Superluna!

di LaLadyNera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Cupido-Motoki ***
Capitolo 2: *** 2. Inizi ***



Capitolo 1
*** 1. Cupido-Motoki ***


cap2

Qualche piccola premessa prima di lasciarvi al testo: in questa ff non uso i superpoteri delle Sailors, purtroppo. Avrei davvero voluto, collocando il tutto in un’ipotetica prima serie alterativa in cui Usagi e Mamoru non fossero l’uno contro l’altro fino allo sfinimento; ma al contempo volevo scrivere qualcosa di estremamente leggero, simpatico (se mi riesce) e sentimentale… qualcosa che magari la sera vi facesse rilassare e sorridere, quindi alla fine ho deciso di semplificarmi la vita. Poco onore a me. Di conseguenza posso dire che vi trovate davanti un au, per quanto non lo volessi.
Ho cercato però di mantenermi il più ic possibile, affidandomi anche al manga (soprattutto per i prossimi [due, o forse tre?!] capitoli un pochino limeggianti) e non solo al mio amatissimo anime, che purtroppo sotto il punto di vista sentimentale è un po’ piatto e ci presenta i protagonisti come due monaci asceti. Ma non lo sono! Non nella mia mente, almeno, quindi usate un po’ di fantasia e assecondatemi!
Uomo avvisato, mezzo salvato…
Detto questo, buona lettura, recensitemi se volete e/o potete. Vi ringrazio!

P.s La storia è ambientata ai giorni nostri.

P.p.s Disclaimer: Giuro solennemente che Sailor Moon, i suoi personaggi, i suoi nomi, ambientazioni, e tutto ciò che le appartiene, non sono di mia proprietà. Quel geniaccio di Naoko Takeuchi ne detiene ogni diritto.




                                       
                  SUPERLUNA!



1. Cupido-Motoki




Il suo bicchiere di limonata aveva perso la freschezza oramai da un pezzo, lasciandosi alla base una mini pozza di gocce calate giù lentamente dal vetro. Il ghiaccio all’interno si era sciolto, allungando la bevanda frizzante e rendendola poco appetibile.
La giornata era afosa, troppo per poter rimanere concentrata.
-Uffaaa!- Due code bionde, sgorganti da altrettanti chignon, caddero in avanti sul tavolino basso come fruste profumate di fragola e vaniglia, fendendo dolcemente l’aria e facendo volare carte e penne sul pavimento poco distante.
Otto occhi di colori diversi fissarono il pietoso spettacolo senza scomporsi. –Usagi, basta lamentarsi: devi studiare!-
Quei capelli potevano essere delle armi, tanto erano lunghi e folti e raccolti con cura.
I singhiozzi provenienti dalla testa china iniziarono a scuotere un paio di spalle esili, facendosi udire chiaramente. Anche troppo, forse.
Quattro ragazze sospirarono pesantemente, distogliendo definitivamente l’attenzione da ciò che stavano facendo.
-Usagi-chan, le vacanze non dureranno ancora molto. Hai pochi giorni per prepararti agli esami di recupero…-
Il lamento crebbe a quelle parole, tramutandosi in un grugnito. Le code si alzarono lentamente, il minimo indispensabile per far sì che due iridi azzurre si appuntassero sul viso della malcapitata proprietaria di quella voce da sotto una frangia scomposta. –Ma è così crudele questo destino! Stare tutto il giorno china sui libri mentre mezzo Giappone se n’è andato al mare…-
Esagerata.
-Noi siamo qui con te, Usagi. Non ti devi scoraggiare.- tentò la ragazza più vicina a lei, poggiandole una mano rassicurante sulle braccia che aveva usato come cuscino.
La guardò con in mezzo il velo mosso delle lacrime.
Minako, lei sì che era una vera compagna di sventure. Un’amica.
Non come Ami, che era sempre pronta a spronarla a buttarsi a capofitto in formule matematiche, kanji e strane frasi incomprensibili in inglese, senza mai accordarle una pausa.
Non come Rei, che era sempre in pole position quando c’era da brontolarla. Manco avesse tre anni.
Non come Makoto… ah no, come Makoto sì, lei sì che poteva essere paragonata a Minako. Lei e i suoi dolciumi dal potere antidepressivo.
Ora che ci pensava… aveva quasi fame.
Sospirò, smentendo mentalmente le sue stesse parole: le sue quattro amiche, uniche e irripetibili, erano le migliori che si potessero desiderare. Ognuna coi loro pregi e i loro difetti, ovvio, ma sempre lì per lei. Per loro.
Si raddrizzò, massaggiandosi la fronte che aveva un solco della stessa forma del braccialetto colorato che aveva al polso, per quanto sottile. Suo fratello glielo aveva spedito per posta insieme ad una cartolina dalla spiaggia che frequentava con la colonia estiva della scuola. Per i più ingenui quel regalo poteva passare come un gesto altruista, ma lei sapeva che Shingo lo aveva fatto solo per farla crepare d’invidia: lui a prendere il sole, a fare i tuffi, lei a Tokyo, divisa fra studio e tedio cittadino.
–Possiamo fare merenda? Mako-chan, cosa hai portato oggi di buono?- L’espressione trasfigurata dalla contentezza e dalla speranza si trasformò in pura delusione quando non vide alcun vassoio o contenitore comparire davanti a lei.
-Usagi, non ho proprio avuto tempo questa mattina… Sono uscita con Kaede…-
Già… col fidanzato.
Forse Makoto non era una buona amica, dopo tutto…
Sbatté il palmo aperto sul libro che aveva davanti, mai letto ma scarabocchiato distrattamente con un lapis mangiucchiato. –Vuol dire che me ne andrò al Crown!- Si mise in ginocchio, staccando le pagine che le si erano appiccicate alla pelle con un gesto impaziente, allungandosi alla sua destra per prendere la cartella che aveva gettato ore prima in un angolo.
-Ma Usagi, dobbiamo ancora ripassare più della metà delle cose che ci sono nella lista di oggi!- Ami era sbalordita, addirittura indignata.
-Lista? Quale lista?- chiese distrattamente riposizionando tutte le sue cose nell’astuccio, e l’astuccio nella borsa rettangolare in finta pelle.
Rei si sporse in avanti, congelandola sul posto con un’occhiata trucida. –Quella che Ami prepara per far sì che tu vada a quei maledetti test preparata!-
La fissò stupita, passando poi alla ragazza lì accanto, ancora composta sul tappeto, le gambe incrociate. –Grazie, Ami-chan, ma oggi proprio non ce la faccio, è tutto il giorno che studio…-
Tutto il giorno? La sacerdotessa che viveva nel tempio in cui si trovava scoppiò a ridere. –Ma se è appena un’ora e mezza che sei qui!-
Cooosaaa?!
Afferrò il braccio sinistro di Minako balzando in piedi e portandoselo davanti agli occhi, costringendola in una posa plastica dall’aspetto scomposto e molto scomodo.
Le sedici e trenta.
Sbatté le palpebre diverse volte, accertandosi di leggere correttamente.
-Ehi! Mi stai smontando una spalla!- sentì protestare in basso.
La lasciò andare ancora mazza stordita. Il tempo era volato… e lei non aveva prestato attenzione nemmeno per un secondo. Sentì il senso di colpa nascerle dentro, nel petto, e cercò subito di distrarsi. –Non importa quanto sia stata qui o meno, la cosa che conta è l’impegno con cui mi sono applicata. Quindi, direi che mi merito uno spuntino.-
Rei era paonazza. –Ma se non hai girato nemmeno una pagina in tutto il pomeriggio…-
Cavoli, se sapeva essere fastidiosa! La rabbia e la permalosità montarono in fretta, sposandosi alla perfezione dentro di lei. –Se sai tutte queste cose su di me, vuol dire che nemmeno tu hai compicciato molto, ma piuttosto sei stata tutto il tempo a spiarmi!- Si sentì un po’ ingiusta e molto bugiarda, ma evitò accuratamente di soffermarsi troppo su quelle sensazioni: era estate, aveva il diritto di non fare nulla!
-Certo, credici.- Gelo ed ironia, due cose che odiava.
Aaarrrggghhh! Doveva andarsene, subito.
Perché nessuno la capiva?!
Fece scattare la chiusura della cartella, impugnandola saldamente per evitare di lanciarla accidentalmente, ovvio, in faccia a qualcuno.
-Coraggio Usagi, se rimani ti prometto che domani ti porto i cookies americani: cioccolato fondente e noci. O mandorle, che ti piacciono tanto.- Makoto era una vera tentatrice, ma… no.
Scosse la testa, gli occhi chiusi, varcando la porta lasciata aperta nel tentativo di captare qualche alito di brezza fresca. O come minimo non bollente.
-Usagi-chan, noi lo diciamo per te. I tuoi genitori ti metteranno in punizione se non passerai gli esami, senza contare che recuperare da settembre, con le lezioni già iniziate, sarà più difficile…-
Mh, perché dover fare subito una cosa che poteva essere rimandata al giorno dopo?
-Non essere melodrammatica Amiuccia, ti prometto che da domani m’impegnerò come se da queste stramaledettissime materie dipenda la mia stessa vita. E poi lo sai, io non sono secchiona come te, anche se mi piacerebbe!- Le sorrise zuccherosa. Ci avrebbe provato ad essere diligente, giurò in silenzio. Farlo a voce alta le sembrò troppo rischioso.
-Usagi Tsukino! Nessuna di noi è stata rimandata, siamo tutte qui per darti una mano! Non puoi andartene a farti gli affari tuoi! Minako! Dille qualcosa!-
Si voltò a guardare la sua migliore amica, immobile al suo posto. –Be’, in realtà anche io sono stata rimandata… Cosa dovrei dirle?- Il suo imbarazzo era palpabile quasi quanto l’ira di Rei.
-Che si deve mettere giù e darci dentro! E poi tu hai avuto problemi solo in storia, l’unica materia in cui è stata passata lei invece è economia domestica!-
Iniziò seriamente a vederci rosso. Ma come si permetteva!
Gonfiò le guance insieme ai polmoni, pronta ad esplodere.
-No dai, non è vero: in educazione fisica ha la sufficienza.-
Uh, qualcuno che diceva la verità, per quanto misera e scarna.
-Anche in giapponese non è male, se non fosse per i kanji, ma quelli sono difficili per tutti…-
Già, vero. Cosa ci poteva fare se aveva la memoria corta?!
-Si è barcamenata anche nelle altre materie. In definitiva, dovrebbe solo migliorare un pochino in matematica, inglese, scienze e geometria…-
Eh? –Ma la geometria fa parte della matematica!- rettificò alzandosi sulle punte.
Ami arricciò le labbra. –Ehm, non esattamente. Ma se ti fa sentire meglio, possiamo anche far finta che lo sia.-
Waoh, che clemenza.
All’improvviso l’idea di andarsene a prendere un milk-shake  non le sembrò più così buona, forse era giunto seriamente il momento di mettersi con la testa sui libri. Eppure… Il suo stomaco brontolò rumorosamente, gli spaghetti di soia con pollo e verdure ormai già digeriti abbondantemente.
-Giuro che per la superluna sarò pronta…- sussurrò piano.
Si ritrovò quattro paia di occhi addosso. –Per cosa?- Un coro perfetto.
Sospirò. –La superluna. Luna piena incredibilmente vicina alla Terra. Ho molte speranze per quel giorno, dicono che porti bene. Non lo avete sentito alla tv?-
-E quando sarebbe?!- Evidentemente no.
-Il 10 agosto.-
-Usagi, siamo già a metà luglio! Gli esami inizieranno il giorno dopo! E’ ovvio che dovrai essere pronta per la superluna. Non hai scelta! Minako!-
Sfidò la ragazza che aveva tentato di difenderla con sguardo complice, certa del loro legame indissolubile. Lei non l’avrebbe mai tradit… -Usagi, Mamoru non ti guarderà mai con occhi diversi se continuerai a fregartene dello studio. Sai quanto ci tiene, vuole una ragazza matura e acculturata.- … a.
Il silenzio di tomba che calò era troppo per fare qualsiasi cosa: troppo per andarsene senza una spiegazione, troppo per rimanere senza temere lo scoppio di un interrogatorio poliziesco. I muscoli le tiravano per l’immobilità esasperata.
Minako si stava tappando la bocca con una mano tremolante, gli iridi due pozze di colpa.
La trapassò con gli occhi ridotti a fessure gelide. Ti uccido, sibilò lentamente in modo che potesse leggere le parole lasciate aleggiare nell’aria.
Non poteva essere ricattata con lo studio, Mamoru e studio non stavano bene insieme.
Almeno non per lei, non con quella distanza fra di loro..
Non davanti a tutte le ragazze.
Deglutì rumorosamente, la pelle del viso in fiamme.
-Cosa diavolo c’entra Mamoru adesso? Lui ed Usagi si detestano, sono agli antipodi!-
Un fulmine l’attraversò, elettrizzandola fino al midollo.
Ghignò, portandosi la cartella al petto e stringendola forte. Quella sera, a turno, sarebbe stata impegnata al telefono a spiegare cosa, come, quando e perché, ma adesso non poteva più perdere tempo.
La superluna si avvicinava.
-Mina-chan, sei un genio. Ti voglio un bene dell’anima!-
E senza dare il tempo a nessuno di placcarla, corse via sollevando polvere e sassolini al suo passaggio.


Mamoru Chiba, diciassette anni, amava il caffè.
Non quello che si compra al supermercato in polvere, in capsule, solubile, in granuli, ma quello buono, fragrante, intenso e deciso che si concedeva ogni giorno al bar-sala giochi del suo amico Motoki.
Della famiglia del suo amico Motoki, in realtà, lui lo gestiva solamente nel tempo libero e quando i genitori avevano degli impegni importanti.
Il Crown.
Se non fosse stato per la confusione infernale che vi regnava il pomeriggio dopo la chiusura delle scuole, ci avrebbe trascorso volentieri anche del tempo a studiare, raccomandandolo ai suoi compagni delle superiori. L’ambiente rilassato, ampio e luminoso gli sarebbe stato d’ispirazione, ma ora che gli scolaretti delle medie erano nell’usuale pausa estiva e lui non aveva una tabella di marcia serrata, poteva godersi semplicemente qualche minuto in più seduto al suo solito posto al bancone principale leggendo il giornale.
Si passò il polpastrello di un indice sulle sopracciglia bagnate di sudore mentre attraversava la strada semi deserta sulle strisce pedonali. Anelava il freddo dell’inverno, sperava che nevicasse quell’anno, perché il caldo dell’estate lo spossava fastidiosamente.
Le porte scorrevoli del locale si scansarono per lasciarlo entrare al fresco dell’aria condizionata.
I colori pastello delle pareti e del pavimento, simili a quelli delle imbottiture, gli permisero di togliersi subito gli occhiali scuri senza riceverne troppi fastidi. Li appuntò nella camicia bianca che portava, al posto dei primi bottoni lasciati liberi.
-Heilà Mamoru, cosa posso portarti?- lo salutò Motoki, i gomiti poggiati sul tappetino gommoso vicino al lavabo. Non c’era quasi nessuno quel giorno.
Avanzò piano, scivolando sullo sgabello morbido. -Caffè, per piacere.-
Gli occhi nocciola del suo migliore, unico, vero amico lo squadrarono con disapprovazione.
Si aggiustò meglio. –Che c’è?-
-Caro mio, fra non molto tempo entrerai da quella porta e alla mia domanda risponderai: “il solito, buon vecchio Sam”. Proprio come nei film che danno sulle reti satellitari.-
Mamoru scrollò le spalle, gli occhi al cielo. –Sia maledetto quel tipo che ti ha montato la parabola.-
L’altro rise portandosi completamente in piedi, unendo le dita dietro la schiena per farle scrocchiare. –Non parlare così del ragazzo di mia sorella, altrimenti chi se la prenderà in sposa quando arriverà il momento?!- Stiracchiò le braccia.
-Unazuki è una brava ragazza, se la caverebbe comunque. Adesso posso avere il mio caffè?-
-No!- Motoki sembrava avere altri piani per lui quel giorno. –Perché non provi qualcosa di diverso? Un cappuccino, per esempio?-
Storse il naso, arricciandolo. –Sai che il latte mi fa male.-
Schioccò le dita. –Che disdetta! Allora una caffè freddo!-
Non sembrava un’idea venuta fuori così, dal nulla… Tutto quell’entusiasmo a cosa era dovuto?
-Il caffè è il solito che fai tu?-
-Certo! Solo shakerato con ghiaccio, una puntina di crema di Whisky e zucchero di canna…- spiegò concitato.
Eh?
Guardò l’ora: non erano nemmeno le cinque.
-Vuoi farmi ubriacare per caso? Sai che non reggo molto bene le bevande alcoliche, mi sciolgono la lingua.- Lo aveva imparato in una volta sola, alla festa per le matricole del primo anno, e possibilmente non voleva ripetere l’esperienza.
Per tutta risposta Motoki afferrò una sottospecie di bicchiere centellinato piuttosto alto, trasparente e spesso, caricando con la mano libera la macchinetta di polvere scura.
-E’ proprio questo quello che voglio: il mio caffè freddo, oltre che a deliziarti il palato, ti aiuterà anche ad essere un pochino più naturale con una certa chi so io.-
Ecco, sapeva che c’era qualcosa sotto. –Posso rifiutare? Preferirei davvero la mia tazza di caffè normale…-
Il rumore del tappo di liquore che veniva aperto gli fece capire che ormai era troppo tardi.
-Stai tranquillo, andrà tutto bene!- La tazzina venne quasi del tutto riempita di liquido nero, il ghiaccio in cubetti lo aspettava già nel contenitore apposito, una bella cascata di crema chiara e densa completò l’opera.
-Ehi! Vacci piano!-
Motoki gli rifilò un’energica pacca sulla spalla sinistra sporgendosi oltre la superfice piana da lavoro, facendolo chinare sotto al colpo. –Forza e coraggio! Il mio aiuto e quello del Baileys non possono farti che bene!-
Incrociò le dita poggiando i gomiti davanti a lui, rassegnato. –La situazione è già critica di suo, non c’è davvero bisogno di complicarla.-
Il bicchiere che gli venne posizionato davanti aveva la forma di un imbuto spigoloso rovesciato, simile a quello usato per servire il Martini.
Non che lui lo avesse mai bevuto, lo sapeva per cultura generale.
Osservò l’amico chiudere la miscela con un tappo metallico, iniziando a sciaguattarla con forza in alto, di lato alla propria testa, con entrambe le mani. Il ghiaccio sbatacchiava rumorosamente, e solo quando quel suono svanì si ritrovò la sua porzione versata accuratamente al suo posto.
Sembrava buono, ma non era molto convinto di voler fare da cavia: era un tipo abitudinario lui. –Lo hai già testato o io sono il primo sfortunato?-
-Fortunello, vorrai dire!- lo corresse Motoki riempiendo il contenitore sporco di acqua calda corrente. Alzò il viso per incitarlo con un’occhiata impaziente. –Muoviti, fra poco sarà qui.- rincarò accennando alle porte scorrevoli con un’alzata di sopracciglia bionde.
Alzò le spalle, afferrando il vetro sottile a metà della sua lunghezza, fra il pollice e l’indice. Portò il bordo alla bocca, poggiandocela con cautela.
Annusò. L’odore di alcool era forte, ma mischiato a quello del caffè non gli risultò spiacevole.
Ne prese un piccolo sorso, tenendoselo nelle guance, sulla lingua. Amaro e dolce al punto giusto.
Inghiottì, avvertendo chiaramente il liquore solleticargli le pareti inesperte della gola.
-Com’è?!-
Alzò una mano, le dite unite e spiegate. Ottimo, pensò sorseggiando piano, ma… -Mh, discreto.- Il caffè semplice era migliore.
Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di fargli capire che qualcuno, o peggio ancora qualcosa, potesse modificare le sue preferenze.
Motoki non perse nemmeno il tempo necessario a chiedere spiegazioni. –Bene, detto da te è un complimento. Lo metterò nel menù e lo chiamerò “Baka Ice Coffee”.-
Lo insultò con gli occhi. –Non ci provare, o farò in modo che il fidanzatino di tua sorella scompaia nel nulla.-
Crudele.
Sarebbe stato davvero un miracolo se Mamoru fosse stato ricambiato nei suoi sentimenti, con quel caratteraccio che si ritrovava.
Per questo doveva impegnarsi con tutte le sue forze…
-Come fai a sapere che verrà?-
Incastrò lo staccio che aveva usato per asciugarsi le mani in una della maniglie dei mini frigo sotto al bancone. –Viene sempre per quest’ora.-
-E se proprio oggi avesse da fare? Mi avresti fatto ubriacare per nulla.- ululò Mamoru studiando mestamente quel che era rimasto del suo drink.
Ancora metà. Lo sapeva, per questo c’era andato giù pesante col whiskey.
Gli sorrise. –Stai tranquillo, vedrai che adesso arriva. Me lo sento. Piuttosto, mettiti d’impegno e questa volta concludi qualcosa. Non ne posso più di questa situazione.-
Il suo migliore amico sembrava annebbiato. –Come se la cosa riguardasse te…-
Gonfiò il petto, buttando fuori aria calda dalle narici. –Mi riguarda eccome, visto che sfoghi tutte le tue frustrazioni su di me. Le cose ti vanno male e vieni qui a lamentarti. Niente di sbagliato, se non fosse che non fai assolutamente niente per piacerle e quindi cambiare le cose in meglio per te!- Si concesse un sospiro stanco. –E di conseguenza anche per me, che non sarei più costretto a sentirti blaterare ogni santissimo giorno.-
Ecco.
Mamoru lo squadrò quasi offeso. –Sai che ho delle difficoltà a trattenermi quando si tratta di lei, non lo faccio a posta…-
-Già; la cosa che non capisco è il perché. Perché sei cortese, educato, amabile con tutti e tutte, tranne che con lei? Non riesco proprio ad arrivarci.- Se l’era chiesto spesso senza riuscire mai a rispondersi. Adesso voleva saperlo.
Lo vide inarcare le sopracciglia, lasciando il peso della testa ricadere su due dita premute contro una tempia. –Mi diverte.-
Sembrò avere da ridire.
-Ma non in quel senso!- si affrettò ad aggiungere prima di essere travolto da vere e proprie maledizioni. -Non lo faccio per prenderla in giro…- Be’, all’inizio sì, ma ora era diverso. –Mi piace vedere che si agita, che si dibatte, perché tutto quel rossore e quella voce rotta dalla rabbia e i pugni chiusi la rendono ancora più carina di quello che è normalmente…-
Oh, che romantico! Non poteva crederci.
Fece schioccare le labbra fra di loro. -Hai una concezione strana di carina. E una assurda di amore.-
Lo sapeva, ma per lui era così. Girò la testa per scrutare fuori dalle vetrate.
Poi “amore” era un parolone, non sapeva nemmeno se… Un bagliore dorato catturò la sua attenzione, un’onda in rapido avvicinamento.
Trangugiò in una sola boccata tutto il caffè freddo che gli era avanzato.
-Cavolo! Che ti è preso?!-
-Eccola!- fu l’unica cosa che riuscì a sibilare, afferrando il giornale e portandoselo davanti al viso.
Motoki si volse all’entrata del proprio locale al rumore del campanello che annunciava l’arrivo di un nuovo cliente.
Sorrise, diabolico.
-Ciao, Usagi-chan! Vieni a fare due chiacchiere qui con noi!-
Mamoru sussultò appena: certo che quel barista non perdeva proprio tempo.


Mamo-chan...
La scusa perfetta.
Avrebbe dovuto erigere una statua a Minako.
Annuì mentre camminava per i marciapiedi quasi del tutto sgombri, attirando l’attenzione di qualche passante. Lo avrebbe fatto.
Lo studio.
Mamoru.
Lo studio e Mamoru, assieme.
Mamoru amava lo studio. Si era sempre dimostrato attento alla propria carriera scolastica con quei libri perennemente aperti davanti a lui, con quegli occhialetti rettangolari da lettura sul naso, con la divisa scolastica stirata alla perfezione.
Sorrise pregustando la nascita di nuovi sogni romantici, ma li bloccò subito per rimandarli a più tardi, quando avrebbe avuto tutto il tempo di pensarci con calma.
Lo studio, Mamoru e lei.
Ghignò. Per una strana legge matematica di cui non ricordava il nome, ma solo vagamente il contenuto, se tutto fosse andato secondo i suoi piani, la faccenda si sarebbe conclusa con Mamoru che adorava anche un’altra cosa, oltre la scienza: lei.
Saltellò un poco mentre aspettava che il semaforo cambiasse colore da rosso a verde.
Poco importava che detestasse ogni attività che anche solo lontanamente riguardasse quel mondo; era per una buona causa.
Sicuramente non sarebbe stata una passeggiata di solo piacere, considerando lo strano rapporto-non rapporto che Mamoru e lei avevano stretto in quei mesi di conoscenza, ma qualcuno aveva scritto e detto e urlato al mondo che l’ottimismo era il profumo della vita, quindi perché non fidarsi di chi aveva più esperienza di lei...
Lanciando una rapida occhiata ad un monitor tv che stava trasmettendo un tg nella vetrina di un negozio, quasi ebbe l’impressione di poter sputare il cuore fuori dal proprio corpo dall’emozione: le 16 e 56 minuti.
Mamoru doveva assolutamente trovarsi al Crown a quell’ora.
C’era sempre.
Seguendo una coppietta di fidanzatini a braccetto attraversò la distanza che la divideva dal lato della strada che l’avrebbe condotta alla gioia.
Pregò che il suo Mamo-chan non avesse deciso proprio quel giorno di saltare la sua usuale tazza di caffè, sarebbe stata una sfortuna immensa, e pregò anche che non possedesse quello strano sesto senso che certe persone hanno in fatto di bugie.
Non era brava a mentire, e aveva una sola occasione da sfruttare.
Alla vista dell’insegna gialla e celeste si arrestò sui suoi passi.
-Ehi ragazzina! Stai attenta, o farai cadere qualcuno!-
Usagi fissò l’uomo arcigno che le passò accanto con espressione assente, non del tutto certa di aver compreso bene le parole che le erano state rivolte. Non accennò nemmeno l’inchino che avrebbe dovuto fare per scusarsi della sua sbadataggine.
Le faceva male la pancia.
Era quello strano dolore che le prendeva la mattina presto quando sapeva che a scuola le sarebbe toccata una bella interrogazione, o un compito in classe.
Ci aveva fatto leva certe volte con sua madre, riuscendo ad ottenere il permesso di restare a casa, ma una volta collegati i doloretti con l’ansia, e l’ansia con la sua leggerezza negli studi, i giochi per lei erano finiti.
Se li portava dietro consapevole che gli evitamenti non erano più possibili, una sorta di muta rassegnazione la forza motrice dei suoi passi.
Ma quello non era il momento giusto per rivangare vecchi ricordi spiacevoli.
Era nervosa.
Lei e Mamoru non avevano mai avuto una conversazione civile in quasi un anno di incontri quasi quotidiani, forse il suo piano aveva delle falle che era meglio riconsiderare prima di agire, per evitare di sprecare l’alibi perfetto... Eppure si sentiva impaziente.
Vagò con lo sguardo sull’asfalto alla ricerca di una monetina per tirare a sorte.
Poco distante la coppietta che l’aveva preceduta lungo il tragitto era seduta su una panchina all’ombra di un alberello, e stavano parlando e ridendo insieme di qualcosa che probabilmente gli univa anche se erano sicuramente diversi. Chissà come era iniziata la loro storia, se si erano stati subito simpatici, o se anche loro come lei avevano dovuto affrontare un percorso di accettazione prima di capire che…
Ooh! Chissà com’era avere qualcuno accanto da amare e a cui dedicarsi…
Basta.
Era stufa marcia di accontentarsi di quella piccola parte che Mamoru le riservava di lui solo quando discutevano.
Voleva di più. Voleva sentirsi come quei ragazzi a due passi da lei, contenti e leggeri.
Stringendo i denti per la paura e la speranza, puntò le porte del Crown e quasi vi si lanciò contro.
-Ciao, Usagi-chan! Vieni a fare due chiacchiere qui con noi!-
Cavolo.
Era già lì.
Se lo era augurato, ma adesso rivalutava l’idea che sarebbe stato meglio se lui fosse arrivato dopo di lei, per darle il tempo di ambientarsi e prepararsi alla recita della sua vita.
Motoki l’aveva accolta con calore, come sempre, e Mamoru era davanti a lui, seduto al suo posto preferito, il giornale spiegato davanti agli occhi, nascondendoglielo dalla base del collo in su.
Si avvicinò facendo dondolare la cartella nell’aria, la pancia le lanciava fitte da sudarella.
-Motoki-san, che bello vederti. Ciao, Mamoru.- Lo aveva salutato cercando di usare il solito tono, tentando di non tradirsi.
-Odango…-
Ehm… -Mamoru, ti sei accorto che stai tenendo il giornale al contrario?-
Sentì Motoki accanto a lei soffocare una risata, e lo vide tapparsi la bocca con una mano.
Mamoru abbassò la carta stampata con estrema lentezza, ripiegandola e lanciandola lontano sul bancone, facendola scivolare. –Allora anche tu sai leggere, Odango Atama.-
Certo, insultarla era un classico, ma lui era davvero un tipo strano certe volte…
-Ma cosa vuoi, baka? Sei tu quello che sarebbe da prendere in giro, non io!-
Le rivolse un sorriso smagliante fintamente comprensivo, spostandosi i capelli neri dalla fronte con una mano.
Accidenti, aveva denti perfetti, bianchissimi, e occhi blu notte, diretti e intensi, e dita lunghe e sottili dall’aspetto curato… Era… era…
-Per te e quegli assurdi capelli possiamo fare sempre un’eccezione, Odango!-
… era un deficiente.
Trattenne il principio di un urlo nel petto, lasciandolo scivolare via dal naso. Litigare non era la strategia adatta, quel comportamento era controproducente.
Doveva portarlo a parlarle normalmente.
Inarcò gli angoli della bocca all’insù, regalandogli un’occhiata amichevole. –Non voglio discutere Mamoru-san, oggi è stata una giornata mooltoo pesante già di suo…- soffiò con una nota ben comprensibile di stanchezza nella voce.
Gli si sedette accanto facendo scivolare la borsa ai piedi dello sgabello alto, aspettando una domanda che non arrivò. Ma che cavolo…
-Cos’è successo Usagi-chan? Vuoi raccontarcelo?-
Uh, menomale che c’era Motoki.
Sospirò. –Non vorrei annoiarvi coi miei problemi…-
-Ma no! Siamo tuoi amici. Ci interessa quello che ti succede!... Vero Mamoru?-
Alzò il viso nella sua direzione, girandosi a guardalo.
C’era qualcosa di strano in lui quel pomeriggio… Sembrava abbronzato. No, meglio ancora, leggermente paonazzo.
Cercò di non farsi beccare con lo sguardo trasognato che riservava solo a lui appuntato ai suoi lineamenti decisi, ma soltanto con una scintilla di speranza negli occhi umidicci.
-Certo.-
Ah! Che attrice! Avrebbe potuto considerare una carriera in campo cinematografico…
Indossò la sua espressione più addolorata. No, teatrale, era più portata per una carriera di teatro tragico.
-Purtroppo il primo quadrimestre non si è concluso molto bene, e sono stata rimandata agli esami di riparazione.- Fece una pausa per permettere a Mamoru di sfogare la sua ironia, ma lo ritrovò intento a fissare il fondo vuoto di uno strano bicchiere che aveva davanti a sé. Prosegì, incredula. –Avevo già iniziato i ripassi con Ami-chan e le altre ragazze, ma sapete, è estate, e non mi sembrava giusto costringerle a starmi dietro visto che loro non hanno avuto problemi…-
Motoki la fissava con una strana luce negli occhi. –Sono andate in vacanza fuori città?-
Scosse la testa. –Sono qui, ma ho deciso di lasciarle libere di godersi questi giorni senza pensare alla scuola, anche se hanno molto insistito. Ho detto loro che i miei genitori avevano trovato un insegnate privato per darmi ripetizioni…-
Motoki le presentò davanti una ciambella glassata avvolta per metà in un fazzoletto sottile. Represse uno squittio di gioia, afferrandola con finta riluttanza.
-Ma non è la verità…- completò il ragazzo per lei.
Si limitò ad annuire, mordicchiando un bordo stondato della pasta soffice.
-Non si dicono le bugie, Usagi…-
Mh, se solo avesse saputo che tutta quell’intera storia era una bugia… Quasi quasi si sentiva in colpa.
-Mi sembrava che anche Minako fosse stata rimandata…- La voce bassa di Mamoru, inspiegabilmente roca, gli arrivò all’orecchio destro. Lo fissò con la bocca spalancata: aveva una memoria da elefante!
-Ti ricordi male evidentemente, Mamoru, altrimenti Usagi lo avrebbe detto.- intervenne Motoki.
Passò a squadrare lui: non lo aveva mai sentito usare quel tono stizzito, era una novità.
-No, Usagi?-
Tornò a Mamoru, confusa. Stava succedendo qualcosa di strano là dentro, e il suo piano non c’entrava niente.
-Ha rischiato, ma all’ultimo ce l’ha fatta a recuperare. Forse si è spiegata male…- Da dove le uscivano questi salvataggi in extremis…
Il suo concupito la guardava senza dire niente, senza controbattere, senza espressione.
Si sporse un pochino sul bancone, verso Motoki. Lui la imitò. –Ma sta bene?-
-Sì, perché?-
Usagi nascose la bocca con una mano, lanciando occhiate preoccupate di lato. –E’ tutto rosso. E poi è stranamente silenzioso…-
Già, convenne Motoki. Cosa ne era stato della lingua sciolta?!
-Avrà preso un colpo di sole.-
Tornò al suo posto. –E dove?-
-Al parco! Vero Mamoru che oggi sei stato al parco?-
-Sì… Comunque sia, qual è il problema, Odango? Non ho capito.-
Bene, quindi l’aveva ascoltata!
-Il problema è che ho detto alle mie amiche che ho qualcuno con cui studiare, ma non è vero, e ai miei genitori ho detto  che mi sarei preparata con le mie amiche, ma non posso. Quindi non ho nessuno che mi dia una mano… La matematica non è davvero il mio forte.-
Mamoru aveva gli occhi appannati. –Capito… Questa cosa ti insegnerà che certe volte l’altruismo non è una buona cosa.-
-Chiba! Ora basta! Cerchiamo una soluzione, piuttosto che continuare ad infierire. Usagi ha capito che mentire non è mai utile…- Tranne che in rarissimi casi.
-Sì, Motoki-san, non succederà più.- si avvilì ulteriormente.
La situazione si metteva male: Motoki abboccava ai suoi ami, Mamoru no. Sembrava nel paese delle meraviglie, immerso in un suo mondo personale.
Se non avesse saputo che era un ragazzo diligente, avrebbe messo la mano sul fuoco che fosse brillo.
Non voleva ritrovarsi nello scomodo caso di dover rifiutare l’aiuto di Motoki se Mamoru non si fosse svegliato. Come si sarebbe giustificata?
Nascose il viso fra le mani. Questa era la riprova che fra lei e quel baka non sarebbe mai potuto nascere niente… Se ne stava infischiando.
-Ci sono!-
Sobbalzò al grido di entusiasmo di Motoki.
Oddio, no…
-Mamoru può darti una mano a preparati per gli esami, è bravissimo in quelle materie!-
Cosa?!
Per evitare di saltare in piedi quasi si spalmò sul piano davanti a lei. C’era arrivato!
Qualcuno ci era arrivato!
Anche se non ne aveva immaginato così l’andamento, il suo complotto stava andando a buon fine. Adesso mancava solo che Mamoru accettasse.
Saltò giù dallo sgabello, prendendogli le mani nelle sue.
Arrossì al contatto, ma non poteva evitarlo, giocava il tutto per tutto.
Mamoru era stordito.
-Lo faresti Mamoru? Mi daresti una mano?-
Lo vide trattenere il respiro.
-Okay.-
-Aaah!- Gli volò fra le braccia, buttandogli le proprie attorno al collo.
Non si sentì ricambiata, ma non le importò.
-Grazie grazie grazie grazie grazie!-
Si voltò con un sorriso a trentadue denti verso il suo barista preferito, il suo santo protettore, il suo mito. –Quanto ti devo per la ciambella?-
-Niente, offro io.- sussurrò Mamoru, allontanandole le mani dalla cartella che aveva raccattato da terra e posato sul bancone.
-Aaah! Grazie mille Mamoru! Ci vediamo domani?-
Annuì solamente.
-Sono così contenta! Adesso vado, si è fatto tardi.-
Si fermò sulla porta aperta, alzando un braccio in alto. –Ciao ciao!-
-Ciao Usagi-chan!-
-Ciao Odango…-
Una volta che i vetri si furono riuniti, Motoki strattonò l’amico per una manica.
-Mi dici cosa ti è preso? Se non ti avessi aiutato io, avresti collezionato l’ennesima figuraccia da maleducato insensibile.-
-Scusa, mi è venuto improvvisamente sonno. Forse è meglio che mi avvii anche io verso casa…-
Ops, forse ci era andato giù un po’ troppo pesante con la componente alcolica del suo caffè freddo.
-Ok amico, ma almeno dimmi: sei contento?-
Lo vide sorridere come un ebete, un ebete innamorato. –Contentissimo, grazie Moto-chan.-
Uh, era proprio sbronzo.
-Meglio se prendi l’autobus. Ce la fai?-
-Sì sì, sto bene.-
Barcollò fino all’uscita. –Ci vediamo domani.-
Annuì, pensieroso. –Forse è meglio se torniamo al tuo solito caffè normale.-
-Sì, decisamente.-


Motoki era soddisfatto.
Più soddisfatto di quando aveva ottenuto il massimo ad un esame.
Più soddisfatto di quando aveva ricevuto il suo primo stipendio dopo un lungo mese di duro lavoro.
-Usagi e Mamoru…- borbottò sorridendo, tirando giù la serranda del locale.
Si era fatta sera, il cielo era azzurro, la luna si intravedeva già fra le nuvole velate.
-Motoki-chan!-
Reika, la sua fidanzata, lo raggiunse correndo. –Scusa il ritardo, stavo dando ripetizioni di storia ad una ragazza che abita qui vicino.-
Fischiettando le posò un braccio attorno alle spalle. Occhi verdi lo fissarono stupiti.
-Che cos’hai? Sembri di buon umore.-
Roteò le chiavi nell’indice, avviandosi verso casa. –Io sono sempre di buon umore.-
Reika gli cinse la vita sorridendo. –Vero, ma stasera sembri… raggiante.-
Motoki scoppiò a ridere. –Raggiante come una donna incinta?-
-Sì, come una mamma.-
-Effettivamente è stato un parto…-
Si sentì trattenere, fermarsi. –Che cosa è successo?-
Soffiò piano sulla sua faccia, scompigliandole la frangia castana. –Hai presente Mamoru ed Usagi? I miei amici che non si sopportavano?-
-Mh-hm… Quelli che secondo te in realtà si piacciono…-
-No secondo me, Mamoru è cotto, stufato…-
-Sì, insomma?-
-Sono riuscito finalmente a combinare uno pseudo appuntamento! E ti dirò di più, secondo me anche Usagi cova qualcosa…-
Reika lo studiò con diffidenza.
-Motoki, ti sei rimesso a giocare a fare Cupido un’altra volta? Non sei un granché, lo sai…-
Ripresero a camminare.
-Ma cosa dici?! Se l’ultima volta, e anche l’unica, è finita che tu ed io ci siamo messi insieme!-
-Già, peccato che il tuo piano originale prevedeva che io dovessi mettermi con quel tuo compagno di classe, e non con te.- precisò la ragazza guardandolo storto.
-Vabbé, questi sono dettagli.-
Se lo strinse al fianco con più convinzione. –Divertiti pure, l’importante è che non ti nascano strane idee su questa tua amica.-
Motoki le baciò la testai, sorridendo fra i suoi capelli. –Usagi è la mia sorellina. Sai che non ho occhi che per te, micina mia…-
Reika alzò gli occhi al cielo: povero quel Mamoru, non sapeva in cosa si era cacciato.






Evvaiii!
Ce l’ho fatta! Capitolo concluso!
Non sono convinta al 100% della parte centrale, ma l’ho riletta, e per ora va bene, sono ansiosa di pubblicare, correggerò e aggiungerò qualcosa in caso domani o nei prossimi giorni.
Per piacere, se vi ho trasmesso qualcosa, qualsiasi cosa, fatemelo sapere con una bella recensione.
Come “scrittrice”, per me i vostri pareri sono molto importanti, mi mostrano la giusta via, nel bene e nel male.
Spero di avervi fatto sorridere, di avervi incuriosito, io mi sto divertendo un mondo ad immaginare e scrivere questa storia. Spero anche voi.
La superluna è stato un avvenimento accaduto davvero il 10 agosto 2014, e mi ha dato l’ispirazione.
Come sempre, vi invito a leggere le altre mie storie in via di sviluppo per capire cosa ne devo fare, se ne vale la pena oppure no.
Till next time, my friends!

LaLadyNera


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Capitolo 2
*** 2. Inizi ***


cap3

2. Inizi



Chi ben comincia è già a metà dell’opera.
La camera della sua migliore amica sarebbe potuta benissimo essere un negozio di caramelle.
Il colore carta zucchero della carta da parati si sposava benissimo con il rosa della moquette e gli sprazzi di giallo qua e là, come i piccoli mobiletti stracolmi di manga, videogames e riviste, o le falci di luna stampate sulla coperta del letto, completavano quella che doveva essere l’opera d’arte di una ragazza che il mondo lo vedeva filtrato da quegli stessi toni allegri e vitali.
Minako fissò divertita per qualche secondo le pagine in bianco e nero di un racconto a disegni abbandonato per terra: uno studente dai capelli scompigliati stava trattenendo con aria melodrammatica una tizia con due occhi giganti.
-Cosa ci trovi in questa roba, me lo vuoi spiegare?-
La testa bionda che si affacciò dalla porta del bagno portò con sé un’espressione di profondo disappunto. –Mi piacciono le cose romantiche, ormai lo dovresti sapere.-
Indicò lo shoujo senza smettere di guardala. –Queste storie sono tutte uguali, non sarebbe meglio che tu ti buttassi su qualcosa di diverso?-
Usagi scomparve di nuovo dalla sua vista, facendo cascare qualcosa sul pavimento. La sentì imprecare nell’altra stanza.
-Per esempio?-
Sbuffò mentre con due polpastrelli disegnava distratta i contorni della collezione sulle mensole sopra la scrivania. Non sapeva bene il perché, ma aveva come la sensazione che non fossero state messe lì per contenere quel genere di letture.
Ricordò con estrema nitidezza l’esasperazione con cui la madre di Usagi si era rivolta solo qualche giorno prima ad Ami, implorandola di aiutare la figlia nello studio. Le aveva addirittura offerto dei soldi che erano stati ovviamente rifiutati, e poi era riuscita a stappare a tutte la promessa di invogliarla con il loro buon esempio. Durante l’intero anno si erano incontrate sporadicamente in vista di verifiche importanti per prepararsi o ripassare, ma Usagi non si era mai dimostrata particolarmente interessata. Di solito cercava sempre metodi per distrarsi con una nonchalance che sfiorava la sfacciataggine pura.
Scosse la testa; no, decisamente i signori Tsukino avrebbero gradito un altro tipo d’interesse da parte della loro primogenita piuttosto che gli anime e i manga.
Qualcosa venne spruzzato ripetutamente alle sue spalle, incuriosendola.
Si affacciò sul limite del bagno con le braccia incrociate al petto. –Dei romanzi, giusto per dirne una.- Poggiò una spalla allo stipite più vicino senza nascondere il sorriso.
Usagi si era infilata una gonna piuttosto corta e a balze, di un bianco sporco, che aveva tutta l’aria di essere stata confezionata all’uncinetto. –Mi ricordo quando l’hai comprata: pensavi a Motoki.-
Si ritrovò fulminata. –Le cose cambiano.-
La canotta blu le ricadeva bene sui fianchi, facendola sembrare più alta.
Chissà quanto ci aveva pensato su, prima di decidere cosa indossare per quel presunto fatidico giorno.
-Non potrei mai leggere quella roba che si porta sempre dietro Ami!- Cambiò discorso sistemandosi nervosamente gli odango perfettamente rotondi.
-Se a lei piace leggere gialli o fantascienza non dev’essere lo stesso per te. Esistono anche libri romantici, di avventura, fantasy…-
-Lo so, ma non mi interessano.-
Quelle quattro mura erano una camera a gas, Usagi ci aveva dato dentro col deodorante.
Arricciò il naso nonostante l’odore di base fosse buono, ma la quantità storpiava decisamente il tutto. –Vuoi uccidere Mamoru?- Tossicchiò spazzolando l’aria davanti a sé con una mano.
-No, che dici! Sai perché leggo molti manga?-
Decise che non valeva la pena rischiare il soffocamento per saperlo, quindi uscì scuotendo la testa. Usagi la seguì velocemente: forse finalmente era pronta e adesso poteva prestarle dieci secondi di attenzione! Si era alzata presto per presenziare a quel rito ed era lunedì, inizio settimana di vacanze: se lo meritava.
Non poteva credere di essere lì già da un paio d’ore e non essere riuscita a parlarle per bene. –Perché li rubi a Rei e quindi non devi sborsare uno yen per averli?-
L’amica gli rivolse una sonora pernacchia nel superarla per dirigersi alla scarpiera. L’aprì, ma si girò a guardarla con occhi sognanti.
-No davvero. Leggo quei manga perché le loro storie d’amore sono così simili a quella mia e di Mamoru! Mi danno consiglio!-
Ah be’.
-Pensavo che l’idea geniale fosse partita da un mio suggerimento, non da quello di qualche mangaka…- Si finse offesa.
Usagi annuì vigorosamente. –Infatti è così, ma per il comportamento che dovrò tenere la mia cultura su queste cose mi sarà utile.- Le diede le spalle, rovistando rumorosamente fra gli scompartimenti inclinati di legno.
-Ah-ah!- Esultò tirando fuori un paio di scarpe di tela del preciso colore del suo top. Le infilò veloce ai piedi, voltandosi e spalancando le braccia. –Come sto?!-
-Bene. Mi sembra anche il minimo, ci hai messo due secoli per prepararti.- Non poteva di certo rinunciare a qualche facile frecciatina: le aveva fatto perdere mezza mattinata per una gonna e un pezzo striminzito di cotone!
Meglio del vestito con le ciliegie con cui l’aveva accolta al suo arrivo, comunque.
La osservò neutrale: non era stato del tutto tempo sprecato, adesso che sembrava davvero dovesse andare ad un incontro per studiare, piuttosto che ad un pic-nic in campagna, ma aveva proprio necessità di sfogarsi...
Tentò di celare il suo mal contento, Usagi stava trattenendo l’aria nella guance, le sopracciglia sottili unite sopra al naso. Brutto segno.
Era offesa?! Il ricordo della spiacevole situazione in cui si era ritrovata il pomeriggio prima, al tempio di Rei, sola, dopo la sua fuga, le diede la spinta definitiva per infischiarsene. –In più, non mi risulta che tu e Mamoru abbiate già qualcosa in corso, a parte delle lezioni di matematica che più che farlo cadere ai tuoi piedi, faranno cadere te addormentata, secondo me.-
Mh.
Usagi era sbigottita. –Ma sei venuta qui per incoraggiarmi o per portare sfiga?!-
Si lasciò cadere seduta sul letto, distendendo le gambe davanti a sé e incrociando le caviglie. –Ti sto supportando, altrimenti sarei a casa in questo momento, dopo tutto quello che mi hai fatto passare- sibilò con finta carineria.
-Cioè?- Adesso Usagi teneva le mani fermamente arpionate ai fianchi, un po’ minacciosa, un po’ impaurita. Non sopportava che le persone fossero in collera con lei, Minako lo sapeva bene.
-Hai chiamato le ragazze?-
Usagi sembrò capire e lasciò ricadere le braccia lungo il corpo. –Ieri sera; tu non le hai sentite?-
-Le ho sentite molto bene, dal momento che sei scappata via come una pazza lasciandomi circondata e senza un cavolo da dire! Non sapevo come venirne fuori. Non sapevo cosa inventarmi!- Quasi strillò per l’impazienza. Sputare il rospo la fece sentire subito un po’ più rilassata. Vide Usagi richiudersi nelle spalle. –Non sapevo se dire la verità, o fare finta di niente, o mettermi giù e coprirti il sedere con qualche scusa idiota!-
Non voleva mortificarla, ma non era stato bello.
Non tanto nei suoi confronti, aveva e poteva sopportare di peggio, soprattutto per un’amica che era come una sorella e conoscendo anche la portata dei sentimenti che Usagi aveva covato in silenzio per diversi mesi, ma in quelli delle loro tre amiche.
Usagi aveva deciso di testa sua di non rivelare niente alle altre per mille motivi diversi: paura di essere giudicata, di essere presa in giro, di non essere capita, o peggio ancora di essere scoraggiata da qualcuno, e quindi si sarebbe dovuta prendere le proprie responsabilità anche una volta resa pubblica la cosa.
Sorrise da sola per l’incredulità: sembrava quasi fosse un crimine… Mamoru non era sicuramente un ragazzo facile da approcciare, ma nemmeno un segreto da temere.
Lei l’aveva appoggiata anche se non aveva condiviso le sue scelte, Usagi invece si era limitata a correre dietro ad un’illuminazione lasciando domande che richiedevano risposte veleggiare in un posto in cui l’unica fonte di rassicurazioni era stata lei. Non aveva pensato ad altro.
Il brutto della questione era il fatto di non aver saputo scegliere come reagire senza ferire nessuno: avrebbe potuto raccontare tutto, ma non era sicura che Usagi lo avrebbe fatto sicuramente anche dopo quella gaffe, oppure avrebbe potuto inventarsi di sana pianta una storiella, mettendo alla prova il suo talento di aspirante attrice-cantante-presentatrice, ma il pensiero di mentire a persone per lei importanti l’aveva fatta sentire male.
Quindi si era limitata a rimanere lì, seduta con le mani alzate e un sorriso nervoso stampato sulla bocca, a ripetere “ma non saprei… Usagi dovrà dirvi qualcosa… non sono sicura… io non posso… abbiate pazienza…”.
Le ragazze avevano smesso di farle pressioni quando la sua difficoltà era diventata più che evidente, ma ormai la sensazione che qualcosa fosse andato storto era troppo forte per poter essere ignorata, e aveva salutato tutte con la promessa che Usagi le avrebbe chiamate per spiegare loro tutto quanto.
Anche lì si era presa una bella responsabilità, ma alla fine era andata bene, segno che la sua migliore amica la conosceva sul serio. Per fortuna.
Usagi le si sedette accanto, prendendole le mani nelle sue. –Hai ragione, non mi sono comportata bene. Ho sbagliato, non mi sono saputa controllare e ti ho messa in una posizione scomoda.- Le sorrise tentennante e speranzosa, ma Minako riuscì solo a sbuffare.
Usagi si contorse un poco, a disagio.
–Con cosa te la sei cavata?- Chiese ancora un po’ inquieta: era tutto okay, sì o no? Le scuse erano ben accette, ma la situazione era delicata.
L’amica la guardò seria. –Con la verità. E’ stato imbarazzante, ma alla fine era la cosa più giusta che potessi fare.- Usagi sembrava navigare in un mare di mortificazione.
-Ti hanno fatta arrabbiare?- Era importante che per quell’inizio lei fosse predisposta al meglio, nonostante tutto, e sperò che le loro amiche, soprattutto Rei, non avessero infierito fino a farla stare male. Troppo male, un pochino era giusto che soffrisse, per capire.
-No, sono state carine, anche se erano sorprese. Forse pure deluse. Ho cercato di far capire loro che sono io la sciocca, e non che loro non siano delle buone amiche.- Si morse un labbro, abbassando lo sguardo. Quando lo rialzò, c’era molta preoccupazione. –Credo che abbiano inteso il mio comportamento come una mancanza di fiducia nei loro confronti. Tu sapevi e loro no…-
Minako poteva sentire il suo dispiacere, lo sentiva vibrare nella sua voce. -Lascia che passi qualche giorno, ci ritroveremo e spiegheremo insieme come sono andate le cose. Vedrai che capiranno, sanno che non sei una cattiva persona. Solo una testona…-
Usagi sospirò pesantemente. –Ho paura di aver rovinato tutto.-
-La nostra amicizia?- La vide annuire. –Non ti preoccupare, non è possibile, ormai siamo troppo unite. Ci vogliamo bene e…-
-Quindi me ne vuoi ancora?!- La sua voce risuonò di nuovo di speranza ed allegria, interrompendola.
Minako la squadrò seria. Vide gli occhi luccicare fra lacrime di tristezza e felicità, la bocca contratta in un sorriso che non sapeva bene se osare rilassarsi oppure no, le dita incrociate come se stesse pregando.
Vide una ragazza insicura affacciarsi in un mondo complicato per la prima, vera volta, e non poté che passarle le braccia intorno al collo, portandosela più vicino.
Ricordava quando si era ritrovata lei a specchiarsi con quel tipo di sentimento, qualche tempo prima, in un altro paese…
Vide qualcuno che aveva bisogno di lei, e ci sarebbe stata, sempre e comunque.
-Usagi-chan, mi devi una promessa però… lo sai, vero?-
La sentì annuire contro la propria guancia. –Qualsiasi cosa per farmi perdonare!-
Ghignò diabolica mentre si allontanava per guardarla negli occhi. –Non farti arrestare per atti osceni in luogo pubblico, quando finalmente avrai raggiunto il tuo obiettivo!-
-Minako! Hentai!-
Un cuscino la centrò in pieno viso.

La prima cosa che registrò appena aperti gli occhi fu una spiacevole sensazione di oppressione alla testa.
Girando solo il viso alla sua sinistra, sul cuscino, cercò la sveglia digitale dai grandi numeri verdi che aveva comprato diversi mesi prima, alla fine di una lunga ed estenuante ricerca, in un negozio di elettronica dal cattivo odore di plastica che gli era rimasto ben impresso nella memoria.
Le nove passate.
Stropicciò le palpebre pesanti coi pugni chiusi, giocando un poco con le figure sfavillanti che danzavano nel buio in bizzarre fantasie geometriche. Aveva dormito quasi dodici ore.
Strano, di sicuro non da lui.
Sospirando si tolse di dosso il lenzuolo in cui si era fasciato durante la notte, il contatto col pavimento freddo gli fece rizzare i peli sulle braccia nude donandogli però un po’ di lucidità in più. La lingua impastata era un fastidio a cui doveva trovare rimedio subito.
In cucina bevve direttamente dalla bottiglia di acqua, cosa che non faceva mai. Il leggero senso di sbandamento e confusione era sconcertante.
Lanciò un’occhiata incerta al lavabo: la sera prima non aveva riassettato, i piatti e le pentole che aveva usato per cucinare erano ancora lì che attendevano di essere lavati, insieme alle posate e ad un bicchiere. Di solito lo faceva sempre prima di andare a dormire.
Piano, ascoltando i muscoli impigriti iniziare a sciogliersi, si preparò una tazza di caffè e posizionò la scatola di biscotti secchi sulla tovaglietta in bambù.
Gli sembrava di avere ancora voglia di dormire, ma proprio non riusciva a capire il perché di quella sensazione così inusuale. Stava molto attento al suo ritmo sonno-veglia proprio per riuscire a trarre il massimo dal riposo che si concedeva: troppe ore passate nel letto lo impigrivano, troppe poche però lo rendevano comunque infruttuoso per la stanchezza. 
Solo una volta si ricordava di essersi sentito in quel modo, ed era stato quando… aveva partecipato a quella festa scolastica piena di enormi ciotole colme di aperitivi colorati e bottiglie di spumante.
Ma cosa c’entrava adesso… ?
Sedendosi al tavolino si concentrò arricciando il naso; il giorno prima non aveva fatto nulla di strano: si era alzato presto, aveva fatto colazione, era uscito per una corsetta, dopo la doccia aveva studiato, il pranzo lo aveva consumato sulla terrazza guardando le nuvole, aveva studiato un altro po’, poi era uscito e aveva fatto un salto al Crown.
Fu come un gong colpito con prepotenza nella testa: Usagi.
Motoki aveva insistito perché le parlasse, e gli aveva dato una… spintina.
Si massaggiò preoccupato la mascella fissando il liquido nero che teneva fra le mani. Quel dannato caffè freddo corretto con quel nome improponibile.
Ecco perché era così confuso.
Una serie di frasi e immagini gli vorticarono pericolosamente davanti agli occhi, costringendolo a scuotere i capelli.
Non era nemmeno sicuro che non fosse stato solo un sogno, in realtà. Da quello che si ricordava, a grandi linee, si era accordato con Usagi per delle ripetizioni dell’ultimo minuto.
Ne volle quasi ridere, non poteva essere stato così bravo. Chiuse gli occhi: lei non poteva aver accettato una cosa del genere, antipatico come le stava.
Afferrò un biscotto e iniziò a masticare piano, a bocca chiusa, come gli era stato insegnato da bambino. Lui e i liquori dovevano stare decisamente distanti, sicuramente i suoi enzimi non erano in grado di scomporre a dovere l’alcool e i risultati lasciavano sempre molto a desiderare.
Tentò di ricordare meglio cosa si fossero detti lui ed Usagi, ma non riuscì a ricavare qualche momento ben delineato, solo brandelli di frasi e flash di espressioni che forse erano solamente frutto della sua fantasia.
Sbuffò, portando la tazza alla bocca: chissà Usagi cosa aveva pensato di lui. Sicuramente qualche differenza doveva averla notata, era quasi del tutto certo di non essersi comportato come il suo solito. Per forza…
Che cosa aveva fatto?!
Un’ondata intensa di ansia gli attanagliò lo stomaco; magari adesso lei pensava che lui avesse un problema con gli alcolici, o che non fosse proprio sano di mente, o che semplicemente era troppo strano e troppo odioso anche solo da tenere in considerazione come conoscente.
Che cosa le aveva detto?!
Forse, la prossima volta che si sarebbero incrociati, lei avrebbe cambiato strada, facendo finta di non averlo mai visto.
Improvvisamente le dita gli si informicolirono. Avrebbe preso a pungi Motoki.
Era convinto sinceramente che la violenza fosse sempre la scelta sbagliata, ma per quel caso specifico avrebbe fatto un’eccezione. Era stato stupido a lasciarsi convincere.
Che cosa avrebbe dovuto fare adesso?!
Far finta di niente e davanti ad Usagi comportarsi come se nulla fosse, o andare a cercarla con una scusa qualsiasi per capire se oramai si era del tutto compromesso?
Lavando ciò che aveva utilizzato per mangiare cercò di impedirsi di tornare con la mente a ricostruire la scena del crimine, perché più ci pensava più particolari imbarazzanti, veri o presunti che fossero, facevano capolino per farlo inorridire, e si disse che era andato tutto bene, che niente era stato rovinato e che probabilmente la paranoia stava prendendo il sopravvento sul suo cervello ancora mezzo anestetizzato.
Ripose il canovaccio umido fra le maniglie degli sportelli inferiori. Sarebbe andato a correre, avrebbe sudato e bevuto tanto, riequilibrando il proprio organismo, poi forse si sarebbe messo un po’ sui libri per distrarsi.
Aprì le finestre mentre era ancora in casa a prepararsi, lavò il viso e i denti e si vestì coi pantaloncini e la maglietta che di solito usava per fare sport.
Sospirando pesantemente fissò il proprio riflesso incerto nello specchio: era meglio lasciare che le cose facessero il loro corso, non avrebbe anticipato i tempi o forzato gli eventi. Normalmente incrociava Usagi quasi quotidianamente, al massimo ogni tre giorni, quindi avrebbe saputo aspettare; aveva addirittura il tempo di preparare una reazione adeguata ad ogni tipo di situazione che gli si sarebbe presentata davanti, era meglio così. Si passò una mano fra i capelli: il discorso era chiuso.
Nell’ingresso, mentre si stava allacciando le scarpe da ginnastica, qualcuno bussò alla porta.
Rimase bloccato, ancora con un ginocchio sul pavimento, il cuore che all’improvviso aveva mancato come minimo un battito, proseguendo in modo anomalo la sua corsa.
Non è possibile, si disse, stai calmo.
Usagi non sapeva dove abitasse e ora che ci pensava, se davvero era accaduto, lui non le aveva dato il proprio indirizzo per quelle fantomatiche ripetizioni. Di cosa, poi?
Alzandosi piano ascoltò i nuovi colpi leggeri contro il legno spesso davanti a sé, colorato di bianco, e quando poggiò una mano sulla maniglia nelle orecchie non poteva sentire altro che lo scorrere furioso del proprio sangue.
Forse lei era passata al Crown e il loro amico in comune ci aveva di nuovo messo lo zampino, ovviando al problema.
Il pensiero gli provocò una vampata di calore generale in tutto il corpo. Non aspettava nessuno, quindi…
Spalancò la porta con un movimento veloce. Via il dente, via il dolore.
-Finalmente! Iniziavo a preoccuparmi!-
Sentì i lineamenti diventargli di granito. -Motoki- sibilò a denti stretti. Il senso di delusione crescente fu difficile da ignorare e lo spinse, senza rifletterci più di un secondo, a sbattergli la porta in faccia. Aveva dimenticato di chiudere le finestre!
Non fece in tempo ad arrivare a metà corridoio che il suo migliore amico –forse ex- si era attaccato al campanello, suonando ripetutamente. Tornò indietro solo perché non voleva che i vicini si lamentassero con lui per il baccano.
-Cosa vuoi?-
Motoki si intrufolò in casa veloce, spingendo la porta che lui teneva bloccata con una mano con la spalla. -Bel modo di ringraziarmi, complimenti.-
Un buon odore di marmellata calda gli carezzò le narici al suo passaggio, lasciando una scia lunga fino alla cucina. Quando vi entrò, Motoki stava fissando il lavandino pulito.
-Hai già fatto colazione?- Lo squadrò incredulo.
Tirò su le sopracciglia. –E’ tardi.- Non doveva essere una cosa strana, lui era un tipo mattiniero.
-Non hai risposto alle mie chiamate, pensavo fossi uscito. Sai, l’agitazione…- Gli rivolse un occhiolino che Mamoru trovò alquanto fastidioso.
Girandosi alle sue spalle vide il cordless lampeggiare. –Non ho sentito il telefono, ed è tutta colpa tua.-
-Hai del latte?-
-Eh?!- Era diventato improvvisamente tonto? O faceva finta di non sentire?
-Latte…- Ripeté Motoki fissandolo come se gli fosse spuntato un corno nel centro della fronte. –Stai bene?-
Scrollò le spalle, appoggiandosi allo stipite. –In frigo.- Lo osservò aprire l’anta e tirare fuori la bottiglia, versarsi un bicchiere di liquido bianco e rimettere tutto a posto. –Cos’hai nel sacchetto?- Indicò con la testa il piccolo fagotto di carta lasciato sul tavolo.
-Pane e marmellata, ci avevo messo anche il burro, come piace a te… Ma vedo che alla fine ti avevo immaginato messo peggio di come effettivamente sei.- Si sedette, scartando due toast dorati e porgendogliene uno. –Vuoi?-
-No grazie. Avresti potuto portare dei cornetti.-
Motoki alzò gli occhi al cielo. –Il bar è chiuso oggi. Non sei mai contento. Dovresti essermi grato- sottolineò quell’ultima parola con un morso ben assestato al pane croccante, -colazione recapitata direttamente a casa e personal coach tutto in una sola, comoda figura.-
Si schiaffeggiò mentalmente: era lunedì, il giorno di riposo del Crown; Usagi non avrebbe mai potuto sapere il suo indirizzo e oltretutto dubitava che si alzasse di buon ora quando la scuola era chiusa e i genitori a lavoro. Al solo pensare quel nome lo stomaco gli si attorcigliò in una stretta dolce amara.
Studiò Motoki coperto da un’espressione di indecifrabile menefreghismo. –Non sei vestito per fare jogging.- Osservò, critico.
-Certo che no, non ho tutto questo tempo libero. Devo vedermi con Reika.-
-E allora che personal trainer sei? Mi lasci faticare da solo?-
Gli sembrò perplesso.
-Ho detto personal coach, non personal trainer. Non hai bisogno di aiuto nell’attività fisica, ma in quella amorosa, lasciatelo dire, sì.-
Lottò per mantenere una certa compostezza, ma quell’affermazione gli aveva attivato una sorta di campanello di allarme interiore. –A cosa ti riferisci, scusa?-
Il suo amico gli sorrideva incoraggiante, comprensione negli occhi allegri. –Sei ancora brillo?-
-No.- Sperò di essere stato chiaro. Sicuramente conciso. Era crudele che si comportasse in quel modo.
Motoki sembrò non credergli. -Sei di cattivo umore stamani, non dovresti esserlo. Piuttosto, come ti stai preparando a questo fatidico, impensabile giorno di svolta?-
L’argomento era troppo spinoso per poter essere affrontato in piedi, quindi scelse la sedia più vicina a lui, all’opposto del lato occupato, e vi scivolò sopra. –Perché mi prendi in giro? Non ti basta la figuraccia che mi hai fatto fare con quel tuo maledetto intruglio?!-
Spiacevoli immagini gli riempirono la vista, facendolo inspirare forte, le palpebre serrate.
-Non so a cosa ti riferisci.-
Spalancò gli occhi, irritato. Non lo nascose nella voce. –Certo che lo sai: quel maledetto caffè che mi hai costretto a bere… Usagi avrà pensato che sono ridicolo!- Ed era male, molto male…
Tuttavia Motoki non sembrava preoccupato quanto lui.
-Il Baka Ice Coffee ha fatto quello che doveva fare; la tua scarsa tolleranza per i liquori è un problema tutto tuo, non suo.- Si infilò le dita sporche di marmellata in bocca, poi raggiunse la cannella dell’acqua per sciacquarsi le mani.
Mamoru approfittò di quei secondi di relativa privacy per far sbollire il sangue. –Se il suo lavoro era quello di farmi passare per uno scemo, potevi anche risparmiartelo- si lamentò amaramente.
Il suo amico lo studiò poggiato contro i mobili chiari della credenza. –Ti ho fatto guadagnare una scusa per passare del tempo da solo, in un posto appartato, con Usagi: cosa vuoi di più?!- Sembrava non credere alle proprie parole, e ancora meno ci credeva lui.
-Non ci casco.-
-In cosa?-
-In questa storiella in cui tu, o quel caffè, a cui tra l’altro ti suggerisco di cambiare nome, mi abbiate in qualche modo combinato un appuntamento con lei.- Lo scherzo era divertente finché durava poco, e secondo i suoi gusti la burla che Motoki gli stava giocando stava assumendo una sfumatura pericolosamente snervante. –Usagi mi odiava, ed ora probabilmente penserà che sono un ubriacone.-
Un paio di sopracciglia alzate gli comunicò scetticismo misto ad una punta di irritazione.
-Sarà, ma ieri pomeriggio, dopo che vi siete accordati per quelle benedette ripetizioni, mi sembrava al settimo cielo. Potrei quasi scommettere di non averla mai vista in quel modo…-
Mamoru non poteva credere alle proprie orecchie, spalancò occhi e bocca in contemporanea.
-Ripetizioni?-
Motoki annuì diffidente. –Di matematica e scienze e inglese. Mi rendo conto che la cosa è un po’ impegnativa, ma tu sei bravo e se non sono diventato sordo, cieco e pazzo, credo che sarai anche l’incentivo giusto per Usagi…- Fece un pausa, il suo interlocutore pareva essersi straformato in una statua di sale. –Non credo che avrai grossi problemi…- Concluse per incoraggiarlo, ma non ricevette risposta. Mamoru non lo stava nemmeno guardando, a dirla tutta; il forno spento sembrava essere lo spettacolo più interessante del mondo.
-Certo che sei strano forte oggi, eh…-
Era come se il cervello gli fosse andato in fumo in un istante. –Allora non era un sogno…-
Non riusciva a capacitarsene, non riusciva a pensare: non sapeva se tutto quello che ricordava fosse successo sul serio, ma la parte cruciale dei suoi quesiti era realtà. Usagi sarebbe venuta da lui per delle lezioni private.
Avrebbero studiato insieme, parlato insieme, forse mangiato insieme, passato ore insieme. Soli.
Si sentì come svuotato.
-Mamoru? Inizi a preoccuparmi…- Motoki gli sventolò un pezzo di carta a pochi centimetri dal naso, provocando un leggero venticello fresco. -Cosa hai sognato?-
-Pensavo di aver sognato questa cosa… Io che aiuto Usagi con la scuola… Quando mi sono svegliato non ero sicuro che fosse la verità e alla fine mi sono convinto che l’acool avesse prodotto questo… ricordo… E ora mi dici che…- Non riuscì a finire la frase per la troppa sorpresa.
Puntò gli occhi in quelli dell’amico; li trovò colmi di lacrime, la bocca stretta in una linea sottile, quasi impercettibile.
Motoki scoppiò a ridergli in faccia.
-Sei la fine del mondo, Mamoru! Non credevo di averti fatto fare un viaggio mentale così assurdo!-
Sembrò essere uno spasso, ma lui non si stava divertendo.
-Per quando ci siamo messi d’accordo? Per oggi?- L’ansia era tornata a farsi sentire, spingendolo sul bordo della sedia, le dita incrociate sul tavolo.
Motoki annuì.
Era un disastro, una catastrofe. Non era pronto, niente era pronto.
Si guardò attorno: la casa era okay, anche se, se ne fosse stato certo prima, avrebbe potuto apportare qualche piccola miglioria qua e là; il frigo era abbastanza pieno, il pavimento lavato solo il giorno prima, il bagno pulito.
Doveva farsi una doccia, forse non avrebbe avuto tempo per andare a correre. -Come… A che ore?-
L’amico fece spallucce. –Non l’avete decisa; credo che ti toccherà metterti il cuore in pace ed aspettarla in tutta calma.-
Non era possibile questa cosa. –Non sa nemmeno dove abito…- Non sapeva se esserne dispiaciuto o felice.
-Lo sa.-
Fosse stato slogabile e scomponibile, braccia e mascella gli sarebbero caduti per terra. –Come fa?! Non è mai stata qui, io non gliel’ho mai detto! Credo…- Fece seguire un lungo silenzio, indeciso sul dar voce alle proprie preoccupazioni. Guardando Motoki aspettarlo decise che non aveva senso avere qualcuno affianco se non ci si fidava, se non ci si sentiva liberi di dire e fare quello che premeva di più. Si passò una mano su tutto il viso.
-Ho detto o fatto qualcosa, ieri, di cui dovrei vergognarmi?-
-No. Usagi ha notato che non eri quello di sempre, ma il pensiero di venire a studiare da te, mi è sembrato, l’ha distolta piuttosto bene da qualsiasi domanda. Era contenta.-
Lui aveva i suoi dubbi, ma non era il caso di perderci dietro troppo tempo, Motoki non avrebbe potuto comunque rispondergli. –Sei stato tu a dirle dove vivo?- Non era arrabbiato, nel bene o nel male quella giornata si sarebbe conclusa in un certo modo. Non aveva senso opporsi.
-Qualche tempo fa mi ha accompagnato qui. Quella volta che avevi dimenticato gli occhiali al bar.-
-Ricordo. Non me l’avevi detto.-
-All’epoca non avevo ancora idea che voi due vi piaceste.- Motoki gli sorrise con tutto l’ottimismo e la furbizia che possedeva.
Mamoru lo ricambiò al meglio che poté: lui era amato da tutti per la sua solarità, aveva una ragazza e molti amici, una famiglia… Era una brava persona, un bravo amico. Gli doveva molto, ma certe volte si spingeva fin troppo oltre, pur di incoraggiarlo. Era questa l’amicizia?
-Hai finito di dire cavolate? Usagi non mi può vedere, probabilmente ha accettato di starmi vicina solo perché rappresento l’unica soluzione per quella strana storia intricata fra lei, le sue amiche e i suoi genitori…-
Motoki si slanciò dalla sua posizione strofinandosi le mani. Dietro di lui, gliele appoggiò sulle spalle, stringendo con forza.
Contrasse i muscoli, spostando la testa in avanti quando i capelli gli vennero scompigliati.
-Amico mio, lascia stare: non capisci proprio niente in fatto di donne.-
Mamoru si girò quando la stretta sparì, in tempo per vederlo imboccare la strada della sua camera.
-Muoviti, dobbiamo scegliere qualcosa di decente da farti mettere. Usagi non sopporta quella giacca verde che ti ostini a indossare ogni volta che vi incontrate!-
Cosa?! –Ma è bellissima!-
Non ricevette risposta.

Usagi, impalata nel vialetto che aveva erbetta ben curata sia a destra che a sinistra, sembrava essere stata congelata sul posto, il naso all’insù, verso le finestre imperscrutabili.
Per tutto il tragitto fra casa sua e quella di Mamoru aveva quasi volato, il cuore leggero, le labbra sorridenti.
Non aveva pensato a qualcosa che non fosse lui, aveva sognato ad occhi aperti per tutta la notte e anche con Minako presente la sua mente non si era distratta, se non per parlare delle loro amiche.
Sospirò pesantemente. Si era comportata in maniera superficiale ed infantile, non aveva altre giustificazioni se non la propria impazienza.
Ami, Rei e Makoto non lo meritavano. Nemmeno Minako.
Sperò che le cose andassero davvero come aveva detto la sua compagna di classe.
Camminando per le strade afose da sola si era ripromessa con fermezza assoluta di impegnarsi a far capire loro che l’amicizia che le concedevano era un tesoro di cui comprendeva il valore, e a cui non avrebbe più mancato di rispetto.
Non doveva imporselo, non ne aveva il bisogno, doveva solo imparare ad essere più accorta.
Avvicinandosi al palazzo che aveva visto spesso la sera, facendo a posta il giro lungo per tornare a casa, la sua preoccupazione era scivolata inevitabilmente da un pensiero a un altro.
Mamoru la stava aspettando.
Doveva impegnarsi al massimo per trarre tutti i vantaggi possibili da quel primo incontro -e poi dai successivi- senza però dimenticare che l’applicazione nello studio rimaneva comunque una parte importante del suo piano.
Sarebbe rimasto impressionato.
Lì, ferma col vento caldo che muoveva l’orlo della gonna, la paura si era mischiata con la fretta in un mix che la teneva inchiodata ai lastroni della stradina che portava al grande portone in vetro e a decine e decine di citofoni.
Doveva muoversi; e se Mamoru fosse stato ad una di quelle finestre a guardarla?
Avrebbe pensato che fosse una ragazza stramba, troppo per i suoi gusti.
Incamminandosi e tenendo gli occhi piantati per terra si augurò che lui stesse un po’ meglio rispetto al giorno prima: si era informata su internet e i colpi di calore non erano una cosa con cui scherzare.
Nel caso, se lui non se ne dispiaceva, lo avrebbe aiutato.
Arrivata all’ombra della portineria sentì l’entrata cigolare ed aprirsi.
-Usagi-chan! Sei già qui!-
La voce familiare la portò ad alzare il viso. –Motoki! Buongiorno.-
Le stava sorridendo, tenendo aperto il portone per lei.
Lanciò un’occhiata incerta all’atrio ombroso alle sue spalle, stingendo i manici della sua borsa in contemporanea con le spalle.
Lui si scostò ancora di più, facendole spazio. –Mamoru ti sta aspettando.-
Annuì, superandolo rassegnata. Il cuore le batteva come non mai.
-Piano 24. Vai a sinistra quando esci dall’ascensore, la porta è proprio in fondo.-
Accennò un inchino con la testa. –Arigatou.-
-Buona giornata, Usagi. Vai tranquilla, Mamoru non mangia e oggi è davvero di buon umore.-
Lasciò la porta e lei la guardò richiudersi con un tonfo.
Salutò con una mano, girandosi dal lato opposto.
L’ascensore la stava aspettando già aperto.





Non dirò niente, a parte “chi non muore si rivede”.
E grazie, grazie a chi si ricorda di me, a chi mi ha aspettato, a chi mi legge e soprattutto a chi mi dice la sua.

Francesca.

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