Il Diavolo Tentatore

di miseichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** L'Aia ***
Capitolo 3: *** Torta Pan di Stelle ***
Capitolo 4: *** Cheesecake al cioccolato ***
Capitolo 5: *** Mousse ***



Capitolo 1
*** La lettera ***





Il Diavolo Tentatore

 

 

 

“Sei un bastardo. 
Volevo cominciare così, Massimiliano, te lo posso giurare. 
Insultarti dalla prima all’ultima parola, ecco cosa volevo fare. Perché te lo meriti, sì, non ti azzardare a negarlo. Non hai scusanti, discolpe, non hai alcunché. Sei, semplicemente, un fottutissimo bastardo. E dirtelo, scrivertelo, gridartelo, sarebbe stata un’immensa gioia e soddisfazione. 
Poi, però, ho cominciato a pensare: a che pro?
Chi nasce tondo non può morire quadrato, giusto? Tu sei nato stronzo, non vi è soluzione.
Sotto sotto l’ho sempre saputo. Me lo ripetevo di tanto in tanto, ma niente. Bastava un tuo sorriso e quel pensiero si allontanava, sbiadito. 
Avrei dovuto chiudere gli occhi e ignorarlo, quel maledetto sorriso. 
Sono in ritardo (non mi smentisco mai) ma finalmente l’ho capito anche io. 
Concludendo, caro Massimiliano, voglio ringraziarti. 
Sembra assurdo, lo so, fra un insulto e l’altro. Non sono impazzita, posso assicurartelo. 
I ringraziamenti ci stanno in tutto e per tutto: è grazie a te, infatti, che ho incontrato lui.
Grazie a te. 
Perché sei un bastardo che mi ha lasciata proprio al momento giusto. 
Perché tre ore dopo averti mandato al diavolo ho riscoperto la Nutella; e con la Nutella c’era lui, pacchetto completo. La perfezione, insomma. 
Quindi, davvero, grazie. Dal profondo del cuore. 
Non tutti i bastardi vengono per nuocere, a quanto pare. 
Ti auguro comunque un’orticaria, 
felicemente non più tua, 
Miranda.”

 

 

 

§

 

 

 

 

 

 

 

 

La storiella estiva, gente, niente di più niente di meno. 
Quella che si scrive per sfuggire al caldo e per evitare di pensare allo studio. 
Sempre quella che è piena di dolcezze, smancerie e cioccolata. 
Perché sì, la storiella estiva ci vuole. 
Rende l’anno migliore.









 

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Capitolo 2
*** L'Aia ***





Il Diavolo Tentatore

 

 

 

“Preferisco morire.”
Paolo inarcò un sopracciglio, blandamente colpito. 
“La morte, nientemeno?” 
“Assolutamente.”
Roberto annuì con fare sicuro e assottigliò lo sguardo: non era necessario aggiungere altro. 
“Mi sembra una soluzione leggermente drastica, non trovi anche tu?”
“L’Aia, Paolo?” sbottò allora “Sul serio? L’Aia?!”
“E’ un lavoro.”
“Non... non è un lavoro!” saltò in piedi Roberto.
“Ti pagherebbero.”
“Non mi interessano i soldi!”
“Dovrebbero.”
Roberto si passò le mani nei capelli, l’espressione afflitta: “Non può essere il... no.”
“Non ho altro da offrirti.”
“Non ci credo. Cerca meglio.”
“Ho cercato, ti assicuro.”
“Prova ancora, dannazione!” lo fulminò Roberto, il pugno che colpiva la scrivania. 
“Sarebbe inutile.” mormorò Paolo guardandolo negli occhi “Lo so io e lo sai benissimo anche tu: posso cercare ancora ma non troverei comunque niente.”
“Niente?” sussurrò Roberto, reggendo a fatica lo sguardo dell’amico. 
Paolo prese un bel respiro e aprì l’ultimo cassetto alla sua sinistra. Quando un pacchetto di sigarette gli comparve fra le dita Roberto crollò nuovamente a sedere, distrutto da quel semplice gesto. 
“Sei fottuto.” proclamò Paolo, porgendogli una sigaretta “Letteralmente, metaforicamente, allegoricamente e chi più ne ha più ne metta.”
“Fino a questo punto?”
Paolo si sistemò una sigaretta fra le labbra e l’accese. 
“Hai insultato De Gusto.” elencò, aspirando e porgendo l’accendino all’amico “Gli hai quasi distrutto la cucina, gli hai rigato la macchina e...”
“Andava a letto con Sabrina.” lo interruppe seccamente Roberto.
“Potevi limitarti a lasciare lei, non ti pare?”
“Andava a letto con la mia ragazza.” ripeté, sottolineando le ultime parole.
“Lo hai picchiato con una frusta per torte.”
“Ho cominciato a lavorare per lui a dicembre.” contò sulle dita di una mano “Si sono incontrati di nascosto fino a marzo.” 
“Una frusta per torte.” 
“Mi è sembrato il minimo.” si strinse nelle spalle Roberto. 
Paolo lo guardò negli occhi solo per pochi istanti, poi scoppiò a ridere: “Ah, signore.” 
“I coltelli erano troppo lontani.” 
“Ringraziando il cielo.”
Roberto sospirò e poggiò i piedi sulla scrivania: “La galera sarebbe stata meglio dell’Aia.
“Morte, galera... lo sai che non ti sto proponendo l’inferno, sì?”
“Sono un pasticciere.”
Paolo spense la sigaretta nel vaso alle sue spalle e si massaggiò stancamente le tempie.
“Ovviamente.” borbottò “Sei un dannatissimo pasticciere: è colpa tua se ho tre chili di troppo da quando avevo sedici anni.”
“Non puoi mettere un pasticciere a lavorare nell’Aia.
“Posso se il pasticciere in questione si è inimicato De Gusto.”
“Chi se ne fotte di De Gusto?!”
“Tutti i ristoranti della città, ecco chi! Non ti vogliono da nessuna parte, non posso fare il tuo nome senza essere cacciato a pedate e...”
“...e la tua soluzione è spedirmi a lavorare in una casa di modelle?!”
“Quando dici cose del genere mi è davvero difficile non dubitare della tua eterosessualità.”
Roberto reclinò il capo all’indietro, esasperato: “Modelle, Paolo. Modelle!”
“Non vedo il punto.” mentì spudoratamente l’amico.
“Le modelle non mangiano.”
“Non credo sia esattamente così. Dovranno pur nutrirsi, suppongo: non possono certo vivere di sola aria. Sei esagerato come tuo solito e...”
“Non mangiano dolci.” sibilò Roberto “E io, per lavoro, preparo fottutissimi dolci!”
Paolo annuì un’unica volta. 
“Mi stai dicendo che la mia ultima possibilità è andare a nascondermi in una casa dove l’unico ad apprezzare la cioccolata sarei io.” 
Paolo non trovò più la forza per annuire.
“Se non è questo un girone dell’inferno, davvero, non so che cosa lo sia.”
Roberto chiuse gli occhi, dimentico della sigaretta. 
Maledisse per la milionesima volta De Gusto, Sabrina e se stesso; la disperazione aveva annientato anche l’ultima goccia di rabbia quando Paolo, inaspettatamente, parlò.
“Un mese.”
“Cosa?”
“Un mese, Robbie. Provaci solo per un mese.” Paolo si piegò verso di lui “Vediamo come si mettono le cose, se le acque si calmano un po’...”
“Altrimenti?”
“Altrimenti ti cerco qualcosa all’estero.”
Roberto sbatté le palpebre, sinceramente sorpreso. 
“Davvero?”
“Croce sul cuore.”
Un mese. 
Un solo maledetto mese d’inferno. 
“Ci sto.”

 

 

§

 

 

 

Mi scuso per il ritardo.
La storia è scritta, mancano gli ultimi due capitoli, il ritardo è dovuto solo all’assenza di connessione :)
Grazie a tutti per star leggendo, 

alla prossima,
Sara

 

P.s. mi dimentico sempre di farlo, ma se siete interessati c’è un gruppo dove di tanto in tanto segnalo aggiornamenti e vari: https://www.facebook.com/groups/322279614453686/






 

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Capitolo 3
*** Torta Pan di Stelle ***





Il Diavolo Tentatore

 

 

 

 

Ventisei giorni dopo.

 

 

“Ho fame.”
Roberto non alzò lo sguardo dal tavolo.
“Mmm.”
“Dov’è il cibo?”
Roberto pensò che era proprio una bella domanda. 
Si tolse la penna dalla bocca e indicò il lungo mobile alle sue spalle: “Lì ci sono i cracker senza grassi, i cereali, le barrette più leggere dell’aria e tutte quelle altre schifezze.” 
Puntò la penna in direzione del frigorifero: “Lì dentro c’è acqua, frutta e... oh, credo nient’altro.”
Quindi tornò alla sua enigmistica: Moneta della Bulgaria. Tre lettere. 
“No.” 
La voce interruppe il flusso meditativo.
“No. Dov’è il cibo vero?”
Roberto sospirò e sollevò esasperato lo sguardo sulla ragazza che si avvicinava con aria battagliera: “Il cibo vero?” le domandò.
Lei annuì senza indecisione.
“Sei una di quelle.” mugugnò infastidito “Andrai a vomitare tutto dopo, non è vero?”
Lei sgranò gli occhi, l’espressione offesa: “Come ti permetti?!”
“Lev!” quasi gridò Roberto, sconcertandola.
“Io... cosa? Che significa Lev?” 
“La moneta Bulgara.” spiegò lui, riempiendo le caselle “Tre lettere: Lev.”
“Miranda.”
Roberto si girò, preso in contropiede: “Co... come?”
“E’ il mio nome.” sorrise la ragazza “Abbiamo cominciato col piede sbagliato. Bisognava presentarsi per prima cosa: io sono Miranda.”
Roberto fissò stralunato la mano che lei gli stava porgendo. 
“Tu sei?”
“Roberto.” e si decise a stringerle la mano. 
“Ottimo.” annuì Miranda “Ora che ci siamo presentati passiamo alle cose serie: ho fame.”
“Hai fame.” ripeté lui, accorgendosi con incredulità della sincerità nel tono di lei. 
“Non ho voglia di frutta né di cracker o altro del genere. Ho voglia di dolci.”
A Roberto cadde la penna di mano. 
“Dolci?” fece eco. Forse stava sognando, ipotizzò. 
“Cioccolata.” specificò Miranda “Ho voglia di cioccolata.”
Magari aveva definitivamente perso il senno. 
“Sei sicura?” le chiese, alzandosi in piedi e avvicinandola di un passo “Ti senti bene?” fece per poggiarle la mano sulla fronte ma lei si scansò abilmente. 
“Certo che sto bene.” rispose oltraggiata “Ho voglia di dolci non di dar fuoco a qualcosa.”
Roberto assottigliò lo sguardo. 
“E’ il caso che chiami il signor D’Addio?” domandò quasi a se stesso “Sì, probabilmente dovrei proprio...”
La mano di Miranda si strinse attorno al suo polso troncandogli la frase a metà. 
“Sei un pasticciere?” gli chiese a bruciapelo.
Roberto schiuse le labbra per rispondere ma lei continuò, più veloce: “Stana dice che sei un pasticciere. E i pasticcieri fanno i dolci. Io ho voglia di dolci. Dov’è il problema?”
Già, si interrogò Roberto, dov’era il problema? Il ragionamento non faceva una grinza.
“Non ho dolci pronti, al momento.”
“Com’è possibile?” sbottò Miranda, sentitamente contrariata. 
“Per chi avrei dovuto prepararli, secondo te?!” s’inalberò a sua volta Roberto, liberandosi dalla presa della ragazza con uno scatto. 
“Oh.” Miranda arricciò le labbra, l’espressione pensosa “Puoi preparare qualcosa per me? Adesso?”
Roberto inclinò leggermente il capo, incerto. Gli stava sfuggendo qualcosa, ne era sicuro.
“Sai che nei dolci c’è lo zucchero?”
“Sì.”
“E sei convinta di volere un dolce?”
“Sì.”
“Un dolce con lo zucchero. Proprio ora.”
“La risposta è sempre sì.”
“Qualche preferenza?” chiese allora, scoccandole un sorriso radioso. 
Miranda ridacchiò e scosse la testa: “Sorprendimi.”
Roberto annuì e girò su se stesso: aveva gli ingredienti, giusto? Doveva avere qualcosa. Era pur sempre una cucina! Gli serviva... cosa gli serviva? Latte. Latte, cioccolata e... fece per avviarsi in direzione del frigorifero quando si accorse della presenza di Miranda alle sue spalle, immobile. 
“Ehi.” borbottò “Mi devi dare almeno un’ora. Non posso certo metterci cinque minuti, sai? Puoi anche andare a fare qualcos’altro e poi tornare. O posso mandare a chiamarti.”
“No.” scosse lievemente il capo Miranda “Vorrei... posso restare qui?”
Roberto si bloccò, tornando a guardarla. 
“Non ti disturberò, promesso.” mormorò la ragazza indicando una sedia “Mi metto lì e sto solo a guardare cosa fai, va bene?”
Aveva gli occhi grigi, notò Roberto. Un grigio incredibile che tendeva all’azzurro: occhi da togliere il fiato. E fu guardandola per la prima volta in quegli occhi che si accorse di quanto fossero arrossati. Aveva pianto, tanto. Aveva pianto e non voleva stare sola. 
Se a questo si aggiungeva l’improvvisa voglia di dolci, rifletté Roberto, era facile fare due più due. In un flash rivide se stesso raggomitolato in poltrona con una bottiglia di birra in una mano e una vaschetta di gelato nell’altra: i primi passi per rimettere insieme un cuore.
“So cosa ci vuole.” disse Roberto, passandole la penna e la Settimana Enigmistica “La torta Pan di Stelle.”
“Già il nome mi piace.” accennò un sorriso lei, sedendosi. 
“E’ eccezionale: non è assolutamente alta cucina, potrebbe farla chiunque.” nicchiò con il capo prima di aggiungere “Ovviamente io la faccio divinamente.”
“Ovviamente.” rimarcò Miranda. 
“Sono un pasticciere coi fiocchi, io.” annuì Roberto, recuperando una tazza e un cartone di latte. 
“Non lo metto in dubbio.”
“Il cruciverba?” 
Miranda sgranò gli occhi e guardò di sbieco il cruciverba incompiuto: “Il cruciverba cosa?”
“Devi finirlo.”
“Non sono brava con i cruciverba.” mugugnò lei “Li odio, in realtà: mi innervosisco dopo le prime quattro definizioni.”
“Prova.” insisté Roberto, versando tre dita di latte nella tazza. 
Ha per capoluogo Valladolid.” lesse Miranda “Quattordici lettere.”
“Mmm.”
Roberto aprì tre ante in rapida successione e le richiuse altrettanto velocemente per poi correre in direzione di una cassapanca. 
“Che stai cercando?”
“I Pan di Stelle.” rispose lui “Che torta Pan di Stelle sarebbe, altrimenti?”
Chiuse la cassapanca e, meditabondo, si avviò verso il frigorifero: schiuse il cassetto più in alto e con un mugugno incredulo trovò quello che voleva: “Quali teste bacate mettono dei biscotti in un frigorifero?” borbottò aprendo la scatola.
Miranda si alzò e lo raggiunse: “Ora che fai?”
“I biscotti vanno bagnati nel latte.” spiegò Roberto “Solo un po’, naturalmente. Se li bagni troppo si ammorbidiscono e tendono a frantumarsi. Devono restare consistenti.”
“Perché?”
“Perché fanno da base alla torta.”
Roberto afferrò un biscotto, lo immerse nel latte e lo girò una sola volta su se stesso prima di sistemarlo in un ruoto di vetro. “Così.” 
Ripeté l’operazione con altri sei biscotti, poi Miranda lo interruppe togliendogli un Pan di Stelle di mano: “Posso provare?”
Roberto assottigliò lo sguardo: “E’ un’operazione delicata.”
“Stai bagnando dei biscotti.” lo contraddisse lei, inarcando un sopracciglio. 
“Rischi di bagnarlo troppo.”
“Invece no.” lo spinse via con un leggero colpo di fianchi e ne imitò perfettamente i gesti. Roberto, per niente convinto, restò a controllare il tutto da dietro la sua spalla. 
“Li sto bagnando troppo?” s’informò Miranda, il riso nella voce.
“No.” mugugnò lui a fatica. 
“Devo riempire il ruoto?”
“Sì.”
“Restano dei vuoti.”
“Spezza i biscotti per ricavare la forma giusta e riempili.” diede istruzioni Roberto, facendo per uscire dalla cucina. 
“Dove vai?” scattò Miranda, girandosi a guardarlo.
“Un attimo in camera.” mormorò lui carezzandosi nervoso il collo “Devo prendere una cosa.” sussurrò abbassando la voce.
“Qualcosa di illegale?” bisbigliò lei, imitandone il tono.
“No!” alzò la voce Roberto, fulminandola “Cosa ti viene in mente?”
“Sei tu che usi il tono cospiratorio!” 
“Hai una mente perversa.”
“Cosa devi prendere?”
Roberto si guardò alle spalle prima di rispondere, teso: “La Nutella.”
“Oh.” Miranda guardò il biscotto che aveva ancora in mano e se lo mise in bocca “Nascondi la Nutella in camera?” bofonchiò colpita. 
“Sotto il letto.” annuì lui “Con la panna spray.”
Miranda sgranò gli occhi e gli fece segno di andare: “Muoviti.”
Continuò a bagnare i biscotti: due li metteva nel ruoto e uno lo sgranocchiava. 
Castigliaeleon.”
Sussultò e si voltò di scatto: Roberto stava appoggiato al tavolo, un dito a indicare il cruciverba. “Ha per capoluogo Valladolid.” rilesse lui “Castigliaeleon.
Miranda gli lanciò contro un Pan di Stelle. 
“Mi hai spaventata!” 
“Eri troppo impegnata a mangiare la base della torta?”
“Ne mangio solo uno ogni tanto.” arrossì lei, mostrandogli il lavoro quasi ultimato. 
Roberto sorrise e pensò che doveva assolutamente farla arrossire più spesso. “Ho preso la Nutella.” le mostrò un barattolo da due chili “E anche la panna.”
“E ora?”
“Si spalma la Nutella.” aprì il coperchio, afferrò un cucchiaio e un coltello e li porse a lei.
Miranda lo fissò senza muoversi.
“Non vuoi provare?”
Miranda prese il cucchiaio e lo avvicinò guardinga alla cioccolata: ne immerse solo la punta e Roberto scoppiò a ridere. 
“Non così, no!” la fermò, riappropriandosi del cucchiaio “Guarda.”
Inclinò il barattolo e prese un’enorme cucchiaiata di Nutella. Miranda deglutì, gli occhi che correvano da lui al cucchiaio: “Così tanta?” sussurrò debolmente. 
“Ed è solo il primo.” confermò Roberto “Bisogna fare uno strato completo.” indicò i biscotti e quindi la Nutella “Devi coprirli tutti.”
Miranda percepì il tono di sfida nella voce del pasticciere: quello era il momento decisivo. O andava avanti o si fermava. Non era tipo da fare marcia indietro, lei. Proprio no. 
Strinse sicura il cucchiaio e cominciò a far colare la Nutella. 
Una volta presa la decisione andare avanti fu molto più semplice: tolse il barattolo dalle mani di Roberto e continuò da sola. “E’ una goduria per gli occhi.” 
“Già.” approvò lui, lo sguardo puntato su di lei. 
“E per stenderla al meglio?”
Roberto sollevò il coltello: “Permetti?” 
Si piegò fino ad avere il ruoto all’altezza del naso e cominciò a lavorare, rifinendo il tutto. 
Miranda si allungò oltre di lui per impadronirsi della bomboletta di panna. 
“Agita.” la istruì Roberto continuando a modellare la Nutella. 
“E poi?” agitò la bomboletta. 
“Poi va spruzzata.”
Miranda guardò la panna, quindi la base della torta e non disse niente. Sapeva che Roberto doveva ancora terminare la sua spiegazione e temeva di sapere anche cosa avrebbe detto.
“Bisogna farne uno strato intero.” disse infatti lui “Quasi non devi più vedere la Nutella.”
Roberto sollevò lo sguardo: “A quel punto si ripete il procedimento: biscotti, Nutella e panna. Infine, a piacimento, si decora l’ultimo strato.”
Sorrideva, il diavolo tentatore. Non un sorriso di sfida, però, si stupì Miranda. Tanto semplicemente quanto assurdamente, quel sorriso trasmetteva solo gioia. 
“Sei felice.” commentò incredula. 
 Roberto si rialzò con una scrollata di spalle: “Non preparo un dolce da settimane.”
Non aveva finito di parlare che il sorriso era tornato al suo posto, traboccante euforia, e senza neanche rendersene conto Miranda cominciò a spruzzare la panna. Non seguì uno schema: mosse l’erogatore a casaccio, a zig zag, seguendo l’istinto. 
Roberto gemette, fulminandola: “Ti stai divertendo?” 
“Decisamente.” rispose lei, ignorando il suo tono disapprovante. 
Roberto osservò in silenzio per un paio di minuti, poi non riuscì più a trattenersi e le tolse la bomboletta di mano: “Fila via.”
“Ma...” tentò inutilmente di opporre resistenza. 
“Concludo io.”
“Oh, dai!”
“Tu pensa al cruciverba, da brava.”
Miranda sbuffò ma andò a sedersi. Incrociò le gambe e, semi piegata sul tavolo, si accomodò al meglio. Roberto proseguì il lavoro con movimenti veloci e precisi: i biscotti vennero delicatamente sistemati, quindi affogati nella Nutella e in ultimo ricoperti dalla panna. Panna spruzzata ad arte, ordinatamente ed elegantemente. 
“Ecco,” Roberto inclinò il ruoto verso di lei per darle una visuale migliore “come si mette la panna, mia cara.”
Miranda roteò gli occhi e nascose un sorriso. 
“E l’ultimo strato?” gli chiese, sollevandosi sui gomiti.
Roberto prese cinque Pan di Stelle e li sistemò a formare una stella: su ognuno versò un cucchiaino di Nutella e poi, in cima, spruzzò un minuscolo fiorellino di panna. 
“Annusa.” le ordinò, porgendole il dolce. Miranda obbedì e sentì l’acquolina in bocca. 
Il profumo di Nutella era penetrante, irresistibile. Allungò la mano ma Roberto le scoccò un’occhiataccia: “Non ci provare!”
“Scherzi?” saltò su lei cercando inutilmente di sfiorare il ruoto. 
“Deve prima andare nel congelatore.”
“Roberto!”
Lui scosse la testa: “Normalmente si mette in frigorifero, pensa. Io però sono buono, e per accelerare i tempi lo metto direttamente nel congelatore.”
“Sono sicura che vada bene già così!”
“Non direi proprio!” scattò lui, oltraggiato “Va mangiato freddo.” proclamò irremovibile “E noi lo mettiamo nel congelatore, dove passerà un tempo ragionevole a raffreddarsi prima di poter essere mangiato.”
Miranda lo guardò, implorante. “Non farmi aspettare troppo.”
“Il tempo giusto.” 
Roberto lanciò un’occhiata veloce all’orologio a muro, quindi la raggiunse e prese posto di fronte a lei: “Dammi.” borbottò, riferendosi all’enigmistica “I monti vicini a Messina.
“Oh!” si entusiasmò Miranda “Questa la so: Peloritani!” 
Roberto inarcò un sopracciglio ma scrisse il nome ugualmente: “E io che credevo che avresti saputo solo cose come...” lesse rapidamente le definizioni “...Il pesciolino rosso nel Pinocchio della Disney.”
“So anche questa.” lo guardò male lei “Celo.”
Roberto ridacchiò e trascrisse la risposta: “Vedi che potevi finirlo anche da sola?”
“Non sono stupida, lo sai?”
La vena di gelo che le pervadeva la voce costrinse Roberto ad alzare lo sguardo. 
“Non intendevo...”
“Sì che intendevi.” lo interruppe lei “Credi non sappia come chiamate questo posto? L’Aia. Non siamo tutte galline stupide.”
“Non ti ho mai dato della gallina stupida.”
“Lo hai pensato.”
“Non è vero.” Roberto si morse il labbro, la penna che batteva ritmicamente sul bordo del tavolo “Sì. Forse. Forse l’ho pensato, ma non prenderla personalmente.”
“Come faccio a non prenderla personalmente?”
“E’ una cosa che penso indiscriminatamente di tutte voi.” fece spallucce lui. 
Miranda lo guardò senza aprire bocca. 
“Mi è uscita male.” 
“Vuoi provare a rimediare?”
Roberto assottigliò lo sguardo: “Conosci i monti Peloritani.”
“Già.”
“E sai che il pesciolino rosso di Pinocchio si chiama Celo.”
“Sempre giusto.”
“Vedi? Quindi non puoi essere una gallina stupida in tutto e per tutto.” si carezzò il mento, ponderando attentamente le parole “Diciamo che il nome si addice molto alla casa, ma che non è altrettanto giusto prenderlo come dato di fatto.”
Miranda inclinò il capo, un lieve sorriso a piegarle le labbra: “Mmm.”
“Mi sono salvato?”
“Dipende. Quanto manca alla torta?”
“Ancora un pochino.”
“Stai glissando.”
“Come mai conosci i monti Peloritani?”
“Ora stai addirittura cambiando argomento.”
Roberto sorrise, limitandosi ad aspettare una risposta. Miranda sospirò e annuì.
“Ci sono stata. Se vado in un posto poi mi ricordo come si chiamava, no?”
“Caspita.”
“Sorprendente per una gallina stupida?”
“Non mi hai ancora perdonato.” borbottò Roberto “Con la torta riuscirò a farti cambiare idea, sappilo.”
“Le torte non bastano a far perdonare la gente.”
“Le mie torte, sì.”
Miranda gli scoccò un rapido sorriso, poi scattò in piedi e guizzò in direzione del frigo. 
Roberto non la fermò. “Sappi che se solo avessi avuto un po’ di pazienza in più sarebbe stata ancora più buona.” la avvisò semplicemente.
Lei non diede segno di averlo sentito: prese il ruoto e annusò il dolce. “Mio Dio.”
Le labbra di Roberto sembrarono piegarsi in un sorriso di loro spontanea volontà. Mentre Miranda tornava al tavolo un leggerissimo senso di ansia si fece strada in lui: era sempre così, la prova del nove con ogni dolce. Il momento che valeva oro colato, quello a cui non avrebbe rinunciato per niente al mondo, era l’attimo in cui la prima forchettata di dolce veniva assaporata; si racchiudeva tutto in pochi istanti: nelle sfumature di piacere che un volto sapeva esprimere. 
“Prima io?” chiese lei, indugiando. 
“Naturalmente.”
Miranda non se lo fece ripetere due volte. Assaggiò il dolce e ciò che sentì superò di gran lunga tutte le sue aspettative. Quasi certamente le sfuggì un gemito di puro piacere. 
Biscotti, Nutella e panna si erano perfettamente amalgamati: il boccone si scioglieva sulla lingua; il sapore della panna serviva a contrastare l’abbondanza di cioccolata, ma al tempo stesso ne esaltava la dolcezza. I punti in cui la Nutella si era raffreddata di più restavano interi per qualche istante, dandole modo di usare i denti. E...
“Diavolo.” 
La Nutella. Come aveva fatto a vivere tutti quegli anni senza la Nutella?
Roberto la guardò e ricordò perché amava così tanto preparare i dolci. Miranda chiuse gli occhi e anche l’ultima goccia di ansia lo abbandonò, scivolando via insieme al gemito che le sfuggì dalle labbra. Che labbra. Labbra da amare.
Modelle e cioccolata, pensò Roberto, i nuovi confini del piacere proibito. 
“Anche tu.” Miranda gli piazzò un cucchiaino sotto il naso “Devi assaggiare questo capolavoro. Il tuo capolavoro.”
Roberto continuò a sorridere, apparentemente impossibilitato a smettere.
“Buono?” chiese nonostante non ce ne fosse alcun bisogno.
“Il paradiso.” deglutì lei, guardandolo con occhi traboccanti sincerità “Il paradiso deve avere lo stesso sapore.”
Roberto rise e ne assaggiò un angolino. 
“Altri venti minuti in frigo e sarebbe stato ancora più buono.” commentò.
“Non ci credo.” scosse il capo Miranda “Non potrebbe essere più buono di così.”
Roberto tentennò, l’impulso di suggerirle di aggiungerci anche del limoncello: allora sì, che sarebbe stato il massimo. Il limoncello era un liquore, però, e suggerire una cosa del genere sarebbe potuta sembrare un’avance. Era un’avance?
Pensò a quegli occhi grigi che tendevano all’azzurro e a quelle labbra e sì, decise, sì sarebbe stata un’avance. Un’avance che non poteva permettersi di fare: perché lei aveva pianto e aveva voluto la cioccolata e lui proprio non poteva approfittare di una situazione così. 
Era sparito un quarto del dolce quando Miranda si alzò in piedi, soddisfatta. 
“Eccezionale.” mormorò “Davvero eccezionale.”
“Grazie.”
“E avevi ragione.” gli poggiò una mano sul braccio. 
Roberto cercò di ignorare il calore di quella mano “Mmm?” 
“Sei perdonato.”
Miranda gli scoccò un bacetto sulla guancia e sgusciò fuori dalla cucina. 

 

 

§











 

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Capitolo 4
*** Cheesecake al cioccolato ***





Il Diavolo Tentatore

 

 

 

“Lo hai finito?”
Roberto trasalì penosamente, la penna che quasi volava dall’altro lato del tavolo. 
Sollevò di scatto lo sguardo in direzione della voce e sorrise a Miranda. Sorrise senza quasi rendersene conto. 
“Ciao.”
“Ciao.” sorrise anche lei, sedendosi al suo fianco.
“Non l’ho finito.”
“Come?”
“Volevi che lo finissi?”
Si guardarono in silenzio, consci del reciproco fraintendimento. 
“Ricominciamo con un minimo di chiarezza in più?” ridacchiò Roberto, il capo inclinato.
“Giusto. Il cruciverba.” Miranda indicò il giornale “Hai finito il cruciverba di ieri?”
Roberto adocchiò rapidamente l’orologio: “Sono le due.” disse. Di notte, ponderò, o di mattina? “Certo che l’ho finito. Ne ho finiti altri cinque da allora. Questo è il sesto.”
“E non imbrogli mai?”
“Mai.”
Miranda assottigliò lo sguardo: “Bugiardo.”
“Davvero, no.” rise lui “Tu, invece!” accusò “Scommetto che tu bari.”
“Forse.” nicchiò lei “Giusto qualche volta. Inserendo alcune lettere a casaccio, sai com’è. Chi vuoi che se ne accorga?”
Roberto scosse il capo, incredulo. 
“Non guardarmi così!” scattò Miranda, colpendolo senza forza sul braccio “Tu a cosa ti riferivi invece? Cos’è che non hai finito?”
“Il dolce.” rispose Roberto “Ce n’è ancora metà se lo vuoi.” aggiunse, le parole che uscivano faticosamente. Perché dalla notte precedente non aveva fatto altro che chiedersi se per caso non si fosse immaginato tutto. Quale modella, in fin dei conti, viene a chiederti dei dolci?
C’era quella torta, tuttavia, proprio lì in bella mostra. Ed era una prova. 
“Magnifico!” le labbra di Miranda si piegarono in un sorriso radioso “Così spizzico quella mentre tu prepari qualcos’altro.”
Roberto sgranò gli occhi, esterrefatto. 
“Cosa?” chiese lei, accorgendosi della sua sorpresa. 
“Vuoi la torta?”
“Certo. Cosa credevi?”
“Io...” Non riuscì a dar voce al resto dei pensieri. Lui credeva che a spingerla la sera prima fosse stato solo il dolore per la rottura appena avvenuta. Era convinto di non rivederla più, o quantomeno non in quella cucina. Sicuro che non avrebbe mai acconsentito ancora alla cioccolata, a lui. Perché lei era perfetta e i suoi dolci rischiavano di minare quell’assoluta perfezione. 
Un popolare Robert.” lesse allora, cercando di togliersi d’impaccio. 
Miranda si piegò oltre il suo braccio, scrutando gli incroci che lui aveva già riempito. 
De Niro.” rispose, annuendo sicura “Simpatico, molto simpatico.”
“Hai conosciuto Robert De Niro?” trasecolò Roberto. 
“Le odi proprio le modelle, non è vero?” controbatte Miranda “Ho girato buona parte del mondo, mio caro.”
“Perché vuoi un’altra torta?” buttò lì Roberto, raccogliendo il coraggio “Non dovresti volere un’altra torta. Non è sensato. Io non... non ne vedo il senso.”
“Il senso è che le tue torte sono divine.”
Roberto scosse il capo, per niente convinto: “No. Non è un senso bastante.”
“Cosa vuoi sentirti dire?” fece spallucce Miranda. 
“Stai soffrendo ancora per lui? E’ così? Affoghi il dispiacere nella cioccolata?”
Miranda s’irrigidì. “Come sai che c’è un lui?”
C’era.” la corresse “C’era un lui ed è evidente.”
“Non vedo perché dovrebbe essere evidente.”
“Lo è per me, te lo assicuro.” mormorò Roberto “Ieri avevi anche pianto.”
Miranda chiuse gli occhi, solo per un attimo. 
“Massimiliano.” sputò alla fine “Nessuno di importante.”
“Ti ha fatta piangere, un minimo di importanza deve averla.”
“Siamo usciti insieme per qualche mese, nient’altro.” scosse la testa lei, mostrando una costruita indifferenza “Ieri mi ha lasciata.”
“Un grandissimo idiota, insomma.” 
“Tu credi?” un leggero tremore le scosse la voce. 
“Dev’essere così.” rimarcò Roberto “Quale persona sana di mente ti lascerebbe?” 
Miranda accennò un sorriso, meno luminoso dei precedenti: “Ho i miei difetti, lo sai? Quei difetti che chi guarda solo la copertina di una rivista non può nemmeno immaginare.”
“Incredibile!” Roberto si coprì la bocca con le mani “Russi?” 
“Oh. Lo sai che non lo so?”
Roberto piegò il gomito, il mento poggiato sulla mano: “Non lo sai?”
“Dovrei chiedere in giro. Chiederò a Stana.” decise Miranda “Non parlavo del russare, però. Ho altri difetti.”
“Sono tutto orecchie.”
“Sono stonata, terribilmente stonata.” cominciò lei “E adoro cantare, il che rende il difetto  a dir poco enorme. Soprattutto in macchina e sotto la doccia. Me ne infischio di tutto e tutti e inizio a cantare.”
“Stonata.” ripeté Roberto “Mmm, niente di eccessivo. Se sei bella al punto da finire sulle copertine delle riviste ti assicuro che a nessuno interessa se sei stonata.”
Miranda aggrottò le sopracciglia. “Mi mangio le unghie.”
“Esistono le unghie finte.”
“Non finisco mai il dentifricio: quando manca pochissimo lo abbandono e ne apro uno nuovo.” 
“Oh.”
“Cosa?”
“Io adoro spremere il tubetto del dentifricio.” ridacchiò Roberto “Ci completiamo.”
Miranda gli colpì uno stinco. 
“Ehi!” 
“Non mi stai prendendo sul serio!”
“Tu non stai elencando difetti che vadano presi sul serio!”
“Sono banale.” mormorò Miranda, e Roberto smise di sorridere. Capì che non stavano più scherzando e sentì quasi fisicamente l’atmosfera appesantirsi. Parlava sul serio. 
“Non sei banale.”
“Massimiliano ha detto così.” disse lei “Ha detto che sono banale.”
Roberto non trovò parole per rispondere.
“E’ sempre uscito con donne bellissime, lui, sai? Il meglio del meglio. E ieri mi ha detto che non ero diversa dalle altre: carina, certo, ma niente di eccezionale. Si era divertito ma ne aveva avuto abbastanza.”
“Non sei banale.”
Miranda accennò un sorriso fatuo: “Per te siamo tutte galline stupide.”
“Ehi!” l’accusò “Avevi detto di avermi perdonato.”
“L’ho fatto.”
“Allora smettila di parlare di galline.” si raddrizzò, cercando quegli occhi appena appena umidi “E tu non sei banale: sei stonata, ti mangi le unghie e non finisci il dentifricio.”
“Roberto...”
“E hai mangiato la mia torta Pan di Stelle.”
Miranda dimenticò cosa voleva dire, presa in contropiede.
“Non puoi essere banale se sei scesa fin quaggiù per mangiare la mia torta Pan di Stelle.”
“Quello è successo ieri.”
“Motivo in più.” si accalorò lui “Ora sei di nuovo qui, pronta a chiedere un nuovo dolce. Di certo non sei la solita, banale modella.”
Miranda sentì qualcosa che le si scioglieva all’altezza del petto. “Grazie.” mormorò.
Fece per coprire la mano di lui con la propria ma Roberto saltò in piedi in un attimo, sfuggendole, le dita a scompigliargli i capelli già spettinati.
“Ancora non si è spiegato perché sei qui.” disse, recuperando il ruoto della sera prima. 
“Il semplice fatto che mi piace il cioccolato non basta?”
“No.” negò lui “Me lo farò bastare, però.” le consegnò la torta “Cheesecake al cioccolato.”
“Cheesecake al cioccolato?”
“Quello che ti preparo adesso.”
Miranda, la bocca piena di Nutella, approvò la scelta: “Mi piace già il nome.”
“Il sapore non ti dico.” 
“Cosa ci serve?” domandò lei, spazzolando un altro terzo della torta.
Roberto sentì quel ci entrargli dentro. Cosa ci serve? 
“Ci servono tante cose.” rispose. Oh, sì. Quel plurale gli piaceva fin troppo. 
“Ti ascolto.”
“Biscotti secchi, cioccolato, burro, ricotta, philadelphia, uova e vaniglia.” elencò Roberto “E lo zucchero, ovviamente.” aggiunse poi, quasi testandola. 
Miranda si limitò a scoccargli l’ennesimo sorriso. 
“Hai detto che la mia presenza qui non ha senso.” disse, sempre sorridendo, mentre lui cercava la teglia più adatta. 
“Non ho detto proprio così.”
“Hai detto proprio così.” ribatté lei “Questo, però, non spiega perché ti aspettavi che sarei tornata.”
Roberto si bloccò, la teglia giusta fra le mani: “Chi ti dice che mi aspettavo saresti tornata? Non me lo aspettavo proprio. Credevo il contrario, in realtà.”
“Hai fatto incetta di ingredienti, però.” mormorò Miranda, mettendo da parte il cucchiaino “Ora hai burro, ricotta e persino la vaniglia a portata di mano.”
Roberto non proferì parola. 
“Senza contare che avevi già in mente il Cheesecake.”
Miranda lo raggiunse e incrociò le braccia sul petto: “Ti aspettavi che sarei tornata.”
“No.” scosse appena il capo lui, il movimento che terminava in una scrollata di spalle “Non me lo aspettavo ma ci speravo comunque.”
Miranda schiuse le labbra e non ne uscì alcunché. 
“Sarà un Cheesecake angelico.” le sorrise lui, afferrandole il polso “Prendi quegli orribili biscotti che mangiate voi ragazze.”
“Si chiamano biscotti secchi.” lo corresse Miranda mentre lui accendeva il forno e metteva il burro su un fornello. “Ora?”
“I biscotti vanno frullati.” le porse l’occorrente “Poi ci si aggiunge il burro fuso,” indicò il fornello “ci pensi tu?”
Miranda annuì e si mise all’opera. Quando dei biscotti non rimase altro che una polvere amalgamata al burro, saltellò verso di lui, curiosa. 
“Cosa fai?”
“La crema.” rispose Roberto “Uova, ricotta, zucchero e philadelphia vanno mischiati sino ad ottenere una crema liscia e senza grumi. Poi ci si aggiunge una spolverata di cacao in polvere.”
“E la vaniglia.”
“Giusto.” Roberto sentì la testa di Miranda appoggiarsi sulla sua spalla “E la vaniglia.” ripeté, la voce leggermente strozzata. 
“I biscotti frullati, invece?”
Roberto scivolò via per controllare la cioccolata che stava sciogliendo a bagnomaria.
“Quelli vanno pressati sul fondo della teglia imburrata.”
Miranda fece scherzosamente il saluto militare: “Faccio io.”
“Non lasciare spazi.”
“Non lascerò spazi.”
“E attenta a non creare dislivelli.”
“Cielo, sei tremendo.” ridacchiò lei “Fin troppo rigido. Dovresti lasciarti un po’ andare.”
“Io non... sono rigido solo in fatto di dolci.”
“I dolci sono il tuo lavoro.”
Roberto decise che non era il caso di inoltrarsi in quell’argomento. Proprio no.
“Il cioccolato, poi, va aggiunto alla crema al formaggio.” disse, deviando l’attenzione della ragazza e raggiungendola alle spalle “Questa crema che ora verso nella teglia.”
“I biscotti andavano bene?” sorrise Miranda.
Roberto le concesse un quasi invisibile cenno di assenso. 
“Posso assaggiare?” si leccò le labbra, lo sguardo sulla crema scura avanzata nel mixer. 
Roberto infornò la torta, regolò il timer e afferrò il mestolo: lo ricoprì di crema prima di passarglielo. “Niente in confronto a quello che sarà una volta cotta.”
Miranda sorrise con labbra scure di cioccolato. “Magnifico.”
“Ci vorrà un po’, però, e questa volta non puoi imbrogliare.”
“Ho questo.” si strinse nelle spalle lei, brandendo il mestolo “E abbiamo un cruciverba da concludere.”
Sedette a gambe incrociate al tavolo, la penna nella mano libera. 
Gli abitanti di Porto Torres.” 
Roberto si piegò su di lei per contare le caselle e non seppe decidere se a profumare meglio fosse la torta appena infornata oppure lei. 

 

 

§











 

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Capitolo 5
*** Mousse ***




Il Diavolo Tentatore

 

 

 

“Cosa mi prepari?”
Roberto represse a stento un sospiro di puro sollievo.
“Sei in ritardo.” disse, indicando la lancetta delle ore ferma sul tre. 
“Non stai facendo un cruciverba.” si stupì di rimando Miranda “Come mai non stai facendo uno dei tuoi noiosissimi cruciverba?”
“Ero nervoso.” borbottò lui “Quando sono nervoso non riesco a pensare.”
Miranda inarcò un sopracciglio, in attesa.
“Credevo non saresti più venuta.”
“Ecco.” annuì lei, cercando di non dare troppa importanza all’ondata di calore che la invase a quelle parole “Un altro mio difetto: sono una gran ritardataria. Irrecuperabile. Perdo inspiegabilmente la nozione del tempo e dimentico dove e quando dovrei essere.”
“Un bel difetto.” approvò Roberto “Cosa stavi facendo?”
“Un bagno.” arrossì Miranda “Un bagno caldo con tanto di sali e Alanis Morissette come sottofondo.” continuò, per spiegargli al meglio il suo punto di vista. 
Quando lui non sembrò capire, gli puntò contro un dito: “Non hai idea,” disse “di come sia rilassante starsene sdraiati in mezzo a un mare di bolle. Prova a immaginare e capirai perché sono in ritardo.”
Roberto provò. Nell’immagine di quel bagno pieno di bolle, però, comparve anche Miranda e quel flash, in un attimo, gli tolse tutta l’aria. 
“Cosa...?” chiese Miranda vedendolo arrossire “Uh. Hai...”
“Alt.”
Miranda si zittì e Roberto si alzò in piedi. 
“Fermiamoci subito, proprio qui. Ci stiamo inoltrando in un campo minato, donna.”
“Io ho solo parlato di bolle.”
“Non puoi parlare di bolle con...” si bloccò, incerto. Cosa voleva dire? Con un viso come il tuo? Con quegli occhi, quelle labbra e quel sorriso da infarto? O semplicemente con lui?
“Mousse.”
Miranda aggrottò le sopracciglia: “Chi è Mousse?”
Roberto scosse forsennatamente la testa: “Questa volta ti preparo una Mousse al cioccolato con aroma di vaniglia.” disse, mettendo una distanza di sicurezza fra lui e la ragazza “Un modo come un altro per dire che non ho avuto il tempo di fare la spesa e che perciò posso solo arrangiarmi con gli ingredienti che avevo anche ieri.”
“Cioccolato, zucchero, vaniglia, uova e burro.” lo assecondò Miranda. 
“Più acqua e panna.” 
“Credevo la panna l’avessimo finita per la torta Pan di Stelle.”
“Panna da montare, non panna spray.” la corresse mentre metteva a sciogliere il cioccolato. 
“Mmm.” Miranda cominciò a rompere le uova. 
“Che stai facendo?” le si avvicinò Roberto, la posa rigida di quando temeva per la perfetta riuscita dei suoi dolci. Miranda nascose il sorriso che le premeva sulle labbra. 
“Sbatto i tuorli d’uovo.”
“Sai sbattere i tuorli?”
“Certo.”
“Non è facile.” continuò lui, sempre più teso “Bisogna saper...”
“Una fortuna che io sappia farlo, allora.” tagliò corto Miranda, spingendolo via. 
Con la coda dell’occhio lo vide aggiungere il burro, l’acqua e la vaniglia al cioccolato. Pochi minuti ed era di nuovo dietro di lei: “Aggiungo solo lo zucchero.” la rassicurò, guardandosi bene dal dire altro. 
“Che ne faccio dopo?”
“Versa il tutto nel cioccolato.” le diede istruzioni cominciando a montare a neve gli albumi.
Miranda eseguì con perizia, trattenendosi a stento dall’immergervi la punta del mignolo per assaggiare. Trasalì quando la voce di Roberto la raggiunse, perentoria.
“Non ci pensare nemmeno.”
“Non stavo pensando a niente!” si difese istintivamente “E poi ieri mi hai fatto assaggiare.”
“I residui.” specificò lui, montando anche la panna “Puoi assaggiare i residui, certo non il composto.”
Lei aprì bocca per controbattere che i residui facevano comunque parte del composto quando si accorse che Roberto si era bloccato, lo sguardo assente e fisso sulla frusta che stringeva fra le dita. 
“Ehi.” lo richiamò piano, avvicinandosi incerta. 
“Ho picchiato un uomo con una frusta come questa.” disse allora lui, sollevando la frusta grondante panna per mostrargliela meglio. 
Miranda annuì, le labbra arricciate nel vago tentativo di non lasciarsi scappare una risata. 
“Quel poveretto si meritava tanto?” gli chiese sfilandogli l’oggetto di mano. 
Roberto si strinse nelle spalle, e quando si girò verso di lei, gli occhi scuri resi ancora più cupi da un’ombra di dolore, Miranda capì di aver mal giudicato l’intera situazione. 
“Lavoravo per lui.” mormorò Roberto “E lui nel frattempo si divertiva con la mia ragazza.”
La frusta le sfuggì dalle dita. “Che bastardo.”
“Neanche lei era una santa.” sorrise stancamente Roberto. 
“Così lo hai picchiato con una frusta.”
“Già.”
“Si meritava di peggio. Molto, molto di peggio.”
“Gli ho anche graffiato la macchina.”
Miranda inarcò un sopracciglio. 
“E distrutto la cucina.”
“Ecco, ora sì che ci siamo.” gli restituì la frusta “Distruggere la cucina a un uomo, il modo migliore per sentirsi appagato.”
“Esattamente! Sei la prima ad afferrare il punto: tutti gli altri si focalizzano su altri stupidi dettagli.”
“Ad esempio?”
“Che il lui in questione fosse De Gusto e che picchiandolo con una frusta si corre il rischio di finire a marcire, be’, qui.”
“Hai picchiato con una frusta De Gusto?” ripeté Miranda. 
“Vedi? Basta un nome e anche tu cambi faccia.”
“No.” scosse il capo lei “No, no. Hai ragione tu. Il nome non conta.”
Roberto emise uno sbuffo a metà fra l’incredulo e il divertito mentre univa la panna alla cioccolata. Miranda lo raggiunse, l’espressione serissima.
“Davvero. Anch’io sarei ricorsa alla frusta.” 
“E’ diverso, per te la punizione non sarebbe stata tale: tu qui già ci lavori.”
Miranda fece per ribattere ma lui fu più veloce: “Prendi me, invece. Un povero pasticciere costretto a vivere di cruciverba perché nessuno vuole i suoi dolci.”
“Io non conto?”
“Tu sei comparsa solo di recente.” sorrise dando un’ultima mescolata alla crema “Pronta ad assaggiare?”
Sollevò lo sguardo, sorpreso dal silenzio che ottenne in risposta: “Miranda?”
Miranda si lasciò scappare un singulto basito mentre scivolava in direzione del tavolo: si piegò sulla cassapanca, scostò un paio di enigmistiche e restò muta a fissare il resto delle riviste. 
“Non fare quella faccia.” gemette Roberto alle sue spalle.
“Mi hai cercata.” mormorò lei dando una rapida scorsa all’intera pila “Sono... ci sono io su tutte quante.”
“Ero solo curioso.” borbottò grattandosi il collo “Volevo avere almeno un’idea di chi stessi nutrendo nel cuore della notte. Siete in troppe qui dentro e finora non ho prestato attenzione perché...”
“Ti sono piaciute?” 
Miranda fece un vago cenno verso i giornali e tutto il sangue sembrò defluire via dal viso di Roberto, l’espressione che si faceva insondabile. 
“Certo che mi sono piaciute.” mugugnò “Staresti da dio anche con un sacco dell’immondizia indosso, non c’è nemmeno da chiedere e...”
Doveva ancora finire di parlare ma Miranda aveva sentito abbastanza: si allungò sul tavolo per raggiungere la scodella che lui si era portato dietro e gli rubò il mestolo. 
“Assaggiamo.” 
La mousse era leggerissima, soffice oltre ogni previsione; dolcissima, si scioglieva pian piano sulla lingua, lasciandoti il tempo di assaporare il cioccolato fino all’ultimo momento. 
Con il mestolo ancora stretto fra le labbra, Miranda immerse il mignolo nella crema: 
“Devi assolutamente provarla.” smozzicò, avvicinando il dito alle labbra di Roberto “E’ un che di eccezionale.”
Roberto fissò il mignolo ricoperto di cioccolato e riacquistò immediatamente colore. 
“Tu sei fuori di testa.” borbottò arretrando di un passo “Tu... vuoi farmi scoppiare una coronaria?!”
Miranda aggrottò impercettibilmente le sopracciglia e un lampo niente affatto rassicurante le passò negli occhi. Roberto se ne accorse e continuò ad arretrare: “Smettila.”
“Di fare cosa?” chiese innocentemente posando scodella e mestolo.
“Qualsiasi cosa ti sia venuta in mente cinque secondi fa.”
“Attento...” provò lei, un attimo prima che la schiena di Roberto urtasse contro il mobile. Lui si guardò attorno e adocchiò l’uscita, teso allo spasimo. 
“Stai facendo la vittima.” lo rimproverò Miranda cominciando ad avvicinarsi “Voglio solo farti assaggiare la tua magnifica mousse.”
“Facendomi leccare il tuo dito?!” quasi urlò lui “No, cara, proprio no. Non so a che gioco stai giocando ma io non ci sto.”
Miranda si fermò ad un passo da lui, il capo inclinato. 
“Non sto giocando a nessun gioco.” 
“Invece sì. E non è per niente divertente e...”
Il mignolo di Miranda gli si poggiò sulla punta del naso. 
Lentamente, senza fretta, scese fino a sfiorare il labbro superiore. 
Roberto chiuse gli occhi e assaggiò la sua magnifica mousse: “Hai ragione,” confermò “è divina.”
“Non ho mai detto divina.” sorrise Miranda “Solo eccezionale.”
Roberto le morse giocosamente la punta del dita e poi la lasciò andare con un sospiro mal celato: “Dovresti andare via.” 
“No.”
“Dovresti, invece. Perché meno di tre giorni fa il tuo ragazzo ti ha lasciata, sei ancora sconvolta e il cioccolato ti fa sragionare.”
“La possibilità che tu mi piaccia non ti ha proprio sfiorato?”
“No.” scosse la testa Roberto “Cos’è, una vendetta, un tentativo di...”
Miranda si appoggiò a lui e le parole gli morirono in gola, dimenticate. Sentì quel respiro al cioccolato carezzargli il collo e mandò tutto al diavolo: che fosse un gioco o una vendetta, non avrebbe potuto importargli meno di così. Non in quel momento, con quegli occhi grigi così vicini e quelle labbra... quelle labbra troppo vicine. 
Le abbracciò i fianchi e sorrise pregustando il bacio, pronto ad assaporarlo. 
Il mignolo di Miranda, quel diavolo di dito, gli sfiorò il profilo della mascella e lui annuì.
“Non è un gioco.” sussurrò ancora lei, ma Roberto la stava già baciando, perso. 
Invertì le posizioni, spingendola contro il mobile: aumentò la stretta attorno alla sua vita e la sollevò a sedere. Miranda ridacchiò, il palmo aperto contro il petto di lui.
“Scodella.” mormorò sulle sue labbra. 
Roberto le mordicchiò il labbro inferiore. “Mmm?”
“Prendi la mousse.” 
I denti di Roberto lasciarono la presa, il corpo che si allontanava lo stretto necessario per guardarla negli occhi: “La mousse?”
“Non vorrai lasciarla lì?” inarcò un sopracciglio “E’ troppo buona per andare sprecata.”
“Tu mi vuoi morto.” bisbigliò lui roco, catturandole un’ultima volta la bocca. 
Con uno sforzo la lasciò andare e si affrettò a recuperare la ciotola; considerò il mestolo e lo lasciò perdere: non gli sarebbe servito. In un balzo era di nuovo da lei: le allargò le ginocchia per posizionarvisi in mezzo e le passò la mousse, il sorriso che andava da un orecchio all’altro. 
“E ora?”
Miranda gli allacciò le gambe attorno alla vita. 
“Ora ci godiamo anche la mousse.” mormorò cominciando a sfilargli la maglietta. 
Roberto l’aiutò, lasciandosi spogliare. “Niente in contrario.”
“Diventa tutto più buono quando c’è la cioccolata di mezzo.” 
Due dita di Miranda, ricoperte di mousse, presero a disegnare arabeschi sul suo petto: “Sei d’accordo?” gli chiese, il naso che strusciava contro il suo collo. 
“Assolutamente.” annuì Roberto, le mani ancorate alle cosce di lei. 
Cioccolata. Cioccolata ovunque, dolcissima, perfetta. Quando Mirando gli sfiorò il fianco un brivido lo percorse tutto, gli occhi che si chiudevano istintivamente: si piegò su di lei, stringendola a sé, la sua risata nelle orecchie. 
“Così hai coperto di cioccolata anche me!” lo riprese, le mani attorno al suo collo. 
“Non era quello l’intento?”
Miranda non riuscì a guardarlo male, si limitò a scuotere la testa cercandone lo sguardo: 
“Vorrà dire che avremo bisogno di una doccia.”
Roberto afferrò le prime due, colpevoli, dita di lei e cominciò a leccar via la mousse. 
“Si può fare.” le sorrise “Quando avrò finito, però, non so quanto sarà rimasto da lavar via.”

 

 

§







 

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