Dona Eis Requiem

di Trick
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Lestrange, Severus Piton, Alastor Moody e Remus Lupin ***
Capitolo 2: *** Rufus Scrimgeour, Colin Canon e Peter Minus ***



Capitolo 1
*** I Lestrange, Severus Piton, Alastor Moody e Remus Lupin ***


Ehm... immagino sia un po' fuori luogo domandarvi scusa dopo che *eh-ehm* avevo promesso di non svanire nuovamente per dei mesi. Ho avuto l'ansia da prestazione, l'ansia da università, l'ansia da trasloco, l'ansia da estate, l'ansia da computer, e, la peggiore di tutte, l'ansia da ansia. Ad ogni modo, sono – dopo ben sette mesi che questa povera fic sostava senza scopo fra i miei files, riuscita a concludere. Mancano diversi personaggi importanti, ne sono al corrente (qualcuno ha visto Fred? Uh? Dov'è Dobby?). Probabilmente il ''secondo atto'' arriverà dopo.
Be', buona lettura a tutti, con la speranza di farmi perdonare per quest'ennesima, irritante, assenza.
Trick


*
Dona eis Requiem


*

L'aria non è mai stata tanto rancida e pesante come in questo momento, pensi. Elegantemente appoggiato alla balaustra di pietra del balcone, hai osservato il lento morire del sole, l'inarrestabile avanzare dell'oscurità. Della morte.
È un biglietto d'invito fin troppo esplicito.
L'ultimo accordo della tua esistenza corrotta, Rodolphus, risuonerà questa notte.
Il sorriso che ti incrina le labbra sottili è decisamente inappropriato.
«Sei pensieroso».
Inesorabile, la sua flebile voce ti arpiona con ferocia le viscere, ti costringe a riemergere dal dolce oblio nel quale ti eri lasciato scivolare e ti ricorda, con la sua macabra musicalità, che ancora respiri.
Sul tuo volto, tuttavia, non un'ombra tradisce il tuo turbamento.
«Guarda il cielo, Bella».
Si accosta al tuo fianco e incrocia le braccia al petto, indispettita. Le lanci un'occhiata labile.
Con le labbra arricciate in un broncio e i sopraccigli aggrottati in un'espressione di impazienza, ti illudi di essere dinanzi alla ragazzina che conoscesti a tredici anni.
«Cosa dovrei vedere, Rodolphus?»
Distogli lo sguardo e ti concedi un sorriso malinconico.
Lei non ha ancora capito.
Questo è anche il vostro tramonto.
L'ultimo accordo risuonerà per entrambi.

Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte discurrus.
[Quanto terrore ci sarà, quando verrà il giudice, per giudicare ogni cosa.]




Guardi il lento ondeggiare del fumo delle braci svanire fra i primi raggi dell'alba e ti lasci sfuggire un sospiro. Si alza il sipario dinanzi ad un nuovo giorno, Ted, e sei ancora vivo, pensi. Dovresti esserne sollevato. Dovresti essere felice di sapere che hai un'altra nuova occasione per sopravvivere. Affondi le mani nei capelli biondi e ti domandi, ancora, per quanto dovrai farlo.
Non sei mai stato un eroe, Ted.
Lo hai sempre saputo.
Lo hai sempre dimostrato.
Non fu tua l'idea di far fuggire Andromeda dalla sua tenuta estiva nello Yorkshire.
«Preferirei non scappassi, Andromeda» avevi confidato al viso latteo e agli occhi gentili della secondogenita Black. «Non voglio essere la causa della rottura con la tua famiglia».
''Scappa con me'', avresti voluto gridarle. ''Fuggi da quell'inferno'', ma non trovasti il coraggio.
«Non dire sciocchezze» ti aveva ammonito lei. «Il mio posto non è fra loro».
Capisti dalla fierezza del suo sguardo che non mentiva.
Ti chiedi se non sia il caso di tornare a casa, ma pochi attimi di razionalità sono sufficienti a farti rinsavire.
Non puoi, ti troverebbero subito.
Non puoi permetterlo.
«Promettimi che tornerai presto, Ted».
L'hai promesso a tua moglie.
«Ci sarai quando nascerà il bambino, non è vero?»
L'hai promesso a tua figlia.
Un boato alle tue spalle ti fa sussultare.
Balzi in piedi, afferri la bacchetta, ma non sei abbastanza veloce.
Non sei mai stato un eroe, Ted.
«Fine della corsa, Mezzosangue».
La voce metallica di Bellatrix Lestrange ti fa sgranare gli occhi.
«È ora di ripulire l'albero dei Black».
E capisci, così come avevi capito che tua moglie non era fatta per essere una di loro, che il tuo sipario sta per calare.
«Avada Kedavra».
Davanti ai tuoi occhi scorrono effimere e distorte immagini, ma più tenti di afferrarle, più queste si mescolano le une con le altre, fondendosi in un unico torbido flusso di colori.
Un ragazzino dai capelli chiari attraversa con un sorriso il tuo offuscato campo visivo. Alza la mano, ti saluta, ride, storce il naso in un'espressione concentrata e la sua chioma si tinge di turchino.
Gli sorridi a tua volta e ti abbandoni alla terra bruna con un tonfo sordo.
L'albero dei Black resterà macchiato.
Il sipario non è ancora chiuso.

Requiem aetarnam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis.
[L'eterno riposa dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.]




Il tuo indice sfiora distrattamente il tessuto porpora della poltrona del tuo ufficio, tracciando invisibili arabeschi mai disegnati. Allunghi la mano verso il treppiedi di noce, serri le dita attorno al calice e lo ondeggi lievemente davanti al tuo sguardo indagatore. Silenzioso e concentrato, osservi il brio con il quale la scoppiettante luce del caminetto gioca fra le onde del vino.
Rosso.
Come il fuoco che sta scaldando una stanza che non dovrebbe appartenerti.
Rosso.
Come i rubini incastonati nell'elsa della spada che potrebbe decidere le sorti del mondo.
Rosso.
Come la chioma che vedevi brillare sotto il sole novembrino quando, appena adolescente, non avevi altro desiderio se non di sfiorare le sue spalle candide.
Rosso.
Come gli occhi di chi ti eri convinto potesse renderla tua.
Rosso.
Come il vino che lasci scivolare in gola, sorso dopo sorso, rimpianto dopo rimpianto.
«So chi è il bambino, mio Signore».
La tua condanna a morte risuonò con la tua stessa voce tremante.
«È il figlio di James Potter».
La tua vendetta sibilò nella notte come una sciabolata.
Lasciasti che il sapore agrodolce di quella vittoria intorpidisse i tuoi sensi, esattamente come il vino che stai degustando.
Troppo tardi, desiderasti averla sputata.
Mentre osservavi gli Auror aggirarsi per i vicoli bui di Godric's Hollow.
Mentre indietreggiavi terrificato nel vedere il tetro candore del suo viso brillare alla luce della luna.
Mentre fissavi lo sguardo sulla mano affusolata che, ribelle, era scivolata dal lenzuolo immacolato nel quale era stata avvolta.
«Resterai al mio fianco per sempre, non è così, Sev?»
Ingenue promesse infantili.
Frammenti di un giuramento infranto, ma mai dimenticato.
L'hai uccisa.
L'hai uccisa.
L'hai uccisa.
Un lamento funebre che iniziasti a suonare quella notte lontana.
«Aiutami a proteggere suo figlio, Severus».
Accettasti senza considerare la redenzione verso la quale avresti marciato.
Sei macchiato di una colpa, Severus, che nessun sacrificio può cancellare.
Indelebile.
Scolpita.
Maledetta.
Assassina.
«Guar...da...mi».
Flebile, indistinta, l'ultima tua nota si perde nell'aria fatiscente di quella vecchia Stamberga.
L'hai uccisa.
L'hai uccisa.
L'hai uccisa.
Tuttavia, è nell'ultima pausa che precede l'applauso che echeggia il suo sussurro.
L'hai salvato.

In memoria aeterna erit iustus ab auditione mala non timebit.
[Il giusto sarà sempre ricordato, non temerà annunzio di sventura].




Sfiori con la punta della bacchetta le stelle appese alla giostra che pende sulla culla di Teddy e quelle, come mosse da invisibili mano, iniziano a rincorrersi l'una con l'altra, mutando forme e colori, e accendendo il riso divertito di tuo figlio. Ti appoggi alla sponda di ciliegio e rimani a fissarlo sognante, incantato da come le punte dei suoi capelli si tingano improvvisamente di turchese. Tenta invano di allungare le braccia per afferrare le stelle che volano sul suo capo, storcendo il naso per il disappunto e mugugnando fra sé.
È mio figlio.
Sorridi.
Lo sollevi fra le tue braccia, beandoti dell'inebriante contatto di quel corpicino con il tuo petto. Una volta entrata nel campo di azione di Teddy, la stellina viene subito acciuffata e infilata in bocca.
Sorridi, mentre gliela sfili con delicatezza dalle manine paffute.
«Non metterla in bocca, Teddy. È sporca».
Sanguesporco.
Mannaro.
È tuo figlio.
Sporco.
Come te.
Come lei.
Condannato.
Alza il viso su di te, lanciandoti uno sguardo confuso.
E tu non puoi fare a meno di immaginartelo, fra undici anni, seduto sotto al Cappello Magico, con la sua prima bacchetta stretta fra le mani tremanti, con le labbra strette fra loro per l'agitazione e i piedi incrociati l'uno sull'altro con forza.
O, forse, si sarebbe precipitato su quel vecchio sgabello, inciampando nell'orlo della veste troppo lunga e scivolando davanti alla punta delle scarpe della McGranitt. Avrebbe alzato le spalle abbozzando un sorriso di scuse e il capello gli sarebbe scivolato fino alla punta del naso.
Ha il tuo viso, ha affermato tua moglie qualche ora fa.
Ma – e te ne rallegri – ha il suo sorriso.
Sicuramente avrà il tuo talento, aveva continuato Tonks, ma ascolterà sicuramente rock.
Hai riso.
L'ultima risata.
E ancora non lo sapevi.
Non lo sai ancora.
E, di nuovo, ti chiedi se passeggerà per i corridoi di Hogwarts con il volto immerso fra le pagine di un libro, tentando di rendersi invisibile, o se zampetterà da una persona all'altro distribuendo la propria allegria a destra e a manca.
«Questa è una notte importante, Teddy» sussurri. «La più importante della nostra vita».
Ti guarda, sorride.
«È la tua vita, piccolo, che mi gioco stanotte».
Teddy china il capo e aggrotta la fronte. Scorgi una ciocca dei suoi capelli scurirsi improvvisamente.
«Non ho intenzione di morire» mormori a te stesso. «Non oggi».
L'ultima risata è già scoccata.
Il conto alla rovescia appena iniziato.
«Sono sopravvissuto a più battaglie di quante non si direbbe».
Convinciti, coraggio.
«Sarebbe da folli morire nell'ultima».
Non sei convinto abbastanza.
Teddy si aggrappa al bavero della tua giacca e stringe con forza i piccoli pugni. Socchiude gli occhi, mentre gli accarezzi con delicatezza la guancia rotonda.
«Da domani mattina» lo saluti con un bacio leggero, «cambierà tutto, bambino mio».
Te lo giuro.
Diavolo, se sarebbe cambiato tutto.
Come uno spartito senza note, l'armonia distorta nel antico concerto della morte.
Improvviso.
Stridente.
Non te la aspettavi, Remus, non è vero?
Non credevi sarebbe finita in questo modo.
Eppure, è così che è andata.
Improvvisa.
Stridente.
Ingiusta.
A pochi metri da dove stai scivolando a terra, il Cappello Parlante sarebbe calato sul capo di tuo figlio.
Tuo figlio.
Calmo.
Pacato.
Suo padre.
Grifondoro.
Si alza, si strofina il naso e inciampa nell'orlo della veste.
Pochi piani più in alto di dove ora hai lasciato cadere la bacchetta, tuo figlio avrebbe camminato con le braccia incrociate dietro la nuca e un sorriso allegro sul volto. La cravatta allentata, la camicia sgualcita, un paio di anfibi sotto la divisa scolastica. E, nella tracolla, riposto con estrema cura, un disco di Chopin e il Macbeth di Shakespeare.
Tuo figlio.
La tua sonata è giunta all'atto finale, Remus.
Non rammaricartene troppo.
Puoi ascoltare la sua, adesso.

Rex tremendaqe maiestatis, qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis.
[Re di tremenda maestà, tu che salvi per tua grazia, salva me, o fonte di pietà].




«Qualunque cosa accada, Tonks» ribadisci per l'ennesima volta, sottolineando con un movimento deciso dell'indice ogni parola, «non dovete lasciare che prendano Potter».
Tonks china il capo e ti rivolge un sorriso stanco.
«Andrà tutto bene. È un piano geniale».
«Lo potremmo dire con certezza solo una volta ultimato con successo» tagli corto.
Non hai voglia di approfondire il discorso.
Sai perfettamente che in guerra non esistono garanzie.
La vedi scuotere il capo e tentare di issarsi sul muricciolo bianco che circonda la Tana, ma posiziona male il piede destro – benedetta ragazza- rischiando di cadere.
Allunghi un braccio e la raddrizzi con un unico movimento seccato.
«Scusa» mormora lei, mentre una ciocca sbarazzina di capelli vira ad un rosa più intenso.
«Parola mia, Tonks, sei una recluta irrecuperabile» dici.
«È il motivo per il quale mi hai addestrato, ricordi?» sentenzia con un sorrisetto. «Ti piacciono i casi disperati».
Sbuffi e ti fingi contrariato.
Sono le regole del vostro gioco.
Lei fa parte dell'irriverente. Tu fai la parte del bacchettone.
E, insieme, fingete di essere i poli opposti della guerra stessa.
Lei recita la parte della sognatrice. Dell'ingenuità.
Della speranza.
E a te, rovinata colonna della giustizia, spetta il copione del dramma. Della durezza.
Della paura. Della morte.
Entrambi, tuttavia, siete consci di quanto siate simili.
Determinazione. Lealtà. Sacrificio.
Il trinomio dell'essere Auror.
«Andrà alla grande» ripete convinta Tonks, colpendoti leggermente alla spalla con un pugno. «Un po' di ottimismo, capo».
«Lo sapevo che Lupin doveva aspettare a sposarti» rimbrotti scorbutico. «Voi novelle spose tendete a vedere rose e fiori ovunque».
Scoppia a ridere.
E per un attimo fugace, pensi al canto del cigno.
Il più bel suono del mondo, dicono, è l'ultimo che fugge dal becco del cigno.
L'ultimo a disperdersi nell'acre odore della morte.
L'eco della sua risata, calda e inafferrabile allo stesso tempo, ti pare l'equivalente umano del canto del cigno.
L'ultimo inno alla vita.
L'ultima nota del pentagramma.
«Pensa» ribatte, «a quando ti toccherà fare da padrino per i nostri marmocchi».
Fai una faccia schifata.
Fingi disgusto e tornate a giocare.
Cerchi di immaginartela senza la divisa e gli stivali d'ordinanza addosso, circondata da due o tre ragazzini dai capelli multicolore.
E preghi.
Preghi solo che non sia l'illusione momentanea di un vecchio visionario.
Preghi solo che possa essere vero.
«Sei unico, Malocchio!»
Fa per alzarsi, ma tu non hai finito e le blocchi un polso.
«Seriamente» continui. «Qualunque cosa dovesse succedere...»
«...non dovete lasciare che prendano Potter» ti fa il verso lei.
Annuisci e non la rimproveri.
Sai che avresti dovuto farlo.
È nelle regole del vostro gioco.
Ma, ti ripeti, il tempo di giocare è finito.
«E stai vigile. L'ultimo atto arriva sempre quando meno te lo aspetti. Quando credi di essere felice. Quando ti convinci di essere invincibile. Quando ti illudi di essere immortale».
«Perché mi dici questo, Malocchio?»
«Il mondo puzza, Tonks, e gira solo come pare a lui. Presta attenzione nel voltargli le spalle».
Lei socchiude gli occhi e stringe le labbra.
«Non parlare come se non dovessimo tornare dalla missione».
«Parlo come uno che di missioni del genere ne ha viste fin troppe» la correggi. «Parlo come chi ha visto decine di ottimisti come te stramazzarmi davanti».
Fabian e Gideon Prewett non vedevano l'ora di vedere nascere l'ultimo dei loro nipotini, il piccolo Percy.
Due sorrisi. Due risate.
La morte del cigno che risuonò nell'aria.
Benjy Fenwick desiderava girare il mondo.
Dorcas Meadowes sognava il giorno del suo matrimonio.
Caradoc Dearborn voleva compare una casa nelle praterie irlandesi.
Tre sorrisi. Tre illusioni.
E la morte del cigno che, di nuovo, risuonò nell'aria.
Frank e Alice Paciock avrebbero tanto voluto un altro bambino. E un cane, magari.
Avrebbero voluto riempire la loro casa di vita e speranza.
Due sorrisi. Due sogni.
James e Lily Potter sapevano che la guerra sarebbe finita.
Sapevano che, in modo o nell'altro, avrebbero vinto.
Non immaginavano, tuttavia, a quale prezzo.
Due sorrisi. Due sogni.
L'inesorabile canto del cigno che li ha infranti tutti.
Non senti più la risata di Tonks.
Non senti più il cigno cantare, quando tutto accade.
Troppo in fretta perché tu possa reagire.
Troppo inesorabile perché tu possa arrestarlo.
Ti eri convinto che la sua risata sarebbe diventata la sua marcia funebre.
Non avevi capito che sarebbe stata la tua.
Nella tua testa, mentre scivoli dalla scopa, la senti ridere.
È il tuo canto del cigno a rintoccare quell'ultima preghiera lasciata sfuggire nel vento:
Merlino, salva almeno lei.
Troppo tardi, perché tu potessi sentirla, arrivò la risposta.
No.

Exaudi orationem meam; ad te omnis caro veniet
[Esaudisci la mia preghiera, a te viene ogni mortale.]

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Capitolo 2
*** Rufus Scrimgeour, Colin Canon e Peter Minus ***


Vi avevo promesso che – chissà quando e chissà come – avrei aggiunto i personaggi mancanti. Così... et voilà! Un'altra one-shot che finisce per trasformarsi in una raccolta. Cavolo, come se non avessi già abbastanza lavori da portare avanti. Mi mancano ancora diversi personaggi, ma tant'è... questo è quanto, per il momento. Buona lettura a tutti e grazie, grazie di cuore a tutti quelli che seguono le mie storie.
P.s. Si ringrazia Mozart per avermi accompagnato/demoralizzato con il suo Requiem incompleto. (Scrivendo queste brevi flash-fic non potevo certo ascoltare Hakuna Matata, vi pare?).


*
Dona eis Requiem


*

Ti rigiri il sigaro fra le dita nodose.
Sembri pensieroso, Ministro.
Quale mostro ti sta tormentando?
La situazione ti è sfuggita dalle mani, non è vero?
Labile, irrefrenabile, impietosa, tagliente.
Scivolosa come sabbia. Pesante come macigni.
Qual'è il sapore del fallimento?
Quale sarà il prossimo movimento ad animare il tuo pentagramma di guerra?
Chini il capo leonino, sconfitto.
Stai pensando alla tua vita?
Dimmi, Rufus, qual'è stato il suo tempo?
Vivace.
La tua infanzia nella brughiera scozzese, quando correvi per i campi di grano e l'imbrunire del sole ti spaventava molto meno di ora.
Allegro.
La serenità della tua fanciullezza, quando camminavi fra i corridoi di Hogwarts con quel tuo sorriso spavaldo e l'aria sicura. Eri forte, allora. Forse più di allegro, forse, a tratti, sei stato anche allegretto.
Andante.
Il tuo addestramento all'Accademia per Auror, quando il tuo orgoglio s'accresceva con i muscoli e il tuo braccio si faceva forte quanto il tuo spirito. Rigido. Impiegabile. Indistruttibile.
Adagio.
La gloria del traguardo che hai raggiunto. La determinazione e la sicurezza nel tuo sguardo duro. E poi, Rufus, eccoti diventare Ministro della Magia.
Puoi tutto, ora, non è vero?
Grave.
Il tonfo del tuo mondo che crolla. Inesorabili, s'alzano ad ode le grida degli Auror che stanno combattendo – cadendo – oltre la porta del tuo sfarzoso ufficio.
Respira piano, Rufus, respira piano.
Godi del tuo ultimo respiro e aspetta che i Mangiamorte irrompano nella stanza.
Porti il sigaro fra le labbra e aspiri con la stessa tenacia con la quale hai vissuto.
Un rassegnato ultimo respiro.
Lento.
Un rassegnato ultimo atto.

Exaudi orationem meam; ad te omnis caro veniet.
[Esaudisci la mia preghiera; a te viene ogni mortale].



Riponi la macchina fotografica nel baule con cura.
Ti sollevi dal pavimento e lanci uno sguardo alla foto che tieni sul comodino.
Un ciuffo d'erba.
Semplice, comune, banale.
Un po' come te, forse.
Il tuo primo scatto.
Il click che ha aperto le danze della tua ballata.
Veloce, scattante, nervosa, acuta.
Avevi quattro anni quanto i tuoi genitori ti regalarono la prima macchina.
Ora ne hai quasi diciassette.
Sei quasi un uomo.
Hai ragione, Colin. Hai il diritto di scegliere.
Stringi la bacchetta fra le dita affusolate e sfrecci verso la Sala Grande.
Il respiro affannato, la milza dolente, il cuore irrefrenabile.
''Non ho paura'' pensi.
Rallenta, Colin.
Buon Dio, rallenta, figliolo.
Avevi sette anni quando decidesti che avresti fatto della fotografia la tua vita.
Ora ne hai quasi diciassette.
Sei quasi un uomo.
Nasconditi, Colin. Hai il diritto di scegliere.
Sollevi il braccio, scagli tutti gli incantesimi che conosci e preghi che funzionino.
Il respiro affannato, la milza dolente, il cuore irrefrenabile.
''Non ho paura'' ti ripeti. ''Sono un Grifondoro''.
Avevi undici anni quando il Cappello Parlante decise di Smistarti nella Casa dell'audacia e dell'ardimento.
Ora ne hai quasi diciassette.
Ma non sei un uomo, Colin.
Il respiro interrotto, il dolore scomparso, il cuore immobile.
Gli occhi spenti rivolti alle stelle del soffitto incantato.
«Benvenuti! Benvenuti alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts!».
Benvenuto, Colin. Benvenuto al tuo ultimo click.
«Era un ragazzo molto coraggioso» dirà qualcuno.
Ma non eri un uomo.
E non avrai altri scatti.

Gere curam mei finis.
[Abbi cura della mia sorte].


Ricordi la tua adolescenza, Peter?
Ricordi i trilli esaltanti del suo spartito?
Un Re maggiore e James si tuffa, afferra il Boccino d'Oro e la folla acclama il suo ennesimo trionfo.
Un Fa diesis e Sirius, beffardo, strizza un occhio verso la giovane biondina che ridacchia, timidamente compiaciuta dalla sue attenzioni.
Un Si bemolle e Remus annuisce pacato, sorride gentile e ti aiuta in quel compito di Trasfigurazione tanto ostico.
Un'eterna allegra sonata, scandita dalla convinzione che nulla sarebbe potuto cambiare.
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni».
La punta della bacchetta illuminata di James che illumina le vostre espressioni soddisfatte, gli sguardi orgogliosi che rivolgete alla vostra Mappa.
I Maladrini, così vi chiamavano.
Credevi che non sarebbe finita.
Volevi che non finisse.
E poi, Peter?
Cos'è successo, poi?
Per quale motivo hai dimenticato la ripresa della vostra musica?
Il ritornello di tante serate passate nel vostro Dormitorio non doveva essere, forse, infinito?
Senza gli applausi finali ad onorare la vostra esibizione.
Re maggiore, Fa diesis, Si bemolle.
Non avrai iniziato a chiederti quale fosse la tua nota, vero?
Sì.
L'hai fatto.
E hai scoperto di essere una pausa muta e flebile in un'orchestra di magistrale calibro.
Il talento di James a dirigere la forza dirompente degli ottoni.
Il fascino di Sirius a scandire i tempi delle percussioni.
L'intelligenza di Remus a regolare il dolce fluire degli archi.
Pausa.
Come una semibreve di poca importanza, scambiata per il respiro del musicista fra una nota e l'altra.
Gli ottoni si fanno incombenti.
Le percussioni diventano anarchiche.
Gli archi stridono fastidiosamente.
L'orchestra stona tanto quanto la tua rabbia s'accresce.
«I Potter mi hanno nominato loro Custode Segreto».
Il coro esplode nel vostro requiem.
«Posso portarvi al loro nascondiglio».
Risuona il tamburo.
È la chiusura finale.
Il sipario rosso – sanguigno – cala davanti a quelle cattive intenzioni che giuraste solennemente di avere per sempre.
In fondo, Peter, sei stato l'unico ad onorare il vostro fanciullesco giuramento.
Re maggiore.
Gli occhiali di James Potter s'infrangono sul pavimento del salotto.
Fa diesis.
È lo stupore ad accompagnare Sirius Black oltre il Velo dell'Ufficio Misteri.
Si bemolle.
La bacchetta di Remus Lupin scivola con grazia dalla sua mano immobile.
Pausa.
È la mano argentata di cui fai vanto a decretare il tuo silenzio.
Un rantolo indistinto s'alza faticosamente dalla tua gola.
Rotto, spaventato, stupefatto, doloroso.
Disarmonico.
Non sei mai stato una nota, Peter, ma, forse, avresti potuto diventarlo.
«Io, Codaliscia, giuro solennemente di non avere buone intenzioni».
Sei solo una pausa.

Lucis aeternae beatitudine perfrui.
[Godano beati della luce eterna].

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