Superluna! di LaLadyNera (/viewuser.php?uid=139557)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Cupido-Motoki ***
Capitolo 2: *** 2. Inizi ***
Capitolo 1 *** 1. Cupido-Motoki ***
cap2
Qualche piccola premessa prima di lasciarvi al testo:
in questa ff non uso i superpoteri delle Sailors, purtroppo. Avrei davvero
voluto, collocando il tutto in un’ipotetica prima serie alterativa in cui Usagi
e Mamoru non fossero l’uno contro l’altro fino allo sfinimento; ma al contempo
volevo scrivere qualcosa di estremamente leggero, simpatico (se mi riesce) e sentimentale… qualcosa che magari la sera vi facesse rilassare e sorridere,
quindi alla fine ho deciso di semplificarmi la vita. Poco onore a me. Di conseguenza
posso dire che vi trovate davanti un au, per quanto non lo volessi.
Ho cercato però di mantenermi il più ic possibile, affidandomi anche al manga
(soprattutto per i prossimi [due, o forse tre?!] capitoli un pochino limeggianti)
e non solo al mio amatissimo anime, che purtroppo sotto il punto di vista sentimentale
è un po’ piatto e ci presenta i protagonisti come due monaci asceti. Ma non lo
sono! Non nella mia mente, almeno, quindi usate un po’ di fantasia e
assecondatemi!
Uomo avvisato, mezzo salvato…
Detto questo, buona lettura, recensitemi se volete e/o potete. Vi ringrazio!
P.s La storia è ambientata ai giorni nostri.
P.p.s Disclaimer: Giuro solennemente che Sailor Moon, i suoi personaggi, i suoi
nomi, ambientazioni, e tutto ciò che le appartiene, non sono di mia proprietà.
Quel geniaccio di Naoko Takeuchi ne detiene ogni diritto.
SUPERLUNA!
1. Cupido-Motoki
Il suo bicchiere di limonata aveva perso la freschezza oramai da un pezzo,
lasciandosi alla base una mini pozza di gocce calate giù lentamente dal vetro.
Il ghiaccio all’interno si era sciolto, allungando la bevanda frizzante e rendendola
poco appetibile.
La giornata era afosa, troppo per poter rimanere concentrata.
-Uffaaa!- Due code bionde, sgorganti da altrettanti chignon, caddero in avanti
sul tavolino basso come fruste profumate di fragola e vaniglia, fendendo
dolcemente l’aria e facendo volare carte e penne sul pavimento poco distante.
Otto occhi di colori diversi fissarono il pietoso spettacolo senza scomporsi.
–Usagi, basta lamentarsi: devi studiare!-
Quei capelli potevano essere delle armi, tanto erano lunghi e folti e raccolti
con cura.
I singhiozzi provenienti dalla testa china iniziarono a scuotere un paio di
spalle esili, facendosi udire chiaramente. Anche troppo, forse.
Quattro ragazze sospirarono pesantemente, distogliendo definitivamente
l’attenzione da ciò che stavano facendo.
-Usagi-chan, le vacanze non dureranno ancora molto. Hai pochi giorni per prepararti
agli esami di recupero…-
Il lamento crebbe a quelle parole, tramutandosi in un grugnito. Le code si
alzarono lentamente, il minimo indispensabile per far sì che due iridi azzurre
si appuntassero sul viso della malcapitata proprietaria di quella voce da sotto
una frangia scomposta. –Ma è così crudele
questo destino! Stare tutto il giorno china sui libri mentre mezzo Giappone se
n’è andato al mare…-
Esagerata.
-Noi siamo qui con te, Usagi. Non ti devi scoraggiare.- tentò la ragazza più
vicina a lei, poggiandole una mano rassicurante sulle braccia che aveva usato
come cuscino.
La guardò con in mezzo il velo mosso delle lacrime.
Minako, lei sì che era una vera compagna di sventure. Un’amica.
Non come Ami, che era sempre pronta a spronarla a buttarsi a capofitto in formule
matematiche, kanji e strane frasi incomprensibili in inglese, senza mai
accordarle una pausa.
Non come Rei, che era sempre in pole position quando c’era da brontolarla.
Manco avesse tre anni.
Non come Makoto… ah no, come Makoto sì, lei sì che poteva essere paragonata a
Minako. Lei e i suoi dolciumi dal potere antidepressivo.
Ora che ci pensava… aveva quasi fame.
Sospirò, smentendo mentalmente le sue stesse parole: le sue quattro amiche,
uniche e irripetibili, erano le migliori che si potessero desiderare. Ognuna
coi loro pregi e i loro difetti, ovvio, ma sempre lì per lei. Per loro.
Si raddrizzò, massaggiandosi la fronte che aveva un solco della stessa forma
del braccialetto colorato che aveva al polso, per quanto sottile. Suo fratello
glielo aveva spedito per posta insieme ad una cartolina dalla spiaggia che
frequentava con la colonia estiva della scuola. Per i più ingenui quel regalo
poteva passare come un gesto altruista, ma lei sapeva che Shingo lo aveva fatto solo per farla crepare d’invidia:
lui a prendere il sole, a fare i tuffi, lei a Tokyo, divisa fra studio e tedio
cittadino.
–Possiamo fare merenda? Mako-chan, cosa hai portato oggi di buono?-
L’espressione trasfigurata dalla contentezza e dalla speranza si trasformò in
pura delusione quando non vide alcun vassoio o contenitore comparire davanti a
lei.
-Usagi, non ho proprio avuto tempo questa mattina… Sono uscita con Kaede…-
Già… col fidanzato.
Forse Makoto non era una buona amica, dopo tutto…
Sbatté il palmo aperto sul libro che aveva davanti, mai letto ma scarabocchiato
distrattamente con un lapis mangiucchiato. –Vuol dire che me ne andrò al
Crown!- Si mise in ginocchio, staccando le pagine che le si erano appiccicate
alla pelle con un gesto impaziente, allungandosi alla sua destra per prendere
la cartella che aveva gettato ore prima in un angolo.
-Ma Usagi, dobbiamo ancora ripassare più della metà delle cose che ci sono
nella lista di oggi!- Ami era sbalordita, addirittura indignata.
-Lista? Quale lista?- chiese distrattamente riposizionando tutte le sue cose
nell’astuccio, e l’astuccio nella borsa rettangolare in finta pelle.
Rei si sporse in avanti, congelandola sul posto con un’occhiata trucida.
–Quella che Ami prepara per far sì che tu
vada a quei maledetti test preparata!-
La fissò stupita, passando poi alla ragazza lì accanto, ancora composta sul
tappeto, le gambe incrociate. –Grazie, Ami-chan, ma oggi proprio non ce la
faccio, è tutto il giorno che studio…-
Tutto il giorno? La sacerdotessa che viveva nel tempio in cui si trovava
scoppiò a ridere. –Ma se è appena un’ora e mezza che sei qui!-
Cooosaaa?!
Afferrò il braccio sinistro di Minako balzando in piedi e portandoselo davanti
agli occhi, costringendola in una posa plastica dall’aspetto scomposto e molto
scomodo.
Le sedici e trenta.
Sbatté le palpebre diverse volte, accertandosi di leggere correttamente.
-Ehi! Mi stai smontando una spalla!- sentì protestare in basso.
La lasciò andare ancora mazza stordita. Il tempo era volato… e lei non aveva
prestato attenzione nemmeno per un secondo. Sentì il senso di colpa nascerle
dentro, nel petto, e cercò subito di distrarsi. –Non importa quanto sia stata
qui o meno, la cosa che conta è l’impegno
con cui mi sono applicata. Quindi, direi che mi merito uno spuntino.-
Rei era paonazza. –Ma se non hai girato nemmeno una pagina in tutto il
pomeriggio…-
Cavoli, se sapeva essere fastidiosa! La rabbia e la permalosità montarono in
fretta, sposandosi alla perfezione dentro di lei. –Se sai tutte queste cose su
di me, vuol dire che nemmeno tu hai compicciato molto, ma piuttosto sei stata
tutto il tempo a spiarmi!- Si sentì un po’ ingiusta e molto bugiarda, ma evitò
accuratamente di soffermarsi troppo su quelle sensazioni: era estate, aveva il diritto di non fare nulla!
-Certo, credici.- Gelo ed ironia, due
cose che odiava.
Aaarrrggghhh! Doveva andarsene, subito.
Perché nessuno la capiva?!
Fece scattare la chiusura della cartella, impugnandola saldamente per evitare
di lanciarla accidentalmente, ovvio,
in faccia a qualcuno.
-Coraggio Usagi, se rimani ti prometto che domani ti porto i cookies americani:
cioccolato fondente e noci. O mandorle, che ti piacciono tanto.- Makoto era una
vera tentatrice, ma… no.
Scosse la testa, gli occhi chiusi, varcando la porta lasciata aperta nel
tentativo di captare qualche alito di brezza fresca. O come minimo non
bollente.
-Usagi-chan, noi lo diciamo per te. I tuoi genitori ti metteranno in punizione
se non passerai gli esami, senza contare che recuperare da settembre, con le
lezioni già iniziate, sarà più difficile…-
Mh, perché dover fare subito una cosa che poteva essere rimandata al giorno
dopo?
-Non essere melodrammatica Amiuccia, ti prometto che da domani m’impegnerò come
se da queste stramaledettissime materie dipenda la mia stessa vita. E poi lo
sai, io non sono secchiona come te, anche se mi piacerebbe!- Le sorrise
zuccherosa. Ci avrebbe provato ad essere diligente, giurò in silenzio. Farlo a
voce alta le sembrò troppo rischioso.
-Usagi Tsukino! Nessuna di noi è stata rimandata, siamo tutte qui per darti una
mano! Non puoi andartene a farti gli
affari tuoi! Minako! Dille qualcosa!-
Si voltò a guardare la sua migliore amica, immobile al suo posto. –Be’, in
realtà anche io sono stata rimandata… Cosa dovrei dirle?- Il suo imbarazzo era
palpabile quasi quanto l’ira di Rei.
-Che si deve mettere giù e darci dentro! E poi tu hai avuto problemi solo in
storia, l’unica materia in cui è stata passata lei invece è economia
domestica!-
Iniziò seriamente a vederci rosso. Ma come si permetteva!
Gonfiò le guance insieme ai polmoni, pronta ad esplodere.
-No dai, non è vero: in educazione fisica ha la sufficienza.-
Uh, qualcuno che diceva la verità, per quanto misera e scarna.
-Anche in giapponese non è male, se non fosse per i kanji, ma quelli sono
difficili per tutti…-
Già, vero. Cosa ci poteva fare se aveva la memoria corta?!
-Si è barcamenata anche nelle altre materie. In definitiva, dovrebbe solo
migliorare un pochino in matematica, inglese, scienze e geometria…-
Eh? –Ma la geometria fa parte della matematica!- rettificò alzandosi sulle
punte.
Ami arricciò le labbra. –Ehm, non esattamente. Ma se ti fa sentire meglio,
possiamo anche far finta che lo sia.-
Waoh, che clemenza.
All’improvviso l’idea di andarsene a prendere un milk-shake non le sembrò più così buona, forse era
giunto seriamente il momento di mettersi con la testa sui libri. Eppure… Il suo
stomaco brontolò rumorosamente, gli spaghetti di soia con pollo e verdure ormai
già digeriti abbondantemente.
-Giuro che per la superluna sarò pronta…- sussurrò piano.
Si ritrovò quattro paia di occhi addosso. –Per cosa?- Un coro perfetto.
Sospirò. –La superluna. Luna piena incredibilmente vicina alla Terra. Ho molte
speranze per quel giorno, dicono che porti bene. Non lo avete sentito alla tv?-
-E quando sarebbe?!- Evidentemente no.
-Il 10 agosto.-
-Usagi, siamo già a metà luglio! Gli esami inizieranno il giorno dopo! E’ ovvio
che dovrai essere pronta per la superluna.
Non hai scelta! Minako!-
Sfidò la ragazza che aveva tentato di difenderla con sguardo complice, certa
del loro legame indissolubile. Lei non l’avrebbe mai tradit… -Usagi, Mamoru non
ti guarderà mai con occhi diversi se continuerai a fregartene dello studio. Sai
quanto ci tiene, vuole una ragazza matura e acculturata.- … a.
Il silenzio di tomba che calò era troppo per fare qualsiasi cosa: troppo per
andarsene senza una spiegazione, troppo per rimanere senza temere lo scoppio di
un interrogatorio poliziesco. I muscoli le tiravano per l’immobilità
esasperata.
Minako si stava tappando la bocca con una mano tremolante, gli iridi due pozze
di colpa.
La trapassò con gli occhi ridotti a fessure gelide. Ti uccido, sibilò lentamente in modo che potesse leggere le parole
lasciate aleggiare nell’aria.
Non poteva essere ricattata con lo studio, Mamoru e studio non stavano bene
insieme.
Almeno non per lei, non con quella distanza fra di loro..
Non davanti a tutte le ragazze.
Deglutì rumorosamente, la pelle del viso in fiamme.
-Cosa diavolo c’entra Mamoru adesso? Lui ed Usagi si detestano, sono agli
antipodi!-
Un fulmine l’attraversò, elettrizzandola fino al midollo.
Ghignò, portandosi la cartella al petto e stringendola forte. Quella sera, a
turno, sarebbe stata impegnata al telefono a spiegare cosa, come, quando e
perché, ma adesso non poteva più perdere tempo.
La superluna si avvicinava.
-Mina-chan, sei un genio. Ti voglio un bene dell’anima!-
E senza dare il tempo a nessuno di placcarla, corse via sollevando polvere e
sassolini al suo passaggio.
Mamoru Chiba, diciassette anni, amava il caffè.
Non quello che si compra al supermercato in polvere, in capsule, solubile, in
granuli, ma quello buono, fragrante, intenso e deciso che si concedeva ogni
giorno al bar-sala giochi del suo amico Motoki.
Della famiglia del suo amico Motoki, in realtà, lui lo gestiva solamente nel
tempo libero e quando i genitori avevano degli impegni importanti.
Il Crown.
Se non fosse stato per la confusione infernale che vi regnava il pomeriggio dopo
la chiusura delle scuole, ci avrebbe trascorso volentieri anche del tempo a
studiare, raccomandandolo ai suoi compagni delle superiori. L’ambiente
rilassato, ampio e luminoso gli sarebbe stato d’ispirazione, ma ora che gli
scolaretti delle medie erano nell’usuale pausa estiva e lui non aveva una
tabella di marcia serrata, poteva godersi semplicemente qualche minuto in più
seduto al suo solito posto al bancone principale leggendo il giornale.
Si passò il polpastrello di un indice sulle sopracciglia bagnate di sudore
mentre attraversava la strada semi deserta sulle strisce pedonali. Anelava il
freddo dell’inverno, sperava che nevicasse quell’anno, perché il caldo
dell’estate lo spossava fastidiosamente.
Le porte scorrevoli del locale si scansarono per lasciarlo entrare al fresco
dell’aria condizionata.
I colori pastello delle pareti e del pavimento, simili a quelli delle
imbottiture, gli permisero di togliersi subito gli occhiali scuri senza
riceverne troppi fastidi. Li appuntò nella camicia bianca che portava, al posto
dei primi bottoni lasciati liberi.
-Heilà Mamoru, cosa posso portarti?- lo salutò Motoki, i gomiti poggiati sul
tappetino gommoso vicino al lavabo. Non c’era quasi nessuno quel giorno.
Avanzò piano, scivolando sullo sgabello morbido. -Caffè, per piacere.-
Gli occhi nocciola del suo migliore, unico, vero amico lo squadrarono con
disapprovazione.
Si aggiustò meglio. –Che c’è?-
-Caro mio, fra non molto tempo entrerai da quella porta e alla mia domanda
risponderai: “il solito, buon vecchio Sam”. Proprio come nei film che danno
sulle reti satellitari.-
Mamoru scrollò le spalle, gli occhi al cielo. –Sia maledetto quel tipo che ti
ha montato la parabola.-
L’altro rise portandosi completamente in piedi, unendo le dita dietro la
schiena per farle scrocchiare. –Non parlare così del ragazzo di mia sorella,
altrimenti chi se la prenderà in sposa quando arriverà il momento?!- Stiracchiò
le braccia.
-Unazuki è una brava ragazza, se la caverebbe comunque. Adesso posso avere il
mio caffè?-
-No!- Motoki sembrava avere altri piani per lui quel giorno. –Perché non provi
qualcosa di diverso? Un cappuccino, per esempio?-
Storse il naso, arricciandolo. –Sai che il latte mi fa male.-
Schioccò le dita. –Che disdetta! Allora una caffè freddo!-
Non sembrava un’idea venuta fuori così, dal nulla… Tutto quell’entusiasmo a
cosa era dovuto?
-Il caffè è il solito che fai tu?-
-Certo! Solo shakerato con ghiaccio, una puntina di crema di Whisky e zucchero
di canna…- spiegò concitato.
Eh?
Guardò l’ora: non erano nemmeno le cinque.
-Vuoi farmi ubriacare per caso? Sai che non reggo molto bene le bevande
alcoliche, mi sciolgono la lingua.- Lo aveva imparato in una volta sola, alla
festa per le matricole del primo anno, e possibilmente non voleva ripetere
l’esperienza.
Per tutta risposta Motoki afferrò una sottospecie di bicchiere centellinato
piuttosto alto, trasparente e spesso, caricando con la mano libera la
macchinetta di polvere scura.
-E’ proprio questo quello che voglio: il mio caffè freddo, oltre che a
deliziarti il palato, ti aiuterà anche ad essere un pochino più naturale con
una certa chi so io.-
Ecco, sapeva che c’era qualcosa sotto. –Posso rifiutare? Preferirei davvero la
mia tazza di caffè normale…-
Il rumore del tappo di liquore che veniva aperto gli fece capire che ormai era
troppo tardi.
-Stai tranquillo, andrà tutto bene!- La tazzina venne quasi del tutto riempita
di liquido nero, il ghiaccio in cubetti lo aspettava già nel contenitore
apposito, una bella cascata di crema chiara e densa completò l’opera.
-Ehi! Vacci piano!-
Motoki gli rifilò un’energica pacca sulla spalla sinistra sporgendosi oltre la
superfice piana da lavoro, facendolo chinare sotto al colpo. –Forza e coraggio!
Il mio aiuto e quello del Baileys non possono farti che bene!-
Incrociò le dita poggiando i gomiti davanti a lui, rassegnato. –La situazione è
già critica di suo, non c’è davvero bisogno di complicarla.-
Il bicchiere che gli venne posizionato davanti aveva la forma di un imbuto
spigoloso rovesciato, simile a quello usato per servire il Martini.
Non che lui lo avesse mai bevuto, lo sapeva per cultura generale.
Osservò l’amico chiudere la miscela con un tappo metallico, iniziando a
sciaguattarla con forza in alto, di lato alla propria testa, con entrambe le
mani. Il ghiaccio sbatacchiava rumorosamente, e solo quando quel suono svanì si
ritrovò la sua porzione versata accuratamente al suo posto.
Sembrava buono, ma non era molto convinto di voler fare da cavia: era un tipo
abitudinario lui. –Lo hai già testato o io sono il primo sfortunato?-
-Fortunello, vorrai dire!- lo corresse Motoki riempiendo il contenitore sporco
di acqua calda corrente. Alzò il viso per incitarlo con un’occhiata impaziente.
–Muoviti, fra poco sarà qui.- rincarò accennando alle porte scorrevoli con
un’alzata di sopracciglia bionde.
Alzò le spalle, afferrando il vetro sottile a metà della sua lunghezza, fra il
pollice e l’indice. Portò il bordo alla bocca, poggiandocela con cautela.
Annusò. L’odore di alcool era forte, ma mischiato a quello del caffè non gli
risultò spiacevole.
Ne prese un piccolo sorso, tenendoselo nelle guance, sulla lingua. Amaro e
dolce al punto giusto.
Inghiottì, avvertendo chiaramente il liquore solleticargli le pareti inesperte
della gola.
-Com’è?!-
Alzò una mano, le dite unite e spiegate. Ottimo,
pensò sorseggiando piano, ma… -Mh, discreto.- Il caffè semplice era
migliore.
Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di fargli capire che qualcuno, o
peggio ancora qualcosa, potesse modificare le sue preferenze.
Motoki non perse nemmeno il tempo necessario a chiedere spiegazioni. –Bene,
detto da te è un complimento. Lo metterò nel menù e lo chiamerò “Baka Ice
Coffee”.-
Lo insultò con gli occhi. –Non ci provare, o farò in modo che il fidanzatino di
tua sorella scompaia nel nulla.-
Crudele.
Sarebbe stato davvero un miracolo se Mamoru fosse stato ricambiato nei suoi sentimenti,
con quel caratteraccio che si ritrovava.
Per questo doveva impegnarsi con tutte le sue forze…
-Come fai a sapere che verrà?-
Incastrò lo staccio che aveva usato per asciugarsi le mani in una della
maniglie dei mini frigo sotto al bancone. –Viene sempre per quest’ora.-
-E se proprio oggi avesse da fare? Mi avresti fatto ubriacare per nulla.- ululò
Mamoru studiando mestamente quel che era rimasto del suo drink.
Ancora metà. Lo sapeva, per questo c’era andato giù pesante col whiskey.
Gli sorrise. –Stai tranquillo, vedrai che adesso arriva. Me lo sento.
Piuttosto, mettiti d’impegno e questa volta concludi
qualcosa. Non ne posso più di questa situazione.-
Il suo migliore amico sembrava annebbiato. –Come se la cosa riguardasse te…-
Gonfiò il petto, buttando fuori aria calda dalle narici. –Mi riguarda eccome,
visto che sfoghi tutte le tue frustrazioni su di me. Le cose ti vanno male e
vieni qui a lamentarti. Niente di sbagliato, se non fosse che non fai
assolutamente niente per piacerle e quindi cambiare le cose in meglio per te!- Si concesse un sospiro stanco. –E
di conseguenza anche per me, che non sarei più costretto a sentirti blaterare ogni
santissimo giorno.-
Ecco.
Mamoru lo squadrò quasi offeso. –Sai che ho delle difficoltà a trattenermi
quando si tratta di lei, non lo faccio a posta…-
-Già; la cosa che non capisco è il perché. Perché sei cortese, educato, amabile con tutti e tutte, tranne che
con lei? Non riesco proprio ad
arrivarci.- Se l’era chiesto spesso senza riuscire mai a rispondersi. Adesso
voleva saperlo.
Lo vide inarcare le sopracciglia, lasciando il peso della testa ricadere su due
dita premute contro una tempia. –Mi diverte.-
Sembrò avere da ridire.
-Ma non in quel senso!- si affrettò ad aggiungere prima di essere travolto da
vere e proprie maledizioni. -Non lo faccio per prenderla in giro…- Be’,
all’inizio sì, ma ora era diverso. –Mi piace vedere che si agita, che si
dibatte, perché tutto quel rossore e quella voce rotta dalla rabbia e i pugni
chiusi la rendono ancora più carina di quello che è normalmente…-
Oh, che romantico! Non poteva crederci.
Fece schioccare le labbra fra di loro. -Hai una concezione strana di carina. E una assurda di amore.-
Lo sapeva, ma per lui era così. Girò la testa per scrutare fuori dalle vetrate.
Poi “amore” era un parolone, non sapeva nemmeno se… Un bagliore dorato catturò
la sua attenzione, un’onda in rapido avvicinamento.
Trangugiò in una sola boccata tutto il caffè freddo che gli era avanzato.
-Cavolo! Che ti è preso?!-
-Eccola!- fu l’unica cosa che riuscì a sibilare, afferrando il giornale e
portandoselo davanti al viso.
Motoki si volse all’entrata del proprio locale al rumore del campanello che
annunciava l’arrivo di un nuovo cliente.
Sorrise, diabolico.
-Ciao, Usagi-chan! Vieni a fare due chiacchiere qui con noi!-
Mamoru sussultò appena: certo che quel barista non perdeva proprio tempo.
Mamo-chan...
La scusa perfetta.
Avrebbe dovuto erigere una statua a Minako.
Annuì mentre camminava per i marciapiedi quasi del tutto sgombri, attirando
l’attenzione di qualche passante. Lo avrebbe fatto.
Lo studio.
Mamoru.
Lo studio e Mamoru, assieme.
Mamoru amava lo studio. Si era sempre dimostrato attento alla propria carriera
scolastica con quei libri perennemente aperti davanti a lui, con quegli
occhialetti rettangolari da lettura sul naso, con la divisa scolastica stirata
alla perfezione.
Sorrise pregustando la nascita di nuovi sogni romantici, ma li bloccò subito per rimandarli a
più tardi, quando avrebbe avuto tutto il tempo di pensarci con calma.
Lo studio, Mamoru e lei.
Ghignò. Per una strana legge matematica di cui non ricordava il nome, ma solo vagamente il contenuto, se tutto fosse
andato secondo i suoi piani, la faccenda si sarebbe conclusa con Mamoru che
adorava anche un’altra cosa, oltre la scienza: lei.
Saltellò un poco mentre aspettava che il semaforo cambiasse colore da rosso a
verde.
Poco importava che detestasse ogni attività che anche solo lontanamente
riguardasse quel mondo; era per una buona causa.
Sicuramente non sarebbe stata una passeggiata di solo piacere, considerando lo
strano rapporto-non rapporto che Mamoru e lei avevano stretto in quei mesi di
conoscenza, ma qualcuno aveva scritto e detto e urlato al mondo che l’ottimismo
era il profumo della vita, quindi perché non fidarsi di chi aveva più
esperienza di lei...
Lanciando una rapida occhiata ad un monitor tv che stava trasmettendo un tg
nella vetrina di un negozio, quasi ebbe l’impressione di poter sputare il cuore
fuori dal proprio corpo dall’emozione: le 16 e 56 minuti.
Mamoru doveva assolutamente trovarsi
al Crown a quell’ora.
C’era sempre.
Seguendo una coppietta di fidanzatini a braccetto attraversò la distanza che la
divideva dal lato della strada che l’avrebbe condotta alla gioia.
Pregò che il suo Mamo-chan non avesse deciso proprio quel giorno di saltare la
sua usuale tazza di caffè, sarebbe stata una sfortuna immensa, e pregò anche
che non possedesse quello strano sesto senso che certe persone hanno in fatto
di bugie.
Non era brava a mentire, e aveva una sola occasione da sfruttare.
Alla vista dell’insegna gialla e celeste si arrestò sui suoi passi.
-Ehi ragazzina! Stai attenta, o farai cadere qualcuno!-
Usagi fissò l’uomo arcigno che le passò accanto con espressione assente, non
del tutto certa di aver compreso bene le parole che le erano state rivolte. Non
accennò nemmeno l’inchino che avrebbe dovuto fare per scusarsi della sua
sbadataggine.
Le faceva male la pancia.
Era quello strano dolore che le prendeva la mattina presto quando sapeva che a
scuola le sarebbe toccata una bella interrogazione, o un compito in classe.
Ci aveva fatto leva certe volte con sua madre, riuscendo ad ottenere il
permesso di restare a casa, ma una volta collegati i doloretti con l’ansia, e
l’ansia con la sua leggerezza negli studi, i giochi per lei erano finiti.
Se li portava dietro consapevole che gli evitamenti non erano più possibili,
una sorta di muta rassegnazione la forza motrice dei suoi passi.
Ma quello non era il momento giusto per rivangare vecchi ricordi spiacevoli.
Era nervosa.
Lei e Mamoru non avevano mai avuto una conversazione civile in quasi un anno di
incontri quasi quotidiani, forse il suo piano aveva delle falle che era meglio
riconsiderare prima di agire, per evitare di sprecare l’alibi perfetto...
Eppure si sentiva impaziente.
Vagò con lo sguardo sull’asfalto alla ricerca di una monetina per tirare a
sorte.
Poco distante la coppietta che l’aveva preceduta lungo il tragitto era seduta
su una panchina all’ombra di un alberello, e stavano parlando e ridendo insieme
di qualcosa che probabilmente gli univa anche se erano sicuramente diversi.
Chissà come era iniziata la loro storia, se si erano stati subito simpatici, o
se anche loro come lei avevano dovuto affrontare un percorso di accettazione
prima di capire che…
Ooh! Chissà com’era avere qualcuno accanto da amare e a cui dedicarsi…
Basta.
Era stufa marcia di accontentarsi di quella piccola parte che Mamoru le
riservava di lui solo quando discutevano.
Voleva di più. Voleva sentirsi come quei ragazzi a due passi da lei, contenti e
leggeri.
Stringendo i denti per la paura e la speranza, puntò le porte del Crown e quasi
vi si lanciò contro.
-Ciao, Usagi-chan! Vieni a fare due chiacchiere qui con noi!-
Cavolo.
Era già lì.
Se lo era augurato, ma adesso rivalutava l’idea che sarebbe stato meglio se lui
fosse arrivato dopo di lei, per darle il tempo di ambientarsi e prepararsi alla
recita della sua vita.
Motoki l’aveva accolta con calore, come sempre, e Mamoru era davanti a lui,
seduto al suo posto preferito, il giornale spiegato davanti agli occhi,
nascondendoglielo dalla base del collo in su.
Si avvicinò facendo dondolare la cartella nell’aria, la pancia le lanciava
fitte da sudarella.
-Motoki-san, che bello vederti. Ciao, Mamoru.- Lo aveva salutato cercando di
usare il solito tono, tentando di non tradirsi.
-Odango…-
Ehm… -Mamoru, ti sei accorto che stai tenendo il giornale al contrario?-
Sentì Motoki accanto a lei soffocare una risata, e lo vide tapparsi la bocca
con una mano.
Mamoru abbassò la carta stampata con estrema lentezza, ripiegandola e
lanciandola lontano sul bancone, facendola scivolare. –Allora anche tu sai
leggere, Odango Atama.-
Certo, insultarla era un classico, ma lui era davvero un tipo strano certe
volte…
-Ma cosa vuoi, baka? Sei tu quello che sarebbe da prendere in giro, non io!-
Le rivolse un sorriso smagliante fintamente comprensivo, spostandosi i capelli
neri dalla fronte con una mano.
Accidenti, aveva denti perfetti, bianchissimi, e occhi blu notte, diretti e
intensi, e dita lunghe e sottili dall’aspetto curato… Era… era…
-Per te e quegli assurdi capelli possiamo fare sempre un’eccezione, Odango!-
… era un deficiente.
Trattenne il principio di un urlo nel petto, lasciandolo scivolare via dal
naso. Litigare non era la strategia adatta, quel comportamento era
controproducente.
Doveva portarlo a parlarle normalmente.
Inarcò gli angoli della bocca all’insù, regalandogli un’occhiata amichevole.
–Non voglio discutere Mamoru-san, oggi è stata una giornata mooltoo pesante già di suo…- soffiò con
una nota ben comprensibile di stanchezza nella voce.
Gli si sedette accanto facendo scivolare la borsa ai piedi dello sgabello alto,
aspettando una domanda che non arrivò. Ma che cavolo…
-Cos’è successo Usagi-chan? Vuoi raccontarcelo?-
Uh, menomale che c’era Motoki.
Sospirò. –Non vorrei annoiarvi coi miei problemi…-
-Ma no! Siamo tuoi amici. Ci interessa quello che ti succede!... Vero Mamoru?-
Alzò il viso nella sua direzione, girandosi a guardalo.
C’era qualcosa di strano in lui quel pomeriggio… Sembrava abbronzato. No,
meglio ancora, leggermente paonazzo.
Cercò di non farsi beccare con lo sguardo trasognato che riservava solo a lui
appuntato ai suoi lineamenti decisi, ma soltanto con una scintilla di speranza
negli occhi umidicci.
-Certo.-
Ah! Che attrice! Avrebbe potuto considerare una carriera in campo
cinematografico…
Indossò la sua espressione più addolorata. No, teatrale, era più portata per una carriera di teatro tragico.
-Purtroppo il primo quadrimestre non si è concluso molto bene, e sono stata
rimandata agli esami di riparazione.- Fece una pausa per permettere a Mamoru di
sfogare la sua ironia, ma lo ritrovò intento a fissare il fondo vuoto di uno
strano bicchiere che aveva davanti a sé. Prosegì, incredula. –Avevo già
iniziato i ripassi con Ami-chan e le altre ragazze, ma sapete, è estate, e non
mi sembrava giusto costringerle a starmi dietro visto che loro non hanno avuto
problemi…-
Motoki la fissava con una strana luce negli occhi. –Sono andate in vacanza fuori
città?-
Scosse la testa. –Sono qui, ma ho deciso di lasciarle libere di godersi questi
giorni senza pensare alla scuola, anche se hanno molto insistito. Ho detto loro
che i miei genitori avevano trovato un insegnate privato per darmi
ripetizioni…-
Motoki le presentò davanti una ciambella glassata avvolta per metà in un
fazzoletto sottile. Represse uno squittio di gioia, afferrandola con finta riluttanza.
-Ma non è la verità…- completò il ragazzo per lei.
Si limitò ad annuire, mordicchiando un bordo stondato della pasta soffice.
-Non si dicono le bugie, Usagi…-
Mh, se solo avesse saputo che tutta quell’intera storia era una bugia… Quasi
quasi si sentiva in colpa.
-Mi sembrava che anche Minako fosse stata rimandata…- La voce bassa di Mamoru,
inspiegabilmente roca, gli arrivò all’orecchio destro. Lo fissò con la bocca
spalancata: aveva una memoria da elefante!
-Ti ricordi male evidentemente, Mamoru, altrimenti Usagi lo avrebbe detto.-
intervenne Motoki.
Passò a squadrare lui: non lo aveva mai sentito usare quel tono stizzito, era
una novità.
-No, Usagi?-
Tornò a Mamoru, confusa. Stava succedendo qualcosa di strano là dentro, e il
suo piano non c’entrava niente.
-Ha rischiato, ma all’ultimo ce l’ha fatta a recuperare. Forse si è spiegata
male…- Da dove le uscivano questi salvataggi in extremis…
Il suo concupito la guardava senza dire niente, senza controbattere, senza
espressione.
Si sporse un pochino sul bancone, verso Motoki. Lui la imitò. –Ma sta bene?-
-Sì, perché?-
Usagi nascose la bocca con una mano, lanciando occhiate preoccupate di lato.
–E’ tutto rosso. E poi è stranamente silenzioso…-
Già, convenne Motoki. Cosa ne era
stato della lingua sciolta?!
-Avrà preso un colpo di sole.-
Tornò al suo posto. –E dove?-
-Al parco! Vero Mamoru che oggi sei stato al parco?-
-Sì… Comunque sia, qual è il problema, Odango? Non ho capito.-
Bene, quindi l’aveva ascoltata!
-Il problema è che ho detto alle mie amiche che ho qualcuno con cui studiare,
ma non è vero, e ai miei genitori ho detto
che mi sarei preparata con le mie amiche, ma non posso. Quindi non ho
nessuno che mi dia una mano… La matematica non è davvero il mio forte.-
Mamoru aveva gli occhi appannati. –Capito… Questa cosa ti insegnerà che certe volte
l’altruismo non è una buona cosa.-
-Chiba! Ora basta! Cerchiamo una soluzione, piuttosto che continuare ad
infierire. Usagi ha capito che mentire non è mai utile…- Tranne che in
rarissimi casi.
-Sì, Motoki-san, non succederà più.- si avvilì ulteriormente.
La situazione si metteva male: Motoki abboccava ai suoi ami, Mamoru no.
Sembrava nel paese delle meraviglie, immerso in un suo mondo personale.
Se non avesse saputo che era un ragazzo diligente, avrebbe messo la mano sul
fuoco che fosse brillo.
Non voleva ritrovarsi nello scomodo caso di dover rifiutare l’aiuto di Motoki
se Mamoru non si fosse svegliato. Come si sarebbe giustificata?
Nascose il viso fra le mani. Questa era la riprova che fra lei e quel baka non
sarebbe mai potuto nascere niente… Se ne stava infischiando.
-Ci sono!-
Sobbalzò al grido di entusiasmo di Motoki.
Oddio, no…
-Mamoru può darti una mano a preparati per gli esami, è bravissimo in quelle
materie!-
Cosa?!
Per evitare di saltare in piedi quasi si spalmò sul piano davanti a lei. C’era
arrivato!
Qualcuno ci era arrivato!
Anche se non ne aveva immaginato così l’andamento, il suo complotto stava
andando a buon fine. Adesso mancava solo che Mamoru accettasse.
Saltò giù dallo sgabello, prendendogli le mani nelle sue.
Arrossì al contatto, ma non poteva evitarlo, giocava il tutto per tutto.
Mamoru era stordito.
-Lo faresti Mamoru? Mi daresti una mano?-
Lo vide trattenere il respiro.
-Okay.-
-Aaah!- Gli volò fra le braccia, buttandogli le proprie attorno al collo.
Non si sentì ricambiata, ma non le importò.
-Grazie grazie grazie grazie grazie!-
Si voltò con un sorriso a trentadue denti verso il suo barista preferito, il
suo santo protettore, il suo mito. –Quanto ti devo per la ciambella?-
-Niente, offro io.- sussurrò Mamoru, allontanandole le mani dalla cartella che
aveva raccattato da terra e posato sul bancone.
-Aaah! Grazie mille Mamoru! Ci vediamo domani?-
Annuì solamente.
-Sono così contenta! Adesso vado, si
è fatto tardi.-
Si fermò sulla porta aperta, alzando un braccio in alto. –Ciao ciao!-
-Ciao Usagi-chan!-
-Ciao Odango…-
Una volta che i vetri si furono riuniti, Motoki strattonò l’amico per una
manica.
-Mi dici cosa ti è preso? Se non ti avessi aiutato io, avresti collezionato
l’ennesima figuraccia da maleducato insensibile.-
-Scusa, mi è venuto improvvisamente sonno. Forse è meglio che mi avvii anche io
verso casa…-
Ops, forse ci era andato giù un po’ troppo pesante con la componente alcolica
del suo caffè freddo.
-Ok amico, ma almeno dimmi: sei contento?-
Lo vide sorridere come un ebete, un ebete innamorato. –Contentissimo, grazie
Moto-chan.-
Uh, era proprio sbronzo.
-Meglio se prendi l’autobus. Ce la fai?-
-Sì sì, sto bene.-
Barcollò fino all’uscita. –Ci vediamo domani.-
Annuì, pensieroso. –Forse è meglio se torniamo al tuo solito caffè normale.-
-Sì, decisamente.-
Motoki era soddisfatto.
Più soddisfatto di quando aveva ottenuto il massimo ad un esame.
Più soddisfatto di quando aveva ricevuto il suo primo stipendio dopo un lungo
mese di duro lavoro.
-Usagi e Mamoru…- borbottò sorridendo, tirando giù la serranda del locale.
Si era fatta sera, il cielo era azzurro, la luna si intravedeva già fra le
nuvole velate.
-Motoki-chan!-
Reika, la sua fidanzata, lo raggiunse correndo. –Scusa il ritardo, stavo dando
ripetizioni di storia ad una ragazza che abita qui vicino.-
Fischiettando le posò un braccio attorno alle spalle. Occhi verdi lo fissarono
stupiti.
-Che cos’hai? Sembri di buon umore.-
Roteò le chiavi nell’indice, avviandosi verso casa. –Io sono sempre di buon
umore.-
Reika gli cinse la vita sorridendo. –Vero, ma stasera sembri… raggiante.-
Motoki scoppiò a ridere. –Raggiante come una donna incinta?-
-Sì, come una mamma.-
-Effettivamente è stato un parto…-
Si sentì trattenere, fermarsi. –Che cosa è successo?-
Soffiò piano sulla sua faccia, scompigliandole la frangia castana. –Hai
presente Mamoru ed Usagi? I miei amici che non si sopportavano?-
-Mh-hm… Quelli che secondo te in realtà si piacciono…-
-No secondo me, Mamoru è cotto, stufato…-
-Sì, insomma?-
-Sono riuscito finalmente a combinare uno pseudo appuntamento! E ti dirò di
più, secondo me anche Usagi cova qualcosa…-
Reika lo studiò con diffidenza.
-Motoki, ti sei rimesso a giocare a fare Cupido un’altra volta? Non sei un
granché, lo sai…-
Ripresero a camminare.
-Ma cosa dici?! Se l’ultima volta, e anche l’unica, è finita che tu ed io ci
siamo messi insieme!-
-Già, peccato che il tuo piano originale prevedeva che io dovessi mettermi con
quel tuo compagno di classe, e non con te.- precisò la ragazza guardandolo
storto.
-Vabbé, questi sono dettagli.-
Se lo strinse al fianco con più convinzione. –Divertiti pure, l’importante è
che non ti nascano strane idee su questa tua amica.-
Motoki le baciò la testai, sorridendo fra i suoi capelli. –Usagi è la mia
sorellina. Sai che non ho occhi che per te, micina mia…-
Reika alzò gli occhi al cielo: povero quel Mamoru, non sapeva in cosa si era
cacciato.
Evvaiii!
Ce l’ho fatta! Capitolo concluso!
Non sono convinta al 100% della parte centrale, ma l’ho riletta, e per ora va
bene, sono ansiosa di pubblicare, correggerò e aggiungerò qualcosa in caso
domani o nei prossimi giorni.
Per piacere, se vi ho trasmesso qualcosa, qualsiasi cosa, fatemelo sapere con
una bella recensione.
Come “scrittrice”, per me i vostri pareri sono molto importanti, mi mostrano la
giusta via, nel bene e nel male.
Spero di avervi fatto sorridere, di avervi incuriosito, io mi sto divertendo un
mondo ad immaginare e scrivere questa storia. Spero anche voi.
La superluna è stato un avvenimento accaduto davvero il 10 agosto 2014, e mi ha
dato l’ispirazione.
Come sempre, vi invito a leggere le altre mie storie in via di sviluppo per
capire cosa ne devo fare, se ne vale la pena oppure no.
Till next time, my friends!
LaLadyNera
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Capitolo 2 *** 2. Inizi ***
cap3
2.
Inizi
Chi ben comincia è già a metà dell’opera.
La camera della sua migliore amica sarebbe potuta benissimo essere un
negozio di caramelle.
Il colore carta zucchero della carta da parati si sposava benissimo con il rosa
della moquette e gli sprazzi di giallo qua e là, come i piccoli mobiletti
stracolmi di manga, videogames e riviste, o le falci di luna stampate sulla
coperta del letto, completavano quella che doveva essere l’opera d’arte di una
ragazza che il mondo lo vedeva filtrato da quegli stessi toni allegri e vitali.
Minako fissò divertita per qualche secondo le pagine in bianco e nero di un
racconto a disegni abbandonato per terra: uno studente dai capelli scompigliati
stava trattenendo con aria melodrammatica una tizia con due occhi giganti.
-Cosa ci trovi in questa roba, me lo vuoi spiegare?-
La testa bionda che si affacciò dalla porta del bagno portò con sé
un’espressione di profondo disappunto. –Mi piacciono le cose romantiche, ormai
lo dovresti sapere.-
Indicò lo shoujo senza smettere di guardala. –Queste storie sono tutte uguali,
non sarebbe meglio che tu ti buttassi su qualcosa di diverso?-
Usagi scomparve di nuovo dalla sua vista, facendo cascare qualcosa sul
pavimento. La sentì imprecare nell’altra stanza.
-Per esempio?-
Sbuffò mentre con due polpastrelli disegnava distratta i contorni della
collezione sulle mensole sopra la scrivania. Non sapeva bene il perché, ma
aveva come la sensazione che non fossero state messe lì per contenere quel
genere di letture.
Ricordò con estrema nitidezza l’esasperazione con cui la madre di Usagi si era
rivolta solo qualche giorno prima ad Ami, implorandola di aiutare la figlia
nello studio. Le aveva addirittura offerto dei soldi che erano stati ovviamente
rifiutati, e poi era riuscita a stappare a tutte la promessa di invogliarla con
il loro buon esempio. Durante l’intero anno si erano incontrate sporadicamente
in vista di verifiche importanti per prepararsi o ripassare, ma Usagi non si
era mai dimostrata particolarmente interessata. Di solito cercava sempre metodi
per distrarsi con una nonchalance che sfiorava la sfacciataggine pura.
Scosse la testa; no, decisamente i signori Tsukino avrebbero gradito un altro
tipo d’interesse da parte della loro primogenita piuttosto che gli anime e i
manga.
Qualcosa venne spruzzato ripetutamente alle sue spalle, incuriosendola.
Si affacciò sul limite del bagno con le braccia incrociate al petto. –Dei
romanzi, giusto per dirne una.- Poggiò una spalla allo stipite più vicino senza
nascondere il sorriso.
Usagi si era infilata una gonna piuttosto corta e a balze, di un bianco sporco,
che aveva tutta l’aria di essere stata confezionata all’uncinetto. –Mi ricordo
quando l’hai comprata: pensavi a Motoki.-
Si ritrovò fulminata. –Le cose cambiano.-
La canotta blu le ricadeva bene sui fianchi, facendola sembrare più alta.
Chissà quanto ci aveva pensato su, prima di decidere cosa indossare per quel
presunto fatidico giorno.
-Non potrei mai leggere quella roba che si porta sempre dietro Ami!- Cambiò
discorso sistemandosi nervosamente gli odango perfettamente rotondi.
-Se a lei piace leggere gialli o fantascienza non dev’essere lo stesso per te.
Esistono anche libri romantici, di avventura, fantasy…-
-Lo so, ma non mi interessano.-
Quelle quattro mura erano una camera a gas, Usagi ci aveva dato dentro col
deodorante.
Arricciò il naso nonostante l’odore di base fosse buono, ma la quantità storpiava
decisamente il tutto. –Vuoi uccidere Mamoru?- Tossicchiò spazzolando l’aria
davanti a sé con una mano.
-No, che dici! Sai perché leggo molti manga?-
Decise che non valeva la pena rischiare il soffocamento per saperlo, quindi
uscì scuotendo la testa. Usagi la seguì velocemente: forse finalmente era
pronta e adesso poteva prestarle dieci secondi di attenzione! Si era alzata
presto per presenziare a quel rito ed era lunedì, inizio settimana di vacanze:
se lo meritava.
Non poteva credere di essere lì già da un paio d’ore e non essere riuscita a
parlarle per bene. –Perché li rubi a Rei e quindi non devi sborsare uno yen per
averli?-
L’amica gli rivolse una sonora pernacchia nel superarla per dirigersi alla
scarpiera. L’aprì, ma si girò a guardarla con occhi sognanti.
-No davvero. Leggo quei manga perché le loro storie d’amore sono così simili a quella mia e di Mamoru! Mi
danno consiglio!-
Ah be’.
-Pensavo che l’idea geniale fosse partita da un mio suggerimento, non da quello
di qualche mangaka…- Si finse offesa.
Usagi annuì vigorosamente. –Infatti è così, ma per il comportamento che dovrò
tenere la mia cultura su queste cose mi sarà utile.- Le diede le spalle,
rovistando rumorosamente fra gli scompartimenti inclinati di legno.
-Ah-ah!- Esultò tirando fuori un paio di scarpe di tela del preciso colore del
suo top. Le infilò veloce ai piedi, voltandosi e spalancando le braccia. –Come
sto?!-
-Bene. Mi sembra anche il minimo, ci hai messo due secoli per prepararti.- Non
poteva di certo rinunciare a qualche facile frecciatina: le aveva fatto perdere
mezza mattinata per una gonna e un pezzo striminzito di cotone!
Meglio del vestito con le ciliegie con cui l’aveva accolta al suo arrivo,
comunque.
La osservò neutrale: non era stato del tutto tempo sprecato, adesso che
sembrava davvero dovesse andare ad un incontro per studiare, piuttosto che ad
un pic-nic in campagna, ma aveva proprio necessità di sfogarsi...
Tentò di celare il suo mal contento, Usagi stava trattenendo l’aria nella
guance, le sopracciglia sottili unite sopra al naso. Brutto segno.
Era offesa?! Il ricordo della spiacevole situazione in cui si era ritrovata il
pomeriggio prima, al tempio di Rei, sola, dopo la sua fuga, le diede la spinta
definitiva per infischiarsene. –In più, non mi risulta che tu e Mamoru abbiate
già qualcosa in corso, a parte delle lezioni di matematica che più che farlo
cadere ai tuoi piedi, faranno cadere te
addormentata, secondo me.-
Mh.
Usagi era sbigottita. –Ma sei venuta qui per incoraggiarmi o per portare
sfiga?!-
Si lasciò cadere seduta sul letto, distendendo le gambe davanti a sé e
incrociando le caviglie. –Ti sto supportando, altrimenti sarei a casa in questo
momento, dopo tutto quello che mi hai fatto passare- sibilò con finta
carineria.
-Cioè?- Adesso Usagi teneva le mani fermamente arpionate ai fianchi, un po’
minacciosa, un po’ impaurita. Non sopportava che le persone fossero in collera
con lei, Minako lo sapeva bene.
-Hai chiamato le ragazze?-
Usagi sembrò capire e lasciò ricadere le braccia lungo il corpo. –Ieri sera; tu
non le hai sentite?-
-Le ho sentite molto bene, dal momento che sei scappata via come una pazza
lasciandomi circondata e senza un cavolo da dire! Non sapevo come venirne
fuori. Non sapevo cosa inventarmi!- Quasi strillò per l’impazienza. Sputare il
rospo la fece sentire subito un po’ più rilassata. Vide Usagi richiudersi nelle
spalle. –Non sapevo se dire la verità, o fare finta di niente, o mettermi giù e
coprirti il sedere con qualche scusa idiota!-
Non voleva mortificarla, ma non era stato bello.
Non tanto nei suoi confronti, aveva e poteva sopportare di peggio, soprattutto
per un’amica che era come una sorella e conoscendo anche la portata dei
sentimenti che Usagi aveva covato in silenzio per diversi mesi, ma in quelli
delle loro tre amiche.
Usagi aveva deciso di testa sua di non rivelare niente alle altre per mille
motivi diversi: paura di essere giudicata, di essere presa in giro, di non
essere capita, o peggio ancora di essere scoraggiata da qualcuno, e quindi si
sarebbe dovuta prendere le proprie responsabilità anche una volta resa pubblica
la cosa.
Sorrise da sola per l’incredulità: sembrava quasi fosse un crimine… Mamoru non
era sicuramente un ragazzo facile da approcciare, ma nemmeno un segreto da
temere.
Lei l’aveva appoggiata anche se non aveva condiviso le sue scelte, Usagi invece
si era limitata a correre dietro ad un’illuminazione lasciando domande che
richiedevano risposte veleggiare in un posto in cui l’unica fonte di
rassicurazioni era stata lei. Non aveva pensato ad altro.
Il brutto della questione era il fatto di non aver saputo scegliere come
reagire senza ferire nessuno: avrebbe potuto raccontare tutto, ma non era sicura
che Usagi lo avrebbe fatto sicuramente anche dopo quella gaffe, oppure avrebbe
potuto inventarsi di sana pianta una storiella, mettendo alla prova il suo talento
di aspirante attrice-cantante-presentatrice, ma il pensiero di mentire a
persone per lei importanti l’aveva fatta sentire male.
Quindi si era limitata a rimanere lì, seduta con le mani alzate e un sorriso
nervoso stampato sulla bocca, a ripetere “ma non saprei… Usagi dovrà dirvi
qualcosa… non sono sicura… io non posso… abbiate pazienza…”.
Le ragazze avevano smesso di farle pressioni quando la sua difficoltà era
diventata più che evidente, ma ormai la sensazione che qualcosa fosse andato
storto era troppo forte per poter essere ignorata, e aveva salutato tutte con
la promessa che Usagi le avrebbe chiamate per spiegare loro tutto quanto.
Anche lì si era presa una bella responsabilità, ma alla fine era andata bene,
segno che la sua migliore amica la conosceva sul serio. Per fortuna.
Usagi le si sedette accanto, prendendole le mani nelle sue. –Hai ragione, non
mi sono comportata bene. Ho sbagliato, non mi sono saputa controllare e ti ho
messa in una posizione scomoda.- Le sorrise tentennante e speranzosa, ma Minako
riuscì solo a sbuffare.
Usagi si contorse un poco, a disagio.
–Con cosa te la sei cavata?- Chiese ancora un po’ inquieta: era tutto okay, sì
o no? Le scuse erano ben accette, ma la situazione era delicata.
L’amica la guardò seria. –Con la verità. E’ stato imbarazzante, ma alla fine
era la cosa più giusta che potessi fare.- Usagi sembrava navigare in un mare di
mortificazione.
-Ti hanno fatta arrabbiare?- Era importante che per quell’inizio lei fosse
predisposta al meglio, nonostante tutto, e sperò che le loro amiche,
soprattutto Rei, non avessero infierito fino a farla stare male. Troppo male,
un pochino era giusto che soffrisse, per capire.
-No, sono state carine, anche se erano sorprese. Forse pure deluse. Ho cercato
di far capire loro che sono io la sciocca, e non che loro non siano delle buone
amiche.- Si morse un labbro, abbassando lo sguardo. Quando lo rialzò, c’era
molta preoccupazione. –Credo che abbiano inteso il mio comportamento come una
mancanza di fiducia nei loro confronti. Tu sapevi e loro no…-
Minako poteva sentire il suo dispiacere, lo sentiva vibrare nella sua voce. -Lascia
che passi qualche giorno, ci ritroveremo e spiegheremo insieme come sono andate
le cose. Vedrai che capiranno, sanno che non sei una cattiva persona. Solo una
testona…-
Usagi sospirò pesantemente. –Ho paura di aver rovinato tutto.-
-La nostra amicizia?- La vide annuire. –Non ti preoccupare, non è possibile,
ormai siamo troppo unite. Ci vogliamo bene e…-
-Quindi me ne vuoi ancora?!- La sua voce risuonò di nuovo di speranza ed
allegria, interrompendola.
Minako la squadrò seria. Vide gli occhi luccicare fra lacrime di tristezza e
felicità, la bocca contratta in un sorriso che non sapeva bene se osare
rilassarsi oppure no, le dita incrociate come se stesse pregando.
Vide una ragazza insicura affacciarsi in un mondo complicato per la prima, vera
volta, e non poté che passarle le braccia intorno al collo, portandosela più
vicino.
Ricordava quando si era ritrovata lei a specchiarsi con quel tipo di
sentimento, qualche tempo prima, in un altro paese…
Vide qualcuno che aveva bisogno di lei, e ci sarebbe stata, sempre e comunque.
-Usagi-chan, mi devi una promessa però… lo sai, vero?-
La sentì annuire contro la propria guancia. –Qualsiasi cosa per farmi
perdonare!-
Ghignò diabolica mentre si allontanava per guardarla negli occhi. –Non farti
arrestare per atti osceni in luogo pubblico, quando finalmente avrai raggiunto
il tuo obiettivo!-
-Minako! Hentai!-
Un cuscino la centrò in pieno viso.
La prima cosa che registrò appena aperti gli occhi fu una spiacevole sensazione
di oppressione alla testa.
Girando solo il viso alla sua sinistra, sul cuscino, cercò la sveglia digitale
dai grandi numeri verdi che aveva comprato diversi mesi prima, alla fine di una
lunga ed estenuante ricerca, in un negozio di elettronica dal cattivo odore di
plastica che gli era rimasto ben impresso nella memoria.
Le nove passate.
Stropicciò le palpebre pesanti coi pugni chiusi, giocando un poco con le figure
sfavillanti che danzavano nel buio in bizzarre fantasie geometriche. Aveva
dormito quasi dodici ore.
Strano, di sicuro non da lui.
Sospirando si tolse di dosso il lenzuolo in cui si era fasciato durante la
notte, il contatto col pavimento freddo gli fece rizzare i peli sulle braccia
nude donandogli però un po’ di lucidità in più. La lingua impastata era un
fastidio a cui doveva trovare rimedio subito.
In cucina bevve direttamente dalla bottiglia di acqua, cosa che non faceva mai.
Il leggero senso di sbandamento e confusione era sconcertante.
Lanciò un’occhiata incerta al lavabo: la sera prima non aveva riassettato, i
piatti e le pentole che aveva usato per cucinare erano ancora lì che
attendevano di essere lavati, insieme alle posate e ad un bicchiere. Di solito
lo faceva sempre prima di andare a dormire.
Piano, ascoltando i muscoli impigriti iniziare a sciogliersi, si preparò una
tazza di caffè e posizionò la scatola di biscotti secchi sulla tovaglietta in
bambù.
Gli sembrava di avere ancora voglia di dormire, ma proprio non riusciva a
capire il perché di quella sensazione così inusuale. Stava molto attento al suo
ritmo sonno-veglia proprio per riuscire a trarre il massimo dal riposo che si
concedeva: troppe ore passate nel letto lo impigrivano, troppe poche però lo
rendevano comunque infruttuoso per la stanchezza.
Solo una volta si ricordava di essersi sentito in quel modo, ed era stato
quando… aveva partecipato a quella festa scolastica piena di enormi ciotole
colme di aperitivi colorati e bottiglie di spumante.
Ma cosa c’entrava adesso… ?
Sedendosi al tavolino si concentrò arricciando il naso; il giorno prima non
aveva fatto nulla di strano: si era alzato presto, aveva fatto colazione, era
uscito per una corsetta, dopo la doccia aveva studiato, il pranzo lo aveva
consumato sulla terrazza guardando le nuvole, aveva studiato un altro po’, poi
era uscito e aveva fatto un salto al Crown.
Fu come un gong colpito con prepotenza nella testa: Usagi.
Motoki aveva insistito perché le parlasse, e gli aveva dato una… spintina.
Si massaggiò preoccupato la mascella fissando il liquido nero che teneva fra le
mani. Quel dannato caffè freddo corretto con quel nome improponibile.
Ecco perché era così confuso.
Una serie di frasi e immagini gli vorticarono pericolosamente davanti agli
occhi, costringendolo a scuotere i capelli.
Non era nemmeno sicuro che non fosse stato solo un sogno, in realtà. Da quello
che si ricordava, a grandi linee, si era accordato con Usagi per delle
ripetizioni dell’ultimo minuto.
Ne volle quasi ridere, non poteva essere stato così bravo. Chiuse gli occhi: lei non poteva aver accettato una cosa
del genere, antipatico come le stava.
Afferrò un biscotto e iniziò a masticare piano, a bocca chiusa, come gli era
stato insegnato da bambino. Lui e i liquori dovevano stare decisamente
distanti, sicuramente i suoi enzimi non erano in grado di scomporre a dovere
l’alcool e i risultati lasciavano sempre molto a desiderare.
Tentò di ricordare meglio cosa si fossero detti lui ed Usagi, ma non riuscì a
ricavare qualche momento ben delineato, solo brandelli di frasi e flash di
espressioni che forse erano solamente frutto della sua fantasia.
Sbuffò, portando la tazza alla bocca: chissà Usagi cosa aveva pensato di lui.
Sicuramente qualche differenza doveva averla notata, era quasi del tutto certo
di non essersi comportato come il suo solito. Per forza…
Che cosa aveva fatto?!
Un’ondata intensa di ansia gli attanagliò lo stomaco; magari adesso lei pensava
che lui avesse un problema con gli alcolici, o che non fosse proprio sano di
mente, o che semplicemente era troppo strano e troppo odioso anche solo da
tenere in considerazione come conoscente.
Che cosa le aveva detto?!
Forse, la prossima volta che si sarebbero incrociati, lei avrebbe cambiato
strada, facendo finta di non averlo mai visto.
Improvvisamente le dita gli si informicolirono. Avrebbe preso a pungi Motoki.
Era convinto sinceramente che la violenza fosse sempre la scelta sbagliata, ma
per quel caso specifico avrebbe fatto un’eccezione. Era stato stupido a
lasciarsi convincere.
Che cosa avrebbe dovuto fare adesso?!
Far finta di niente e davanti ad Usagi comportarsi come se nulla fosse, o
andare a cercarla con una scusa qualsiasi per capire se oramai si era del tutto
compromesso?
Lavando ciò che aveva utilizzato per mangiare cercò di impedirsi di tornare con
la mente a ricostruire la scena del crimine, perché più ci pensava più
particolari imbarazzanti, veri o presunti che fossero, facevano capolino per
farlo inorridire, e si disse che era andato tutto bene, che niente era stato
rovinato e che probabilmente la paranoia stava prendendo il sopravvento sul suo
cervello ancora mezzo anestetizzato.
Ripose il canovaccio umido fra le maniglie degli sportelli inferiori. Sarebbe
andato a correre, avrebbe sudato e bevuto tanto, riequilibrando il proprio
organismo, poi forse si sarebbe messo un po’ sui libri per distrarsi.
Aprì le finestre mentre era ancora in casa a prepararsi, lavò il viso e i denti
e si vestì coi pantaloncini e la maglietta che di solito usava per fare sport.
Sospirando pesantemente fissò il proprio riflesso incerto nello specchio: era
meglio lasciare che le cose facessero il loro corso, non avrebbe anticipato i
tempi o forzato gli eventi. Normalmente incrociava Usagi quasi quotidianamente,
al massimo ogni tre giorni, quindi avrebbe saputo aspettare; aveva addirittura
il tempo di preparare una reazione adeguata ad ogni tipo di situazione che gli
si sarebbe presentata davanti, era meglio così. Si passò una mano fra i
capelli: il discorso era chiuso.
Nell’ingresso, mentre si stava allacciando le scarpe da ginnastica, qualcuno
bussò alla porta.
Rimase bloccato, ancora con un ginocchio sul pavimento, il cuore che
all’improvviso aveva mancato come minimo un battito, proseguendo in modo
anomalo la sua corsa.
Non è possibile, si disse, stai calmo.
Usagi non sapeva dove abitasse e ora che ci pensava, se davvero era
accaduto, lui non le aveva dato il proprio indirizzo per quelle fantomatiche
ripetizioni. Di cosa, poi?
Alzandosi piano ascoltò i nuovi colpi leggeri contro il legno spesso
davanti a sé, colorato di bianco, e quando poggiò una mano sulla maniglia nelle
orecchie non poteva sentire altro che lo scorrere furioso del proprio sangue.
Forse lei era passata al Crown e il loro amico in comune ci aveva di nuovo
messo lo zampino, ovviando al problema.
Il pensiero gli provocò una vampata di calore generale in tutto il corpo. Non
aspettava nessuno, quindi…
Spalancò la porta con un movimento veloce. Via
il dente, via il dolore.
-Finalmente! Iniziavo a preoccuparmi!-
Sentì i lineamenti diventargli di granito. -Motoki- sibilò a denti stretti. Il
senso di delusione crescente fu difficile da ignorare e lo spinse, senza
rifletterci più di un secondo, a sbattergli la porta in faccia. Aveva
dimenticato di chiudere le finestre!
Non fece in tempo ad arrivare a metà corridoio che il suo migliore amico –forse
ex- si era attaccato al campanello, suonando ripetutamente. Tornò indietro solo
perché non voleva che i vicini si lamentassero con lui per il baccano.
-Cosa vuoi?-
Motoki si intrufolò in casa veloce, spingendo la porta che lui teneva bloccata
con una mano con la spalla. -Bel modo di ringraziarmi, complimenti.-
Un buon odore di marmellata calda gli carezzò le narici al suo passaggio,
lasciando una scia lunga fino alla cucina. Quando vi entrò, Motoki stava
fissando il lavandino pulito.
-Hai già fatto colazione?- Lo squadrò incredulo.
Tirò su le sopracciglia. –E’ tardi.- Non doveva essere una cosa strana, lui era
un tipo mattiniero.
-Non hai risposto alle mie chiamate, pensavo fossi uscito. Sai, l’agitazione…-
Gli rivolse un occhiolino che Mamoru trovò alquanto fastidioso.
Girandosi alle sue spalle vide il cordless lampeggiare. –Non ho sentito il
telefono, ed è tutta colpa tua.-
-Hai del latte?-
-Eh?!- Era diventato improvvisamente tonto? O faceva finta di non sentire?
-Latte…- Ripeté Motoki fissandolo come se gli fosse spuntato un corno nel
centro della fronte. –Stai bene?-
Scrollò le spalle, appoggiandosi allo stipite. –In frigo.- Lo osservò aprire
l’anta e tirare fuori la bottiglia, versarsi un bicchiere di liquido bianco e
rimettere tutto a posto. –Cos’hai nel sacchetto?- Indicò con la testa il
piccolo fagotto di carta lasciato sul tavolo.
-Pane e marmellata, ci avevo messo anche il burro, come piace a te… Ma vedo che
alla fine ti avevo immaginato messo peggio di come effettivamente sei.- Si
sedette, scartando due toast dorati e porgendogliene uno. –Vuoi?-
-No grazie. Avresti potuto portare dei cornetti.-
Motoki alzò gli occhi al cielo. –Il bar è chiuso oggi. Non sei mai contento.
Dovresti essermi grato- sottolineò quell’ultima
parola con un morso ben assestato al pane croccante, -colazione recapitata
direttamente a casa e personal coach tutto in una sola, comoda figura.-
Si schiaffeggiò mentalmente: era lunedì, il giorno di riposo del Crown; Usagi
non avrebbe mai potuto sapere il suo indirizzo e oltretutto dubitava che si
alzasse di buon ora quando la scuola era chiusa e i genitori a lavoro. Al solo pensare quel nome lo stomaco
gli si attorcigliò in una stretta dolce amara.
Studiò Motoki coperto da un’espressione di indecifrabile menefreghismo. –Non
sei vestito per fare jogging.- Osservò, critico.
-Certo che no, non ho tutto questo tempo libero. Devo vedermi con Reika.-
-E allora che personal trainer sei? Mi lasci faticare da solo?-
Gli sembrò perplesso.
-Ho detto personal coach, non
personal trainer. Non hai bisogno di aiuto nell’attività fisica, ma in quella
amorosa, lasciatelo dire, sì.-
Lottò per mantenere una certa compostezza, ma quell’affermazione gli aveva
attivato una sorta di campanello di allarme interiore. –A cosa ti riferisci,
scusa?-
Il suo amico gli sorrideva incoraggiante, comprensione negli occhi allegri.
–Sei ancora brillo?-
-No.- Sperò di essere stato chiaro. Sicuramente conciso. Era crudele che si
comportasse in quel modo.
Motoki sembrò non credergli. -Sei di cattivo umore stamani, non dovresti
esserlo. Piuttosto, come ti stai preparando a questo fatidico, impensabile
giorno di svolta?-
L’argomento era troppo spinoso per poter essere affrontato in piedi, quindi
scelse la sedia più vicina a lui, all’opposto del lato occupato, e vi scivolò
sopra. –Perché mi prendi in giro? Non ti basta la figuraccia che mi hai fatto
fare con quel tuo maledetto intruglio?!-
Spiacevoli immagini gli riempirono la vista, facendolo inspirare forte, le
palpebre serrate.
-Non so a cosa ti riferisci.-
Spalancò gli occhi, irritato. Non lo nascose nella voce. –Certo che lo sai:
quel maledetto caffè che mi hai costretto a bere… Usagi avrà pensato che sono
ridicolo!- Ed era male, molto male…
Tuttavia Motoki non sembrava preoccupato quanto lui.
-Il Baka Ice Coffee ha fatto quello che doveva fare; la tua scarsa tolleranza
per i liquori è un problema tutto tuo, non suo.- Si infilò le dita sporche di
marmellata in bocca, poi raggiunse la cannella dell’acqua per sciacquarsi le
mani.
Mamoru approfittò di quei secondi di relativa privacy per far sbollire il
sangue. –Se il suo lavoro era quello di farmi passare per uno scemo, potevi
anche risparmiartelo- si lamentò amaramente.
Il suo amico lo studiò poggiato contro i mobili chiari della credenza. –Ti ho
fatto guadagnare una scusa per passare del tempo da solo, in un posto
appartato, con Usagi: cosa vuoi di più?!- Sembrava non credere alle proprie
parole, e ancora meno ci credeva lui.
-Non ci casco.-
-In cosa?-
-In questa storiella in cui tu, o quel caffè, a cui tra l’altro ti suggerisco
di cambiare nome, mi abbiate in qualche modo combinato un appuntamento con
lei.- Lo scherzo era divertente finché durava poco, e secondo i suoi gusti la
burla che Motoki gli stava giocando stava assumendo una sfumatura
pericolosamente snervante. –Usagi mi odiava, ed ora probabilmente penserà che
sono un ubriacone.-
Un paio di sopracciglia alzate gli comunicò scetticismo misto ad una punta di
irritazione.
-Sarà, ma ieri pomeriggio, dopo che vi siete accordati per quelle benedette
ripetizioni, mi sembrava al settimo cielo. Potrei quasi scommettere di non
averla mai vista in quel modo…-
Mamoru non poteva credere alle proprie orecchie, spalancò occhi e bocca in
contemporanea.
-Ripetizioni?-
Motoki annuì diffidente. –Di matematica e scienze e inglese. Mi rendo conto che
la cosa è un po’ impegnativa, ma tu sei bravo e se non sono diventato sordo,
cieco e pazzo, credo che sarai anche l’incentivo giusto per Usagi…- Fece un
pausa, il suo interlocutore pareva essersi straformato in una statua di sale.
–Non credo che avrai grossi problemi…- Concluse per incoraggiarlo, ma non
ricevette risposta. Mamoru non lo stava nemmeno guardando, a dirla tutta; il
forno spento sembrava essere lo spettacolo più interessante del mondo.
-Certo che sei strano forte oggi, eh…-
Era come se il cervello gli fosse andato in fumo in un istante. –Allora non era
un sogno…-
Non riusciva a capacitarsene, non riusciva a pensare: non sapeva se tutto
quello che ricordava fosse successo sul serio, ma la parte cruciale dei suoi
quesiti era realtà. Usagi sarebbe venuta da lui per delle lezioni private.
Avrebbero studiato insieme, parlato insieme, forse mangiato insieme, passato ore insieme. Soli.
Si sentì come svuotato.
-Mamoru? Inizi a preoccuparmi…- Motoki gli sventolò un pezzo di carta a pochi
centimetri dal naso, provocando un leggero venticello fresco. -Cosa hai
sognato?-
-Pensavo di aver sognato questa cosa…
Io che aiuto Usagi con la scuola… Quando mi sono svegliato non ero sicuro che
fosse la verità e alla fine mi sono convinto che l’acool avesse prodotto
questo… ricordo… E ora mi dici che…- Non riuscì a finire la frase per la troppa
sorpresa.
Puntò gli occhi in quelli dell’amico; li trovò colmi di lacrime, la bocca
stretta in una linea sottile, quasi impercettibile.
Motoki scoppiò a ridergli in faccia.
-Sei la fine del mondo, Mamoru! Non credevo di averti fatto fare un viaggio
mentale così assurdo!-
Sembrò essere uno spasso, ma lui non si stava divertendo.
-Per quando ci siamo messi d’accordo? Per oggi?- L’ansia era tornata a farsi
sentire, spingendolo sul bordo della sedia, le dita incrociate sul tavolo.
Motoki annuì.
Era un disastro, una catastrofe. Non era pronto, niente era pronto.
Si guardò attorno: la casa era okay, anche se, se ne fosse stato certo prima,
avrebbe potuto apportare qualche piccola miglioria qua e là; il frigo era
abbastanza pieno, il pavimento lavato solo il giorno prima, il bagno pulito.
Doveva farsi una doccia, forse non avrebbe avuto tempo per andare a correre.
-Come… A che ore?-
L’amico fece spallucce. –Non l’avete decisa; credo che ti toccherà metterti il
cuore in pace ed aspettarla in tutta calma.-
Non era possibile questa cosa. –Non sa nemmeno dove abito…- Non sapeva se
esserne dispiaciuto o felice.
-Lo sa.-
Fosse stato slogabile e scomponibile, braccia e mascella gli sarebbero caduti
per terra. –Come fa?! Non è mai stata qui, io non gliel’ho mai detto! Credo…- Fece
seguire un lungo silenzio, indeciso sul dar voce alle proprie preoccupazioni.
Guardando Motoki aspettarlo decise che non aveva senso avere qualcuno affianco
se non ci si fidava, se non ci si sentiva liberi di dire e fare quello che
premeva di più. Si passò una mano su tutto il viso.
-Ho detto o fatto qualcosa, ieri, di cui dovrei vergognarmi?-
-No. Usagi ha notato che non eri quello di sempre, ma il pensiero di venire a
studiare da te, mi è sembrato, l’ha distolta piuttosto bene da qualsiasi
domanda. Era contenta.-
Lui aveva i suoi dubbi, ma non era il caso di perderci dietro troppo tempo,
Motoki non avrebbe potuto comunque rispondergli. –Sei stato tu a dirle dove
vivo?- Non era arrabbiato, nel bene o nel male quella giornata si sarebbe
conclusa in un certo modo. Non aveva senso opporsi.
-Qualche tempo fa mi ha accompagnato qui. Quella volta che avevi dimenticato
gli occhiali al bar.-
-Ricordo. Non me l’avevi detto.-
-All’epoca non avevo ancora idea che voi due vi piaceste.- Motoki gli sorrise
con tutto l’ottimismo e la furbizia che possedeva.
Mamoru lo ricambiò al meglio che poté: lui era amato da tutti per la sua
solarità, aveva una ragazza e molti amici, una famiglia… Era una brava persona,
un bravo amico. Gli doveva molto, ma certe volte si spingeva fin troppo oltre,
pur di incoraggiarlo. Era questa l’amicizia?
-Hai finito di dire cavolate? Usagi non mi può vedere, probabilmente ha
accettato di starmi vicina solo perché rappresento l’unica soluzione per quella
strana storia intricata fra lei, le sue amiche e i suoi genitori…-
Motoki si slanciò dalla sua posizione strofinandosi le mani. Dietro di lui,
gliele appoggiò sulle spalle, stringendo con forza.
Contrasse i muscoli, spostando la testa in avanti quando i capelli gli vennero
scompigliati.
-Amico mio, lascia stare: non capisci proprio niente in fatto di donne.-
Mamoru si girò quando la stretta sparì, in tempo per vederlo imboccare la
strada della sua camera.
-Muoviti, dobbiamo scegliere qualcosa di decente da farti mettere. Usagi non
sopporta quella giacca verde che ti ostini a indossare ogni volta che vi
incontrate!-
Cosa?! –Ma è bellissima!-
Non ricevette risposta.
Usagi, impalata nel vialetto che aveva erbetta ben curata sia a destra che a
sinistra, sembrava essere stata congelata sul posto, il naso all’insù, verso le
finestre imperscrutabili.
Per tutto il tragitto fra casa sua e quella di Mamoru aveva quasi volato, il
cuore leggero, le labbra sorridenti.
Non aveva pensato a qualcosa che non fosse lui, aveva sognato ad occhi aperti
per tutta la notte e anche con Minako presente la sua mente non si era
distratta, se non per parlare delle loro amiche.
Sospirò pesantemente. Si era comportata in maniera superficiale ed infantile,
non aveva altre giustificazioni se non la propria impazienza.
Ami, Rei e Makoto non lo meritavano. Nemmeno Minako.
Sperò che le cose andassero davvero come aveva detto la sua compagna di classe.
Camminando per le strade afose da sola si era ripromessa con fermezza assoluta
di impegnarsi a far capire loro che l’amicizia che le concedevano era un tesoro
di cui comprendeva il valore, e a cui non avrebbe più mancato di rispetto.
Non doveva imporselo, non ne aveva il bisogno, doveva solo imparare ad essere
più accorta.
Avvicinandosi al palazzo che aveva visto spesso la sera, facendo a posta il
giro lungo per tornare a casa, la sua preoccupazione era scivolata
inevitabilmente da un pensiero a un altro.
Mamoru la stava aspettando.
Doveva impegnarsi al massimo per trarre tutti i vantaggi possibili da quel
primo incontro -e poi dai successivi- senza però dimenticare che l’applicazione
nello studio rimaneva comunque una parte importante del suo piano.
Sarebbe rimasto impressionato.
Lì, ferma col vento caldo che muoveva l’orlo della gonna, la paura si era
mischiata con la fretta in un mix che la teneva inchiodata ai lastroni della
stradina che portava al grande portone in vetro e a decine e decine di
citofoni.
Doveva muoversi; e se Mamoru fosse stato ad una di quelle finestre a guardarla?
Avrebbe pensato che fosse una ragazza stramba, troppo per i suoi gusti.
Incamminandosi e tenendo gli occhi piantati per terra si augurò che lui stesse
un po’ meglio rispetto al giorno prima: si era informata su internet e i colpi
di calore non erano una cosa con cui scherzare.
Nel caso, se lui non se ne dispiaceva, lo avrebbe aiutato.
Arrivata all’ombra della portineria sentì l’entrata cigolare ed aprirsi.
-Usagi-chan! Sei già qui!-
La voce familiare la portò ad alzare il viso. –Motoki! Buongiorno.-
Le stava sorridendo, tenendo aperto il portone per lei.
Lanciò un’occhiata incerta all’atrio ombroso alle sue spalle, stingendo i
manici della sua borsa in contemporanea con le spalle.
Lui si scostò ancora di più, facendole spazio. –Mamoru ti sta aspettando.-
Annuì, superandolo rassegnata. Il cuore le batteva come non mai.
-Piano 24. Vai a sinistra quando esci dall’ascensore, la porta è proprio in
fondo.-
Accennò un inchino con la testa. –Arigatou.-
-Buona giornata, Usagi. Vai tranquilla, Mamoru non mangia e oggi è davvero di
buon umore.-
Lasciò la porta e lei la guardò richiudersi con un tonfo.
Salutò con una mano, girandosi dal lato opposto.
L’ascensore la stava aspettando già aperto.
Non dirò niente, a parte “chi non muore si rivede”.
E grazie, grazie a chi si ricorda di me, a chi mi ha aspettato, a chi mi legge
e soprattutto a chi mi dice la sua.
Francesca.
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