, però cosparsa di abbondanti bugie.

‘’Allora è vero quello che mi han detto i miei uomini!’’, tuonò Tim, agitandosi sul trono.

‘’No, non è vero. O almeno lo è solo in parte’’, tentò di dire Ilse. Tim stava diventando rabbioso, cosa insolita per lui. La ragazza dovette notare che in realtà un po’ era cambiato.

‘’Cioè?’’, chiese nuovamente l’imperatore, con gli occhi socchiusi.

‘’Io… ecco… non so come spiegarlo. Mi ero ridotta a fare la serva in una casa nobiliare a Frampul. Ero sola a questo mondo. Quando la provincia di Arus è stata conquistata dagli Sconosciuti, sono stata catturata, e sono diventata una loro schiava. Una schiava che è entrata subito nella vita del loro re’’.

 ‘’Oh, vedi allora che è vero? Sei una traditrice’’.

‘’Per favore, ascoltami…’’.

‘’Io sono l’imperatore, ora, e inizia a rivolgerti a me con toni adeguati’’, tornò a gridare Tim.

 Ilse lo odiava di già, ancora di più di quando le faceva la corte. Però, decise di assecondarlo. La sua vita ora era appesa al tenue filo di bugie che stava per tendere.

‘’La prego di perdonarmi, Sire. Il re degli Sconosciuti non era il mio uomo. Lui… ecco, mi violentava. Lui non mi amava, e io non  amavo lui, però gli piacevo fisicamente. Mi teneva rinchiusa in una cella, da dove io non potevo uscire, e mi veniva a prendere solo la notte. Ero solo una delle sue tante schiave, che usava per soddisfare i suoi piaceri più intimi’’, continuò a dire Ilse.

Le parole, pian piano, le morirono in gola. Lei stava scaricando l’uomo che l’aveva sinceramente amata, e che avrebbe perso la vita per difenderla. Si sentì un essere disgustoso. Ma ora doveva continuare a mentire, se voleva vivere. Fermei era morto, e nessuno l’avrebbe più protetta.

Comunque, quelle parole fecero presa su quel bonaccione di Tim, che si alzò dal suo scranno, con il volto preoccupato.

 ‘’Ti faceva tutto questo, quel mostro?’’, le chiese l’imperatore, mentre le si avvicinava.

‘’Sì. Ogni notte era il mio calvario. Piangevo, inconsolabile. Ma non potevo respingerlo, ero una sua schiava’’, continuò Ilse, la voce ridotta ad un sussurro. Sapeva di continuare a mentire spudoratamente, ma d’altronde Tim non avrebbe più avuto modo di verificare se le sue parole erano vere o no. L’imperatore le sfiorò una guancia.

‘’Povera, piccola Ilse. Il mondo, a volte è crudele’’, le disse.

‘’Lo so. L’ho imparato sulla mia pelle. Ogni notte… io…’’, prese di nuovo a dire, mentre lacrime calde iniziarono a scivolarle sul suo viso.

 ‘’Continua’’, le disse l’imperatore, asciugandole una lacrima con il lieve tocco della sua mano.

‘’Io piangevo, soffrivo… avrei voluto che fossi stato tu quell’uomo che mi toccava, che mi desiderava. Ma in realtà era quel bruto’’, gli disse, tornando ad utilizzare un tono confidenziale.

Tim rimase di stucco non appena sentì quella risposta, e non disse nulla riguardo alla sua mancanza di rispetto. Ilse continuò la scenata, piangendo e singhiozzando. Si impegnò veramente bene, anche perché le lacrime le sgorgavano copiose dagli occhi, spinte dalla paura. Sapeva che in gioco c’era la sua vita, e quella di suo figlio.

‘’Oh, Ilse. non temere, è tutto concluso. Ora sei libera, finalmente. Ben presto tornerai a vivere spensierata, te lo prometto. Te lo prometto nel nome dell’antica amicizia che ci lega da una vita’’, le disse quello stupido imperatore, che poi le andò incontro e, inaspettatamente, l’abbracciò. Ilse fu subito pronta a ricambiare quell’abbraccio, e a continuare la scenata.

‘’Tim, per fortuna ti ho ritrovato. Senza di te, e senza le tue attenzioni, mi sentivo persa. È anche per quello che ho abbandonato Fortwar, subito dopo la tua partenza per servire l’esercito’’, continuò a sussurrargli all’orecchio. Tim la strinse ancora più forte, e fu allora che Ilse capì che le sue menzogne avevano attecchito nel suo cuore.

‘’Anche a me sei mancata, Ilse. Ma ora che so che anche tu mi vuoi e mi desideri, non ci lasceremo più. Te lo prometto’’.

‘’Grazie, Sire, ma c’è un piccolo problema’’, tornò a dire Ilse, con toni più distaccati.

‘’E quale sarebbe?’’.

 ‘’Sono incinta. Aspetto un figlio del re degli Sconosciuti’’.

Tim si agitò, e si allontanò da lei.

 ‘’Per quello troveremo una soluzione. Non preoccuparti, per ora’’, le disse, tornando a sorriderle. Lei ricambiò con cortesia.

 ‘’Guardie!’’, chiamò Tim ad alta voce. Le guardie entrarono da una porticina laterale.

 ‘’Dica, Sire’’, disse il loro capo.

‘’Preparate un’ala del palazzo solo per Ilse, lei ora è la mia protetta. E assicuratevi di vigilarla e proteggerla sempre, ma non lasciatela uscire dal palazzo. Potrebbe essere pericoloso’’, disse Tim. Le guardie lo guardarono, sbalordite.

‘’Sire, ma questa è una traditrice da mettere al rogo…’’.

 ‘’Qui comando io. Ilse ora è la mia protetta, e va trattata con immenso rispetto. E se qualcun altro si azzarda a darle della traditrice, gli farò tagliare la testa e la esporrò sui merli delle mura per una settimana. Quindi, svolgete solo i miei ordini. Nessuno qui vi ha chiesto di esprimere i vostri pareri personali. Intesi?’’, continuò l’imperatore, con toni duri e decisi.

‘’Certo’’, disse a denti stretti il capo delle guardie, che fece un gesto, dando il via libera ai suoi uomini. Le guardie si mossero con fare reticente, e con odio celato dietro ai loro musi lunghi. Tim non doveva star loro molto simpatico.

‘’Ci segua, per favore’’, disse una giovane guardia, con fare guardingo.

Ilse annuì, e lo segui fuori. Le guardie la scortarono in una zona morta del palazzo, dove però c’erano letti e divani ovunque. Doveva esser stato un dormitorio comune utilizzato dai servi.

‘’Questa sarà la sua nuova casa, protetta dell’imperatore. Ogni suo desiderio sarà esaudito. Entro poco farò arrivare qui la servitù, così lei potrà adibire come meglio crede questi nuovi spazi. E ora, con il suo permesso…’’, disse il capo del drappello, facendo un lieve ma sprezzante inchino.

 Ilse si sentì quasi derisa, e fu certa che, appena le guardie le passarono da fianco per andarsene, una le abbia sussurrato la parola traditrice.

La ragazza scrollò le spalle, e prese a esplorare il nuovo e spazioso ambiente, che era quasi nulla in confronto al castello di Vargan.

Ben presto arrivò la servitù, e lei si mise a dare ordini, godendosi il suo nuovo ruolo di rilievo. Ma lei non era ancora contenta; non voleva limitarsi ad essere solo una protetta, e doveva ancora salvare suo figlio.

 

 

 

Quella notte, Ilse non si addormentò e rimase in trepidante attesa.

Dopo aver fatto un bel bagno, passò il tempo stringendo tra le mani la corona di Fermei. Nessuno le aveva mai perquisito o sottratto la sua piccola bisaccia verde, che aveva sempre portato con sé, in cui custodiva i suoi ultimi oggetti. Dopo un po’, nascose la corona nel suo armadio, sotto i vestiti, e prese a spazzolarsi i capelli. Fortunatamente, la gravidanza procedeva bene nonostante tutti i vari disguidi dell’ultimo periodo.

 Non appena si fece notte fonda, e il grande palazzo fu silenzioso, lei uscì dai suoi appartamenti, a passi felpati.

Una guardia era posizionata poco distante dalla porta della sua camera da letto, ma  era serenamente addormentata, raggomitolata nel pavimento. Ilse sorrise, e continuò la sua avanzata.

Sapeva che gli imperatori dormivano nell’ala nord del palazzo, dove c’era la camera tinta di blu scuro, a voler rappresentare la notte. Suo padre, quando svolgeva compiti al palazzo, sapeva tutto di tutti. La ragazza sperò solo che Tim non avesse cambiato le abitudini imperiali.

Continuò a camminare spedita, senza incontrare nessuno. Il palazzo era immerso nella penombra, e nei corridoi ormai erano rimaste poche le fiaccole ancora accese. Ben presto, si trovò a destinazione. La porta dell’immensa camera da letto imperiale era sorvegliata da ben due uomini armati, che sonnecchiavano sulla soglia, ma era ovvio che Ilse non avrebbe potuto entrare.

Dalla sua tasca estrasse un sassolino. Lo lanciò in aria, e cadde dalla parte opposta del corridoio, tintinnando.

Le guardie sobbalzarono, e presero subito a cercare la causa del rumore, dandole le spalle e lasciandole via libera.

I due sciocchi credevano si trattasse di uno dei tanti gatti che si aggiravano all’interno del palazzo, costantemente a caccia di possibili prede. Immaginando che non avessero continuato l’ispezione per molto altro tempo, Ilse sgattaiolò fino alla grande porta, ed abbassò la maniglia, sperando che nulla cigolasse. Ed infatti, non fece alcun rumore.

Con rapidità, entrò nella stanza, e richiuse subito la porta dietro di sè.

Una candela, orami esaurita, bruciava ancora su un comodino, mentre Tim stava dormendo profondamente.

 Ilse, sempre più sorridente, estrasse dalla tasca un piccolo involucro, che conteneva alcuni granuli di una sostanza dura come la roccia. Prese il bicchiere dell’imperatore, che come andava d’uso era appoggiato a fianco della candela, sempre sul comodino, e rovesciò le piccole scaglie al suo interno, mettendoci un po’ d’acqua.

Tim continuò a dormire, fintanto che lei non si infilò sotto le coperte, e gli strofinò il petto. L’imperatore trasalì.

 ‘’Cosa…’’.

 Tim quasi gridò. Ilse gli poggiò una mano sulla bocca, prima che potesse attirare l’attenzione delle guardie.

‘’Sono io, Tim. La tua amata Ilse’’.

‘’Che ci fai tu qui a quest’ora?’’, sussurrò Tim, insonnolito.

 ‘’Ma è ovvio, no? Per giacere con te. È tutta la vita che lo desidero’’, gli disse, continuando a mentire spudoratamente.

‘’Come hai fatto a passare senza farti scoprire dalle guardie?’’, continuò a chiedere Tim.

‘’Oh, le donne hanno i loro stratagemmi. Ma ora, per favore, mio imperatore, dobbiamo parlare’’.

 ‘’E di cosa?’’, chiese Tim, incuriosito.

‘’Di amore. E di qualcos’altro’’, continuò Ilse, con fare intrigante, e iniziando a slacciarsi la sua lunga veste da notte. Tim sbiancò. La ragazza sorrise, pensando che doveva essere tutta la vita che quello stolto immaginava quella situazione.

Nonostante il suo ventre lievemente prominente, il suo corpo era magnifico. Tim fece per aprire la bocca, ma Ilse lo interruppe.

‘’Prima, mio grande imperatore, è meglio bere un sorso d’acqua. Non vorrei che tu fossi assetato in seguito’’, disse la ragazza, con fare malizioso, ed allungandogli il bicchiere che era sopra al comodino.

 Tim stette al gioco, e sorridendo, bevve.

 Poco dopo, il suo sguardo divenne vacuo. Ilse temette che potesse diventare pericoloso. Gli aveva somministrato un potente eccitante, che in dosi errate poteva causare malevoli disturbi. Quella tecnica l’aveva vista applicare in passato dalla moglie del suo signore a Frampul, poiché il marito non era particolarmente attratto dalle donne. Il tentativo, da quanto ne sapeva, doveva essere fallito, poiché la ragazza era uscita dalla stanza dello sposo in lacrime, però con Tim funzionò. Il suo volto divenne quasi irriconoscibile, e dopo poco si alzò dal letto.

 ‘’Ilse, io ti amo da impazzire’’, le disse, cercando di prenderla.

Ilse ebbe paura, e sgusciò via di lato, cercando di fare meno trambusto possibile. Poi, si lasciò prendere da Tim, ma non si lasciò baciare.

‘’Eh no, mio imperatore, prima di avere tutto, bisogna stipulare anche qualche accordo. Si sa, nulla è gratuito’’, gli sussurrò all’orecchio.

‘’Scherzi? Io sono il tuo sovrano e ti voglio ora. Se no ti prenderò con la forza. È questo che vuoi?’’, disse Tim. La sua voce era dura, spietata, quasi irriconoscibile.

 ‘’Non provarci, o griderò talmente tanto forte da richiamare tutte le guardie del palazzo. Loro non ti amano molto, e se poi facessero l’amara scoperta che violenti giovani ragazze nei tuoi appartamenti, non so se ti lasceranno in vita. Farai la fine degli imperatori precedenti’’, gli sussurrò Ilse, in preda al panico.

 Sperava che Tim abboccasse. E fu così.

‘’Hai ragione. Dimmi ciò che vuoi, e farò in modo di accettare tutto’’, le disse, poco dopo. Ilse sorrise, fingendo sicurezza.

 ‘’Voglio che tu mi prenda per moglie. E che tu cresca mio figlio, quello che porto in grembo, senza torcergli un capello. Lui sarà un tuo protetto, crescerà a corte, e riceverà la medesima educazione dei figli dei reali. Ovviamente, non avrà diritto di successione al trono, però dovrà essere trattato molto bene. Io in cambio offrirò il mio corpo e la mia anima a te, per sempre, e concepirò tutti i figli che vorrai. Ma tu rispetterai me e mio figlio’’, gli sibilò, con la sua lingua tagliente. Tim non ci pensò molto su.

 ‘’Non mi importa. Io ti voglio. Figlio o non figlio, ti voglio ora. Quindi, accetto i tuoi termini’’, le disse, in preda all’eccitazione. Le diede un bacio sul collo.

 ‘’No, la fai troppo facile. Voglio la garanzia che tu rispetterai questi termini. Sai, domattina potresti esserti dimenticato di questa nottata piena di emozioni’’, gli disse Ilse, estraendo dalla tasca della sua veste una piccola pergamena. Lì, al suo interno, la ragazza aveva stabilito e scritto tutti i termini che aveva da poco esposto.

‘’Poni qui il tuo sigillo’’, gli disse.

 Tim prese il suo anello dal tavolino vicino alla porta, e pose il suo sigillo di imperatore sul contratto.

Ilse si affrettò ad afferrare la pergamena e a nascondeva nella tasca della veste. Quello stupido di Tim si era appena impegnato a prenderla in moglie ed allevare suo figlio, quello che aveva già in grembo.

Felice come non mai, si lasciò andare tra le braccia dell’imperatore, e lasciò che lui dirigesse il tanto atteso amplesso.

Non provò alcun piacere durante l’atto, anzi, digrignò i denti e lasciandolo fare. Tim non era molto esperto, e si lasciò totalmente andare allo sfogo, e ben presto fu tutto concluso. L’imperatore si lasciò cadere di fianco, e ben presto si addormentò.

Ilse, trionfante, gli si avvicinò e gli passò una mano tra i capelli, con delicatezza, per non svegliarlo. Poi, anche lei cercò di appisolarsi, sempre lì, a fianco di quello che a breve sarebbe diventato il suo uomo.

 Cosa mi tocca fare per avere il potere, pensò, lasciandosi sfuggire un sospiro. Aveva vinto, ma si sentiva da schifo, poiché aveva ripudiato il Gran re, l’unico uomo che l’aveva amata veramente. Con le lacrime agli occhi, affondò la testa nel cuscino, e poco dopo si addormentò.

 

 

Il mattino giunse in fretta, e Ilse si trovò ad essere svegliata da Tim, che naturalmente non aveva alcuna voglia di accettare il suo giuramento e i suoi impegni presi durante la notte.

 La ragazza gli dovette sbattere la pergamena in faccia.

Tim, sempre così rigido nel suo amore per le regole, dovette riconoscere che il tutto era autentico, e, anche se poco volentieri, si accollò le sue responsabilità.

Il mese successivo, l’imperatore Tim si sposò con la bellissima Ilse, già incinta di un figlio, frutto di una precedente relazione.

 Il popolo e le guardie furono sgomente, mentre l’impero annegava nei suoi problemi interni, che nessuno ormai era in grado di risolvere.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Questo è l’ultimo capitolo. Spero che sia stato di vostro gradimento.

So di non aver accontentato tutti con questo finale, e che quasi tutte voi lettrici avreste preferito che Ilse fosse punita, ma alla fine ho provato a concludere così la vicenda.

I miei pensieri, i miei ringraziamenti e la ‘sorpresa’ li ho scritti tutti nel prossimo ed ultimo capitolo, che è l’epilogo. Quindi, per l’ennesima volta, buona lettura, e spero che tutto sia di vostro gradimento e che tutto alla fine torni.

Grazie a tutti! J

 

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Capitolo 47
*** Epilogo ***


Epilogo 2

EPILOGO

 

 

Tim, il nuovo imperatore, nonché fondatore della nuova casa dei Timsson, dovette ben presto affrontare le spinte indipendentistiche delle varie provincie dell’impero appena ricostituito.

Non avendo oro nelle casse imperiali, non fu in grado di creare un esercito regolare e di riportare l’ordine nelle città provinciali appena rifondate. Per questo fu costretto a lasciare le provincie di Palok e Arus nelle mani di due governatori da lui scelti, che avrebbero applicato le sue leggi e gli avrebbero giurato fedeltà, ma che avrebbero utilizzato eserciti stipendiati da loro stessi. Quello fu l’unico modo rimasto per non perdere le due provincie. I due governatori avrebbero tenuto parte delle tasse imperiali, concedendone la metà all’imperatore. Così fu stabilito, e così fu.

La provincia di Vargan, molto ridotta rispetto alle altre, fu affidata a Smith e Lee, i due maghi sfigurati che rifondarono l’ordine dei maghi di Huru e ricostruirono la città magica di Vargan, che tornò ad essere sfarzosa come un tempo. Il culto di Huru si diffuse a macchia d’olio in tutti i territori imperiali, tanto che quasi tutti i sudditi si convertirono  a quella nuova fede, abbandonando le antiche divinità della natura e l’ateismo.

Fortwar e la sua rispettiva provincia, restarono totalmente in mano all’imperatore Tim. Contrariamente alle altre città provinciali, Fortwar rimase immersa in una condizione miserabile; non ci fu crescita demografica,  e nello stesso tempo crebbe la fame e la povertà. L’imperatore non seppe come risolvere la situazione, anche perché era continuamente disturbato da liti familiari.

Sua moglie Ilse diede alla luce Abel, un ragazzo forte e gentile, chiamato da tutti il bastardo dell’imperatrice, poiché era frutto di una precedente relazione. A seguire, nel giro di pochi anni nacquero anche Briand Timsson, l’erede imperiale, e Leshana e Jamie, le due figlie dell’imperatore. I quattro ragazzi erano tutti e quattro ribelli, mentre l’imperatrice non smetteva mai di cospirare nell’ombra. l’imperatore Tim, negli anni, prese a cambiare radicalmente. Sempre in peggio.

Ben presto, fu chiaro che i governatori non intendevano più farsi comandare da un imperatore dubbio, e iniziarono alcune scaramucce sui confini.

Intanto, nel Grande deserto, le creature magiche se ne restavano immerse in quell’inferno di sabbia rovente, odiando e maledicendo ogni giorno gli umani e l’imperatore. Il Grande drago invecchiò rapidamente, e senza alcuna motivazione. Il suo regno vacillava.

Più a nord, quelli che venivano chiamati Sconosciuti abbandonarono la vita nomade e fondarono grandi città commerciali. Il regno che era stato del gran re Fermei fu diviso in 12 stati autonomi, chiamati Marche libere. Ogni Marca era guidata da un ristretto consiglio di anziani, che si riunirono ben presto per eleggere una figura superiore, il Gran Marchese, che svolgeva un compito simile a quello di un comune re, ma le sue azioni erano monitorate dagli anziani che lo avevano eletto, per fare in modo che non prendesse troppo potere. La sua era una figura unificatrice e superiore al frazionamento del regno. Comunque, non si azzardarono più ad invadere l’impero, e rispettarono gli accordi di pace.

Però, ancora più a nord, sui monti Akràs, una piccola fiammella violacea aveva ripreso a brillare, immersa nell’oscurità di una profonda grotta. Il male non era stato sconfitto, anzi, era pronto a rimettersi in gioco. Era disposto a tutto pur di trovare un nuovo corpo in cui reincarnarsi. E quel corpo l’aveva praticamente già trovato.

Mentre forti venti di guerra presero a soffiare sull’impero di Fortwar, l’imperatore Tim fu costretto a vedersela con la sua sposa e con il figlio bastardo da lei concepito, mentre una nuova, grande guerra per il potere era sempre più imminente.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti! Questa è la mia ultima nota J

Vi parrà strano, sono sette mesi che ne scrivo ahah J beh, alla fine sono riuscito a completare questa storia. A me sembra ancora impossibile, irreale… Ammetto di essermi affezionato molto ai personaggi, con i quali ho condiviso più della metà di un anno della mia vita. Però, è giusto anche finirla una storia, no? J mi sento abbastanza soddisfatto di me stesso.

Questo racconto è nato così, pensando che nessuno l’avesse mai letto. Invece, qualcuno mi ha seguito J È stata la prima storia che ho scritto, quindi chiedo perdono se in alcuni punti sono risultato scontato, ci ho messo tutto me stesso per non esserlo.

Arrivati a questo punto, spero solo che tutto il quadro narrativo funzioni. Spero di avervi fatto appassionare un po’ alla vicenda e perché no, di avervi lasciato qualcosa(ma non credo proprio ahah J ).

Basta, non voglio annoiarvi oltre con i miei pensieri, e passo a ringraziarvi.

Grazie Steph808, sei stata la prima in assoluto a leggermi, a recensirmi, a inserire il mio racconto tra i tuoi preferiti e a credere nei miei personaggi. Ti mando un abbraccio e un grazie grande quanto una casa, sei stata sempre gentilissima e disponibilissima nei miei confronti J

Grazie anche a Dan, prima in assoluto ad aver inserito tra le preferite entrambe le mie storie. Grazie per le tue recensioni, per il tuo sostegno e per le tue belle parole. Anche a te, un abbraccio e un grandissimo grazie! J

Grazie anche a ChiaTag, per aver letto e recensito il racconto. Anche a te, un grande grazie J

Grazie anche a Jordan Hemingway, che è rimasta un po’ indietro. Ti lascio un grande grazie, che troverai non appena arriverai qui J ovviamente, grazie anche a tutte le altre persone che han seguito la storia. Un caloroso abbraccio a tutti! J

Non mi dilungo più, vi lascio la sorpresa e poi sparisco J

SORPRESA PER I LETTORI; (*si ripara per evitare il lancio di pomodori e verdure varie*)

Ho scelto di non abbandonare il mondo di Fortwar. Entro un mese, pubblicherò il primo capitolo della ‘Guerra di Fortwar II’’. Quindi, se la vicenda vi ha appassionato, potrete tornare a seguirla con le nuove avventure dei nostri protagonisti J vi dico solo che sarà ambientata 22 anni dopo gli eventi che ho appena finito di narrare. Se siete interessati, vi fornirò maggiori informazioni nelle risposte alle recensioni, oppure, se siete timidi, potete scrivermi un messaggio privato. Per chi volesse continuare a seguirmi, sto già pubblicando una storia, intitolata ‘il brigante’, se vi va di darci un’occhiata.

Ora devo dileguarmi, ho scritto veramente troppo! A presto, carissime lettrici J e ancora grazie! J

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