Le rovine del mondo

di Janta
(/viewuser.php?uid=726190)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dalla distruzione, altra distruzione ***
Capitolo 2: *** Il conto alla rovescia ha inizio ***
Capitolo 3: *** Le anime perdute ***
Capitolo 4: *** Fragile come vetro ***
Capitolo 5: *** Una coperta stesa sul passato ***



Capitolo 1
*** Dalla distruzione, altra distruzione ***


Prologo

Mi guardai intorno. La scena che si presentò davanti ai miei occhi era a dir poco terrificante. Il mio sguardo scorse per tutta la stanza, e ovunque trovai corpi stesi per terra, ormai privi anche della forza di rialzarsi. Alla mia destra vidi Sharon e Reim che, nonostante la stanchezza, assistevano uno Xerxes svenuto. Erano quelli che stavano meglio tra tutti. Spostai lo sguardo verso sinistra, e trovai Ada. Stava piangendo, ma non potevo farci niente, ormai; avrei voluto aiutarla, ma non potevo. Tentai di alzarmi, ma un capogiro mi obbligò a rimettermi disteso. Puntai i miei occhi dorati verso quella figura pallida stesa sopra Oscar Vessalius, e capii che avrebbe resistito ancora per poco, prima di cedere anche lei alla stanchezza. Un rumore mi attirò, e sentii che qualcuno si stava appendendo alla mia spalla. Oz, posseduto da Jack, si avvicinava pericolosamente al mio orecchio. Tentai di scostarmi, ma lui mi bloccò. Sussurrò “Finalmente ce l’ho fatta, non siete riusciti a fermarmi… Lacie, non ti sentirai più sola, adesso. ” poi la sua voce si spense, e il suo volto crollò sopra il mio braccio, l’unico che mi restava, ormai. Presi a fissare il cielo grigio, osservando le crepe che si facevano sempre più grandi, come se noi ci trovassimo in una grande cupola di vetro che stava per rompersi. Mi chiesi se Glen fosse riuscito a distruggere la volontà di Abyss, poi decisi che non mi importava. Chiusi gli occhi appena in tempo per sentire il vuoto che si espandeva sotto di me, e mi sentii cadere. Poi, tutto si fece buio.
 
“C’è una cosa che devo dirti, Alice.”
Guardai Alyss dritto negli occhi, quelle iridi violacee e magnetiche, e le risposi con un semplice “Dimmi.” Non riuscivo ancora ad affezionarmici, nonostante tutto quello che avevamo passato insieme cent’anni prima. C’era qualcosa nella sua aura che mi spaventava.
“Tra poco Glen arriverà qui, e distruggerà la volontà di Abyss, contenuta dentro di me. Però ascoltami, noi non moriremo, né io né te. Tutti quelli che sono caduti in Abyss in seguito alla distruzione del mondo, e anche quelli che vagano nell’oscurità senza essere ancora diventati giocattoli, rivivranno. Siccome due mondi sono andati distrutti, uno nuovo si creerà, e tutte le anime vaganti si riverseranno lì. Questo varrà anche per i chain, ovviamente. Però, riunendo i frammenti dell’anima di Jack, il tuo mondo potrà essere ricreato, e invece Abyss rinascerà se i frammenti della sua volontà verranno uniti. Occupati di far rinascere il mondo a cui tieni di più. Però tu, al di fuori di questa stanza, hai i poteri del B-Rabbit, quindi non potrai viaggiare con il tuo corpo, altrimenti ti scambieranno tutti per un chain da distruggere. Quindi, quando uscirai di qui, entra nel corpo di qualcuno; sarà come fare un contratto, e al momento opportuno potrai uscire allo scoperto. Ho un ultima cosa da dirti… Ecco, a causa del potere sprigionatosi in seguito allo sgretolamento delle catene del mondo, le anime di tutti quelli che si trovavano in quel luogo sono state ridotte in pezzi.”
“E questo che significa?”
“Significa che subiranno i riavvolgimenti esattamente come è successo a Jack. Inoltre, essendo corpi estranei per il nuovo mondo, saranno sottoposti ad una maledizione…” Il suo discorso venne interrotto da Glen, che fece irruzione nella stanza e si gettò contro di noi. “Ora va’. Io me la caverò. A presto, Alice”
Tutto ciò che vidi in seguito fu il volto di Alyss rigato dalle lacrime, e Glen che si gettava contro di lei. Prima che la mia vista si appannasse, Abyss venne invaso da un grande bagliore, prodotto sicuramente dallo scontrarsi di Glen contro il potere immenso della volontà. Poi, sotto di me la terra tremò, e tutto divenne buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il conto alla rovescia ha inizio ***


Driiin driiin driiin driiin
La sveglia continuava a suonare e Ada, dopo vari tentativi di spegnerla a vuoto, si decise a scaraventarla per terra. Finalmente, quel malefico oggetto si zittì. “Sono sveglia, sono sveglia.” borbottò fra sé. Guardò i rimasugli dell’oggetto sul pavimento, e subito si pentì del gesto impulsivo che aveva appena fatto. Sbuffò, e aggirò le schegge di vetro senza nemmeno pensare che avrebbe dovuto raccoglierle, prima o poi. Era da ore che si rigirava nel letto senza poter dormire a causa del mal di testa, quindi quel trillo aveva soltanto aumentato la stanchezza e il nervosismo che già aveva Ada. Si diresse svogliatamente in cucina, per prepararsi un thè che, quando fu pronto, bevve bollente. Poi si fiondò in bagno, e sciaquò il suo volto con acqua gelata. Di solito, questo rimedio funzionava sempre contro il mal di testa. Osservò stupita il mascara colare via nel lavandino, e a quel punto si ricordò cosa era successo la sera precedente. Era andata a mangiare con Elliot, il suo ragazzo, e poi… E poi? Si ricordava vagamente che ad un certo punto non si era sentita bene ed era svenuta, o almeno era questa l’unica possibilità plausibile per il fatto che non si ricordasse altro, ma com’era ritornata a casa sua? Un pensiero le balenò in mente, e si guardò i vestiti, preoccupata. Aveva ancora addosso l’abito verde che tanto adorava, e che aveva indossato la sera prima. Sospirò. Evidentemente, chiunque l’avesse riaccompagnata a casa, cioè molto probabilmente Elliot, non aveva approfittato della situazione. Sorrise, contenta di ciò che aveva appena scoperto. Esistevano ancora dei ragazzi decenti, allora. Constatò che il mal di testa le era leggermente passato, e con nuovo spirito uscì dal bagno. Si cambiò in fretta, indossando la divisa scolastica, e afferrò la cartella con la piccola etichetta che recava, scritto in piccolo, il suo nome. Uscì di casa e si buttò nel freddo pungente dell’inverno canadese, rimpiangendo presto di non essersi messa i guanti. Per fortuna, almeno le rimaneva la sciarpa. Nonostante Vancouver fosse una grande città di mare, neanche tanto distante dagli Stati Uniti, gli inverni erano abbastanza estremi, tanto che in pochi minuti le sue dita si intorpidirono. Immersa nei suoi pensieri, vagò per le strade principali della città in direzione della sua scuola. Si era trasferita lì da qualche mese, e ormai conosceva a memoria tutte le strade principali di quella metropoli. Poteva dire benissimo che, da quando aveva lasciato la sua casa a Londra, aveva cambiato completamente vita. Ma di certo non sapeva che, da quel giorno, sarebbero cambiate tante cose. Appena ebbe attraversato una strada, sentì un forte botto, poi un dolore lancinante al fianco. Si guardò il punto da dove proveniva il male, e vide una pozza di sangue allargarsi a dismisura sui vestiti. Sentiva un oggetto appuntito e metallico conficcato nella sua carne, ma non capiva cos’era esattamente. Alzò lo sguardo, mentre la vista già le si annebbiava, e vide un ragazzo giovane, dai capelli scuri, parecchio alto, che in mano aveva una pistola. Capì in quel momento ciò che era successo. Quel ragazzo le aveva sparato. Poi, vide solo più il pavimento che si avvicinava pericolosamente, e svenne.
 
“A quanto pare, c’è stata la prima vittima.”
“Davvero? E chi è?”
“Il duca Barma. A quanto ne so, è stato investito in una delle strade principali di Tokyo.”
“Capisco… Allora possiamo partire.”
“Già, il conto alla rovescia è iniziato. Dove si va, questa volta?”
“A Vancouver!”

 
Leo si era svegliato già da qualche giorno, e vagava per le foreste innevate incurante della fame, del freddo e del sonno. Non sapeva dove si trovava, ma da subito gli era stato chiaro che quello non era il suo mondo d’origine. Si era ricordato subito ogni cosa di quello che era successo. Jack che distruggeva le catene, lui che arrivava in Abyss posseduto da Glen e sconfiggeva la volontà, un bagliore improvviso che investiva ogni cosa, e poi il nulla. Era tutto molto chiaro nella sua testa. Adesso, aveva anche la certezza di essere vivo, pativa troppo quel vuoto nello stomaco e la bassa temperatura per essere morto. Aveva già tentato più volte di pizzicarsi, per assicurarsi che quello non fosse soltanto un incubo, con mostri pronti a sbucare da ogni parte, ma anche quella prova aveva dimostrato che lui era vivo e vegeto. Semplicemente, doveva essere stato catapultato in un altro mondo. E questo doveva essere anche successo ai chain, perché ne aveva già incontrati parecchi. Però, forse perché riconoscevano la sua natura di Glen, non si erano mai dimostrati ostili con lui. C’era però da dire che non c’era più neanche l’ombra dell’anima di Glen Baskerville, dentro il suo corpo. Così riflettendo, era arrivato nei pressi di una città. Questa era circondata dalle montagne, e aveva un accesso al mare. Doveva essere parecchio grande, perché si distendeva lungo la costa per chilometri e chilometri, tanto da non riuscire a vederne la fine. Deciso a trovare un po’di cibo e qualche vestito per ripararsi da quel freddo micidiale, si infilò tra gli alti palazzi della metropoli. Quasi subito, le sue speranze di dare poco nell’occhio si vanificarono, perché ovunque andasse c’era gente che lo osservava. Questa situazione lo mise parecchio a disagio, e molte volte si pentì di essersi inoltrato in quella grande città, ma sempre un sommesso brontolio allo stomaco lo spinse da andare avanti. Mano a mano che avanzava, i palazzi altissimi venivano sostituiti da case più piccole, che erano anche più simili a quelle del suo mondo. Si domandò per la prima volta dove potessero essere finiti tutti gli altri, se mai qualcuno fosse sopravvissuto, e stava quasi per tornare sui suoi passi e andare a cercarli, quando lo vide. Alto, il solito cipiglio imbronciato, camminava a poca distanza da lui. Non poteva essere nessun altro. Riempito da una gioia infinita, si gettò in mezzo alla folla, e gridò “Elliot!”.


La stanza di Janta:
Eeeed eccoci qui al primo capitolo uwu
Spero lo apprezzerete, anche se sta venendo peggio di quanto credessi >.>
Anyway, presto capirete chi sono all'incirca i protagonisti del dialogo in grassetto fra la parte di Ada e quella di Leo. Beh, se siete arrivati fin qua con la lettura, thanks so much! *scuoricina*

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Le anime perdute ***


Lacie sospirò, e si decise ad abbandonare definitivamente il suo libro. Con un tal baccano non sarebbe mai riuscita a concentrarsi per studiare. Tra qualche giorno avrebbe sostenuto il suo ultimo esame per ottenere la laurea, ma i preparativi per il viaggio e il caldo insopportabile dell’estate di Sidney le avevano impedito di concentrarsi adeguatamente. Si alzò, chiudendo con un po’di malinconia il libro che recava scritto in grande “Anatomia” in copertina. Adorava quella materia. Era anche una delle poche che studiava volentieri. Scocciata, aprì la porta della stanza accanto assicurandosi che sbattesse contro il muro, di modo che le fonti rumorose si accorgessero della sua presenza.
“Alyss, vieni senza fare storie!” stava dicendo Oswald in quel momento.
“Ho detto di no! Dobbiamo ancora cercare Alice, e non ci vengo se non viene Jack!” gli rispondeva poi un’Alyss piuttosto irritata.
Lacie sbuffò, e disse, intromettendosi tra i due litiganti “Si dà il caso che io stia cercando di studiare, di là. Fate silenzio, per favore.”
“Ma mamma, Oswald dice che Jack non può venire con noi! Perché? E poi, siamo appena arrivati qui, io voglio ancora cercare Alice.”
“Capisco, mmh… Vedrò di convincerlo io, Jack.” E, dicendo questo, sorrise, enigmatica. “E poi, ormai Oswald ha cercato dappertutto, e se lui dice che Alice non si trova, vuol dire che non c’è proprio, qui.”
“Ma uffa! Poi, perché proprio a Vancouver? Ora è inverno, là… E fa freddo.”
A quel punto, Oswald intervenne, visibilmente arrabbiato. “Lacie! Non puoi sfruttare sempre il fatto che Jack faccia ogni cosa tu dica tutte le volte! E Alyss, te l’ho già spiegato. Andiamo a Vancouver perché lì troveremo Leo… E quindi possiamo convincerlo ad aiutarci.”
Alyss sbuffò di rimando, ma lasciò cadere la discussione, perché in quel momento il campanello suonò. Si affacciò alla finestra, e il suo viso si illuminò quando riconobbe la persona che stava attendendo di fronte alla porta. “Jack! E’ arrivato Jack!” esclamò.
Corse di sotto, seguita da Lacie, e aprì la porta. Si sciolse in un sorriso, nel vedere il biondo. Subito la ragazza dagli occhi rossi e Jack si misero a parlare animatamente, con Alyss che seguiva scrupolosamente la conversazione, anche se sapeva già che Lacie l’avrebbe convinto sicuramente. A fine serata, infatti, Jack si era unito alla comitiva per il viaggio. Rimanevano solo più da avvisare Levi, Lotty, Zwei e Lily. Lacie compose il numero di Charlotte sul cellulare, e dopo pochi secondi le giunse un concitato “Pronto?” dall’altra parte del telefono. “Ehy! Sei tu, Lotty? Ho una grande notizia!”
“Spara.” Rispose l’altra, allegramente. Lacie notò che dall’altro capo della cornetta arrivavano sommesse risate, ma non si chiese più di tanto di chi fossero. Lotty era la solita ragazza da allegre compagnie.
“Possiamo partire alla ricerca delle anime perdute, c’è stata la prima vittima.”
“Oh, bene. Allora avverto Zwei e Lily. Quando si partirebbe?”
“Okay. Ad avvertire Levi ci penso io, tanto domani dovrebbe ritornare dal suo viaggio a Parigi. E partiremmo il giorno dopo ai miei esami, cioè praticamente tra una settimana.”
“Va bene. Scusa, ora vado di fretta, sono al lavoro. Ci sentiamo!”
“Già, mi ero dimenticata che tu lavori al bar e quindi sei occupata la sera. A presto, allora!”
Detto questo, riattaccò, e sorrise imbarazzata per aver pensato male della sua amica Lotty. Riaprì, sconsolata, il libro di anatomia, e riprese a studiare nella casa diventata finalmente silenziosa.

La stanza di Janta:
Allora, siccome io da lettrice accanita odio aspettare che qualcuno continui ad aggiornare la sua storia, ho deciso di aggiornarla abbastanza spesso, quindi ecco a voi il secondo capitolo x"
Personalmente, non ne sono molto soddisfatta, temo di aver dato troppo spazio ai dialoghi rispetto alle descrizioni, e non ho avuto modo di dare una caratterizzazione precisa dei personaggi che sono comparsi, ma vabbè, ormai uwu intanto, non sono mai soddisfatta di quello che scrivo, per cui fa niente. Spero piuttosto che a voi non abbia fatto così schifo come ha fatto a me xD
Quindi, come al solito, se siete arrivati fino qui a leggere, vi ringrazio tanto, e ci si rivede al prossimo capitolo *^*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Fragile come vetro ***


Ada si risvegliò. Era stesa a letto, in una stanza che, dato il forte odore di disinfettante che regnava in quel luogo, probabilmente apparteneva ad un ospedale. Tentò di rialzarsi, per studiare meglio ciò che la circondava, ma quasi subito una fitta tremenda al fianco la bloccò. Si distese in fretta, tastandosi dove le faceva male, e con sua sorpresa non sentì più quello che pensava fosse un proiettile conficcato nella sua pelle.
Non ebbe tempo di pensare ad altro che una voce alla sua destra la attirò.
“Ti sei risvegliata, bene bene. Sai per quanto hai dormito? 8 ore. Ci stavamo preoccupando tutti!”
La bionda si voltò, e fissò la figura che le stava accanto con i suoi caratteristici occhi vuoti e privi di espressione. Era un ragazzo con degli splendidi occhi dorati e i capelli neri come la pece. Non si poteva certo dire che fosse brutto, ed era anche parecchio alto.
“Scusi, ma lei chi è?” Non sapendo bene a chi si stesse rivolgendo, aveva pensato di essere più rispettosa, decisione che giudicò evidentemente sbagliata, dato l'impulsivo rossore che comparì sulle guance dell'altro.
“Ah, no, non mi dare del lei, per favore. In fin dei conti non sono molto più vecchio di te. Comunque, sono veramente sbadato, non mi sono ancora presentato! Fin quando rimarrai qui in ospedale, sarò il tuo dottore. Ah, e mi chiamo Gilbert, da come puoi vedere su questa targhetta.” E, finendo la frase, indicò un piccolo cartellino che recava nome e cognome del suo interlocutore. Gilbert Baskerville. Ora che gliel'aveva fatto notare, pareva in effetti un po'troppo giovane per essere un dottore. Ad una prima occhiata, sembrava avesse appena finito l'università. E, cosa che la preoccupava ancora di più, aveva un volto dannatamente familiare. Passò un attimo, e Ada capì dove l'aveva già visto. In preda al panico, urlò.
“Tu! Sei stato tu ad avermi sparato!”
Così dicendo, fece per scappare, ma la fitta che aveva già avuto in precedenza la bloccò. Improvvisamente sentì la testa farsi pesante, e il “dottore” le si avvicinò, facendola sedere nuovamente, con dolcezza, approfittando del fatto che lei non riusciva a dibattersi. Poi, serafico, replicò. “Ma figuriamoci, io sono colui che ti ha operato. Chi te le ha messe altrimenti queste bende?”. E con un gesto delicato sollevò un briciolo della camicia di Ada, quel tanto che bastava per dimostrare la sua affermazione senza risultare imbarazzante, ma sul suo viso comparì comunque un po'di rossore.
La ragazza non sapeva come ribattere. Quel tipo aveva ragione, doveva essere stato lui a curarla, eppure lei era sicura che fosse la stessa persona ad averle sparato. Dato che se ne stava in silenzio, il dottore ne approfittò per replicare. “Bene. Ora sarai sicuramente stanca, è meglio che ti riposi prima che inizi l'orario delle visite. Abbiamo già contattato i tuoi genitori, e hanno detto che verranno il prima possibile a vederti. Hanno aggiunto anche che, visto l'impossibilità per loro di raggiungerti subito, hanno avvisato tuo zio, e hanno detto che verrà già oggi di sicuro, dato che vive nelle vicinanze. Tra un po'verrà anche l'infermiera a portarti una medicina. Bene, ora ti lascio. Se hai un problema premi il pulsante che trovi sul comodino e saremo subito da te.”
Ada, appena Gilbert ebbe lasciato la stanza, si voltò verso la finestra e si addormentò.
 

 

Erano già sull'aereo, quando la voce di Levi, seduto accanto a lei, la attirò. “Allora, passati gli esami?”
Poi, fece il solito sorriso enigmatico della persona che nasconde qualcosa.
“Si si. E anche abbastanza bene, aggiungerei. Su, che altro vuoi chiedermi? Non mi parleresti mai per chiedermi qualcosa di così futile.”
“Ormai mi conosci troppo bene, Lacie, eh? Comunque, volevo chiederti... Ma sei sicura che ti vada bene anche se non ricordano nulla? Non ti è mai venuta voglia di spiegare loro come in realtà sono andate le cose nel nostro mondo?”
Lacie, capendo che con quelle domande si riferiva a Alyss, Oswald e Jack, lo fissò con i suoi penetranti occhi rossi e un ghigno che avrebbe interdetto chiunque, ma non Levi.
“Si, ci ho pensato parecchie volte. Però, se sapessero la verità, credi che si potrebbero comportare in questo modo? Credi che Alyss sorriderebbe così nel vedere Jack? E Oswald, l'hai osservato? Io non l'ho mai visto così felice. Sono sicura che consideri Jack un amico importante. Te la sentiresti tu al posto mio a rovinare un così bel rapporto?”
“Penso che non mi farei nessun problema a dirglielo.” rispose l'altro, serafico.
La figlia del diavolo sbuffò, rassegnata. “Ma non hai proprio un briciolo di sensibilità, tu?”
“Direi di no. Ma sto bene così. A me interessa solo il cambiamento, voglio soddisfare la mia curiosità e nient'altro. Per questo non gliel'ho mai detto, se è questo ciò che mi stavi per chiedere. Non mi interessa vedere la loro reazione alla scoperta della verità.”
“Capito.” Rispose la ragazza, offesa perchè Levi aveva già intuito la sua domanda prima che lei gliela ponesse. Detto questo, chiusero il discorso, e Lacie prese a pensare a Jack. Era un amore così strano, il loro. Sapevano entrambi di piacersi, eppure a nessuno interessava di mettersi insieme all'altro. A loro bastava la consapevolezza di amarsi reciprocamente. Sapevano che se si fossero promessi qualcosa di più dell'amore, lei ne sarebbe stata presto insoddisfatta, e lui si sarebbe invaghito ancora più di lei, cosa questa che a Lacie non piaceva. Le dava troppe attenzioni, quel biondo.


 

Elliot uscì sconsolato dall'ospedale. Era veramente arrabbiato per quello che era successo ad Ada, ma ciò che lo infastidiva maggiormente era il non poter fare nulla per lei. Non era nemmeno riuscito a parlarle perchè i medici avevano detto che aveva bisogno di riposo, e quindi l'orario delle visite era terminato senza che lui potesse nemmeno vederla.
D'un tratto, mentre camminava nelle strade innevate, sentì qualcuno urlare il suo nome, ma non riconobbe la voce. Pensò che forse stavano chiamando un'altra persona con il suo stesso nome, e quindi si stupì quando vide che il ragazzo da cui proveniva l'urlo si stava dirigendo di corsa verso di lui. Quando lo strano individuo gli fu vicino, Elliot esclamò: “Scusa, ci conosciamo?”. L'altro gli rispose, evidentemente preoccupato da quella domanda così ovvia per il biondo: “Certo! Non... Ti ricordi di me?”
“Assolutamente no. Sicuro di non aver sbagliato persona?”
“No, ne sono sicuro. Tu sei Elliot Nightray, non è così?”
Il biondo osservò che l'espressione del ragazzo mutava ad ogni sua risposta, e temette che se fosse andato avanti di questo passo, quell'individuo sarebbe caduto presto in preda al panico. Indossava degli strani vestiti che si usavano duecento anni prima, e, nonostante fosse buio, si potevano vedere chiaramente i suoi due grandi occhi violacei che sembravano costantemente in tempesta.
“Si, sono io. Ma come fai a saperlo? Io sono sicuro di non averti mai visto prima.”
In realtà, in questa affermazione si nascondeva una bugia, e questo lo intimoriva ancora di più. Il Nightray si ricordava bene di averlo già visto... Nei suoi sogni. Non avrebbe mai potuto scambiare quegli occhi viola per quelli di qualcun altro. Era certo che fosse il ragazzo che gli appariva in sogno tutte le notti, da quando aveva trovato quella strana foto e una spada nera nella soffitta di casa sua. Ma, più che sogni, quelli che lo tormentavano erano per la maggior parte incubi, spaventosi sprazzi di una vita che lui non si ricordava di aver mai vissuto. E, costante presenza in questi ultimi, c'era quel ragazzo, che lui aveva più volte chiamato Leo. La voce dell'individuo che stava di fronte a lui lo riportò alla realtà, ma ciò che disse servì solo a confermare i suoi sospetti. “Ma davvero non ti ricordi di me? Sono Leo, il tuo servitore!”
Un pizzico di disperazione nel tono dell'altro, e una certa curiosità da parte sua, impedirono ad Elliot di rispondere sgarbatamente come faceva di solito, per cui disse: “Okay. Se dici di conoscermi così bene, cosa sai di me? Ma non rimaniamo qui per strada, così poco vestito congelerai. Ti porto in un bar, così mi racconterai tutto con più calma.”

 

La stanza di Janta:

Allora, ecco a voi il terzo capitolo di questa storia a capitoli :D
E' un po'più lungo dei precedenti, e i prossimi conto di farli più o meno lunghi come questo, o anche di più x''
Spero vi piaccia, e soprattutto spero mi lascerete il vostro parere ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Una coperta stesa sul passato ***


Quando Ada riaprì gli occhi, si accorse di non vedere molto. La stanza era immersa nel buio più completo, a parte una sottile luce che filtrava da sotto la porta. Evidentemente era notte fonda. Aveva dormito più del dovuto, e per questo era furiosa con se stessa. Allungò la mano nel buio e mosse il braccio alla rinfusa, finchè non si imbattè nel legno duro del comodino accanto a lei. Trovò la pila su quel mobiletto che aveva notato già nel pomeriggio, e la accese. Era sempre l'unica in quella stanza, quindi poteva permettersi il lusso di accendere le luci e fare rumore senza preoccuparsi di svegliare nessuno. Puntò la pila verso il comodino, e osservò cosa si trovava al di sopra di quell'oggetto deprimente, come del resto lo era tutta la stanza. Il pulsante per chiamare i dottori in caso di bisogno, un bicchiere con dell'acqua, una medicina e una borsa. Stando attenta a non farsi male al fianco Ada si allungò e afferrò curiosa l'ultimo oggetto che aveva visto. Riconosceva quella cartella, l'aveva vista a casa di Elliot, ed effettivamente era nel suo stile. Insomma, era la sua borsa. Si domandò però cosa ci facesse lì e, incuriositasi, la aprì senza pensarci troppo.
Frugò per qualche secondo, finchè non ebbe tirato fuori tutti gli oggetti contenuti dentro. Per primo, trovò il suo cellulare, poi un foglio di carta tutto scritto, un ciondolo, che riconobbe solo più tardi come quello che le aveva dato suo zio quando lei era ancora piccola, e infine qualche altra cianfrusaglia.
Afferrò il cellulare e lo trovò pieno di messaggi, che però si decise ad ignorare. Avrebbe risposto a tutti il giorno seguente. Poi, spiegò il foglio e riconobbe subito la scrittura del suo ragazzo. La lesse, trepidante.

“Ehy Ada! Oggi sono passato a vederti ma stavi dormendo. Hai deciso proprio di farmi preoccupare questa volta, eh? Sono incavolato nero, sento che se beccassi il tizio che ti ha sparato lo strozzerei. Comunque, prima che mi sfoghi su di te, cambiamo argomento. Appena tuo zio mi ha avvisato di ciò che ti era successo sono passato da casa tua e sono andato a prendere questi pochi oggetti, che sapevo che ti sarebbero serviti, in qualche modo, in questi giorni. Tuo zio mi ha detto di portarti anche il ciondolo, per cui... Eccolo qui. Ti ho scritto questo biglietto perchè i messaggi sapevo che non li avresti letti, come al solito. Domani ritorno a trovarti, e spero di trovarti sveglia, questa volta!”

Ada rise sommessamente dopo averla letta tutta, e si sorprese a come fosse quel ragazzo in grado di capirla e prevedere le sue azioni. Era così palese il fatto che leggeva i messaggi solo quando non aveva proprio nulla da fare? Rimise tutto in borsa, poi si decise a prendere la medicina che stava lì probabilmente già da qualche ora, e si ridistese. Com'era prevedibile, non si addormentò per molto tempo, e continuò a rigirarsi sotto le coperte dimenticandosi sempre di non appoggiare il fianco che le faceva male, quindi rischiò più volte di risvegliare mezzo ospedale con una delle sue imprecazioni. Quando stavano arrivando già le prime luci dell'alba al di fuori della finestra, finalmente riuscì ad addormentarsi di un sonno profondo e senza sogni.

Gilbert uscì dall'ospedale stanco, ma contento di ciò che era successo quel giorno. Prese il cellulare e compose il numero di suo fratello sulla cornetta. Dopo alcuni squilli la voce pacata del fratello gli giunse dall'altro capo del telefono. “Si, cosa c'è, fratello?”
“Ecco, volevo solo dirti che abbiamo ritrovato Ada e suo zio, quindi da adesso in poi dovremo fare attenzione, e soprattutto dovremo velocizzare la ricerca. E'la nostra ultima occasione, quindi non possiamo fallire... Dobbiamo assolutamente ritrovare tutti, o saremo costretti a rimanere qui per sempre, ricordatelo.”
“Si, lo so già... Hai notizie di qualcun altro oltre loro due?”
“Ancora no, ma spero che Ada ci dia qualche informazione in più. Ah, tra l'altro, lei sembra non ricordare assolutamente nulla, quindi sarà ancora più difficile portarla dalla nostra parte.”
“Già, ma era ovvio che lei si fosse dimenticata tutto. Ha fatto un riavvolgimento in più rispetto a noi, e la prossima volta che il giro ricomincerà ci toccherà la stessa sorte.”
“Già, ma non ci voleva... Tra l'altro, ora lei è convinta che sia io ad averle sparato...”
“Ma è così infatti. E ti sei pure fatto scoprire, mi meraviglio di te.” Gli rispose Vincent, palesemente ironico.
“Ah ah ah, che spiritoso che sei. Si, mi sono fatto scoprire, e dire che stavo solo cercando di salvarla da quel bandito che c'era dietro di lei! Meno male che la polizia non mi ha trovato...”
“Si, e di questo devi ringraziarmi.”
Sibilando, Gilbert gli disse un sommesso “Grazie.” Poi chiuse frettolosamente la comunicazione. Era veramente abbattuto per essersi fatto scoprire, avrebbe dovuto essere più cauto con quella pistola. Ma ora non c'era più tempo per pensarci. Da quel momento, sarebbe iniziata una rincorsa contro il tempo.

 

Passarono i giorni, molto tranquillamente, e finalmente giunse il momento in cui Ada potè essere dimessa. Ciò che però la preoccupò, fu quando ricevette la notizia che, siccome nessuno poteva venirla a prendere, l'avrebbe dovuta accompagnare il dottore stesso, visto che lei era troppo debole per camminare. Cosa però che le sembrò parecchio strana, dato che i dottori non facevano mai questo servizio ai propri pazienti. Suo malgrado, fu costretta ad accettare quel passaggio, pur di non restare in quel posto che l'aveva annoiata mortalmente, in quei giorni. Salirono sull'auto di lui, e rimasero un paio di minuti di silenzio. Poi, il dottore sbottò con un: “Ti starai certamente domandando perchè ti ho accompagnata io... Vero?”
Ada, un po'stupita da quell'improvvisa domanda, rispose: “Ehm, ecco... In effetti, si.”
“Allora, avevo bisogno di parlarti; volevo semplicemente dirti che avevi ragione, sono stato io a spararti.” Ada lo guardò e, mentre realizzava ciò che aveva detto, notò che era ancora una volta arrossito. Poi, spaventata, cercò di saltare fuori dalla macchina. Sfortunatamente, si era dimenticata di avere indossato la cintura e quindi, quando se la tolse, Gilbert la teneva già saldamente per un braccio. Poco dopo la mollò, ma intanto le fitte al fianco si erano ripresentate per quello scatto improvviso. Era piegata in due dal dolore, ma aveva altro a cui pensare, in quel momento. E se le avesse fatto ancora del male? Eppure, in quei giorni le era sembrato una brava persona, con la strana tendenza ad imbarazzarsi per tutto, cosa che portava a pensare che provasse una forte timidezza. In ogni caso, in quello stato lei non avrebbe più potuto difendersi.
“No, non avresti dovuto muoverti così... Adesso ti farà male per un bel po', il fianco. Però per favore, ascoltami, non avevo ancora finito di parlare. Le cose non stanno come pensi, davvero. E non interrompermi, se ti è possibile, perchè devo raccontarti molti fatti che ti sconvolgeranno più di quanto sei stupita ora... Per favore, al termine del mio racconto, non pensare che io sia matto. So che potrà sembrarlo, ma ti assicuro che tutto ciò che sto per dire è veramente accaduto.”
Ada sussurrò, quasi privata della voce a causa del dolore: “Va bene...”. Non riuscì a dire altro, e quindi il fantomatico dottore iniziò a raccontare.
“Prima di tutto, chiariamo il malinteso sullo sparo. Sono stato io a spararti, però l'ho fatto perchè ti stavano per pugnalare. Solo che ho una pessima mira, e ho colpito te. Scusa, veramente, non so come farmi perdonare... Solo che ti stavo cercando, e ti spiegherò anche il perchè, e appena ho visto che ti stavano per fare del male, ho reagito. E puoi credermi, perchè se ti avessi voluto sparare non ti avrei portata all'ospedale e non ti avrei curato.”
La bionda constatò che aveva ragione. Se avesse voluto ucciderla non l'avrebbe poi aiutata...
Gilbert, poco dopo, fermò la sua macchina, e fece scendere Ada. Erano arrivati ad un locale, e il moro si affrettò a dirle che, siccome sarebbe stato un racconto lungo, aveva deciso di portarla da qualche parte. Ada non ribattè e, fissando i suoi occhi smeraldo in quelli dorati, decise infine di fidarsi del dottore. Non sapeva bene il motivo, ma aveva capito che lui non le avrebbe fatto del male. E, a dirla tutta, la storia la incuriosiva parecchio.
Quindi, entrarono nel locale, e Gilbert iniziò il suo lungo racconto.

 

La stanza di Janta:
Allora, ecco qui il nuovo capitolo. Innanzitutto, come avrete notato, è un capitolo "cuscinetto", diciamo, perchè non succede nulla di particolare xD in teoria avrei dovuto mettere un'altra parte meno noiosa insieme a questo capitolo, ma poi diventava troppo lungo, quindi passerà al prossimo capitolo. Diciamo che questa parte mi è servita solo per fare uscire Ada dall'ospedale e farle conoscere meglio Gilbert u.u
Vorrei fare una precisazione sulla coppietta in questione, ovvero la ElliAda. Ecco, io non li shippo u.u ebbene si, quindi non ci saranno molti momenti romantici in questa fanfic, almeno credo xD però ogni tanto qualcosa di romantico (soprattutto da parte di Ada ewe) ci sarà :3
Bene, vi ringrazio se siete arrivati a leggere fino qui, e beh, spero leggerete anche il prossimo capitolo, che sarà moooolto più interessante u.u

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2782891