Hold Me Like You'll Never Leave

di Sognolicantropi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 Confessions Aren't So Bad ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 Better ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 Cold Days, Warm Hearts ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 Why'd You Have To Be So Cute? ***
Capitolo 5: *** Cap.5 Clearly, It's Something ***
Capitolo 6: *** Cap.6 brighter than sunshine ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 I Just Need You ***
Capitolo 8: *** Cap.8 Waiting for something to happen ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 Confessions Aren't So Bad ***


Scott McCall era un ragazzo normale sotto molti punti di vista.
Abitava a Beacon Hill da quando era nato. Era una piccola cittadina della California: un posticino accogliente, pieno di vita, pieno di gente, dove non avevi tempo per annoiarti.
Aveva una bellissima vita da teenager, lavorava in una clinica veterinaria per guadare qualcosa per sé.
Conosceva un sacco di gente grazie a questo piccolo lavoro e tutti gli volevano un gran bene.
Quel ragazzo che tanto si faceva amare. Un tesoro con tutti; tante volte, se vedeva qualcuno in difficoltà, si proponeva di aiutarlo a portare a casa la spesa.
Inoltre era il solista di un gruppo che aveva fondato con dei suoi compagni di scuola: gli Impossible. E anche grazie ai loro concerti nei pub del luogo era un ragazzo molto rinomato.
Circa all’età di diciassette anni aveva dichiarato la sua omosessualità e tutte le sue convinzioni caddero.
Quel luogo tanto sicuro e famigliare si era rivelato essere il suo inferno terrestre.
Ovunque si girasse si sentiva mille occhi addosso che gli perforavano la schiena, ricordandogli quando sbagliato fosse il suo essere.
Da ragazzo spensierato com’era, si trasformò in una persona molto introversa e riservata. Se poteva si rintanava in casa, da solo, faceva i compiti, studiava, ma soprattutto leggeva. Per lui leggere era l’unico modo per creare un mondo tutto suo, dove si sentiva amato e accettato per quello che era. Nel giro di pochi mesi era riuscito a leggere tutti i libri che aveva trovato in casa e quando ebbe finito cominciò a rintanarsi nella biblioteca comunale. Al termine della scuola, di solito, si dirigeva in quel luogo tanto sicuro e, dopo aver finito i compiti, cominciava a rispolverare i vecchi volumi dimenticati da tutti, iniziando un nuovo viaggio tra quelle fragili pagine.
Proprio tra gli scaffali di quel grande stabile aveva incontrato Stiles: il suo migliore amico.
Si ricordava ogni giorno quel fortuito incontro, dopo averlo fatto soffrire per diversi mesi da solo, il destino gli aveva affiancato una persona preziosa.
Le sue mani correvano esperte tra gli scaffali pieni di polvere della grande libreria ormai conoscendo a memoria ogni volume. Uno sguardo concentrato, le sopraciglia corrugate in un espressione che non si addiceva al dolce viso del moro.
Aveva bisogno di trovare un libro in particolare da leggere per la milionesima volta.
Harry Potter e la pietra filosofale era il suo libro preferito. Molti probabilmente avrebbero riso venendo a conoscenza di quel particolare, ma Scott non se ne preoccupava, d’altra parte chi avrebbe mai dovuto saperlo in un mondo che non si curava nemmeno di conoscere il suo nome?
Due occhi sicuri penetravano ogni singolo volume, memorizzando con così poca fatica, ogni titolo, autore e posizione.
Eccolo finalmente! Era posto alla fine dello scaffale, proprio sul bordo, quasi stava per cadere. Chi aveva trattato quel povero libro con così poco riguardo meritava una pena per quanto gli riguardava.
Due fragili mani lo afferrarono proprio mentre le sue fecero lo stesso. Dall’altro lato dello scaffale Scott poteva vedere due occhi color nocciola molto sorpresi, ma che non si sganciarono dal libro.
«Scusa, ti serve?» chiese l’altro con una voce gentile.
«No guarda, l’ho preso tanto per fare» sputò con voce acida Scott.
Proprio non gli riusciva di essere gentile con le persone. In passato lo era, ma nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno degli altri gli avevano voltato le spalle, lasciandolo solo ad affrontare quella nuova verità.
Il ragazzo dagli occhi color nocciola lo guardò accigliato, con uno sguardo dispiaciuto.
In quel momento Scott sentì una morsa attorno al cuore che lo stringeva forte: era forse possibile che quello sconosciuto avesse, con uno sguardo, cominciato a sciogliere lo spesso strato di giaccio che ricopriva il cuore di Scott?
«Perdonami» sussurrò allora Scott, con sguardo basso, «Prendilo pure» si ritrovò a dire senza pensarci.
Sentì però la presa attorno al libro farsi più leggera e un rumore di passi che si avvicinavano.
Il nuovo ragazzo gli sorrise amichevole, il primo sorriso dopo tanti sguardi di disprezzo.
«Piacere, Stiles» si presentò occhi color nocciola, offrendogli la mano. «S-Scott» balbettò insicuro. Quel ragazzo, quello...Stiles era davvero bello. Scott era gay, era lecito per lui fare quei pensieri. Non troppo alto, magro quanto basta, capelli un po’ arruffati, degli occhi che rendevano il suo sguardo molto dolce e un sorriso luminoso: proprio di quelli che ti rendono felice.
«Ti serve proprio quel libro?» chiese Stiles gentilmente.
«No. Prendilo pure, lo so a memoria» rispose alzando le spalle.
«Siamo in due» esclamò il moro sorridendo.
Dio, perché doveva essere così amichevole?! Scott non si ricordava l’educazione! Cosa si doveva fare adesso?
«Senti, al piano di sopra non c’è nessuno, ti va di fare due chiacchiere?» si propose Stiles sorridendogli.
«Okay. Ma non sorridere». Scott proprio non ce la faceva a vederlo così allegro e spensierato. Gli ricordava se stesso, qualche mese prima. Stiles lo guardò stranito prima di scoppiare a ridere come un folle.
«Silenzio!» un urlo si levò a qualche scaffale di distanza, la vecchia bibliotecaria proprio non voleva sentire volare una mosca.
Il moro si portò una mano alla bocca, trattenendo le risa, mentre Scott lo guardava con sufficienza, incamminandosi al piano superiore.
Dopo qualche rampa di scale si ritrovarono in una stanza piuttosto buia, Scott non c’era mai andato e sembrava essere una soffitta.
Stiles premette un pulsante vicino ad un vecchio armadio e qualche luce si accese, mentre la maggior parte rimase spenta a causa della lampadina bruciata.
«Che ci fai quassù?» chiese Scott guardando fuori. Ormai si stava facendo buio e le prime stelle stavano già cominciando a popolare il cielo.
«Molte delle volte leggo, altre penso» rispose il ragazzo senza perdere il sorriso. Scott lo fulminò con lo sguardo e Stiles subito si fece più serio. «Che c’è che non va con il mio sorriso?» chiese cauto.
«E’ felice» sospirò Scott vagando con gli occhi in ogni angolo della stanza.
«E’ per questo che è bello» gli rispose a sua volta Stiles.
«Non l’avrei mai detto!» esclamò sarcastico Scott sedendosi per terra con la schiena appoggiata al muro.
«Ascolta, sto cercando di fare amicizia. Puoi essere meno scontroso?» Stiles sbuffò, incrociando le braccia.
«Perché vuoi essere mio amico?!» Scott si agitò. Basta avere il cuore spezzato a causa degli amici. Basta avere il cuore spezzato.
«Perché sei solo…» disse Stiles,«Proprio come me» si ritrovò a dire, sedendosi affianco a Scott.
«Sono gay».
Scott doveva dirlo. Gli prudeva la lingua da quando aveva incrociato i suoi occhi solo perché voleva dirglielo. Ormai era quasi automatico per lui. Era come se la gente dovesse sapere con chi aveva a che fare. Della sua stranezza, di quanto fosse sbagliato.
Stiles doveva saperlo subito, prima di creare qualche legame con lui, per poi spezzarlo con insulti sentendosi quasi infetto.
«Anche io».
Scott alzò la testa velocemente incatenando i suoi occhi scuri a quelli di Stiles. Qualche lacrima aveva già cominciato a formarsi e iniziava a pungere i suoi occhi. Poi non resistette e si abbandonò al ragazzo che aveva parlato, che lo abbracciò stretto facendolo sentire dopo tanto di nuovo amato.
Era l’inizio di una nuova vita per Stiles e Scott.
Gli ultimi anni di scuola furono un inferno.
I suoi amici non gli parlavano più da quando aveva fatto coming out, veniva preso in giro.
Il suo unico amico, Stiles, non frequentava la stessa scuola quindi si trovava sempre da solo, in corriera, a lezione, ovunque.
Sua madre invece non era cambiata. Non lo guardava come se avesse una strana malattia. Lo guardava perché era Scott, il suo Scott.
Il moro non era mai crollato in quegli ultimi anni di liceo grazie a lei che sempre lo supportava, gli ricordava chi era e quanto andasse bene così com'era.
In ogni caso, anche con la forza che la sua famiglia e Stiles gli trasmetteva non era facile andare avanti in un mondo dove veniva etichettato.
Trasferirsi era quindi una necessità.
Aveva scelto l'America: Brooklyn.
Ancora non capiva perché aveva scelto quella meta, ma sin da quando era piccolo l'America lo affascinava.
Quel grande continente dove tutto e possibile. Dove alle persone non interessa chi sei, da dove vieni o quali sono le tue credenze. Dove vieni accettato prima di tutto perché sei una persona e come tale devi essere trattata.
Alla fine del liceo prese questa importante decisione e chiese a Stiles se avrebbe voluto accompagnarlo in quella nuova avventura.
Stiles ovviamente accettò subito.
Così all’età di vent’anni Scott poteva finalmente dire che aveva cominciato a vivere.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 Better ***


Era il ventidue febbraio, per Scott e Stiles era ormai passato un anno da quando si erano trasferiti da Beacon Hill.
Scott aveva fatto un cambiamento pazzesco. Non si poteva ancora dire che fosse tornato lo Scott sedicenne, estroverso e gentile con tutti, ma Stiles, che ci viveva assieme, doveva dire che aveva fatto notevoli progressi.
Era ancora molto difficile entrare in contatto con lui, infatti le uniche amicizie che aveva erano proprio grazie a Stiles che si impegnava nel fargli conoscere nuove persone.
Scott era un tipo piuttosto solitario, non voleva avere a che fare con la gente, l’aspro ricordo della vita in California era ancora impresso nella sua mente, così evitava ogni nuovo rapporto.
I due ragazzi avevano trovato un appartamento in centro, abbastanza grande e confortevole, ma la cosa migliore per loro era che si trovava giusto di fronte al bar dove lavoravano. Questo permetteva tante volte l’alzarsi tardi alla mattina (cosa che succedeva non di rado) e, quando capitava, se proprio arrivavano in anticipo potevano fare colazione direttamente là.
Appena arrivati a Brooklyn si rimboccarono le maniche per trovare un lavoro. Non avevano grandi aspirazioni, d’altra parte nessuno dei due aveva una laurea, gli bastava semplicemente un qualcosa che potesse permettere loro una vita equilibrata nella grande città.
Si erano adattati, lavorare come camerieri gli andava benissimo.
«Ehi Stiles, vado a fare due passi...» annunciò Scott ormai sulla porta.
«Se vuoi vengo con te» sii propose subito Stiles volenteroso.
Il moro lo guardò sorridendo quasi ironico con l'angolo della bocca
«Ok» disse Stiles rinunciandoci. Il ragazzo sapeva che il suo amico aveva bisogno tante volte di rimanere solo con i suoi pensieri, ma non poteva fare a meno di chiedergli ogni volta se preferiva un po’ di compagnia.
Quando Scott si presentava sulla porta già con un piede fuori significava solamente che aveva bisogno del tempo per se.
Scott quindi lo ringraziò con lo sguardo, facendogli capire anche quella volta quanto stesse apprezzando la voglia che Stiles metteva nel fargli compagnia. Era più forte di lui respingere quelle richieste da parte del suo migliore amico. A Scott dispiaceva molto dirgli di no, ma aveva bisogno di uno spazio ogni giorno solo per se stesso.
Si incamminò, alzando il bavero del capotto contro il vento che soffiava imperioso, imponendo la sua aria gelida a tutti.
Ormai il suo corpo lo conduceva sempre in un sol posto: il ponte. Quella grande e maestosa struttura che governava la città.
Sguardo a terra e mani in tasca si dirigeva lì senza saperlo. Non si rendeva quasi conto di arrivarci finchè non sentiva il rumore delle macchine che facevano da sottofondo ai suoi pensieri, altrettanto rumorosi.
A cosa pensasse con tanto zelo un ragazzo di appena vent’un anni era un mistero da risolvere, fatto sta che Scott aveva bisogno di molto tempo per pensare e, per assurdo, l'unico posto nel quale riusciva a farlo  tranquillamente era il grande ponte.
Quando arrivò circa a metà si fermo, appoggiando i gomiti al parapetto. Estrasse poi una sigaretta dalla tasca del suo cappotto, accendendola.
In vita sua non aveva mai fumato, ma da quando si era trasferito con Stiles aveva preso questo brutto vizio.
La colpa, o almeno così veniva chiamata da Scott, era da attribuire alle giornate passate a lavoro.
Ogni tanto ne tirava fuori una, l'accendeva, faceva qualche tirata e poi la gettava, molte volte ancora prima di finirla, l’aiutava a concentrarsi.
La folla si spostava velocemente dietro di lui, quasi non accorgendosi della sua presenza, il più delle volte urtandolo.
«Che cosa stai aspettando?» una voce molto dolce, ma allo stesso tempo curiosa,  lo fece sobbalzare lievemente, facendogli cadere la sigaretta al di la della ringhiera. Serrò gli occhi, nervoso, sospirando lievemente: quale persona sana di mente si mette a parlare con uno sconosciuto così dal nulla e per di più facendo domande tanto idiote?
Si girò lentamente, irritato, verso il ragazzo che aveva parlato. Era forse la prima volta che un ragazzo decidesse di sua spontanea volontà di interagire con lui. Il merito delle poche amicizie che aveva stretto lì a Brooklyn era da dare a Stiles.
«Sto aspettando che succeda qualcosa». Scott gli rispose pensieroso. Ecco svelato il mistero. Scott McCall  aveva bisogno che succedesse qualcosa. Aveva bisogno di essere sorpreso, forse è proprio per quello che si ritrovava sempre al ponte. Giusto a metà, la metà che divideva Manhattan da Brooklyn. Non troppo lontano da una, non troppo vicino dall’altra. Se un giorno avesse finalmente deciso di agire, invece di aspettare si sarebbe trovato ad un bivio. Cercare quel qualcosa dal lato sognatore e spensierato della grande Manhattan o dal lato grigio e scuro della sua Brooklyn.
Si appoggiò con la schiena alla ringhiera dietro di lui, le braccia abbandonate lungo il corpo, guardando attentamente il ragazzo. Aveva degli occhi straordinariamente azzurri, color ghiaccio, ma spenti. Tristemente spenti.
Cercò di capire subito quali fossero le sue intenzioni, ma era come uno spettro. Sembrava un ragazzo pieno di energie, felice. Aveva un sorriso bellissimo dolce, “ quello di Stiles sembrava piuttosto ordinario in confronto” si ritrovò a pensare Scott sorpreso.
Il moro avrebbe detto subito che fosse un ragazzo allegro, con spirito d’iniziativa, ma poi si perdeva nei suoi occhi e tutto quello che pensava era come se sfumasse.
Scott innalzava una sorta di barriera ogni qual volta qualcuno provasse a interessarsi di lui.
Ora infatti, lì in America, aveva solo tre persone a cui teneva più della sua stessa vita: Stiles, Allison e Lydia.
Erano i suoi migliori amici e sapeva che almeno loro non l’avrebbero mai abbandonato.
«Mi chiamo Isaac» si presentò il ragazzo offrendogli la mano.
«Scott» disse risoluto stringendola. “Isaac”, un nome molto particolare, ma che a lui stava d’incanto.
Poi, senza rendersene conto, il biondo si avvicinò velocemente al suo corpo, scontrandosi nel suo petto. Scott sospirò, sorpreso, quando Isaac invase il suo spazio personale, ma non riusciva a trovare neanche un motivo per farlo spostare.
Il biondo passò una mano nel suo viso, scostando una ciocca di capelli dalla fronte e sistemandogliela dietro alle orecchie. Successivamente Isaac appoggiò delicatamente la fronte a quella di Scott, che ancora stava immobile lasciandolo fare.
Il moro poté sentire molto chiaramente il respiro di Isaac infrangersi sulle sue labbra, appena schiuse. Chiuse gli occhi, d’istinto quando due labbra morbide si posarono sulle sue, assaporandole appena.
Durò pochi secondi, un semplice contatto tra le loro labbra, ma a Scott sembrò di morire dentro.
«Spero sia qualcosa...» gli sussurrò quell’Isaac sconosciuto sulle labbra, prima di allontanarsi con le mani in tasca, mescolandosi tra i passanti, che imperterriti continuavano il loro cammino senza accorgersi della scena.
Quando Scott aprì gli occhi, il ragazzo se n’era già andato ormai immerso nella folla era impossibile da distinguere.
-Stiles aiutami. –
 Scrisse velocemente nel suo blackberry con le mani scosse da piccoli brividi.
A qualche isolato di distanza il cellulare vibrò nella tasca di Stiles che lo prese in mano leggendo subito con ansia il breve testo.
- Dove sei? -  rispose velocemente, prima di inviare il messaggio. Che domanda inutile era ovvio che fosse al ponte.
Così, ancora prima di aspettare una risposta che non sarebbe comunque arrivata, afferrò le chiavi di casa e si incamminò a passo veloce verso la struttura.
Era strano il comportamento di Scott, insomma cosa poteva essergli successo? Aveva chiesto il suo aiuto senza avere la forza di tornare a casa, quindi era una faccenda abbastanza seria.
Stiles conosceva Scott: crollava per ogni singola cosa.
Quando una persona avrebbe potuto buttar tutto sul ridere, Stiles aveva la pazienza di ripetere al suo moro che sarebbe andato tutto bene, che lui c’era e soprattutto che lo avrebbe aiutato.
In quindici minuti era arrivato alla grande struttura e in lontananza già poteva vedere Scott seduto a terra.
Cominciò a correre preoccupato verso l'amico che non sembrava accorgersi di ciò che accadeva attorno a lui.
«Scott!» esclamò quando fu abbastanza vicino, « Cosa è successo?»  chiese chinandosi verso di lui.
«I-Io.. Mi.. Mi ha b-baciato...»  balbettò Scott sconvolto.
«Che cosa?» Stiles davvero non riusciva a star dietro ai ragionamenti di Scott.
«Un ragazzo! Si è fermato mi ha parlato e poi… poi mi ha baciato!» ripeté senza perdere lo sguardo sconvolto.
«Con calma. Un ragazzo che non hai mai visto prima ti ha parlato e poi dal nulla ti ha dato un bacio?»  provò Stiles sorridendo, immagazzinando le informazioni ricevute. Scott annuì, muovendo la testa cercando di ricordare la scena.
«Ma perché sei cosi sconvolto?» chiese senza perdere il sorriso.
«Perché?! Perché un ragazzo stupendo, quel tipo che ti sogni di notte sperando che sia il tuo principe azzurro, mi sbuca fuori all’improvviso mi chiede cosa stessi aspettando e poi pianta le sue labbra nelle mie!» Scott si alzò in piedi, corrugando la fronte.
«Stiles, non sono mai stato baciato da un ragazzo, capisci?! Io… Io non so bene cosa stia succedendo dentro di me. In un certo senso è la cosa più bella che mi sia capitata, ma è sbagliato dato che quel tipo non lo conosco» Scott si fermo per riprendere fiato, elettrizzato.
«Sei sicuro di non averlo mai visto?» domandò Stiles, pensieroso, «Magari mentre eri ubriaco, l’altra sera?» aggiunse ridendo.
«Idiota, non ero ubriaco!» si difese il moro ridendo. «No certo! Mi hai chiesto di lisciarti i capelli!» rispose sogghignando.
«Ecco perché sta mattina erano sorprendentemente lisci! Ora ti ammazzo Stilinski!» sbraitò Scott ridendo, ma minaccioso cominciò a rincorrere Stiles che cercava di mettersi in salvo.
«Scott! Scott scusa ero ubriaco anche io!» provò Stiles senza smettere di correre.
«Scappa» sibilò Scott ridendo malvagiamente.



 
*

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Capitolo 3
*** Cap. 3 Cold Days, Warm Hearts ***


Scott era rimasto sveglio tutta la notte pensando ad Isaac, il ragazzo misterioso che gli aveva rubato un bacio dalle labbra.
“Era solo un bacio Scott” si ripeteva cercando di convincere se stesso. Il guaio era che quello non era un semplice bacio: era il bacio.
Scott aveva avuto molte ragazze in passato, ma con nessuno aveva provato quello che Isaac gli aveva trasmesso. Scott era molto esperto sotto quel punto di vista, era il rubacuori della scuola prima che si riscoprisse gay. Ora che ci pensava doveva essere sincero, in fondo aveva sempre sospettato di una sua possibile omosessualità. Non aveva mai avuto un rapporto che durasse per più di un mese e anche con quelli che magicamente riuscivano ad andare avanti per più tempo le prestazioni non erano mai soddisfacenti.
Il bacio che Isaac gli aveva dato era il primo che contasse. Il primo dato, o meglio ricevuto, da un ragazzo.
Non ci poteva credere, lo sconosciuto aveva preso l’iniziativa e aveva incollato le labbra alle sue.
Da un lato era felice di aver finalmente provato la sensazione di essere baciati, ma allo stesso modo era molto irritato che il tipo gli avesse rubato il suo primo bacio.
Aveva immaginato molte volte quella scena, pensando che sarebbe stato il suo fidanzato a baciarlo per primo dicendogli quanto l’amava.
Invece si era ritrovato questo Isaac spiccicato contro il corpo.
Un ragazzo che tra l’altro non avrebbe mai più rivisto e che non aveva idea di chi fosse.
Magari era stato scelto come soggetto ignaro per qualche esperimento sociale…
“Okay Scott, stiamo esagerando” gli disse una vocina dentro alla sua testa, così mettendola a tacere infastidito si addormentò…
«Ma che cavolo…?!» esclamò Scott alzandosi dal letto e afferrando il suo cellulare che aveva lasciato sul pavimento la notte prima.
Stava squillando ad alto volume ininterrottamente, sulle note di “It Girl”. Ovviamente chi chiamava poteva essere solamente una persona: Lydia. La sua amica molto probabilmente gli aveva impostato la suoneria senza che se ne accorgesse il giorno prima al lavoro. Proprio quando prese in mano il cellulare la ragazza riagganciò. Erano le sette e tre. Un momento… le sette e cinque?! Il moro era ufficialmente morto. Per quale sana ragione Stiles non lo aveva svegliato?
Raccolse in fretta i primi vestiti che trovò sparsi per terra, infilandosi alla bell’e meglio. Entrò in cucina e infilò in bocca quanti più biscotti potevano starci; raccogliendo in fretta le All Star bianche, entrò in ascensore e guardandosi al grande specchio all’entrata gli venne quasi una sincope. Aveva i capelli tutti arruffati, nella corsa verso la morte non era nemmeno andato in bagno, la sua maglia era messa al contrario e aveva la faccia ricoperta di briciole. Imprecò mentalmente, poi sistemandosi con più cura, si guardò ancora allo specchio: ora poteva andare.
Attraversò la strada di fretta quasi facendosi atterrare da un taxi che gli suonò clacson più volte, gli urlò delle scuse al volo prima di entrare con uno scatto nel bar davanti a lui. Le sette e otto minuti: sorrise soddisfatto. Migliorava ogni volta e poi otto minuti di ritardo erano accettabili.
«SCOTT MCCALL! DOV’ERI FINITO?!».
 Un urlo riecheggiò tra le pareti del locale, facendolo gelare sul posto. Lydia, la sua migliore amica, nonché capo, era assolutamente fiscale negli orari. Se alle sette si apriva, alle sette meno un quarto dovevi essere già arrivato. Non che chiedesse molto dato che gli bastava attraversare la strada.
Scott intanto si fece piccolo piccolo, mentre la ragazza si avvicinava a lui con passo veloce, attirando le occhiate curiose dei pochi presenti.
«Da quando baci gli sconosciuti senza dirmi una parola?!» soffiò lei irritata, quando gli fu abbastanza vicino.
Che cosa?! Lei come faceva a saperlo? Quasi avrebbe preferito una ramanzina sugli orari da rispettare.
«Nel caso te lo stessi chiedendo: Stiles» aggiunse sorridendo questa volta. Lydia non era davvero arrabbiata e Scott lo sapeva, quello era il suo modo di mostrarsi interessata.
«A proposito dov’è quel piccolo nano che non mi ha svegliato?» chiese cogliendo al volo l’occasione per cambiare discorso e successivamente cominciò a cercarlo nella stanza.
«Ehi guardami» disse Lydia, schioccando le dita davanti ai suoi occhi. «Sta guardando quel ragazzo laggiù da un quarto d’ora. Non ti ha svegliato perché alle sei e mezza era qui fuori ad aspettarmi che aprissi. Voleva essere puntuale per lui» concluse, dando un occhiata all’interessato. Scott guardò il ragazzo con occhio critico, Stiles era il suo migliore amico, meritava il meglio.
Era molto bello, alto e magro e muscoloso da far paura. Una pelle chiara che sembrava essere davvero liscia, due occhi verdi, molto profondi che gli donavano un’aria misteriosa e infine aveva un ciuffo assurdo sui suoi capelli perfettamente neri.
Bello, in ogni caso, era riduttivo, pensò Scott. Più correttamente “perfetto”, ma decisamente non il suo genere.
«Aww, il piccolo Scott fa progressi!» una ragazza mora, con un sorriso smagliante, gli corse incontro abbracciandolo stretto.
«Te ne vai in giro a baciare gli sconosciuti e non ci dici niente? Nemmeno un messaggio?» chiese la mora una volta riemersa da quell’abbraccio.
«Allison e Lydia, non so cosa vi abbia detto Stiles, ma ascolterete la mia versione dopo! Ora se non sbaglio abbiamo un bar da mandare avanti» sbuffò deciso, dirigendosi verso il camerino per prendere il suo grembiule.
«Stilinski, asciuga la bava».
Scott passò vicino a Stiles con un vassoio in mano e quando gli sussurrò quelle parole all’orecchio Stiles si ridestò dal suo stato comatoso sussultando.
«I-Io non sto sbavando!» balbettò Stiles, arrossendo. Scott sogghignò, portando il caffè ad un uomo sulla cinquantina che stava leggendo un giornale.
Passarono più o meno un’ora a prendersi in girò, chi Stiles chi Scott. Lavorare con loro era decisamente salutare per il moro, riuscivano sempre a portare un po’ di luce nei suoi giorni.
«Ehi Scott, puoi servire quel tavolo?» gli chiese gentilmente Lydia, passandogli accanto. «Lo chiederei a Stiles dato che c’è il suo amato, ma è già occupato» aggiunse facendolo ridere.
«Nessun problema!» le disse, prima di prendere il blocchetto delle ordinazioni. Si diresse in direzione del moro che prima aveva osservato. Era in compagnia di un ragazzo che però gli dava le spalle, chino sul menù del bar.
«Desiderate?» chiese gentilmente, sorridendo ai due ragazzi seduti, e attirando in quel modo la loro attenzione.
Due occhi azzurri si incatenarono subito ai suoi, facendogli perdere un battito.
Possibile che non se ne fosse accorto prima? Avrebbe decisamente detto a Lydia di andare al suo posto.
Isaac aveva la testa china sul menù e finché Scott non fu abbastanza vicino da potergli parlare, non si era accorto della sua presenza.
Il ragazzo gli sorrise sapiente, ricordandosi  il loro incontro avvenuto appena il giorno prima.
«Ehi..» soffiò con voce melliflua
Dio, Scott non era pronto. E poi quella voce, non si doveva permettere di parlargli così, infondo non aveva idea di chi fosse.
«P-Posso portarvi qualcosa?» balbettò Scott  insicuro, ignorando il saluto del ragazzo.
Scott, respira e datti un contegno. Non farti vedere vulnerabile anche questa volta.
«Io sono a posto, grazie. Tu, Isaac?» rispose sorridendo il ragazzo più grande.
Isaac guardò Scott negli occhi, che distolse lo sguardo in fretta. Non riusciva a sostenere quegli occhi azzurri che sembravano leggergli l’anima. Era come la sua cura personale. Quando Isaac lo guardava si sentiva un po’ meglio, la cosa buffa era che tutto ciò era successo solo due volte.
Poi il ragazzo si alzò dal tavolo, avvicinandosi a Scott ancora una volta immobile; gli prese delicatamente il polso con la mano e lo portò fuori dal bar.
Scott fremette a quel tocco gentile, nessuno lo aveva mai toccato con così tanto riguardo. Era abituato a spintoni, parole taglienti che, molto spesso, erano anche peggio. Si lasciò poi guidare da Isaac sotto le occhiate sconvolte di Allison e Lydia e quella indagatrice di Stiles.
Guardò il ragazzo che aveva un’espressione rilassata, ma che intenzioni aveva?
Quando uscirono Scott appoggiò la schiena al muro, distrutto. Isaac in cinque minuti aveva frantumato quella barriera che lui con fatica aveva creato in due anni. No, Scott non era d’accordo: ci sarebbero voluti altrettanti anni per una persona ad invadere il suo spazio.
Stiles, Allison e Lydia erano l’eccezione, ma anche loro avevano lavorato tanto su quell’aspetto.
«Cos’era?» chiese Scott quasi senza accorgersi di aver parlato, con lo sguardo a terra.
Isaac sorrise, si aspettava quella domanda. Dopo tutto lo aveva baciato senza preavviso.
«Un bacio» rispose alzando le spalle. Scott si sentì innervosire appena; quel ragazzo poteva farlo andare in brodo di giuggiole con uno sguardo e poi farlo arrabbiare un secondo dopo. Ancora non era chiaro per Scott se amarlo o odiarlo.
«Perché?!» sbottò Scott non riuscendo a contenersi.
«Perché tu sei dannatamente bello e morivo dalla voglia di baciarti» soffiò Isaac avvicinandosi appena.
Oh. Questa non se l’aspettava. Si sentì arrossire e pregò che il ragazzo non se ne accorgesse. Sapeva che non era il vero motivo di quel bacio, insomma non si può baciare la prima persona che ti passa accanto solo perché è stupenda!
«Perché sei qui?!» chiese ancora, ignorando il commento precedente.
«Perché un incantevole scherzo del destino ha deciso di farci incontrare ancora» rispose dolcemente quell’Isaac, sorridendogli.
«Ti odio» sputò fuori Scott, cercando di allontanarsi. Le prese in giro facevano parte del suo passato e non era pronto per riceverne altre.
Due forti braccia, però, si appoggiarono al muro tra il suo capo, impedendogli ogni movimento.
«Esci con me».
Non era una domanda e Scott l’aveva capito benissimo. D’istinto avrebbe detto di sì, si ricordava quando aveva sedici anni, quando era lui a fare quel tipo di affermazioni, quando era lui che cercava di mettere le basi per una relazione, che solo dopo si rendeva conto di quanto fosse sbagliata.
«Non ti conosco nemmeno…» sussurrò allora, con tono dispiaciuto.
«E’ per conoscersi che le persone escono assieme», disse Isaac deciso. «Per favore…?» provò ancora, scongiurandolo con lo sguardo.
«Non posso» sussurrò ancora Scott.
Isaac allora sospirò triste,  togliendo le mani dal muro, dandogli la possibilità di muoversi; il moro però era ancora fermo contro il muro, aspettando.
Il ragazzo gli sorrise dolce, posandogli gentilmente un bacio sulla guancia, prima di voltarsi e tornare nel locale.
A Scott gli ci vollero cinque minuti buoni per immagazzinare tutto ciò che era successo.
Il giorno prima un ragazzo sconosciuto chiamato Isaac si era fermato a metà del ponte di Brooklyn perché aveva visto un ragazzo da solo. Gli aveva chiesto che cosa aspettasse, una domanda tanto personale a pensarci bene. Tutti nella propria vita aspettano che succeda qualcosa, senza capire che forse è meglio cominciare ad impiegare le proprie energie invece di aspettare passivi.
Successivamente gli aveva dato un bacio sulle labbra e se n’era andato.
Isaac, dopo solo un giorno, era spuntato fuori nel bar dove lavora, gli aveva detto che era bellissimo e che voleva uscire con lui. Dopo i rifiuti di Scott gli aveva dato un bacio sulla guancia ed era tornato dentro.
Scott era abbastanza sconvolto, durante quell’anno a Brooklyn non gli era mai successo niente del genere. Per quanto varia fosse la gente del luogo, nessuno era mai stato tanto sfacciato. Insomma alcuni ragazzi ci avevano provato con lui nel locali dove veniva trascinato dai suoi amici, ma la dolcezza di Isaac era tutta tutta un’altra cosa.
Dopo aver respirato a fondo, entrò nuovamente nel bar, stando ben attento a non incontrare lo sguardo di Isaac che si sentì addosso per la buona parte del tempo. A mezzogiorno il ragazzo se ne andò con l'amico che sedeva accanto a lui.
I suoi amici provarono più volte a chiedergli chi era e di che cosa avessero parlato, ma Scott non riusciva ad aprir bocca.
Continuò il suo lavoro servendo gentilmente i clienti e tornado alla sua espressione corrucciata una volta che si girava.
Alla pausa pranzo Scott si volatilizzò con la stessa velocità con cui era uscito quella mattina rintanandosi in camera sua.
Non poté stare da solo due minuti che i suoi amici lo raggiunsero preoccupati.
«Scott che è successo?» disse Lydia, entrando piano dopo aver bussato senza sentire risposta.
Allison e Stiles la seguirono, la prima con un cartone di pizza tra le mani. Guardandola Scott sorrise, non sicuro se quello fosse solo per lei o per tutti e quattro. I suoi amici si sedettero accanto a lui, tra le lenzuola del suo letto.
«Chi era quel ragazzo?» chiese Stiles con fare indagatore. Se una cosa gli riusciva bene era proprio proteggere il suo Scott.
«Era il ragazzo, Stiles» rispose Scott con sguardo perso. «Quello di ieri?!» Stiles quasi urlò, sconvolto.
«Oh mio dio, Scott te li scegli bene! Speravo di avere qualche chance con lui» la buttò sul ridere Lydia.
«Beh che cosa ha detto?» chiese Allison sorridendo, senza dare il tempo a Scott di ribattere
«Che sono bello...» disse Scott, «Che sono dannatamente bello» aggiunse, ricordandosi le esatte parole.
«Aww Scott che dolce!» mugugnò Lydia sognante tra i sospiri infastiditi di Stiles, «Perche nessuno mi dice queste cose?»
«Sei dannatamente bella Lyds» bofonchiò la mora con la bocca piena. «Sei bella anche tu Ally» scherzò allora la ragazza, lasciandogli un bacio nella guancia.
«Mi ha chiesto di uscire» aggiunse guardando i suoi amici
«Che cosa?!» Allison quasi si strozzò, Stiles sbuffò e Lydia si alzò dal letto elettrizzata.
«Gli ho detto di no Stiles».
Scott parlò rivolgendosi esplicitamente a Stiles che cominciò a balbettare parole sconnesse.
«Stiles quando sei geloso, sei adorabile» disse Scott, avvicinandosi per sistemarsi tra le sue gambe. Il più grande lo abbracciò stretto, circondandolo con le sue braccia, soddisfatto. Isaac doveva stare ben attento, qualsiasi fossero le sue intenzioni. Aveva promesso a se stesso che avrebbe protetto Scott da tutti, perfino da se stesso se ce ne fosse stato il bisogno.
«Ma perche?!» esclamò Allison assecondata da Lydia.
«Non lo so, io... non lo so. Sono stato male per troppo tempo per colpa di chiunque, perfino gli amici mi avevano abbandonato.
Se fosse solo una presa in giro? Magari non gli interesso veramente. Sono solo un esperimento e ne esco ancora una volta distrutto».
I suoi amici lo guardarono comprensivi, capivano bene che per lui era molto difficile fidarsi delle persone.
«Scott» cominciò la rossa sedendosi nuovamente nel letto, «Lo capiamo che hai subito cose  terribili da chi credevi ti fosse più vicino, ma devi abbandonare il tuo passato e imparare a fidarti delle persone. Non sempre puoi sapere cosa succederà finche non arrivi alla fine. Quindi dovresti solo provarci».
«E’ vero Scott, Lyd ha ragione» disse Allison.
«Se quel ragazzo davvero voleva uscire con te domani mattina sarà ancora lì» aggiunse Stiles, appoggiato alla sua spalla.
«Ora ti abbraccerò, okay?» chiese Lydia, prima di stringerlo tra le sue braccia.
«Vorrei non avergli detto di no» sussurrò Scott, dopo le parole rassicuranti dei suoi amici. Avevano ragione, doveva imparare a fidarsi.
Allison, sconvolgendo i suoi amici, aveva detto che la pizza era per tutti, così stettero lì durante la pausa, chiacchierando.
La mora dopo un po’ tirò fuori dalla tasca dei jeans una salvietta probabilmente portata dal bar.
«Allison non per turbarti sai, ma perche nella tua salvietta c’è scritto “Scott”?» chiese Stiles prendendola tra le mani.

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Capitolo 4
*** Cap. 4 Why'd You Have To Be So Cute? ***


Stiles prese tra le mani la salvietta che Allison aveva tirato fuori della tasca dei suoi jeans, guardandola con attenzione. Sorrise, da una parte felice per ciò che c’era scritto, ma ovviamente non poteva che provare un senso di gelosia.
Scott, incuriosito dalla sua espressione, gli strappò il foglio dalle mani, cominciando a leggere con un sorriso che si allargava nel suo volto.
«Scott con tutti i problemi che ti fai, mi ero completamente dimenticata di dartelo!» Allison si scusò non appena si rese conto di che cosa avesse di tanto speciale quel pezzetto di carta.
«Scott, scrivimi per favore, “I”» lesse ad alta voce Lydia, «Tesoro ti rendi conto? Oggi è il tuo giorno fortunato! Ti ha scritto il numero» esclamò la ragazza elettrizzata. «E “per favore” l’ha sottolineato! Altro che interessato, questo ti vuole sposare».
«Sempre la solita esagerata…» borbottò Stiles, facendogli ridere.
Scott nel frattempo aveva ancora il foglietto tra le mani, leggendo per l’ennesima volta le poche parole che Isaac aveva scritto, senza smettere di sorridere.
Forse aveva bisogno davvero di fidarsi di più delle persone e aveva solamente bisogno che qualcuno gli insegnasse come fare.
Dopo tanto tempo, qualcuno si era davvero interessato di lui ed il moro non poteva ancora crederci.
Passata l’euforia iniziale, non era ben sicuro di come reagire di fronte a quella situazione.
Gli aveva chiesto di scrivergli, ma cosa? Non voleva che fosse una cosa troppo banale, ma d’altra parte non ci sarebbe stato un senso nel scrivergli grandi parole.
«Scott, Scott mi stai ascoltando?» chiese Lydia, spingendolo appena.
«Ehm, scusa Lyds. Dicevi?» disse il moro, dopo essersi ridestato dai suoi pensieri.
«Senti, prenditi la giornata libera. Non sei molto d’aiuto in questo stato» constatò tranquillamente.
«Vedi di scrivergli, qualsiasi cosa, ma fallo. E quando sta sera torneremo dovrai farci leggere tutti i messaggi» aggiunse Allison, sorridendo minacciosa. Poi le due si alzarono e uscirono dalla camera salutando Scott.
Scott intanto era ancora tra le braccia dell'amico, fermo.
«Stiles...?» chiese, girandosi in quell'abbraccio per guardarlo negli occhi. Aveva bisogno di sapere che cosa ne pensasse il suo migliore amico. Era sempre così, Allison e Lydia potevano dargli tutti i più giusti consigli e lui li accettava sempre di buon grado. Il parere di Stiles, però, era per lui quello più importante. Non faceva mai niente, sapendo che a Stiles non sarebbe sembrato giusto.
Stiles non era una persona egoista, né voleva sempre essere informato, ma Scott sapeva che seguendo i suoi consigli nessuno lo avrebbe potuto ferire.
«Piccolo, tu scrivigli e basta. Sono sicuro che ti risponderà» disse semplicemente Stiles, con uno sguardo sincero. Poi si chinò per sfiorare le sue labbra con quelle di Scott.
Non c’era mai niente di malizioso nei gesti che spesso accompagnavano le loro discussioni. Semplicemente per i due ragazzi era naturale confortarsi anche in quel modo.
Stiles, per Scott, era una sorta di tranquillante, nelle situazioni di insicurezza un bacio come quello era esattamente ciò che desiderava. Era dolce, gli trasmetteva tranquillità ed era un contatto semplice e quotidiano.
Le prime settimane a Brooklyn, Allison e Lydia, li avevano scambiati per una coppia, sopratutto per i comportamenti esagerati di Stiles.
Il ragazzo si era sempre preoccupato per Scott e pensare che erano da soli in una città completamente nuova lo metteva in agitazione. Tutto questo portava ad essere super protettivo nei confronti di Scott e molte volte scene come quella erano capitate davanti agli occhi delle due amiche.
Dopo un imbarazzo iniziale, avevano subito chiarito i ruoli e Allison e Lydia scherzosamente li prendevano ancora in giro per la loro strana relazione.
Dato che non c’era mai disagio tra i due giovani, Scott approfittava sempre delle labbra dell’amico quando era in difficoltà. Molto spesso accadeva quando i suoi amici lo trascinavano tra locali e locali. Quando qualche ragazzo poco raccomandabile si avvicinava a lui con intenzioni squallide, Scott cercava Stiles e indipendentemente da quello che stava facendo incollava le labbra alle sue.
Molte volte questo comportava delle figure che Stiles si sarebbe risparmiato molto  volentieri.
Una volta Scott gli era arrivato addosso senza che se ne accorgesse, facendogli rovesciare dappertutto il contenuto del bicchiere che teneva in mano, facendo ridere molte persone che avevano assistito alla scena.
Qualche tempo dopo, invece, mentre stava parlando con un ragazzo proprio niente male, Scott aveva cominciato a baciarlo come se ne andasse della sua vita. La conseguenza fu che Stiles si arrabbiò con Scott per avergli fatto sfuggire l’uomo dei suoi sogni e gli tenne il muso per tutta la serata.
«Ora vado» disse Stiles, sciogliendo quel caldo abbraccio e lasciando il moro solo nella camera.
Scott, non appena  il ragazzo si chiuse la porta alle spalle, si distese nel letto, sospirando. Il problema era sempre e solo uno: cosa gli avrebbe scritto?
Tutto ciò a cui pensava sembrava essere troppo banale da poter scrivere ad Isaac. Non voleva fare brutte figure solo a causa di un messaggio. La cosa che odiava più al mondo era quando un ragazzo, e in passato ragazze, gli davano il proprio numero aspettando che fosse lui a “fare il primo passo”.
Lo metteva sempre in difficoltà avere il numero di qualcuno a cui doveva scrivere e il fatto che quel qualcuno gli avesse detto che era maledettamente bello e lo avesse pregato di uscire con lui non aiutava.
 
Dall’altra parte del ponte, a Manhattan, un ragazzo dagli occhi azzurri passeggiava avanti e indietro nel salotto del suo appartamento, Aveva la fronte corrugata, in un’espressione concentrata e teneva il suo cellulare tra le mani, aspettando.
«Isaac, credo che anche da seduto possa arrivarti un messaggio» suggerì un ragazzo, disteso nel divano con un il suo inseparabile blocco da disegno in mano.
«Derek, non infierire, non parlare e non pensare: ti fa male» rispose allora il ragazzo infastidito che, però, si beccò un cuscino in testa.
Quella scena andava avanti da almeno un’ora e Derek davvero non poteva più vedere il suo amico in movimento.
Isaac, d’altra parte, era molto nervoso, in due giorni aveva incontrato un ragazzo spettacolare, Scott, e gli aveva chiesto di uscire, più che altro lo aveva implorato di uscire, ma il moro gli aveva risposto di no con riluttanza. Tutto gli interessava di quel ragazzino, dal sapere perché avesse quasi paura delle persone allo scoprire le cose più banali, ma, trattandosi di Scott, al ragazzo dagli occhi color del cielo avrebbero fatto più piacere.
Derek, il suo migliore amico, l’aveva visto davvero depresso quando rientrò nel bar, quella mattina, così gli consigliò di lasciare il suo numero a Scott. Isaac, però, davvero non ce l’avrebbe fatta a parlare nuovamente al ragazzo ed ovviò decidendo di scrivergli un biglietto che sicuramente lui o i suoi amici avrebbero trovato.
Aveva bisogno di uscire con qualcuno e il fatto che Scott l’avesse rapito con un sol sguardo non era semplicemente un caso.
Isaac era un ragazzo riservato, mai si sarebbe sognato di baciare un ragazzo senza nemmeno conoscerlo.
Quando tornò a casa, era abbastanza sconvolto per ciò che aveva fatto e Derek quasi non gli credette quando gli raccontò l’accaduto. Il giorno dopo al bar, però il moro doveva ammettere che non vedeva Isaac così vivo da diversi anni.
Forse il destino si era accorto di quanto Isaac avesse bisogno di una relazione.
Il cellulare di Isaac vibrò e l’interessato, leggendo “numero sconosciuto” lanciò un urlo molto acuto, decisamente non adatto alla sua voce. Ancora prima di potergli chiedere qualcosa, Isaac si era rifugiato in camera sbattendo la porta, elettrizzato.
Stava tenendo il suo blackberry contro il petto, nascondendolo senza una ragione precisa. Aveva gli occhi chiusi e sperava con tutto il cuore che quel messaggio contenesse un motivo per tornare da Derek, euforico.
-Sì.
Scott. –
Tutto ciò che recitava il messaggio e Isaac si sentì morire dentro. Scott, il suo Scott, gli aveva scritto un sì. Aveva accettato di uscire con lui. Isaac era convinto che quel “sì”, si riferisse all'uscita che gli aveva proposto. Scott l'aveva rifiutato con riluttanza e sembrava quasi dispiaciuto nell'avergli detto di no. Il giovane però non si era lasciato scoraggiare del tutto, quindi era sicuro che era finalmente arrivata la risposta che avrebbe voluto sentirsi dire quella mattina.
- Grazie a Dio.
Isaac -
Rispose in fretta senza rendersene quasi conto, aspettando ardentemente l’arrivo di un nuovo messaggio da parte di Scott.
- È solo un sì.
S -
Fu la breve risposta del moro. Scott sorrise, sentendosi più leggero ora che era certo che avrebbe rivisto il ragazzo.
Ancora non poteva crederci che lavorasse proprio in quel locale, insomma Derek era un genio: quanti ragazzi mori, con degli occhi stupendi marroni, e un fisico da poter invidiare esistevano?
Una. Scott McCall. O perlomeno nell'universo di Isaac esisteva solo Scott.
- E’ il tuo sì,
S –
Scrisse, rispondendo rapidamente, sentendosi un po’ patetico solamente dopo averlo riletto. Quei tipi di messaggi non li scrivi ad un ragazzo che appena conosci, dopo avergli solamente chiesto di uscire.
«Derek!» urlò Isaac dalla camera, chiamando l’amico. Lo sentì sbuffare irritato, ma comunque il giovane si alzò dal divano raggiungendo Isaac in camera.
Entrò facendo un po’ l’offeso per le risposte che aveva ottenuto prima, tenendo tra le mani il suo prezioso blocco da disegno.
«Cosa vuoi?» chiese fingendosi disinteressato. In realtà moriva dalla voglia di sapere che cosa c’era scritto nei messaggi che Isaac aveva ricevuto. Dopotutto sarebbe stato lui a dover raccogliere le lacrime del biondo se non era andata come sperava.
«Dai vieni qui, scusami per prima ma cerca di capirmi, ero nervoso» disse Isaac facendogli segno di sedersi accanto a lui tra le coperte. Derek sbuffò sorridendo, non riusciva mai ad arrabbiarsi con il biondo, bastava che lo guardasse negli occhi e tutto diventava relativo.
«Mi ha detto di si!» esclamò Isaac raggiante, guardandolo con gli occhi luminosi, dopo alcuni secondi di solenne silenzio.
«Lo sapevo, lo sapevo!» esclamò Derek, «Sono o non sono il miglior amico del mondo?» chiese retorico, ridendo.
«Sono di sicuro il più bello»  aggiunse subito dopo, facendo scoppiare a ridere Isaac.
«Sei sempre il solito!» disse scuotendo la testa.
Poi gli prese dalle mani il suo blocco da disegno, cominciando a sfogliarlo. Guardare i suoi disegni era una delle cose che più piacevano ad Isaac. Perdeva anche ore intere a guardarli tutti, Derek era pieno di album e scatoloni dove riponeva tutti i suoi lavori una volta finiti. Era straordinariamente bravo e non a caso era un artista.
Quando era arrivato a New York, la prima cosa che Derek fece, fu quella di portare i suoi lavori a delle mostre sempre accompagnati dal suo curriculum sperando che qualcuno li notasse. Dopo qualche mese, le sue preghiere furono accolte: un uomo impressionato dalla bravura del giovane ragazzo gli aveva offerto un posto di lavoro come insegnate di Arte in un scuola superiore. Non avrebbe potuto desiderare altro, fin da piccolo aveva sempre amato dipingere e non appena finì il college, si iscrisse subito all’Università, uscendone con i massimi voti e i complimenti di tutti.
«Stai sempre a disegnarlo?» chiese gentilmente Isaac, osservando per la millesima volta, il viso di un stesso ragazzo.
«E’ bellissimo» sussurrò Derek, guardando triste il volto rappresentato nei fogli.
Era forse la sua prima cotta dopo anni diversi anni.
«Non faccio altro che disegnarlo. E penso sempre a lui. E’… è il ragazzo più bello che io abbia mai visto. Ha un viso molto dolce e, mio dio, quando sorride sembra un angelo» aggiunse, prendendo tra le mani il suo album e mostrando ad Isaac un volto sorridente.
Isaac sorrise comprendendo perfettamente i sentimenti dell'amico.
«Come hai detto che si chiama?» chiese ancora Isaac.
«Stiles» rispose Derek.
 

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Capitolo 5
*** Cap.5 Clearly, It's Something ***


Scott ancora non riusciva a rendersi conto di ciò che aveva fatto, ma specialmente delle pronte risposte da parte di Isaac.
Dopo che i suoi amici erano tornati al lavoro, aveva impiegato almeno mezz’ora per decidere che cosa scrivere al ragazzo, aveva per prima cosa salvato il numero di Isaac, era un passaggio facile dopo tutto, ma per Scott era stato un grande traguardo.
Cominciò poi a scrivere un sacco di messaggi, prima presentandosi poi spiegandogli il motivo del suo testo, ma non uno solo di quelli l’aveva convinto. Scriveva, ossessionato dal trovare il messaggio perfetto, ma cancellava ogni parola finchè non rimase solamente un “sì” accanto alla barra lampeggiante che, impaziente, aspettava nuove istruzioni. Inviò l’affermazione con mani tremanti, attendendo una risposta.
Scott aveva paura di risultare banale e diciamo che con quel testo aveva sfiorato il ridicolo, o almeno era ciò che pensava. Quante probabilità c’erano che Isaac capisse a che cosa si stava riferendo? E per fortuna, proprio prima di inviare il messaggio, si era ricordato di firmarlo.
“Grazie a Dio” fu l’altrettanto breve risposta, a cui replicò con un “E’ solo un sì”.
Non capiva davvero che cosa ci fosse di speciale nella sua persona e soprattutto nell’uscire con lui. Scott era un ragazzo normale, proprio come tutti gli altri e non aveva nessun talento particolare.
Beh, sapeva cantare. Aveva una voce molto particolare e profonda, da brividi, come molto spesso i suoi amici l’avevano definita, ma d’altra parte Isaac non l’aveva mai sentito cantare.
“E’ il tuo sì”.
Scott si sentì morire.
Quella sensazione che ti stringe forte il cuore da lasciarti senza fiato, senza la forza per un nuovo respiro. Quel sentimento che ti fa sorridere per davvero, da rimanere immobile, guardando il vuoto per ore. Quello che ti fa dimenticare chi sei o dove sei, che ti ricorda solamente quanto sei felice in quel momento.
Scott si sentiva realmente così.
Per un momento dimenticò tutta la sofferenza che aveva fatto da sottofondo ad ogni giorno della sua vita, proprio come un amaro promemoria di quanto fosse sbagliato e di come stesse pagando per ciò che era. Era davvero felice, come non lo era mai stato prima, quasi gli sembrava essere più leggero: non esisteva più niente, se non lui e quel ragazzo, Isaac.
Non gli aveva risposto, non avrebbe potuto, rimase in camera sua, con un sorriso stampato in volto, pensando solamente a quanto fosse stato fortunato ad incontrare Isaac, combattivo, che non si era arreso ai suoi no. L’aveva saputo sorprendere quel giorno sul ponte e ancora una volta quel pomeriggio con un semplice messaggio.
Quella sera quando Stiles tornò da lavoro, Scott era ancora in camera, aveva passato il pomeriggio rinchiuso lì dentro.
«Scotty?» chiamò Stiles, bussando lievemente alla porta, aprendola. Quando entrò, rimase un po’ sconcertato dalla scena che si trovò di fronte. Scott era seduto a terra con le gambe incrociate, attorno a lui c’erano fogli sparsi, alcuni accartocciati, alcuni invece ancora bianchi.
Stiles si avvicinò raccogliendogli , cominciando a leggere. «Scott! Hai ricominciato a scrivere?» chiese con un sorriso che si allargava. Scott gli sorrise di rimando, annuendo. Stiles era davvero felice. Ancora quando erano degli adolescenti in California, Scott gli aveva confidato che scriveva molte canzoni, ma dal giorno del suo coming-out non aveva più preso in mano una penna.
«Come mai?» domandò curioso Stiles.
Scott,per tutta risposta, si alzò e si sedette sul bordo del letto, prendendo fra le mani il suo cellulare.
«Isaac» disse mostrando al migliore amico la conversazione. Stiles cominciò a leggere con un sorriso che si allargava nel suo volto.
«Caspita Scott, ti sei sprecato!» scherzò Stiles, leggendo i brevi messaggi. Scott alzo un sopracciglio mettendolo a tacere, Stiles scoppiò a ridere, facendolo sbuffare.
«Ehi, Ally e Lyds dove sono?» chiese ricordandosi improvvisamente le “minacce” della mora, sapeva che il giorno dopo non gli avrebbero dato un attimo di tregua..
«Si scusano, ma erano stanchissimi. Tranquillo ho già inviato loro la conversazione!» esclamò Stiles scappando nell'altra stanza, aspettandosi una reazione ben conosciuta e decisamente nella quotidianità dei loro giorni da parte di Scott.
«STILES STILINSKI» urlò infatti il moro, una volta alzatosi per rincorrerlo, «Perché?! Insomma quella del ponte gliel'hai detta te, ora i messaggi!» sbottò esasperato, fermandosi davanti al tavolo del soggiorno e appoggiando le mani sopra. Stiles era dalla parte opposta ed entrambi non sapevano che direzione prendere. Stiled cominciò a balbettare qualche scusa, ma Scott con un balzo felino saltò sopra il tavolo, superandolo, e finendo addosso a Stiles.
Entrambi scoppiarono a ridere senza contegno, era bello vedere Scott finalmente così spensierato. Si, Stiles era geloso di questo Isaac, ma se il suo Scott era diventato così allegro solamente nella prospettiva di passare un pomeriggio con lui, doveva semplicemente ringraziarlo.
«Okay, come posso farmi perdonare?» si arrese allora Stiled, parlando tra una risata e l’altra.
«Mmh.. Sta sera dormiamo assieme» annunciò Scott con voce solenne. Stiles alzò gli occhi al cielo, dormire assieme a Scott semplicemente significava non dormire per nulla! L’amico gli rubava sempre le coperte, si muoveva nel letto e volte lo faceva anche cadere, ma specialmente, estate o inverno che fosse, gli si spalmava addosso senza lasciarlo respirare.
«E no, non hai nessuna scusa, perché abbiamo cambiato i nostri letti solo perché il signorino si lamentava che quelli da una piazza e mezza erano troppo scomodi» aggiunse quindi notando l’espressione di Stiles, fermando sul nascere le sue proteste.
Quella sera Scott stranamente si propose di cucinare la cena, mentre Stiles apparecchiava la tavola. Erano entrambi di buon umore e Scott non la finiva di parlare. Stiles era davvero molto sorpreso, Scott non era così loquace da anni.
Mangiarono velocemente e poi si piazzarono davanti alla televisione, uno accanto all’altro, coprendosi con un plaid che Scott aveva comprato solo perché c’erano disegnati un sacco di gattini.
«Allora, sei agitato?» chiese Stiles, non trovando nulla di interessate da guardare.
«Non ne hai idea» gli rispose Scott sorridendo. Poi continuò «A proposito domani mi accompagnerai, perché nel caso mi avesse dato l'indirizzo sbagliato e fosse tutt-» non poté finire la frase perché due labbra dolci si scontrarono subito con le sue. Si separò qualche secondo dopo, realizzando che Scott si era finalmente rilassato contro lo schienale del divano.
«Grazie, Stiles» rispose sincero, guardandolo negli occhi.
Dopo aver asserito che non trasmettevano niente di interessante, si cambiarono per andare a letto. O meglio, Stiles mise il suo imbarazzante pigiama di Batman, mentre Scott, come al solito, rimase solamente in boxer. Ancora prima che Stiles potesse tornare dal bagno era già sotto le coperte quasi del tutto addormentato.
Stiles quando entrò in camera lo guardò affettuoso e si infilò sotto il piumino cercando di non svegliarlo, ma non appena riuscì a sistemarsi comodo, Scott si rannicchiò contro il suo petto.
Stiles lo abbracciò e sorrise. Fin da quando erano adolescenti Scott faceva così quando era preoccupato o agitato per un evento importante. Sapeva inoltre che la notte sarebbe stata lunga e per nulla riposante. Quando Scott si metteva in quella posizione Stiles era certo che avrebbe avuto degl'incubi e Stiles doveva essere presente per rassicurarlo.
Non si sbagliava infatti, Scott dormì poco e male, in una notte costellata da incubi dove veniva deriso e preso in giro ancora una volta. Ogni volta Stiles lo stringeva a sé, stretto, sussurrandogli rassicurazioni all'orecchio.
Gli anni precedenti era difficile gestire quelle situazioni perché non avendo ancora ben chiarito il loro rapporto non avevano mai dormito assieme. La conseguenza era semplice: il più delle volte Scott si svegliava sudato e tremante nel mezzo della notte a volte anche urlando. Stiles restava con lui, nel bordo del letto, paziente, finché il moro non si addormentava nuovamente.
Da quando avevano iniziato a condividere lo stesso letto le cose erano notevolmente migliorate.
Scott si lamentava un po’ e si muoveva in continuazione, ma se non altro il fatto di non doversi trovare da solo lo tranquillizzava.
Quella mattina, quando Stiles svegliò Scott per andare a lavoro notò con piacere che anche se aveva dormito poco non aveva perso la gioia della sera prima. Si alzò infatti con sorriso per nulla turbato dai suoi sogni.
Andarono a lavoro dove Scott trovò i suoi amici super elettrizzati che non facevano altro che domandargli come stesse o cosa avesse intenzione di fare.
Come se lui lo sapesse!
Scott sapeva solo che quel pomeriggio sarebbe andato con Stiles a Manhattan per uscire con Isaac.
Non aveva pensato a nient’altro, se non si conta il loro bacio, Isaac, quello sulla guancia, Isaac, i messaggi del giorno prima e Isaac.
Quella mattina passata al bar fu molto piacevole, Scott servì tutti con il sorriso, tanto che i clienti abituali si accorsero del suo cambio d'umore.
il pomeriggio arrivò anche troppo presto e l'ansia cominciava a farsi sentire. I quattro amici chiusero i bar a mezzogiorno, mangiarono assieme, come d’abitudine, tra le varie domande che Scott si sentì porre. Al sabato non tenevano mai aperto perché di solito lo passavano assieme, passeggiando per le strade di Brooklyn o Manhattan. Quel pomeriggio però, Stiles e Scott ci andarono da soli, mentre Lydia e Allison programmarono una giornata di shopping. Stiles non era riuscito a resistere agli occhi dolci di Scott che lo implorò di seguirlo, così anche se molto riluttante lo accompagnò.
Chiamarono un taxi e quando arrivò, Stiles per far entrare Scott dovette praticamente tirarlo per le orecchie.
Scott aveva semplicemente paura.
Non tanto di una possibile presa in giro, quel giorno infatti era stranamente positivo riguardo l’uscita, ma di non sapere come comportarsi, cosa fare o dire. Stiles per tutto il viaggio lo rassicurò ancora, calmo e paziente come al solito.
Arrivarono di fronte ad un palazzo non molto alto, vicino a Central Park. Quando scesero Scott non aveva la forza di muoversi. Stava sorridendo “come un idiota”, pensò Stiles divertito.
«Avanti, entra» disse allora premuroso, «Ti guardo da qui e poi torno a casa» aggiunse Stiles sorridendo, sentendosi tanto come un papà che accompagna il figlio più piccolo a scuola per la prima volta.
«Okay. Posso farcela» disse Scott più a sé stesso che a Stiles. Successivamente lo salutò, ringraziandolo per il supporto e soprattutto per la pazienza poi entrò.
Come promesso Stiles aspettò di vederlo sparire imboccando le scale, prima di cominciare a sbracciarsi per fermare qualche taxi che però lo ignoravano. Sbuffò irritato, cercando il suo cellulare tra le tasche della giacca, avrebbe decisamente fatto prima a chiamarne uno. “Ma dove l’ho messo?” si domandò silenzioso, tastando ogni tasca che aveva.
Ora si ricordava! Scott l'aveva preso durante il viaggio e probabilmente l'aveva tenuto, dimenticandosi di tornarglielo.
L’unica cosa che gli rimaneva da fare era andare da Scott per farselo tornare. Sapeva che l'avrebbe ucciso per aver interrotto il loro "appuntamento", ma non se ne sarebbe tornato a casa senza.
Ultimo piano, ultimo appartamento, si ricordava benissimo quale fosse perché Scott nell’ultima mezz’ora non aveva fatto altro che ripeterlo.  
Decise di usare l’ascensore, non aveva voglia di fare tutte quelle scale e poi prima arrivava, prima se ne sarebbe tornato a casa.
Arrivò quindi all’ultimo piano e quando usci notò che c'era soltanto un appartamento, quindi in pratica il ragazzo viveva da solo su un piano intero.
Suonò una volta il campanello, aspettando pazientemente il padrone di casa.
«Arrivo» esclamò un voce al di là della porta. Era sicuro che non fosse Scott, l’avrebbe riconosciuto tra mille, ma gli sembrava impossibile che fosse Isaac, insomma quella era una voce molto calda e profonda, non si addiceva all’aspetto del ragazzo
Quando si aprì la porta, il suo cuore mancò di un battito.
Stiles aveva ragione: non era Scott e nemmeno Isaac.
«S-Scott?» balbettò insicuro, non sapendo neppure lui se quella fosse una domanda o un’affermazione. Si sentì inoltre un idiota, dopo aver fatto quella domanda, era palese che quello non fosse il suo Scott, eppure era sicuro che fosse quello il piano giusto; il ragazzo perfetto che vedeva per almeno quattro volte a settimana da lui, ora era a pochi metri di distanza e lo stava guardando e osservando, a metà tra l’imbarazzato e il divertito.
«No, sono Derek, piacere» disse il moro con voce altrettanto insicura, porgendogli la mano, la quale Stiles si guardò bene dal stringerla. Non era pronto per un contatto del genere, non era pronto neppure per parlargli!
«I-Io penso di aver sbagliato piano» si scusò distogliendo gli occhi dal volto di Derek, non riusciva a sostenere quello sguardo così dolce e passionale al tempo stesso. Aveva sognato mille volte il giorno in cui lo avrebbe conosciuto, ma ora che gli stava a pochi metri non poteva crederci.
«No, Scott mi ha lasciato questo» disse togliendo la tasca posteriore dei suoi jeans il cellulare di Stiles, «Mi ha pregato di tornartelo, era sicuro che saresti arrivato» “E io ci speravo” pensò Derek, trattenendosi dal dirlo. «E’ sceso pochi minuti fa, strano tu non l'abbia incontrato» aggiunse subito dopo.
«Ascensore» rispose Stiles impacciato.
Derek lo guardo bene, sorridendo, sempre porgendogli il telefono che però non aveva il coraggio di prendere.
«Vuoi rimanere?» chiese di getto il moro senza rendersene conto, morsicandosi la lingua un secondo dopo. Stare con Isaac gli faceva decisamente male, era Isaac che gli diceva sempre di cogliere l’attimo, di provarci un po’ di più, ma soprattutto gli ricordava scherzoso quanto fosse patetico, nel guidare fino a Brooklyn solo per prendere un caffè nel posto dove Stiles lavorava, senza proferire parola.
«Scusa, d-devo andare» disse Stiles pentito. Aveva bisogno di tornare a casa, elaborare il tutto e parlare con Scott, arrabbiarsi con Scott.
Derek lo guardò dispiaciuto, ma prima che Stiles potesse allontanarsi gli prese il polso gentilmente facendolo voltare.
«Domani? Questo è il mio numero» disse salvandolo nel blackberry che aveva tra le mani.
Poi glielo porse e Stiles finalmente lo prese, sfiorandogli le dita. Si sentì rabbrividire:  una sensazione nuova, strana, ma piacevole.
Derek gli sorrise,prima di chiudersi la porta alle spalle.

Quando Scott entrò nel condominio non capiva esattamente cosa stesse succedendo dentro di lui. Era felice, felice proprio come un ragazzino di dieci anni alle prese con la sua prima cotta.
Prese le scale, aveva otto piani da fare, ma avrebbe avuto modo di pensare con più calma a che cosa dire una volta arrivato.  
Sospirò lentamente davanti alla porta dell’appartamento, prima di suonare con mano tremante il campanello.
Nella frazione di un secondo Isaac aprì la porta sorridendogli felice, un sorriso luminoso proprio di quelli che ti sciolgono l’anima.
Scott non ne aveva mai visto uno più bello; tutti, se confrontati a quello del ragazzo, erano piuttosto banali. Isaac aveva la straordinaria capacità di sorridere con il volto, con in corpo, ma soprattutto con gli occhi dell’animo.
«Ciao» disse Scott semplicemente, perdendosi negli occhi azzurri del biondo, sorridendo a sua volta. «Vieni pure», Isaac lo invitò dentro, spostandosi dall’entrata facendolo passare.
Scott non se lo fece ripetere più di una volta. Entrò in un salotto molto spazioso, ben arredato con uno stile moderno: si poteva dire che il ragazzo o aveva ereditato una fortuna dal un membro della famiglia molto anziano, o era un ladro oppure un pirata. Come Scott potesse immaginare delle situazioni del genere lo sapeva solamente lui.
Un ragazzo, che a guardarlo bene Scott si ricordò di averlo già visto, stava disteso nel divano, con un blocco da disegno in mano.
«Se te lo stai chiedendo, lui è l’inutile Derek, il ragazzo a cui avevo chiesto di sparire, nonché mio migliore amico» borbottò Isaac, attirando l’attenzione del moro.
L’interessato si alzò velocemente, lasciando cadere il suo quaderno.
«Ciao sono Derek, non sono inutile, solo il tipo che ascolta quell’idiota parlare di te per ore e or-»,
«Oh grazie Derek! Grazie davvero!» sibilò Isaac imbarazzato, mettendogli una mano davanti alla bocca impedendogli di continuare.
«Ricordami ancora perché sei il mio migliore amico?» chiese Isaac ancora rosso in volto.
«Principalmente perché sono un figo» rispose il moro non curante, alzando le spalle.
Scott rise, attirando lo sguardo Isaac  che lo osservò dolcemente; Scott abbassò gli occhi, timido, senza smettere di sorridere.
Derek aveva appena detto che Isaac gli parlava di lui? Che cosa mai avrebbe potuto dire? Non lo conosceva nemmeno.
Ancora una volta sì sentì felice e lusingato.
Buttò gli occhi sul quaderno aperto che Derek aveva fatto cadere, era forse il volto di Stiles quello disegnato? Impossibile, era appena accennato, ma gli occhi erano già stati completati a regola d’arte tanto che sembravano quasi veri.
«Sei molto bravo a disegnare, sai quegli occhi assomigliano moltissimo a quelli del mio migliore amico» gli disse gentilmente,
Derek quasi si strozzò ricordandosi dove fosse finito il suo blocco. Lo prese in mano chiudendolo un po’ impacciato.
«Oh sono solo schizzi…» disse il moro, minimizzando con sguardo a terra.
«Sicuro? Secondo me l'hai visto l’altro giorno con Isaac al bar» provò ancora Scott. Insomma non c’era niente di male se aveva scelto di disegnare il suo amico, probabilmente aveva scaffali pieni di gente disegnata e che magari aveva visto solo una volta.
Scott poi sì girò, cercando una conferma negli occhi del ragazzo affianco a lui.
Quando si voltò, vide Isaac scambiarsi un sorriso molto eloquente con Derek, quelli che non possono essere fraintesi e decise in quel modo di abbandonare l’argomento, ma curioso di saperne di più.
«Scott, ti va di fare una passeggiata a Central Park?» si propose Isaac sorridendo.
«Sì, certo» rispose sorridendo a sua volta e seguendo il più grande verso l’uscita. Mise le mani in tasca com’era solito fare, ma andò a sbattere contro il cellulare di Stiles. Nell’agitazione non si era ricordato di tornarglielo. Poco prima di rimetterlo nella giacca però, avendo già deciso di darglielo quella sera, gli venne un idea geniale.
«Ehm Detek, mi fai un favore?» chiese attirando l’attenzione del moro che nel frattempo era tornato al suo album, «Sono sicuro che tra un po’ Stiles, quel mio amico di cui ti parlavo, verrebbe a chiedermi il suo cellulare, ma stiamo uscendo, quindi daglielo e basta, d’accordo?» chiese lanciandoglielo. Derek l’afferrò al volo, ben attendo a non farlo cadere, iniziando inoltre a borbottare qualche parola non molto chiara, arrossendo.
«Grazie mille!» esclamò Scott, uscendo in fretta seguito da Isaac che se la rideva, divertito.
Non appena si chiusero la porta alle spalle Isaac elettrizzato cominciò a parlare velocemente quasi mangiandosi le parole, Scott rise: doveva essere sincero, non aveva mai sentito parlare una persona così tanto, nemmeno Lydia il che era tutto dire.
«Ma come l'hai capito?!» domandò il biondo radioso, mentre si incamminavano scendendo le scale.
«Ho una straordinaria capacita nel capire gli sguardi, i movimenti e le intenzioni delle persone» confessò Scott, calmo. La parte di sé che Isaac aveva potuto conoscere quel giorno nel ponte stava tornando fuori, ma per una volta non aveva paura che una persona potesse cominciare a conoscerlo a fondo.
«Con me non l'hai fatto» asserì Isaac.
«Hai ragione» confermò il moto, «Con te è impossibile, quando ti guardo non riesco a decifrare le tue intenzioni».
“Forse perche mi perdo nei tuoi occhi" aggiunse mentalmente, subito dopo.
Isaac sorrise, «Ci possiamo lavorare».
«Posso vivere anche nel dubbio» disse Scott anche se poco convinto.
«Qualcosa mi dice che non sarai in pace con te stesso finchè non ci riuscirai».
Scott rise, Isaac aveva ragione. Non poteva sopportare il fatto di non capire cosa passasse nella testa di Isaac. Non l’aveva capito prima che lo baciasse, né quando gli aveva chiesto di uscire. Semplicemente la persona di Isaac lo distraeva dal formulare dei pensieri concreti nella sua mente.
Uscirono dal codominio senza incontrare Stiles, come Scott aveva previsto, lasciando nuovamente Isaac senza parole, dirigendosi poi verso il parco.
Non parlarono molto durante quella passeggiata finchè non arrivarono ai piedi di un grande salice piangente, un luogo abbastanza appartato che veniva raggiunto solo da poche persone.
Isaac ci andava sempre quando voleva stare da solo, era il posto dove poteva essere sè stesso e non ci aveva mai portato nessuno, forse nemmeno Derek. Non aveva accennato a Scott quanto fosse speciale per lui quel luogo. Aveva paura di una reazione sbagliata da parte sua cosi, facendo finta che fosse un luogo come un’altro, scostò le foglie che pendevano inermi dai rami e lasciò passare Scott che gli sorrise appena con sguardo a terra.
Si sedettero tra l’erba, appoggiandosi con la schiena al tronco spesso, entrambi intenti a studiare ogni dettaglio dell'altro, cercando di memorizzarne il più possibile.
«Come puoi capire cosi bene le persone?» chiese Isaac interrompendo quel silenzio, dopo essersi accorto dello sguardo fermo del moro sulle sue mani aggrovigliate.
«Bisogna imparare a proteggersi in un mondo così ingiusto e, a volte, è meglio conoscere i propri nemici».
Scott sospirò lievemente faceva sempre un po’ male ricordare quei particolari della sua vita.
Isaac lo guardò, aggrottando la fronte in una espressione confusa.
«Chi ha il coraggio di farti del male?» chiese allora davvero sconcertato, calcando con lieve irritazione ogni parola.
Isaac aveva voglia di conoscere tutte le persone che avevano osato ferire Scott, un ragazzo tanto fragile con il semplice bisogno di essere amato, e far passare loro tutto ciò che avevano fatto al suo Scott.
Suo.
Isaac ogni volta che pensava a Scott gli veniva spontaneo mettere quel piccolo aggettivo come per rivendicarne la proprietà. Poi sorrideva, rendendosi conto che in fondo non lo conosceva ancora e che l’aveva visto solamente tre volte.
Scott sorrise sentendo il tono quasi aggressivo di Isaac, grato per la comprensione che finalmente qualcuno provava nei suoi confronti.
Non rispose, non lo sapeva nemmeno lui.
Nel corso di quegli ultimi anni si era sentito chiamare in tutti i modi possibili e per formulare certi pensieri, c’era davvero bisogno di coraggio.
Guardò Isaac che ancora aspettava una risposta, perdendosi nei suoi occhi blu. Subito dopo il suo sguardo passò istintivamente alle sue labbra. Avrebbe voluto baciarlo, anche solo per un secondo, tutto pur di sentire ancora il calore del corpo del ragazzo contro Il proprio.
Quelle labbra sottili e soffici, appena schiuse, erano davvero troppo da sopportare, distolse in fretta lo sguardo quando Isaac gli chiese se lo stava ascoltando.
«Ti chiedevo se vuoi fare un giro» ripeté tranquillamente, «Con questo freddo a stare qui fermi ci congeliamo e tu hai le labbra quasi viola!» disse moriscandosi la lingua subito dopo, rendendosi conto che forse era un commento da poter evitare.
Scott rosso in viso annuì, alzandosi imbarazzato, mordendosi inoltre le labbra, cercando si far ripartire la loro circolazione.
Si incamminarono, continuando a chiacchierare come poco prima.
Per Scott era piacevole passare del tempo in compagnia di Isaac, era quel raggio di sole che riusciva a illuminare il suo giorno.
Con lui, il moro non smetteva di ridere, poteva dire di essere finalmente felice. L'irritazione che aveva provato nei suoi confronti era stata messa da parte, ammettendo questa volta che il suo sesto senso si era decisamente sbagliato.
Isaac, da parte sua, cercava con ogni parola di strappare un sorriso o una ristata dal volto di Scott. Non aveva sopportato di vederlo serio o sperduto le prime volta, così si sentiva in obbligo di farlo sorridere. Avrebbe ascoltato la sua risata in continuazione: era dolce e profonda al tempo stesso, ma la cosa che adorava di più era quando Scott non trovava un contegno per le sue battute, scoppiando in una sana risata. Chiudeva sempre gli occhi e nel suo viso si formavano delle fossette marcate che donavano al suo viso un espressione angelica.
«Scott, ho detto qualcosa che non va?» chiese Isaac preoccupato, fermandosi di colpo in mezzo alla stradina.
«No, perche?!» gli rispose il ragazzo sorpreso da quella domanda.
«Perche stiamo camminando a quasi tre metri di distanza, neanche non ci conoscessimo. Vieni più vicino?» gli chiese Isaac gentilmente. Non voleva averlo così tanto lontano. Voleva sentire il calore del suo corpo, sentire le loro spalle che si sfioravano, le loro mani, imbarazzate, scontrarsi per la prima volta: e Isaac, in genere, otteneva ciò che voleva.
Scott, infatti, un po’ imbarazzato da quella richiesta si avvicinò al ragazzo che soddisfatto prosegui l'argomento di poco prima.
Non sapeva cosa doveva fare, come comportarsi con le altre persone. Si ricordava quanto fosse stato difficile per Stiles diventare il suo migliore amico e successivamente fargli conoscere Allison e Lydia. Ora che ci pensava quel pomeriggio era tutto frutto dei suoi sforzi. Stiles, quella volta, non l’aveva aiutato a conoscere Isaac, certo era stato con lui e consolato nei giorni precedenti, ma quella volta era stato Isaac ad interessarsi di lui e decidere di conoscerlo.
Le loro dita, poi, si sfiorarono appena e Scott rabbrividì piacevolmente sorpreso. Cercò di sottrarre la sua mano, ma prima che potesse metterla in tasca, quella calda di Isaac si intrecciò alla sua.
Il moro sussultò appena, guardando in fretta il ragazzo accanto a lui che continuava ad osservare un punto indefinito davanti a sè.
«Hai le mani ghiacciate» gli disse, stringendola appena per riscaldarla.
Il discorso morì con quelle parole e nessuno dei due parlò per un bel pezzo.
Scott continuava a spostare lo sguardo dalle loro mani al viso di Isaac che aveva un espressione serena, per nulla turbato. Non capiva come poteva stare così calmo, erano nel bel mezzo del parco e stavano attirando parecchie occhiate curiose.
Scott si rese conto che non era più in California. C’erano occhi che li guardavano con dolcezza e comprensione: due parole che Scott pensava di non dover mai più usare. Non poteva negare ovviamente che alcune persone si rivolgevano a loro con freddezza, ma, quel giorno, accanto ad Isaac sapeva che non avrebbe dovuto più temerle.
Dopo quasi tre ore, mentre il sole stava già calando, tornarono all’appartamento di Isaac. Scott non voleva rincasare, durante quelle ore era stato davvero bene in compagnia del ragazzo e in qualche modo sentiva che il sentimento era reciproco.
«Ti riaccompagno a casa?» propose Isaac, rompendo il silenzio imbarazzato che si era creato. Nessuno dei due parlava, stavano fermi, uno di fronte all’altro, sperando che il tempo di fermassi, lasciando loro altri minuti a quel prezioso giorno.
«Grazie».
Scott gli aveva risposto d’impulso. Non aveva bisogno di mentire proprio ora che aveva trovato la sua anima gemella. Il ragazzo non stava facendo castelli in aria. Non aveva già progettato tutta la sua vita con Isaac, semplicemente sapeva che con lui poteva essere sé stesso, che non sarebbe stato giudicato. Isaac era la metà che da tempo cercava, riusciva a completarlo, anche se solo come amico.
«Aspettami qui, vado a prendere le chiavi» disse il biondo, tutto d’un fiato, sorridendogli. Poi scomparve tra le scale di corsa e Scott si sedette in un muretto a pochi metri di distanza. Mise le mani in tasca, sorridendo mentre pensava che Isaac gliel’aveva stretta per diversi minuti.
Un rombo irruppe quel silenzio, facendolo saltare in piedi di colpo. Si girò in direzione di quel rumore e vide Isaac a cavallo di una moto nera che se la rideva per il suo salto.
Isaac. E una moto. Scott pensò di non farcela. Aveva indosso, tra le altre cose, una giacca in pelle che gli segnava il fisico, facendolo risultare più magro di quanto non fosse già.
«Sei un idiota» borbottò Scott, facendo ricorso ai pochi neuroni che erano rimasti.
«Tieni, metti questo» disse Isaac, avvicinandosi con un casco tra le mani. Scott lo prese un po’ impacciato e se lo mise; dopo seguì Isaac sulla moto senza ben sapere cosa fare.
«Se non vuoi cadere, ti conviene tenerti» suggerì il biondo, ma Scott non si mosse. Gli prese allora le mani, facendolo stringere la sua vita. Scott era riluttante, non sapeva  come reagire, si lasciò guidare da Isaac e una volta stretto a lui, sospirò silenziosamente, accettando quella condizione.
Partirono verso Brooklyn, ci impiegarono quasi mezz’ora, trovando un po’ di traffico.
Scott dopo qualche minuto si tranquillizzò e si mise più vicino ad Isaac, in un moto di coraggio improvviso. Gli piaceva il fatto di essere così stretto al ragazzo e approfittò della situazione per stringerlo a sé, appoggiando il suo petto alla schiena di Isaac, che nel frattempo pregava che non si spostasse.
Per entrambi quel viaggio durò troppo poco e quando arrivarono erano entrambi riluttanti nel salutarsi.
«Grazie» sussurrò Scott, una volta sceso dalla moto. Aveva lo sguardo basso, non lo voleva guardare.
«Per cosa?» domandò Isaac interrogativo. Era sicuro che il moro non si riferisse al passaggio ricevuto
«Grazie» ripeté ancora, questa volta incatenando lo sguardo a quello di Isaac.
Scott si avvicinò in fretta e lo abbracciò.  
Nemmeno lui si era accorto di farlo. Si avvinghiò al collo del più grande che ricambiò quell’abbracciò compiaciuto. Nessuno dei due disse più niente quando si separano, e Isaac aspettò che Scott rientrasse prima di voltarsi e tornare a casa.

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Capitolo 6
*** Cap.6 brighter than sunshine ***


Stiles aveva aspettato Scott per tutto il pomeriggio a casa da solo.
Era tornato presto e avrebbe potuto benissimo raggiungere i suoi amici, ma stava cercando di assimilare la conversazione che aveva avuto con il ragazzo dei suoi sogni, Derek.
Non era ben sicuro che fosse accaduto realmente, almeno questo era quello che cercava di ripetere a se stesso. Non voleva ammettere che lì, davanti al ragazzo dagli occhi stupendi, si era sentito vulnerabile, scoperto, e la colpa era di Scott: ne era sicuro. Diciamo che voleva dargli la colpa.
L'aver incontrato Derek (e l'averci fatto una figura da poter risparmiare) era decisamente fuori copione.
Era entrato nel panico e più cercava di stare calmo, più il ragazzo davanti a lui sembrava metterlo in agitazione.
Quando tornò a casa si accorse che quello che aveva provato di fronte al moro l'aveva fatto sentire bene, era in agitazione, ma era una sensazione piacevole.
Tra le altre cose cercava di non ricordare la stretta sicura di Derke nel suo polso, ma sopratutto di come si era sentito. Ogni volta che nella sua mente riaffiorava quel pensiero pensava ardentemente a quanto avrebbe voluto sentire quella mano su di lui, nel suo corpo, nel suo petto. Cercava, però, di non pensarci, si sentiva in imbarazzo e aveva bisogno di Scott per dare voce ai suoi pensieri.
Tutto il pomeriggio se n’era stato con il cellulare tra le mani, pensava a come Scott avesse trovato il coraggio per scrivere ad Isaac, perché, lui, di forza, non ne aveva.
Verso le sei e mezza, quella sera, quando Scott tornò, Stiles era molto agitato tanto che non appena lo vide dal balcone scattò in piedi e si fiondò dalle scale aspettando che lui rientrasse. Si incontrarono a metà strada sorridendosi; Scott aveva previsto che Stiles scendesse andandogli incontro, ma stranamente la ragione della gioia dell’amico non aveva a che vedere solamente con il suo ritorno.
Scott conosceva le espressioni di Stiles a memoria, a partire da quando era arrabbiato o triste, fino ad arrivare ai momenti di gioia, ma doveva ammettere che per lui quello era un sentimento nuovo: Stiles era diviso a metà, una in conflitto con l’altra. Voleva essere felice, ma era come se qualcosa lo stesse trattenendo.
Scott lo guardò interrogativo senza dire nulla, ma prima di rispondere Stiles si girò, lasciandogli intuire che quello non era il luogo adatto per parlarne. Il moro seguì l’amico fino ad arrivare al loro appartamento; entrambi, poi, si sedettero in cucina un di fronte all’altro.
«Scott, capisco che quel ragazzo ti ha offuscato la mente con i suoi occhi blu e il suo sorriso luminoso, ma per favore  connetti quei neuroni!» suggerì Stiles con la stessa espressione di poco prima. Scott si risvegliò, almeno apparentemente, dal suo stato di estasi, cominciando a riflettere sulla ragione del strano comportamento dell’amico. Spalancò gli occhi di colpo, elettrizzato: «Oddio, com’è andata?!» esclamò allora Scott, con voce decisamente alta.
«Non lo so, probabilmente mi ha preso per un idiota, grazie a te» mormorò Stiles, masticando le parole.
«Per colpa mia?» Scott era sconvolto, «Lo sai che non sopporto queste cose, dio, ti ho odiato per tutto il pomeriggio» spiegò Stiled, distogliendo lo sguardo da quello dell’amico. Il ragazzo di fronte a lui lo guardò sereno, Scott ora capiva cosa aveva Stiles, si alzò in fretta, sedendosi nelle sue gambe, lo abbracciò stretto.
Scene come quella erano successe un milione di volte e, proprio come Stiles accettava sempre di dormire con Scott quando ne aveva bisogno, Scott sapeva che Stiles si innervosiva ogni qual’volta i suoi piani non venivano seguiti. Scott paziente si lasciava dire cose come quella senza nessun tipo di problema, il più grande aveva solo bisogno di sfogarsi, prima di riuscire a calmarsi.
«Stiles, lo so, ma devi imparare ad accettare le sorprese. Non potrai mai essere sicuro che quello che programmi sarà sempre certo» mormorò Scott, una volta riemerso da quell’abbraccio, accarezzando il capelli di Stiles.
Stiles però non rispose, sapeva che Scott aveva ragione, ma era più forte di lui non arrabbiarsi.
«Allora: com’è andata?» provò ancora Scott, cercando di farsi ascoltare. «Non lo so» ripeté ancora Stiles, «Mi ha dato il suo numero, mi ha chiesto se domani ci vediamo» mormorò infine.
Scott spalancò gli occhi e la bocca, scioccato e, se fosse stato possibile sarebbero caduti a terra proprio come nei cartoni.
«Stilinski fai ancora l’incazzato con me per aver rimediato il suo numero più un appuntamento e ti sacrifico agli dei!» sbraitò Scott giusto nelle orecchie del povero Stiles che fece un salto per lo spavento.
«Scott ma che ti prende?!» chiese allora Stiles di rimando, coprendosi le orecchie avendo paura di un’altra possibile strigliata da parte dell’amico.
«Stiles Stilinski» sibilò Scott, scandendo una ad una le parole, «ti conviene prendere il tuo cellulare e, con l’uso di quei due neuroni che ti rimangono, scrivergli subito un messaggio» terminò chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie per ritrovare un po’ di serenità interiore.
«Io non capisco. Con te sono sempre carino e coccoloso quando hai bisogno, ma tu devi sempre urlarmi dietro…» borbottò Stiles piano, sperando di non essere sentito.
Gli arrivò uno scappellotto da Scott che, avendo sentito tutto, non poté fare a meno di ridere, avvicinandosi subito dopo per rimediare.
«Adesso» ordinò dopo avergli dato un bacio a fior di labbra.
«Grazie Scott» disse Stiles sincero.
Il moro poi si alzò dalle gambe di Stiles, cominciando a preparare la cena, lasciando così a Stiles un po’ di tempo per pensare da solo. Anche se aveva urlato un po’ contro l’amico, era di buon umore. Continuava a pensare al pomeriggio passato con Isaac, alle loro risate, alle loro chiacchierate, alle loro mani intrecciate assieme. Sembravano essere nate per stare legate l’una con l’altra e Scott, durante quelle ore, non si era sentito mai “sbagliato”: per lui stare accanto ad Isaac era la cosa più giusta al mondo. Era come se tutto quello che le persone gli avevano detto negli ultimi anni fosse svanito nel nulla, non sentiva più quell’ombra di odio che lo seguiva ovunque andasse e finalmente si sentiva bene, libero di essere se stesso.
Ogni tanto lanciava delle fugaci occhiate a Stiles che con un espressione concentrata stava premendo i tasti del suo blackberry. Sembrava stesse scrivendo da quando lui si era alzato, ma Scott in fondo sapeva che, proprio come lui, stava cercando il messaggio adatto e non era impresa facile!
Dopo qualche minuto sentì Stiles sbattere sul tavolo il cellulare, si girò di scatto e vide Stiles allontanarsi: «Se mi hai fatto fare la figura dell’idiota ti ammazzo!» sbraitò allora il ragazzo, dirigendosi in salotto con il suo inseparabile Mac tra le mani.
Scott lo guardò scettico, senza registrare nel momento la reazione esagerata dell’amico. Si diresse successivamente in bagno, innervosito dagli sbalzi di umore dell’amico, e cominciò a frugare tra i vari cassetti e mensole cercando una cosa ben precisa. Tornò velocemente in salotto dove il più grande si era sistemato tra i cuscini e sembrava concentrato a leggere qualcosa in internet. Con una precisione calcolatrice il moro gli lanciò dritto in testa il morbido cofanetto rosa che poco prima stava cercando e aspettò in piedi con le braccia incrociate la reazione di Stiles.
Prima lanciò un grido e, subito dopo, si accorse del contenuto della scatolina:
«Ma che ci devo fare con gli assorbenti di Lydia?!» urlò allora scandalizzato, guardando Scott furioso.
«Beh, potresti usarli dato che sembri lei quando ha il ciclo!» sbraitò di rimando Scott, tornando in cucina prima che Stiles potesse arrabbiarsi nuovamente.
«Scott torna qui, vigliacco!».
Quella situazione stava raggiungendo il punto di non ritorno, Scott non si ricordava nemmeno quando fosse stata l’ultima volta che Stiles si era adirato con lui così tanto. Doveva ammettere che solitamente in casi come quelli Stiles era facile da controllare, dopo qualche minuto si riusciva di nuovo ad avere una conversazione tranquilla con il più grande, ma se solo per aver mandato un messaggio  al suo Derek aveva scatenato la Terza Guerra Mondiale contro di lui, non sapeva davvero come avrebbe potuto raggiungere il pomeriggio del giorno dopo.
«Ma hai sbattuto la testa da piccolo?!» chiese il moro acido, ma prima che Stiles potesse rispondergli suonarono al campanello.
Scott corse ad aprire la porta grato a chiunque l’avesse salvato da quella situazione spinosa.
«Sono io!» trillò Lydia allegra nel citofono, sfondando un timpano al povero Scott; la invitò poi ad entrare aspettandola nella soglia di casa. Non appena la vide nel corridoio, le mimò un “aiutami” con le labbra. Scott doveva avere una faccia esasperata perché Lydia lo guardò interrogativa e senza aspettare che il ragazzo si spostasse passò la porta entrando in salotto. Dietro di lei fece capolino Allison accompagnata da un altro ragazzo, probabilmente un amico di Lydia.
Scott lo salutò amichevole e li lasciò passare prima di chiudere la porta. Fece un respiro profondo tornando in salotto dove tutti si erano già sistemati. Lydia si era seduta accanto a Stiles circondandolo con le braccia, apparentemente stavano parlando, ma era difficile dirlo dato che quasi non muovevano le labbra. Il moro allora si rilassò un poco, sperando che Stiles non si fosse arrabbiato troppo con lui e che la ragazza riuscisse a fargli tornare il lume della ragione.
«Scusami non mi sono presentato, sono Scott, piacere» esordì il moro, rivolgendosi al ragazzo seduto accanto ad Allison nel divano.
«Piacere mio, Ethan» si presentò un po’ impacciato, stringendogli la mano. Gli sorrise, voleva metterlo a suo agio, non capiva perché fosse così agitato, insomma erano tra amici dopotutto.
«Allora quel ragazzo nel divano accanto a Lydia si chiama Stiles, di solito non è così, anzi è lui che fa le presentazioni e questo genere di cose, ma l’hai incontrato nella sua giornata “no”» spiegò Scott sotto voce, stando ben attento a non farsi sentire dall’amico, onde evitare strane reazioni.
Allison rise sotto i baffi e Ethan si unì a lei, accennando un “non c’è problema”. Cominciarono a parlare del più e meno, lasciando Stiles e Lydia in disparte dando loro il tempo di chiarirsi.
Scott si sentiva in colpa per aver risposto in malo modo a Stiles, ora come ora avrebbe solamente voluto stringerlo tra le braccia, chiedendogli scusa. Non gli interessava se avesse cominciato lui a trattarlo male, voleva solamente dimenticare quella discussione e tornare a sentirsi meglio.
«Scott non è che hai qualcosa da mangiare?» chiese con finta nonchalance Allison, cercando di sembrare più normale possibile. Il moro si batté una mano nella fronte, ricordandosi proprio in quel momento che poco prima era in cucina per preparare la cena.
«Credo che andrò a prendere delle pizze!» annunciò la mora, interpretando lo sguardo di Scott. «Vieni con me Ethan?» chiese subito dopo, insicura, con sguardo basso. Il ragazzo da parte sua sorrise raggiante, alzandosi velocemente per seguire la mora fuori dalla porta.
Scott li guardò curioso, non sicuro di aver interpretato quel gioco di sguardi appieno. Allison era strana quando aveva chiesto al biondo di accompagnarla e Allison non era mai strana quando doveva interagire con le altre persone.
Scosse le spalle, abbandonando per un momento quel pensiero, dirigendosi in cucina a preparare la tavola. Quando spostò il cellulare di Stiles si accorse che aveva ricevuto un messaggio, non potè fare a meno di sorridere. Non sapeva se parlargli ora era un buon momento, non capiva se l’avesse perdonato, così rimase fermo di fronte al tavolo, pensando a che cosa fare e aspettando di prendere la decisione giusta.
Due braccia forti lo circondarono, stringendolo in un caldo abbraccio, dove il petto di Stiles si scontrava con la sua schiena. Era un abbraccio dolce, segno di resa: Stiles, al pari di Scott, si sentiva in colpa e voleva scusarsi.
Appoggiò poi il mento sulla spalla del moro, ancora senza parlare, cullandosi a vicenda con i loro respiri.
«Scusa» dissero infine all’unisono, un’altra conferma della loro incredibile affinità. Sorrisero. Entrambi erano stati perdonati, non serviva aggiungere altro e andava bene così.
«Non lo leggiamo?» chiese Stiles, stando fermo appoggiato alla spalla del moro. Per tutta risposta Scott sbloccò il cellulare dell’amico, aprendo con mani appena tremanti il messaggio ricevuto.
I due ragazzi lo lessero silenziosamente, ognuno nella propria mente. Stiles dentro di sé si sentiva finalmente leggero, felice e ammise a se stesso che i cambiamenti possono essere positivi, Scott fu felice per il suo migliore amico che finalmente aveva trovato qualcuno alla sua altezza.
«Direi che è un sì» soffiò piano Scott, guardando appena l’amico.
«E’ un sì» confermò Stiles altrettanto sotto voce.
 

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Capitolo 7
*** Cap. 7 I Just Need You ***


«Ma non ti è mai interessata l’arte!» urlò Lydia ancora una volta, cercando di sovrastare la confusione che si era creata in casa Stilinski-McCall. «Gli interessa l’artista!» esclamò allora Allison divertita prendendo le distanze da uno Stiles Stilinski davvero arrabbiato.
Quel giorno sarebbe dovuto andare da Derek e come se non fosse già abbastanza nervoso per l’appuntamento, casa sua era stata invasa dai suoi migliori amici  anche se, in quel momento, “migliori” non lo erano esattamente.
«McCall! Cosa ti è saltato in mente?!» sbraitò Stiles guardando Scott truce, mentre quest’ultimo, disteso nel divano, stava sghignazzando come un folle, ridendo della situazione.
«Mi hai detto che oggi era via così ho invitato Allison, Lydia e Ethan a farmi compagnia. Qual è il problema?» chiese Scott divertito dall’espressione del più grande.
«Il problema è che quelle due sono impazzite! Potevi aspettare che me ne andassi?!» sbottò Stiles, indicando la mora e la rossa a qualche metro da lui.
«Ma, Stiles, perché non vuoi metterci al corrente delle tue conquiste amorose?» domandò con una finta espressione triste Allison,
«Sì, Stiles, perché non vuoi metterli al corrente?» ripeté il moro innocente. «McCall, stai zitto» rispose Stiles mettendo una mano,sopra alla bocca di Scott, impedendogli altre uscite geniali. «Non vi ho detto niente per evitare scenate come questa!» ammise Stiles, scuotendo la testa.
«Sentite prima che buttiate giù la casa, io vado» annunciò Stiles prendendo il cappotto, prima che uno di loro potesse ricominciare ad urlare frasi senza senso.
«Ehi tu, vieni a darmi un bacio» ordinò Scott, senza muovere un muscolo dal divano. Stiles riluttante si avvicinò, posando lievemente le sue labbra a quelle del moro. «Ma sei un idiota!» strillò Stiles indietreggiando. Scott gli aveva morso il labbro e ora aveva ricominciato a ridere, accompagnato dalle sane risate di Allison e Lydia e da quella quasi interrogativa di Ethan.
«Fallo tuo» soffiò Scott con tono malizioso, dandogli un pacca sul sedere.
«I-io… me ne vado!»  balbetto Stiles a metà tra l’imbarazzato e l’indignato, prima di voltarsi e chiudersi la porta alle spalle.
I ragazzi intanto si ripresero un attimo dallo stato in cui erano poco prima e Scott stava cercando di spiegare ad un Ethan davvero sconcertato il perché dei comportamenti tra lui e Stiles. Era come esser tornati ai primi mesi che trascorreva a Brooklyn alle prese con Allison e Lydia che seriamente non riuscivano a capire la sua relazione con Stiles.
“Andiamo molto d’accordo” disse Scott per concludere il discorso con Ethan.
 
Stiles intanto, dopo essersi ripreso dalle battaglie perse in partenza con i suoi amici, ma soprattutto quelle con Scott, era riuscito a fermare un taxi e stava aspettando impaziente il momento in cui avrebbe finalmente rivisto Derek. Ci volle poco più di mezz’ora per arrivare, ma quando scese dalla macchina una sensazione di ansia sembrò investirlo completamente.
C’erano mille cose che potevano andare storte e ovviamente Stiles non si concentrò su quelle mille e una che potevano andare per il verso giusto.
Questa volta per arrivare all’appartamento di Derek prese l’ascensore anche perché era quasi del tutto convinto che le sue gambe non avrebbero retto ancora per molto tutta quella tensione. Si fermò davanti alla porta di casa e, dopo qualche secondo, bussò leggermente alla porta. In men che non si dica il moro si presentò davanti a lui, sorridendo.
«Ciao…» disse Stiles sottovoce, guardandosi le mani che, aggrovigliate, sembravano essere davvero la cosa più interessate di quel momento. Sentiva il suo cuore battere all’impazzata contro il petto e, per uno sciocco momento, si chiese se Derek se ne fosse accorto.
«Ehi!» soffiò il moro, dolcemente, dopo essersi fermato qualche secondo ad osservarlo con attenzione. Subito dopo si spostò dall’entrata facendo passare uno Stiles decisamente nervoso. Derek intanto lo guardava quasi ossessivamente, come se avesse avuto il bisogno di imprimersi nella mente ogni singolo dettaglio di Stiles: come si muoveva, come si stava torturando le mani oppure come stesse cercando con così tanta convinzione di evitare il suo sguardo.
Stiles, da parte sua, avrebbe voluto fare la stessa identica cosa, ma sentiva addosso lo sguardo penetrante di Derek.
«Sei agitato» affermò il moro dopo aver fatto accomodare Stiles in salotto. Non era una domanda, ma la semplice verità. Stiles sbuffò appena in imbarazzo, chiedendosi come il ragazzo l’avesse capito così tanto velocemente. Di solito Stiles era bravo a camuffare i suoi stati d’animo, ma da quando era arrivato per Derek era come un libro aperto.
«E’ colpa tua» mugugnò contrariato, mordendosi un labbro subito dopo, convinto di averlo solo pensato. Il danno ormai era fatto, ma Derek sorrise compiaciuto guardando l’imbarazzo di Stiles con dolcezza.
«Ti va di fare un giro?» propose il moro, salvando il più piccolo da quella situazione. Stiles infatti annuì convinto, seguendo Derek.
«Al momento Guggenheim  è esposta una bellissima collezione di quadri Naïf e secondo me ti piacerebbero!» esclamò Derek allegro mentre scendevano le scale del condominio. Stiles rimase un po’ sorpreso dalla scelta del posto, non gli era mai capitato di uscire con un ragazzo ed essere invitato a vedere una mostra di quadri Naïf che, a pensarci bene, non era nemmeno sicuro di sapere cosa fossero. Accettò di buon grado la proposta, curioso di scoprire perché il ragazzo avesse scelto proprio quella meta.
Durante il tragitto in macchina entrambi in ragazzi si erano rasserenati almeno temporaneamente e, ogni volta che scoprivano una piccola parte dell’altro, erano sicuri di essersi innamorati un altro po’.
Mentre Stiles cercava di superare la sua timidezza, Derek cercava di metterlo a suo agio. Il moro non riusciva a capire come mai la sua presenza lo facesse tanto agitare, non era sua intenzione mettere a disagio Stiles. Benché poco prima avesse sorriso al suo stato ora era seriamente preoccupato di fare o dire qualcosa di sbagliato. Forse il problema principale era la sua agitazione. Non appena aveva visto Stiles di fronte alla porta di casa sua aveva cominciato ad agitarsi e più cercava di stare calmo più era di sicuro di fare l’opposto, ben consapevole di far fare la stessa cosa a Stiles. Per questo motivo Derek gli aveva proposto di andare a vedere quella collezione perché, in una galleria d’arte, il moro poteva essere finalmente se stesso.
Per Stiles quella era la prima volta che andava al Guggenheim. Da quando era a Brooklyn con Scott non c’erano mai stati dato che nessuno dei due era un grande interessato dell’arte.
Quando arrivarono Stiles rimase sorpreso dalla grandezza dello stabile e, una volta dopo essere entrato, dalla quantità di mostre che ospitava.
Derek agli occhi di Stiles sembrava esser diventato una persona diversa. Si muoveva come se quella fosse casa sua, conosceva ogni angolo del grande museo e sembrava aver ritrovato un sorriso sincero.
«Sai che cos’è l’arte Naïf?» chiese il moro allegro a Stiles che stava cercando di non perdersi in qualche stanza di passaggio.
«Se ti dico di no significa che sono tanto ignorante?» rispose Stiles sorridendogli.
«No, solo che io sono più intelligente» scherzò Derek facendogli l’occhiolino mentre salivano un’altra rampa di scale.
Stiles, scherzando a sua volta, lo guardò truce, prima che il moro cominciasse a spiegargli che cosa fosse esattamente.
«Questo tipo di arte e quella degli artisti che hanno, oppure anche chi non ha frequentato scuole o accademie d’arte e che quindi dipingono da autodidatta. Racchiude anche tutte le persone che dipingono senza che sia il loro lavoro, ma più che altro una grande passione». Stiles lo guardò affascinato, sentendosi veramente un idiota. Mentre Derek parlava sembrava che fosse una cosa banale, scontata e che tutti sapevano.
«Ehi, non sei ignorante se non sai queste cose!» esclamò il moro allarmato, vedendo lo sguardo sconsolato di Stiles. «Ho fatto le superiori e l’università prima di imparare ogni tipo di arte».
«Pensavo di essere un idiota» mormorò contrariato Stiles, tirando un sospiro di sollievo.
«No, non lo sei» asserì Derek dolce, «Dai, andiamo che siamo arrivati» aggiunse subito dopo, prendendo il più piccolo per mano.
Il cuore di Stiles fece una capovolta quando sentì la mano calda di Derek intrecciarsi alla sua. Era la sensazione più bella del mondo che stava aspettando da troppo tempo per ricordarsi quanto fosse piacevole stringere la mano alla persona che si ama.
Cercò di calmarsi, sperando che Derek non accorgesse di quanto fosse compiaciuto da quel contatto.
Quando entrarono, il moro lasciò la presa e Stiles sbuffò piano quando le loro mani si separarono. Subito dopo, sotto sollecitazione di Derek cominciò ad osservare i quadri esposti. La maggior parte di quelli erano stati dipinti con dei colori vivaci che ti mettevano allegria; ce n’erano di bellissimi e, anche se non sapeva come, Derek aveva ragione: quei quadri gli piacevano un sacco.
Rimasero al Guggenheim per almeno un’ora prima di decidere di tornare a casa di Derek. Stiles si era divertito molto, ascoltava il moro ogni volta che gli spiegava cose nuove, lo aveva preso in giro ed entrambi i ragazzi dentro quelle mura avevano finalmente potuto essere se stessi.
«Così sei un professore, sei riuscito a spiegarmi ogni quadro del museo come se l’avessi creato tu, per caso disegni anche?». Stiles era rimasto sinceramente impressionato dalla quantità di informazione che il moro poteva tenere a mente, ma specialmente dalla passione che guizzava negli occhi di Derek ogni qualvolta Stiles gli poneva una domanda. L’arte non gli era mai piaciuta più di tanto, i suoi amici avevano ragione, ma quel pomeriggio il più grande gli aveva fatto cambiare idea.
Stiles era in piedi di fronte ad un grande quadro di appeso alla parete. 
«Quello, ad esempio, l’ho fatto io» disse Derek indicando proprio il dipinto che stava osservando il ragazzo.
«Ho una stanza piena di disegni, quadri che ho dipinto da quando sono qui a New York» aggiunse il moro ridendo dell’espressione sconvolta di Stiles.
«Non ci credo. Non puoi aver fatto questo capolavoro!» esclamò allora il più piccolo.
«Capolavoro è esagerato» balbettò Derek in imbarazzo, «Ci sono alcuni particolari che avrei potuto fare meglio, ma Isaac ha portato l’originale a farlo ingrandire senza che io sapessi nulla e diciamo che è stato il mio regalo di compleanno» concluse Derek.
«Perché proprio un quadro di Londra? Voglio dire, immagino che tu abbia fatto tantissimi altri disegni, perché Isaac ha scelto proprio questo?» chiese piano Stiles, sedendosi nel divano.
«Sia io che Louis veniamo dall’Inghilterra. Molte volte sentiamo la mancanza di casa, dei nostri famigliari. Ormai sono cinque anni che siamo qui e avere quel quadro appeso affianco alla finestra è come avere una doppia scelta: se vogliamo possiamo guardarlo, immaginando di essere ancora lì, ancora a casa, altrimenti abbiamo la vista su quella che ormai è la nostra vita».
«… dev’essere bellissimo» sussurrò Stules, abbassando lo sguardo sulle sue mani. «Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese Derek, aggrottando le sopracciglia. «No,  solo… in questi due anni non ho mai realizzato quanto mi mancasse la mia famiglia». Il moro lo guardò comprendendo appieno i sentimenti del più piccolo. Avrebbe voluto abbracciarlo, farlo sentire a casa, ma non era sicuro che fosse il momento adatto.
«Visto che ti piacciono tanto, ti va di vedere altri miei lavori?» propose allora Derek, cambiando velocemente argomento, decidendo così di far pensare ad altro a Stiles. Il ragazzo annuì con un sorriso accennato. Il moro si diresse velocemente nel suo studio e, stando bene attento di non portare l’album con i ritratti del più piccolo, decise di portargli alcuni disegni che si era portato dall’Inghilterra.
«Questi sono alcuni disegni che ho fatto a Bradford, dove vivevo» disse il moro, sedendosi accanto a Stiles. Successivamente gli passò l’album che Stiles prese facendo attenzione a non sfiorargli la mano. Era sciocco, forse, ma dopo avergliela stretta per pochi secondi sapeva che effetto gli avrebbe fatto avere un’altra volta la mano del moro sotto la sua. Derek, man mano che Stiles sfogliava i disegni, gli spiegava in che zona della città era oppure per quale ragione avesse deciso di disegnare un determinato soggetto. C’erano più di trenta disegni e il moro aveva qualcosa da dire per ognuno di essi. Stiles li guardava affascinato, girando con cura a attenzione ogni pagina avendo quasi paura di rovinare tanta perfezione.
Poi, in un secondo, facendosi più vicino, Derek appoggiò la gamba a quella di Stiles; il ragazzo si lasciò sfuggire un piccolo sospiro sorpreso. Tutti i suoi sforzi per non toccare il moro erano svaniti con così poco preavviso tanto che il ragazzo dovette registrare abbastanza in fretta ciò che era successo. Aveva completamente dimenticato che cosa stesse facendo, tanto che per lui era davvero complicato concentrarsi ancora su quei disegni senza contare il fatto che se provava a parlare usciva solo qualche balbettio sconnesso.
Derek intanto continuava a parlare, ma Stiles per quanto si sforzasse non riusciva ad ascoltare neanche una parola, era rimasto ad osservare le loro gambe una contro l’altra. Poteva sentire indistintamente ogni singolo battito del suo cuore farsi più veloce, scontrandosi contro il petto, ma non riusciva a capirne il motivo: non si era mai sentito così tanto vulnerabile nei confronti di un ragazzo.
«Stiles se ti sei stufato dimmelo per favore, non ti voglio costringere a guardare i miei disegni» disse Derek prendendo il suo album tra le mani di Stiles, posandolo successivamente sopra il tavolino di fronte a loro.
«No! Cioè n-no, va bene» balbettò Stiles agitandosi quando vide il moro avanzare lentamente verso di lui.
«”Va bene” cosa?» soffiò Derek con un sorriso sghembo, senza preavviso sollevò il volto il Stiles, portandolo alla sua stessa altezza, incatenando i suoi occhi a quelli color nocciola dell’altro.
«Continuare» sussurrò Stiles a qualche centimetro dal moro. Derek non era proprio sicuro di saper che cosa stesse facendo, ma si era trattenuto da quando aveva visto Stiles sulla porta e per qualche ragione, sapeva non sarebbe stato respinto perché il più piccolo stava aspettando la stessa cosa. Osservava il volto di Stiles minuziosamente e notò, con piacere, che i suoi occhi guizzavano dai suoi alle sue labbra, aspettando una sua mossa.
«Derek io… non sono quel tipo di persona che bacia il ragazzo alla prima uscita» mugugnò Stiles contrariato. Nemmeno lui avrebbe voluto fermarsi proprio ora, ma sentiva che doveva almeno provarci.
«Nemmeno io» bisbigliò Derek per nulla turbato da quell’affermazione, «Ma non ti sembra la cosa più giusta da fare?» aggiunse subito dopo dato che Stiles non dava nessuna risposta.
Derek intanto si avvicinava lentamente, Stiles avrebbe potuto benissimo contargli le ciglia una ad una. Rabbrividì quando sentì il respiro caldo del più grande scontrarsi contro la sua pelle. In quel momento la porta si aprì di colpo e i due innamorati si separarono velocemente, sperando di non essere stati visti: entrambi desiderarono di essersi fermati molti secondi prima… anzi, molto probabilmente non lo fecero affatto.

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Capitolo 8
*** Cap.8 Waiting for something to happen ***



“Entrambi desiderarono di essersi fermati molti secondi prima… anzi, molto probabilmente non lo fecero affatto.”

 
 
«Ciao a tutti!» esordì Isaac allegro, entrando per mano con Scott, prima di bloccarsi davanti alla porta di fronte ai due ragazzi in evidente imbarazzo. Derek era visibilmente arrabbiato mentre Stiles, al contrario, stava cercando di evitare lo sguardo di Scott ben consapevole che, se ne avesse avuto il potere, il suo moro l’avrebbe incenerito con lo sguardo. Infine c’era Isaac che guardava i tre sorridente, evidentemente l’unico divertito dalla situazione.
«Scott, sei arrivato. Bene, possiamo andare a casa ora» disse Stiles, animandosi improvvisamente, alzandosi velocemente dal divano.
«Sì, okay. Andiamo» acconsentì il moro, senza aggiungere altro.
«Restate!» esclamarono all’unisono Isaac e Derek, evidentemente contrariati dall’idea che i loro amati potessero già tornare a casa.
«Scusateci un secondo», il moro subito dopo si avvicinò al più grande e, prendendolo per un braccio, lo trascinò in cucina.
Quando i due furono abbastanza lontani Derek guardò Isaac negli occhi, «Non si usa più bussare?!» esclamò controllando la voce.
«Sai è anche casa mia, il mio primo pensiero non sei che tu che dai dimostrazioni pubbliche. Prendetevi una stanza», Isaac non era arrabbiato, anzi era molto felice che il suo migliore amico stesse ascoltando i suoi consigli dopo diversi mesi.
«Non è che lo porto in camera alla prima uscita! Che idea si fa?». Derek era allibito dalla reazione del più piccolo, ma a restare arrabbiato proprio non ce la faceva. «Questo è un tuo problema» lo informò il biondo, puntandogli un dito contro. «Sei senza speranze. Sono senza speranze» sospirò Derek, scuotendo la testa.
Nel frattempo in salotto anche Scott e Stiles stavano “parlando”, ma non esattamente negli stessi toni amichevoli degli altri due ragazzi.
Il moro era in piedi di fronte all’amico che lo guardava davvero irritato. Scott gli stava facendo un scenata di gelosia come non ne faceva da tantissimo tempo.
«Vi siete baciati?!» ringhiò il più piccolo, quasi tremando dalla rabbia. «No Scott, non grazie a te» asserì Stiles secco, ancora senza guardare il moro. «Al primo appuntamento?!» continuò imperterrito il ragazzo, girandosi verso il più grande. «Parli tu? Voi due non vi conoscevate nemmeno!». Questa volta Stiles si girò per osservare la reazione di Scott, a quelle parole il moro si bloccò, non sapeva che cosa dire. «Vedi qual è il problema?!» sbottò Stiles, a sua volta alterato, «Se tu hai finalmente la possibilità di essere felice va bene al mondo, ma quando io finalmente trovo un ragazzo che mi fa sentire bene, devi fare le tue solite scenate!».
Stiles si maledì mentalmente per quello che aveva detto. Sapeva che avrebbe dovuto fermarsi molto prima, ma quando si arrabbiava non si riusciva a controllare, succedeva di rado che arrivasse al tirare in ballo un argomento tanto delicato e quando lo faceva aveva degli effetti devastanti su Scott. Il moro, infatti, sembrava una persona alla quale era appena arrivato un schiaffo. I suoi occhi ora sembravano di vetro, tante erano le lacrime che spingevano per scendere. Stiles aveva ragione anche quella volta, ma per il ragazzo era stato impossibile non scoppiare. Stiles era tutto ciò che aveva sempre avuto ed era estremamente geloso nei suoi confronti.
«Scott, Scott scusa. Sono stato crudele» mormorò Stiles avvicinandosi al moro. Lo fece sedere nel divano, aiutandolo, dato quanto era scioccato. «No Stiles, hai ragione. Solamente noi… io e te…» non riuscì a terminare la frase e intanto qualche lacrima cominciava a rigare il suo viso angelicato. «Ho capito» rispose e Scott ne era sicuro.«Ti prego non piangere a causa mia». Scott chiuse gli occhi, ascoltando l’amico, che gli asciugò il volto con la punta delle dita, delicatamente. «Ne dovremo parlare, d’accordo?» suggerì Stiles, dandogli un buffetto sulla guancia chiedendo conferma. Scott sorrise lievemente, pregando Stiles di perdonarlo con gli occhi. Il moro non avrebbe voluto arrabbiarsi così tanto e si sentiva un idiota. Non avrebbe dovuto aspettarsi altro d’altronde era ovvio che prima o poi il suo migliore amico avrebbe trovato qualcuno che amava e la sua reazione, ora che ci pensava a mente fredda, era stata esagerata. Entrare in casa e trovarsi in quella imbarazzante situazione non lo aveva di certo aiutato, anzi Scott non era pronto per condividere Stiles con un altro ragazzo così in fretta. Derek era un ragazzo gentile, dolce e sicuramente non avrebbe mai ferito Stiles, per questo Scott aveva deciso di aiutarli, di fare in modo che si conoscessero, ma ora Scott aveva bisogno di tempo.
Stiles, da parte sua, era rimasto molto sorpreso quando l’amico aveva lasciato il suo cellulare a casa di Derek, non si sarebbe mai aspettato un aiuto il quel “settore” da parte sua; una reazione del genere, in un certo senso se l’aspettava e quando pensava a come aveva trattato Scott pochi minuti prima lo faceva stare ancora peggio.
Nessuno conosceva il ragazzo come Stiles. Avevano vissuto assieme gli anni migliori della loro vita e lui amava ed odiava al tempo stesso ogni piccolo difetto di Scott. Sapeva quando il moro aveva bisogno di un suo abbraccio ancora prima che potesse dirgli se stava male.
Per loro era sempre stato un gioco di sguardi, si capivano senza il bisogno di parlare e, a volte, era proprio quella la parte più bella della loro relazione.
Scott, in quel momento, aveva bisogno di Stiles. Aveva bisogno che lo abbracciasse e che lo rassicurasse, piano, come solo lui avrebbe potuto fare. Ormai non c’era più bisogno di scuse, entrambi si erano capiti. Perdonati.
 
Quando Isaac e Derek tornarono, i due ragazzi stavano parlando tranquillamente tra di loro. Nulla faceva intendere un litigio tra i due. Scott e Stiles avevano deciso che, prima o poi avrebbero dovuto affrontare l’argomento, ma quello non erano né il tempo, né il luogo adatti. I due più grandi si sedettero affianco ai loro innamorati e il sorriso che Isaac rivolse a Scott si tramutò ben presto in uno sguardo a metà tra l’interrogativo e il preoccupato. Il biondo non aveva mai visto così il più piccolo, anche se si limitò a rispondere al suo sorriso, Scott aveva gli occhi tristi, arrossati dal pianto. Intrecciò poi le sue mani a quelle di Isaac: se in quel momento non poteva avere Stiles doveva essere sicuro che Isaac era lì, per lui.
Parlarono tranquillamente per diversi minuti e, dopo un po’ Derek propose ai due ragazzi di rimanere a cena con loro. Scott accettò con un sorriso immediatamente, scambiando uno sguardo innamorato al ragazzo affianco a lui. Stiles, però, non voleva fare tardi, il giorno dopo sarebbero dovuti tornare a lavoro, ma anche lui, al pari del moro, si lasciò convincere dalle occhiate eloquenti di Derek.
Scott, successivamente, si propose di cucinare dato che non riusciva a stare fermo in un posto e aveva un bisogno di distrarsi così, seguito da Isaac, si diresse in cucina lasciando Stiles e Derek da soli in salotto.
Il più grande si propose volenteroso di aiutare, ma Scott dopo aver constato le sue scarse abilità sul campo, lo pregò di stare seduto. E fermo, possibilmente.
In poco tempo Isaac riuscì a far tornare sulle labbra di Scott un grande sorriso, uno di quelli veri e il moro non potè ringraziarlo abbastanza. Il più grande non fece domande, non per disinteresse, ma perché aveva capito che Scott aveva bisogno di tempo e sicuramente sarebbe arrivato il momento in cui gliene avrebbe parlato.
Quando finirono la cena, Stiles e Derek decisero di fare una passeggiata mentre Isaac rimase a casa con il moro.  Scott non si sentiva molto bene quella sera e al pensiero di uscire al freddo di una notte newyorkese lo faceva sentire peggio.
Si sedettero assieme nel divano, decidendo così di guardare un film in televisione.
«Scott, va tutto bene? Stai tremando». Isaac lo guardò preoccupato. Il moro era appoggiato alla sua spalla e si sentiva scosso da tremiti chiaramente provenienti dal moro.
«Ho solo un po’ di freddo». Scott minimizzò, cogliendo l’occasione per farsi più vicino al biondo che, senza perdere il suo sguardo preoccupato, gli mise un braccio sulle spalle attirandolo a sé. Quando posò il mento sul capo di Scott ebbe la conferma che il ragazzo non stava per niente bene. «Ehi, hai la fronte che scotta! Qui tu hai la febbre» disse dolcemente Isaac, toccando con delicatezza la fronte del moro, cercando conferma.
«Dai Isy, non esagerare» Scott intanto aveva chiuso gli occhi, abbandonandosi completamente al corpo del più grande. Forse aveva ragione, non stava proprio bene, ma non era il caso di agitarsi troppo.
«Ti va di dormire un po’, finchè non arrivano gli altri?» disse Isaac, accarezzando il volto di Scott, davvero troppo caldo. Il piccolo annuì e lasciandosi condurre dal più grande si addormentò in pochi minuti tra le coperte, nel letto di Isaac.
Rimase accanto a Scott per diversi minuti, guardandolo mentre dormiva si sentiva il ragazzo più fortunato del mondo.
In quel momento finalmente capì perché aveva dovuto soffrire così tanto in vita sua. Tutto ciò che aveva dovuto sopportare era solamente per potersi meritare un ragazzo perfetto come lo era Scott. Ora gli insulti e i pregiudizi sembravano solo un ricordo sfuocato.
Nel corso della sua adolescenza era stato scalfito troppe volte, ma il moro era diventato la sua cura personale. Da quel giorno nel ponte, quando aveva posato le sue labbra in quelle di Scott, era come se delle piccole mani avessero cominciato a cucire i pezzi di un’anima che credeva andata perduta.
 
Tornò in salotto dopo esser rimasto diversi minuti a contemplare il volto del moro. Cercò di distrarsi da troppi pensieri che gli affollavano la mente, guardando la televisione.
Dopo neanche una mezz’ora Scott era tornato, con lui, nel divano. Isaac si spaventò quando lo vide in piedi, barcollante, alzandosi velocemente cercò di farlo ragionare, ma quando il moro disse con voce malferma “ho bisogno di te stasera” mandò al diavolo la dolcezza di Scott e lo portò con sé nel divano, poco importava in quel momento se si sarebbe poi preso la febbre.
Si distesero assieme, il moro poggiando la sua schiena al petto di Isaac, che lo circondò con le braccia, stringendolo a sé.
«Chissà cosa stanno facendo Stiles e Derek…» mormorò il biondo piano, «Non lo so e non voglio saperlo, dato le prestazioni di questa sera. Isaac avvertì una punta di gelosia in quell’affermazione e sorrise.
«Credo che Stiles dovrebbe preoccuparsi invece. Scott, siamo in un divano, uno contro l’altro e potrebbe accadere quals-». Il più grande non potè terminare la frase perché sentì il gomito di Scott incastrarsi tra le sue costole. «Ehi… scherzavo…» sussurrò Isaac piano, avvicinandosi all’orecchio del moro, che rabbrividì di piacere al tono usato dal ragazzo.
Quella posizione stava diventando pericolosa, così Scott si girò tra le braccia di Isaac per poterlo guardare negli occhi.
«Quando potrò baciarti io?» azzardò Isaac, sorridendo.
«Presto, suppongo». Scott chiuse gli occhi, stringendosi al petto del più grande, che gli lasciò un bacio tra i capelli prima di chiudere gli occhi a sua volta e addormentarsi.
 
Scott trascorse una notte tranquilla, contento, per una volta, di non essere tra le braccia di Stiles.

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