Desert_Zone

di SaraRocker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Desert_Zone cap.1 ***
Capitolo 2: *** Desert_Zone cap.2 ***
Capitolo 3: *** Desert_Zone cap.3 ***
Capitolo 4: *** Desert_Zone cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Desert_Zone cap.5 ***
Capitolo 6: *** Desert_Zone cap.6 ***
Capitolo 7: *** Desert_Zone cap.7 ***
Capitolo 8: *** Desert_Zone cap.8 ***
Capitolo 9: *** Desert_Zone cap.9 ***
Capitolo 10: *** Desert_Zone cap.10 ***
Capitolo 11: *** Desert_Zone cap.11 ***
Capitolo 12: *** Desert_Zone cap.12 ***
Capitolo 13: *** Desert_Zone cap.13 ***
Capitolo 14: *** Desert_Zone cap.14 ***
Capitolo 15: *** Desert_Zone cap.15 ***
Capitolo 16: *** Desert_Zone cap.16 ***
Capitolo 17: *** Desert_Zone cap.17 ***
Capitolo 18: *** Desert_Zone cap.18 ***
Capitolo 19: *** Desert_Zone cap.19 ***
Capitolo 20: *** Desert_Zone cap.20 ***
Capitolo 21: *** Desert_Zone cap.21 ***
Capitolo 22: *** Desert_Zone cap.22 ***
Capitolo 23: *** Desert_Zone cap.23 ***
Capitolo 24: *** Desert_Zone cap.24 ***
Capitolo 25: *** Desert_Zone cap.25 ***
Capitolo 26: *** Desert_Zone cap.26 ***
Capitolo 27: *** Desert_Zone cap.27 ***
Capitolo 28: *** Desert_Zone cap.28 ***
Capitolo 29: *** Desert_Zone cap.29 ***
Capitolo 30: *** Desert_Zone cap.30 ***
Capitolo 31: *** Desert_Zone cap.31 ***
Capitolo 32: *** Desert_Zone cap.32 ***
Capitolo 33: *** Desert_Zone cap.33 ***
Capitolo 34: *** Desert_Zone cap.34 ***
Capitolo 35: *** Desert_Zone cap.35 ***
Capitolo 36: *** Desert_Zone cap.36 ***
Capitolo 37: *** Desert_Zone cap.37 ***
Capitolo 38: *** Desert_Zone cap.38 ***
Capitolo 39: *** Desert_Zone cap.39 [+ Epilogo] ***



Capitolo 1
*** Desert_Zone cap.1 ***


Desert_Zone



Cap.1
__________________________________________________

Oscillo costantemente tra momenti in cui non me ne frega nulla
e altri in cui il nulla mi frega.

-Cit.




Anno: 2097
Mese: Gennaio
Giorno: 17
 
 
Tutti lo sanno.
Lo hanno sempre saputo.

 
"La Desert_Zone è un luogo dal quale bisogna stare cautamente lontani se si tiene anche solo minimamente alla propria esistenza.
Continente abitato da criminali, poveri e ribelli: tutte persone poco rispettabili, spesso armate sino ai denti, o rese folli dal caldo, dalla fame e dalla sete. Devi essere pazzo per decidere di andare in un simile luogo, e intento al suicidio se ci entri realmente.
Quando vieni condannato a quella vita, significa che hai ardito troppo, che sei andato contro la bontà, la gentilezza e la giustizia offertaci dal nostro governo.
Significa che hai ripudiato la perfezione.
Nessuno ti darà una mano quando rimarrai rinchiuso là dentro, circondato da banditi pronti a nutrirsi della tua stessa carne, perfino del tuo cuore ancora palpitante, sino a che non diverrai che ossa, poi polvere, poi nulla.
Puoi provare a piangere e gridare, ma nessuno ti udirà davvero. Le tue lamentele risuoneranno come giusto supplizio alle fini orecchie degli avvoltoi, che attorno al tuo capo sudicio e in fin di vita, voleranno.
Una rete di elettricità ad altissima carica ti cironderà, e spetterà a te decidere se porre immediatamente fine alla tua vita, tentando di oltrepassarla, oppure arrancare disperatamente fino a che giungerai poggiato ad un muro eroso, senza alcuna forza se non quella di piangere.
La Desert_Zone è un luogo di disperazione, tristezza e amara libertà. Nessuno deciderebbe mai di andarci, viverci o, ancora peggio, crescerci.
Ma esiste una scelta, quella di vivere gioiosamente, pacificamente e con accondiscendenza, insieme al nostro governo perfettamente formato.
Se così fosse, nessuno di voi, qui, dovrebbe mai soffrire tanto."
 
[Alburne Courtney, discorso in diretta mondiale avvenuto il giorno 25/09/2074]
 
**
 
"Io, Duncan Smitt, giuro solennemente, sulle grazie, la gentilezza e l'amore del Governo, che lavorerò esclusivamente per esso, mantenendo la mia unica e sola fedeltà nei suoi confronti, accompagnandolo ovunque esso andrà, in ogni propria decisione, sempre e per sempre.
Lavorerò come accondiscendente sottoposto del serizio militare del Governo, mantenendo l'ordine, la pace ed il mantenimento delle leggi e regole.
Rimarrò onesto e severo, riponendo tutta la mia più grande fedeltà in esso, senza mai tentennamenti.
Porterò a termine ogni mio compito, combatterò con onore e spavalderia, non temendo nulla, protetto da coloro per i quali con devozione, opero.
Lo giuro solennemente sulla mia stessa vita"
[Duncan Smitt, giuramento  ammissione come militare scelto avvenuto il giorno 08/06/2094]
 
**
 
Si era levata una nube di fumo che era giunta a toccare persino le enormi piste ferroviarie sopraelevate del Governo, che malapena si potevano vedere da quel luogo dimenticato dai ricchi e famosi, attirando l'attenzione di quella ragazzina di malapena 18 anni che, nonostante nella sua giovane vita avesse visto molto, mai le era capitato simile spettacolo.
 
Si trovava seduta a terra, poggiata su una delle innumerevoli rovine di antiche città ormai disabitate da decenni, prima che il riscaldamento globale divenisse il vero protagonista di quella povera e malandata Terra, quando aveva visto qualcosa cadere da un punto indefinito del cielo prendendo improvvisa velocità.
Non sapeva da dove esso provenisse, ma curiosa si era avvicinata correndo, attraversando la nube formata di polvere e sabbia che la figura precipitata aveva elevato.
 
Poteva trattarsi di qualsiasi cosa: rifiuti provenienti da loro, un animale, persino una persona condannata, anche se doveva ammettere che mai si erano spinti a tanto, catapultando il o la disgraziata, direttamente dal cielo assolato.
Solitamente li facevano entrare la notte, quando tutti gli abitanti del luogo dormivano, così che nessuno si ribellasse troppo, e comunque quei pochi che lo facevano, morivano nell'immediato istante successivo.
 
Avevano armi potenti loro.
 
Cercò di abbandonare quei pensieri di troppo e tornare a concentrarsi sul presente, e non appena la nube che le infastidiva la vista si diradò, vide un ragazzo pararsi di fronte ai suoi occhi increduli.
Era giovane e privo di sensi. Infondo c'era da aspettarselo vista la devisamente rovinosa caduta, ma ciò che la colpì immediatamente furono le numerose ferite.
 
Ora torturavano i condannati prima di gettarli lì?
 
Scosse il capo guardandosi attorno, certa che presto i ladri e gli assassini sarebbero giunti; chi per derubare e chi per nutrirsi senza ritegno, per nulla disgustati da quei pessimi gesti e azioni che si ritrovavano costretti a compiere con sempre maggiore frequenza.
Si concentrò un istante, attenta che non ci fossero rumori, anche solo fiebili attorno a lei, e non appena si fu curata di quello, afferrò un polso del ragazzo cercando di percepire al meglio il battito cardiaco, sperando che ci fosse davvero qualcosa da percepire.
Sgranò gli occhi rendendosi conto che, seppur quasi inesistente, il battito veniva scandito.
A quella presa di coscienza, cercò come meglio poteva di portarlo con sè in un luogo sicuro, cercando di sollevarlo un minimo senza aggravare di troppo il peso che avrebbe percepito sulle proprie spalle, sulle quali poggiò un braccio di lui.
Lo accompagnò come meglio poteva sino ad un reticolo di case in rovina, risalenti a tempi parecchio lontani (2010-2015), per poi infiltrarsi con agilità dentro a quello che pareva solo che un edificio distrutto.
Spostò un paio di lastre in pietra, all'apparenza molto pesanti, liberando una via, per poi farci passare prima il corpo privo di sensi, poi se stessa, ed infine ricoprire il tutto nel più assoluto silenzio.
 
Bastava uno scricchiolio di troppo, in quella zona logora, per dichiararsi morti.
 
Dopo avere percorso un labirinto scosceso giunse infine a quella che fungeva da porta per il nascondiglio dove lei viveva. Ci entrò e non appena avvertì l'aria dell'esterno cessare di soffiare, non potè fare a meno che tirare un sincero sospiro di sollievo.
"Salva... Anche stavolta..." mormorò dunque per poi concentrarsi nuovamente sul corpo ed adagiarlo con cura su un tavolo quasi completamente sgombro.
Guardò il ragazzo appena tratto in salvo torva, per poi dirigersi in un'altra stanza, alla ricerca di quella sorta di ragazzi di cui si era con il tempo circondata, che non era nemmeno lei certa di potere chiamare 'coinquilini'.
 
"Ehy, ragazzi siete per caso..." si bloccò, avvertendo una lama sfiorarle il collo ed un braccio afferrarla da dietro.
"Vivere o morire?" domandò la voce mantenendo un tono minaccioso, quasi un sussurro impercettibile se non dalla vittima.
"Geoff, di sto passo l'unico a morire sarai tu..." ironizzò  la ragazza riconoscendo lo scherzo dell'amico che abitava insieme a lei e ad altre cinque persone. Erano ancora troppo pochi, purtroppo e il loro 'obbiettivo finale' era ancora lontano dall'essere raggiunto.
"Calma, calma... Non fa male a nessuno scherzare ogni tanto, sai Gwen?" fece il ragazzo biondo, alto e sulla ventina che lei conosceva da ormai circa due anni. Era una delle persone delle quali si fidava maggiormente, insieme alla sua ragazza, Bridgette, divenuta ormai quella che aveva sentito definire 'migliore amica'.
"Se lo dici tu..." mormorò la ragazza allusiva stringendo le spalle con noncuranza, per poi dirigersi in cucina, seguita dall'altro che aveva notato in lei una sorta di urgenza.
 
Come immaginava, trovò tutti intenti a pranzare con il poco che erano riusciti a procurarsi negli utlimi giorni cacciando e rubando.
L'acqua era poca, ma per il momento sapevano dove trovarla ed il cibo... Beh quello non era mai stato tanto e per lei non risultava dunque un problema, mentre gli altri, loro erano coloro a soffrirne maggiormente.
Non appena entrò, tutti alzarono lo sguardo verso di lei, che vestita dei suoi tipici jeans poco più corti del ginocchio ed una canottiera bianca, decisamente vecchia, faceva non poco rumore con i propri scarponi assolutamente maschili e nati per essere comodi, sul legno del pavimento ormai marcito.
La casa dove vivevano non era decisamente delle migliori: buchi qua e là, pavimento in rovina, soffitto in condizioni anche peggiori, eppure in tutta quella zona era certa fossero ben pochi altri i luoghi a quei livelli di comodità.
Alle volte si rammaricava di doverli fare vivere in quelle condizioni, ma poi si ricordava che c'erano altri che, vivendo ben meglio in passato, erano giunti a morire per mano dei cannibali che abitavano le zone circostanti.
 
"Bentornata Gwen!" la salutò Bridgette raggiungendola ed abbracciandola. L'altra ricambiò in un sorriso, che in sua presenza si sentiva costretta a sfoderare.
"Ciao... Devo farvi vedere... Una cosa" fece poi lei dopo qualche minuto in cui tutti avevano inziato a prestare seria attenzione.
 
"Era ridotto in questo stato?" domandò Noah, un ragazzo di un paio di anni più vecchio di Gwen, decisamente più istruito in medicina rispetto agli altri. Stava analizzando con attenzione a apprensività il ragazzo ritrovato da lei.
"Esatto" asserì la ragazza tenendo le mani in tasca e scuotendo il capo dall'alto verso il basso un paio di volte.
"Ed è precipitato dal cielo?" incalzò Dj, facendo voltare la ragazza decisamente dark, verso di lui, la quale formulò un nuovo cenno d'assenso in risposta.
"Per un attimo ho creduto fosse precipitato dalle ferrovie sopraelevate, ma poi ho riflettuto e credo sia impossibile, no? Chi mai salterebbe da un treno... E nella Desert_Zone oltretutto!"
"Effettivamente è poco probabile... E poi è stato prima ferito" aggiunse Noah indicando le braccia incrostate di sangue rappreso, poi il volto, rovinato da qualche graffio, due dei quali -i più profondi e preoccupanti- sullo zigomo destro e sul sopracciglio sempre di destra.
"Una sorta di tortura?" riprese quel giovane ragazzo che si stava cimentando come medico.
"Lo credo anche io... Possibile che abbiano iniziato a torturare i condannati e poi... A farli precipitare?" fece Gwen disgustata di quelle orribili azioni, poggiandosi ad una parete a braccia conserte.
 
Chiunque vedendola avrebbe notato la sua eccessiva sicurezza in tutto. Si destreggiava con molta meno paura rispetto ai compagni, che tintinnavano parecchio alla sola idea di uscire durante la giornata.
 
"No, no, ragazzi..." esordì Heather, una ragazza dai capelli neri ed i lineamenti orientali, osservando con attenzione il ragazzo.
"Lui non dovrebbe essere qui" concluse poi, lasciando i presenti di stucco, confusi e spaventati al medesimo istante.
"Che intendi?" fece Scott, il ragazzo che più di ogni altro somigliava a Gwen. Aveva ventidue anni, era alto ed i suoi capelli erano di un colore ramato assolutamente incantevole.
"Osservate... Gli abiti che indossa... Noi, quando siamo stati esiliati qui, siamo stati prima cambiati d'abito, ricordate? Le divise grigie e nere" asserì certa la ragazza, riportando alla mente pensieri che molti avrebbero preferito dimenticare.
"Vero... Mentre lui indossa abiti comuni. Una canotta ed un paio di jeans. E' precipitato per errore" fece Geoff come un eco, avvicinandosi ancora di più al corpo del povero ritrovato.
"Il Governo ha delle crepe?" domandò Scott ironizzando "Questo non andrà affatto bene a quegli idioti..." aggiunse poi guardando il ragazzo steso di fronte a lui.
"Dovremmo ucciderlo" mormorò poi severo ed altezzoso, lanciando una fugaca occhiata a Gwen, che capiva perfettamente il suo ragionamento.
"Cosa?" domandò Bridgette palesemente confusa da quelle parole tanto truci.
"Non ci sono molte scelte... Fattelo spiegare dal capo" disse Scott pacato indicando la dark che, ancora poggiata alla parete infondo alla stanza, cercava la soluzione migliore per tutti.
"E' così, Gwen?"
"Il fatto è che..." esordì la ragazza interpellata mentre il rosso, infastidito dalla situazione lasciava la stanza "Quando si risveglierà che farà? Con quale certezza sappiamo che il Governo non verrà a cercarlo? Infondo se non sbaglio, esso non ammette errori, e lui è un errore indubbiamente"
"Certo, ma... Uccidere? E' orribile"
"Lo so che è orribile, ma che altro possiamo fare?" domandò spazientita la ragazza, alzando le braccia al cielo.
"Aspettiamo per lo meno che si svegli, così da spiegargli il motivo per il quale deve morire..." rispose Bridgette dopo un attimo di silenzio, sapendo che Gwen non era un'ingenua e che se ragionava in un determinato modo, c'era una palese ragione per farlo.
"Molto bene, faremo così. Nessuna obbiezione" fece secca la dark per poi congedare tutti, rimanendo sola con il corpo in quella stanza.
 
I giorni si susseguirono come al solito.
Il primo.
Il secondo.
Il terzo.
Il quarto.
 
Poi... Il risveglio.
 
Era mattina. Da giorni Gwen si appisolava al capezzale di quel ragazzo, in attesa che esso si svegliasse, così da potere porre un termine a quella folle  gestazione che avevano deciso di tirare avanti. Nei giorni trascorsi aveva affidato a Scott, esperto quanto lei, il compito di procurarsi cibo ed acqua e lei era rimasta quasi sempre a digiuno.
Non aveva mai meditato un omicidio.
 
Anche se effettivamente non era da considerarsi tale.
Aveva una scelta da compiere e se per salvare quei molti bastava sacrificare quell'uno, allora sarebbe stato giusto, no?
Non importava la risposta, siccome la scelta era già stata compiuta giorni prima.
 
Aprì gli occhi svogliatamente e lentamente, con il pensiero totalmente annebbiato e ricordi nitidamente assopiti. La testa pulsava ed un odore acre gli giunse immediatamente alle narici.
"Si sta svegliando..." mormorò Gwen osservandolo muoversi spossatamente. Era curiosa, doveva ammetterlo, di vedere cosa celasse il suo sguardo, e si maledì di tale orribile vizio.
Se non avesse mai osservato i suoi occhi azzurri come l'oceano che le era stato sempre negato di vedere se non in dipinto, non si sarebbe mai trovata nelle condizioni di non riuscire a sparare.
Puntò l'arma sulla sua nuca, pronta a premere il grilletto, ma senza la forza per farlo.
"D-Dove sono?" la sua voce, confusa ed impastata dal lungo sonno, come quella di un bambino. Eppure lui pariva più maturo di lei.
Gwen non rispose, non chiamò nemmeno a raduno gli altri suoi compagni, decisa a portare a termine quella missione da sola, infondo... Non era nulla di che, giusto?
"C-Chi sei?"
Lei non aprì bocca.
"Vuoi uccidermi? C-Che ho fatto?"
Solo allora decise di parlare, di mormorare qualcosa e di dovergli una spiegazione "Io, Gwedoline Carter, devo ucciderti. Per il bene di molti devi dare la tua vita... Per fare in modo che noi sopravviviamo..."
"Siete stata mandata dal Governo?" domandò il ragazzo non opponendo però alcuna resistenza, mantenendosi calmo di fronte alla canna della pistola che per poco non gli sfiorava la fronte.
La ragazza negò distorcendo la bocca in un'espressione di genuino disgusto "Realmente non sai dove ti trovi?"
"No... Davvero. Mi hanno drogato? Ho disubbidito? Non sono stato io a fare esplodere quella bomba" inquisì pur non parendo minimamente agitato, mentre l'ultima frase parve alla ragazza solo che una scusa incomprensibile.
"Di che diavolo parli? Zitto!" lo riprese dunque non smettendo mai di puntarlo, già con la carica inserita.
"Vuoi sapere dove ti trovi? Sei nella zona dei dimenticati, il cimitero dei non-defunti, dove se decidi di vivere significa che sei il più intenzionato a morire..." sussurrò allusiva la ragazza, mentre per la prima volta sul viso dell'altro iniziava a delinearsi un'espressione differente dalla indifferenza di poco prima.
"La Desert_Zone" mormorò senza fiato lui.
 
Si alzò d'improvviso, raccogliendo ogni energia a lui rimastogli e sferrando un colpo sul braccio teso della ragazza, facendole cadere l'arma dalle mani. Si alzò dunque in piedi, intento a bloccarle i movimenti afferrandole le braccia, ma lei, furba e svelta a ragionamenti, si abbassò immediatamente, colpendolo alle caviglie, facendolo cadere.
"Vuoi giocare?" lo schernì poi non appena fu a terra, pronta a colpirlo nella schiena con la suola della scarpa, ma lui la fermò rialzandosi velocemente.
Gwen lo colpì allora allo stomaco, facendolo visibilmente barcollare, ma ciò nonostante, lui proseguì con il combattere, testardo nell'arrendersi.
La ragazza iniziò a sfoderare più colpi, tutti assolutamente ben studiati, ma l'altro riuscì a schivarne la gran parte, facendole perdere presto il fiato rimastole.
"Arrenditi criminale.." mormorò lui, con la fronte imperlata solo che di qualche goccia di sudore.
"Criminale io?" rispose lei colpendolo con un calcio dietro la schiena, facendolo tossire rumorosamente.
 
"Non sai per cosa è nata la Desert_Zone, ragazzina?" domandò il ragazzo dopo interi minuti di silenzio. Gwen era riuscita a fermarlo grazie ad un paio di colpi ben assestati allo stomaco, e lo aveva poi legato con una fune abbastanza grossa, ad una sedia nella stanza.
Lui aveva riso di fronte alla spavalderia di quella stupida, ed aveva proseguito con i suoi tentativi di schernirla, nonostante lei non se ne fosse curata affatto.
"Per fare abboccare illusi come te alle menzogne del Governo!" rispose certa lei.
"Il Governo è giusto"
"Ahaahaha! Raccontane un'altra razza di imbecille! Se quell'orribile organizzazione del Governo è giusta, non voglio sapere cosa sono io... O i miei amici! Quando 22 anni fa il Governo salì al potere con la sua squallida dittatura, dopo avere causato centinaia di morti, i miei genitori vennero buttati dentro questa orribile prigione, senza ritegno! E tutto questo perchè sostenitori di una libertà giusta! Realmente giusta!"
"La Desert_Zone è stata cretata per voi... Non avete altro da meritarvi"
"La Desert_Zone è un continente andato distrutto dalla stoltezza dell'umanità, senza più le condizioni decenti per vivere, se non a spese altrui! Il caldo è perenne e tutto attorno è praticamente deserto! La Desert_Zone è stata causata dal riscaldamento Globale, e il Governo l'ha solo che recintata ed adibita a prigione, o cimitero, come preferisci" concluse ironica la ragazza, mantenendo la propria espressione di riluttanza.
"Coloro che disobbediscono devono essere puniti"
"Tu non hai la più vaga idea di cosa significhi venire realmente puniti... Vi raccontano storie, là, vero? Oltre questi recinti..." domandò Gwen cercando il suo sguardo cristallino.
"Ovviamente." asserì seccato l'uomo.
"Beh, qualsiasi cosa vi venga detto, non può che essere anni luce distante dall'orribile realtà. Qui non si giunge alla redenzione, ma alla follia"
"Anch'essa meritata punizione..."
"Ah, davvero? Giungono bambini! Sapevi questo? Bambini anche di cinque anni... E nessuno sopravvive. Io ne ho salvati tanti, ma in breve muoiono"
A quelle parole, il ragazzo non potè non perdere per un inastante la propria certezza, per poi tornare con lo sguardo severo.
"E ti interessa sapere come muoiono?" incalzò la ragazza, più sicura che in precedenza ed al medesimo momento aborrata della realtà che li circondava ogni giorno. 
Lui non rispose, cercando di rimanere impassibile.
"Mangiati da esseri umani" sputò lei inviperita, prendendosela proprio con il ragazzo che le stava di fronte.
"E la colpa è solo di questo squallido Governo! Non capite davvero quanto sia dittatoriale? Le condizioni in cui ci portano? I poveri, le vittime, e le non. Siamo tutti qui, in un deserto ricoperto di rovine e morti. Ora puoi dirmi chi è il vero mostro... Noi che siamo qui o coloro che portano le persone qui" concluse lasciando la stanza, sull'orlo di ucciderlo, perchè era certa che lo avrebbe fatto a breve.
Quel ragazzo aveva tentennato, sì, ma non aveva avuto il coraggio di risponderle fervidamente quanto lei, ed era pronta a giurare nascondesse ancora qualcosa, ecco perchè era ancora vivo.
Aveva combattuto in modo meccanico e conciso, e doveva conoscerne la ragione.
 
"Spiegami come sei arrivato qui" gli disse guardandolo.
Era legato a quella sedia da ormai cinque ore, ed era sopravvissuto gli scorsi tre giorni per mezzo di flebo procurate da vecchie razzie, non poteva rimanere lucido a lungo, o per lo meno così lei sperava.
Lei si trovava su un'altra sedia, esattamente di fronte a lui, a pochi centimetri di distanza.
"Un'esplosione" fece secco il ragazzo, muovendo un istante il capo così da spostare il ciuffo di capelli verde che doveva essere stato in passato una cresta.
"Sulle ferrovie?" domandò lei concisa.
"No"
"E dove... Spiegami, dannazione"
"Vorrei essere trattato più gentilmente... Sai, ho fatto a botte con una donna, anzi una bambina ed ho perso... Sono profondamente ferito" fece ironico il ragazzo sorridendole strafottente, come non capisse la gravità della situazione.
"Il tuo smisurato ego può aspettare, fidati. Ora parla" lo riprese lei mostrandogli una bottiglia d'acqua, di cui  lui era certo necessitasse, ed effettivamente non si fece pregare troppo.
"Stavo facendo da scorta, su un aereo privato" esordì pacato "Eravamo cinque passeggeri compreso me. Pilota, co-pilota, me ed un paio di ministri del Governo"
Lei annuì, facendogli capire che stava ascoltando attetamente, e lui proseguì.
"Ad un certo punto, è esplosa una bomba, nell'ala sinistra. Io ero seduto a destra e non appena ho visto l'aereo praticamente  sventrato, mi sono alzato e sono andato verso la cabina dei piloti, ma loro non c'erano."
"Come 'non c'erano'?"
"Probabilmente erano loro i ribelli. Devono avere appostato loro le bombe e poi devono essersi buttati con dei paracadute" rispose lui guardando il pavimento, cercando di ricordare il più possibile.
"Poi?" incalzò lei.
"Poi..." fece lui imitando il suo tono di voce persistente "Sono tornato dove si trovavano i ministri, per vedere se stavano bene. Stavamo precipitando, me ne sono reso conto e ho visto che uno dei due era ferito, coinvolto dalla prima bomba. Allora sono tornato nella sala dei piloti e ho cercato di riallinearlo, insomma... raddrizzarlo" spiegò lui gesticolando con una mano, imitando l'inclinazione dell'apparecchio.
"Non ci riuscivo. Un'ala era esplosa, non c'era nulla da quel lato, quindi era impossibile. Poi ad un certo punto 'bum!' l'altra ala andata. A quel punto tentare di governare l'aereo era una follia, quindi sono tornato di là ed ho visto che l'ala destra era stata caricata con un esplosivo più potente e beh... Il ministro era morto. Era assolutamente morto. Mi sono avvicinato e mi sono ferito con alcuni vetri. Poi ho realizzato che saremmo morti tutti." si fermò un istante.
"Allora ho capito che avevo molte più probabilità -seppur vane- di vivere, atterrando fuori dall'aereo e poi potevano esserci altre bombe e allora mi sono buttato fuori dal finestrino, ferendomi a causa delle schegge di ogni genere... Il resto buio" concluse guardandola.
"Allora sei davvero un errore." mormorò Gwen guardandolo attentamente riferendosi al fatto che quel Governo che ai auto-definiva perfetto aveva erroneamente mandato un innocente della Desert_zone "Ti verranno a riprendere"
"Ne dubito" sorrise amaramente lui lanciando uno sguardo al cielo "Ci daranno tutti per morti"
Lei gli lanciò la bottiglia d'acqua in un sorriso strafottente. Lui l'afferrò al volo, allungando le braccia, siccome aveva il busto intrappolato nella fune.
"Dubiti del tuo amato Governo?" lo schernì lei.
"No." disse lui dopo avere ingerito quasi tutta l'acqua che era nella bottiglia "Il Governo è giusto, ma chiunque vedendo quell'apparecchio penserebbe alla morte di ogni ospite... E poi nessuno entrerebbe mai nella Desert_Zone"
"Sei uno stupido" fece lei alzandosi in piedi.
"Sei cieco. Il Governo è orribile e tu non lo capisci... Siamo sotto una dittatura spaventosamente severa, che condanna i poveri a morte in un luogo desolato e colmo di criminali, come puoi non biasimarlo?"
"Condanna i criminali e coloro troppo impuri perchè possano trovarsi dove stiamo noi..."
"Orribile" fece lei sull'orlo di gridargli contro, fino a che non avvertì dei suoni provenire dal corridoio: Geoff e Scott erano arrivati.
 
"Ehy Gwen... Che succede?" le domandò  il biondo dopo averla guardata bene.
"Indovinate chi si è svegliato..."
 
"Quindi fai parte di una sorta di banda di criminali" esordì il ragazzo intrappolato non appena rivide la ragazza arivare insieme ai due amici.
"Preferiamo chiamarci resistenza" sorrise lei.
"Perchè non lo hai ucciso?" domandò seccato  Scott guardandolo storto, per poi cercare gli occhi di Gwen, che non riuscì nemmeno ad aprire bocca che intervenne il ragazzo.
"Oh, ci ha provato, ma poi abbiamo fatto un po' a botte e alla fine mi ha legato qua. Ora credo di essere sottoposto ad una sorta di interrogatorio..." 
Lei lo fulminò con lo sguardo visibilmente spazientita, per poi tornare agli altri due "Non so che farci. Dice che non lo verranno a cercare ed effettivamente è possibile"
Geoff nel frattempo aveva iniziato ad osservare con maggiore attenzione il ragazzo, avvicinandosi di qualche passo, per poi sgranare gli occhi.
"Gwen, vi siete scontrati?" domandò poi assorto, osservando l'altro legato, ma parlando con la ragazza, catturando la sua attenzione.
"Sì, perchè? Che succede?"
"Lo hai battuto?" incalzò il biondo.
"Sì... Ma che diavolo?"
"Lui è un militare" fece Geoff guardando ora il ragazzo in trappola "vero?"
Lui annuì "Esatto..."
Gwen si avvicinò, cercando lo sguardo del biondo che era arrivato a tale conclusione non capendo, per poi notare dove esso guardasse. 
Una collana dalla forma rettangolare pendeva dal collo dell'ostaggio e, con ben poca grazia gliela strappò.
"Duncan Smitt, grado: sergente, repressore" mormorò lei leggendo con attenzione, per poi passarla a Scott, il quale fece lo stesso della ragazza.
"I repressori sono coloro che si occupano di 'reprimere' il popolo. Possono arrivare anche ad uccidere. E' uno dei gradi più alti in cui si può operare e se sei riuscita a ridurlo in questo stato vuol dire che sei assolutamente valida, Gwen." fece Geoff tornando a guardare lei, la quale sorrise orgogliosa.
"Quindi... Duncan Smitt... Lavori proprio per loro, eh? Che preda fruttuosa che abbiamo" sorrise lei avvicinandosi pericolosamente al ragazzo.
 
"Non ti  sto chiedendo un'alleanza" asserì Gwen guardandolo severa.
Erano passate altre due ore, nelle quali lui era stato sottoposto ad interrogatori infiniti, su come il mondo si fosse evoluto e su come avesse svolto il proprio lavoro durante la sua carriera, durata in totale circa 3 anni.
"Non lo farei mai" proseguì lei sorridendogli ironica, ormai spossata quanto lui di dovere parlare con quel ragazzo strafottente, in errore e malvagio quasi qanto il Governo con ogni probabilità.
"Semplicemente potresti rimanere con noi... Se ti interessa vivere. Siamo cinque al momento e da quel che ho capito non hai intenzione di fuggire-" "Non ho detto che non ne ho l'intenzione, ma che sarebbe impossibile" la interruppe lui scrutando gli occhi di lei, color ebano.
"Beh, quindi, resta con noi. Abbiamo bisogno di aiuto e nuovi membri alla resistenza possono essere utili."
"Non sono un idiota... Siete contro il Governo ed è palese che il vostro obbiettivo sia proprio abbattere esso." fece il ragazzo inclinando di lato il capo ed assottigliando gli occhi.
"Non mi dire Sherlock..." lo schernì lei guardandolo dritto negli occhi per poi riprendere "Comunque, siamo ancora lontani da tale obbiettivo, perciò non dovrebbe preoccuparti. Al momento l'interesse permane  la sopravvivenza. Non tutti sanno combattere... Non nel corpo a corpo per lo meno. Devo proteggerli" mormorò lei, per la prima volta dimostrandosi fragile ed interessata, mentre pensava alla salvezza di Bridgette e Heather, quest'ultima arrivata da pochi mesi. Oltretutto nemmeno Noah, per quanto fondamentale al gruppo, aveva mai realmente fatto molto. 
Coloro che pensavano ad uccidere erano lei, Scott e Geoff, mentre per le razzie varie si occupavano tutti.
Lui tentennò un istante, analizzando la folle prospettiva di proseguire da solo, per poi cercare la figura di lei, chinata in avanti che guardava a terra. Per la prima volta la vedeva seriamente abbattuta e doveva ammettere che non si aspettava per nulla quella visione.
"Ok..." fece dopo qualche istante con la voce mozzata "Lo farò"




---Angolo dell'autriceee ♥
Ciao a tutti ^^ Immagino nessuno si ricordi di me, ma me ne farò una ragione ahahah
Non scrivo una Long in questa sezione (Total Drama e DxG) da un sacco di tempo, anche se ultimamente ho pubblicato una mini OS :'D
Coooomunque... Spero che l'idea di base vi piaccia :D mi è venuta in mente ieri e sapete... BUM! Gwen una mega combattente in una resistenza e... BUM! Duncan un militare stra figo xD
ok, ci siamo capiti ahhahah
Immagino si sarà notato che al momento di struggente c'è ben poco, ma forse un capitoletto o due sulla nostra coppia preferita (la mia per certo u.u) non se lo perde nessuno hahaha
E... Recensite per favore ^^ e fatemi sapere se dovrei continuarla o meno visto che ho anche altre due long all'attivo :'D 
Un bacio!

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Capitolo 2
*** Desert_Zone cap.2 ***


Desert_Zone


Cap.2
 
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"Lui è Duncan Smitt, un sergente al servizio dello stesso Governo. Non è dunque da considerarsi un alleato, affatto. Resterà però con noi" sancì Gwen presentando a  tutto il gruppo, che aveva riunito pochi minuti prima, il ragazzo ritrovato.
Scott e Geoff rimanevano scettici sulla scelta compiuta dalla ragazza, ma al medesimo tempo silenziosi sapendo di non potere contrastare tale decisione.
"A che scopo?" domandò Bridgette dopo averlo osservato qualche istante con attenzione. Lui rimaneva alle spalle di Gwen, in attesa di essere presentato con dovere a tutti. Era appena stato liberato dalla propria prigionia legato ad una corda, dopo avere passato in quelle condizioni anche la notte.
"Le risorse stanno finendo. Abbiamo bisogno di più persone in grado di cacciare e più persone in grado di proteggerci, visto che con ogni probabilità i folli andranno alla ricerca di ogni tipo di carne" rispose allusiva la dark riferendosi alle disperate abitudini acquisite da alcuni abitanti della zona: un tragico cannibalismo.
Gli atri annuirono a quell'affermazione, mentre Noah scettico fece un passo avanti prima di prendere parola.
"Come sappiamo che non cercherà a breve di ucciderci?"
"Non ha intenzioni ribelli. Si è arreso alla Desert_Zone e perciò il suo obbiettivo è sopravvivere" rispose nuovamente Gwen, lanciando una breve occhiata al ragazzo alle sue spalle, controllando che asserisse.
"E in ogni caso, se dimostrasse tali comportamenti, non dovrete fare altro che dirmelo, ed esso morirà per mano mia" sorrise poi sempre lei, estraendo da una fodera collegata alla cintura, un pugnale decisamente minaccioso.
"Potete andare" congedò poi tutti Scott, dopo qualche istante di silenzio, uscendo anche lui dalla stanza dove si trovavano, lasciandoci all'interno solo che Gwen e Duncan ed il loro assolutamente noto astio.

"Che presentazioni degne di nota... Non so se conosci i fondamentali della buona educazione..." esordì dopo un paio di minuti Duncan, squadrando ironicamente la ragazza che stava risistemando l'arma estratta poco prima.
"Nessuna di esse parla dell'estrazione di un pugnale" concluse poi.
"Dovevo tranquillizzarli. Qui dentro tu sei il nemico, ed effettivamente anche all'esterno. Sei stato fortunato ad incontrarmi" fece seccamente la ragazza per poi incamminarsi verso il corridoio, seguita da lui.
"Fortunato? Non penso"
"Se non ti avessi salvato ora saresti morto. Probabilmente sventrato, oppure, nella migliore ipotesi, decapitato" disse la ragazza.
"Mi hai salvato tu?" domandò poi Duncan seguendola mentre saliva un paio di rampe di scale. La casa tutto sommato non era piccola come pariva all'apparenza, ma infondo doveva averlo capito notando quante persone ci vivevano.
"Sì. Ho verificato fosti vivo e ti ho portato qui" rispose Gwen sinceramente.
"Beh... Grazie" sorrise lui, come non ricordasse dove si trovava nè tantomeno la situazione palesemente critica in cui era capitato.
Lei si voltò verso di lui, pronta per rispondergli con il suo tipico e saccente tono di voce, ma non appena vide il suo volto illuminato da un sorriso, non potè fare a meno di sussultare ed imbarazzarsi. Nessuno aveva mai reagito così quando li salvava dalla Desert_Zone: i più cadevano in disperazione, per poi rimanere in una sorta di stato di completa indifferenza sino alla realizzazione dell'eventualità di sopravvivere in una paradossale normalità.
Abbassò il capo, per poi mormorare "Non è stato nulla di che"
"Ti mostro la casa" fece poi tentando di tornare severa "Seguimi"

Camminarono attraverso numerose stanze, delle quali lei gli illustrò la funzione. Glì mostrò i bagni  e le camere da letto dei coinquilini, per ultima quella di lei ed infine la sua.
"Dormirai qui. E' una stanza abbastanza piccola, ma ti adatterai. Per i vestiti, c'è una stanza con più cambi, tutti trovati qui nella Desert_Zone. I più sono logori e macchiati di sangue, ma ti adeguerai anche a questo" concluse infine lei aprendo la porta della stanza ed entrandoci insieme a lui, il quale annuì osservandosi attorno ed analizzando ogni angolo del luogo in cui si trovava. Le finestre erano barricate e tutte le luci che illuminavano la casa -aveva notato lui- erano prodotte per mano di numerose candele.
"Immagino sia severamente vietato aprire questa" fece poi indicando la finestra. La ragazza annuì seria, per poi avvicinarsi a lui.
"Se qualcuno vedesse degli abitanti all'interno di questo edificio, potremmo dichiararci morti. Fortunatamente l'entrata è nascosta da alcune macerie antiche, ma dobbiamo stare comunque attenti a ciò che facciamo"
"Capito" asserì Duncan annuendo velocemente per poi domandare "Questa costruzione, cos'era in passato? Una villa o-" "Un condominio. Un tempo, da quello che ho capito dai vari racconti uditi, qui si trovava parte di un continente estremamente civilizzato ed avanzato, che ora non esiste più a causa del riscaldamento globale. Qui vivevano moltissime persone e vennero costruiti edifici con al proprio interno numerose piccole case" lo interruppe guardandolo, per poi osservare la porta "E' una fortuna avere trovato questo posto. Quando saremo abbastanza, con ancora la forza di resistere, sconfiggeremo quell'assurda e disgustosa minaccia che è il Governo" concluse poi corrucciando lo sguardo ed uscendo, non volendo udire la risposta di lui a favore di quell'orribile istituzione, che era certa, non sarebbe  tardata ad arrivare.


"Gwen... Il cibo sta seriamente scarseggiando" le riferì Scott dopo averla presa da parte in un luogo sufficientemente appartato perchè nessuno nella casa li sentisse.
Lei sussultò preoccupata, per poi cerare nei suoi occhi una sorta di appiglio, una speranza di poterli ancora salvaguardare tutti quei ragazzi che avevano negli anni deciso di salvare.
"Sono appena stato in giro e... Il caldo aumenta e i criminali si fanno più recettivi" si giustificò rosso mostrandole una ferita ancora sanguinante sul braccio, probabilmente che si era appena procurato.
"Chi è stato?"
"Un uomo sulla trentina con una lastra di vetro, probabilmente frantumata da una finestra" spiegò lui stringendosi le spalle in un senso di ignoranza, mentre con una mano cercava di rallentare il sangue che gli fuosriusciva dall'avambraccio.
"Dovresti medicarti" gli disse Gwen osservando quel liquido vermiglio colare sino al pavimento, ma lui scosse la testa negando.
"Non è niente, Non è profonda la ferita, è solo un graffio, davvero. Il vero problema è il cibo"
"Va bene... Tra un'ora andiamo ad ispezionare insieme, ok? Dobbiamo trovare della carne e del frumento per lo meno." fece la ragazza analizzando ciò che maggiormente servisse loro.
"Gli animali stanno morendo assiderati, e vengono immediatamente razziati... Il solo luogo dove trovarli è..." si fermò allusivo, facendo capire immediatamente alla ragazza, la quale annuì d'accordo.
"Benissimo. Quanto staremo fuori? La strada è lunga sino là" domandò Gwen, che non si avventurava in tali zone da anni ormai.
"Un giorno intero per certo. Ci conviene partire la notte a parer mio" rispose Scott.
La ragazza annuì "Allora va bene. Ci sono sufficienti scorte perchè riescano sopravvivere anche una settimana, senza contare noi, ma sarebbe conveniente portare qualcun altro"
"Geoff?" ipotizzò il rosso.
"No, lui no. Bridgette ha bisogno di una figura presente al proprio fianco." asserì Gwen, certa che l'amica non fosse pronta a stare per troppo tempo lontana da una figura importante come lui.
"Il militare! Lui è perfetto!" eclamò poi sempre lei, realizzando che sarebbe stata la miglior occasione per testare le sue capacità e doti.
"Cosa? Ma è un completo tuffo nel vuoto" si ribellò Scott negando con il capo, ma lei non ascoltò.
"E' la sola possibilità. Ha un addestramento alle spalle"


Il giorno dopo, non appena il sole era sorto avevano nuovamente riunito tutti, pronti ad illustrare loro il motivo del loro breve quanto pericoloso viaggio. Gwen e Scott erano al centro della stanza, mentre tutt'attorno gli altri rimanevano in attesa delle parole che i due dovevano loro.
Fu Scott ad esordire, mantendosi severo e a braccia conserte "Io e Gwen partiremo per una spedizione alla ricerca di cibo. C'è un luogo in cui siamo abbastanza certi ce ne sia."
Immediatamente un vocio iniziò ad inondare completamente la stanza e fu la ragazza, questa volta a riportare l'attenzione su di sè. Fece sbattere a terra un paio di volte una sedia, riuscendo ad ottenere nuovamente l'attenzione di tutti.
"Fate silenzio!" esclamò poi. Duncan entrò in quell'istante, con eccessivo ritardo a parere dei due che al centro della stanza, stavano spiegando al meglio la situazione.
"Purtroppo questo posto è distate un paio ci giorni circa e quindi ci assenteremo per qualche tempo" disse la ragazza con calma.
"Cosa? E se perdeste al vita?" incalzò Dj, realmente preoccupato, prendendo la parola al posto di molti.
"Non accadrà nulla, davvero. Io e Scott, in passato ci siamo già avventurati in quei luoghi. Potete fidarvi, e poi non saremo soli" proseguì spiegando Gwen, per poi lanciare uno sguardo verso il militare, che infondo alla stanza ascoltava il discorso con falsa attenzione.
"Ci accompagnerà Duncan Smitt" concluse poi, concquistando l'attenzione del diretto interessato, il quale sussultò un istante, per poi dirigersi verso i due.
"Che è questa storia?"
"Abbiamo bisogno di aiuto in questa missione, e se non sbaglio tu sei stato addestrato" rispose Gwen, mentre Scott continuava ad esporre la situazione al resto dei ragazzi.
"Non mi avete chiesto nulla" mormorò in risposta il ragazzo, minaccioso.
"Non era nelle nostre intenzioni farlo. Che tu lo voglia o no, verrai con noi" precisò con franchezza la ragazza, delineando con le sue ben affilate unghie, il fatto che a comandare in quel centro di morte, fosse lei, e che il ragazzo non detenesse alcun potere se non quello di obbedire.
Nel frattempo la sala si era fatta vuota, eccetto per Scott e loro due, che dovevano apprestarsi a partire non appena il sole sarebbe calato.

"Devi venire, così da porterci effettivamente mostrare cosa sei in grado o meno di fare. E' fondamentale sapere quali sono i tuoi livelli! Devo spiegartelo nuovamente? Forse tu non te ne sei ancora reso conto, ma ci troviamo in una situazione completamente fuori controllo! Assassini di ogni specie, ladri e non solo si aggirano in questi deserti!" lo richiamò Gwen spazientita cercando di trattenere quelle emozioni da 'debole' come il timore e l'apprensione verso quelle persone che con gli anni aveva imparato ad amare sempre più e mostrandosi più dura ed inaccessibile di una roccia granitica, dopo interi minuti in cui lui aveva ribadito come non collaborasse con loro, ma preferisse semplicemente la propria vita alla morte.
Scott era andato a prendere ciò che sarebbe necessitato loro durante quella breve spedizione, ed era appena riapparso portando tra le mani pugnali e pistole varie.
La ragazza lo raggiunse, infilando un paio di coltelli in delle fodere che erano state cucite con maestria nella cintura, per poi lanciare una pistola a Duncan, il quale la afferrò al volo guardandola stranito.
"Che hai ora?" incalzò la ragazza.
"Sono antiche." rispose il militare osservando le armi, assolutamente superate rispetto a quelle che era solito ad usare durante il proprio lavoro.
"Naturale, no? Chi introdurrebbe armi qui dentro? Quelle che abbiamo risalgono ad anni fa, quando ancora questo era un continente abitato" mormorò la dark legandosi i capelli che le ricadevano lunghi sino al sedere, in una lunga coda.
Duncan la guardò compiere quei gesti assolutamente femminili, che doveva ammettere, non aveva pensato di vedere fare a lei, per poi abbassare lo sguardo semplicemente, notando di essere osservato di sottecchi dal rosso. Scott.
"Andiamo" asserì poi lei non appena ebbe fatto.

Il tramonto tinteggiava di uno splendido rosso quelle desolate dune sabbiose, sulle quali spiccava ogni tanto, una rovina di un antico edificio, alle volta di un'intera cittadina.
Erano appena usciti, e Scott stava controllando che la zona fosse realmente desolata, e non appena ne fu totalmente certo, fece cenno ai due di seguirlo.

"Dove stiamo andando dunque?" esordì infine Duncan, dopo ormai dieci minuti in cui camminavano mantenendo una cadenza nè troppo veloce nè troppo lenta, completamente ignaro di tutto.
"Al confine" fece Scott non guardandolo nemmeno, ostile più degli altri nei suoi confronti.
"Ma il confine non è-" "Il luogo più pericoloso dell'intera Desert_Zone?" lo interruppe Gwen rubandogli le parole di bocca, per poi proseguire "Effettivamente sì"
"Là ci stanno coloro che ancora non si sono arresi. I più combattivi insomma... Oltretutto la rete che delimita la Desert_Zone è invisibile, ed il rischio aumenta." mormorò la ragazza.
"Invisibile?" chiese il militare sussultando.
Lei annuì, mentre lui la raggiungeva decidendo di camminarle a fianco. Scott davanti a loro.
"Ma è una rete di elettricità... Basta sfiorarla per morire. Se è invisibile allora sarà impossibile"
"Non preoccuparti. Ci sono vari modi per sapere dove è." Cercò di tranquillizzarlo lei, cercando di non dimenticare che, nonostante fosse un suo nemico, quello era anche un povero finito tragicamente in quel luogo di morte e desolazione, eppure le risultava difficile. 
A volte le passava per la mente la possibilità che proprio lui avesse mandato uno dei suoi amici a morire, ed immediatamente doveva allontanarlo da lei per evitare di ucciderlo.
Era uno stupido, su quello non c'era dubbio. Continuava testardamente a favorire il Governo per il quale era tragicamente finito a sacrificarsi lì, e ancora non aveva detto nulla sul fatto che lo disprezzasse... Almeno un minimo.
Eppure al medesimo istante, doveva aiutarlo così che lui aiutasse loro.

Passarono l'intera notte camminando, mentre Gwen rifletteva sulle possibilità più comode e convenienti per proseguire la missione al meglio, decidendo che sarebbe stato decisamente meglio fermarsi per riposare durante il giorno, possibilmente facendo a turno da palo, così che nel caso si fosse verificato un attacco, quell'uno li avrebbe svegliati.

"Qui direi che va bene..." mormorò Scott guardando l'alba giungere, mentre entravano in quello che un tempo, dall'insegna all'esterno, doveva essere stato un negozio di abiti. La porta ormai non c'era più e le finestre erano in parte frantumate, probabilmente a causa di criminali.
Si sistemarono a terra, dopo che Scott fu designato come  prima vedetta, seguito da Gwen ed infine da Duncan, per poi ricominciare a camminare durante la notte, quando la calura andava con il cessare e la fatica con il sentirsi meno.
Nonostante l'agitazione della ragazza fosse palese, di fronte alla prospettiva di potersi riposare, riuscì ad avvertire il tipo sollievo precedente al sonno, così che potesse ritrovare quelle energie che a causa del continuo stress accompagnato sin troppo spesso dall'ansia, venivano costantemente a mancare.

"Gwen..." sussurrò Scott scuotendola leggermente. 
Erano passate cinque ore (così se le erano suddivise) ed ora toccava alla ragazza fare da vedetta, concendendo al rosso il più che meritato riposo.

Aprì stancamente gli occhi, sorridendo non appena vide il volto dell'altro, per poi stirarsi allungando prima le braccia, poi le gambe ed infine alzandosi.
"Ciao..." mormorò poi con la voce impastata, mentre lui ricambiava il suo sorriso.
"Non ho avvistato nessuno..." la aggiornò lui mentre lei controllava l'esterno dell'edificio per poi voltarsi nuovamente verso il rosso ed annuire.
"Grazie mille, Scott"

In quelle ore, la ragazza si ritrovò a riflettere, incastrando nuovamente la sua mente in meandri dolorosi ed insopportabili di ricordi che avrebbe preferito dimenticare, ma che era certa di non poter fare.

"Ti racconto una storia, mia piccola stella..." sussurrò quella bellissima donna, che nonostante la giovane età, aveva il viso rigato da troppi dolori.
La bambina di appena sei anni annuì, pronta ad ascoltare l'ennesima, ma pur sempre bellissima favola che la madre le raccontava commuovendosi alla fine.
"C'era un luogo, qualche tempo fa, dove ogni bambina cresceva sorridendo. Dove si poteva scegliere come vivere e non esisteva questo deserto di paura e sofferenza..." esordì la madre accarezzando i capelli lunghi e neri della bambina con sguardo apprensivo.
"Un giorno però, delle persone cattive vennero dicendo che avrebbero reso quel mondo bellissimo, ancora più splendete, ed all'inizio quasi tutti gli crebbero... Poi lentamente, il popolo si rese conto che le guerre e la paura, anche se lentamente, aumentavano. Ed alla fine capirono che quelle nuove persone giunte dal nulla, erano davvero cattive." sospirò la donna.
"Quindi alcuni sognatori, decisero di combatterle, ma non ci riuscirono e vennero mandati qui..."
"E la storia è finita così?" chiese la bambina d'improvviso preoccupata. 
La donna sorrise malinconicamente, mentre gli occhi le si facevano lucidi, umidi di tristezza e ricordi.
"Mi piace pensare che il lieto fine è solo un po' in ritardo..." rispose poi in un sussurro.
La piccola annuì, ritrovando la gioia di poco prima, per poi riflettere un istante prima di chiedere "Tu mamma, eri nei sognatori?"
"Sì..." asserì la donna mentre la prima lacrima di quelle tante che sarebbero venute in seguito le solcava una guancia.
La asciugò velocemente, ma non fece in tempo a farlo che già il suo pianto era sbocciato anche quel giorno, come il precedente, e quello prima ancora da interi anni ormai.
"Sì, e sappi, piccola mia, che è tutto reale! Che ciò di cui ti parlo è vero ed importante! Ricordalo sempre... E' importante battersi per ciò in cui si crede..."si bloccò, soffocata dal proprio pianto, ormai in balia di esso, ed iniziò a singhiozzare di fronte alla piccola, che inerme osservava la propria madre in quello stato.
Era sempre così...
"Non mi arrenderò mai io, mamma..." mormorò poi la bambina, cercando di sollevarle il morale.
La donna sorrise, cercando di trattenere un sighiozzo di troppo, per poi lasciarle un'ultima carezza sul capo, su quei bellissimi capelli ebano che le ricadevano morbidi sulle spalle.
"Non tagliarli mai..." mormorò poi riferendosi alla sua chioma, per poi andarsene.


"Non mi arrenderò mai..." mormorò la ragazza guardando l'orizzonte, oltre il quale non vedeva altro che quel sole accecante. 
Una lacrima le stava solcando la guancia, e la asciugò non appena se ne rese conto. Non doveva essere debole, le era vietato.
Sospirò poi rumorosamente, avvertendo il respiro sconnesso, probabilmente a causa delle lacrime che poco prima avevano iniziato a salirle, ma che lei con eccessiva fermezza aveva ributtato indietro, ritenendole inutili, per lo meno in quel momento.
"Te lo prometto..." aggiunse in un sussurro, nascondendo il volto tra i palmi delle mani.
Era seduta contro la parete dell'edificio, all'esterno.
"Cosa?" domandò una voce d'improvviso, spaventandola.
Si alzò di scatto, estraendo un pugnale da un fodero e puntandolo dritto al collo di colui che aveva parlato pochi istanti prima, incontrano i suoi occhi cobalto confusi.
In un sospiro di sollievo abbassò l'arma, riponendola dove si trovava in precedenza, per poi tornare seduta a guardare di fronte a sè.
"Duncan Smitt, non fare mai più una cosa simile" lo avvisò poi, non appena ritenne di avere riacquisito la calma persa poco prima.
"Beh... Scusami" mormorò lui raggiungendola al suo fianco, sedendosi.
"E comunque, ti ho sentita parlare e mi sembravi...." si fermò, interrotto da lei che aggresiva cercava di proteggersi "Debole? Beh, ti-" "Triste" la riprese lui immediatamente, ammutolendola.
"Mi sei parsa triste" spiegò poi con calma alzando gli occhi a  quel cielo senza nuvole che li sovrastava completamente.
"Dovresti riposare. Presto dovrai sorvegliare tu" gli disse la ragazza dopo qualche minuto di silenzio, imbarazzata.
"Ho dormito almeno sette ore di fila, non verrò comunque colto dal sonno. E comunque pensavo saresti stata meglio con qualcuno... Anche se probabilmente preferivi quello" fece lui indicando, seppur solo con lo sguardo, Scott.
"Sei un nemico. Non devi fingerti amichevole" mormorò calma Gwen completamente sincera, mentre disegnava con l'indice della mano sinistra, delle figure circolari sul terreno sabbioso a terra.
"E' vero, sono un nemico, ma... Fino a che non ci ritroviamo sui fronti opposti, non credo di dovere comportarmi da tale. Infondo stiamo cooperando per un fine unico, no? Sopravvivere. Ecco ciò che voglio, che volgiamo tutti, qui. Come hai detto tu, un'alleanza è palesemente impossibile, ma la neutralità tra noi, non è un divieto" rispose Duncan, cercando lo sguardo di Gwen, che perse per un istante la sua freddezza, venendo oscurato da una nota di dolore, che scomparve però in breve.
"Per me lo è. Tu non ci capisci... Sei assolutamente in errore, ma non come lo può essere un bambino. E' come quando uccidono la persona a te più cara, e nonostante tu sappia chi è stato, vedi l'altro incolpare un innocente. E' inaccettabile. Se solo tu conoscessi ciò che ci spinge ad essere come siamo, forse sarebbe diverso" spiegò Gwen stringendo i pugni colma di collera.
"Forse se me lo spiegaste..."
"Ma non ho l'intenzione di farlo, ok? Non voglio condividere i miei trascorsi con uno come te! Un folle sadico, perchè se stai dalla parte del Governo, altro non puoi essere... Davvero" sputò infine velenosamente Gwen, guardandolo con gli occhi colmi di genuino odio, che lui non faticò a notare, e che decise di non sostenere oltre.
"Bene. Allora vado" disse infine tornando dentro, a riposare o per lo meno a fingere di farlo, mentre la dark aveva iniziato a camminare avanti e indietro, intenta a frenare il pianto che era certa sarebbe giunto imminente se non si fosse occupata in qualcosa.


Non aprirono più bocca. 
Non fra di loro per lo meno.
Gwen non aveva intenzione di rivolgere la parola a quel militare dittatoriale, ma non aveva invece il minimo problema nel comunicare con Scott, il solo che la capiva completamente all'interno della loro truppa.
Si era pentita non poco nell'aver portato con loro proprio quel ragazzo, ma per lo meno era parso affidabile durante la ronda, ed aveva dimotrato più volte le sua capacità in quanto a furtività. Avevano avvistato solo un paio di criminali, ed evitandoli abilmente non avevano ancora fatto alcun spargimento di sangue, anche se sia Gwen che Scott erano al corrente del fatto che la situazione peggiore si sarebbe rivelata proprio alla meta.

Giunsero al confine l'alba successiva, ed immediatamente i timori dei due abitanti della Desert_Zone, furono palesi anche a Duncan, che osservò la scena di fronte ai suoi occhi esterrefatto ed inorridito al medesimo istante.
La pianura era colma di cadaveri, umani e non, anche se sopratutto umani, ed il fetore era decisamente incisivo.
Alcuni cadaveri erano già che scheletri e null'altro, mentre la maggior parte era in completa fase di decomposizione, ed l'odore di sangue rappreso si amalgamava indecentemente a quello dei tessuti in via di putrefazione.
E anche se la visuale era assolutamente disgustosa, con ossa e pelli lasciati a marcire, ingiallite dal tempo e dall'aria, l'odore non era nemmeno lontanamente comparabile al resto.

Per la prima volta da ormai 24 ore, Gwen si rivolse al militare, che era rimasto fermo di fronte a quell'orrida scena, mentre Scott era già sceso a recuperare quanti più corpi animali possibili, ed ancora mangiabili.
"Questi corpi sono morti a causa della recinzione di elettricità ad altissima carica. Essendo invisibile, sia animali che umani ci muoiono dentro. Solo chi abita qui da tempo è in grado di capire. Solitamente le persone si ritrovano costrette a correre, e oltretutto, se osservi con attenzione, là all'orizzonte si vede il mare." spiegò la ragazza indicando un punto lontano, leggermente più scuro del cielo.
"Quando le persone lo vedono inziano a correre, impazzite, morenti di sete e non solo. E muoiono qui. Fortunatamente ci sono anche molti animali e se sono morti da breve tipo... Qualche ora, possiamo prelevarli" disse questa volta guardando Scott, rimanendo sempre a fianco a Duncan, il quale asserì con un cenno, non nascondendo il proprio disgusto.
"Visto quanto giusto e meraviglioso è il tuo Governo?" lo schernì poi raggiungendo il rosso, e raccogliendo soprattutto conigli, che essendo piccoli erano semòici da trasportare, e sistamandoli in uno zaino.

Dopo qualche minuto di silenzio, un rumore risvegliò d'improvviso i sensi dei tre, che iniziarono a guardarsi attorno.
"Tira fuori la pistola, Duncan" lo avvertì Gwen, sapendo che in quel luogo c'erano le persone meno affidabili e più spietate: coloro che erano sopravvissute alla rete elettrica e  che desideravano davvero vivere.
Il ragazzo obbedì, mentre gli altri due erano già armati di pugnale e coltello, pronti a colpire in un eventuale corpo a corpo. 
"Avanti! Sappiamo che sei qui! VIeni fuori e smettila di nasconderti! Se ci lasci vivere ci prenderemo tutto il tuo cibo e lo sai" gridò Gwen, così da farsi sentire.
"Che diavolo fai?" domandò poi Duncan confuso dal tono di voce incredibilmente alto "Ci vuoi ammazzare tutti?"
"Almeno verrà fuori, stupido! E' molto più conveniente... E poi a questo punto.." mormorò la ragazza rivolgendosi al militare, che aveva già caricato la pistola, pronto a sparare.
"Avanti!" incalzò dopo qualche istante la dark, gridando, per poi vedere un uomo rivestito di stracci e completamente sporco in viso, uscire da un edificio poco distante.
Aveva la pelle completamente sporca di polvere, e quasi non si distingueva il confine tra lo sporco ed il colore della pelle, ormai totalmente invisibile. I denti erano digrignati, come s quello che i tre avevano di fronte fosse un cane randagio e non un essere umano.

Presto aggiunse un nuovo verso a quel primo. Scott si voltò e vide giungere dalle loro spalle un secondo uomo, anch'esso completamente tramutato. Ormai non pariva più un essere vivente, ma una bestia dalle fatture demoniache, completamente folle.
Ne apparvero infine altri due, completamente rozzi, come i precedenti due, che grugnivano come a ripetere un verso animale.

"Avanti, fatevi sotto..." li esortò Gwen fendendo con grazia l'aria con la lama ben affilata del proprio pugnale.
Uno le si scagliò addosso, facendola cadere all'indietro. Iniziarono immediatamente una lotta corpo a corpo, che portò immediatamente la ragazza in vantaggio, in quanto la propria arma era forgiata solo che per la vincita in quei tipi di scontri.
Ferì allo stomacò quell'essere che ormai di umavo aveva solo vaghe fattezze, il quale emise un grugnito di dolore, prima di tantare di afferrarla al collo così da soffocarla, ma lei capovolse velocemente la situazione, ritrovandosi sopradi lui, per poi tagliargli proprio la trachea, così da ucciderlo al più presto.

Nel frattempo Scott aveva intrapreso, anche lui uno scontro corpo a corpo, che vedeva lui in estremo vantaggio. Dopo un paio di colpi ben assestati quella sorta di uomo era piagto in due di fronte a lui, e non appena ne ebbe l'occasione, lo trafisse al petto con il coltello.
Il tutto mentre Gwen aveva raggiunto Duncan, che dopo una breve, ma intensa lotta, aveva già eliminato il primo, sparandogli un proiettile dritto nel cranio, schizzando il suo stesso volto, vista la vicinanza dalla quale aveva sparato.
Ora era attaccato da un secondo.
"Devi eliminarlo! Loro non ci penserebbero due volte! Ormai non hanno nulla di umano! Capiscono malapena il nostro linguaggio e tutto ciò a cui puntano è la tua carne!" lo avvisò Gwen raggiungendolo e colpendo il nemico alle spalle, facendolo tossire rumorosamente.
"Sono cannibali?" domandò quindi il militare sgranando lo sguardo. 
La ragazza annuì severa, iniziando ad evitare ogni colpo che il nemico proseguiva perpetuamente con l'infliggergli, mentre Duncan, poco distante, attendeva solo che lei si allonasse così da sparare al più presto.
Gwen riuscì a ferirlo ad una gamba, così da rallentarlo. Lo spinse leggermente, quel tanto che bastava perchè il militare potesse colpirlo e nel momento in cui sparò, schizzi di sangue andarono a macchiare il terreno, mentre la figura moriva sul colpo.

Passarono interi minuti di silenzio, nei quali tutti e tre cercarono di tornare calmi dopo l'adrenalina che il duello aveva portato, dopodichè Scott tornò ad afferrare gli animali che li avrebbero nutriti per i futuri giorni, prendendo lo zaino, per poi ripartire senza dire una parola, silenziosi, imbarazzati e scossi.

Non era il primo omicidio per nessuno, però.

Chiunque dopo avere ucciso, anche se il nemico non era completamente sano, riflette.
Si trova a riflettere su cose giuste o meno e alla fin fine, anche se l'azione è compiuta per gentilezza, si finisce per biasimarsi, completamente destabilizzato dalle proprie azioni, perchè comunque, colui o colei, tempo prima, in un modo o nell'altro, esisteva, pensava e c'era.
Poi in un colpo, veloce e ben assestato sparisce, senza nemmeno avere un nome.
Aveva una vita, era tutto per lui, la sola cosa per cui combattesse e poi d'improvviso non è che un'ombra sbiadita del tutto. La sua mente, i suoi sforzi, il sudore... Non esiste più nulla che qualcuno ricordi.




---------> Angolo dell'autrice che ha appena divorato (?) una pizza ahhahaha
'Giorno a tutti lettori ^^ mhhh, alla fine ho aggiornato :D
Spero vi piaccia questo capitolo, nonostante non succeda ancora granchè, ma nel prossimo inizieranno a venire alla lice alcuni fatti abbastanza importanti sulla storia e i personaggi c:
Lasciate una recensione se vi va ;) :D

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Capitolo 3
*** Desert_Zone cap.3 ***


Desert_Zone
 
cap.3

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Gwen varcò la soglia di casa emettendo un vero e proprio sospiro di sollievo. Non erano morti ed erano riusciti nel loro intento di raccogliere nuovo cibo, che sarebbe con assoluta certezza bastato per settimane intere.
Non c'erano nemmeno state ferite troppo profonde da rimarginarsi ed era certa di potere perciò definire quella missione come più che riuscita.

Venne immediatamente raggiunta da una Bridgette apprensiva, che con amore l'avvolse in un proprio abbraccio quasi con le lacrime agli occhi, mentre salutò i due con un cenno, il tutto sfoggiando un solare ed ampio sorriso.
"Siete vivi... E' fantastico" disse poi scostandosi un ciuffo biondo che le ricadeva fastidiosamente sugli occhi, oscurandole leggermente la vista.
"Siamo stati via solo tre giorni..." Non potè fare a meno di aggiungere saccente il militare, non comprendendo tutto quel calore, non riuscendolo a giustificare come semplice simpatia. Era troppo preoccupata per una cosa tanto superficiale come una missione così breve.
"Tre giorni nella Desert_Zone non sono come tre giorni nel mondo falsamente agiato del Governo. Ricordalo" gli sputò in faccia Gwen, stizzita da quel suo comportamento di costante superiorità, che lui ostentava con cocciutaggine innata, per poi lasciare la stanza in procinto di lavarsi almeno un minimo da quell'insopportabile sudicio sangue che la impregnava dal combattimento avvenuto al confine. Non aveva ancora rialacciato, sempre se ci fosse stato qualcosa da riallacciare, i rapporti con Duncan.
Nel frattempo, il resto di quella sorta di malconcia resistenza, si era riunito in cucina, dove la sola assente era per l'appunto la dark a capo di quel commando.
"E' davvero moltissimo cibo..." mormorò strabiliato Noah, mentre Dj sistemava ogni animale nella cantina dove il sale ed il ghiaccio li avrebbero mantenuti in buone condizioni.
"Sì... Non credevo potessimo trovarci di fronte a tanta abbondanza" aggiunse dopo brevi istanti Geoff sistemandosi il cappello che era solito a portare.
"Abbondanza?" lo riprese immediatamente Scott, seppur non con cattiveria "Magari. E' qualcosa di temporaneo e fittizio. Là fuori ogni secondo la situazione diviene più critica" aggiunse poi sempre il rosso andandosene.

Duncan rimaneva là, in silenzio, guardando quel branco di ragazzi, tutti così diversi da parire un qualcosa di estratto a sorte, collaborare per un fine unico come il suo, mentre una domanda costante e frequente gli rimbombava nella testa dall'ultima volta in cui aveva parlato con Gwen in modo quasi pacifico.

Se lei era tanto convinta delle proprie prospettive, perchè non ne parlava?

Fu grazie a quel pensiero che trovò il coraggio di prendere la parola attirando l'attenzione di quei ragazzi che avevano iniziato da breve una conversazione nella quale lui aveva solo che evitato di inserirsi, palesemente disinteressato.
"R-Ragazzi... Mi chiedevo una cosa..." esordì quindi Duncan leggermente in imbarazzo mentre tutti iniziavano a guardarlo. Chi con interesse e chi con disgusto, perchè infondo, lì dentro nessuno voleva avere a che fare con il Governo di cui il militare, tanto apertamente, si vantava.
Nessuno parlò, facendogli domande o anche solo zittendolo, così lui tornò a prendere parola "Io qui ci sono finito per sbaglio... Ma voi?"
Il silenzio non osò spezzarsi di fronte a quella tanto aperta domanda che risvegliava in tutti amari ricordi, od almeno così fu fino a che Heather, altezzosa e sgarbata, non fece un passo avanti coraggiosamente.
"Ognuno ha la propria storia. Non vedo perchè tanto interesse..." sibilò semplicemente velenosa, parlando per buona parte dei presenti, che con tacito assenso esortarono la ragazza a continuare, ma Duncan la interruppe.
"Voi dite che sono in torto, no? Spiegatemi dunque..."
"Vuoi davvero mettere in dubbio la tua cieca fiducia nei confronti del Governo?" lo schernì Geoff, avvicinandosi di un paio di passi.
Il militare annuì sospirando, per poi prendere la parola "Mi interessa davvero capire"
Heather annuì a vuoto, sedendosi su una sedia accostata ad una parete della stanza pronta ad iniziare il proprio racconto colmo di ricordi che l'avevano persino fatta piangere nonostante fosse una persona dura e ardua da scalfire. Ma la Desert_Zone terrorizza, e così sempre e per tutti fu.
"Ero una scrittrice di fama mondiale. Heather Nishigawa, se ti dice qualcosa. Se non mi conosci, conoscerai il mio alias, Erika Benson. Era così che firmavo i miei romanzi." sospirò lei introducendo se stessa con malcelata nostalgia.
"Erika Benson? M-Ma eri famosissima! Dissero che eri-" "Che ero morta a causa di un tragico incidente automobilistico, lo so. Dopo il processo mi spiegarono ciò che sarebbe accaduto, così da farmi rendere conto della solitudine che avrei sofferto. Nessuno sarebbe venuto a cercarmi... Avrebbero ricreato un corpo e un'auto in fiamme." fece lei interrompendo Duncan, che basito, non poteva credere di trovarsi di fronte ad una delle persone più famose dei propri tempi.
"Non capisco... Cosa avevi fatto?" domandò il militare confuso, non riuscendo a potere pensare a quella ragazza nell'atto di un omicidio o di un furto. Non colei che aveva vinto un nobel per la pace e vari omaggi alla scrittura.
"Amavo il Governo. Esattamente come te. Durante la guerra in cui esso, tragicamente, vinse, io ero malapena una bambina e non capivo il male che rappresentava. Comunque, sai... Ho scritto vari libri, iniziando da saghe, finendo con tematiche importanti. E conclusi il mio ultimo manoscritto qualche mese fa... Anche se a essere sincera, pare un'eternità." mormorò abbassando lo sguardo e scavando tra i propri ricordi.
"Parlava di indagini svolte da me. Erano interviste e lettere, il tutto sottoforma di brevissimo romanzo, che aveva come protagonista un ragazzino... Beh, sta di fatto che il fulcro di queste informazioni era proprio la Desert_Zone ed il fatto che questo ragazzino fosse stato condannato ingiustamente. Mi minacciarono, dicendomi che avrei dovuto eliminare il manoscritto, ma io rifiutai. Vedevo in esso il prossimo nobel, e beh... Chi mai se lo negherebbe?" ci scherzò sopra la mora accennando un sorriso sghembo.
"Mi hanno sequestrata qualche giorno dopo, ma ormai il manoscritto era in pubblicazione. Fermarono le stampe e cercarono chiunque avesse acquistato le prime copie, deponendolo nella Desert_Zone. Io venni..." prese una pausa alzando le mani e mimando il gesto delle virgolette "Processata" scherzò, capendo che ciò in cui era stata coinvolta non era minimamente paragonabile ad un leale processo.
"Non avevo un avvocato difensore nè tantomeno un testimone. Mi chiesero solo se avevo intenzione di lasciare qualcosa a qualche mio familiare... Il Governo non può permettersi errori, disse poi una donna dai capelli castani riferendosi al fatto che il ragazzino nel mio libro fosse stato gettato là a causa, per l'appunto, di un errore. E la mia storia è dunque questa" concluse poi la ragazza guardando il militare, che incredulo avveva udito ogni singola parte con un'attenzione a lui poco consona.
Era davvero possibile tanta intolleranza? Lo avrebbero potuto spacciare per un fantasy, ed invece avevano condannato una giovane e talentuosa scrittrice dal futuro spianato davanti ai propri occhi.
"Io invece..." esordì Bridgette dopo qualche minuto, attirando l'attenzione di Duncan, che era rimasto qualche momento a riflettere sulla situazione di Heather, facendogli sollevare il volto.
"Noi..." incalzò Geoff, affiancando la ragazza che aveva appena preso la parola, per poi proseguire "Siamo stati condannati insieme"
Duncan storse un labbro, non capendo, mentre la bionda gli si faceva sempre più vicina e tentennante al medesimo istante.
"Ero promessa sposa ad un uomo molto più anziano di me. Di almeno vent'anni. Era un amico di mio padre, vedovo, al quale proprio mio padre promise di concedergli la mia mano in sposa al compimento dei 16 anni di età. Eppure io non lo amavo... Nonostante il Governo non parlasse mai di amore, io ero certa esistesse, nonostante non sapessi come definirlo." spiegò la ragazza poggiandosi le mani, una sopra l'altra, sul proprio petto, in corrispondenza del cuore.
"C'era un ragazzo, della mia medesima età, con il quale mi sentivo sempre felice e protetta... Come riscaldata da qualcosa di invisibile, ma potente. Non immaginario, affatto. Quando ero con lui, mi pareva che il mondo potesse anche non esistere a patto che lui, però, rimanesse. Anche sospeso nel nulla, senza una ragione." sorrise Bridgette pronunciando quelle parole ed avvertendo la mano di Geoff afferrare la sua.
"Arrivò il giorno del matrimonio. Poi quello successivo, e quello ancora seguente, ma con quell'uomo  non avvertivo alcun calore. Avevo paura... Mi violentava, sempre." si fermò qualche minuto per riprendere fiato, mentre la sua voce andava a spezzarsi dal terrore e l'angoscia.
"Poi un giorno, quel ragazzo che mi piaceva tanto, tornò a bussare alla porta di casa dicendo che nonostante fossi sposata, lui mi avrebbe desiderata per sempre.... E così commisi il mio primo errore. Iniziammo a vederci, ed amarci segretamente, capendo con certezza che quel sentimento esisteva ed era palese di fronte a noi, sino a che mio marito non lo scoprì"
Duncan ascoltò le parole della ragazza silenzioso, meditando sui sentimenti che le trafiggevano le parole che ormai erano divenute un sussurro tremolante e spaventato quasi da quei ricordi che riaffioravano impetuosi dalla mente.
"Mi prese e mi legò al letto per giorni.... Inerme... Indifesa. Poi, dopo avere abusato di me per l'ennesima volta, quando capì fossi in seria fin di vita, mi slegò portandomi via. Venni condannata di adulterio, e prima che lasciassi la sala, portarono un altro ragazzo, quello che amavo, che continuava a urlare di essere lui il colpevole e che lui doveva scontare la pena, non io... Che io non meritavo di andare nella Desert_Zone, perchè lui mi aveva obbligata, ma poi-" "Poi lei disse che avrebbe preferito passare il resto della vita nella Desert_Zone che un solo altro giorno affiancata da l'uomo che era suo marito. Che non ero io." la interruppe Geoff abbracciandola e lasciandole un bacio sulla fronte.
"Ci condannarono insieme, dicendo che il nostro amore ci avrebbe resi pazzi, ma sai cosa? Si sbagliavano... Siamo qui e siamo felici di essere insieme..." aggiunse poi il biondo, tenendo ancora tra le braccia colei che amava sopra ogni cosa esistesse su quel dannato e chiavo pianeta.
"E' incredibile..." soffiò ammutolito Duncan, rendendosi conto che il sentimento che legava quei due ragazzi, li aveva probabilmente salvati più e più volte, ma che, nonostante ciò, non lo esibissero costantemente ed apertamente.
Nascondevano la loro felicità, per non fare pesare la solitudine ad altri.
"Già..." Asserì Bridgette in un lieve sorriso, per poi aggiungere "Fu con il nostro arrivo che Gwen decise di formare la resistenza."

Il militare inclinò di lato la testa, confuso, mentre un nuovo ragazzo si faceva largo tra gli altri, deciso anch'esso a parlare apertamente. Era Dj, colui che tra tutti pariva il più innocente: era gentile, amichevole e non lo aveva mai squadrato con disgusto. Lui tra tutti, era quello di cui proprio non poteva immaginare peccato.
"Io ero un biologo marino." esordì il ragazzo in un lieve sorriso.
"Lo ero divenuto dopo una serie di studi, ma solo quando divenni tale capii che le storie su quei meravigliosi esseri abitanti degli oceani, erano antiche leggende. Buona parte degli animali marini era è oramai estinta, i mammiferi acquatici non esistono più e dopo qualche ricerca compresi che era sopratutto a causa del Governo e della sua assurda sete di potere." mormorò sedendosi.
"Vedi... Le fonti di sostentamento naturali... Sottoterra, erano ormai giunte alla fine. I continenti erano stati totalmente deturpati e prosciugati. Quindi il Governo, ancora anni orsono, agli inizi del proprio potere,  iniziò a livellare le terre oceaniche. Io ero un bambino e quindi non ne sapevo nulla... Ed oltretutto quando, circa due anni fa decisi di iniziare le ricerche a riguardo, venni a sapere che ogni telegiornale e quotidiano veniva censurato perchè, vedi... I sonar utilizzati per trovare queste fonti sotterranee, uccidevano i mammiferi marini. Da quel momento iniziò il mio astio nei confronti del Governo. Lasciai il lavoro ed affittai un piccolo bar. Ero arrabbiato, ma... Cosa potevo fare? Capivo anche da solo che qualcosa non andava e che stare zitto, era la scelta migliore..." sorrise malinconicamente lui, come se non fosse stato che un idiota, mentre in realtà era solo un ragazzo che aveva scelto di vivere. 

Di cosa doveva essere biasimato, dunque?

Era qualcosa per cui Dj si vergognava di essere lì, in quell'istante. Tutti coloro condannati nella Desert_Zone si erano ribellati al Governo, mentre lui, quando ne aveva avuto l'occasione, si era nascosto. Quale era, perciò, il suo tanto scabroso peccato?
"Non che questa storia centri con la mia condanna... Ma diciamo che a differenza degli altri, io ero contrario al Governo già da tempo, nel momento in cui venni gettato qui." disse Dj guardando Duncan, che in risposta annuì semplicemente, rendendosi conto che nei racconti che in quei minuti gli si erano susseguiti di fronte agli occhi, non era ancora riuscito a ribattere.
"Sta di fatto, che una sera chiusi il locale quasi un'ora più tardi a causa di un paio di faccende burocratiche. Capitava almeno una volta al mese. Le tasse, l'affitto, il riscaldamento e tutto erano spese incredibilmente complicate da gestire. Comunque... Stavo tornando a casa, quando vidi qualcosa che non avrei mai dovuto vedere." spiegò prendendo un profondo respiro, visibilmente angosciato.
"Un uomo vestito di un completo sul grigio scuro, puntava una pistola contro un secondo ragazzo. Lo uccise. M-Mi resi conto di conoscere la vittima, e che era un commerciante che aveva il proprio locale nella medesima strada del mio, e capii di doverlo soccorrere. Era un amico!" raccontò gesticolando con le mani, rendendo partecipi tutti i presenti dell'ansia che Dj provò in quel momento.
"Poi, puntai il mio sguardo, per un brevissimo istante, sull'assassino. Aveva una spilla... Con su scritto 'dipartimento ordine e rispetto Governativo', e mi resi conto che, sì, il Governo non solo ci teneva nascoste con censure centinaia di cose, ma che uccideva anche i cittadini che meno apprezzava, probabilmente non sapendo come accusarli di Desert_Zone, e preferendo dire ai familiari che era stato un omicidio a porre fine alla vita del loro caro." Dedusse il ragazzo alzando gli occhi al soffito un istante, prima di riprendere il proprio racconto.
"Il Governo ci condannava e uccideva. E l'assassino mi aveva visto. Ero terrorizzato, ed ero un codardo. Iniziai a dire che sarei stato zitto e che non avrei detto a nessuno ciò che avevo visto, ma mi mandarono a processo, dove mi dissero che non potevano permettersi un simile rischio e che la Desert_Zone sarebbe stato un luogo perfetto per me, dove coloro che spiano finiscono uccisi." concluse infine sospirando pesantemente, mentre le parole gli si affievolivano in gola divenendo un sussurro.
A quel racconto Duncan non seppe che dire. Avrebbe voluto fargli capire che era certo che la sua non fosse una colpa, ma infondo, anche quelle degli altri, non erano da definirsi peccati. Non avevano fatto nulla di male...

"Io invece lavoravo al servizio completo della scienza" mormorò Noah, che era rimasto in disparte per tutto il tempo, certo di non volere parlare della propria esperienza, cedendo alla fine.
"Il mio obbiettivo era portare sollievo nelle vite di ognuno di noi... In particolare, ero interessato al rigeneramento delle cellule, ergo, mi soffermavo sullo studio delle cellule staminali." spiegò con calma, assaporando i propri ricordi che sapevano di dolce-amaro, quando ancora si occupava di ciò che più amava. Era in piedi, poggiato ad una parete a braccia conserte, ed orsservava con interesse le espressioni del militare di fronte a sè, notando ogni più piccolo tentennamento nelle sue azioni, nei suoi pensieri.
"Prima di essere condannato, lavoravo ad un progetto che consisteva nella vera e propria sostituzione di neuroni cerebrali per mezzo della produzione di cellule staminali. Insomma, era qualcosa non di innovativo, nel senso che in molti ci avevano già pensato, ma era mancato quel qualcosa... Qualcosa che ero riuscito a comprendere dopo anni di ricerche. Come immagino saprai, i neuroni sono le sole cellule che non possono riprodursi, e beh... Invece esiste un modo. Cellule staminali, introdotte con minuzia ed accuratezza e tempo. Ma il punto non è questo..." si fermò Noah controllando di avere la completa attenzione del militare, che lo guardava con interesse.
"Un giorno, un ministro del Governo, venne nel mio laboratorio dicendomi che dovevo aiutarli in un esperimento fondalmentale, e non potei fare altro se non accettare... Diciamo che fu... Convinvente" sospirò accentuando l'ultima parola, il ragazzo.
"Quando giunsi al luogo dove questo omonimo esperimento veniva portato avanti, capii con disgusto e repellenza che era qualcosa di folle.     Devi sapere, Duncan, che mi laureai non solo in anatomia umana con annesso medicina, ma anche in psicologia. In quel laboratorio c'erano bambini, ragazzi, uomini ed anziani. Venivano costretti a coma farmacologici e provocati sensorialmente e cerebralmente, anche con onde ad altissimo rischio tumore. Domandai da dove queste persone venissero e mmi dissero che erano pazienti di vari ospedali, prelevati segretamente." mormorò disgustato da quei ricordi orribili.
"Era aberrante."
"Quale era lo scopo?" domandò infine il militare, fatosi trasportare dalla narrazione del ragazzo di fronte a lui.
"Lo scopo? Controllare la mente, divenire padroni di emozioni e paure, così da potere controllare al meglio un popolo smidollato già di per sè" fece  inorridito Noah, cercando, o meglio, sperando, di vedere sul volto di Duncan un espressione per lo meno simile alla sua, ma il suo viso rimase invece immutato.
"Mi rifiutai di lavorare con loro, glielo dissi apertamente e così venni condannato a questo." concluse indicando una finestra, che seppur serrata, stava a dire che ora quel ragazzo, anch'esso, come Heather, con un florido futuro di fronte, era finito a morire.
"Ecco, come siamo giunti qui" gli sputò infine in faccia velenosamente, non potendo evitare di accusarlo almeno un minimo, enfatizzando la prima parola con odio e repulsione evidente.
Duncan in risposta rimase in silenzio, mentre gli altri, anch'essi muti, si alzarono lentamente, diretti verso le loro rispettive stanze, più nudi ed esposti di quanto in precedenza non fossero.

Ma il militare continuava a ripetersi una frase nella mente, con costanza e perseveranza e nonostante le proprie credenze nei confronti del Governo fossero messe a dura prova, lui era certo che qualcuno, dentro quel covo di dimenticati, nascondesse ancora qualcosa. Che Gwen nascondesse qualcosa, ma nemmeno lui era certo di volerlo o meno sapere.
Durante i suoi anni di addestramento gli avevano insegnato a combattere, ma non solo. La prima regola, da tenere costantemente a mente, era di non essere mai troppo curiosi.
Forse era la medesima situazione. Lui non era nessuno all'interno di quel luogo ed in balia di quel deserto, e forse doveva solo abbandonarsi all'idea di essere nuovamente una recluta sotto addestramento.
Eppure... Eppure perchè tanto affiatamento per perseguire un capo più giovane ed assolutamente meno coerente come Gwen?
Era una ragazzina, dubitava fortemente potesse essere anche solo diciannovenne ed il suo viso era marcato quasi costantemente da un'espressione di totale certezza.
Quale era la sua verità?

"Bridgette..." esordì dunque volendo parlare in particolare con lei, ma nonostante ciò, si voltarno tutti, confusi.
"Che c'è?" chiese lei guardandolo incuriosita, mentre veniva affiancata con immancabile apprensione da Geoff. Improvvisamente Duncan si sentiva uno stupido per non avere notato in precedenza la loro relazione.
"Si tratta di una cosa che hai detto prima... Per quale ragione, solo con il vostro arrivo, tuo e di Geoff intendo,  Gwen prese la decisione di formare la resistenza?" domandò dunque il militare incerto, per la prima volta cedendo ad un qualcosa, che per i suoi valori era imprescindibile. Stava violando la sottomissione che aveva offerto alla ragazza alleandosi con loro, ma era qualcosa che necessitava di sapere per potersi affidare senza rimorsi a lei.
Bridgette inclinò leggermente il capo confusa, rendendosi conto di qualcosa di palese "Cosa sai di Gwen, Duncan?"
Lui non rispose, non volendo estentare la propria ignoranza, capendo che le fosse evidente.
La ragazza sospirò, visibilmente incerta se rispondere o meno alla domanda di lui, capendo perfettamente non fosse qualcosa in cui doveva intromettersi, per poi tornar a guardarlo.
"Gwen... Gwen e Scott... Hanno subito una condanna molto più dura rispetto a tutti noi..." esordì la bionda mordendosi il labbro inferiore.
Il militare storse la bocca, non capendo "Hanno ucciso?"
La ragazza negò con il capo, dissentendo totalmente "Loro sono innocenti in ogni atto loro compiuto"
Duncan si alzò, lasciando la propria sedia, sentendosi in dovere di dissentire "Anche voi, se non sbaglio eravate innocenti. Non avete commesso peccati orribili..."
"Ma loro nemmeno..." si limitò a mormorare l'altra con un filo di voce, che persino il soffio del vento avrebbe spezzato.
"Avranno fatto qualcosa... Mentre erano aldilà di questi recinti!"
"Loro..." fece lei avvicinandosi al ragazzo che, cocciutamente, proseguiva con il dissentire "Non hanno mai varcato l'entrata di questo luogo, ne mai hanno camminato le strade sotto il Governo..."
Il militare, capendo, sgranò immediatamente gli occhi.

Non era possibile.
Mai era stato loro raccontato di simile soppruso, dicendo che la Desert_Zone fosse un luogo di meritato castigo. Ora, però, capiva quanto quelle parole celassero al verità.
La Desert_Zone era stata creata per favorire l'ascesa del Governo in modo immediato, insinuandosi in ogni angolo di tutta la terra, cercando il potere senza ritegno di controllare persino le menti del povero popolo sottomesso già visibilmente.
Eppure, rendersi conto che esseri tanto innocenti, ci fossero anche nati, stordiva.
Ed ecco spiegata quella fiducia lancinante nei confronti della ragazza, e la certezza perenne dei suoi seguaci. Lei era sopravvissuta tutta l'esistenza, anche da bambina, in perenni difficoltà, ed era la sola, insieme al ragazzo, Scott, in grado di reagire alle svariate problematiche che il luogo favoriva tragicamente.
Ed ora capiva anche cosa legasse costantemente i due, in modo quasi simbiotico, rendendoli tanto simili caratterialmente, ed uniti spiritualmente.
Lei poteva essere il dannatissimo asso nella manica di cui quelle persone necessitavano costantemente. Lei era la differenza tra la vita e la morte.
Ora era indubbia la ragione della sua freddezza, scaltrezza e sicurezza costante. Nulla le era nuovo. Il modo in cui parlava, colmo di spaventosi ricordi, aveva d'improvviso un senso, e lui se ne rammaricava.


"Quando ci vide e sentì la nostra storia, decise di aiutarci... Perchè in noi vedeva i suoi genitori" mormorò con un filo di voce Bridgette, asciugandosi una lacrima con un dito, cercando di rimanere calma.

Perchè quella ragazzina, era nata e cresciuta in un luogo di orribili azioni ed avvenimenti senza meritarlo affatto.

"Quanti anni ha?" domandò poi Duncan, non riuscendo a riflettere su altro, mentre i propri pensieri, aberrati e colmi d'odio improvviso, si impilavano con costanza nella propria mente.
"18" rispose una voce, distraendo tutti. Scott era poggiato alla parete e li ascoltava da ormai interi minuti. Aveva un'espressione seccata, ed era probabilmente comprensibile, indondo si trattava della loro storia e della loro sofferenza.
"Non è una bambina. Nè io nè lei lo siamo mai stati. E se sei tanto interessato a questo racconto, dovresti andare da lei a parlarle e se non ha intenzione di parlartene, dovresti stare zitto e da parte. Nessuno qui ti vuole al proprio fianco, ti sia chiaro. Nessuno è tuo amico. Tu rappresenti ciò che ha posto fine alle nostre vite... Personalmente poi... Sei colui che non me ne ha mai concessa una" asserì con la voce troncata dall'odio, lasciando poi la stanza, seguito dal resto del gruppo, tutti silenziosamente concordi con il rosso.

Duncan osservò la stanza svuotarsi lentamente, sino a rimanere solo, mentre iniziava a riflettere seriamente sui racconti appena uditi.
Nessuno aveva commesso errori realmente punibili, o comunque non con tanto odio. Il Governo aveva costruito nel tempo una società perfetta, sì, ma condannando innocenti e ribelli, anche muti, come per esempio un Dj intimorito.
Ecco perchè quei ragazzi erano diversi da quella sorta di uomini-bestia che aveva incontrato durante la propria missione al fronte. Tutto grazie a Gwen.
Dai racconti ascoltati, aveva dedotto con cura fosse stata lei a decidere di salvarli, così da formare una resistenza in cui sarebbero potuti vivere il più a lungo possibile pacificamente.
Quella ragazzina mai stata bambina, ma nata adulta che aveva il coraggio di milioni di uomini, che combatteva con ardore seppur mantenendosi distaccata e severa in ogni decisione, valutando le scelte migliori da compiere senza mai commettere un errore, era stata la salvezza di tutti loro.
Anche sua, realizzò in un istante, rendendosi conto che se lei non fosse esistita, in quel momento, lui poteva essersi già ridotto a nutrirsi di carne umana senza il minimo ritegno, biasimandosi, ma sfamandosi.

Il Governo era davvero come si definiva? Era l'organo perfetto?
Doveva.
Era sempre stato così... No?


Lasciò la stanza, dirigendosi verso il piano dove si trovava la propria camera da letto, ma alla vista della sua figura, si fermò.
Gwen stava scendendo lentamente, con i capelli bagnati, probabilmente appena fattasi il bagno, e lo guardò notando lui si fosse fermato ad osservarla.
Per la prima volta indossava qualcosa di differente da quella sorta di abiti da commando costituiti da un paio di pantaloni a mezza gamba ed una canottiera sformata. Era malamente infilata in una camicia decisamente troppo larga per lei, che le arrivava sino a metà coscia, parendo un piccolo abito seppure largo, mentre i capelli, lunghi e neri, le ricadevano su tutta la schiena, bagnando il tessuto.
"C-Che succede?" domandò la ragazza confusa dallo sguardo di lui, che si era fermato a guardarla, preoccupandosi un istante.
"E' successo qualcosa?"
"N-No..." negò lui risvegliandosi e balbettando brevemente prima di tornare in sè, non capendo nemmeno se stesso e le proprie reazioni.

Lei era una nemica.

"OK, allora vado." tagliò corto lei tornando a guardare le scale, superandolo velocemente, dirigendosi verso la cucina, ma lui, pur tormentato dal suo orgoglio, la fermò chiamandola.
"Gwen..." fece per poi sentire la voce mancargli "Mi... Dispiace per l'altro giorno. Non dovevo dire nulla riguardo a... A tutto. Davvero, scusami" mormorò poi corrucciando lo sguardo e distogliendo gli occhi da lei, puntandoli su una parete a fianco a lui.
Lei sussultò un istante, palesemente basita da quelle parole, incerta su come reagire di fronte a quelle scuse, per poi annuire mordendosi un labbro, rendendosi conto che quella non era una situazione a lei solita.
Non era brava con i sentimenti, che in quel luogo non erano soliti, sostituiti invece da paura e morte; cose -a parer suo- decisamente più semplici da comprendere e superare. Senza calore nè felicità.
"Ok..." mormorò dunque semplicemente, imbarazzandosi per quella palese ignoranza a parole, per poi voltarsi, intenta a dirigersi al più presto lontano da lui, ma quella voce tornò nuovamente a fermarla, colpendola come un fulmine nato in una tempesta impetuosa.
"Come è stato?"

Lo guardò confusa, capendo poi che lui sapeva e giustificandosi le scuse appena rivoltale. Strinse i pugni impulsivamente, pur non sentendo alcuna rabbia montare come invece si sarebbe aspettata, ma invece una sorta di valvola di sfogo spalancarsi in contemporanea con la propria bocca.
"Dovevi crescere in fretta. Mia madre rimase incinta qui, nella Desert_Zone." esordì non riuscendo a controllarsi.
"Venne ondannata con mio padre e quando nacqui, si trasferirono qui, capendo di necessitare di un luogo stabile dove vivere e fortificarono le finestre e la porta. Con noi viveva anche Scott. Sua madre venne gettata qui quando era incinta, e Scott nacque pochi mesi dopo, ma suo padre morì prima, a causa di un cannibale. Venne a vivere insieme a noi con sua madre. Eravamo felici, più  o meno. Mio padre trattava Scott come un figlio." sospirò serrando le palpebre con gli occhi umidi.
"Mio padre ci insegnò a sopravvivere... Lui aveva combattuto la guerra contro il Governo ed era addestrato... Poi, un giorno venne attaccato. Tutti venimmo attaccati. Trovarono l'entrata di casa." sospirò la ragazza, ancora ferma sulle scale, non riuscendo a muoversi, ormai incastrata in una moltitudine infinita di ricordi opprimenti e difficili.

Sofferenza.

"Mio padre ci disse di nasconderci... Andammo dentro un piccolo amadio a muro nascosto dietro un quadro. Scott aveva otto anni, ed io quattro, ci stavamo. Eravamo piccoli ed agili. E pensavamo 'tra poco sarà tutto finito... Il papà ci salverà.' Ma nessuno tornava a bussare per dirci che era tutto finito. Uscimmo quasi un giorno dopo, e trovammo tre corpi" si arrestò Gwen tremando un istante alzando una mano.
"Uno era di mia madre, uno di mio padre ed il terzo la madre di Scott" concluse sollevando un dito per ogni cadavere da lei descritto.
"Volevo morire. Ero una bambina e non potevo crederci... Era surreale. I cannibali avevano tagliato loro le teste, così da avere sangue da bere... L'arteria in corrispondenza della trache è... Parecchio capiente..." spiegò la ragazza con il labbro inferiore che tremava leggermente.
"Fortificammo tutte le finestre, il portone e ci rinchiudemmo qui, vivendo di poco o niente, sino a che non comprendemmo che dovevamo provare per lo meno... A vivere. E... E mia madre mi diceva sempre che non dovevo arrendermi di fronte a niente... Ed ho mantenuto il suo volere" concluse la ragazza in un sorriso malinconico lanciando uno sguardo al cielo con una lacrima che le solcava lentamente la guancia.

"Mi dispiace" sussurrò Duncan arrivandole al fianco, ma non osando sfiorarla, perchè infondo, nonostante stessero entrambi passando un momento di eccessiva debolezza, non voleva dire nulla. 
Essere nemici tra loro, era innegabile, ed un'alleanza indicibile, a parere di entrambi.
"Sì... Anche a me." tornò seria Gwen, tornando a concentrarsi sul presente e riprendendo la propria camminata verso la cucina, questa volta seguita dal militare, improvvisamente spaventato che quella figura tanto forte che li sorreggeva, potesse crollare.
"Se non ci fosse stato Scott, sarei morta a breve" aggiunse poi varcando la soglia della stanza ed afferrando una bottiglia d'acqua e bevendo da essa un lungo e dissetante sorso, per poi passarla al ragazzo che, nonostante fosse stato zitto, ne necessitava.
"Ma da quello che ho capito, sei tu a comando di questi ragazzi. Loro contano su di te, significherà qualcosa... Sei molto valorosa, Gwen" asserì certo l'altro dopo avere bevuto quanto gli necessitava, per poi posare la bottiglia sull'ampio tavolo al centro della stanza.
"No... Al mio posto dovrebbe esserci lui, ma si rifiutò, dicendo che non ce l'avrebbe fatta, e ribadendo che fosse mio padre ad avere combattuto, che l'idea di salvarli era stata mia  e che ero io a meritarmelo... E perciò accettai" rispose lei accomodandosi stancamente su una sedia, spossata dalla conversazione.
"Effettivamente era così. Io fui la prima a salvare Bridgette e Geoff. Così abbiamo indetto la nostra... Resistenza"
"Eri giovane" disse Duncan riferendosi al fatto che le fosse stato attribuito un potere tanto incisivo su un intero gruppo di persone.
Lei annuì, per poi alzarsi lentamente, mostrandosi incredibilmente stanca e congedandosi dicendo che si sarebbe diretta nella propria camera per riposare visto il viaggio appena compiuto, ed in risposta il ragazzo aveva annuito con calma, nascondendo il timore che provava nel rimanere solo, con i propri insistenti pensieri.

Doveva davvero la propria stima al Governo, ed unicamente ad esso?
Quel Governo che aveva condannato dei ragazzi innocenti ancora prima della loro nascita?
Ne dubitava, sì, ma al medismo istante ricordava nitidamente il modo in cui aveva vissuto sotto esso, in pacificità, seppur palesemente forzata e con restrizioni dovute.
Dovute, gli avevano sempre detto. Eppure era certo che in un passato il mondo fosse stato molto più libero e che persone di incredibile genialità fossero nate, cresciute e vissute durante esso.
Lui, però, aveva giurato sopra ogni cosa di servire esso, con certezza e senza tentennamenti, giungendo persino a sacrificare la propria vita per esso.
Effettivamente lo aveva fatto; si era schiantato con un jet di linea per proteggere un paio di miistri, ahimè, morti tragicamente a causa di ribelli. 

Ribelli come loro. Come coloro che ora condividevano la loro vita con lui, nella medesima abitazione, ripudiati e dimenticati dalla completa società che li circondava. 
Anche loro erano in grado di fare tanto per la libertà dovuta loro? 
Gwen, Scott e Geoff quasi per certo. Ci avrebbe giurato: erano i più temerari ed istintivi, bramatori di libertà e giustizia, ma non della perfezione offerta dal Governo.

Perchè?
Cosa non andava in quella perfezione?



-----> Angolo dell'autrice che si trova con trentordici problemi d'amore pur essendo l'essere meno romantico sulla faccia della terra ♥♥♥

Ciaooooo! Capitolo pieno di rivelazioni (?) ^^ e direi che è anche quello con il primo momen da " *_* ♥_♥ " DxG, no? ahhaha
Spero di sì :'') lasciatemi una recensiuccia se vi va e... Ora vado, perchè so benissimo di rompervi t.t hahahahha

 

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Capitolo 4
*** Desert_Zone cap. 4 ***


Desert_Zone
 
cap.4
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Duncan aveva passato i successivi due giorni completamente assorto nelle proprie riflessioni. Nessuno, in quella casa abbandonata, era particolarmente felice nel portare avanti una conversazione con lui perciò, le poche volte che gli capitava di dovere parlare, era solo per un saluto sporadico fatto giusto per cordialità.
Si era però sentito -stranamente- sollevato nel constatare che passare quei giorni a riflettere, lo aveva portato a più conclusioni, seppur senza un vero e proprio sbocco.
Era felice nell'avere notato che Gwen avesse iniziato a trattarlo, guardarlo o anche solo avvicinarlo, con molta meno ostilità rispetto all'inizio, ed aveva successivamente appurato che anche gli altri facevano altrettanto, nonostante non si intrattenessero con lui.
Aveva così concluso che ciò che la ragazza faceva, risultava agli altri come una sorta di permesso e garanzia.
In poche parole, se Gwen, loro comandante, si avvicinava a lui senza timori, nè armi nascoste, ciò voleva intendere che Duncan non era poi così complicato da trattare. Ed era sollevato nel notare che effettivamente, da figura ostile e perciò in possibile pericolo di vita, era passato a neutrale coinquilino.
Infondo poteva capire benissimo che quei ragazzi non lo avrebbero degnato di nulla di più che un saluto, od anche solo un cenno. Dopo avere udito le loro storie sulle loro condanne, poteva comprendere il fatto giustificante le loro ostilità, e soprattutto quella da parte della dark e di Scott. Quest'ultimo dimostratosi il meno disposto ad annientare le loro discordie.

Guardandosi intorno, e tentando di partecipare quanto più gli fosse possibile, aveva poi notato una seconda cosa: Gwen organizzava con sempre più frequenza quelle sorta di brevi riunioni, in seguito alle quali partiva accompagnata da Geoff oppure da Scott, alla ricerca di cibo o d'acqua.
Esisteva una sola fonte di sostentamento in quanto ad acqua nelle Desert_Zone, aveva spiegato la ragazza severa. 
Si trattava di un condotto idraulico appartenente agli antichi abitanti della zona, deviato poi verso le proprietà del Governo. Era logoro essendo antico, e perciò perdeva quantità d'acqua costantemente, che non venivano assorbite dal terreno argilloso, e perciò impermeabile, di quella particolare zona.
Non era un posto troppo lontano.

Il militare notò anche come fossero sistemati in una zona particolarmente vantaggiosa di quella bizzarra ed assassina prigione. Erano vicini al confine, quel tanto che bastava in caso di necessità, ed anche all'acqua. Ma non troppo, così da non fare insospettire il resto degli abitanti. Quelli rasi al suolo dalla follia.

Eppure, il sospetto continuava a primeggiare nella sua mente, albergata da continui flussi di pensieri, perchè infondo, per quanto il lavoro del ragazzo trattasse di morti e forza bruta, era innegabile fosse anche particolarmente logico ed astuto.
In particolare la questione delle riunioni continue, a distanza anche di poche ore. 
Era certo complottassero qualcosa che a lui -e non solo- era sfuggito. Qualcosa di cui solo Scott e Gwen era perfettamente al corrente. Qualcosa che lui voleva conoscere, ma che era certo, di non potere chiedere.

Fortunatamente non ce ne fu bisogno.

"Sono certa che sai di cosa sto parlando!" lo  richiamò Gwen, infastidita dal suo comportamento e da come ostentasse una indifferenza, che palesemente non gli apparteneva.
Era notte, e solo lui e lei erano fuori dalla loro stanza. Lo aveva fatto uscire bussando un paio di volte, svegliandolo, ed intimandolo di seguirla sino in salotto. 
Ora era spalle al muro, tra la parete e lei, che osservava i suoi occhi con attenzione.
Gli aveva chiesto aiuto, e lui con nonchalance aveva chiesto semplicemente la ragione, facendola -ovviamente- arrabbiare. Nemmeno Gwen era una stupida: poteva facilmente individuare quando uno mentiva o meno, ed era certa che il militare fosse giunto ad una sorta di conclusione sul fatto che fossero diventati tutti più furtivi e scaltri. 
Perciò aveva deciso di chiederglielo.
"Non lo so, invece. Come potrei saperlo?" rispose lui con un sorriso sghembo, prendendola palesemente in giro.
"Ascoltami bene. Non sei uno sciocco e so che hai notato qualcosa, perciò aiutaci e basta" fece secca lei avvicinandosi ancora a lui, che non muoveva nemmeno un muscolo, rimanendo a contatto con la parete fredda, mentre lei lo guardava fulminandolo con i propri occhi ebano.
"Posso dirti che su qualcosa hai ragione: non sono un idiota e, sì, ho capito che tu e il rosso nascondete qualcosa. Ora però sta a voi dirmi di che si tratta, no?" la sfidò, facendole digrignare un istante i denti e, facendolo temere per la propria vita in un attimo. 
Poteva benissimo avere un coltello nascosto nella fodera dei jeans per quanto Duncan ne sapeva.
Lei sorrise, accettando di buon grado le sue parole e notando il timore nelle sue reazioni, per poi allontanarsi e sedersi su una sedia sul fondo della stanza. Lui la raggiunse non avvicinandosi però troppo.
"Abbiamo paura. Inutile negarlo. I folli -ormai chiamavano così i ribelli divenuti pazzi per la Desert_Zone- e i cannibali sono in aumento. Non tutti qui sanno combattere. Io, te, Geoff e Scott ce la caviamo, ma gli altri..." spiegò lei negando scuotendo il capo, mentre Duncan si accomodava su una sedia al cuo fianco, notando come in un istante, da fredda e dura, era divenuta improvvisamente apprensiva e quasi materna.
"Abbiamo paura perchè, fino a che eravamo pochi, era più semlice. Ma ora siamo tanti, diciamo..  E non usciamo mai tutti insieme. Ci dividiamo e, nonostante sia rischioso, è il solo modo" concluse iniziando a strofinare le prorpie mani, cercando di rimanere calma a riguardo. 
Non era la prima volta che il militare notava quel comportamento. Sempre, durante le riunioni, lo ostentava: muoveva un piede, strofinava le mani, schioccava la lingua... Innumerevoli sorti di tic, dovuti allo stress. Ed ora ne comprendeva la causa. Quella diciottenne sosteneva sulle proprie spalle il peso delle vite di altre sette persone, e rischiava di rimanerne schiacciata.
Forse era matura per la propria età rispetto ad una ragazzina cresciuta con madre e padre sotto il controllo del Governo, ma non era comunque in grado di sostenere un simile incarico. Non da sola almeno.
"Cosa devo fare?" domandò dunque Duncan, dopo avere concluso il proprio ragionamento.
Lei si voltò a guardarlo, e per un attimo il ragazzò pensò di vedere gratitudine nel suo sguardo, poi lei parlò, calma e decisa "Sei stato sottoposto ad un addestramento, ho ragione?"
Lui annuì semplicemente, ripostando alla mente i ricordi della propria adolescenza, pieni di armi e di un desiderio: quello di servire il Governo con costanza. 
Quel desiderio che ora era sbiadito, ma non scomparso.
"Tutti i ragazzi, sotto il controllo governativo, hanno l'obbligo di fare un anno di addestramento militare dal compimento dei 18 anni a quello dei 19. E se lo si desidera, si può portare a termine sino ai 22 anni, divenendo militare ad ogni effetto." rispose il ragazzo.
"Quindi hai 22 anni..." mormorò Gwen deducendo tale informazione dalle sua parole.
"No." rispose lui negando con il capo, guardando in basso e rimanendo seduto al suo fianco "Ne ho 21. Iniziai il mio addestramento prima del comune, perchè essere repressore era sempre stato..." si fermò, sapendo che non era il caso di continuare e che lei avrebbe comunque capito.
Nessun sano di mente nella Desert_Zone avrebbe mai detto con certezza che quello di divenire repressore era il proprio desiderio, perchè sapeva che era stato uno di loro a condurlo a patibolo.
Gwen annuì, non prendendo però parola sino a che non furono passati un paio di minuti.
"Geoff aveva 16 anni quando venne condannato qui, e Dj era appena diciottenne. Noah invece, essendo scienziato non credo gli sia stata obbligata tale strada" spiegò la ragazza "Perciò nessuno di loro è addestrato. Solo Geoff è stato aiutato da Scott i primi tempi ed ora è uno dei pochi su cui posso contare ciecamente"
Duncan annuì, comprendendo la situazione.
"Oltretutto, voglio che anche le ragazze sappiano difendersi. Geoff, nonostante non lo ammetta, è in costante preoccupazione per Bridgette. Ed Heather... lei è forte e combattiva e sono certa avrebbe un ottimo futuro... Anche se nella Desert_Zone non si può propriamente parlare di futuro..." mormorò Gwen tornando torva un istante, prima di sfoderare tutta la propria decisione, racchiusale negli occhi accesi.
"Ecco perchè devi aiutarmi. Ho intenzione di addestrarli... E tu hai esperienza a riguardo, io no" ammise cercando lo sguardo dell'altro, che presto incontrò.
"E Scott?" non potè evitare di domandare il militare, con un tono seccato, senza comprenderne bene il motivo nemmeno lui.
"Scott starà al fronte. Mentre proseguiremo l'addestramento ci servirà qualcuno a difenderci e a procurare cibo e acqua, e sarà lui, ergo, sarà spesso assente, e quando sarà a casa gli converrà riposare." rispose con calma lei, non notando neppure il tono dell'altro, concentrata come non mai nell'ottenere ciò che desiderava.
"Ah" commentò semplicemente l'altro, annuendo velocemente prima di tornare a prendere parola, senza nemmeno ragionare accuratamente su ciò che lei gli aveva chiesto. Andando semplicemente d'istinto.
"Ok, va bene. Ci sto"


"Inizieremo un addestramento indirizzato a tutti. Armi, combattimento corpo a corpo... Tutto vi verrà insegnato" esordì Gwen il giorno dopo, non appena ebbe riunito i suoi compagni per l'ennesima riunione, questa volta apparentemente definitiva, dove non fece giri di parole prima di introdurre il proprio nuovo obbiettivo.
Un vocio iniziò immediatamente ad espandersi per la stanza, facendo innesvosire il militare, che era al centro della stanza vicino alla ragazza, visibilmente. Fece un passo avanti con decisione, sperando di essere notato quanto il più in fretta possibile, e così fu.
Duncan, a differenza degli altri, incuriosiva, e perciò erano sempre tutti molto attenti alle mosse del ragazzo.
"Da oggi in poi, organizzeremo un campo in grado di ospitarci durante gli allenamenti" disse poi, sempre lui, guardando i presenti uno ad uno.
"E tu cosa c'entreresti?" domandò Heather, sempre più velenosa rispetto agli altri, nonchè più sincera. Il ragazzo finse di non notare il suo tono, ma decise di risponderle semplicemente con quanta più calma gli fosse concessa, ma fu Gwen ad intervenire.
"Lui è il solo in grado di aiutarci con utilità in questo caso. E' stato sottoposto a vari addestramenti visto il suo passato e perciò è in grado di sottoporvi anche voi" sancì la dark, a capo di quella malequilibrata resistenza, mentre tutti zittivano di fronte alla sua determinazione. In effetti non era da mettere in dubbio il fatto che quei ragazzi non avrebbero mai voltato alle spalle a Gwen, la loro salvatrice.
"Costruiremo un campo isolato all'esterno, circondato da mura e tende d'accampamento. Lì sarà perfetto per allenarsi." decise di tornare a parlare Duncan.
"A-All'esterno? Ma non è pericoloso?" intervenì Bridgette, con un lampo di terrore negli occhi, testimonianza che anche lei doveva avere visto cose orribili accadere in quelle terre selvagge ed abbandonate.
"Effettivamente lo è, ma le mura saranno in grado di proteggerci. E poi Scott farà la guardia" rispose Gwen apprensivamente, lanciando una veloce occhiata al rosso che, infondo alla stanza, ascoltava con espressione severa il discorso.

Era ovvio il fatto che Scott non si fidasse minimamente del militare che si era stanziato da loro da ormai una settimana, ed il motivo era tanto logico che lo tormentava. Non riusciva a comprendere per quale motivo Gwen non lo evitasse o torturasse, ma anzi, lo rendeva partecipe delle proprie decisione, chiedendogli persino aiuto. Si era opposto quando la dark gli aveva riferito quell'intenzione, ma era stata poi lei a tenere il coltello dalla parte del manico, ribadendo con convinzione che era lei a guidare quel gruppo di ragazzini e che, sempre lei, aveva salvato Duncan. Inutile dire, che era stato più che meravigliato nel vederlo vivo quando si era risvegliato dalla sua accidentale caduta nella Desert_Zone, ma non aveva detto nulla, preferendo evitare di interferire con le decisioni della ragazza che, fino ad allora, erano parse sempre perfettamente rimuginate.
Ma il salvataggio di Duncan, l'odio che lei non provava per lui -o che comunque nascondeva con maestria- ed il fatto che ora gli avesse anche chiesto di aiutarla, non poteva comprenderlo.

"Chiederò aiuto a Duncan Smitt" aveva detto Gwen prendendo da parte Scott, il ragazzo con cui lei aveva condiviso ogni cosa nella sua vita.
A quelle parole, lui non era riuscito a mantenere la sua tipica ed asettica freddezza, sostituendola ad una sorpresa colma di risentimento.
"Starai scherzando spero, Gwen"
"Scott... Lui è il solo in grado di poterci aiutare in questo momento. Dobbiamo prepararli a tutto, e con ogni probabilità, quel militare si è sottoposto a vari addestramenti" aveva risposto lei indicando la porta, oltre la quale, stavano tutti pranzando.
Il rosso aveva serrato le mani in due pugni, stringendoli sino a fare sbiancare le nocche. Dall'arrivo di quel ragazzo, non riusciva a smettere di essere eccessivamente apprensivo.
"Gwen... Sembra che non capisci" sputò infine con la voce mozzata da un dolore profondo e ben intrinseco in lui.
Lei aveva corrucciato lo sguardo ed inclinato il volto di lato, come a chiedere una spiegazione, che lui a breve le diede.
"I miei genitori... I tuoi genitori... Sono finiti qui a causa di persone come lui. Noi non abbiamo avuto una vita a causa di persone come lui" aveva confessato Scott, con la tristezza che gli trafiggeva gli occhi, rendendola palese anche di fronte allo sguardo della dark che, però, non riuscendo a reggere quelle sensazioni, abbassò il capo, così da non vederlo in volto.
"Noi abbiamo una vita, Scott" aveva poi esordito lei, lentamente, sussurrando quasi, in modo che solo loro due potessero sentire, che nemmeno l'aria che li sfiorava potesse venire a conoscenza dei loro discorsi più profondi.
"Forse non è quella che avremmo desiderato, ma nessuno può sceglierla. E sai... Non ne avremo una seconda." mormorò Gwen prendendo un respiro profondo, per poi continuare "Possiamo passare il resto della nostra esistenza detestando, oppure credendo e sperando. Essendo al corrente del fatto che comunque, qualsiasi cosa decida morirò, preferisco farlo con la consapevolezza che ho tentato di essere felice, o di fare qualcosa di importante. Quindi, con questo presupposto, non posso detestare Duncan Smitt. Perchè se lui ha compiuto delle scelte, ci sono delle ragioni, immagino..." aveva poi concluso secca, lasciando la stanza.
Non aveva pronunciato quelle parole con un sorriso sul volto o un calore nella voce, ma con una sincerità tanto disarmante, da stupire, mantenendo sempre la propria freddezza, tipica di quando parlava durante un combattimento.


Le parole di Gwen lo avevano scalfito?
In parte, doveva ammettere il rosso a se stesso. Ma non era stato il significato in sè a prenderlo, quanto il tono della sua voce: freddo e distante. Come avesse espresso quel concetto universale senza rifletterci nemmeno, come avesse risposto ad una domanda tanto ovvia da potere essere rifilata solo ad un bambino di qualche mese. Era surreale che Gwen potesse davvero pensarla a quel modo ed improvvisamente ne comprese la ragione.

Lei non teneva davvero alla propria vita.

Non si scompose nel realizzarlo, decidendo invece di lasciare la stanza silenziosamente, mantenendosi sempre a braccia conserte, ermeticamente chiuso in se stesso e nei suoi pensieri. 
Duncan Smitt, invece, come lo vedeva? Anche quella domanda lo tormentava, eppure non poteva fare molto per evitarlo se non occuparsi di altro, distraendosi con ricerche e cacce varie.

"Ci vorranno un paio di giorni. Nulla di più." disse il militare riferendosi alla costruzione della cinta di mura esterna, cercando di consolare quanto più apprensivamente potesse, i ragazzi attorno  a lui, i quali, dopo avere compreso la bontà delle intenzioni di Gwen, asserirono positivamente a riguardo.
"Molto bene, allora la riunione è finita... Presto inizieremo l'addestramento" ricapitolò dunque la ragazza congedando tutti e lasciando la stanza, facendo segno a Duncan di seguirla. Così lui fece.
Si fermarono in uno dei tanti corridoi deserti dell'edificio, attenti ad essere realmente soli.
"Grazie, davvero" esordì infine lei, guardandolo un istante per poi abbassare lo sguardo. Lo si capiva con certezza che quella non era la tipica persona che chiedeva aiuto e perciò il militare aveva compreso istantaneamente quanto le sarebbe costato rivolgergli anche solo quella piccola parola, quel 'grazie' che alla fine, con malcelata sorpresa da parte del ragazzo, era giunta.
Lui annuì un paio di volte, non sapendo come reagire, per poi limitarsi a dire "Figurati"
Lei fece altrettanto, incerta se rispondergli o meno, per poi optare per il silenzio, andandosene. 

Non riusciva ancora ad interagire con sicurezza con quel ragazzo dal passato assolutamente errato. Non era in grado di comprendere se fosse o meno pentito, oppure se credesse con assoluta certezza nelle menzogne del Governo. Ma il problema fondamentale non era nemmeno quello: lei voleva capire se lui avesse scelto se credere o meno a loro e alle loro storie, perchè sapeva che anche solo una piccola vittoria come quella, poteva favorire loro un nuovo -seppur schivo- alleato a tutti gli effetti.
Duncan Smitt sarebbe potuto essere l'asso nella manica di cui loro necessitavano.
Non era un segreto il fatto che lo sfruttasse, infondo, lo aveva ribadito più volte e lui aveva risposto al medesimo modo, avvertendola del fatto che sarebbe rimasto lì in cambio della vita.
Un aiuto per un aiuto, come non fossero altro che oggetti. Ne erano al corrente e per il momento, a loro andava bene così.

Duncan si diresse in salotto ostentando un sospiro di sollievo. Ogni volta che si ritrovava solo con Gwen smetteva di respirare, ma non era certo se reagisse così per paura o nervosismo. 
Stava di fatto che entrambi erano al corrente di non potersi appoggiare l'uno all'altro. Poteva benissimo decidere di ucciderlo, oppure di raccontargli qualche cosa in più, così da renderlo sempre più partecipe delle loro vite.
Giunse alla stanza che, invece di trovare desolata come si aspettava, era occupata un Geoff che lucidava stancamente la propria arma. Era accomodato sul divano in pelle consumata e ormai ruvida, corrosa in più punti. Il militare si sedette su una poltrona più lontana.
Notò il biondo alzare lo sguardo verso di lui un istante, come a controllare stesse architettando o meno qualcosa, per poi tornare a concentrarsi sulla propria pistola.
Dopo qualche minuto smise di lucidarla, controllò la carica e poi iniziò a rigirarsela tra le mani. 
Il tutto mentre il militare rimaneva incantato da quella sorta di agilità che il ragazzo aveva nelle mani. Gli parvero indubbie le sue doti di sparatore.
"Cosa hai da guardare?" lo interruppe dalla propria osservazione proprio Geoff, probabilmente infastidito da quelle occhiate.
L'altro portò il proprio sguardo dall'arma a lui, per poi rispondere con tranquillità, cercando di non notare la rabbia nel tono dell'altro.
"Hai mai sparato o imbracciato un'arma oltre la Desert_Zone?"
Geoff sorrise, come fosse divertito da quella domanda assurda, mentre poggiava la propria pistola sul piccolo tavolo di fronte al divano sul quale era seduto.
"No, mai. E' stato Scott ad insegnarmi tutto" rispose infine, per la prima volta dall'arrivo del militare, non ostentando nei suoi confronti disgusto o biasimo.
"Wow... Deve essere stato-" "Difficile. Scott è un osso duro, ma in compenso è anche un grande combattente" continuò Geoff, interrompendo l'altro.
"E..." esordì Duncan, bloccandosi un istante prima di ritrovare la propria spavalderia per proseguire la domanda.
"E di Gwen che mi dici?"
Il biondo alzò immediatamente lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri dell'altro, ancora incerto se chiamarlo amico o nemico, ma rimanendo propenso per la seconda possibilità, per poi rispondere "Gwen è... Il collante. E' lei che ci ha salvati, tutti noi. Anche te. E' quella che ci tiene uniti e che ci aiuta, ed al medesimo istante è anche il nostro capo, diciamo"
L'altro annuì un paio di volte, elaborando con sempre maggiore sicurezza che mai, in tutta la sua vita, avrebbe potuto trovare al proprio fianco persone più fedeli o soldati più leali. Nelle truppe in cui, in passato, era capitato, c'erano sempre state persone tanto codarde da riporre le armi di fronte al nemico pur di vivere, eppure era certo che se davanti a quelle sette persone con cui ormai abitava, avessero posto dei fucili carichi, loro avrebbero sorriso rimanendo leali al loro generale.
La Desert_Zone doveva averli cambiati.
Infondo che sogni rimangono ad una persona che ha perso tutto? Persino la propria umanità.
"Io a Gwen devo molto più della vita... Perchè grazie a lei ho ancora Bridgette" tornò a parlare il biondo, come avesse preso una pausa solo per lasciare scorrere le riflessioni dell'altro.
"Non hai paura?" domandò Duncan senza nemmeno riflettere, facendo sussultare il biondo visibilmente.
"Costantemente. Sai, forse io non sono la persona con cui avresti preferito parlare in questo istante, perchè sono diverso da tutti gli altri"
Quella frase, dovette ammettere a se stesso il militare, gli risultò incomprensibile, come anche il sorriso che il ragazzo al suo fianco esibì dopo averla pronunciata. Avrebbe chiesto spiegazioni immediatamente, se solo lui non lo avesse preceduto parlando.
"Io sono il solo che anche qui, nella Desert_Zone, si sente aggrappato ad una seconda vita. Bridgette è quanto di più prezioso ho, e sono felice di poterla avere al mio fianco anche qui. Ora tu penserai che sono un egoista, ma... Ma quando qualcuno ti entra nel petto, fino a ficcarsi nelle tue vene pulsanti... Solo se anche tu fossi nelle mie condizioni capiresti. Eppure a volte penso, che se fosse ancora là, nella civiltà, forse sarebbe meglio. Perchè se morissi nessuno ne soffrirebbe, non più almeno. Ho paura di morire ed ho paura che muoia. Soprattutto la seconda" mormorò infine concludendo il discorso, per poi alzarsi, afferrando l'arma lucidata poco prima.
"Sai, Duncan" esordì poi nuovamente, pronunciando il nome del secondo ragazzo con una malcelata repulsione nella voce "Non dovresti porre domande come questa. Se parti con l'essere solo ed avere paura, puoi solo che morire" disse infine lasciando la stanza, mentre il militare non sapeva come portare avanti i propri ragionamenti.
Erano giorni che voleva sapere: conoscere i pensieri degli altri, e capire come si fossero ridotti a non temere la Desert_Zone, o per lo meno a riuscire ad affrontarla all'apparenza, ed il risultato era stato celare i timori, oppure aggrapparsi ad una qualche idea pur di non perdere la pazzia.
Quell'idea che li accomunava era qualcosa di reale e tangibile: la certezza di una Gwen protettiva e combattiva, che però lui non riusciva ad accettare. Non totalmente per lo meno.
Lei era ciò a cui il Governo, solo organo a cui doveva sottoporsi mansuetamente, ripudiava più amaramente, e lui ci aveva stretto una sorta di legame basato su un vicendevole sfruttamento. Aveva compreso il suo destino di rimanere per tutta la vita rilegato in quella prigionia formata da macerie, cannibali e folli e lo aveva paradossalmente compreso, ma non accettato. Come poteva accettare di buon grado il fatto che la sua vita fosse giunta al termine?
Certo, era vivo, ma con rapporti umani decisamente scarseggianti e in un clima di completo terrore e disgusto nei suoi confronti.
Poteva comprederlo.
Lui era ciò che più si ravvicinava alla minaccia del Governo, ed era presente nella Desert_Zone, ma ciò nonostante, gli avevano concesso di vivere. Lei glielo aveva permesso, offrendogli l'opportunità di collaborare con loro, ma nulla di più, o almeno così pensava.

Era passata malapena una settimana e già lui si era ritrovato a sospettare vergognosamente della cosa alla quale si era proclamato assolutamente fedele. Tentennava da uno stato di orgoglio ad uno di vergogna, e non riusciva a smettere.
Improvvisamente le solide basi impostagli dall'intero mondo, dalla sua nascita sino alla sua caduta dentro quella prigione, era diventata polvere al vento, sbiadita ed incerta.
A chi doveva credere?
A quei ribelli, che lo avevano indubbiamente salvato da morte certa o al Governo, che gli aveva sempre donato una vita colma di raffinatezze, comodità e lusso?
Era visto un nemico agli occhi di tutti, tranni i suoi, di lei. Lei che lo trattava quasi con rispetto, seppur mantenendo il suo tono distaccato da completa battagliera.
Senza alcun dubbio le doveva qualcosa, e perciò aveva accettato con fierezza di aiutarla in quella sua idea di addestrarli.



Quei due giorni passarono velocemente, e presto le mura esterne furono pronte.
Gwen e Duncan avevano radunato tutti in quella sorta di giardino fortificato, dove avevano deciso come si sarebbero divisi i compiti: la ragazza, esperta molto più di lui in reali combattimenti, avrebbe insegnato ai ragazzi il corpo a corpo, mentre Duncan, militare mai effettivamente convocato in guerra, si sarebbe occupato dell'uso delle armi, insegnando loro a sparare, mirare e -cosa importante- centrare.
Avevano diviso il poco spazio a loro disposizione in due, rendendo la parte destra una sorta di angolo per il combattimento, e al sinistra una magra copia di un poligono di tiro.
Gli 'alunni' si intervallavano ogni ora, scambiandosi con altri, così da ripetere ogni gorno il medesimo giro di venuta.

La prima a presentarsi al cospetto del militare fu Heather, la scrittrice con sin tropppo fiato in bocca -a suo parere-.
Le porse la pistola lentamente, per poi indicarle una forma in cartone ricavata da qualche scatola trovata dentro casa, spiegandole le mosse che doveva compierle prima di premere il grilletto, mostrandole quale dovesse essere l'agilità o la velocità necessari.
"Come prima cosa, controlla sempre la carica" spiegò facendo scivolare fuori dal manico dell'arma la carica in questione, mostrandole i proiettili al suo interno, per poi rimetterla dentro velocemente, facendola scattare con un suono secco e veloce.
"Poi, tiri indietro il carrello" continuò afferrando con la mano mano destra la parte superiore dell'arma e facendola scivolare su tutta la superficie di essa, per poi lasciarla tornare indietro velocemente. La ragazza osservò, non sapendo -per la prima volta- cosa dire, cosa che sbalordì non poco il militare, che conquistò in breve tutto il porprio orgoglio di combattente esperto.
Tese poi il braccio sinistro, con il quale teneva l'arma, di fronte a se, socchiudendo un occhio così da potere vedere attraverso il piccolo mirino, mentre poggiava leggermente l'indice sul grilletto.
"Infine, mira e..."
Un boato inondò l'intera zona, segno che il proiettile era fuoriuscito dall'arma, e non appena l'eco del colpo si fece nullo, tornò a parlare con un sorriso sghembo sul volto.
"Spara"
La piccola sfera ellittica in metallo aveva colpito la figura in cartone esattamente dove, malamente, era stato disegnato ciò che rappresentava il cuore. Il colpo era preciso, senza nemmeno una sbavatura, ed il ragazzo non potè che ritenersi orgoglioso di se stesso.
"Wow..." soffiò una voce che Duncan, per un istante, sospettò fosse proprio di Heather al suo fianco, ma che poi riconobbe nel volto della giovane dark che, pochi metri distante, teneva in una presa ferrea le mani di Dj, probabilmente interrotta dallo sparo mentre gli insegnava una mossa per annientare il nemico.
Sul suo volto aleggiava un'espressione di pura sorpresa e d'improvviso, il petto di Duncan si inondò di altro orgoglio, come se già il fatto di avere ammutolito la giovane scrittrice, non gli fosse bastato.

Dopo Heather, giunse il turno di Geoff che, spavaldamente, raggiunse il militare e senza nemmeno attendere le sue parole, sparò un paio di colpi facendoli perforare entrambi nel petto.
"Non ho bisogno dei tuoi insegnamenti." sentenziò poi infastidito, indeciso se andarsene o meno, ma Duncan lo fermò afferrandogli un braccio, per poi osservarlo severamente, come un padre in preda ad una filippica.
"Tu mi hai detto che ti senti in dovere di proteggere Bridgette, sbaglio?"
Il biondo non rispose, pur essendo leggermente intimorito dal ragazzo che, di fronte a lui, si mostrava palesemente capace e colmo di maestria.
"Allora, tra tutti loro..." disse accenando con ovvietà al resto dei loro coinquilini "... Dovresti essere il più concentrato"
Geoff sorrise, realmente divertito dalla situazione, per poi parlare "Lo dici come se ti interessasse."
Duncan inclinò di lato la testa, confuso da quelle parole, come a chiedere una spiegazione o anche solo un indizio in più.
"Non c'è un tornaconto personale quindi non devi impegnarti tanto. Sono bravo, so sparare e fino ad ora-" "Fino ad ora non vuol dire nulla. Sei bravo? Non lo nego. Sai sparare? Tanto meglio. Ma sappi che io a differenza, anche di Scott, ho ricevuto un addestramento, qualcosa di tangibile. Sono più dell'istinto perchè sono l'istruzione. Ora... Sai quanti sono morti perchè seguivano l'istinto? Solo quello... Nonostante possa essere bellissimo, e non lo nego, da solo è inutile. Renditi conto che io, potrei essere la differenza tra la tua vita, e la sua morte" lo interruppe Duncan cercando gli occhi dell'altro, parlando di Bridgette pronunciando quel 'sua', e facendo sussultare visibilmente il biondo.
"Sappi che puoi essere capace ed agile quanto vuoi, ma basta una volta per morire, ed a quel punto non conterà in quante altre occasioni sei sopravvissuto" concluse infine, sempre il militare, lasciando il braccio dell'altro e voltandosi, pronto a ricevere il prossimo da addestrare, ma invece un suono di una pistola carica, lo distrasse. Si voltò e vide Geoff di fronte al bersaglio pronto a sparare e capì che le sue parole non erano rimaste disperse nell'aria come se nulla fosse.
"Avanti, spiegami come si lavora all'esercito" sorrise il biondo sparando nuovamente, colpendo il centro della testa del mirino. Duncan ricambiò il sorriso dell'altro, raggiungendolo con un paio di falcate, per poi iniziare a spiegargli ciò che sapeva.
Gli insegnò delle tecniche per diminuire il tempo che gli necessitava per sparare e presto comprese che quel ragazzo non era poi così differente da lui. Cocciuto nei propri obbiettivi ed in ciò a cui si affidava, ma fedele alle proprie promesse e credenziali.
Forse, in una diversa situazione, si sarebbero potuti definire amici.

Il giorno passò tutto sommato velocemente e quando Duncan pensò di avere concluso il proprio lavoro, venne distratto da un rumore di passi in avvicinamento. Si voltò, intento a riconoscere la persona che doveva ormai essergli ad un paio di metri di distanza, e si sorprese nel vedere Gwen al proprio fianco che controllava la carica di una pistola.
"Che ci fai qui?" domandò lui ostentando indifferenza, mentre stirava le braccia verso l'alto stancamente.
"Ho notato come ti sei impegnato... Te ne sono grata" rispose semplicemnte la dark, sfoderando un lieve sorriso che scomparve immediatamente, ma che lui notò benissimo.
"Figurati. Te lo avevo promesso, no?"
Lei annuì, non aggiungendo altro a riguardo, ma puntando invece, con la pistola, la sagoma in cartone ormai ricoperta da più fori causati dagli spari dell'arma. Portò indietro il carrello, ma non diede sfoggio delle intenzioni di premere il grilletto.
"Non spari?" chiese dunque il militare, raggiungendola alle spalle e chinandosi in avanti, cercando di affiancare il viso di lei, così da comprendere all'incirca dove mirasse.
Lei negò con un cenno svelto del capo per poi prendere un respiro e dire "Insegnami. Voglio capire come te la cavi"
Lui sorrise, divertito da quella sua irriverenza, per poi poggiarle le mani sulle spalle, intento a ruotarle leggermente facendole raddrizzare meglio la schiena. Lei obbedì quanto più mansuetamente le fosse possibile.
Le sollevò poi leggermente le braccia, così da renderle più tese. Notò i muscoli tendersi e contrarsi sotto la pelle pallida della ragazza, mentre le mani si aggrappavano con maggior decisione all'arma.
"Ora osserva con attenzione il mirino. Non socchiudere gli occhi. Non farlo" le spiegò mormorando, mentre lei lo ascoltava, rendendo il proprio sguardo acceso e guardingo.
"E premi il grilletto" asserì infine deciso, facendole, in risposta, esercitare una lieve pressione con l'indice su quella piccolissima leva in metallo, sufficiente a permettere alla pistola di sparare.
Il colpo fu preciso e colmò di soddisfazione il militare che guardava la ragazza con una confusione incredibilmente profonda e malcelata.

Che diavolo stavano facendo?

Lei osservò il foro provocato da proprio prioiettile, per poi voltarsi verso di lui, notando il suo sguardo corrucciato e tormentato.
"Ehi... Che succede?" domandò dunque, improvvisamente preoccupata mentre lui aveva iniziato a scuotere il capo.
"Niente... Vado. A dopo" rispose il ragazzo voltandosi, indubbiamente in dubbio di fronte alla possibilità di instaurare un vero rapporto con quei ragazzi. Loro cercavano un alleato ed era palese il fatto che lui non potesse dimostrarsi tale, ma perchè non lo capivano?
Cercavano il aiuto, ma -cosa che lo sbalordiva maggiormente- lui ne concedeva loro senza preoccuparsene o rimuginarci a riguardo.
Ma non solo: quel giorno lui si era sentito orgoglioso di ogni songola loro miglioria, come fosse stato un insegnante apprensivo, invece che un severo e rispettato professore, e quello non riusciva decisamente a spiegarselo.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto accettare l'idea di non potersene più andare da là, perchè la cruda realtà era solo che quella. Non poteva evadere dalla Desert_Zone. Nessuno poteva, ma lui non era ancora riuscito ad elaborare una simile cosa, rimanendo perciò incerto se instaurare o meno rapporti.

All'apparenza era freddo e schivo, e quello era l'importante al momento.

Gwen era rimasta qualche minuto ferma ad osservare il cartonato con l'obbiettivo di fungere da mirino, frastornata riguardo Duncan, non riuscendolo a comprendere con certezza.
Non era sicura se stesse o meno nascondendo qualcosa, ma se così era, doveva scoprire al più presto di cosa si trattava.
I suoi pensieri furono interrotti dal rumore della porta che si apriva, lasciando avvicinare una figura a lei assolutamente nota.
"Allora, come è andata?"
La dark alzò lo sguardo verso di lui, incontrando immediatamente i suoi occhi, per poi riabbassarlo severa "Bene. Si sono tutti impegnati, anche Duncan Smitt"
"E' un pericolo, lo sai." si limitò a pronunciare lentamente la voce di Scott, scandendo ogni parola con freddezza.
Erano i soli rimasti in quella sorta di giardino fortificato, ed il sole era ormai calato completamente, lasciandoli illuminati da una lieve e fioca luce lunare.
"Sì, me lo hai già ripetuto"
Il ragazzo sorrise alla freddezza di lei, per poi giungerle di fronte, cercando i suoi occhi attenti puntati su di lui, e ben presto così fu. Il rosso era a braccia conserte, composto e guardava Gwen con gravoso bisogno, cosa che la fece allarmare immediatamente.
"Ho una novità" esordì semplicemente lui.



--->Angolo mio mio mio miooooooo ^-^
Allora, scusate il ritardo D: davvero, sono desolata, ma ho avuto mille impegni e casini, per non parlare dell'inizio della scuola che è stato disastroso (CHI CAVOLO HA VOGLIA DI ANDARE A SCUOLA?! HO UNA VITA BELLISSIMA ANCHE SENZA SCUOLA U.U) e credo che la cambierò a breve :/
Odio il mio indirizzo! E' un casino assurdo, davvero... Non sono tagliata, ma è meglio sooooorvolare ahahhaha e cambio discorso! Spero vi piaccia il capitolo e... CIAO ^^

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Capitolo 5
*** Desert_Zone cap.5 ***


Desert_Zone
 
cap.5

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"Sai..." esordì Duncan avvicinatosi alla figura in cartone che fungeva da mirino, così da controllare con precisione il foro che aveva appena praticato Geoff con un proiettile "Sei migliorato moltissimo in questi giorni"
Il biondo non riuscì a nascondere un sorriso di fierezza notando come il proprio colpo avesse colpito con straordinaria precisione il punto delineato dal militare poco prima, ed annuì in risposta a quel complimento da parte dell'altro.
"Eri indubbiamente uno dei tiratori più esperti... Ora sei tra i migliori" proseguì dunque Duncan tornando al ragazzo che, tenendo tra le mani la pistola ancora fumante, sfoggiava un'espressione assolutamente indelebile: era radioso e fiero. Una strana unione di sensazioni in quel luogo.
Erano passati solo due giorni dall'inizio degli allentamenti, ma era indiscutibile il miglioramento di ogni singolo ragazzo presente all'interno di quella bizzarra resistenza, ed anche Gwen poteva con fierezza ammettere che il proprio arduo lavoro non era risultato completamente vano. C'erano, certo, elemente più tenaci di altri, ma alla fin fine, ognuno, a modo suo, si impegnava come meglio poteva.

"Sono orgogliosa di loro.." esordì la ragazza giungendo al fianco del militare, mentre il resto dei coinquilini si dirigeva all'interno, ormai finiti gli allenamenti della giornata.
Il ragazzo annuì osservando l'arma tra le sue mani che stava rigirando annoiato, mentre continuava imperterrito a domandarsi che stesse facendo. Ormai era tormentato da quel quesito costantemente.

Era nel gusto o nel torto?

Aveva riflettutto in quei giorni che gli erano parsi lunghi quanto un'intera vita, giungendo ad una sorta di -seppur poco sostanziosa- conclusione. Era divenuto perseguitore del governo a causa di ciò che gli era stato raccontato, ma soprattutto a causa delle scelte dei propri genitori: suo padre grande politico colmo di fama e gloria e sua madre, donna d'affari sempre stata acclamata anche dagli enti governativi che lo circondavano. Perciò era ovvia la ragione per la quale la sua 'simpatia' fosse sempre stata indirizzata verso il Governo, eppure non era sicuro che quella scelta fosse giusta.
Era ancora un bambino ai tempi in cui aveva scelto, e come si sà, i bambini sono una delle cose più ingenue e meravigliose del mondo. Qualcosa di puro e sincero. Ma nonostante tutti questi buoni propositi, a nessuno parrebbe difficile ingannare un ragazzino, anche solo per avere più forze armate. Più persone degne di difendere la loro vita e quella altrui, giustificando ogni altra azione ribadendo la felicità a quegli uni donata.
Possibile che lo avessero convinto con una tale viltà ad unirsi all'esercito?
Doveva ammettere che dopo avere udito le storie di tutti quei ragazzi, non faticava certo a crederlo.

"Sono confuso.." esordì dopo qualche istante il ragazzo, sospirando rumorosamente ed appoggiando l'arma su un tavolo poco distante.
La ragazza inclinò di lato il capo, mantenendo nel cipiglio un cenno di interrogazione. Come si chiedesse se quelle parole le avesse riferite direttamente a lei.
"Sono davvero confuso, Gwen" ribadì poi spegnendo ogni dubbio di lei.
"E' lecito esserlo" si limitò a rispondere lei pur tentennando all'inizio. Non sapeva mai come reagire di fronte al ragazzo: era incerta persino se dargli il beneficio del dubbio, figurarsi una completa comprensione! 
Eppure, doveva ammettere, era qualche tempo che lo vedeva scettico persino su se stesso, su come dovesse agire, ed era certa che un simile tormento non potesse altro che distruggerlo, sgretolandolo lentamente quanto inesorabilmente.
Si voltò ad osservarlo, riprendendolo mentre annuiva a vuoto un innumerevole numero di volte guardando a terra la polvere che con un semplice passo si alzava di almeno dieci centimetri. Lo vide apparirle di fronte non più come l'aquila sveglia e furtiva che poteva essere all'inizio, ma come un confuso e tentennante corvo, che pur essendo portatore di sventura, non lo faceva di proposito.
"Parlare di cosa sia o meno lecito, non fa però sparire il problema." disse dunque lentamente passandosi una mano tra i capelli dalle punte verdi.
"Già, ma io non posso fare altro. Devi guardarti dentro per capire quale sia la miglior scelta da compiere. Non puoi continuare a ripeterti di rimandare la domanda." fece Gwen avvicinandosi ancora di un paio di passi, sino ad essergli realmente al fianco.
Lui sorrise, deridendo in particolare se stesso, per poi parlare "E' tanto ovvio che mi sto ponendo una cosa simile?"
Lei annuì lentamente prendendo un respiro, per poi ributtare fuori tutta l'aria che le aveva gonfiato, per quei brevi istanti, i polmoni.
"Non sei nemmeno da biasimare. Sei come noi. Ognuno compie delle scelte, ed a quel punto, bisogna abbandonarsi ad esse, oppure pentirsene. Una cosa è certa, non credo che noi mai ce ne pentiremo. Su di te non posso però dire altrettanto visto quanto sei tormentato ora..." si limitò a dire lei per poi moredersi il labbro, intenta a ritirare ciò che aveva appena detto, capendo quanto fosse stato superficiale.
"Insomma... Non ti conosco e non so per quali motivi hai scelto-" "La mia famiglia... Immagino sia stato a causa loro" la interruppe Duncan prima che lei potesse dire qualsiasi cosa per smentirsi.
"Mio padre è sempre stato un politico affermato... E' sempre stato sostenuto dal Governo, e perciò noi abbiamo avuto tutto. Mia madre, dall'altro lato, è una donna d'affari pluripremiata. Anche lei lavora molto e secondo ciò che ci è imposto. Non so nemmeno cosa facessero prima della guerra... Non ho mai chiesto. Non pensavo ce ne fosse bisogno. A noi viene detto che prima del Governo c'era il disastro e la confusione completa... E all'apparenza probabilmente era così. Però, mi sto iniziando a rendere conto, che quel caos, era originato da una libertà che io probabilmente non proverò mai. Non ho mai pensato alla possibilità che si potesse essere più padroni di sè e delle proprie scelte di quanto non lo si sia sotto il Governo"
Lei non rispose, limitandosi ad osservarlo, rendendosi conto che lui non aveva mai meritato nessuna effettiva colpa rifilatagli da Scott o Geoff, perchè lui, tra tutti, era stato il primo degli ingannati. Dovevano averlo stregato con le loro menzogne e le loro fittizie storie colme di colpevoli e morti.

Se anche avesse abbandonato qualcuno nella Desert_Zone, non doveva mai averlo fatto per scelta personale. Non era davvero tanto cinico come tentava disperatamente di apparire.

Quando si è bambini non si è tanto accorti da notare i segreti del mondo.

"Tu mi hai parlato di te, no? Credo fossi in dovere di farti sapere qualcosa di me" esordì poi lui notando il silenzio calatogli attorno nei brevi attimi in cui lei si era soffermata a riflettere.
Lei lo guardò compprensivamente, come fosse un'amica da sempre, cercando di fare abbassare quella sorta di barriera che la oscurava permanentemente, ma che le sembrava qualcosa di più necessario del dovuto, per poi annuire lentamente abbassando lo sguardo a terra mentre rifletteva su cosa dire.
"L'essere umano non crede che qualcosa, all'apparenza surreale,  possa accadere, fino a quando essa non accade davvero." commentò infine, facendolo leggermente sussultare.
"E' ciò che meglio descrive ciò che ti è accaduto..." si spiegò dunque notando l'espressione di lui, leggermente confuso, rendendosi conto di non essere stata a pieno capita.
"In poche parole, non sei nel torto perchè questa è semplice natura"

Rimasero in silenzio ancora  alungo, ad ascoltare l'eco dei loro respiri accennati in quella sorta di giardino fortificato, mentre i loro pensieri divenivano sempre più lontani e sbiaditi, rendendo loro sempre più calmi e tranquilli, come se la tensione tra i due fosse svanita in un istante breve quanto un battito d'ali.

"Non dirmi che mi stai perdonando..." scherzò infine lui, ostentando palese ironia nel tono di voce. Il tutto per spezzare quell'assenza di suono che li circondava.
Lei sorrise avvertendo l'aria allegerirsi attorno a loro "Non so... Forse... Diciamo solo che non sei il mostro che credavamo" fece lei imitando un viso sostenuto.
Senza nemmeno rifletterci, Duncan scoppiò in una fragorosa risata, divertito per qualcosa di tanto sottile, che sarebbe potuto benissimo sfuggire anche a lui: si era reso conto d'istante di come quello fosse la prima vera e propria presa in giro, anche solo scherzosa, che Gwen gli offriva di fronte, ed aveva avvertito al medesimo istante come una sensazione, una certezza, come se fosse stato improvvisamente certo che se si fosse fatto sfuggire quella risata lasciandola vivere solo che come un pensiero, quel momento non si sarebbe mai più ripetuto.
Gwen lo guardò, ora anche lei colta da un sorriso allegro, pur rimanendo sempre quell'incredibile e forte presenza che era costantemente costretta a rappresentare. Indossava una maglia comoda e larga, nera, abbinata ad un paio di pantaloni corti del medesimo colore. Aveva la pelle sporca di terra e polvere, risultato del duro allenamento svolto in giornata, ma nonostante ciò rimaneva sempre incredibilmente posata e intimidatoria.
Proseguirono con lo scherzare interi minuti, come fossero amici, acantonando per qualche attimo il rancore e l'ostilità che per più di una settimana erano stati testardi nel sostenersi.

"Non credo di avere mai sostenuto per certo foste... Cattivi" disse poi dopo qualche minuto il militare, sedendosi contro una parete dell'edificio in cui abitavano, osservando il cielo illuminato da una luna fioca e stanca, nemmeno lontanamente comparabile a quella che poteva essere stata prima che lui nascesse.
"Sicuramente non lo penso ora" aggiunse poi sperando di essere più chiaro possibile.
Lei lo raggiunse, sedendosi al suo fianco silenziosamente, insicuro su cosa dire.
"Io non so se ho mai creduto davvero ad una tua eventuale colpevolezza" fece invece Gwen, riferendosi al fatto che non era mai stata totalmente certa del fatto di poterlo o meno accusare di qualcosa.
"Io invece ne ho di colpe. Tante. Tra le prime, il fatto che il Governo non sia stato presente per voi, nonostante non siate dei veri colpevoli. Sopratutto tu e Scott. Voi siete assolutamente innocenti" mormorò il ragazzo non riuscendo a nascondere un profondo senso di colpevolezza in sè, come lui stesso avesse fatto in modo che quel sopruso potesse avvenire.
"Non è stato a causa tua, è evidente. Ma il fatto è che l'intero governo, quello che ancora pensa che tutti coloro che finiscono qui muoiono, non capisce. Siamo tanti, affamati, stanchi e costantemente spaventati. E loro credono ancora, dopo vent'anni, che i soli ad esistere sono loro. Ho visto persone malate finire qui... Malati terminali, innocenti e poveri. Vestiti malapena di stracci..." prese una pausa la ragazza cercando l'espressione di lui, che trovò crucciata, pur non accenando a farglielo notare.
"Tu sei stato il primo di loro a finire qui. Eri così fedele a quella massa di politici che avrei potuto sgozzarti in un istante."
"Perchè non lo hai fatto?" domandò dunque il militare, facendo sussultare lei per la domanda tanto improvvisa, ma non facendola però tentennare.
Gwen era certa sino a che punto fosse in grado di dire o meno la verità, e non le avrebbe certo causato un problema dire quello.
"Potenziale" mormorò semplicemente la ragazza guardandolo con la coda dell'occhio incurvare le sopracciglia per la confusione, mentre lei si sfiorava la fronte con l'indice della mano destra.
"I tuoi occhi mi hanno fatta esitare. Erano così umani... Se non ci fosse stato Geoff o non avessi mai combattuto, non avrei mai capito che eri un militare. Ne sono certa" ammise infine anuendo un paio di volte a vuoto, come stesse riesaminando con attenzione i propri ricordi.
"E' stata una fortuna incontrarti" aggiunse infine sempre la ragazza, sciogliendosi la lunga coda di cavallo che le legava i capelli rendendoli leggermente più corti di quanto effettivamente fossero.
Lui si limitò ad asserire con il capo, probabilmente senza sapere più che dire, leggermente in imbarazzo, ma non abbastanza da esprimerlo apertamente, mentre valutava con estremo piacere la sincerità di Gwen, probabilmente sin troppo abituata a dovere esprimere i propri pensieri, anche i più scabrosi.

Vennero inghiottiti presto da un silenzio che non si rivelò però pesante o imbarazzato. Era qualcosa di genuino e giusto, che aleggiava attorno a loro, mentre i due avevano iniziato ad osservare il cielo stellato sopra le loro teste. Il caldo afoso si era leggermente placato, lasciando spazio, non ad una brezza primaverile, ma ad un'aria decisamente più respirabile. Era surreale pensare che solo abbassando il volto si potesse cambiare tanto la visuale del mondo. Quel mondo ormai rovinato e consumato da guerre e disastri ambientali, susseguitosi a causa della follia e della sete di potere dell'uomo. 
Erano circondati da una prigione desertica nata da un prosciugamento di parte di oceano, e tutto ciò che potevano fare per non pensare anche solo a ciò che li attendeva il giorno dopo, era osservare quelle stelle che vagavano spensierate oltre il cielo stesso.

"A volte vorrei morire" esordì poi la dark con la voce rotta da una sorta di singhiozzo che non si trasformò però in pianto, il tutto mentre ancora osservava quella notte sopra la propria testa.
Duncan si voltò di scatto verso di lei, dimenticando quegli astri che gli trasmettevano tanta calma, colto da un senso di sconforto profondo. Rimase in silenzio ad osservarla, con le labbra semiaperte, ma incerto su cosa dire.
Nel frattempo Gwen aveva iniziato a sfoggiare un sorriso malinconico, con il quale si rivolse al militare prima che potesse dire qualsiasi cosa "Ma non credo lo farei mai"
Lui proseguì con l'osservarla pur rimanendo in silenzio, mentre lei si alzò lentamente e spossatamente da terra, fermandosi in piedi al centro di quel giardino improvvisato solo pochi giorni prima.
"Ma se accadesse, fa in modo che non sia a causa loro..." concluse riferendosi probabilmente alle truppe del governo, prima di incamminarsi verso l'interno, salutando il ragazzo con un cenno della mano veloce, mentre ancora rifletteva sulle parole appena udite.

Aveva avvertito una sensazione bizzarra nel momento in cui aveva ammesso quel suo pensiero riguardo la sua stessa morte, facendo ben intendere un suicidio. Una sensazione che non era riuscito a spiegarsi con chiarezza, motivandola con una semplice apprensione verso lei, se stesso e i coinquilini. Era certo che se Gwen fosse morta, nessuno di loro ce l'avrebbe fatta. C'era chi sarebbe impazzito, chi caduto nella disperazione, chi nella desolazione, ma lui?
Come avrebbe reagito lui?
E per quale ragione non riusciva a rispondersi a quella semplice domanda?

Deciso a non portare a termine quei pensieri risultatogli tanto contorti, si alzò decidendo di dirigersi nella porpria stanza al più presto.
Entrò nella casa lentamente, cercando di fare quanto meno rumore possibile, e dopo un paio di rampe di scale avvertì un rumore. Delle voci. Due.
Scott e Gwen.

Non seppe mai perchè quella curiosità fu tanta, ma rimane il fatto che invece che proseguire, si nascose oltre il muro, in modo tale da non potere essere visto, così da potere udire perfettamente la loro conversazione.

"Sono tutti migliorati..." fece lei pur rimanendo ritrosa a rispondere al rosso, cosa che fece confondere sempre più il militare.
"Abbastanza?" incalzò lui spazientito, facendola innervosire visibilmente in risposta, ma non facendola arrabbiare, cosa che il militare notò, non le accadeva mai in presenza di Scott. Non era mai irata con lui.
"Non so..." mormorò lei con la voce incerta, ma non spaventata. Era seriamente dubbiosa riguardo quella domanda.
A quel punto, non resitendo, Duncan si sporse leggermente, in modo tale da non potere solo udire, ma anche vedere la scena al meglio: Gwen era poggiata alla parete, bloccata dalle mani di Scott, posate una a destra di lei, ed una a sinistra, così da impedirle di allontanarsi. Eppure non erano in una posizione tale da farsi intimidatoria, quanto profodamente intima.
"Gwen... Sai che non abbiamo tempo..." sussurrò dunque lentamente, avvicinandosi al suo volto seriamente.
"Certo che lo so! Ma non dipende solo da me.." rispose lei alzando la voce colta sul vivo.
"Ah, giusto! Il militare... Stasera ti sei intrattenuta con lui più del solito" commentò il ragazzo scrutando lo sguardo di lei, come a trovare anche solo l'ombra di un segreto che non gli aveva raccontato, ma tutto ciò che trovò fu un tocco di imbarazzo.
"Cosa diavolo state facendo?" incalzò sempre lui scuotendo il capo lentamente in segno di negazione, mostrandole un'espressione colma di afflizione.
"Niente, Scott... Davvero" rispose lei sospirando lentamente, tornando a mantenere un tono di voce trattenuto, ridotto ad un melodioso sussurro.
"Sono così...-" "Preoccupato, lo so" gli sorrise lei addolcita dalla profonda paura nascosta dentro quel ragazzo di fronte a lei, che cercava ad ogni modo di celare i propri sentimenti e lei proprie sensazione, con il disastroso risultato di ritrovarsi sempre più freddo all'apparenza.
"Ti prego, fa in modo che questa preoccupazione sia superflua" la pregò infine scostandosi da lei ed andandosene.

Duncan restò nascosto fino a che anche lei non se ne fu andata, imrpovvisamente intrappolato in una sorta di inspiegabile confusione mista a fastidio. Si diresse nella propria stanza lentamente, trasportandosi con lentezza e disgusto, non comprendendo quella repulsione che lo aveva improvviamente colto senza alcuna spiegazione, rendendolo schiavo di voluttuosi fastidi.

Ovunque fosse, quello non era il luogo adatto a lui.

Non appena giunto di fronte alla propria porta, invece che aprirla,, spostò il porprio sguardo in una nuova direzione: la camera da letto di Gwen. Bussò rumorosamente sino a fare cigolare i cardini, cercando di sfogare quanto più gli fosse possibile in quel gesto.
La ragazza andò ad aprire con gli occhi comi di paura. Duncan la vide apparire di fronte a sè con il respiro fiacco le mani inferme e la faccia travolta.
Improvvisamente, la rabbia di lui cessò, lasciando spazio ad un'apprensione novia al ragazzo, che inerme in quanto ad armi o gesti, si ritrovò schiavo delle parole "Cosa succede?" domandò in un sussurro dunque.
Lei in risposta serrò le palpebre di colpo, generando dei veri e propri corsi colmi di lacrime e frustrazione, che le scivolarono lentamente sul volto, scavandole la pelle delle guance, rendendola sempre più debole ed indifesa. Si lasciò andare in un completo senso di terrore e disperazione. Singhiozzaca rumorosamente, nascondendo il proprio volto nei palmi delle proprie mani pallide. Si lasciò andare a terra inginocchio, cadendo come se le gambe le si fossero spezzate in due. 
Duncan la raggiunse chinandosi di fronte a lei, raggiungendo la sua stessa altezza.
"Ehy..." cercò di dirle poi sfiorandole una spalla totalmente ignorante al motivo del suo pianto. Spiazzato da quella sua reazione.
"Oddio... Grazie... Grazie a Dio sei tu..." singhiozzò la ragazza, affogando nelle proprie lacrime incessanti.
"Credevo fossero di nuovo qui... Di nuovo dentro... Oddio.... Grazie... Grazie..." aggiunse tramando sempre più forte e facendo avvertire al militare un senso di colpa continuo e sempre più incisivo.
L'aveva terrorizzata inconsapevolmente: bussando con tanta rabbia alla sua porta, l'aveva riportata all'infanzia, a quel giorno nel quale erano stati attaccati, e nel quale lei aveva perso tutto se non Scott.
Aprì la bocca, intento a scusarsi, ma non appena lo fece, un colpo lo scostò da lei. Il rosso era giunto udendo il painto di lei, aveva colpito Duncan allo stomaco per allontanarlo e si era fiondato immediatamente su Gwen, prendendola in braccio.
"Gwen... Gwen? Stai bene?" le domandò velcemente.
Lei si limitò ad annuire, mentre lui si voltava verso il militare colmo d'ira.
Portò Gwen nella sua stanza, adagiandola sul letto e coprendola immediatamente con ciò che era rimasto di antiche lenzuola. Se ne andò poi chiudendosi la porta alle spalle. Duncan era ancora in corridoio, con una mano poggiata sul ventre indolenzito a causa del colpo dell'altro.
"Non avvicinarti mai più a lei, chiaro?" lo minacciò immediatamente il rosso prima di andarsene, mentre Duncan rimaneva là fermo, interdetto, senza sapere con certezza che fare.

Si diresse poi nella propria stanza lentamente, trascinandosi addolorato sul proprio letto.




Angolo dell'autrice, che aggiorna -ahimè- con sempre più ritardo D:
mi spiace moltissimo averci messo tanto, ma tra una cosa e l'altra (verifica di tedesco a parte xD) non riuscivo mai ad aggiornare... Comunqueeee, non vi pare che oggi l'amore sia nell'aria? Sarà che non so perchè sono ultra gasata, ma a me sembra così u.u
Tragicamente - T.T - l'amore non è nell'aria per tutti, ma io non mi preoccupo u.u scrivere le mie storie mi fa sorridere, come le vostre recensioni sempre bellissime e accettatissime :)
#Mi scuso per eventuali errori (che sono certa in questo capitolo ci sarà, ma non ho avuto tempo di rileggerlo >.<)

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Capitolo 6
*** Desert_Zone cap.6 ***


Desert_Zone

cap.6



La mattina seguente era passata come le precedenti: un risveglio lento, tormentato e svogliato, seguito da una breve colazione ed una giornata di allenamenti intensivi. Quel giorno Duncan era stato più attento del solito nei confronti di Gwen, intento e concentrato come non mai ad osservare ogni sua azione, cercando di notare anche la più piccola nota di stonatezza che potesse farlo tentennare, ed effettivamente, doveva ammettere, qualcosa -anche se di minimale- lo aveva appurato.
Se nei giorni precedenti, la ragazza si era dimostrata interessata al militare, cadendo spesso nella tentazione di osservarlo di sottecchi, quel giorno invece, non lo aveva minimamente calcolato, senza avergli nemmeno rivolto un distaccato e freddo 'buongiorno' tanto tipico di lei. Lui non era certo di come reagire a quella leggera, ma consistente, novità. Lo infastidiva il fatto che Gwen lo avesse ignorato, ma ancora di più, non sopportava il fatto che ci fosse stata quella confusionaria incomprensione la sera prima, causata soprattutto dall'apprensione e l'avventatezza di Scott.
Poteva avere compreso, sì, le ragioni per cui era corso in soccorso della ragazza, ed anche perchè lo avesse minacciato, ma era rimasto basito di fronte alla reazione del rosso, che lo aveva colpito allo stomaco senza pietà, sotto lo sguardo esterrefatto di parte dei coinquilini che erano accorsi a causa delle urla di Gwen e dei colpi sulla porta di Duncan.
Probabilmente, aveva riflettuto il militare, se la situazione fosse stata meno delicata, non avrebbe tentennato nel reagire, colpendolo in risposta con altrettanta spavalderia.
Ma infondo, non gli interessava cosa pensasse o meno Scott, quanto cosa pensasse di lui lei. Infondo era lei il nucleo di quella piccola comunità, ed era perciò a lei che lui doveva accorrere a chiedere scusa.
Aveva già deciso: avrebbe atteso la fine della giornata per parlarle, proprio come avevano fatto la sera prima, ma per una volta, l'iniziativa l'avrebbe presa lui.

Si stava sistemando i capelli, acconciandoli quanto più comodamente le fosse concesso in una lunga coda color ebano puro. Era spossata dopo la lunga giornata di allenamento, eppure era tanto presa dai suoi costanti pensieri da non riuscirsi nemmeno a soffermare sulla fatica fisica che provava.
Un paio di passi, poi una voce bastarono a distrarla.
"Ehi..." esordì leggermente intimidita quest'ultima, appertenente con evidenza al militare che, a pochi centimetri da lei, non attendeva altro che la ragazza si voltasse ad osservarlo. Ma lei non voleva. Era rimasta tutto il giorno in disparte, evitandolo quanto più potesse, e non voleva cedere alla palese prospettiva che entrò pochi attimi si sarebbe voltata a rispondergli arrendevolmente.
Era imbarazzata, cosa che le capitava tanto raramente, che non era certa di come reagire. Si era dimostrata una debole, cosa che la faceva vergognare quanto nient'altro poteva, ed era certa che lui lo sapesse. Eppure, al medesimo istante si sentiva in dovere di parlargli.
Decise dunque, alla fine, di voltarsi ad osservarlo.
Duncan si reggeva di fronte a lei con un'espressione quasi timida in volto, che la faceva sentire ancora più indisposta di quanto mentalmente già non fosse.
Fu nuovamente lui a parlare "Sai... Mi dispiace per ieri sera. Non volevo farti preoccupare... E' stata tutta colpa mia..." disse lentamente, gesticolando nervosamente con le mani, scuotendo qualche momento la destra per poi riabbassarle entrambe.
Lei osservò ogni gesto silenziosamente, mentre avvertiva le sue parole.
"Insomma, intendo... Tutta quella confusione che è venuta a crearsi... E la reazione di Scott..." proseguì dunque non avvertendo risposta da parte della dark, che si limitò ad abbassare lo sguardo.
"Scusa" mormorarono poi all'unisono.
Lei si riferiva in particolare alla reazione del rosso, che le era parsa troppo esagerata, ma che non era riuscita a contestare, troppo in ansia e soffocata dalle sue stesse lacrime.
Si guardarono qualche momento negli occhi, prima di accennare una breve risata per quella piccola parola detta al medesimo istante.

Non appena il silenzio tornò a calare, fu nuovamente lui a prendere parola, questa volta più severo e leggermente irritato.
"Sai.. Ieri sera ti ho vista con Scott" mormorò poi, avvertendo un leggero nervosismo misto ad imbarazzo montargli dentro, cosa che non seppe -provando una bizzarra confusione- spiegarsi.
Lei sussultò visibilmente, quasi saltando sul posto, mentre lanciava una veloce occhiata al ragazzo, concentrando tutta la propria attenzione su di lui.
"D-Davvero?" domandò poi non nascondendo un tocco di agitazione.
"Sì" sancì lui nettamente, abbassando lo sguardo, sentendosi trafitto dall'ebano che erano i suoi occhi.
Lei si morse il labbro inferiore, presa in una riflessione all'apparenza profonda, ma che lui interruppe con una semplice frase "Non dirò nulla a nessuno, non devi preoccuparti"
Lei sorrise istintivamente, tornando più spensierata che in precedenza, nonostante non esibisse alcun evidente sorriso, cosa che fece sospirare in risposta il militare, moralmente e fisicamente spossato.
"Anche se non capisco perchè lo teniate segreto.." aggiunse infine rivolgendo la propria attenzione alla porta, con le palesi intenzioni di congedarsi al più presto.
Ma lei non glielo concesse, proseguendo con il parlargli.
"E' evidente, no? Non abbiamo ancora conluso qui..." fece lei mostrandogli un'espressione completamente confusa, che lui non capì, mentre con un braccio indicava con genericità l'intero giardino che li circondava. 
Quella risposta gli era parsa totalmente insensata, ed effettivamente, secondo la sua logica -e quella di ogni altro al suo posto- lo era.
"Che diavolo intendi?" domandò dunque, avvicinandosi di qualche passo alla ragazza che, in risposta, indietreggiò leggermente storcendo il naso e la bocca in forma interrogativa.
"No... Tu che intendi?"  chiese dunque propinando lui la medesima domanda che il militare aveva indirizzato a lei, attivando una sorta di sistema immediato di difesa nel tono di voce.
"Parlo di te e Scott, non è evidente?" rispose Duncan seriamente, rendendo in risposta, paonazzo, il volto di Gwen che corrucciò velocemente lo sguardo per poi sgranare gli occhi.
"Ma che stai dicendo?" incalzò poi l'altra aumentando il tono della voce, rendendolo più acuto a causa dell'imbarazzo improvviso.
"Vuoi dire che tra te e lui non c'è nulla?" fece il militare sinceramente ignorante del tutto, mentre lei proseguiva in balia del suo stesso imbarazzo scuotendo ripetutamente il capo come in preda ad una sorta di bizzarro spasmo motorio.
"Certo che non c'è nulla!" esclamò poi Gwen, serrando le palpebre per poi riaprirle mostrando al ragazzo uno sguardo completamente irritato.
"Come hai potuto pensare una cosa simile?" domandò dunque irritata, con la voce sinceramente arrabbiata, cosa che impose al militare di indietreggiare di almeno un paio di passi da lei.
"S-Scusa... E' solo che-" "Solo che non capisci niente, no? Sei un idiota!" lo aggredì immediatamente Gwen, calciando la polvere a terra e sollevando una piccola nube in aria, che la fece tossire un istante, facendole rischiare di perdere la sua fermezza, a cui però non temette di proseguire con l'aggrapparsi. Si portò una mano di fronte alla bocca, coprendosi completamente la parte inferiore del viso, rendendogli possibile osservare solo che il suo sguardo corrucciato: gli occhi accesi e le sopracciglia arcuate, reclinate verso il basso.
"Ho solo sbagliato nel fare un'osservazione! Non vedo perchè darmi dell'idiota!" gli rispose dunque Duncan, orgoglioso quanto lei, cancellando quella distanza che aveva conquistato solo poco prima dalla ragazza, acquistando un espressione irata come quella di lei.
"E'... E' disgustoso!" esclamò dunque Gwen alzando le braccia al cielo, quasi colpendolo, per poi riprendere a parlare "E' come un fratello! Non potrei mai..." si fermò, preferendo non continuare.
A quelle parole, il militare sgranl gli occhi, avvertendo un leggero imbarazzo montare, ma sapendo perfettamente di non  poter minimamente chiederle scusa, a quel punto con il petto troppo gonfio d'orgoglio.
"B-Bhe... Ma non lo è!"
"Ma è come se lo fosse! Chiaro? Sei davvero-" "Uno stupido, ho capito! Ma hai avuto una reazione spropositata per una stupidaggine come questa!" la interruppe Duncan alzando il tono della voce, quasi urlando, ancora infastidito dall'arroganza che lei gli aveva dimostrato solo qualche secondo prima.
"Per me questa roba... Non è una stupidaggine, ok? Prima mi fai preoccupare, poi... Poi te ne esci con queste idiozie da ragazzini, che non dovrebbero nemmeno passarti per la testa in momenti come questi e..." lo rimproverò lei, per poi bloccarsi mordendosi il labbro in modo tale da chiudersi la bocca, segno che lui non potè fare a meno di notare.

Quando, qualche minuto prima, lui aveva esordito dicendo che sapeva tutto, lui si riferiva al fatto che aveva ipotizzato una relazione segreta tra lei ed il rosso, ma lei aveva negato quell'ipotesi, pur non avendola screditata nel momento in cui ancora lui non aveva chiarito i propri pensieri.
C'era dunque qualcosa di cui nè lui, nè il resto dei coinquilini -se non lei e Scott- erano al corrente. Esattamente come qualche giorno addietro, quando lui aveva intuito che i due stavano nascondendo un segreto, che si era poi rivelato essere la costruzione del recinto.
Effettivamente, doveva ammettere, erano un paio di giorni che quando Gwen si congedava, spariva poi per qualche minuto, anche mezz'ora alle volte, e la sera precedente l'aveva trovata con il rosso. Come era perciò possibile, non sospettare un minimo dei due?
Cosa stavano nascondendo loro?
Ma soprattutto, cosa intendeva prima Gwen con quella risposta?

"Non abbiamo ancora conluso qui..."

Aveva detto così indicando ciò che li circondava, ma cosa con precisione?
L'edificio? La Desert_Zone? Per un attimo riflettè persino sul fatto che parlasse della sua stessa vita, riportando alla mente il ricordo di lei che gli rivelava di avere spesso riflettuto sul suicido, ma poi un'idea, veloce e concisa, si delineò con sorprendente precisione nella sua mente, risultando nient'altro che giusta.
Probabilmente parlava del loro addestramento.

"Te la stai prendendo con me... Perchè ti senti in colpa... Ho ragione?" esordì dunque il ragazzo con calma, facendo leggermente sussultare lei, che in risposta non potè fare altro che sgranare gli occhi per poi balbettare brevemente un paio di frasi.
"N-Non mi sento in colpa p-per nulla."
"Davvero? Sbaglio o stai nascondendo a tutto l'esercito un segreto? Mi hai detto che li stiamo addestrando per proteggerli, e fin qui ti credo. Ma non penso che li stiamo proteggendo solo dalla Desert_Zone. A questo punto sono tutti abbastanza esperti da potere sconfiggere uno fuori di senno ridotto al cannibalismo... Li stiamo addestrando a sconfiggere qualcos'altro. Ho ragione?" incalzò dunque il militare avvicinandosi di qualche passo a lei, che in risposta ritrovò in fretta tutta la propria spavalderia e sicurezza, con la quale innalzò una barriera assolutamente fortificata.
"Pensi forse che sto facendo del male a loro?" domandò lei in controrisposta, colta sul vivo dalle parole straordinariamente intuitive di lui.
"Non potrei mai pensare una cosa simile. E' da folli. Sei probabilmente la persona d'animo più nobile che conosca, nonostante tu lo celi, Gwen. Sto solo dicendo che magari, sì, all'inizio l'addestramento era per il fine che mi avevi detto, ma poi qualcosa è cambiato... Un paio di giorni fa qualcosa è cambiato... Quando hai iniziato ad appartarti ogni sera con Scott a discutere" rispose con sincerità lui, facendole capire quanto sapesse e di quanto fosse ignorante.
Lei incurvò le sopracciglia verso l'alto, assumendo un'espressione preoccupata e afflitta, per la quale il militare era incerto su come reagire. Non sapeva se sarebbe stato in grado di rimanere lucido dopo che lei avrebbe parlato con un tanto timido volto.
"Dimmi solo come stanno andando..." lo supplicò dunque lei mordendosi il labbro inferiore.
Lui tentennò un istante, nel quale percorse brevemente le iridi di lei, alla ricerca anche solo di una piccola scintilla che però, lei sapeva celare con una maestria degna di un vero bugiardo.
"Sono tutti davvero migliorati..." disse dunque lentamente, guardando i mutamenti del suo volto "alcuni sono davvero straordinari" mormorò infine notando un vigoroso sospiro di sollievo da parte di lei, che lentamente si voltò pronta a congedarsi.
"Ti dirò tutto... Domani, come per gli altri, ok?" domandò prima di carcare la soglia della casa, pronta a rientrare, senza però voltarsi ad osservare il suo volto, che avrebbe trovato intento ad annuire lentamente assorbendo le parole voluttuose ed astrette di lei.

Era felice, aveva visto quel pacchetto come una sorta di via di fuga dal tutto, persino dalla vita stessa, e lo aveva afferrato intascandolo velocemente. Prima di quel momento non si era nemmeno più domandato che fine avesse fatto il proprio pacchetto di sigarette, dimenticato nei pantaloni della propria divisa militare, il giorno in cui era giunto alla Desert_Zone, tanto era rimasto stravolto dal susseguirsi frenetico degli eventi, e ritrovare quella piccola scatola rossa e bianca con su scritto Malboro, lo aveva fatto letteralmente sorridere.
Erano rimaste solo cinque sigarette, ma non gli interessava. Quello non era il luogo più adatto in cui preoccuparsi di assurdo materialismo.
In quelle settimane, non si era nemmeno reso conto di avere avvertito l'astinenza dovuta al vizio ormai trascurato, probabilmente confondendola con l'ansia perenne che quel luogo ti attanagliava sulle spalle irrimediabilmente.

Era notte fonda, ma nonostante ciò, dopo essersi infilato il pacchetto in tasca, scese le scale sino alla cucina, lasciando la propria stanza vuota, e cercando una scatola di fiammiferi che potesse aiutarlo ad avvertire quella leggerezza con qui quel dannoso ed orribile vizio lo deliziava.

Ma infondo, si era detto, erano le sue ultime cinque sigarette.

Giunse nella stanza, che trovò già illuminata da una quindicina di candele, tutte posate attorno alle pareti, perfettamente posizionate. Si voltò verso il divano, dove vide seduto Geoff, contrito da un'aria decisamente preoccupata e frustrata.
Lo salutò con un gesto della mano, ed il biondo ricambiò con un veloce cenno del capo.
"Come va?" domandò poi il militare raggiungendo una credenza in legno completamente in rovina, che iniziò a perlustrare totalmente, alla ricerca di una scatola di preziosissimi fiammiferi. Sapeva che c'erano, ma non si era mai appurato di sapere dove fossero.
"Male, come sempre. Tu?" fece ironico l'altro osservando gli atteggiamenti che Duncan aveva con un sorriso, per poia lzarsi e ragguingerlo.
"Potrebbe andare meglio, mi pare evidente. Eppure... Eppure... Sono sicuro che domani sarà tutto più chiaro" si limitò a dire dunque il punk, proseguendo con la propria affannata ricerca, mentre Geoff, decisamente più asennato, rimase a guardarlo calmo.
"Se lo dici tu..." scandì lentamente il biondo, con un tono di voce basso, ma marcato al medeismo istante.
"Che stai cercando?"
"Fiammiferi... O accendini." rispose con noncuranza il militare, proseguendo con il suo obbiettivo, mentre il biondo apriva con calma e consapevolezza un cassetto in un ripiano leggermente più alto, dal quale tirò fuori una piccola scatola, che passò al volo all'altro.
"Grazie!" esclamò quindi Duncan, quasi esalando un sospiro di sollievo, mentre già avvertiva il montare dell'astinenza prolungata ed imaginava lo scarico di pensieri a cui lo avrebbe portato solo il primo tiro di filtro.
Afferrò il pacchetto di sigarette, poggiando la scatola dei fiammiferi su un ripiano vicino, per poi sfilare con eleganza e maestria, due rocchetti, porgendo la bocca della scatola di fronte al biondo, che con tentennamento allungò una mano verso uno dei filtri che sporgevano, osservando la reazione del militare, che in risposta annuì, scatenando un sorriso sul volto del'altro.
"Dove le hai trovate?" domandò dunque Geoff stringendo tra indice e medio il filtro della propria sigaretta, e osservandola come fosse qualcosa di unico ed incredibile.
"Sono mie." rispose con semplicità l'altro, portandosi la propria cicca tra le labbra, spostandola all'angolo destro della bocca, ed afferrando la scatola dei fiammiferi.
"Erano nella tasca dei miei pantaloni." proseguì infine accendendo un fiammifero e portando la piccola fiamma sulla punta della sigaretta, mentre con l'altra mano la riparava dall'aria, così da fare in modo che non si spegnesse.
Non appena ebbe fatto porse il fiammifero a Geoff, che fece lo stesso.
Duncan prese il primo tiro con lentezza, gustandosi quel sapore che, era certo, di lì a poco sarebbe stato costretto a dimenticare, per poi buttare fuori il fumo avvertendo un vuoto dentro di lui, incredibilmente piacevole.
"Oddio ti ringrazio..." mormorò invece il biondo non apppena ebbe fatto fuoriuscire il fumo dalle proprie labbra.
"Mi sembra di tornare sedicenne..." continuò poi riportandosi alla bocca il filtro inumidito poco prima.
"Fumavi?" domandò Duncan a quel punto, voltandosi verso di lui, che trovò sorridente e veramente ragazzino. Sarebbe sempre dovuto essere così un diciottenne.
"Sì... Ho iniziato a quindici anni e poi, beh... Sono finito qui. E se già era difficile raccimolare una stecca là dal Governo, figurarsi qui dove non esistono nemmeno quei pazzi schivisti ossessionati dal controllo..." scherzò lui senza nemmeno riflettere più di tanto riguardo al fatto che stesse parlando con uno dei loro sottomessi. Non appena se ne rese conto si volto verso di lui "Ovviamente senza offesa..." si scusò poi più che altro per gentilezza, notando come il militare si fosse fissato ad osservare il vuoto di fronte a lui silenziosamente, ma nemmeno di fronte a quelle parole del biondo, cambiò espressione, rispondendo solo dopo avere dato un nuovo tiro alla propria Malboro.
"Figurati... Non... Non importa" 
L'altro annuì con tranquillità, osservando la propria sigaretta, per poi tornare a parlare, capendo che almeno quel momento, in cui si godevano una delle poche cose rimastogli loro -nonostante fosse solo una sigaretta- dovevano parlare con tranquillità.
"E tu... Fumavi?" chiese dunque Geoff sorridendo.
Duncan guardò quello che ormai poteva chiamare amico con spavalderia, per poi buttare fuori il fumo che tratteneva ormai da qualche secondo prima di rispondere.
"Sì, ed anche parecchio. Sai, l'esercito ti mette... Tensione. Tanta. E una sigaretta ogni tanto ti fa smettere di pensare."
"Non era vietato il fumo, l'alcol e tutto il resto?" incalzò il biondo divertito dalla tranquillità dell'altro.
"Trasgredivo solo a questa regola. Avevo un amico che sequestrava sigarette di continuo. Anche duemila stecche al giorno ancora nuove. Allora me ne passava qualcuna. All'inizio non accettavo, ma poi non ce la facevo più con lo stress ed altri della mia stessa truppa fumavano ogni tanto, la sera, di nascosto, così iniziai e non smisi più... Fino all'arrivo qui. Questa..." disse afferrando la propria sigaretta tra pollice ed indice verticalmente e mostrandogliela soddisfatto "E' la prima che fumo dal mio arrivo qui"
Il biondo scoppiò a ridere un istante, per poi scuotere il capo dicendo "Dunque non sei così santarellino come fai credere!" ironizzò infine.
"Non provarci piccoletto. Non prenderti gioco di me..." lo minacciò scherzosamente Duncan per poi divenire serio dando un ultimo tiro alla propria malboro, ormai ridotta ad un mozzicone.
"Sai... Un mio compagno di truppa, è finito nella Desert_Zone per essere stato beccato a fumare." disse poi con lentezza, divenendo serio.
"Scherzi?" rispose immediatamente il biondo cercando lo sguardo dell'altro, che trovò senza la minima esitazione.
"E'... Surreale. E' solo una sigaretta, cazzo!" imprecò poi sempre Geoff spegnendo la Malboro tra le proprie mani pressandone la punta sul ripiano a cui erano poggiati.
"A quei tempi non capivo immagino... Fu prima che prendessi il vizio, ma sta di fatto che quella notizia quasi non mi toccò. Non mi sentii mai in colpa per quello, ma quando ci penso ora, credo di essere stato orribile. Quando vennero dicendoci che non sarebbe più tornato, mi sono detto che aveva sbagliato ed era giusto che pagasse. Ero certo che a me non sarebbe mai successo nulla perchè sottostavo alle regole. Ma ora, se ci penso... Penso 'sai, potevi salvarlo forse...' oppure 'magari è ancora vivo...' ed è orribile" disse lentamente il militare, buttando a terra la cicca e pestandola con una rabbia repressa che il biondo notò.
"Mi dispiace. E comunque non è stata colpa tua. Non devi sentirti in colpa" commentò semplicemente.
"Io invece credo sia stata completamente colpa mia... Io lo sapevo, capisci? Forse potevo.. Non so... Fermarlo" disse lentamente Duncan guardando il pavimento, su cui si trovava il mozzicone di sigaretta ormai spento.
"Tsk! Cazzate! Perchè ti ostini a darti delle colpe che non ti meriti?" chiese sinceramente confuso Geoff, squadrandolo con una malcelata ostilità a riguardo.
"E' più facile dare la colpa a se stessi. Se la si da ad altri, poi sei costretto ad arrabbiarti, non fidarti più di loro e... E poi umiliarti pur di riavvicinarli. Invece se te la prendi con te stesso, a quel punto quel che fatto è fatto"
"Questi altri sono.... Il Governo" mormorò Geoff lentamente, facendo sussultare Duncan in risposta.
"Forse..." rispose dunque il militare lentamente, corrucciando lo sguardo rendendosene conto. Non aveva mai realizzato una simile verità, e farlo in quel modo, lo sorprendeva non poco. Aveva sempre pensato che, chiunque fossero stati quegli 'altri', il problema era solo che suo, ma ora capiva di essere stato incredibilmente codardo e succube sin da principio.

"Ora vado... E' tardi e se Bri si sveglia... Beh... Ciao" si congedò goffamente Geoff distraendolo dai propri pensieri e sorridendogli amichevolmente.
"E grazie della sigaretta!" esclamò poi sparendo oltre le scale.
Duncan rispose con un semplice cenno, mentre, rimasto solo, si accasciava spossatamente sul divano che, ad un lato della stanza, spiccava visibilmente, ampio ed accogliente.
Era confuso, tormentato ed improvvisamente, più sicuro.

Più sicuro di se stesso, del mondo e sugli altri. Su molti altri.
"Io... Detesto... Il Governo"



---> ANGOLO MIO MIO MIO MIOOOOOOOOOOOOOOOOOO *3*
Ed eccomiiiii! Nuovamente puntiale ;) se non in anticipo u.u dovreste dire che sono davvero incredibile e ammirevole, ma per stavolta vi perdono ahahhaha!
Sono fusa :') sto parlando con una mia amica di Roma con cui -tragicamente- non riesco mai a vedermi e ora non sappiamo come fare t.t
Comunque fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo ^_^

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Capitolo 7
*** Desert_Zone cap.7 ***


Desert_Zone
 
cap.6

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"Stasera mi racconti una nuova storia?" domandò la bambina osservando gli occhi della madre, quel giorno meno umidi del solito.
"Stasera proprio non posso, mi dispiace" rispose la madre tristemente, certa di dare una piccola delusione alla propria piccola Gwen.
"Perchè?" chiese la piccola, mentre la madre le sistemava le lenzuola dopo averla adagiata sul proprio lettino.
"Perchè dobbiamo guardare Scott... Lo sai che non sta bene, no? Suo padre nemmeno. Sono entrambi malati e dobbiamo aiutarli, Gwendoline. E' importante aiutare le persone, e poi sai che se tu stessi male, Scott si preoccuperebbe?" rispose la madre rimboccando le coperte alla bambina e guardandola con un sorriso amorevole.
"Sì... Lo so" rispose l'altra sfoggiando un broncio assolutamente pentito, che fece sorridere irrimediabilmente la donna, che tornò però nuovamente seria per alzarsi.
"Scott è un po' solo, sii gentile con lui, ok?" fece la madre, cercando di fare capire alla sua giovane figlia quale fosse la cosa giusta da fare, cosa che si rivelò però superflua.
"Io voglio bene a Scott. E' tanto gentile con me. E' la persona più speciale" disse lentamente la bambina quasi interrompendo la donna, che si voltò verso di lei sorridendole quasi commossa.
"Bene. Sono felice. Scott è il tuo fratellone."


"Ragazzi... C'è una novità" esordì la dark cercando di ottenere l'attenzione di tutti i presenti. 
Lei e Scott avevano radunato tutti i coinquilini con una fretta tale da avere scatenato, in un primo momento, un vero e proprio panico generale.
Duncan era seduto sul divano e sapeva che qualsiasi cosa avrebbero udito quel giorno avrebbe significato qualcosa di fondamentale, lo aveva notato nello sguardo che Gwen gli aveva rivolto la sera prima mentre parlavano, che lo aveva tormentato tutta la notte, anche dopo quella sigaretta che lo aveva fatto sospirare di vero e proprio sollievo.
Solo il militare, però, dentro quell'edificio era davvero attento. Gli altri proseguivano i loro inopportuni chiacchiericci, con il risultato di infastidire in modo oltremodo insopportabile il ragazzo che, ormai spazientito, si alzò di scatto per poi sbattere con prepotenza un palmo su un tavolo, così da richiamare l'attenzione di tutti.
"Zitti!" aveva poi gridato, notando un lampo di completa confusione nello sguardo di Scott, probabilmente ignorante del fatto che lui avesse parlato con la ragazza, nei quali occhi, invece, vide solo che un silenzioso ringraziamento.
La sala si zittì immediatamente, così da concedere al generale di quella malsana truppa, di proseguire.
"Si tratta di qualcosa di davvero importante..." si fermò un istante abbassando lo sguardo, per poi rettificare "Fondamentale."
"Cosa succede?" intervenne Geoff storcendo un labbro, probabilmente già preoccupato dei possibili nuovi sviluppi verificatasi, cosa completamente comprensibile. Ormai non passava un giorno in cui il gruppo non venisse a conoscenza di un nuovo morto o di un ennesimo parassita che circondava la zona, come un nuovo cannibale.
"Vedete... Il motivo per cui ci siamo allenati tanto, non è solo quello di garantire una sopravvivenza" esordì Gwen serrando le proprie mani in due pugni distesi contro le coscie di lei. Scott la osservò, incerto se potesse continuare il discorso con tranquillità, ma lei in breve riprese a parlare, non concedendogli di inserirsi nel discorso "Qualche giorno fa, abbiamo scoperto una cosa. Una cosa che potrbbe cambiarci totalmente la vita. Ad ognuno di noi"
Duncan dovette trattenere il respiro, tanto era agitato. Di qualsiasi cosa stesse parlando lei, non era certo di come reagire: doveva preoccparsi? Doveva rilassarsi? 
Era così vivere nella Desert_Zone, essere in un costante stato di confusione psicologica. Non si doveva mai saltare a conclusioni affrettate, non faceva altro che donarti una morte precoce.
"Di che si tratta? Dobbiamo spaventarci?" domandò Noah, facendosi avanti da dietro il resto dei ragazzi, sempre più consono a rimanere in disparte.
"Non so esattamente. Immagino che ognuno avrà la propria reazione" farfugliò la dark, non sapendo sinceramente che rispondere, trovandosi in difficoltà nell'esprimersi per la prima volta da quando Duncan ne era testimone.
"Che intend-" "Sta zitto!" Si intromise nuovamente il militare, sempre più in ansia ed agitato. Più si prolungava quel momento, più riportava alla mente il viso di lei la sera precedente e di quanto esso si fosse dimostrato afflitto.

Notando l'ansia di lui, Gwen prese un nuovo respiro, capendo di dovere giungere al più presto al punto. Prima che i suoi compagni si distraessero troppo, e prese perciò parola  nuovamente.
"La barriera che delimita la Desert_Zone dall'area del Governo è formata da una filla rete di magneti che fluttuano grazie alla carica opposta della terra, che sono collegati elettricamente tra loro. In poche parole, la rete c'è e può ucciderti, ma noi non la vediamo. Sono questi magneti, della grandezza di un moscerino, a renderla tanto carica di elettricità. Non sappiamo quanti magneti ci siano attorno alla Desert_Zone, ma sta di fatto che si è creato un calo di tensione qualche giorno fa. Questo calo di tensione, ha reso un numero limitato di essi assolutamente inutilizzabili... Li ha smagnetizzati."
Improvvisamente il militare sgranò gli occhi, capendo al volo di cosa lei stesse parlando. Anche lui, avendo preso parte ad alcune operazioni governative, sapeva come fosse composta quella barriera pressochè invalicabile, e capiva con assoluta chiarezza dove la dark volesse finire a parlare.
"Crediamo siano tre. Non molti di più, probabilmente disposti in modo orizzontale." proseguì lei gesticolando lentamente con le mani, fingendo di avere di fronte a lei tre piccoli magneti.
"Cosa significa? Dove vuoi arrivare?" riprese Geoff, non riuscendo a capirla.
"Si è creata una porta."

Il silenzio era calato attorno a loro nel momento in cui il militare aveva preso parola, tagliando di netto il discorso che Gwen aveva preparato in quei pochi minuti che le erano rimasti per riflettere.
Nessuno aveva più parlato, preferendo voltarsi verso la ragazza che, anche lei con gli occhi sgranati, rimaneva in piedi al centro del salotto osservando Duncan. Non le risultò complicato darsi una spiegazione per la quale lui avesse capito, infondo era sempre stato uno di loro e non doveva essergli risultato perciò difficile giungere alla conclusione.

"E'... Vero?" domandò flebilmente Bridgette, parlando per molti. In risposta la dark annuì nettamente, pronta a tornare a parlare più diretta che in precedenza.
"E' un foro. Uno sbrago, una rottura. C'è tutta la rete, tranne quel breve punto in cui l'energia non riesce a passare a causa dei magneti danneggiati. L'ha scoperto Scott poco tempo fa quando era andato via per provviste. Ha visto un animale attraversare il confine senza subire un graffio e dopo varie ispezioni ha capito. Un calo di tensione è bastato a rovinare la prigione più spietata e folle mai esistita, ma a tutto c'è un limite"
Con quelle parole, l'euforia che stava lentamente intaccando ognuno dei presenti svanì.
"Che intendi dire?" domandò Heather corrucciando lo sguardo, non capendo realmente dove la ragazza volesse arrivare.
"Intendo che il Governo si idealizza e definisce come organo operativo perfetto, e come tale non manderà avanti questa avaria per molto." spiegò la ragazza, facendo intendere a tutti che ciò a cui le premeva in particolare arrivare era proprio quello: il fatto che se volevano muoversi, lo avrebbero dovuto fare immediatamente e senza tentennamenti, perchè una volta varcato quel confine, sarebbe significato l'inizio della guerra.
"Potrebbe essere l'inizio, ma al contempo la fine di tutto. Sconfiggere l'ente che deteniene il potere su tutto il mondo non è una cosa da nulla" aggiunse Gwen mormorando, notando che nessuno rispondeva, nè prendeva più parola.
"E' folle. E' assolutamente suicida" disse dopo qualche minuto il militare, attirando la completa attenzione dei coinquilini su di lui. Si sentiva un codardo, e ne aveva ogni merito. Aveva desiderato evadere per intere settimane, ed ora che si proponeva l'occasione, realizzava che il solo luogo veramente sicuro era proprio la Desert_Zone. Nel momento in cui si era abbandonato all'idea di morire dentro essa, gli veniva offerta su un piatto d'argento la possibilità di tornare alla sua vecchia vita, ma lui non voleva.
Sapeva cosa sarebbe significato farlo: tornare in una truppa, divenire nuovamente generale, uccidere, ubbidire, divenire nuovamente succubi di un Governo completamente dittatoriale che lo aveva ingannato per più di vent'anni della sua giovane vita, e non voleva andasse così.
Era al corrente del fatto che se li avessero trovati oltre il confine, nemmeno lui sarebbe sopravvissuto, e già era certo di come il Governo si sarebbe disfatto di lui non appena riconosciuto come scomparso o deceduto. Era certo che nessuno tra loro -nemmeno Gwen o Scott- sarebbe sopravvissuto.

E lui non era un ingenuo.

"Lo è... Probabilmente" sussurrò dopo qualche minuto la dark mantenendo lo sguardo basso, puntato in un punto non definito del pavimento in pietra sotto i loro piedi. Si morse il labbro inferiore, per poi serrare e riaprire velocemente gli occhi, pronta a proseguire "Infatti non ho mai obbligato nessuno a partire"
A quella frase, tutti, compreso Duncan, alzarono lo sguardo in direzione degli occhi ebano di lei, decisi e severi, ma al medesimo istante stanchi e preoccupati. Silenti,  le persone attorno chiedevano spiegazioni per quella nuova e bizzarra frase, ma non giunse immediatamente, facendoli ansiare nuovamente in attesa.
"Lo sapete ciò a cui io e Scott puntiamo. Vogliamo che cambi qualcosa. Vogliamo che il Governo ceda e che crolli, perciò nel momento in cui attraverseremo il confine, sapremo cosa significherà." scandì Gwen  osservando con attenzione le espressioni di tutti i presenti, ormai certa che sarebbero stati ben pochi -se non nessuno- quelli a seguirli.
"Guerra" riprese Duncan, rendendo concreto anche agli altri il futuro che li avrebbe attesi una volta fuori dalla Desert_Zone.
"Esatto." asserì la dark annuendo un paio di volte, per poi riprendere "Vi abbiamo allenati perchè sopravviviate qua, nel caso ce ne andassimo, perchè così faremo. Sono sicura che non siate tutti pronti a questo, e non parlo in senso fisico, perchè avete tutti buonissime capacità di combattimento, ma in senso psicologico. Io non sono mai stata oltre questo immenso deserto e non so cosa ci sia, ma da quello che ho capito, una volta stati là, non ci si vuole più tornare. Per questo sono abbastanza certa che non tutti voi mi seguirete. Ma lo capisco"
Aveva concluso sorridendo, cercando di mostrare a tutti quanto realmente la ragazza non si sentisse in collera con nessuno, facendo capire loro che, come lei li aveva salvati dalla Desert_Zone, loro l'avevano mantenuta umana, probabilmente donandole una delle cose più importanti che desiderava.
"Una volta varcata la rete elettrica, saremo ricercati. Tutti e senza distinzione." intervenì Scott, cercando di fare capire quanto più nettamente possibile a tutti, che quello non era uno scherzo e che, con ogni probabilità, superava di moltissimo, il nemico che era stato la Desert_Zone.

Il silenzio inghiottì la sala in breve tempo, rendendo ognuno dei presenti schiavo di differenti pensieri e riflessioni. C'era chi, come Geoff, doveva pensare ad una seconda persona  a cui teneva quanto alla sua stessa vita, e chi, come Heather, si ritrovava con nulla da perdere se non la propria esistenza.
A Duncan parve tutto sbagliato: non era ammissibile che un mucchio di ragazzini si ritrovasse a costretto a trovare una soluzione per l'intero mondo, invece che solo per se stessi. Per un attimo giunse persino a pensare di dare tutta la colpa a Gwen, riflettendo sul fatto che poteva accusarla di volergli rubare anche l'ultima cosa rimastogli, cioè la sua vita, ma poi sorrise.

Aveva ancora quelle tre sigarette.

"Io vengo" disse alzandosi in piedi e raggiungendo il fianco della dark, che lo guardò con un'espressione mista a confusione e gioia irrefrenabile. Tra tutti, doveva ammettere, che mai avrebbe scommesso sulla prima presenza del militare. Scott sospirò rimanendo in silenzio, pur non potendo negare a se stesso quanto gli avesse dato sollievo vederlo farsi avanti, certo che quel ragazzo fosse probabilmente il più abile tra tutti.
Un brusio iniziò lentamente a levarsi tra il resto dei ragazzi, rimasti leggermente scossi da quella dichiarazione tanto aperta del ragazzo.
"Al Diavolo, ragazzi! Ormai so benissimo da che parte stare!" esclamò dopo qualche minuto Geoff, seguendo il militare ed affiancandosi a lui, che in risposta gli rivolse un breve sorriso divertito, perchè tutto sommato Duncan rivedeva se stesso in quel giovane biondo spensierato, e non desiderava altro che lui ce la facesse.
Bridgette lo seguì abbracciando un istante Gwen prima di dirigersi verso il suo ragazzo, al quale teneva come nessun altro.
"Ormai cosa mi resta?" esordì dopo un paio di minuti Heather, lanciando una breve occhiata al soffitto "Almeno se ce la facciamo ci scrivo un libro" commentò poi ironicamente sorridendo alla ragazza che li aveva guidati sino ad allora con la fierezza di una fenice, e che ancora, nonostante le indubbie intemperie, si ergeva ancora orgogliosamente.
I due rimasti -Dj e Noah- si lanciarono una breve occhiata, prima di annuire un paio di volte alla dark, segno che nemmeno loro si sarebbero ritratti a quel destino che bussava loro alla porta, perchè era così. Se era andato a crearsi quel varco in mezzo a quella rete di continua e spietata elettricità, ciò significava che dovevano attraversarla, o che per lo meno, dovevano tentare sino alla fine di sopravvivere. E tutti, senza distinzione, avevano accettato quel patto con la morte.

Gwen avvertì le guance inumidirsi, mentre una gioia straordinaria la riempiva completamente, rendendola completa in un modo che non avvertiva da molto tempo. Nessuno le aveva voltato le spalle, ed ora, era più che certa che mai sarebbe accaduto.




----> Angolo dell'autriceee :D
ok, non potete immaginare che casini mi sono successi ieri notte (NON PENSATE MALEEE AHAHAH), ma sta di fatto che queste cose mi hanno ispirata e, nonostante il risultato sia un capitolo leggermente più corto rispetto al solito, spero apprezzerete ^-^ e se è così lasciatemi un paio di recensioni :D


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Capitolo 8
*** Desert_Zone cap.8 ***


 
Desert_Zone



cap.8




Era ormai notte inoltrata. Gwen era in quel piccolo giardino improvvisato, circontato da una cinta di mura -anch'essa improvvisata- e guardava il cielo stellato, sperando di scorgere in esso un qualche aiuto o segno.
Tutti erano dalla sua parte. Ognuno di quei ragazzi le aveva dimostrato quanto credeva in lei, ed ora il fardello che portava con sè, sembrava improvvisamente aumentato. Si era sentita indubbiamente felice quando tutti le avevano dimostrato la loro cieca fedeltà, ma adesso, dopo avere rifettuto qualche ora, capiva quanto quelle poche, quanto fondamentali, persone credessero in lei. Era qualcosa di troppo grosso per una ragazzina come lei.
Si portò una mano tra i capelli, scompigliando quella lunga chioma ebano che le circondava il volto sin da quando era malapena una bambina, sospirando, sperando di potere cancellare, anche se solo per qualche istante, quegli improvvisi dubbi che l'avevano assalita: come sarebbe riuscita a proteggere tutti? Come si sarebbero nascosti? Cosa aveva effettivamente intenzione di fare, una volta superata la recinzione?
La verità? Qualsiasi cosa avrebbero fatto dal momento in cui avrebbero lasciato la Desert_Zone, erano ora supposizioni malapena realistiche.
Dove era finita la convinzione che, solo poco prima, le incorniciava il volto rendendola un'arma pronta allo scatto, pronta ad affrontare ogni guerra imminente pur di donare, anche solo ad un bambino, un futuro migliore? Sfumata. Scomparsa nella realizzazione che non aveva effettivamente nulla da cui partire. Svanita nel momento in cui aveva compreso che lei era una e loro mille.

Fu un sospiro stanco al suo fianco a risvegliarla dai propri pensieri. Si voltò in direzione del suono udito, incontrando una figura seduta vicino a lei, esattamente nella sua stessa posizione: la schiena abbandonata contro la parete ed il volto rivolto al cielo completamente limpido che li sovrastava.
"Duncan Smitt" esordì lei, attenta a ritornare con il proprio cipiglio deciso "Che fai? A quest'ora dovresti dormire, non credi?"
Il ragazzo si limitò a sollevare le spalle, continuando a contemplare il firmamento stellato, sorridendo innocentemente "Non ci riuscivo" disse poi semplicemente, lasciandola con la sola reazione di sorridere qualche istante. Era davvero sincero ed irriverente quella sottospecie di militare.
"Sai, forse ti ho davvero perdonato" disse dopo qualche minuto di silenzio la dark, ripresasi dalla semplicità di lui "Sempre che ci sia davvero stato qualcosa per cui odiarti"
Duncan la guardò confuso "Oh, sì che c'è stato!" esclamò dunque ironicamente, mentre la ragazza si voltava in sua direzione, non capendo di cosa lui parlasse "Abbiamo combattuto un paio di volte, ho insinuato che tu stessi con Scott e beh... Il fatto che io sono un pacificatore non ha contribuito ad entrare nelle tue grazie, direi"
"Piccolezze" scherzò Gwen, decidendo di accogliere la comicità di lui, il quale non potè evitare di sentirsi incredibilmente sollevato dalla reazione di lei. Era complicato interagire con la loro 'caposquadra', ma era indubbio il fatto che la apprezzasse molto. Aveva una personalità forte ed indipentente, e la sua bontà d'animo era qualcosa di troppo cristallino perchè non fosse notata.
"Sai... Mi sento in dovere di ringraziarti per come ti sei fatto avanti poco fa" esordì nuovamente lei dopo qualche minuto di silenzio, passato a contemplare attentamente un cielo che, almeno per quella sera, non pareva intento a promettere speranza "Ma non ce la faccio."
Lui la osservò confuso, non dicendo però nulla. Lei comprese benissimo la domanda sotto intesa da quell'espressione.
"Tutti contano davvero ciecamente su di me... E se... Li deludessi?" concluse lei cercando lo sguardo di lui, leggermente nascosto dal buio portato dalla notte. Incontrò i suoi occhi blu, visibili anche in quell'oscurità da quanto splendevano, e cercò in essi quel dubbio che lei stessa avvertiva, inutilmente.
"Non deluderai nessuno" si limitò a dire il militare mantenendo il suo sguardo, sperando di tranquillizzarla con la propria sicurezza.
"Come puoi esserne tanto certo? Siamo così pochi... Messi a confronto con-" "Lo so perchè nessuno di loro si aspetta nulla da te" la interruppe lui, facendola sussultare leggermente.
"Loro capiscono benissimo quale sia la situazione, e l'hanno accettata. Sanno in quali condizioni si stanno portando a combattere... E comunque" proseguì lui, alzandosi in piedi continuandola sempre ad osservare "Non ci siamo solo noi a detestare il Governo"
Lei, di fronte quell'affermazione, lo seguì. Si portò in piedi, raggiungendolo e sentendosi improvvisamente più speranzosa, come se quel segno che, quella notte, tanto aveva bramato, fosse giunto.
"Che intendi?"
"Pensi che tutti gli abitanti  lo amino?" domandò lui a lei, non dandole una risposta certa. Lei si limitò a scrollare le spalle. Cosa poteva saperne infondo? Non aveva mai varcato le soglie di quella prigione e non poteva nemmeno immaginare cosa avrebbe visto.
"Esistono innumerevoli ribelli: non ricordi come sono precipitato qui? Poi, le persone messe 'alle strette' lo detestano. Basterà raccontare la vostra storia per essere ascoltati. Oltretutto io sono un pacificatore e conosco molte persone che lavorano sul mio stesso campo... Credo che mi ascolterebbero se dicessi loro ch-" "Mi stai dicendo che sei dalla nostra parte, Duncan Smitt?" questa volta fu lei ad interromperlo, improvvisamente con una scintilla nello sguardo.
Inutile negarlo, lo aveva sperato a lungo che lui cambiasse idea riguardo i suoi assurdi principi, ma non gliene aveva più parlato da qualche giorno. Aveva persino creduto che, una volta evasi dalla Desert_Zone, lui sarebbe tornato dalla parte del Governo, abbandonandoli ad un destino crudele. Udire, dunque, quelle parole uscire dalla sua bocca, era qualcosa di incredibilmente idilliaco.
Il ragazzo si limitò a sorridere "Mi pareva evidente"
Di fronte quella risposta, la ragazza non riuscì a trattenersi. Mosse un paio di passi in sua direzione, finendo tra le sue braccia, non resistendo. Lo abbracciò come si trattasse di Scott o Bridgette, le persone a cui più teneva al mondo, non pensando nemmeno alla reazione di lui. Avvertì una sorprendente gioia invaderla, facendo improvvisamente divenire tangibili tutte quelle speranze fittizie, degne di un sognatore, che per anni aveva coltivato.
Lui, dall'altra parte, era rimasto basito di fronte la spontaneità e l'umanità di lei, avvertendo quel contatto tanto sincero come una porta che, se prima era sempre stata chiusa, ora si era spalancata completamente. Ricambiò l'abbraccio di lei, cingendola a lui, non potendo evitare di venire investito da tutto il riconoscimento di lei.
Ancora con il viso nascosto nel suo torace tornò a parlare grata "Grazie mille, Duncan Smitt! Grazie!"
Lui si limitò a darle un buffetto sulla schiena, non sapendo bene come esprimersi, palesemente impacciato -per la prima volta- di fronte ad una ragazza. Ma non una qualunque, lei era Gwendolyne Carter, la sola ed unica comandate della resistenza più determinata che esistesse. La ragazza nata nella Desert_Zone. La persona più unica che potesse esserci.

Si allontanarono l'uno dall'altra solo dopo un paio di minuti. Lei con le guance completamente arrossate, mentre ringraziava la notte di esserle compare, aiutandola a nascondere con la propria oscurità, i suoi toni di pelle improvvisamente più accesi. Lui totalmente stravolto dalle sensazioni che quel semplice segno di affetto e gratitutine, gli aveva dato.
"Allora... Vado" esordì dopo qualche minuto Duncan, decidendo fosse giunto il momento di dormire, sorridendo a lei, che a pochi passi da lui, si limitò a salutarlo con un cenno.
" A domani" disse poi Gwen dolcemente, facendolo leggermente irrigidire di fronte quel tono di voce tanto vellutato.
Il ragazzo si congedò, dunque, non potendo evitare di sentirsi frastornato e confuso, completamente devastato da quelle nuove sensazioni, mentre il cuore aveva iniziato a martellargli nel petto freneticamente.

Varcò la soglia d'ingresso poggiandosi una mano sul petto, come volesse comandare a quel suo organo di smettere di battere tanto forte, rischiando -pericolosamente- di esplodere. Il tutto mentre si portava l'altra ai capelli, scompigliandoli. Era stremato ed agitato non comprendendone nemmeno la ragione. La sola cosa di cui era certa -in quel momento- l'esistenza, secondo lui, era il viso sorridente ed incoraggiante di Gwen, risalente a solo pochi minuti -o secondi?- prima. 
Giunse in salotto con un passo pesante e trascinato, ancora con la mano poggiata sul petto, in corrispondenza del cuore. Stava riflettendo su se stesso, le proprie sensazioni e le proprie sconclusionate domande, quando una figura, afferrandolo per il colletto della canotta e costringendolo contro una parete vicina, lo fece distrarre. Si ritrovò bloccato contro il muro, leggermente sollevato da terra, con il respiro mozzato. Tossì un paio di volte, afferrando con forza le braccia che lo mantenevano bloccato, mentre si rendeva conto che la persona di fronte a lui, quella che lo aveva attaccato, era Scott.
"S-Scott? Che fai?" domandò Duncan, la voce mozzata a causa della gola stretta nel colletto della maglia.
Il rosso si limitò a stringere leggermente la presa, facendolo tossire nuovamente, per poi lasciarlo andare a terra, limitandosi a tenerlo bloccato contro la parete, pur non bloccandogli più il respiro "Sta lontano da Gwen"
"Cosa? E perchè dovrei?" domandò immediatamente Duncan, colto sul vivo da tanta irriverenza.
"Credi che non lo capisca? Vuoi solo ingannarla. Vi ho visti là fuori! Sei troppo... amichevole con lei." gli sputò in faccia Scott, non nascondendo un bagliore di preoccupazione nello sguardo.
"Non devi prendertela con me perchè hai una cotta per lei!"
"Zitto! Tu non sai nulla! Non parlare a sproposito!" soffiò velenoso il rosso, non potendo evitare di reagire in quel modo di fronte la tanta sbrigatività del militare "Non capisco perchè, ma Gwen si fida di te, e l'ultima cosa di cui ha bisogno è soffrire."
"E' forte" si limitò a dire Duncan, colpito dalla sincerità del ragazzo di fronte a lui, ciecamente devoto alla ragazza che lo aveva accompagnato per una vita intera.
"Non lo nego" fece conciso Scott, riducendo i propri occhi a due fessure colleriche nei confronti dell'altro "Ma è umana, e come tale non può sopportare più di quanto effettivamente sia"
"Stai solo cercando un modo per farmi allontanare da lei..."
"Non nego nemmeno questo" gli concesse prontamente il rosso, non potendo evitare di sorridere ironico.
"Gwen è una persona stupenda. Non devi vergognarti di provare certi sentimenti per lei"  spiegò dopo qualche secondo di silenzio il militare, facendo palesemente irrigidire l'altro. Approffittò di quel momento per allontanarsi da lui, sperando vivamente di evitare altri suoi attacchi d'ira. Gli afferrò un braccio, per poi storgerlo velocemente, utilizzando una mossa che, anni prima, gli era stata insegnata da un amico. Lui mollò la presa sulla parete, così da permettere a Duncan di allontanarsi, cosa che fece, dirigendosi verso il piano cucina poco lontano.
"Maledetto" si limitò ad imprecare a denti stretti Scott, il viso dolorante.
"Mi dispiace, ma non mi hai lasciato scelta" spiegò pacatamente l'altro, poggiandosi con la schiena contro la parete, assumendo una posa decisamente scialva "Comunque, nel caso possa interessarti.." tornò a parlare "Ero sincero"
Il rosso alzò lo sguardo verso il compagno, poco lontano, squadrandolo con aria interrogatoria. Duncan si limitò a scrollare le spalle.
"Semplicemente, Gwen è una ragazza unica. Non c'è da biasimarsi se-" "Tu non puoi capire..." intervenne Scott, interrompendo Duncan prontamente. Non sopportava come il militare ostentasse tanta sapienza. Infondo, da quanto consoceva Gwen? Qualche settimana? Beh, non era paragonabile al rapporto che aveva lui con la ragazza. Non era nemmeno lontanamente ravvicinabile a ciò che li aveva uniti sin da quando erano stati bambini.
"Lo so.." asserì tristemente il militare, dovendo ammettere che stava sparando sentenze senza conoscere effettivamente nulla. Gli sarebbe piaciuto conoscere qualcosa di più, però. Se gli fosse stato concesso.
"Ecco, allora sta zitto... Tutto ciò che voglio fare è proteggerla..."
"E basta? Sei chiaramente innamorato di lei e-" "Tu no?" lo interruppe Scott, facendolo irrigidire. Gli aveva posto quella domanda con un'ironia spaventosa nella voce, facendo risultare quella una domanda palesemente retorica.
"I-Io..." soffiò il militare, confuso da quell'intervento di lui.
"E comunque... Non posso fare nulla." sorrise malinconicamente il rosso, resosi conto che da quel militare non sarebbe riuscito a tirare fuori nulla "Lei  è concentrata solo che sulla salvezza di tutti... Si concentra sulla protezione di tutti... E' troppo stressata, e non voglio farle pesare nient'altro" spiegò mantenendo quell'espressione amareggiata Scott, mentre Duncan si limitava a fissarlo, ancora senza fiato.
Forse, si disse il rosso, era riuscito a fare capire al militare che sarebbe stato molto meglio se fosse stato distante da Gwen. Lei doveva rimanere concentrata e, possibilmente, rimanendo quanto più felice le fosse stato possibile. Si rese conto solo dopo qualche minuto che, la conversazione appena avvenuta era la prima 'civilizzata' avuta con il ragazzo, ma soprattutto, che si era innegabilmente confidato con lui. Corrucciando lo sguardo, si congedò velocemente, lasciando Duncan da solo in quel salotto, completamente destabilizzato dalla domanda rivoltagli dal rosso.


"Benissimo, calcolando che ci impiegheremo più di mezza giornata a raggiungere la barriera, direi che sarebbe conveniente partire questo stesso pomeriggio" spiegò conciso Scott. Aveva riunito tutti, concorde con Gwen, alle prime luci dell'alba. Doveva chiarire i vari punti chiave della situazione, ed il tempo scarseggiava pericolosamente. Per la prima volta, da quando era nato, si sentiva davvero vicino ad una svolta. Doveva aiutare quanto più poteva la ragazza, e quello era uno dei modi migliori.
"Se qualcuno vuole tirarsi indietro, lo faccia ora" tornò a parlare, guardando ognuno dei presenti con attenzione.
Duncan, sul fondo della stanza, restava in silenzio non osando nemmeno riflettere riguardo quelle affermazioni. La notte precedente aveva, con molto impegno, accantonato i propri propositi di darsi risposte, così da smettere di pensare e dormire tranquillo. Aveva finto di non avere avuto alcuna conversazione con Scott, ed i risultati erano parsi ottimi, fino a quando Gwen non aveva sceso le scale quella mattina, raggiungendo il resto dei ragazzi in salotto. In quel momento tutti i sollievi, che si era permesso di prendersi, erano svaniti.
E le domande erano tornate, troppo prepotenti per essere anche solo considerate. Si era dunque limitato ad osservare Scott, la voce che quella mattina guidava il gruppo, ostentanto una -palesemente falsa- leggera attenzione.
Nessuno si mosse di fronte il richiamo del rosso, cosa che diede un enorme sollievo ai due caposquadra.
"Benissimo. Le scorte sono già pronte. Dal momento in cui varcheremo la recinzione non sappiamo cosa ci attenderà e-" "Io lo so" intervenne Duncan, improvvisamente tornato a prestare attenzione. Infondo non poteva limitarsi ad essere passivo per i restanti giorni in cui sarebbero... Sopravvissuti? Sì, perchè aveva effettivamente riflettuto su quanto minime fossero le possibilità di sopravvivere a tutto ciò in cui si stavano lanciando. Risultato? Davvero minime.
Gwen gli lanciò un'occhiata colma di curiosità e sorpresa. Una sorpresa decisamente positiva. In un secondo momento il militare si rese conto che tutti si erano voltati in sua direzione.
"Davvero?" incalzò Scott, prontamente. L'altro annuì, per poi alzarsi in piedi, capendo di dovere parlare.
"Durante il mio addestramento, mi fecero anche studiare la costituzione della Desert_Zone e dintorni" spiegò il militare. Prese un sospiro. Doveva ricordare tutto nei minimi particolari.
"Come sapete, gli oceani sono pressocchè inesistenti ormai... I soli mari rimasti circondano questa prigione" accennò gesticolano appena "Sapendo che la forma della Desert_Zone è di un ottagono, attorno ad essa si trova un breve mare, largo circa dieci chilometri, che la circonda in modo, anch'esso, ottagonale. Il tutto tenendo conto di due chilometri esterni di terra oltre la recinzione" concluse con calma, mentre i ragazzi attorno a lui lo ascoltavano con attenzione.
"Che io sappia, nessuno si trova a guardia della recinzione. Tutti pensano che i soli abitanti della prigione sono folli e perciò-" "Perciò credono che il mare sia un ostacolo più che sufficiente" concluse Gwen, capendo immediatamente la situazione, non potendo evitare di avvertirla come positiva. Il militare annuì.
"E dopo il mare?" tornò a domandare la ragazza, muovendo un paio di passi in sua direzione, facendolo irrigidire. 

Tutta colpa delle parole di Scott.

"Dipende come proseguiremo..." temporeggiò Duncan, incerto se dare informazioni completamente corrette.
"Nord. La zona da cui usciremo è a nord." fece concisa Gwen, palesemente apprensiva nei confronti dei ragazzi che portava con sè. Aveva bisogno di aiuto. Quella consapevolezza lo rese improvvisamente arrendevole.
"Probabilmente Indianapolis"




Angolo dell'autrice che detestate, ammettetelo....

Allora, sì! Arriva Natale, ed il mio regalo per voi è Desert_Zone! Nuovamente all'attivo! Mi scuso infinitamente per avere smesso di aggiornarla, ma per mancanza di tempo-ispirazione, non ce la facevo! Poi, ho capito che questo era un lavoro che dovevo portare  a termiene! (si, sono molto solenne, non vi pare? :'D) 
Quindi, dopo essere diventata ancora più scema, ho riiniziato a scrivere, ed ecco il mio regalo, in definitiva! Commentate se ancora avete voglia di leggere questa mia storia e beh... Buon Natale!

-Perchè Indianapolis? Inizialmente ero propensa per parlare di Cleveland, ma con i cambiamenti di cui parlo nella storia, Cleveland non è più una città esistente a causa di precedenti innondazioni, sostituite poi da desertificazioni.

Spero vi sia piaciuto il capitolo, e se è stato così, commentate :) ovviamente, se volete che la continui davvero, recensite!

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Capitolo 9
*** Desert_Zone cap.9 ***


 
Desert_Zone



cap.9



Si erano preparati velocemente. Duncan aveva chiaramente ribadito come fosse formata la prigione, ed aveva successivamente ricordato ai presenti che c'erano vari canoni da rispettare. Non dovevano commettere nemmeno un errore. Ne valeva della loro salvezza.

"Indianapolis è una città molto vasta" aveva spiegato il militare, marcando con allusività l'utlima parola usata. Il fatto che si trattasse di un'ampia metropoli -una delle poche effettivamente rimasti di tale grandezza- andava a significare che l'attenzione da prestare, aumentava a dismisura.
"Perciò dobbiamo stare attenti ad ogni particolare" era tornato a dire non appena si era chiarito le idee sul come spiegarsi al meglio "E parlo soprattutto dei vestiti"
Di fronte quella parola, Heather era istantaneamente impallidita. Infondo, non era passato molto tempo da quando aveva abbandonato il mondo 'civilizzato', e ricordava bene le rigorose norme di vestiario che vigevano. Nel momento in cui avevano realizzato la possibilità di evadere, doveva ammettere, non ci aveva nemmeno pensato.
"Che significa?" era intervenuta Gwen, completamente ignorante riguardo la legge a cui aveva fatto riferimento il militare.
"Ci sono dei determinati modi in cui puoi, o meno, vestirti" era intervenuto Dj, anche lui lucido a riguardo.
"Cosa?" aveva domandato stupita la dark, palesemente allibita da quegli assurdi obblighi.
"Esatto. Per esempio gli uomini possono indossare -in pubblico- solamente completi dai toni tendenti al grigio o marrone scuro. Le donne invece, dai 14 anni in su, sono costrette in tailleur dei medesimi colori" aveva spiegato con sapienza Noah, riportando alla mente come era solito indossare -per l'appunto- il completo con sopra il camice da laboratorio.
"Sì, mentre io, come repressore, devo indossare una tuta nera e grigia, e quando sono in borghese mi attengo ai comuni abiti." era poi intervenuto Duncan.
"Ma quando ti abbiamo trovato i tuoi-" "Ero sotto copertura. Dovevo sembrare un criminale" tornò a parlare il militare, capendo perfettamente la domanda che Gwen era sul punto di fargli. Ricordava bene come, i vari ministri, gli avessero spiegato fosse il caso di camuffarsi: erano numerosi i ribelli nascosti all'interno dell'apparato governativo, e se avessero saputo della presenza di un pacificatore, lo avrebbero ucciso sul momento.
"Quindi, le persone che trasgrediscono a questa assurda legge finiscono nella Desert_Zone?" aveva domandato Scott, facendo un passo avanti.
"Effettivamente, sì..."
"Disumano" si limitò a commentare il rosso abbassando lo sguardo, riflettendo. Sperava davvero in un cambiamento, ma doveva ammetterlo: erano distanti da una vera vittoria, e questo lo terrorizzava. Gwen gli era sembrata eccessivamente rigida quel giorno, ma aveva preferito non interferire. Era una giornata davvero importante, quella, e non valeva la pena distrarla per chiederle, stupidamente 'come stai?'.
"Comunque sia, per i vestiti, non dovete preoccuparvi troppo. A loro basterà il mio nome. Conosco un paio di persone a Indianapolis" aveva spiegato con calma il militare, facendo all'istante capire a tutti, quanto, effettivamente, la sua influenza esistesse "Una è una recluta, molto giovane. L'altra, invece, è un'amica di famiglia. Mi basterà spiegare loro l'accaduto e ci procureranno ciò che ci serve... Il problema sarà arrivare da loro senza essere notati da pacificatori o soldati" aveva poi concluso Duncan, lanciando uno sguardo decisamente dubbioso a Gwen, la quale lo aveva ricambiato con uno decisamente più pronto.
"Non è un problema. Ho un piano..." aveva detto, per poi prendere una breve pausa "Se ci fermassero, tu mostrerai targhetta e nome e spiegherai che siamo dei criminali che devono andare in tribunale. Non ci vorrà nulla." aveva poi preso una nuova pausa, questa volta voltandosi verso il resto dei ragazzi che la circondavano "Vedrete che ce la faremo."


Scott giunse di fronte il confine, per poi analizzarlo con accuratezza. Afferrò un piccolo pezzo di carta che si trovava nella sua tasca, per poi accartocciarlo, intento a dargli una forma sferica, e non appena ebbe concluso, lanciò la piccola palla oltre il confine, sperando di non essere giunto troppo tardi.
Sospirò di sollievo vedendo la piccola cartaccia superare la soglia senza carbonizzarsi. Sorrise istantaneamente, senza nemmeno rifletterci, avvertendo già quella piccola realizzazione come una vittoria. Si voltò poi verso i ragazzi, i quali avevano assistito a tutto.
"Non so esattamente quanto sia alto lo squarcio" disse il ragazzo con calma "perciò cercate di rimanere molto bassi nel momento in cui lo attraversate"
Si chinò per poi tracciare due linee a sulla terra secca aiutandosi con la punta dell'indice. Erano distanti l'una dall'altra di almeno 60 centimentri.
"Da qui" tornò poi a parlare Scott indicando la prima delle linee tracciate, per poi assare alla seconda "A qui, siete salvi."
Allungò poi un braccio oltre il confine "Vedete?" sorrise, nuovamente vittorioso, guardando attentamente i visi attoniti dei compagni. Bridgette era sull'orlo di piangere, gli occhi lucidi ne erano testimoni, Geoff la abbracciava amorevolmente, mentre Heather aveva semplicemente allargato le proprie labbra silenziosamente, rimanendo ferma. Dj aveva guardato Noah, incontrandolo con lo sguardo perso oltre il confine stesso, già pronto ad assaporare quella falsa libertà in cui era cresciuto. Eppure, tra tutti, era Duncan quello più solare; probabilmente perchè anche oltre la barriera, lui aveva sempre vissuto felicemente. I suoi occhi, sempre troppo azzurri perchè la dark potesse sopportarli, ora brillavano di una luce davvero incatevole, e lei lo notò all'istante, non potendo evitare di sorridere.
All'istante, le paure che -per alcuni per anni, per altri per mesi- li avevano turbati, svanirono, lasciando spazio semplicemente a speranze, seppur velate e malapena delineate. Fu la prima volta, da quando erano divenuti parte della Desert_Zone, che i timori di tutti svanirono. Fu il primo attimo di assoluta leggerezza; e nessuno osò spezzarlo pensando al futuro.
Rimasero solo alcuni istanti così, fermi a guardare l'orizzonte, improvvisamente tanto raggiungibile.

Gwen fu la prima a sorpassare quella barriera che, aveva creduto, l'avrebbe costretta per tutta la vita ad un'esistenza priva di considerazione. Non appena fu dall'altra parte avvertì tutto improvvisamente più cristallino. Le sembrò quasi che l'aria fosse più dolce rispetto a quella della prigione, che distanziava solo un paio di veloci passi.
Rise sinceramente, probabilmente in un modo che la bambina che era non si era mai potuta permettere, il tutto lanciando lo sguardo al cielo azzurro che li sovrastava. Era davvero felice.
Dopo di lei, fu il turno di Bridgette, seguita da Geoff, e non appena entrambi furono liberi, si scambiarono un dolce ed appassionante bacio. Il biondo si staccò poi ridendo, alzando poi un braccio al cielo, il dito medio alzato in segno di rivincita.
"Credevate non ce l'avrei fatta, stronzi?" domandò poi a vuoto, guardando il firmamento, quel pomeriggio incredibilmente limpido.  Bridgette, ormai ridotta in lacrime di commozione, si lanciò invece tra le braccia di Gwen, che la accolse sorridendole prontamente.
Dopo i due biondi, fu il turno di Dj, poi di Noah e di Heather. Scott accompagnava i movimenti di ogni compagno cautamente, più convinto degli altri dei limiti che avevano. Non appena la scrittrice ebbe superato la barriera, il militare lanciò un'occhiata al rosso.
"Non mi farai carbonizzare, spero" scherzò dunque.
"Non ci penso nemmeno" si limitò a rispondere l'altro, lasciando interdetto Duncan, già pronto a parlare grato, ma Scott si intromise nuovamente "Infondo sei tu a favorirci la vita. Io farò altrettanto" 
Il militare gli sorrise semplicemente ironico, per poi abbassarsi ed iniziare a superare la barriera. Avvertiva nuovamente quella certezza che lo aveva sempre reso il ragazzo che era. Nonostante, all'apparenza, il cambiamento era pressocchè nullo, Duncan avvertiva chiaramente, centimetro dopo centimetro, la meta avvicinarsi drasticamente. Ormai gli era palese che non si sarebbe mai allontanato da quel branco di ragazzini folli, ma non gli dispiaceva l'idea. Ormai sopportava persino la presenza di Scott. Per non parlare poi di Gwen; lei era... Wow. Nessuna gli era mai parsa tanto perfettamente pronta a tutto e spericolata, ma al contempo astuta. Non si stupì nel riflettere su quanto potessero essere effettivamente giuste le supposizioni di Scott.

Gli piaceva Gwen? 

Una volta superata la barriera, due mani gli accorsero in aiuto prontamente, afferrando le sue ed aiutandolo ad alzarsi -nonostante effettivamente non ne avesse avuto bisogno-. Le accettò, usandole per farsi leva, ed una volta in piedi, si ritrovò di fronte al viso della dark, sorridente come non l'aveva mai vista. Avvertì il cuore accellerare d'improvviso.

Da quanto?

Ricambiò la sua espressione istintivamente, aumentando leggermente la presa sulle mani di lei, sperando però che lei non lo notasse. La ragazza alzò nuovamente lo sguardo al cielo, per poi sussurrargli "Non è bellissimo?"
Lui annuì semplicemente, e solo in un secondo istante si rese conto di avere risposto a tutt'altra domanda.

Non è bellissima?

Poi, lei si allontanò, improvvisamente distratta da altro. Duncan si voltò in direzione della -per l'appunto- distrazione, incontrandola ora di fronte a Scott, abbracciata a lui elettrizzata. Finse di non avvertire quella sorta di nausea alla bocca dello stomaco, scuotendo il capo lentamente, non cancellando mai il porprio sorriso, perchè non ne valeva la pena. Non poteva essere triste in un momento come quello. Non di fronte ad una ritrovata possibilità. Eppure, notò a breve, nonostante quei presupposti, il fastidio restava, e svanì soltanto quando i due smisero di parlare.

"Dovremmo iniziare a camminare.. Il mare non è distante" esordì Duncan atono, ottenendo come risposta un cenno di assenso di Scott, ed un nuovo sorriso da lei, gesto che lo fece nuovamente calmare. Lanciò un utlimo sguardo al cielo, pensando con attenzione ad ogni cosa che, di lì a poco, avrebbero dovuto fare con assoluta attenzione, sperando con tutto se stesso che ad Indianapolis, tutto fosse come credeva.

Lo aveva notato sul fondo di un piccolo vicolo, solo e meschino. Aveva immediatamente corrucciato l'espressione. Il ragazzo di fronte a lui poteva avere al massimo diciassette anni, dubitava perciò di una -possibile- colpa. Si era avvicinato, dunque, curioso.
"Ehi, ragazzino, che fai?" 
L'altro aveva alzato lo sguardo in sua direzione, nascondendo dietro la schiena l'oggetto che, solo pochi secondi prima, stava analizzando con attenzione. Duncan lo aveva notato immediatamente.
"Nulla che ti interessa, vecchiaccio" aveva risposto arrogante il giovane, non nascondendo una profonda stizza di fronte lo sconosciuto. Dall'altra parte, il militare aveva sussultato divertito di fronte quella rara irriverenza.
"Vecchiaccio?" aveva dunque domndato "Probabilmente non sai chi sono"
"Effettivamente non mi è arrivato nessun volantino a riguardo" aveva risposto ironico il ragazzo, sorridendogli beffardo. L'altro aveva a stento trattenuto le risate. Ma come osava?
"Mai sentito parlare di repressore?"
Di fronte quella parola, il ragazzino era sbiancato. Lo aveva immaginato Duncan, infondo era più che comprensibile. Il lavoro del militare era chiaro, ed era risaputo anche tra la plebe


'Mantenere l'ordine tra il popolo, a costo di eliminare i soggetti causa di insurrezione'

Si era chiesto per qualche secondo se, il ragazzino di fronte a lui potesse essere considerato soggetto di insurrezione, ma aveva poi storto il naso dubitante. Non lo avrebbe comunque mai eliminato. Era davvero straordinariamente e meravigliosamente arrogante.
"I-Io..." aveva balbettato timoroso il diciassettenne, pur non abbassandosi a mostrare l'oggetto che nascondeva "Io... Mi dispiace!"
"Oh, ma dove è finita tutta quella spavalderia?" aveva domandato ironico il militare, non potendo evitare di sorridergli in faccia, facengoli già immaginare la sua imminente e -probabilmente- dolorosa morte. Duncan aveva lanciato gli occhi al cielo esasperato, capendo bene che non sarebbe riuscito a farlo nuovamente rispondere tanto prontamente.
"Allora, mi dici cosa nascondi lì dietro?"
"No" aveva detto conciso il ragazzo, fin troppo consapevole che non era esattamente quello il modo più adeguato di rivolgersi ad un repressore. Duncan aveva alzato un sopracciglio, squadrandolo divertito "No?"
"Calcolando come andranno comunque a finire le cose, no" aveva sinceramente risposto il giovane, scrollando con noncuranza le spalle.
"Dimmi le ipotesi e vedremo" aveva mormorato Duncan sorridendo divertito.
"Beh, c'è quella in cui non ti faccio vedere cosa nascondo dietro la schiena, in cui tu mi uccidi con la pistola che nascondi -decisamente male- sotto la giacca del completo" aveva spiegato lentamente il diciassettenne, indicando la sporgenza all'altezza dell'appendice dell'uomo, sotto la giacca. Era nascosta indubbiamente bene vista la grandezza dell'arma, ma lui la aveva comunque notata.
"La seconda invece?"
"Nella seconda ipotesi, io ti mostro cosa nascondo e finisco nella Desert_Zone, semplice. E dai racconti che si sentono, preferisco sicuramente morire"
Duncan chinò di lato il capo, rendendosi conto di essere di fronte ad un ragazzo semplicemente adeguato alle loro regole, ma non rispettoso. Colui che lo stava con cristallina sincerità sfidando, non credeva nelle promesse del Governo, pertanto preferiva morire.
"Sei giovane per dire cose simili" aveva accennato il militare "Non hai paura?"
"Paura? Mi pare ovvio, cazzo!" aveva risposto prontamente il giovane, sorridendogli esasperato. Davvero il repressore non capiva?
"Insomma, sono di fronte ad un repressore. Solo un pazzo non avrebbe paura... Non che io sia completamente sano, questo te lo concedo" aveva ironizzato nuvamente il ragazzo, sorridendo debolmente.
"facciamo un patto" aveva deciso dopo qualche secondo di silenzio Duncan, appellandosi alla sua curiosità sin troppo infantile "Tu mi mostri cosa nascondi, e non accadrà nulla"
"Sì, ed io sono l'imbecille che ci crede! Avrò diciassette anni, ma non vuole dire che sono un idiota" era scattato ironicamente il ragazzino.
"Sono un repressore, dovresti credermi" aveva prontamente detto l'altro, squadrandolo confuso da quelle accuse insensate.
"Se non lo avessi capito, non sono proprio il primo nello schieramento pro-Governo... Ma non lo ripudio neppure. Infondo se come scelta ho la Desert_Zone, meglio adattarsi"
"Benissimo, pensala come preferisci, ma sappi che sono un uomo sincero" aggiunse con tranquillità Duncan, lasciando al giovane la possibilità di riflettere, trovandosi poi obbligato ad arrendersi.
"Bene... Se mi garantisci che non mi accadrà nulla..." fece mostrando l'oggetto che nascondeva dietro la schiena "Ecco"
Il militare esaminò attentamente la pistola in metallo tra le mani del ragazzino. Era decisamente di fattura antica, di quelle rarissime a vedersi. Risalenti come minimo a settanta anni prima. Era una adatta ai 44 millimetri, decisamente comoda da imbracciare per i tempi, ed una delle più semplici da raccimolare -sempre ai tempi-. La squadrò decisamente diffidente, per poi guardare nuovamente il ragazzino.
"Perchè hai questa?" domandò dunque Duncan.
"E' mia" si limitò a dire conciso l'altro, facendo innervosire il repressore.
"Ne dubito. La plebe non può possedere armi, nemmeno se risalenti al secolo scorso"
"Io la possiedo. Mio padre me l'ha lasciata in eredità prima di essere mandato nella Desert_Zone, ergo è mia" fece suadente il giovane, nascondendo l'arma in una fondina sotto la giacca del proprio completo, come faceva il repressore di fronte a lui.
"Ho il potere di togliertela."
"Ma non lo farai. Non so se ricordi, ma abbiamo fatto un patto"
Il militare sorrise di fronte quell'irriverenza, e nemmeno lui seppe perchè, ma si limitò a rispettare la parola presa, interferendo, per la prima volta da quando ne aveva memoria, al severo codice governativo. Ma perchè lo stava facendo?
Suo padre era nella Desert_Zone, probabilmente per quella ragione il ragazzo era tanto schivo. Magari, se solo ne avesse avuto l'occasione, si sarebbe dimostrato migliore.
"E' vero." acconsentì dunque Duncan, annuendo debolmente, per poi porgere la propria mano al ragazzo "Piacere, Duncan Smitt, repressore."
Il ragazzo guardò confuso la mano del militare tesa verso di lui, pensando persino che si fosse nascosto un taser sotto la manica. Guardò l'uomo di fronte a lui, incontrandolo decisamente divertito da tutta quella diffidenza.
"Thomas No-One" si arrese infine il giovane, porgendo al militare la propria mano.


No-One, così erano definiti i figli delle persone finite nella Desert_Zone. Veniva sradicato loro il cognome, così da privarli di dignità ed appartenenza, rendoli figli di nessuno agli occhi di tutti.

"Sai, potresti provare a entrare nell'esercito" aveva accennato dopo qualche minuto di riflessione il militare. Thomas, in risposta, aveva arricciato il naso confuso, passandosi una mano tra i capelli color castano chiaro completamente spettinati. Inziava veramente a dubitare dell'effettiva sanità mentale dell'uomo.
"Devo ripeterti che sono un No-One?" domandò dunque il giovane, facendo sorridere il militare di fronte la palese reazione. I No-One, in quanto privi di dignità, non potevano prendere parte alle attività pubbliche del Governo, ergo, non potevano nemmeno entrare nell'esercito.
"Ti presterò il mio cognome. Con me che garantisco ti faranno passare, fidati"



Quel ricordo aveva accompagnato il militare durante il primo tratto del viaggio. Non aveva intenzione, effettivamete, di dirigersi in prima persona da quella 'amica' di cui aveva parlato. Aveva bisogno di rivedere Thomas, quel ragazzino che gli sembrava ormai un fratello minore. Quel ragazzino per cui aveva rischiato la vita, andando contro a molti presupposti governativi. Il tutto solo per lui, un No-One come tanti.
Gwen notò la distrazione del militare. Gli si avvicinò "Tutto ok, Duncan Smitt?"
Il ragazzo sorrise, notando per l'ennesima volta come Gwen fosse solita a chiamarlo con nome e cognome, poi interessato annuì, distogliendosi dai propri pensieri, sperando con tutto se stesso che, nel breve periodo in cui si era assentato, nulla fosse cambiato. Bastava che una semplicissima cosa di troppo fosse accaduta, e tutte le sue speranze di salvare quel gruppo di ragazzi, andava a bruciarsi.
"Non sembra" si limitò a dire la dark, facendolo definitivamente tornare alla realtà. Il mare ormai spiccava di fronte a loro e Gwen lo osservava con immancabile attenzione, meravigliata da tutta quell'abbondanza.
"Semplici ricordi..." spiegò lui, rivolgendole un piccolo sorriso che, sperava, l'avrebbe convinta completamente. Per sua sfortuna, però, Gwen non era effettivamente la ragazza più semplice da ingannare. Lo guardò con diffidenza, per poi limitarsi ad annuire. Se c'era una cosa che sapeva per certo, era quanto la solitudine ed il silenzio potessero essere, al contempo, davvero insani, ma perfettamente anestetici.

Giunsero di fronte al mare in breve tempo, ed immediatamente la dark afferrò il proprio zaino. Erano stati davvero fortunati quel giorno: durante la perlustrazione della casa, prima di lasciarla, avevano trovato qualcosa di incredibilmente utile e se, fino a poco prima non avevano avuto idea di come avrebbero surclassato quell'ostacolo -all'apparenza insormontabile- che era il mare, dopo avere trovato quell'antico canotto di salvataggio, tipicamente riposto nelle stive degli aerei, ora sapevano perfettamente come fare.
Chiunque aveva abitato quella casa in precedenza, doveva essere stato perfettamente informato sulla strutturazione della Desert_Zone.
Gwen tirò con forza una corda, ed immediatamente il -dapprima piccolo- gommone, si gonfiò rapidamente, sino a divenire abbastanza ampio da potere ospitare tutti. Il viaggio sarebbe durato mediamente un'ora o poco più, vista la corrente abbastanza forte nonostante la giornata calda.
Salirono velocemente, mentre il militare spingeva con forza quella piccola, ma perfetta, zattera di fortuna così da darle velocità. Salì poi con un piccolo scatto, raggiungendo il fianco di Heather. Gwen era già affiancata da Scott. Eppure, non si lamentò, troppo preso a riflettere, nuovamente scosso da ricordi. Ad ogni centimetro che percorreva, le ansie lo prendevano completamente.

"Spero che quello che mi hanno detto siano cazzate!" lo aveva richiamato Duncan duramente. Indossava la tuta da repressore, e le due pistole -tipiche compagne di quel tipo di soldato- spiccavano nelle fondine sulla cintura. Erano in una piccola stanza quadrata, con malapena l'aria per respirare, all'interno del ministero di Indianapolis. Recentemente il militare si era trasferito lì, lasciando ciò che rimaneva del Canada. 
Dire che era infuriato era un eufemismo. Aveva sempre saputo che la sua decisione era stata un errore, ma non credeva che se ne sarebbe pentito così a lungo.
"Quella donna non ha fatto nulla di male!" aveva prontamente parlato Thomas, sperando di calmare l'altro di fronte a lui. Si sentiva sempre male in quei momenti, quelli in cui lo deludeva totalmente. Gli pareva surreale essere tanto incosciente dopo tutto ciò che Duncan aveva fatto per lui. Perchè, nonostante per le strade lui fosse ancora Thomas No-One, di fronte ai militari veterani, era Thomas Smitt, recluta scelta.
Avrebbe voluto rendere sempre fiero l'uomo che aveva riposto tanta fiducia in lui, ma la sua morale era più determinata di quei presupposti.
"Invece sì, altrimenti non si sarebbe trovata sull'orlo di una condanna per Desert_Zone!" aveva gridato Duncan portandosi una mano tra i capelli, iniziando a girare per il piccolo stanzino freneticamente. Era uno sgabuzzino del palazzo.
"Dovevi solo assistere al processo... Nient'altro. Ed invece..." si bloccò l'uomo, completamente esasperato "Come ti è venuto in mente di lanciare un fumogeno?"
"Era l'unico modo per salvare quella donna..." fece intimidito Thomas "Aveva rubato, sì... Ma solo del pane.. E secco oltretutto! Lo ha fatto per suo figlio! Ha solo tre anni e-" "E cosa? Era stata condannata! Ha rubato! E' un reato" lo interruppe Duncan, avvicinandosi leggermente al ragazzo.
"Devi capire come funziona qui... Altrimenti non riuscirò mai a darti una vita decente, cazzo!"
Duncan non ne conosceva pienamente la ragione, ma avvertiva un bisogno costante di aiutare quel No-One. Probabilmente perchè si sentiva decisamente simile a lui, con quella personalità tanto sbarazzina ed impertinente. Oppure perchè lo invidiava. Invidiava la libertà che quel ragazzo si prendeva con costanza, seguendo sempre il proprio istinto, per quanto stupido fosse farlo. Sapeva quanto fosse sbagliato, ma voleva aiutare comunque quel ragazzo.
"Eviterò di fare altri danni.."
"Sarà la ventesima volta che me lo dici..." si limitò a sospirare stancamente Duncan, per poi avvicinarsi alla porta, facendo per uscire "Sei fortunato che nessuno ti abbia riconosciuto"


Avvertì un'ansia asfissiante al solo pensiero fugace di quel ricordo. Solo ora, che la possibilità di rivederlo appariva reale, si rese conto di quanto quel ragazzino gli fosse mancato. Prima, nemmeno aveva avuto il tempo di rifletterci, costantemente impegnato a non morire. Stava tornando in un mondo in cui le storie narravano di cose terrificanti, ed all'istante, riportando alla mente quelle storie, si rese conto di quanto ridicole e sminuenti fossero se confrontate con la realtà.
Attorno a lui, tutti mantenevano il silenzio. Nemmeno Scott e Gwen, che già immaginava intrattenuti in una delle loro conversazioni, a lui assolutamente incomprensibili, stettero muti, palesemente agitati. Fu Heather a distrarlo da quell'osservazione.
"Sai, non sono una stupida" accennò a bassa voce, volendo che solo lui la sentisse "So che ci stai nascondendo qualcosa... Ma so anche che lo fai per il nostro bene" aggiunse poi, vedendolo già pronto a difendersi "Ed è per questo che non ti chiederò di cosa si tratta"
Duncan abbassò lo sguardo, meditando attentamente sulle parole della donna "Grazie"
"Figurati. Ti vedevo semplicemente... Agitato" spiegò dunque guardandosi attorno a respirando profondamente, sorridendo.
"Se sopravviveremo, lo scriverò davvero un libro" esordì dopo qualche minuto, osservando le onde che si increspavano contro il canotto, per poi guardare l'orizzonte, già vedendo qualche palazzo spuntare oltre esso.
"Ma non credo che sarei adatta come protagonista" aggiunse dopo breve, parlando pacatamente e continuando a guardare dritto di fronte a lei.
"E chi sarà?" domandò il ragazzo, pur non essendo realmente curioso. Voleva semplicemente parlare, esattamente come -immaginava- voleva lei. Si sarebbe accontentato anche di parlare di falsità; tutto purchè potesse distrarre.
"Qualcuno degno di esserlo"
Duncan sorrise, non riuscendo ad evitarlo realmente "Non ti pare un po'... Criptico?"
"Beh, per quanto ne so, la storia potrebbe essere ancora al primo capitolo" tornò a parlare la mora, scuotendo leggermente i capelli, così da spostarli dal viso "Ed il protagonista potrebbe essere stato in silenzio da una parte... Magari tenendo per sè tanti segreti" detto questo, la donna gli lanciò un'occhiata colma di sottintesi, che però, lui finse di non cogliere.
"Ma un protagonista, non si contraddistingue rispetto agli altri?" domandò lui guardando Gwen, certo che lei era la protagonista perfetta per qualsiasi racconto.
"Certo, ma non sempre da subito" spiegò lei, mentre lui le mostrava un'espressione interrogativa "Infondo, anche Peter Pan all'inizio era solo un bambino orfano"
Duncan guardò Heather, vedendola per la prima volta come la scrittrice che effettivamente era. Con quella saggezza fanciullesca, che molti invidiano.
"Oppure.." tornò a parlare la donna, notando gli sguardi che il militare rivolgeva a Gwen "Come nella 'Storia Infinita', Atreiu può sembrare il primo a combattere... Nonostante il protagonista sia comunque Bastiano"
Duncan comprese solo in un secondo momento la velata allusione su Gwen e lui, e quando la capì, si limitò a guardare imbarazzato la scrittrice, che in tutta risposta, si strinse teneramente nelle spalle "Ma infondo, che posso saperne? Non ho ancora scritto un 'ciao'..."
Duncan, già pronto a ribattere, venne interrotto dalla voce di Scott, completamente estasiato.
"Ci siamo ragazzi!" 

Indianapolis spiccava di fronte a loro, innalzandosi imponente e perfettamente ordinata, come solo il Governo era in grado di concepirla. All'istante, il disgusto che Duncan aveva iniziato -recentemente- a provare per il Governo, si fece spaventosamente incontrollabile. Digrignò i denti, sentendosi per la prima volta fuori luogo, in un posto che lo aveva sempre accettato.

"Sono il loro garante"
Li avevano fermati. Infondo c'era da aspettarselo, no? Erano i soli tanto mal ridotti in una città dalla simile prestigiosità. Per lo meno, però, erano riusciti ad entrare. Un repressore, alto e ben piazzato li aveva fermati infondo ad un vicolo, ed all'istante Duncan aveva capito quanto non fosse il caso di fare i timorosi. L'uomo di fronte a loro reggeva già tra le mani una pistola carica, e gli sarebbe bastato una lieve pressione dell'indice per fare fuori uno di loro, a suo piacimento. Non appena quell'essere aveva chiesto loro chi fossero, Duncan era intervenuto, proclamandosi come garante.
"E con quale carica, se posso sapere, straccione?" incalzò il repressore sorridendo maligno, squadrando quel folle -o coraggioso, doveva decidere- uomo da capo a piedi. Duncan, non resistendo, ricambiò l'espressione. Pensavano di terrorizzare proprio lui? Lui che aveva rappresentato per oltre un anno, la quiete ad Indianapolis (in quanto in precedenza aveva vissuto in Canada)?
"repressore scelto, sergente"
Di fronte quella risposta tanto irriverente, l'uomo cancellò il proprio sorriso dal viso "Nome?"
"Duncan Smitt" soffiò il ragazzo, mantenendo le proprie labbra tese in quel sorriso saccente e determinato.
Il pacificatore di fronte a loro, tremò visibilmente, per poi ricomporsi velocemente, alla ricerca di quella lucidità che era andato a perdere. Infondo non erano leggende le storie di come lui, Duncan Smitt, si fosse ridotto ad eliminare senza pietà numerosi irrispettosi. Ed il fatto peggiore, era che tutta era verità.
"N-Non è possibile! T-Tu-" "Oh, sì! La storia che sarei morto, giusto? In realtà sono stato mandato sotto copertura per una missione nei pressi della Desert_Zone..." lo interruppe Duncan, fingendo perfettamente. Indicò poi i ragazzi alle sue spalle, tutti intenti a mantenere la calma quanto più potevano.
"Fuggiaschi... Sono stati riscontrati problemi" si limitò ad accennare poi.
Il repressore di fronte a loro parve diffidente, decisamente poco convinto nella lealtà del ragazzo, non che in passato avesse commesso atti che potessero comprometterlo. Aveva una fedina penale pulitissima. Il suo unico problema -Thomas- era riuscito a mantenerlo segreto costantemente, magistralmente.
"Perchè dovrei crederti?" lo sfidò dunque l'uomo, ancora non completamente certo di fronte le parole di Duncan, cosa che lo fece parecchio innervosire. Era un repressore rinomato, e gli pareva surreale che solo perchè uno decideva di vantarsi, lui doveva assecondarlo tanto. Decise dunque di sfoderare quella spietatezza per cui era conosciuto.
"Perchè ho tutte le capacità di spezzarti il collo con una mano... Ed oggi non sono nemmeno tanto irritato" sibilò dunque Duncan, sfoderando un sorriso degno di una serpe, che fece istantaneamente indietreggiare l'uomo di fronte a loro, intimorito.
"B-Bene" balbettò poi abbassando lo sguardo "Va pure"

Dopo un paio di metri, Geoff si fece vicino, non riuscendo a trattenere un sorriso compiaciuto "Quanto non sappiamo della tua popolarità, Duncan?"
Il diretto interessato si limitò a scrollare le spalle, continuando a camminare per le varie strade, ormai certo che in pochi minuti avrebbe avvistato l'edificio in questione. E nonostante avrebbe adorato vantarsi, sapeva bene che in un momento simile, non era il caso.
Dubitava formente che il repressore appena incontrato avesse informato le magistrature locali. Infondo, Duncan Smitt era una figura conosciuta, doveva dunque avere compreso che era lui semplicemente guardandolo in viso. E se realmente tutto era andato così, erano ancora salvi.

Giunsero di fronte l'edificio dopo poco, proprio come il militare aveva previsto. Entrarono velocemente: la targa di riconoscimento di Duncan fungeva da passpartout per tutti i locali sotto disposizione del Governo, ergo, tutto. Entrò, iniziando a salire le scale, sperando di non avere sbagliato edificio, infondo, secondo le norme gevernative, ogni palazzo doveva avere la stessa struttura e colore, cosa che rendeva tutto complicato: vivere in una città dominata dai toni cenere e da -non molto alti- grattacieli grigi, tutti completamente identici tra loro, era davvero disorientante. Ma ormai il mondo era così.

'Omologazione e perfezione. Equilibrio e staticità. Non ci serve un mondo dinamico, governato da caos'

Diceva così una parte di quella costituzione andata a delinearsi negli anni, il militare ne ricordava il passaggio a memoria. Non potè evitare di ritrovarsi incredibilmente divertito dalle assurdità scritte in quelle poche parole. L'omologazione veniva riservata alla plebe, mentre i politici, ministri ed i quattro risiedenti principali del Governo, vivevano in ville lussureggianti ed antiche, cosa decisamente non equilibrata.

Era stato davvero un cieco
.

 
°.°.°.°.°.°.°.°.°

Angolo dell'autriiiiice!


- parti in corsivo: pensieri-leggi e informazioni.

-parti in grassetto: ricordi.




Ok, non so come ho fatto a sfornare (ma che termine è?) così velocemente un capitolo tanto lungo, ma! Ma ne sono soddisfatta :)
Allora, grazie ad alcuni ricordi ho introdotto Thomas, ma non sapete ancora nulla di lui u.u
Esistono i No-One! Sto inventando troppi termini... Ahahah! E Duncan era uno spietato repressore! E poi... Poi c'è una lei di cui parlaremo nel prossimo capitolo o tra un paio... Vedremo!

Ringrazio tutti per le passate recensioni-visualizzazioni- letture e spero tanto che anche questo capitolo vi piaccia e fatemelo sapere con una recensione se vi va! :) Mi fate sempre sorridere un po' :')

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Capitolo 10
*** Desert_Zone cap.10 ***



 
Desert_Zone

 
cap.10






Iniziò a percorrere la seconda rampa di scale, avvertendo nuovamente i ricordi e le insicurrezze invaderlo. Si sentiva un bambino. Era stato tanto fermo e freddo per settimane, ed ora, trovandosi di fronte l'eventualità che tutto fosse andato in rovina a causa della propria assenza, i sensi di colpa -infondati- e le paure, lo prendevano completamente. Si impose più volte di mantenere un contegno, anche solo apparente, ma quegli ultimi momenti, pieni di tensioni ed ansie, continuavano a tormentarlo.

"Missione governativa?" aveva ripetuto con fare diffidente il giovane, seguendo per tutto l'appartamento l'amico "Che significa?"
Duncan stava indossando gli abiti che le guardie dei ministri gli avevano affidato. Erano indumenti decisamente rozzi, tipici dei senzatetto -persone ormai pressochè inesistenti all'interno del rigido apparato del Governo-. Si infilò la canotta, poi i jeans, mentre, al di fuori della propria stanza, Thomas continuava a parlargli, fin troppo ansioso rispetto al solito. Una volta vestito, il repressore uscì dalla stanza, incontrando il viso del ragazzino "Significa che devo fare da guardia del corpo ad un paio di ministri. Nulla di che" aveva risposto freddamente il ventunenne, superando il giovane di fronte a lui con indifferenza. Ma nonostante ciò, Thomas era tornato a seguirlo.
"Esatto, Duncan. Tu non sei una guardia del corpo. Perchè vogliono te?"
"Sono molto più affidabile di altri" Aveva risposto con una sorprendente certezza nella voce il ragazzo interpellato, squadrando con allusività l'altro "Soprattutto se confrontato a te" aveva poi aggiunto riferendosi all'ultimo degli innumerevoli disastri combinati dalla giovane recluta.
"E comunque, ti stai ponendo sin troppi problemi per un assurdo trasporto. Sono poche ore di viaggio, e poi tornerò qui ad Indianapolis" era poi tornato a parlare il repressore, finendo di sistemarsi. Si infilò la propria piastrina di identificazione.
"La fai facile tu" si era limitato a mormorare il giovane, poggiandosi contro lo stipite della porta a braccia conserte. Il volto palesemente ansioso.
"Perchè lo è"
"No, invece" era intervenuto schiettamente Thomas. Mosse un paio di passi in direzione dell'amico "Ma li senti i notiziari?" aveva poi domandato con un'ovvietà colma di scherno nella voce "Le rivolte aumentano. Le chiamano 'piccole insurrezioni temporanee', ma Duncan... Tu non sei uno stupido, e sai benissimo che sotto tutto questo, ci sono vere e proprie rivolte civili" aveva spiegato in un mormorio il giovane, cercando lo sguardo dell'altro, che però non gli mostrò "Certo, gli insurrezionisti vengono soppressi o condannati, ma sappiamo bene che la storia è molto più grande di come ci viene descritta"
Duncan sorrise di fronte quegli allarmismi. Gli sembravano reazioni esagerate quelle del giovane soldato di fronte a lui. Infondo un ammasso di borghesi non potevano nulla contro un esercito di repressori, ma era ben al corrente di non potere esternare quei pensieri. Thomas, infondo, era figlio di un condannato, ergo, li rispettava, almeno un minimo. Storse il labbro, pensando ad un modo per tranquillizzarlo.
"E pensi che riuscirebbero ad uccidermi?" domandò dunque schietto il repressore.
Il giovane lo aveva scrutato preoccupato, ma non aveva risposto, decisamente insicuro di come farlo. Duncan era indubbiamente un buon miratore e, nonostante non fosse mai stato testimone di un suo corpo a corpo, doveva immaginare che anche in quello fosse piuttosto esperto.
Il repressore aveva sorriso "No, non ce la farebbero. Oltretutto, le norme di sicurezza in aereoporto sono fenomenali..." aveva poi preso una pausa, voltandosi in direzione della porta "Insomma, parliamo del Governo" aveva aggiunto fiero.
"Tu credi troppo ciecamente in lui..." si era lasciato sfuggire il giovane in un sospiro "Io non sarei tanto tranquillo se fossi in te" aveva poi accennato prima di salutarlo con un cenno della mano, non sapendo la sorte che sarebbe, effettivamente, toccata al suo unico amico rimastogli.


La porta grigia, identica ad ogni altra, in metallo era di fronte a lui. E nonostante l'omologazione forzata del tutto, Duncan avvertiva chiaramente quella morsa allo stomaco tanto tipica dei suoi incontri con il ragazzino. Era sempre così: cresceva in lui quella sorta di istinto paterno decisamente atipico per un repressore, ed abbassava ogni sua forza, sfoderando troppa debolezza. Afferrò la propria targhetta di identificazione, facendola poi strisciare su un punto preciso della porta, così da attivare il passpautrout che essa offriva. La serratura scattò con un colpo secco, e Duncan aprì, per poi addentrarsi sempre più, fino ad arrivare al salotto. Era esattamente come lo ricordava: un piccolo tavolo circolare con due sedie attorno, una poltrona poco lontana ed una televisione dalle precarie dimensioni di fronte ad essa. Le tende sulla grande ed unica finestra della sala erano grigie, seppur tendenti al nero, e rendevano lo spazio quasi soffocante, cosa che però aveva sempre dato un certo conforto al giovane che ci abitava.
Il repressore mosse qualche passo per addentrarsi di più nel locale, gli altri ragazzi lo seguivano mansuetamente, mantenendo il silenzio nonostante avessero notato l'agitazione negli atteggiamenti dell'altro. Duncan era -effettivamente- un fascio di nervi. A quell'ora era certo che avrebbe trovato qualcuno all'interno, ed invece ciò che lo circondava pareva decisamente abbandonato. Sentiva il proprio cuore battere all'impazzata, pompando sangue ad una velocità allucinante, facendogli arrivare il rumore dei battiti persino ai timpani, infastidendolo ed agitandolo maggiormente. Si fermò al centro del salotto, decidendo di concentrarsi qualche istante, intento a tornare calmo e freddo.
Gwen notò quell'atteggiamento teso, ma optò per il silenzio. Lei era sempre così -sotto pressione-, e capiva bene come necessitasse di un momento di completa riflessione, per tornare lucido e concentrato sull'obbiettivo, qualunque esso fosse. Realizzò in quel momento, quanto effettivamente si fidasse del militare che, settimane prima, era caduto dal proprio cielo.

Dopo minuti di totale silenzio e fermezza, nei quali era parso decisamente distaccato dalla situazione, Duncan parlò, facendo quasi sussultare i presenti "Ok..." esordì agitato serrando qualche istante la propria mano destra in un pugno, per poi rilassarla velocemente. Cercava dei modi per fare scemare quell'ansia che lo aveva prepotentemente colto, ma tutto sembrava inutile.
"Voi rimanete qui" mormorò conciso, mantenendo un tono appena udibile dai presenti "Io vado a controllare nella stanza da letto. Torno subito"
I ragazzi avevano annuito all'unisono. Tutti tranne però Gwen, decisamente contraria a quella decisione. Nonostante potesse capire i comportamenti del ragazzo, non significava che gli avrebbe permesso di rischiare la vita; era ancora lei a capo di quella truppa scomposta.
"Non ti permetterò di metterti in pericolo da solo..." lo sfidò lei, sussurrando anch'ella.
"Non mi accadrà nulla. Sospetto fortemente ci siano dei repressori nell'appartament-" "Ma tutto è possibile" lo interruppe Gwen, sfoderando un'occhiata decisamente diffidente. Duncan ricambiò quello sguardo, per poi rivolgere i propri occhi al rosso alle spalle di lei. Scott restava in disparte, ad osservare quello scambio di battute. Duncan gli rivolse un'espressione decisamente senza equvoci: preoccupazione; alchè, l'altro si fece avanti.
"Gwen, ascoltalo per una volta.. Infondo non saremo distanti" intervenne Scott, decidendo di accontentare il militare, che gliene fu silenziosamente grato. La dark squadrò l'amico di sempre, prima con freddezza, poi sempre più arrendevole, fino a che non tornò a guardare il repressore "Bene... Allora vai, ma noi saremo qui pronti."
Duncan annuì semplicemente, prima di incamminarsi verso la camera da letto, sul fondo del corridoio.
Guardò le pareti. Era soffocante quell'appartamento, come tutti in effetti. Le mura grigie davano un senso di inquietudine al tutto, facendoti cadere in un'impressione di pura follia. Scosse il capo: non era il momento di soffermarsi su quei pensieri. Volse dunque lo sguardo alla porta distante, troppo chiusa e troppo silenziosa. Serrò nuovamente le proprie mani in due pugni, questa volta però, mantenendoli tali sino a che non fu il momento di entrare nella camera. Afferrò la maniglia, incontrandola chiusa a chiave. Corrucciò lo sguardo: qualcuno era dentro la stanza.
Afferrò la propria targhetta, passandola sulla porta con eleganza ed abitudine, infondo non erano rare le perlustrazioni da parte di repressori, con successiva appropriazione di oggetti illegali.
Prese un respiro, decisamente stremato, per poi avvertire lo scatto della serratura. Spinse la porta, aprendola. Rimase qualche momento fermo sulla soglia, analizzando con lo sguardo lo spazio: il letto era disordinato, come sempre infondo; sul pavimento erano stati abbandonati un paio di pantaloni da completo e l'armadio aveva le ante aperte. Si fece avanti dentro la stanza vedendola vuota. Si portò una mano all'altezza della fondina, dove aveva nascosto una delle armi dategli da Gwen, trovandola vuota. Sussultò leggermente, per poi deglutire a vuoto.

...Che diavolo?

Avvertì un suono sordo alle sue spalle, che riconobbe istantaneamente: la porta si era chiusa. Si voltò, incontrando una figura con un passamontagna che gli si scagliò prontamente contro. Sembrò quasi leggergli nel pensiero, perchè nel momento in cui aprì la bocca, intento a gridare, così da attirare l'attenzione degli altri, l'ombra sconosciuta gli coprì le labbra con una mano, per poi sfoderare l'altra, che impugnava prontamente l'arma di Duncan. Era stata quella misteriosa figura a prendergliela senza che lui se ne accorgesse.
Sorrise sorpreso da quell'incredibile astuzia, sin troppo ironico anche in momenti tanto critici, per poi afferrare il polso -dell'altro- che impugnava l'arma. Lo strinse con forza, sapendo bene dove determinati nervi si trovassero, conoscendo quali fossero i modi più semplici e veloci di spezzare ossa, e avvertendo una certa nostalgia nei confronti del suo lavoro incredibilmente violento.
Stava accadendo tutto in pochi attimi. Duncan procurò una fitta di dolore alla persona che lo aveva aggredito e, ribaltando le posizioni, si ritrovò sopra esso. Era stato bravo, non aveva nemmeno gridato. Non ci teneva proprio a farsi scoprire dagli altri.
Il repressore tese una mano, alzandola leggermente verso l'alto, già pronto a colpire il proprio assalitore con un pugno ben assestato, ma notando come la figura non si muovesse più, ma lo squadrasse invece stupito, abbassò nuovamente la mano.
Afferrò il passamontagna, colto da una realizzazione, sfilandoglielo velocemente, incontrando quel volto a lui tato familiare. Thomas era vivo. Sorrise immediatamente.
Il ragazzino lo guardava confuso, non potendo però trattenere un sorriso decisamente sollevato.
"Come ti è venuto in mente di attaccarmi?" domandò poi il repressore sarcastico, decidendo fosse il caso di rompere quel silenzio. L'altro non rispose a quella domanda. Si alzarono, per poi, dopo qualche secondo, abbracciarsi come due fratelli di sangue, nonostante non esistesse alcun legame effettivo. Il giovane era decisamente commosso, e stringeva convulsamente la presa su Duncan, che credeva di avere perso per sempre.
Si staccarono solo dopo alcuni minuti "Avevano detto che eri morto" soffiò il giovane, facendo sorridere genuinamente il repressore "Sì, lo immaginavo."

Si erano diretti nel salotto, dove i vari presenti si erano presentati uno ad uno al giovane soldato che, pur notando gli abiti decisamente inadatti, aveva mantenuto il silenzio, decidendo di fidarsi ciecamente dell'amico.
"Allora, mi spieghi che è successo?" domandò dunque Thomas non appena i convenevoli furono conclusi.
Duncan si accomodò su una delle due sedie che accerchiavano il tavolino, ricordando come, alle volte, si divertiva a passare qualche ora a casa del giovane, decisamente poco avezzo alle leggi vigenti. Sorrise.
"Credo sia la prima volta che lo dico con serietà, ma... Avevi ragione" decise di esordire il repressore, mentre il ragazzino si accomodava sulla sedia di fronte quella di lui.
"Le rivolte, le insurrezioni... Hanno fatto un attentato, ed il mio aereo ha avuto un incidente" spiegò, facendo impallidire istantaneamente l'altro.

Il salotto si era svuotato. Duncan aveva chiaramente spiegato ai propri nuovi compagni come fosse nelle sue intenzioni parlare con il giovane in privato. Così, seppure fino a pochi secondi prima, il locale era pieno, ora i precedenti presenti si erano diretti verso la cucina. Solo Gwen era rimasta, con accondiscendenza del repressore. Infondo la dark gli faceva avvertire una piacevole tranquillità che aveva costantemente bisogno di possedere. Eppure, nonostante ciò, rimaneva in disparte, infondo alla stanza, appoggiata stancamente alla parete a braccia conserte, l'espressione titubante, cosa comprensibile visto il fatto che si trovava nella casa di una recluta ai comandi del Governo.

"Ma perchè hanno detto che eri morto?" Domandò Thomas, tornando al tema fondamentale, quello che non era sicuro di come spiegare al giovane. Dirgli che la Desert_Zone era abitata anche da vivi e sani poteva significare dargli una speranza riguardante i suoi genitori, ma probabilmente vana.
"Io... Io sono saltato fuori dall'aereo prima che precipitasse" tornò a parlare Duncan con fermezza "E sono finito... Nella Desert_Zone" aggiunse poi, capendo bene non fosse il momento migliore per tentennamenti e menzogne. Non con lui, per lo meno.
Di fronte quella rivelazione, Thomas aveva sgranato lo sguardo. La persona di fronte a lui era la prima ad essere evasa dalla Desert_Zone, se realmente le faccende erano andate in quel modo. Gli pareva assolutamente impossibile. Potevano davvero esserci possibilità di sopravvivere? Poteva davvero credere a quel misterioso e -decisamente- diverso Duncan? Un tarlo dubbioso si insinuò nella sua mente.
"Non è possibile" fece secco il ragazzino, alzandosi di scatto, non calcolando nemmeno la presenza della ragazza vicino a loro. Era turbato, il volto contratto in un'espressione decisamente irritata.
Duncan seguì il suo esempio, alzandosi anche lui in piedi, capendo bene di dovere seguire il suo sguardo, felice od irato che fosse "Invece sì. Io..." tornò a parlare, per poi guardare Gwen "Noi..." si corresse "Noi siamo tutti evasi da lì"
Quella frase parve nata come un'arma a doppio taglio, decisamente difficile da evitare. Serrò la mascella, decisamente teso. Lanciò un'occhiata diffidente alla ragazza poggiata alla parete. Chi diavolo era lei? Cosa aveva fatto a Duncan?
"Non è possibile" tornò a ripetere il giovane, guardando nuovamente il repressore, il quale sospirò decisamente esasperato e stanco "Perchè non puoi credermi?"
"Supponiamo che io ti creda..." sorrise divertito Thomas, mentre Gwen, sempre da parte, iniziava a dubitare delle scelte compiute dal militare dallo sguardo cristallino.
"Perchè li avresti fatti evadere?" domandò sempre sorridendo, lanciando poi un'occhiata al soffitto "Perchè tutti loro...." si fermò, respirando faticosamente, intento a trattenere palesemente un pianto che stava per annegarlo.
"Thomas, io.." cercò di rispondere Duncan, capendo perfettamente quale fosse il punto a dolergli tanto, ma sapendo al medesimo istante, di essere completamente inutile in quella situazione "Mi dispiace" si limitò dunque a dire, sentendosi incredibilmente incapace, avvertendo di avere fatto tutto in modo sbagliato, e vedendosi solo che come una completa nullità, cosa che forse effettivamente era. Aveva appena detto le parole più scontate esistenti e, nonostante fossero state completamente sincere, si sentiva comunque in colpa.
Thomas prese un profondo respiro, rimanendo però in silenzio. Da quanto tempo non avvertiva quel dolore? Il dolore di una speranza sfumata...
Guardò Duncan, era completamente differente rispetto a poche settimane prima. La sua freddezza sembrava completamente svanita, e vedendo che persino i suoi occhi erano cambiati, iniziò a credergli, sì, perchè solo la Desert_Zone, un luogo di perdizione e follia, poteva essere in grado di mutare  tanto un essere vivente.
Sospirò nuovamente, questa volta ostentando un'evidente fatica "Sì, lo so. Dispiace anche a me" si limitò a dire, ripensando ai propri genitori e capendo bene di non potere essere incollerito con il solo ragazzo che lo avesse provato a salvare da se stesso. Eppure, pensare che Duncan aveva avuto la possibilità di riportargli propria madre o suo padre, gli fece crescere uno sconforto dentro.

Perchè quei ragazzi e non sua madre? Perchè quei pochi e non suo padre?

Tentò di allontanare quei pensieri egoisti, appartenenti ad un ragazzino di appena quindici anni rimasto orfano, cercando di tornare serio e freddo, proprio come Duncan gli aveva insegnato più di un anno prima.

Gwen era rimasta poggiata alla parete, con le braccia conserte, per tutto il tempo, ascoltando quella conversazione -a suo parere- criptica, non potendo però evitare di notare l'affetto che Duncan nutriva nei confronti dell'altro. Comprese bene come, solo qualche minuto prima, avesse sbagliato. Ogni scelta fatta dal militare era perfettamente compiuta, sia quando era dettata dalla mente, sia quando dal cuore, come in quel caso.

Thomas lanciò nuovamente uno sguardo alla ragazza sul fondo della stanza, silenziosa. Osservò poi l'amico, ora nuovamente seduto, con una palese mortificazione nello sguardo. Non era realmente arrabbiato con lui, no. Il suo odio era radicato nei confronti del Governo, ma questo, era certo, non lo avrebbe mai potuto dire al ragazzo che aveva rischiato tutto per raggiungerlo nuovamente. Era irritato e spaventato: non poteva detestare ciò in cui Duncan di più credeva, e non poteva nemmeno odiare il ragazzo stesso, che infondo, di colpe non ne aveva. Non nei suoi confronti, per lo meno.
Si portò una mano tra i capelli castani, scompigliandoli completamente "Allora, che vuoi farci?" domandò dunque riferendosi a quei ragazzi che aveva portato con sè.
Quella domanda risvegliò il repressore dai propri sensi di colpa. Volse lo sguardo in direzione del giovane, incontrandolo spossato, ma combattivo e fidato. Sorrise leggermente.
"Salvarli"





 
Angolo dell'autrice!

Allora, questo è un capitolo, diciamo, di 'transizione'. Nei prossimo 2 o 3 capitoli mi concentrerò particolarmente sul carattere introspettivo di Duncan, così da analizzare i suoi sentimenti, i suoi cambiamenti e preso avremo molte novità ^_^

Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, anche se è cortino e... Spero di leggere qualche vostra recensione! :)
-SaraRocker

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Capitolo 11
*** Desert_Zone cap.11 ***



 
Desert_Zone



cap.11




"Salvarli"

Quella parola, detta con tanta sincerità e fermezza, aveva confuso il ragazzo a dismisura. Thomas stava guardando Duncan con gli occhi sgranati, le labbra semiaperte e le mani quasi tremanti. Non riusciva a riconoscere la persona che aveva di fronte, gli pareva impossibile che lui, il rinomato repressore, conosciuto in tutto il pianeta, fosse tornato dalla Desert_Zone vivo, e con l'obbiettivo di proteggere la vita di un mucchio di condannati. Tutte quelle realizzazioni in così poco tempo, troppo poco perchè potesse rifletterci a pieno per capirle, lo avevano totalmente destabilizzato. Quello che aveva di fronte non era lo stesso ragazzo che, solo qualche anno prima, era stato il suo maestro, insegnandogli la differenza tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia; non riusciva più a vedere quel bagliore di freddezza negli occhi blu, ora completamente dominati da un senso di umanità a lui mai appartenuto.
Mosse un paio di passi indietro, andando quasi ad inciampare a causa della sedia, ma riuscendo poi a mantenere l'equilibrio. Non sapeva come reagire. Si voltò poi in direzione della ragazza, ancora ferma contro la parete, esattamente come pochi minuti prima. Era lei la colpevole di tutto ciò che era accaduto, ne era certo. Guardò nuovamente Duncan, ora con gli occhi colmi di domande a causa del comportamento del giovane.
"Tu non sei Duncan..." soffiò dunque in tono di completa accusa Thomas, la voce tremante, terrorizzata ed angosciata all'unisono. Cosa stava dicendo? Si sentiva un completo idiota. Infondo, era palese che l'uomo di fronte a lui era il repressore Smitt, eppure, nonostante ciò, quei comportamenti nuovi, non lo convincevano affatto. Retrocesse ancora di qualche passo, fino ad arrivare contro la parete.
"Che stai dicendo, Tommy?" domandò completamente sconcertato il repressore, avvicinandosi al giovane.
Tommy. il ragazzo digrignò i denti. Duncan lo chiamava spesso così, facendolo sentire quasi parte di quella strana famiglia composta da loro due e lei. Eppure, ora che aveva di fronte quel nuovo uomo, non era certo di potere apprezzare completamente quel nomignolo che, vista la tanto familiarità, lo confondeva maggiormente.
"Non chiamarmi così!" esclamò Thomas alzando la voce, facendo preoccupare la dark poco distante, che tese i muscoli, già pronta a reagire ad un eventuale attacco "Tu non sei lui! Lui non-" "Non avrebbe salvato delle vite?" intervenne il repressore, guardandolo ora con una profonda delusione nello sguardo.
"Non le loro!" rispose prontamente il giovane, non facendosi influenzare dal tono severo dell'altro. Indicò poi Gwen, ancora ferma contro la parete nonostante i sensi particolarmente attivi "Non quella di alcuni condannati!" incalzò poi, gridando quasi.
"Sono cambiato" si limitò a dire Duncan, allargando le proprie braccia come in segno di completa innocenza. Il giovane, in risposta, iniziò a scuotere il capo, ormai con le lacrime agli occhi. Si sentì una nullità: da quanto non piangeva? Si sentiva debole, troppo.
"Una persona non cambia tanto radicalmente in qualche settimana!" cercò poi di tornare a parlare Thomas, seppur soffocato dai singhiozzi che ormai si facevano largo in lui "Una persona sana non volta le spalle a tutto ciò in cui  crede come nulla fosse!" gridò questa volta, per poi accasciarsi contro la parete e lasciarsi andare a sedere, completamente scosso da un pianto rimasto muto per troppo.

Non aveva versato una lacrima per la condanna dei suoi. Era rimasto composto durante l'annuncio della morte del repressore, e non aveva osato singhiozzare nemmeno durante il funerale di quest'ultimo.
Ed ora, rendendosi conto di quanto effettivamente Duncan valeva per lui, dopo essere stato certo di averlo perso per sempre -di avere perso anche l'ultimo straccio di famiglia rimastogli-, era esploso in un assordante pianto, completamente asfissiante e liberatorio, e non era affatto certo di potere riuscirsi a fermare.

Duncan, dall'altra parte, non aveva potuto evitare di osservare i comportamenti del giovane totalmente assorto. Gli dispiaceva davvero che lui non gli credesse, che non capisse che ciò che gli stava dicendo era reale ma, al contempo, era decisamente felice di sapere come il piccolo tenesse tanto a lui. Si chinò fino ad arrivare di fronte a Thomas, ora seduto a terra, per poi parlargli.
"Sai..." esordì mormorando, mentre Gwen, per la prima volta, muoveva qualche passo in direzione dei due "Probabilmente hai ragione"
Il giovane alzò lo sguardo, incontrando quello del repressore, osservò poi oltre lui, vedendo la dark avvicinarsi. La guardò  per la prima volta con attenzione: era giovane, molto. Forse aveva la sua età. Aveva dei lunghi capelli neri ed un corpo ben proporzionato, era realmente bella. Eppure, nonostante tutto ciò, non fu quello a colpirlo maggiomente, quanto l'esperienza che trapelava dal suo sguardo ebano. All'istante attribuì quegli occhi a qualcuno realmente proveniente dalla Desert_Zone, e tornò poi a guardare Duncan, notando quel bagliore di troppo anche nei suoi.
"...E perciò, posso solo arrivare alla conclusione, che probabilmente non sono sano!" scherzò poi il repressore, facendo sorridere la giovane recluta, ora con il pianto ridotto a qualche singhiozzo.
Duncan ricambiò l'espressione di lui, per poi tornare serio "Se mi ascoltassi... Forse capiresti meglio la situazione"
"Allora racconta..." si limitò a sospirare il giovane, decidendo che quel ragazzo, oltre ogni altro, meritava di essere ascoltato.

"Esistono dei... Nativi?" aveva domadato completamente sorpreso la giovane recluta. Duncan gli aveva appena raccontato la storia di ognuno degli sventurati che aveva portato con sè, lasciando quella di Scott e Gwen come ultima. Thomas era rimasto attento, annuendo alle volte, comprendendo sempre più la ragione per la quale il repressore fosse cambiato tanto. Erano molte le storie riguardanti la Desert_Zone, ma nessuna parlava di neonati al suo interno oppure -peggio- di donne incinte buttate dentro. Era qualcosa inammissibile, pensare che esistessero bambini -esseri completamente innocenti- costretti a vivere in simili modi. All'istante si rese conto del fatto che quelle realtà erano nascoste di proposito, ed immaginò con certezza che -probabilmente- i governatori erano perfettamente a conoscenza della situazione che si stava portando avanti.
Duncan annuì, guardando poi Gwen, ora seduta insieme a loro attorno al tavolo. Il militare aveva chiesto la sua vicinanza durante i racconti, così che lei potesse testimoniare a pieno la verità di ciò che diceva. Voleva che Thomas gli credesse; doveva credergli. Quel giovane -ormai- diciottenne rappresentava la loro sola speranza.
"E'..." tornò a soffiare il ragazzino, per poi cercare lo sguardo della ragazza, che incontrò severo e determinato "Surreale" aggiunse poi. Lei sembrava esattamente come gli altri. Certo, il suo volto era marchiato di esprienza e responsabilità, ma lei sembrava comunque, al primo sguardo, una semplice, giovane ragazza qualunque. Gli sembrava incredibile pensare che, non solo era vissuta nella Desert_Zone, ma c'era anche nata.
"Già..." si limitò a dire Duncan, per poi tornare a parlare, deciso a dire tutto ciò che pensava in quel momento, senza lasciare nulla al caso "Spero che tu mi creda, Tommy..." esordì dunque abbassando lo sguardo sul ripiano del tavolo lucido e scuro, osservando le proprie mani intrecciarsi agitate "Io... So che sono cambiate tante cose... Che io stesso sono cambiato, ma... Ho bisogno di te" disse sinceramente "Tutti i ragazzi che sono qui hanno bisogno di te."
Thomas aveva alzato lo sguardo in direzione del repressore, incontrandolo chino ad osservare le proprie mani spossatamente poggiate sul tavolo. Era poi rimasto in silenzio, completamente scosso da quelle parole tanto sincere, quelle frasi che aveva desiderato udire tutta la vita. Per la prima volta si sentì migliore, non più come la solita e pidocchiosa nullità che sempre si era lamentato di essere.
"Ricordi la prima volta che ci incontrammo?" domandò dopo minuti di silenzio Duncan, sorridendo appena, ora con lo sguardo alzato. Thomas annuì, facendogli capire che lo stava ascoltando nonostante non proferisse parola.
"Ecco. Sai cosa pensai? La mia prima impressione fu 'ehi, guarda quello... E' malapena un ragazzo ed il suo futuro è già scritto'. Ti avevo dato per spacciato e condannato da subito." ammise mantenendo quel sorriso, in memoria dei tempi passati "Poi, però, mi sono avvicinato e ti ho parlato. Eri davvero... Arrogante. Non avevo mai sentito nessuno parlare in quel modo senza temere la minaccia-Governo... Ed allora ho pensato che, beh... Eri morto!" esclamò allargando ancora di più quel sorriso, mentre l'altro si limitava ad annuire, anche lui con quell'espressione in volto "L'ho visto fin da principio, sai?" fece Duncan guardando attentamente lo sguardo dell'amico, improvvisamente divenuto confuso ed interrogatorio.
"Cosa?" domandò Thomas non capendo, mentre il repressore aveva iniziato ad indicarlo scaltro.
"Il potenziale" rispose l'altro, facendo sussultare la ragazza vicino a lui. 
Gwen ricordava molto bene la conversazione avuta con il militare. Ricordava di come lei, nonostante lo smisurato orgoglio, aveva ammesso di avere notato fin dall'inizio una scintilla nel ragazzo. Ed anche lei, dopo una domanda fatta da lui, aveva risposto semplicemente 'potenziale'; il tutto con un sorriso, un discorso complicato, e tanto bisogno l'uno dell'altra. Ora avvertiva una chiara scarica elettrica invaderla, pensando a come lui ricordasse quel momento.
Thomas, invece, molto distante dal capire, aveva semplicemente rivolto al repressore un'espressione confusa, che aveva fatto ridere genuinamente il diretto interessato.
"Al tempo, non capii quanto questo tuo potenziale fosse importante, ma ora... Ora ho capito che tutto quello che ti ho fatto fare... E' stato stupido ed inutile." ammise il ragazzo dagli occhi azzurri, colpevolizzandosi. Si riteneva responsabile di avere tarpato le ali a quel giovane che, fin da principio, era stato l'unico a vedere chiaramente ciò che li circondava: un mondo fatto di privazioni ed ingiustizie.
"Che diav-" "Tu sei una scintilla, Tommy" lo interruppe Duncan, sorridendogli paternamente "Tu... Tu sembri uno, ma vali quanto mille. Tu sei in grado di scatenare una rivolta per ciò in cui credi..." sorrise ancora il repressore, decisamente orgoglioso del giovane di fronte a lui "Io ho avuto paura di questa scintilla, forse... E lo ammetto... E me ne scuso. Ti ho fatto entrare nell'esercito, e solo ora capisco perchè tu non fossi determinato... Capisco perchè non ce la facevi..." asserì certo Duncan, annuendo a vuoto qualche volta "Perchè tu non ci credevi"
Il giovane sorrise di fronte quelle parole, ancora non completamente certo di dove l'amico sarebbe giunto ad arrivare, ma trepidante dall'attesa di saperlo.
"Tu non hai mai approvato il Governo... E tu sei sempre stato in grado di scatenare una rivolta... E mi scuso per averti fermato tanto a lungo." tornò a parlare il repressore, alzandosi e poggiando una mano sulla spalla della recluta "Quindi, se la persona di cui sto parlando è ancora qui, te lo chiedo... Che ne pensi di accendere questa scintilla?"

Quella domanda era stata dannatamente chiara. Cristallina come solo l'acqua più pura, ormai inesistente in quei resti di pianera, era. Il giovane aveva riflettutto a riguardo: le parole dell'amico lo avevano completamente avvolto, rendendolo schiavo di innumerevoli pensieri ai quali non poteva affatto sottrarsi; gli invadevano la mente copiosamente, insinuandogli nuove domande nel cervello. Lui sapeva di essere contro il Governo -quella malsana dittatura-, ma Duncan? Le sue parole, i suoi racconti, tutto era sembrato decisamente reale, ma doveva credergli? 
Udì nuovamente il discorso appena concluso con lui, risuonargli nella testa. Ascoltò ogni tono, avvertendolo sincero sino all'ultimo respiro, ed ogni tentennamento si cancellò istantaneamente.
Eppure... Era davvero la scelta giusta, rinunciare a tutto ciò che Duncan -quello di un passato poi non molto lontano- era riuscito a dargli? Sì, indubbiamente, si rispose subito, ripensando ai racconti ribrezzevoli  uditi dal repressore solo qualche minuto addietro. Guardò Gwen e, se solo poco prima, la aveva detestata per come aveva cambiato il repressore, ora si sentiva in dovere di ringraziarla completamente per averlo reso più umano che mai.
Sapeva cosa avrebbe comportato dargli la risposta che lui tanto desiderava: guerra, indubbiamente. Avrebbero dovuto combattere e -probabilmente- morire pur di garantire un minimo di libertà al popolo ma, viste le mancate gioie del suo passato, forse gli sarebbe persino piaciuto perire per cause tanto nobili. Infondo era un No-One, null'altro poteva privarlo oltre di dignità. Persino la Desert_Zone, a quel punto, non lo avrebbe più toccato. Era troppo scalfito ormai. Oltretutto, se il suo migliore amico combatteva per quel fronte, allora avrebbe accettato volentieri di unirsi a lui.

"Sì"

Duncan si diresse in bagno senza nemmeno bussare. Era stanco dopo la giornata appena trascorsa. I numerosi avvenimenti che si erano susseguiti lo avevano lentamente prosciugato, rendendolo schiavo di un sonno prepotente, che entro poche ore lo avrebbe certamente preso. Perciò, per queste e molte altre ragioni, non si ritrovò nemmeno a pensare all'ipotesi che il bagno potesse essere occupato. Fu una voce a riportarlo alla realtà dei fatti.
"Duncan Smitt?"
Non ci aveva impiegato nemmeno mezzo secondo a capire chi avesse posto quella domanda: solo lei lo chiamava utilizzando nome e cognome. Gwen era di fronte a lui, davanti lo specchio, che si sistemava la giacca del tailleur prestatogli da Thomas. Dopo la discussione avuta, e in successione alle innumerevoli spiegazioni che gli erano state dovute, il ragazzo era andato ad acquistare gli abiti per le ragazze, mentre aveva utilizzato i propri per i ragazzi.
Duncan si portò una mano ai capelli, palesemente imbarazzato per la distrazione di troppo e farugliò in fretta qualche parola di scusa "M-Mi dispiace... Io non credevo che-" "Figurati, infondo ormai mi sono vestita." era intervenuta la dark, sorridendo appena davanti lo specchio. Indossava un colpeto nero. Duncan non potè fare a meno di notare come, anche quei vestiti da borghesi, le stessero piacevolmente bene.
"Perfetta" commentò dunque il repressore, muovendo qualche passo all'interno della stanza "Ti sta molto bene" aggiunse poi impacciato, sentendosi un bambino alle prese con la prima cotta.
"Grazie" fece lei, per poi prendersi i lunghi capelli tra le mani, iniziandoli a raccogliere con attenzione, per poi legarli con un nastro, anch'esso acquistato dalla giovane recluta. Persino gli elastici per capelli erano vietati, dovevano essere usati nastri lucidi.
"Anche tu stai molto bene con il completo... Anche se ti preferisco con gli altri vestiti" sorrise Gwen finendo di acconciare i capelli, per poi voltarsi verso il militare.
"Oggi... Sei stato incredibile... Quel ragazzo si fida di te ciecamente..." tornò a parlare la ragazza dopo qualche minuto di silenzio, in cui i due si erano limitati a scambiarsi occhiate imbarazzate. Buona parte dell'appartamento ormai si era coricato e, probabilmente, loro due erano rimasti i soli ancora svegli.
"Sono la sua famiglia.." si limitò ad accennare lui, sorridendo appena. La ragazza annuì, poteva capirlo. Nemmeno lei aveva una reale famiglia su cui contare. Il solo che poteva associare ad essa era Scott, nemmeno lui realmente del suo sangue. Alle volte, imbattendosi in quei pensieri, si sentiva terribilmente sola. Quel giorno, venire a conoscenza del legame tra Duncan e Thomas, l'aveva fatta sentire piacevolmente fiera del repressore, facendole intuire che, probabilmente, anche se era ritenuto un micidiale militare, aveva sempre avuto un cuore troppo grande per potere sottostare pienamente sgli ordini del Governo.
"Questo non toglie il fatto, che ci hai salvati tutti..." mormorò lei, decidendo di interrompere quei silenzi che si frapponevano tra i due, creando tensione ed imbarazzo. Abbassò lo sguardo, mentre lui sorrideva appena.
"Questo dipende da quanto siamo in salvo nel territorio governativo" parlò poi il ragazzo, facendo irrigidire lei.
"Smettila di sminuirti!" esclamò dunque Gwen avvicinandosi a Duncan, arrivando a pochi centimetri dal suo viso, guardandolo severa. La irritava il modo in cui il militare vedeva se stesso. Continuava a parlare in modo tale da risultare una nullità od un essere orribile, cosa che ormai, aveva dimostrato più volte di non essere.
"I-Io..." cercò di dire lui, pronto a difendersi, perdendo poi tutte le parole al vento rendendosi conto della vicinanza di lei, capendo bene che gli bastava spostarsi in avanti solo qualche centimetro per sentire il sapore delle sue labbra carnose e perfette. Desiderava assaporarle totalmente. Avrebbe voluto inebriarsi di esse.
Anche lei, nel frattempo, aveva posato il proprio sguardo sulla bocca di lui, completamente assorta, non sapendo esattamente nemmeno lei come comportarsi. Ricordava le storie di sua madre, quelle narranti principi e principesse che si scambiavano teneri baci al chiarore della luna, ed alle volte le tornavano alla mente gli scambi di piccole e dolci toccate di labbra tra i due genitori, ma mai aveva provato quella sensazione in prima persona, od il trasporto che essa creava. Era piacevolmente curiosa di saperne di più.
Duncan si mosse leggermente in sua direzione, mentre lei restava ferma, né accogliendolo, né tantomeno respingendolo. Eppure, quegli occhi tanto assorti, gli facevano pensare che anche lei, come lui, desiderava sentire il suo sapore. Avvicinò le proprie labbra sempre più, pronto ad avvertire la dolcezza di lei avvolgerlo, ma un dettaglio lo interruppe.
Vide l'orologio sulla parete poco distante. Orario: 22:59. Sgranò gli occhi, ricordando chiaramente qualcosa di decisamente fondamentale. Si mosse velocemente sino all'interruttore, mentre la ragazza diventava seria notando i comportamenti del ragazzo. Non appena fu arrivato all'interruttore, spense velocemente la luce del bagno, l'unica rimasta accesa in tutto l'appartamento, ed avvertì all'istante, provenire dall'esterno, dei sordi suoni di campane ed allarmi.
"Cosa è?" domandò allarmata Gwen, improvvisamente avvolta dal buio, assordata dai suoni all'esterno. Si portò le mani alle orecchie qualche istante, sorpresa ed infastidita dal rumore continuo e perenne.
"Coprifuoco." fece conciso il ragazzo, muovendosi nella stanza per mezzo dell'udito, cercando di capire da dove fosse arrivata la voce di lei.
"Che significa?" domandò confusa la dark, mentre Duncan le arrivava al fianco, afferrandole la mano, facendola sentire meno spaesata.
"Se entro le 23:00 tutte le luci di una casa non sono spente, si attiva un allarme e vengono chiamati i  gentiluomini a mettere ordine" spiegò il militare, constatando che, per pochi secondi, era riuscito a salvare l'intero gruppo di abitanti. Se si fosse distratto oltre, sarebbero morti tutti.
"Gentiluomini? Cosa-" "Sono delle guardie specializzate in irruzioni in case di civili. Possono sequestrarne gli abitanti. Sono persone particolarmente losche e... Inquietanti aggiungerei" la interruppe lui, continuando a tenerle la mano attento. Gwen, seppur avvolta dall'ombra, aveva sfoderato uno sguardo completamente disgustato: in quel luogo era proibito persino tenere le luci accese. Non riusciva a capire la ragione di quelle innumerevoli restrizioni. Era poi completamente confusa dalla situazione; non poteva accettare il modo in cui, poco prima, aveva rischiato di lasciarsi andare davanti a Duncan, dimenticandosi dei propri fondamentali propositi. Quello non era il momento, né il luogo per pensare a stupidaggini infantili come l'amore, e questo doveva ricordarlo.

Lui, sempre tenendole la mano, si fece largo per il corridoio dell'appartamento. Ringraziò la sua memoria, grazie alla quale riuscì a trovare velocemente la porta della stanza dove avrebbero dormito le ragazze. Posò la mano di lei sul pomello di essa.
"Ecco" disse poi lasciando la presa su Gwen, che nel frattempo rimaneva semplicemente silenziosa, in attesa che il militare si allontanasse. Il viso aveva iniziato a bruciarle a causa dellincredibile imbarazzo dovuto a poco prima, e ringraziò il buio che li circondava, che nascondeva il suo rossore. 
Notando il suo silenzio, fu nuovamente Duncan a parlare.
"Beh... Allora buonanotte." mormorò poi allontanandosi, arrivando alla propria stanza, ed entrandoci. Lei udì tutto, ed attese fino a che non fu certa che lui fosse entrato.
"..'Notte, Duncan Smitt"





 
Angolo dell'autrice che -immagino- vorrete uccidere per il mancato bacio ^^''

Si.... Ci mancava così poco, ma poi ho pensato 'naaah! Creiamo un caasino!' ahahhaha
Allora, esistono i Gentiluomini! (ispirazione presa da BTVS, serie tv preferita) e.... Sono degli ometti inquietanti e ben poco affidabili u.u

--- Poi.... Una cosa che mi chiedo se avete tutti notato sono alcuni indizi che sto dando.... E che frutteranno una bella sorpresa!
Beh, alla prossima e fatemi sapere che ne pensate! :D

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Capitolo 12
*** Desert_Zone cap.12 ***


Desert_Zone



cap.12



Il giorno era venuto lentamente, troppo a parere di Duncan, che aveva passato l'intera notte pressocchè in bianco. Nonostante avesse ritrovato Thomas, e con egli anche la sua fiducia, non poteva dire che tutto si fosse definitivamente sistemato. I problemi erano ancora innumerevoli, e tutti decisamente difficili da sormontare. Aveva perciò deciso di riflettere, analizzando passo per passo ogni punto, cercando di distinguere quali fossero i primi da affrontare a testa alta. Eppure, nonostante tutto, gli appariva incredibilmente complicato, persino iniziare dal più semplice.

L'ennesima lettera. L'ennesima pallida lettera, scritta da una persona portante una meravigliosa ed elegante calligrafia, tanto tipica delle ricche caste che potevano permettersi studi realmente fruttuosi, e non solo che patetiche scuole di sobborghi, esternamente simili a tutte, ma internamente disorganizzate ed indisposte. Aprì il foglio lentamente, non avvertendo però euforia od emozione all'idea di analizzarla che ogni altro, invece, avrebbe certamente avvertito se al suo posto. Sapeva di cosa si trattava, eccome. Erano sempre le stesse buste, contenenti le medesime lettere con sopra esse scritte sempre simili parole. Alle volte trovava quella routine, che lo attendeva almeno una volta al mese da ormai due, decisamente noiosa. Avrebbe volentieri bruciato ogni pezzo di carta sui fornelli della propria cucina, senza neanche leggerli. Infondo, nemmeno rispondeva alle lettere. 
Aveva accennato un mezzo sorriso, sospirando pesantemente, per poi accomodarsi su una delle tante sedie attorno al piccolo tavolo del salone. Abbassò lo sguardo sulla bellissima ed ordinata calligrafia. Abbandonò le proprie pistole su uno dei tanti ripiani della stanza ed iniziò a leggere.


Il sole aveva presto svegliato tutti, sorgendo maestoso dalle dune sabbiose dell'omonima prigione. I ragazzi si erano alzati lentamente, chi ancora prima dell'alba e, chi quando ormai il sole era arrivato al centro del cielo. Duncan, tra tutti, era stato il primo.
"Ehi, Duncan!" esclamò Thomas non appena ebbe riconosciuto la figura che, in controluce, osservava oltre la finestra dell'appartamento, scrutando con attenzione le strade sottostanti, già gremite di persone a quell'ora. Il repressore si era voltato spossatamente, rispondendo al giovane con un semplice cenno del capo, per poi andarsi ad accomodare su un divano poco lontano.
L'amico aveva osservato con apprensione ogni mossa dell'altro. Era davvero liberatorio potere finalmente parlare senza peli sulla lingua, potendo imprecare contro il Governo anche in presenza di Duncan. Sorrise iniziando a preparare un caffè, ovviamente decaffeinato, infondo persino la caffeina stessa era ormai considerata droga, ergo, sostanza non prettamente legale.
Fu la voce del militare più anziano a risuonare nuovamente nella stanza, sostituendo così il silenzio prima padrone "Mi dispiace per ieri" accennò mormorando, avendo di fronte a sé il corpo dell'amico di spalle, potendo solo immaginare le espressioni che gli ripercorrevano il volto.
"Per cosa?"
"Per... Tutto" si limitò a rispondere Duncan "Mi sono letteralmente insidiato in casa tua, ponendo un freno completo alla tua carriera e... Ti ho completamente disastrato la vita"
Thomas annuì con il capo, mentre un sorriso si delinava sul suo viso. Il repressore aveva ragione: in meno di ventiquattro ore si era ritrovato con una resistenza in casa, il suo migliore amico improvvisamente divenuto ribelle, ed era stato posto di fronte ad una scelta di vitale importanza. Effettivamente, dire che quei cambiamenti lo avessero stravolto, era davvero un eufemismo. Il suo sorriso si allargò. Si voltò in direzione dell'altro "Effettivamente, sì, lo hai fatto" concordò sempre sorridendo.
"Già, e mi disp-" "Ma te ne sono grato" lo interruppe Thomas, non volendo decisamente udire inutili -perchè altro non erano- scuse da parte di colui che si era dimostrato migliore di molti altri  falsi giustizieri. Duncan stava ammettendo i suoi -orribili- errori con pentimento e mortificazione, sapendo bene di non potersi giustificare semplicemente dicendo che era cambiato, essendo ben al corrente che il passato non poteva che restare tale, e che i morti non sarebbero risorti mai.
"Insomma, pensi davvero che il mio futuro sia quello di ubbidire mansuetamente ad un governo dittatoriale?" lo schernì con strafottenza il giovane, portandosi la tazza di caffé alle labbra.
"Effettivamente no" ammise Duncan, ora sorridendo anche lui di fronte all'amico "Ma non posso sapere se fosse nelle tue intenzioni rovinarlo, il tuo futuro intendo" aggiunse poi, tornando serio e discreto. Quella era una delle poche cose che si erano mantenute in lui: passava da un momento colmo di fratellanza e calore, ad uno di serietà e professionalità, proprio come gli era stato rigidamente insegnato sotto l'esercito.
"Non credo di averlo rovinato, scegliendo di unirmi a voi." ammise semplicemente la recluta, accomodandosi al fianco dell'altro, che lo squadrò leggermente diffidente, certo che alcune cose le stesse dicendo solo per tranquillizzarlo "Infondo, fare parte di una resistenza incredibilmente disorganizzata è il desiderio di molti" ironizzò poi.
Duncan annuì "In effetti non siamo particolarmente pronti. Non ancora per lo meno"
"Ma il tempo scarseggia" disse sbrigativo Thomas, non essendo affatto in torto. Il Governo era un organo recettivo ed astuto, ed avrebbe presto individuato la presenza di abitanti 'inutili', eliminandoli prontamente. I membri della resistenza -eccetto Duncan, ovviamente- non possedevano alun documento che appariva nel registro governativo. Il repressore, per lo meno, era riconoscibile dal volto, apparso su centinaia di notiziari e congressi televisivi.
Duncan annuì semplicemente, non ostentando la paura che un normale essere umano, in una simile circostanza, avrebbe invece certamente provato, ma limitandosi solo ad accennare un nuovo sorriso completamente inopportuno. Il repressore tornò poi serio, prestando nuovamente attenzione a Thomas, deciso a porgli una domanda che lo premeva da quella notte. Il giovane sembrava concentrato nel contemplare la propria tazza, assorto in pensieri di cui, però, non parlava apertamente.

"Lei come sta?"

Thomas alzò immediatamente lo sguardo in direzione dell'amico, smettendo di osservare la superficie fumante del proprio caffé. Quella domanda, posta tanto all'improvviso, lo aveva leggermente sorpreso. Ma perchè poi? Infondo, era più che normale che andasse a chiedere di lei. E di chi altro poteva domandare? I suoi genitori erano amati ed apprezzati dal Governo e probabilmente, vista la nuova situazione creatasi, non li voleva nemmeno avvicinare, mentre lei era una persona pressocchè neutrale, seppur decisamente favorita. Effettivamente, doveva essere più sorpreso del fatto che avesse chiesto di lei solo ora, piuttosto che del fatto che aveva semplicemente desiderato sapere di lei. Non servivano nomi. Entrambi sapevano bene di chi stessero parlando. Non era cosa semplice avere rapporti sotto la rigida dittatura governativa, ergo, erano davvero poche le 'amicizie' a cui si poteva effettivamente ambire.
Deglutì a vuoto, sospirando pensantemente prima di rispondere "Sta... Meglio"
"Che significa meglio?" fece prontamente il repressore osservando confuso l'amico che, al suo fianco, aveva iniziato a parlargli utilizzando un tono di voce più pacato e serio.
"Meglio rispetto a quando?" incalzò nuovamente il militare più esperto, questa volta più interessato che in precedenza, con un tono di voce fermo e freddo.
"Al tuo funerale."
La risposta di Thomas era arrivata alle orecchie di Duncan chiara e concisa, senza alcun tremolio di troppo o singhiozzo mortificato. Semplicemente, gli aveva detto ciò a cui non aveva nemmeno riflettuto: gli avevano organizzato un funerale.
"Il mio?" domandò il repressore con un soffio sorpreso, fingendo di non avere ben compreso le parole tanto specifiche del giovane, come non volesse crederci. Pensare al fatto che era stata celebrata qualcosa come una sua veglia funebre, lo inquietava decisamente. Oltretutto, riflettere sull'eventualità di vedere la propria tomba, lo intimoriva ancora di più. Ogni traccia di lui era perciò stata definitivamente cancellata? Non c'era una reale spiegazione per la quale quel pensiero lo facesse tanto spaventare, ma stava di fatto che non poteva fare a meno di rabbrividire pensando che esisteva una tomba con sopra inciso il suo nome, da qualche parte, seppellita sotto tre metri di terra. Il giovane annuì, per poi parlare, facendo eco a se stesso "Sì, Duncan il tuo"
Il repressore sospirò "Wow... Mi assento per un po'... Ed organizzate persino un funerale." accennò Duncan, palesemente intento nel fare del sarcasmo mediocre. Annuì a vuoto un paio di volte "Forse mi sarebbe persino piaciuto esserci"
Thomas finse di non notare tutte quelle frecciatine, concentrato nel discorso che stavano portando avanti "Lei ha pianto moltissimo, per interi giorni senza mai freno"
"L'importante è che stia bene" intervenì seccamente l'altro, facendo risuonare la sua voce all'interno della stanza, apparentemente rabbioso ed innervosito.
"Tutta fortuna. Era ancora 'sfruttabile'. La sua famiglia ha pagato la cauzione ed è potuta andare avanti a vivere"
"Lo immagino..." annuì un paio di volte il repressore, per poi serrare la mascella completamente mortificato "E mi dispiace."
Alla mente, immediatamente, gli apparve un altro buon motivo per detestare il Governo, quell'assurda dittatura che si imponeva su tutti loro: le vedove, se divenute tali prima del matrimonio, erano sopprimibili. Infondo, chi mai desidererebbe lo scarto di un cadavere?

"Se il futuro marito perirà prima del matrimonio, allora la donna in questione dovrà essere soppressa per legge, ormai marchiata dalla firma di un altro uomo. Esiste però, una possibilità: una cauzione. Essa è però particolarmente costosa, ed aumenta nel valore in base a quanto il deceduto sia stato -per l'appunto- di valore"

Per specificare, Duncan era uno dei promessi sposi con maggiore valore monetario sotto tutto il regime governativo: era un miracolo che la famiglia di lei fosse riuscita a rinsanare il debito. Insomma, in poche parole, ogni uomo o donna che viveva  secondo le leggi del Governo come popolare cittadino, aveva un valore monetario, ed a seconda di quanto la persona fosse famosa, coraggiosa e rispettabile, questo valore aumentava o diminuiva.

"Non è colpa tua" spiegò con un soffio il giovane, per poi alzarsi ed andare a poggiare la tazza -ormai vuota- di caffé, sopra al ripiano della cucina.
"Credo sarebbe giusto andare da lei.. Si merita una spiegazione" parlò dopo qualche minuto di silenzio il repressore, incerto persino lui sul come proseguire quel discorso iniziato da lui stesso.
"Sì, lo credo anche io" accennò con un mezzo sorriso Thomas, udendo le parole tanto mature dell'altro "Non la vedo da due giorni, ma penso che oggi dovrebbe essere a casa" aggiunse poi sempre la recluta, prima di voltarsi in direzione della porta dalla quale era appena entrata la giovane dark, circa della sua età.
"Di chi si parla?" domandò lei facendo sussultare il repressore.
Duncan ricordava molto bene ciò che era successo tra i due la sera precedente, e di come l'avesse quasi baciata, e di come tutt'ora desiderasse disperatamente farlo. Era stato così vicino a quel momento, da poterne udire un delizioso accenno, quest'ultimo al sapore di paradiso. Si voltò in direzione della ragazza, trovandola già completamente vestita secondo le rigide norme del Governo. La gonna le arrivava perfettamente sotto le ginocchia, mentre la giacca le era leggermente grande, con le maniche che le arrivavano a coprire persino le piccole  e pallide mani.
Il repressore si alzò, decisamente irrigidito rispetto a prima, concentrato nel notare eventuali dettagli in lei, che potessero evidenziare una possibile agitazione. Sperava con tutto se stesso che quel quasi-contatto la avesse destabilizzata almeno quanto aveva fatto con lui. Le sorrise leggermente, nascondendo una profonda amarezza, nel notare che era sempre lei: la solita, tipica e perfetta Gwen. Gli occhi brillanti di quella luce combattiva che tanto adorava.
"Di...." cercò di rispondere il repressore, improvvisamente incerto se dirle o meno il vero.
"Di una vecchia conoscenza" intervenne poi il giovane notando l'ansia dell'altro: lo conosceva da molto, ma non lo aveva mai visto agire in modo simile, tanto teso ed insicuro.
La dark annuì, per poi muovere qualche passo all'interno del salotto, addentrandosi di più nel locale. Non sapeva ancora se potersi fidare della recluta, ma le pareva chiaro come Duncan fosse certo, perciò non si poneva troppi problemi. La cosa che più le premeva in quei giorni era il fatto che fossero costantemente in pericolo, persino all'interno di un appartamento abitato da un militare.
"Oggi dovrò assentarmi, tu rest-" "No, io non resterò qui a marcire" intervenne immediatamente Gwen, interrompendo il repressore, capendo immediatamente a che punto volesse giungere "Mi porterai con te. Ti prometto che non ti infastidirò, davvero. Ma non posso pensare che, fuggita da una prigione, mi ritrovo costretta a rinchiudermi in un'altra"
Thomas guardò i due, prima osservando lo sguardo di lei, color ebano ed implorante, poi quello dell'amico, cristallino e cedevole. Non lo aveva mai visto tanto malleabile da una persona, ed aveva ben capito la ragione di quella mansuetezza.
"Lo faccio per il tuo bene" aggiunse, seppur poco convinto, il repressore.
"Io so che stai cercando di fare il meglio per noi, ma io voglio uscire e poi..." si bloccò, improvvisamente imbarazzata di fronte la figura del giovane ragazzo poco distante "Sei l'unico di cui mi fido tanto ciecamente oltre Scott"

Quella frase lo aveva fatto irrigidire nuovamente. Solo Gwen era in grado di scatenare tante sorprese -buone o meno- in Duncan, rendendolo completamente succube dei suoi comportamenti. Se lei gli avesse chiesto qualsiasi cosa, probabilmente lui avrebbe obbedito, seppur non proprio docilmente. C'erano quei momenti in cui lei, piena di bisogno nello sguardo, gli chiedeva un favore, alle volte piccolo, ed altre enorme, e al quale lui, vedendo quei grandi occhi sinceri, non poteva negarsi. Quello era uno di quei momenti.
Si voltò in direzione di Thomas, palesemente in disaccordo con le parole che, entro qualche secondo, il repressore avrebbe pronunciato. Non era il caso di portare a casa di quella donna Gwen, costringendola ad affrontare un possibile nuovo pericolo. Eppure, Duncan aveva già parlato nel momento in cui quell'ultimo pensiero si fece largo in entrambi.

"Va bene, verrai"





 
Angolo dell'autrice!

Scusate il ritardo, ma ho avuto qualche problemino di connessione ^^''
coooomunque, sì, Duncan era/è un promesso sposo e... Non uccidetemi!! Ahahah! 

Questo capitolo è breve, lo so, ma è transitorio, direi... Dal prossimo vedremo nuove svolte e forse anche Gwen dimostrerà un po' di... Gelosia ;)

Ringrazio tutti per le recensioni *-* siete fantastici!

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Capitolo 13
*** Desert_Zone cap.13 ***



 
Desert_Zone


cap.13


Nonostante le prime discussioni, la decisione presa poi da Duncan, Thomas e Gwen era stata accettata. I tre, quella stessa mattina, si sarebbero allontanati per qualche tempo per concludere una storia ancora 'aperta'. Così il repressore l'aveva definita, rimanendo totalmente criptico in ogni dettaglio non rivelato. La recluta si era dimostrata palesemente imbarazzata da quei silenzi spesso trattenuti ma, al medesimo istante, aveva anche notato come i condannati fossero concentrati sulla fermezza e la decisione di Gwen, poco distante da Duncan. Quei pochi ragazzi erano ciecamente affidati alla dark, dunque? Non capiva come quella ragazzina potesse tenere tra le mani qualcosa come la completa fiducia di un esercito, per quanto scomposto e disorganizzato. Oltretutto, si domandava anche, come lei fosse riuscita a stregare tanto bene il suo -ormai- fratello. Non era in collera con lei, affatto. Tra le opzioni, era decisamente più deciso a ringraziarla. Infondo, grazie a lei, Duncan aveva finalmente aperto gli occhi riguardo quella dittatura che si imponeva ormai da tempo immemore su tutti loro. Eppure, nonostante i nobili pensieri, era allo stesso tempo spaventato. Se, da ciò che aveva intuito, Duncan era tanto infatuato della giovane, sarebbe bastato un nonnulla per deconcentrarlo dall'obbiettivo, sempre che ne esistesse uno realmente possibile. 
E come se tutte quelle supposizioni, domande e risposte poco esaustive non bastassero, ora il repressore aveva ceduto ad una sua supplica di troppo: quella che avrebbe potuto disintegrare tutto.

Scott, il ragazzo dai capelli rossi, a parere di Thomas decisamente troppo freddo e scostante, sempre con lo sguardo protettivamente puntato sulla dark, era stato l'ultimo a cedere, continuando a ripetere come non fosse il caso, per Gwen, di seguire i due militari oltre la soglia dell'appartamento. C'erano stati sguardi, alcuni eloquenti ed altri meno, ma infine anche quest'ultimo era ceduto, anche lui visibilmente infatuato di lei.
"Torneremo entro poco" fece deciso il repressore, mentre i ragazzi si limitavano ad annuire, ormai arrendevoli.
"Quanto?" 
La voce di Scott si era levata, per l'ennesima volta, chiara e decisa. Si era arreso alla situazione, ma doveva assolutamente sapere che Gwen non avrebbe corso rischi inutili.
"Dipende. La persona da cui stiamo andando pensava fossi morto. Probabilmente ci impiegheremo un po' di tempo a spiegarle l'accaduto" rispose pacatamente Duncan, guardando il rosso con tranquillità, cercando di fargli capire che lui, per ultimo, avrebbe fatto correre pericoli alla giovane.
Lo vide serrare la mascella nervoso, per poi sospirare infastidito, prima di abbassare arrendevolmente il volto "Bene."

I tre uscirono dall'appartamento lentamente, tutti tesi. Se avessero incontrato un Gentiluomo -una delle guardie- al pianerottolo, si sarebbero potuti considerare tutti deceduti. Infondo era il loro lavoro: sapere quante persone e chi abitasse in ogni abitazione. Duncan e Gwen erano degli impostori e, nonostante il repressore potesse ancora mostrare la propria targhetta, lei non aveva nulla se non la sua persona. Non un documento, né un cognome. Forse sarebbero riusciti a spacciarla per una No-One grazie alla garanzia dei due militari, ma Duncan ne dubitava fortemente. I Gentiluomini erano esseri infidi, astuti e viscidi, quindi incredibilmente pignoli ed attenti.
Furono fortunati, non incontrarono nessuno, ed in pochi minuti si immersero nelle caotiche strade cittadine. Erano stretti, circondati da innumerevoli persone: era la prima volta che Gwen ne vedeva tante tutte insieme. Dovevano mantenere una cadenza ed un atteggiamento adeguato, e -nel caso volessero parlare- era rigidamente vietato alzare troppo il tono di voce, nonostante in quell'ammasso di rumori di passi a terra sarebbe stato impossibile distinguerne altri.
Thomas era davanti ai due, più avezzo che mai a percorrere quelle strade. Dovevano arrivare alla sua auto parcheggiata poco distante. Fece salire i due, per poi mettere in moto. Era la prima volta che la ragazza vedeva o saliva su un'automobile. Sorrise non appena partirono.
"Quell'espressione?" domandò il repressore a lei notandola.
Gwen osservò il ragazzo, ora anche lui sorridente "Non ero mai salita su un'auto... E non avevo nemmeno mai visto tante persone tutte insieme... E' buffo"
"E' una giornata piena di prime volte, eh?" intervenne Thomas, curvando a destra ad un incrocio "Anche per me" aggiunse poi, riferendosi a quanto gli fosse accaduto nelle ultime 48 ore. Sorrise. Non era in collera con la dark come lo era invece stato all'inizio.


L'ennesimo edificio, sempre uguale agli altri, si innalzava prepotentemente dal terreno. Thomas spense il motore non appena ebbe accostato al marciapiede. Fece cenno ai due di scendere, e non appena ebbero fatto, seguì il loro esempio. Premendo un tasto sulla chiave, fece scattare la serratura dell'auto, ed infine si avvicinò al citofono dell'appartamento. Spinse un pulsante, ed immediatamente una voce femminile rispose posata.
"Sì? Chi è?"
Duncan era istantaneamente divenuto rigido e, sia la recluta che Gwen, lo avevano ben notato; la ragazza più del giovane.
Thomas avvicinò il volto alla piccola grata che fungeva da citofono "Sono io, Thomas. Sei occupata o-" "No, no.. Sono libera." lo interruppe lei, facendo poi una pausa "Sali pure"
Detto ciò, la porta di ingresso si aprì. I tre entrarono lentamente, il giovane sempre davanti. Salirono tre rampe di scale ed attraversarono vari corridoi prima di giundere di fronte un appartamento con su scritto 'K15'. La recluta non aprì, bensì si voltò in direzione dei due, facendo chiaro segno all'amico di aspettare fuori dall'appartamento, e di entrare solo una volta che lui glielo avrebbe detto. Si fece poi largo dentro il locale.
"Ehi..." la voce del giovane era risuonata leggermente imbarazzata al'interno della sala, ma la ragazza non ci aveva fatto più di tanto caso. Si era voltata in direzione del ragazzo e, dopo essersi avvicinata,  lo aveva abbracciato felice.
"Thomas!" esclamò sorridendogli, una volta finito l'abbraccio "Sono felice di vederti. Credevo che oggi fossi impegnato con l'esercito" aggiunse lei, dirigendosi verso il piano cucina dove stava preparando un caffé, probabilmente per l'ospite stesso.
"Infatti" ammise timido lui, restando fermo davanti l'ingresso.
"Cosa?"
"Credo che sarebbe il caso che io lasciassi l'esercito, non trovi?" azzardò dopo qualche secondo di imbarazzo il giovane No-One, mentre la ragazza corrucciava lo sguardo in disaccordo.
"Io non penso dovresti" si limitò a sancire, distraendosi dal caffé che stava preparando "Insomma, Duncan ha faticato tanto per farti entrare e..." sospirò, interrompendosi "Non sarebbe... Irrispettoso?" Lo guardò attenta, dritto negli occhi verdi e brillanti di lui. Thomas la osservò: sembrava sempre la solita. Era un'ordintata, elegante ed educata ragazza. Sembrava che quella settimana di pianto, disperazione ed abbandono perenne non fosse mai esistita. Si domandò come avrebbe reagito una volta conosciuta la verità, e temeva che non l'avrebbe accettata a pieno. Eppure, doveva parlare. Doveva rivelarle tutta la verità per il bene di quei due ragazzi che, a solo qualche centimetro di distanza, aspettavano.
"A questo proposito... Devo chiederti un favore enorme..." decise dunque di confessare infine il ragazzo.
Lei inclinò leggermente il capo, come a chiedere di più.
"Prometti di mantenere un segreto?" incalzò Thomas, muovendo qualche passo avanti, seppur non allontanandosi mai troppo dalla porta alle sue spalle.
"Di che genere?" domandò lei sospettosa, coscienziosa delle disavventure passate dal giovane "Di che portata?"
"Mondiale" fece sincero lui, facendo visibilmente irrigidire sul posto. Quella risposta, probabilmente, l'aveva confusa ancora di più, se possibile. Ma lui necessitava disperatamente di una risposta "Ti prego... Dimmi qualcosa"
"Cosa hai combinato? Cos-" "Ti fidi di me?" la interruppe lui d'improvviso, quasi gridando "Siamo come fratello e sorella, no? Ora, dimmi, se dopo tutto ciò che abbiamo passato, ti fidi di me o meno"
Lei rimase in silenzio. Molte azioni che lui aveva commesso erano sfociate nel vandalismo, Duncan stesso gliene aveva parlato più volte. Eppure, nonostante ciò, lei ci teneva molto al ragazzino. Quei pensieri la fecero sentire completamente in lotta con se stessa: non voleva rischiare un'altra quasi-morte, come le era successo per dipartita del repressore, né tantomeno una condanna per Desert_Zone per alto tradimento. Infondo, lo si sapeva bene: se si voleva soprevvivere al Governo, si doveva pensare per se stessi e nessun altro. Ma lei ne era in grado?
Aveva paura: le sue stesse grida, in quella cella di isolamento, al solo pensiero di potere essere uccisa da un colpo d'arma da un momento all'altro, le risuonavano ancora chiaramente nel cervello, ma non era questo a farla temere di più. La delusione impressa sul viso di quel giovane No-One non era un peso che sarebbe riuscita a sopportare allo stesso modo.
"Ti fidi o no, Zoey?"
Quella domanda la fece tornare al presente. Lui era di fronte a lei, gli occhi lucidi, bisognoso di una risposta. Qualsiasi cosa di lì a poco le avrebbe detto, probabilmente le avrebbe completamente travolto l'esistenza. Era davvero pronta? No, ma avrebbe accettato tutto ciò che ne sarebbe derivato. Lo sapeva bene.
"Sì" si limitò dunque a dire "Va bene, Thomas, non dirò nulla"

Fu udendo quelle parole dal pinerottolo, che Duncan entrò, tenendo la mano di Gwen con la propria e facendo sussultare la ragazza dai capelli rossi.
Bastarono pochi attimi ed i suoi occhi tanto azzurri e profondi. Zoey lo riconobbe subito: i lineamenti grezzi, le spalle larghe ed il suo volto severo. Quasi le parve come un fantasma la ragazza al suo fianco, tanto simile a lui nonostante le palesi differenze. Si portò le mani di fronte alla bocca, come in procinto di urlare, ma tutto ciò che fece, invece, fu piangere. I suoi occhi si bagnarono improvvisamente di innumerevoli lacrime, che lei non riuscì a ritrarre. Si fece cadere a terra in ginocchio, affogando nei propri singhiozzi.
Udì nuovamente le proprie urla e le frustate impostale dai repressori che l'avevano improgionata. Sentì ancora il sapore del proprio sangue in bocca, ed il dolore che lentamente di insinuava nelle sue membra intorpidite dal freddo e l'abbandono. Un giorno era tutto, e quello dopo solo un'ombra. Ed era tutta causa sua.
Portò le mani sul pavimento, prima di serrarle in pugni collerici e confusi, indecisi se essere felici per la vita di lui, o vendicativi per la sua prigionia orribilante.

Gwen, dall'altra parte, vedendo le reazioni della giovane ragazza, si era sentita completamente confusa. Ciò che era accaduto dopo, poi, l'aveva lacerata totalmente. Aveva avvertito le dita del repressore lasciarla, e lui era velocemente apparso al fianco dell'altra donna, cercando di confortarla ed assisterla. Le aveva accarezzato la schiena, mentre lei continuava a piangere senza tregua, non dicendo nulla. Le aveva sistemato una ciocca di capelli, la sola scomposta, e le aveva mormorato alle orecchie parole che lei non era riuscita a comprendere, ma che -immaginava- dovevano essere le più dolci del mondo. Istantaneamente, la dark, si sentì invisibile. Si sentì corrodere da un vuoto vorace che, dal centro del petto, la divorava totalmente. Fu un leggero tocco sulla spalla a riportarla in sé. Si voltò in direzione di Thomas, che l'aveva affiancata gentilmente. Quel giovane era davvero bello, e probabilmente aveva la sua stessa età da inesperto.
Lo guardò intensamente, con il volto ridotto ad una maschera di dolore, e lui lo comprese subito. La abbracciò soltanto, conoscendo malapena il suo nome, sentendosi in dovere di farlo. Lei affondò il volto nel suo petto semplicemente, non piangendo, nè tantomeno sighiozzando, ma solo sospirando affaticata. Thomas non poteva capirla a pieno, ma cercò di immaginare come, piangere per un semplice dolore d'amore, non fosse paragonabile ad una ferita causata dalla Desert_Zone, luogo di disperazione e morte. Per quella ragione non le pose domande.

Duncan, nel frattempo, ormai da interi minuti chinato vicino a Zoey, la accarezzava lentamente, avvertendo i suoi spasmi sotto i suoi tocchi, non sapendo affatto come comportarsi. Alzò il volto in direzione di Gwen, immaginando di trovarla da sola, semplicemente ferma a guardarlo, ma dovendosi poi sorprendere nel vederla stretta dalle braccia di Thomas. Finse disinteresse, pur sentendosi completamente furioso. Eppure, non era il momento. Semplicemente, non era la situazione adatta per comportarsi come un ragazzino stupido. Attirò l'attenzione del giovane chiamandolo. Lui semplicemente lo guardò. Duncan fece per parlare, ma fu Thomas ad intervenire prima "Noi... Andiamo in corridoio" mormorò dunque, capendo che il repressore desiderasse restare solo con Zoey.
La recluta passò un braccio sulle spalle della dark, che gli sorrise semplicemente, ringraziandolo silenziosamente per non avere detto nulla di quel suo sfogo -apparentemente-insensato, per poi uscire con lui. Non poteva smettere di pensare al quasi-bacio che avevano avuto la sera precedente, realizzando come, per Duncan, non fosse significato nulla. Era visibilmente preso dalla giovane e bellissima ragazza dai capelli rossi.

Non appena sentì la porta dell'appartamento chiudersi, Duncan afferrò il mento della ragazza tra pollice ed indice sollevandoglielo, così da vederle chiaramente il viso rigato dalle numerose lacrime. Aveva gli occhi lucidi e le labbra arrossate. Lo guardò con disperazione, non dicendo nulla, offrendo a lui l'opportunità di parlare per primo.
"Mi dispiace..." sospirò lui stancamente, passandole un'ultima volta la mano sulla schiena flessuosa. Lei si allontanò bruscamente da lui, costringendolo a mollare la presa sul suo viso. Lo guardò adirata, cercando di arrestare i propri perenni singhiozzi, inutilmente. Eppure, nonostante il pianto la scuotesse ancora, il suo volto era colmo di rabbia e rifiuto.
"Ti dispiace?" lo riprese bruscamente, facendosi leggermente lontana -di pochi centimetri-, pur rimanendo sempre a terra in ginocchio "Tu non sai cosa ho passato, Duncan!" gridò, mentre in risposta le lacrime divenivano più copiose che in precedenza; completamente senza controllo.
"Mi hanno detto che eri morto, Duncan..." gli spiegò abbassando sempre più il proprio tono di voce, fino a  ridurlo ad un sussurro. Tutto era ancora troppo fresco, come un incubo appena vissuto, difficile da affrontare o superare.
"Scusami..." cercò di dire il repressore, non azzardandosi però nuovamente a toccarla. Lei lo guardava arrabbiata, tenendosi visibilmente distante -per l'appunto- per evitare che lui la sfiorasse. Lo spaventava la reazione di lei, come lo evitasse terrorizzata.
Lei vide il suo volto totalmente spaesato, ed istantaneamente avvertì un senso di obbligo mischiarsi alla propria rabbia. Abbassò il viso "Dopo il tuo funerale, mi hanno portata in una cella di isolamento... Direttamente alla base Governativa" mormorò dopo qualche secondo di silenzio, non appena la propria voce si era calmata un po' ed i singhiozzi erano scemati "Era completamente in ferro... Ovunque." sorrise malinconicamente, sperando di sembrare forte "Il pavimento ed il soffitto, persino. Era così freddo..." mormorò faticosamente lei "Mi hanno messo delle grosse manette, con delle catene attaccate alle pareti ed... Ed ero costretta a stare tutto il tempo con le braccia divaricate e tese ed era... Doloroso" soffiò, avvertendo nuovamente gli occhi bruciare a causa delle lacrime. Duncan abbassò lo sguardo sulle maniche della giaccca della ragazza, più lunghe rispetto al normale, ed istintivamente le afferrò un polso, per poi scoprirlo. Vide dei lividi ben delineati e profondi, tendenti al viola. Si irrigidì, vedendo l'espressione di dolore in lei, ed immediatamente la lasciò.
"Ma non solo" aggiunse dopo qualche secondo, non appena ebbe ricoperto nuovamente i polsi lividi "Il secondo giorno, quando ormai mi ero stancata di urlare e chiedere aiuto... Quando ormai ero disperata ed arresa... Mi hanno fatto visita. Erano due repressori, proprio come te, Duncan" disse annuendo a vuoto qualche volta "Avevano una frusta. Mi.. Mi hanno tolto la maglia e..." si bloccò, mentre tutto ciò che il ragazzo di fronte a lei poteva fare, era trattenere imprecazioni fatte solo che di disprezzo e disgusto. Zoey, nonostante non fosse mai stata la donna che lui avrebbe potuto amare, era una persona dolce e sincera, e mai si era meritata nulla di simile.
"Credevo sarei morta, Duncan. Non pensavo avrebbero pagato la cauzione... Ora nessuno vorrà mai sposarmi. Porto la firma di un cadavere" 
"Ma sei viva" cercò di dirle lui, ottenendo come risposta solo che uno spossato cenno del capo da parte di lei. Non vedeva dove fosse la vittoria, visto che ormai ogni speranza era sfumata. Una donna della sua fama non maritata, ed oltretutto vedova era da ritenersi un rifiuto.
Il silenzio calò su entrambi, e dopo qualche riflessione sofferta, fu nuovamente il ragazzo a parlare "Vuoi... Vuoi andare in camera? Potrei medicarti..." accennò lui, riferendosi alle ferite che potevano averle procurato le frustate. Annuì semplicemente, vedendo il suo viso intimidito, per poi alzarsi e dirigersi verso la propria stanza.

Gwen si lasciò andare stancamente sulla parete del corridoio, prima semplicemente appoggiandoci la schiena, poi abbandonandosi sul pavimento a sedere. Thomas restava di fronte a lei in piedi, incerto se chinarsi, avvicinandola, o restarle lontano e non disturbarla. In quelle poche ore, guardandola, tutto ciò di cui era divenuto certo, era la sua credibilità di fronte agli altri ragazzi. Lei era considerata la guida all'interno della resistenza, e doveva perciò valere davvero molto, eppure ancora non aveva mai avuto con la ragazza una vera e propria conversazione.
"Puoi parlarmi, sai?" scherzò dopo qualche minuto lei, notando come il giovane la stesse osservando in silenzio. Voleva distrarsi in quelache modo, e parlare con il giovane le sembrava un'occasione. Lui abbassò lo sguardo, grattandosi la testa impacciato. 
"S-Sì, scusa... Stavo solo pensando."
"A cosa, Thomas...-" "No-One" concluse lui, capendo che la ragazza voleva conoscere il suo cognome.
"Oh, giusto..." fece lei mortificata, sentendosi in colpa per la domanda tanto ingenua "Scusami, sono stata inopportuna"
"No, figurati. E' passato molto tempo... Ormai non brucia più come un tempo" disse pacatamente il ragazzo, cercando di metterla  a proprio agio "Piuttosto, non dovresti sentirti tanto... Sai no? Tesa, per Zoey. Lei è solo..."
"Solo?" domandò Gwen, improvvisamente interessata alla conversazione, o meglio, alla ragazza di cui si parlava.
"La sua promessa sposa, ma-" "oh" intervenne nuovamente lei, mentre lui si sentiva completamente goffo in quella situazione. Non era riuscito ad esprimersi in modo adatto, ed il dubbio di avere rovinato ogni 'qualcosa' ci fosse tra il repressore e la giovane di fronte a lui, lo fece impallidire all'istante.
"Vedi..." esordì dunque, cercando di tranquillizzarla "Qui non ci si sposa per amore..." disse tristemente "Il matrimonio tra Zoey e Duncan era stato organizzato ancora prima della loro nascita, probabilmente... E, nonostante lui voglia molto bene a lei, non l'ho mai visto tanto... Assorto da una ragazza"
"Immagino sia una persona splendida. E' giusto così..." cercò di mentire lei, tornando falsamente concentrata "Non tutti possono permettersi distrazioni come-" "Parlavo di te, Gwen"
Le parole di Thomas la fecero irrigidire qualche momento. Serrò istantaneamente le proprie labbra, preferendo prestare la propria attenzione al viso del giovane che le stava parlando. Il suo bellissimo viso, delineato da linee grezze e giovani, era serio e deciso, con un sorriso appena accennato.
"Lui è ammaliato da te... I-Io... Io non so come tu sia... Ma forse, se questo è l'effetto che fai sui ragazzi, è meglio che non lo scopra mai. Non voglio innamorarmi della ragazza di Duncan" sorrise poi, facendola leggermente arrossire imbarazzata. Erano rare simili esternazioni da parte di quella ragazza, ma di fronte a Thomas non si sentiva in dovere di nascondersi. Quella recluta tanto intraprendente le pareva degna di fiducia, ed era felice di avere un nuovo alleato al loro fianco. Quel No-One era giovane, vispo ed attento e, scoprì istantaneamente, le piaceva la sua compagnia tanto schietta e sincera.
"E' il caso che rientriamo, non credi?" domandò poi lui, tendendo la propria mano, aspettando che lei la afferrasse.

Zoey, voltandosi nell'altra direzione rispetto al militare, entrambi seduti sul letto, si scoprì la schiena dalla camicia bianca, tipica sotto la giacca scura del tailleur. Immediatamente il ragazzo venne sorpreso dalla vista di numerose ferite, alcune profonde ed ancora fresche, ad altre malamente cicatrizzate. Fortunatamente nessuna aveva fatto ancora infezione. Portò una mano quasi allo sfiorarle, ma non lo fece, timoroso di farle del male. La frustata più lunga ripercorreva interamente la schiena, partendo dalla spalla sinistra, fino all'elastico della gonna, a destra.
"Oddio..." soffiò lui sconvolto.
Lei deglutì a vuoto, mentre sentiva lui aprire il kit di pronto soccorso, ed iniziare a tamponarle le ferite. Avvertì istantaneamente un bruciore improvviso ed insopportabile, probabilmente causa di graffi ancora freschi. Eppure, nonostante il dolore, non gridò, troppo orgogliosa.
"So che fa male..." mormorò Duncan, continuando a medicare "Ma... Non posso rischiare che si infetti... Sono ferite davvero grandi e pericolose."
Lei annuì, serrando i denti e stringendo le palpebre, accecata dal senso di bruciore completo. Il disinfettante sembrava fosse puro fuoco e la sua carne legna pronta ad ardere. In quel momento, forse, avrebbe preferito delle infezioni a quella dolorosa, seppur benevola, tortura. Avvertì la rabbia nei confronti del ragazzo scemare lentamente. Duncan era tornato per vedere come stava, e perchè lei, almeno in parte, gli interessava. Eppure, aveva ben capito di non essere al corrente della totale verità.
Serrò le proprie mani in due pugni stretti, sopportando l'ennesima fitta bruciante, mentre lui iniziava a sistemare le garze "Dimmi cosa è successo"
Lui sorrise appena, mentre avvolgeva il busto della ragazza con cura ed attenzione spasmodica "Non so se vuoi davvero saperlo."
"A questo punto, dopo averlo promesso, direi che posso sapere tutto" si limitò a mormorare lei, ansimando avvertendo una nuova fitta di dolore.
Lui si bloccò, aspettando che il respiro di lei si calmasse nuovamente, mentre rifletteva sul fatto che poteva effettivamente dirle tutto. Infondo, nonostante non avessere passato insieme molto tempo, aveva imparato a conoscere il temperamento mansueto e fedele della ragazza. Annuì sospirando e, dopo avere stretto bene tutte le garze, sistemò sotto il letto il kit di pronto soccorso, pronto a parlare.







 
Angolo dell'autrice che si scusa per il ritardino ^^''

Allora, ecco svelata l'identità della promessa sposa di Duncan: ZOEY! Ve lo aspettavate? No, eh? Credevate tutti sarebbe stato qualcuno di spietato ahaha, ammettetelo u.u

Beh, Thomas è fantastico u.u (si, sono molto modesta ahahah)

E... Gwen è gelosa! Soddisfatti? :')

Il Governo è spaventosamente cruento e beh... Povera Zoey :c

Che dire? Vado ad ascoltare gli Aerosmith! Lasciatemi qualche recensione se vi va! c:

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Capitolo 14
*** Desert_Zone cap.14 ***


Desert_Zone
 


cap.14



"No! Stai mentendo!" lo accusò prontamente Zoey non appena Duncan ebbe concluso di raccontare la propria storia, non escludendo alcun dettaglio, tantomeno la parte riguardante la propria novia contrarietà al Governo. La ragazza era scattata in piedi velocemente, cercando di accantonare al meglio la sensazione di dolore derivante dalla mossa tanto repentina ed ardita. Aveva avvertito i muscoli tenderle allo sforzo, dolendole molto. Eppure, nonostante ciò, era rimasta concentrata sull'espressione del repressore, intenta a trovare in essa qualche piccolo sprazzo di ilarità, inutilmente. Ciò che le aveva appena rivelato, dalla Desert_Zone alla fuga dalla prigione, era vero, ma incredibile.
Non esisteva nemmeno una leggenda che narrasse di una simile possibilità: la D_Z era un luogo di perdizione ed impossibilitata fuga, eppure il ragazzo le aveva appena rivelato come, otto ragazzi inesperti, fossero riusciti a scappare grazie ad un piccolo errore commesso dalla dittatura stessa.
Duncan si alzò, seguendo il suo esempio, ma mantenendo una certa distanza da lei "No..." le disse poi pacatamente, sperando di dimostrarsi quanto più concentrato e certo possibile. Lei iniziò a scuotere il capo a vuoto, probabilmente ragionando sull'impossibilità della storia appena udita.
"Non ti mentirei mai... Lo sa-" "No, Duncan! Non lo so!" lo interruppe prontamente Zoey, completamente agitata "Mi hai tenuto nascosto Thomas per mesi, dicendo che andava tutto bene... Ed ora vieni e mi dici una cosa simile... E io dovrei crederti? Chissà cosa ti è successo in realtà!"
"Tu sai che sto dicendo la verità!" incalzò noncurante il repressore, guardando attentamente gli atteggiamenti di lei. La ragazza fece altrettanto, incontrando i suoi occhi profondi ed azzurri, alla ricerca della verità, trovando però in essi solo che distruttiva sincerità. Sì, sapeva che lui non le stava mentendo, non in quel momento per lo meno. Lo capiva da come le sue iridi stessero splendendo, e ne era terrorizzata. Sentiva ancora le sue stesse grida rieccheggiare rumorosamente e a vuoto nella sua mente stanca ed afflitta. Serrò le palpebre qualche istante.
"Io ho paura"
"Ed io ti ho detto la verità per proteggerti" si limitò a rispondere lui, facendola confondere.
"Proteggermi, come? E da cosa?" domandò lei, dimostrandosi palesemente diffidente di fronte le parole dell'uomo.
"Lo sappiamo entrambi da cosa" fece secco il repressore riferendosi chiaramente al Governo "Sono venuto fin qui a chiederti scusa, sinceramente colpevole." mormorò Duncan abbassando il capo "Ti ho detto tutta la verità, fino in fondo e... Tutto ciò che devi dirmi è se vuoi o meno fare parte di questa... Cosa" spiegò sincero "Se così non sarà, non dovrai fare altro che fingere di non avermi mai rivisto"
"La fai facile, eh?" intervenne Zoey acida, già pronta a parlare nuovamente, quando però la prota si aprì, facendo entrare Thomas e Gwen.
Duncan si voltò immediatamente in direzione dei due, quasi sollevato nel vederli, certo che non sarebbe riuscito a portare a lungo avanti il discorso. La rossa, invece, si limitò a squadrare con disapprovazione la recluta.
"I-Io... Se volete ancora parlare, usciamo di nuovo... E' solo ch-" "No, figurati. Io e Zoey abbiamo giusto finito" intervenne il repressore secco, lasciando la stanza velocemente. Gwen rimase qualche secondo sulla soglia in silenzio, per poi seguire il militare appena evaso. Thomas si limitò a sospirare, per poi salutare Zoey con un cenno.

"Duncan Smitt, tutto bene?" domandò la dark al repressore, non appena lo ebbe raggiunto. Lui annuì stanco, si passò una mano tra i capelli e poi sospirò.
"Sì, e tu invece? Vedo che vai d'accordo con Tommy..." disse, fingendosi disinteressato alla faccenda, in attesa di una risposta di lei.
"Sì, la sua spensieratezza è... Piacevole" spiegò pacatamente la ragazza, per poi cercare lo sguardo del militare di fronte  a lei, trovandolo cupo e pensieroso "Allora... Tu e lei vi... Sposerete?" 
Duncan, risvegliatosi dai suoi pensieri grazie alla domanda della dark, iniziò a scuotere il capo confuso ed irritato al medesimo istante. Era innervosito da quella simpatia che la dark gli aveva rivelato di provare verso il suo giovane amico, probabilmente suo coetaneo, ma non doveva darlo a vedere più di tanto. Era poi al medesimo istante incuriosito dall'interesse che la ragazza dimostrava nei suoi confronti, eppure non doveva distrarsi con le sue solite battuta che, normalmente, in una simile situazione, avrebbe certamente sfoderato. Gwen doveva restare calma.
"I-Io... No" sospirò infine. Lei annuì un paio di volte, semplicemente. Fece poi per parlare, ma l'arrivo di Thomas interruppe le riflessioni di entrambi "Ho parlato con Zoey"
Udendo quelle parole, il repressore era improvvisamente tornato attento, ma nonostante ciò, la recluta era rimasta in silenzio, guardandosi attorno diffidente.
"Dovremmo tornare a casa..."

Tornati a casa, dopo qualche ora di riposo e riflessioni, l'intera resistenza si riunì in salotto. Gwen era, come semrpe, a capo della situazione. Duncan restava sul fondo della stanza affiancato dal nuovo arrivato, Thomas. Scott era dietro Gwen e gli altri accomodati sui vari sgabelli e sedie dell'appartamento.
"Dobbiamo fare qualcosa... Mi sembra evidente" esordì la dark non appena ebbe ottenuto attenzione da ogni presente. Era ancora turbata per ciò che era accaduto con la ragazza dai capelli rossi, che aveva rifiutato di unirsi alla resistenza, riferendo a Thomas che avrebbe però mantenuto il segreto. Oltretutto, come se la situazione non fosse complicata di per sé, quello stesso pomeriggio Scott si era appartato con lei per parlarle di come si stessero facendo sfuggire la situazione di mano, sollazzandosi troppo. Lei si era sentita totalmente d'accordo con il ragazzo dai capelli rossi, e così aveva organizzato quella piccola assemblea.
"Siamo finalmente fuggiti dalle Desert_Zone, ma... Ma non è abbastanza." disse pacatamente la ragazza, muovendo qualche passo fino al centro della stanza "Non per me e Scott, per lo meno. Voi lo sapete: potete andarvene quando desiderate, anche adesso che siamo fuori..." spiegò guardando attentamente lo sguardo di ogni presente, mentre Thomas, il nuovo arrivato, rimaneva ad osservare attento la situazione. Gwen si muoveva con calma nonostante il peso che portava sulle spalle, e la cosa lo affascinava. Lei incarnava ciò in cui lui aveva sempre -soppressamente- creduto. Lei era anrachia e giustizia al tempo stesso, ed ora capiva in modo cristallino quanto giusta fosse stata la sua decisione di seguire quei folli.
"Ma io e Scott abbiamo un obbiettivo. Noi vogliamo che qualcosa cambi... Vogliamo che le persone siano felici e... E perchè questo accada dovremo indubbiamente combattere" disse sinceramente lei "Ogni membro della resistenza è fondamentale, perciò ditemi ora cosa avete intenzione di fare"
"Combattere, ovvio" 
La voce che tra tante si era levata era stata quella di Duncan, e lei lo aveva riconosciuto subito, sorridendo soddisfatta.
"Anche io ci sono! Thomas No-One! Segnatemi!" esclamò d'improvviso la recluta, alzando la mano ed agitandola dal fondo della stanza, facendo ridere la dark immediatamente.
"Facciamo prima a dire chi non ci sta, ho ragione?" domandò Geoff, abbracciando Bridgette, che lo baciò sulle labbra dolcemente pochi istanti dopo. Il resto dei ragazzi annuirono all'unisono, segno che ognuno era pronto ad intraprendere definitivamente quella via tanto ardita che erano andati a scegliere di percorrere.
"Quindi cosa vuoi fare?" domandò dopo qualche minuto Noah, facendo nuovamente calare il silenzio nella stanza.
"Trovare nuovi uomini" disse prontamente la dark, guardando attentamente i presenti, severa e determinata come suo solito, cercando di fare capire loro quanto fosse decisa nel proprio obbiettivo. Sapeva ciò che voleva, ma non come ottenerlo. Trovare persone pronte a voltare le spalle al potere sotto al quale vivevano, senza timori delle conseguenze, non sembrava -era- affatto una semplice impresa. Eppure...
"Io so dove trovarli"
Thomas, come avesse avvertito le difficoltà della ragazza, era intervenuto prontamente, palesemente sicuro di se stesso, sfoderando un argomento decisamente allettante dal punto di vista di Gwen e Scott. La ragazza mosse immediatamente dei passi verso il ragazzo che aveva parlato, gli occhi illuminati di speranza e devozione "Davvero?"
"Sì"
Duncan squadrò il giovane diffidente "E dove?" domandò poi il repressore.
"Semplice... Nelle prigioni governative: tutti i falsi accusati. Ci sono poi i ribelli." fece pacato Thomas, gesticolando appena, mentre Gwen lo ammirava completamente devota all'aiuto che stava per dare loro.
"E tu sai dove sono i ribelli?" incalzò nuovamente Duncan, decisamente confuso dalla certezza degli atteggiamenti della recluta. Quest'ultima sorrise di fronte la domanda, sentendosi incredibilmente importante in     quella situazione.
"Impara questa lezione Duncan: comportandosi bene, non si ottiene nulla" sorrise sghembo Thomas, riferendosi a come la condotta da militare dell'amico fosse priva di pecche, al contrario della sua "Seguitemi" incalzò poi il giovane, dirigendosi verso la propria stanza, seguito dagli altri membri della resistenza.

Thomas entrò con tranquillità nella propria camera da letto, seguito dal resto dei ragazzi. Solo Gwen, Scott e Duncan lo seguirono anche all'interno, mentre gli altri restarono sulla soglia in attesa. Iniziò a percorrere tutta la parete della stanza, quella alla quale era poggiata la testiera del letto, con la mano, accarezzandola con attenzione. Si bloccò poi dopo qualche minuto, iniziando a grattare la superficie grigia, fino a che non afferrò un lembo di carta, scoprendo così una parte del muro cava, molto simile ad una cassa forte. La recluta staccò completamente quella falsa parte di muro, in realtà costituita da un tessuto grezzo ben mimetizzato, ed infilò una mano nella fessura della parete.
Duncan rimase tutto il tempo in silenzio, semplicemente a guardarlo, ammirando l'ingegnosità del ragazzo, che aveva abilmente confuso sia lui, che vari gentiluomini -più volte entrati nel suo appartamento-, pur non trovando mai quel nascondiglio. Non appena il giovane riportò indietro il braccio, gli altri tre presenti videro immediatamente una busta nella mano del giovane.
"Cosa diavolo è?" soffiò sorpreso il repressore, mentre Thomas, dopo avere infilato tutto in tasca, tornava a coprire il proprio nascondiglio con il tessuto grezzo e grigio, esattamente come il resto della parete. Una volta sistemato il tutto, la parete sembrava nuovamente perfetta. Una volta finito, il ragazzo si voltò verso gli altri.
"Vedete... Non so come, ma ogni volta che succedeva qualcosa per cui tu solitamente mi rimproveravi..." spiegò lui guardando Duncan "Sai no? Tutti i casini a cui sono portato... Ecco, loro scoprivano che io ne ero la causa e... Beh... Mi contattavano" ammise Thomas estraendo dalla propria tasca la busta ed aprendola, iniziando a tirare fuori da essa numerose lettere. Non era certo di come atteggiarsi: infondo, era pur sempre per colpa dei ribelli se Duncan era finito della Desert_Zone, rischiando la vita tra numerosi cannibali.
"Sono tutti...?"  cercò di domandare il repressore, lasciando però la questione in sospeso, permettendo all'altro di parlare.
"Tutte domande di...'assunzione', credo di dovere dire." disse con calma il ragazzo dagli occhi verdi, passandosi una mano tra i capelli, scompigliandoli "Non ne ho mai accettata nessuna, ma... Ho tenuto tutte le lettere..." guardò il militare di fronte a lui, attento ad esaminare i numerosi recapiti "Non so perchè l'ho fatto, ma non sono riuscito a disfarmene... E-" "Hai fatto bene" lo interruppe Duncan apprensivo, notandolo sul punto di agitarsi "Se non fosse per queste ora... Saremmo ad un punto morto"
"Grazie, Thomas..." soffiò Gwen, sull'orlo di commuoversi. C'erano numerosi indirizzi ed ognuno di essi poteva essere un nuovo compagno pronto ad aiutarli, e quell'incredibile passo avanti era dovuto alla sfrontatezza di un giovane militare. Gli sorrise sincera, per poi abbracciarlo qualche secondo e lasciarlo immediatamente.
"F-Figurati.." soffiò il ragazzino sorridendo. Duncan finse di non notare quel gesto di affetto, così come fece Scott, ed iniziò a leggere una delle missive.

"Caro Sig. Smitt,

Sono felice di informarla che, dopo numerosi atti da lei conseguiti con incredibili capacità e motivazioni, saremmo favorevoli ad incontrarla al più presto. Le nuove commissioni di volo Governative sarebbero fiere di averla al proprio fianco.

Con i dovuti saluti, 

Le dirigenze"


Duncan rilesse più volte la lettera, non capendo. Completamente confuso dalla situazione. Non trovava indizi che potessero fargli pensare che la lettera fosse stata mandata da una commissione di ribelli. Si voltò dunque in direzione dell'amico, mostrandogli la lettera spaesato "Come sai che l'hanno mandata loro?"
Thomas gli si avvicinò con traquillità, sorridendogli "Nemmeno io lo avevo capito all'inizio, sinceramente." ammise imbarazzato, per poi indicargli con l'indice più punti della missiva "Ma guarda..." lo incoraggiò "Ci sono vari errori... Il 'lei' formale dovrebbe essere scritto con la maiuscola, e qui invece non lo è... Ma ammetto che non è stato questo a farmi capire tutto" sorrise il giovane. Ora anche Scott e Gwen si erano avvicinati, interessati alla situazione.
"Mi avevano chiamato per fare aviazione... E non come tiratore o cecchino, il mio campo" continuò a parlare Thomas "Il giorno dopo averla ricevuta, mi sono diretto alla commissione di volo Governativa, notando come non ce ne fosse nessun'altra in costruzione... Insomma, nessuna nuova commissione di volo come invece è scritto qui." prese una pausa, sospirando. Guardò le tre persone attorno a lui.
"Insomma, passi una vita intera sentendo parlare di presunti ribelli, ma non diresti mai che contatteranno proprio te..." sorrise imbarazzato "Mi venne in mente che un paio di giorni prima... Avevo tentato di fare una cosa stupidissima..." mormorò, divenendo improvvisamente serio. Deglutì a vuoto un paio di volte, sapendo bene che la storia che stava per raccontare, sarebbe suonata nuova anche alle orecchie di Duncan "Ero su una macchina governativa... Alla guida." sospirò pensantemente "A bordo c'eravamo io, due politici ed un ultimo uomo... Una guardia del corpo credo" Cercò di ricordare al meglio Thomas. "Quest'ultimo era seduto davanti, nel sedile al mio fianco. E mentre ero lì pensai che... Avrei potuto fare qualcosa, no? Facevo parte dell'esercito da tre mesi, mi faceva schifo, ma Duncan Smitt, repressore ben stimato, aveva messo una buona parola per me... E mi faceva anche da garante. Mi dissi che potevo fare qualcosa. Finsi di perdere il controllo dell'auto... Eravamo su un ponte sopraelevato... Sotto di noi rocce e terra arida, come al solito. Arrivai a tanto così..." disse avvicinando pollice ed indice, cercando di fare capire ai presente quanto poco era mancato "Ma non feci precipitare l'auto... Ero terrorizzato. Finsi di riprendere il controllo, ma la persona al mio fianco aveva capito tutto... Fortuna volle, che questa era il ribelle che mi contattò."
"Non me lo avevi mai detto, Tommy" sospirò il repressore, turbato dalla storia, immaginando come tutto sarebbe andato se il giovane si fosse ucciso.
"E cosa avrei dovuto dirti? 'Sai Duncan, oggi ho tentato il suicidio?'" domandò il giovane ironizzando. Il repressore non rispose quella volta, evitando assurdità quali frivolezze od insulti, potendo ben intuire quanto, quella dichiarazione, detta con tali parole, potesse pesare sull'animo di un diciottenne. Decise dunque di proseguire il discorso delle missive.
"Quindi ogni lettera è in codice?"
"No" fece presto Thomas "Solo quella. Le altre mi venivano passate direttamente in centrale.. Sempre dallo stesso uomo." confessò il ragazzo con leggerezza, come si trattasse di un fatto quotidiano, e forse era realmente così.
"Avevano visto che non facevo la spia, e confidavano sul fatto che prima o poi mi sarei alleato..." sospirò, per poi sorridere divertito "Effettivamente, avevano ragione"
Gwen annuì silenziosamente, iniziando ad estrarre i numerosi fogli, apparentemente senza fine, all'interno della busta del ragazzo. Ne lesse alcune, notando come tutte fossero state scritte dalla medesima persona e come, lentamente, si facevano sempre più informali, come si trattasse di lettere tra amici.
"E non hai mai risposto a nessuna?" domandò dopo qualche minuto lei, cercando gli occhi verdi del giovane, il quale scossò il capo in risposta.
"Nessuna" replicò poi.
"E' strano..." intervenne Scott, parlando dopo molto tempo in cui aveva mantenuto il silenzio, troppo preoccupato a pensare, riflettere e ragionare oltre ogni limite "Si fanno sempre più confidenziali... Hai davvero la loro fiducia" disse ordinandole secondo la data scritte su ognuna di esse.
"Ve l'ho detto: nonostante sapessi chi era l'infiltrato all'interno del ministero, io non ho mai detto nulla. Si fidavano"
"Ed è così tutt'ora?" domandò Gwen, guardandolo interessata e decisa. Il giovane esitò, non nascondendolo affatto. Da quando Duncan era 'morto' non aveva più ricevuto nulla, eppure, allo stesso tempo, non gli avevano mai mandato segnali di sfiducia. Annuì dopo qualche secondo, seppur aggiungendo "Però... Non so fino a che punto"




 
Angolo dell'autriceeee

Siate fieri di me! Ho aggiornato per tempo, anzi! In anticipo!!
Allora, da adesso cambieranno moooolte cose, del tipo che....

1- Il capitolo 'Zoey' non è chiuso ahah
2- I ribelli vanno trovati
3- e mai dimenticarsi della minaccia-governo! u.u

Ok, fatemi sapere che ne pensate di questo piccolo capitolo ahahah Alla prossima! E grazie mille per le recensioni! Sono davvero tante! Non mi aspettavo prooprio ^-^

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Capitolo 15
*** Desert_Zone cap.15 ***



 
Desert_Zone



cap.15



"Usciamo..."
La sua voce era risuonata dopo ore di completo e costante silenzio, tempo nel quale nessuno dei due aveva avuto il coraggio di parlare, completamente offuscato da timori e pensieri frenetici. Eppure, nonostante il silenzio fosse stato padrone di quei lunghi momenti, la presenza di lui c'era sempre stata. Lui era rimasto vicino a lei, ad abbracciarla con apprensione ed amore, come un fratello consapevole e responsabile. Le aveva tenuto la mano stretta tutto il tempo, placando i suoi tremori dettati dalla paura, e l'aveva cullata con affetto contro il suo petto, totalmente concentrato nel'aiutarla.
"Cosa?"
Le parole di lui l'avevano sorpresa. Dopo tutto quel tempo pieno di mutismo, lui aveva esordito con quella proposta netta, molto più somigliante ad un obbligo che ad una domanda gentile.
"Dobbiamo. Non possiamo restare qui all'infinito, Gwen" le aveva mormorato all'orecchio Scott, cercando di mantenere il proprio tono di voce pacato, nonostante nascondesse oltre esso una costante tensione. Erano rimasti rinchiusi in quel nascondiglio probabilmente un intero giorno. Il tempo gli era passato di fronte agli occhi infinito, ed oltretutto immaginava che ormai, chiunque avesse assediato la casa, se ne era andato.
"Ma ho paura..." aveva risposto sincera la bambina, nascondendo il viso nel petto giovane di lui. Erano solo due bambini, completamente estranei a cosa effettivamente significasse la morte, la felicità e tutte quelle altre possibilità che, sin dalla nascita, li erano state negate.
"Ma io sono qui, no? Non devi avere paura, Gwen..." l'aveva esortata lui, sorridendole nel buio. L'aveva sentita annuire, seppur dopo qualche secondo di titubanza, ed aveva poi aperto la porta del piccolo nascondiglio.

Tutto ora se lo ripeteva Scott, che se solo avesse saputo che una volta uscito avrebbe trovato i corpi privi di testa dei loro cari, non sarebbe mai uscito da quel piccolo stanzino.


Il giorno dopo giunse velocemente, troppo a parere della giovane recluta, incredibilmente in ansia alla sola idea di dovere incontrare i ribelli. Era inequivocabile: stavano correndo un enorme quanto fondamentale rischio. Gwen e tutta la resistenza necessitavano disperatamente di nuovi uomini, eppure non era così certo il fatto che questi -tanto popolari e ricercati- ribelli si sarebbero tanto facilmente piegati dalla loro parte. La sola cosa che era rimasta all'intero gruppo era qualche briciola di speranza, ahimè decisamente scarseggiante. Ormai il miracolo era divenuto sopravvivere, e non più evadere. Adesso tutto stava iniziando a farsi sempre più intricato e, nonostante nessuno lo avesse ancora detto apertamente, nel cuore di ognuno aveva iniziato a primeggiare con prepotenza ed esuberanza una costante inquietudine.
I Gentiluomini potevano fare irruzione nell'appartamento da un momento all'altro, nelle strade i repressori erano perenni e c'erano poi altre centinaia di diversi generi di guardie, tutte incredibilmente pericolose. Duncan, forse, sarebbe riuscito ad aiutarli ancora per qualche tempo, ma presto al dipartimento centrale avrebbero notato come un morto di fosse fatto tanto spesso vivo, ed avrebbero ribadito l'uccisione del rinomato repressore.

"Sì?"
L'uomo che aveva aperto la porta ai ragazzi, aveva semplicemente domandato quello. Sembrava decisamente calmo, ben poco spaventato alla sola idea che i giovani di fronte a lui potessero avere idee bellicose nei loro confronti. Thomas si fece avanti.
Scott, Duncan, Gwen e la recluta si erano diretti all'indirizzo al quale le lettere facevano con più frequenza riferimento. Avevano lasciato il resto della resistenza dentro l'appartamento, con il severissimo ordine di mantenere il silenzio. 
Avevano bussato un paio di volte alla porta e, nonostante in un primo momento nessuno era parso intento ad aprire loro, si era poi fatto vivo un uomo alto e distinto. I capelli erano neri ed ordinati ed il viso contratto in un'espressione seria ed intransigente. Thomas, dopo essersi fatto più vicino, gli aveva porto le lettere con attenzione. L'uomo le aveva semplicemente guardate, probabilmente accertandosi del mittente, per poi farli entrare semplicemente, senza aggiungere nulla.
I quattro ragazzi si mossero dentro il locale diffidenti. Si guardarono intorno, notando come l'interno non rimandasse affatto ad una possibile base ribelle, quanto, piuttosto, ad un comunissimo appartamento perfettamente omologato a tutto il resto. Duncan si accostò presto all'amico, molto diffidente.
"Sicuro che questo sia il posto?" gli domandò con un filo di voce all'orecchio. L'altro annuì immediatamente.
"Se così non fosse stato... Avrebbero fatto qualche domanda... Credo"
"Ecco... Li?" intervenne una voce estranea, decisamente confusa dalla presenza di accompagnatori al fianco della recluta. I nuovi arrivati alzarono il volto in direzione della persona che aveva parlato, incontrando così un uomo sorridente ma allo stesso tempo confuso di fronte a loro. Era decisamente meno formale rispetto all'uomo che li aveva accolti alla porta, sia per l'atteggiamento, che per come indossava il completo imposto dal governo. La giacca era completamente slacciata, mentre la camicia era stata sistemata frettolosamente, completamente sgualcita e disordinata. Aveva i capelli neri tirati all'indietro, e all'apparenza sembrava decisamente più vecchio dei ragazzi di fronte a lui.
Nessuno rispose a quella sua esclamazione, e fu di nuovo l'uomo a parlare. Si portò le mani in tasca in modo trasandato, per poi muovere qualche passo in direzione dei quattro.
"Vedo che non siete di molte parole... E che non siete solo uno" commentò con ovvietà "Mi aspettavo di vedere solo il giovane Thomas ed invece... Ecco che abbiamo al nostro cospetto un..." si fermò qualche secondo di fronte a Duncan, studiandolo con attenzione, prima di sorridere "Rinomato repressore ed... Un paio di sconosciuti! Non so che dire..."
Nemmeno gli altri seppero come rispondere. Duncan si era irrigidito non appena l'uomo lo aveva riconosciuto, e la bocca gli si era immediatamente seccata. Dall'altra parte, gli altri tre erano profondamente confusi dalla schiettezza e leggerezza che l'uomo ostentava.
"Volete dirmi i vostri nomi? Parlo con i due sconosciuti, ovviamente... Duncan Smitt e Thomas No-One sono esclusi dal discorso" tornò a parlare quello che -avevano concluso- doveva essere colui che era a capo dei ribelli.
Gwen e Scott si osservarono diffidenti, seppur con le spalle al muro. Fu la ragazza a farsi avanti per prima, sospirando pesantemente, sapendo bene che se voleva ottenere ciò di cui necessitava, ciò significava anche piegarsi a qualche pretesa "Il mio nome è Gwen..." Prese una breve pausa, per poi intervenire prima del rosso, già in procinto di parlare "E lui si chiama Scott"
"Piacere!" esclamò sorridendo l'uomo, per poi voltarsi, incamminandosi verso un'altra stanza. I quattro giovani restarono fermi all'interno del locale qualche secondo, prima di trovare la forza di seguire quella bizzarra e misteriosa persona.
Sicuramente, tra le decine e decine di supposizioni che avevano attraversato loro la mente, non era minimamente apparsa quella che un uomo sulla quarantina, particolarmente allegro, li avrebbe accolti.

Giunsero all'interno di quello che -all'apparenza- doveva essere un ufficio. L'uomo si accomodò oltre una scrivania semplice, completamente ricoperta da documenti, fotografie  e lettere. Isantaneamente, Thomas riconobbe la calligrafia che aveva spesso trovato nelle proprie missive. I ragazzi rimanevano in piedi agitati.
"Avanti sedetevi! Ci sono abbastanza sedie per tutti, non preoccupatevi" li invitò dopo qualche secondo l'uomo, continuando ad ostentare un'eccensiva bonezza, cosa che fece presto innervosire tutti i presenti.
"La può smettere? Ci dica semplicemente-" "Cosa, signor Smitt?" lo interruppe il ribelle.
Duncan era scattato irato senza nemmeno rendersene pienamente conto, ed il tono pacato che l'uomo gli aveva riservato lo aveva fatto confondere ancor di più. Si sentiva completamente asfissiato da una situazione incomprensibile.
"Non parla più, eh?" questa volta l'uomo si fece serio "Bene. Voglio farvi delle domande. Cosa volete?"
Gwen si accostò alla scrivania, improvvisamente determinata, decisa a fingere che tutto si stesse svolgendo normalmente "Uomini. Io faccio parte di una resistenza, ed ho intenzione di attaccare il Governo, ma-" "Impossibile"
"Cosa?" domandò Gwen, completamente spaesata dalla risposta tanto netta datale dall'uomo, all'apparenza, sin troppo sapiente, oltre lo scrittoio. Non poteva accettare una negazione tanto frettolosa e poco valutata senza che lui la avesse pienamente ascoltata.
"Semplice; il Governo è un ente supportato da numerose persone, e noi non siamo altrettando numerosi, né tantomeno abbiamo armi, perciò la mia risposta è, no."
"Non può dire questo senza sapere nulla! Lei non sa in che situazione ci troviamo" Duncan si era nuovamente fatto avanti, ora concentrato sul presente, deciso a difendere Gwen, la sua storia e se stesso. La misteriosa persona di fronte a loro sorrise, amimrando silenziosamente la spavalderia del ragazzo, per poi tornare a parlare.
"La posso immaginare, signor Smitt. Sono stato io a commissionare l'atto in cui era stato detto morto" si lasciò sfuggire con leggerezza, come se dichiararsi colpevoli di omicidio fosse una comunissima situazione giornaliera. Duncan, nel frattanto, era rimasto interdetto da quella frase  tanto sbrigativa. Non era certo di quale fosse il modo migliore per portare avanti la conversazione; non sapeva se essere arrabbiato o meno con l'uomo alla scrivania, non era certo di quale sarebbe dovuta essere la sua reazione a quelle parole.
"Fatemi indovinare!" tornò poi a parlare la nuova, e misteriosa conoscienza, chiudendo gli occhi ed agitando le mani teatralmente, come in procinto di recitare "Sei sopravvissuto e... Hai incrociato dei ribelli che ti hanno salvato?" domandò divertito, non permettendo ai ragazzi di intervenire "Ti sei preso una cotta per la ragazzina..." tornò a dire, indicando Gwen spicciato "Ed hai voltato le spalle al Governo?"
Di fronte quell'arroganza, per poco Gwen non intervenne, estraendo il proprio coltello a serramanico, sempre pronto sollo la giacca del completo d'obbligo. Sospirò esasperata, mentre ad intervenire, questa volta, fu Thomas, più pacato rispetto al resto dei presenti, visto come, sia Duncan che Scott, si fossero ora alterati.
"No, direi che è totalmente in torto e che, probabilmente, non crederebbe nemmeno alla nostra storia, se gliela raccontassimo"
Udendo quelle parole, il viso del ribelle mutò totalmente. Il suo sorriso scomparve, sostituito da un'espressione seria, totalmente concentrata, eppure, non passarono molti minuti prima che un nuovo sorriso, ora più consapevole e scaltro, si facesse largo sul suo volto.
"Oh, Thomas, mai dubitare di un folle" sorrise l'uomo, improvvisamente incuriosito dal discorso del ragazzino, decisamente serio "Facciamo una prova"

A volte ci vogliono delle prove, a volte certezze, ed alle volte, invece, semplicemente qualcosa in cui credere. Può essere banale, è vero, eppure, nonostante ciò, può alimentare la speranza di un esercito. Solo una credenza, una favola, magari persino inventata, ma con un fondo di verità. Tutto questo può essere sufficiente.

L'uomo aveva ascoltato la storia dei ragazzi con trasporto ed interesse, sentendo ogni sillaba come una possibile via di fuga. Venne investito dalla consapevolezza nuova e più incisiva che mai, che la fine non era mai stata tanto vicina. Eppure, era una 'fine' decisamente positiva. Ciò che quei pochi giovani avevano iniziato, poteva essere l'inizio della battaglia, di una guerra senza esclusioni e totalmente liberatoria. Aveva ascoltato tutto il racconto, sino alla fine, quasi memorizzandolo, ed aveva infine sospirato soddisfatto. 
Ci aveva creduto. Non si era sentito in dubbio nemmeno un istante. Aveva osservato lo sguardo dei tre ragazzi che erano riusciti ad evadere, ed aveva visto quella scintilla spaventosamente pericolosa, in grado di accendete un esercito intero, eppure, non aveva detto di sì. Non aveva offerto loro uomini, né altro.
"Perchè? L-Lei ha detto che ci crede, ma-" "Ma siete... Quanti? Una decina di ragazzi con l'obbiettivo di annientare un intero governo. " intervenne l'uomo pacato, interrompendo Scott "Vi ammiro e vi credo, è vero. Eppure, non penso sia il momento. E' presto... Siete ancora troppo acerbi per farcela... Io non posso sacrificare uomini che lavorano al mio servizio per una missione con così poca-" "Importanza?" questa volta era intervenuta Gwen, totalmente in disaccordo con il ribelle di fronte a loro.
"Lungimiranza" la corresse lui, sorridendole appena.
Il silenzio avvolse totalmente i presenti. Cosa intendeva quell'uomo con il fatto che loro non fossero lungimiranti? Come poteva dire una cosa simile? Lei e Scott avevano riflettuto con riguardo alla situazione per oltre dieci anni, senza mai tregua, costantemente intenti a trovare un modo per salvare il mondo. Un modo per dare un senso a ciò che era accaduto loro.
A distrarre la ragazza dai propri pensieri, fu una mano consolatoria sulla sua spalla. Alzò il volto in direzione della persona che l'aveva appena avvicinata, incontrando gli occhi cobalto del repressore. Gli sorrise appena, indecisa se piangere o meno, completamente scossa dalla situazione.
Erano stati così vicini a farcela, che quel risvolto le sembrava un'illusione. Non poteva credere che, dopo tutte quelle speranze tanto ben alimentate, tutto stesse sfumando in un nulla. Sospirò, cercando di reprimere le lacrime che sentiva spingere con prepotenza oltre le palpebre, ed abbassò poi lo sguardo, mentre avvertiva la presa di Duncan avvolgerla totalmente, abbracciandola.
Si incamminò poi verso l'uscita, certa che ormai null'altro potesse accadere, Scott li seguì, mentre Thomas restava fermo, totalmente in disaccordo con la decisione dell'uomo, in attesa di udire altro. Un suo ripensamento, magari. Eppure, così non accadde.
"Mi dispiace, ragazzi... Ma... Loro hanno armi potenti, e noi nulla. ma se mai voleste aiutarci... Io sono Alan Carrigan" cercò di scusarsi l'uomo, porgendo al giovane la mano. Thomas scosse il capo, per poi voltarsi.
"Noi non ci uniremo mai ai vostri atti di terrorismo. Vi sia chiaro"

Il viaggio di ritorno trascorse nel più completo silenzio. Nessuno osò parlare. La sconfitta bruciava sulla pelle di ogni presente, in particolare su quella di Gwen, prima così convinta della riuscita della missione. Era certa che, al ritorno dalla base dei ribelli, avrebbe potuto vantarsi di avere ottenuto nuovi alleati, eppure nulla era andato come previsto. La sola cosa positiva del tutto era la certezza che quell'uomo, Alan, non avrebbe fatto la spia su di loro. Ma in modo effettivo, nulla era cambiato. Doveva averlo capito sin dall'inizio, osservando quel viso appena rigato da rughe e da quel sorriso sin troppo innocente, che non avrebbe ceduto alle loro supppliche. Aveva detto che era il caso che loro aspettassero, che erano stati frettolosi nel calcolare i tempi di reazione, ma si sbagliava. A parere della dark, era passato sin troppo tempo ed ormai era giunto il momento di agire. Quei poveri ragazzi corrotti dalle spire governative dovevano ribellarsi, o presto sarebbe stata la fine anche per ogni vago ricordo di libertà passato.

Giunti all'appartamento, Scott organizzò una breve assemblea, così da potere spiegare a tutti i membri della resistenza, ciò che era accaduto.
Thomas si fece da parte, completamente in colpa per la situazione in cui si trovavano. Si diresse in cucina sospirando pesantemente. Era certo che tutto si sarebbe svolto in modo diverso, che grazie al suo aiuto sarebbero potuti andare avanti con il loro obbiettivo, ed invece erano al punto di partenza, con altrettante preoccupazioni e, se possibile, ancora più dubbi.
Avvertì dei passi alle sue spalle dopo pochi secondi. Si voltò; Duncan era di fronte a lui, lo guardava con apprensione, come fosse in grado di leggergli dentro, di capire cosa lo affliggeva maggiormente, e di potere porvi rimedio.
"Ehi, Tommy, tutto a posto?" domandò dunque, accennando un piccolo sorriso, che però l'altro non ebbe la forza di contraccambiare.
"Potrebbe andare infinitamente meglio..." si limitò a dire la recluta, per poi estrarre dalla tasca il proprio cellulare.
Sotto il Governo, quei piccoli congegni tecnologici erano illegali, eppure, nonostante ciò, Thomas ne possedeva uno. Lo aveva rubato dalla centrale presso cui lavorava; ricordava fosse in possesso di un uomo sulla cinquantina, arrestato e condannato poi a morte. Dopo la presunta morte di Duncan poi, era riuscito a recuperarne un altro e, seppur dopo veri e propri tentennamenti, aveva deciso di darlo a Zoey, l'unica persona con cui era rimasto effettivamente in contatto. La ragazza lo aveva inizialmente rifiutato, ma aveva poi deciso di tenerlo, ribadendo come lo avrebbe usato solo in casi di estrema urgenza. Di fatti, il ragazzo accendeva raramente il proprio.
Eppure, quel giorno, sentì il bisogno di farlo. Premette il pulsante qualche secondo, per poi vedere lentamente la schermata illuminarsi. Una volta acceso, apparvero due note: tre messaggi in segreteria. Sgranò gli occhi, portandosi l'apparecchio all'orecchio.
Duncan lo osservò confuso, improvvisamente allarmato. Aveva avuto l'intenzione di richiamrlo non appena lo aveva visto tenere tra le mani il piccolo congegno, ma era poi divenuto più ansioso notando i suoi comportamenti improvvisamente frenetici.
"Che succede, Thomas?" cercò di domandargli, vedendolo ascoltare con apprensione il cellulare. Il ragazzo non rispose, non a parole per lo meno. La mano che reggeva il cellulare, però, iniziò lentamente a tremare, fino a che non lo fece scivolare a terra. Il telefono si frantumò non appena cadde, mentre la giovane recluta si abbandonava a terra, ansimante dal terrore.
"Thomas!" esclamò, per poi accostarsi a lui, alla ricerca del suo sguardo "Che è successo?"
"Zoey..."









 
Angolo dell'autrice!

Muahah! Che sarà successo a Zoey? Sappiate che il prossimo capitolo sarà pieno di suspance, casini assurdi e sangue e... Fatemi intanto sapere che ne pensate di questo ^_^

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Capitolo 16
*** Desert_Zone cap.16 ***



 
Desert_Zone
 
cap.16




Respiri soffocati, ansiosi, tremanti. Non si udiva altro suono se non quello di quell'annaspare pesante e terrorizzato, costante e marcato.
"Thomas, sono io... Ti prego rispondimi" la sua voce era agitata, acuta, ma sussurrata, completamente in balia di un'ansia asfissiante. La ragazza era sull'orlo di piangere, ne era certo. E, probabilmente, se non si fosse lasciata andare, una crisi l'avrebbe colta anch'essa velocemente.
Altri respiri affannati, un singhiozzo in mezzo ai tanti.
"Sono dentro un armadio...." Sospirò affannata, tremante "E loro... Loro sono qui... Sanno qualcosa.." Un singhiozzo disperato tra una frase e l'altra, lui poteva sentirli chiaramente, per quanto lei fosse intenta nel celarli "Aiutatemi, vi prego."
Quell'ultima supplica, sussurrata con sempre più timore, e poi il silenzio totale.

"Li sento... Sono entrati" La seconda registrazione era partita pochi secondi dopo, inondando immediatamente l'orecchio di Thomas di nuovi respiri terrorizzati. La sentì prendere una pausa più lunga rispetto alle altre, probabilmente intenta a concentrarsi su ciò che stava accadendo all'esterno. Lui non udiva nulla se non quegli ansiti spaventati.
"Mi troveranno... Ho paura"

L'ultimo messaggio vocale iniziò nell'istante immediatamente successivo, questa volta facendogli udire la voce di lei più sbrigativa ed alta, non più sussurrata. La cosa lo fece immediatamente irrigidire.
"Rispondimi, per favore..." Lo stava supplicando di nuovo oltre quella cornetta antica e gracchiante, ma tutto ciò che la recluta poteva fare era ascoltare senza fiato, completamente terrorizzato. 
Poco dopo le parole di lei tornarono a presenziare "Loro sono-" la voce si bloccò, tutto ciò che si udì da lì in poi, furono suoni netti, simili a colpi bruschi, ed infine delle grida ripetute, acute e laceranti .
"Lasciatemi! Aiuto, Thomas! Aiuto! No!"
Un ultimo e sporco rumore, simile ad un'accartocciarsi di lame, ed il messaggio si concluse.


"Che succede, Thomas?" Gli domandò Duncan dopo pochi istanti. Al giovane era scivolato di mano il cellulare, tanta era l'ansia che d'improvviso lo avevano invaso. 
"Thomas!" Il repressore gli fu improvvisamente vicino. La voce del militare risuonò nella sua testa come un definitivo grido di allarme, che lo ridestò dai propri pensieri -almeno un minimo- riportandolo al prensente. Si voltò verso l'amico con il viso stravolto, impallidito come fossero passati anni dall'ultima cena.
"Che è successo?" incalzò il repressore, attento ai suoi occhi solitamente tanto verdi, ma in quel momento fin troppo spenti.
"Zoey..." soffiò la recluta, improvvisamente certa di dovere parlare, di avere un disperato bisogno di aiuto. I suoi occhi erano diventati improvvisamente maschera della paura stessa, e non appena l'altro ebbe sentito la risposta del giovane, anche i suoi mutarono. L'azzurro, solitamente tanto inebriante e dissuasivo, divenne d'improvviso vacuo ed arrendevole, palesemente colpito dalla situazione.
"Che cosa intendi? Spiegati" cercò di incalzare però dopo qualche minuto, sperando che Tommy non si fosse accorto di nulla -sbagliandosi- nei suoi occhi.
Il ragazzino iniziò a scuotere il capo da destra a sinistra a vuoto, come fosse sul punto di colpevolizzarsi per l'accaduto. Si portò le mani tra i capelli, iniziò a tirarli, spettinarli e torturarli sino a procurarsi dolore. Fu la mano di Duncan a fermarlo, afferrandogli i polsi risoluto.
"Tommy, calmati e spiegati... E' l'unico modo per aiutarla." cercò dunque di dissuaderlo.
"E' tutta colpa nostra... Non saremmo mai dovuti andare da lei" iniziò a borbottare la recluta, tenendo il capo chino ed affogando in un senso di colpa sin troppo profondo. Udendo quelle parole, Duncan si irrigidì, avendo intuito qualcosa, sperando con tutto se stesso di essere in errore.
"Thomas-" "Credo l'abbiano presa" lo interruppe il giovane, alzando finalmente il volto verso l'amico che, anni prima, lo aveva salvato da una vita di sola perdita e desolazione. Il repressore, sentendo la rivelazione, dovette tristemente appurare come le sue deduzioni fossero corrette. Cercò di riflettere, ma gli risultò inutile. Era terrorizzato, completamente stravolto, ma non aveva intenzione di darlo a vedere. Non era nei suoi propositi agitare Thomas più di quanto già non fosse; il giovane si stava penando per colpe non sue, sentendosi schiavo di sensi di colpa non dovuti a lui, quanto a Duncan stesso. Era lui che aveva promesso a Zoey che, anche nel caso lei non avesse collaborato, le sarebbe andato tutto bene, e che nessuno l'avrebbe mai cercata. Era stato il repressore a commettere quell'errore imperdonabile, ed era lui a doverne pagare.
Serrò le mani in due pugni carichi di colpa, odio e rabbia, per poi alzarsi in piedi, deciso a stare da solo qualche momento, deciso a trovare una soluzione.

Attraversò il salotto. Lanciò una breve occhiata al locale, buona parte dei ragazzi era ancora tutta presente, nonostante la riunione in corso fosse stata sciolta. Si mosse verso il corridoio, alla ricerca di una stanza vuota. Era nervoso ed arrabbiato.
Entrò infine nella camera da letto di Thomas, pensando che, nel caso ci fosse stato qualcuno al suo interno, lo avrebbe semplicemente cacciato, senza gentilezze di troppo ed assolutamente inutili. Aprì la porta con prepotenza, ed immediatamente una figura seduta sul letto catturò la sua attenzione. Fece per parlarle, gridarle contro e mandarla via, ma riconoscendo la persona come Gwen, immediatamente ogni suo proposito svanì.
Si fece semplicemente avanti, fino ad arrivare al suo fianco, per poi sedersi. Ecco chi era la più grande minaccia per lui: Gwen. Quella ragazza era  in grado di fare cedere ogni suo proposito di attacco, pensiero o minaccia. Lei era semplicemente migliore e, vederla così stravolta, seduta su quelle lenzuola grige e tristi, lo aveva fatto sentire in dovere di avvicinarla immediatamente.
Lei lo aveva guardato non appena lui si era seduto al suo fianco. Gli aveva sorriso debolmente, per poi tornare seria con il volto basso, ad osservare il pavimento come fosse un'interessante tela. Si torturava le mani costantemente, facendole sfregare insieme, rigirando le dita tra loro e facendole battere ad un ritmo tutt'altro che continuo contro la gonna -decisamente scomoda- del proprio tailleur. Non poteva credere a tutto ciò che era successo.
"Tutto a posto?" La voce del militare aveva interrotto il moto delle sue piccole mani che, immediatamente, si erano fermate serrandosi in due pugni, esattamente come quelle di lui avevano reagito poco prima.
"No..." disse infine sincera la ragazza, sospirando afflitta "Io... Sai no? Credevo davvero ce l'avremmo fatta... Che si sarebbero alleati a noi" concluse in un sussurro, mordendosi il labbro inferiore.
"Lo so." annuì il ragazzo, concorde "Anche io ne ero convinto" ammise infine, per poi deglutire a vuoto, come sull'orlo di spezzarsi, cedere, cadere e frantumarsi. Lei lo notò. Si voltò in sua direzione e lo squadrò qualche istante dubbiosa, per poi portare una mano sul volto di lui, totalmente assorta.
"E tu invece, Duncan Smitt?" sussurrò accarezzandogli una guancia lentamente "Tutto a posto?" domandò infine, facendolo nuovamente, come sempre di fronte a lei, cedere inerme. Scosse il capo, totalmente avvolto dai sensi di colpa, affogando in essi.
"No..." ammise poi. Le bastò un'occhiata per domandargli di più. Non dovette nemmeno parlargli oltre, perchè fu lui, immediatamente, a spiegarsi.
"Hanno preso Zoey" sospirò afflitto, abbassando il volto, costringendo la mano di lei ad allontanarsi dalla sua guancia "Ed è tutta colpa mia..."
Udendo il nome della giovane dai capelli rossi, il viso di Gwen si era contratto. Aveva avvertito il corpo stordirsi qualche momento, ed immediatamente una definizione adatta a tutto quello le aveva affollato la mente.

Gelosia.

Si era sentita nuovamente invisibile, inesistente ed indesiderata, ed aveva avvertito il bisogno di alzarsi e lasciare il ragazzo solo nella stanza, eppure non lo aveva fatto. Doveva semplicemente ricordare le parole di Thomas, e rimanere concentrata sulla realtà: per quanto potesse sentirsi in secondo piano rispetto alla bellissima promessa sposa del militare, quest'ultima era in grave pericolo, e Duncan se ne sentiva responsabile.
Prese un profondo respiro, sperando di trovare in esso coraggio e prontezza, ed infine, apprensiva, parlò.
"Non può essere colpa tua..." cercò di dirgli, per poi portare una mano sulla sua schiena, intenta a confortarlo, ma uno scatto di lui non glielo permise. Si voltò velocemente verso di lei, sentendo quelle parole. Aveva gli occhi umidi, ma ancora non si era abbassato a piangere e, probabilmente, non lo avrebbe mai fatto.
"Invece lo è..." sospirò, scuotendo il capo "Gwen io... Io le ho detto che sarebbe stata in salvo, ma... Mi sbagliavo" prese una breve pausa, nella quale si portò una mano tra i capelli, ed osservò un punto indistinto sulla parete opposta a lui, ragionando "Ed ora.. Ora l'hanno presa e..." Cercò lo sguardo ebano della ragazza al suo fianco, incontrandolo immediatamente. Quasi si beò in esso, prima di proseguire spaventosamente sincero "...E ho paura" ammise infine sospirando, come lo avesse realizzato solo in quell'istante.

Gwen finse di non avvertire quell'insopportabile dolore allo stomaco, ma si limitò ad annuire comprensiva. Poteva capire l'apprensione di lui, ed il timore che da essa derivava. Perciò, nonostante quel verme fatto di gelosia e preoccupazione la stesse divorando, decise di rimanere sincera, e parlargli apertamente.
"E' normale averne" gli disse, giungendo di fronte al suo viso. Cercò di sorridergli, ma tutto ciò in cui riuscì, fu un'espressione malinconica, seppur decisamente dolce "E nessuno ti dirà che è sbagliato. Quando vuoi bene a qualcuno tu... Ti preoccupi per quest'ultimo con totale costanza" aggiunse, pensando a come Scott, sin dall'infanzia, si era preso cura di lei senza mai accantonarla, portandosi persino ad attraversare l'intera Desert_Zone pur di portarle un po' di pace dall'arsura dovuta al caldo costante.

"Tu, Gwen, hai paura?" le domandò poi lui, dopo interi minuti di silenzio, nei quali lei, più volte, era stata tentata all'idea di andarsene, lasciandolo solo a riflettere, mentre lei si sarebbe potuta prendere una pausa da quella gelosia che, oramai, doveva averle consumato buona parte di cuore. Si sentiva così piccola in quella situazione.
"Sì" ammise con sincerità, rispondendogli. Erano ancora seduti affiancati, voltati l'uno verso l'altra, più vicini di quanto entrambi avessero realizzato.
"Non sembra..."
"Probabilmente, perchè non mi hai mai vista non averne. Forse... Quando tutto questo sarà finito, la mia paura svanirà" mormorò lei, concedendosi di sognare qualche breve istante, nel quale si fece sfuggire un sincero sorriso, probabilmente troppo allegro per la situazione. Solo in un secondo istante si rese conto della propria espressione, ed immediatamente tornò seria, preoccupata di essere stata inopportuna. Guardò dunque il viso del ragazzo, ritrovandosi però profondamente colpita nel vederlo, invece che offeso, ricambiare il sorriso di poco prima. Sembrava quasi leggero con quell'espressione che gli illuminava gli occhi azzurri.
"Conto di essere presente quel giorno..." le sussurrò ammaliato, soffiandole sulle labbra quelle parole, facendole capire quanto vicino fosse.

Fu allora che Gwen avvertì il bisogno di alzarsi ed allontanarsi prima che quell'orribile verme geloso la rendesse definitivamente succube di qualcosa che nemmeno lei conosceva a pieno, né tantomeno, che era certa di non volere conoscere.
Si alzò, dunque, non dicendo nulla, già pronta a voltarsi, ma la stretta del repressore sul suo polso sinistro, la costrinse a risedersi. Non seppe esattamente in che modo, eppure, pochi istanti dopo tutto ciò di cui fu certa era che ciò che premeva con assidua voglia contro le sue labbra, non era altro che la bocca del ragazzo e che, i movimenti appassionati  e fluidi sulla sua schiena, erano le sue mani esperte che vagavano sopra i suoi abiti.
Ricambiò immediatamente, senza nemmeno rendersi conto a pieno di ciò che effettivamente stava facendo. Dischiuse semplicemente le proprie labbra, permettendo alla lingua di lui di entrare, e presto tutto ciò su cui potè concentrarsi, furono i suoi movimenti e le sensazioni che essi causavano. Si sentiva completamente estasiava ed era certa che -in quei momenti in cui le loro labbra si stavano con tanto impeto congiungendo- la sua paura fosse realmente svanita. Avvertiva quel verme della gelosia affievolirsi fino a sparire, ed ogni incontro tra le loro labbra segnava un nuovo capitolo della sua esistenza.

Si staccarono solo quando entrambi rimasero senza fiato. Lui poggiò la propria fronte su quella di lei, ansimando palesemente. Lei fece altrettando. Si guardarono negli occhi solo qualche secondo dopo, completamente stravolti e confusi. Nessuno dei due sapeva con esattezza cosa dire, ma certo era che non si sarebbero abbassati a dire qualcosa come 'scusa' o 'è stato fantastico', perchè per entrambi l'orgoglio era davvero troppo.

Fu lei, a decidere di mormorare qualcosa "Duncan Sm-" "Solo Duncan" la interruppe lui, non permettendole di formulare nulla.
"C-Cosa?" domandò lei confusa, ancora con il fiato corto, guardando il militare diffidente.
"Duncan, chiamami solo Duncan..." Prese un profondo respriro, anche lui bisognoso d'aria quanto lei. Doveva ammettere che, il bacio che aveva appena dato alla ragazza, era valso ogni secondo di attesa. Lei era perfetta in ogni modo ed il fatto che avesse ricambiato le sue attenzioni, significava che provava qualcosa, seppure magari non ancora definito, cosa che poteva comprendere visto il suo -sia di lui, che di lei- complicato passato "Va bene?"
Lei annuì, seppur palesemente confusa dalla situazione "D'accordo"
Lui sorrise, sentendo la risposta tanto timida e netta di lei, per poi tornare a guardarla dritto negli occhi, necessitando di quella 'dose' che per lui rappresentava il suo semplice sguardo.
"Allora?" domandò poco dopo, cambiando totalmente discorso "Sono certo avresti aggiunto qualcosa prima di andartene, no?"
Lei analizzò attentamente quelle parole, scoprendole piene di verità. Lui sapeva molto di lei e, probabilmente, il tutto grazie al tempo trascorso insieme. 
Possibile che il ragazzo avesse prestato tante attenzioni a lei? Decise di non trovare subito una risposta, troppo impreparata ad affrontare -oltre a tutto il resto- simili situazioni.
Annuì semplicemente, per poi parlare in un sussurro "La chiave... Per ingannare la paura" spiegò con calma, abbassando lo sguardo ogni qual volta si rendesse conto che lui lo cercava, non sapendo quanto effettivamente Duncan ne fosse assuefatto.
"Quale sarebbe?"
"Riflettere"

 
***

Le figure snelle, dritte e completamente impettite, come non ci fosse altro modo se non la perfezione per presentarsi o presenziare. Il completo completamente nero, i mocassini lucidi sotto i pantaloni dritti a sigaretta e la giacca allacciata fino all'ultimo bottone. La camicia sotto perfettamente bianca, indossata con attenzione, senza nemmeno una piega.
Cinque inquietanti figure, accompagnate da cinque altrettanto inquietanti sorrisi, ed una dolce ragazzina  ricoperta di sangue.









 
Angolo dell'autrice!

Allora, da dove inizio?

Sì, Zoey è stata rapita e... Sì, è anche la ragazzina sanguinante

E sì, li ho fatti baciare :') ci ho messo 16 capitoli, ma ecco il bacio tra Duncan e Gwen :') ahha


Voglio ringraziare tutti i miei recensori ed anche quelli che recensiscono in silenzio! Quelli che  hanno messo la storia tra le preferite e... Tutti! Questo capitolo era per voi ♥

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Capitolo 17
*** Desert_Zone cap.17 ***


 
Desert_Zone




cap.17



"La chiave... Per ingannare la paura"
"Quale sarebbe?"
"Riflettere"



Quella parola, 'riflettere', era risuonata nella mente del militare per lungo tempo da quando la ragazza se ne era andata, lasciandolo solo dentro la camera da letto di Thomas. Doveva pensare, liberarsi da ogni altro problema, e ragionare con quanta più calma gli fosse concessa riguardo a Zoey. Gwen poteva ben capire l'ansia che attanagliava l'uomo, essendo lei stassa a capo di una resistenza. Per anni era andata avanti, essendo ben al corrente del peso che portava sulle spalle: la vita di un branco di ragazzi. Aveva perciò deciso di lasciarlo solo per ragionare. Aveva allontanato la propria gelosia, ben al corrente di quanto infantile ed inopportuna fosse, ed ancora con il viso arrossato per il violento bacio tra i due, se ne era andata in salotto.

Duncan era rimasto seduto sopra il letto, avvolto dal silenzio, e succube di innumerevoli riflessioni.  Non aveva fatto nulla se non un cenno in direzione di lei, quando Gwen era uscita, e si era istantaneamente concentrato sulla parola di lei, quel concetto che lei stessa aveva definito 'chiave'. Si era ripetuto quella parola -riflettere- come si fosse trattato di un mantra fondamentale, ma aveva con malincuore constatato che, probabilmente, con lui quella tecnica non funzionava. Nonostante fosse ben concentrato, i suoi pensieri vagavano e la sua mente disobbediva. Non riusciva ad evitare il pensiero della morte della giovane rossa, con immediata reazione una profonda sconfitta emotiva.

Dopo ore nelle quali era rimasto in quello stato, ormai stremato per quello sforzo silenzioso ed infruttuoso, Duncan sospirò afflitto. Si portò gli indici alle tempie, per poi iniziare a massaggiarle palesemente spossato. Chiuse gli occhi, come alla ricerca di un inesistente conforto. Avvertiva le membra stanche ed il tempo infinito. Tutto stava andando lentamente con il rodersi, e non poteva credere che una delle sue poche e reali amicizie in quel mondo fosse sull'orlo di morire, sempre che non l'avessero già eliminata. Lui non poteva sapere. Non gli restava che supporre faticosamente  e sperare. Il tutto nonostante ormai, quella follia detta -per l'appunto- 'speranza' fosse divenuta una sorta di triste e cruda utopia. Nonostante non avesse mai pienamente accettato la presenza di Zoey nella propria vita, lui non la desiderava morta. Non poteva nemmeno immaginare il suo viso ridotto ad una maschera pallida e priva di vita.

Strinse la mascella fino a sentire quasi dolore, ancora le palpebre serrate. Non voleva aprire gli occhi, desiderava esclusivamente ripudiare quell'orribile realtà, dimenticare l'esistenza del Governo, dei repressori, di farne parte, e dei Gentiluomini. Si soffermò deciso su quell'ultimo pensiero, capendo bene che, se qualcuno era andato a fare visita alla ragazza, non potevano essere che loro: silenziosi, ma orribilmente letali.
Sospirò nuovamente, per poi corrucciare lo sguardo, improvvisamente concentrato in un nuovo rapido pensiero. Lo afferrò velocemente, certo che se non lo avesse colto in quel momento, lo avrebbe perso subito, ed immediatamente una consapevolezza piena di speranza ritrovata lo fece sorridere.


Aveva riunito tutti i ragazzi nel salone, pronto a condividere le nuove deduzioni, particolarmente orgoglioso di sé stesso. Sapeva bene cosa il resto della resistenza si aspettava: un attacco. Immaginavano probabilmente vendetta, follia e rabbia, ma Gwen lo aveva indirizzato con calma ed in modo cauto, e lui aveva riflettuto, ed aveva ben capito come, un attacco ad un ente di simile portata non avrebbe portato ad alcuna soluzione positiva. Loro erano pochi, impreparati e fin troppo corrotti dall'odio. Forse era vero, esistevano buone ragioni per combattere, ma il tempo non era ancora giunto. E comunque, non sarebbe dovuta essere la scomparsa di una ragazzina a farli mobilitare. Li avrebbero presi immediatamente.
"Allora, che succede?" la voce di Scott interruppe ogni pensiero del repressore, il quale si limitò ad esibire un sorriso sghembo particolarmente arrogante in risposta, fremente al desiderio di parlare. Prese un profondo respiro, prima di intervenire. Gli sguardi di ogni presente erano concentrati su di lui, in particolare quello di Thomas, spaventato e segretamente diffidente, insieme a quello di Gwen, preoccupato, ma fiducioso.
"Ho un'ipotesi"
"Riguardo Zoey?" domandò immediatamente la recluta, disinteressata al vocio che poteva essersi levato durante la breve pausa fatta dal repressore. Duncan annuì semplicemente, per poi sorridere nuovamente, questa volta in modo confortante, sperando di trasmettere quella propria positività anche all'amico. Volse poi lo sguardo al resto dei presenti.
"Non attaccheremo. Non oggi" chiarì subito, sperando di risuonare autorevole quanto più possibile "Non ne saremmo in grado" incalzò dopo pochi istanti. Si voltò in direzione di Gwen, temendo di incontrarla contraria, ma vedendola invece attenta ed accomodante.
"Perchè?" intervenì questa volta Geoff, facendo un passo avanti.
"Perchè siamo troppo accecati dall'odio e dalla paura" disse sinceramente il ragazzo, sperando che tutti attorno a lui capissero quanto, simili emozioni potevano risultare una distrazione " e perchè Zoey non verrà uccisa" aggiunse poi pacato il repressore, facendo immediatamente scattare ogni presente sul posto. Era convinto di ciò che diceva ed aveva più di una ragione per esserlo. Probabilmente la vita di Zoey era molto più in salvo in quel momento, di quanto lo sarebbe potuta essere di fronte a dei repressori. Non stava negando il fatto che la potessero torturare, ma la sua vita era per certo preservata.
"Come ne sei tanto certo?" domandò il ragazzo dagli occhi verdi -Thomas- dopo qualche secondo; nonostante credesse ciecamente nel militare di fronte a lui, non poteva negare di essere profondamente spaventato. In tutta la sua vita aveva incontrato ben poche persone che tenessero realmente a lui, e Zoey era stata tra quelle. Non poteva immaginarla morta.
"Ho riflettuto" si limitò a rivelare Duncan, per poi guardare la dark poco distante rivolgergli un sorriso ammirato. Ricambiò l'espressione di lei, per poi tornare a parlare "A prenderla devono essere stati i Gentiluomini"
Immediatamente, il sienzio più completo padroneggiò l'interno del locale. Il semplice fatto di nominare quelle particolari forze 'dell'ordine' simboleggiava terrore, ben più che sentire parlare di un repressore. I Gentiluomini erano esseri lugubri, inquietanti, sorridenti ed orribilmente scaltri, di quelli in grado di strapparti il cuore -letteralmente- mentre la vita scorre ancora in te. Erano sempre ordinati, fino all'ultimo lembo di stoffa ed amavano essere sadici.
"Ecco perchè, Duncan, dovresti dubitare della possibilità che sia ancora in vita" spiegò confuso Thomas, muovendo un paio di passi al centro della stanza.
"Calmati, Tommy, so cosa dico" lo interruppe il repressore severo "Fidati" incalzò dopo pochi secondi, vedendolo diffidente. Duncan prese un nuovo profondo respiro, pronto a descrivere la sua ipotesi, abbastanza certo della veridicità in essa.
"Vedete, I Gentiluomini, se non per il coprifuoco, irrompono su commissione" esordì, guardando uno ad uno i presenti "Ergo, qualcuno direttamente da ..." disse riferendosi al Governo stesso "... Li ha chiamati" spiegò "Devono averci intercettati, o qualche repressore deve avere fatto la spia su di me... Ma sta di fatto, che Zoey è stata presa, ma non verrà uccisa. Se qualcuno ha mandato i Gentiluomini, significa che questo 'qualcuno' desidera estorcerle informazioni... E non la uccideranno. Lei è troppo importante, capite?" domandò, ora sorridendo apertamente "Noi siamo quella crepa spaventosamente pericolosa all'interno dell'apparato governativo. Se non scoprono dove siamo, loro sono finiti. Tutti sapranno di noi, e tutti si sentiranno liberi di ribellarsi. Lei, essendo la sola a sapere, rappresenta anche la loro unica fonte di informazioni"
Il viso di Thomas si illuminò d'improvviso "Non la elimineranno convinti che noi torneremo all'appartamento... E' un'imboscata"
Duncan indicò il ragazzo, sorridendogli, facendogli segno che era esattamente quello il punto a cui il repressore voleva arrivare "Ci aspettano" disse dunque "Quei bastardi credono che andremo lì... Oppure direttamente alla base" aggiunse riferendosi al Governo stesso.
"...Ed ecco un'altra ragione per cui non si combatte" Asserì Gwen, anche lei recettiva alla questione.
"Esatto" confermò il repressore, annuendo orgoglioso del ragionamento.
D'improvviso, quello che nel frattempo era divenuto un sorriso sul viso della recluta, divenne nuovamente serietà "E dunque, che facciamo?" domandò il giovane.
Duncan sapeva che presto o tardi sarebbe giunta quella domanda, e se in un primo istante anche lui aveva avertito l'ansia  attraversarlo all'idea di trovarsi in una nuova fase di stallo, un'idea lo aveva poi illuminato poco dopo.
"A questo proposito, Thomas..." si apprestò a rispondere "Devi venire con noi"
"Noi, chi?" domandò il ragazzino dagli occhi verdi, muovendo un passo verso l'amico.
"Me, Scott, Gwen e Geoff"
I ragazzi appena chiamati prestarono immediatamente attenzione. Il fatto che il repressore avesse preso una simile decisione senza parlarne apertamente con loro infastidiva particolarmente Scott, eppure quest'ultimo rimase in silenzio. Guardò qualche istante Gwen, notandola accondiscendente, e limitandosi a seguirla. Sapeva bene quanto la giovane dark si affidasse all' -ormai- ex militare, e nonostante lui fosse decisamente più scettico, era anche ben certo che avrebbe seguito lei a testa alta ovunque.

Duncan osservò attentamente il viso dei ragazzi che aveva appena richiamato. I volti di ognuno di loro dimostrava palese confusione -comprensibile-, ma nessuno parlò. Questo fu un segno più che sufficiente per il militare. Aveva scelto di partire per la propria -segretissima- missione con loro perchè, dopo averli allenati per giorni, aveva ben valutato quali fossero i più capaci. Erano in procinto di correre un rischio ben oltre  che vitale, ma non esisteva altra soluzione. 
Per salvare Zoey dovevano risalire alla fonte, seppur con prudenza. Come poco prima lo stesso Duncan aveva detto, attaccare non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.

***

I cinque lugubri uomini trascinarono la ragazza sul pavimento lucido e marmoreo della stanza. I polsi di lei legati da funi spesse ed ormai impresse di quel colore vermiglio tipico del sangue ancora fresco. Uno di loro, quello più magro ed alto, la tirava per i capelli, incurante dei suoi gemiti di dolore e dei suoi singhiozzi pieni di paura e rimpianti. Si mosse sino al centro dell'enorme salone, ben più ampio di quello di un comune appartamento cittadino. Le altre quattro figure rimasero appena oltre la soglia, sorridenti ed ammirate di fronte lo spettacolo fatto di sangue e dolore offerto loro.
L'essere che trascinava con disinteresse la ragazza, tirandole spietatamente i capelli, lasciò d'improvviso la presa, facendole sbattere il viso a terra in un tonfo ribrezzevole. La giovane non tentò nemmeno di alzarsi, troppo dolorante in ogni parte del corpo. Ormai il suo viso era una maschera crespa e tesa di sangue rappreso, i suoi polsi doloranti erano stretti dalla fune spessa, non permettendo nemmeno al sangue di arrivarle alle mani. Le caviglie erano entrambe spezzate, ormai non più nemmeno arrossate, tendenti ad un colore violaceo e disgustoso. Desiderava morire. Non voleva altro. Se solo di fronte ai suoi occhi fosse apparsa la canna di una pistola, avrebbe probabilmente ringraziato l'universo per averla beata con la fine. Se avesse visto un coltello a terra, a pochi centimetri dal suo volto, avrebbe rinunciato alle sue ultime forze per raggiungerlo e piantarselo nel petto. Avrebbe fatto qualsiasi follia pur di dare un freno alle continue fitte di dolore. Ormai era sicura che presto anche i capelli avrebbero iniziato a sanguinare, come fosse stato possibile.  Aveva rinunciato a piangere, ed ora tutto ciò che si permetteva erano pochi gemiti frustrati, esaspetari, stanchi di vivere.

Non appena avvertì la presa sui suoi capelli scemare, il suo viso colpì il pavimento bruscamente. Avvertì il contatto con il marmo freddo a terra ed il dolore del colpo subito. Sentì il labbro spezzarsi contro i denti, ed il sapore di sangue divenne sempre più vivido e reale. Lo sputò disgustata, mentre lo stomato iniziava a dolerle insieme al resto. Poco prima quei cinque Gentiluomini l'avevano torturata brutalmente, procurandole più ferite con piccoli coltelli e bisturi da medico. 
Aveva spesso sentito parlare di quelle losche guardie, ma mai avrebbe creduto che quello sarebbe stato il suppplizio a lei spettato. Quasi le mancava quella cella in cui era rimasta rinchiusa per quattro giorni. Avrebbe preferito venire frustata a sangue che avvertire anche un solo secondo di più quel lancinante dolore. 

L'uomo che aveva 'accompagnato' la ragazza sino al centro della sala si voltò in direzione del resto dei suoi simili. Li osservò con un sorriso, quel dannato sorriso che non si cancellava mai dai loro volti, ed immediatamente i quattro gli applaudirono con ammirazione. Zoey non poteva vedere nulla con il viso a terra, contro il pavimento gelido, ma avvertiva i leggeri colpi delle mani che battevano tra loro. Digrignò i denti, sputando altro sangue.

D'improvviso, dall'altro lato rispetto ai Gentiluomini, si levò un nuovo applauso, ma differente. Era scandito con precisione, ed accompagnato dal rumore di passi che si avvicinavano con costanza. Dopo pochi secondi, Zoey avvertì l'ultimo passo arrestarsi a lato della propria testa. Nonostante la sua vista fosse ormai offuscata ed opaca, aveva chiaramente intuito -grazie all'udito- come il suono fosse scandito da dei tacchi alti, femminili.
Passò qualche secondo di silenzio prima che il rumore si allontanasse nuovamente, ora diretto verso i Gentiluomini.

La donna alta e rispettosa, dopo avere osservato con disgusto il corpo della ragazzina dai capelli rossi, si era diretta verso le guardie che avevano condotto la giovane da lei. Un sorriso comparve lentamente sul suo volto, mentre le sue mani si univano orgogliose. Si accostò ai cinque e li osservò attentamente, per poi parlare.
"Ottimo lavoro, ragazzi" si complimentò caldamente, come non riuscisse a comprendere nemmeno lontanamente la comune apprensione nei confronti di un corpo pesto ed in fin di vita poco distante, come non esistesse alcun cuore dentro lei. Si voltò verso Zoey, trasformando il proprio sorriso in un ghigno.
"Mi avete portato la persona giusta"
I cinque uomini si guardarono a vicenda, come a complimentarsi con il solo sguardo, incapaci di parlare, per poi tornare a prestare attenzione alla donna vigile e risoluta di fronte a loro.
"Ora potete andare" li esortò, sorridendo nuovamente loro, osservandoli attentamente camminare con eleganza sino all'uscita, per poi chiudersi la porta alle spalle. Sospirò leggera poggiandosi contro la porta in legno, per poi voltarsi verso la ragazzina. Mosse qualche veloce passo in sua direzione, fino ad accostarsi nuovamente  a lei. Si chinò, fino ad essere abbastanza in basso, per poi afferrarle i capelli bruscamente, tirandoli, il viso rigato di odio e rabbia. Cercò attentamente i suoi occhi spenti e socchiusi, per poi sorridere falsamente.
"Questa bambina sa troppi segreti..."






*°*°*°*°*

 
Angolo dell'autrice!!

Scusate il mio ritardino ino! ^^'' Ma cavolo, avevo per un attimo perso l'ispirazione (capacità di scrivere) ed ero in palla D: 

Comunque sia.... TA daaan! Visto? Zoey non è morta! Non capisco perchè tutti pensavate che fosse morta! Insomma! E' solo stata torturata a morte, ma è viva, eh! u.u

Voglio ringraziare tutti perchè lo scorso capitolo ha avuto davvero tante recensioni in una sola volta ed io ero super emozionata ^^

Grazie mille! Siamo al capitolo 17 e abbiamo già 71 recensioni ^^ siete i migliori! Grazie! Fatemi sapere anche sta volta che ne pensate! E' sempre una sapere leggere le vostre recensioni!

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Capitolo 18
*** Desert_Zone cap.18 ***


 
Desert_Zone
 


cap.18








La sera era ormai calata quando Duncan decise di partire per quella propria 'missione', come lui l'aveva definita. Nessuno sapeva di cosa si trattasse, eppure al repressore non era stata rivolta alcuna domanda. Il suo viso era tirato in un'espressione colma di sana determinazione, e questo -apparentemente- era sufficiente per tutti, persino per Scott.
Thomas si era unito ai quattro con accondiscendenza, senza un minimo di contrarietà, pronto a difendere ciò in cui credeva a spada tratta, e perciò, non appena il militare esperto lo aveva trovato necessario, aveva preso in custodia il furgone, ed aveva messo in moto il veicolo. Aveva  guidato per qualche isolato, poi era andato Duncan alla guida. Gwen non aveva parlato, e tutti i presenti lo avevano -silenziosamente- notato. Non si era imposta, come di suo solito, ma aveva semplicemente seguito mansuetamente gli uomini che la circondavano. Nessuno sapeva del bacio avvenuto tra i due, e certamente non sarebbero stati questi ultimi a parlarne apertamente. Stava di fatto che, per quanto infantile fosse, la dark non poteva osservare il volto del repressore, senza che l'immagine delle proprie labbra tanto vicine alle sue non la cogliesse alla sprovvista, imbarazzandola profondamente. Si domandava cosa avesse significato per il ragazzo il loro bacio.
Era terrorizzata all'idea di domandarlo, ma soprattutto di fronte la possibilità di ricevere una risposta troppo leggera, sì, perchè per lei si era trattato di uno tsunami travolgente, che le aveva completamente stravolto l'animo, già di per se costantemente turbato. Sentiva ancora delle fitte calde e piacevolmente dolorose all'altezza del petto, ed il solo modo in cui riusciva a reagire era restare in silenzio, e stringersi nelle proprie stesse braccia.

Scott aveva notato quei comportamenti strani da parte di lei, ma non aveva detto nulla. Doveva smettere di pensare costantemente a Gwen ed al suo bene, e concentrarsi una volta tanto su ciò a cui realmente ambivano. Forse, in quel solo frangente, era davvero giusto seguire la via che stava loro tracciando un ex-lecchino -come lui lo definiva- del Governo.
Effettivamente, avere al proprio fianco un alleato tanto esperto, in grado di strisciare furbescamente tra le spire di quell'orribile ente senza essere notato, era un vero vantaggio, e di questo era al corrente molto più di quanto il suo orgoglio gli permettesse di ammettere. Non gli piaceva Duncan, e probabilmente sarebbe sempre stato così, ma non poteva negare che avere come guida qualcuno di tale importanza, era davvero proficuo.

Si mossero per molti minuti, guidati dalle certezze del militare, e presto la sola cosa ad avvolgere le strade della città, oltre le luci fioche di pochi lampioni, fu il buio notturno. A quell'orario -quasi le dieci di sera- non vi erano più pedoni all'esterno, probabilmente intimoriti dalla presenza di Gentiluomini e repressori. Solo poche automobili sfrecciavano sulle strade, tutte militari, esattamente come il furgone sul quale erano. Era una vera fortuna il fatto che Thomas fosse ancora in carica, nonostante le molte assenze.
D'improvviso, senza alcun preavviso, Duncan svoltò bruscamente ruotando il volante verso sinistra. I passeggeri dovettero trattenersi per evitare di scivolare di lato, ma non appena apparvero sul fondo del vicolo buio in cui si stavano infilando due figure scure e confuse, tutti capirono il motivo di quell'improvvisa svolta. Si erano infilati, portando con loro l'automobile, in un vicolo cieco sul fondo del quale Duncan aveva individuato un repressore ed un Gentiluomo intenti a discutere. Probabilmente il primo stava spiegando al secondo quali fossero i palazzi più bisognosi di ricevere 'una visita'. Duncan assottigliò lo sguardo, per poi frenare, facendo gracchiare sull'asfalto le gomme dell'automobile. I due si voltarono immediatamente, improvvisamente illuminati dai fanali del veicolo.
"Scendete" fu l'ordine, decisamente non favorevole a repliche, dell'ormai ex-repressore, mentre apriva lo sportello, spegnendo il motore. Tutti lo seguirono senza dire nulla.
Mosse qualche passo all'interno del vicolo. Le due 'forze dell'ordine' erano imprigionate a causa dell'auto che bloccava ogni possibile via d'uscita, e Duncan si faceva avanti minaccioso.
"Quale sarebbe esattamente il piano?" domandò in un sussurro Geoff una volta accostatosi all'orecchio del punk, attento alle mosse che i due nemici di fronte a loro potevano o meno fare.
"Dobbiamo prendere il Gentiluomo, ovvio" rispose con ovvietà quest'ultimo,  non abbassando neppure il tono di voce, disinteressato al fatto che i due di fronte a lui potessero o meno sentirlo. 
Geoff, dopo un attimo di confusione, sorrise semplicemente, pronto a combattere dalla parte giusta. Scott e Gwen, una volta compreso l'obbiettivo, si concentrarono immediatamente su quest'ultimo. Dovevano prendere quell'orribile ed inquietante essere che stava sorridendo loro? Non capivano. Eppure, sapevano bene quanto Duncan potesse sapere del mondo sotto il potere governativo rispetto a loro. Tra tutti, solo Thomas restò più tempo restio, ben consapevole di un dettaglio che, però, era certo conoscesse anche il proprio amico, più avanti.

"Chi diavolo siete voi?" domandò alterato il repressore affiancato al Gentiluomo, estraendo dal fodero della cintura, una pistola. La caricò velocemente, ed in un istante puntò la canna dell'arma sulla fronte di Duncan pronto a sparare. Quest'ultimo rise semplcemente, cancellando la propria espressione frustrata e determinata, abbassando il volto e passandosi una mano tra i capelli in un atteggiamento improvvisamente amichevole.
"Seriamente non sai chi sono?" domandò poi, non appena fu nuovamente con il viso alzato "Insomma... La mia faccia la conoscono tutti e proprio tu, che sei un repressore, vuoi dirmi che non sai chi sono?"
L'uomo armato inclinò leggermente la canna della pistola verso il basso, mentre realizzava che, effettivamente, il volto del ragazzo sorridente che camminava in sua direzione gli era molto familiare. Osservò attentamente il sorriso sghembo ed astuto, e poi gli occhi azzurri e brillanti, ed infine la forma del viso, spigolosa.
"D-Duncan Smitt?" domandò in un soffio, decisamente stravolto dall'idea di avere di fronte a sé un morto.
"Già, proprio io!" esclamò il ragazzo, fiero del ragionamento dell'altro "Ora vuoi deciderti ad abbassare l'arma?"
"No!"
"No?" incalzò Duncan, decisamente incredulo di fronte la prontezza di spirito di quel repressore. Sorrise poi accomodante, gesticolando teatralmente con una mano "Spiegami allora le tue ragioni" acconsentì infine sistemandosi il colletto della camicia. Gwen, Scott, Geoff e Thomas assistevano alla discussione impalliditi. Non si aspettavaon certo che Duncan facesse 'conversazione' con il nemico, eppure non potevano fare nulla. Potevano capire come, attaccare in quel momento, fosse inadeguato.
"B-Beh..." iniziò a balbettare il militare; il Gentiluomo ancora al suo fianco contornato dal suo tipicamente orribile sorriso "Hanno detto che eri morto"
"Ma non lo sono, evidentemente"
"Perchè allora lo avrebbero detto?"
"Ti suona familiare il termine 'missione segreta'?" domandò Duncan, schernendo di proposito l'uomo di fronte a lui. Poteva dimostrarsi una mossa pericolosa, ma  doveva tentare il tutto per tutto per ottenere ciò che voleva: distrarlo.
"Mi hanno spedito in una missione contro un gruppo di ribelli, e per sorprenderli mi hanno dichiarato morto... Molto realistico, non è vero?" tornò a parlare l'ex-militare, sospirando poi stanco "ora, amico, dammi quella fottutissima pistola... Non sono in vena" Il suo tono ora, era nuovamente infuriato e freddo, e questo il repressore di fronte a lui lo notò. Cercò di alzare nuovamente la pistola, ma un colpo alla schiena proveniente dalle spalle, lo fece cadere a terra, facendogli scivolare di mano la rivoltella, che scivolò fino ai piedi di Thomas. La raccolse.
Gwen apparve dietro la figura del repressore, segno che era stata lei a colpirlo. Lei si chinò fino ad accostarsi all'uomo, ancora cosciente, ed afferrandolo per i capelli, lo tirò verso l'alto lentamente, facendolo gemere di dolore, per poi fargli colpire con il capo l'asfalto, provocando istantaneamente un ferita da tale da propagare sangue sulla strada.
"E' morto?" domandò Geoff, osservando il corpo del repressore.
"No" rispose immediatamente la dark, portandosi nuovamente in piedi e ripulendosi le mani dal sangue sfregandole contro gli shorts "Ma decisamente tramortito... Non si sveglierà presto"
"Bene" fece Duncan, per poi voltarsi dalla parte opposta al repressore, incontrando Thomas puntare la pistola contro il cranio del Gentiluomo "Abbiamo anche preso la nostra preda"

***

La donna fece risuonare i propri altissimi tacchi all'interno della stanza. Il suo passo era frenetico, scandito con chiarezza, ed incredibilmente nervoso. Sembrava colpisse persino il pavimento -mentre camminava- con odio. 
Entrò nella stanza reggendo tra le mani un bicchiere in cristallo colmo d'acqua. Si fermò qualche istante di fronte lo specchio, si sistemò la gonna lunga sino alle ginocchia, e poi proseguì il suo cammino in direzione della piccola ragazzina dai capelli rossi che aveva legato al centro della stanza. Aveva stretto i suoi polsi in manette spesse e ferrose, le cui catene erano appese al soffitto, e Zoey era così costretta a restare costantemente in piedi, con le caviglie doloranti. Se avesse fatto cedere le gambe, sarebbero stati i polsi ad iniziare orribilmente a dolerle. La stanza in cui l'aveva portata ricordava vagamente quella in cui, settimane prima, era stata torturata per mano di un gruppo di repressori. Le sembrava di essere lì improgionata da anni, nonostante la donna dai capelli castani che l'aveva rinchiusa le avesse detto fossero passate solo alcune ore.
Voleva morire. Desiderava avvertire, al posto che le manette fredde ai polsi, un cappio al collo, così da venire impiccata immediatamente. Era stata torturata orribilmente in quelle ore. Quella donna l'aveva colpita costantemente allo stomaco, fino a costringerla a rigurgitare più volte, oltre che sputare sangue. Le doveva probabilmente avere rotto più costole, perchè il dolore che avvertiva era divenuto ormai costante, ed il fatto che ormai faticasse a muovere le mani, e che non provasse più nulla da esse, andava a significare che ormai erano ridotte a carne morta.
Tentò di inumidirsi le labbra, ma ormai non poteva avvertire nemmeno quelle. Sapevano di sangue e ferro, ed il fatto che si sentisse completamente inerme e chiava di quel dolore, le toglieva ogni briciolo di dignità rimastole. Non poteva nemmeno vantarsi di essere rimasta in piedi nonostante tutto, infondo lo faceva solo per non gravare il proprio peso sui polsi, addolorandosi ulteriormente.

Con un colpo brusco, la donna dai capelli castani aprì la porta, entrando a passo svelto dentro la 'cella' di Zoey. Guardò la ragazzina completamente stravolta, ormai priva di forze ed attese che alzasse il volto per guardarla. Aveva il viso chinato ed i capelli, ormai spettinati e non più acconciati in due piccole code di cavallo, le ricadevano in faccia, coprendone ogni parte, che fossero occhi, naso o labbra.
"Alza il volto"
Quella frase risuonò come un ordine, ed immediatamente Zoey si sentì in dovere di obbedire. Poteva forse farle di peggio quella donna? Non voleva saperlo, ed era certa che, un modo per evitare di venirne a conoscenza, fosse proprio acconsentire ad ogni sua richiesta senza remore. Tentò di alzare il mento più volte, ma non ci riuscì. Constatò come i muscoli avessero smesso di risponderle, e di come i polpacci avessero iniziato a pulsare stremati. Sospirò afflitta, mentre la donna che l'aveva racchiusa la osservava disgustata.
"Muoviti" incalzò, ma Zoey non si mosse, incapace di obbedirle. Avrebbe voluto farlo, avrebbe voluto gridare che non ce la faceva, ma nemmeno parlare era divenuto facile. La donna si mosse dunque verso la rossa, ancora con il bicchiere tra le mani, ed afferrandole il mento tra pollice ed indice, glielo sollevò bruscamente, disinteressata al dolore che la giovane potesse sentire per i movimenti troppo affrettati. La sentì trattenere un grido disperato, ma non se ne curò affatto.
"Apri la bocca, ragazzetta" le ordinò secca, costringendola a spalancare le labbra stringendole le guance con brutalità. Zoey eseguì, respirando con affanno per i troppi sforzi. La donna le portò dunque il bicchiere alle labbra, e rovesciò poi il suo contenuto dentro la sua bocca, facendola quasi soffocare per la fretta. La giovane cercò di tossire, malriuscendoci, e si ridusse quindi a sputare più di metà dell'acqua che il bicchiere, poco prima, conteneva. Eppure, per quanto ci riuscì, tentò di ingurgitare il più possibile, per pochi istanti beata da quella freschezza che la attraversava totalmente.
Immediatamente, la donna dai capelli castani, lasciò la presa sul suo viso, facendole nuovamente abbassare il capo verso il pavimento. Per poco i polpacci di Zoey non cedettero per il movimento improvviso, ma in uno spasmo di orgoglio, riuscì a restare in piedi. Tentò di serrare le proprie mani in pugni, ma non avvertì nulla, se non i polsi tirare stretti dalle manette. Respirò ansante.
"Bene" fece la donna, allontanandosi nuovamente dalla porpria prigioniera "Ora starai a posto  ancora un po'..." disse nervosa "Sai, piccoletta? Sei troppo..." tornò a parlare, avvicinandosi nuovamente, afferrando come poco prima il suo viso ed inclinandolo in modo che fosse diretto verso il suo. La osservò con odio, seppur sorridendo completamente folle "Sei troppo dannatamente preziosa" Riprese poi, poggiandole delicatamente contro il cranio il bicchiere di cristallo fine, ed iniziando a pressare con rabbia fino a quando esso non esplose andando in mille pezzi, molti dei quali si conficcarono nella carne di Zoey. La donna non se ne preoccupò molto, decisamente divertita di fronte la vista di nuovo sangue che sgorgava dalle ferite di lei, e con un sorriso restò semplicemente ad ammirarla in silenzio.
Zoey avvertiva il suo sguardo su di lei, ed il sangue caldo colarle sulla pelle. Sentiva la maglietta aderire alla pelle a causa di quel liquido vermiglio, e pur di non vedere quello scempio, mantenne gli occhi chiusi. Li serrò con forza, imponendo a se stessa di restare così, completamente isolata dalla realtà, per quanto facesse male.

Dopo molti minuti capeggiati dal silenzio, la donna dai capelli castani parlò nuovamente, questa volta sussurrando maligna.
"Sei una bambina stolta, sappilo" le disse con calma, come se stesse parlando con una persona perfettamente capace di intendere o volere, e non con quella ragazzina più morta che viva che teneva legata al centro di una cella umida e fredda "Oppure... Sei decisamente intelligente"
Zoey poteva udire le sue parole, ma non prestava loro realmente ascolto. Era troppo concentrata sull'estraniare il dolore. Nemmeno lei sapeva come facesse a non gridare disperata, eppure ce la stava facendo. Riusciva a tenere le labbra rosse serrate, nonostante il dolore perenne, e nonostante fosse certa che, presto o tardi, ne sarebbe giunto di nuovo.
Avvertì nuovamente i passi della donna avvicinarsi a lei, poi il suo fiato esattamente nel suo orecchio "Ma ti conviene parlare..." mormorò la donna dai capelli castani, facendosi risoluta "Sappiamo che tu sei più coinvolta di quanto sembri..." La donna esibì un largo sorriso, sempre accostata all'orecchio di Zoey "Me lo hanno detto..."

***

"Non parla?" domandò Gwen, entrando dentro la stanza nella quale Duncan ed il Gentiluomo -divenuto ostaggio- erano rimasti soli intere ore. Il militare aveva legato il busto dell'inquietante figura ad una sedia, lasciandogli però libere le braccia. Gwen non ne aveva compreso la ragione, ma non aveva detto nulla.
Il Gentiluomo aveva mantenuto per tutto il tempo quell'orribile sorriso sul volto, esibendo i propri denti lucidi come un trofeo d'orgoglio. Duncan era semplicemente rimasto di fronte a lui, seduto sul bordo del letto di Thomas, ad osservarlo. Teneva tra le mani un quaderno bianco ed una penna, ma ancora non aveva appuntato nulla sulla carta. La dark si mosse dentro il locale lentamente, osservando con la coda dell'occhio l'ostaggio che non tentava nemmeno di dimenarsi per trovare una via di fuga. Si sentiva costantemente inquietata vicina a quel ribrezzevole essere, ma Duncan, invece, sembrava perfettamente conscio delle proprie scelte. Una volta sedutasi al fianco del punk, si domandò per quale ragione non avessero preso il repressore, invece che quel Gentiluomo. 
Lo osservò nuovamente: il viso pallido e gli zigomi pronunciati, il completo perfettamente in ordine e le scarpe lucide sino all'ultimo millimetro. Dopo una breve analisi, gli occhi di lei caddero sulla valigetta accanto a Duncan.
"Che cos'è?" domandò la ragazza, accennando con il capo verso la ventiquattro ore in pelle nera opaca. Il militare seguì il suo sguardo, per poi afferrare la borsa ed aprirla di fronte lo sguardo confuso di Gwen. Dentro la valigia vi erano innumerevoli bisturi da chirurgo, alcuni perfettamente lucidi, altri sporchi di sangue raprreso.
"Questi...?" tentò di domandare lei, non riuscendo però a proseguire, confusa.
"Sono i loro 'strumenti di lavoro'.." Spiegò dunque Duncan sospirando. Afferrò uno dei tanti attrezzi -tutti identici- dalla piccola valigia, e lo analizzò attentamente "Li usano per torturare le loro vittime. E' davvero orribile... E incredibile come un'arma all'apparenza tanto innocente, possa in realtà fare sgorgare tanto sangue."
Gwen lo guardò attenta, mentre il militare  sistemava nuovamente l'oggetto nella ventiquattro ore, per poi riporre quest'ultima.
"Dissanguano le vittime poco a poco, procurando loro piccole, quanto dolorose ferite. In questo modo, nonostante non siano particolarmente forti, riescono a tramortire la preda e a portarla a destinazione"
"A destinazione? Intendi la base Governativa?"
Duncan annuì, e lei fece altrettando, mentre il silenzio tornava a calare su entrambi; lei troppo imbarazzata riflettendo sul bacio, alla ricerca di un nuovo argomento di discussione.

"Perchè non parla?" domandò dopo interi minuti "Perchè continua a sorridere?" incalzò poi sempre Gwen. Detestava quell'atteggiamento così disinteressato e privo di timore. Probabilmente, se mai avesse dovuto dare un volto alla crudeltà, sarebbe stato quello dell'essere che, in quel momento, la stava guardando con un sorriso indelebile ed orribile.
"Gli è stata strappata la lingua"
Quella frase spiazzò completamente la ragazza, la quale si voltò immediatamente confusa verso Duncan "L-La lingua?"
Lui annuì "Vedi, i Gentiluomini devono essere guardie silenziose  e severe." tornò a parlare il ragazzo, osservando l'ostaggio di fronte a loro "Quando ancora sono umani, sono persone esattamente come noi."
"E come ci si riduce a diventare così?" chiese immediatamente la ragazza, ora con il viso macchiato di orrore "Chi si ridurrebbe così?" Chiarì presto.
"Si tratta di ribelli che, dopo essere stati torturati dalle spie Governative, si sono arresi ad un destino differente dalla morte." rivelò Duncan con un'espressione fredda e distante "Proprio quando sono in fin di vita, viene posta loro la domanda... Ed è lì che puoi scegliere se diventare Gentiluomo"
"E cosa succede se accetti di diventarlo?"
"Ti strappano la lingua, letteralmente" soffiò il ragazzo, osservando attento lo sguardo dell'essere di fronte a loro "Vivere è stata la tua grazia, ma hai tradito il Governo, e per il peccato da te compiuto, non avrai più il diritto di proferire parola o rivelare segreti. Ma puoi redimerti, almeno in parte, servendo ciò che il Governo ordina" mormorò il militare, ripetendo a memoria uno dei tanti decreti della loro costituzione, sentendosi completamente sconvolto. Sapeva da tempo una tale verità, ma per la prima volta la vedeva per come effettivamente era: tortura. Ma non semplice tortura, quanto un vile modo di privare un essere di dignità.
Gwen osservò attemante l'ostaggio, poi Duncan. Lo vide con lo sguardo vitreo perso in una sua segreta riflessione. Lei era disgustata. Non aveva mai ipotizzato una simile sadicità, eppure ecco che ne era testimone. L'essere di fronte a loro un tempo era stato un umano come tanti, e non un oggetto di simile follia. Un tempo, poteva persino essere considerato un loro compare, ma tutto ora era mutato. Ormai, quell'anima che prima la persona preservava, si era ridotta a polvere di una dignità sbiadita.
"Ed il sorriso?" domandò, seppur spaventata dalla possibile risposta, Gwen.
"Anche quello è tutto finto, Gwen" spiegò Duncan, deglutendo a vuoto mortificato "Vengono serrati i denti e tesi i muscoli facciali... Come vedi il viso è sfigurato."
La ragazza si irrigidì, notando per la prima volta le cicatrici che adornavano i lati del viso, in corrispondenza delle guance. Stava per domandare come potessero nutrirsi, ma non appena abbassò il viso in corrispondenza del polsi, notando dei piccoli fori in essi, dedusse si trattasse di innumerevoli flebo. Posò poi il suo sguardo sul qualderno tra le mani di Duncan, e immediatamente comprese le ragioni per cui avesse scelto il Gentiluomo a differenza del repressore. Il loro ostaggio non era in grado di ribellarsi o gridare e, nonostante non potesse parlare, doveva essere in grado di scrivere. Ecco il motivo per cui Duncan aveva con sé quei fogli e la penna.

Sospirò, per poi tornare ad osservare la figura legata di fronte a loro. Era completamente sconvolta, e non poteva veramente credere che qualcuno avesse l'ardore di scegliere quella possibilità rispetto alla morte.
"Ma chi sono i folli a scegliere un simile destino?"
"Molti più di quanti immagini"





 

Angolo dell'autrice!

Per chi ha letto le mie passate ff... Sa che doveva arrivare un momento Horror/Thriller come questo! Ahahah! Ma non temete! La DxG si muoverà a pari passo con tutto e Zoey.... Vedrete u.u

Spero vi sia piaciuto questo capitolo! A me piace scrivere quelli come questi, quindi io mi sono diverita! Ringrazio tutti quelli che recensiscono, e spero tanto che anche questa volta vedrò tante nuove recensioni *^*

un bacio ♥
-Sara

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Capitolo 19
*** Desert_Zone cap.19 ***


Desert_Zone


 
cap.19




"Avanti amico, scrivi"
Duncan, ormai decisamente stanco di attendere, dopo ore sprecate a ricorrere alle parole, aveva estratto dalla propria fondina una pistola che, nonostante fosse di piccolo calibro, era decisamente capace di portare a termine la vita di un -sin troppo- silenzioso Gentiluomo. Ora puntava l'arma sulla fronte dell'essere che, di fronte a lui, continuava imperterrito ad esibire il proprio indelebile sorriso. Aveva già fatto scorrere il carrello sul corpo della pistola perciò, a quel punto, non doveva fare altro che premere il grilletto ed abbandonare il corpo privo di vita di quella guardia in una zona sufficientemente nascosta dalle spie Governative.
Gwen era seduta al fianco del militare, ed osservava quella figura inquietante ed inaffidabile decisamente diffidente. Sapeva che ormai lo avevano in pugno: se ciò che Duncan le aveva detto era vero, il profilo di un Gentiluomo doveva corrispondere a quello di una persona dal carattere volubile e vigliacco, perciò la canna di una pistola puntata alla tempia non poteva fare altro che metterlo alle strette.
"Sai che non sto scherzando" tornò ad incalzare l'ex-repressore dopo qualche minuto, decisamente innervosito. Scuoteva il capo in dissenso, e continuava a mantenere l'arma puntata con attenzione "Mi hai visto fare scorrere il carrello, ed ora vedi il mio fottutissimo dito contro il grilletto." mormorò minaccioso, sorprendendo quasi Gwen, che non lo aveva mai visto tanto netto e severo a parole "Dicci ciò che sai su Zoey e sopravviverai"
Duncan non stava mentendo. Non lo avrebbe ucciso se lui li avesse aiutati, ma ciò non andava a significare che gli avrebbe ridato la libertà. Era una decisione troppo rischiosa, decisamente.
Lo sguardo del Gentiluomo restò qualche momento fisso in quello del militare, poi passò negli occhi scuri della dark. Immediatamente, lei avvertì una scossa di terrore percorrerle l'intera lunghezza della spina dorsale. Non aveva mai visto occhi tanto spietati e freddi, eppure ciò che aveva di fronte non ostentava altro. Fu lei, dopo poco, a cedere al suo sguardo viscido e penetrante. Sembrava in grado di leggerle dentro.
"Lasciala stare" gli ordinò Duncan una volta notato lo sguardo del Gentiluomo su Gwen. L'ostaggio immediatamente si voltò verso il militare.
"Se vuoi vivere, decidilo velocemente"
Questa volta, non appena il punk ebbe pronunciato quelle parole, la ragazza porse al gentiluomo la penna, per poi mettergli di fronte il quaderno pregno di pagine bianche e mai utilizzate. Gwen vide la sua mano ossuta alzarsi lentamente, e presto le sue dita affusolate avvolsero l'anima della stilografica poi, dopo qualche secondo di titubanza, il Gentiluomo si abbandonò all'idea di scrivere.

Fu veloce, troppo a parere di Duncan, ed una volta che l'ostaggio abbassò la mano, certo di avere concluso il proprio lavoro, il militare e la ragazza si apprestarono a leggere ciò che era stato scritto. Solo una parola spicccava al centro della carta biancastra, leggermente sporcata dal tempo.

'Ribelli'

Duncan rilesse più volte, rimendo costantemente confuso dalla situaizone. Gwen fece altrettanto. Presto quest'ultima alzò il proprio volto verso quello del loro ostaggio, ma nulla trapelava da quegli occhi freddi e distanti. Probabilmente era semplicemente sollevato di avere salva la vita.
Abbassò nuovamente lo sguardo sul quaderno, ma nulla cambiava. Solo quella semplice parola poteva forse rappresentare un tanto importante indizio? La ragazza sperava di sì, ed altrettanto faceva il militare, il quale guardava con attenzione ogni singola lettera che componeva quel vocabolo. Il suo viso era contratto in un'espressione tesa, e la canna della pistola aveva finalmente abbandonato la tempia del loro ostaggio.
Entrambi mantennero il silenzio per interi minuti, fino a quando non fu Gwen ad intervenire, con una mente ben più lucida rispetto a quella del ragazzo "Dobbiamo andare alla base dei ribelli. Qualsiasi cosa ci sia sotto, si trova lì." sospirò, rileggendo per l'ennesima volta quella parola che si era impressa a fuoco nelle sue membra stanche "Forse loro sanno qualcosa... Forse possono aiutarci" aggiunse infine.
Duncan annuì, per poi uscire velocemente dalla stanza.

"Thomas prendi il furgone e metti in moto"
Duncan aveva fatto irruzione nel salotto velocemente, ben poco predisposto ad intrattenersi in inutili convenevoli. Tutti si erano voltati verso di lui, leggermente preoccupati, facendo calare un silenzio generale in sala, ma tra i tanti, solo il diretto interessato si era avvicinato.
"Che succede? Dove andiamo?" domandò confuso il giovane dagli occhi verdi, passandosi velocemente una mano tra i capelli chiari scompigliandoli appena.
"Facciamo una visita ai tuoi amici..."

***

"Cosa intendi dire?"
La voce isterica della donna risuonò all'interno della sala con prepotenza. Aveva appena ricevuto una chiamata -solo coloro appartenenti all'ente governativo avevano il diritto di possedere un cellulare o telefono che fosse- ed, evidentemente, la notizia ricevuta non doveva essere delle migliori. Passò qualche nuovo secondo di silenzio poi, la voce della ragazza dai capelli castani tornò a rimbombare dentro il locale.
"In coma?"
Zoey udiva quelle parole sconnesse, non potendo minimamente immaginare cosa effetivamente fosse accaduto. Era ancora prigioniera, con i polsi stretti in morse metalliche, ed ormai era certa che a breve le gambe avrebbero definitivamente ceduto, portandola a sopportare un dolore decisamente accecante. Le torture, nelle ore passate, non si erano affatto ridotte, bensì la donna che la teneva bloccata con tanta caparbietà, aveva sperimentato nuove tecniche, ed utilizzato più strumenti per provocarle dolore. Le aveva inciso le guance con un bisturi,  le aveva trafitto con un coltello il palmo della mani, ma ciò che più l'aveva spaventata era stata l'ultima minaccia ricevuta: le avrebbe tagliato la bocca, dividendole le labbra sino alle orecchie, se solo la giovane rossa non avesse parlato. E Zoey sapeva, che presto, sarebbe ceduta.
"Un repressore non finisce in coma per un semplice corpo a corpo..."
La voce della donna era tornata a gridare interdetta. Dunque la notizia che le era giunta alle orecchie era questa? Zoey sospirò. Potevano essere ben poche le persone ad azzardare tanto, e sperava vivamente che una in particolare fosse Duncan, magari in procinto di salvarla.
"Chiunque lo ha attaccato deve essere stato sottoposto ad un addestramento" tornò a risuonare la voce, deducendo qualcosa di fondamentale.
"No, non possono essere stati i ribelli" disse determinata la donna, probabilmente rispondendo ad una deduzione errata fatta dalla persona oltre la cornetta del telefono "Ormai loro non possono farci più nulla."
Un sorriso -ghigno- sadico si dipinse velocemente sul suo volto.

***

Giunti di fronte l'edificio che solo pochi giorni prima li aveva ospitati, Thomas spense il motore del proprio veicolo. Erano solo in tre quella volta: solo lui, Duncan e Gwen, in missione per un motivo al giovane completamente sconosciuto. Non gli avevano detto nulla, se non che lui era fondamente e che doveva guidarli sino alla base ribelle. La recluta aveva obbedito senza opporre resistenza, ed una volta arrivati, si era fatto avanti verso la porta d'ingresso.
Bussò con determinazione, per poi attendere. Aveva battuto tre colpi sulla superficie metallica, ed ora era in attesa di vedere quell'uomo, che per mesi gli aveva consegnato segretamente missive, aprire loro; ma nulla accadde.
"Perchè non rispondono?" domandò Duncan confuso, guardando attentamente l'edificio, non notando alcun particolare che potesse portargli eventuali indizi. Thomas bussò nuovamente, questa volta bettendo più colpi, e dando maggiore forza, ma ancora non vi furono risposte. Ripetè l'azione un'ultima volta, udendo come risposta solo che l'eco dei pugni contro la porta serrata. Gwen lanciò uno sguardo veloce e preoccupato a Duncan.
"Entriamo" sancì poi la ragazza, guardandosi qualche secondo attorno. Una volta appurata l'effettiva assenza di nemici nelle vicinanze, afferrò la pistola che nascondeva sotto la giacca del tailleur scuro, ed una volta caricata, la puntò contro la serratura. Immediatamente, Thomas e Duncan si coprirono le orecchie, mentre la ragazza assottigliava lo sguardo, pronta al boato causato dal colpo. Sparò tre colpi, entrambi perfettamente studiati, a pochi secondi l'uno dall'altro, dritti contro la serratura della porta metallica, danneggiandola. Duncan si fece avanti aprendola, ed immediatamente i tre entrarono nell'edificio, attenti che nessuno li avesse notati, o li stesse seguendo.

All'ingresso non notarono nessun uomo pronto ad accoglierli. I loro passi rimbombavano in modo decisamente macabro nei corridoi, dove tutto sembrava essere stato completamente abbandonato e decisamente in troppa fretta. Gwen nascose nuovamente la pistola, mentre iniziava a farsi largo tra le varie ale dell'appartamento, seguita da Thomas.
"Fermi, venite a vedere" li richiamò dopo breve Duncan. I due si voltarono, vedendo il militare chino sul pavimento, attento ad esaminare dei piccoli frammenti probabilmente trovati su esso. Thomas e Gwen si accostarono al punk, intuendo immediatamente cosa quest'ultimo reggesse tra le mani.
"Proiettili..." soffiò la ragazza, sgranando gli occhi scossa.
"Li hanno attaccati" aggiunse Thomas, deducendo come dovesse essere avvenuto uno scontro a fuoco, probabilmente poco prima del loro arrivo. Il giovane si alzò poi in piedi tremante, estraendo la propria pistola dalla giacca del completo, ed iniziando ad avanzare tra i vari corridoi. Giunse nel salotto, riscoprendolo come una scena di morte e sangue. In totale erano cinque i corpi privi di vita in quella stanza, tutti immersi in differenti pozze di quel liquido vermiglio. Si accostò ad ognuno di essi, ma vano. Ogni persona era stata ferita in modo mortale, chi alla testa, chi al cuore od ai polmoni. Trattenne il fiato sconvolto. Non aveva mai assistito ad una scena simile tanto da vicino. Ne aveva sentito spesso parlare, sì, -e come non farlo?- ma mai era stato tanto vicino ad una carneficina del genere. Tutte le persone di fronte a lui erano morte. Iniziò a scuotere il capo scosso, mentre tentava disperatamente di non fare arrivare alle sue narici l'odore del sangue versato ingiustamente.
Presto anche Gwen e Duncan fecero il loro ingresso all'interno della stanza e, nonostante le loro reazioni non furono ostentate come quelle di Thomas, entrambi rimasero comunque parecchio colpiti dalla macabra scena che si era presentata loro davanti. La ragazza mimò qualche parola con il labbiale, non facendo però uscire alcun suono, mentre l'ex-repressore si precipitò immediatamente all'interno delle altre stanze, trovando in ognuna di esse il medesimo spettacolo: donne e uomini privi di vita, con un buco nel petto, od un proiettile nel cervello.
"Cazzo..." imprecò sottovoce, ormai giunto nell'ultima stanza. Si passò una mano tra i capelli, sempre reggendo la rivoltella, pronto ad una eventuale imboscata. Era esausto, ed il solo indizio che il Gentiluomo era stato in grado di dargli si era ridotto in un macello di anime. Si lasciò contro la parete della sola camera da letto all'interno dell'appartamento, per poi sedersi a terra. Serrò gli occhi di fronte quei corpi ancora caldi, e si morse il labbro inferiore, deglutendo a vuoto un paio di volte, ed imprecando ancora più e più volte.
Perchè era tutto così dannatamente difficile?

Gwen era rimasta in salotto con Thomas. Non era più riuscita a muovere un muscolo. Reggeva la pistola svogliatamente, tenendo la mano abbadonata contro un fianco, priva di energia o prontezza. Era stravolta. Da quando aveva lasciato la Desert_Zone, tutto si era complicato. Tutti stavano lentamente morendo.
Osservò attenta il ragazzino al suo fianco, sentendosi colpevole. Se lei non fosse mai arrivata in quella città, sarebbe mai accaduto tutto quello? Probabilmente no. Con ogni probabilità, Thomas sarebbe andato avanti nella sua vita, non dovendo incontrare rischi come una morte tanto truculenta, e potendo vantarsi di un reale cognome, regalatogli per buon cuore. Ed invece, da quando lei era arrivata, tutti rischiavano la vita, giustificando se stessi parlando di giustizia e destino, senza mai incolparla effettivamente. Eppure, chi era  a capo di quella scarna resistenza? Lei. Era sempre stata lei.

D'improvviso, come risvegliatosi da un lungo stato di trans, Thomas iniziò a camminare velocemente attraverso i corridoi e le varie stanze, fingendo disinteresse di fronte quei tanti corpi privi di vita "Alan?" chiamò determinato, decisamente poco deciso all'arrendersi "Alan Carrigan?" incalzò dopo breve, giungendo nel bagno. La ragazza lo seguì lentamente, confusa da quei comportamenti. Duncan era scomparso in una delle tante stanze, e tutto ciò che sapeva era che non doveva restare sola. Non doveva rischiare di riflettere.
Osservò i movimenti rapidi ed agitati del ragazzo dagli occhi verdi, per poi udire un brontolio strozzato poco lontano da lei. Cercò tra i corpi qualcosa che potesse farle capire che ciò che aveva udito non era immaginazione, fino a che non notò una mano muoversi stanca tra le tante. Si accostò  immediatamente al corpo in questione, incontrando il viso vacuo e perso dell'uomo che solo pochi giorni prima aveva rifiutato di aiutarli. Anche lui, ora, stava morendo a causa sua.
"Thomas!" lo chiamò Gwen, la voce ridotta ad un rantolo disperato. Presto il ragazzo le fu accanto, assorto di fronte la vista dell'uomo ancora vivo, seppure per poco.
"Alan..." mormorò il giovane, afferrandogli il polso. C'era poco tempo, poteva sentire i battiti cardiaci dell'uomo scemare lentamente.
"N-No-One..." si sforzò di dire Carrigan, sospirando ansante. Sia Thomas che Gwen potevano chiaramente vedere il foro che uno dei tanti proiettili gli aveva procurato all'altezza del petto, probabilmente in corrispondenza del polmone. Loro non potevano salvarlo, constatarono a breve. La ragazza immediatamente iniziò a premere i palmi delle proprie mani in corrispondenza della ferita, sperando di potergli donare anche solo qualche secondo in più.
"Cosa è accaduto? Chi vi ha attaccati?" domandò Thomas allarmato. Poteva vedere la smorfia di dolore sul volto dell'uomo, ma non era in grado di fare altro se no assisterlo in quei pochi istanti prima della dipartita.
"U-Uno di n-noi..." cercò di spiegare Alan "U-Uno dei ribell-li... Era una s-spia"
"Devono averci seguito. Probabilmente, hanno scoperto di Zoey in questo modo" intervenne Gwen, guardando attenta gli occhi della recluta, che annuì concorde. Erano stati ingannati da un ribelle, uno di cui pensavano di potersi fidare.
"Quale è il suo nome, Carrigan?" domandò la recluta d'improvviso, non ottenendo però alcuna risposta. Osservò il viso pallido dell'uomo qualche istante, prima di abbandonarsi definitivamente all'idea che quest'ultimo fosse morto. Gwen, lentamente, alleggerì la pressione che esercitava sulla ferita dell'uomo, fino a che non tolse completamente la mano, permettendo al poco sangue rimasto di sgorgare. Si alzò in piedi sospirando, per poi abbassare lo sguardo sui suoi palmi pregni di sangue fresco. Avvertì le mani tremarle, e l'ansia salire lentamente: stava tutto accadendo a causa sua.

Colpevolizzarsi, colpevolizzarsi, colpevollizarsi...

Guardò qualche secondo Thomas, il quale la scrutava preoccupato. Gli sorrise semplicemente, sperando di tranquillizzarlo, per poi dirigersi in bagno, decisa a lavarsi le mani.

***

Attaccò il telefono con rabbia. Uno dei suoi preziosissimi repressori era ridotto in coma, e nessuno era testimone dell'accaduto. Doveva fare qualcosa, trovare un modo perchè nessun altro venisse a conoscenza di quello spiacevole avvenimento, ben poco consono al Governo. 
Lanciò una breve occhiata all'orologio che spiccava al centro della parete di fronte a lei. Era ancora troppo presto per attivare i Gentiluomini, ma aveva ancora tempo per divertirsi con quella stupida ragazzetta decisamente troppo poco propensa a parlare. La innervosiva, la rossa. Se non avesse iniziato a dirle qualcosa in fretta, le sue terture nei suoi confronti sarebbero andate con il peggiorare, sino a degenerare completamente. Aveva già pronta una lama abbastanza affilata da aprirle le labbra, deformandole disgustosamente il viso. Sorrise di quel suo tipico ghigno orribilmente sprezzante e brutale, per poi lanciarle una breve occhiata. Era in fondo alla sala stremata, ancora cocciuta nel reggersi in piedi, come potesse aiutarla a mantenere in vita quella dignità che ormai non c'era più.
Si diresse verso il ripiano bar della stanza, e si versò un po' di Scotch -quell'alcol tanto vietato al popolo sotto il Governo-. Si abbandonò a sedere su una lussureggiante poltrona rivestita in pelle, per poi scuotere leggermente il bicchiere tra le sue mani. Accavallò le gambe, alzando leggermente la gonna ed osservò attenta il liquido alcolico che si era appena versata. 
Un paio di colpi inferti alla porta la risvegliarono dalla propria contemplazione. Alzò lo sguardo, per poi sospirare "Avanti"
Un uomo alto e ben abbigliato fece il suo ingresso all'interno dell'immenso salone. Esibiva un sorriso soddisfatto e ben disposto, cosa che immediatamente le mise il buon umore. Prese un breve sorso di scotch, per poi alzarsi ed abbandonare il bicchiere sul ripiano bar, diretta verso l'uomo che era appena entrato.
"Allora?" gli domandò in attesa di ricevere buone notizie.
"Tutto fatto, Courtney. Ogni singolo ribelle all'interno di quella base è morto" rispose fiero lui, esibendo la propria arma, e tendendola verso la donna. Lei sorrise soddisfatta, afferrando la pistola e guardadone il dorso in ferro perfettamente lucido, notando su essa lievi macchie vermiglie, segno che aveva effettivamente ucciso di recente.
"Perfetto, hai svolto il tuo compito in modo esemplare, ma c'è un piccolo problema" spiegò la ragazza, facendo corrucciare il volto dell'uomo "Tu sai troppo"
Detto ciò, lo uccise con un colpo veloce, dritto alla tempia. L'uomo, fino a pochi secondi prima sorridente e fiero di sé, cadde a terra morto, lasciando sotto di sé una disgustosa pozza di sangue. La ragazza sorrise, per poi poggiare sul ripiano al proprio fianco l'arma. Strofinò le proprie mani contro la sua gonna, e poi tornò ad afferrare il proprio bicchiere di scotch, accomodandosi sulla poltrona.

***

Gwen sfregò le proprie mani l'una contro l'altra con maniacalità, fin quasi a vederle sanguinare. L'acqua che le bagnava era fredda ed il sangue era ormai scomparso da minuti interi, quando Duncan fece il proprio ingresso dentro il bagno. La ragazza alzò subito il proprio volto verso il militare. I suoi occhi ebano erano lucidi e spaventati, completamente sgranati, ed oltre essi lo si poteva vedere, un dolore invisibile. Duncan le si avvicinò apprensivo; anche il suo sguardo era una maschera ricolma di ferite e pentimento, anche se lei non riusciva a comprenderne la ragione.
"Gwen, stai bene?" domandò il ragazzo, avvicinandosi a lei e chiudendo l'acqua, facendole ritrarre le mani d'improvviso. Lei annuì semplicemente, non dicendo però nulla. Era scossa, e molto. Tornò ad osservare i propri palmi, come aveva fatto poco prima, avvertendo una forte scossa attraversarla, notandoli ora completamente puliti, seppure leggermente arrossati per il troppo sfregarsi.
"No, invece..." le mormorò lui, afferrandole d'improvviso le mani, distraendola dai propri pensieri. Gwen alzò immediatamente il volto, incontrando gli occhi tanto chiari di lui, seppur incredibilmente profondi, e vi si immerse. Improvvisamente, tutto ciò che desiderava era che Duncan non se ne andasse mai, e che il tempo si fermasse così: lei stretta nella presa di lui.  Come poteva capire tanto? Come poteva rendersi conto, ancora prima di lei, di quanto dura era? A volte lo detestava, alle volte voleva davvero che lui se ne andasse e smettesse di farla -inconsapevolmente- soffrire, con quella gelosia ingiustificata, ma poi, in momenti come quello, capiva che invece avrebbe voluto passare al suo fianco molto più di quanto le fosse concesso. Con Duncan non doveva per forza parlare, perchè lui capiva. Lui era in grado di afferrare al volo ogni singolo indizio, per quanto minimale esso fosse.
Senza nemmeno rifletterci dunque, lei si buttò contro il suo petto, disperatamente bisognosa di sentirlo vicino, ancora più di quanto non fosse. Sapeva cosa stava per fare, ed era certa che lui non l'avrebbe mai perdonata.
Immediatamente, Duncan le rispose avvolgendola tra le sue braccia, facendole avvertire quel calore umano di cui necessitava disperatamente, e del quale lei si nutrì con l'anima. Prese un profondo respiro, immergendosi nel suo profumo, per poi chiudere gli occhi e permettersi di sognare, almeno qualche istante. Ricordò il loro breve, quanto intenso bacio, e ne sentì subito la mancanza.
"Duncan..." mormorò lei dopo qualche minuto, ancora stretta in quel suo meraviglioso abbraccio.
"Sì?" domandò il ragazzo, non separandosi però da lei, completamente assorto da quel momento. Come diavolo aveva fatto quella ragazza a penetrargli tanto nel profondo? Fino ad arrivargli alle viscere?
"Perchè mi hai baciata?"
Lei aveva posto quella domanda con l'ingenuità di una bambina, spaventata dalla possibile risposta, ma stanca di restare in silenzio. Sentiva gli occhi pizzicarle per le lacrime trattenute, ma non si abbassò a piangere. Lui, udendo la domanda, si irrigidì. Non si era aspettato che lei le chiedesse tanto, ma sapeva bene che, se esisteva un momento in cui poterle dire tutto, quello era giunto, perciò, dopo avere preso un profondo respiro, colmo di lei, parlò "Perchè mi piaci..." soffiò, stringendola improvvisamente di più, pieno di incertezze "Perchè sei così unica, che io... Io non volevo perderti" confessò, deglutendo a vuoto "Siamo... Siamo nella merda, Gwen, ammettiamolo" disse, accennando un piccolo sorriso "Ed io domani potrei morire... E... Ed ho pensato che non volevo morire senza averti prima baciata. Solo questo. E' stata la sola cosa che sono riuscito a pensare"
Lei ascoltò quelle parole completamente assorta, nutrendosi di esse totalmente. Non aveva mai avvertito una sensazione simile. Mai, in tutta la sua vita, qualcuno le aveva mai fatto sentire quella strana nausea allo stomaco che, tutto sommato, era decisamente piacevole. Sorrise, avvertendo le lacrime straripare definitivamente. Ora le sue guance erano umide e le sue labbra tremavano.
"Anche tu mi piaci, Duncan" soffiò, non potendo evitare di singhiozzare. Lui, sentendola piangere, tentò di allontanarla, ma lei non glielo permise, rimanendo ancorata al suo petto, al caldo "I-Io non so cosa sia tutto quello che sento... Io vengo da un luogo abbandonato, dove tutto ciò che conoscevo era la paura..." spiegò sospirando pesantemente "Tu sei l'unica persona a farmela dimenticare, quella paura."
Lui, immediatamente si irrigidì, mentre una felicità nuova e completa lo attraversava. Non credeva che Gwen gli avrebbe mai detto qualcosa di simile, eppure era accaduto. Lei sentiva i suoi medesimi sentimenti. La allontanò da lui, questa volta non ascoltando i suoi tentativi di restare tra le sue braccia, ed osservò attento il suo volto. Le asciugò le lacrime lentamente, sorridendole con dolcezza. Eppure, nonostante tutto, lei non si calmò. Lei sapeva ciò che doveva fare.
"Perchè piangi?" domandò lui, preoccupato.
"Ho paura, Duncan" mormorò lei, soffiando appena "Ti prego baciami"










 
Angolo dell'autrice!

Taaa daaan! Ho aggiornato per tempo u.u l'ispirazione torna!

Spero vi sia piaciuto questo capitolo, nonostante la lunghezza, ma... DxG! Avete visto? Non vi deludo mai (?) u.u ahah! No, comunque sia, se vi va recensite, che mi fa sempre piacere *^*

Questo era un capitolo un po' Thriller/Romance/ mistero... Faccio dei miscugli assurdi, ma spero vi piacciano, dai :)

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Capitolo 20
*** Desert_Zone cap.20 ***


 
Desert_Zone

 
cap.20
















"Ti prego baciami"

Non fu necessario altro perchè il militare, incantato dalla bellezza e le debolezze di lei, si chinasse a baciarla, permettendo alle proprie labbra di premere contro le sue. Fu solo un leggero sfiorarsi inizialmente. Duncan si mosse sempre con attenzione ed apprensione, voglioso di insegnare alla ragazza, la quale, mai in tutta la sua vita, era stata parte di due innamorati.
Ma potevano davvero definirsi tali? Erano innamorati? 
Quel dubbio, però, non andò avanti per molto, in quanto lei, schiudendo la bocca -probabilmente dettata dall'istinto- gli stava taciutamente permettendo di intensificare il loro contatto. Immediatamente, le lingue dei due si cercarono con spasmodia. Si scontrarono ed allontanarono, quasi burrascose, fino a che non iniziarono a danzare colte da una vera e propria frenesia. Lei, in punta di piedi pur di raggiungere la sua altezza,  serrò le proprie mani dietro la nuca di lui. Duncan la afferrò per i fianchi, cingendoglieli con bisogno e desiderio.
Restarono uniti a lungo, accarezzandosi vicendevolmente non solo per mezzo del bacio, eppure non appena il fiato di entrambi andò con il calare, i due si allontanarono, permettendosi di recuperare aria. Entrambi erano ansanti di fronte ciò che li aveva appena colti con euforia. Duncan abbandonò la propria fronte contro quella di Gwen, rimanendo così costantemente attaccato a lei. Era certo che se avesse avvertito il contatto interrompersi, sarebbe morto.
Lei, con le labbra aperte che formavano  una 'o', continuava ad arrancare alla ricerca d'aria. Non aveva mai pensato, né creduto,  che baciare un ragazzo potesse divenire una cosa tanto coinvolgente ed afrodisiaca, ma doveva decisamente ricredersi.
Lui la guardò con attenzione; il suo volto, solitamente pallido e niveo, era ora arrossato, mentre gli occhi si erano fatti più ludici che in precedenza. Le labbra scure e schiuse lo incantavano, ed i seni che si abbassavano ed alzavano a ritmo della sua respirazione affannata ed irregolare non facevano altro che invogliarlo a chiedere di più.

Fu lei, dopo interi minuti di completo silenzio tra i due, a staccarsi impacciatamente. Abbandonò la presa che aveva mantenuto salda sul suo collo, ed abbassò le mani incerta sul come comportarsi. Arretrò di qualche passo, mantenendo il viso basso, certa che le servisse qualche momento per riflettere e tornare lucida. La figura del repressore era recetentemente divenuta una presenza sin troppo nitida nella sua mente, ed ora, quel loro ultimo bacio, non poteva fare altro che renderlo più vivo in essa. Si passò una mano tra i capelli scuri esausta.
"O-Ora cosa si fa?" domandò lei confusa, goffa ed impacciata. Nella sua vita si era scontrata con davvero molte situazioni, ma mai si era trovata costretta ad affrontare i propri sentimenti "Cosa significa?" incalzò dopo poco, indicando entrambi.
Lui sorrise "Che è perfetto..." mormorò lui, cercando di raggiungerla. Lei arretrò in risposta "Potremo stare insieme"
"insieme?"
"Sì, Gwen... I-Io-" lui si interruppe, deglutendo a vuoto, l'imbarazzo dipinta sul suo volto "Tu non capisci, vero?"
Lei sgranò gli occhi, sentendosi fuoriposto e a disagio poi, sfoderando tutta la propria sincerità, scosse il capo. No, non capiva. Non capiva cosa era accaduto tra loro. Non sapeva come doveva comportarsi ora, nè tantomeno era al corrente che baciare il ragazzo che le piaceva poteva essere normale. Non le sembrava possibile potersi beare ogni qual volta lo desiderasse di quelle sensazioni meravigliose che le sua labbra potevano darle.
Lui, capendo la difficoltà di lei, sorrise comprensivo "Vuol dire che possiamo stare insieme...Se ti va. Come-" "Come due innamorati?" domandò la ragazza, interrompendolo d'improvviso. Lui annuì immediatamente.
"Sì, esatto" mormorò poi il repressore, sentendosi investito di un'ondata di purissimo calore. Era bello, davvero piacevole. Poteva avvertire quella scarica attraversarlo totalmente, rendendolo succube di meraviglie assordanti. Quella era una felicità vietata dal Governo ente che approvava unicamente matrimoni e concessioni combinate in età infantile. Non si era mai sentito così felice con Zoey, per quanto perfetta potesse essere.
Gwen ricambiò l'espressione del ragazzo, non potendo però nascondere un sorriso malinconico in viso.

"Cosa c'è scritto qui, Gwen?" le domandò la madre, tentando di insegnare alla bambina a leggere. Non vi erano certo scuole in quel territorio desolato detto Desert_Zone, ergo, la donna doveva tentare di insegnare alla propria bambina unicamente sfruttando le proprie forze. Aveva raccimolato libri in più modi. Molti li aveva trovati in ville abbandonate, ed altri li aveva rubati grazie al marito. Si era imposta di riuscire nell'impresa di educare al meglio propria figlia nonostante le scarseggianti possibilità, e Gwen era una brava studentessa.
La bambina sorrise, per poi iniziare a leggere la frase che la madre le aveva sottolineato "Sarò capace di amare, al di sopra di tutte le delusioni. Di donare, anche quando sarò stata privata di tutto. Di lavorare felicemente,  anche quando mi troverò in mezzo a mille ostacoli. Di asciugare le lacrime, anche quando starò ancora piangendo. Di credere, anche quando sarò stata screditata"
Nonostante le difficoltà per le parole più difficili, la piccola parlò con profonda certezza e sorridendo continuamente, tanto che il cuore della madre si scaldò subito. Una volta concluso il piccolo trafiletto, alzò lo sguardo e cercò il viso della donna "va bene?" le domandò poi fiduciosa.
"Perfetto, tesoro" asserì la madre certa, mentre si apprestava ad andarsene in cucina ed iniziare a preparare la cena. La bambina la fermò, tirandole la manica della felpa e richiamandola a sé.
"Cosa c'è?" domandò la madre con dolcezza, chinandosi fino a raggiungere l'altezza della piccola "Lo sai che devo andare a preparare da mang-" "Cosa vuole dire amare?"
La domanda di Gwen la fece irrigidire qualche momento. Alle volte dimenticava di come era cresciuto quel giovane fiore, e di come le fosse stata privata la possibilità di venire a conoscenza di quel sentimento in un modo differente dall'ambito familiare. Le rivolse un'espressione colma di dolcezza.
"L'amore è qualcosa di fortissimo che viene da qui" le mormorò la madre, puntandole l'indice contro il piccolo petto "E' caldo e denso, e ti fa sorridere ed impazzire allo stesso tempo" Proseguì con il narrarle.
"E come sai che lo hai davvero?" domandò la bambina, apostrofando la frase in modo sgrammaticato, ma che fece solo che sorridere la madre, la quale passò con dolcezza una mano tra i capelli di Gwen.
"E' semplice. Quando sei certa che è più importante la sua vita che la tua... Allora sei innamorata"


Gwen, avvertendo le lacrime iniziare lentamente a divorarla, mosse quei pochi passi che la distanziavano dal ragazzo, per poi tuffarsi tra le sue braccia. Lo sentì stringerla immediatamente con apprensione e subito quella -ultimamente tanto familiare- sensazione di appartenenza e calore la divorò completamente. Il suo cuore, già di per sé particolarmente agitato, iniziò a battere in modo sempre più frenetico, e tutto ciò che lei si sentì in grado di fare, fu affondare il viso contro il suo petto, avvertendone il profumo che lei amava profondamente.
Lui aveva detto che potevano stare insieme, e lei aveva immediatamente compreso cosa fosse l'amore. Prese un profondo respiro, mentre tratteneva le lacrime nonostante gli occhi avessero iniziato a pizzicarle fastidiosamente. Sorrise, poi, non riuscendo a trattenersi, ed infine alzò il viso verso il suo, donandogli un nuovo bacio per lei fondamentale. Quel gesto rappresentava un'ancora di vana salvezza per la ragazza.
Lui ricambiò immediatamente, e questa volta tutto avvenne con più certezza e tatto, da parte di entrambi. Lei aveva capito come muoversi, e lui era in grado di starle dietro. Non passò molto che un suo singhiozzo lo costrinse a staccarsi da lei.
"Gwen, cosa-?"
Ma lei non gli permise di parlare, tornando a baciarlo quasi con sofferenza e disperazione. Ormai le alcrime le rigavano il viso, solcando fossi di desolazione e perdita sulle sue guance color dell'avorio più pregiato. Cercò le mani calde di lui, e le cinse con le proprie fredde e stanche. Non gli disse nulla, lasciandolo nella sua confusione per altri interi minuti, fino a che lei non si staccò, ormai completamente stravolta.
"Gwen..." soffiò lui, non capendo.
"Ti amo" mormorò lei, interrompendolo; le lacrime ormai arrivatele alle labbra, permettendole di sentirne il sapore salato. Gli sorrise debolmente, per poi arrendersi al tremolio del proprio labbro inferiore. Singhiozzò imbarazzata, mentre lui continuava a scuotere il capo, sempre più confuso "Gwen C-Cosa succed-" "Ti amo, Duncan" lo interruppe nuovamente lei, tentando di essere severa, malriuscendoci. Il pianto la rendeva apparentemente debole ed il ragazzo era sempre più allarmato. Lo vide cercare nuovamente di parlare, ma lei, posando un ultimo bacio sulle sue labbra dolci e morbide, lo zittì. Una volta staccatasi, parlò nuovamente.
"Ti amo davvero"

Subito dopo avere pronunciato quella frase, Gwen afferrò capo del ragazzo e con una spinta sufficientemente forte, lo fece sbattere contro un mobile alle sue spalle. Osservò attentamente il suo viso confuso perdere i sensi, e non appena lo notò sul punto di cadere a terra, la ragazza intervenne accostandolo con attenzione al pavimento, per evitargli ulteriori danni. Uno svenimento era più che sufficiente.
Lo stese a terra con attenzione, per poi puntare il proprio sguardo lucido dalle lacrime sui contorni del suo viso addormentato. Gli sfiorò il profilo con la punta dell'indice, ed immediatamente un sorriso si disegnò sul volto di lei. Le dispiaceva abbandonarlo così, ma non vi era altra possibilità, lo sapeva bene. 
Gli premette un'ultima volta le labbra contro le sue, per poi sospirare afflitta. Una lacrima cadde sulla guancia di lui, e lei immediatamente intervenì, asciugandola amorevole.
"Ti amo..." gli soffiò poi a pochi millimetri dall'orecchio, come se lui -nonostante fosse privo di sensi- potesse sentirla. Avvertì poi dei passi avvicinarsi oltre la porta: Thomas.
Si alzò velocemente, indirizzata verso la finestra. Si arrampicò sul davanzale con agilità e poi, dando prima un ultimo sguardo al ragazzo a terra privo di sensi, saltò.

Ti amo...Per questo lo sto facendo.

 
***

"Non hai ancora parlato, dannata ragazzina!" esclamò Courtney, fendendo l'aria con il piccolo coltello in argento che reggeva tra le mani, e colpendo nell'atto il braccio di Zoey, procurandole un taglio che immediatamente iniziò a sanguinare copiosamente. La rossa si limitò a mordersi il labbro inferiore fino a sentire il sapore ferroso del sangue in bocca, mentre la fitta di dolore si propagava velocemente. Da quando la mora aveva finito il proprio scotch, aveva iniziato a tempestarla di domande. La ragazzina aveva mantenuto con costanza la bocca chiusa, ma i minuti stavano trascorrendo lenti, e Zoey era certa che molto presto Courtney sarebber ceduta, ed avrebbe attuato la sua orribile minaccia.
"Non hai ancora -dannatamente- parlato!" incalzò nuovamente la mora, palesemente infuriata di fronte la giovane imprigionata. Era decisamente cocciuta, ed ormai non era più certa se il suo silenzio stesse proseguendo per la buona volontà della rossa, o perchè le energie le erano totalmente scemate. Non se ne curò molto, comunque.
"Lo hai capito che se continui a stare zitta, morirai?" le domandò in un mormorio Courtney una volta accostatale all'orecchio "Non ci serve un dannatissimo muto..." aggiunse la donna dopo poco, facendo comparire sul suo viso un ghigno degno di nota. Solo vedendola in quell'istante, si poteva capire quanto folle la sua mente potesse effettivamente essere.
Zoey ascoltò quelle poche parole con attenzione, tentando di capirle a pieno nonostante il dolore la distraesse profondamente. Una volta compresa  a pieno la situazione, sospirò amaramente, per poi deglutire.

Doveva dire qualcosa.

***

Un colpo proveniente dal bagno lo fece distrarre d'improvviso. 

Era ancora accasciato sul corpo di Alan, il defunto capo-ribelle. Si stava crucciando con determinazione, troppo innervosito di non essere riuscito a trovarlo prima. L'uomo non era riuscito a dire loro il nome della spia che li aveva ingannati, e se solo avessero fatto irruzione nell'edificio con qualche secondo di anticipo, tutto sarebbe andato con lo svolgersi in maniera differente.
Serrò gli occhi all'uomo con delicatezza, accompagnando con il pollice e l'indice le palpebre ormai prive di vita del ribelle. Una volta fatto, sospirò amaramente, per poi chiudere gli occhi in procinto di riflettere. Eppure, un improvviso colpo proveniente da un'altra stanza dell'appartamento, lo aveva distratto. Era stato un suono improvviso, che aveva spezzato il silenzio con spietatezza, facendolo immediatamente scattare in piedi. Il giovane si era voltato verso la porta del bagno, certo che il tutto fosse giunto da lì, ed una volta entrato tutto ciò che vide fu Duncan steso a terra privo di sensi. Non vi erano né sangue, né segni di un possibile corpo a corpo. C'era semplicemente il repressore steso a terra con gli occhi serrati e le labbra semiaperte. 
Immediatamente Thomas entrò, facendosi largo nel piccolo abitacolo, diffidente di fronte l'idea di essere rimasto effettivamente solo con l'amico. Poteva trattarsi di un'imboscata per quanto ne sapeva. Afferrò con prontezza la rivoltella nascosta sotto la giacca, per poi iniziare a guardarsi intorno, sempre con l'arma puntata di fronte a lui. Controllò dentro la doccia e la vasca da bagno, non trovandò però nulla. Notò infine, sul fondo della piccola stanza, la finestra aperta. Corrucciò lo sguardo, per poi abbassare la pistola e tornare a concentrarsi sul repressore.
Si accostò a Duncan, chinandosi a terra, per poi poggiargli il palmo della mano sulla fronte, non trovandola però eccessivamente calda. Controllò attentamente il collo, il petto ed i polsi, preoccupato di fronte l'evenienza di un possibile taglio o colpo d'arma da fuoco, ma nuovamente gli indizi furono nulli. Non vi era sangue, nemmeno una flebile traccia. Afferrò infine un asciugamano, ed una volta imbevuto d'acqua, iniziò ad utilizzarlo per tamponare la fronte del punk, completamente allarmato e confuso.
"Avanti, Duncan svegliati..." lo esortò più volte, mentre in risposta non udiva nulla. Gli passò per l'ennesima volta il tessuto spugnoso ed umido sul capo. Passarono decine di minuti prima del risveglio.
Il militare aprì gli occhi lentamente, sentendo la testa umida dolergli. Una volta recettivo, comprese di trovarsi dentro il bagno, dove poco prima era affiancato da una Gwen instabile e spaventata. A parer suo, completamente diversa dal solito. Si guardò attorno, fino a che non vide, poco lontano, Thomas.
"T-Tommy..." balbettò il repressore, muovendosi lentamente nel tentativo di portarsi a sedere. Subito la giovane recluta gli fu vicino, aiutandolo ad alzarsi. Lo accostò alla parete, contro la quale il punk appoggiò la schiena.
"Duncan, stai bene? Che è successo?" domandò immediatamente il giovane allarmato dalla situazione. L'altro si limitò a passarsi una mano tra i capelli, trovandoli parzialmente bagnati a causa del precedente intervento di Thomas con l'asciugamano. Il giovane aveva tentato di rinvenirlo più volte.
"I-Io... Si sto bene" rispose il diretto interessato dopo qualche tentennamento, in cui si era preso qualche secondo per riflettere.
"Che è successo, Duncan? Dov'è Gwen?"
Una parola tra le tante, fece irrigidire immediatamente il repressore, il quale sperava con tutto se stesso di avere sentito male "G-Gwen?" domandò Duncan improvvisamente impallidito. Poteva sentire il cuore iniziare a battere in modo frenetico, e ricordava in modo ben più che nitido i loro baci scambiati poco prima, i tutti accompagnati da una particolare frase di lei: il suo 'ti amo'. Eppure, non vi era solo questo. Poteva ricordare il suo viso rigato di lacrime ed i suoi sorrisi appena accennati. Il panico si impossessò bruscamente di lui.
"Thomas, che è successo?" Il tono del repressore era improvvisamente rabbioso e ruvido.
"Duncan, non lo so. C-Credevo che tu lo sapessi! Non sei stato aggredito?"
Il punk iniziò a scuotere il capo da destra a sinistra totalmente colto dall'ansia. Faticava a ricordare con assoluta nitidezza gli ultimi istanti prima dello svenimento, eppure era certo che nessuno, oltre lui e Gwen, fosse mai entrato nel bagno in quei pochi minuti. Sgranò gli occhi confuo.
"I-Io credo che sia stata Gwen"












 
Angolo dell'autrice!


Eeeed ecco qui il nuovo capitolo! Spero tanto vi sia piaciuto, nonostante sia più corto degli altri, ma beh... Ho preso in analisi quasi tutti e... Lasciatemi una recensione se vi va! :))))


p.s. taaaanta DxG ♥

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Capitolo 21
*** Desert_Zone cap.21 ***



Desert_Zone







cap.21



 



"I-Io credo sia stata Gwen"


Aveva mormorato quella breve frase mentre un'irrefrenabile paura aveva iniziato a dirvorarlo da dentro. Sentiva il proprio respiro improvvisamente più pensate, e la sua vista si stava lentamente annebbiando. Lo sguardo vitreo era posato sulla parete opposta a lui, e la gola gli era divenuta improvvisamente secca. Thomas gli restò vicino, anch'egli particolarmente interdetto di fronte quella rivelazione da parte del repressore. Era surreale pensare a Gwen come ad un loro nemico, non lei che era stata la miccia in grado di fare divampare quell'incendio che li aveva lentamente colti uno ad uno, innescando una complicata rete di avvenimenti che nemmeno uno dei ragni più meticolosi ed esperti, sarebbe stato in grado di disegnare. 
Il giovane rimase qualche momento in silenzio, assorto e determinato all'idea di soppesare le parole dell'amico, non trovando comunque alcun modo per potere dare loro senso. Passarono minuti di completo silenzio, nei quali solo il respiro affannoso di Duncan sembrava essere in grado di spezzare il tutto, poi la recluta parlò.
"I-Io..." tentò di dire Thomas, per poi prendere una nuova breve pausa "Tu sai che non ha senso, vero?"
Duncan alzò lo sguardo, incontrando quello dell'amico. Gli occhi di entrambi erano maschere di orrore e confusione, completamente certe che la domanda del giovane fosse cosa prettamente retorica. Gli chiedeva se aveva un senso? No, era palese. Nulla aveva mai avuto un senso in quel mondo privo di libertà di qualsiasi genere. Probabilmente, dovevano ritenersi grati di essere in grado di pensare.
"Io so cosa-" "Duncan, potrebbe essere entrato qualcuno, magari hanno rapito anche Gwen... L-Lei non avrebbe mai fatto una cosa simile" intervenne Thomas, interrompendo Duncan. Parlò in modo frenetico, palesemente ansioso e confuso; la sua fronte era corrugata ed i suoi occhi più scavati del solito. Era solo un ragazzino.
"No, Tommy..." gli rispose freddo il militare più esperto, poggiando una mano sulla sua spalla "Non è entrato nessuno, lo avrei visto. Non possono avermi colpito alle spalle, avevo la schiena contro il muro" spiegò il punk, scuotendo il capo. Si sentiva devastato ed ingenuo, ma non poteva evitare di analizzare i fatti secondo la loro effettiva accaduta, non poteva mentire a se stesso in un momento tanto critico.
"M-Ma Gwen...-" "I-Io" lo interruppe Duncan, per poi prendere una pausa e riflettere "Piangeva. Non so perchè, ma piangeva"
Thomas guardò l'amico confuso: il suo volto era pallido e crucciato. La recluta aveva compreso subito i sentimenti che il repressore nutriva per la giovane ragazza dai capelli color dell'ebano, e poteva perciò anche comprendere a pieno il dolore nel suo sguardo. Vedeva come Duncan stesse tentando disperatamente di ragionare, e trovare una soluzione a ciò che era accaduto, ma notò anche come ogni suo tentativo risultò vano. Non apparve neppure un sorriso sul suo viso scarno. Thomas asserì con il capo, per poi dare una mano all'amico ad alzarsi. Una volta in piedi, Duncan respirò profondamente, per poi notare sul fondo della stanza la finestra aperta. Senza dire nulla, camminò barcollante fino al davanzale, per poi sporgersi. Sulla strada, esattamente sotto quella finestra, vi era un bidone della spazzatura. Gwen era dunque precipitata atterrando lì? Non vi erano sue tracce, ma il ragazzo era certo che lei avesse poi iniziato a camminare.
Destinazione? Ignota, almeno per il momento.
"Che succede?" domandò Thomas, ancora in piedi al centro della stanza, e decisamente interdetto di fronte i comportamenti del militare.
"Si è buttata" disse conciso il repressore, indicando la finestra aperta e facendo schioccare le dita della mano destra "Si è buttata dalla finestra, ed è andata... Non so esattamente dove" aggiunse poi, tentando di allontanare gli allarmismi e sperando di tornare al più presto lucido.
"Duncan, non sappiamo per quale motivo ti abbia colpito... Dovremmo scoprirlo e-" "Sono convinto ci sia una spiegazione logica anche per questo" lo interruppe il militare, deciso a credere ciecamente nell'intergrità della ragazza di cui si era innamorato perdutamente. Non poteva smettere di pensare alle sue labbra, ai suoi baci ed alle sue lacrime. Sentiva il cuore spezzarsi ogni secondo in modo più frammentario.
"Logica..." si limitò a ripetere Thomas esasperato, passandosi una mano tra i capelli "Duncan, io so quanto tieni a lei, ok? E so anche che... Non puoi pensare che stia veramente andando così, ma-" "Lo sai?" lo interruppe il militare, quasi gridando "Di che diavolo parli? Tu... Tu non sai niente! Cosa credi di sap-"
"Ti sei innamorato di lei!" lo interruppe Thomas alzando la voce, non sopportando più quel suo sfogo colmo di rabbia, frustrazione e malcelata incredulità. Duncan stava buttando tutta la propria paura e confusione addosso a lui, e questo la recluta non poteva sopportarlo. Per quanto tenesse al repressore, non si sarebbe fatto calpestare come un dannatissimo zerbino. 
"Ti sei fottuto il cervello di lei" incalzò dopo pochi secondi, questa volta sussurrando, non appena il silenzio fu padrone della stanza.
Duncan guardò l'amico senza dire nulla, limitandosi a recuperare il fiato sprecato a causa delle grida e delle false accuse, non osando però chiedere scusa, completamente inondato di orgoglio. Eppure, non negò nemmeno ciò che Thomas gli aveva appena detto. Lui era innamorato di Gwen? Sì. Ed allora, perchè mentire? Non c'era ragione per farlo.
"Non devi scomodarti a dire niente" tornò a parlare Thomas dopo secondi che, ad entrambi, parvero infiniti. Con un movimento veloce della mano destra fece segno al militare di non preoccuparsene "Non mi interessano scuse false o dichiarazioni stucchevoli, ok?" incalzò dunque Thomas "Voglio solo vederti lucido. Devi prendere in considerazione ogni eventualità, e muoverti passo per passo. Non abbiamo tempo di occuparci di un pazzo in più, Duncan. Il tempo scarseggia, e per quanto ne sappiamo Zoey potrebbe essere mort-" "E' viva" lo interruppe il repressore, mantenendo un tono di voce freddo e determinato.
Thomas sospirò "Come lo sai?"
"Fidati di me, ok?" replicò il punk, voltandosi ed iniziando a dirigersi all'esterno dell'edificio, determinato nel tornare al più presto alla base. Scott si sarebbe infuriato, non si sarebbe mai più fidato di lui probabilmente, ma al momento non gli interessava affatto. Ora, non solo Zoey era in una situazione particolarmente precaria, ma anche Gwen, ovunque ella fosse, era divenuta un mistero.
"Il fatto che sia viva non equivale al fatto che stia bene, ho ragione?" domandò Thomas, costringendo Duncan ad arrestare il proprio passo. Il silenzio del repressore fu probabilmente di per sé una risposta più che esaustiva, ma il punk parlò comunque.
"Lei non sta bene, ne sono certo" ammise dunque, la voce strozzata dal timore.

***

Non curandosi delle fitte di dolore che la colpivano alle volte, Gwen continuò a camminare spedita sulla strada verso la propria meta, mantenendo la schiena dritta ed il mento alto. Era costantemente circondata da persone, tutte esattamente vestite come lei: la stessa gonna, scarpe e giacca, per non parlare delle camicie, tutte perfettamente allacciate sino all'ultimo bottone con assoluta parsimonia. Doveva tenere i capelli legati in quello che Bridgette le aveva insegnato si chiamasse 'chignon'. Detestava quell'omologazione obbligata, ed avrebbe volentieri fatto a meno di quelle scarpe troppo strette e troppo alte, che avevano ormai iniziato ad infastidirla. Guardandosi intorno, le pareva surreale vedere tante donne camminare con disinvoltura.
L'ennesima scarica di dolore le attraversò la schiena. Cadere dentro il bidone dell'immondizia era stato il solo piano che le era venuto in mente. Non era potuta fuggire dalla porta d'ingresso, o Thomas l'avrebbe vista. Certo, era sopravvissuta e non aveva riportato ferite, ma il colpo causato dalla caduta le provocava parecchio indolenzimento. Sospirò, per poi deglutire a vuoto, evitando di gemere a causa della fitta improvvisa. Sentiva gli occhi pizzicarle a causa delle lacrime represse, ma non poteva lasciarsi tanto andare per le strade della città, dove tutti sarebbero stati in grado di giudicarla e ritenerla una debole. Si sentiva in colpa per avere colpito Duncan senza dirgli nulla, ma non vi era altra possibilità. Lei lo aveva fatto per il suo bene, perchè lo amava, e sua madre le aveva insegnato quante follie si potessero fare se spinti da quel bizzarro sentimento.

Da quando Gwen era sbarcata ad Indiannapolis, la vita di molti era cambiata -in peggio-. Zoey era stata rapita, e Thomas aveva dovuto rinunciare a tutto ciò che Duncan, in passato, gli aveva offerto. Si sentiva responsabile della morte di ognuno dei ribelli, ed era più che certa di essere lei la causa -magari indirettamente- di quella carneficina. Se solo lei, e le sue folli smanie di giustizia fossero rimaste nella Desert_Zone, tutto quello non sarebbe mai accaduto. Si sentiva sbagliata e vedeva lei stessa come un presagio di morte: ovunque lei osava porre una propria traccia, là tutti perivano; prima era successo ai suoi genitori, al padre di Scott, ai tanti prigionieri che lei stessa aveva eliminato, ed ora a quel gruppo di ribelli. Che si trattasse di buoni o cattivi, tutti erano costretti a morire. Era fuggita dalla propria prigione sperando di riportare la libertà in quel mondo stanco ed ormai distrutto, ma stava solo seminando nuova distruzione come la Guerra Del Popolo aveva fatto anni prima.
Sentiva un calore bizzarro all'altezza del petto riportando alla mente il volto di Duncan, era qualcosa di nuovo e che probabilmente non avrebbe mai provato in tutta la sua esistenza. Sentiva un denso torpore in grado di scioglierla completamente, ed era certa di potersi nutrire di tutto quello. Avvertiva ancora il sapore del militare nelle sue labbra, il tutto macchiato di lacrime e disperazione. Sì, c'era sapore anche di quello. Lei stava facendo tutto quello solo ed unicamente per il bene di coloro che amava. Rimpianse di non avere passato un secondo in più con Duncan mentre, stanca e traballante, si avvicinò ad una figura alta e snella sul fondo di un vicolo. Indossava una divisa scura, e due pistole sporgevano chiaramente dalla cintura con due fondine.
"Mi scusi?" domandò lei, il volto privo di emozioni o vitalità.
"Sì?" chiese l'uomo una volta notata la presenza di lei. La squadrò da capo a piedi, notando l'abbigliamento adeguato, per poi prestarle attenzione. Era davvero raro che un civile azzardasse tanto da avvicinarsi ad un repressore.
"Gwendoline Carter, fuggiasca, ex-prigioniera della Desert_Zone"

***

"Che cosa?"
La voce del rosso fuoriuscì dalle sue labbra colma di odio e furia. Si fece largo tra i ragazzi non preoccupandosi di spingerli o meno, e si portò immediatamente di fronte al punk. Duncan era immobile al centro del salotto. Era da poco tornato da quella che doveva essere una semplice missione come tante, ma non lo era affatto stata. Aveva raccontato della carneficina trovata, ed infine di come Gwen fosse scomparsa -fuggita- senza che nessuno se ne rendesse conto. Aveva evitato di raccontare dei loro baci nascosti, deciso a non sconvolgere più di tanto la situazione.
Tra tutti, Scott aveva reagito peggio di ogni altro. Gridando, incredulo dopo ciò che aveva udito, aveva spinto con poco garbo i presenti, arrivando al centro della stanza, di fronte al repressore. Lo aveva squadrato con attenzione, alla ricerca disperata di una prova che smentisse il tutto. Sperava di potere scrutare negli occhi di Duncan una sorta di scintillio colmo di beffa, e di vedere presto Gwen, la sola persona che gli aveva dato una ragione per vivere in quella prigione fatta di sabbia e morte, entrare dalla porta poco distante, ma nulla accadde. Lo sguardo del militare era freddo, assorto e distante, sgorgante di dolore quanto una ferita appena inferta. I suoi occhi erano più lucidi del solito, velati da lacrime che l'orgoglio non gli permetteva di versare, non di fronte a tutti per lo meno. Probabilmente, una volta rimasto solo, Duncan avrebbe gridato fino a distruggersi, ma non era quello il momento. Doveva prendere in mano la situazione e, come Thomas -e Gwen tempo prima- lo aveva ammonito più volte di fare, riflettere.
Passarono minuti determinati da un silenzio completo, padrone del tutto. Scott osservava lo sguardo del repressore stravolto. Se inizialmente il suo viso era stato determinato, ora vi si poteva chiaramente leggere su esso una desolazione struggente.
"No..." soffiò infine Scott, arresosi di fronte la verità raccontatagli da Duncan. Iniziò a scuotere il capo, d'apprima più lentamente, poi sempre più velocemente "No, Gwen... Lei è..." ma non proseguì la frase, incerto sul da farsi. Serrò gli occhi e deglutì a vuoto, mentre avvertiva il mondo crollare lentamente tutto intorno a lui. Sospirò rumorosamente, tentando di buttare fuori ogni pensiero negativo od orribile supposizione, per poi passarsi una mano tra i capelli disordinati. Non mosse nessun altro passo.

"Cosa volete fare?" la voce di Noah si fece avanti nel silenzio. Non potevano restare così per sempre, dovevano agire, tentare di ritrovarla, o Gwen o Zoey. Non potevano abbandonarle senza interesse alcuno.
"Io..." si apprestò a rispondere Duncan, una volta ripresosi dalla situazione, guardando Noah "Io penso che sarebbe il caso di perlustrare la città... I 'punti caldi', sapete?"
Geoff annuì "Base governativa, comune, capannoni..." iniziò ad elencare il biondo, riflettendo su quali fossero i luoghi meno affidabili -per i civili- sotto il potere governativo. Il repressore annuì, per poi voltarsi verso Scott, incontrandolo ancora fermo di fronte a loro.
"Allora Scott? Ci stai?" gli domandò poi, facendolo tornare in sé.
"Gwen è in pericolo a causa tua..." disse severamente il rosso, non potendo evitare di mordersi la lingua e restare in silenzio "Eppure, so anche che tu sei fondamentale per salvarla."





 
Angolo dell'autrice che si scusa per il leggero ritardo ^^

Buonsalve a tutti! In sti giorni sono euforica e mi sono successe un centinaio di cose, quindi -per favoooooore- capire la mia gioia esorbitante ed il mio ritardo! ^^''

Vi voglio bene! (ok, la smetto, sto uscendo di testa .-.)

Questo capitolo è di passaggio, sì, ma vedete, molti non capivano se Gwen si fosse uccisa o cosa, e quindi ho pensato di fare questo piccolo passaggio introspettivo sulla nostra dark preferita :)

Gwen sta bene (circa) e, sì, ha dichiarato tutta quella roba a un repressore ^^''


Beeeeh... Alla prossima! ♥ Lasciate qualche recensione se vi va, per favore :)

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Capitolo 22
*** Desert_Zone cap.22 ***







 
Desert_Zone



cap.22





 
Angolo dell'autrice!

Ciao a tutti :) oggi l'angolo lo metto prima ^^''

Volevo scusarmi per il leggero ritardo nell'aggiornare, e ringraziare tutti quelli che mi seguono con questo capitolo (più lungo del solito ♥)! Alloooora e poi c'è un'altra cosa! Vorrei ringraziare Kishinpain, fantastico youtuber che ha accettato di fare pubblicare D_Z anche su YouTube! Grazie millissime! Sono onorata *^* 

Poooi... Ah sì! Anche Dalhia_Gwen, che ha accettato di disegnare Thomas e... Boh, tutti quelli che mi seguono *^* Siete meravigliosi e vi adoro!

Spero che questo capitolo vi piaccia! E... Lasciate una recensione se vi va :)











Courtney lasciò cadere a terra il bicchiere in cristallo con furia, costringendolo ad infrangersi contro il pavimento lucido sotto di lei. Un suono sordo riempì la stanza qualche momento, mentre la donna -disinteressata di fronte i frammenti ai suoi piedi- avanzava verso la debole prigioniera, ormai in fin di vita.  Presto il silenzio fu nuovamente padrone, spezzato solo dai passi lenti e ben cadenzati della mora, i cui tacchi scandivano quel tempo infinito che Zoey non voleva più subire.
Courtney le si accostò, il viso contratto in un'espressione colma di rabbia e nervosismo, decisamente spiazientita "Hai bevuto" le mormorò all'orecchio "Ora non hai più quella dannatissima gola secca, perciò immagino che tu sia tornata capace di parlare, maledettissima bambina!" le sibilò addosso. Le afferrò poi i capelli con forza, tirandoglieli senza alcuna pietà. Il volto di Zoey rispecchiava un dolore tale da rendersi insopportabile, ma la rossa non urlò neppure una volta. Si limitò a farsi sfuggire piccoli gemiti soffocati.
"Avanti, parla. Dimmi tutto ciò che sai" incalzò nuovamente la mora, tenendo il capo dell'altra sollevato per i capelli. Zoey era certa che presto avrebbero sanguinato persino essi.
"Dimmi chi erano i militari che i miei gentiluomini hanno visto dentro casa tua"
"L-Loro s-sono amici! Semplici repressori, lo giur-" "Ah, davvero?" la interruppe Courtney, ben poco propensa di fronte l'idea di perdere nuovo tempo. La situazione stava peggiorando e, nonostante la morte dei ribelli più vicini, poteva avvertire il risorgere muto del popolo, e questo -molto più di altro- la spaventava  "Non dirmi stupidaggini! Non sei nelle condizioni di prendermi in giro, direi..."
Zoey deglutì a vuoto un paio di volte, mentre le lacrime le solcavano il viso impervie, mischiandosi disgustosamente al sangue rappreso ormai da molte ore.
"Spiegami perchè avevi un cellulare, ok?" le domandò -minacciandola in realtà- la mora. I tacchi di quest'ultima ticchettarono spazientiti sul pavimento marmoreo.
La rossa annuì terrorizzata, ormai ufficialmente al limite della sopportazione "S-Sì" acconsentì, balbettando tremante. I polsi ormai erano divenuti un ricordo. Erano passate ore dall'ultima volta che aveva osato alzare lo sguardo per controllare la condizione delle sue mani. Era certa che ormai fossero divenute violacee e fredde.
"I-Il cellulare me lo ha dato uno di loro, è vero" ammise infine, esasperata ed arrendevole.
"E quanti ce ne sono?" incalzò immediatamente la donna, non completamente certa che l'altra sarebbe rimasta lucida ancora  a lungo.
"Due, solamente due. Il mio ed un suo gemello"
Courtney sorrise, per poi prendere un respiro, tranquillizzandosi parecchio. Esibì un'espressione soddifatta, per poi parlare "Vedi?" le domandò dolcemente "Se collabori, tutto diventa più semplice, non trovi?"
Zoey annuì, incapace di negare, spaventata all'idea di farlo. Mai, nemmeno nei suoi più terribili sogni vi era mai stato un dolore tanto forte ed un puzzo tanto penetrante. I suoi muscoli erano tesi quanto le corde che imperterrite continuavano a costringerla in piedi, e le ossa -persino quelle- le arrecavano innumerevoli fitte.
"Andiamo avanti, allora. Dimmi, da dove vengono i tuoi amici?"
"Fanno parte dell'esercito" mormorò la rossa, per poi sospirare pesantemente. Parlare era divenuta una fatica insopportabile.
Courtney la squadrò diffidente, totalmente incredula. Le sembrava solo che blasfemia pensare al proprio esercito come ad un mucchio di ribelli. Quelle persone erano state sempre addestrate a credere ed amare il Governo. Non poteva nemmeno valutare l'ipotesi che una simile possibilità potesse essere reale.
"Tu menti! Non è possibile!" le gridò dunque addosso, abbandonando d'improvviso la presa che esercitava sui capelli dell'altra, costringendola ad abbassare nuovamente il capo "I miei uomini sono fedeli, istruiti alla precisione! Abbiamo insegnato loro a credere e-"

Un rumore proveniente dall'altro lato della stanza la costrinse ad interrompere il proprio monologo. Ancora voltata in direzione di Zoey, prese un profondo respiro, per poi sistemarsi velocemente gli abiti sgualciti e sfoderare un sorriso particolarmente radioso e cordiale. Si voltò verso la porta d'ingresso. Qualcuno aveva bussato. Doveva trattarsi di qualcosa di importante se avevano osato distrarla in tal modo nel suo ufficio privato.
Una volta giunta di fronte la porta in mogano si sistemò velocemente la gonna. La accarezzò un paio di volte fino a che tutte le pieghe se ne furono andate ed infine, aprì. Di fronte a lei un repressore con indosso la divisa portava con sé una giovane donna dai capelli neri, apparentemente normale.
Courtney -spazientita- squadrò prima la giovane, poi passò all'uomo "Che stai facendo?" gli domandò con voce fredda, reprimendo ogni proprio istinto che le suggeriva di afferrare la propria pistola ed eliminare entrambi i nuovi arrivati a sangue freddo, abbandonando i loro corpi lì, su quella soglia da molti frequentata. L'uomo dischiuse le labbra per parlare, ma fu una voce femminile a risponderle.
"Porta me qui, mi sembra palese"
La ragazza dai capelli castani non potè evitare di sfoderare una smorfia colma di disappunto, eppure non fece altro, fin troppo interessata dalla nuova arrivata. Guardò qualche secondo il militare, come alla ricerca di una conferma, e questo annuì. Tornò ad osservare Gwen.
"Perchè? Chi saresti tu di così dannatamente importante?" le domandò Courtney acidamente.
La dark sorrise, per poi muovere un paio di passi in direzione dell'altra. Si accostò al suo orecchio sorridendo fiera di sé, per poi mormorare "Al tuo esercito mancano un paio di persone, vero?" le domandò, facendo irrigidire immediatamente Courtney "Un gentiluomo è scomparso, ed un repressore è all'ospedale." 
Una volta detto questo, la dark schioccò la lingua contro il palato un paio di volte, mentre ondeggiava il capo lentamente in segno di negazione e disappunto.  Gwen continuò a sorridere, per poi tornare sulla soglia della stanza, dove si trovava poco prima "Una spia non era ciò di cui dovevate avvalervi, sciocchi!" incalzò poi, riferendosi alla spia che si era nascosta tra i ribelli.
Courtney soppesò per interi minuti dominati dal silenzio le parole della nuova arrivata. Chiunque fosse la ragazza appena giunta, si stava palesemente prendendo gioco di lei, il che non poteva accettarlo. Avrebbe volentieri afferrato un coltello dal ripiano della cucina, per poi ficcarglielo senza pietà nello stomaco, torcerlo e rigirarlo a lungo, sentendo gli organi smembrarsi sotto le sue mani spietate,  fino a vadere il sangue zampillare dal corpo della mora, ma non poteva. Non poteva fare niente del genere, altrimenti non avrebbe mai saputo nulla. Non poteva ucciderla e questo, quella misteriosa ragazza, lo sapeva. Doveva fare qualcosa, parlarle, scoprire cosa voleva.
"Chi sei?"
"Te lo dirò, ma non in questo modo" le disse Gwen severa, improvvisamente senza più alcun sorriso di beffa ad adornarle il volto. Si era divertita a rinfacciare ciò che sapeva alla ragazza di fronte a lei, ma adesso doveva pensare a ciò che era giusto fare, al sacrificio che si apprestava a compiere per il bene di molti.
"Cosa vuoi?" le domandò Courtney, serrando i pugni con frustrazione, tentando di contenere reazioni ben peggiori.
"Liberala"
Era stato un ordine ciò che era fuoriuscito dalle labbra della dark. Non aveva dovuto aggiungere altro perchè l'altra intendesse a chi si stesse riferendo la giovane. Si voltò con un sorriso particolarmente sadico ad adornarle il viso, e squadrò la figura in fin di vita che si trovava sul lato opposto della stanza. Le stavano offrendo un giocattolo nuovo di zecca ed -apparentemente- più collaborativo per una vecchia pezza distrutta e poco simpatica. Solo un folle avrebbe avuto la scarsa lucidità  di rifiutare.
Courtney, senza dire nulla, si incamminò all'interno del locale, lasciando i due ospiti alla porta, imponendo in particolare al repressore quanto fosse il caso di restare lì, ed abbassare le armi. Quel sorriso insano continuò ad aleggiare in modo lugubre sul suo volto anche quando, con un colpo veloce dato con un coltello che aveva appena prelevato dal piano cucina, tagliò le corde che costringevano Zoey in quell'orribile prigionia. Colpì prima la fune che reggeva il polso destro, costringendola ad abbassare il braccio con immediatezza improvvisa, e poi il sinistro, alchè cadde a terra gemendo dal dolore. Gwen si fece immediatamente strada dentro la stanza, intenta a raggiungere la rossa, ma Courtney, puntandole la lama del coltello contro, la fermò.
"Non avvicinarti oltre, starà bene" si limitò a dire, mentre osservava quel piccolo e gracile corpo disteso a terra, totalmente ricoperto di ematomi e sangue rappreso. Poggiò la punta della propria scarpa contro la sua guancia, per poi esercitare una lieve pressione, costringendola a voltare leggermente la faccia. Le guardò gli occhi semiaperti con disgusto, e constatò il fatto che non fosse priva di sensi.
"Sì, benone" commentò poi acida, lanciando un'occhiata a Gwen -sempre puntandole contro la lama del coltello-, per poi prestare attenzione alla figura del repressore, ancora sulla soglia. Con un cenno del capo lo ammonì di avvicinarsi e prelevare la ragazza "Lasciala  sul ciglio di  una strada poco lontana dall'ospedale"
"Molto bene, signora" asserì l'uomo prendendo tra le braccia Zoey, e accompagnandola con ben poco garbo sino alle scale. Gwen osservò ogni più piccolo dettaglio della faccenda con attenzione, con gli occhi assotiggliati in due linee colme di rabbia ed odio.

La porta si richiuse dietro le spalle del militare, provocando un suono potente e pieno, che rimbombò più volte all'interno della grande e lussuosa stanza. Gwen analizzò con attenzione e meraviglia tutto ciò che la circondava, non era mai stata in presenza di tanta ricchezza. Nella Desert_Zone non vi era nemmeno la minima traccia di simili lussi. Le pareti alte, il lampadario in cristallo, il pavimento lucido, freddo ed in marmo ed infine, persino quel piccolo ripiano in legno splendente -un piccolo ripiano bar- incantavano la ragazza. A riscuoterla da quello studio approfondito del locale, fu il suono della voce dell'altra, la quale aveva finalmente abbassato il coltello, poggiandolo sopra un piccolo tavolo sul quale vi era un vassoio ed un paio di bicchieri.
"Allora? Cosa sei venuta a fare qui?"
La dark non rispose immediatamente, restia per il comportamento tanto accomodante tenuto dalla ragazza ispanica, la quale si era ora adagiata su una lussuosa poltrona in pelle. Osservò attentamente ciò che la circondava, questa volta con occhio più attento, e non potè fare a meno di esibire un'espressione di genuino disgusto di fronte le tracce di sangue che il corpo tumefatto di Zoey aveva lasciato. Serrò le proprie mani in pugni stretti, decisa a mantenere un comportamento cauto. Era nella tana del nemico, e non poteva decisamente dimenticarselo, ne veleva della sua sopravvivenza. Si era consegnata alle forze che, anni prima, avevano spedito in quell'orribile inferno fatto di sabbia e follia i suoi genitori, e non poteva scomporsi nemmeno un attimo. Non doveva apparire una debole, avrebbe combattuto fino a quando le sarebbe rimasto anche solo un minimo di energia.
"Zoey starà bene?" domandò con voce severa Gwen, decisa ad apparire quanto più fredda possibile. Courtney non apprezzò questo tentativo.
"Non hai risposto alla mia domanda."
"Risponderò non appena sarò certa della salvezza della rossa" spiegò la dark, sfruttando un tono che non ammetteva repliche. La castana si alzò in piedi, per poi muovere qualche passo fino ad arrivare di fronte a Gwen. La squadrò con attenzione, non potendo fare a meno di chiedersi cosa mai potesse nascondersi sotto il comunissimo tailleur che indossava la mora, ma sapendo bene quanto fondamentale fosse scoprirlo.
"Ascoltami ragazzina," le disse Courtney, attirando immediatamente lo sguardo di Gwen su di lei "Per quanto -immagino tu abbia capito- non sia esattamente 'onesta', posso giurarti sopra ogni cosa che la tua amichetta sopravviverà o che, per lo meno, nel caso morisse, non sarebbe a causa mia" le spiegò l'ispanica, non potendo evitare di sorridere pensando alla sua possibile e tragica morte, proseguì poi "Ma sappi che se non risponderai alle mie domande, allora perirà per certo. E non solo lei, ma anche tu"
Quell'ultima frase l'aveva quasi sibilata, riempendo ogni singola sillaba di odio e follia, il tutto misto ad un sadismo insano ed estremo. Se solo non si fosse imposta di mantenere la calma e la fermezza, Gwen avrebbe certamente sussultato, soprattutto visto quanto le era vicina, ma non lo fece. Si limitò a mantenere il suo sguardo pieno di propositi di piena giustizia, per poi rispondere.
"Non sono qui per morire"
Quella frase le era uscita dalle labbra velocemente, ed era riferita a quella domanda alla quale si era rifiutata di dare una risposta solo poco prima. Per quale ragione era lì? Non per morire, di questo era certa. Ne aveva parlato con Duncan solo poche settimane prima. Sì, con Duncan, il solo che tutt'ora, con il semplice pensarlo, la aiutava a stare meglio.

"A volte vorrei morire..."
Duncan si era voltato verso di lei, spaesato in volto, ma senza dire nulla.
"Ma non credo lo farei mai..." aveva aggiunto Gwen, sorridendo. Entrambi avevano ben capito a cosa la dark stesse alludendo. Il suicidio alle volte le sembrava una giusta sorte, un dolce modo per dire addio a quel mondo che non le aveva regalato altre che brutalità e disperazione "Ma se accadesse, fa in modo che non sia a causa loro"


La risata di Courtney, sincera e spietata, fece irrigidire Gwen immediatamente. Ciò che fuoriusciva dalle sue labbra sembrava il canto di un demonio, tanto era graffiante e freddo, delirante oltre l'inverosimile. Immediatamente la dark alzò lo sguardo in direzione dell'altra, mordendosi la lingua pur di non dirle tutto ciò che le passava orrendamente per il cervello. Poteva brandire ancora un coltello tra le mani, quella ragazza dai capelli castani, e non era certo il caso di farsela nemica più di quanto già non fosse.
"Non sei qui per morire..." le fece eco l'ispanica non appena la sua risata si fu placata. Camminò in direzione dell'altra con la determinazione nello sguardo, per poi tornare a parlare "Non farmi ridere, ragazzina"
Gwen finse di non udire il tono colmo di -ben poco- velate minacce della donna, e si limitò ad incassare il colpo a testa alta, troppo orgogliosa per piegarsi. Tornò a ragionare su quel ricordo che continuava a ripetersi nella sua mente con costanza, ed avvertì gli occhi pizzicarle all'idea che Duncan non sarebbe realmente arrivato a salvarla. Lui non sapeva dove si trovava e, se il piano era andato come sperava, non lo avrebbe mai saputo. Probabilmente avrebbe dedotto ciò che era più logico supporre: che si fosse ribellata, che li avesse ingannati, che fosse una nemica. Lo aveva tramortito per due ragioni, infatti: lui non doveva seguirla, ma soprattutto doveva sapere che lei lo aveva ferito. Lo stava facendo per proteggere tutti, non solo il repressore. Se lei se ne fosse andata, portando a termine il proprio piano senza alcun problema, presto tutti avrebbero potuto vivere in modo normale e felice -anche se forse non pienamente-.
"Sono stata io" disse Gwen d'improvviso, avvertendo all'istante un peso troppo forte per lei gravarle sulle spalle. Le sembrava di avere una pila di pietre sulla schiena, qualcosa in grado di piegarla senza possibilità di ribellione.
Courtney -che solo poco prima di era alzata in piedi- la squadrò poco convinta, si voltò poi in direzione della propria poltrona in pelle, quel mobile che spiccava con prepotenza al centro del salotto. Si accomodò sopra essa in un sospiro, per poi afferrare la bottiglia dello scotch e versarsene un poco in un bicchiere. Ne prese un sorso, avvertendo immediatamente il tipico bruciore dovuto all'alcol "A fare cosa? Non sono in vena di sentire assurde frasi criptiche, chiaro?"
L'altra annuì, deglutendo a vuoto, per poi abbassare lo sguardo decisa a riflettere su come meglio parlare. Era arrivato il momento, lo sapeva. Incontrò un'ennesima traccia di sangue rappreso sul marmo, probabilmente era dovuto alle ferite che aveva riscontrato Zoey, ed immediatamente quella rabbia mista a senso di colpa tornò a stagnare in lei con prepotenza.
"Io ho mandato all'ospedale il repressore, e sono stata sempre io a rapire il Gentiluomo"
"Dove si trova?" domandò Courtney, improvvisamente più attenta alle parole della nuova prigioniera.
"E' morto, non penso possa interessarti molto di ritrovare il suo corpo, anche perchè ti risulterebbe impossibile" rispose velocemente la dark, mentendo come meglio poteva "L'ho bruciato."
"Perchè? Per quale ragione tramortire un repressore ed uccidere un Gentiluomo?"
"Immagino si tratti di rabbia repressa, parecchia." si limitò a dire la dark, assumendo un comportamento particolarmente indifferente.
"Ed io pensavo che avessimo detto quanto poco posso sopportare i tuoi assurdi comportamenti criptici" tornò a minacciarla la castana, esibendo tra le proprie mani quello che non poteva essere altro che un piccolo coltello a serramanico. Se lo rigirò tra le mani con agilità, sorridendo sadica mentre guardava l'altra indietreggiare leggermente.
"Sai, quando i tuoi genitori sono stati spediti nella Desert_Zone, è normale avere un po' di rabbia" si lasciò sfuggire Gwen, agitando una mano all'aria in modo particolarmente teatrale. Quella frase fece sorridere l'ispanica, la quale, accavallando le gambe in un gesto particolarmente femminile, sorrise all'altra follemente.
"Oh, quindi siamo in presenza di una No-One. Non vi è peggiore feccia, a mio parere" commentò infine, prendendo un nuovo sorso di scotch.
"In realtà..." tornò a parlare dopo poco la dark "Sono particolarmente convinta che, una volta scoperto chi -o cosa, come preferisci- effettivamente sono, mi odierai ben più di quanto puoi detestare un No-One"
"Non lo credo possibile" si limitò a dire Courtney scuotendo il capo, non potendo però nascondere una sempre più profonda curiosità nei confronti della dark di fronte a lei. La osservava attentamente, detestava quanto sicura di sé sembrasse, e quanto -in particolare- sembrasse costantemente un passo avanti rispetto a quanto effettivamente l'ispanica fosse.
"Probabilmente perchè non esistono altri come me"
"Avanti, non ho tempo da perdere" la esortò la castana, improvvisamente molto meno cordiale di quanto potesse aver finto di essere fino ad allora.
"Dovresti sapere che la Desert_Zone sta straripando, mia cara... Arrivo da lì viva, in forze e capace di combattere"

Quella rivelazione riempì in un paio di attimi la mente di Courtney, la quale non poteva credere alle parole appena udite. La ragazza di fronte a lei, che si era spontaneamente presentata, affermava con un sorriso sul volto ed un tono di voce colmo di risentimento ed odio di provenire da quell'inferno fatto di solitudine e null'altro. Non poteva crederle, non era tanto ingenua, assolutamente. Eppure, vi era qualcosa. Era lo sguardo della mora a non convincerla completamente del fatto che quella appena udita fosse una menzogna; Courtney poteva chiaramente vedere la sincerità e la sofferenza trasparire da quegli occhi color dell'ebano più pregiato, oltre una spessa coltre di fittizio coraggio. La persona che di fronte  a lei si presentava a testa alta e combattiva nascondeva qualcosa, una debolezza in grado di uccidere chiunque, in grado di confondere persino lei. Eppure, non vi diede importanza, molto più allarmata all'idea che fosse effettivamente possibile fuggire da quella prigione tanto finemente architettata.

"Non è possibile! Tu menti, ragazzina!" esclamò, alzandosi in piedi e lanciando il bicchiere di scotch dentro il caminetto, costringendo il vetro ad infrangersi e la fiamma a divampare bruscamente. Gwen si mosse indietro, intimorita dallo scatto improvviso della donna. Dovette constatare quanto non fosse effettivamente sana come fino ad allora si era dimostrata.
"La Desert_Zone è il luogo più protetto, spietato e studiato mai costruito! Non puoi scavalcare alcuna rete, essendo fatta di elettricità ad alta tensione, per non parlare del cielo! Non hai ali per volare, ragazzetta!" le gridò addosso, camminandole incontro minacciosamente, costringendola ad arretrare in risposta "Non giocare con me!" le impose infine, scandendo con precisione ed astio ogni singola parola.
Fu allora che Gwen tornò padrona di sé, ben al corrente di trovarsi in una posizione pericolosa, sapendo che quella ragazza dai capelli castani poteva ucciderla da un momento all'altro senza nemmeno doverle una giustificazione. Inizò a riflettere. Come aveva fatto fino a quel momento a mantenerla calma? La risposta le attraversò velocemente il cervello: doveva incuriosirla, confonderla, ma non spaventarla, no. Le reazioni a quest'ultima emozione erano ben chiare di fronte  a lei.
"Non sto giocando..." iniziò a parlare cautamente Gwen, attenta ad ogni propria mossa. La ragazza di fronte a lei teneva un coltello in tasca e chissà-quante altre armi per la stanza "Affatto" proseguì riflettendo "Vi era in realtà un difetto" le disse infine.
"Difetto?" domandò diffidente Courtney.
"Esatto...  La rete aveva un punto in cui era calata la tensione. Ne ho approfittato, ed alla fine sono sbarcata qui, ad Indiannapolis" le raccontò con calma, mentre la castana non faceva altro che osservarla con diffidenza.
"E la rossa, cosa c'entra?"
"Mi sono nascosta dentro casa sua. Le ho detto che se non mi avesse protetta l'avrei uccisa" rispose prontamente Gwen, la quale aveva riflettuto a lungo su cosa fosse meglio raccontare alla donna che le era di fronte "Non capisci? Tutto ciò che ti ha detto -sempre che abbia parlato- erano menzogne" le rivelò infine la dark, sorridendole divertita, sperando di sembrare il più credibile possibile.
"No..." soffiò la castana, scuotendo il capo incredula, confusa da quei giochi che l'altra si divertiva tanto a fare con lei.
"Sì, tutto."
"E cosa vuoi?" domandò Courtney, esasperata e stanca di sentirla parlare.
"Ucciderti" si limitò a dire Gwen sorridente.

Gli istanti successivi passarono velocemente. Courtney, udendo quella risposta, sgranò gli occhi confusa, mentre la dark, come sempre particolarmente veloce di riflessi, estraeva dalla propria fondina -ben nascosta sotto la giacca del completo- la pistola, e dopo averla caricata in uno scatto veloce, la puntava contro l'ispanica. Eppure, nonostante l'improvvisa situazione critica, la castana non potè evitare di sorridere, sentendosi improvvisamente divertita dalla spavalderia dimostrata dalla piccoletta di fronte a lei. Non le interessava che la canna di un'arma da fuoco fosse prontamente puntata verso il suo petto, ed infatti non supplicò neppure un istante di essere risparmiata, limitandosi a scoppiare in una risata che presto invase  tutto il locale. Gwen non potè evitare di esibire un'espressione profondamente allibita. Si ricompose però in un istante.
"Perchè ridi?" le domandò rude, sempre mantenendo la propria mira in corrispondenza del cuore della nemica.
Courtney si abbandonò nuovamente sulla sua poltrona, sospirando e calmando la propria euforia, apprestandosi così a rispondere all'altra "Ovvio, no? Arrivi qui, ti consegni a me, mi riveli tutta la storia, ed infine speri anche di potermi eliminare? Sei esilarante"
"Non mi sembra di vedere nessun altro -oltre me- reggere una pistola tra le mani" si limitò a dire Gwen concisa.
"Touchè" asserì l'ispanica, annuendo, per poi tornare a parlare "Sai, ti credo. Tra le possibilità che ho, quella di crederti è sicuramente la più conveniente. Sei fuggita dalla Desert_Zone, eh? Allora ci crederò. Nel caso fosse vero, ma mi rifiutassi di crederti, nascerebbero innumerevoli problemi, non trovi?" le domandò Courtney allusiva, guardandola realmente in attesa di una risposta. Gwen non comprese.
"Che cosa?-" "Mi dispiace" la interruppe l'ispanica, sfoderando un'espressione truce e cupa "Ma non ho più voglia di parlare con te" le mormorò, facendo schioccare la lingua contro il palato.
Gwen avvertì un brivido percorrerle l'intera lunghezza della spina dorsale non appena quello sguardo spietato si posò su di lei. Avvertì l'immediato bisogno di spararle, ucciderla, privarla della possibilità di continuare a terrorizzarla, ma proprio quando tentò di spostare il proprio indice sul grilletto, un colpo alla schiena le tolse il fiato. Lasciò cadere a terra la pistola senza nemmeno rifletterci, tossendo ed annaspando alla ricerca d'aria. Non riusciva a concentrarsi su nulla che non fosse il dolore lancinante che la stava divorando in quell'istante. Tentò di parlare, gemere a causa del colpo ma, come il fiato, anche la voce era andata a mancarle. Cadde a terra in ginocchio, decisa a mantenere almeno un minimo della propria dignità. Serrò le proprie mani in due pugni frustrati e rabbiosi, il viso immobile a guardare il soffitto, le labbra schiuse alla ricerca d'aria. Il rumore dei passi di Courtney la costrinse ad abbassare lo sguardo sul pavimento. Vide le scarpe nere e lucide avvicinarsi lentamente, fino ad arrivare di fronte la pistola. Si chinò, per poi afferrarla. La rimirò a lungo, il viso adornato solo che da indifferenza, come se non ci fosse alcun corpo sofferente d'innanzi a lei. Una volta concluso il suo studio dell'arma, prestò attenzione alla dark a terra, lacinante di dolore, alla ricerca di aiuto. Le osservò il volto, analizzandone i tratti dolci e delicati. Si beò nel vedere i suoi occhi, prima tanto furbi, ricolmi di un improvviso terrore misto ad insicurezza. Si chinò fino ad arrivare alla sua medesima altezza, la guardò attenta, per poi sorridere.
"Buonanotte" le mormorò poi, prima di colpirla allo stomaco con forza, costringendola ad abbandonarsi definitivamente a terra. 
Gwen avvertì le forze scemarle velocemente. Avvertì il bisogno di tossire ed una volta fatto, ciò che vide a terra non fu altro che il suo sangue. Lo fece altre volte, mentre e con quelle ultime forze rimastole si voltò verso dove era giunto il colpo alla schiena. Un Gentiluomo era lì, di fronte a Courtney,  sorridente come sempre, ad osservarla gongolando.

Un ultimo pensiero nella sua mente.

Duncan.

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Capitolo 23
*** Desert_Zone cap.23 ***


 

Desert_Zone






cap.23




















Un ultimo pensiero nella sua mente.

Duncan.












Nonostante la palese confusione che era andata a crearsi dopo la scomparsa di Gwen, Duncan aveva tentato in ogni modo di ristabilire una sottospecie di tranquillità generale, il tutto proprio quando lui era quello che meno era in grado di controllarsi. Tutti erano rimasti particolarmente stravolti di fronte la notizia della scomparsa -fuga- della dark, ed il militare aveva dovuto faticare molto per fare capire pienamente il concetto ai seguaci della ragazza. Ora non solo mancava Zoey all'appello, ma anche Gwen -la ragazza di cui si era disperatamente innamorato- era sparita, ed in un modo decisamente troppo enigmatico, cosa che lo metteva  ulteriormente sotto pressione. Eppure, nonostante tutto ciò, lui aveva un piano, forse non era dei migliori, era banale e scontato, ma era pur sempre un'idea di partenza. Aveva diviso il gruppo in piccole squadre, ed aveva detto ad ognuno di setacciare una divdersa zona. Vi era solo una regola: la prudenza massima. Sarebbe bastato che un repressore tra i tanti li notasse un po' troppo interessati, e si sarebbero potuti definire istantaneamente condannati.
Mentre mangiavano, Duncan aveva rimarcato più volte quell'ultimo particolare, ripetendo le consuetudini e usanze fondamentali. Dovevano camminare a testa alta, composti, indossare il completo con immancabile perfezione ed infine, le ragazze dovevano tenere i capelli legati in una coda di cavallo oppure in uno chignon. Solo quando tutte queste piccolezze furono perfettamente ordinate, il militare si sentì pronto a farli partire. Aveva suddiviso la resistenza in tre gruppi: il primo formato da Bridgette e Geoff, che potevano essere facilmente scambiati per una coppia di giovani maritati, vi erano poi Heather, Noah e Dj, appartenenti al secondo gruppo, ed infine Scott, Duncan e Thomas che spiccavano nell'ultimo. 
"Bene, ricapitolando..." parlò il repressore, portandosi una mano alle tempie, stressato e decisamente stanco. La giornata si stava protraendo ormai da molto, ed in un modo decisamente sfiancante. Tutto ciò che voleva era svegliarsi, e vedere Gwen al suo fianco sorridente, così che tutto facesse parte solo che di un incubo orribile.
"Noah, Heather e Dj, voi dovete stare particolarmente attenti." si rivolse a loro "Sarete molto vicini alla base governativa. Spacciatevi per semplici turisti e tutto andrà bene. Nel caso ci fosse qualcosa di interessante, tornate subito alla base. Ce lo riferirete una volta tornati tutti." proseguì Duncan, parlando lentamente, ma mantenendo un tono severo, ricordando quando -fino a pochi mesi prima- era solito a dare ordini alle truppe che lavoravano per lui. Volse poi lo sguardo in direzione di Geoff "Voi, invece, restate al parco. Si trova molto vicino alla centrale. Controllate se si verifica qualcosa di... Sospetto"
Il biondo annuì immediatamente, passando un braccio attorno alla vita della propria ragazza in modo apprensivo. Duncan era stato molto cauto nell'affidare un compito ai due, si sentiva molto comprensivo nei confronti di Geoff e del suo amore per la giovane Bridgette, probabilmente perchè lo poteva capire.
"Noi?" domandò Scott, non essendo ancora stato informato di quale sarebbe stata la loro zona di appostamento.
"Noi ci aggireremo intorno all'ospedale e agli edifici pubblici adiacenti. Lì si trovano numerosi repressori." rispose in modo sbrigativo il militare, mentre i due compagni di squadra annuivano. Era probabilmente la prima volta che Scott si piegava in modo tanto mansueto ad un ordine datogli dal militare, ma non vi era alcuna scelta. Se obbedendo al repressore, avrebbe ritrovato Gwen, allora non gli sarebbe costata alcuna fatica annuire un paio di volte di fronte ai suoi ordini.
"Bene, allora andiamo"

 
***

Impiegarono poco meno di un'ora per raggiungere l'ospedale. Era stato Thomas ad accompagnarli, sempre aiutato dal proprio vecchio ed ammaccato furgone, che ad ogni curva sgommava in modo fastidioso e stridente. Eppure, nonostante le precarie condizioni del veicolo, nessuno disse nulla. Erano ben al corrente che possedere quel mezzo non significava altro che una pura fortuna. Per evitare problemi di troppo, Thomas aveva indossato la propria divisa militare, così che, nel caso fossero stati avvistati come sospetti, li avrebbe potuti spacciare per semplici borghesi di sua conoscienza. Non appena furono ad un chilometro dall'ospedale, Thomas accostò. Un macchinario dell'esercito avrebbe destato sospetto e preoccupazione tra la folla, ed era quindi il caso incamminarsi a piedi per il resto del tragitto. Smontarono uno ad uno in silenzio, per poi guardarsi attorno sospirando. Quella era stata una giornata parecchio calda -come sempre daltronde- ed il sole ora picchiava sui tre con prepotenza. Scott si sistemò un'ultima volta il completo prima di incamminarsi con gli altri.
"Cosa stiamo cercando?" domandò Thomas dopo qualche minuto, assottigliando gli occhi per la troppa luce.
"Se  troveremo mai qualcosa qui, sono convinto che sarà Gwen" rispose con calma il punk, rivelando i propri propositi, facendo voltare in sua direzione il rosso. Quest'ultimo lo scrutò con attenzione, il viso teso in un'espressione incerta se essere diffidente o meno.
"E perchè dovrebbe essere qui?" parlò la recluta, incerta su ciò che stavano facendo "Infondo non c'era sangue sotto il davanzale dal quale si è buttata"
"Lo so" acconsentì Duncan con un cenno del capo "E, nonostante speri vivamente che stia bene, dobbiamo ammettere che una caduta del genere causa sempre contraccolpi"
"Non sa dove si trova l'ospedale" si lasciò sfuggire con disinvoltura Scott con il palese tentativo di screditare l'ipotesi del punk, passandosi una mano tra i capelli. Eppure, Duncan rispose in fretta.
"Potrebbero avercela portata. Potrebbe avere chiesto aiuto" disse, abozzando un mezzo sorriso. Stavano ancora camminando, e l'edificio era appena spuntato all'orizzonte. Quell'accenno di felicità scomparve, sostituito da un'espressione seria "Eppure, non sono certo di volerla vedere lì"
I due al suo fianco lo squadrarono confusi, arrestando il loro passo quasi contemporaneamente. Gli stavano mutamente domandando spiegazioni, e presto il repressore tornò a parlare.
"Vedete... E' stata lei ad andarsene, ok?" iniziò a spiegarsi, incerto se lo avrebbero compreso a pieno "Non sappiamo il motivo. Da una parte, vederla dentro l'ospedale probabilmente mi solleverebbe. Mi farebbe capire che è ancora al nostro fianco, mi darebbe la certezza di sapere dove si trova..."
"Ma?" domandò Thomas, vedendo che Duncan aveva arrestato le proprie parole.
"Ma supponiamo che il fatto che sia scomparsa ci regali una svolta... Intendo.." si corresse, certo che non lo avessero capito a pieno "Se fosse tutto parte di un suo piano? Se avesse un'idea. Se sapesse che grazie a questa idea tutto finirebbe bene? Magari tra un paio di giorni tornerà dicendoci 'ehi, ragazzi! E' finita! Sono riuscita a fare questa cosa pazzesca'."
Scott ascoltò quelle parole attentamente, ma non riuscì a non ritenerle solo che il riflesso dell'ingenuità. Sorrise sghembo, mentre scuoteva la testa quasi provando pena nei confronti di Duncan, il tutto mentre poteva chiaramente sentire il suo animo lacerarsi pezzo per pezzo, frantumandosi in maniera orribilmente fatale.
Il punk notò quel suo comportamento "Che hai?"
Scott alzò il volto verso l'altro "Sei un ingenuo, Smitt" si limitò a dirgli, mormorando appena.
"Ingenuo? Di che parli?"
"Del fatto che..." il rosso prese una pausa abbastanza lunga, tanto che passarono innumerevoli secondi durante i quali nessuno parlò  "Che qualsiasi cosa Gwen abbia deciso di fare, la porterà alla morte" rivelò dunque.
Duncan scosse il capo più volte, mentre sentiva l'eco delle parole del ragazzo rimbombargli orribilmente nel cervello "No... Tu deliri! Lei non si arrenderebbe mai, me lo ha detto"
"Sì, è vero" acconsentì il rosso, dandogli ragione "Eppure, davvero ti sempra 'arrendersi' quando un uno si sacrifica per molti?" gli domandò poi, facendo tremare Duncan sul posto. Il punk sgranò gli occhi, mentre il viso di Scott non faceva altro che farsi sempre più consapevole della situazione. Come poteva rimanere tanto calmo?
Non dovette nemmeno domandarglielo, che questo rispose "Spero che tu le abbia dato un motivo per amare la sua vita un po' di più"

Di fronte l'ennesima frase del rosso, Duncan si irrigidì. In quell'ultimo scambio di battute, in particolare nelle sue ultime parole, era trapelato chiaramente il fatto che Scott fosse al corrente di cosa era successo tra lui e Gwen. Eppure, tra tutto, la cosa che più lo aveva sorpreso, era il fatto che gli avesse rivolto quella frase con speranza nella voce, e non con l'odio che era certo gli avrebbe sputato contro. Il repressore fece per rispondergli, ma un sussulto da parte di Thomas, lo fece distrarre.
"Oddio..." mormorò la recluta, aumentando improvvisamente il passo -avevano da poco ripreso a camminare- ed accostandosi in corrispondenza di un corpo a terra. I due, una volta notata la figura sul marciapiede, accorsero anch'essi, del tutto impreparati alla vista che si sarebbe presentata loro di fronte.
Era voltata a pancia in giù, con il viso contro l'asfalto lurido e caldo, bollente a causa del sole che batteva incessantemente ormai da ore. Non ci volle molto perchè tutti e tre i presenti si rendessero contro di chi fosse la figura a terra, ed in particolare per Thomas quella vista fu un supplizio. La prima cosa che il giovane notò, furono i capelli rossi che, pur non essendo perfetti come di loro solito, avevano quel colore unico che mai aveva visto su nessun altro. Subito l'ansia lo aveva attanagliato. Si era accostato al corpo privo di sensi della giovane e, una sollevato leggermente da terra, l'aveva voltato, così da trovarsi di fronte a quel viso che conosceva tanto bene. Aveva sperato -pregato- con tutto sé stesso di essersi sbagliato, eppure la ragazza che, tumefatta e priva di sensi si presentava di fronte a loro, era proprio Zoey. Era totalmente sporca, sia di terra che di sangue rappreso. Il suo tipico trucco semplice ed appena applicato le era colato ovunque, rendendole il viso ricoperto da macchie grige, probabilmente in parte causate da lividi. I vestiti puzzavano di alcol, eppure lei non doveva avere bevuto. Le osservò attentamente le braccia, riscoprendole piene di tagli, la maggior parte dei quali avevano fatto infezione, arrossandole la pelle e probabilmente bruciandola in modo dilaniante. Eppure, nonostante quell'orribile spettacolo, la cosa che più colpì Thomas e gli altri, furono le mani di lei, tendendi al blu, sull'orlo della cancrena, ormai prive di sangue vivo in loro.
Il repressore corrugò la fronte frustrato, mentre Thomas faceva leva sulle gambe, sollevando Zoey e tenendola tra le braccia. Per la prima volta dal ritrovamento del corpo, alzò il viso, mostrandolo a Duncan e Scott. Stava piangendo. Non aveva resistito. Non appena aveva riconosciuto il corpo, scoprendolo appartenente alla sola persona che non lo aveva mai abbandonato, che aveva continuato a credere in lui nonostante tutto, lui si era sentito il mondo crollare addosso. Aveva avvertito il cuore farsi improvvisamente pesante, e lo stomaco contorcersi dolorosamente, poi erano arrivate le lacrime. Non se ne era nemmeno reso conto, tanto era rimasto stupito di fronte l'aberrante scena presentatagli, eppure delle calde lacrime gli stavano lentamente rigando il volto, rendendolo schiavo delle emozioni, quelle puntigliose armi che erano sempre state il suo punto debole. Non voleva piangere -mostrarsi debole-, ma non riuscì ad evitarlo, e nessuno gliene fece mai una colpa. Ogni volta che tentava di prendere un profondo respiro, esso gli causava tremolii e singhiozzi disperati, che presto lo fecero arrendere. Serrò le labbra in procinto di gridare, per poi voltarsi in direzione dell'edificio ed iniziare a camminare con ampie falcate fino all'ingresso. Consegnò la ragazza nelle mani dei medici, mentre la sua vista andava ad appannarsi totalmente, ed il suo cuore iniziava a martellargli nel petto senza un freno.
Non si era mai sentito così in procinto di mollare.

 
***

Dj, Heather e Noah avevano camminato a lungo decisi ad esaminare ogni singola mossa che potesse destare eventuali 'sospetti'. Eppure, nonostante tutto il loro impegno, nulla parve loro bizzarro o anomalo; vi erano le solite guardie agli angoli delle strade, o sui fondi dei vari vicoli, ma null'altro. Heather, tra i tre, era la sola armata. Nascondeva una pistola sotto la gonna del tailleur, il tutto grazie ad una fascia elastica attorno alla coscia. Nel proprio gruppo era la più determinata, in grado di sparare ed uccidere con molto più sangue freddo rispetto agli altri due. Eppure, constatò lei in breve, non ve ne era la necessità.
Passarono due ore, prima che accadesse qualcosa in grado di stravolgere totalmente la situazione. Con la coda dell'occhio, Heather notò un repressore avvicinarsi. Cercò immediatamente Noah con lo sguardo, per poi accostasi a lui, ostentando noncuranza. Il ragazzo non fece in tempo a fare alcuna domanda, che il militare fece risuonare la sua voce vicino a loro.
"Che state facendo?" domandò rude, tenendo la mascella serrata ed i muscoli pronti ad intervenire. La ragazza sorrise sbadata, per poi lanciare una breve occhiata all'amico.
"M-Mi scusi... Saremmo turisti." mentì l'asiatica, potendosi facilmente fingere proveniente dall'oriente, una delle poche zone mondiali ancora esistenti. Il militare non chiese nuove conferme, preferendo cambiare discorso immediatamente.
"Vi consiglio di cambiare zona. Qui è luogo operativo del Governo, non amiamo presenze di troppo" incalzò dunque il repressore, minacciando i due con un ghigno spietato. La mora annuì immediatamente. Altrettanto fece Noah, scusandosi con educazione. Si allontanarono a passo svelto, ed una volta girato l'angolo, si fermarono. I cuori di entrambi battevano frenetici per il pericolo appena rischiato, ma ciò che più li spaventò, fu l'assenza di Dj. Heather si voltò verso il ragazzo spaventata.
"Dov'è?"
Noah iniziò a scuorere il capo completamente in balia del terrore. Non si era reso conto della scoparsa dell'amico, ma -ancora peggio- vi era il rischio che fosse stato catturato come sospettato "N-Non lo so..." si limitò dunque a rispondere, senza ormai più fiato in gola, e con la voce ridotta ad un soffio terrorizzato.

 
***

Nessuno lo aveva visto entrare di soppiatto all'interno della base Governativa. Il solo repressore che -fino a poco prima- era rimasto di guardia, se ne era andato perchè incuriosito dai comportamenti di Heather e Noah. Inizialmente Dj aveva avuto la chiara intenzione di aggregarsi ai due, ma aveva notato una cosa che lo aveva fermato d'improvviso. Nell'esatto momento in cui la guardia aveva lasciato il proprio posto, un secondo repressore aveva fatto il suo ingresso nel grande edificio, un uomo a cui si erano incastrati nelle asole della divisa alcuni ciuffi di capelli rossi. Era stato un piccolo quanto grande particolare, in quanto Dj riconobbe immediatamente in quei pochi ciuffi il colore di capelli che dovevano rappresentare la giovane e scomparsa Zoey.
Non ci aveva riflettuto molto una volta considerato quel particolare. Si era semplicemente fatto avanti con un passo felpato, ed aveva iniziato a seguire il militare di fronte a lui con estrema attenzione, evitando cautamente ogni altra persona dentro l'edificio. Era rimasto abbagliato dalla ricchezza che lo circondava, una ricchezza che veniva debileratamente negata al popolo, ma gratuitamente -e segretamente- data ai potenti. Non era infondo quella la storia del mondo?
Mentre seguiva quel militare, riflettendo su simili argomenti, si ricordò di una storia, qualcosa di cui aveva sentito parlare anni ed anni orsono dalla madre ormai vecchia: Robin Hood, un ladro spavaldo e giusto. Vi era una frase in particolare, che in quell'istante, iniziò a suonargli nella mente, una sorta di motto, che riconobbe presto molto simile a quello che portava loro compiere gesta con il palese intento di rinsavire il mondo: 'rubare ai ricchi per dare ai poveri'.
Non era incredibilmente simile a ciò che pensavano loro? Il loro obbiettivo non era altro che fare divenire tutti uguali -e per farlo si doveva togliere molto a quei ricchi-, così da rendere poi ognuno artefice del proprio destino da quel punto in poi. Sì, quella possibilità gli parve così meravigliosa che quasi non si accorse del militare che voltava un ultimo angolo, per poi entrare in una stanza, lasciando -con immensa fortuna del ragazzo- la porta aperta. Si accostò alla porta con attenzione, per poi guardare attraverso il piccolo spiraglio che essa formava: L'uomo che aveva seguito ed una donna alta e dai capelli castani stavano discutendo animatamente di cose decisamente importanti, sia per i due, che per la resistenza. Abbassò lo sguardo sul pavimento, notando un piccolo oggetto nero che gli era familiare. Allungando leggermente il braccio all'interno della stanza, lo afferrò, rischiando di farsi notare dai due presenti. Salvo, tornò immediatamente a nascondersi dietro la porta, anallizzando il piccolo oggetto che reggeva tra le mani, e ricordando d'improvviso dove lo aveva visto. Sgranò lo sguardo, per poi iniziare a premere vari pulsanti, totalmente indaffarato. Una volta trovato ciò che cercava, si portò il piccolo cellulare all'orecchio.

 
***
Una volta entrati dentro l'ospedale, Duncan e Scott incontrarono la figura di Thomas affranta seduta a terra, con la schiena contro una parete. Era in preda ad un attacco di panico, il petto gli si alzava ed abbassava in modo frenetico, teneva gli occhi chiusi, artigliava in modo spasmodico la moquette della sala d'attesa con le unghie delle mani, e continuava a piangere terrorizzato, non facendo altro che pregare ed aspettare, ripetendosi quel mantra nella mente stanca. Scott rimase distante di qualche passo, mentre invece, il repressore si accostò a lui con apprensione, chinandosi alla sua altezza, alla disperata ricerca di un contatto con il suo sguardo. Duncan lo squardò attentamente: la mascella stretta, e le vene del collo sporgenti a causa dell'eccessiva ansia. Attese qualche attimo in silenzio, limitandosi a posare una mano sulla spalla dell'amico, sperando che aprisse gli occhi e lo guardasse, ma non lo fece.
"Tommy, guardami" gli ordinò dopo un paio di minuti. La reclutà non lo ascoltò, limitandosi a deglutire a vuoto, dando una tregua al respiro frenetico. Erano passati circa due mesi dall'ultimo attacco di panico, avuto quando gli era stata data la notizia della triste dipartita di Duncan. Ricordava quanto tempo ci aveva messo a tornare calmo, ma ora non era più certo ce l'avrebbe fatta. Quella crisi non era dovuta solo a Zoey, o a ciò che i medici gli avevano detto su di lei. Era in realtà stato il lento ammassarsi delle cose a farlo lentamente precipitare. Thomas era un ragazzo forte, ma non sarebbe mai stato un buon militare, e questo -forse- Duncan lo aveva sempre saputo. Il ragazzo si legava ad ogni causa in modo diverso, e soffriva con essa ad un livello viscerale. Come aveva perciò fatto  a non intuire prima la sofferenza che il giovane si era a lungo tenuto dentro? Il punk si sentì terribilmente in colpa mentre, prendendo nuovo fiato, si apprestava a parlargli nuovamente.
"Guardami"
Questa volta glielo impose con un tono freddo, severo e rabbioso. Thomas conosceva quella voce, che il repressore gli aveva spesso rivolto dopo una delle sue tante bravate. Sapeva che se Duncan ricorreva ad un simile modo di parlare, allora la situazione era grave; doveva dargli ascolto. Aprì gli occhi con lentezza, e presto la luce lo circondò nuovamente, impedendogli di annegare nel suo stesso terrore. Dall'altra parte Duncan -ma anche Scott, nonostante non lo avrebbe mai apertamente ammesso- tirò un sospirò di sollievo nel vedere lo sguardo color smeraldo del ragazzo.
"Bene, ed ora calmati" gli disse il punk, abbassando la mano dalla spalla della recluta. Thomas si limitò ad annuire, mentre prendeva lentamente possesso del proprio corpo "Che ti hanno detto?"
Il giovane non rispose immediatamente, sapendo bene che parlare subito lo avrebbe nuovamente fatto soffocare di paura, ma attese qualche minuto affinchè riuscisse a calmarsi pienamente, e solo una volta che questi attimi furono passati, si sentì libero di parlare "U-Un medico l'ha visitata e mi ha detto c-che..." prese una pausa "E' sotto coma indotto da farmaci. Se si svegliasse potrebbe morire. Ha perso molto sangue, vi sono tante infezioni, anemia -non so quanto grave- e-" "Calmati, Thomas." lo interruppe Duncan, la voce ferma "Parla con calma"
Il ragazzo guardò l'amico, per poi sospirare afflitto. Fece per parlare nuovamente, ma non appena tentò di mormorare qualcosa, le sue labbra tremarono, nuovamente sull'orlo del pianto "Non può morire Zoey" lo supplicò infine Thomas con un filo di voce.

Duncan avrebbe voluto dire qualcosa, confortarlo e dirgli che la rossa non sarebbe morta, ma non ci riuscì. Gli bastò ricordare il suo piccolo corpo sporco e privo di sensi perchè le sue speranze si affievolissero nettamente. Oltretutto, l'espressione sofferta ed il tono di Thomas lo avevano fatto irrigidire. Quegli occhi verdi ridotti a due specchi di dolore lo destabilizzavano totalmente. La recluta rappresentava per il punk quel fratello che non aveva mai avuto, e vederlo tanto sconvolto e ferito in un simile momento non poteva fare altro che addolorare anche lui. Aprì le labbra, intento a dire qualcosa, ma un suono proveniente dalla sua tasca lo fece distrarre. Abbassò lo sguardo, per poi estrarre dai pantaloni il cellulare che si era messo a  squillare. Pochi giorni prima aveva recuperato il telefono di Tommy in un disperato tentativo che Zoey li richiamasse, confermando la propria salvezza, cosa che non era accaduta. Eppure ora, il cellulare squillava, ma la rossa era in fin di vita in una stanza di ospedale. Il repressore lanciò un'occhiata a Thomas, ma non disse nulla. Si alzò e chiese a Scott di restare accanto al giovane, mentre lui si allontanava per rispondere in una zona dove nessuno potesse notarlo.

"Sì?"
"Thomas?" domandò la voce oltre la cornetta. Suonò immediatamente familiare al militare, ed il fatto che quest'ultima avesse chiesto di uno di loro, avvaleva l'ipotesi che chiunque aveva chiamato era un loro conoscente.
"Duncan" lo corresse il repressore prontamente, pronunciando il proprio nome con durezza. Nel frattempo lanciava occhiate attorno a sé, così da accertarsi di essere effettivamente solo. Se qualcuno lo avesse visto con un oggetto proibito tra le mani, lo avrebbero sicuramente denunciato.

 
***

"Duncan"
Istintivamente, Dj sorrise. Preferiva decisamente di più parlare con Duncan che con il giovane Thomas, molto meno invischiato rispetto a loro nella questione. 
"Sono Dj" si limitò a mormorare  il ragazzo, ancora nascosto oltre la porta, deglutendo a vuoto, terrorizzato dalla piega che gli eventi stavano prendendo "Ora, sta assolutamente zitto" lo ammonì Dj, preoccpato che -nel caso parlasse- potessero sentirlo "... E ascolta" gli impose dopo qualche secondo, mentre si chinava a terra e poggiava il cellulare nuovamente all'interno della stanza, così da fare ascoltare al militare la conversazione in corso. Aveva intuito quanto fondamentale fosse, soprattutto per lui.

Courtney fece un passo in direzione del suo amato scotch, mentre lanciava sguardi disinteressati in direzione del repressore "Allora? La rossa?" domandò poi, notando mancasse all'appello il corpicino debole e sanguinante della ragazzetta.
"L'ho portata dei pressi dell'ospedale più vicino, come mi avete detto di fare" rispose mansueto l'uomo, non dicendo nulla di fronte il mancato disinteresse della ragazza, o ai suoi atteggiamenti privi di gratitudine. Quest'ultima si adagiò mollemente sulla propria poltrona in pelle, mentre annuiva un paio di volte.
"Bene" disse poi "Infondo, dubito comunque che vivrà." prese un sorso dal proprio bicchiere, per poi sorridere sadica "L'ho conciata proprio male... Ed è un peccato che la darkettona non mi abbia fatto finire... Altrimenti ora le sue labbra sarebbero solo che un ricordo" rivelò la donna, esibendo un'espressione completamente appagata. L'idea di tagliarle lentamente le guance l'aveva allettata a lungo, ma proprio quando era stata in procinto di attuare quel folle piano, l'altra aveva fatto il suo ingresso nello studio, rivelandosi come la causa di ogni suo male.
"A proposito" intervenne il repressore, statuario di fronte alla donna "Dov'è l'altra ragazza?"
Courtney lanciò una breve occhiata in direzione dell'uomo, per poi alzare le spalle con indifferenza "Dove voleva"
"L'avete uccisa?" domandò l'uomo, esibendo un sorriso di aspettativa. L'idea stessa della violenza scatenava il subbuglio in mezzo ai quei folli amanti del Governo, cosa che disgustava particolarmente Dj, ancora cautamente nascosto dietro la porta, interessato anch'egli alla conversazione.
"No, non potevo farlo" disse Courtney, sfruttando un tono di voce freddo e disinteressato "Mi aveva esplicitamente detto di non essere giunta fin qui per morire, perciò ho pensato di non ucciderla"
Quella frase confuse particolarmente l'uomo, che curvò le sopracciglia incerto se avere sentito bene. Mai la sua padrona si era dimostrata gentile o mansueta nei confronti di un condannato. Dubitava in particolare, che quest'ultima fosse stata un'occasione simile. Infondo, quella ragazza -Gwen- aveva palesemente giocato con lei, e l'uomo stesso ne era stato qualche attimo testimone.
"Oh, non è come pensi tu, affatto" intervenne presto l'ispanica, notando l'espressione di lui e con essa, la sua muta domanda "L'ho riportata a casa"
"L'avete nuovamente condannata alla Desert_Zone?"
Courtney rise, ma non in modo sadico o felice. Quello che era appena sbocciato sul suo volto era un sorriso folle, assolutamente colmo di insanità, in grado di farsi beffe di quelli dei Folli -così venivano chiamati i molti abitanti- della Desert_Zone. Quelle labbra si increspavano nel ritratto della disperazione mista a furbizia e letale rancore, qualcosa che fece rabbrividire il povero Dj, ancora salvo nel suo nascondiglio.
"Oh, non solo..." disse la donna, sibilando lugubramente, mentre si alzava dalla propria poltrona e camminava in direzione dell'uomo. Aveva il viso colmo di orgoglio e vanto, ed immediatamente Dj comprese che, qualsiasi cosa avesse fatto, presto tutti ne sarebbero stati coinvolti "Io ce l'ho buttata dentro, perchè lo desiderava." soffiò, gli occhi che brillavano di follia "Mi ha chiesto di non ucciderla, e non l'ho fatto. Ora farà lei un favore a me..." continuò a dire, passando la lingua sulla superficie dei denti, come a volere saggiare il sapore della propria geniale idea "Con la sua vita finirà per distruggere fino all'ultimo centimetro di Desert_Zone, così che mai più si verifichino simili incidenti"
Il repressore ascoltò quella frase, non comprendendola a pieno, ed altrettanto accadde a Dj, che sperò con tutto se stesso che l'uomo chiedesse spiegazioni. Tirò un sospiro di sollievo quando questo accadde.
"C-Che significa?"
"E' solo un prototipo a dire il vero..." mormorò Courtney con il volto sognante "Ma... Ho al mio servizio ottimi scienziati"
Lo sguardo di Dj si fece confuso, mentre attendeva che l'ispanica proseguisse il proprio bizzarro discorso.
"Cosa-?" tentò di domandare il repressore, ma la donna lo interruppe. 
"Una bomba rivoluzionaria. Potentissima a dire il vero." sospirò la ragazza, stendendo nuovamente le proprie labbra in un sorriso vivace "Durante lo svenimento le viene fatta una piccola operazione e..." si interruppe, ammirando con lo sguardo vitreo un punto imprecisato della propria mano, le labbra semiaperte "E si collega al cuore" concludendo quella frase, i suoi occhi si tinsero di odio e morte, e la sua mano si serrò in un pugno teso "Devi solo dire quanti battiti vuoi prima dell'esplosione, ed il cuore diventa il timer della bomba" spiegò infine. osservò attentamente il repressore di fronte a se. La sua espressione era un misto tra il terrore più completo e l'ammirazione più devota, ma non le interessò. Si voltò in direzione della propria poltrona, per poi estrarre da sotto un cuscino una pistola.
Con disinteresse la puntò contro l'uomo, il quale non potè fare altro se non osservarla confuso. Sparò un semplice colpo, sufficiente ad ucciderlo all'istante. Guardò il corpo cadere a terra esanime, e poi sospirò, lanciando larma sulla poltrona.
"E se ti interessa, amico..." continuò a parlare, come se fosse ancora di fronte al repressore "ancora solo trecento mila battiti"

Dj, sentendo quelle parole, avvertì il proprio cuore più frenetico, completamente in balia del terrore. Era certo che la ragazza avrebbepotuto sentirlo, e si impose perciò di restare calmo.

Avvertì i passi di lei avanzare. Guardò distrattamente il pavimento che, a causa del suo sparo, si era macchiato di sangue "Dovrò pulire di nuovo" si lasciò poi sfuggire, tornando a camminare nella stanza, fino a che non diede un calcio ad un piccolo oggetto. Ai suoi piedi il cellulare ancora in chiamata emetteva pochi insopportabili suoni.












 
Angolo dell'autrice!

Salve a tutti! Capitolo lungo, lo so, ma ci tenevo a farlo finire così :')

Per chi conosce le mie storie sa che questo è 'l'inizio della fine', diciamo e per chi non le conosce... ora lo sa ahah!

Spero vi sia piaciuto questo capitolo, e mi farebbe piacere leggere qualche vostra recensione! :)


... Alla prossima! :)
-Sara

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Capitolo 24
*** Desert_Zone cap.24 ***


Desert_Zone






cap.24













La donna osservò il piccolo oggetto gracchiante ai suoi piedi. Poteva sentire un fastidioso suono provenire da esso, ed in pochi istanti, dopo averlo studiato con attenzione, riconobbe il cellulare che aveva trovato tra le mani della rossa che aveva abbandonato solo poche ore prima. Corrugò la fronte, mentre si rendeva conto che l'apparecchio era in funzione.

Da dietro la porta, Dj assistette alla scena agitato. Duncan non stava parlando nel ricevitore, ma probabilmente vi erano delle interferenze nella linea. Stava di fatto che quella donna decisamente folle aveva notato il cellulare, e che era intenta ad afferrarlo. Immediatamente, il ragazzo si rese conto che questo non doveva accadere. Probabilmente, una volta recuperato il telefono ai suoi piedi, la mora non ci avrebbe impiegato più di qualche ora a rintracciare il secondo apparecchio e con esso, tutta la resistenza.
La vide camminare in direzione del piccolo oggetto, ed apprestarsi a raccoglierlo, il viso contorto in una maschera di furia e confusione inaccettabili. Dj, senza neppure rifletterci, seguendo solo che l'istinto, entrò immediatamente nella stanza e, muovendosi velocemente, raggiunse il cellulare prima della ragazza. Non appena lo strinse nella propria mano, avvertì una sensazione di sollievo che lo invase totalmente, ma questa non durò a lungo. Non appena alzò il viso verso la donna, la prima cosa che incontrò, fu la canna della pistola puntata con incredibile precisione contro la sua fronte. Deglutì a vuoto, improvvisamente incapace di parlare. Nonostante ci fosse almeno un metro di distanza dalla ragazza, se mai quest'ultima avesse sparato, il colpo non sarebbe certo stato a vuoto. Da ciò che aveva dedotto, la mora di fronte a lui era un chiaro esempio di omicida a sangue freddo, ed una così breve distanza non l'avrebbero certo fermata. Lanciò una veloce occhiata al telefono tra le sue mani: lo schermo illuminato segnava che la chiamata era ancora in corso.
"Alza lo sguardo" gli intimò la donna con voce grave. Immediatamente Dj obbedì. Disobbedirle non era neppure considerabile come ipotesi. Con un cennò dell'arma, la ragazza gli ordinò di alzarsi in piedi, ed il ragazzo fece per obbedire.
"Lascia a terra il telefono" gli consigliò con un falso sorriso Courtney. Lui appoggiò il piccolo cellulare nero sul pavimento in marmo, serrando la mascella contrito, per poi alzarsi. Sentiva le ginocchia tremare. Sapeva che, qualsiasi cosa avesse deciso di fare da quel momento in poi, nulla sarebbe cambiato. Lei lo avrebbe ucciso in qualsiasi caso e, comunque, non avrebbe mai tradito la resistenza per un disperato tentativo di vana sopravvivenza. Non era così sprovveduto.
"Allora, chi saresti?" domandò la donna dopo qualche minuto, osservando diffidente prima il ragazzo di fronte a lei, poi il cellulare a terra "Chi è che ci sta ascoltando?" incalzò dopo breve.
Dj non rispose. L'arma di fronte a lui, pronta a sparare in qualsiasi momento lo aveva completamente congelato sul posto. Riusciva ad articolare solo pochi pensieri, e solitamente in modo sconclusionato. Le poche cose di cui era certo era che doveva proteggere Duncan ed il resto dei ragazzi, e che probabilmente -di quel passo- il suo cuore sarebbe esploso a causa dell'ansia. Poi, come un lampo in un cielo saturo di nuvole, un obbiettivo fondamentale, importante e giusto, si fece spazio nella sua mente, e subito si impose di rispettarlo.
"Non parli, eh? Benissimo" mormorò la donna, sfoderando un sorriso sadico e facendo scorrere il carrello dell'arma "Infondo, saresti morto in ogni modo. Mi hai probabilmente risparmiato una fatica" Tornò a puntare l'arma con assoluta precisione sul ragazzo "Le tue ultime parole?"
Fu allora che sul viso di Dj comparve un sorriso, probabilmente il primo da quando la sua vita era 'finita'. Non aveva sorriso quando era tornato dalla Desert_Zone, né tantomeno quando ne era stato salvato da Gwen e Scott, non sinceramente comunque. Solo in quel momento, quell'attimo nel quale si rese conto che tutto era sull'orlo di finire -per lui-, mentre una pistola quasi gli sfiorava una tempia, il giovane decise di sorridere realmente. Le sue labbra si incurvarono all'insù con orgoglio, mentre gli occhi scuri diventavano lucidi di terrore.
"Ho sempre creduto di non essere degno di voi e probabilmente è stato sempre così..." iniziò a dire con voce tremante, fingendo di avere Duncan di fronte a sé, non dimenticando mai di averlo lì ad ascoltare. Non stava morendo da solo, quel repressore ne sarebbe stato testimone "N-Non mi sono mai imposto... Ho sempre cercato una via per salvarmi. Non mi sono mai fatto valere come tutti voi" soffiò, la voce rotta da qualche singhiozzo, ma il viso ancora sorridente "Spero che quello che sto per fare compensi la situazione..." disse, continuando a fingere di avere Duncan di fronte, mentre la donna neppure lo ascoltava più "Salvala, Duncan..." mormorò infine, alludendo alla situazione di Gwen. Abbassò poi lo sguardo sul cellulare e, chinandosi in uno scatto veloce, afferrò il telefono e lo rilanciò a terra, frantumandolo in più pezzi.
Ce l'aveva fatta, constatò Dj poco prima di avvertire una fitta lancinante nel petto.

Li aveva salvati... Ed ora stava morendo.

Courtney osservò il ragazzo di fronte a lei. I suoi occhi, da concentrati e stanchi, divennero furiosi e liquidi. Sparò senza pietà, perforando il busto del giovane fino a che la carica con si svuotò totalmente. Osservò il corpo privo di vita a lungo, mentre attorno ad esso si espandeva una larga pozza di vermiglio sangue. Si specchiò in essa, incontrando il suo viso rovinato da quelle incombenze che la assillavano da giorni. Se fino a poco prima il suo regno era stato calmo e semplice da controllare, ora tutto si stava lentamente rivoltando contro se stesso, finendo per distruggerla. Sospirò profondamente, mentre le sue mani iniziavano a tremare colte dalla confusione. Lasciò scivolare a terra la pistola, a causa della quale il sangue schizzò fino ai suoi piedi, macchiandole le scarpe lucide. Si morse il labbro inferiore in preda alla collera fino quasi a ferirlo e, sentendosi stremata, si lasciò andare sul pavimento in ginocchio. Non si curò della gonna madida di sangue o delle mani che stava bagnando in esso: sentiva solo la necessità di chiudere gli occhi e riflettere.
Era riuscita a dedurre poche, quanto fondamentali nozioni dal giovane, ora morto, al suo fianco: la ragazza che solo poche ore -forse un giorno- prima aveva fatto il suo ingresso nel suo ufficio, proclamandosi come ufficiale causa di ogni suo problema, non era in realtà sola, ma anzi! Vi era colui che ora giaceva privo di vita vicino a lei, e probibabilmente un'intera altra squadra pronta all'attacco. Serrò la mascella con nervoso ed ira, mentre stringeva convulsamente le mani in due pugni, resistendo al folle impulso di gridare.
"Li ucciderò tutti, quei dannatissimi bastardi" sibilò tra i denti.

 
***

Dove era quella dannata sigaretta?

Duncan la cercava con frenesia tra le tasche del completo, totalmente stravolto dalla situazione. Le mani avevano iniziato a sudare e il cuore gli martellava in modo decisamente troppo veloce nel petto.

Non poteva credere che Dj fosse morto. Non poteva nemmeno lontanamente prendere in considerazione l'effettiva idea di non potere mai più rivedere il viso del giovane ragazzo dalla pelle ambrata. Anche lui, come il resto della resistenza, era entrato a fare parte della sua vita, ed anche se non avevano mai intrattenuto rapporti particolarmente affiatati, era certo che non meritasse di morire. Recentemente si era reso conto di come nessuno lo meritasse. 
Sospirò per l'ennesima volta, mentre quel discorso poco prima della fine della chiamata gli rimbombava nella mente incessantamente. Aveva parlato di come non si fosse mai imposto, e di come quell'ultimo gesto -fatto per salvarli- avrebbe pareggiato i conti. La morte di qualcuno non poteva pareggiare nulla. Si sentì in parte in colpa per quell'ultimo disperato gesto compiuto dal ragazzo, ma al medesimo istante immensamente grato per esso: grazie a lui ora sapevano dove era Gwen. 
Duncan serrò d'improvviso la mascella, come colto da una lancinante fitta di dolore. Era nascosto in un corridoio pressocchè desolato, frequentato di rado da qualche uomo addetto alle pulizie. Passarono decine di secondi, prima che i muscoli del militare tornassero a rilassarsi -almeno in parte-. Il semplice pensare a Gwen e a ciò di cui era venuto a conoscenza lo distruggeva. Lei, la donna della quale si era innamorato, e alla quale non aveva potuto dirle 'ti amo', la ragazza di cui aveva perso le tracce solo un giorno prima, ora stava correndo inconsciamente la vita. Una bomba era attaccata al suo cuore palpitante, e lei era stata abbandonata nella Desert_Zone nuovamente. Si portò una mano al petto, in corrispondenza del cuore, aggrappandosi disperatamente alla propria giacca. Strinse con spasmodia il tessuto tra le proprie mani, quasi sperando di potere  riuscire a sradicarsi il cuore dal petto. Il dolore che sentiva scorrergli furibondo nelle vene non era equiparabile a null'altro: mai in tutta la sua esistenza una vita era stata tanto importante, mai al pensiero della morte di qualcuno si era sentito tanto debole e responsabile. Responsabile, sì, perchè era certo che se lui, mesi prima, non fosse mai precipitato nella Desert_Zone, ora, tutto quello, non sarebbe mai accaduto. Voleva rivedere Gwen, dirle che la amava oltre ogni cosa e poi, magari, morire con lei. Gli sarebbe andato bene. Forse, sarebbe stato persino confortante giungere alla fine della propria esistenza cullato dalle braccia del proprio amore.
Abbandonò la presa sul tessuto, lasciando cadere il braccio lungo i fianchi. Non poteva lasciarla lì a morire, non ce l'avrebbe fatta, sarebbe morto prima lui. Doveva trovare un modo per raggiungerla. Forse non sarebbe riuscito a disattivare una bomba simile, ma sarebbe stato presente e vittima, coinvolto in quella follia nella quale loro stessi si erano condannati. Un fugace pensiero gli attraversò la mente: quei bellissimi occhi color dell'ebano più pregiato, in grado di incantare e di uccidere, il tutto con un'eleganza disarmante. No -decise infine-, nonostante la frenesia che il mondo aveva iniziato ad ostentare, non l'avrebbe abbandonata ad una morte tanto ingiusta e desolata.

Tornando a setacciare nelle proprie tasche, trovò infine il pacchetto accartocciato di sigarette, ormai quasi vuoto. Ne aveva bisogno: doveva rilassarsi e sentire il dolce sapore di tabacco in bocca, così da potere essere più lucido poi, nel momento in cui avrebbe dovuto riflettere. Era così che gli aveva insegnato a fare Gwen: riflettere. Afferrò tra indice e medio la sigaretta, per poi estrarre da una seconda tasca un piccolo accendino. Non fece troppo caso alla mano tremante che tentava di maneggiare il piccolo oggetto, ben più concentrato sul fuoco che esso doveva emettere. Non appena sentì la prima ondata di fumo entrargli in bocca, un leggero relax lo colse. Sospirò grato, per poi massaggiarsi una tempia con fare contrito. Per quanto la sigaretta potesse aiutarlo a rilassarsi, le lacrime continuavano a spingere vogliose contro i suoi occhi, intente a trovare una via d'uscita. Le gambe gli tremavano orribilmente, ed era certo che il suo viso fosse divenuto pallido in modo quasi cadaverico. Deglutì a vuoto, mentre si portava nuovamente il filtro alle labbra, per poi aspirare.
Il mondo era improvvisamente qualcosa di appannato, distante, grigio, assente e decisamente inaffrontabile. Era certo che se Gwen fosse morta, presto sarebbe sparito persino quel poco.

"Smitt?" una voce, quella di Scott, fece alzare il viso al repressore, il quale, soffiando via il fumo che aveva in bocca, si limitò a salutare il rosso con un cenno. Tutta l'espressività che sollitamente adornava il suo volto era scomparsa, sostituita da un paio di occhi lucidi e stanchi.
"Che stai facendo?" domandò il ragazzo, muovendosi verso il militare, per poi osservare in modo diffidente la sigaretta tra le sue mani "Se ti vedono, ti arrestano" aggiunse poi, fingendosi disinteressato, Scott.
"E allora?" domandò moro, sfoderando un sorriso arreso e stremato, mentre scuoteva il capo come alla ricerca di una reale motivazione. Appoggiò poi la schiena contro il muro, abbandonandovisi contro, sospirando dopo avere assaporato l'ennesima boccata di fumo.
"Cosa è successo?" domandò il rosso, notando con diffidenza la risposta del punk. Non lo aveva mai visto in un simile stato. Il suo viso era stanco e scosso, tanto che persino i suoi abiti sembravano essere d'improvviso più stropicciati e disordinati. Cercò lo sguardo del ragazzo di fronte a lui, il quale, pur di evitarlo, abbassò il proprio, incontrando la superficie sporca del pavimento.
"Come sta Thomas?" domandò il militare, cambiando nettamente argomento, cosa che non sfuggì affatto a Scott che, però, rispose comunque.
"Meglio. Gli hanno permesso di entrare nella stanza della ragazza." il rosso prese un profondo respiro, mentre si abbandonava anch'egli con la schiena contro la parete, esattamente al fianco del repressore "Ora potresti anche rispondermi" disse poi, allarmato e stremato al medesimo istante. Quei giorni erano duri per tutti. Duncan accennò un falso sorriso, che sparì però in fretta, sosituito da una grave ombra che prese presto possesso del suo sguardo.
"Dj è morto" mormorò, senza fiato in gola, Duncan. Quest'ultimo notò chiaramente -seppur con la coda dell'occhio- il corpo del ragazzo al suo fianco irrigidirsi, smettendo per qualche momento di respirare persino. Passarono alcuni secondi dominati dal silenzio, poi Scott tirò un profondo respiro. Il moro alzò il viso, incontrando quello dell'altro totalmente stravolto. I suoi occhi erano sgranati, e le sue labbra serrate in una linea dura. Poteva vedere il pomo d'adamo alzarsi ed abbassarsi, segno che stava deglutendo a vuoto. Comprese presto che non avrebbe ottenuto alcuna risposta e, dedotto questo, Duncan decise di proseguire.
"Era alla base Governativa." riprese a parlare il moro, serrando qualche momento gli occhi "Credo avesse trovato il cellulare di Zoey e... E ha chiamato questo." mormorò, mostrando a Scott il piccolo oggetto nero. Dopo quella piccola prefazione, passarono lunghi minuti di silenzio. Il rosso non domandò nulla all'altro certo che, probabilmente, quello era un silenzio doveroso, essenziale.
Un'espressione colma di rassegnazione si delineò sul volto di Duncan "Gwen si è consegnata a loro, proprio come avevi detto tu." ammise infine il moro, facendo sussultare l'altro, che però non disse nulla. Il militare si sentì libero di proseguire. La voce era diventata più incerta, tremante quasi, ogni respiro era più difficile, come se la sua gola fosse stata in procinto di chiudersi, e la bocca era impastata dal pianto che da molto stava reprimendo.
"C'è una bomba..." disse dopo pochi momenti Duncan "E'... E' attaccata al suo cuore." gli rivelò con un sospiro "Non so come ce l'abbiano messa, ma l'ho sentito chiaramente... E-E" tornò a parlare il militare, sentendo il pianto costringerlo a singhiozzare come un ragazzino "Il suo cuore è il timer, Scott" gli rivelò, serrando gli occhi, liberando le prime lacrime, che gli scivolarono lungo il viso silenziose. Il rosso si lasciò andare un sospirò terrorizzato. La voce era diventata improvvisamente inesistente. Non sapeva che dire, né come reagire. Non poteva dimenticare di essere in un'ospedale, di essere circondato da persone ignare di ciò che accadeva loro intorno. Non era più nella Desert_Zone.
"Ho fatto due calcoli" la voce di Duncan interruppe i pensieri del rosso "trecentomila battiti corrispondono a tre giorni. Questa è la scadenza della bomba" gli rivelò il punk, facendo definitivamente tremare l'altro "E non hai sentito il meglio..." mormorò con tagliente ironia, disgustato persino di se stesso "L'hanno riportata là"
Duncan non dovette spiegare nulla. Scott aveva perfettamente compreso che luogo fosse quel 'là' accennato con orrore dal militare: Gwen era nuovamente nella Desert_Zone, e questa volta con un esplosivo in procinto di saltare nel petto. Si voltò in direzione del moro alla ricerca di una sbiadita speranza, ma tutto ciò che vide fu il viso di Duncan umido di lacrime e tremante di terrore. Lo osservò a lungo, mentre si mordeva il labbro intento a non gridare, a mantenere la calma, per lo meno apparente. Gwen, la fonte di vita di entrambi, stava per morire, ed i minuti trascorrevano, e presto sarebbero divenuti ore, ed infine, giorni.

Ormai privo di forza od orgoglio, Duncan si lasciò scivolare a terra, singhiozzando disperato, nascondendo il viso tra le proprie mani. Il pensiero di una vita senza Gwen lo uccise in quel momento, privandolo di possibilità differenti da quella desolazione. Non ce l'avrebbe fatta. Dj era morto, e con lui presto anche la dark sarebbe perita.
"I-Io non posso vivere se lei muore" si lasciò sfuggire il punk, per poi alzare il viso verso il soffitto e prendere un profondo respiro. Aveva bisogno d'aria in modo disperato per pensare lucidamente.
"No..." si limitò a soffiare il rosso, attraversando una sorta di fase di completa negazione. Non voleva credere a ciò che aveva appena sentito. Serrò le proprie mani in due pugni stretti, conficcandosi le unghie nei palmi, ferendoli. Il militare tremò, scosso dall'ennesimo brivido dovuto al pianto, per poi deglutire a fatica per la bocca impastata. Spense la sigaretta contro il pavimento, per poi portarsi etrambe le mani tra i capelli e pensare. Doveva continuare a distrarsi, trovare la cosa più simile ad una soluzione che potesse esistere. Fu allora che un veloce pensiero -realizzazione- lo colpì in pieno. Sgranò gli occhi.
"Che facciamo ora?" domandò Scott, facendolo voltare in sua direzione.
"Dj non è morto invano" mormorò in risposta Duncan, continuando ad ostentare quell'espressione colma di realtà nello sguardo "Combatteremo pur di raggiungerla, la salveremo. E' stato questo l'utlimo desidero di Dj, ed è anche il mio"













 
Angolo dell'autrice!

Salve e scusate il ritardo ^^''

Questo capitolo è stato difficile da scrivere, mi sono tormentata per mesi a pensare a chi sarebbe dovuto toccare il compito di sacrificarsi e, beh, ho trovato giusto che lo facesse Dj. Non per un fatto di odio o altro, ma perchè penso che lui si meriti di avere questa sua opportunità di riscatto dopo molto, dopo non essersi ribellato quando ne aveva avuto l'occasione. Oltretutto, con il suo sacrificio, Duncan ha ritrovato Gwen! :)


Mi interessa molto sapere come vi è sembrato il capitolo e perciò... Fatemi sapere :)

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Capitolo 25
*** Desert_Zone cap.25 ***





 
Desert_Zone



 
cap.25




















"Combatteremo pur di raggiungerla."



 
***


Gli occhi della ragazza si aprirono lentamente, in modo pigro e faticoso. Le palpebre le sembravano d'improvviso divenute cemento, tanto le parve arduo lo sforzo da compiere pur di aprirle. Non appena volse uno sguardo al mondo che la circondava, avvertì immediatamente un doloroso bruciore alle retine: il sole batteva caldo e aggressivo sulle terre nelle quali si trovava, ed immediatamente ricordò quanto quella calura fosse simile a quella che era stata sempre costretta ad avvertire nella Desert_Zone. Subito, in pochi brevi quanto lancinanti istanti, un dubbio doloroso le si impose nella mente. Sgranò gli occhi, fingendo di non avvertire le lacrime pungerle oltre essi, ed immediatamente tastò il terreno, incontrandolo sabbioso e caldo. Si guardò attorno per interi minuti, completamente spaventata, con il fiato corto e la fronte sudata, ma per quanto potesse continuare a cercare, non vi era alcuna traccia di edifici o strade. Tentò di piantare le unghie nel terreno, fino quasi a staccarle, come in un disperato tentativo di potere avvertire qualcosa oltre la terra secca e la sabbia cocente, ma non vi era niente. Scavò a lungo, fino a sentire le punta delle dita bruciare, ma il risultato non cambiò: era circondata dalla terra arida della Desert_Zone, l'avrebbe riconosciuta tra mille. Immediatamente sentì il respiro farsi sempre più fiacco, ed un bisogno di respirare impellente la divorò. Iniziò ad annaspare, seduta a terra, come una folle. Serrava le mani fino a rendere le nocche pallide, e si mordeva il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Il sapore ferroso le pervadeva la bocca, ma nulla era equiparabile al disagio dovuto a quell'improvvisa presa di coscienza: era nuovamente in trappola, e questa volta da sola, per sempre.

Sospirò un'ultima volta, prima di imporsi di calmarsi e di riflettere a fondo. Infondo non era quella la soluzione? La medicina a tutto? Non era stata lei stessa a dire a Duncan che la riflessione era la chiave? Sì, era stata dannatamente capace di dirglielo.
Con la poca lucidità rimastole, tentò di riportare a galla i ricordi degli ultimi  avvenimenti. Era stata portata al cospetto di un'inquietante donna invasa dalla follia, la quale -dopo averle parlato- l'aveva colpita, facendola svenire. Non vi era altro oltre questo nella sua mente -oltre tutto quel buio-, a parte la certezza di avere salvato Zoey e il resto della resistenza. 
Gwen sorrise malinconicamente. Probabilmente aveva fatto più di quanto avrebbero potuto fare in una differente situazione. Forse quel branco di giovani sarebbe riuscito a cavarsela comunque, nonostante tutto. Forse potevano crearsi una nuova vita e, magari, lei sarebbe sopravvissuta -per qualche tempo-.
Facendo leva sulle gambe, e scacciando quell'ultimo fugace pensiero, si portò in piedi, avvertendo immediatamente una dolorosa fitta all'altezza del petto. Incurante della possibile presenza di nemici, si alzò la maglietta, incontrando, poco sopra il seno, una ferita profonda e non rimarginata. Poteva vedere i due lembi di pelle cuciti fra loro per mezzo di un filo nero e spesso: qualcosa che le fece salire alla gola un conato di vomito che, però, represse con determinazione. La pelle attorno al taglio era stata lasciata sporca, ed ora il sangue si era rappreso su essa. Eppure, Gwen sapeva che, oltre quello strato di sporco vermiglio, un'infezione stava, con ogni probabilità, dilaniando le sue membra intorpidite. Qualsiasi cosa le avessero fatto era palese che non vi fosse stata alcuna precauzione igenica, e perciò dedusse in fretta che qualsiasi cosa le fosse successa, doveva essere accaduta in fretta e con poco conto. Sospirò, non preoccupata più di tanto. Era certa che entro breve sarebbe morta. Nessuno poteva sopravvivere nella Desert_Zone, non da solo.
Ormai stremata dalla calura, si tolse la giacca e si strappò con attenzione le maniche troppo lunghe della camicia. Stracciò anche i lembi della gonna scura, creando uno spacco parecchio ampio, con il quale le sarebbe risultato più semplice muoversi. Si portò una mano sulla fronte, intenta ad ombreggiarsi gli occhi, e si guardò attorno per l'ennesima volta. Aveva le mani sporche di terra, e la bocca secca, ma sapeva con certezza di non potere fare nulla a riguardo. Era terrorizzata, ma non le sarebbe servito darlo a vedere. Si limitò a posare una mano sul suo petto, mentre avvertiva il cuore batterle frenetico.

Forse, tra tutte le opzioni, restare lì era quella più saggia.

 
***

Avevano lasciato Thomas senza rivolgergli la parola, lui era ancora dentro la stanza di Zoey, probabilmente in balia di singhiozzi sommessi, e sia il rosso che il militare avevano dedotto non fosse affatto il caso di infastidirlo, o renderlo partecipe. Se ne erano semplicemente andati, lasciando l'ospedale con quanta più discrezione possibile e non riferendo a nessuno ciò che si apprestavano a fare. Un paio di medici avevano sorriso all'ex-repressore, riconoscendo la targhetta che ciondolava dalla collana del ragazzo, ma nulla li aveva intrattenuti più di tanto dall'andarsene. Duncan aveva formulato ciò che poteva definirsi -seppur in modo particolarmente velato- un piano.

"E cosa credi di fare?" gli aveva domandato Scott, ostentando un tono di voce acido, rotto alle volte da quella tristezza che lo stava lentamente divorando. Erano ancora entrambi contro quella parete fredda, in quel corridoio pressocchè abbandonato, con quel mozzicone di sigaretta di fronte che ancora fumava "Saltare nella Desert_Zone? Sarebbe una follia! Quella prigione è grande quanto un continente, non la troveremmo mai"
Duncan si era voltato in direzione del rosso, fulminandolo con lo sguardo. Non sarebbe stato certamente quello l'atteggiamento con il quale sarebbero riusciti a trovare Gwen. Il tempo scarseggiava pericolosamente, e non aveva assolutamente intenzione di sprecarne in pessimismi.
"Ascoltami bene: se vuoi aiutarla davvero, allora, fidati di me. Siamo rimasti in pochi, e diminuiamo a vista d'occhio..." gli disse il militare, non potendo nascondere una vera agitazione nella voce, il volto era teso, deciso e determinato "Gwen è importante per te? La ami davvero?" gli domandò retoricamente -conoscendo la risposta-, cercando il suo sguardo "E allora seguimi e non fare domande. C'è sempre una speranza, ok? Sempre."
"Ne esistono di vane" aveva risposto freddamente Scott, facendo irrigidire Duncan sul posto. Anche il rosso stava soffrendo. La sua tristezza era palese in ogni singola linea del suo volto, eppure a parole tentava ancora imperterrito di dimostrare quella freddezza che tanto lo aveva contraddistinto sempre. Duncan, invece, gli aveva appena pianto di fronte. Il militare aveva serrato le mani in due pugni collerici e frustrati, ed aveva poi teso i nervi del collo visibilmente. Stava cercando di trattenersi dallo sferrare un colpo ben studiato all'altro. Detestava il suo atteggiamento. Non lo capiva. Scott amava Gwen da anni, da molto più tempo di Duncan, ma era il militare a non essere riuscito a trattenere le lacrime, e sempre lui ad avere appena rischiato un vero e proprio esaurimento nervoso.
"Come puoi essere tanto calmo?" gli aveva domandato Duncan, non resistendo, quasi invidiando quei nervi tanto saldi. Si era rivolto all'altro con un tono collerico, alzando il tono di voce, senza nemmeno ragionare sull'eventualità di essere sentiti.
"Non lo sono." si era affrettato a dire il rosso, scuotendo il capo e facendo trasparire per qualche istante -solo qualche breve momento- la disperazione nel suo sguardo. Si ricompose subito.
"Dimmi solo-" "E' diverso, Smitt" lo interruppe Scott, poco interessato alle possibili prediche che il militare doveva essere in procinto di rivolgergli "Ho passato la mia vita in un luogo in cui non restavi sorpreso quando morivi, quanto nei momenti in cui sopravvivevi" aveva rivelato il ragazzo, facendo sussultare leggermente Duncan "Sembrerei cinico se ti dicessi che mi sono sempre aspettato di sentirla morta, ma è così. In effetti, mi sono sempre detto che, nel caso in cui non sarebbe tornata, sarebbe stato mio preciso compito mantenere la calma." Parlò a Duncan di quei suoi pensieri con un sorriso colmo di pentimento e malinconia sul volto. Era sempre stato preparato all'idea di 'morte', e questo era orribilmente comprensibile agli occhi del militare: Scott aveva trascorso la sua intera esistenza in una prigione, in una terra dimenticata da tutti, in un luogo ripudiato persino dal pianeta stesso, dove i Folli mangiavano le tue membra ancora vive e palpitanti.
"Eppure" aveva aggiunto Scott dopo qualche secondo di totale silenzio, spezzato solo dai loro respiri "Eppure, di recente penso di avere iniziato a crederla quasi immortale." rivelò, destando qualche momento la confusione sul viso del punk. Solo qualche minuto dopo, il rosso si sentì in dovere di spiegarsi.
"Altrimenti non saprei spiegarmi questa fitta che non si placa neppure un istante, come se un dannatissimo pugnale mi avesse colpito."
Persino quell'ultima frase, per quanto delicata e veritiera fosse, il rosso la pronunciò con uno scarno sorriso in volto, un'espressione che fece irrigidire il militare sul posto. Anche Scott, come lui, avvertiva quel dolore lancinante, al pari di una lama ardente che ti trafigge le membra. Il silenzio si posò per l'ennesima volta su di loro.

Era stato un suono di passi veloci e sospiri agitati che aveva distratto entrambi. Si erano voltati all'istante, entrambi rilassando i muscoli pur si sembrare 'normali', dimenticando il discorso che avevano appena fatto, e non appena avevano visto apparire dall'angolo sul fondo del corridoio Noah e Heather, avevano tirato un sospiro di sano sollievo. Per un attimo, avevano creduto di essere stati scoperti.

Avevano guardato i due, privi di fiato, a lungo, in attesa che parlassero, che spiegassero quel loro improvviso e frettoloso arrivo, e non appena Heather ebbe espirato a fondo, parlò.
"Dj" si limitò a dire lei, continuando ad annaspare faticosamente. Duncan lo guardò, capendo al volo. I due erano lì per riferirgli della sua scomparsa, di come non lo trovassero più.
"E' morto" intervenne Scott, mormorando quelle parole con un profondo dispiacere in gola. L'asiatica e lo scienziato si voltarono verso il rosso all'unisono. Lo avevano perso, sì, ma non credevano che per una simile piccolezza potesse essere accaduto tanto. Immediatamente avvertirono il peso della colpa abbassarsi su di loro. La ragazza si voltò verso Duncan, come  alla ricerca di una conferma, ma l'espressione che incontrò sul volto del militare, non fece che sconfortarla maggiormente.
"Oddio..." soffiò Heather, lasciandosi cadere a terra in ginocchio, sempre tentando di recuperare fiato. Noah restò in piedi poco lontano, gli occhi sgranati e le labbra secche. Lentamente, uno ad uno, se ne stavano andando tutti. Avvertì una voce, proveniente dai meandri più profondi e bui della sua mente, gridargli contro. 'Fuggi! Scappa! Salvati!', essa diceva, e per qualche momento il giovane valutò l'idea di acconsentire a quei consigli, di seguirli con devozione e fidata speranza. Sarebbe stato più semplice, di questo era certo. Eppure, non si mosse. Restò semplicemente in silenzio, mentre Duncan si apprestava a parlare.
"Si è sacrificato in modo nobile..." mormorò il militare, catturando l'attenzione dello scienziato e della scrittrice "Grazie a lui ora sappiamo dove si trova Gwen, anche se..." il punk si interruppe. Il suo viso era improvvisamente divenuto cupo, allarmato, incerto e fragile. Noah era certo che anche solo una piccola folata di vento sarebbe stata capace di ucciderlo.
"Cosa? 'Anche se', cosa?" domandò quindi il moro, allarmato.
"C'è una bomba collegata al suo cuore. trecentomila battiti ed essa esploderà. Oltretutto, l'hanno portata nella Desert_Zone nuovamente." riprese il repressore, la voce rotta da un dolore profondo, che Noah comprese all'istante. L'amore era un sentimento nobile, quanto incredibilmente tortuoso, e Duncan ve ne era invischiato fino al collo.
"Cosa volete fare?" domandò dopo qualche minuto di totale silenzio l'asiatica, ripresasi dalla corsa. Si alzò nuovamente in piedi, squadrando i volti del rosso e del militare, ansiosa all'idea di sentire un nuovo piano.
"Io e Scott andremo nella Desert_Zone, dobbiamo trovarla." rispose Duncan, mantendo lo sguardo basso "Voi resterete qui." precisò poi, incalzando con perseveranza sul 'voi'. Non voleva condurre i pochi rimasti a morire. Si sarebbe sentito sempre più in colpa.
"Pensate di poterla salvare?" intervenne Noah, fingendo di non avere udito quell'ultima parte del discorso, quella in cui veniva prontamente distanziato dall'intera operazione.
"No." parlò Scott, serrando poi la mascella in uno scatto colmo di ansia e disperazione. Non sapeva esattamente quando, ma il rosso aveva acconsentito a seguire il militare in quella folle missione suicida. Entrambi sapevano che non era certo il fatto che l'avrebbero trovata, ed allo stesso modo sapevano di non potere fare nulla per salvarla. Si sarebbero semplicemente calati nella trappola per morire lì, magari con il pensiero di un ultimo valoroso tentativo compiuto.
"State andando lì per morir-" "Assisterla. Io voglio trovarla. Io devo farcela." disse Duncan, interrompendo lo scienziato che, basito, ascoltava ciò che i due gli rivelavano. In pochi istanti gli fu palese come la guerra, senza che neppure lui se ne rendesse conto, fosse iniziata. Improvvisamente ciò per cui erano stati allenati a lungo si stava manifestando d'innanzi a loro. Zoey e Gwen erano state catturate, Dj era morto, e lui si era reso conto solo in quel momento della reale calamità degli eventi. Sospirò pesantemente, riflettendo.
Heather aveva iniziato a discutere con i due ragazzi su quanto folle si sarebbe dimostrato il gesto che volevano compiere, ma lo scienziato aveva smesso di prestare attenzione alla conversazione, completamente travolto da pensieri, riflessioni e realizzazioni: Gwen aveva una bomba nel cuore, essa funzionava per mezzo dei suoi battiti cardiaci. Gwen era dispersa nella Desert_Zone, chissà-dove, e chissà in quali condizioni. Lei sarebbe morta.

Un sorriso si delineò sul viso dello scienziato, un'espressione colma di speranza e certezza, qualcosa che solo una mente bene allenata come la sua sarebbe stata in grado di idealizzare. 

"I-Io... Io posso disinnescare quella bomba." 
Il vocio fatto di litigi ed imprecazioni di affievolì, mentre i tre si voltavano in direzione di Noah, incerti se avessero udito bene ciò che aveva detto. Quella semplice frase aveva ridato speranza  a quei cuori stanchi e affranti, ed il fatto che il viso dello scienziato si fosse fatto improvvisamente solare, rendeva consci tutti i presenti della veridicità di quelle parole. 
Il silenzio venne rotto dai passi pesanti e veloci di Scott, che si avvicinava pericolosamente in direzione del giovane che aveva appena parlato. Quest'ultimo indietreggiò intimorito fino a  giungere con le spalle al muro. Il rosso lo osservò a lungo, squadrandolo con acidità e con un profondo -e malcelato- timore. Vedendogli il viso, Noah era certo che presto il ragazzo lo avrebbe colpito. Eppure, invece che un pugno, ciò che giunse fu la sua voce.
"Davvero puoi farlo? Davvero puoi disinnescare quell'affare?" incalzò Scott -la voce fredda e distante-, osservando con fermezza gli occhi dello scienziato, il quale, senza più fiato in gola, si limitò ad annuire.
Ciò che accadde dopo stupì entrambi. Scott lo abbracciò, come solo due fratelli potrebbero di normale fare e, stringendo gli occhi imponendosi di non piangere, lo ringraziò, sentendosi improvvisamente più leggero.
"Grazie."
Ciò che si udì in seguito in quel corridoio in penombra e d'improvviso tanto concitato, fu una risata cristallina, realmente felice, appartenente a Duncan. Ciò che il militare aveva avvertito all'altezza del petto era stato un calore inequiparabile, qualcosa che era stato in grado di sciogliere per qualche istante tutto il dolore dovuto al resto, quel resto tanto orribile da vedere e vivere.

Anche Duncan aveva abbracciato Noah, il quale aveva semplicemente accennato un sorriso, d'improvviso divenuto il centro di quella situazione. La vocina che prima gli aveva intimato di fuggire ora lo rimproverava. Lei, quell'eco dentro la sua mente, sapeva di quella verità che lui non aveva ancora osato dire al gruppo. 'Sai benissimo che quando lo scopriranno non si fideranno più di te', mormorava ella questa volta, e Noah lo sapeva davvero. Eppure, era anche certo che non poteva assolutamente smorzare quell'improvvisa speranza che aveva iniziato ad aleggiare su tutti loro. E poi, alla fin fine, era certo che Gwen sarebbe stata d'accordo con lui.


Così avevano abbandonato l'ospedale, dirigendosi velocemente verso l'auto di Thomas, il quale non sapeva nulla delle nuove scoperte e possibilità. Duncan era stato irremovibile: non voleva più coinvolgere nessun altro, né Tommy, né tantomeno Bridgette e Geoff. Erano perciò saliti sul furgone, ed il militare lo aveva messo in moto -collegando un paio di fili sotto il cruscotto-. Dovevano tornare alla base, dove avrebbero sistemato gli ultimi dettagli. Non si preoccuparono dei limiti di velocità, o delle guardie che potevano vederli; il loro unico obbiettivo ora era fondamentale, ed aveva una scadenza dai brevissimi tempi. Il militare fece due calcoli: quanto era esattamente passato dacchè la boma si era innescata? Non lo poteva sapere con certezza. La sola cosa di cui era sicuro era che doveva giungere nelle terre della Desert_Zone prima del calare del sole. Come arrivarci? Quella sarebbe stata una vera e propria follia, ed avrebbe destato parecchio scalpore -Duncan aveva un piano-.
Una volta giunti a destinazione, entrarono velocemente nell'appartamento. Noah aveva detto di dovere sistemare alcune cose, e Duncan doveva ancora spiegare ai ragazzi la sua insana idea. Attesero lo scienziato in salone. Giunse dopo circa mezz'ora, tenendo tra le mani un piccolo zaino scuro.
"Cosa sarebbe?" domandò Heather confusa, anticipando la domanda degli altri. Noah si limitò ad alzare le spalle con noncuranza prima di rispondere.
"Si tratta della chiave per far sì che tutto funzioni. E' sufficiente che sappiate questo."
Quelle furono le parole del giovane studioso, e nessuno chiese altro. Duncan in particolare aveva notato nel suo sguardo un'espressione piena di incertezza ed un timore balenargli negli occhi, ma non aveva domandato nulla di più. Non era il momento, e forse non lo sarebbe mai stato. Non poteva dubitare delle poche persone che aveva attorno proprio in quell'istante, sarebbe stata la più grande follia immaginabile.
Il militare si limitò quindi ad annuire, prima di parlare determinato "Io so come arrivare nella Desert_Zone." il tono di voce era serio e determinato. Immediatamente tutti si voltarono verso di lui. Tutti eccetto Noah.
"E come?" domandò Scott, il solo rimasto in piedi. Aveva poggiato la schiena contro lo stipite della porta, e teneva le mani in tasca. All'apparenza il suo atteggiamento ostentava indifferenza, ma sotto, in profondità, si celava un'ansia in grado di travolgere un esercito.
"Le ferrovie sopraelevate." fece netto il punk, rispondendo in fretta e senza tentennamenti. Heather si limitò ad osservarlo, mentre il rosso esibiva un'espressione confusa.
"Perfetto" acconsentì dopo pochi attimi Noah, annunedo a vuoto mentre osservava apparentemente rapito, un punto sul fondo della parete. Heather e Scott lo osservarono, domandandogli spiegazioni solo che con lo sguardo. Lo scienziato parlò dopo breve.
"Se la bomba che Gwen ha nel petto è nata allo scopo, non solo di uccidere lei, ma di eliminare anche l'intera prigione, è evidente che quest'ultima sarà stata portata al centro di essa." si apprestò a spiegare il ragazzo "E si da al caso, che le ferrovie sopraelevate, nel tratto in cui si trovano sopra la Desert_Zone, sono esattamente al centro di quest'ultima. Lanciarci da lì significa atterrare nei pressi di dove si trova Gwen."
Duncan sorrise. Anche lui, pochi minuti prima, in auto, aveva portato a termine quel ragionamento. Scott si voltò verso il militare, incontrandolo sorridere furbescamente, ed immediatamente comprese che, sì, quella deduzione doveva essere pienamente corretta. Eppure, c'era ancora un problema.
"Come saltiamo?" domandò infatti dopo poco il rosso "Intendo, volete buttarvi da un treno in corsa, e sperare di precipitare sani e salvi, nonostante i metri, o forse il chilometro che ci separa dal terreno?"
"Paracadute" intervenne prontamente Duncan, sfoderando un sorriso determinato. Il punk aveva già tenuto conto di ogni dettaglio riguardante la loro andata, lui sapeva cosa avrebbero fatto di lì in poi "Ci sono esattamente quattro paracadute nel furgone di Thomas, come ci sono quattro fucili, quattro mitragliatori e quattro gommoni di salvataggio. Non dobbiamo dimenticarci che quello è un veicolo militare."

















Angolo dell'autrice:

Salve a tutti! Scusate il ritardo in questo aggiornamento, ma non ero particolarmente sicura del capitolo. Come potete vedere, Noah sta avendo il suo 'momento di gloria', ma c'è qualcosa sotto, qualcosa che nasconde, e che entro breve rivelerà.

Gwen si è risvegliata nella Desert_Zone, ed ha visto la ferita al petto.

Thomas è con Zoey.

Spero vi sia piaciuto questo capitolo, e mi farebbe piacere leggere una vostra recensione a riguardo ^^ Alla prossima! :)

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Capitolo 26
*** Desert_Zone cap.26 ***



 
Desert_Zone




cap.26



 
Hei rega! Per una volta metto l'angolo dell'autrice prima :) (anche se non credo che tutti lo leggeranno ahah)
Coooomunque, questo capitolo è più lungo del solito (lo so D:), maaaaa è per scusarmi del ritardo! :)

Spero vi piacerà e... Magari lasciatemi una recensione ^^

Lo dedico a tutti voi, e... Grazie mille, perchè questa è una fanfictin a cui tengo particolarmente e voi siete tutti stati pazzeschi nello starmi accanto nonostante il fatto che abbia avuto problemi con la pubblicazione! Continuate a scrivermi recensioni e a starmi accanto, e per me è assurdamente meraviglioso e perciò... E' tutto per voi ♥! Questo capitolo è per voi :)


























Erano sul treno da pochi minuti, ma avevano già superato i confini di Indianapolis. Sotto le ferrovie sopraelevate si stagliava ora quel piccolo tratto di mare che distanziava la macabra prigione della Desert_Zone con l'altrettanto -seppur non all'apparenza- inquietante città sotto il dominio del Governo. Si muovevano veloci, tanto che, nonostante il vagone sul quale erano fosse totalmente sigillato, si poteva comunque udire il lontano fischiare del vento, sferzato dall'incredibile velocità del veicolo.
I quattro erano riusciti a salire senza alcun problema: la targa di riconoscimento del militare era stata un indizio sufficiente al capotreno, ed una volta dentro si erano limitati ad accomodarsi sui primi posti liberi e vicini. Avevano nascosto gli zaini con i paracadute sotto le proprie giacche, appiattendoli grazie ad alcune funi rinvenute dentro il veicolo di Thomas. L'unica borsa che era rimasta scoperta era quella di Noah, quella della quale lo scienziato non aveva voluto svelare il contenuto, limitandosi a fare riferimento ad un modo per salvare la dark.
Il repressore era profondamente agitato. Si guardava attorno con una frequenza quasi maniacale, voltandosi prima a destra, poi di spalle ed infine a sinistra, dove il finestrino gli permetteva di controllare a che punto del loro viaggio fossero. Serrava le mani attorno ai manici del sedile, e controllava con attenzione ogni singolo passeggero nell'abitacolo. Tutti sembravano calmi, apparentemente disinteressati a ciò che li circondava. Se solo avessero saputo che entro poco si sarebbe scatenato l'inferno...
Gli vennero in mente le parole che Thomas gli aveva rivolto tempo addietro.

"Ma li senti i notiziari?" lo stava riprendendo quel ragazzino, lo stava sgridando e trattando come uno stupido solo ed esclusivamente perchè aveva accettato di unirsi ad una missione. Quella missione che lo avrebbe poi condotto nella Desert_Zone.
"Le rivolte aumentano. Le chiamano 'piccole inserruzioni temporanee', ma Duncan... Tu non sei uno stupido e sai che sotto tutto questo, ci sono vere e proprie rivolte civili." gli aveva mormorato, cercando il suo sguardo. il repressore glielo aveva negato. Tommy era sin troppo apprensivo nei suoi confronti, non che questo lo disturbasse. Duncan aveva sperato per tutta la vita di incontrare una persona tanto simile ad un fratello, così ciecamente preoccupata per lui come lo era quella recluta, ma quello era il suo lavoro, e lui non poteva negare la partecipazione ad un'operazione.


Ora era lui l'insurrezionista. Sorrise sghembo, sperando esclusivamente che quel loro folle piano funzionasse nonostante gli allarmi sistemati in ogni dove. Infondo, erano su un treno. Lì, sospesi ad oltre cento metri dal suolo, nessun Gentiluomo o repressore sarebbe giunto in tempo per fermarli. E se proprio fosse accaduto, aveva nella fondina, ben nascosta dallo sguardo dei passeggeri, sotto la propria giacca gessata, la pistola, arma che, comunque, entro breve sarebbe stato costretto a sfoderare. Lanciò un nuovo sguardo oltre il finestrino, incontrando sotto di sè l'ultimo tratto di mare. Poteva già notare poco lontana la spiaggia, ed ancora più distante il perimetro della Desert_Zone. Era stato istruito a lungo sull'intera area geografica dove la prigione si estendeva, e si trattava di dimensioni per nulla ristrette. Se Noah avesse sbagliato nel dire loro la relativa posizione della ragazza, Gwen sarebbe risultata definitivamente irraggiungibile. Il tempo scarseggiava.
Tese i muscoli degli avambracci colto dal terrore. Improvvisamente era lì, su quel treno che si muoveva ad una velocità che andava ben oltre a quella di una comune auto, sull'orlo di sfoderare una pistola carica dalla propria fondina, con l'unico, preciso e doveroso scopo di ritrovare la sola donna che avesse mai amato. Sarebbe bastato un piccolissimo errore di calcolo e non l'avrebbe più rivista. Sarebbe morto coinvolto nella medesima esplosione che era in procinto di uccidere lei, la fonte di ogni suo respiro e di ogni suo secondo. Alla mente gli tornarono quei grandi occhi color dell'ebano più pregiato, quello sguardo che per molto tempo non era stato in grado di capire, ma che aveva poi iniziato a significare tutto. Ricordò le sue mani piccole e gentili accarezzargli distrattamente il collo od il volto, e poi le sue labbra, dolci ed aspre al medesimo tempo, dense di dolore per un passato travagliato. Sentiva la sua mancanza da giorni, ma aveva tentato di celarlo. Aveva disperatamente provato ogni modo per evitare di pensarla, trovando ogni tentativo vano. Il pensiero di lei e della sua voce era divenuto il veleno che era costretto ad anelare pur di sopravvivere. Duncan sapeva con completa certezza che, nel caso in cui non fossero stati in grado di salvare Gwen, neppure lui sarebbe riuscito ad andare avanti.
Aveva spesso sentito dire che 'l'amore rende deboli', ma mai -prima dell'incontro con quella sorprendente dark- aveva potuto confermare simile teoria. In quel momento, però, sapeva ciò che si provava, e non poteva sentirsi più in disaccordo. L'amore, quel sentimento folle, che ti disinibisce ed imbarazza al medesimo istante, lo stava rendendo capace di affrontare una guerra deviata ed insana. Quell'adrenalina che da esso scaturiva lo stava per fare saltare da un treno in corsa agganciato ad un paracadute di comodo. Sorrise, incontrando oltre il finestrino, il terreno sabbioso della Desert_Zone.

Lanciò una breve occhiata ai tre attorno a lui, i quali si portarono immediatamente le mani alle orecchie, così da evitare di udire il boato che, entro pochi secondi, la pistola avrebbe fatto. Duncan si portò la mano destra sul fianco, guardandosi attentamente attorno, nessuno lo stava osservando. Afferrò l'arma e, dopo avere fatto scorrere il carrello in un paio di secondi sul dorso di essa, premette il grilletto, puntando la canna in metallo in direzione del finestrino, il quale si frammentò in un chiasso assordante, quasi quanto quello dovuto allo sparo di pochi secondi prima.
L'aria iniziò ad entrare prepotente all'interno del vagone, fischiando in modo assordante. Il mezzo non accennava a fermarsi, mentre gli allarmi si innescavano suonando acutamente, ed i passeggeri iniziavano a gridare colti dal panico. Il vento che entrava dentro l'abitacolo era però il rumore più fastidioso, in particolare per Duncan e gli altri, che faticavano anche solo a reggersi in piedi. Ancora con le mani contro le orecchie, il rosso fece cenno agli altri di togliersi la giacca e liberare lo zaino del paracadute, slegandolo. Tutti eseguirono, mentre il punk si limitava a lanciare occhiate veloci alle porte tra un vagone e l'altro, timoroso che qualche guardia facesse il suo ingresso. Tutti li avevano visti, e probabilmente qualche passeggero lo aveva anche riconosciuto. Il suo volto era noto agli abitanti sotto il potere del Governo. L'altoparlante risuonò attutito dai molti schiamazzi e dal fischio del vento, ma Heather lo comprese comunque.
"Ci sono due repressori!" gridò l'asiatica, sperando di farsi sentire dai compagni, ed iniziando a maneggiare in modo più frenetico il paracadute. Entro poco sarebbero dovuti saltare "Stanno per fare irruzione nel vagone" incalzò la mora un'ultima volta, mentre Duncan sgranava lo sguardo. Il tempo era scaduto. Rimise la pistola nella fodera nascosta nella cintura, per poi voltarsi verso il finestrino. Scoccò un'occhiata ben più che eloquente al rosso, il quale, dopo avere annuito, si lanciò. Noah e Heather lo seguirono, ed infine, proprio mentre i due repressori facevano il loro ingresso nel vagone, fu il turno di Duncan.

"E' Smitt!"
Quello era stato ciò che una guardia aveva gridato poco prima che il punk saltasse, e per Duncan fu sufficiente.

Lo avevano riconosciuto. Sapevano che era lui l'insurrezionista, il nuovo Ribelle, ed era totalmente certo che, la mattina seguente, la notizia della sua improvvisa follia a discapito del Governo, sarebbe stata su tutti i notiziari trasmessi. Sgranò gli occhi, sospirando completamente stravolto. Era finita, non avevano più una copertura. Una volta tornati ad Indianapolis -se mai sarebbero riusciti a tornarci- non avrebbero avuto modo di nascondersi. Non avevano reso partecipe nessuno di quell'ultimo gesto colmo di sana follia, quell'improvvisa decisione di saltare -letteralmente- all'interno della prigione più micidiale del mondo. 
E solo in quel momento, mentre realizzava tutto ciò, si rese effettivamente conto di essere sospeso in aria, coinvolto in una caduta spericolata ed apparentemente inarrestabile, a ben più di qualche decina di chilometri orari e che la sua vita era in mano ad uno zaino appeso alle sue spalle. Scott, Noah e Heather erano sotto di lui, lanciatisi prima. Avvertì l'aria mancargli -gettò un sospiro-, ed un'improvvisa pace avvolgerlo. Fu certo che per qualche istante il mondo si fosse fermato, che qualcuno avesse deciso di concedergli qualche istante per riflettere, ed immediatamente fu certo che vi fosse qualcosa di cui non era al corrente. Lanciò uno sguardo sotto di lui, in direzione di Noah, e notò immediatamente, sotto il suo paracadute, la seconda borsa, quella con al proprio interno qualcosa di cui lo scienziato aveva deciso di non parlare, ed immediatamente fu certo che quel segreto era un dettaglio fondamentale, celatogli di proposito, e ne fu terrorizzato. Quel pensiero lo estraniò da quella caduta, tanto che a risvegliarlo fu la voce gridata di Scott -già con il  paracadute aperto-, un urlo che si fece spazio tra il vento tagliato e rumoroso.
"Duncan, La fune!"
Il pilotino si era già aperto, pronto a rendere la frenata meno intensa. Immediatamente, il punk afferrò la fune che fuoriusciva dallo zaino, e la tirò con forza, avvertendo in pochi istanti la propria velocità rallentare. Con un sospiro sollevato, Scott gli sorrise. Ora raggiungevano una velocità di circa diciassette chilometri orari, constatò Duncan, ricordando le lezioni di paracadutismo militare, e Gwen era una figura sempre meno astratta.

 
***

Un paio di colpi alla porta la fecero voltare. 
La mora aveva appena finito di pulire il sangue dalla stanza, stando ben attenta, fino all'ultima goccia incrostata. Aveva lucidato la propria pistola con mani quasi tremanti di furore. Ciò che era accaduto non era affatto positivo, non per lei, per lo meno. Aveva faticato per ottenere ciò che per anni aveva desiderato ardentemente. Aveva ottenuto quel potere che molti possono solo immaginare di agoniare, ed ora tutto si stava rovinosamente richiudendo su se stesso, rischiando pericolosamente di implodere, rendendola una triste vittima. Lei non sarebbe ceduta. Courtney era una donna forte, ed avrebbe lottato con ogni mezzo a sua disposizione pur di ottenere vittoria, e con essa vendetta. Il corpo del giovane moro era stato buttato, era avezza a disfarsi dei cadaveri che era solita a fare. Uccideva senza riflettere, e si ritrovava non di rado in simili situazioni. Eppure, quella volta era diverso. In quel momento, la rabbia che la arroventava era più giustificata che mai, completamente figlia di timori  che a lungo erano rimasti solo che repressi.
Spesso, nella sua lunga vita, aveva temuto  nella rivolta di quel popolo, ma aveva zittito i suoi pensieri facilmente, additando quel branco di popolani come reietti servitori privi di spina dorsale, e per molti anni aveva avuto ragione. Ma quella giovane, quella dark che aveva fatto ingresso nel suo ufficio come garante di ogni sua sofferenza -di quel repressore in fin di vita, del Gentiluomo scomparso e dichiarandosi responsabile della giovane e debole rossa- era stata un fulmine a ciel sereno. Courtney non aveva tenuto conto di una possibilità: anche oltre le spire del Governo vi erano abitanti. Nella Desert_Zone c'era la possibilità di sopravvivere. Questo le aveva stravolto la mente. Da che aveva realizzato quel pensiero, non era più riuscita a pensare lucidamente. Aveva preso le sue ultime decisioni di fretta, sentendosi certa che, uccidendo chiunque sul suo cammino, ce l'avrebbe fatta a sistemare tutto. Per quel motivo ora vi era una bomba all'interno del petto della mora, un ingranaggio in grado di fare esplodere l'intera prigione in pochi istanti. Ormai era passato molto da che la bomba aveva iniziato a scandire il tempo, ed entro meno di tre giorni i notiziari ne avrebbero parlato con sbigottimento e confusione: la Desert_Zone sarebbe divenuta un ricordo lontano.

Sistematasi la gonna, andò ad aprire, sfoderando un sorriso falsamente controllato. Oltre la grande porta vi era una donna dai capelli biondi ed il viso ingenuo, seppur spaventato. Tutti la temevano.
"Ehm... Lindsay, vero?" domandò Courtney, riconoscendo in quel viso giovane e bello la segretaria che lavorava a pochi uffici distanti da suo. Quest'ultima annuì, stringendo compulsivamente una piccola cartella dal tono marrone, le stava tremando di fronte.
"Vuoi restare a tremare qui tutto il giorno, o sai anche parlare?" le domandò freddamente, non provando neppure un minimo di pietà per povera la quale, dopo avere deglutito, si apprestò a parlare, come risvegliatasi da una lunga dormita.
"E-E' arrivata una chiamata poco fa, e siccome non c'era nessuno alla scrivania ho risposto io-" "Entro domani, grazie." la interruppe annoiata la mora, già tentata di afferrare la propria pistola e puntarla sulla nuca della biondina di fronte a lei. Allontanò quel pensiero: non poteva ucciderla. Lei era una dipendente a tutti gli effetti: chiunque si sarebbe reso conto della sua scoparsa. Strinse i denti, cercando di sfoderare nuovamente quel falso sorriso.
Lindsay abbassò lo sguardo su un post-it giallo sul quale aveva scritto ciò che le era stato detto, ed iniziò a leggere, il tono di voce tremante -quasi quanto il suo corpo- e le parole ridotte a sussurri appena percepibili "U-Un assalto alla ferrovia sopraelevata. Quattro ribelli, uno dei quali riconosciuti. Nome: Duncan Smitt. Grado: repressore s-scelto."

La fronte di Courtney si aggrottò in pochi istanti. Vi erano innumerevoli repressori al servizio del Governo, di questo ne era ben più che certa. Era raro che l'ispanica ricordasse, o anche solo trovasse familiare, un nome, ed era questo il caso. Non rispose alla bionda di fronte a lei, ancora con lo sguardo basso, chino sulla cartella color del cuoio, ma si limitò a sondare con attenzione ogni più vaga memoria riguardante 'Duncan Smitt'. Il fatto che fosse stato riconosciuto stava a significare -con ogni probabilità- che il militare in questione doveva essere  uno particolarmente rinomato, ma non solo. Un veloce flash fece capolino nella sua mente: un vaso. Una piccola anfora di terra cotta sigillata con sopra inciso un nome, il medesimo che quell'inaspettato fuggiasco portava -secondo le testimonianze e le informazioni appena ricevute-. Sussultò, sgranando lo sguardo ed incontrando quello cobalto della giovane segretaria. Le rivolse un sorriso tirato, per poi voltarsi e sbattersi la porta alle spalle, ben più preoccupata di altro.
Camminò sino alla propria poltrona in pelle, dove vi si abbandonò con pesantezza, per poi massaggiarsi le tempie sospirando. L'immagine del vaso delle ceneri dell'uomo continuava a ronzarle nel cervello indelebile, e questo non le sembrava possibile. Lanciò uno sguardo in direzione del telefono sul tavolo a fianco della poltrona, e ne premette un tasto -il citofono in collegamento con la scrivania della sua segretaria-.
"Informazioni relative a Duncan Smitt, repressore." ordinò con voce fredda e distante, continuando a mantenere l'indice premuto sul pulsante. Le servivano risposte. Attese pochi secondi, prima che una voce femminile e professionale le rispondesse.
"Duncan Smitt, nominato tre anni fa come militare scelto, alle sue spalle vi era una carriera brillante, era una celebrità ormai."
"Era?" incalzò Courtney, sempre più certa di ciò che le sue memorie riportavano a galla.
"Sì, signora." rispose prontamente la segretaria, prima di continuare "E' deceduto durante il trasporto di due ministri. E' rimasto coinvolto in un attacco ribelle. Voi stessa siete stata invitata al funerale dai genitori poco più di un mese fa."
Immediatamente, sul volto elegante e femminile della donna comparve un ghigno di pura soddisfazione. Ciò che aveva dedotto era reale: vi era davvero un vaso con le sue ceneri -a detta di tutti-, eppure non era altro che menzogna. Le ipotesi erano d'improvviso divenute due: che un eventuale testimone avesse mentito, o che Duncan Smitt, uomo brillante e ben riconosciuto, dato per morto in seguito ad un ripugnante e sanguinolento incidente, fosse sopravvissuto, ed avesse appena attentato ad un treno nei pressi della Desert_Zone. L'immagine della figura snella e determinata della dark le si stagliò nella mente. Non le necessitarono più di pochi istanti perchè tutto le fosse improvvisamente più chiaro.
"S-Signora?" domandò la voce oltre il citofono, distraendola da quella sua piccola realizzazione "Serve altro?"
L'ispanica accavallò le gambe, facendo risalire l'orlo della gonna sino alle coscie snelle. Le serviva un'utlima conferma "Vorrei incontrare i genitori."
"Molto bene, signorina Alburne." Il citofono si ammutolì, permettendo alla giovane mora di restare sola con i suoi pensieri. La sua giornata stava andando con il migliorare, molto era sul punto di chiarirsi.

 
***

Il fiato le stava mancando orribilmente. Aveva le mani luride di sangue, ed attorno a lei i corpi dei due Folli che l'avevano appena attaccata spiccavano ormai privi di vita. L'avevano colta di sorpresa nel mezzo di quella radura soleggiata, ed era stata costretta a sforzarsi enormemente pur di contrastare quell'improvviso attacco. Il suo cuore aveva perso un battito dal terrore, l'improvvisa incertezza e confusione. Non vi erano armi tra i suoi abiti sgualciti, e men che meno credeva di avere energie sufficienti per combattere. Eppure, le scelte scarseggiavano. 
Le erano corsi incontro sbavando e ridendo in modo macabro, mostrandole i denti allo stesso modo in cui lo avrebbe fatto una bestia affamata.
Lei, priva di possibilità, si era semplicemente preparata e fronteggiarli. Doveva ritenersi fortunata che si era trattato di una semplice coppia, e non di un gruppo. In pochi minuti, nonostante l'incredibile ed inspiegabile fatica che provava, li aveva eliminati, spezzando ad uno il collo con un colpo netto, e frantumando all'altro la gabbia toracica con un pugno ben studiato. Li aveva sentiti gemere di dolore, prima di accasciarsi a terra esanimi, e lei aveva fatto altrettanto. Avvertiva il punto dove quella disgustosa cicatrice si trovava, bruciarle orribilmente, e tirarle in modo inumano. Oltretutto, sotto, poteva sentire il cuore battere ancora in modo veloce, non accennando a calmarsi. Non capiva, non le era mai accaduto nulla di simile. Le parse un attacco di panico, ma non poteva esserlo, non così d'improvviso, non dopo un combattimento finito tanto 'bene'. Valutò anche l'ipotesi che si trattasse dell'adrenalina ancora in circolo, ma neppure questa la soddisfò. Erano minuti che si era accasciata sul terreno sabbioso. Si sdraiò totalmente, non facendo caso all'odore acre dei due cadaveri al suo fianco, e tentando di arrestare la velocità inspiegabile del suo cuore. Chiuse gli occhi, distendendo ogni muscolo ed espirando. Contò tre secondi, erano così dolorosi.

Uno. Un'iride color cobalto, profonda quanto il mare, più inesplorata degli oceani, e più magica del cielo.

Due. Una pressione diversa dal solito, uno sfiorarsi gentile di labbra, una richiesta di andare più in profondità, due lingue che si sfiorano, che danzano.

Tre. Una voce distante che chiamava il suo nome. Grida disperate e confuse. Suoni ovattati, ed un calore in grado di uccidere. 

Inspirò, gli occhi ancora serrati, le palpebre d'improvviso pesanti, il cuore ancora orribilmente veloce. Forse doveva solo contare di più...

Uno. Un sorriso le si delineò sul volto.

"Spiegami come sei arrivato qui." la sua voce era fredda, così cattiva, disgustata. Davvero quel rancore era diretto verso di lui?
"Un'esplosione" aveva risposto velocemente il ragazzo, scuotendo il capo  da un lato nel goffo tentativo di domare un ciuffo di capelli ribelle. Lei lo aveva osservato storto, non soddisfatta.
"Sulle ferrovie?"
"No." aveva mormorato lui con ovvietà, come se la domanda della ragazza fosse stata quasi una battuta, come se l'avesse ritenuta una stupida.
"E dove... Spiegami, dannazione." aveva incalzato lei, sfoderando acidità e diniego sin nel midollo. Lui, come non si fosse reso conto di dove effettivamente fosse, aveva sorriso sghembo, divertito dalla situazione.
"Vorrei essere trattato più gentilmente..." aveva esordito, facendole storcere il naso "Sai, ho fatto a botte con una donna, anzi una bambina, ed ho perso... Sono profondamente ferito."
Gwen si era trattenuta a stento dal sorridere.


Due.

"L'essere umano non crede che qualcosa, all'apparenza surreale, possa accadere, fino a quando essa non accade davvero." aveva detto lei, interrompendo quel silenzio che regnava tra di loro. Erano nella Desert_Zone, avvolti da quella cinta di mura improvvisata. Lui aveva sussultato visibilmente, facendola sorridere.
"E' ciò che meglio descrive ciò che ti è accaduto..." si era spiegata con tranquillità prima di proseguire "In poche parole, non sei nel torto perchè questa è semplice natura."
"Non dirmi che mi stai perdonando..." aveva scherzato lui, ironizzando.
"Non so... Forse... Diciamo solo che non sei il mostro che credavamo." aveva rivelato lei, sorridendogli.


Tre. Perchè è tutto così opaco, persino i ricordi, quando le lacrime si mischiano ad essi? Un sapore salato le giunse alle labbra.

"...E ho paura." lui glielo aveva mormorato quasi con imbarazzo ed incredulità, come se per lui stesso fosse stato un segreto quel tanto intrinseco timore. Lei, Gwen, aveva deglutito fingendo di non sentire quella gelosia improvvisa, ed aveva annuito comprensiva.
Lei, più di tutti, poteva capire.
"E' normale averne, e nessuno ti dirà mai che è sbagliato." aveva preso una piccola pausa, riflettendo "Quando vuoi bene a qualcuno, tu... Ti preoccupi per quest'ultimo con totale costanza."
"Tu, Gwen, hai paura?" le aveva domandato lui dopo interi minuti di totale silenzio, nei quali i loro stessi respiri erano rimbombati uniti.
"Sì" aveva detto semplicemente lei, non trovando neppure una ragione valida per mentirgli.
"Non sembra..."
"Probabilmente perchè non mi hai mai vista non averne." si era limitata a dire la ragazza, sorridendo appena, decisa a rendere la situazione meno soffocante -per entrambi- "Forse, quando tutto questo sarà finito, la mia paura svanirà."
"Conto di essere presente quel giorno..."
E pochi momenti dopo, era stato l'idillio. Le labbra di lui si erano posate su quelle di lei, plasmandole dolcemente, ed aveva danzato a lungo su quella pista, rendendola meravigliosamente partecipe fino a che i respiri di entrambi non furono fiacchi.


Quattro. Si impose di mantenere gli occhi chiusi, mentre i singhiozzi la rendevano succube del pianto. Lei non voleva aprire gli occhi in un mondo dove aveva perduto Duncan. Gwen sarebbe vissuta nei ricordi per sempre.

"Perchè mi hai baciata?" gli aveva domandato ingenuamente, come una bambina incerta. Le mani congelate a causa dell'acqua fredda che aveva usato per lavarsi. Il ragazzo l'aveva squadrata confusa qualche secondo prima di risponderle.
"Perchè mi piaci..." le disse semplicemente, stringendola tra le sue braccia con sempre più bisogno "Siamo... Siamo nella merda Gwen, ammettiamolo." aveva detto sorridendo goffamente "Ed io domani potrei morire... E-Ed ho pensato che non volevo morire senza averti prima baciata." le aveva rivelato con una sincerità disarmante "Solo questo. E' stata la sola cosa che sono riuscito a pensare."
Lei aveva sorriso, pianto di gioia, di tristezza, di paura, tutto in un istante.
"Anche tu mi piaci, Duncan. I-Io non so cosa sia tutto quello che sento... Io vengo da un luogo abbandonato, dove tutto ciò che conoscevo era la paura..." aveva preso una breve pausa "Tu sei l'unica persona a farmela dimenticare, la paura."
Gwen aveva singhiozzato sempre più forte, non riuscendo a calmarsi, e lui lo aveva notato.
"Perchè piangi?"
"Perchè ho paura, Duncan. Ti prego baciami."
E poi lei se ne era andata, perchè non vi era altra via per salvarli. Doveva proteggere Zoey, ed il resto della resistenza, ed il solo modo per farlo era consegnarsi. Ogni cosa accaduta, era avvenuta a causa sua.


Cinque. Avvertì la voce di lui lontana e ovattata. 
Non vi era una folata di vento attorno a lei, nulla che potesse asciugarle quelle lacrime brucianti quasi quanto la ferita che portava al petto. Il cuore batteva ancora veloce, non accennando a fermarsi.

"Gwen!"
Un richiamo distante, la voce di lui. Serrò le palpebre con più forza, cercando di non dare ascolto a quei suoni fuorvianti, decisi a confonderla. Lei sarebbe vissuta nelle memorie, non avrebbe più guardato il firmamento limpido sopra il suo volto.

"Oddio!"
Una nuova voce, questa volta femminile, agitata, vicina. Non era ovattata, era reale. Probabilmente l'ennesimo folle in procinto di ucciderla.

"Duncan! E' qui!" esclamò la donna di poco prima, questa volta giunta al suo capezzale. Avvertì la sabbia al suo fianco muoversi calpestata, ed un respiro agitato contro la pelle nuda del braccio. Riconobbe quella voce, ma non disse nulla, certa che fosse un'illusione.
Poco dopo dei nuovi passi che battevano il terreno non distante da lei, ma che d'improvviso si arrestarono. Infine, un sospiro ed una corsa sino al suo capezzale. Questa volta avvertì qualcuno toccarla, ma ancora non aprì gli occhi. Si limitò a muovere il capo, inclinandolo di lato priva di forze -stremata dal caldo e dal cuore-.
Sentì un braccio passarle sotto le spalle e sollevarle da terra la testa, poi una mano le accarezzò in modo frenetico i capelli. Poco dopo, la stessa persona prestò attenzione alle lacrime che le rigavano il volto, asciugandole. Eppure, entro pochi secondi, il suo viso fu nuovamente umido. Vi erano nuove lacrime, non sue -non di Gwen-, che le cadevano sul volto. Solo allora, Gwen aprì gli occhi, incontrando quello sguardo cobalto che tanto si era rammaricata di non potere più vedere. Il militare la stava tenendo tra le braccia, piangendo di gioia.

"Duncan?"
La sua voce era ridotta ad un sussurro flebile. L'uomo annuì, asciugandosi le lacrime dal volto, e sorridendo ingenuo. Si passò la lingua sulle labbra, per inumidirle, ed infine le parlò.
"Sei viva..." mormorò, ringraziando il cielo che, alto sopra di lui, si innalzava limpido, e chinando il volto in basso, fino a poggiare la sua fronte contro quella di lei. La sentì sorridere debolmente.
"E tu sei qui davvero?" gli domandò incredula e spaventata, terrorizzata all'idea che fosse tutto un sogno, e che i suoi occhi fossero in realtà ancora chiusi. Lui non le rispose a voce, bensì si piegò su di lei per deporre un tenero bacio sulle sue soffici labbra.

Sì, era davvero lì. Le sue labbra non potevano essere tanto dolci in un sogno.

Una volta staccatosi, restò qualche momento a contemplarla. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, e parlò, nuovamente piangendo "Ti amo. Scusa se non te l'ho detto prima."

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Capitolo 27
*** Desert_Zone cap.27 ***



 
Desert_Zone



cap.27










Erano passate ore da quando aveva varcato la soglia di quella piccola stanza bianca ed asettica. Le poche cose presenti erano il letto ed un macchinario collegato ad esso. Sulla parete opposta a quella dove si trovava la porta, spiccava una finestra non troppo grande e chiusa. Thomas si era fatto largo nel piccolo abitacolo, trattenendo il respiro, camminando a passo felpato -timoroso che in quel tanto profondo silenzio, anche solo un lieve rumore potesse distruggere tutto-, e tentando di trattenere le lacrime che ormai lo stavano privando di vita. Lentamente si stava prosciugando; si domandava che fine avesse fatto quella 'scintilla' che Duncan gli aveva rivelato di avere visto in lui, quell'energia in grado di fare scoppiare una rivoluzione. Era tutto sparito, era andato tutto con l'affievolirsi nell'esatto istante in cui aveva scorto il corpo stremato e privo di sensi di Zoey. Si sentiva così in colpa, così debole ed inutile. Era scoppiato in lacrime, aveva gridato e el mani ancora gli tremavano orribilmente.
In quel momento solo un pensiero gli aveva attraversato la testa, una domanda che anche in quell'istante, mentre restava seduto su una sedia di fronte a lei, osservando quel corpo stremato steso sul letto, gli ronzava rumorosamente nel cervello: Zoey era davvero così importante?
Non vi era bisogno di una risposta, il giovane lo sapeva bene. Quel dolore lancinante al petto era una prova più che tangibile dell'importanza che la rossa aveva nella sua vita. Si morse il labbro inferiore mentre, timoroso, allungava una mano in direzione di quella piccola  ed immobile di lei. La accarezzò, incontrandola liscia e tiepida. La afferrò e la intrecciò alla sua in un gesto così intimo che, se solo lei fosse stata sveglia, lo avrebbe imbarazzato totalmente. Eppure, in quel momento, la vergogna era una sensazione che non lo sfiorava neppure lontanamente. Vi era dolore, paura, confusione, incertezza, colpa, ma non certo imbarazzo. No, neppure un eco di una simile emozione.
Alzò lo sguardo, dalla sua mano al suo viso, incontrando l'espressione tranquilla di lei, totalmente in contrasto con quella disperata e contratta di lui. La sua pelle era stata pulita attentamente, ed ora non vi era più traccia della sporcizia o del sangue rappreso che prima la avevano deturpata disgustosamente. In quel momento era semplicemente lei, quella Zoey acqua e sapone, senza neppure il suo solito tocco di eyeliner e rossetto, ma comunque perfetta. Le guance erano pallide, e non rosate come di loro solito. Anche solo quel piccolo particolare lo fece morire per l'ennesima volta in quel dannato giorno.
Sorrise malinconicamente, passando delicatamente il dorso della propria mano libera contro il volto liscio di lei. Probabilmente, doveva sentirsi  sollevato anche solo di poterla vedere, del fatto che gli avevano permesso di entrare. Scott stesso era andato a pregare i medici affinchè lo facessero entrare nella stanza di lei.
Spostò lo sguardo sul macchinario che era attaccato al suo cuore. Uno schermo segnava i battiti lenti, ma costanti della ragazza. Zoey era in coma farmacologico, e vi era il pericolo che fosse infetta da numerose malattie, conseguenze dei numerosi traumi che il suo corpo aveva subito. Serrò la mascella in un gesto colmo di rabbia repressa, per poi notare i polsi ancora violacei ed i numerosi lividi e ferite sulle braccia, non voleva neppure pensare a quelli che poteva nascondere oltre la maglia. Tentò di sospirare, sperando di calmarsi, ma ciò che fuoriuscì dalla sua bocca risultò un sighiozzo sommesso. Stava per piangere nuovamente, ma non gli importò.
Osservò con attenzione i lineamenti perfetti e gentili del suo viso e, nonostante le lacrime, sorrise.
"Sei bellissima." mormorò Thomas assuefatto, rendendosi conto solo in un secondo istante di ciò che aveva appena detto, ma non ritirandolo. Infondo, nessuno poteva sentirlo. Quel pensiero lo consolò quasi. Erano soli.
"Ricordi quando Duncan ti disse di me?" le domandò, sapendo con dilaniante consapevolezza che lei non avrebbe risposto "Eri così contraria... Ricordo di non avere mai visto la tua faccia così piena di disappunto. Risi immediatamente e tu dicesti a Duncan, guardandomi torva 'Dovrai insegnargli le buone maniere. Non crederanno mai che uno Smitt sia così'."
Con il dorso della mano libera, quella non disperatamente allacciata a quella minuta della ragazza, si asciugò le lacrime che erano ormai divenute una maschera fitta sul suo viso. Gli erano giunte sino alle labbra, facendogli avvertire quel sapore salato, così colmo di sconfitta, quella cosa che lui non era mai stato capace di accettare.
"In quella parola, nel tuo 'così' c'erano davvero tante sfumature di rabbia e disprezzo, che avrei giurato che non ti sarei mai piaciuto. Ma tu..." si interruppe, singhiozzando più forte "T-Tu sei dannatamente unica e dolce." le disse "Se invitavi Duncan ad uscire, invitavi anche a me. Mi salutavi, mi sorridevi persino. Sai, credevo che fossi pazza." rivelò, sorridendo falsamente, nascondendo oltre quella facciata una disperazione in grado di stremare un uomo comune, ma non lui, non Thomas No-One.
"Solo dopo mi sono reso conto che eri semplicemente tu." sospirò, nuovamente triste "Sempre troppo dannatamente dolce." Strinse maggiormente la presa sulla mano di lei e chiuse gli occhi, mentre chinava il capo contro il suo volto, quasi appoggiando la propria fronte contro quella di lei. Tremava totalmente stravolto dal pianto, ma non se ne curò. Nulla era più importante di quel momento.
Spalancò le palpebre, sentendo gli occhi sempre più lucidi. Sorrise, notando la vicinanza che aveva d'improvviso imposto. Pochi centimetri ed avrebbe sfiorato quelle sue labbra ferite e calme.
"Ero certo che nulla potesse ferirmi quanto il dubbio nel sapere se tu fossi o meno innamorata di Duncan, ma mi sbagliavo." le rivelò, sempre sussurrando in modo impercettibile, vicinissimo al suo viso addormentato.
"Niente fa più male che pensarti morta, Zoey." si lasciò sfuggire, mordendosi, sino quasi a farle sanguinare, le labbra. Non gli importava di ferirsi, voleva semplicemente resistere. Non voleva gridare come un bambino, non in una stanza di ospedale silenziosa e tanto inviolata.
"Oddio, ti amo così tanto." sputò infine, respirando con affanno.

Lei era distante.

Una rabbia lentamente si diffuse in lui calda e densa, ostruendogli dolorosamente le vene. Era tutta causa loro, di quel Governo orribilmente incapace di vedere l'odio e le ferite che infierivano al popolo. Strinse la mascella per l'ennesima volta.
Duncan vedeva una scintilla in lui? Quella scintilla voleva divampare.

 
***

Mai le lancette di quell'orologio antico e costoso le erano sembrate tanto lente. Non aveva smesso un secondo di osservarlo, impaziente di fronte l'appuntamento che entro breve avrebbe varcato la sua porta. Era rimasta tutto il tempo sulla sua elegante poltrona in pelle, gustando scotch ed accavallando le gambe annoiata. Aveva detto alla propria segretaria di inventare una scusa credibile, una motivazione per la quale due figure impegnate come gli Smitt si sarebbero potuti recare senza riserve nel suo ufficio. Un'onorificenza per il figlio deceduto non era solo qualcosa di importante ed in grado di rendere orgogliosa una madre -od un padre che fosse-, ma anche un'invenzione più che credibile. Sorrise fiera, per poi lanciarsi un ultimo sguardo attorno. Nulla doveva sembrare 'bizzarro' o 'sospetto'. Non poteva eliminare i due che si apprestava a ricevere; erano persone illustri.
Constatò che, da brava stratega, aveva nascosto ogni coltello, sistemandoli in cassetti, mentre la propria pistola era attentamente posizionata in una fondina invisibile sotto la sua gonna a tubino professionale e perfetta. Sorrise sghemba. Tutto era pronto.

I colpi alla porta la fecero alzare in piedi in pochi istanti. Non si preoccupò neppure di domandare chi fosse, ma si limitò a sfoderare tutti i migliori convenevoli pur di sembrare una donna realmente interessata alla questione. Una volta sulla soglia, le apparvero di fronte due uomini di mezza età dall'aspetto sobrio, ma elegante. L'uomo aveva i capelli brizzolati e tirati leggermente all'indietro per mezzo di brillantina. La donna era invece bionda, e portava uno chignon perfettamente sistemato. I due accennarono un sorriso tirato -ancora profondamente colpiti dalla morte del figlio-, e l'ispanica rispose con altrettanto dolore. Era incredibilmente brava a recitare. Non vi era una neppure una traccia sul proprio volto che potesse fare trasparire menzogna od inganno. I suoi occhi erano improvvisamente divenuti lucidi, ma fieri, e le sue labbra erano leggermente ricurve verso il basso. Le mani erano intrecciate sul ventre, e le gambe erano ferme e dritte.
"Buongiorno signori Smitt, sono davvero felice che siate potuti venire nonostante il poco preavviso." si apprestò a dire Courtney, sfoderando ogni più piccolo particolare, senza tralasciare eleganza, classse e falsissima umiltà.
"Figuratevi, signorina Alburne. Noi siamo i primi a sentirci onorati di essere qui." rispose prontamente la donna bionda, facendo una piccola riverenza. L'ispanica sorrise, per poi fingere un'espressione imbarazzata.
"Sono davvero goffa, perdonatemi! Non vi ho fatti accomodare!" mentì, scusandosi solo che all'apparenza "Prego, prego, entrate!"
I due coniugi accettarono grati l'invito, e la mora mostrò loro le eleganti sedie che addobbavano la stanza. Sapeva di possedere un ufficio perfetto in ogni più piccolo dettaglio, minuziosamente arredato e lavorato. Una volta che si furono tutti accomodati, tornò a parlare con aria tranquilla.
"Allora, volevo parlare di vostro figlio, come ben sapete." esordì Courtney, fingendo un sospiro pesante "Era un grande militare, e siamo stati tutti molto colpiti dalla sua... Dipartita. Non gli mancava il valore... Questo è un fatto certo." disse, attenta ad ogni suo accento o tono "Ed è per questa ragione che abbiamo deciso di dedicargli un'onorificenza degna di un eroe."
"Ne siamo onorati, davvero." disse l'uomo, annuendo ed abbassando il viso.
"Immagino." asserì l'ispanica "Sono solo dispiaciuta che sia arrivata tardi." concluse, ostentando un falso dolore.
"Non è certo colpa vostra! E poi, lui ne sarebbe davvero fiero." rispose prontamente la bionda, cercando di sorridere incoraggiante, per quanto penoso risultasse il tentativo.
"Questo mi solleva." Courtney prese una breve pausa "Vedo che siete ancora molto addolorati per la perdita... E ditemi, la sua promessa sposa, se non mi sbaglio si chiama Zoey... Non rammento il cognome."
"Non vi sbagliate." si affrettò a dire la bionda, sorridendole comprensiva. Courtney ricambiò il sorriso, ghignando soddisfatta.
"Oh, lei come sta?" domandò poi l'ispanica, ricomponendosi immediatamente. Nascondeva in lei una soddisfazione completa: aveva appena avuto conferma che la ragazzina che aveva a lungo torturato non era altra che la promessa sposa del militare sospettato. Doveva quindi dedurre che la rossa non aveva mentito, dicendole che quei suoi 'amici' erano soldati.
"In realtà, non intratteniamo più rapposti con la sua famiglia." si spiegò prontamente l'uomo, assumento una posizione composta e professionale "Sappiamo che è stata pagata la cauzione che gravava su di lei, ma null'altro."
L'ispanica annuì, fingendosi comprensiva ed attenta "Il fratello invece? Thomas come sta?"
I volti dei due coniugi si alzarono all'unisono confusi ed incerti di fronte la domanda della donna. Il nome 'Thomas' alle loro orecchie non era per nulla familiare, e questo Courtney lo constatò con sorpresa.
"Duncan era figlio unico." si affrettò a spiegare la bionda, scuotendo leggermente il capo.
"Oh" replicò interessata la castana, accavallando le gambe e posando il mento sul palmo della propria mano libera -l'altra saldamente stretta al braciolo della poltrona- "Devo essermi confusa, perdonatemi." si affrettò a mentire "Il fatto è che vi sono numerosi fascicoli tra i vari repressori e... Devo essermi confusa, scusatemi." si fece eco dopo brevi secondi, per poi sorridere soddisfatta. Lanciò una veloce occhiata all'orologio, per poi parlare.
"Oddio si è fatto tardi, ed io ho un'importante riunione..." esordì, alzandosi imbarazzata e sistemandosi la gonna "Sapete, sono molto occupata... Oltretutto, non vorrei intrattenervi più del dovuto."
I due ospiti si alzarono con un sorriso cortese in volto, per nulla infastiditi da quella doverosa interruzione. Potevano comprendere quanto faticoso dovesse essere amministrare parte di un Governo tanto ampio. Oltretutto, anche loro dovevano tornare al lavoro.
"Figuratevi, signorina Alburne. E' stato un onore." rispose la donna bionda, incamminandosi verso l'uscita affiancata dalla mora alta e composta, la quale le sorrise cordiale.
"L'onore è stato mio. Avere avuto al nostro servizio una figura come vostro figlio è stata una grande fortuna."
E detto ciò, i coniugi se ne andarono, permettendo alla folle donna di restare sola in quell'ufficio improvvisamente silenzioso, colmo di scoperte e sutterfugi ancora non totalmente compresi.

Non appena fu sola, sul viso di Courtney andò a delinearsi quel tanto tipico ghigno di vittoria ed orgoglio che era ormai divenuto la sua più comune facciata. Aveva scoperto più di quanto avrebbe osato immaginare durante quella breve intervista: La rossa che aveva torturato -Zoey- era stata nominata -molto tempo addietro- la futura sposa del sergente Smitt, ottimo repressore  e rispettabile uomo. Vi era oltretutto un nuovo personaggio, qualcuno di confuso ed incerto che spiccava in mezzo al tutto: un fratello fittizio. Thomas Smitt, così la giovane recluta dagli occhi verdi ed i capelli castani era registrata nel proprio fascicolo. Era entrato nella cavalleria grazie alla stretta parentela che aveva con Duncan, eppure -da ciò che i genitori di quest'ultimo le avevano detto- così non era. I due coniugi, nel momento in cui avevano udito il suo nome, avevano ostentato un volto confuso ed incerto, segno che non vi era alcun grado di parentela tra i due.
Quale poteva essere la verità celata sotto tanta follia? Quella era una messa in scena che andava avanti da ormai un anno. Prima di allora, non era mai esistito alcun Thomas Smitt.
Avanzò per mezzo di ampie falcate sino ad un piccolo specchio sul quale poteva vedere il proprio perfetto, quanto folle, volto riflesso. Il suo sorriso era svanito, sostituito da un'espressione incerta e corrucciata. Non vi erano abbastanza indizi per giungere ad una conclusione reale. Non poteva sapere quanti fossero a cospirare contro di lei: nonostante la morte dei ribelli, vi erano ancora uomini tanto folli da tentare simili imprese e lei, per la prima volta, ne era preoccupata.
Camminò sino al telefono e premette il tasto che la metteva in contatto con la propria segretaria. Non attese neppure che la donna parlasse, c'era solo una cosa che in quel momento prevaleva.
"Mandate la notizia ai giornali: Duncan Smitt, repressore rinomato, attenta ad un treno governativo. La guerra è in procinto di giungere."

 
***

La ragazza socchiuse gli occhi annebbiati in parte dal sole, ed in parte infastiditi dalla sabbia, mentre la figura del ragazzo si stagliava sempre più nitida di fronte a lei. Poteva avvertire le sue braccia stringerla con cautela -quasi cullandola-, ed i suoi occhi incredibilmente brillanti -più di quanto effettivamente ricordasse-. Improvvisamente le lacrime erano svanite, Gwen aveva smesso di piangere non appena Duncan le aveva mormorato quella frase che per lei significava tutto.

"Ti amo. Scusa se non te l'ho detto prima."

Lui la amava, ricambiava i suoi sentimenti, e questo la riempiva di gioia in modo incontenibile. Istintivamente sorrise, dimenticando la spiacevole situazione in cui si trovava, il caldo afoso od il cuore che le tamburellava freneticamente nel petto. D'improvviso, nulla aveva più importanza, niente eccetto quel piccolo pezzo di mondo che comprendeva loro due insieme, uniti in quell'abbraccio così vitale ed unico. Lo osservò a lungo, studiando i tratti del suo volto scolpiti e perfetti, ed infine parlò.
"Dimmi che non è un sogno, ti prego..." mormorò lei, ostentando una voce debole e stanca, priva di quella sua tipica vitalità. Il ragazzo, però, troppo sollevato nel rivederla, non diede peso a quel particolare, limitandosi ad annuire e ad abbassare il volto contro il suo, fino a fare scontrare le proprie labbra con le sue.  Fu un contatto leggero, ma intenso. Fu un bacio colmo di speranze ritrovate e memorie felici.
Quella, per Gwen, fu una risposta sufficiente. Sorrise nuovamente, leccandosi le labbra come intenta ad assaporare fino all'ultimo quel bacio. Per qualche istante dimenticò tutte le fatiche che l'avevano colta, abbandonando in un angolo ben nascosto della propria mente il ricordo dei Folli che l'avevano attaccata, o dell'improvvisa ed inspiegabile fatica, o dell'orribile risveglio nella Desert_Zone. Per qualche breve momento si concentrò esclusivamente sulla propria leggerezza, e sulla felicità che il volto di Duncan era in grado di darle. Era ancora a terra, con il busto leggermente sollevato dalle braccia di lui, ma non accennava a muoversi. Stava bene in quella posizione, si sentiva totalmente protetta, era certa che nulla l'avrebbe mai disturbata.
Poi, quell'angolo della sua mente non fu più così ben nascosto. Il suo volto tornò preoccupato in pochi secondi, non appena riconobbe -dietro il militare che la teneva stretta- Heather, Noah e, poco distante, Scott. Curvò le sopracciglia allarmata, mentre iniziava a divincolarsi dalle braccia del punk, nuovamente in procinto di piangere.
"Gwen che fai?"le domandò quest'ultimo apprensivo, non accennando però a lasciarla a terra, in mezzo a quella sabbia tanto calda da poterle bruciare la pelle.
"Lasciami!" gridò lei, per poi mordersi il labbro inferiore in un disperato tentativo di reprimere le nuove ed arroganti lacrime, gocce salate che bussavano prive di vergogna contro le sue palpebre pallide e stanche.
"No!" si affrettò a risponderle Duncan, afferrandole il mento tra pollice ed indice, e sollevandolo. La scrutò attentamente, ritrovandosi occhi negli occhi con lei, ed immediatamente perse un battito. 
Perchè lo sguardo di Gwen era così: era capace di paralizzare, incantare e spaventare, il tutto in un unico orribile quanto meraviglioso istante. Quando il repressore la osservava si sentiva avvolto da una coperta scura come la notte più profonda e minacciosa, cullato in un buio innaturale ed allo stesso tempo, coinvolto in una tempesta priva di freno. Lui si ritrovava in balia di una marea meravigliosamente  priva di scampo. Ne era felice.
"Non piangere..." le sussurrò lui a fior di labbra, notando come quei pozzi color ebano si fossero fatti lucidi, tanto che poteva vedere in essi il suo riflesso scarno e spaventato. Le accarezzò lentamente la liscia pelle del viso, scivolandoci sopra come su un'onda del mare, e lei in risposta serrò le mani in pugni stretti.
"Duncan, perchè siamo qui?" gli domandò poi, sfoderando ogni proprio timore -per quanto infantile potesse essere-. Lui la osservò confuso, lo sguardo assotigliato e incerto. Non capiva come quelle parole dovessero essere intese, lui non sapeva come risponderle.
"Duncan..." incalzò dopo qualche attimo lei, tenendo lo sguardo basso e graffiando il terreno, sperando di incontrare altro oltre quell'infinita sabbia "Noi eravamo fuggiti." mormorò, serrando la mascella dolorosamente nel vano tentatio di svegliarsi da quell'insopportabile incubo.
"Ricordo che eravamo fuggiti... Perchè ora siamo di nuovo nella Desert_Zone?" domandò nuovamente lei, ostantando tutta la propria disperazione nel tono di voce. Il militare, sempre tenendola con accuratezza tra le proprie braccia, sgranò lo sguardo improvvisamente più consapevole: Gwen era terrorizzata all'idea di non essersene mai andata dalla Desert_Zone, come se tutte le avventure vissute ad Indianapolis fossero state solo che moltitudini di sogni. Immediatamente il ragazzo scosse il capo, deciso a togliere dalla testa della giovane quell'idea priva di senso.
"No, Gwen..." le mormorò poi, una volta accostatosi al suo orecchio "Sono successe molte cose. Sei stata abbandonata qui dopo che sei andata alla base governativa, ricordi?" le domandò, per poi allontanarsi nuovamente dal suo viso. Le scrutò attenamente lo sguardo, e non appena lo vide illuminarsi, annuì certa.
"Sì, i-io dovevo salvare Zoey."
"E lo hai fatto." asserì il repressore, lisciandole i capelli corvini e spettinati. Non aveva accennato ai due corpi privi di vita attorno alla ragazza, intuendo con immancabile perfezione che non dovevano essere altro che i residui di due Folli eliminati dalla dark.
"Davvero? Ce l'ho fatta?" domandò Gwen, improvvisamente sorridente e speranzosa "Mi dispiace." disse dopo pochi istanti, scavando attentamente negli occhi cobalto del militare "Io non volevo che qualcuno morisse a causa mia."
"Non è stata colpa tua e-" "Sì, invece." lo interruppe Gwen certa delle proprie parole, per quanto amare fossero. Avevano un sapore acido, qualcosa che ti rimane fermo in gola e che è in grado di carbonizzartela dolorosamente "I Ribelli, Zoey... E' accaduto tutto perchè io ho deciso di scavalcare quella recinzione invisibile."
"Lo hai fatto per una ragione valida." si affrettò ad intervenire Duncan. Non voleva vederla rimpiangersi di un gesto grande e significativo come la loro fuga. Ciò che avevano fatto era stato il principio di quella che sarebbe potuta divenire una consistente insurrezione, ne era certo.
"Nulla è valido se fatto a discapito di vite altrui." asserì distante Gwen, sfoderando un tono di voce spezzato dalla fatica e dal rimorso. Capiva il pensiero di Duncan, ma non poteva essere completamente d'accordo con lui: loro non erano così speciali da potere scegliere chi viveva e chi moriva. Quelli erano gli atti che il Governo, che tanto disprezzavano, amava. Se qualcuno era destinato a morire, quella persona era uno di loro.

"Duncan!" la voce di Noah fece distrarre il militare. Lo scienziato, solo pochi secondi prima -mentre il militare era incantato dai profondi occhi di Gwen-, si era accostato alla ragazza e, dopo averle afferrato il polso, aveva contato attentamente i battiti cardiaci di quest'ultima "Il suo cuore batte in modo frenetico."
Il repressore alzò lo sguardo sul ragazzo di fronte a lui, dando un freno a quel contatto tra sguardi che si era instaurato con la sua amata. La notizia che il giovane gli aveva appena dato non era affatto buona. Se il cuore stava battendo in modo irregolare, ciò stava a significare che il tempo doveva essere diminuito. La ragazza, notando l'espressione allarmata dei due, si apprestò a parlare.
"E' da prima. Non so perchè, ma non riesco a riprendermi... Il cuore non rallenta. Mi sento stanchissima."
Senza rifletterci, il punk posò una mano sul petto della ragazza. Immediatamente percepì sottopelle il tempo scandito in modo veloce ed anormale dal cuore di lei. Corrugò la fronte, mentre un'espressione di improvvisa incertezza e timore si facevano largo in lui. Gwen lo notò.
"Che succede?"
Duncan non le rispose. Al contrario, serrò la bocca in modo ansioso, per poi mordersi il labbro inferiore fino quasi a sentire il sapore del sangue sulla lingua. Chiuse anche gli occhi, stringendo le palpebre con spasmodia. Vi era ora un dubbio insinuatosi nella sua mente: quanto tempo restava realmente a Gwen? Dovevano agire immediatamente.
"Una bomba, Gwen." rispose Noah, interrompendo quel silenzio che si era fatto insopportabilmente pesante. Subito la dark si volse verso lo scienziato "Ti hanno collegato una bomba al cuore per fare sì che la Desert_Zone scompaia."
La ragazza sussultò impercettibilmente. Improvvisamente fu certa della ragione di quell'orribile sensazione di scomodo e di quell'orrida ferita malcucita al centro del suo petto. Si impose di tranquillizzarsi: dai visi dei due aveva ben inteso come fosse il caso, per il suo cuore, di calmarsi.
"Pensavamo che entro due giorni sarebbe esplosa, ma se il tuo cuore sta battendo in questo modo da molto, potrebbe trattarsi di una giornata e basta." tornò a parlare lo scienziato. Duncan restava lì, tenendola tra le braccia, ma sembrava d'improvviso lontano, incerto di ciò che stava accadendo. Gwen sgranò gli occhi, per poi annuire a vuoto. Che altro poteva fare? Non poteva ribellarsi ad una cosa del genere. Sarebbe stato vano piangere o chiedere aiuto. Non le ci vollero più di un paio di secondi affinchè realizzasse a pieno quel pensiero che da ore tormentava i quattro che erano venuti fin nella Desert_Zone per lei: sarebbe morta. Sospirò avvolta da quella certezza, e per qualche istante tutto ciò che udì fu il suo battito cardiaco rimbombarle rumorosamente nelle orecchie, fino quasi ad assordarla. Avvertì la vista appannarsi per le lacrime, ma non ne fece sgorgare neppure una. Lanciò invece uno sguardo in direzione di Duncan. Perchè si era catapultato in quel deserto? Sarebbe morto anche lui.





 

Angolo dell'autrice!

Scusate il ritardo nell'aggiornamento, ma ho avuto un dubbio esistenziale riguardo il capitolo: era orginariamente parecchio più lungo. Ho quindi pensato di dividerlo, ed ho dovuto attuare qualche modifica, il che ha richiesto qualche giorno ^^''

Spero che questo vi piaccia!

Thomas ama Zoey!
Courtney è venuta a conoscienza di nuove informazioni, e Duncan ha ritrovato Gwen! 


Cosa accadrà nel prossimo capitolo? (io lo so muahah!)

 
Laciate una recensione! Bacii!

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Capitolo 28
*** Desert_Zone cap.28 ***


Desert_Zone

 
cap.28



 
Heiii, sono in anticipo (assurdo, eh?)! 

Spero che questo capitolo vi piaccia e... Perchè metto il mio angolino ino etto prima? Ovviamente, per evitare i pomodori dopo :')
Spero mi scriviate qualche recensione e... Voglio ringraziare tutti quelli che mi seguono, anche silenziosamente, perchè siete meravigliosi! Ogni vostra lettura è per me un onore u.u

Ho persino deciso di mettermi di serio a scrivere qualcosa! Sì, insomma, proverò.... (?) ahah.

Ok, vi lascio alla lettura, ciao!












Aveva chinato il volto verso il basso, fino a poggiare la propria fronte corrugata contro quella liscia e rilassata di lei. Continuava ormai da ore a tenerle saldamente la mano, quasi preoccupato che, nel caso in cui l'avesse lasciata, la giovane sarebbe potuta scomparire per sempre. Sospirò per l'ennesima volta, mentre le lacrime mute e colme di frustrazione gli giungevano alle labbra, inumidendogliele. Era arrabbiato, reso cieco dal furore che divampava in lui.
Thomas era certo che, nell'esatto istante in cui sarebbe stato costretto a lasciare la presa sulla mano di Zoey, sarebbe esploso, divenendo inarrestabile e ferito, traboccante di disprezzo e calugne. Era stanco; la giovane recluta si trovava sull'orlo di un precipizio decisamente troppo profondo, ed era certo che, nel momento in cui avrebbe dovuto saltarlo, si sarebbe gettato a capofitto incurante della propria salvezza. Aveva il fiato corto e la gola secca, i nervi gli dolevano perchè troppo tesi, e la testa aveva iniziato a diventare orribilmente pesante. Ormai da parecchi minuti, le parole di Duncan gli rimbombavano in testa in modo prerentorio. Serviva solo un fiammifero, anche spaventosamente piccolo, e quella 'scintilla' che il repressore vedeva in lui, avrebbe divampato per far cadere al suolo ogni cosa sul suo cammino. La pistola era carica nella fondina, e le sue mani erano pronte a colpire chiunque fosse stato sul punto di fermarlo. Eppure, vi era Zoey. La rossa, in quel momento tanto cruciale, rappresentava un'ancora di salvezza in grado di placare -anche se solo leggermente- la furia che avvolgeva il giovane No-One. Ogni volta che Thomas si sentiva sul punto di cedere, abbassava lo sguardo, incontrando il viso perfetto e rilassato della ragazza. Anche la sola visione di lei era in grado di contenere la fiamma che ardente minacciava di eroderlo.
Eppure, al medesimo istante, vi erano momenti -proprio come quello- in cui, nonostante il volto della ragazza fosse di fronte ai suoi occhi, la rabbia pareva non placarsi. Era in quegli istanti che Thomas stringeva le palpebre fino quasi al dolore, artigliava le proprie unghie al materasso, e serrava la mascella con forza; il tutto mentre nella sua mente non faceva altro che pregare una vana speranza.
"Impazzirò..." gemeva in preda allo stress "Non ce la faccio, Zoey."

Fu solo dopo lunghi minuti che qualcosa lo distrasse, facendogli accantonare per qualche istante la rabbia, sostituendola con una morbosa e malsana curiosità -qualcosa di cui pentirsi-.
D'improvviso, dall'esterno di quella piccola stanzetta in cui lui e la rossa si trovavano, avevano iniziato a provenire gridi, schiamazzi ed allarmismi. Poteva chiaramente udire i passi frenetici e scostanti dei numerosi passanti, imprecazioni, grida colme di preoccupazione ed ogni altro genere di caos. Era come se, in un breve istante, l'intero ospedale avesse deciso di mobilitarsi. Il volto della recluta si fece confuso ed incerto, mentre voltava lo sguardo in direzione della porta ancora serrata, che non dava la minima parvenza di volersi muovere. Poteva dedurre che vi fosse parecchia confusione oltre essa, visto il baccano che poteva udire già dalla piccola camera chiusa. Restò qualche momento fermo in quella posizione, come in attesa, poi affinò l'udito, deciso a captare qualcosa oltre i vocii confusi. Si concentrò attentamente nell'intento di comprendere almeno una delle innumerevoli parole che venivano scambiate, poi tutto si fece buio.
Gli era bastato poco, ed aveva riconosciuto un nome. Un paio di parole che per lui significavano molto più di quanto potesse all'apparenza trasparire.

"Duncan Smitt"

Immediatamente, Thomas avvertì il fiato farsi pensante. Chi poteva aver pronunciato il nome del repressore? Forse un medico?
Distorse la bocca incerto mentre, in un improvviso bisogno di conforto, strinse più intensamente la mano di Zoey, avvolgendogliela totalmente. Si trovava ancora seduto sulla sedia vicino al lettino d'ospedale, ma i suoi muscoli avevano iniziato a fremere allarmati e pronti all'attacco. Effettivamente, era da parecchio che lui si trovava nell'edificio, e probabilmente Duncan e Scott se ne erano andati. Deglutì a vuoto, mentre delle gocce di sudore iniziarono ad imperlargli la fronte. Era terrorizzato, ma non solo. Quella fiamma di odio e rabbia era tornata a divampare, ma questa volta era travolgente quanto una tromba d'aria, in grado di sradicarlo dal suolo, e persino da quella sua preziosissima ancora -Zoey-. Così accadde.

Senza neppure rifletterci, lasciò la presa sulla mano della rossa, vezzeggiandola con un'ultima carezza leggera, per poi alzarsi dalla sedia ed accostarsi silenziosamente alla porta. Camminò con passo felpato, per poi poggiare un'orecchio contro l'uscio, intento ad ascoltare. Mille dubbi lo avevano assalito: che li avessero presi? Uccisi?
Non poteva immaginare colui che lo aveva aiutato a sopravvivere, nonostante le spire di quel folle Governo, morto. Non sarebbe riuscito ad accettare che una cosa simile fosse accaduta. La rabbia era divenuta un veleno denso, e lentamente lo stava infettando, rendendolo uno schiavo con ben poche possibilità di scelta. Quel fiammifero che era andato cercando era apparso, ed ora la scintilla era divenuta fiamma, e forse, presto, si sarebbe trasformata in brace.
Si era gettato in quel precipizio che lo aveva per lungo tempo minacciato, ed ora non vi era più possibilità di tornare indietro. Se Duncan e Scott erano stati scoperti, ciò significava che presto anche per lui sarebbe finita, e se solo avessero saputo che conosceva Zoey, neppure la rossa avrebbe avuto un roseo destino. Fu con quelle poche certezze in mente che prese una decisione: andarsene. Avrebbe lasciato Zoey proprio perchè la amava, per donarle una speranza. Se la avessero trovata in sua compagnia, si sarebbero entrambi potuti definire morti.
Aprì perciò la porta con un colpo brusco, trovandosi di fronte ad un medico che lo osservava allarmato. Lo vide aprire la bocca per gridare, ed immediatamente gli fece sbattere la nuca contro la parete per fargli perdere i sensi. Lo lasciò a terra, per poi iniziare a correre come un forsennato tra i vari corridoi dell'edificio. Poteva vedere, con la coda dell'occhio, i visi dei pazienti e dei primari confusi e spaventati. Dedusse in pochi istanti che anche lui era stato riconosciuto.
Si infilò qualche istante dentro una stanza vuota, il fiato corto e la stanchezza ormai a pervaderlo. Deglutì a vuoto, per poi passarsi una mano sulla fronte sudata. Si osservò attorno: si trovava in quello che all'apparenza sembrava un piccolo salotto, probabilmente una sala dove i medici erano soliti a fare le loro pause. Vi era un'ampia finestra, ed un paio di divani neri. Poi, sul fondo della camera, intravide un piccolo televisore che stava trasmettendo un notiziario. Si avvicinò interessato, notando due foto spiccare sullo schermo. La prima rappresentava Duncan, e la seconda lui.

"Il rinomato repressore Duncan Smitt, ritenuto deceduto sino a poche ore fa, ha attaccato un treno colmo di civili. Non sappiamo quali fossero le sue intenzioni, ma possiamo confermare che l'uomo in questione sia da considerarsi un soggetto decisamente pericoloso. Vi chiediamo perciò di evitare di uscire di casa, a meno che non sia strettamente necessario. Insieme a lui vi è il signor Thomas No-One, ed un gruppo di ragazzi ancora da identificare. Siamo spiacenti di non potervi dire di più."

La voce del conduttore era risuonata chiara alle orecchie del rosso. Li avevano scoperti. Per qualche bizzarra ragione, Duncan aveva assaltato un treno, lasciandolo all'ospedale con Zoey -probabilmente per proteggerla-. Eppure, qualcosa era andato storto nel piano del militare, altrimenti non lo avrebbero mai visto. Con un sospiro, Thomas cercò di analizzare tutto ciò di cui era venuto a conoscenza: Duncan non era stato preso, e probabilmente neppure Scott. Lui era stato riconosciuto, Zoey era bloccata in quella stanza di ospedale, e Gwen era ancora scomparsa.
Sgranò gli occhi, realizzando una cosa semplice, quanto vitale. Solo una cosa avrebbe fatto muovere Duncan con una tale velocità, e si trattava della dark. Il repressore doveva essere venuto a conoscenza della collocazione della ragazza, non vi era altra spiegazione.
Abbassò lo sguardo, incerto sul da farsi. La rabbia era divenuta più feroce, sempre meno placabile, mischiandosi ad una nuova preoccupazione per quel suo -quasi- fratello. Ora era certo che sarebbe stato in grado di scatenare una vera e propria rivoluzione se solo avesse voluto.
Serrò le mani in due pugni collerici, per poi riprendere a correre sino all'uscita dell'edificio. Dovette combattere contro un paio di repressori prima di giungere sano e salvo al porprio furgone. Doveva dirigersi al proprio appartamento.


 
***

Gwen osservava il viso di Duncan confusa, incerta, piena di dubbi e preoccupazione, ma non per lei. Perchè quei tre si erano diretti nella Desert_Zone? Nessuno sarebbe sopravvissuto. Non vi era speranza di fermare la detonazione di una bomba attaccata ad un cuore: lei, come tutti gli altri, sarebbe morta. Ammirò a lungo il viso del punk, attendendo una sua reazione, qualcosa che potesse riflettere la gravità della situazione, eppure non intravide nulla. Ma infondo, neppure lei stessa aveva paura. No, Gwen non temeva ciò che si stava per infrangere su di lei, con la potenza di un'onda di uno tsunami, nata per travolgere ed uccidere. Ciò che le scandiva meccanicamente il tempo nel petto era inarrestabile, e nessun timore lo avrebbe arrestato. Doveva semplicemente accettarlo.

Ora anche lui la stava guardando, sorridendole leggermente. Lo vide chinarsi contro di lei, per poi baciarla a fior di labbra, non ostentando malizia o desiderio,ma semplicemente donandole un contatto leggero ed intimo, che la travolse a pieno.
"Possiamo salvarti. Lo ha detto Noah." le rivelò poi il militare, facendole corrugare la fronte confusa. Improvvisamente, le sembrava quasi di potere avvertire il timer tintinnare fastidiosamente nel suo betto. bip, bip... Non la smetteva più.
Ciò che Duncan le aveva detto non poteva essere reale. Se una bomba era collegata al suo cuore, e se questa funzionava solo mediante i battiti di esso, il solo modo per arrestarla doveva essere...

Sgranò nuovamente gli occhi, mentre la gola le diveniva improvvisamente secca ed il respiro le si mozzava. Si voltò in direzione di Noah, certa che fosse tutto nella sua mente, un segreto ben custodito e di cui nessuno era venuto a conoscenza. Ciò che lo scienziato aveva detto loro era solo metà della realtà, e probabilmente mai quel ragazzo aveva usato il termine 'salvare'. Probabilmente aveva detto semplicemente 'disinnescare'.

E' stato Duncan, o Scott, ad interpretarlo in modo sbagliato, dedusse la giovane dark con un mezzo sorriso. Un'espressione falsa quanto Loki*.

Noah la osservò qualche istante, per poi annuire, come in risposta alla sua deduzione muta, e non appena vide quell'abbozzo di sorriso comparire sul viso di lei, il ragazzo comprese che Gwen gli stava permettendo di farlo. Lo stava perdonando dell'idea di ucciderla.

Con l'arrestarsi del battito cardiaco, la bomba si disinnesca. Si tratta di semplice logica.

Si voltò nuovamente verso Duncan, sorridendogli dolcemente. Il militare notò l'improvviso cambio nel comportamento di lei, ma non potè domandare nulla, che un bacio, questa volta più determinato e bisognoso, si posò sulle sue labbra. Immediatamente, l'uomo rispose. Permise alla lingua di lei di esplorare la bocca di lui, ed altrattando gli concesse Gwen. Quello contatto improvvisamente tanto intenso e viscerale ricordò al militare il momento in cui la donna lo aveva lasciato per sacrificarsi. Si allontanò d'improvviso.
"Che succede?" le domandò spaventato, gli occhi ridotti a due fessure quasi tremanti. La pupilla vagava su tutto il volto della ragazza.
"Duncan, io-" "No, ok? Non te ne andrai di nuovo. Ti salveremo, perchè è così che deve essere." la interruppe frettolosamente lui, non permettendole di dire altro, deciso a dare un fine a quella conversazione che -era certo- avrebbe preso una piega poco piacevole.
"Duncan, non ho mai parlato di salvarla."
La voce di Noah era risuonata carica di colpe ed incertezze. Sapeva che quella frase avrebbe potuto segnare la sua morte. Il militare si sarebbe potuto scagliare verso di lui in pochi secondi, magari brandendo un coltello affillato, e gli avrebbe potuto tagliare la gola senza alcun rammarico. Eppure, non accadde. Duncan si limitò ad osservare lo scienziato, tremando.
"Non puoi." soffiò infine il repressore, scuotendo il capo. Aveva dedotto ciò che, sia la dark che lo scienziato, ormai sapevano "Io e Scott non te lo permetteremmo mai."
"Mentre eri qui con Gwen io... Io ho parlato con Scott... Gli spiegato la situazione e-" "E lei la sa?" intervenne, gridando il militare. Lanciando una breve occhiata verso la ragazza, per poi tornare allo scienziato. Ciò che stava accadendo non poteva essere possibile. Lei era appena tornata al suo fianco; non poteva dissolversi dopo così pochi momenti.
"Non puoi portarmela via dopo che me l'hai fatta ritrovare." pregò infine Duncan, la fronte corrugata e le mani tremanti.
"Ma non c'è altro modo..."
Questa volta, a parlare, era stata la voce della ragazza. Il militare abbassò lo sguardo, incontrando quello umido, spaventato -ma fiero- della donna che tanto amava. Quella frase era risuonata come un'arrendevole giustizia, e lui non poteva concepirlo. Il repressore iniziò a scuotere il capo allarmato, non riuscendo a realizzare neppure lontanamente una simile piega degli eventi. Avrebbe voluto gridare, ma le forze gli erano d'improvviso venute meno.
Gwen lo vide spaventato, ed immediatamente gli sorrise dolce, per poi accarezzargli lentamente una guancia "Non devi preoccuparti."
"Ci deve essere un altro modo... Io-" "Ma non c'è." intervenne la gotica, interrompendo il militare. Gli afferrò una mano e la posò sopra il suo petto. Il suo cuore non si era ancora placato, ed era certa che Duncan potesse avvertirlo chiaramente. 
Era così forte ed inarrestabile, così doloramente instabile.
"Lo senti?" gli domandò, continuando a mantenere il palmo di lui contro il cuore di lei "Distruggerà me, ucciderà voi, e molti altri abitanti della Desert_Zone. Io non voglio." sentenziò lentamente la ragazza, scandendo ogni parola con determinazione.
"Ma Gwen io-" tentò di parlare il repressore, ma la giovane non glielo permise.
"S-So che non vuoi, ma non c'è altra possibilità." gli mormorò lei, faticando ormai a parlare, sempre mantenendogli la mano premuta contro il suo petto. Il militare poteva avvertire con chiarezza il cuore battere privo di controllo, ed immaginava la fatica a cui la ragazza era sottoposta, eppure non poteva comunque accettare quella sua folle preghiera. 
Gwen era la sua fonte di vita, non poteva permetterle di morire.

"U-Uccidimi." lo pregò infine Gwen, ritrovando quel coraggio che temeva di avere perso. Non credeva che supplicare in quel modo sarebbe stato tanto faticoso. Duncan, udendo quell'ordine tanto prerentorio, sgranò lo sguardo incredulo.
"Duncan ti prego..." proseguì la ragazza, ormai con gli occhi lucidi "Fallo per salvare tutte queste persone." prese una pausa, serrando gli occhi ed esibendo un'espressione di dolore "Devi farlo..."
Lui la osservò a lungo ed intensamente, non riuscendo però a dire nulla. Le sue parole gli avevano svuotato la mente, spaventandolo. Serrò le mani in due pugni colmi di frustrazione ed abbassò lo sguardo nel disperato tentativo di evitare quello tanto bisognoso ed umido di lei.
"S-Se solo..." prese l'ennesima pausa lei, per poi continuare "Se c'è solo una cosa che vuoi fare per me, allora fa che sia questa." lo pregò poi lei, artigliando la maglia di lui con le unghie e tirandola, pregandolo di guardarla. Lui acconsentì, rimanendo paralizzato di fronte gli occhi lucidi e disperati di lei.
"Poni fine alla mia esistenza, perchè non posso accettare che lo facciano loro."
Quella frase fece irrigidire Duncan in pochi istanti. Quanto tempo era passato? Quanti mesi erano trascorsi da quando aveva fatto quella promessa a Gwen? Tutto era successo una sera in cui lei lo aveva guardato negli occhi e gli aveva fatto promettere che, se mai un giorno il Governo avesse minacciato la sua vita, sarebbe stato invece Duncan a porvi un freno. Gwen non sarebbe morta a causa della mano folle della dittatura. Lei sarebbe morta con onore e rispetto, per mano di un combattente degno.
Eppure, ora quella promessa risuonava come un eco distante, ed il militare non voleva darvi ascolto.

"Ma non posso!" intervenne il militare quasi con un grido, chinando il volto contro di lei e stringendo le palpebre con forza. Avvertì le lacrime traboccare e solcare le sue guance, ma non se ne curò "Io non lo farò perchè..." si fermò, per poi aprire gli occhi e tuffarli in quelli di lei "Perchè ti amo."
Il silenzio si posò sui due dopo quella dichiarazione tanto sofferta e lei, in particolare, non osò replicare.
Duncan decise quindi di proseguire.
"Gwen, tu non puoi farlo. Ti rendi conto di ciò che stai dicendo? Io... Io ti amo e..." deglutì, alla ricerca delle parole migliori da usare "Giunsi qua, ricordi? Giunsi qua, cadendo dal cielo ed una ragazza mi salvò." Duncan cercò il suo sguardo, e lo incatenò nel proprio. Amava quegli occhi color dell'ebano più pregiato, così magicamente in contrasto con la sua pelle avorio.
"Questa ragazza mi disse che non si sarebbe mai arresa, che morire per causa loro era... Orribile. Mi disse che aveva fatto una promessa." Udendo quell'ultima frase, gli occhi di Gwen si sgranarono "Che la resa non era... Nemmeno calcolabile."
In risposta, la ragazza si arrese al pianto, ed immediatamente il suo volto fu solcato da quelle diamantine lacrime salate. Il dolore la stava pervadendo, accompagnato dai ricordi. Le tornò alla mente quando sua madre le aveva mormorato quel 'non arrenderti mai', ed al medesimo istante quanto improvvisamente decisive fossero divenute le sue scelte: le parole di Duncan, per quanto veritiere, la stavano logorando.
"Duncan-" "Eri tu quella ragazza, Gwen." la interruppe lui determinato. Lei deglutì a vuoto, nuovamente avvolta dal silenzio.
"Duncan, io devo morire."  gli tornò a dire per l'ennesima volta, tentando di allontanare il dolore e la verità "Sono cresciuta ed ho capito che, senza il sacrificio, nulla è possibile."
"Ma questo è troppo." le rispose veloce lui. Lei sorrise, gli occhi ancora brillanti e sofferenti.
"No, non lo è. Ho vissuto più di quanto mi fosse stato concesso ed ho amato con tutta me stessa. Duncan, sei stato tu ad insegnarmi a vivere completamente, abbattendo quelle barriere che mi rivestivano..." proseguì la ragazza, accarezzandogli il volto ed asciugandogli le lacrime "Ora ti prego di togliermela tu, la vita."
Lui scosse il capo impercettibilmente, ma lei lo fermò.
"Non devi sentirti in colpa. E' stata l'avventura più bella." gli sussurrò "Ed ora è giunto il momento che tu mantenga fede alla tua promessa."
Duncan la ammirò a lungo in silenzio. Perchè sorrideva? Perchè i suoi occhi erano così lucidi? Perchè le sue labbra tremavano tanto?

Gwen non gli era mai sembrata tanto debole. Eppure, si stava sottoponendo alla più grande prova di coraggio.

"A volte vorrei morire, ma se accadesse, fa in modo che non sia a causa loro."**

Ricordava orribilmente bene quella frase, e con che sguardo lo avesse supplicato di mantenere la promessa. Si morse il labbro inferiore, per poi sospirare appesantito.  Il pianto ora lo scuoteva irreparabilmente ed i singhiozzi erano divenuti intrattenibili. Lei lo osservò a lungo, per poi parlare.
"Non piangere." lo esortò infine "Voglio ricordarmi il tuo viso sorridente. E' il mio ultimo desiderio."
Con quelle parole, Duncan si impose di soddisfarla ed immediatamente curvò le poprie labbra in un vago sorriso  -il più felice che fosse in grado di esibire- senza però asciugare le lacrime che gli solcavano il volto. Si chinò sulla ragazza, posandole un bacio a fior di labbra, sempre tentando di mantenere quel sorriso che lei aveva espressamente richiesto. Desiderava soddisfarla, renderle ogni attimo perfetto. In quel contatto vi era più sentimento di quanto ce ne fosse mai stato, e molte più parole di quante potessero esisterne.
Mentre la baciava tanto dolcemente, posò le proprie mani in corrispondenza del cuore di lei ed iniziò a pressare. Gli avevano insegnato come  fare avvenire un arresto cardiaco, e nel frattanto continuò a baciarla. Ogni sfiorarsi era più pesante, orribile, e fatale.
Si staccò solo dopo qualche minuto, sempre sorridendole "Sono costretto a privarti della vita, ma in cambio ti dono il mio amore eterno."
E detto ciò diede un colpo particolamente forte in corrispondenza del cuore, dando inizio ad una reazione che avrebbe portato all'arresto di quest'ultimo.











*Loki: Dio della menzogna e del Chaos

** se non ricordate questa frase, la dice Gwen in uno dei primi capitoli (sinceramente non ricordo quale ^^'')

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Capitolo 29
*** Desert_Zone cap.29 ***


Desert_Zone




cap.29











































I mobili a soqquadro, le finestre con i vetri in frantumi, e la porta d'ingresso scardinata. Il respiro del ragazzo era fiacco e sconvolto: non credeva che una volta tornato a casa, sarebbe stato quello lo spettacolo presentatosi d'innanzi ai suoi occhi smeraldini.
Lanciò occhiate veloci in ogni angolo, come per accertarsi che non ci fosse effettivamente più nessuno nel piccolo appartamento disastrato, ed una volta che ne fu totalmente certo, entrò. Camminò attentamente, a passo felpato, cercando di non calpestare neppure un foglio caduto per errore. Si fece avanti all'interno dell'ingresso, per poi affacciarsi in direzione del salotto. Sgranò gli occhi sorpreso, mentre il respiro si agitava ulteriormente. Il divano era stato ridotto a pochi brandelli di stoffa lacera: Thomas poteva vedere chiaramente gli innumerevoli fori causati da arme da fuoco -probabilmente mitragliatori, dedusse-. I cuscini si erano ridotti a solo qualche pugno di piume ancora sospeso in quell'aria satura di silenzio e polvere da sparo. Gli sembrava di trovarsi all'interno di un film: la poca luce che vedeva entrava da uno spiragio tra le tende, ed il pavimento era ricoperto da schegge di vetro e proiettili ancora caldi. Proseguì con attenzione, analizzando sempre con occhio vigile ogni più piccolo particolare; la credenza era stata completamente ribaltata, e la sola cosa rimasta in piedi dentro la stanza era il piccolo tavolo in legno rotondo.

Proseguì la propria perlustrazione, sempre camminando con passo felpato, sino alla sua stanza. Vi era una cosa, in particolare, che lo allarmava: la possibilità che avessero trovato il suo nascondiglio nel muro. Improvvisamente non diede più peso al silenzio che si era detto di dovere mantenere -certo che non fosse rimasto nessuno all'interno dell'appartamento-, e scattò in direzione del foro ben nascosto nella parete. Controllò attentamente il contenuto del nascondiglio, e constatò con sollievo che nulla era stato prelevato. Si voltò poi sospirando e passandosi una mano tra i capelli. Si sedette qualche istante sul letto con lo sguardo basso, fino a quando un odore particolarmente forte non gli giunse alle narici. Istintivamente, alzò il viso in direzione di esso, e trattenne a stento un conato di vomito quando riconobbe, sulla sedia dove lo aveva lasciato Duncan, il corpo decapitato del Gentiluomo che avevano catturato.
Thomas poteva vedere con chiarezza il corpo sgozzato, privo di una testa, totalmente ricoperto di sangue. Il completo nero aveva assunto toni tendenti al bordeaux ed il giovane poteva intravedere, all'interno del collo tagliato spietatamente, la trachea tranciata, e l'arteria ormai priva di sangue.
Dimostrandosi più uomo di quanto non fosse, il giovane si alzò -sempre reprimendo la repulsione- e si accostò alla sedia sulla quale il corpo del gentiluomo era ancora legato. Abbassò lo sguardo, incontrando sul pavimento la testa ancora sorridente e con gli occhi spalancati della guardia, per poi serrare le mani in due pugni stanchi, ormai privo di forze.
"Hanno fatto irruzione ed hanno ucciso il nostro ostaggio..." mormorò a se stesso il ragazzo una volta chiusi gli occhi -non riusciva a guardare a lungo quel lugubre spettacolo-. Sospirò pesantemente, per poi riaprirli. Serrò le labbra in un'espressione fredda, per poi chinarsi, poggiando un ginocchio a terra. Mostrava rispetto.
"Per quanto inumano, nessuno si merita una fine del genere." aggiunse dopo breve con voce severa "Soprattutto quando sono i tuoi stessi compagni ad ucciderti."

 


***



Respiri sconnessi, espressioni confuse, sguardi d'improvviso vacui.

Morte.

Non so se vi è mai successo qualcosa di simile;
il mondo sembra fermarsi e l'universo è sul punto di finire. Tu lo sai, non ne conosci la ragione, ma lo sai.
Ehi, sei lì, magari solo o magari con la tua famiglia, e stai per morire. Vuoi piangere, gridare che non è giusto, che è stato tutto troppo veloce, un viaggio troppo breve per potersi considerare tale, ma a che scopo? Ne vale davvero la pena? A che ti serve gridare dal momento che morirai comunque?
Potresti pentirti di ogni tua colpa -pentirti davvero-, o giurare fedeltà ad un Dio che non esiste, ma non servirebbe.
In definitiva, la scelta è morire. E' la strada che percorrerai e che, comunque, in un modo o nell'altro, avresti incontrato. Ed ora, proprio ora che lo hai realizzato, giunge la calma, quella quiete in grado di affogarti lentamente.
E poi ti ricordi, come svegliandoti da un sogno, che è solo immaginazione, che tu sei ancora seduto su una sedia, o steso sul tuo letto, e che il mondo non finirà, e che tu respiri, che sei vivo, e lo detesti. La quiete è ancora lì, reale e tangibile, sull'orlo di avvolgerti il collo per un ultimo, letale abbraccio.

Perchè?

Perchè dobbiamo soffrire?

Perchè lei era lì? Perchè era morta? Perchè tutto era d'improvviso tanto distante?

Il suo corpo non si muoveva più, neppure un minimo. Le sue mani non rispondevano alla sua stretta, per quanto disperata essa fosse. Il suo viso non gli era mai sembrato tanto pallido. Le sue labbra non si curvavano più in un sorriso a stento accennato, né tantomeno in un'espressione fredda e combattiva. Le sue palpebre erano chiuse.
Duncan stava boccheggiando; dove erano i suoi occhi? Quelli color pece in grado di dare un senso alla sua intera esistenza? Quei pozzi lucidi e meravigliosi, che sembravano estendersi all'infinito? Quelli che nascondevano in loro una fiamma priva di pietà?
Non sarebbe riuscito a vivere con il pensiero che non si sarebbero più riaperti. Non sarebbe più riuscito ad andare avanti, pensando che la causa di un simile sacrilegio fosse lui stesso.
Sul suo viso incredulo e privo di emozioni avevano iniziato ad esservi numerose lacrime, tutte intrise nel medesimo dolore. Non vi era dubbio: Duncan la avrebbe amata per sempre. Non si sarebbe mai abbassato a dimenticare quell'amazzone combattiva e pronta a tutto pur di farcela. Eppure, come avrebbe fatto da quel momento in poi? Come poteva pensare di continuare la battaglia di lei, se neppure riusciva ad alzarsi in piedi?
Le sue mani tremavano febbrili e la gola si stava facendo dolorosamente secca.
Poi, d'improvviso, disinteressato di fronte all'eventualità di essere sentiti, gridò. Urlò in un modo totalmente liberatorio, sfogandosi di ogni singolo insopportabile dettaglio che attanagliava con opprimenza la sua anima stanca e debole. Gridò per il dolore che provava, per la paura di una vita indegna di essere vissuta, per l'amore folle e privo di freno che lo logorava ed infine per la rabbia che provava verso se stesso.

Il silenzio che si posò successivamente tra i presenti, volò sopra le loro teste in modo leggiadro e posato. Caddè sul terreno arido con la stessa eleganza di una piuma, ed immediatamente il militare chinò il proprio volto contro il petto silenzioso della giovane. Avvertiva dei brividi di pura paura attraversargli la spina dorsale nella sua totale lunghezza. Come poteva essere che quel cuore tanto impervio avesse smesso di battere? Non vi era nulla, neppure un accenno di vita in lei, nemmeno un ultimo sospiro stremato.
Singhiozzò per secondi che al repressore parvero infiniti, ma accorse poi Noah a distrarlo. Portava con sé quella misteriosa borsa che ancora non aveva mostrato a nessuno.
"Duncan, spostati." gli ordinò prerentorio lo scienziato, osservando con freddezza il militare con il viso umido di lacrime. Anche il ragazzo voleva piangere, eppure sapeva che se lo avesse fatto, tutto sarebbe andato a monte. Doveva sembrare sicuro di sè, o Duncan non gli avrebbe permesso neppure di sfiorarla.
Il militare lo osservò per qualche istante confuso "Che stai dicendo?"
"Allontanati solo di qualche passo." incalzò lo scienziato, avvicinando ulteriormente a sé la borsa.
"Cosa hai intenzione di far-" "Sta zitto e ascoltami! Ormai il primo minuto è trascorso, non possiamo attendere oltre!" gli gridò addosso Noah, non riuscendo a trattenersi. Il tempo scarseggiava, e se volevano fare qualcosa era il caso di ascoltarlo.
Duncan sussultò, sentendolo tanto agitato. Aveva detto che era trascorso un solo minuto. Il militare sorrise confuso: nella sua mente erano sembrate intere ore. Non sarebbe soppravvissuto senza di lei, realizzò.

Noah lo osservò qualche istante, per poi sospirare. Si voltò in direzione di Scott, incontrandolo teso a qualche metro di distanza. Sul suo volto si potevano chiaramente intravedere le medesime sofferenze che pesavano nell'animo del punk.
"Scott..."
Lo scienziato non dovette dire altro. In pochi istanti il rosso fu vicino al militare e, afferrandolo e tirandolo per un braccio, lo allontanò dal corpo privo di vita della giovane dark. Duncan non disse nulla, dimenandosi solo leggermente dalla presa dell'altro, e prestò invece la sua attenzione al moro, che aveva estratto dalla borsa un oggetto che lui non riusciva a riconoscere.
Vi era una scatola in plastica nera dalla quale si diramavano due fili alle cui estremità vi erano due lastre in metallo. Lo scienziato reggeva le due tavole ludice con le mani ricoperte di guanti di gomma, ed immediatamente dedusse che doveva averli rubati all'ospedale parecchie ore prima. Non disse nulla, limitandosi invece ad osservarlo.

"Heather, devo chiederti un favore." mormorò dopo qualche istante Noah, richiamando l'attenzione della mora. Quest'ultima fu subito al suo fianco attenta.
"Vedi questo filo?" le domandò, mostrandole un cavo che era sfuggito allo sguardo vigile del militare. La ragazza annuì.
"Ogni volta che te lo dirò, dovrai fargli fare contatto con questo esatto punto..." continuò a spiegare lo scienziato, indicando un foro all'interno della scatola scura "E nonostante ciò che possa sembrare, tu dovrai continuare a farlo, ok?"
L'asiatica, nonostante le incertezze, annuì determinata. Ormai, giunti ad un simile punto, non vi era alcuna ragione per la quale rifiutare. Gwen era morta, e con essa buona parte delle speranze del gruppo. Cosa poteva andare peggio?
"Benissimo." asserì lo scienziato, per poi prendere un profondo respiro "Iniziamo."

Noah osservò qualche istante il corpo della dark, per poi lanciare una breve occhiata al militare ancora stretto dalla presa di Scott. Probabilmente non gli avrebbe mai perdonato un simile atteggiamento, ma non si doveva preoccupare di Duncan in quel momento. Una volta concluso quel pensiero, lo scienziato sollevò la maglietta di Gwen, sino a scoprirle il petto. Il punk drigrignò i denti furioso, per poi gridare.
"Che diavolo fai, eh?"
"Sta zitto! Non c'è tempo, vuoi capirlo?" replicò velocemente lo scienziato, per poi abbassare lo sguardo sulla ragazza. Prese un ennesimo respiro, disinteressato di fronte un eventuale risposta da parte di Duncan, per poi parlare.
"Libera!" e detto ciò Noah fece aderire le lastre in metallo contro il petto della giovane. Nello stesso istante, Heather mise a contatto l'estremità del cavo in rame con la scatola nera, ed in reazione il corpo di Gwen si curvò attraversato dall'elettricità. Dopo qualche momento, lo scienziato allontanò le due tavole in ferro.
"Cosa le stai facendo? Cos'è quell'affare?" intervenne allarmato Duncan, osservando ansioso il piccolo corpo della ragazza, che però non si mosse. Noah esibì un mezzo sorriso, per poi ripetere ciò che aveva appena fatto. Nuovamente la schiena della ragazza si sollevò dal suolo sabbioso, sussultando per l'energia che la attraversava.
"Si tratta di un antico metodo di cura risalente al secolo scorso, forse a molto più tempo addietro. Il Governo lo ha abolito, ma i miei studi mi hanno permesso di venirne a conoscenza. Il suo nome è defibrillatore." Iniziò a spiegare lo scienziato tra una scarica e l'altra. Ora Duncan lo osservava incuriosito, ed improvvisamente adorante di fronte la parola 'cura'.
"Vedi la scatola nera? Dentro essa vi sono un paio di batterie da motocicletta. Le ho notate qualche giorno fa dentro l'appartamento di Thomas e le ho prese prima che ce ne andassimo. Ogni volta che Heather permette al cavo in rame di fare contatto, le lastre in metallo liberano nel corpo di Gwen una scarica elettrica." proseguì Noah, facendo aderire il macchinario contro la pelle pallida della giovane una terza volta "L'obbiettivo è ridare al cuore lo stimolo di battere. La bomba non si riattiverà senza una nuova impostazione di detonazione, e Gwen dovrebbe tornare-" "In vita." concluse Duncan in un sospiro improvvisamente leggero "Perchè non me lo hai detto?" domandò poi confuso, nuovamente incerto. Aveva smesso di dimenarsi dalla presa di Scott, ed ora anche il rosso si era tranquillizzato.
"Non mi avreste ascoltato." rispose immediatamente Noah -rispondendo anche alla muta domanda di Scott-, come se si fosse preparato quel discorso da parecchio "Non avresti accettato l'idea di uccidere Gwen, ma sapevo che lei invece si sarebbe sacrificata, perciò non ti ho detto nulla. Tu ti saresti opposto nell'ucciderla, ergo, non avresti neppure considerato la possibilità di ridarle vita." lo scienziato sorrise "Si tratta di logica e psicologia umana."

Un'ultima scarica attraversò il corpo della dark, accompagnata da un sospiro sconnesso e tremante di Duncan.

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Capitolo 30
*** Desert_Zone cap.30 ***



 
Desert_Zone


 
cap.30


























Un sospiro strozzato si levò al centro dell'ingresso, spezzando senza alcuna pietà quel silenzio che ormai fischiava in modo pungente nelle orecchie di Thomas, ancora fermo nella sua stanza, incerto sul da farsi. Udì dei passi, prima lenti e timorosi, farsi poi veloci ed allarmati. La recluta chiuse gli occhi, sospirando. Quelle giornate si stavano facendo infinite ed inaffrontabili. Non riusciva a lasciare la propria stanza, nonostante potesse udire con chiarezza dei passi all'interno dell'appartamento. I suoi piedi non rispondevano, non poteva muoversi. Improvvisamente, non gli interessava più del disgustoso odore acre e pungente del cadavere al suo fianco. Si era paurosamente distanziato dalla realtà che lo circondava. Era troppo dolorosa per viverci.
Nella sua mente si stagliavano nomi e pensieri continui: Zoey, Duncan, Gwen, ribellarsi, Governo, fuggire, combattere, paura, coraggio, sangue, morte, armi, fuoco, i suoi genitori... Quell'ultimo pensiero, in particolare, lo fece tremare. Da quando Duncan era tornato, portando con sé quel pugno di condannati, Thomas non aveva più smesso di pensare alla propria famiglia, e a come essa fosse stata gettata nella Desert_Zone. Si domandava cosa fosse loro accaduto. Prima di conoscere Gwen -così scaltra e preparata- era stato sempre convinto che l'unica possibilità, fosse considerarli morti. Eppure, di recente, era sempre più tormentato dall'idea che loro potessero essere ancora in vita. Magari era solo una vaga possibilità -pressocchè invisibile-, se ne rendeva conto, ma non gli interessava.
Cosa avrebbe detto suo padre -che aveva combattuto pesino con le ughie in nome della libertà-, vedendolo entrare a far parte dell'esercito?

Deluso.

Cosa avrebbe pensato -quell'uomo che aveva imbracciato le armi per difendere la propria famiglia- nel vederlo in quel momento, così combattuto tra l'idea di nascondersi e quella di combattere?

Codardo.

La recluta serrò le proprie mani in due pugni frustrati. Le nocche si fecero pallide in pochi istanti, mentre le unghie affondavano con prepotenza nel palmo rovinato dai numerosi mesi di allenamenti e lavoro. Strinse le palpebre con forza, sino a sentire gli occhi pizzicargli per le lacrime in procinto di annegarlo. Si morse il labbro inferiore, facendolo sanguinare, ma non interessandosene. Infine sospirò, riducendo il proprio sguardo a due linee sottili e combattive.
Suo padre non si sarebbe mai vergognato di avere lui come figlio.

"Duncan? Scott?"
Un richiamo disperato lo fece sussultare, distraendolo dalle proprie riflessioni. Immediatamente, avvertì i muscoli nuovamente in grado di muoversi, e subito si incamminò verso il salotto. Fece capolino nella piccola stanza, muovendosi con passo cadenzato e respirando profondamente. Osservava il pavimento sporco di polvere e detriti, sapendo bene a chi appartenesse quella voce tanto allarmata che aveva fatto il proprio ingresso nell'appartamento. Deglutì prima di parlare.
"Loro... Non so se torneranno."
"Cosa è successo Thomas?" domandò Geoff allarmato, superando Bridgette e giungendo di fronte al ragazzo "Abbiamo visto un notiziario... Loro sono-" "Sono nella Desert_Zone di nuovo, penso per Gwen." lo interruppe la recluta, mostrandosi palesemente teso. Le vene del collo risaltavano nella la pelle chiara del giovane, ed i suoi capelli -disordinati come sempre- gli cadevano con noncuranza sul volto, oscurandogli gli splendidi occhi verdi.
La bionda sussultò, udendo il nome dell'amica "Perchè lì?"
"Non ne ho idea..." rispose in un mormorio affranto il giovane, appoggiando la schiena contro la parete ed abbandonandosi ad essa con frustrazione "Ma so che Duncan non è uno stupido. Se si sono diretti là, significa che Gwen è là. Non c'è dubbio." proseguì sempre Thomas, sottolineando con fermezza quel 'è'.
Geoff soppesò silenziosamente quelle parole, mentre una nuova incertezza si affacciava nella sua mente "E gli altri? Dove sono?"
Thomas alzò lo sguardo, puntandolo verso i due innamorati  "Nella migliore delle ipotesi, non sono ancora tornati..."
Quella risposta spiazzò particolarmente la ragazza, che sussultò nuovamente preoccupata, mentre Geoff comprese subito ciò che il giovane intendeva. Vi era la possibilità che Heather, Noah e Dj fossero in ritardo -quella, a parere della recluta, migliore-, altrimenti era da considerarsi che i tre fossero stati catturati -infondo si poteva dedurre facilmente dalle condizioni dell'appartamento, dismesso e disordinato, che qualcuno aveva fatto irruzione-.
"In poche parole, siamo nella merda. Neppure una notizia decente." dedusse sconfortato il biondo, accomodandosi sul divano ormai distrutto e buttando il proprio sguardo sul soffitto scuro. Sospirò arrendevole, per poi chiudere gli occhi. Neppure Geoff amava quel mondo tanto colmo di sofferenze.
"In realtà, se le mie deduzioni sono corrette, abbiamo sia Gwen che Zoey."
"Zoey?" domandò Bridgette, voltandosi verso la recluta. Quest'ultimo annuì semplicemente, accennando un mezzo sorriso -seppur falso- "E' ferita e si trova in ospedale, ma per lo meno sappiamo che c'è ancora."
"Magra consolazione." commentò sinceramente Geoff, scuotendo il capo, sempre mantenendo gli occhi chiusi ed il viso rivolto verso l'alto "Siamo divisi. Il nostro gruppo è smembrato, e nessuno ci assicura che Duncan e gli altri torneranno sani e salvi dalla Desert_Zone. Già la prima volta non è stato semplice." ricordò il biondo, tornando a quando -solo poche settimane addietro- erano sbarcati ad Indianapolis.
"E poi, ora ci cercano anche." aggiunse Bridgette, restando in piedi al centro della stanza. Non voleva sedersi, come divorata dal terrore di potere crollare e non riuscire più a rialzarsi.
"Ed è per questa precisa ragione che saremo noi a iniziare la guerra..." sorrise sghembo la recluta, esibendo un'espressione furba e spietata. Osservava i due con impazienza, mentre loro si limitavano a non capire quel ragionamento tanto avventato.
"Che vuoi dire?" domandò Geoff, aprendo finalmente gli occhi, come se quella semplice -quanto folle- frase fosse stata la chiave per uno scrigno decisamente fondamentale.
"Ragionateci: se scateniamo l'inferno, chi si preoccuperà più di un paio di ricercati?" incalzò Thomas, scattando in piedi soddisfatto. Si accostò ad un piccolo sgabuzzino sulla destra del corridoio ed aprì la porta. Sorrise, constatando che nessuno vi aveva prelevato nulla.
"Per farla breve, hai intenzione di fare in modo che si scateni il chaos generale, così da allontanare l'attenzione su Duncan?" domandò Bridgette, seguendo con lo sguardo la figura del giovane, il quale -in risposta- annuì semplicemente.
Geoff si alzò,  sistemandosi contro la parete e sorridendo derisorio "E come pensi di fare? Siamo in tre."
Thomas osservò l'altro furbescamente, per poi tirare fuori dal piccolo sgabuzzino un mitragliatore lucido e pesante. Con uno sfozo considerevole, lo posò tra le braccia del biondo, il quale osservò il giovane sorpreso.
"Con un arsenale di questi." rispose la recluta, sorridendo sghemba. Il piccolo stanzino era completamente ricoperto di armamenti militari -come quello di ogni altro membro al servizio dell'esercito, infondo- "E poi, siamo molti più di tre. Vedrai. L'insorgere di un popolo è un ostacolo di considerevole consistenza."

 
***

Morte: Cessazione irreversibile delle funzioni vitali negli organismi viventi; nell'uomo e negli animali si verifica  in assenza di respiro o di battito cardiaco spontanei [...]|| m. apparente, cessazione non definitiva delle funzioni vitali resa reversibile dalle tecniche di rianimazione.





Aveva sempre avuto paura; non aveva mai avuto problemi nell'affrontarlo ed accettarlo. Lei stessa si definiva costantemente terrorizzata, per quanto i tanti non lo notassero. E per quanto strano potesse sembrare, lei aveva sempre temuto la vita -vivere-.  Lei tremava totalmente ogni singola sera, prima di addormentarsi. Non voleva soffrire, patire la fame, o la sete, ed era probabilmente questo a spaventarla. Ed a differenza dei tanti, lei non aveva mai preso in considerazione la paura della morte -il timore più frequente tra gli uomini-. Non credeva di doverla temere, principalmente perchè non vi era nulla di così dannatamente importante da potere essere perso. A lei non era mai interessata la possibilità di non esistere più.
Eppure, poco prima di domandare a Duncan di ucciderla, il timore della morte l'aveva tediata totalmente. Più volte, in quei brevi minuti che si erano diramati tra i due, il suo cervello le aveva imposto di dire 'basta, smettila! Ritira tutto quello che hai detto!', ma Gwen non vi aveva dato ascolto. La dark non riusciva a comprendere quell'improvviso terrore così tanto nuovo e comprensibile. Solo quando aveva guardato Duncan per l'ultima volta, si era resa conto di ciò che stava accadendo. Il militare era divenuto quella cosa importante a cui lei aveva paura di rinunciare. Per qualche istante -quelli che anticiparono il suo andarsene- constatò che vivere non era poi tanto male.

Eppure, era finita.

Il respiro le si era mozzato d'improvviso ed il cuore aveva iniziato a dolerle orribilmente. Era stata in grado di avvertire il battito scostante e privo di alcun ritmo dettato da quel suo organo tanto vitale. D'improvviso aveva sentito l'impellente necessità di gridare, di aggrapparsi alla terra bollente -scaldata dal sole- che le stava ardendo la pelle pallida. Eppure, nonostante tutto questo, i muscoli non le avevano risposto, e la sua voce era scomparsa. Aveva perciò boccheggiato con disperazione -limitandosi ad un arrendevole sguardo- per poi chiudere gli occhi.

"Gwen!"

Era morta...

"Gwen!"

Lei non esisteva più. Magari il suo corpo poteva ancora esservi, ma la sua essenza, quell'intangibile presenza che è la mente, non vi era più.

"Gwen! Dove sei?" la voce del bambino le giunse alle orecchie furba e scaltra. La piccola, tremando nascosta dentro il proprio nascondiglio -un angolo ben vuoto all'interno dell'ampia credenza antica-, si teneva stretta le ginocchia, raggomitolandosi totalmente, come intenta a farsi più piccola di quanto effettivamente non fosse. Lo poteva udire camminare pesantemente nei vari corridoi della casa. Era preoccupata che lui potesse avvertire persino il suo stesso respiro affannato.
"Non serve nascondersi!" incalzò la voce di lui -ovattata- "Tanto ti troverò comunque..."
In risposta, la bambina si fece ancora più piccola, chinando il volto contro le ginocchia sbucciate lasciate in mostra dall'abitino corto a fiori.
Pochi istanti dopo, però, l'anta della credenza -che nascondeva la piccola timorosa- si aprì d'improvviso, facendo sussultare la giovane Gwen.
"Trovata!"
"Non vale, Scott!" lo accusò la piccola, uscendo dal proprio nascondiglio con agilità, arrivandogli di fianco. Subito gli puntò contro il proprio indice, decisa a proseguire la propria filippica "Hai barato!"
Il rosso si limitò ad esibire un ghigno furbo, per poi portarsi le mani sui fianchi "Io non ho barato! Non è colpa mia se il tuo nascondiglio faceva schifo!"
La bambina -recentemente divenuta di otto anni- esibì il suo sguardo più truce, puntandolo negli occhi dell'amico "Tu fai schifo!" e detto ciò, fece per lasciare la stanza, battendo i piedi sul pavimento con forza, e tenendo le proprie piccole mani strette in pugni furiosi.
Il rosso la osservò incamminarsi con la coda dell'occhio, leggermente in colpa per ciò che le aveva detto. Lui teneva a Gwen -era la sorella che non aveva mai avuto-, e gli era sempre dispiaciuto -sin da quando erano molto piccoli- vederla soffrire od arrabbiarsi. Allo stesso tempo, però, doveva confrontarsi con il proprio orgoglio -quello voglioso di battersi persino con una bambina di otto anni-. Con un sospiro spazientito, e dopo avere lanciato uno sguardo al soffitto rovinato, si incamminò verso dove aveva visto sparire la piccola.
Quando l'aveva trovata, le aveva parlato ostentando un flebile sussurro "Gwen... Scusa. S-Sei così brava a nasconderti, che credevo fossi sparita, sai?"


Sparita, scomparsa, dileguata, inesistente.
Quella volta, morendo, aveva superato se stessa. La dark sorrise a quel malsano pensiero, ed immediatamente un brivido la percorse.

Stava... Pensando? Era viva?

"Gwen!" 
Quella volta il richiamo le giunse alle orecchie nitido, ed immediatamente la ragazza tentò di aprire gli occhi, non riuscendoci. Poteva sentire le retine pizzicarle ed i muscoli muoversi lenti per l'intorpidimento. Malapena riusciva ad avere il controllo sulle proprie mani, figurarsi sul resto del corpo. Imponendosi la calma, respirò a fondo, avvertendo i polmoni dilatarsi dolorosamente. Represse un'espressione disperata, per poi ripetere l'operazione un paio di volte. Infine, spalancò le palpebre d'improvviso.
Il sole non le era mai sembrato tanto reale, né il deserto così bello. Le figure che si stagliavano di fronte a lei -quattro distinte persone- si trovavano al suo capezzale, e la rimiravano con apprensione. Le esaminò attentamente una ad una, riconoscendo prima Heather, poi Noah, Scott ed infine Duncan. Immediatamente, un sorriso si delineò sul suo viso, e fu -a parere di ella stessa- il più bello e sincero che mai nacque su quel volto.
Era viva; non sapeva come fosse possibile, ma non le interessava. Stava nuovamente percependo ciò che la circondava, e per una seconda volta aveva l'occasione di guardare l'orizzonte che, dovette constatare, prima di quel momento non le era mai parso tanto meraviglioso. Improvvisamente si rese conto che, se proprio era costretta a vivere come mortale, non si sarebbe dovuta perdere neppure un tramonto od un'alba.
Con le lacrime agli occhi, osservò ogni membro del gruppo con gratitudine. Non vi erano parole abbastanza importanti e sincere per potere descrivere quanto devota fosse loro. La voce di Duncan spezzò quel silenzio teso ed incerto "Stai bene?"
Lei annuì, asciugandosi le lacrime che le solcavano le guanche con il polso sporco di terra e sangue "L'orizzonte è splendido." commentò poi, facendo sorridere i ragazzi che, sollevati, si guardarono l'uno con gli altri soddisfatti.
La dark puntò poi lo sguardo su Scott che, poco più lontano rispetto agli altri, stava cercando di sembrare quanto più freddo possibile. Eppure, nonostante ciò, lei notò con chiarezza le lacrime sollevate e felici del rosso.
"Questa volta credevo che fossi sparita davvero."


































 

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Capitolo 31
*** Desert_Zone cap.31 ***


 
Desert_Zone

 
cap.31










































"Come si scatena una guerra?"

Probabilmente, ad un occhio vigile, posato, distaccato e maniacalmente professionale, quella domanda sarebbe risultata come un ostacolo preossocchè insormontabile. Come rispondere ad un quesito di tale peso? Come poter dare una risposta esauriente quando non esisteva alcuna scienza a dimostrare il tutto? Non vi erano veri e propri 'metodi' per fare aizzare un intero stato contro un secondo. In innumerevoli racconti provenienti dalle ere passate, venivano narrate storie riguardanti raccapriccianti guerre, morti senza nome e vincite dal sapore insipido.
Eppure, nonostante tutto ciò, quel giovane conosceva molto più di quanto un maestro di professione -di quelli che solo i ricchi appartenenti alle famiglie più prestigiose potevano permettersi di assumere- avrebbe potuto sommariamente narrare. Si trattava di semplice ingegno, astuzia e di briciole risalenti ai secoli passati.
Un sorriso si delineò sul volto di Thomas, mentre il suo sguardo cadeva sul profilo incerto e confuso del biondo di fronte a lui -il suo interlocutore-. Prima di rispondergli, però, si voltò anche in direzione della ragazza -Bridgette-, assicurandosi che anche lei fosse in procinto di ascoltarlo. Ciò che stava per dire, avrebbe dato inizio a qualcosa di molto più grande di loro.

"Come si scatena una guerra?" disse la recluta, facendo eco a Geoff, camminando sino al piano della cucina -una delle poche parti della casa ancora intatte-, per poi sedervisi sopra. Sospirò, passsandosi una mano tra i capelli scompigliati, per poi puntare il proprio sguardo smeraldino contro il soffitto "Non vi è una scienza in grado di spiegarlo... Vi è invece un'astuzia viscida e spietata in grado di dare il via ad un colpo di stato."
Immediatamente, di fronte quelle parole tanto criptiche ed appena mormorate, il biondo chinò il capo, puntando i propri occhi verso quelli del giovane, ancora incredibilmente interessati alla fattura del soffitto dai toni scuri "Che intendi?"
"Si tratta di sfruttamento della mente umana." soffiò dopo pochi istanti Thomas, ricambiando lo sguardo di Geoff con un'allarmante follia in volto. I suoi occhi si erano ridotti a due fessure spietate, ed immediatamente i due biondi seppero che ciò che si apprestavano a fare, sarebbe stata la più grande pazzia di sempre. Eppure, non li interessava. Loro volevano semplicemente essere d'aiuto. Avrebbero imbracciato tutte le armi del mondo pur di dare anche solo qualche flebile speranza in più a Duncan, Gwen, e gli altri di evadere nuovamente dalla Desert_Zone.
"Si tratta di raccontare una menzogna." proseguì dopo qualche istante -che parve infinito, lungo quasi quanto un'initera ora- Thomas. Pronunciò quella frase, ostentando un vago sussurro. Rivelò quel trucco con vanto e determinazione, cosa che fece confondere sempre più il biondo di fronte a lui.
"Una semplice bugia? Non suona... Banale?" intervenne nuovamente Geoff, facendo sorridere furbescamente l'altro che, aspettandosi una tale domanda, aveva già preparato una piccata risposta.
"Vi sono precedenti simili."
La recluta seppe dare una logica spiegazione alle reazioni dei due in seguito alle sue parole. Sia Geoff che Bridgette si erano irrigiditi, mentre la ragazza -in particolare- si era lasciata anche sfuggire un sospiro sconvolto. La realtà era che, da quando il Governo era venuto al potere, ogni notizia esistente relativa a precedenti guerre, era stata totalmente distrutta. Nessun servo della dittatura era a conoscenza di ciò che il passato aveva riservato alle nazioni -anche alle più potenti-. Infondo, a quale scopo rivelare ad un branco di prigionieri -perchè quel popolo altro non era- che vi era la possibilità di fare nascere un'insurrezione, ed in particolare che essa potesse andare a buon fine? Per quanto folli, i numerosi ambasciatori al servizio del Governo non erano stupidi. Non potevano rischiare che i loro nuovi e fidati servi, resi ciechi da un'apparente tranquillità generale, decidessero che era giusto dare un significato alla parola 'libertà'.
"Come lo sai?" domandò d'improvviso Geoff, muovendo pochi passi in direzione di Thomas, il quale si limitò a sorridere sghembo prima che un'ombra di tristezza e rimpianti si posasse sul suo viso.
"Mio padre mi raccontava molte cose quando ancora era qui." sospirò il giovane, deglutendo a vuoto nel riportare a galla quei vecchi ed asfissianti ricordi "Lui non voleva che io crescessi nell'ignoranza."
Il silenzio che si posò in seguito sui tre ragazzi -in particolare per quel tanto delicato argomento- venne spezzato dalla voce tremante, ma determinata di Bridgette "Raccontaci."
Thomas sollevò il viso, per poi puntare il proprio guardo in quello della ragazza. La mirò a lungo, incerto se fosse effettivamente il caso di coinvolgerla in qualcosa di tanto rischioso, per poi sospirare arrendevole.
"Anni orsono, una menzogna scatenò una guerra di considerevole portata. Fu una guerra che si svolse principalmente in una zona dell'Africa -continente ormai scomparso- a quei tempi chiamata Iraq." esordì il giovane dagli occhi verdi, sfregando le mani per l'agitazione. Con il discorso che si apprestava a fare, avrebbe dovuto convincere quei due a scatenare una rivoluzione. Non sembrava semplice neppure a parole.
"Morirono centinaia di migliaia di persone. Pensare che tutte queste anime siano spirate a causa di una menzogna, non vi fa provare disgusto verso l'umanità?" domandò, accennando un sorriso triste ed arrendevole. Gli tornava alla mente suo padre, lui stesso -anni prima, quando ancora era un bambino- gli aveva posto la medesia domanda, ma ai tempi lui non era stato in grado di rispondere. In quel momento, però, avrebbe volentieri annuito.
"Eppure è vero." sospirò, continuando "Non vi erano armi chimiche con le quali si volevano attaccare gli Stati Uniti. Non c'erano."
Bridgette serrò le proprie labbra in un'espressione fredda e delusa, mentre Geoff ascoltava pensoso e colpito. Quelle parole così ben articolate potevano risuonare come una favola mai esistita alle loro orecchie, ma il giovane sapeva quanta amara realtà vi era in realtà celata.
"Vi erano solo un bel mucchio di menzogne, ed un pugno di ingenui." asserì con convinzione Thomas "Apparentemente -da ciò che dovrei dedurre- questa è la soluzione più corretta per scatenare un'apocalisse."
"Stai dicendo che l'uomo è comunque irrecuperabile, qualsiasi cosa faremo?" domandò il biondo, facendo sussultare la recluta. Quella domanda nascondeva oltre essa molto di più, ed in pochi istanti Thomas comprese. Ciò che davvero Geoff voleva chiedere era 'dovremo uccidere delle persone anche noi, quindi? In qualsiasi modo vada a finire?'. Un sorriso, simile a quello di poco prima -scarno e colmo di delusione- apparve sul suo volto diciottenne.
"Dire che l'umanità è malvagia potrebbe risultare come una concezione prettamente macchiavellica..." mormorò Thomas "...Ma è semplicemente realtà."

Quindi sì, dovremo uccidere.


 
***

Noah  posò con attenzione l'indice ed il medio contro il polso destro di Gwen. Esercitò una leggera pressione, sufficiente affinchè il battito della ragazza potesse essere chiaramente percepito, ed in pochi istanti un sorriso leggero si accennò sul suo volto. Ciò che percepiva era un andamento regolare, scandito con precisione e continuità. Era davvero riuscito a salvarla, il tutto sfruttando una batteria ed un paio di cavi in rame. Si sfilò i guanti in gomma in un gesto veloce, ed immediatamente si rivolse alla ragazza orgoglioso "Sono fiero di potere constatare che il tuo cuore sta battendo in modo regolare."
La dark, in risposta, si limitò ad ostentare un sorriso leggero. Le sembrava davvero surreale potere respirare nuovamente. Non avrebbe mai pensato che una simile piccolezza l'avrebbe fatta sorridere con tanta sincerità in un eventuale futuro, eppure era così. Non poteva smettere di assaporare il dolce sapore di quell'aria che la circondava, una brezza che non le era mai parsa tanto fresca ed essenziale. Nonostante potesse ancora avvertire i muscoli dolerle, ed il petto tirarle con spasmodia -in corrispondenza della cicatrice relativa alla bomba-, si sentiva felice, soddisfatta e rigenerata.
"Che facciamo ora?" intervenne d'improvviso Heather, guardandosi attorno. Il sole brillava ancora caldo e spietato sopra le loro teste, e la sabbia che li circondava era divenuta ardente, tanto che Gwen -ancora sdraiata a terra- dovette sollevare le mani, e la testa per evitare vere e proprie scottature.
"Nonostante Gwen stia meglio, il sole non aiuterà nessuno di noi... Dovremmo cercare riparo al più presto possibile. Questa calura potrebbe procurarci danni." rispose Noah, puntando il proprio sguardo su Scott. Il rosso, insieme alla dark, era colui che più conosceva le terre che li circondavano. La mora era ancora troppo debole per riprendere il controllo del gruppo, ergo, era giunto il momento per Scott di mostrarsi per ciò che era. Quest'ultimo, dopo avere udito le parole dello scienziato, annuì. Doveva riflettere.
"Dopo essere atterrati al centro della prigione, abbiamo iniziato a camminare verso sud..." esordì il rosso, facendo riferimento alla posizione della stella che, in cielo, brillava in modo costante e determinato "Suppongo sia opportuno proseguire in questa direzione. Abbiamo più probabilità di arrivare vicino al confine, e lì è più semplice trovare cibo."
Duncan, giunto al capezzale di Gwen per sollevarla da terra, annuì concorde, per poi passare un braccio sulle spalle della ragazza, e l'altro sotto le ginocchia. La sollevò subito dopo, permettendole di abbandonarsi contro il suo petto per evitarle sforzi di troppo. Constatò quanto fosse leggera, meravigliandosene. Era incredibile come una ragazza tanto piccola, potesse essere tanto forte. Istintivamente sorrise mentre lei, sorpresa nel trovarsi cullata tra quelle braccia che tanto amava, si irrigidiva e deglutiva a vuoto -la gola ormai seccatasi-.
"Sei una stupida, Gwen!" le disse apertamente, facendola sussultare appena "Pensavi davvero che ti avrei permesso di abbandonarmi nuovamente?" le domandò poi, costringendola ad arrossire "Puoi provare quanto vuoi, ma sarà inutile. Io non abbandono le persone a cui tengo."

Scott finse di non notare i comportamenti dei due amanti mentre, animati da nuova speranza, il gruppo si apprestava ad incamminarsi verso una prossima meta sconosciuta. Non sapevano cosa avrebbero trovato una volta percorse una decina di chilometri -o forse anche più-, e vi era la non segreta possibilità che ciò che si apprestavano a compiere, sarebbe stato un viaggio vano. Infondo, percorrere la strada verso sud significava allontanarsi sempre più da Indianapolis, e dalle terre che Scott e Gwen effettivamente conoscevano. Eppure, era anche vero che la zona nord della Desert_Zone era più che ben conosciuta per la sua incredibile propagazione di Folli. Lì, nelle antiche città in rovina, i cannibali prosperavano nascosti tra le mura abbandonate. A sud, invece, dove un tempo vi era stato l'oceano, le terre non erano fertili, e la zona era ostile alla vita. Nessuno -neppure un Folle- avrebbe osato andare lì, e per Gwen affrontare un viaggio predominato da pace, sarebbe stato sanatorio. Infondo, per quanto Noah avesse detto che lei stava bene, tutti -anche lei- sapevano che la realtà era un'altra. La dark si era appena risvegliata dalla morte; i suoi muscoli erano intorpiditi, le ossa stanche e le gambe tremanti. Duncan, prendenola tra le proprie braccia -impedendole di camminare-, aveva fatto solo che il minimo indispensabile.

La nuova speranza era quella di trovare una grotta per la notte.












'Trovare una grotta per la notte'.
Nonostante il perenne pensiero che rimbombava ormai da ore nella mente del rosso, nel momento in cui il sole calò definitivamente oltre l'orizzonte fatto di sabbia bianca e polvere, agli occhi della resistenza non era ancora apparso nulla.  Tutto ciò di cui erano stati testimoni era stato un paesaggio morto, predominato da ampie pianure e brevi colline, privo anche solo di piccoli ed appena accennati cespugli, e Scott ne era distrutto. Aveva passato le ultime ore pregando silenziosamente, sperando con tutto se stesso che la scelta da lui presa non fosse stata la peggiore, ma ormai aveva iniziato a dubitarne. Avevano percorso ormai una ventina di chilometri, ed anche solo il più breve dei passi aveva iniziato a stancarli. Gwen si era addormentata un paio di ore prima, ancora sorretta dalle braccia -per quanto stanche- di Duncan. Era crollata per il caldo ed il dolore che ancora poteva avvertire. Il militare aveva riferito di averle avvertito la fronte bruciare, ed il respiro diventarle pesante. Noah aveva immediatamente fatto riferimento ad una prevedibile insolazione, in quanto la giovane era rimasta a lungo svenuta sotto i raggi ardenti del sole, prima che si risvegliasse.
La speranza che solo poco prima si era posata su tutti loro, era nuovamente svanita.

"Scott, dovremmo fermarci qui. Duncan probabilmente è esausto e-" "No." fece secco il rosso, interrompendo Heather che, apprensiva, aveva deciso di spezzare quel silenzio colmo di sofferenze che si era posato su tutti loro "Andremo avanti. E' troppo dannatamente rischioso restare qui, senza nessuna protezione!" esclamò con disperazione Scott, mordendosi il labbro inferiore e voltandosi verso Duncan. Lui era divenuto d'improvviso il solo a poterlo capire. Avrebbe camminato anche per centinaia di chilometri pur di portare in un luogo sicuro Gwen. Era sicuro che il militare fosse concorde.
"E se Duncan non ce la fa, allora porterò io Gwen per qualche chilometro. A turno, ci riusciremo... M-Ma l'importante è non mollare ora." asserì severamente il rosso, serrando le proprie mani in due pugni collerici e disperati. Aveva detto l'ultima frase, scandendo con maniacalità ogni singola sillaba. Sentiva gli occhi pizzicargli a causa delle lacrime represse ed il respiro gli si era fatto incredibilmente fiacco. Duncan lo osservò qualche istante, prima di sorridere ed annuire.
"Sono d'accordo con Scott. Abbiamo faticato così tanto, che mollare in questo momento è da stupidi. Aspetteremo di arrivare in una zona sicura per fermarci. Lì, Gwen guarirà definitivamente." ordinò quindi il militare, guardando prima lo scienziato e poi la scrittrice. Scott, sorpreso da quell'intervento, sentendosi improvvisamente alleato con niente popodimeno che Duncan Smitt -una delle persone che detestava più al mondo-, si voltò sorridendo sghembo. Poi, un colpo proveniente dalle spalle gli fece perdere i sensi.

"Fermi tutti, o vi ammazzo."

Una voce sconosciuta, ed un carrello che scivolava con eleganza sulla canna di una pistola antica.











































 
Ehi, ragazzi! Vi vedo meno attivi in questi giorni, ma vabbè :')
spero che questo capitolo vi sia piaciuto e... Sì, c'è un tizio sconosciuto che ha appena aggredito Scott (presto sarà tutto più chiaro ahah)

Mhhh, mi farebbe piacere sapere che ne pensate e.... Ora vado :) Ciao a tutti!

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Capitolo 32
*** Desert_Zone cap.32 ***


 
Desert_Zone




cap.32


























 
Mi scuso in anticipo per il capitolo leggermeeeeeeente più lungo (sì, giusto quelle 500 righe in più ahah), ma spero comunque che leggerete :')

Mi farebbe molto piacere leggere una recensione a seguito di questo acapitolo, soprattutto riguardo il nuovo personaggio (è stato complicato da costruire caratterialmente) e.... Ora vado :) Vi voglio beneeee reghiiiiii Ahaha :')



































"L'ospedale è stato attaccato."
Di fronte quell'improvvisa ed inaspettata notizia, la giovane -quanto folle- ispanica sussultò visibilmente, mentre serrava con maggiore pressione la presa intorno la cornetta del telefono. I suoi occhi si erano sgranati, mentre le sue pupille si erano ridotte a due piccolissimi puntini in un mare di autunno. Avvertì una scarica di adrenalina attraversarle il corpo, e desiderò stringere tra le mani una pistola ed avere di fronte una vittima sacrificabile. Eppure era sola nel proprio ufficio sempre perfettamente arredato. Il suo tipico bicchiere di scotch si ergeva sul tavolino di fronte a lei, ancora da saggiare,   e tutto sembrava straordinariamente tranquillo. La notizia che la propria segretaria le aveva appena dato, le sembrava inverosimile. Nessuno poteva osare sfidarla sino a quel punto.
"Che significa?" le domandò quindi Courtney, deglutendo a vuoto ed imponendosi di mantenere la calma.
"Abbiamo ricevuto una chiamata da un medico. Ha detto che un branco di ribelli sta blindando le porte, e che hanno armi." rispose con il suo tipico tono atono la segretaria, imponendosi di rispondere con precisione e velocità alla propria datrice di lavoro.
"Uccideteli." si limitò a dire con ovvietà l'ispanica, non sopportando simili perdite di tempo. Lanciò uno sguardo annoiato al soffitto, studiando con attenzione le ombre che il lampadario lussuoso era in grado di creare "Non posso sopportare oltre questi vani tentativi di rivolta."
E detto ciò riattaccò la chiamata, alzandosi in piedi ed incamminandosi sino ad una piccola finestra sul fondo della stanza. Allacciò le mani dietro la schiena e sorrise di fronte quel paesaggio colmo di timori ed oppressività. Pensavano davvero che sarebbe bastato così poco per farla incrinare? Farli saltare in aria sarebbe stato come bere un bicchier d'acqua.

"Folli."

 
***

"Muovetevi, cazzo!"
La voce di Thomas risuonò completamente fuori controllo. Geoff e Bridgette gli furono subito al fianco, pronti ad aiutarlo, sfruttando tutte le loro energie. Dovevano fare in fretta, le squadre governative si stavano già mobilitando all'esterno dell'edificio. Potevano sentire il rombo assordante degli elicotteri che, minacciosi e -probabilmente- carichi di esplosivi, si avvicinavano sempre più al terreno. Gli innumerevoli proiettili scagliati contro le pareti esterne rimbombavano all'interno in modo fastidioso e sordo. Potevano udire sin da lì le grida e gli ordini che i repressori impartivano alle reclute ed ai soldati semplici. Probabilmente, avevano sfoderato persino i Gentiluomini per un'azione tanto avventata da parte di quei pochi ribelli.

Solo poche ore prima, quando ancora i tre si trovavano nell'appartamento della recluta, Thomas aveva preso una decisione: se la guerra doveva iniziare, avrebbero avuto bisogno di una base valida. Geoff e Brigette lo avevano osservato a lungo, mentre rifletteva assorto, analizzando ogni più piccola opzione. Aveva trascorso più di un'intera ora rinchiuso nella propria stanza, ancora con quel cadavere ripugnante a spiccare nel suo centro, mentre centinaia di possibilità gli venivano alla mente. Si sarebbero potuti rifugiare in una vecchia palazzina abbandonata -ce n'erano tante ai confini della fiorente cittadina-, ma lì non avrebbero dato molto scalpore. Si sarebbero potuti nascondere nell'ex base ribelle, ma era altamente probabile che fosse ancora tenuta sotto controllo da innumerevoli, silenti Gentiluomini.
Infine, un'idea perfettamente congeniata, gli illuminò lo sguardo di determinazione e speranza. L'ospedale, quello dove si trovava Zoey, sarebbe stata la perfetta zona in cui nascondersi. Lì vi erano trasmettitori radio con i quali avrebbero potuto comunicare direttamente con la base governativa. Da quella postazione avrebbero ricevuto efficienti cure mediche in caso di ferite, ed infine -ma decisamente non meno importante- da lì avrebbe avuto piena libertà di vedere la rossa per cui aveva perso irrimediabilmente il senno. Lui sapeva che non era né la situazione, né tantomeno il momento per pensare a cose come i sentimenti, ma gli fu inevitabile. La prospettiva di potere tenersela vicino anche solo un giorno in più lo fece sentire pronto a tutto pur di farcela.
Aveva fatto irruzione insieme ai due biondi, portando con sé tutte le armi di cui era riuscito a rifornirsi -granate comprese- e, non curandosi del chaos generale creatosi -tra pazienti e medici-, aveva blindato le innumerevoli porte con catene e mobili. Avevano centinaia ostaggi -ne erano sicuri-, un intero staff ospedaliero al loro servizio e, nonostante la non trascurabile presenza di malati, sarebbero stati parecchio avvantaggiati con quelle persone serrate dentro l'edificio.

Probabilmente, ad avvisare il Governo dell'irruzione era stato un medico, oppure un'infermiera. Qualcuno doveva avere raggiunto la sala di trasmissione proprio mentre loro erano sin troppo occupati nel serrarsi dentro, precludendo ogni via d'uscita. Più volte Thomas era stato pregato da giovani ed adulti di essere lasciato andare, o di non venire ucciso, ma il ragazzo li aveva semplicemente ignorati. Non poteva dire loro che non si trovava lì per eliminare qualcuno, altrimenti l'ansia ed il terrore si sarebbero placati, e questo non poteva permetterlo. Sino a quando gli ostaggi si sarebbero sentiti intimoriti e privi di scampo, il Governo avrebbe dato loro importanza, appostandosi in numero sempre maggiore all'esterno dell'ospedale -così da dare per lo meno la parvenza di tenere alle loro vite-, e dando sempre meno attenzione alla minaccia-Duncan. Dovevano semplicemente resistere a quell'assedio, per quanto più fornito e minaccioso -rispetto a loro- fosse.

Erano rinchiusi ormai da una buona mezz'ora, quando il ragazzo, infastidito da quelle infinite richieste, decise di parlare. Mordendosi il labbro nervoso, afferrò una vecchia lampada poco lontana, e la buttò con forza a terra. Un suono sordo si fece largo nell'ampia hall. Nel frattanto gridò, richiamando un minimo di attenzione. In pochi istanti, le figure agitate ed allarmate, si placarono leggermente, riducendo le loro urla a leggeri brusii.
"Ascoltatemi tutti bene." intimò la recluta, afferrando la pistola che nascondeva nella fondina. Doveva sembrare dannatamente sincero "Non fatemi incazzare, o vi troverete tutti morti. Se tenterete di fuggire, vi sparerò. Se oserete contattare nuovamente il Governo -e io lo saprò-, vi ucciderò." li minacciò cautamente Thomas, sfoderando un'espressione furiosa e ben poco disposta a trattare. Sperava davvero di potere sembrare anche solo vagamente severo, quanto lo sarebbe stato Duncan.
"Ora vi dirò cosa voglio che facciate." proseguì il giovane, prendendo un profondo respiro "Fingete che fuori da qui non ci sia nessuno. Fate finta che nessuno abbia fatto irruzione, chiaro?" prese una pausa, in attesa che qualcuno rispondesse. Vide alcuni medici annuire, ed un'infermiera mordersi con timore il labbro inferiore.
"Bene. Continuate a curare i vostri pazienti come se nulla fosse, ok? Ed ora andate, se non volete che qualche povero rischi la vita a causa della vostra negligenza." li congedò poi con un cenno della mano. Avvertì scalplitii allontanarsi ed i dipendenti tornare al proprio posto. Due inservienti ripresero a pulire i pavimenti, e la giovane infermiera di poco prima raggiunse un citofono per potere riferire ad un medico -probabilmente che si trovava in una differente ala- la situazione. Thomas abbassò lo sguardo soddisfatto del risultato, per poi dirigersi verso la stanza di Zoey, non prestando alcuna attenzione a Geoff e Bridgette che lo osservavano ammirati.
Lui non si sentiva orgoglioso di avere minacciato un branco di innocenti, per quanto necessario fosse stato.

 
***

Il suo respiro gli rimbombava nelle orecchie, mentre deglutiva a vuoto in un tentativo inumidirsi la gola troppo secca. La testa gli pulsava in modo fastidioso, come sull'orlo di scoppiargli. Si passò la lingua sulle labbra, saggiandone il sapore di terra, e con le proprie mani artigliò le coperte che si trovavano sotto di lui. Le strinse con forza, certo che si trattasse di un sogno -da quanto non dormiva su un letto?-, ed infine buttò fuori l'aria che a lungo aveva trattenuto spaventato. Avvertì il proprio corpo alleggerirsi. Sollevò una mano sino a passarsela tra i capelli scompigliati e sporchi. Sentiva i muscoli muoversi lentamente, intorpiditi da un sonno durato sin troppo, ed immediatamente si ricordò di ciò che era accaduto.
Si trovavano nella Desert_Zone, aveva ucciso Gwen, avevano salvato Gwen, l'aveva portata tra le sue braccia per ore infinite, ed infine avevano colpito Scott. Lo aveva visto scivolare a terra, mentre alle sue spalle compariva la figura di un uomo molto alto, magro con i capelli cespi, lisci, chiari e lunghi  sino alle spalle. Non era riuscito a cogliere null'altro a causa del buio che li circondava in quell'istante. Eppure, ricordava la sua voce perfettamente, quel tono che li aveva minacciati di morte.

"Fermi tutti, o vi ammazzo."

Oh, sì. Lo ricordava eccome. La sua voce era risuonata saggia, ma spietata, tanto da mettere i brividi. Si era sentito la gola improvvisamente secca, ed il cuore sul punto di scoppiare. Si era sentito impreparato, credeva che non sarebbe riuscito a proteggere Gwen che, debole e stanca, si trovava ancora tra le sue braccia. E poi, non ricordava altro. Cosa era successo? Dove si trovava in quel momento? Per quale ragione era steso su un letto, e non  sulla sabbia cocente e maleodorante della prigione? Perchè era vivo?
Serrò nuovamente le mani, artigiando le lenzuola sotto di lui, incontradole piacevolmente morbide. Dove era Gwen?

"Ehi, ti sei svegliato repressore Smitt."
Quella voce, lo fece rabbrividire per la seconda volta mentre, colto dal panico, Duncan spalancava gli occhi ed alzava un braccio, pronto a colpire il nemico che -era certo- si trovava proprio al capezzale del suo letto. Aveva serrato la mano in un pugno furioso, ma non colpì il proprio avversario, ritrovandosi con una canna metallica puntata esattamente contro la fronte. Un indice minaccioso sfiorava con noncuranza il grilletto, mentre il volto del proprio nemico sorrideva sghembo e divertito da quel tentativo tanto coraggioso. Duncan deglutì a vuoto, abbassando nuovamente la mano. 
Sospirò incerto, mentre l'uomo, soddisfatto della ritrovata calma del punk, nascondeva nuovamente la pistola nella propria fondina. Il repressore lo scrutò incerto, attento nel notare i particolari che, la sera prima, non era riuscito a considerare per il troppo buio. La persona di fronte a lui doveva avere circa una quarantina di anni, il suo viso era spigoloso, le guance leggermente scavate, ed esibiva solo poche rughe di espressione. I suoi occhi erano di un colore brillante, che lo facevano sembrare molto più giovane di quanto non fosse e portava una barba appena accennata. Lo guardò ancora qualche istante, notando così che reggeva tra le mani la propria targa di riconoscimento -doveva avere indovinato in quel modo il suo nome- e, sedendosi, decise di rispondergli.
"Non mi chiamano così da molto."
L'uomo, di fronte quella risposta tanto piccata, sorrise sgembo, facendo comparire alle estremità dello sguardo, delle leggere zampe di gallina. Si limitò poi ad annuire un paio di volte, mentre si sistemava sulla sedia che si trovava vicino al letto del punk.
"Mi domandavo..." tornò poi a parlare l'uomo "Cosa porta un repressore alla Desert_Zone. Scelte sbagliate?"
Quella volta fu Duncan a sorridere, puntando il proprio sguardo azzurro in quello dell'altro "O forse giuste." gli mormorò quindi, deciso ad alzarsi da quel letto.
L'uomo sussultò visibilmente. Probabilmente non si era aspettato una risposta del genere, soprattutto non da un repressore, un genere di  guardia particolarmente amata dal Governo, qualcuno che dovrebbe possedere tutto in una società alienante ed egoista come quella governativa.

Su di loro si posò poi un silenzio delicato, non opprimente, ma neppure rilassante. Il militare ne approfittò per portarsi in piedi, constatando come fosse stato privato di ogni sua arma. Sorrise nuovamente, per poi osservare l'altro, ancora comodamente appostato sulla sedia.
"Dove sono gli altri?"
"Un uomo non si giudica forte per il denaro che possiede, ma per come tratta il prossimo." mormorò  il più anziano, alzandosi finalmente dalla propria postazione, per poi superare il punk "Seguimi."
Camminarono attraverso innumerevoli corridoi, tutti arredati con carta da parati ormai distrutta e logora. Duncan notò numerosi specchi, ve ne era uno su ogni parete, e di ogni genere. Ne aveva visti di semplici, rifiniti, molto grandi od anche piccoli. Ovunque si trovassero, riflettè il punk, in passato doveva essere stata una zona molto lussuosa.
"Ti piace, repressore?" gli domandò l'altro, facendo voltare Duncan verso di lui. annuì.
"Si tratta di una vecchia nave da crocera. Ci troviamo su quello che un tempo era il fondale marino, e questo era un antico relitto."
"E' stupefacente." commentò semplicemente il militare, positivamente sorpreso dal genere di rifugio che  l'uomo era riuscito ad ottenere. Quest'ultimo annuì concorde, non aggiungendo però null'altro a riguardo. Cambiò invece argomento, rispondendo alla domanda che Duncan gli aveva posto poco prima.
"Ieri notte vi ho scambiati per un branco di Folli, mi dispiace. Semplicemente, non avevo mai incontrato un'altra resistenza." esordì l'uomo, facendo sussultare il punk. Anche lui faceva parte di una resistenza?
"Comunque sia, siete letteralmente crollati a terra. Immagino siate rimasti a lungo sotto il sole. Eravate in condizioni pessime, soprattutto la dark, Gwen." proseguì il più anziano, facendo scattare Duncan.
"Come sai il suo nom-" "Lei si è svegliata prima di tutti voi. Avete dormito dodici ore, più o meno. Sai, è stata un sacco di tempo a chiedermi di Duncan -che ho poi scoperto essere te-." sorrise l'uomo maliziosamente, in direzione di Duncan "Volevo farle un paio di domande, ma mi ha risposto -e cito testualmente- 'non parlerò sino a che la mia squadra non sarà riunita al completo', ed io allora mi sono detto 'va bene, tanto che mi cambia?', e quindi eccoci."
Camminarono ancora per qualche minuto, prima di giungere in corrispondenza di un'ampia porta in metallo. Una volta aperta, il punk vide oltre essa i quattro ragazzi con cui si era alleato, ed immediatamente un sano sorriso gli nacque in volto. Erano in un salotto elegante, adornato da sofà color veriglio e da poltrone in pelle leggermente rovinate. Ed infondo, poggiata contro una parete ombreggiata, vide stagliarsi la figura della ragazza di cui si era innamorato alla follia. Quando lei lo vide, subito si raddrizzò, per poi ostentare un sorriso sincero e dirigersi verso di lui.
Il tempo parve fermarsi, mentre lei si avvicinava con passo svelto, ma determinato. Duncan stava per impazzire e, probabilmente, se solo non fossero stati presenti Heather, Noah, Scott e quell'uomo di cui ancora non conosceva il nome, avrebbe corso sicuramente verso la splendida dark, per poi prenderla tra le braccia e cullarla con dolcezza, ma non lo fece. La attese sulla soglia, e non appena furono ad un soffio l'uno dall'altra, il ragazzo cedette.
Si abbassò contro il viso pallido di Gwen ed iniziò a vezzeggiarle con amore quelle labbra dai toni scuri, lei schiuse leggermente la bocca per potere saggiare la sua lingua, ed il loro bacio si fece immediatamente passionale e colmo di bisogno.
Si staccarono -come sempre- solo quando entrambi rimasero senza fiato, ed immediatamente la giovane sorrise soddisfatta "Sono definitivamente tornata, sergente Smitt."

Un sorriso sincero si delineò sul viso dell'uomo più anziano che, ancora sulla soglia, osservava i due innamorati esibendo un'espressione colma di purissima nostalgia. Abbassò lo sguardo, quasi in imbarazzo, per poi incamminarsi sino ad uno dei vari sofà che spiccavano nell'ampio ed elegante salone. Vi si sedette, sprofondando tra i cuscini in velluto e seta. Sospirò pesantemente, sistemandosi i capelli biondi che gli ricadevano spettinati sul volto, per poi parlare.
"L'amore, un sentimento dal sapore così afrodisiaco, da potere scatenare una guerra." mormorò all'aria che lo circondava, mantenendo un tono di voce basso. Solo Scott si era voltato verso di lui, udendolo leggermente.
"Vi ho trovati, curati, ed ospitati." disse poi -sempre l'uomo di mezza et'à-, cambiando discorso "Molti della mia resistenza si domandano cosa abbia intenzione di farmene di voi e, sinceramente, non ne sono ancora certo. Suppongo che sarà ciò che mi direte nei prossimi cinque minuti a decretare se vivrete o meno." sorrise l'uomo, osservando il soffitto con un'espressione leggera "Il mio nome è Edward Reed, ed il vostro?"
Non appena Gwen udì quel discorso, si staccò a  malincuore da Duncan. Ogni volta che si riavvicinava al militare, le sembrava più complicato distanziarsi. Se solo ne avesse avuto l'opportunità, non gli si sarebbe mai allontanata. Eppure, in quel momento doveva essere razionale, sfruttare la propria diplomazia -se realmente ne possedeva-, ed aiutare quel gruppo di ragazzi che, pur di salvarla, si erano letteralmente lanciati nella Desert_Zone.
Fu per quella ragione che, per la prima volta, decise di narrare per intero la propria storia, privandola di censure, partendo da principio -i propri genitori-, giungendo sino alla bomba che le avevano follemente piantato nel cuore. Raccontò di essere nativa di quelle terre desertiche, ed in particolare di avere anche saggiato la 'libertà' che si nascondeva oltre esse, il tutto mentre Edward la ascoltava silente. Poteva vedere il viso dell'uomo corrugarsi alle volte -di fronte le più incredibili notizie-, ma dopo pochi istanti la sua pelle tornava a distendersi, il suo capo annuiva, e Gwen tornava a parlare determinata, buttando fuori parole come fossero acque di un fiume in piena.
"Noi..." mormorò infine la ragazza, allarmata che l'uomo non avesse colto a pieno le sue parole "Eravamo fuggiti."
Il sorriso che, a seguito di quella frase, si dipinse sul volto del suo interlocutore, le parve quasi schernitore. Per qualche istante, la dark temette davvero che tutte le sue parole fossero state semplicemente sprecate, e che quell'uomo dall'aspetto saggio, ma furbo, non le avesse neppure considerate.
"Voi..." parlò infine lui "Siete solo un altro branco di pazzi."
La ragazza si irrigidì, mentre il respiro le si mozzava. Quella frase tanto fredda, mormorata dalla voce roca e colma di disprezzo di Edward, l'aveva fatta tremare visibilmente. Duncan si era accostato a lei apprensivo, ma fu un gesto inutile. Quel senso di vuoto che si stava stagliando lentamente sotto i piedi della giovane, le ricordava tanto l'orribile delusione subita a seguito del rifiuto da parte dei ribelli.
"N-Non... Non  credi alle mie parole?"
"Non ho detto questo." precisò l'uomo, scuotendo il capo "Dico semplicemente che questa potrebbe essere benissimo una favola appena inventata. Perchè dovrei credervi?" la mise infine alla prova, squardando con attenzione l'espressione della dark di fronte a lui. Quest'ultima deglutì a vuoto, mentre il suo cervello rifletteva, determinato nel trovare anche solo l'ombra di una prova capace di dimostrare che tutto ciò che aveva detto sino ad allora, era parte di una cruda e tangibile realtà. Eppure, risultò un tentativo vano. La sola cosa che potevano dimostrare, era che Duncan era stato un repressore in passato, ma non era sufficiente. Non lo era affatto.

"Perchè non farlo?" domandò d'improvviso la voce del ragazzo alle spalle di Gwen, facendole completamente dimenticare ciò a cui stava pensando. Duncan aveva posto quella questione con una determinazione tale da farti illuminare. La verità era che quelle tre semplici parole, erano una risposta più che sufficiente.

Edward sorrise al militare, per poi incamminarsi verso uno scrittoio sul fondo della stanza, in una zona illuminata da una semplice candela bianca.
"Vivrete."

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Capitolo 33
*** Desert_Zone cap.33 ***





 
Desert_Zone

 
cap.33

























































Con una spinta leggera, il ragazzo aprì la porta della piccola stanza bianca, uguale a tutte le altre, con il medesimo aspetto asettico e poco confortevole. Mosse qualche breve passo dentro il piccolo abitacolo, mantenendo lo sguardo basso ed avvertendo il proprio respiro farsi sempre più pesante. Gli sembrava quasi che le lacrime -che prorompenti si attanagliavano contro i suoi occhi- lo stessero affogando. Forse doveva semplicemente smettere di trattenerle.
Scuotendo il capo e sospirando amareggiato, Thomas scrutò con noia il pavimento lucido sotto i suoi piedi. Le mattonelle incastonate nel cemento sembravano appena state pulite, e quasi poteva mirare in esse il suo riflesso patetico ed annoiato. Detestò quell'immagine. Suo padre non si sarebbe mai mostrato in quello stato, mai. Serrò le proprie mani in due pugni collerici, per poi sputare sopra il proprio riflesso sbiadito e tremolante. Se ne sentì quasi soddisfatto. Eppure, perchè tanto disprezzo nei suoi stessi confronti?
Thomas aveva a lungo compiuto la scelta sbagliata, unendosi prima all'esercito e facendo più e più volte lavori per il Governo. Ora, però, tutto stava cambiando, o meglio, era cambiato. Duncan, tornato dalla Desert_Zone, gli aveva concesso una seconda possibilità, mormorandogli parole che lui aveva atteso per una vita intera. Gli aveva fatto un discorso molto simile ad uno 'svegliati, non lo hai ancora capito? Il mondo sta vacillando e noi siamo al centro di questa fottutissima giostra', e lui ci era stato. Aveva pensato che, combattendo al fianco del militare, sarebbe stato in grado di riscattare il nome di suo padre, quell'uomo che, esattamente dieci anni prima, era stato spedito in quell'orrida prigione fatta di sabbia e desolazione. E forse, la situazione era davvero quella. Magari, portando avanti la rivolta -non si poteva dire che fosse stata lui ad iniziarla, non in seguito ai continui dissensi da parte dei ribelli-, avrebbe dimostrato quanto davvero credesse alle parole di libertà che i suoi genitori gli mormoravano.
Aveva assaltato un ospedale con al proprio interno più di duecento persone, ed ora erano pienamente circondati. Eppure, questo non lo allarmava; non ancora. Provava repulsione verso se stesso soprattutto perchè tutto ciò che gli stava accadendo intorno rischiava letteralmente di schiacciarlo. Quando Duncan gli aveva parlato di quella giostra che rappresentava la rivoluzione, quest'ultimo non aveva mai precisato che ne sarebbe stato Thomas stesso il centro. La recluta si era preso una moltitudine di responsabilità, ma era troppo dannatamente leale per pentirsene.

Fu un sospiro spaventato ad allontanarlo dalla valanga di pensieri che gli stava annebbiando ogni altro ragionamento. Per la prima volta da quando aveva fatto il proprio ingresso nella stanza, Thomas alzò lo sguardo, incotrando quello dell'infermiera che, solo poco prima, aveva visto parlare al citofono. Non disse nulla, mentre quest'ultima teneva una confezione di flebo tra le mani, probabilmente in procinto di cambiarla a Zoey. La donna si era paralizzata alla vista del ragazzo che aveva assalito l'intero ospedale, spaventata di fronte la possibilità di essere stata scelta come vittima del ribelle. Lui non disse nulla, preferendo abbassare nuovamente lo sguardo per dirigersi verso la sedia al capezzale del letto, contro la quale si abbandonò poi mollemente. Infine, puntò i propri occhi in quelli della giovane infermiera, che ancora non aveva mosso un muscolo.
Sbuffò annoiato, per poi parlare "Vuoi muoverti? Cambiale quella dannata flebo."
La donna, udendo la voce del ragazzo parlarle in modo tanto stanco e spazientito, gli obbedì in brevi istanti, e subito si voltò, iniziando a maneggiare  la busta in plastica colma di liquido trasparente. Thomas fissò l'oggetto a lungo, prima di tornare a parlare, soffocato dal silenzio.
"Cosa c'è là dentro?"
L'infermiera si irrigidì, udendo nuovamente il giovane parlare, per poi tornare in brevi istanti al lavoro, timorosa di una sua seconda reazione irata "S-Soluzione Reidratante."
Il ragazzo annuì, sospirando "E' come se la nutriste, giusto?"
La ragazza deglutì. Non si aspettava di essere costretta ad intrattenere conversazione con il proprio sequestratore "P-Più o meno." rispose con la voce tremante "Si tratta principalmente di soluzione salina... E contiene minerali fondamentali per l'organismo umano."
Il silenzio si posò poi tra i due, mentre la donna finiva di sistemare la flebo di Zoey. Il solo suono che, costante e continuo, interrompeva quel nulla tra i due, era il macchinario che segnalava le pulsazioni della rossa. Thomas osservò lo schermo nero percorso dalla linea rossa a lungo. Poi, una domanda si stagliò improvvisamente nella sua mente. Proprio in quel momento, la ragazza finì di sistemare la flebo.
"Una persona in coma è in grado di sentire quando le parli?"
L'infermiera corrugò la fronte insicura, per poi prendere un profondo respiro. Il timore le scorreva ancora nelle vene, ed il suo cuore batteva freneticamente alla vista della fondina nei pantaloni del ragazzo "Non lo so."
"Le ho detto così tante cose che..." tentò di parlare Thomas, per poi mordersi il labbro inferiore incerto. Era terrorizzato. Aveva paura che Zoey si svegliasse, magari ricordandosi della sua confessione mormorata, e  che non gli rivolgesse più la parola. Si sentiva meschino per essersi innamorato della promessa sposa del suo migliore amico -quello che considerava un fratello-.

Fu lo spalancarsi improvviso della porta a spezzare il momento che era andato a crearsi in cui, da un lato si stagliava la figura dell'infermiera spaventata, e dall'altro l'espressione insicura ed ingenua di Thomas.
Bridgette squadrò la stanza con timore, per poi puntare il proprio sguardo sul moro "Thomas, un inserviente ha detto di avere sentito un repressore al megafono ordinare ad un elicottero di colpirci."
Il ragazzo si portò subito in piedi, mentre l'infermiera, ancora al fianco della flebo, sgranava gli occhi incredula. Nella sua mente,  il Governo che tanto amava non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Il giovane No-One si passò una mano tra i capelli scompigliati, mentre si rendeva conto che il momento fondamentale del piano era giunto. Ora dovevano ingannare quel branco di politici e dittatori.

Corse fuori dalla stanza senza riferire nulla neppure a Bridgette. Superò i corridoi affollati, spingendo ed imprecando, e si fermò solamente quando giunse nella sala delle comunicazioni. Ne osservò i macchinari qualche istante, per poi sistemarsi un paio di cuffie, posizionarsi di fronte ad un micofono, e cercare la stazione radio giusta. Setacciò a lungo invano, fino a che non avvertì uno scambio di battute tra il pilota dell'elicottero ed una ragazza -probabilmente in trasmissione proprio dalla base governativa-. Sorrise ghembo, immaginando già il dolce sapore che poteva avere l'imbrogliare quel branco di sadici folli, e poi parlò.
"Vi parla uno dei ribelli che ha assaltato l'ospedale." intervenne lui, interrompendo la voce della ragazza. Quest'ultima subito si ammutolì, sorpresa da quell'inaspettato intervento.
"Hai deciso di contattarci? Posso saperne il motivo?" incalzò la voce femminile, risuonando acida e furiosa, sul punto di gridargli contro.
"Apprezzerei sapere con chi sto parlando." si limitò a dire beffardo il No-One, bisognoso di quelle informazioni. Un silenzio breve, ma colmo di rancori si profilò prima della risposta della ragazza.
"Courtney Alburne, responsabile della condotta e della sicurezza. A capo degli ambasciatori stessi." rispose la ragazza, mordendosi il labbro pur di imporsi la calma. Thomas parve soddisfatto della risposta, improvvisamente conscio di essere in comunicazione con una persona decisamente importante.
"Ho saputo che hai intenzione di fare saltare in aria l'ospedale."
"Ti è arrivato il bollettino, fetido ragazzetto?" domandò acida e sarcastica l'ispanica, facendo rabbrividire la recluta. Quest'ultima, però, sorrise, certa che tutto sarebbe andato esattamente come voleva lui.
"Non lo farete. Non sfiorerete questo edificio neppure con una lama smussata." mormorò il ragazzo con determinazione, facendo risuonare la sua voce melodiosa e scaltra, quasi terrificante. La donna sussultò.
"Non fare l'arrogante, razza di bas-" "Quale figura ci faresti nel fare saltare in aria un ospedale pieno di medici, ma soprattutto di malati?" la interruppe Thomas con voce bassa e suadente "Il Governo che questi illusi conoscono  non è così brutale. Oltretutto, una volta fatto, la notizia diverrebbe di dominio pubblico. Tutti gli abitanti sotto la dittatura saprebbero cosa avete fatto a dei poveri ostaggi." un sorriso vittorioso si delineò sulle labbra del giovane "Quale figura ci fareste? Come impedireste la rivolta a quel punto?"
La ragazza non rispose a quella velata minaccia. Le parole del ragazzo erano state studiate con attenzione e Thomas aveva scelto come base l'ospedale anche per quella ragione: era inattaccabile. Il Governo non poteva rischiare di essere egli stesso ragione di inserruzione. Non poteva divenire lui stesso la causa della nascita di un'intera rivoluzione che avrebbe potuto schiacciarlo. Una volta messe a confronto le sue ipotesi, era ovvio che sarebbe stato meglio lasciare ad un pugno di ribelli un ospedale.

Ed ora la menzogna, si disse Thomas.

"Se davvero volete fare qualcosa, pensate ai mezzi pubblici." disse dopo qualche minuto di silenzio la recluta, continuando a mantenere il contatto radio. Era giunto il momento di mentire, e farlo in modo tale da terrorizzare totalmente coloro che stavano al potere.
"Ci sono ribelli ovunque. Sono tra di voi, si vestono da repressori. Stanno preparando attacchi terroristici." mentì il giovane "Pensa solo a quante centinaia di persone possono stare su un treno. Ed ora, signorina Alburne, pensa se quest'ultimo esplodesse, uccidendo ogni passeggero. Se accadesse, l'immagine del Governo si sbiadirebbe, no?" Thomas sorrise per l'ennesima volta, avendo in pugno la situazione "Il nostro caro, amato Governo che non è stato capace di prevedere una mossa simile. Migliaia di famiglie sconvolte. Insurrezioni, incendi, cadaveri... Quando non resterà più nessuno, chi governerete?"
Courtney serrò la mascella dolorosamente, mentre i nervi le si tendevano.
"Piuttosto che pensare a noi, arrestate i mezzi pubblici finchè siete in tempo."
A seguito di quell'affermazione, Thomas concluse la chiamata, dirigendosi verso una finestra. Un elicottero vorticava nel cielo ormai da parecchi minuti, probabilmente quello che aveva ricevuto l'ordine di attaccare. Lo osservò allarmato, pregando affinchè quel suo discorso avesse dato il suo effetto, per il momento, e quando lo vide alzarsi nuovamente verso le nuvole, per poi allontanarsi, si rese conto di avercela fatta. Erano salvi, per il momento. L'attacco era stato annullato.

Con un sorriso sulle labbra, Thomas osservò il veicolo sparire nel cielo. Abbassò poi lo sguardo sulle strade, dove i repressori si mantenevano mobilitati. Dietro essi moltitudini di borghesi si affacciavano incuriositi dal chaos creatosi. Assottigliando lo sguardo, inquadrò in particolare un uomo di mezza età che aveva scavalcato delle transenne, intento ad avvicinarsi all'ospedale.  Gridava alle spalle delle guardie governative, disinteressato alla propria vita. Sul suo viso sembravano riflettersi miriadi di racconti, ed i suoi occhi erano attraversati da una scintilla particolare. Mentre lo osservava incantato, Thomas notò solo all'ultimo il repressore che, minaccioso, si era vvicinato all'uomo puntandogli contro il proprio fucile. Lo sguardo della recluta, serrata dentro l'ospedale, si fece spaventato. Subito le braccia dell'uomo di mezza età vennero afferrate e questo fu costretto ad inginocchiarsi. Pochi istanti prima che un proiettile gli togliesse la vita, l'uomo si liberò un braccio, per poi puntare un pugno dritto verso il firmamento limpido.
"No!" gridò Thomas dall'interno dell'edificio bianco, mentre inservienti e medici si fermavano ad osservarlo spaventati ed incerti. Il ragazzo, invece, continuava ad osservare l'uomo cadere con il volto a terra privo di vita, giustiziato dal colpo di un repressore spietato. Il pugno dell'uomo cadde sull'asfalto caldo ancora stretto, e sulla superficie delle sue nocche, tatuato in modo indelebile, vi era una scritta che alla recluta era sin troppo familiare.

'Free'*

 
***


Duncan studiò i passi lenti e cadenzati di Edward, mentre camminava in direzione del proprio scrittoio. Il tavolo dell'uomo si trovava in un angolo poco illuminato dell'elegante salone. Vi erano solo due piccole candele ad illuminare l'intera zona, ed il militare si domandò quale fosse la ragione che potesse giustificare un tale bisogno di intimità. Cosa nascondeva quell'uomo dallo sguardo tanto vivo? Si era comportato in modo bizzarro sin dall'inizio, ed aveva appena dato loro il beneficio del dubbio; non era certo di potersi fidare totalmente. Lo aveva dapprima squadrato con arroganza, ma aveva infine cominciato a sorridergli. Il repressore non sapeva davvero come atteggiarsi di fronte l'uomo appena incontrato. Era diffidente, ma curioso.

"Sembrate giovani..." si lasciò sfuggire l'uomo, continuando a camminare lentamente. La sua era un'affermazione, e con essa non ostentava né arroganza, né tantomeno scherno. Sembrava un banale -ed inspiegabile, agli occhi dei presenti- tentativo di fare conversazione.
"Lo siamo." rispose piccata Gwen, osservando con attenzione dove quell'uomo fosse esattamente diretto. Lo vide accostarsi all'ampio scrittoio, carezzarne la superficie in legno lucidato, e poi proseguire.
"Tu quanti anni hai?" domandò poi Duncan, decidendo di porre quella domanda che da qualche tempo gli vorticava nella mente.
"Trentasei."
Duncan sussultò, constatando che ne avesse molti meno di quanto avesse supposto. Il suo sguardo era marchiato da così tanta consapevolezza, da farlo apparire ben più vecchio di quanto non fosse. Aveva creduto che ne avesse quaranta, forse di più, ma probabilmente erano state la Desert_Zone e molte altre orribile cose a renderlo vecchio con troppa fretta.
"L'apparenza inganna, dico bene sergente Smitt?" domandò ironico Edward, prima di arrestare il proprio passo in prossimità di una parete. Duncan e Gwen lo osservarono incerti, mentre lui faceva segno ai due di avvicinarsi. La dark lanciò uno sguardo a Scott, ed anche il rosso li seguì.
Una volta accostatisi all'uomo, videro ciò che meno si potevano aspettare. I tratti erano determinati e duri, tracciati da una mano ferma e sicura. Le note appuntate sopra erano state scritte di fretta, con una calligrafia disordinata, ma comprensibile. Fu Duncan il primo a riconoscerla. Notò ogni particolare, e dovette ammettere -con enorme sorpresa- che il disegno somigliava parecchio a quelli delle cartine fatte per mezzo del satellite.
"La mappa della Desert_Zone." soffiò il militare, osservando il disegno appeso in malomodo alla parete, fermato con dei chiodi. La carta era leggermente ingiallita -probabilmente il disegno risaliva a parecchi anni prima-, ed i lembi del foglio erano logorati.
Scott e Gwen osservarono ammirati la ricostruzione di fronte ai loro occhi, mentre Duncan valutava in particolare la precisione e la correttezza con la quale era stata disegnata. La forma ottagonale era perfetta, con una breve spiaggia oltre la rete metallica, prima di uno stacco di oceano che separava il mondo civilizzato dalla prigione. Il centro dell'ampio deserto era stato segnato con una 'x', e poco più in basso, leggermente ad ovest, si trovava la base di Edward, quella dove ora si trovavano tutti.
L'uomo aveva anche aggiunto una piccola legenda sulla sinistra. Aveva indicato le zone più pericolose -dove i Folli fiorivano-, le antiche rovine di città ormai estinte, i luoghi dove si trovava cibo, ed infine i punti dove la terra impermeabile permetteva all'acqua di trattenersi.

"Come hai fatto a disegnarla con tanta precisione?" domandò esterrefatto il militare, continuando ad esaminare ogni particolare della mappa. Edward si passò una mano tra i capelli con fare distratto.
"Mi trovo qui da parecchi anni, ed ho viaggiato molto prima di stabilirmi qui. Mentre camminavo, disegnavo ciò che percepivo." rispose l'uomo, sospirando assordo "Infine, ho trovato questo relitto. Nonostante si debbano fare lunghi viaggi per fare scorta di provviste, questa è una delle zone più tranquille della prigione."
Duncan annuì un paio di volte, mentre assimilava la situazione. Per la prima volta da quando si trovavano nella Desert_Zone, avevano una mappa. Era qualcosa di fondamentale per pensare a come muoversi. Purtroppo, constatò il punk, in quel momento erano tutt'altro che vicini al confine nord, e per arrivarci avrebbero dovuto superare la zona più pericolosa della prigione, quella con il maggior numero di Folli.
"Non so se sorridere o disperarmi." Si lasciò infine sfuggire Gwen, probabilmente giunta alla medesima conclusione del punk "Dobbiamo tornare ad Indianapolis." aggiunse la ragazza, per poi voltarsi verso il repressore. Anche Duncan stava pensando a quello, al fatto che presto o tardi Thomas avrebbe avuto bisogno di lui, e che non si sarebbe mai perdonato di non essere stato presente per aiutarlo. Ma non era quello il momento per pensarci.
"Ci torneremo, ma non ora." intervenne Scott, puntando il proprio sguardo in quello di Gwen "Devi calmarti. Sono certo che gli altri ce la faranno, sono tutti molto validi. Adesso, però, abbiamo bisogno di riposare. Quando saremo tutti più lucidi, penseremo ad un piano." disse infine, lanciando uno sguardo all'esterno. Ormai era notte fonda e, nonostante avessero dormito tutti parecchio, a nessuno avrebbe guastato qualche altra ora di sonno.
Edward squadrò i tre, per poi sospirare "Supponendo che ciò che mi avete raccontato sia vero, sono d'accordo con il rosso. Siete accecati da un odio ed una lealtà che vi disinibiscono. Dovete riposare. Sapete dove sono le vostre stanze."
E detto ciò, li congedò tutti. Noah e Heather lasciarono l'ampio salone per primi, seguiti poi da Scott, ed infine da Duncan. Proprio quando Gwen si apprestava a seguirli, la voce del trentaseienne la interruppe.
"Come si può  rendere un repressore tanto... Giusto?"
La dark si voltò verso il moro sorridendo, i suoi occhi illuminati di amore sincero "Penso che dipenda da quanto giusta sia la persona oltre il soldato."
L'uomo sorrise, soppesando le parole della ragazza. Alzò poi una mano verso la cartina della prigione, carezzandone la superficie con eleganza, ed un particolare spiccò agli occhi della mora. Sulle nocche dell'uomo vi era inciso qualcosa...
"Gwen?"
L'improvvisa voce di Duncan la fece voltare. Lo vide sulla soglia ad attenderla. Istantaneamente sorrise, per poi voltarsi verso Edward, salutarlo, ed accostarsi al punk. Gli diede un dolce e delicato bacio a fior di labbra, prima di incamminarsi con lui attraverso i corridoi.

"Sono certo che riusciremo ad andarcene nuovamente." le disse Duncan, spezzando il silenzio che si era posato tra i due mentre camminavano. I loro passi rimbombavano per i corridoi illuminati solo da qualche fioca candela.
"Sei davvero ottimista... Vorrei essere come te." si lasciò sfuggire lei in un sospiro incerto, mentre mille incertezze la assalivano. Non sarebbe stato affatto facile attraversare l'intera Desert_Zone per tornare al confine nord. Per quanto Scott avesse compiuto la scelta giusta, conducendoli a sud, presto avrebbero dovuto fronteggiare la possibilità -inaccettabile- di non potere più abbadonare la prigione più famigerata mai esistita.
"Oh, Gwen, ma tu sei milioni di volte meglio di me. Io sono solo un povero convertito che chiede asilo." le rispose lui, facendola leggermente sorridere. I loro passi si arrestarono. Erano giunti di fronte la camera di Gwen. La ragazza rabbrividì all'idea di doversi separare dal militare.
"Duncan, mi fai una promessa?" gli domandò insicura. Sino a quel momento gliene aveva affidate tante, e lui le aveva sempre mantenute. L'aveva persino uccisa, pur di mantenersi fedele alla propria parola.
"Qualsiasi cosa." le disse lui in tono dolce, ammirandole il volto pallido, abbellito da quegli occhi tanto contrastanti, color dell'ebano più splendido e ricercato. Gwen si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo.
"Promettimi che avremo una casa."
Il militare sussultò leggermente di fronte quella richiesta detta si fretta e con agitazione. Eppure, non le disse nulla per schernirla od altro. Rimase semplicemente in silenzio, in attesa che lei continuasse.
"Promettimi che avremo una casa tutta nostra, un giorno. Promettimi che ci sarà un giardino, ed un bambino -non importa se maschio o femmina- che ci giocherà tutti i pomeriggi." la dark chiuse gli occhi ormai fattisi lucidi, mentre un singhiozzo struggente la attraversava. Poteva chidergli una cosa del genere, no? Magari sarebbe stato tutto fittizio, ma non le interessava. Dentro di se sentiva la necessità di trovare una sensazione di pace infondo al tutto, e di poterne donare anche ad una creatura totalmente sua.
"Promettimi che avremo una vita tutta per noi un giorno, magari anche solo in un sogno." sussurrò infine.
Lui la osservò qualche istante. In quel momento le parve davvero minuscola, avvolta in una canottiera troppo grande e con degli stivali che le arrivavano sino alle ginocchia. Gli parve debole ed indifesa, nonostante ella non lo fosse affatto. Gwen era una forza della natura, rappresentava il vento di un turbolento tornado, e vederla in quello stato lo fece quasi tremare. Non era come quando si era ritrovata costretta a morire, persino in quel momento si era mostrata coraggiosa. Per la prima volta, Gwen gli stava mostrando quel lato indifeso di cui lei stessa si vergognava.
E lui, in risposta, la avvolse totalmente tra le proprie braccia. La cullò per minuti interi, mentre lei singhiozzava senza freno. Le baciò dolcemente la testa, tuffandosi tra i suoi capelli scuri come il firmamento notturno, e poi le rispose "Ti prometto che, se non potremo averla in questa vita, allora ti cercherò nella prossima, ed ogni notte nei miei sogni ne costruirò una."
La dark sorrise leggermente, per poi staccarsi da lui. Il pianto era scemato, e tutto ciò che ne restava erano i suoi occhi lucidi ed il suo respiro scosso. Lo guardò qualche istante prima di alzarsi in punta di piedi e cercare le sue labbra, che incontrò disperate e bisognose. Ne assaporò il sapore e ne vezzeggiò la superficie. Schiuse poi la bocca, facendo scontrare la propria lingua con quella di lui, mentre le sue mani si tuffavano tra i capelli del punk. Duncan posò invece le sue sui fianchi snelli e sensuali di lei, per poi premere maggiormente il suo corpo contro quello del ragazzo. La sensazione che Gwen avvertì scorrerle nelle vene fu così nuova ed afrodisiaca, da renderla irrimediabilmente schiava di quei tocchi leggeri, appena accennati, ma al contempo rudi.  Si staccarono solo quando l'aria mancò ad entrambi, nel loro sguardo si poteva leggere un desiderio profondo.
"Ti amo." mormorò Gwen all'orecchio di Duncan.
"Anche io, Gwen." rispose lui, facendo scorrere una mano tra i suoi lunghissimi capelli neri. Lei sorrise leggermente, per poi mordersi il labbro inferiore.
"Resta con me questa notte."

Si fecero largo nella piccola stanza della dark, continuando a baciarsi sino allo sfinimento. I loro corpi si scontravano in una danza continua ed affascinante fatta di pura bramosia. Le mani ricercavano il corpo dell'altro vicendevolmente, vezzeggiandolo con tocchi leggeri o carezze colme di lussuria. I loro baci proseguirono a lungo, sino a che Duncan non iniziò ad abbassarsi lentamente, sino ad arrivare in corrispondenza della clavicola della dark. La saggiò con la lingua ed altrettanto fece con il suo niveo e perlato collo. La sua pelle non gli era mai parsa tanto liscia e meravigliosa. Gwen, seppur più timidamente, ricambiò ogni gesto del militare. Ogni volta che il piacere si irradiava in lei, immediatamente la ragazza si sentiva in dovere di ricambiare  quel meraviglioso supplizio. Poteva sentire i muscoli del militare fremere sotto i suoi tocchi, e questo mandava la giovane su di giri. 
Quando infine si lasciarono cadere sul letto, divennero un'unica cosa.

Fu la prima volta per entrambi. Da un lato vi era Gwen, la ragazza giovane ed inesperta, vissuta principalmente tra le mura di una prigione, rimasta a lungo totalmente priva di sbocchi o possibilità. La ragazza cresciuta con un ideale in particolare nella mente: la libertà giusta e a favore di tutti.
Dall'altro lato vi era invece Duncan, un repressore stimato e popolare, ma che aveva dovuto sottostare per tutta la propria vita alle regole ben definite e rigide del Governo, una dittatura che non ammetteva un rapporto nato dall'amore incondizionato, ma solo dall'accordo di due famiglie benestanti. In tutta la propria vita, il militare non avrebbe mai immaginato che avrebbe fatto l'amore con la creatura più bella dell'universo intero. Eppure, quando si voltò verso di lei, rigirandosi lentamente tra le lenzuola, Gwen era davvero lì. Dormiva, sorridendo sincera, respirando lentamente e rilassandosi nel mondo dei sogni.

Le sistemò una ciocca scura dietro l'orecchio, per poi mormorare un'ennesima, giusta volta "Ti amo."





































* per chi non lo sapesse -nessuno nasce imparato u.u- 'Free' significa liberoin inglese :)

Allooooora, che dire? In questi giorni mi sono divorata il secondo Hunger Games, ed ora sono a metà del terzo (il primo lo avevo letto da anni, ma detestando Peeta, non riuscivo a proseguire), ahah! Non arabbiatevi fan del panettiere! Ognuno ha le proprie opinioni u.u
Comunque sia, ho aggiunto a questo mix un po' fantascientifico anche un paio di visioni di Capitan Harlock, quindi il concetto di libertà e giustizia mi fa scrivere capitoli infiniti, pardon :')

Duncan e Gwen lo hanno fattoooo! Lo so, non ci potete credere ed è stata una cosa poco dettagliata (la mia mente perversa è delusa di me stessa), ma non ero certa di restare nei limiti del raiting, e dopo che una mia amica è stata tristemente costretta ad eliminare la propria storia, così è andata T.T


Ok, ora vado! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e mi farebbe sapere il vostro parere :)

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Capitolo 34
*** Desert_Zone cap.34 ***



 
Desert_Zone

 
cap.34












 
Ehi, ciao tutti!
Ho deciso di scrivervi prima del capitolo (Sperando che qualcuno legga) per farvi sapere che è iniziato l'arco narrativo finale di questa infinita D: fanfiction! Potete tirare un sospiro di sollievo (?), presto tutto questo finirà ahah!

Per il momento, buona lettura! Spero di ricevere qualche recensione! :)

















Il grido di Thomas, quel 'No' così sofferto, riecheggiava da interi minuti tra le mura dell'ospedale. La voce del ragazzo era risuonata graffiante e ferita mentre, aggrappato al vetro sporco della finestra da cui spiava l'esterno, osservava quell'aberrante scenario fatto di sangue, torture e morte. Aveva appena assistito ad un'esecuzione priva di pietà od accuse. I propri occhi, solitamente di un verde vivo ed acceso, si erano improvvisamente spenti, come ricoperti di una leggera quando letale patina. La recluta osservava impotente il corpo privo di vita dell'uomo di mezza età, e tutto ciò a cui riusciva a pensare era che, seppur in un modo molto distante e innocente, era lui la causa di quella morte. Deglutì a vuoto, per poi posare il proprio sguardo sulle nocche graffiate del cadavere. Sopra esse spiccava quella scritta impressa ad inchiostro nero, una calligrafia disordinata, un tatuaggio fatto di fretta in un folle tentativo di rivolta. Lui riconosceva molto bene quella parola, ed in particolar modo sapeva cosa stava a significare quel tatuaggio.

Avvertì una mano poggiarsi sulla sua spalla, ed istantaneamente si riprese, come risvegliandosi dai suoi pensieri. Si voltò, incontrando il volto allarmato di Geoff. Il biondo reggeva tra le mani uno dei mitragliatori che gli aveva consegnato Thomas.
"Tutto a posto?"
Il giovane deglutì a vuoto, per poi annuire. Si morse il labbro inferiore, mentre notava che tutti quelli che si trovavano in quella sala lo stavano osservando allarmati. Si voltò un'ultima volta in direzione del corpo ormai abbattuto, ed un conato di vomito minacciò di assalirlo. Lo respinse immediatamente. Mostrarsi debole era severamente vietato.
Notando il comportamento della recluta, Geoff si affacciò al piccolo squarcio che gli permetteva di vedere l'esterno, ed immediatamente comprese la situazione. Uno dei repressori reggeva ancora tra le mani l'arma del delitto, sorridendo soddisfatto del lavoro svolto.
"Mi dispiace, Thomas." mormorò poi all'amico, abbassando lo sguardo "Non è colpa tua, lo sai vero?"
"Quell'uomo si è fatto avanti perchè era d'accordo con noi. E' colpa mia, eccome."  sentenziò in un sibilo colmo d'ira la recluta, stringendo la mascella in modo quasi doloroso "E poi era-" si interruppe, temendo di potere crollare. Geoff lo osservò non capendo. Cosa stava cercando di dire Thomas? Perchè stava soffrendo tanto?
"Thomas, cosa stai cercando di dire?"
Gli occhi color smeraldo del giovane si voltarono un'ennesima volta in direzione del cadavere all'esterno. Cercò di non soffermarsi troppo sul sangue che, copiosamente, fuorisciva dalla ferita che lo aveva portato alla morte, eppure non ci riuscì. Immediatamente la repulsione tornò ad annebbiargli la mente. Immaginò come ci si potesse sentire con il volto immerso nel proprio stesso sangue, un liquido denso e disgustosamente caldo, dal sapore ferroso. Si domandò come si sarebbe sentito se, proprio in quell'istante, si fosse ritrovato in procinto di morire soffocato a causa di esso. Immaginarsi di non potersi alzare da quella pozza vermiglia, mentre la senti entrarti nel naso, nella bocca e nelle orecchie. Tossire alla disperata ricerca d'aria, annaspare in cerca di aiuto, ma ritrovarsi comunque costretti ad arrendersi. Morire soffocati da proprio stesso sangue.

Avvertendo nuovamente i conati di vomito, Thomas puntò il proprio sguardo sul pugno ancora stretto dell'uomo.

'Free'.

"Quel tatuaggio..." mormorò il ragazzo, storcendo il naso ed indicandolo a Geoff "Quello rappresenta molto più di quanto tu possa immaginare."
Il biondo mosse qualche passo in direzione della piccola finestra, assottigliò lo sguardo, ed immediatamente riconobbe le lettere che spiccavano incise sulla mano dell'uomo. I tatuaggi erano severamente banditi sotto il Governo; venivano considerati impuri, un profano tentativo di macchiare la pelle. Chi ne possedeva uno, era costretto celarlo con parsimonia.
Geoff dedusse che, probabilmente, quell'uomo doveva avere passato tutta la propria esistenza, indossando un paio di guanti, e si domandava perchè proprio in una simile situazione avesse deciso di sfilarseli.
"Chi porta quel marchio sulle nocche della propria mano destra, appartiene alla primissima resistenza anti-Governo mai creata." tornò a parlare Thomas, mormorando appena, incurante del fatto che tutti i presenti lo potessero udire "Si tratta dei ribelli sopravvissuti alla presa di potere di ventiquattro anni fa."
Geoff schiuse le labbra sconvolto. Credeva che i primi ribelli fossero ormai stati tutti soppressi ma, evidentemente, si sbagliava. Dal viso della recluta trapelava una certezza disarmante.
"Il Governo si è fatto scappare bottini del genere? La perfezione era crepata già all'inizio del tutto?" domandò confuso il biondo, facendo sorridere sghembo l'altro.
"Perfezione?" sputò Thomas con lo sguardo accesso di odio "Quella non esiste. Non è mai esistita. Non esisterà mai." La recluta si prese una pausa, abbassando lo sguardo per riflettere. Il biondo continuava ad osservarlo incerto, ma attento.
"Se quell'uomo apparteneva alla resistenza, c'è la possibilità che essa esista ancora, no? I tatutaggi vengono fatti probabilmente in case comuni, illegalmente." si lasciò sfuggire il giovane mentre rifletteva. A quel punto, Geoff intervenne.
"Come puoi essere tanto certo? Come sai cose risalenti a così tanto tempo fa?"
"Perchè anche mio padre portava quel tatuaggio."

 
***

Gwen poteva avvertire chiaramente il petto di Duncan contro la propria schiena nuda, e quella sensazione la inebriava in modo meraviglioso. Probabilmente lui pensava che lei stesse ancora dormendo, ma la verità era che, dopo che i due avevano fatto l'amore, la dark non aveva chiuso occhio. Un timore le era cominciato a scorrere nelle vene con veemenza, e lei non era stata in grado di controllarlo. Ora che si era unita all'uomo che amava, e che aveva compreso quanto quella meravigliosa simbiosi fosse giusta, non sarebbe più stata in grado di lasciarlo andare.
Avevano una missione da portare a termine, alla fine della quale vi era un obbiettivo di considerevole portata, e la ragazza dubitava fortmente che sarebbero tutti sopravvissuti. Se fosse stato Duncan a perire, lei non ce l'avrebbe fatta. Non aveva mai avvertito la presenza di qualcuno così fondamentale per la propria esistenza. Quando il punk la accarezzava, seppur solo leggermente, le sembrava di piombare improvvisamente in un mondo dove guerra, morti e sofferenze non erano mai esistite. Un mondo dove non aveva mai trovato i propri genitori sgozzati, né era mai stata costretta a combattere ed uccidere pur di vivere. Quando le sue labbra si univano a  quelle di lui, le sembrava di potere sfiorare quel meraviglioso firmamento limpido con un dito. Non le interessava se sotto ai suoi piedi non vi era più nulla, a patto che Duncan continuasse a cingerle la vita.

Continuando a tenere le palpebre fermamente serrate, la ragazza artigliò le lenzuola sotto di lei. Stare a contatto con la pelle del militare la inebriava. poteva sentire il suo odore, il suo respiro lento e rilassato. Avrebbe desiderato restare sopra quel letto, dentro quel relitto abbandonato per il resto della sua folle vita.
Eppure, era troppo coraggiosa per fare una cosa simile. Troppo leale nei confronti di tutti quei ribelli morti, dei propri genitori, di quelli di Scott e persino di quelli di Thomas per arrendersi. Sarebbe fuggita nuovamente dalla prigione, in un modo o nell'altro, ed avrebbe  portato a termine quell'insopportabile guerra, o con la morte di Courtney, oppure con la propria.




Improvvisamente, qualcuno fece sbattere la porta della stanza. Gwen aprì gli occhi alla ricerca dell'ospite indesiderato, ma nel buio non le era possibile vedere molto aldilà del proprio piccolissimo naso. Sollevò il busto, reggendosi il lenzuolo sopra il seno, e continuò a guardarsi intorno. Dopo brevi istanti, l'intruso spalancò le tende -improvvisate con abiti stracciati-, e permise alla luce di entrare copiosamente nell'abitacolo. Subito la ragazza, esibendo una smorfia infastidita, strizzò gli occhi. Il sole, caldo come sempre, picchiava furioso contro il relitto, e la dark impiegò qualche minuto prima di abituarcisi.
"Svegliatevi, innamorati!" esclamò una voce che la ragazza riconobbe subito. Muovendosi velocemente, controllò che il lenzuolo la coprisse del tutto, ed infine parlò.
"Che succede, Edward?" non voleva risultare tanto stizzita, ma non domandò scusa all'uomo. Infondo lui aveva appena fatto irruzione nella stanza nonostante lei fosse a letto nuda vicino a Duncan, nudo anche lui.
"Ho riflettuto." rispose lui, voltandosi verso i due. Il punk si stava svegliando confuso.
"Che diav-" "Buongiorno, sergente Smitt." lo interruppe il trentaseienne, decisamente troppo agitato. Non stava sorridendo, e probabilmente il fatto che fosse serio rendeva la situazione decisamente più esilarante.
"Perchè hai fatto irruzione qui dentro?" domandò con voce impastata Duncan, cercando di dare un senso a quella situazione. La sera prima aveva fatto l'amore con Gwen: era stato pazzesco. Aveva dormito con Gwen. Ed ora Edward era nella sua stanza. Qualcosa non andava, doveva essersi perso un passaggio.
"Dobbiamo muoverci. Gli altri sono già svegli. La vostra resistenza, ed anche la mia! Dovete conoscerla prima di partire." rispose l'uomo, facendo per uscire dalla camera da letto. Ma la voce di Gwen lo interruppe.
"Partire?"
"Già. Te l'ho detto, no? Ho riflettuto." fece tranquillo l'uomo più anziano, tornando a prestare attenzione ai due che, ancora avvolti dalle lenzuola, lo osservavano incerti "Ho deciso di credervi. Infondo, ho passato dieci anni qui dentro, e sono stanco. Che la vostra storia sia vera o meno, non capisco perchè dovrei starmente con le mani in mano invece che tentare la fuga."
"Perspicace..." si lasciò sfuggire il punk, mentre tornava a sdraiarsi, passandosi una mano tra i capelli. Gwen gli lanciò una breve occhiata, per poi tornare ad Edward.
"Quindi sai come uscire da qui?" gli domandò lei, mentre un lampo colmo di ritrovata speranza la illuminava.
"Abbiamo una teoria." asserì semplicemente Edward, facendo intendere ai due innamorati che, per saperne di più, si sarebbero dovuti riunire agli altri nella sala principale "Ci vediamo dopo."






"E vorreste utilizzare una freccia?" domandò scettica Gwen, osservando attentamente i presenti. Si trovava nel salone con entrambe le resistenze. Da un lato si stagliavano lei, Duncan, Scott, Noah e Heather, mentre dall'altro Edward accompagnato da altri due ragazzi. Li aveva presentati brevemente: vi era Sky, appena ventenne, dai capelli neri e gli occhi grandi. Era incredibilmente agile e, nei rari momenti in cui Edward si trovava particolarmente impegnato, veniva scelta lei come capo-scorte. Le veniva affidato il compito di trovare cibo ed acqua. Alejandro aveva ventuno anni, carnagione bronzea ed aspetto tutt'altro che anonimo. Era molto attraente, ma orribilmente arrogante -a parer di Gwen-. Edward lo aveva descritto come un ottimo tiratore. 

Si erano riuniti perchè Noah aveva avuto una -secondo Edward- brillante idea. La dark non era totalmente certa della riuscita del piano, ma non avrebbe detto nulla sino a quando non avrebbero provato. Infondo, tentare sarebbe stato molto meglio che starsene ancora fermi senza fare nulla.

"Sì." si limitò ad asserire lo scienziato, per poi prendere un profondo respiro, apprestandosi a ricapitolare brevemente il piano "Le ferrovie sopraelevate passano al centro della Desert_Zone, punto che si trova decisamente vicino a questa base." iniziò Noah, facendo riferimento alla mappa tracciata da Edward "Se noi fuggissimo sfruttando i binari, non dovremmo scontrarci con la barriera di elettricità."
"Non sono sicura..." mormorò Gwen, scuotendo leggermente il capo.
"Fidati. Scoccheremo una sorta di arpione aerodinamico: una freccia con alla propria estremità delle cime in grado di penetrare il metallo. Il tutto sfruttando comunque un arco. L'arpione porterà con sè una fune, e quando resterà attaccato ai binari, noi ci arrampicheremo sino in cima. A quel punto ci basterà seguire i binari verso nord per raggiungere Indianapolis." disse fiducioso il moro, cercando lo sguardo dei presenti. Gwen non disse null'altro. Se non vi erano altre obiezioni, probabilmente doveva considerare quell'idea come plausibile. Oltretutto, non era lei la scienziata.
"Ora dobbiamo solo trovare chi sappia usare un arco, e bene. Disporremo di un unico arpione." intervenne nel silenzio Edward, facendo sussultare i presenti. Non potevano farsi sfuggire una simile opportunità e, tenendosi bene a mente quel particolare, Scott decise di parlare.
"Gwen. Lei è il migliore arcere che abbia mai conosciuto."

"Scott!" la bambina raggiunse il giovane dai capelli rossi con un ultimo scatto. Camminava goffamente, a causa della faretra che le pesava sulla schiena, e dell'arco che -troppo grande- le teneva occupate entrambe le mani.
"Gwen, che succede?" domandò il bambino, osservando incerto l'arma della piccola "Cosa ci fai con un arco?"
La mora sorrise, esibendo i suoi denti bianchissimi, ed immediatamente il suo volto si illuminò "Me lo ha fatto papà. Vuoi vedere come funziona?"
Scott emise un suono molto simile ad una risata, mentre osservava quella piccola e fiera bambina. Davvero credeva di potere essere in grado di utilizzare un'arma del genere? Mirare risultava particolarmente difficile ad un occhio non esperto. Eppure, la accontentò.
Uscirono in quello che recentemente avevano iniziato ad utilizzare come giardino. Il sole era caldo come tutti gli altri giorni, ed il cielo azzurro e limpido si stagliava infinito sopra di loro. Il deserto bruciava sotto le suole delle loro scarpe troppo grandi, ma ormai i piccoli si erano abituati. Gwen tendeva la corda dell'arco con attenzione, mentre menteneva incoccata la freccia in legno. Scott le aveva preparato in pochi attimi un centro a cui puntare. E così, senza neppure mostrarsi concentrata, la bambina tirò, andando a segno.
"Tutta fortuna!" si affrettò a commentare il rosso, decisamente sorpreso da quell'incredibile colpo. La piccola si accigliò qualche istante, per poi sorridere furba.
"Scommettiamo?"
"Tutto quello che vuoi."
"Una settimana di favori!" esclamò prontamente la bambina dai capelli neri, mentre l'altro annuiva concorde.
Non ci volle altro. In pochi secondi Gwen colpì un piccolo uccello che volava sopra le loro teste. Lo centrò al cuore, non sbagliando neppure di un centimetro la mira. Fu allora, probabilmente, che Scott si rese davvero conto di quanto incredibile fosse quella ragazzina.


Gwen si voltò verso il rosso furiosa. Lo aveva fatto per egoismo, per fuggire, dimenticandosi di come lei si sentiva. Lei detestava imbracciare quell'arma. Quell'oggetto le portava a galla troppo dolore, innumerevoli ricordi. Le bastava sfiorare la corda vibrante di un arco perchè suo padre le tornasse in mente insieme al suo sorriso, quello che aveva anche quando lo aveva trovato morto.
Lanciando uno sguardo a Scott e detestandolo improvvisamente con tutta se stessa, lo disse "Ti odio."

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Capitolo 35
*** Desert_Zone cap.35 ***












 
Desert_Zone


 
cap.35



 
Buonasera a tutti!
La fine si avvicina!

Spero che questo capitolo vi piacerà, e mi farebbe piacere avere un vostro parere ^^















Rigirandoselo fieramente tra le mani, Edward mostrava a Gwen -scelta come scoccatrice- l'arco che avrebbero utilizzato. L'esemplare che l'uomo teneva tra le proprie mani era stato intagliato da lui stesso molti anni addietro, in un periodo in cui non sapeva ancora che avrebbe potuto trovare armi nascoste tra le rovine delle città abbandonate. La ragazza osservava le forme ben fatte dell'arco. Era stato intagliato con attenzione da una persona che doveva certamente saperne qualcosa. Le mani dell'uomo fasciavano il corpo dell'arma con sapienza, mentre Gwen fissava incuriosita le nocche dipinte da un tatuaggio ormai parecchio vecchio. Quando però Edward rigirò le mani, la ragazza tornò al presente.
"Perchè non tiri tu?" domandò lei, interrompendo le parole -che comunque non stava ascoltando- dell'uomo. Quest'ultimo si voltò verso di lei sorridendo appena.
"Non mi ritengo un buon combattente. Sono soprattutto uno stratega. Oltretutto, sbagliare questo colpo, significa confinarmi per sempre alla Desert_Zone."
La dark si morse il labbro inferiore. Ecco di cosa le aveva dato carico Scott, non riflettendo neppure vagamente sui suoi sentimenti. Non solo quell'arma la portava alla follia, facendole tornare alla mente le giornate trascorse con suo padre, ma il colpo che si apprestava a scoccare avrebbe anche determinato come un gruppo di ragazzi sarebbe stato costretto a vivere o meno. In passato lo aveva già fatto: aveva passato al sua giovinezza, prendendosi cura di una malridotta resistenza, ma quella volta si apprestava a determinare la loro evasione. Non si scherza con la libertà altrui.
"Se sbagliassi il colpo e perdessimo la freccia, non avrei possibilità di ritirare." si lasciò sfuggire la giovane, immaginando già le sue mani tremanti mentre tendevano la corda dell'arma sino all'orecchio.
"Non sbaglierai." disse d'improvviso la voce di Duncan, facendo il proprio ingresso nella stanza. Si trovavano nello studio di Edward, il luogo dove l'uomo appuntava le missioni più importanti da fare -solitamente si trattava di rifornimenti di cibo ed acqua-. Quel giorno, sulla sua scrivania, primeggiava un foglio con su scritto 'Evasione'. Attorno ad esso erano state posizionate carte geografiche dell'intera America del Nord e, in più, la mappa disegnata dall'uomo stesso ritraente quel piccolo lembo di terra chiamato 'Desert_Zone'.
Il punk si fece avanti all'interno della stanza, accostandosi a Gwen e lasciandole un leggero bacio sul collo. Lei fremette silenziosa, per poi tuffarsi tra le braccia del suo amato. Aveva bisogno di conforto in modo disperato. Il pensiero di suo padre, sorridente e soddisfatto, contrastava in modo netto con il corpo sgozzato che aveva rinvenuto in giovane età. Le tornavano alla mente le giornate trascorse, imbracciando arco e faretra, quando lui le spiegava sin dove la corda dovesse essere tesa, come prendere la mira, come bilanciare attentamente la spinta ed il peso della freccia usata. Poi, rivedeva quella testa staccata dal proprio corpo ed il dolore, misto ad insopportabili conati di vomito, tornava in modo inarrestabile. Forse lo avrebbe potuto dire a Duncan. Il punk non era riuscito a capire la ragione per cui Gwen fosse fuggita dal salone, lasciando volare nell'aria quelle ultime parole rivolte a Scott.

'Ti odio'.

Sì, lo odiava. Perchè lui sapeva come ci si sentisse, quanto dolore si provasse, ma non aveva comunque tenuto la bocca chiusa. Aveva pensato alla propria evasione, a come fosse il caso di coinvolgerla. Serrò maggiormente la presa attorno a Duncan. Aveva bisogno della sua presenza. Lui ricambiò immediatamente l'abbraccio, cingendole dolcemente i fianchi morbidi, per poi darle un bacio leggero tra i capelli. Desiderava che Gwen si sfogasse, che la smettesse di tenere tutto per se con il solo scopo di aiutare gli altri.

"Gwen, stai bene?" le domandò con un filo di voce, abbassandosi contro il suo orecchio. Lei serrò gli occhi, per poi scuotere la testa.
"Vuoi parlarne?" incalzò gentilmente Duncan. La ragazza, questa volta, annuì. Aveva deciso che si fidava di Duncan, e che gli avrebbe detto qualsiasi cosa. Edward restava sul fondo della stanza, aveva appena appoggiato il proprio arco alla scrivania.
"Mi sento soffocare." rivelò lei inaspettatamente, disinteressata all'idea che il trentaseienne vicino potesse sentirla. Edward le sembrava un uomo a posto, forse.
"Appena sfiorerò quell'arma, tutto il dolore mi tornerà alla mente. Le mie mani tremeranno, ed io sbaglierò." rivelò senza fiato la ragazza, non riuscendo neppure lontanamente a nominare proprio padre. Sapeva che le conseguenze delle proprie azioni si sarebbero riversate su tutti loro.
"Non puoi." disse fermamente il punk, facendola irrigidire tra le sue braccia. Immediatamente, Gwen alzò il viso verso il ragazzo. Davvero aveva creduto che Duncan l'avrebbe appoggiata? Forse tutto ciò che pensava lei erano un mucchio di sciocchezze. Si stava facendo condizionare da cose accadute quasi dieci anni prima, e lo stava facendo, mettendo a repentaglio le vite di decine di ragazzi. Eppure, aveva creduto che Duncan...
"Gwen, ricordi cosa mi dicesti? Tu avresti fatto di tutto pur di mantenere questi ragazzi in salvo."
I pensieri della ragazza smisero di turbinare verticosamente di fronte la frase del punk. Era vero, prima di evadere, il suo obbiettivo era stato sempre e solo quello. Aveva persino costretto Duncan ad aiutarla con gli addestramenti per permettere loro di sopravvivere. Si era alleata con quello che, alla base, sarebbe dovuto essere il suo peggior nemico. Il tutto per la sopravvivenza dei ragazzi che aveva salvato.
"Io so che non sbaglierai. Tieni a loro in modo formidabile, per quanto all'apparenza possa non notarsi. Quando ti conobbi eri molto più fredda, e la sola persona a cui davi amicizia era Scott..." si apprestò a raccontarle "E -Dio solo sa perchè sto per dirlo- ciò che gli hai detto oggi non è vero. Non lo odi, e lui ha parlato di te, perchè tu sei davvero la persona più valida che abbiamo." Duncan prese un respiro, timoroso di fronte la possibilità di sbagliare nell'esprimersi "Lui non lo ha fatto per egoismo. Lui vuole portare avanti la rivolta esattamente quanto me e te. Lui anela alla libertà come tutti noi. E tu, Gwen, sei in grado di offrircela." un'ultima pausa "Ed io so che non sbaglierai."
La ragazza abbassò lo sguardo qualche istante. La stavano tutti innalzando ad una specie di divinità, quando in realtà lei era una ragazzina diciottenne testarda e stanca, legata da troppe promesse per potere davvero mollare. Non era all'altezza.
"Come lo sai?"
"Perchè ho totale fiducia in te."
La ragazza avvertì quell'improvvisa consapevolezza coglierla alla sprovvista. Probabilmente, se solo non si fosse trovata tra le sue braccia, sarebbe caduta a terra, come colpita da una pallottola dall'enorme forza. Alzò lo sguardo, incontrando quello cobalto di Duncan.
"Anche io mi fido di te."

Non sapeva esattamente perchè, ma Gwen fu certa che quel breve scambio di parole fosse molto più significativo di un 'Ti amo'. Fidandosi di Duncan, lei gli si stava donando completamente.

Il bacio che si scambiarono poi i due fu molto delicato e lento. Le labbra dei due si sfiorarono per minuti che parvero infiniti, trovando ogni carezza meravigliosamente piacevole.  Duncan la teneva per i fianchi, che vezzeggiava gentilmente. Gwen si era invece attaccata con spasmodia ai capelli scuri di lui. Una volta allontanatisi, il punk rivolse alla ragazza un'espressione sicura. Lei si voltò subito verso Edward, lo sguardo pieno di nuova determinazione.

"Riuniamo le resistenze. Partiamo subito." ordinò la ragazza, osservando attentamente l'arma sulla scrivania dell'uomo. Quest'ultimo sorrise, per poi porgere alla ragazza l'arco lucido e la freccia-arpione. Lei, seppur diffidente, afferrò entrambi e, deglutendo a vuoto, si impose di mantere la calma e dimostrarsi forte come era sempre stata.









"Secondo la posizione del sole, dovrebbe essere pomeriggio." mormorò Sky, osservando il grande astro sopra le teste dei ragazzi. Erano appena partiti, lasciando la base che Edward era riuscito a mantenere in piedi per ben dieci anni. La meta appariva come una visione distante ed inverosimile, molto meno sicura ed affidabile rispetto a quella nave abbandonata. Eppure, nessuno si era dimostrato contrario all'idea. Noah, soppesando le parole della giovane mora, annuì concorde.
"Dovremmo farcela senza incontrare treni sui binari." disse lo scienziato ottimista. Avevano fatto due calcoli e, da quanto ricordavano, erano ben pochi i treni che passavano dalle lussureggianti e costosissime ferrovie sopraelevate, ed essi si distruibivano in orari distanti. L'ultimo doveva essere passato a mezzo giorno, cioè malapena un'ora prima. Avrebbero avuto più di un paio d'ore a disposizione per fuggire.
"Molto bene." asserì Gwen, osservando intensamente il cielo, scrutandolo nel tentativo di rilevare la presenza dei binari "Questa non è una zona particolarmente popolata da folli, ma non dobbiamo dimenticarci che parecchi di loro si spostano, e raramente sono da soli. Perciò cerchiamo di avere sempre un'arma tra le mani, possibilmente carica." concluse la dark, osservando attentamente tutti i presenti. Edward sorrise di fronte quella ragazzina tanto determinata e che dava ordini da ogni lato, ma non la contraddisse.
Camminarono a lungo sotto al sole afoso, mentre la sabbia sotto ai loro piedi diveniva ardente ed il centro della prigione si faceva sempre più vicino. Gwen iniziò a scrutare il firmamento con sempre più frequenza, proteggendosi gli occhi con una mano posata sulla fronte ed assottigliando lo sguardo in un vano tentativo di affinare la vista.

Poi, un suono improvviso, la fece voltare di scatto. All'orizzonte vide tre figure correre loro incontro con passo malcadenzato e goffo. La pelle lurida, quasi grigia a causa della carne morta e della terra che li ricopriva, spiccava immediatamente, facendo rabbrividire i presenti. Nessuno della resistenza disse nulla, sapendo bene ognuno il proprio compito: uccidere.
Tre Folli si stavano avvicinando velocemente, sbavando come animali affamati, e ringhiando come cani irati. Uno di loro emetteva un suono acuto molto simile ad una risata da iena, mentre attorno alle sue labbra vi erano ancora tracce di sangue fresco, vittime appena perite. Gli altri due restavano invece qualche passo indietro, come si trattasse di sottomessi del primo.
Immediatamente dopo avere tastato per qualche secondo la fondina, Gwen estrasse la propria pistola. Altrettanto fecero gli altri, eccetto Edward che sfoderò un coltello ben affilato.
Non appena videro il gesto del trentaseienne, due dei Folli si gettarono contro l'uomo alterati. Il primo venne abbattuto in pochi istanti da Edward stesso, che tranciò senza pietà la trachea, mentre l'altro perì a causa di un colpo d'arma da fuoco inferto dal giovane Alejandro. Il terzo venne ucciso da Duncan che, dopo averlo tramortito con un colpo alla nuca, gli aveva poi sparato dritto al cuore.
Il silenzio si posò tra i presenti, che ripartirono immediatamente senza dire nulla. Infondo, non vi era ragione per cui vantarsi, ma neppure per vergognarsi. Avevano ucciso belve, scarti di essere umani, ma si trattava pur sempre di esseri che, magari parecchi anni addietro, avevano avuto un senno al quale aggrapparsi.

Era sempre più difficile, riflettè Gwen silenziosamente, per poi lanciare un'ennesima occhiata al cielo, certa che non avrebbe visto ancora nulla, ma sbagliandosi.
Proprio sopra la sua testa primeggiava il binario lucido color ceramica dal quale sarebbero evasi.

 
***

Geoff si rendeva perfettamente conto di quanto folle si stesse facendo il piano di Thomas. Eppure, al medesimo istante, era certo che esso fosse stato ben congeniato e che, in fin dei conti, avesse persino un senso. Era palese che un grande motivo per cui si trovavano all'ospedale era Zoey, ma infondo non solo. La recluta aveva avuto ragione: con tutti gli ostaggi che avevano, il Governo non avrebbe mai potuto attaccarli, non rischiando di scatenare un malcontento popolare. Eppure, quel giovane si era preso troppe responsabilità, ed ora che lo aveva di fronte, tremante dopo avere visto l'esecuzione di un uomo innocente fatta senza motivo, era certo che non ce l'avrebbe fatta.
Aveva capito per quale ragione aveva deciso di rendersi tanto partecipe, di iniziare seriamente a combattere: suo padre. Era un motivo nobile, certo, ma che non gli avrebbe assicurato la salvezza né ora, né mai. Ed adesso, come se non potessero bastare tutte quelle congetture e fatti che si stavano ammassando, Thomas si era improvvisamente convinto che vi fosse una resistenza particolarmente segreta e dalla notevole importanza tutt'ora in vita. Geoff non ne era convinto. Infondo, se davvero c'era, per quale motivo non era ancora intervenuta? Perchè avevano dovuto iniziarla loro la rivolta?
Con lo sguardo incerto, il biondo continuò ad osservare il ragazzo. Lui, tutte quelle domande, non se le poneva affatto.

Arresosi di fronte la possibilità di potere dire qualcosa che facesse capire a Thomas la gravità della situazione, Geoff si voltò, facendo per andarsene. Eppure non ci riuscì. Notò d'improvviso tutti quegli occhi puntati su di lui, anzi, su Thomas. Infermieri, medici e pazienti li guardavano silenziosi, probabilmente dopo avere origliato la loro conversazione. Di fronte a quel gruppo di persone, una ragazza dall'aspetto decisamente curioso, spiccava in modo particolare. Thomas la riconobbe subito. Si trattava dell'infermiera con cui aveva parlato prima, quella che aveva cambiato la flebo a Zoey.

"Che volete? Continuate a fare il vostro lavoro!" tentò di liquidarli la recluta, sfoderando una profonda acidità nella voce, un fastidio falso ma doveroso. Eppure, nessuno dei presenti si mosse. Il ragazzo li osservò confuso ed allarmato, mentre attendeva che uno di essi parlasse. Un medico, tra i tanti, si fece avanti.
"Hai attaccato l'ospedale, ma non hai ucciso nessuno. Ci hai appena salvati tutti da un bombardamento. Vogliamo sapere la verità." Subito Thomas sussultò. Puntò lo sguardo sull'infermiera bionda, ed immediatamente ricordò che, quando Bridgette era andata a chiamarlo per l'imminente bombardamento, lei era presente e che, probabilmente, la ragazza doveva avere origliato al suo scambio di battute con quella squallida governatrice -Courtney- nella sala comunicazioni. Maledetta ragazzina impicciona!
Il giovane sorrise, alzando leggermente le braccia "Non ci credereste."
Il medico assottigliò lo sguardo, cercando quello del ragazzo di fronte a lui, quello che avevano considerato un nemico "Proviamo."

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Capitolo 36
*** Desert_Zone cap.36 ***





 
Desert_Zone



cap.36





























"Fate in modo che ogni dannatissimo mezzo pubblico sia istantaneamente fermato!"
La voce autorevole ed acida dell'ispanica risuonò nei vari altoparlanti sparsi nell'edificio. Courtney era particolarmente irritata mentre, chiusa a chiave nel proprio uffiico, rifletteva sul modo migliore per fermare i ribelli che si stavano rivoltando d'improvviso contro di lei. Il ragazzo che aveva preso posizione nell'ospedale le aveva parlato di attacchi terroristici nei mezzi pubblici e, certa di potere catturare i colpevoli, si era immediatamente mossa per richiamare ogni veicolo verso di lei. Avrebbe ispezionato di persona  ogni treno, autobus o metropolitana pur di eliminare di mano propria sino all'ultimo ribelle. Infine, avrebbe trovato una soluzione anche per quel maledettissimo ospedale. Non poteva uccidere come nulla fosse trecento persone: avrebbe fatto in modo che sembrasse un attacco di rivoltosi.
Era nervosa; nessuno aveva mai scombinato in modo tanto drastico i piani della giovane. Sino a pochi minuti prima stava ordinando un bombardamento, ma un ribelle l'aveva convinta alla ritirata semplicemente  sfoderando un discorso ben articolato, ma inattaccabile. Quel momento così pieno di tensioni non era decisamente il migliore per farsi vedere nella parte della cattiva da un popolo improvvisamente divenuto troppo importante -intelligente-. Esatto, perchè sarebbe bastato che una parte della città notasse come il Governo non fosse poi così perfetto e gentile, e tutto sarebbe andato con l'implodere lentamente ed in modo irreparabile. 
Courtney strinse i denti ed assottigliò lo sguardo. Aveva paura. Dopo molti anni al comando, periodo in cui mai aveva dubitato delle proprie capacità, qualcosa si stava risvegliando in lei; si trattava di una sensazione continua e vescida, che le intaccava ogni muscolo del corpo, irriggidendola dal terrore. Le sue decisoni si stavano facendo sempre meno autorevoli, se ne rendeva conto. La sua voce, seppur sempre acida ed acuta, iniziava a scricchiolare. Improvvisamente aveva compreso qualcosa di fondamentale: la propria dittatura, così ben congeniata e strutturata, stava lentamente entrando in fase di declino.


 
***


Thomas osservò attentamente il medico di fronte a lui, quell'uomo che, con un mezzo sorriso in volto, attendeva una risposta coerente con la situazione. Si trattava di qualcosa che la giovane recluta non era certa di potere fornire. Infondo, perchè mai un buon suddito del Governo, avrebbe dovuto credere a lui, un ribelle che aveva appena assaltato l'ospedale?
Una voce, dentro di lui, gli diede una risposta: perchè li aveva appena salvati. Aveva permesso loro di sopravvivere una volta attaccato l'edificio, ed aveva addirittura detto loro di curare i pazienti ricoverati. Forse, considerando quegli atteggiamenti, era possibile raccontare a quei medici la verità e venire persino creduti. Forse, quello sarebbe potuto essere l'inizio di una svolta epocale.
Thomas lanciò uno sguardo a Geoff. Il biondo stava osservando il medico incerto, probabilmente disturbato dai medesimi dubbi del ragazzo più giovane.
"Siamo ribelli, non terroristi." esordì la recluta, abbassando lo sguardo sul pavimento, privando ai presenti i suoi occhi chiari "Vogliamo ribaltare la dittature governativa. Vogliamo scatenare una rivolta. Vogliamo distruggere la minaccia- Desert_Zone per sempre, e vogliamo che tutti capiscano quanto pazzo è questo Governo che ci dice cosa possiamo, o meno, fare."
La voce del ragazzo era risuonata agitata. Di fronte a lui, una schiera di persone prestava una cieca attenzione. Improvvisamente, constatò Thomas, non sembravano più una mandria di automi, ma uomini e donne pensanti, con un senno ed una capacità di giudizio. L'occasione che il giovane aveva tra le mani, poteva rappresentare l'inizio della fine, di quell'incubo che gli aveva strappato i genitori senza pietà. Gli occhi che lo osservavano non erano vacui o diffidenti. Probabilmente, quella bomba che solo poco prima li aveva minacciati, aveva acceso in loro quel dubbio che, a lungo, doveva avere covato segretamente nelle loro menti. Un dubbio che, se sbandierato a gran voce, avrebbe sicuramente portato alla morte del suddetto. Quale era il dubbio? Un folle odio verso il Governo.
"Quella in cui viviamo non è perfezione. Non esiste. E' cruda e violenta follia. Ogni giorno sparisce gente, ed è sempre a causa loro." intervenne Geoff, avvertendo la tensione nel tono di voce dell'amico "Hanno intenzione di renderci mansueti. Vogliono smettere di farci pensare, ma la verità è che non si può ammutolire la popolazione mondiale."
Rivolgendo un sorriso grato a Geoff -per essere intervenuto-, la recluta tornò a prendere parola "Oggi stesso, hanno cercato di fare saltare in aria questo ospedale, con all'interno medici e pazienti. E sapete quale è il bello?" domandò con un leggero sorriso Thomas "Che lo avrebbero fatto senza un'ombra di risentimento." 
Il giovane fece un passo in direzione della finestra dalla quale aveva assistito -solo poco prima- ad una vera e propria esecuzione "Avete visto prima?" domandò poi, gridando forte in direzione dei presenti "Avete visto come hanno ucciso un uomo? Un uomo come me o... O lei!" esclamò, indicando proprio il medico che si era fatto avanti poco prima "Gli hanno sparato senza pietà, ed ora il suo corpo è steso lì, in una pozza del suo stesso sangue." disse, questa volta puntando il proprio indice in direzione del povero defunto, quello che riportava su una mano il tatuaggio a Thomas ben noto. Una parola che gli aveva fatto avvertire un sentore di speranza e determinazione. La medesima che, in quello stesso momento, lo portava a parlare tanto.
"Lo fanno tutti i giorni! Lo hanno fatto con i miei genitori quando avevo otto anni! Li hanno buttati nella Desert_Zone perchè hanno deciso di combattere contro questa violenza." la recluta camminava da una parte all'altra della stanza, gridando a voce alta "Siamo solo tante bambole che si muovono all'unisono, ed è disgustoso. Ormai non possiamo più neppure pensare liberamente. Neppure... Amare." ammise infine in un sussurro, riportando la mente a Zoey ed alla sua condizione. Era in coma a causa di qualche folle a capo della dittatura. Ogni giorno soffriva immensamente al pensiero di non poterle parlare normalmente, come un tempo. E con il pensiero di lei, ripensò anche ai propri amici in quel momento dispersi chissà-dove nella Desert_Zone. Dubitava che loro potessero tornare, e se mai la rivolta fosse andata a buon fine, la prima cosa che avrebbe fatto, sarebbe stato andare a cercarli.

"L-La ragazza dai capelli rossi, giusto?"
La voce acuta e timida dell'infermiera chiacchierona -così l'aveva soprannominata Thomas- fece tornare la recluta al presente. Immediatamente il suo sguardo smeraldo si puntò contro quello nocciola della giovane.
"Cosa?"
"Lei è... La tua ragazza? Sono stati loro a ridurla così?" incalzò lei, facendo un paio di passi in avanti. Con 'loro' la ragazza faceva chiaro riferimento al Governo, ed immediatamente il militare annuì. Non osava neppure immaginare quanto avesse effettivamente sofferto, si sentiva male per lei. L'aveva trovata tumefatta e sanguinante, ricoperta di lividi e ferite, con i polsi letteralmente viola. Non poteva neppure provare a pensare a cosa le fosse accaduto senza avvertire una dolorosissima fitta al petto.
"Mi dispiace." mormorò quindi la ragazzina di fronte a lui, chinando leggermente il viso verso il basso. Thomas si limitò ad accennare un grazie, per poi sorridere leggermente. Sentiva gli occhi farsi lucidi nuovamente, ed il suo orgoglio scemare con altrettanta velocità. Una volta, riflettè in silenzio, non era così sensibile. Si domandò le fosse normale. Se fosse una cosa naturale cambiare così drasticamente a causa di una guerra -perchè ormai era ciò in cui si trovava-, e si rispose che era completamente comprensibile. Lui sarebbe potuto morire il giorno dopo. Avrebero potuto sganciare una bomba durante la notte, o soffocarli con del gas sfruttando i condotti di areazione. Era giusto piangere finchè era vivo.
Si voltò, deciso a lasciare quella stanza, ed in pochi minuti si ritrovò nuovamente in quella di Zoey, dove lei riposava tranquillamente. Si lasciò cadere sulla sedia vicino al letto e, dopo averla contemplata per lunghi e silenziosi momenti, scoppiò. Un singhiozzo lo percorse interamente, travolgendolo. Immediatamente i suoi occhi divennero riflesso di un dolore immenso, e per coprirseli, vi posò sopra le mani. Se solo lei fosse stata sveglia, lo avrebbe rimproverato: 'sei più forte di così'.
Cazzate. Solo un mucchio di maledettissime cazzate, e se vi fosse stato un giudice, avrebbe indubbiamente dato ragione a lui, ai suoi pensieri autocommiserativi ed alla sua scarsa autostima. Era diventato un debole.





Un cigolio della porta lo fece voltare. Thomas, dimentico delle lacrime che gli solcavano il viso, alzò lo sguardo, incontrando il medico di poco prima. Quest'ultimo non accennò neppure vagamente all'aspetto così distrutto del giovane, ma parlò invece di altro.
"Abbiamo contattato un paio di persone." esordì l'uomo alto e fiero nel proprio camice "Devi sapere che questo ospedale, essendo della capitale, è anche quello che si occupa della distribuzione dei farmaci nel resto del mondo." un sorriso  mesto gli apparve in volto "Beh, di quel che ne è rimasto. Vedi, esistono davvero pochi ospedali al giorno d'oggi. Abbiamo detto loro che non li riforniremo più."
Gli occhi di Thomas si fecero più acuti, interessati.
"Tra i mezzi di trasporto bloccati, e la mancanza di farmaci fondamentali, vi sono sufficienti presupposti per pretendere una resa da parte del Governo."


 
***


"Eccoli..." mormorò Gwen, osservando i binari color bianco brillante spiccare al centro del firmamento. I presenti, udendo quella semplice parola, si voltarono immediatamente verso l'alto. La ferrovia sopraelevata si innalzava con eleganza sopra le loro teste, riflettendo la luce solare. A lungo la dark restò immobile, come improvvisamente dimentica del proprio compito. Si limitava al silenzio, ed osservava incantata ed intimorita la megastruttura che si apprestavano a percorrere. Improvvisamente le mani le tremavano, sudavano e non riuscivano più a stringere l'arco con determinazione.  Sentiva nuovamente il peso del proprio compito depositarsi con troppo poco avviso sulle sue impreparate spalle. Avrebbe desiderato con tutta se stessa lasciare scivolare a terra l'arma e la faretra, e poi fuggire. Non le interessava di trovarsi nella Desert_Zone. Eppure, allo stesso tempo, mille promesse le affollavano la mente: quella di salvare i propri amici, di combattere senza mai arrendersi...

Inforcò l'arco, assottigliando gli occhi. Nessuno le aveva detto nulla, richiamandola per quella lunga pausa di riflessione. Si erano tutti limitati ad osservarla, fidandosi ciecamente della giovane. Loro non avevano pensato neppure per un secondo che lei sarebbe fuggita, ed alla fin fine, avevano avuto ragione.
Gwen prese un profondo respiro, mentre incoccava con attenzione la freccia-arpione. Scott, vicino a lei, appoggiò a terra la corda che l'arma, una volta agganciatasi, avrebbe portato con sè. La fune sulla quale si sarebbero arrampicati. Era tutto sistemato, constatò la dark, deglutendo a vuoto e tendendo la corda dell'arco. Se la portò sino alla guancia, sfiorandola appena. Mirò  verso l'alto, facendo brillare al sole la punta della freccia, e poi, senza alcun preavviso, scoccò il colpo.
La freccia sferzò il vento, facendolo sibilare. Saliva, saliva sempre più, sino quasi a scomparire. Portava con sé un lungo strascico di fune, ed i presenti osservavano tesi la situazione. Quella poteva dimostrarsi la loro salvezza, oppure una tragica roulette russa. Gwen, la gola secca ed il battito cardiaco accellarato, aveva lasciato cadere a terra l'arco, ed  era scivolata in ginocchio sulla sabbia cocente. Anche lei, come il resto dei ragazzi, mirava la freccia avanzare e la corda sibilarle dietro. E nel frattanto pregava. Pregava un santo che non era certa esistesse affinchè tutto andasse per il meglio, affinchè i suoi compagni sopravvivessero, affinchè lei sopravvivesse.

E poi, d'improvviso, il vento smise di fischiare.

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Capitolo 37
*** Desert_Zone cap.37 ***




 
Desert_Zone





 
cap.37















In qualche modo, Gwen ce l'aveva fatta. La freccia-arpione si era conficcata nel binario con forza -a causa del peso e delle leggi della fisica, diceva Noah-, ed ora quest'ultima era ben piantata ed in grado di reggere il peso di ognuno dei presenti. 
La dark continuava ad osservare sorpresa il binario sopra la propria testa. Non poteva credere di avercela fatta.  Abbassò lo sguardo, incontrando la figura di Edward che tirava la corda per verificarne la resistenza, e restò basita nel constatare che reggeva. Il resto dei ragazzi sorridevano soddisfatti e sollevati, mentre Duncan -poco distante- la osservava colmo di fierezza. Lui aveva creduto in lei in ogni singolo istante. La ragazza, con un mezzo sorriso a decorarle il volto stanco, si alzò in piedi, per poi incamminarsi in direzione dell'amato. Dentro sè avvertiva un moto di calore invaderla, ed era certa che il solo in grado di smorzare quella novia sensazione sarebbe potuto essere Duncan. Gli si accostò in pochi istanti e, disinteressata all'idea di trovarsi di fronte ad altri ragazzi, si buttò letteralmente tra le due braccia, bisognosa di avvertire la sua presenza fisica. Le dava sollievo sapere che vi sarebbe sempre stato qualcuno al suo fianco, qualcuno in grado di combattere per lei sino alla fine. Lui ricambiò immediatamente l'abbraccio, improvvisamente travolto da mille, meravigliose sensazioni.
Anche lui, come il resto dei ragazzi, era sollevato. Eppure, non poteva dire di esserne sorpreso. Si era fidato ciecamente sin dall'inizio delle capacità di Gwen, ed era stato sicuro di lei ogni, singolo momento. Era felice, incredibilmente speranzoso e l'idea di rivedere Thomas gli faceva nascere un genuino sorriso sulle labbra. Era preoccupato per il proprio giovane fratello -ormai gli risultava più che normale chiamarlo così-, e non era certo di come fossero andati avanti i fatti nel mondo sotto il potere Governativo. Insomma, se nella Desert_Zone comandava una sorta di anarchica pace, nel resto del pianeta, a dettare legge, vi erano un branco di ministri ed una donna priva di pietà. Per quanto ne sapevano quel mucchio di prigionieri, l'umanità poteva essere stata dirotta in briciole in poche ore. Infondo, non avevano lasciato detto nulla alla giovane recluta dagli occhi verdi; avevano preferito non riferirgli di ciò che si apprestavano a compiere -che si sarebbero tuffati letteralmente all'interno della prigione più violenta esistente-, certi che avrebbe insistito per inseguirli, ed ora Duncan non aveva la minima idea di cosa potesse avere fatto nel frattanto Thomas. La cosa lo preoccupava non poco.
Una volta staccatosi da Gwen, una voce si fece largo tra i presenti, quella del Leader della nuova resistenza.
"Direi che dobbiamo sbrigarci. Percorrere le ferrovie non è cosa da nulla." esordì Edward, continuando ad ispezionare la fune "Una volta che una prima persona sarà su, toccherà a quest'ultima assicurarsi che l'arpione sia ben piantato."
Alejandro guardò il proprio capo diffidente "In poche parole, il primo che sale rischia la pelle più degli altri?"
Il trentaseienne sorrise sghembo, per poi annuire completamente sincero. Abbassò infine il capo con noncuranza, e quando tornò a prestare attenzione ai presenti, domandò "Allora? Chi si offre?"
Poco prima che Gwen si facesse avanti, la giovane Sky alzò la mano pronta ad offrirsi "Vado io."
Immediatamente la dark scosse il capo in disaccordo. Nel caso ci fossero stati dei problemi con la scalata, la colpa sarebbe stata solo ed unicamente propria. Ergo, era giusto che fosse lei la prima a salire. Eppure, la voce della giovane volontaria tornò a risuonare in mezzo al deserto.
"E' giusto che vada prima io. Sono la più agile, e nel caso la corda non fosse ben agganciata, Gwen sarà ancora qui per tirare." si voltò verso la dark, sorridendole gentile "Sei la nostra speranza più preziosa."
Quelle ultime parole la colpirono con una forza tale da toglierle il respiro. Perchè doveva sempre finire così? Cosa ispirava tanta fiducia in lei? Ogni volta che finiva per allearsi con qualcuno, quest'ultimo iniziava a ritenerla troppo, qualcosa che lei non era in grado di essere totalmente. Forse era vero, aveva fatto una promessa a sua madre molti anni prima, quella di non arrendersi mai, ma ciò non significava che fosse indistruttibile. Aveva solo diciotto anni, dannazione!
Lanciò uno sguardo ad Edward, sperando che l'uomo rifiutasse l'improvviso atto di spavalderia della giovane, ma ciò non accadde. Il trentenne stava osservando la ragazza orgoglioso, ed attendeva fiero che quest'ultima cominciasse la propria scalata. La osservò attentamente afferrare la fune con presa ferrea, mentre con le piante dei piedi l'avvolgeva in basso. Sky iniziò poi a salire velocemente, sfruttando tutti i propri muscoli, e cercando di muoversi il più in fretta possibile. Gwen era sbalordita, ed improvvisamente capì perchè tanta certezza nel viso di Edward. Sky si muoveva con la leggiadria di un gatto e l'energia di un ghepardo, inarrestabile e determinata. La corda restava tesa, accettando il suo peso e non sganciandosi dai binari. Infine, quando la videro sparire oltre la ferrovia color porcellana, i presenti tirarono un sospiro di sollievo. Ce l'aveva fatta, e la corda aveva retto perfettamente.
Edward sorrise, portandosi le mani ai fianchi e guardando i ragazzi intorno a lui "A chi tocca?"









Con un ultimo sforzo, Edward -ultimo ad essersi arrampicato- raggiunse il freddo materiale di cui era costituito il binario. Noah aveva parlato di un avanzatissimo sistema di raffreddamento, nato per evitare il surriscaldamento delle rotaie ed il consecutivo malfunzionamento del treno. Grazie a questa tecnologia, i binari mantenevano con costanza la temperatura di sette gradi centigradi ed il sole non era in grado di renderli cocenti quanto la sabbia che rivestiva la prigione sottostante.
Il trentaseienne si aggrappò con la mano destra al bordo delle ferrovie sopraelevate, mentre Duncan si accostava ad egli allungandogli una mano. L'uomo la afferrò prontamente, mentre il punk, aiutandosi con i muscoli delle braccia, lo aiutava a tirarsi su e a riunirsi al resto del gruppo. Edward stesso aveva insistito per essere l'ultimo a salire, ribadendo che era il più vecchio e che, infondo, aveva molto meno da vivere rispetto a quel branco di ragazzetti pieni di sogni e speranze. Gwen non era stata d'accordo, ma non era riuscita a fare cambiare idea al più anziano, e si era infine dovuta adeguare alla situazione, salendo dopo Duncan, ma prima di Scott -tenutosi penultimo-.
E proprio mentre Duncan aiutava Edward a compiere un ultimo sforzo, Gwen decise di rivolgersi al rosso, l'amico più fidato che avesse mai avuto; le dispiaceva per ciò che gli aveva detto. Gli aveva gridato contro di odiarlo, e se ne sentiva completamente rammaricata. Non avrebbe mai potuto gettare all'aria un rapporto durato un'intera vita a causa di un bisticcio e di parole non ben riflettute. Con un sorriso leggero ad adornarle il viso, Gwen si accostò a Scott, il quale la osservò di sottecchi, non capendo.
"Ehi..." azzardò lei in un mormorio, facendolo voltare. Si sentiva in imbarazzo e tesa. Era sempre difficile riappacificarsi con un fratello.
Quest'ultimo la osservò qualche istante in silenzio. Sentiva il cuore scoppiargli nel petto e l'ansia divorarlo. In quelle ultime ore, sapendo Gwen in collera con lui, si era sentito divorato da una forza invisibile ed inarrestabile. Teneva alla dark molto di più di quanto gli fosse lecito, constatò lanciando una breve occhiata a Duncan, e sentirsi dire contro quel 'ti odio', lo aveva fatto sentire improvvisamente una nullità. E forse, si era poi detto mesto, lo era. Infondo, doveva pur esserci un motivo per cui Gwen non lo aveva mai notato, se non come fratello? 

Loro non erano fratelli, non erano parenti neppure lontanamente. Eppure, lui era castigato in quel maledetto cantone fatto di legami di sangue e di un amore troppo forte per potere essere quello a cui realmente ambiva lui.
Ma forse, si era detto più e più volte, gli sarebbe andato bene anche quel genere di amore. Quello platonico e privo di secondi fini, scaturito da un semplice abbraccio o da un'occhiata in grado di dire molto. Forse avrebbe dovuto accettare la fortuna che aveva semplicemente nell'essere considerato un fratello da Gwen. Ciò significava che lei lo amava, in qualche modo.
Quindi, le rispose.

"Ehi anche a te."
Scott restava in piedi al centro dei binari, le braccia contro il petto e lo sguardo come sempre all'apparenza freddo. A Gwen era sempre piaciuta quella forza che era in grado di esprimere con quei pochi gesti. L'avevano fatta sentire al sicuro molte volte. Udendo la risposta di lui, Gwen allargò il proprio sorriso.
"Mi dispiace, Scott." disse infine la ragazza, sospirando amaramente. Era andata contro il proprio orgoglio, ma lo aveva fatto a fin di bene, si disse.
"Ti scusi?" domandò scettico il rosso, squadrando la giovane al suo fianco divertito. Era davvero piccola rispetto a lui, gracile come un fuscello. Eppure, era in grado di scatenare una vera apocalisse. Anzi, forse lo aveva già fatto.
Lei alzò lo sguardo, scontrandolo con quello di lui.
"La Gwen che conosco io non si scusa per nulla al mondo." le disse, nascondendo il proprio sollievo, deciso a sembrare impassibile come sempre -nonostante il sorriso che lo tradiva- "Quella ragazetta di mia conoscenza è cocciuta e orgogliosa. Ma che le è successo?"
La dark sorrise anch'ella, felice dell'umore del rosso, ed in risposta gli diede un leggero buffetto allo stomaco "Fidati è ancora cocciuta e orgogliosa!" gli disse dunque, prima di tornare seria "Ma non vuole che una delle persone più importanti per lei, pensi che non ci tenga."
Anche il cipiglio del rosso prese una certa serietà, udendo quell'ultima frase. Non era certo di come rispondere. Non voleva perdere quella sua apparenza dura, impossibile da scalfire, ma al medesimo istante voleva che Gwen capisse quanto lui ne fosse felice. Quanto si sentisse sollevato per quelle scuse. E   tra tutte le migliaia di parole che esistevano, scelse quelle.
"Tra fratelli ci si vuole sempre bene, comunque vada a finire. Ricordalo."

La conversazione tra i due finì così, in quanto un gesto di Edward attirò l'attenzione di tutti i presenti.
L'uomo, una volta in piedi, dritto e fiero come una fenice, al centro dei binari, sollevò contro il firmamento limpido un pugno orgoglioso e determinato. Sulle nocche di esso primeggiava una scritta che Gwen aveva già notato qualche volta. Le quattro lettere, incise in modo indelebile sottopelle, andavano a comporre la parola 'Free', libero. Rimase in quella posizione qualche secondo, sorridendo all'orizzonte che si estendeva infinito di fronte a loro. La brezza gli scompigliava i capelli chiari ed il tempo parve per qualche istante arrestarsi. Quell'immagine parve a Duncan l'emblema di una libertà incredibilmente giusta, ed improvvisamente più raggiungibile. Edward era un uomo saggio di una saggezza colma di giustizia, che prendeva in esame sia poveri che ricchi, che non classificava le genti secondo il loro aspetto, ma secondo il loro comportamento. Si trattava di qualcosa che, sotto il potere governativo, risultava pressocchè introvabile. E per qualche istante, Duncan vide in lui una scintilla familiare ed intramontabile, qualcosa che aveva già visto molte volte in un altro ragazzo.
"Cosa significa quella scritta?" domandò d'improvviso Gwen, arrestando i pensieri del punk, facendolo concentrare sulla figura della propria amata. Quest'ultima si era avvicinata al trentaseienne indagatrice, interessata a quel gesto che aveva appena compiuto.
"E' un simbolo di lealtà e resistenza." rispose sorridendo l'uomo, avvicinandosi alla giovane e posandole di fronte agli occhi la mano tatuata "Anni fa vi era una resistenza che combatteva il Governo. Si trattava di un potente gruppo di Ribelli. Il più potente." iniziò a raccontare Edward, mentre Gwen osservava incantata quelle poche lettere stagliarsi sulla sua pelle "Questo era ciò che ci permetteva di distinguerci." disse l'uomo, riferendosi al tatuaggio "Ed il pugno sollevato in aria è un segno."
Scott, tra i tanti, si fece avanti interessato, puntando i propri occhi in quelli dell'uomo "E che cosa significa?"
"Che è giunto il momento di ribaltare questa dittatura." rispose Edward sorridendo sghembo, prima di aggiungere un ultima cosa, un mormorio che Duncan -vicino più degli altri all'uomo- captò con una precisione tale da rabbrividire "Thomas, Helen. Sono qui per vendicarvi."


 
***


Thomas aveva ottenuto il consenso  della gente dentro l'ospedale. Improvvisamente quelle centinaia di persone non erano più ostaggi, ma veri e propri alleati: ragazzi e ragazze che si sarebbero stazionati sul fronte pur di mandare avanti quella propaganda di libertà e conbattività. Entro breve, oltretutto, il Governo avrebbe ricevuto una novità decisamente spinosa: i farmaci erano irraggiungibili. Con la povertà che dilagava in modo ampio, ma nascosto, nessuno aveva mai troppe medicine. Venivano ordinate in continuazione, e le scorte finivano in un lasso di tempo molto ristretto -di poche ore-. Avrebbero dunque dovuto attendere ben poco prima di ricevere notizie relative a quell'improvvisa crisi. Si sarebbe scatenato in pochi attimi un disagio popolare, e presto sarebbero stati i cittadini stessi, da ogni parte del mondo, a decidere di ribellarsi.
Niente mezzi pubblici, niente medicinali. Il caos era probabilmente già dilagato nelle città più distanti dalla capitale, in quelle che una volta dovevano appartenere all'Europa del Nord. Thomas immaginava i megaschermi sparsi per le strade trasmettere notiziari di continuo, i tutti relativi a quegli improvvisi problemi. Probabilmente avrebbero dato la colpa ad un qualche attacco fatto dai ribelli, ma la recluta era abbastantza convinta che in pochi vi avrebbero creduto, davvero pochi. Ergo, la battaglia era iniziata, e presto il Governo sarebbe tornato da loro per sapere cosa avessero intenzione di fare. Beh, Thomas aveva già il discorso pronto; avrebbe parlato di una resa, avrebbe richiesto con fermezza che tutte le milizie governative -repressori, gentiluomini, e soldati semplici- venissero ritirare, e che se questo non fosse accaduto, avrebbe mandato avanti quella follia, facendo spandere notevolmente il malcontento. Avrebbe preteso l'abdicazione del ministro Courtney, ed avrebbe infine richiesto con forza ed irremovibilità una giusta democrazia. Un Governo popolare dopo molti anni di dittutatura.
Ma proprio mentre sistemava gli ultimi dettagli del piano, una voce lo interruppe, attirando la sua attenzione.
"Thomas, là fuori succede qualcosa!" Bridgette, accostatasi alla finestra, osservava le truppe di repressori  che circondavano l'edificio. Eppure, qualcosa ben più distante aveva attirato la sua attenzione. Sopra un megaschermo posizionato in corrispondenza della facciata di un edificio, dove solo pochi istanti prima era stato trasmesso un notiziario, stava ora apparendo uno schermo nero con delle scritte. Subito la recluta si avvicinò alla bionda, ed iniziò a leggere ad alta voce.
"Tappatevi le orecchie e smettete di ascoltare. Ciò che sta accadendo intorno a noi non è altro che un tentativo di tornare alla libertà di un tempo. La povertà che dilaga, le sofferenze, le sparizioni ed i morti cesseranno di esistere. Vi sarà uguaglianza." le scritte scomparvero, sostituite da altre "Parliamo a voi, cittadini! Combattete per ciò in cui credete, non comportatevi da fantocci. Per una volta, non abbiate paura di ciò che potrebbe accadervi, perchè combatteremo tutti, e saremo imbattibili. Anche voi potete essere rivoluzione."
Quell'ultima frase fluttuò a lungo nel centro dello schermo gigante, sino a che non venne sostituita da un'immagine incredibilmente potente e significativa. Un pugno sollevato verso un cielo color vermiglio, con su scritta una parola molto più importante di quanto potesse sembrare.
La voce di Geoff si fece largo tra i presenti "Thomas, ma quello non è-" "Il simbolo della resistenza di cui ti ho parlato? Sì." lo interruppe la recluta, sorridendo sghemba ed assottigliando lo sguardo. Intorno all'ospedale, i repressori si erano voltati verso lo schermo, sconvolti dal fatto che qualcuno fosse davvero riuscito a bypassare il sistema di comunicazione del Governo. L'immagine del pugno tatuato, con su scritto 'Free', continuava ad essere trasmessa, ed i soldati avevano iniziato a guardarsi tra loro sconvolti.
"E quello" tornò a parlare dopo pochi istanti sempre la giovane recluta, riferendosi al gesto che appariva sul televisore "Quello significa che la guerra è agli sgoccioli. Avevo ragione; la Prima Resistenza esiste ancora."


 
***


I telefoni non smettevano di squillare. Ovunque, all'interno dell'edificio, vi erano segretarie e segretari intenti nel loro operato. Eppure, non potevano fare nulla loro. Si trattava di migliaia di lamentele, di richieste di aiuto per la mancanza di medicinali, di insulti per l'assenza dei mezzi pubblici. E poi, da parte dei piccoli sindaci delle città lontane, vi erano preghiere e singhiozzi. 'Il popolo si è stancato di cooperare', dicevano 'Ha iniziato a combattere. Ho mandato i soldati per le strade e ho ordinato loro di sparare a vista, ma così rischiamo di perdere l'intera popolazione'.
A Courtney non interessava più di perdere l'intera popolazione, a patto che lei sopravvivesse. Avrebbe eliminato ogni singolo abitante di Indianapolis, ma prima li avrebbe fatti torturare come si deve, sino a che la pelle non si sarebbe fatta carbonizzata, ed il sangue non sarebbe stata la sola cosa visibile. Sì, avrebbe sorriso soddisfatta di fronte il proprio bel quadretto di morte, ed i suoi fidati repressori avrebbero obbedito ciecamente ad ogni suo ordine. Niente più ribelli o folli militanti. Nessun dannatissimo bastardo traditore come Duncan Smitt, che aveva improvvisamente scoperto le bellezze che era in grado di dare la libertà. Ci sarebbe stato solo nuovo timore e nuova uniformità. Tutti uguali, ai suoi ordini come marionette. E le strade, oh, quelle ricoperte di sangue ed ossa. Un modo per ricordare a tutti di non osare mai più farle neppure uno sgarbo. Avrebbe cancellato la Desert_Zone ed avrebbe direttamente ucciso chiunque osasse sfidarla. Forse, in quel modo, quell'ammasso di persone, avrebbe capito quale era il giusto modo di atteggiarsi.
E poi, ancora, avevano preso possesso dei sistemi di comunicazione. Un branco ben popolato di Ribelli era riuscito a fare trasmettere un proprio filmato, ed ora quest'ultimo stava andando avanti  a ripetizione, senza sosta, aizzando persino i bambini contro di lei. Beh, i repressori non avevano pietà nemmeno per loro.

Un folle sorriso le delineò il volto, mentre una consapevolezza di faceva strada in lei: non era ancora giunto il momento di arrendersi definitivamente. Forse c'era un modo. Un modo per eliminare quella rivoluzione alla radice. Un modo per il quale non avrebbe dovuto sterminare un'intera popolazione mondiale, o ciò che ne rimaneva.
Sì, c'era sicuramente. Quei ribelli erano troppo magnanimi, facili da manovrare. E lei aveva un'idea.









 

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Capitolo 38
*** Desert_Zone cap.38 ***







 
Desert_Zone







cap.38



























"Thomas, Helen. Sono qui per vendicarvi."









Forse se lo era solo immaginato, si disse Duncan, mentre un dubbio non indifferente inziava ad intaccargli ogni cellula del cervello. 
Stavano camminando da parecchi minuti sui binari diretti verso Nord, determinati a raggiungere al più presto Indianapolis. Sembravano tutti abbastanza tranquilli mentre Gwen, in testa al gruppo, proseguiva a passo svelto. Eppure,  Duncan non lo era. Duncan era -per intenderci- il contrario della tranquillità. Il punk si muoveva incerto, restando sempre vicino al trentaseienne Edward, studiandolo di sottecchi. Sentiva l'ansia divorarlo e la gola improvvisamente secca.
Ma infondo, si tornò a ripetere silenziosamente il punk, tutti quei dubbi e quelle domande potevano essere perfettamente spiegati con una parola: coincidenza. Sì, doveva trattarsi di un bel pugno di coincidenze, e non di fatti reali, importanti e da non trascurare. Anche se...
Anche se, a guardarlo meglio in viso, Edward somigliava davvero parecchio al giovane amico che lo attendeva nella capitale. Aveva lo stesso guardo color smeraldo, la stessa bocca sottile e la medesima forma del viso -la sola differenza stava nel fatto che quello dell'uomo più anziano fosse leggermente più magro, scavato dagli anni di stenti e fatiche- di Thomas. Cazzo, persino i numeri coincidevano. Dieci anni di prigionia delle Desert_Zone, e dieci anni che la recluta non vedeva suo padre. E, come se quelle evidenti prove non bastassero, Duncan sapeva anche che il padre di Thomas aveva avuto il figlio in età relativamente giovane e, per finire, Edward aveva appena mormorato 'Thomas' e non 'Jake', 'Josh', o qualsivoglia altro nome. Ok, si ripetè Duncan con un improvviso peso sullo stomaco, quelle coincidenze erano troppe. Forse era il caso di iniziare considerare la possibilità che fosse proprio Edward il padre a lungo scomparso, e presunto defunto.

Predendo un nuovo, profondo respiro, il punk -accostatosi all'uomo ed abbastanza lontano dagli altri da non essere udito- decise di parlare "Edward, posso farti una domanda?"
Il trentaseienne si voltò subito verso il ragazzo, sorridendogli leggermente ed annuendo in risposta. Duncan abbassò lo sguardo contro il materiale chiaro e lucido sotto i loro piedi.
"Prima ti ho sentito..." prese una breve pausa, mordendosi il labbro inferiore ed affondando entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni "Hai detto una cosa, e mi piacerebbe sapere di cosa si trattava." dopo avere farfugliato quelle poche frasi sconnesse, il moro tornò ad alzare lo sguardo verso l'uomo più anziano. Quest'ultimo lo stava guardando leggermente confuso, ma non si oppose di fronte quella piccola richiesta, e Duncan si sentì libero di domandare di più.
"Hai nominato una certa... Helen se non sbaglio. E poi anche un ragazzo, Thomas." mormorò il punk, la voce ridotta ad un volume davvero basso "Chi sono?"
Edward sorrise, scostandosi un ciuffo di capelli dal viso, e prendendo un profondo respiro, preparandosi -all'apparenza- a raccontare una lunga storia. Qualcosa di tormentato e difficile, dedusse il militare al suo fianco.
"Chi erano, vuoi dire." esordì l'uomo, passandosi la lingua sulle labbra ed esibendo un sorriso mesto e fragile "Sai, un tempo io avevo una famiglia, quando ancora vivevo..." Edward si fermò, incerto sul come definire il suo vecchio stile di vita.
"Quando ancora vivevi normalmente. Nel mondo normale." intervenne in aiuto Duncan, facendolo annuire concorde "Esatto."
"Beh, a quei tempi avevo una moglie. Si chiamava Helen." un sorriso sincero nacque sulle labbra dell'uomo che, come avvolto da un'improvvisa magia, perse completamente di vista il mondo attorno a lui. Si tuffò in quei ricordi antichi, ma in cui lui continuava a vivere ogni notte. Vide di fronte a se quella splendida figura snella e sorridente, sempre allegra e frizzante. I suoi capelli erano color nocciola e lunghi sino ai fianchi morbidi e seducenti. Gli occhi erano del medesimo colore, ed erano in grado di trasmettere emozioni disarmanti.
"Era un angelo. Lo era davvero." si limitò a dire il trentaseienne a riguardo, come non volesse fare sapere a nessuno il vero meraviglioso aspetto che aveva avuto la donna "Ed un giorno, quando ancora eravamo giovani e felici, nacque Thomas."
Duncan sussultò. Ogni muscolo del suo corpo si irrigidì, ed il suo cervello smise improvvisamente di pensare. Avvertiva i propri respiri rimbombare dentro di lui all'infinito, in mezzo ad un vuoto sconcertante.
"Eravamo felici. Ma forse, lo eravamo troppo." il sorriso scomparve dal volto dell'uomo, e le labbra tornarono dritte, contornate a quelle piccole rughe causate dal tempo e dalla stanchezza "Vedi, ho sempre fatto parte di un nutrito gruppo di ribelli-" "I medesimi che ti hanno fatto il tatuaggio, giusto?" lo interruppe Duncan per chiedere conferma. L'altro annuì, abbassando per qualche secondo lo sguardo contro la propria mano.
"Eravamo molti e cercavamo in ogni modo di fermare il Governo. Però, un giorno, ci scoprirono. Thomas era così piccolo..." ricordò affranto l'uomo "Gli dicemmo di nascondersi dentro un mobile che si trovava in cucina. I repressori non controllarono neppure vagamente lì, certi che fosse troppo piccolo per un uomo. Non avevano tenuto conto del bambino." un leggero sorriso, lungo solo qualche secondo, apparve sul volto di Edward, prima di essere nuovamente sostituito dal dolore "Io e Helen venimmo accusati. Anche lei faceva parte della resistenza. Ci spedirono nella Desert_Zone in poche ore. Lei... Lei morì a causa di un'infezione." Duncan notò un odio profondo negli occhi dell'uomo, ed allora domandò di più.
"L'avevano ferita loro, vero?"
"Prima di condannarci, la percossero ripetutamente, lasciandole anche ferite serie, molto profonde. Una di esse si infettò dopo pochi giorni dall'arrivo, e non potei fare nulla." Un singhiozzo percosse il trentaseienne "La onorai sino all'ultimo istante, e la seppellii vicino al confine."
Nessuno disse esplicitamente 'fine', ma Duncan seppe che, con quelle ultime parole, la storia aveva raggiunto il termine. Si sentiva male, e poteva solo lontanamente immaginare quanto fosse stato insopportabile il dolore che aveva provato l'uomo al suo fianco e, probabilmente, se solo non fosse stato così disperatamente certo che esattamente Edward era il padre del ragazzo che conosceva, gli avrebbe lasciato qualche attimo per piangere i propri morti.

"Forse Thomas sta bene."
"Forse." concordò l'uomo, lanciando una breve occhiata al cielo limpido. Puntò poi lo sguardo contro quello di Duncan "O forse gli hanno violentato la mente, ed ora è solo un'altra marionetta all'interno di questo enorme teatrino."
Il punk strinse la mascella, e prese un profondo respiro. Come avrebbe dovuto fare? Come avrebbe dovuto rivelargli le sue ipotesi ed i suoi dubbi? Come esattamente?

"Io penso di conoscere tuo figlio."
Lo aveva detto tutto d'un fiato, tenendo gli occhi chiusi e buttando fuori dal suo corpo un peso dall'inaudita portata. Quando sollevò nuovamente le palpebre, ciò che vide nel volto dell'uomo al suo fianco fu una buona soluzione a base di timori e stupore.
Sì, dire la verità era stata la scelta più saggia.
"C-Cosa?"
I due si erano fermati, obbligandosi ad una certa distanza dal resto del gruppo. Udendo quella domanda balbettata e sconvolta, Duncan non potè fare altro che annuire, mentre si spingeva sempre più nelle tasche le mani. Era agitato; sentiva il cuore sul punto di esplodergli,  e temeva le reazioni che avrebbe potuto ostentare Edward. Infondo il punk era appena entrato nella sua vita, ed ora gli stava rivelando senza troppe censure di conoscere il figlio che l'uomo non aveva potuto neppure crescere.
"Che significa?" lo richiamò immediatamente il trentasienne, mentre una bizzarra luce prendeva possesso dei suoi occhi da parecchio intaccati dal dolore. Afferrò bruscamente il braccio del militare, così da accostarlo maggiormente a sé e, dopodichè, ispezionò con attenzione il suo sguardo. Duncan non si ribellò, comprendendo bene quelle azioni così improvvise. Edward stava cercando una traccia di verità, una speranza che gli permettesse di confidare in qualcosa.
"E' la verità. Qualche anno fa incontrai un No-One durante una pattuglia." si apprestò a narrare l'ex-repressore "Aveva gli occhi verde brillante ed i capelli castani. Portava con se un'arma e, nonostante avessi il chiaro compito di eliminarlo, non lo feci." rivelò sincero il moro, facendo sussultare l'uomo di fronte  a lui "Lo presi con me, e gli feci da garante. Ora come ora, il suo nome all'anagrafe è Thomas Smitt."
Edward arretrò di qualche passo, come scottatosi, bisognoso di respirare. Aveva lo sguardo basso e sconvolto, la fronte corrugata e la bocca semiaperta. Era immobile, le mani irrigidite contro i fianchi ed il respiro pesante. Restò a lungo in quella posizione, e Duncan non si mosse da dove si trovava. Infine, quando la notizia parve essere stata assorbita, Edward puntò i propri occhi chiari contro quelli azzurri del punk.
"E come sta ora?"
"L'ultima volta che l'ho visto non stava esattamente bene, ma... Ma scommetto che ora sta molto meglio!" Cercò di spiegare Duncan, facendo riferimento alle condizioni in cui lo aveva visto per Zoey, agli attacchi di panico ed alla confusione alla quale era stato costretto.
L'uomo più anziano annuì un paio di volte, per poi riprendere parola "E... E da che parte sta?"
"E' con noi. E' contro il Governo. E' molto coraggioso."
Un sorriso sincero si delineò sul volto di Edward. Duncan avvertì l'ansia dissolversi in pochi, brevi istanti. Aveva visto più volte sorridere il trentenne, ma mai in modo tanto sollevato ed allegro, come se un peso dalla portata impensabile si fosse appena dissolto nel nulla, come per magia.
Pochi secondi dopo, una mano si poggiò con leggerezza sopra la spalla del punk. Immediatamente il ragazzo alzò lo sguardo, incontrando quello dell'altro. Continuava a sorridergli grato, mentre gli occhi, sempre più lucidi, permettevano a qualche lacrima di traboccare. Edward stava piangendo di fronte a lui, stava esternando un'emozione che andava oltre la comune gioia: era un misto di gratitudine, stupore e strabordante felicità.
"Grazie, Duncan."
Il punk si limitò a ricambiare l'espressione dell'uomo mentre, poco lontano, intravedeva la fine dei binari, e gli alti grattacieli grigi di indianapolis occultare l'orizzonte.


 
***


Qualcuno li aveva contattati.
Dopo che Thomas aveva conquistato il consenso delle persone all'interno dell'ospedale, il caos si era notevolmente placato nell'edificio. E mentre la recluta restava stanziata all'ingresso, dove poteva avere la migliore visuale dei repressori che li circondavano minacciosi -fucili puntati e pistole sfoderate-, un medico era stato lasciato a sorvegliare la stanza delle comunicazioni. Non era accaduto nulla di rilevante per parecchie ore; vi erano state solo un paio di telefonate. In una, una donna diceva loro che la sua città -Stoccolma, se non errava- era quasi stata presa, ed i repressori erano ormai quasi tutti stati colpiti. Nella seconda, invece, la voce di un quarantenne li ringraziava, e prometteva loro che avrebbe combattuto in ogni modo possibile, sfoderando tutte le armi a sua disposizione.
Poi, era arrivato un terzo contatto. Il medico aveva risposto immediatamente, incontrando la frequenza giusta ed immaginando già un ennesimo ringraziamento, una promessa di libertà. Eppure, si era dannatamente sbagliato. Riconobbe immediatamente la voce scaltra ed elegante oltre la cuffie, ed avvertì la pelle trasalire ed il cuore iniziare a pompare in modo più forte. Nel suo corpo circolava improvvisamente un mare di adrenalina, il tutto per evitargli di gridare dal terrore. Quella voce era in grado di insinuarsi sottopelle ed uccidere da una distanza considerevole, se solo avesse voluto. Agnentava ogni possibile speranza e faceva tornare il mondo grigio.

"Voglio parlare con il vostro leader."
Era stata una pretesa quella dettata dalla giovane ispanica, Courtney Alburne, il ministro più maledettamente influente del Governo. Il medico si era alzato dalla propria postazione ed era corso immediatamente verso l'ingresso, superando in modo poco educato pazienti ed infermiere. Si era infine accostato al ragazzo, Thomas, e gli aveva mormorato all'orecchio ciò che stava accadendo. La recluta non si era irrigidita, od altro. Le sue pupille non si erano ridotte a due minuscole fessure colme di terrore ma, al contrario, aveva lasciato a Geoff il proprio fucile, e si era diretto immediatamente verso la stanza delle comunicazioni.
Una volta dentro, si sedette subito di fronte al solo microfono acceso che vi era. Indossò le grosse cuffie scure, e poi parlò, la voce annoiata e stanca, incredibilmente infastidita dall'ennesima interruzione.
"Cosa vuoi?"
"Arrogante il sudicio ragazzetto." fece stizzita la bruna oltre il microfono, facendo trapelare tra quelle parole l'idea di un sorriso maligno e  sadico "Volevo solo farti una proposta."
Un sorriso sghembo si delineò sulle labbra di Thomas "Una proposta? E perchè mai dovrebbe interessarmi qualcosa offerto da te."
"Ho ragionato, ed ho capito una cosa." riprese a parlare la donna, comodamente seduta nel proprio ufficio, anche lei di fronte ad un microfono e con indosso cuffie "Avevi ragione: non posso uccidere senza alcuna ragione trecento cittadini, tra medici e pazienti. Tutti capirebbero tutto." spiegò l'ispanica "Ma, guardandoci in faccia, cos'è rimasto da capire? Hanno bypassato i sistemi di comunicazione. Tutti sanno cosa siamo e che facciamo. Non mi interessa più se uccido o no quella gente." Una risata crudele riecheggiò nelle orecchie del giovane che, sconvolto, si rendeva conto di ciò che la donna gli stava dicendo. Avrebbe ucciso comunque, o tutti oppure...
"Ma, dicendoci il vero, il solo che voglio davvero uccidere sei tu!" esclamò la ragazza "Perciò... Ti propongo qualcosa di incredibilmente vicino alla libertà."
Thomas deglutì a vuoto, passandosi la lingua sulle labbra "Sentiamo."
"Una scelta." l'ennesimo dei suoi folli sorrisi si stagliò sulle labbra di Courtney e, se solo Thomas le fosse stato di fronte, avrebbe probabilmente tremato di terrore "O ti fai avanti ed esci dall'ospedale, condannandoti ad un'eroica morte, oppure, moriranno tutti soffocati da una bomba chimica. Niente esplosioni, niente macerie..."
Un lungo e teso silenzio si fece largo tra i due. La recluta non accennava a volere parlare. Non ne aveva l'intenzione; era così terrorizzato, così incredibilmente pietrificato, che la gola gli bruciava quasi. Immaginava l'ispanica sorridergli oltre il microfono, assottigliare i propri occhi e passarsi la lingua sui denti, e tutto ciò che riusciva a fare lui era restare fermo, con il fiato corto e le ginocchia molli.
"Hai pochi minuti per decidere..." riprese a parlare la bruna "Diciamo... Dieci."
E detto ciò, la chiamata si concluse.

Dieci minuti.
Doveva trovare qualcosa, farsi venire in mente un piano, ed aveva solo dieci fottutissimi minuti.
Non doveva dire nulla agli altri, non poteva. Si sarebbe scatenato il panico, e questo gli avrebbe solo reso la situazione più difficile, più ingestibile. Neppure Bridgette e Geoff dovevano sapere. Li avrebbe tenuti all'oscuro del contenuto della conversazione.

Si colpì la fronte con il palmo della mano destra e digrignò i denti frustrato.
Dannazione, doveva esserci qualcosa da fare. Lanciò un'occhiata all'orologio sulla parete; i secondi passavano. Il tempo era inesorabilmente continuo, disgustosamente assassino e letale. Ed il suo -di tempo- si era ridotto radicalmente.
Forse avrebbe potuto ordinare a tutti i presenti nell'edificio di tappare i condotti di areazione. Niente aria condizionata uguale niente spargimento di gas nocivo. Ma ce l'avrebbe davvero fatta in dieci minuti?
Lanciò un'occhiata all'orologio.
Nove. Nove minuti.

Si alzò, lanciando la sedia oltre di lui, ed uscì dalla stanza delle comunicazioni. Forse gli era rimasto ancora qualcosa, aveva ancora quel fondamentale asso nella manica. Mentre percorreva i corridoi dell'ospedale, si tastò la cintura che gli avvolgeva i fianchi magri, ed un sorriso mesto gli apparve in volto. Forse poteva ancora fare qualcosa.











"Sgombrate l'ingresso!"
gridò Thomas una volta entrato nella stanza. Geoff si voltò confuso verso il giovane, squadrandolo incerto. La recluta non vi diede peso, ed incalzò con la propria richiesta "Avanti! Voglio tutti fuori, e questo e un cazzo di ordine!"
Non servì altro. Immediatamente, medici, infermiere e pazienti uscirono dalla stanza, scalpitando con foga ed infilandosi nei vari corridoi. Non avevano mai sentito il ragazzino urlare con tanta collera, neppure quando aveva fatto per la prima volta irruzione. Soltanto Geoff rimase impassibile, fermo in quella stanza come se nulla fosse effettivamente accaduto, guardando con attenzione il giovane dagli occhi verdi e sperando affinchè la notizia che stava per dargli fosse anche solo lontanamente positiva.
"Qualcosa non ti è chiaro?" gli domandò invece altezzoso ed arrogante Thomas, facendolo sussultare. Non si era mai comportato così, forse solamente quando ancora credeva di potere affidarsi al Governo, quando Duncan gli aveva permesso di credervi. Il biondo si mosse fermamente in direzione del diciottenne, il fucile tra le braccia e la determinazione nello sguardo.
"Dimmi cosa sta succedendo, Thomas."
Un sorriso beffardo nacque sul volto della recluta, mentre il suo sguardo vagava in direzione dell'orologio più vicino.
Sette minuti.
"Pensa a Bridgette e non infastidirmi."
Il nome della ragazza fece scattare sul posto Geoff che, allarmato, iniziò subito a guardarsi attorno. Bridgette era stanziata sul retro dell'edificio, parecchio lontano da quel punto dell'ospedale.
"Va da lei e basta." mentì quindi Thomas, facendo credere al biondo che vi fosse una qualche urgenza, qualcosa di davvero spaventoso. Si sarebbe reso conto che era una menzogna troppo tardi, che Bridgette stava bene. Lo avrebbe realizzato solo quando il peggio era ormai accaduto. Sapeva che il ragazzo non avrebbe mai permesso alla propria amata di rischiare la vita e, probabilmente, fu quella la mossa vincente.
"Ma poi mi spieghi tutta 'sta faccenda, ok?"
La recluta sorrise, per poi annuire. Pochi istanti dopo, Geoff aveva già lasciato l'ingresso, ed i suoi passi riecheggiavano lontani nei corridoi bui a causa della corrente che il Governo aveva recentemente  staccato loro. Thomas sospirò sollevato, per poi prestare un'ennesima occhiata all'orologio sul banco informazioni dell'ospedale.
Sei minuti.

Prese un profondo respiro mentre, silenzioso e sorridente, di un sorriso orribilmente fragile, si faceva strada verso l'entrata che era stata sbarrata da piccoli mobili e scaffali. Utilizzando tutta la propria forza, spostò ogni singolo oggetto che gli ostruiva il passaggio, e non appena rivide la porta stagliarsi chiaramente di fronte a lui, comprese che era giunto alla fine.
Allungò una mano e spinse leggermente, ritrovandosi presto all'esterno dell'edificio. Attorno a lui udiva unicamente caos: grida di cittadini e spari continui, sirene ed elicotteri. Poi, di fronte a lui, un'armata composta da una trentina di repressori faceva da scudo umano a Courtney, poco distante. La mora sorrideva maligna, fiera di sé, in piedi al centro di quella barricata fatta di carne viva e fucili.

"Quindi hai scelto di morire,  ragazzetto."






















 

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Capitolo 39
*** Desert_Zone cap.39 [+ Epilogo] ***


 
Desert_Zone


cap.39


[& Epilogo]




















Bastò solo qualche altro minuto per raggiungere la stazione della ferrovia sopraelevata. Avevano temuto sin da principio che avrebbero trovato innumerevoli guardie ad attenderli, ma dovettero rimanere ben più che sorpresi nel constatare che l'edificio era quasi completamente vuoto. Gwen notò in particolare un cartello sul quale erano scritte poche, meravigliose parole: 'Traffico dei mezzi pubblici sospeso per controlli. Possibile pericolo-terroristico'.
Riuscirono perciò a muoversi abbastanza velocemente, superando innumerevoli corridoi senza alcun problema. Solo in corrispondenza dell'ingresso incontrarono un paio di repressori, ma riuscirono a neutralizzarli in fretta, cogliendoli di sorpresa. Una volta giunti sulle strade affollate di Indianapolis rimasero decisamente sconvolti; il caos dilagava. Le strade erano completamente bloccate: se solitamente vi circolavano con parecchia frequenza innumerevoli volanti, in quel momento vi erano solamente auto immobili e furgoni incidentati. Suoni di sirene riecheggiavano a vuoto nell'aria, misti a spari continui e grida di civili. Gwen avvertì un brivido percorrerla.
"E' cominciata." mormorò quindi la dark, riferendosi alla guerra,  facendosi avanti in mezzo ai marciapiedi vuoti e guardandosi attorno. Quella zona della città non era particolarmente affollata, ma immaginava la confusione che avrebbero incontrato di lì a poco, nel resto del paese. La raggiunse presto Duncan, lo sguardo ridotto a due piccolissime fessure, che osservava con fare incuriosito uno dei tanti megaschermi posizionati sopra le ampie facciate degli edifici.
Le immagini risultavano poco chiare, e si alternavano servizi di notiziari governativi, con testimonianze delle ribellioni che erano improvvisamente scaturite. La sola cosa che sembrava avere un senso logico era l'audio.
"Siamo in diretta dall'ospedale nel centro cittadino, quello preso dai ribelli." Disse una voce femminile e professionale, solo leggermente alterata dagli avvenimenti che la circondavano. Doveva trattarsi di una giornalista particolarmente coraggiosa che, pur di fare il bene del proprio amato Governo, si era diretta in prima linea dove combattevano.
Lo sguardo di Scott di spalancò d'improvviso. Il rosso puntò i propri occhi  contro la figura di Duncan, incontrandolo irrigidito e quasi tremante. Dovevano essere giunti alle medesime deduzioni.
"Il sistema di comunicazione visiva è compromesso, ma posso comunicare con voi grazie all'audio. Qui si stanno nascondendo un paio di ribelli, di cui uno particolarmente pericoloso, a detta del ministro Alburne." la voce prese una breve pausa, mentre il microfono registrava a fatica la vocetta acuta della donna "Secondo le informazioni ottenute, il ragazzo si chiama Thomas No-One, ormai ex recluta dell'esercito governativo. All'anagrafe era stato registrato con il cognome 'Smitt', quello del famoso ex repressore deceduto qualche mese fa in modo molto tragico." un'ennesima pausa, mentre le mani non solo di Duncan avevano preso a tremare frebbilmente. Sia Gwen, che Scott, che Noah, che Heather avevano compreso di chi si trattasse. Ed ovviamente, anche Edward era giunto alla conclusione giusta. Suo figlio aveva scatenato quella guerra.
"Hanno dato un ultimatum al giovane, ed ora sembra essersi arres-" "Dobbiamo muoverci." ordinò immediatamente la dark, decisa a smettere di ascoltare le parole provenienti dal megaschermo. Subito, tutta la resistenza si voltò verso di lei, gli sguardi improvvisamente al suo servizio. Gwen si impose la calma; quello non era minimamente il momento per pensare a quanto pesante fosse il potere che deteneva, quante vite contassero sulla sua determinazione a sconfiggere il nemico. In quel momento, la sola dannata cosa a cui doveva pensare, era salvare Thomas. Doveva farlo per Duncan.
"Da che parte è l'ospedale, Duncan?" domandò la mora, posando una mano sopra quella di lui, il quale, avvertendo quel contatto così caldo e confortante, puntò il proprio sguardo in quello dell'amata. Per qualche istante, la ragazza avvertì il mondo crollare e le possibilità di riuscita scemare. Gli occhi di Duncan tremavano, la pupilla era ridotta ad un punto invisibile e quell'azzurro solitamente così acceso e profondo, ora era chiaro quanto il vetro più fragile del mondo.  Se il militare era così preoccupato, non vi erano davvero speranze?
"Ce la faremo, Duncan. Te lo prometto." gli mormorò, tentando di esibire un sorriso leggero, sperando che la sua voce non stesse davvero tremando così tanto come le sembrava.
Il militare prese un profondo respiro, per poi annuire. Dovevano farcela, non era più questione di speranza. No, ora era dovere. Era un compito dall'urgenza massima. Chiuse gli occhi, per poi riflettere.
"Siamo vicini." schiuse le palpebre, per poi puntare il proprio sguardo in quello di Edward, poco lontano. L'uomo lo osservava impallidito e timoroso "Possiamo farcela."


 
***

Una cerchia di repressori erano stanziati attorno alla bella ispanica con il preciso obiettivo di proteggerla.  Più in lontananza, un gruppo di sorridenti Gentiluomini osservavano la scena immobili. Si trovavano esattamente di fronte alle porte dell'ospedale, e le canne di ogni, singolo fucile puntavano con severità e precisione il petto del giovane No-One.
Thomas, di fronte a loro, avanzava lentamente, le mani in alto in segno di resa e lo sguardo impenetrabile.

"Hai scelto la morte, quindi?" domandò sarcastica la donna, facendosi beffe dell'amore che provava il ragazzo, di quella folle speranza che gli permetteva di credere nell'umanità "Che sciocco. Non capisci?" gli domandò poi, mentre lui deglutiva a vuoto "L'uomo è stupido. Tu speri davvero che le persone che hai convertito alle tue credenze di libertà continueranno a credervi una volta che il loro messia sarà morto? Una volta che tu sarai morto?"
Una risata spietata di fece largo dalle labbra della bruna, facendo rabbrividire tutti i presenti. La giornalista che stava mandando avanti la diretta si trovava poco lontana, e poteva registrare ogni singola parola. Era ammutolita ed ora osservava semplicemente la situazione, anche lei avvertendo le gambe molli a causa di quelle folli risa. Era incredibilmente terrorizzata.
"Non rispondi?" domandò Courtney, notando il silenzio protendersi "Beh, è comprensibile. Ti stai sacrificando per una nobile causa, però. Sii fiero almeno di questo." e con queste parole, la donna sfoderò una piccola pistola dall'interno della propria giacca. Sorridendo sghemba la puntò contro il volto del ragazzo, per poi caricarla. Improvvisamente attorno ai presenti era calato un silenzio colmo di aspettative e tensione. Poi, qualcosa di incredibilmente folle lo ruppe.
Thomas le stava ridendo in faccia, il ragazzo non aveva potuto resistere alla tentazione di scoppiare in una sincera risata di fronte le parole dell'ispanica, ed ora Courtney lo stava squadrando oltraggiata. La pistola, prima così dritta e perfettamente puntata, stava ora tremando nervosa.
"Che diavolo hai da ridere adesso?" domandò improvvisamente acida la bruna, fulminando il giovane di fronte a lei con il proprio sguardo furioso. Non poteva crederci; nessuno aveva mai riso di fronte alla propria esecuzione. Eppure, quel ragazzino non la smetteva un attimo.
Thomas scosse il capo, per poi lanciare un breve sguardo al firmamento sempre troppo azzurro e limpido "Sei..." prese una pausa, abbassando le mani lungo i fianchi "Sei davvero così certa di ciò che dici? Sei davvero così convinta della cinicità delle persone? Io non sono d'accordo." si apprestò a dire il ragazzo "Mi fai ridere. Pensi... Pensi davvero che tutto questo si possa fermare?" e dicendo ciò allargò le braccia, riferendosi al senso di ribellione che imperversava "E' inziata una rivoluzione che aspettava di venire a galla da più di vent'anni!" esclamò sghignazzando "L'uomo è stanco, e necessita di credere nella possibilità che tutto possa andare bene. E spesso, ciò che si sogna per tutta una vita, si avvera per davvero. Forse il Governo non ha fatto solo sbagli." Thomas si passò la lingua sulle labbra "Ci ha resi uniti contro un nemico comune."
Gli occhi di Courtney si assottigliarono, divenendo affilati come lame di un coltello. Quele parole la stavano facendo infuriare. Non poteva credervi. Non voleva farlo.
"Ed in questi casi, l'uomo diventa incredibilmente forte." improvvisamente, Thomas puntò il proprio sguardo contro la videocamera della giovane giornalista, e sorrise, deciso a parlare con il mondo in ascolto "Se è vero... Se c'è una possibilità di tornare a saggiare il sapore della libertà, sappiate che è giunta. E, per favore..." un sorriso mesto, fragile e stanco gli tese le labbra "Fate in modo che ciò che sto per fare, abbia un senso in tutto questo."
E detto ciò, Thomas affondò la propria mano destra in una tasca, e vi estrasse un piccolo oggetto -grande quanto un pugno- dalla forma sferica, leggermente allungato. Riprese a camminare verso Courtney e, dalla cima di esso, vi sfilò un minuscolo chiodino in ferro.
La bruna lo squadrava non capendo. Il  chiodo era a terra, e tintinnava rumorosamente sull'asfalto, rimbalzando come una monetina. Thomas continuava ad avanzare. Camminava spedito, tenendo la mano occupata alzata di fronte a lui. Courtney ragionava, cercava di pensare, l'ardenalina in circolo, ma era troppo tardi.
E Thomas, quel dannato No-One, le era giunto di fronte, a pochi centimentri dal suo viso.

E le sorrideva, le sorrideva come se nulla fosse mai stato più importante di quel momento.

Poi, un'esplosione.
La granata era saltata.










"No!" 
L'urlo di Duncan, a seguito di una furiosa esplosione, fece voltare tutti i ragazzi verso il punk. Senza dire nulla, il militare prese a correre, il cuore a mille e gli  occhi umidi di lacrime. Erano a pochissimi metri dall'ospedale, il punto da cui era giunta l'espolosione. Subito gli furono tutti alle spalle, anch'essi correndo a perdifiato verso una meta non del tutto conosciuta.
Gwen era abbastanza sicura di avere intuito ciò che era accaduto, mentre Edward sperava con tutto se stesso di essere in errore. Cosa poteva fare gridare in modo tanto graffiante un uomo che aveva assistito alle peggiori delle torture? Cosa poteva essere in grado di struggergli in modo così dannatamente doloroso l'animo?
La risposta era ovvia, ma il trentaseienne non voleva neppure prenderla in considerazione. Non poteva farlo. Non poteva pensare che quello che il militare considerava un fratello -quello che per lui era un vero e proprio figlio- potesse essere stato coinvolto nell'esplosione che aveva appena udito.
Eppure, quando giunsero di fronte all'ospedale, i dubbi inziarono a divenire pura e cruda realtà. Si erano mossi in fretta, ma era comunque troppo tardi. Un tanfo di sangue e polvere da sparo saturava l'aria orribilmente. Vi erano innumerevoli corpi a terra, sia morti che feriti. Le schiere così ben architettate del Governo erano state spazzate via dall'esplosione di una granata, si disse il punk, incontrando a terra ciò che riconosceva come l'innesto della bomba a mano. Riconobbe moltissimi repressori, sanguinanti e privi di arti, completamente ridotti in poltiglia. I più fortunati erano morti sul colpo, mentre gli altri erano stati dilaniati orribilmente, ed ora gemevano stesi a terra in pozze del loro stesso sangue, affogati da quel liquido disgustosamente denso e ferroso che entrava loro nei polmoni.
Poi, in mezzo alle divise militari a cui il punk era sempre stato incredibilmente avvezzo, Duncan notò un completo comune che lo fece rabbrividire. Si trattava di una figura giovane e snella, con il viso a terra, contro l'asfalto bollente della strada. Con uno scatto veloce, il moro si accostò a quel corpo immobile . Lo prese tra le braccia e lo voltò, così da vedergli il viso, e tremò visibilmente riconoscendone i lineamenti.
Gwen gli fu al fianco in pochi secondi, e trattenne a stento un conato di vomito nel verificare lo stato del corpo di Thomas. Gli occhi iniziarono a pizzicarle e la saliva divenne improvvisamente più densa. Si portò una mano sulle labbra, come in un disperato tentativo di nasconderne l'improvviso tremolio. Poi, tutto d'un colpo, il dolore la attraversò, facendola cadere a terra in ginocchio. Singhiozzò in modo incontrollato, per poi colpire con forza il catrame sotto di lei, avvertendo in risposta un immediato intorpidimento della mano. Non le sembrava possibile. Non affrontava un dolore simile da quando aveva perso i suoi genitori, ed aveva sempre pregato affinchè non accadesse mai. Eppure, proprio in quell'istante, un familiare vuoto la stava divorando completamente, si stava nutrendo della sua vita, la stava assorbendo totalmente.
A lei stava simpatico Thomas, gli piaceva il suo modo di fare. Ed ora... Ed ora era nulla.
E se Gwen si sentiva così, dall'altro lato, Duncan stava anche peggio. Sentiva ancora il battito cardiaco debole del giovane, ma sapeva con estrema certezza che non ce l'avrebbe fatta. Il viso era distrutto, un braccio era saltato in aria, ed al centro del petto vi era un grosso foro sanguinolento. Non poteva sopravvivere, e questo lo stava uccidendo più di quanto avrebbe potuto farlo un semplice colpo di pistola.
"Ti prego, Tommy..." singhiozzò Duncan, poggiando il capo contro la sua fronte e tremando "Non puoi..." disse, stringendo maggiormente la presa attorno al suo corpo "Non puoi!" ribadì poi gridando, facendo sussultare sul posto il resto della resistenza. Suo fratello non poteva lasciarlo così. Non poteva assolutamente fargli una cosa del genere, non dopo che era andato nella Desert_Zone e vi aveva tirato fuori suo padre, quello vero. Quello che avevano creduto essere defunto.
Edward, poco lontano,  si mosse lentamente, giungendo presto al fianco del militare. Si chinò a terra senza dire nulla. Osservò il viso del figlio che aveva a lungo perso e ne sfiorò il profilo con leggerezza. Un brivido lo percorse totalmente. Gli somigliava, constatò con dolore, avvertendo con chiarezza la sensazione di un coltello perforargli spietatamente le membra. 
Si sentiva così... Insicuro. Doveva essere felice? Doveva essere felice di avere ritrovato suo figlio? Di avere saputo che aveva vissuto una vita piena? Di avere saputo che aveva combattuto sino all'ultimo dannatissimo istante in nome di una giustizia davvero importante?
Beh, Edward non era felice. Non vi era nulla in lui che potesse  farlo sentire felice. Era fiero, ma non vi era nulla di simile alla gioia che si stava spandendo in lui. Vi era solo un dolore immenso mischiato ad un orgoglio paterno inquiparabile. 
Lanciò uno sguardo veloce a Duncan, ed il militare immediatamente capì. Si allontanò dalla giovane recluta, lasciandola tra le mani amorevoli del padre, e si avvicinò invece  a Gwen, distrutta in un mare di lacrime e dolore.


Edward tremò, per poi scoppiare finalmente a piangere. Colto da un improvviso senso di bisogno e vuoto, decise di depositare sulla fronte del proprio giovane figlio un leggero bacio. E, quasi come per magia, Thomas schiuse le palpebre leggermente. Osservò di sottecchi l'uomo che lo teneva disperatamente tra le braccia, e poi sorrise semplicemente. Non vedeva bene, gli occhi sembravano appannati, ma fu certo che la persona al suo fianco fosse buona.
"C-Chi sei?" domandò con un filo di voce il diciottenne, trattenendo ogni singolo grido di dolore, deciso a morire con dignità. Se possibile, Edward singhiozzò ancora più forte di prima, tuffandosi su suo figlio e piangendo disperato. Thomas non capì.
"Ho fatto s-saltare l-la gr-granata. S-Sto morendo." constatò quindi il ragazzo con semplicità, avvertendo ogni parola come un immenso sforzo "V-Vorrei che Du-Duncan mi av-avesse visto."
Edward annuì a vuoto molte volte, per poi deglutire "Lui è qui. Sono tutti qui. Tutti i tuoi amici." prese un profondo respiro "Anche io sono qui. Dio, Tommy, mi dispiace tantissimo. Sono così tanto fiero di te!" mormorò il trentaseienne, con il volto ricolmo di lacrime. Sentiva  i muscoli del figlio tremare, e comprese immediatamente che si trattava dei suoi ultimi spasmi di vita. Avrebbe voluto con tutto se stesso che Thomas capisse che...
"P-Papà?"
Edward sgranò gli occhi ed annuì "Sì, sì figliolo. Sono io, sono qui."
Il ragazzo sorrise sinceramente per l'ultima volta in tutta la propria vita "S-Sono felice. Sei vivo."
E poi, quegli occhi verdi, profondi quanto gli smeraldi più pregiati, si chiusero per sempre.











Anche Courtney era rimasta ferita gravemente, in modo mortale. Eppure, non fu il tempo o l'emorragia ad ucciderla, quanto la canna della pistola di Gwen puntata esattamente contro la fronte dell'ispanica.
E con quell'ultimo sparo, tutto parve improvvisamente più sano e giusto.
"Ora possiamo finalmente piangere i nostri morti."






 I timori, i repressori, il Governo, i Gentiluomini e la Desert_Zone vennero smantellati. Lentamente, città per città, il popolo riuscì ad ottenere nuova libertà e vita. Nessuno venne più costretto ad una morte indegna o ad un carcere ingiusto. Dopo pochi mesi venne instaurata una democrazia giusta e del popolo, qualcosa di cui il mondo non aveva sentito parlare a lungo.

Ci volle tempo a placare definitivamente le ansie del popolo, ma alla fine i timori svanirono, e le persone riuscirono a tornare degne di esse definite umane. Improvvisamente avevano tutti i medesimi diritti, ognuno indossava gli abiti che desiderava, e l'amore era tornato ad esistere. Non vi erano più matrimoni combinati, né guardie con il compito di eliminare a vista chiunque stesse trasgredendo ad una qualche folle legge. Non vi fu la possibilità di recuperare gli antichi documenti, ma gli abitanti più anziani del mondo riuscirono a comporre una nuova costituzione, qualcosa su cui fare affidamento senza remore.

Il merito della rivoluzione ricadde sull'ex recluta Thomas, morto per salvare il mondo, per permettere all'umanità di andare avanti. Le sue ultime parole, quelle che ribadivano quanto lui avesse creduto nelle persone, le conoscevano tutti: dai bambini più giovani ed ingenui, agli anziani. E suo padre, Edward, andò avanti, passo dopo passo, confidando anch'egli nella forza che il popolo poteva dimostrare di avere.

Zoey si riprese senza subire gravi danni, e tornò dai propri genitori non appena ne ebbe l'opportunità.

Gwen e Duncan riuscirono a vivere il sogno che si erano rivelati l'un l'altra, ed ebbero una famiglia, una vera, con dei bambini felici, che giocherellavano spensierati nel giardino di casa. Nulla disturbò più la loro quiete, se non i continui capricci di Thomas, il primogenito.
Allo stesso modo anche Geoff e Bridgette riuscirono ad avere  una famiglia sulla quale riversare il loro incondizionato amore.

Noah, grazie ai suoi studi, riuscì a riportare in vita gli antichi metodi di guarigione che il Governo aveva bandito. Portò inoltre avanti il suo studio sulle cellule staminali e la possibile riproduzione di neuroni.

Scott andò a capo delle nuove forze dell'ordine, impartendo ai nuovi membri un addestramento degno di nota, molto più elevato di quanto poteva essere stato quello degli spietati repressori. Insegnò ai soldati la giustizia e la parità, e si impegò più che mai nel mantenere la pace.

Infine Heather tornò a scrivere i propri libri, e raccontò la storia alla quale aveva preso parte: quella di due innamorati così diversi tra loro, eppure così improvvisamente uniti per un fine comune. Narrò di una prigione nella quale aveva vissuto a lungo. Raccontò di un giovane che sacrificò la propria vita per dare una nuova possibilità al mondo, e decise di intitolare quel proprio libro 'Desert_Zone'.
E quella fu la prima, vera testimonianza della loro incredibile verità.




























































 
Angolo dell'autrice!
Ehi, io... Io non so che dire T_T
E' finita! Dopo più di un anno di scrittura, ho ufficialmente finito di scrivere questa fanfiction che mi ha consumata totalmente! Mi sono impegnata moltissimo riguardo la trama, e le tematiche, e spero che -almeno in parte- vi abbiano emozionato.

Come, molti capitoli fa, disse Gwen, è stata l'avventura più bella, e riterrò questa ff per sempre una delle mie migliori riguardanti TD. Non ho mai scritto così tanti capitoli per una long, né ho mai ricevuto tanti consensi, quindi grazie! Spero di ricevere qualche parere e, se vi interessa vedere la mia ff anche su youtube, andate nel canale di Kishinpain! ahah!


Ciao a tutti ♥

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