Save Me (Salvami)

di A li
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tormenti ***
Capitolo 2: *** Illusioni ***
Capitolo 3: *** Verità ***



Capitolo 1
*** Tormenti ***


Salve a tutti quelli che hanno aperto questa storia

Salve a tutti quelli che hanno aperto questa storia.

Vorrei, prima di tutto, ringraziarvi.

Questa ff è venuta fuori in soli due giorni e sarà composta di tre capitoli. E’ una What if…? dal Pairing AllenxKnda. Il primo capitolo vi sembrerà noioso, perché è composto in gran parte dalle riflessioni di Kanda. Ma c’è una ragione. Ho letto molte storie in cui Kanda cade ai piedi di Allen così, all’improvviso. Avanti, tutti conosciamo Kanda: com’è possibile che s’innamori all’improvviso di un ragazzino che odia? Perciò ho elaborato una lunga analisi psicologica che permettesse gradualmente a Yu di cambiare idea.

Detto questo  spero che vi piaccia! Dal prossimo capitolo arriva l’azione!

Buona lettura!

 

SaLvAmI

 

“Detesto il tuo modo di fare da ingenuo.

Ma odio ancora di più i tizi che non mantengono la parola!”

“Ah ah… In ogni caso…mi odi comunque, no?”

 

I. Tormenti

 

Un timido raggio di sole, unica fonte di luce nella stanza scura, attraversò con lentezza la tenda della finestra per poi posarsi sulla scrivania. Il legno lucido brillò un istante, e subito dopo la luce sparì, coperta da una nuova tenda, più spessa.

Yu Kanda  tornò a sedersi sul suo letto e presto si coricò, con le gambe penzoloni al fondo del materasso. Il suo sguardo vagò per un po’ di tempo attraverso la camera spartana, spoglia, infine si fissò sul fascicolo posato sulla scrivania, unico oggetto che ne occupasse lo stretto spazio.

Missione 67: Il fantasma di Mater, quello era il titolo.

La sua mente s’annebbiò un istante, mentre rivangava stancamente i ricordi più vivi ed intensi, poi tornò lucida e fredda come sempre. Non sapeva perché avesse conservato con cura e in bella vista  quell’inutile fascicolo, ma l’aveva fatto e basta. Dopo quella pericolosa avventura nel sud dell’Italia, era tornato subito al Quartier Generale dell’Ordine: ultimamente i finder erano molto impegnati, ma non covavano tracce realistiche per il mondo e gli esorcisti non venivano quindi chiamati. Rientrato dopo cinque giorni nella sua stanza, aveva fatto per gettare i fogli nel cestino, ma qualcosa l’aveva trattenuto dal farlo. Una parte recondita della sua mente gli aveva sussurrato che in realtà lui teneva a quelle parole d’inchiostro.

Ancora una volta, dopo giorni che faceva la stessa cosa, si chiese perché. In fondo, cosa potevano valere per lui pochi fogli di una missione ormai portata a termine con successo?

Niente, si rispose. Certo. Ma le sue mani si rifiutavano di prendere quel fascicolo e buttarlo.

Stufo di tormentarsi inutilmente, si alzò dal letto e si passò una mano sulla fronte sudata. Il caldo soffocante dell’ambiente non voleva andarsene, ma a lui non dispiaceva. Quel calore tiepido e dolce lo cullava e faceva scorrere i suoi pensieri come acqua di sorgente.

Ormai lucido in mezzo alla stanza, restò un attimo a decidere cosa fare. Era pomeriggio inoltrato, non aveva nulla in programma se non dormire e tormentarsi con la solita domanda rimasta senza risposta. Un’altra ora a chiedersi sempre la stessa cosa era fuori discussione. Senza alternative, propese per una passeggiata nei giardini, almeno avrebbe potuto scaldarsi sotto il sole.

Il suo bisogno di sentire la pelle prendere fuoco, era qualcosa d’incomprensibile: più volte aveva chiesto a se stesso perché desiderasse così intensamente scaldarsi… Era una cosa che gli succedeva fin da quando era bambino, ma dopo essere diventato esorcista, il bisogno si era fatto più forte. In realtà, si era dato molte risposte. E una di queste era che forse il suo animo freddo, cinico e scorbutico aveva intaccato anche il suo fisico, gelandolo; e così la sua mente, inconsapevolmente, tentava di scaldarsi almeno un po’.

Ma questa risposta (quella che più odiava, perché doveva ammettere a se stesso di non essere il migliore) era saltata fuori solo due settimane prima, nella missione di Mater. Gli era balenata alla mente il giorno prima di tornare all’Ordine, mentre parlava con l’ultimo arrivato, Allen Walker. 

Quel ragazzo era una sorpresa continua e, anche se non voleva ammetterlo, Allen Walker stupiva anche lui. Teneva un atteggiamento di un’ingenuità irritante e aveva ideali irrealizzabili, ma in fondo forse proprio per questo suo modo di essere, era unico.

Kanda svuotò la mente da quei pensieri inutili, mentre varcava la soglia della stanza, dandosi mentalmente dello stupido per quello che aveva pensato. Ma da un po’ di tempo la sua mente gli rifilava supposizioni e riflessioni che lui non desiderava, senza chiedere il suo consenso. Stupito, si accorse che anche quel piccolo mutamento risaliva a dopo la sua ultima missione.

Cos’era stata, per lui, quella missione, da influenzarlo così tanto?    

Immerso in uno spazio personale che lo avvolgeva come una bolla, si ritrovò a camminare spedito verso la mensa. Quando se ne accorse, ormai era davanti all’entrata. Pensò che in giardino poteva andare dopo e, con un sospiro, fece un passo oltre la porta.

La mensa era praticamente vuota, a parte qualche finder che sgranocchiava uno spuntino pomeridiano agli angoli della sala. Quando lo videro entrare distolsero lo sguardo in fretta e non lo degnarono di un saluto. Non ci fece caso: era abituato alla diffidenza dei finder nei suoi confronti; diffidenza e forse rancore giustificati, rifletté. E subito dopo maledisse la sua mente che partoriva pensieri mai fatti prima, pensieri che lo irritavano non poco.

Prese velocemente posto a metà del tavolo centrale, dopo aver abbrancato solo un bicchiere d’acqua dalla dispensa, aperta a tutti in assenza del cuoco. Cominciò a bere lentamente, con gli occhi chiusi, assaporando ogni goccia che scendeva per la gola, in quel pomeriggio torrido. Quando stava per mandar giù l’ultimo sorso e andarsene, la sedia al suo fianco si mosse.

Aprì gli occhi con uno scatto, non abituato a farsi sorprendere, e portò istintivamente una mano alla sua Mugen.

- E-ehi! Aspetta un attimo! -

L’esclamazione del ragazzino davanti a lui lo fece incupire. Spaventato dalla sua mano, che ancora non lasciava l’arma, il più piccolo indietreggiò un poco, sedendosi.

- Che ci fai qui, mammoletta? -

- Non chiamarmi…! -

Una vena cominciò a pulsare pericolosamente sulla fronte del giapponese.

- Ti ho chiesto che ci fai qui! -

Allen si ritrasse ancora, sul bordo della sedia, trasportando il piatto stracolmo, che solo ora Kanda aveva notato, lontano dalla furia del moro. Lo fissò sorridendo innocentemente, cercando, in un modo buffo, di scusarsi.

- Sono solo… Sono solo venuto a mangiare… - tentò.

Il giapponese alzò un sopracciglio, chiedendosi cosa avesse in testa quel quindicenne coi capelli bianchi.

- E chi ti ha detto di sederti qui? – fece, con un dito minaccioso puntato sulla sedia dove era seduto Allen.

- Io… -

- Io niente, mammoletta! – e con il braccio gli fece segno di andarsene e lasciare il posto libero.

Allen si morse un labbro, con uno sguardo triste e dispiaciuto forse per averlo fatto arrabbiare; si alzò senza dire una parola e si allontanò in fretta verso un altro tavolo.

Kanda restò a guardare la sua schiena nera per qualche attimo, come per richiamarlo, poi sospirò. All’istante spalancò gli occhi, chiedendosi perché l’ avesse fatto… Non era suo solito trattare quel ragazzino così?

Fu un passo falso, perché la sua mente maligna, sempre in agguato, approfittò del suo piccolo dubbio ed attaccò.

Perché lo tratto così?

Improvvisamente si sentì vuoto e vulnerabile come non lo era mai stato. Non trovava un risposta alla domanda che gli porgeva la sua coscienza. Si sforzò, ma era come se la sua mente fosse troppo stanca per ragionare.

Perché quella mammoletta gli faceva quest’effetto, ora?

Appena pronunciata virtualmente quella domanda, fu come se la sua mente si liberasse da un velo di nebbia che era rimasto intatto per due settimane: Kanda capì perché tenesse ancora quel fascicolo sulla sua scrivania, capì perché si era dato quella risposta al suo bisogno di calore e capì perché da un po’ di tempo la sua mente giocava contro di lui, impedendogli la solita lucidità.

Allen Walker, ecco perché.

Irritato dall’improvvisa consapevolezza ottenuta, scolò il bicchiere sbattendolo sul tavolo con violenza e si avviò a passo deciso verso la porta.

Prima di oltrepassarla, con la coda dell’occhio scorse Allen fissarlo stupito.

 

Rimasto solo nel corridoio, ad una distanza di sicurezza dalla mensa e certo di non essere stato seguito, Yu Kanda si accasciò contro la parete e chiuse gli occhi.

Digrignò i denti, rabbioso e frustrato, perché sapeva che in fondo non poteva incolpare Allen Walker di ciò che gli stava succedendo.

Non sapeva, in realtà, esattamente cosa gli stesse succedendo, ma non era sicuramente una cosa buona. L’unico modo di levarsi il più presto possibile da quella situazione scomoda, era eliminarla.

Risoluto, rincuorato un po’ per essere riuscito a prendere una decisione, corse in camera, evitando i corridoi più frequentati e scegliendo con precisione i passaggi più sconosciuti. Sbucò in fretta da un porta chiusa a fianco della sua stanza e, quando fu sicuro di non essere visto, sgusciò all’interno.

Quando chiuse la porta, vi si appoggiò, respirando un momento, poi lanciò un’occhiata alla scrivania. Il fascicolo era ancora lì, forse lo studiava, chiedendosi se questa volta sarebbe riuscito a gettarlo via.

Kanda si prese un attimo per riflettere con calma, come faceva prima di essere andato in missione con quell’assurdo ragazzino, valutando la situazione in ogni particolare. Ad una considerevole distanza da quel bambino maledetto, ragionare risultava più semplice e tutto ciò che prima lo aveva irritato sembrava perdere importanza. Prima, il suo bisogno di mettere fine alle domande e al suo disagio era impellente, ora, lontano dalla fonte del suo cambiamento, non pareva più così disastrosa, la sua situazione.

Si arrabbiò con se stesso per essere scappato così e per essersi fatto mettere in subbuglio così facilmente da un ragazzino patetico. Non aveva forse affrontato tante missioni, sempre sopravvivendo? Non aveva forse lottato con esseri mostruosi e assetati, sconfiggendoli ogni volta?

Che senso aveva allora, farsi condizionare così da un bambino ingenuo?

Rilassatosi un momento, ripresa la calma, dopo l’irritazione che lo aveva sommerso in mensa, diede ancora un’occhiata al fascicolo sulla scrivania e decise di lasciarlo lì. Cercò di convincersi che forse non era Allen Walker il motivo per cui l’aveva conservato, pur sapendo di mentire a se stesso. Non lo toccò nemmeno, forse per scaramanzia e tornò a sdraiarsi sul letto.

Tentò di pensare ad altro per un momento, ma ci rinunciò subito, dato che risultava impossibile. I suoi pensieri indugiarono sulla scoperta che aveva fatto, quando aveva capito che aveva conservato il fascicolo per Allen Walker, e si ritrovò a studiare mentalmente il suo viso, i suoi tratti gentili, gli occhi grandi e la cicatrice della maledizione. Tornò con la memoria ai quattro giorni a Mater, rivivendo quasi tutto ciò che era successo.

Kanda… Nonostante tutto, io voglio essere un distruttore che salva le persone.

Rimuginò su quella frase un attimo soltanto, e si chiese perché Allen Walker si ostinasse tanto a vivere per gli altri. Una fitta psicologica si tramutò in dolore fisico e si ritrovò a gemere per il male che lo invadeva al centro del petto.

Lui aveva sempre vissuto soltanto per se stesso… Era forse il momento di cambiare?

- Basta! -

Gridò senza accorgersene e si strinse con forza la testa tra le mani.

Patetico! Stava diventando patetico! E tutto per colpa di quel maledetto stupido che aveva intaccato tutti i suoi principi, tutto ciò in cui credeva, solo con una frase e con il suo altruismo, la sua semplicità…

Digrignò ancora una volta i denti. Ora capiva perché la sua coscienza volesse preservare  il fascicolo della missione: era un oggetto che gli avrebbe sempre ricordato le parole di Allen Walker e che lo avrebbe costretto ogni volta che posava lo sguardo sulla scrivania, a farsi un esame di coscienza, per chiedersi se fosse giusto ciò in cui credeva.

- Basta! -

Gridò di nuovo e si alzò con rabbia, sbattendo il cuscino per terra. Non voleva più pensare a cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Era troppo tardi per rivedere i propri principi: era cresciuto nel cinismo e nella freddezza, con la mente calcolatrice di un distruttore, pronto a sacrificare chiunque, se fosse stato necessario a raggiungere il suo scopo. Con la mente di un distruttore, si ripeté, non di un salvatore!

Urlò ancora una volta con rabbia e tirò un calcio all’armadio essenziale che stava appoggiato alla parete, sfondandolo. Poi si accasciò di nuovo sul letto e chiuse gli occhi, ansimando.

Passò un secondo, poi, senza preavviso, sentì bussare. Sobbalzò, stupito.

- Chi è? – fece, seccato.

Una voce titubante, gli rispose bassa dall’altra parte.

- Kanda…. Sono Linalee. Scusa… Ho sentito… - s’interruppe un momento. – Tutto bene? –

Il giapponese sospirò lentamente, senza farsi sentire. – Sì. – ribatté, aspro. – Tutto bene. –

- Ah… Ok, scusa. -

Sentì i passi della ragazza allontanarsi. Quando anche il leggero eco prodotto dal soffitto alto del corridoio sparì, Kanda si rilassò. Questa volta aveva davvero esagerato. Non poteva andare avanti in quella situazione. La risolutezza che l’aveva spinto a tornare in camera dopo essere andato in mensa tornò all’improvviso.

Sì alzò, calmo, e arrivò alla scrivania. Prese in mano il fascicolo con prudenza e lo gettò all’istante nel cestino. Stette in allerta un secondo, come se temesse di vedere i fogli fare ritorno sul legno lucido del ripiano, poi sospirò, liberandosi dalla tensione. Era stato facile, dopotutto. Forse ora Allen Walker e le sue assurde convinzioni avrebbero smesso di tormentarlo.

Quella notte dormì profondamente e fu un sonno senza sogni.

 

Il tepore del sole sul viso lo destò all’alba.

Si alzò riposato e in forma e in viso si disegnò quasi l’ombra di un sorriso. La sicurezza di uscire dal tormento dopo aver eliminato il fascicolo di Mater ancora lo avvolgeva, sussurrandogli che quel giorno non avrebbe avuto problemi.

Era presto quando uscì dalla stanza, probabilmente non ci sarebbe stato nessuno in mensa e si rasserenò. Forse non avrebbe incontrato Allen Walker almeno quella mattina.

Raggiunse la mensa più in fretta del solito: le gambe si muovevano rapide, al ritmo dei suoi pensieri che per una volta non riguardavano il ragazzino maledetto e le sue patetiche teorie. Sperava di essere chiamato quel giorno da Komui per partire in missione: il suo fisico era stanco di oziare e la sua mente voleva stare per un po’ lontana dall’Ordine Oscuro.

Quando entrò in mensa, assorto nella contemplazione di uno scontro con un akuma di secondo livello, non si accorse di essere il secondo arrivato. Solo giunto al suo solito posto, vide che pochi metri più in là era seduto qualcun altro.

Allen Walker mangiava con gusto la colazione servita per lui dal cuoco e a quanto sembrava non si era accorto della sua entrata. Intento a finire ogni briciola del pasto, completò la sua opera e sorrise a se stesso soddisfatto.

A quel punto alzò gli occhi e sbiancò alla vista di Kanda che gli rivolgeva un’occhiata gelida. Sobbalzò e arrossì.

- K-Kanda! -

L’altro sbuffò infastidito e, senza degnarlo di uno sguardo, si sedette iniziando a mangiare a sa volta. Da una parte avrebbe voluto che Allen Walker se ne andasse, dall’altra avrebbe desiderato che rimanesse ancora, per vedere se il tormento sarebbe davvero scomparso con il fascicolo e se sarebbe stato in grado di ragionare lucidamente accanto a lui. Scelse la seconda possibilità e non gli chiese di sloggiare, come suo solito.

Con la coda dell’occhio, vide che il ragazzino lo fissava stupito, sicuramente per il fatto che non era abituato a quel suo comportamento accondiscendente. Continuò a guardarlo con gli occhi spalancati, finché Kanda non s’irritò.

- Allora, che hai da guardare, mammoletta? -

Allen sussultò e distolse lo sguardo. Stette in silenzio per un bel po’ di tempo, con il piatto vuoto davanti, continuando a girare la forchetta sul fondo, senza sapere che fare.

Kanda lo controllò sbirciando ogni tanto, chiedendosi perché non se ne andasse e rimanesse invece lì a rimuginare sul piatto vuoto. Eppure l’inglese non sembrava mostrare il minimo interesse per la porta che gli avrebbe dato la libertà e continuava a stare in silenzio. Quando anche il moro ebbe finito la colazione e si alzò, Allen lo seguì verso la porta. Raggiunta questa, l’irritazione di Kanda per l’atteggiamento del più piccolo si fece acuta. Sbuffò rumorosamente e si voltò.

- Ma insomma, che vuoi mammoletta? -

Allen spalancò gli occhi, senza badare all’appellativo, spaventato da qualcosa che Kanda non riuscì a capire.

- I-io… -

I tentennamenti del ragazzino resero Kanda ancora meno tollerante. Sbuffò di nuovo, chiedendosi cosa volesse. A quel punto un lampo d preoccupazione attraversò gli occhi di Allen.

- Kanda, io… Volevo sapere… - tentò. Poi si fermò, forse per vedere la reazione dell’altro. Quello lo guardava, indifferente, anche se dentro di sé cominciò ad avere un brutto presentimento.

Allen si morse un labbro e ritentò. – Io volevo sapere se… se ieri… - abbassò lo sguardo a terra. – Se ieri ho fatto qualcosa… di male… -

Kanda sussultò, ma il più giovane non lo vide, ancora con lo sguardo basso e le guance in fiamme per l’imbarazzo della confidenza. La mente del giapponese vacillò un secondo: come doveva rispondere? In fondo Allen Walker non aveva fatto nulla, non meritava di essere trattato male… L’annebbiamento che pensava di aver sconfitto tornò ad invaderlo. La sua freddezza lo salvò appena in tempo: prima che il ragazzino alzasse lo sguardo incuriosito dal breve silenzio, Kanda si ricompose e si affrettò a rispondere, duro.

- Niente che tu non faccia di solito. -

L’inglese lo guardò stupito, con una punta di tristezza nella sua espressione, poi abbassò la testa.

Confuso dalle sensazioni che nascevano dentro di lui e deluso dal ritorno dell’annebbiamento, Kanda gli voltò le spalle e oltrepassò la porta velocemente, sperando che il ragazzino non avesse la cattiva idea di seguirlo.

 

Una foglia cadde lentamente, danzando nell’aria come una dama senza accompagnatore, e raggiunse l’erba senza disintegrarsi, intatta anche nella morte. Kanda la osservò senza interesse, solo per avere un qualcosa su cui posare gli occhi e attorno a cui cucire i suoi pensieri.

Sulla panchina al lato ovest dei giardini, fissò il sole che, dalla parte opposta alla sua, cominciava a salire nel cielo, lento ed inesorabile, nel suo abituale cammino. Si chiedeva perché, al contrario della stella che guardava, non potesse continuare tranquillo il suo cammino e fosse invece ostacolato da un ragazzino che arrivava a sconvolgere i suoi equilibri.

Sospirò: non capiva perché non riuscisse più a comportarsi come aveva fatto quando Allen Walker era arrivato, trattandolo con arroganza e svalutandolo. Dopo la missione, aveva cominciato a soppesare ogni suo sguardo, ad analizzarne ogni gesto e, ora se ne rendeva conto, a desiderare che non stesse male. Ma la parte di se stesso che aveva mostrato fino a quel giorno, quella fredda, cinica, arrogante, distaccata, non se ne sarebbe andata facilmente.

E infondo Kanda non desiderava che sparisse: non era giusto che un ragazzino arrivato da chissà dove, inesperto ed ingenuo, mettesse fine a tutto ciò che lui aveva costruito, alla maschera che aveva indossato per proteggersi dal dolore della guerra.

Era stato per così tanto tempo dietro quella maschera, che ora non voleva più uscirne, per paura di farsi del male, di soffrire. Forse quel nanerottolo gli era stato mandato per togliersi il costume che aveva addosso, per tornare ad essere se stesso.

Ma voglio tornare ad essere me stesso?

Dopotutto la maschera gli era servita a non soffrire e a non legarsi a qualcuno che poi sarebbe potuto morire.

Sono disposto, ora, a cambiare le cose? Sono disposto a rischiare di soffrire?

Strinse i pugni. Non lo sapeva, davvero. Per la prima volta, da quando aveva cominciato ad affrontare gli akuma, si trovò ad avere paura. Ma quella vera, che ti tormenta e ti toglie le forze molto più di una battaglia.

Non era giusto. Non era giusto che dovesse scegliere tra se stesso e la sua maschera.

E poi… Se quello che era dentro fosse diventato uguale alla maschera, per la lunga convivenza?

Probabilmente era così. Sentiva dentro il gelo di ciò che era diventato, il cinismo l’aveva ormai sopraffatto e domato. Kanda era quello che dimostrava di essere, e basta.

Finalmente capì quel bisogno di calore solare. Ne aveva davvero bisogno, ora che la maschera aveva preso il controllo. Spinse il viso in alto, per accogliere i raggi mattutini. Avrebbe voluto sciogliersi al sole, dimenticare tutto e ritrovarsi in un prato verde, davanti alla casa che aveva abbandonato molti anni prima, di nuovo bambino. Di nuovo Yu, solo Yu.

Ormai non è più possibile.

Si alzò, sul viso l’espressione triste di una persona che si è arresa. Ma si era arreso?

Forse la possibilità di tornare se stesso che aveva intravisto in Allen Walker era soltanto un inganno, un’illusione. Probabilmente lui non provava quello che provava lui. Sicuramente lo odiava, visto come lo aveva trattato fino a quel giorno.

Kanda… E’ così che ti chiami, vero?… Piacere.

Provò una certa inquietudine, al ricordo del suo gesto, al suo rifiuto di stringergli la mano e all’insulto che gli aveva rivolto. Non gli aveva chiesto scusa per il suo comportamento, ma lui non chiedeva scusa a nessuno, mai. Era arrogante, questo era Kanda. Non sarebbe cambiato.

Il sole aveva raggiunto ormai la metà del suo viaggio, quando il diciottenne si alzò e si stirò i muscoli indolenziti dalla staticità. Con gli occhi colmi di dubbi e incertezze, come nessuno li aveva mai visti nell’Ordine,  posò lo sguardo all’entrata della torre, immaginando di veder comparire un ragazzino dai capelli bianchi. Si chiese perché lo volesse vedere. Alla fine lo avrebbe trattato come tutte le altre volte, come quella mattina.

L’unica cosa che aveva capito, era che dentro di lui, sotto la maschera, la sua coscienza agognava Allen Walker. 

E che quello, molto probabilmente, lo odiava.

 

- Kanda! Kanda! -

Il giapponese tese l’orecchio, sentendosi chiamare, nella luce soffusa del tardo pomeriggio, mentre era in giardino ad allenarsi.

Riconobbe subito chi lo chiamava, ma non rispose. La voce non voleva uscire, anche se non riusciva a capire perché. Aveva riflettuto e si era combattuto così tanto quel giorno, che forse le parole non sapevano più di esistere.

- Kanda! -

Reever Wenham spuntò all’improvviso da dietro un albero, entrando nell’area erbosa che Kanda utilizzava come palestra.

- Kanda! – esclamò, stupito. – Eri qui, allora! Perché non hai risposto? -

Il giapponese non replicò, ma restò in silenzio, seduto sotto una quercia frondosa dalla parte opposta dello spiazzo. Reever rinunciò alla speranza di ricevere delle scuse e sospirò.

- Kanda… - lo implorò – E’ una cosa urgente e importantissima. -

Qualcosa nello sguardo dell’uomo gli creò un buco nello stomaco. – Di cosa si tratta? –

- Non posso parlartene qui. – rispose l’altro, con gli occhi ormai quasi disperati. – Ti prego, Kanda, vai subito da Komui. -

Il giapponese si alzò all’istante, allarmato dall’urgenza che udiva nella voce di Reever. Senza rispondere, prese Mugen appesa a un ramo e corse fuori dai giardini, verso la porta della torre. Fece i piani di corsa, con un ansia nel cuore e un senso d’inquietudine che non avevano una fonte logica. Ma c’erano.

Entrò nell’ufficio di Komui a tutta velocità e si piazzò davanti alla scrivania. Komui arrivò un attimo dopo, prima che lui avesse il tempo di chiedersi dove fosse. Kanda si voltò subito verso di lui, cercando di nascondere la sua agitazione infondata.

- Allora, Komui… - s’interruppe, quasi non volesse chiedere. – Che cosa succede? -

Dietro il supervisore apparve Linalee. Kanda le lanciò uno sguardo e il cuore gli si strinse: aveva il volto pallido, gli occhi spaventati, mentre le lacrime stavano per scendere.

- Lina… -

- Kanda. – lo interruppe Komui, mentre lui fissava ancora la ragazza, stupito.

- Cos’è successo? – chiese il giapponese, cominciando a preoccuparsi seriamente.

Il supervisore chiuse gli occhi e respirò.

- Allen è scomparso. -

 

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Dal prossimo capitolo arriv l’azione.

Lasciate un commentino, ok?

 

A presto!

 

Aki

 

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Capitolo 2
*** Illusioni ***


SaLvAmI

Bene, ecco il secondo capitolo.

Ho visto che molte persone hanno letto, due hanno messo la storia fra i preferiti, ma nessuno ha commentato.

Spero che adesso sarà diverso… Ci tengo a ricevere qualche commento!

Beh, buona lettura!

 

“Detesto il tuo modo di fare da ingenuo.

Ma odio ancora di più i tizi che non mantengono la parola!”

“Ah ah… In ogni caso…mi odi comunque, no?”

 

II. Illusioni

 

- Scomparso? – gridò quasi, stupito. – Cosa vuol dire scomparso? -

Komui lo fissò un momento, prima di rispondere, probabilmente soppesando le parole.

- Abbiamo trovato la sua stanza distrutta e… - si girò verso la sorella, che aveva cominciato a piangere sommessamente - …anche delle macchie di sangue sul muro e sul pavimento. -

Kanda strinse i denti e deglutì.  Come poteva essere accaduto?

- Abbiamo fatto delle analisi… - riprese il supervisore, attento alle sue reazioni. – E’ sicuramente il suo sangue. Ed è solo il suo. -

Komui raggiunse la sua scrivania e gli mostrò delle foto. Kanda le fissò e cercò di ragionare lucidamente. Ma sapeva ormai che era una battaglia persa, se si trattava di Allen Walker. La camera del ragazzo era piccola e stretta e in quel caso tutto, dal letto all’armadio era rovesciato e distrutto. Sul muro c’erano segni lasciati probabilmente da unghie e dappertutto una marea di sangue.

- Ma… Come…? -

Komui si voltò stupito verso di lui, sorpreso probabilmente che fosse così sconvolto dalla notizia. Di sicuro sia lui che la sorella si aspettavano che reagisse con cinismo, come sempre. Lanciandogli un’altra occhiata, il supervisore proseguì.

- I segni delle unghie sul muro al fondo – ed indicò le forme allungate nella foto – sono quelli della mano anti-akuma di Allen. Sembra che abbia lottato, per non farsi portare via, ma alla fine non ce l’ha fatta. -

Kanda cominciò a sentire le orecchie fischiare, mentre il cuore aumentava i battiti. Si rese conto che, alla fine, Allen Walker era riuscito a tirare fuori da dentro il suo cuore, Yu. La maschera era quasi del tutto andata, se si trattava del ragazzino inglese, anche se in quel momento forse sarebbe stato meglio averla, per ragionare con lucidità.

- Chi… Chi è stato? – chiese, con voce bassa.

Komui lo fissò ancora, poi, prima che rispondesse, Linalee prese parola.

- Probabilmente un Noah. – rispose.

Kanda si voltò verso di lei, confuso. – Noah? –

Lei annuì, asciugandosi le lacrime. – I Noah sono la famiglia che sta col Conte. Sono gli esseri umani che lo aiutano e che pretendono di essere gli unici a sopravvivere all’annientamento della razza umana che compirà. Si pensa che siano quattro, ma non siamo sicuri. –

- E questi Noah… - chiese Kanda, ripreso leggermente il controllo, - Questi Noah, se non sono akuma, come fanno ad essere un pericolo per noi esorcisti? -

Linalee scosse la testa. – E’ proprio perché non sono akuma che sono un pericolo per noi. Noi possediamo delle armi che sconfiggono quegli esseri, ma non possiamo niente contro i poteri dei Noah. – tese una mano, per prevenire la domanda di Kanda, - I poteri dei Noah sono quelli ereditati presumibilmente dalla stirpe di Noe e sono molto potenti, anche se non sappiamo quali: gli antichi non ce li hanno rivelati nelle istruzioni dei cubi di cristallo, perché allora esisteva solo Noe. –

Ci fu un attimo di silenzio, i tre si guardarono, intravedendo gli uni negli occhi degli altri una preoccupazione profonda.

- Allen… - sussurrò ad un tratto Kanda, stupendo gli altri perché non lo aveva chiamato con l’appellativo che gli riservava solitamente, - Sappiamo dove potrebbe essere? -

Komui annuì. – Sì. Il rifugio del Conte dovrebbe essere in Giappone, ma si dice che i Noah siano in Cina, ora. Un generale era nello stato in missione, ma non abbiamo più sue notizie. O è scomparso, oppure non può comunicare perché potrebbe essere scoperto. Per questo la Cina è l’unico luogo in cui potrebbe nascondersi la famiglia del Conte. –

Un nuovo attimo di silenzio interruppe il discorso. I respiri si fusero in una sintonia data dall’ansia comune.

- Ma… - fu di nuovo Kanda a interrompere la quiete - …come ha fatto ad entrare? Il guardiano, Hebraska? Nessuno ha sentito nulla? -

- Hebraska sì. – rispose Komui, - Ma quando è riuscita ad avvertirci, Allen era già scomparso da un po’: probabilmente l’hanno portato via verso mezzogiorno, mentre tutti eravamo in mensa. – il suo sguardo s’intristì – Anche  Jerry ha cercato di avvertirci: si è spaventato perché Allen non era venuto a mangiare, ma non gli abbiamo dato retta. -

Linalee alzò lo sguardo deciso verso Kanda e, davanti a tutta quella determinazione, il giapponese si sentì d’intralcio. Che c’entrava lui con Allen Walker? Non era forse quello che lo maltrattava? Linalee era una sua compagna, lui no.

La ragazza lo scrutò un momento, come se lo analizzasse, poi si voltò verso Komui.

- Fratellone… - sussurrò, - Posso parlare un momento da sola con Kanda? -

Il diciottenne si allarmò, con un brutto presentimento addosso, ma il supervisore annuì e uscì dalla stanza, sbattendo la porta.

Kanda rimase in silenzio, fissando Linalee confuso e un po’ inquieto. Lei lo guardò in faccia, studiò la sua espressione e infine si decise a parlare.

- Questa mattina ho parlato con Allen, prima che lo portassero via. -

Kanda deglutì, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, e distolse lo sguardo.

- Non lo vedevo da nessuna parte, così sono andata in camera sua. Stavo per bussare, poi ho sentito il rumore di qualcosa che si rompeva. Ho chiamato e lui ha subito risposto, dicendo di entrare. Quando ho aperto la porta era accucciato nel letto, con la testa nel cuscino. L’armadio era rotto. Piangeva. -

Linalee fece una pausa, ma Kanda non pronunciò una sola parola. Teneva lo sguardo basso, le sopracciglia corrugate dalla decisione di non sentirsi in colpa, le labbra strette.

- Gli ho chiesto cosa ci fosse che non andava, ma lui continuava a piangere e non rispondeva. Alla fine mi ha detto solo due parole. -

Li-Linalee… Kanda… Kanda mi odia, non è vero?

Il silenzio calò tra loro.

Kanda cercò di non lasciarsi sfuggire una sola espressione, mentre la ragazza lo scrutava con sguardo penetrante e accusatore.

E così Allen credeva che lui lo odiasse? Certo, non poteva biasimarlo, dato come si era comportato con lui. E pensare che si era preoccupato che fosse lui a odiarlo. Invece, a quanto pareva, non lo odiava affatto.

Ma allora, cosa provava per lui quel ragazzino?

All’improvviso non si sentì così sicuro di volerlo sapere. Del resto, nemmeno lui si rendeva conto di quali fossero i suoi sentimenti: ammirazione, tenerezza, o bisogno d’aiuto? Oppure… Non voleva nemmeno pensarci.

- Kanda… - sussurrò Linalee, riportandolo alla realtà, - Cosa gli hai fatto? -

Punto nel vivo da quelle parole, la maschera del giapponese riaffiorò subito.

- Io non ho fatto niente a quella mammoletta. – sibilò, rabbioso, - E non è colpa mia se si va a ficcare nei guai! -

La ragazza assottigliò lo sguardo. – Non ho detto che sia colpa tua se Allen è caduto nelle mani dei Noah. – precisò, - Ma ti sto chiedendo cosa hai fatto ad Allen per trasformarlo nel ragazzino timido e inquieto che è adesso! Avanti, lo sai anche tu che non è mai stato così! –

Kanda la guardò sconvolto dalle sue parole.

Poi ripensò al comportamento di Allen in quei giorni, per il poco in cui gli aveva prestato attenzione. Si svegliava presto, mangiava da solo… Non si faceva vedere per tutto il giorno… Era triste, isolato, non aveva nessuno accanto…

Spalancò gli occhi e li puntò in quelli della ragazza. Come aveva fatto a non accorgersi del suo cambiamento?

- Io… -

Per la prima volta, la maschera cedette in presenza di qualcun altro e Kanda si trovò in difficoltà.

- Non te ne sei accorto, non è vero? -

Linalee sospirò e lo guardò affranta. Kanda scosse la testa, a conferma delle sue parole.

- Come pensavo… - e sospirò di nuovo, - Il fatto è che… - aggiunse, guardandolo negli occhi, - …credo che lui ti voglia bene, davvero. -

Quando Kanda spalancò gli occhi, Linalee sorrise, triste. – E’ così. Lui ti vuole bene per quello che sei, anche con il tuo cinismo e la tua arroganza… Ma dopo la missione tu non l’hai più trattato come prima. Beh, prima non lo trattavi con i guanti, certo, ma non lo ferivi. Invece poi hai cominciato a fargli del male e lui, pian piano, è diventato triste e cupo e si è isolato. 

Kanda abbassò lo sguardo, incapace di credere all’evidenza, a ciò che aveva causato al piccolo vivace Allen Walker.

- Ehi… C’è ancora tempo per rimediare… -

Il giapponese sentì il mento sollevarsi, mentre Linalee lo guardava negli occhi, sorridendo.

- Ora andremo a salvarlo – enunciò, convita. – E poi… Non è mai troppo tardi per chiedere scusa. -

La ragazza sorrise, anche se le lacrime ancora gli rigavano il volto.

E Kanda, per la prima volta, non poté far altro che imitarla.

 

- Dove siamo? -

Il capitano si voltò verso di lui, con il viso sorridente.

- Mar Cinese Meridionale, a poche miglia da terra. Arriveremo entro qualche ora. -

Qualche ora! , pensò Kanda, E’ troppo!

Erano due giorni che viaggiavano in nave verso la Cina, ma non erano ancora arrivati. Di Allen, nessun notizia. E nemmeno del generale che, comunque, non faceva rapporto da un sacco di tempo.

Strinse i denti e cercò di combattere  l’impazienza che sentiva allargarsi dentro di lui.

In quei due giorni di navigazione avevano preparato una specie di piano di emergenza, che aveva un sacco di falle. Prima di tutto, data la segretezza della missione, erano davvero in pochi: lui, Linalee ed un altro paio di esorcisti abbastanza in gamba. Nessuno doveva sospettare dell’intrusione al Quartier Generale, o il panico si sarebbe diffuso. Arrivati in Cina, vista la scarsità di uomini e visto che non sapevano quanti Noah avrebbero trovato là, la loro unica arma sarebbe stata la sorpresa: avrebbero dovuto attaccare senza permettere ai nemici di intuire anche solo la loro presenza e distruggerli senza minacciare Allen. Un piano con molte falle, appunto: i poteri dei Noah sconosciuti, il territorio sconosciuto e molto altro.

Sbuffando, immerso nei suoi pensieri, non si accorse di Linalee che gli si avvicinava.

- Kanda… - sussurrò – Vedrai che ce la faremo, non ti preoccupare. -

Il ragazzo la guardò negli occhi e vide il tentennamento affacciarsi: la paura di non riuscire a salvare l’amico. Si diede dello stupido, perché lei stava cercando di consolarlo e invece sarebbe dovuto essere il contrario.

Sorrise faticosamente. – Certo che ce la faremo. –

E lei parve rasserenarsi.

Ma le ore sembravano non passare mai, tanto che, quando arrivarono, Kanda si sentiva ormai spacciato. Come potevano salvare Allen, se erano trascorsi ormai tre giorni?

- Terra! – gridò la sentinella sull’albero della nave.

Linalee e Kanda scattarono all’istante e si prepararono a scendere. Raccomandarono all’equipaggio di non fare notare troppo la loro presenza e di nascondere la nave. Poi, arrivati alla costa, in una larga insenatura che dava su un paesaggio verdeggiante di colline e pianure alternate, scesero insieme agli altri due esorcisti.

Aspettarono che la nave si allontanasse e si guardarono intorno. Non c’era traccia di villaggi: era un bene per il loro anonimato, ma di certo non era una gran cosa per orientarsi.

Uno dei due esorcisti che li accompagnavano si fece avanti e gli spiegò che era già stato in Cina e poteva guidarli alla città più vicina. Kanda non trovò nulla da dire e, cercando di fidarsi, cedette il posto di guida all’uomo che li seguiva.

Cominciarono ad avanzare che era mezzogiorno: il sole era alto nel cielo e batteva sulle teste dei quattro, tormentandoli con il suo calore. Il pomeriggio venne impiegato quasi tutto per arrivare alla città e fecero soltanto una sosta in un piccolo villaggio per prendere acqua, anche se per tutta la permanenza si coprirono con i cappucci dei mantelli per non farsi riconoscere.

Erano quasi le cinque, quando giunsero alla città. Arrivati ad una distanza di sicurezza dalle porte, l’esorcista che faceva da guida si voltò verso di loro.

- Questa è Hong Kong. – disse, pacato. – E’ il maggiore porto cinese ed è stato forzato dagli inglesi, per costringerlo a commerciare l’oppio. E’ la prima grande città che s’incontra. Se i Noah sono arrivati da qui, non credo che si siano spinti oltre, dato che le prossime città sono molto distanti. Speriamo in bene. -

Guardò Kanda, interrompendosi, come a chiedergli l’approvazione nonostante fosse più grande di lui. Il giapponese annuì.

- Ora, per entrare, credo che dovremo trovare un punto, nelle mura, possibile da valicare e non penso sia difficile. Entrare dalle porte è escluso, se vogliamo mantenere l’anonimato. -

Tutti furono d’accordo. Si mossero a lato delle mura, avvicinandosi solo quando le porte non furono più visibili, e cominciarono ad osservare le pareti, in cerca di appigli o di sentinelle che potessero avvistarli. Ma sembrava che non ce ne fossero. Trovato un punto più semplice da scalare, Kanda andò per primo, seguito da Linalee, che sfruttava la potenza dei suoi stivali.

In cima, il giapponese scrutò l’atmosfera arancione del tramonto che si espandeva per la città. Erano in una parte poco frequentata della periferia: era perfetto. Scalarono la parete opposta e scivolarono nascosti per le vie. Lanciavano di tanto in tanto occhiate ai passanti, ma ognuno era intento nel proprio lavoro e nessuno sembrava essere sospetto.

Vagarono per una buona mezz’ora, finché si ritrovarono incredibilmente dalla parte opposta della città, sempre in periferia. Lì, le case si interrompevano per lasciare il posto ad una residenza elegante e spaziosa, che occupava il posto di almeno tre case. Era costruita nello stile delle antiche ville cinesi, con il tetto in quella particolare forma appuntita che aveva una sfumatura fiabesca.

Kanda lo fissò sorpreso e non fu il solo. Scambiò un’occhiata con Linalee  e capì che erano giunti alla stessa conclusione: poteva essere la casa dei Noah, o almeno la loro residenza in Cina.

Nascosti nei loro cappucci e protetti dall’ombra della notte che spegneva gli ultimi coraggiosi raggi di sole, i quattro si avvicinarono cautamente, a piccoli passi.

La casa era circondata da un ampio giardino di siepi basse che formavano un particolare labirinto e protetta anche da una cancellata di ferro grigio. Gli esorcisti la esaminarono con calma e stabilito che non vi era pericolo, la sorpassarono, infiltrandosi nel giardino. Districandosi abilmente per il labirinto, grazie al senso dell’orientamento di Kanda, arrivarono in breve alla porta della casa. Era enorme, in legno massiccio, con due maniglie che rappresentavano teste di drago con fauci spalancate.

Kanda indugiò davanti all’entrata. La porta era socchiusa, come un invito ad entrare.

Troppo facile…, pensò Kanda, E’ stato troppo facile!

E dagli sguardi inquieti degli altri, capì che la pensavano allo stesso modo. Era come se i Noah li avessero aspettati fino a quel momento.

Ma quali alternative avevano?

Allen probabilmente era oltre quella porta, tra la vita e la morte, appeso ad un filo tenuto in mano dalla diabolica famiglia del Conte. Sempre che fosse ancora vivo… Cercò di scacciare dalla mente il pensiero.

Era l’unica vi che avessero: dovevano entrare.

Si voltò verso gli altri. – E’ la nostra unica possibilità – disse – Allen è in quella casa, molto probabilmente. –

Aspettò, per vedere le espressioni dei compagni. Linalee era risoluta e decisa, gli altri due esorcisti anche, nonostante rischiassero la vita per una persona che nemmeno conoscevano.

- Entriamo. – concluse.

Si girò di nuovo verso la porta e spinse un battente. Quello cigolò in modo sinistro, ma si aprì facilmente. Si ritrovò in un corridoio a scacchi neri e bianchi , largo qualche metro ma altissimo, che continuava per un cinquantina di metri, con due file di porte, una su ogni lato.

Kanda avanzò circospetto, tendendo le orecchie, pronto a captare qualunque suono, ma tutto ciò che sentiva erano i suoi passi sul pavimento lucido. Avanzò lentamente fino alla prima porta sulla sua destra. Doveva aprirla? Certo, poteva essere una trappola, ma come poteva scoprire dove fosse Allen, se non cercando?

Allungò una mano verso la maniglia, quando un urlo squarciò l’aria. Il sangue gli si gelò nelle vene.

Era la voce di Allen, acuta, distorta dal dolore, ma era la sua. Gridava in modo disperato ed invocava aiuto.

Per un momento, Kanda fu talmente sconvolto dalle grida, che gli venne la tentazione di tapparsi le orecchie e fuggire. Ma si riscosse prima dei suoi compagni e cercò di capire da dove venisse. Localizzò la provenienza nella stanza della terza porta alla sua sinistra e corse verso quella più veloce che poté.

Afferrò la maniglia e spalancò la porta mentre un voce gridava: - No, Kanda! –

Uno dei due esorcisti che li seguivano si lanciò verso di lui e lo tirò indietro, gridando. In quel momento, dalla porta, un vento fortissimo risucchiò tutto ciò che si trovava nelle vicinanze, trascinando con sé anche Linalee. La ragazza gridò disperata e cercò di aggrapparsi al pavimento, mentre veniva sbattuta a terra e portata dentro la stanza.

- Linalee! -

- No, Kanda! Verrai risucchiato anche tu! -

Kanda si dimenò e riuscì a liberarsi, solo quando la porta si richiuse con un tonfo e tutto tornò silenzioso. Si gettò sulla maniglia tornata al suo posto e spalancò di nuovo il battente. Ma ciò che trovò al di là fu solamente un muro.

Ansimando, chiuse la porta e si voltò indietro. I due esorcisti gli restituivano lo sguardo atterrito e rassegnato.

Dov’era finita Linalee? E Allen?

Le sue gambe, contro la sua volontà di rimanere fermo steso a terra, si mossero verso il fondo del corridoio. I suoi passi rimbombavano, nel grande spazio a scacchi, e impedivano al silenzio di essere assoluto. Ma quei tonfi sordi echeggiavano sinistri sul pavimento e intrufolavano un senso di ansia nel cuore dei tre esorcisti.

Kanda continuò verso la fine del corridoio, ma all’improvviso non sentì più il rumore dei passi dei due esorcisti dietro di sé. Era semplicemente svanito. Chiuse gli occhi, con il terrore di voltarsi, mentre i brividi gli percorrevano la schiena. Poi prese coraggio e si girò.

Era solo.

La paura gli attraversò il corpo. Era armato per qualcosa di materiale, non per combattere contro il nulla. Non aveva speranze.

Senza sapere perché, si ritrovò a correre verso l’ultima porta al fondo del corridoio. La raggiunse in un attimo e, contro ogni logica, la aprì.

Era una stanza a scacchi, come il resto del corridoio, quella che vide. Era completamente vuota. Al centro si ergeva un trono nero e rosso e, seduta sopra la sedia, stava una ragazzina. Era minuta, anche graziosa, con il volto di un pallore grigiastro e gli occhi penetranti, sensuali e allo stesso tempo perfidi. Era un’unione di bellezza e di malignità, vestita di nero, maglia e gonna corta e con una zazzera di capelli blu.

- Finalmente sei arrivato, Kanda. -

La sua voce era melodiosa e infantile. Rise leggermente dopo aver parlato.

Il ragazzo rabbrividì, senza sapere perché. – C-chi sei? –

Lei continuò a sorridere con quel suo sguardo magnetico e gli si avvicinò scendendo dal trono.

- Road Camelot – rispose, affabile – Della famiglia Noah -

Kanda si irrigidì al suono del nome. Allora erano nel posto giusto. Ma dov’era Allen?

- Dov’è Allen? – chiese, quasi gridando.

La ragazzina si fece pensierosa, poi tornò a sorridere, senza rispondere alla domanda.

- Sai, ti stavo aspettando. Sapevo che saresti venuto… -

Kanda s’irritò per la domanda rimasta senza risposta, sentendo che, per un qualche strano motivo, il tempo che aveva a disposizione stava diminuendo. Digrignò i denti e fece per avventarsi sulla ragazzina, ma due catene di ferro apparvero dal pavimento e lo afferrarono impedendogli di muoversi.

- Lasciami andare! – gridò.

Road sorrise. – E dove? –

Kanda non rispose, ma continuò a dibattersi per liberarsi delle catene che lo tenevano inchiodato al pavimento freddo. Scalciò con tutte le sue forze, ma la sua Mugen era stata scagliata lontano e le catene sembravano impossibili da spezzare.

La ragazzina rise divertita.

- Avanti… Non vorresti invece sapere dove siamo? -

Il giapponese smise di dibattersi un momento e la fissò confuso. Lei sorrise.

- Siamo nella mia immaginazione. – annunciò – Non ho una mente brillante? -

Poi, senza lasciare che Kanda dicesse una parola, continuò. – I vostri corpi sono in realtà ancora fuori da questa casa, davanti alla porta del drago. Ma le vostre menti sono qui dentro. – E si batté la testa con l’indice dall’unghia appuntita. – Non è magnifico? –

Kanda la guardò incredulo. Erano nell’immaginazione della ragazzina? Anche i suoi compagni?

Allora avevano qualche possibilità di salvarsi!

- Beh… - proseguì Road, raggiante. – Ho fatto come se fosse un gioco di ruolo… - e allargò le mani ad abbracciare tutta la casa – Voi dovevate superare diversi ostacoli. Ma i tuoi amici sono stati sconfitti e rispediti nei loro corpi. Ora sono là fuori che cercano inutilmente di entrare: la casa è chiusa e io sola sono dentro. Ovviamente con te, nella mia mente e con il tuo amico maledetto… -

A quelle parole, Kanda si riscosse.

- Dov’è Allen? -

Road Camelot sorrise ancora una volta.

- Sicuro di volerlo sapere? – chiese, avvicinandosi al suo viso. – Sai? Sei proprio carino… Mi piacerebbe giocare un po’ con te… -

- DOV’E’? – gridò il giapponese, ormai con i nervi a fior di pelle.

La ragazzina ridacchiò della sua impazienza, poi si voltò e all’improvviso il trono scomparve.

- Eccolo. – sussurrò.

Al centro della sala, steso a terra e grondante di sangue, stava Allen Walker, con i vestiti stracciati. E, torreggiante su di lui, con una spada puntata alla sua gola, c’era un altro ragazzo.

Era lui.

Era Kanda.

 

---

 

Ed ora arriva il bello… ^^

Mi raccomando, commentate! A fra poco!

 

Aki

 

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Farai felice milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)

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Capitolo 3
*** Verità ***


SaLvAmI

Salve a tutti.

Scusate il ritardo: non è per via del tempo di stesura (visto che la storia era già completa dei tre capitoli in partenza), ma è un ritardo scelto.

Ho aspettato di avere un po’ di commenti, perché, molto sinceramente e penso anche umanamente, non mi piace postare per nessuno.

 

Ringrazio in primis coloro che hanno commentato:

 

kyokochan_91

Belial0303

ladyflowers

Indelible

yuko_chan

Firiel

 

Grazie di cuore, davvero! ^^

 

E ringrazio anche le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti.

Sperando che (coloro che non l’hanno fatto) si degnino di commentare, dato che hanno apprezzato i miei sforzi. Lo spero tanto.

 

1 - Ametista
2 -
angel15
3 -
Ermal
4 -
ladyflowers
5 -
Lunella
6 -
retsu89
7 -
tobichan
8 -
yuko_chan

 

Ed ecco, infine, l’ultimo capitolo. Sinceramente è il mio preferito e, scrivendolo, mi sono anche commossa in alcuni punti. Kanda troverà definitivamente la risposta a tutte le sue domande.

Sperando che vi piaccia…

Buona lettura!

 

“Detesto il tuo modo di fare da ingenuo.

Ma odio ancora di più i tizi che non mantengono la parola!”

“Ah ah… In ogni caso…mi odi comunque, no?”

 

III. Verità

 

Kanda boccheggiò, incredulo e spaventato.

Quello era lui?

Il se stesso che puntava la spada alla gola di Allen sorrise e si voltò verso di lui, lanciandogli un’occhiata maligna. Allen, steso a terra, sembrò non accorgersene. Grondava sangue dal petto e dalla schiena, la sua divisa da esorcista era stracciata in più punti, il viso era sporco di polvere e sangue rappreso. Dagli occhi chiusi e sofferenti scendevano le lacrime.

- Allen! – gridò il giapponese, in preda al panico.

Ma il ragazzino non sembrò sentirlo, continuò a piangere, con la gola sorretta dalla punta della Mugen. Perché non lo ascoltava? Perché non si voltava verso di lui?

Con una mano tesa verso la scena raccapricciante al centro della sala, Kanda cercò di nuovo di chiamarlo. Ma l’inglese non lo udiva e non smetteva di piangere, sotto gli occhi perfidi dell’altro Kanda.

Furioso, il giapponese sbatté i pugni sul pavimento e si voltò a guardare Road Camelot che, sulla destra di quell’orribile specie di palcoscenico, sorrideva divertita.

- Cosa gli hai fatto?! -

Lei tornò a guardarlo affabile, senza cancellare dal viso l’espressione soddisfatta. Gli venne incontro e gli si chinò a fianco, poggiandogli una mano sotto il mento, perché potesse assistere meglio alla sua follia.

- Questa – mormorò, indicando Allen – E’ la mia immaginazione. Dato che io desidero che non ti senta e non ti veda, lui non ti vedrà e non ti sentirà per nessuna ragione al mondo. -

Kanda chiuse gli occhi.

- Ma…? -

- Oh! – esclamò la ragazzina, sorpresa – Vuoi dire quel Kanda? – ridacchiò un attimo – Beh, Allen crede che sia tu… -

Il diciottenne spalancò gli occhi, atterrito. Quindi Allen pensava di essere ferito e maltrattato da lui?

- Oh, non fare quella faccia… - riprese Road, studiando attentamente la sua espressione, - Guarda che non mi puoi incolpare di nulla… Quel Kanda, io l’ho preso dai ricordi di Allen, sai? -

Il giapponese la fissò smarrito, mentre una fitta al petto lo faceva contorcere dal dolore.

Quello era il Kanda che vedeva Allen? Era così che vedeva il giapponese?

Strinse i pugni. Era tutta colpa sua, se ora Allen si trovava in quella situazione. L’aveva maltrattato e non aveva mai deciso i considerarlo un amico, o qualcosa di più. L’aveva escluso, gli aveva dato dell’ingenuo…

Ed ora ne subiva le conseguenze. Allen, troppo a lungo considerato in quel modo, giustamente vedeva Kanda come un ragazzo che lo odiava e non lo considerava più che un alleato fastidioso, da sopportare.

Perché non aveva considerato prima questa situazione? Perché aveva pensato solo a se stesso, mentre Allen, pian piano, si trasformava in ciò che non era, diventava cupo e soffriva?

- Perché tu sei quello, Kanda. -

Il giapponese alzò il viso verso la ragazzina, che gli sorrideva. Come aveva fatto a sentire i suoi pensieri?

- Hai capito bene… Non hai mai pensato ad Allen, perché tu sei così. – ed indicò l’aguzzino dell’inglese, che non si muoveva – Sei cinico, freddo ed insensibile. Per questo tu non hai mai notato come Allen stesse cambiando e quanto stesse soffrendo…

- Quello sei tu, Kanda. E anche se credi che sia una maschera che hai indossato per proteggerti, in realtà quello non sei altro che tu. Forse una volta eri diverso, ma ormai il tuo cuore si è ghiacciato e non potrai più liberarti dell’aspetto che ti sei autoimposto. Ora tu sei così. -

Kanda alzò faticosamente gli occhi sulla scena al centro della stanza, che era rimasta immutata fino a quel momento.

Quindi infondo quello era lui? Non aveva possibilità di salvezza?

Pensò a quanto avesse sperato che Allen Walker riportasse a galla ciò che era stato prima di essere un esorcista, prima della guerra. Ripensò a quanto avesse sofferto, quando ciò che aveva dentro veniva fuori davanti all’inglese. E pensò al viso triste di Allen, che lo guardava mentre lui gli diceva che lo odiava.

Una determinazione nuova si fece spazio dentro di lui. Se doveva rimanere cinico e freddo, se non aveva possibilità di salvarsi… Non era giusto che Allen ne subisse le conseguenze! Solo lui doveva patire per ciò che si era fatto da solo! Allen non meritava tutto quello: lui era solare, gentile, altruista… Lui doveva salvarsi.

- Allen! -

Road lo fissò, stupita. – Ancora non ti sei stancato di chiamarlo? Tanto non risponderà… -

Kanda digrignò i denti e strinse i pugni, contro il dolore ai polsi e alle caviglie causato dalle catene.

Doveva esserci un modo... Doveva esserci!

Ad un tratto una voce lo immobilizzò nei suoi tentativi di fuga e Road sorrise.

- Kanda… -

Era un sussurro, una parola flebile, che riecheggiò cupa nella stanza, senza permettergli via di fuga. Era Allen, che aveva aperto gli occhi, guadava il Kanda sopra di lui e lo implorava col viso.

Kanda, steso a terra, non resistette a quelle parole. I suoi occhi si riempirono di disperazione. Allen soffriva.

- Kanda… Kanda… - il ragazzino tossì e sputò del sangue per terra.

La sua voce si fece roca e bassa. – Kanda… Perché? –

A quel punto il giapponese sentì lo sguardo riempirsi di lacrime, mentre fissava spaventato i due immobili al centro dello spazio vuoto.

- Allen! Quello non sono io! -

Road ridacchiò. – Ti ho già detto che non ti sente. E’ inutile. –

Allen tese una mano verso la Mugen assassina che gli era puntata alla gola e sospirò.

- Perché…? – mormorò, poi le lacrime sfuggirono ancora al suo controllo, - PERCHE’? -

Il Kanda sopra di lui sorrise perfido.

- Perché sei patetico ed ingenuo… - sibilò, mentre il vero giapponese spalancava gli occhi, spaventato dalla somiglianza assoluta tra quella voce e la sua, - Perché mi fai pena e sei debole… Per questo. -

Il ragazzino si protese ancora verso l’aguzzino, tremando come una foglia per lo sforzo che gli costava. Si aggrappò alla gamba del falso Kanda e cercò di tirarsi su.

- Ti prego… - implorò – Per favore… Posso cambiare… -

Il diciottenne ancora incatenato smise di respirare e fissò attonito l’inglese. Cosa stava dicendo Allen? Cambiare? Perché sarebbe dovuto cambiare? Solo perché lui lo considerava patetico e ingenuo? Solo per…lui?

La copia di Kanda ghignò in un modo che fece venire i brividi a quello vero.

- Non m’interessa se puoi cambiare. Io non ti voglio più vedere. – poi fece una pausa.

Con violenza, ritirò Mugen e prese per il colletto della divisa il ragazzino, sollevandolo perché incontrasse i suoi occhi.

- Ma sai… Così non mi diverto… - bisbigliò, quasi sulle sue labbra, - Reagisci! -

Furioso, tirò su Allen e lo mise in piedi, sbattendolo contro il muro alla destra di Road e Kanda. Il minore lo fissò incerto, ma non si mosse. Il falso giapponese lo squadrò, per valutare le sue reazioni e quando vide che non voleva combattere lo schiaffeggiò con forza. Il viso già tumefatto di Allen divenne rosso nel punto colpito. Si portò una mano alla guancia, gemendo di dolore.

Kanda fissò impotente quell’ingiustizia, mentre l’altro se stesso colpiva Allen in ogni parte del corpo e lui sputava sangue, sfinito.

Quando smise di torturarlo, il ragazzino si accasciò alla parete.

- Su, colpiscimi! – gridò il falso giapponese, - Avanti, fallo! -

Allen singhiozzò e a Kanda si accapponò la pelle.

- Non… Non voglio… - mormorò, - Non posso farti del male… -

A quelle parole, il vero Kanda si riscosse. Non poteva lasciare che le cose continuassero così. Non poteva lasciare che Allen venisse picchiato da quello che credeva fosse lui.

Togliendo con difficoltà lo sguardo dal volto straziato dell’inglese, cercò per la stanza la sua Mugen. La trovò a pochi passi da Road, tra se stesso e la ragazzina. Dimenandosi si era avvicinato all’arma, non intenzionalmente, e doveva sfruttare il vantaggio.

Cercando di non farsi notare e sentire, strisciò verso la sua spada, riducendo al minimo il rumore metallico delle catene sul pavimento. Quando stava per poggiare la mano sul lucido acciaio, l’arma si mosse e si allontanò. Stupito, la guardò un momento muoversi verso Road Camelot come se fosse stata viva.

La ragazzina si voltò di scatto verso di lui e sorrise seducente, ma divertita.

- Oh, Kanda… - bisbigliò, come se avesse paura di disturbare in teatro l’esecuzione di un’opera, - Devo ricordarti che siamo dentro la mia testa? Qui non puoi fare nulla che io non veda. -

Ridacchiò, soddisfatta dalle sue parole, mentre il giapponese digrignava i denti, frustrato. Lo fissò pensierosa, poi parve illuminarsi alla vista di qualcosa che lui non percepiva.

- Ho deciso. – enunciò – Ti do una possibilità: se tu riuscirai a convincere Allen che quello non sei tu e che tu non lo odi, allora avrete vinto e vi lascerò liberi di andarvene. – fece una pausa e scrutò l’espressione di Kanda – Che te ne pare? -

Non aspettò la risposta.

Quando ebbe finito di parlare, le catene ai polsi e alle caviglie del moro sparirono, ritirandosi nel pavimento, silenziose come erano apparse. Kanda si massaggiò i polsi e tentò all’istante di alzarsi in piedi, ma le caviglie doloranti cedettero e si ritrovò nuovamente a terra. Frustrato, combattendo contro la propria debolezza, si mise faticosamente dritto. Barcollò, sui piedi incerti, e si piegò a terra, per prendere la spada. La afferrò saldamente e la puntò alla gola della ragazzina che ancora sorrideva.

Quando si vide la lama diretta alla giugulare, Road Camelot non fece una piega. Anzi, al gesto del giapponese, rise divertita. Sembrava che tutto la divertisse, lì dentro; soprattutto l’impotenza dei suoi nemici.

- Kanda, Kanda… - sospirò – Allora proprio non capisci… Qui – e si toccò la testa ancora una volta – siamo a casa mia. Io decido e governo tutto ciò che succede, tranne le vostre azioni. Quindi, se io decido di essere immateriale, lo sono. Non puoi uccidermi. L’unico modo di uscire da qui è vincere il gioco che ti ho proposto. – sorrise – E’ la tua unica possibilità…

- Voi stessi siete praticamente incorporei qua dentro. – continuò – Certo, se io decido che voi proviate dolore come se aveste un corpo, voi lo proverete. Per questo Allen soffre. Ma non ho propriamente il potere di uccidervi, dato che i vostri corpi sono fuori da questa casa, intatti. L’unico modo per eliminarvi è farvi credere con tutti voi stessi di essere morti. A quel punto, morireste davvero: sia nella mente, che nel corpo, anche se io non l’ho toccato. In pratica, credendo di essere morti, voi scegliete volontariamente di morire. E il vostro cuore si ferma.

- Perciò… - concluse - …faresti meglio a preoccuparti di Allen, non di me. Fra poco, con tutte le ferite illusorie che si trova addosso, con tutto il dolore psicologico e fisico che sta provando, si troverà a desiderare di morire… -

Finì di parlare senza far sparire il sorriso e s’immobilizzò. Kanda toccò il suo corpo e lo trovò ghiacciato e solido: si era trasformata in statua e forse era uscita dalla sua mente. Con rabbia, il ragazzo impugnò Mugen e decapitò la scultura. La testa di pietra rotolò a terra con un tonfo. Ma quel sorriso rimase.

Libero di agire, in preda all’agitazione, Kanda prestò nuovamente attenzione ai due attori che occupavano la sala. La scena era mutata: ora l’altro Kanda aveva conficcato la spada nella spalla di Allen, trapassando carne, ossa e vestiti e affondando nel muro dietro di lui.

Il ragazzino ansimava e piangeva senza singhiozzare, solo facendo scivolare le calde lacrime lungo le guance.

E continuava a ripetere: - Kanda… - come una litania in punto di morte.

Kanda prese coraggio e forza, correndo verso di lui. Lo raggiunse con pochi balzi e afferrò la punta della spada, estraendola dal suo corpo. Il ragazzino gridò dal dolore, alzando il viso al soffitto, poi si guardò intorno, spaventato, fissando il giapponese senza vederlo.

- C-chi…? – balbettò.

Prima che potesse rispondere alla domanda, Kanda fu scaraventato a terra dalla sua copia, sbattendo la spalla sul pavimento freddo e decorato dell’ossessiva trama a scacchi. Gemette dal dolore e si rialzò in fretta in piedi, evitando un pugno diretto al suo petto.

Il suo aggressore lo fissava, gelido, e Kanda si chiese se era così che guardava Allen ogni giorno. Una fitta di dolore lo costrinse a piegarsi su se stesso. Ora capiva perché l’inglese aveva pensato che lo odiasse. Non poteva biasimarlo.

- Non ti intromettere. – sibilò freddo il falso.

Kanda si tenne la spalla dolorante e tese davanti a sé la sua Mugen, in posizione difensiva.

- Non ti permetterò di fare del male ad Allen. -

A quel punto arrischiò un’occhiata al compagno. Ma quello era ancora appoggiato al muro, con le gambe piegate che avevano ceduto al troppo dolore di tenerlo in piedi, e guadava verso il falso Kanda con espressione interrogativa e spaventata.

Il giapponese riportò all’istante l’attenzione al se stesso nemico che gli stava di fronte e vide che quello ghignava.

Incrociarono le spade e il clangore delle armi risuonò nella stanza. Con le Mugen avversarie a pochi centimetri dal viso l’uno dell’altro, il falso lo guardò negli occhi e sorrise.

- Sicuro di volerti scontrare con me? -

Kanda digrignò i denti e spinse con forza l’arma sul nemico, spingendolo indietro. Le due spade si separarono.

- Sei sicuro di quello che fai? -

Furioso, il diciottenne si avventò sulla copia, facendo scontrare nuovamente le armi. Seguì un duello sostenuto, ammaliante per chi lo avesse potuto ammirare. Le lame danzavano, in un susseguirsi di tira e molla, di scontri e momenti in cui scivolavano l’una sull’altra.

Quando si staccarono, Kanda ansimava e perdeva sangue dal braccio destro, che era stato colpito, mentre l’altro non mostrava segni di fatica e l’unico segno dello scontro era un taglio superficiale sulla gamba.

Ma lo scontro era impari, si rese conto il giapponese. Poiché la memoria di Allen aveva registrato un Kanda instancabile, quello non mollava, mentre la verità era diversa: lui era vulnerabile, nonostante tutto.

Mentre riprendeva fiato, il suo falso tornò all’attacco.

- Sei sicuro di volermi distruggere? E’ questo ciò che davvero senti di dover fare? -

Kanda digrignò i denti e riprese ad incalzarlo. Non voleva sentire quelle stupide domande. Doveva solo fare in fretta ad eliminare quell’ostacolo e liberare Allen. Non aveva tempo per i dubbi e le incertezze.

- E così sembri sicuro di ciò che fai… - mormorò l’altro, quando le spade furono di nuovo davanti ai loro visi, incrociate – Ma come fai a sapere che, se mi sconfiggerai, Allen vorrà crederti? Come farà a fidarsi della tua parola? -

Kanda si fermò un attimo, distratto e confuso da quelle parole. La copia ne approfittò subito e, con un affondo, penetrò la sua gamba con la lama. Kanda gridò di dolore e portò le mani alla ferita, cadendo a terra.

L’altro sogghignò.

- Allora… Non trovi una risposta a questo? Come farà Allen a fidarsi ancora di te? -

Kanda, con gli occhi serrati per il dolore, boccheggiò, incerto.

- Lui… Lui… -

- Lui, cosa ? – lo incalzò il falso – Lui, cosa, eh? Allen ha forse qualche motivo per crederti? – lo prese per il colletto del vestito, proprio come aveva fatto con l’inglese poco prima – Tu l’hai maltrattato e ferito da quando è entrato a far parte dell’Ordine, l’hai considerato ingenuo e patetico… L’hai odiato… -

A quella parola, Kanda si sentì trafiggere dalla lama ben più dolorosa di quella vera, la lama del ricordo.

Detesto il tuo modo di fare da ingenuo. Ma odio ancora di più i tizi che non mantengono la parola!

Ah ah… In ogni caso…mi odi comunque, no?

Il senso di colpa si fece strada nel suo cuore.

Era vero, era tutto vero. Lui gli aveva detto esplicitamente di odiarlo, più di una volta e, in quella situazione, l’aveva reso chiarissimo agli occhi dell’altro. Era per questo che ora Allen credeva che lo odiasse… Era semplice, terribilmente semplice.

- No! – gridò, in contrasto con i suoi pensieri – Lui mi crederebbe! Lui… -

Con gli occhi serrati, sentì una risatina provenire da sopra di lui, poi la lama fredda gli squarciò la coscia da parte a parte. Urlò, ormai sopraffatto da quel dolore così intenso, ansimò e tossì.

In tutta quella sofferenza, il dolore più grande veniva da dentro di lui, dalla consapevolezza che aveva rovinato la possibilità che la vita gli aveva offerto per cambiare. Nel bel mezzo di quella scena raccapricciante, dischiuse le palpebre, ma l’ambiente era offuscato dalle lacrime che gli impedivano di vedere con precisione. In quel momento, in quel preciso istante, capì finalmente con certezza ciò che aveva perduto a causa della sua stupidità: Allen Walker, si rese conto, era realmente una possibilità di redimersi che gli era stata mandata dal cielo, una svolta, una luce di salvezza. E lui, nella sua cecità e stupidità, aveva buttato via questa possibilità, impedendosi, da solo, di potersi salvare.

Mentre la consapevolezza della morte scendeva su di lui, ebbe solo un rimpianto. Lui era stato cieco alla verità. Ma si chiese, quando la luce della vita stava per abbandonarlo, perché anche Allen Walker dovesse pagarne le conseguenze.

E pregò, pur sapendo che ormai non aveva più speranza, pregò ancora una volta di poterlo salvare.

- Bravo, Kanda… - sussurrò una voce al suo orecchio, mentre scivolava sempre di più nelle tenebre – Smetti di vivere…

- Perché sei stato cieco e troppo orgoglioso per permettere alla mano di Dio di afferrarti e riportarti sulla retta via. Perché hai gettato la vita di un ragazzino nella sofferenza e nel dolore…. Perché quello che ti ha ucciso, quello che tu definisci un altro te stesso, in realtà non sei altro che tu. Questa è la verità. -

Si lasciò cullare dal suono di quelle parole melodiose, sentendo un calore confortante nel gelo che prima gli stringeva il petto. Quella sensazione placò la sua sofferenza e lo sciolse, come aveva tante volte desiderato di fare sotto i raggi del sole, riportandogli a tutto ciò che rimaneva della sua coscienza i ricordi della sua infanzia e dei suoi giochi di bambino nel prato davanti a casa sua. Una strana pace lo invase e desiderò solo arrendersi.

Se questa è la morte, pensò, ben venga.

Ma all’improvviso il calore scomparve e Kanda fu avvolto dal gelo più assoluto. Fu preso dal panico, mentre sentiva che la sua coscienza riaffiorava e tornava a percepire, seppur con imprecisione, la sensibilità del suo corpo.

C’era ancora qualcosa, forse, che lo teneva legato alla vita, che gli impediva di morire.

Sentì che qualcuno lo abbracciava forte e lo stringeva.

- Kanda… -

Le lacrime scorsero sulle sue guance e ci mise un po’ di tempo a capire che non erano le sue. Sempre con gli occhi chiusi, si aggrappò mentalmente a quel corpo che lo sorreggeva, mentre il dolore si faceva più intenso e lo sommergeva, impedendogli lucidità.

Scivolando nuovamente nell’oblio, capì che questa volta non sarebbe stato un sonno eterno ad accoglierlo.

E, per qualche motivo, si sentì sereno come non lo era mai stato.

Stremato, si addormentò.

 

 

[EPILOGO]

Mentre osservava il cielo farsi di un rosso intenso, con una sfumatura rosata, Yu Kanda si rese conto che non aveva mai provato quelle sensazioni, nella contemplazione di un tramonto.

Di solito, gli sembrava che quella luce rossastra volesse ricordargli tutto il sangue di cui, ogni giorno, si macchiava inevitabilmente le mani. Ora, invece, quel sole luminoso che spariva dietro le colline lontane gli sussurrava all’orecchio che quella era la fine di una parte della sua vita e l’inizio di un’altra, forse migliore.

Assorto nei suoi pensieri, perso nell’immagine di quell’orizzonte così significativo, si accorse solo dopo alcuni minuti che qualcuno si era seduto accanto a lui, sulla panchina nel lato ovest dei giardini. Sobbalzò, ma quando vide chi era arrivato, si rilassò.

Non lo guardò negli occhi.

- Ciao, Kanda. -

Quella voce gli provocò un sussulto interiore, ma Allen non lo notò, anch’egli assorbito da quel tramonto spettacolare.

Rimasero per un istante in silenzio e il giapponese si chiese come avrebbe dovuto comportarsi, ora.

Erano passati sette giorni dalla missione in Cina. Come si fossero salvati, era per Kanda ancora un mistero. Aveva pensato sul serio di morire, nella mente di Road Camelot, alla residenza dei Noah. Ad un certo punto si era anche ritrovato a desiderare di morire.

Eppure, nonostante questo, era sopravvissuto. Quando si era risvegliato era nell’infermeria del Quartier Generale dell’Ordine, con un impacco sulla fronte e nient’altro: le ferite fisiche erano rimaste solo nell’immaginazione della ragazzina Noah, probabilmente. Aveva subito chiesto di Allen, ma lo avevano rassicurato, dicendogli che stava bene e che, come lui, aveva solo lesioni psicologiche che sarebbero sparite con un buon riposo; solo, non si era ancora svegliato.

Quel giorno, era riuscito finalmente ad alzarsi dal letto ed era andato nei giardini, a sedersi su quella panchina dove, solo una settimana prima, aveva capito cosa significasse Allen Walker per lui.

Un fruscio lo riportò alla realtà, mentre il ragazzino seduto vicino a lui si portava le ginocchia al petto.

- Allen… -

I due furono in ugual modo sorpresi dalla voce di Kanda che aveva rotto il silenzio. Imbarazzato, e chiedendosi perché lo fosse, il giapponese proseguì.

- Allen… Cos’è successo? -

Non c’era bisogno di altre spiegazioni, il ragazzino capì a cosa alludesse. Prese un respiro e si preparò.

- Quando ho sentito la spada che mi si sfilava dalla spalla, non ho capito cosa stesse succedendo. Ero sopraffatto dal dolore e non mi riusciva di ragionare lucidamente. Poi però ho visto che tu… - s’interruppe, a disagio, - Cioè… Ho visto l’altro te che si allontanava e parlava con qualcuno che io non vedevo. Cercando di non pensare al dolore, sono stato a sentire cosa diceva. E poi avete iniziato a combattere… -

Kanda strinse i pugni: il ricordo ancora era vivido.

- Mentre combattevate ho sentito quello che diceva, ma non ho capito il suo significato. Continuava a combattere contro qualcosa di invisibile e io… Beh, anche se non ti vedevo, ho avuto una strana sensazione… - fece una pausa e sembrò rinunciare a spiegare – Quando mi sono sentito più lucido, ho capito che potevo approfittare di quella situazione per salvarmi. Ad un certo punto l’altro te ha conficcato la spada nel pavimento. Sorrideva trionfante e mi sono reso conto che quella era la mia ultima possibilità, perché sembrava aver vinto contro l’avversario invisibile. Mentre mi avvicinavo per colpirlo alle spalle, c’è stato uno scatto metallico nei miei occhi e quando sono tornato a guardare la scena… ti ho visto. -

Allen fece una strana pausa, come se andare avanti fosse troppo doloroso. Kanda drizzò le orecchie, attento a non lasciarsi sfuggire il minimo particolare di ciò che stava per dire.

- Eri… - fece una smorfia, forse per il dolore – Eri… in un lago di sangue, avevi il viso contratto per la sofferenza. E lui… l’altro te… ti guardava come se avesse voluto azzannarti e portarti a morire.

- Non ce l’ho fatta a sopportarlo. Gli ho conficcato la mano nella schiena e l’ho trapassato. -

Calò il silenzio. Allen fissava neutro il buio che scendeva, con la sofferenza nello sguardo che voleva essere indifferente. Ma agli occhi esperti di Kanda, quel profondo dolore non sfuggì.

- Non volevi ucciderlo, non è così? -

Il ragazzino si voltò a guardarlo, stupito che avesse capito cosa covavano i suoi occhi. Annuì.

- Sai dov’eravamo? – gli chiese Kanda e, alla sua negazione, proseguì – Nell’immaginazione di Road Camelot, della famiglia Noah. – studiò un attimo l’espressione sorpresa dell’altro – Il Kanda che hai visto tu non era un akuma o qualcosa di reale.

- Era il Kanda nella tua memoria e nella tua coscienza. – concluse, chiudendo gli occhi.

Allen sussultò a quelle parole e abbassò lo sguardo, sconvolto.

- Non posso biasimarti. – continuò il moro – Visto come ti ho trattato da quando sei entrato a fare parte dell’Ordine, è ovvio che tu mi veda così. -

- M-mi dispiace… -

- Non te ne dispiacere. La colpa è mia. -

La quiete della sera li avvolse un istante e le loro orecchie furono riempite dal respiro dei giardini nel buio. Il canto di un grillo risuonò nell’aria e interruppe i pensieri.

- Quando ti ho visto per terra, io… Non so cosa mi è successo, ma ho capito che avevi scelto di morire. Ti ho abbracciato e, in quell’istante  tu hai sussurrato – la voce di Allen si perse in un mormorio basso sull’ultima parola – “Salvami”. -

Kanda sorrise, al ricordo di ciò che aveva pensato in punto di morte. Aveva capito che Allen era una salvezza che lui aveva sprecato. Aveva desiderato che si salvasse.

Forse Dio lo aveva ascoltato. Forse gli aveva concesso un’altra possibilità.

- Nonostante tutto… Io voglio essere un distruttore che salva le persone -

Allen lo guardò stupito, mentre pronunciava la frase che lui aveva sussurrato tra le lacrime a Mater. Probabilmente si chiedeva come facesse a ricordarla, o perché l’avesse detta.

Kanda si girò verso di lui. – Allen Walker… - sussurrò – Puoi salvare me? –

Il ragazzino spalancò gli occhi, deglutì e si ritrasse, confuso dalle sue parole. Poi la determinazione che lo caratterizzava e lo rendeva assolutamente unico, tornò a risplendere nei suoi occhi.

Sorrise come non faceva da un mese, ormai. – Certo, Kanda. –

Quando il silenzio scese e l’attimo svanì con gli ultimi raggi del sole, il giapponese si accorse di ciò che aveva detto e l’imbarazzo corse a tingere di rosso il suo viso.

La maschera di freddezza, evidentemente, faticava ancora adesso a lasciarlo.

- N-non… - balbettò – Non ti fare venire in testa strane idee, mammoletta. -

Al contrario di ciò che si sarebbe aspettato, Allen cominciò a ridere, divertito forse dall’espressione di Kanda, o dalle sue parole, o dal suo cambiamento improvviso. Non glielo spiegò.

- Direi che c’è molto lavoro da fare… -

La frase lo spiazzò. Quindi Allen capiva cosa aveva chiesto, quando aveva voluto che lo salvasse.

Il minore gli prese il viso tra le mani e, prima che potesse fare qualunque cosa, poggiò le labbra sulle sue. Fu un bacio incerto, imperfetto e titubante. Ma tutti e due capirono cosa significasse.

Era una promessa. Era un tacito consenso.

Ti salverò, ecco cos’era.

Ci sarebbe stato molto lavoro da fare, certo, ma tutto a suo tempo.

Per adesso, bastava così.

 

FINE

 

     

Ta-dan!

Piaciuto? *-*

Spero di sì!

Per qualsiasi dubbio, non esitate a chiedere nei commenti, vi risponderò il più presto possibile!

Allora, alla prossima! Un bacio a tutti!

 

Aki

 

 

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