Ci sono cose più importanti di nascondermi da me stesso

di Balaclava
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oggi decido io ***
Capitolo 2: *** Back to basic ***
Capitolo 3: *** Try ***
Capitolo 4: *** Is this real love? ***
Capitolo 5: *** Nessuna esitazione ***
Capitolo 6: *** L'importanza di avere Grace come amica ***
Capitolo 7: *** Ringo chiama Cole ***
Capitolo 8: *** Cole deve trovare una soluzione ***
Capitolo 9: *** Appigli e cure ***
Capitolo 10: *** Non conosco la differenza tra il non combattere e l'arrendersi ***
Capitolo 11: *** Cause nothin' lasts forever ***
Capitolo 12: *** Non c'è nessun Me e Cole, ok? ***
Capitolo 13: *** Ci abbiamo provato ***
Capitolo 14: *** Per sempre ***
Capitolo 15: *** Il tuo morbo mi ha infettato ***
Capitolo 16: *** Le persone cambiano...? ***
Capitolo 17: *** Io l'adoro ***
Capitolo 18: *** I muri non servono a niente ***
Capitolo 19: *** Un anno fa- parte 1 ***
Capitolo 20: *** Un anno fa- parte 2 ***
Capitolo 21: *** Non ho mai voluto iniziare una guerra ***
Capitolo 22: *** Non mi spezzerò ***
Capitolo 23: *** Cedere ***
Capitolo 24: *** Il mio polso accelera ***
Capitolo 25: *** Cambiare idea ***
Capitolo 26: *** Sparirà ***
Capitolo 27: *** Stiamo per esplodere ***
Capitolo 28: *** Occhi negli occhi ***
Capitolo 29: *** Voglio dimenticare ***
Capitolo 30: *** Changes ***
Capitolo 31: *** Sei mia(?) ***
Capitolo 32: *** Fear(less) ***
Capitolo 33: *** Finalmente ***
Capitolo 34: *** Scompaio(Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Oggi decido io ***


Oggi decido io
Oggi sono cambiato
Oggi è un giorno mio
Vivo tutto d’un fiato
(The Sun, Non ho paura)
 
ISABEL
                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
Fissavo il soffitto.
Ero stesa sul letto a chiedermi perchè non fossi scappata di casa. Avrei potuto andare da Beck…o da Sam. Ormai non sapevo più di chi era quella casa!                                                                         
In California avevo avuto una brutta sorpresa: non avrei più potuto essere la stronza regina di ghiaccio di un tempo, se volevo degli amici, perchè una ragazza che alla mia partenza era la classica secchiona aveva apparentemente preso il mio posto. Ed era anche più brava di me, visto che in pratica si prostituiva…
Io avevo sempre rifiutato quel punto. Mi disgustava al tal punto da ignorarlo completamente anche se seguirlo avrebbe voluto dire avere il controllo totale della scuola.
Alcuni quarterback della squadra di football avevano accennato alla cosa ma io avevo sempre rifiutato, con scuse più o meno vere.
La verità era che non mi piaceva quello che stavo diventando e pensavo che se almeno fossi rimasta vergine fino all’avvento del classico bravo ragazzo avrei potuto mantenere un minimo di integrità.
Con Cole quelle convinzioni erano crollate. La prima volta che l’avevo visto, mi era subito venuto in mente quello. E non se n’era più andato fino a quando lui mi aveva rifiutata. Lì qualcosa si era rotto, spezzato, sparito. Era crollata la convinzione che lui mi volesse solo per un motivo e così era crollato anche il mio, di pensiero. Allora avevo cominciato a vederlo per quello che era, a cominciare da quando l’avevo visto suonare al pianoforte di mia madre. Per poi proseguire con quel bacio sul letto. E per finire con la telefonata. Ero io la prima che aveva voluto avvertire che era vivo.
Tre mesi. Non avevo ancora scontato neanche un terzo della mia condanna. E già mi mancava.
Cole. Mi mancava la sua voce, la sua bocca, i suoi occhi.
L’ultimo ricordo, ormai quasi svanito, che avevo di lui era quando mi aveva salutata all’aeroporto.
Sam e Grace mi avevano già abbracciato dicendomi che Cole non c’era perchè era un lupo in quel momento. Poi mi avevano detto addio.
Allora avevo deciso di aspettare un po’, per vedere se sarebbe venuto. Se per una volta avrebbe rinunciato alla sua droga personale per me. Avevo aspettato anche troppo, ma prima che potessi incamminarmi lo vidi.
Era appena entrato e si guardava in giro, in cerca di me. Ma non riuscii ad aspettare che mi trovasse con gli occhi e in un secondo ero da lui. Non avevo rallentato neanche quando ero ormai vicinissima, quindi quando lo abbracciai dovette arretrare di qualche passo per non rovinare a terra.
Si voltò e senza dire una parola ricambiò l’abbraccio.
Non l’avrei più rivisto, che senso aveva fingere che non mi sarebbe mancato?
Era questo il ricordo che mi portavo ancora addosso: i suoi muscoli premuti contro di me, la sua testa sulla mia spalla, il suo respiro nell’orecchio, il suono della sua risata, la stessa che avevo sentito in clinica.                                                                                                                                                                                                                                   No, non potevo. Tutto ma non lui. Avevo trovato qualcuno per cui potevo provare qualcosa e adesso non me lo sarei lasciato portare via dai miei genitori.
 
 
COLE
 
Bene, la resa dei conti.                                                                                                                                                                                                                                                                       Come quando hai finito di cantare il tuo pezzo e aspetti la reazione della folla.
Quel terribile momento che potrebbe precederne uno o fantastico o orrendo.
La porta si aprì.

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Capitolo 2
*** Back to basic ***


Ci si sente soli dalla parte del bersaglio
E diventi un appestato quando fai uno sbaglio
(Fango, Jovanotti)
 
ISABEL
 
Sotto una lente del microscopio, ecco dov’ero stata tutto questo tempo.
Avevo sempre cercato di accontentare tutti, stando ben attenta a dare l’impressione di strafottermene della sorte delle persone insulse che mi circondavano quando invece vivevo delle loro opinioni su di me.
Non potevo mai permettermi sbagli, altrimenti la visione generale che tutti avevano di me sarebbe cambiata irrimediabilmente.
Sul sedile di un volo economico- il primo che avevo trovato- riflettevo sulla mia vita.
Poi avevo incontrato Grace. Una delle poche persone vere con cui avevo mai avuto a che fare. E poi Sam, così responsabile e saggio da darmi il voltastomaco. Il loro amore era qualcosa che avevano solo loro. Un equilibrio perfetto tra due persone diverse ma uguali. Due anime che si incastravano perfettamente.
Confrontando il loro amore con lo strano rapporto di me e Cole, provavo quasi imbarazzo.
Ma allora perchè ero diretta a Mercy Falls, Minnesota, per avere sue notizie?
 
COLE
 
Non erano loro. Ok, ero stato lontano tanto tempo e mi ero fatto talmente tanto da non ricordare quando li avessi visti l’ultima volta, ma quelle perone sciupate dalla preoccupazione che mi fissavano increduli non erano loro.
-Ciao- dissi, cauto, sperando di non causare chissà quale crollo psicologico.
Il primo a parlare fu mio padre.
-Cole…entra.
Mia madre scappò in cucina, mio padre mi guidò nel salotto.
-Come state?- chiesi.
-Cole, come ti aspetti che stiamo?! Lo sai già che avevamo accettato, o meglio, convissuto con la consapevolezza che non saresti più tornato a casa, ma crederti morto?! E poi hai preferito chiamare il tuo bassista piuttosto che i tuoi genitori, o tuo fratello! E noi sai da chi lo siamo venuti a sapere che eri vivo? Dai genitori di Victor! Che lo avevano sentito a uno stupidissimo programma alla radio!- esplose mia madre.
Victor. Quel nome mi aveva colto del tutto alla sprovvista. Mi aveva tolto le parole dalla bocca.
-Cole, rispondi! Che ti prende, hai perso la lingua? Ti sei fumato anche quella?- disse mia madre, sempre più arrabbiata, sempre più isterica.
-Mamma, Victor è morto- sputai in un rantolo.
Il tempo si fermò. I miei genitori conoscevano molto bene Victor, era stato un grandissimo amico.
Avevo voglia di scappare lontano da quei sensi di colpa che mi affliggevano al solo pensiero. Ma avevo promesso a Victor che non sarei più fuggito. Da niente.
-Victor è morto- ribadii, con voce appena un  po’ più ferma. –Non ce l’ha fatta.
-Quando?- chiese mia madre.
-Poche settimane dopo del nostro arrivo nel centro di riabilitazione- affermai, usando l’alibi gentilmente offerto da Jeremy.
-Bisognerà dirlo ai suoi genitori. Dio, povera Angie!- disse mia madre scuotendo il capo. Avevo bisogno di uscire, di respirare a pieni polmoni o di vedere Isabel.
-Che ci fai qui, Cole?- mio padre parlò per la prima volta dopo il delirio di mia madre.
Non avevo una risposta precisa a quella domanda. Avevo solo un’idea che stava prendendo forma, e fu quella che esternai.
-Credo di essermi stancato di ostentare l’onnipotenza. Voglio solo avere un po’ di pace.
-Cole?- una voce nuova prese parte alla discussione. Mio fratello era ai piedi delle scale di marmo, pronto per uscire.
-Alex.- dissi a mò di saluto. Io e lui non avevamo avuto tutto ‘sto rapporto prima che io abbandonassi la scuola. Lui era il più grande, festaiolo e menefreghista. Io invece per un po’ di tempo ero stato un bravo figlio. Non avevamo niente in comune e nessuna speranza di andare d’accordo. Quando lasciai la scuola iniziammo a conoscerci e io lo misi al corrente del progetto nascente dei NARKOTIKA. Poi me ne andai di casa.
-Da quanto tempo- disse, beffardo. -Io esco, comunque- aggiunse rivolto ai due adulti.
In fondo non eravamo poi così diversi: tutti e due ostentavamo la stessa indifferenza al mondo, tutti e due eravamo stati caricati troppo di progetti che non ci appartenevano, tutti e due eravamo scappati. Eravamo due codardi.
-Ho bisogno di dormire- disse mia madre, come se tutto a un tratto fosse consapevole della sua stanchezza.
-Cole, la tua stanza è sempre al solito posto- aggiunse mio padre, con un malcelato invito ad eclissarmi.
Una volta sul materasso privo di lenzuola pensai a ciò che era appena avvenuto.
Non mi aspettavo festoni e una torta di benvenuto, ma di certo neanche tutta quell’indifferenza. “Cole, la tua stanza è sempre al solito posto”. Come se fossi appena tornato troppo tardi da una festa invece che da parecchi mesi a “disintossicarmi” e altrettanti anni senza vederli.
 
ISABEL
 
Non sapevo se andare sulla penisola o a casa di Beck-Sam.
Alla fine optai per la penisola.
Una volta di fronte alla casa mi fermai un attimo per analizzare la situazione.
Erano accese  alcune luci al piano terra, per il resto la casa era addormentata. Mi ritornò in mente la sera che avevo trovato le luci di casa di Beck-Sam tutte accese. Come mi ero sentita combattuta tra ammirare o odiare il modo in cui Sam affrontava quella forzata lontananza da Grace.
Fu quando mi avvicinai a una delle finestre che li vidi. Grace era distesa sul divano, sotto a Sam, la cui mano stava percorrendo la cosca di lei fino ad arrivare al bordo della maglietta. Si stavano baciando come se niente fosse più importante e la cosa che mi uccise fu tutta la dolcezza mischiata a desiderio che c’era nei loro occhi e nei loro sorrisi quando allontanarono le bocche l’una dall’altra, solo per farle rincontrare con maggior foga.
Mi tirai indietro come se avessi visto un fantasma.
 
Ero appena arrivata a casa di Sam. La porta principale era chiusa, così feci il giro della casa fino alla porta sul retro e la aprii.
Cole non c’era. Possibile che fosse sulla penisola?
Non lo sapevo, ma non volevo godere ancora della vista di due giovani amanti che si dimostravano il loro amore.
Sapevo che la stanza gialla era ormai di Cole, ma era troppo intrisa di dolore per me.
Scelsi la camera di Beck, e perfino lì trovai rifugio nell’odore di Cole.

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Capitolo 3
*** Try ***


When there is desire
There is gonna be a flame
Where there is a flame
Someone’s got to get burned
But just because it burns
Doesn’t mean you’re gonna die
You gotta get up and try, try, try
(Dove c’è desiderio
c’è una fiamma
dove c’è una fiamma
qualcuno è destinato a bruciarsi
ma solo  perchè  brucia
non vuol dire che morirai
devi alzarti e provare, provare, provare)
(Pink, Try)
 
ISABEL
 
Imprecai contro al letto sfatto. O forse avrei dovuto farlo contro di me, visto che non mi ero neanche tolta la giacca prima di crollare addormentata.
Fatto sta che ora ero tutta intorpidita e i muscoli del collo mi facevano un male cane per il cuscino troppo alto e duro e tutti gli altri muscoli non ne volevano sapere di reggermi in piedi perchè il mio corpo si era rifiutato di rilassarsi durante la notte.
Ero a pezzi, eppure non potevo perdere altro tempo.
Pensare che i miei genitori alloggiavano a pochi chilometri da lì mi faceva montare ancora di più la rabbia.
Uscii sul vialetto e salii sulla piccola auto che mi avevano dato a noleggio. In confronto al mio confortevole e caldo SUV, quello era più che un catorcio. Ma avrei dovuto accontentarmi.
Mi ero svegliata molto presto nonostante la stanchezza che mi gravava sulle palpebre truccate, quindi non c’era nessuno a impedirmi di premere sull’acceleratore.
L’aria fresca del mattino e la foschia che sfumava il paesaggio mi riportavano ricordi poco piacevoli. La terribile corsa contro il tempo con cui avevo sperato di rimediare alle cose dette a Cole, l’improvvisa consapevolezza di quanto sarebbe stato intollerabile non averlo più a fare le sue battute sprezzanti o a impedirmi di impazzire. L’impotenza di fronte alla troppa carica emotiva che conteneva l’immagine del suo corpo, prima sospeso in aria in atteggiamento di attacco, che cadeva a terra. Morto. Ucciso. Da mio padre.
Non potevo credere al batticuore che mi invadeva al pensiero di Cole.
Io credevo all’amore, all’inizio. Dopo avrei voluto spegnere quella speranza, perchè l’unico amore che avevo vissuto nella mia vita era quello brutale, che pretendeva ma non donava. Che pretendeva qualcosa che io non ero pronta a perdere. Che mi lasciava sola e illusa quando gliela negavo.
Eppure l’Amore con la A maiuscola era rimasto catalogato nella mia mente come “sogno possibile”, nonostante tutto. Come una candelina che non vuole spegnersi.
Forse era per quello che era nata la mia corazza, quella di cui parlava Cole.
“-Intendo una persona che si possa amare.
-Forse, ma non lasceresti provare a nessuno.”.
Era ora di permettere a qualcuno di provare ad amarmi.
 
COLE
Mi svegliai piano, scivolando- mi malgrado- fuori da qual sogno magnifico. Naturalmente riguardava Isabel. Naturalmente non l’avrei mai ammesso di fronte a lei.
Chissà cosa stava facendo in questo momento.
Chissà se era con qualcun altro, magari in un letto non suo.
Il pensiero mi tormentava sempre. Non che io abbia fatto chissà quali follie per darle un buon motivo di aspettarmi. Certo, la telefonata e la scena in aeroporto avevano significato qualcosa, ma niente che potesse impedirle di infilarsi nel letto di un ragazzo carino, più gentile, con un carattere meno di merda e complicato del mio.
Chissà se il nostro rapporto sarebbe cambiato, se quel lontano giorno freddo l’avessi raggiunta a letto. E semmai qualcosa fosse cambiato, l’avrebbe fatto in meglio o in peggio?
Chissà come sarebbe stato, farlo con lei. Sicuramente diverso.
Lei era diversa da tutte le altre e la prova più inconfutabile era proprio il mio rifiuto di farmela.
Non avevo mai resistito con una ragazza più di una settimana senza andarci a letto e l’ultima ragazza con cui avevo resistito così tanto era Angie. Secoli fa.
Mi scossi da quei pensieri, sentendo la porta di camera mia sbattere.
-Ehi ehi, fratello! A quanto pare te ne sei trovata una da scopare anche durante la riabilitazione!- irruppe mio fratello. Ma di che diavolo stava parlando? Che avesse scoperto di Isabel? Come?
Mi agitò un cellulare davanti al naso. Il mio. Cercai di afferrarlo ma mi anticipò e se lo portò dietro la schiena.
-Dammi quel fottutissimo coso!- gli intimai. Isabel aveva chiamato?
-Calmino!- fece, prima di allungarmi il telefonino. Due chiamate perse.
-Bene, ora esigo una spiegazione- sentenziò stravaccandosi sul letto.
-Và a quel paese!
Uscii chiudendo la porta a chiave. Almeno non mi avrebbe dato fastidio.
Non l’avrei richiamata. Mai sarei corso da lei come un cagnolino bisognoso di coccole.
Però non potei fare a meno di controllare il cellulare ogni due minuti mentre mi preparavo la colazione.
Quando lo sentii vibrare, tanto per poter poi affermare di non aver ceduto, aspettai qualche secondo prima di rispondere.
-Da.- dissi, cercando di apparire noncurante.
-Cole- disse, acida ed eccitante come la ricordavo.
-A cosa devo?- chiesi, un po’ troppo di fretta.
-Bè, a niente a dire la verità. Sai com’è, non ho un animale da compagnia, quindi mi accontento di ciò che ho.
-Ah ah ah. Non sei più dolce del solito, vedo.
Perchè mi aveva chiamato? Emise un verso sprezzante.
-Già. Ero passata di qui per farti una visitina, ma non ti ho trovato…
-Qui?- chiesi, confuso. Non era in California?
-Mercy Falls. Sai, sono arrivata a casa della nonna ma nessun lupo è venuto a divorarci, quindi stava diventando tutto un po’ noioso, così ho deciso di fare un viaggetto in incognito per vedere come procede la vita dei miei vecchi amici dei paesi freddi.-spiegò. Ma certo, io me ne andavo e lei arrivava. Si chiama puntualità. No, si chiama “Cazzo, Cole sei un idiota.”.
 
ISABEL
 
Il silenzio si fece quasi insostenibile.
-Cole?- tentai.
-Ehm, si. Io però…
Avvistai una caffetteria a lato della strada.
-Cole, ci risentiamo, devo riattaccare.
Dopotutto, l’avrei visto di lì a poco.
Dopo aver preso un caffè ed essere passata dal bagno per risistemarmi, ripartii.
Ero quasi arrivata a destinazione quando il cellulare vibrò e quando lanciai un’occhiata veloce al cellulare trovai due chiamate perse più quella in corso. Ma che aveva tanto da insistere, ci avrei parlato tra dieci minuti!
Arrivata alla penisola, mi affrettai a raggiungere il rifugio.
Entrai senza bussare e con mia somma riconoscenza trovai Grace e Sam vestiti e in atteggiamenti da bollino verde.
-Isabel?- disse Grace, al massimo dell’incredulità. Erano così sorpresi che facevano ridere.
-Eh già. Ero passata ieri sera, ma vi ho visti troppo impegnati…-azzardai, tanto per vedere la loro reazione.
Si scambiarono un’occhiata complice, poi Grace mi guardò se possibile ancora più sconvolta di prima e Sam si mise a fissare il pavimento.
-Andiamo, mi credete così innocente?- chiesi, per toglierli dall’imbarazzo. Cosa fin troppo gentile per una come Isabel Culpaper. –Non mi avete sconvolto la visione del mondo! So bene cosa fanno due persone quando si vogliono bene!- aggiunsi. Siccome nessuno fiatava, cambiai argomento.
-Cole?- chiesi, mentre ispezionavo una tazza in cui versai del caffè appena fatto. Da Grace, probabilmente.
-Non lo sai? È a New York, dai suoi genitori.- disse Sam.
New York. Fantastico, non c’ero mai stata!
 
COLE
 
Incazzata. Scommetto che sarebbe stato questo il suo stato d’animo quando l’avrebbe saputo. Cazzo, lo sarei stato anch’io, a parti invertite.
 
ISABEL
 
Incazzata. Ecco come mi sentivo.
Altro che visitare New York, Cole poteva andare a farsi fottere. Ero venuta fin qui, ma non l’avrei certo rincorso per tutta l’America.
Magari solo per tutta New York…
Ma che dico? Sto diventando pazza?
“Forse.” Sussurrò una voce nella mia testa.
 
 
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Grazie a tutti quelli che mi leggono, io adoro Shiver e per questo sto mettendo anima e cuore in questa fan fiction.
Baci, Mostrina2

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Capitolo 4
*** Is this real love? ***


I, I tried so hard to let you go
But some kind of Madness is swallowing me whole
 
I have finally see the light
And I have finally realized
What you mean
 
And now  I need to know: is this real love?
Or is it just Madness keeping us afloat?
 
(ho provato così tanto a lasciarti andare
ma qualche tipo di pazzia mi sta mangiando vivo
ho finalmente visto la luce
e ho finalmente capito
cosa intendi
e adesso ho bisogno di sapere: questo è vero amore?
O è solo la follia  che ci tiene a galla?)
(Muse, Madness)
 
COLE
 
Aspettavo che mi chiamasse per insultarmi. Oppure aspettavo di avere il coraggio necessario per telefonarle io.
Ero steso sul pavimento del salotto-abitudine che avevo preso a casa di Sam-e ascoltavo i tentativi di mio fratello di uscire da camera mia. Il pensiero che prima o poi potesse sfondare la porta mi aveva sfiorato, ma non me ne ero preoccupato più di tanto.
Cosa avrei dovuto fare ora? Andare a Mercy Falls? Avrei dovuto spiegare a tutti perchè ci tornavo, ed era fuori discussione. Aspettarla? Ero quasi sicuro che non sarebbe venuta.
Perchè mi ci era voluta quella lontananza per farmi capire cosa significava lei per me?
Decisi di aprire a mio fratello, perchè mi sembrava che i miei pensieri mi stessero portando in un campo troppo minato.
Salii le scale lentamente e, recuperata la chiave dalla tasca dei pantaloni, aprii la porta. Scoppiai a ridere.
Alex era finito a terra. Probabilmente era appoggiato alla porta.
Non riuscivo a smettere di ridere, mi piegai sulle ginocchia per il troppo sghignazzare. Era stupido ridere per una cosa del genere, ma non potevo farne a meno.
Intanto, Alex si era rialzato.
-Molto divertente- affermò senza troppa convinzione –Bè, vuoi spiegarmi chi è?- chiese.
-No, non voglio.- risposi, sperando che per ora gli bastasse questo.
Scesi le scale velocemente per evitare altre domande.
Volevo vedere Isabel. Volevo sapere che non aveva trovato un ragazzo simpatico. Non volevo ammettere le mie insicurezze neanche con me stesso. Volevo smettere di pensare a lei. Non mi era possibile.
 
ISABEL
-È tanto difficile trovare una valigia?- sbraitai.
-Ma signorina, appena la troveremo la contatteremo. Intanto, tenga- mi porse un piccolo astuccio.
Spazzolino, dentifricio…le cose principali. Neanche l’ombra di un paio di jeans o di una giacca.
Bene, non avevo alcun cambio. Niente pigiama. Non avevo prenotato un albergo.
Questo significava che avrei dovuto dormire da Cole con indosso solo la biancheria.
La perdita della mia valigia poteva portare a svolte interessanti.
 
COLE
-Bene, Cole. Sono in partenza per Manhattan, papà e mamma sono a Chicago per una settimana.- disse Alex. Mi sembrava di essere un poppante che sta per la prima volta a casa da solo.-Questo vuol dire che la casa sarà vuota, per un po’ di giorni.
-Fantastico- risposi, lo sguardo perso nel vuoto.
-Ok, mi basta che non lo fate nel mio letto. Per il resto, divertitevi!
Nella sua voce c’era una nota maliziosa. Se pensava che sarebbe venuta Isabel, si sbagliava. Se pensava che avremmo fatto sesso si sbagliava ancora di più. Se pensava che lo avremmo fatto in ogni stanza della casa, si sbagliava enormemente.
-Divertiti anche tu, a Manhattan- augurai, sempre gli occhi che fissavano un punto imprecisato.
-Ci si vede Cole.
Detto questo, uscì. Ero solo.
Ritornai in camera mia. Alle pareti c’erano i primi poster dei NARKOTIKA. Quelli che attaccavo come manifesto di ciò che stavo realizzando quando ancora tornavo a casa tra un tour e l’altro.
Su una parete c’era la linea del tempo. La storia dei NARKOTIKA a tappe. Anche questa era stata aggiornata solo fino a quando tornavo a casa, qualche volta.
Alle pareti c’erano anche alcune foto di me assieme a delle ragazze. Le foto che mi faceva Victor quando al mattino mi svegliava e sgattaiolavamo fuori dall’albergo lasciando ogni volta una ragazza diversa disorientata e furiosa.
Le staccai una ad una dal muro e le portai al davanzale.
Una per volta, le stappai a metà e le lasciai cadere. Osservai ogni pezzo raggiungere terra, e gli dissi addio. Dissi addio a quella vita, perchè adesso non ero più uno dei NARKOTIKA. Non ero più la rock star che se ne faceva una diversa ad ogni concerto. Ero Cole St. Clair. E anche se dovevo ancora abituarmici, e anche se in me erano rimaste molte caratteristiche che avevo sviluppato durante i NARKOTIKA, sarei stato una persona migliore.
 
ISABEL
 
Il motivo per cui ora stavo arrivando a casa di Cole, verso le dieci e mezza di sera era che dopo aver attraversato le fasi di tristezza, rabbia, aggressività e autocommiserazione con la colonna sonora della voce di Grace e Sam, mi ero decisa a parlare con loro. Mi avevano spiegato perchè era a New York, ma avevano convinta che non poteva sapere che stavo arrivando. Mi avevano detto che spesso chiedeva a Grace se le avevo mai parlato di lui.
Allora ho deciso di andare da lui. Per vedere chi era diventato e per vedere se quel suo nuovo lui pensava ancora a me, o era tornato da qualche Angie del passato.
 
COLE
 
Erano le ventidue e quarantacinque quando suonò il campanello. Prima una volta, un suono di un istante, molto incerto, poi una seconda, più decisa.
Ero stravaccato sul divano, con indosso solo i pantaloni della tuta. Corsi alla porta, con una speranza stupida nella mente. Isabel. Ma non poteva essere lei. Non a quest’ora, non a quel modo, non dopo essere andata fino in Minnesota e non avermi trovato.
Ma quando aprii fu proprio lei che mi trovai davanti.
-Cole- la sua voce era un po’ sorpresa un po’ acida come sempre.
-Isabel- risposi –Vuoi entrare?
-No, idiota. Avevo intenzione di dormire sul tappeto davanti alla porta!
Quella frase fece riaffiorare il mio consueto ghigno.
Quando fu entrata, dopo che ebbi chiuso la porta, parlai.
-Non pensavo saresti venuta-
Lo dissi soprattutto perchè non mi stava guardando.
-Neanche io- rispose.
Feci i pochi passi che mi dividevano da lei. Era ancora di schiena.
-Siamo soli. E lo saremo per una settimana.- la informai.
-Non è rilevante Cole!- esclamò, la voce un  po’ troppo acuta. Il che mi fece pensare che per lei-come per me- era rilevante eccome.
-Ero convinta che una come te si portasse come minimo due valigie da venti chili ogni volta che si spostava.-
-Me l’hanno persa, la valigia- disse acida. Questo cambiava tutto. Avrebbe dormito nuda? Avrei dovuto prestarle dei vestiti? Nella situazione in cui ci trovavamo ci sarebbero serviti i vestiti? Cosa stava per succedere?
-Oh- dissi solamente.
-Già. Dove dormo?- chiese, forse cercando di alleggerire l’atmosfera.
Per la prima volta abbassai lo sguardo dal suo viso. Il suo busto era fasciato da una maglia aderentissima bianca, che lasciava intravedere il reggiseno. Un paio di jeans attillatissimi vestivano le gambe.
Deglutii.
-Cole?-
-Si?- dissi, cercando di nascondere la mia precedente distrazione.
-Dove dormo?- chiese di nuovo.
-Oh bè, avrei un’opzione, che però non comprenderebbe il dormire…- mi fermai, perchè mi stava scoccando occhiate di fuoco. –Divano?
-Perfetto- rispose, sbrigativa.
-Bene, ti faccio vedere la casa.-
La guidai su per le scale e cominciai dalla mia stanza. Speravo che le sarebbe servito sapere dov’era.
-La mia camera.
Isabel entrò e si guardò attorno per un po’. Chissà cosa stava pensando. Si sedette sul bordo del letto e io la raggiunsi.
-Sono stanca- confessò. Le stesse parole che mi aveva affidato quel giorno, mentre eravamo distesi sul suo letto.
-Anch’io. Per quello sono qui.- risposi. Sospirò.
-Bene, continuiamo- suggerì.
 
ISABEL
 
Il giro della casa fu breve: Cole mi mostrò solo le stanze principali.
Vederlo a casa fu un vero sollievo. Non avevo ancora trovato il coraggio di chiedergli se c’era qualcuna nella sua vita, ma quella mezza proposta sul dormire insieme mi aveva spinto a pensare di no.
Eravamo in camera sua, io mi stavo infilando un paio di leggins fino al ginocchio della madre di Cole e una maglietta con l’immancabile scritta NARKOTIKA troppo larga. Cole era girato di schiena, appoggiato allo stipite della porta. Dio, quando avrei voluto raggiungerlo e baciarlo e togliermi quei maledetti vestiti e usare la cassettiera in modi inconsueti. Ma volevo che fosse lui a fare la prima mossa. Avrei aspettato, se necessario.
-Hai trovato qualcuno con cui non dormire, in California?- chiese improvvisamente. Sembrava che gli fosse costato farmi quella domanda, quindi non lo presi in giro. Ma non volevo neanche dirgli che avevo pensato a lui tutto il tempo.
-Sono qui- dissi alla fine.
Si voltò. Per fortuna avevo finito di vestirmi. O forse era una sfortuna?
Si avvicino fino ad essere a portata di bacio, ma la cosa più audace che fece fu sfiorarmi la pelle del braccio nascosta dalla manica.
-È ora di andare a letto.- disse, poi si allontanò.
Uscii dalla camera e mi voltai verso di lui, sperando che mi baciasse.
-Buonanotte- disse, come a spegnere le mie speranze.
-‘Notte.
Mi voltai e scesi le scale, poi mi accomodai sul divano enorme del salotto, cercando di non pensare al fatto che se lui non cedeva entro domattina, gli sarei saltata addosso.
 
COLE
 
Avevo fatto una fatica immane a mandarla fuori dalla mia camera. E ancora di più per non baciarla. La volevo, la desideravo.
Ma ancora non ero sicuro che per lei fosse lo stesso.
Camminai avanti e indietro per una buona mezzora, poi non resistetti più.
Scesi silenziosamente le scale fino al quintultimo gradino, poi mi sedetti. Da lì la potevo contemplare mentre dormiva. Quando si girò verso di me, la coperta le scivolò di dosso e mi offrì la vista delle sue gambe nude. I leggins erano gettati qualche metro più in là.
Se fossi rimasto lì un secondo di più non avrei resistito oltre.
 
ISABEL
 
Mi svegliai quando sentii una porta chiudersi. Avevo paura, così salii le scale che mi dividevano da camera di Cole. Mi fermai appena prima di aprirla. Che gli avrei detto? E lui che avrebbe fatto? Mi avrebbe fatto dormire con lui?
Non credo proprio. Fu quando stavo per tornare al divano che Cole mi chiamò.
 
 
 
 
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Ciao a tutti!!!!
Prima di tutto, grazie Nuala per il sostegno che mi stai dando, forse, se non fosse stato per te non avrei neanche continuato a scrivere!
Poi volevo consigliare a tutti la canzone di cui ho scritto alcuni verso all’inizio, Madness, dei Muse perchè secondo me rappresenta molto Isabel e Cole. Potrebbe essere Cole a cantarla ;).
Grazie a tutti, alla prossima.

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Capitolo 5
*** Nessuna esitazione ***


We've all had a time where we've lost control
We've all had our time to grow
I'm hoping I'm wrong but I know I'm right
I'll hunt againg one night

(Per tutti c'è stata una volta dove abbiamo perso il controllo
Tutti abbiamo avuto il tempo di crescere
Spero di sbagliarmi ma so di aver agione
Caccerò di nuovo un'altra notte)
(Scream, Avenged Sevenfold)

 
ISABEL
 
Entrai, senza farmi chiamare due volte.
Si era appena alzato dal letto e mi stava raggiungendo. Feci qualche passo anche io e fummo presto vicini.
Lo baciai. O lui baciò me. No, in realtà penso che ognuno baciò l’altro.
Nessuno dei due esitò, e dopo pochi istanti cominciò e torturarmi il labbro inferiore con i denti. Quel contatto così malizioso dopo tutti quei mesi senza vederci mi colse un po’ alla sprovvista, ma rimediai subito schiudendo le labbra.
Le mie mani si stavano facendo strada sulla schiena di Cole. Guadagnavano terreno verso i suoi capelli mentre percepivano i muscoli sotto la stoffa (ebbene si, Cole indossava una maglietta).
La lingua di Cole trovò la mia.
Le sue mani invece erano sulle mie cosce e dopo un po’ di girovagare mi presero saldamente e mi adagiarono sulla cassettiera.
Ansimavano tutti e due. Ci eravamo appena staccati per riprendere fiato e lo guardavo negli occhi.
Cercai bramosa la sua bocca e lui rispose al bacio con altrettanto impeto.
Cole era tra le mie gambe, il petto premuto contro il mio seno, le mani sotto la mia maglietta che giocavano col gancetto del reggiseno.
Strinsi le gambe attorno alla sua vita in modo da avvicinarlo ancora di più. Staccò le labbra dalle mie e le portò sulla mia guancia, poi sull’orecchio.
-Cosa sta per succedere?- soffiò, con una voce fin troppo roca e seducente. Mi provocò dei brividi lungo la schiena.
-Scopriamolo- gli risposi. Lui diede una risata priva di suono, composta solo dal suo ghigno più malizioso.
Mi tolse la maglietta, e io la sua. Ricominciò a baciarmi e, sempre più impaziente dopo quello scambio di battute, mi rimise a terra.
Raggiungemmo il letto, io camminando all’indietro e lui in avanti. Non mi accorsi che eravamo a destinazione, così cademmo sul materasso uno sopra l’altro.
Scese a baciarmi il collo e tra una carezza e l’altra delle sue labbra parlò.
-Sai che tutto questo è illegale?- disse, alludendo alla mia situazione di minorenne e alla sua di maggiorenne. Rotolai sopra di lui.
-Io però sono pienamente consenziente- risposi. Non riuscivo a credere di averlo detto. Non riuscivo a credere che stavo togliendo i pantaloni a Cole. Ma lo volevo con tutta me stessa.
Alzò il busto e mi ritrovai seduta tra le sue gambe mentre mi toglieva il reggiseno.
Poco dopo, quando mi chiese se lo volevo, non ebbi esitazioni a rispondere.
 
COLE
 
Mi svegliai con lo squillo del mio cellulare. Mi affrettai a mettere giù prima che Isabel si svegliasse.
Aveva un braccio proteso sul mio petto e l’altro piegato, con il pugno vicino al collo. Era deliziosa.
Aveva una gamba che avvolgeva le mie, il che non faceva altro che ricordarmi cosa avevamo fatto quella notte.
Non me ne pentivo però. Ora avevo capito cosa lei significava per me.
Quella notte non avevo fatto sesso, avevo fatto l’amore. Ed era stato completamente nuovo per me. Mi sembrava chiaro che Isabel non era né una delle tante che mi ero fatto, né una delle poche che mi erano piaciute davvero. Lei era l’unica. L’unica che forse stavo imparando ad amare.
Speravo che non se ne sarebbe pentita neanche lei. Certo, la sera prima non era sembrata esitante.
Aprì lentamente gli occhi. Quando si accorse che la stavo guardando si passò una mano tra i capelli per riordinarli. La notte appena trascorsa era stata piuttosto movimentata per quei fili biondi.
Appena si accorse che indossava solo gli slip, e che anche per me era lo stesso, si portò istintivamente una mano al seno, ma poi sembrò rendersi conto che era ridicolo coprirsi dopo quello che avevamo fatto.
-Ciao- disse infine.
-Te ne penti?- chiesi.
-Cosa?- era confusa.
-Di questo- spiegai, sfiorandole i seni nudi.
Si avvicinò e mi baciò. Un bacio semplicissimo, casto.
-Ma ti pare?- sussurrò. Sorrisi: ora ero davvero completo. Non mi serviva altro.
Si alzò e mio malgrado vidi che cercava il reggiseno. Lo avevo gettato distrattamente a terra, dopo averglielo tolto, e fu li che lo trovò.
-Ti dispiacerebbe?- chiese. Mi avvicinai per chiudere i gancetti.
-Molto- risposi. Sorrise.
Anche se ero più bravo a fare l’opposto, non trovai troppe difficoltà nel chiuderlo.
Poi indossò la maglia e mi lanciò i pantaloni.
-Muoio di fame- mi spiegò con un’alzata di spalle.
 
ISABEL
 
Mi sentivo molto diversa. Era come se ora fossi definitivamente legata a lui.
Era stato fantastico.
E aveva anche avuto il coraggio di chiedermi se me ne pentivo. Come poteva avere quelle insicurezze?
Certo, non potevo dire che ora Cole sapeva tutto di me, ma mi sembrava di essere finalmente libera di mettermi a nudo- metaforicamente parlando- davanti a lui. Ero certa che non mi avrebbe preso in giro, anche se le battutine non se ne sarebbero andate. Ma non importava, quelle le amavo. Come ogni altra cosa di Cole.
 
 
 
 
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Ciao a tutti! Capitolo corto ma intenso direi. Spero vi piaccia, alla prossima! <3
Mostrina2
 
 

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Capitolo 6
*** L'importanza di avere Grace come amica ***


Just give me a reason
Just a little bit’s enough
Just a second we’re not broken just bent
And we can learn to love again
(dammi solo una ragione
una sola  sarebbe abbastanza
solo un secondo in cui non siamo rotti ma piegati
e possiamo imparare ad amare ancora)
(Pink ft. Nate Ruess, Just give me a reason)
 
ISABEL
 
-Devo chiamare la famiglia di Victor- disse Cole. Eravamo abbracciati nel letto, era sera.
-Ok, ti lascio solo.- risposi.
Si alzò e scese al piano di sotto.
Nel quarto d’ora successivo lo sentii spiegare la stessa cosa tre volte, sentii la sua voce incrinarsi e diventare più debole. Sentii che diceva “Angie”. In un primo momento la gelosia prese il sopravvento, poi però mi rimproverai perchè Angie era pur sempre la sorella di Victor.
Uscii e rimasi sulla soglia della camera. Da lì non potevo vederlo, ma lo sentivo distintamente.
-Angie, non ho ucciso Victor. No. Si, lo so, ma ho cercato di tirarlo fuori da quel giro. Pensi che volesse farsi disintossicare? Angie, non farlo! Lo so che ti ho ferito…- lasciò la frase in sospeso e pensai che Angie l’avesse interrotto. Dopo poco buttò giù.
Sentii che si avviava verso le scale e mi affrettai a tornare a letto.
Appena entrò notai che aveva gli occhi lucidi.
-Com’è andata?- chiesi, ma lui non rispose. Si limitò a scivolare sopra di me e nascose la testa nel mio collo.
Non sapevo cosa fare. Il mio corpo era inchiodato al materasso, ma non sapevo le intenzioni di Cole. Non sapevo se voleva sfogarsi a parole. Piuttosto improbabile, visto che era solito nascondere le proprie emozioni.
Sentii che cominciava a baciarmi la base del collo. Scese sulla spalla e ci posò un piccolo morso. Poi una delle sue mani scese dalla mia vita al mio ombelico, poi al mio basso ventre. E infine tra le mie gambe.
 Rimasi di sasso e non riuscii a trattenere i gemiti. La bocca di Cole raggiunse la mia ma dovette allontanarla subito dopo perchè stavo inarcando involontariamente la schiena. Gettai la testa all’indietro e liberai gli ansimi e i gemiti. Alla fine Cole portò entrambe le mani al mio viso e cominciò a baciarmi.
In lontananza sentimmo il campanello suonare insistentemente.
 
COLE
 
Mi alzai da Isabel con mio sommo dispiacere. Dopo la telefonata avevo assoluto bisogno di sapere che qualcuno mi voleva bene. Dopo essere stato incolpato ripetutamente da Angie della morte di Victor ero piuttosto sconvolto. Avevo bisogno di concentrarmi su altro e Isabel- speravo- mi voleva bene e era di certo una grossa distrazione.
Scesi le scale e andai ad aprire. Era Angie. Come aveva promesso era venuta a rovinarmi.
-Tu bastardo, hai ancora il coraggio di dire che non hai ucciso mio fratello?!- strillò non appena entrò. I riccioli scuri le erano cresciuti moltissimo: ora le arrivavano ai gomiti. E gli occhi verdi erano gli stessi di Victor. Ecco perchè avevo telefonato invece di andare di persona: la vista di tre persone incredibilmente somiglianti a Victor mi avrebbe ucciso.
-Ma la sai una cosa? Io ti rovino la vita, proprio come tu hai rovinato la mia famiglia!
E fu così che quando intravide due gambe femminili scendere le scale mi baciò.
Niente di che, solo un piccolo sfioramento di labbra ma Isabel lo vide. Eravamo in silenzio da un po’ e immaginavo come lei adesso interpretasse quel silenzio.
Ecco come intendeva rovinarmi: mettendomi contro le poche persone a cui tenevo.
Mi voltai subito verso Isabel che dopo un istante di smarrimento si chiuse in un’espressione dura. Senza dire una parola si infilò gli stivali e uscì.
Uscii anch’io. Stava per salire su un taxi.
-Isabel- si girò e mi fissò per un po’. Nessuna lacrima le rigava il volto. Si era chiusa a riccio, proprio come quando l’avevo conosciuta.
Il taxista, che aveva chiamato parecchie volte Isabel, ripartì.
Si incamminò verso la strada buia per cercare un altro taxi. Probabilmente non sapeva neanche dove stava andando.
-Isabel, so quello che può sembrare, ma quella mi odia! Ha promesso di rovinarmi la vita. Se te ne vai gliela dai vinta.
-Credi che sia cosi ingenua? Lei è bella, probabilmente più esperta di me, no? È più brava a letto? Bene, vai a scopartela per bene, non me ne frega più un cazzo!- disse, fermandosi e girandosi verso di me.
-Non me la voglio scopare Isabel! Non me ne frega un cazzo del sesso, lo capisci? A me importa di te! Credi che starei qui ad implorarti di tornare a casa se non fosse così?-
-Primo: non me l’hai nemmeno chiesto! Secondo: non mi sembrava fossi così riluttante a baciarla! Per quanto hai resistito? Due secondi? Neanche uno? Oddio, sono stata così stupida! Sai, una volta mio padre mi ha detto “le persone non cambiano ciò che sono, cambiano solo ciò che fanno”. A quanto pare tu non hai cambiato neanche quello!-
-Ascoltami ti prego! Tu non sei stupida, non lo sei mai stata!-
-Ma non lo capisci? Mi sono fatta toccare da te! Ho perso la verginità con te! E, oh si, lo rimpiango.-
Disse, stavolta a bassa voce, col viso più vicino al mio.
-Ma io ti toccavo- dissi, avvicinando una mano al suo fianco, che però lei spinse via -perchè tra noi due, nonostante tutto, funziona. L’hai fatto con me perchè anche tu pensavi la stessa cosa-
-Pensavo, appunto.- rispose secca.
-No, Isabel, non puoi mollare così solo per quella stronza di Angie.
-Io mi comporto come cazzo mi gira!- mi sbraitò contro.
Poi fermò un taxi e ci salì. All’ultimo momento salii con lei.
-Scendi da questa fottutissima macchina!-
-Parta- dissi.
-Dove andiamo?- chiese galante.
Dio, avevo combinato un casino. No, l’aveva combinato Angie e io ora dovevo rimediare. Ironia della sorte, una volta io combinavo i casini e Victor li ripuliva. O ne subiva le conseguenze.
-All’albergo più vicino.- rispose Isabel.
-Ascoltami.- ripetei.
-Ti ascolto- disse ironica guardando fuori dal finestrino.
-Angie ha promesso di rovinarmi la vita e ha iniziato proprio adesso. Mi ha baciato solo per farti credere le cose che ora pensi.-
-Bene, manipolata da una psicopatica. Sono avanzata di grado dall’essere la pedina di due genitori con priorità errate-
-Isabel, guardami.- ordinai. Non sopportavo che si considerasse così. Alzò lo sguardo su di me.
-Tu non sei pedina di nessuno. E neanche sarai mai manipolata da Angie. Sei Isabel Culpaper- dire tutto questo era strano. Molto. –Ti ho sempre visto superare tutto in modo quasi brutale. Fallo anche ora! Non farti ingannare da lei!- la esortai.
-Non mi farò ingannare neanche da te.- rispose. Determinata, brutale, diretta e incredibilmente sexy. Quello era il lato che mi piaceva di più di lei.
-Senti, almeno ragiona.- le dissi, consapevole che l’avrei fatta arrabbiare. E infatti…
-Stai. Zitto. Esci di qui e vai a trombarti Angie. Divertiti.- disse prima di uscire dal taxi. La seguii.
-Guarda che non mi faccio più scopare da te.- mi informò –Non sei in astinenza dopo tutte queste ore? E poi l’ultima volta l’hai fatto con me! Figuriamoci, sarà come non averlo fatto!-
-Ma cosa dici?-
Mi avvicinai e la spinsi contro il muro dell’hotel. La baciai. Lei ricambiò con foga, premeva le labbra contro le mie come se volesse entrare nella mia bocca. Improvvisamente si staccò.
-Stronzo- sussurrò.
-Isabel-
-No, stà zitto- mi intimò.
Entrò. Era troppo presto per convincerla della verità.
A casa trovai Angie intenta a bere un tè caldo. Afferrai la tazza e incurante del liquido caldissimo al suo interno, scagliai la tazza contro il muro.
-Vattene o finirai male- la misi in guardia.
Con tutta la calma, prese la borsa, andò alla porta e si dileguò.
Nello stesso istante in cui la porta si chiuse il cellulare squillò.
-Che cazzo hai combinato Cole?!- urlò Grace ancora prima che potessi pensare a cosa dire.
-È Angie…- la mia debole scusa mi morì sulle labbra.
-Lo so! Ma la cosa peggiore che tu potessi fare era lasciarla andare! Dovevi insistere!-
-Non mi lasciava spiegare!- mi giustificai.
-Sai quanto me ne frega? Se ci tieni davvero avresti dovuto seguirla anche in bagno per convincerla!-
Aveva ragione. Perchè Grace aveva sempre ragione?
-Bene, lo farò-

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Capitolo 7
*** Ringo chiama Cole ***


I’ve made up my mind
No need to tink it over
If I’m wrong I ain’t right
No need to look no further
(ho cambiato idea
non ho bisogno di pensarci ulteriormente
se ho torto non posso aver ragione
non ho bisogno di guardare ancora)
(Adele, Chasing Pavements)
 
 
ISABEL
 
In un certo senso sapevo di avere torto, ma dopo la scenata non potevo certo chiamare Cole e dire “Ehi, Cole. Ho ragionato davvero e credo di avere torto. Pace?”. No, anche solo per orgoglio.
Ma allora come potevo fare? Non ne avevo idea. L’unica strada era ammettere di aver torto ed era più che impraticabile per una come me.
Poi, qualcuno bussò.
Dovevo riprendere il controllo. Se fosse stato Cole, doveva capire che aspettavo ancora spiegazioni.
Aprii la porta e mi ritrovai davanti proprio lui e siccome continuavo a tenere la porta della camera 304 socchiusa, mi spinse dentro e chiuse la porta dietro di sé. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò con forza, quasi come se ne avesse bisogno.
-Ok, ora posso spiegarti.- disse quando si staccò. Ma io ne avevo bisogno ancora e lo volevo adesso, ma non potevo cedere, così gli indicai la sedia con un cenno del mento, mentre io mi accomodai sul bordo del letto.
-Al telefono Angie era incazzata nera. Pensa che sia colpa mia se Victor è morto. Bè in un certo senso lo è…- si interruppe per riordinare i pensieri-e si è arrabbiata ancora di più quando le ho detto che sapevo di averla ferita. Diceva che io non ero abbastanza degno di lei neanche per guardarla. E ha promesso di rovinarmi la vita. Per questo quando è venuta a casa mi ha baciato mentre scendevi: per allontanarti da me.- disse. Sembrava sincero. Lo era, ma non sapevo come dirgli che gli credevo senza ammettere di avere torto. Alla fine giunsi alla conclusione che era impossibile.
Senza dire niente mi avvicinai alla sua sedia e gli sedetti sulle ginocchia, poi lo baciai. Prima fu titubante, poi parve capire che quella era la mia risposta e, dopo degli istanti in cui ci scambiammo solo piccoli bacetti a bocca chiusa, schiuse le labbra. Assaggiai il suo respiro nella mia bocca. Era bellissimo ed era come un rigeneratore per me.
-Allora, andiamo via da questa topaia- mi propose.
Mi alzai in piedi e cercai di nascondere il mio sorriso ebete.
Nel taxi non dissi niente, così come Cole. Ci limitavamo a scambiarci occhiate e a distogliere lo sguardo subito dopo. Eravamo ridicoli, sembravamo due ragazzini al primo appuntamento.
Quando eravamo quasi arrivati, Cole fece correre  una mano fino al mio ginocchio. Poi più su fino all’interno coscia, ma lo fermai schiaffeggiandogli la mano.
Lo vidi sorridere.
Scesi dal taxi assieme a Cole e ci affrettammo a entrare.
Una volta che la porta si fu richiusa, mi afferrò i polsi e dopo avermi spinto contro la porta, me li portò sopra le testa. Avvicinò la testa alla mia, ma non avevo intenzione di dargliela vinta così. Voltai la testa dall’altra parte.
-Cos’è, una sfida?- chiese beffardo. Gli sorrisi trionfante. Siccome non gli concedevo la mia bocca, si concentrò sul collo. Mi teneva ancora i polsi sopra la testa e mi stava baciando il collo fino a che non arrivò al lobo. Me lo morse.
-Smettila Cole- dissi con una voce roca che intendeva tutt’altro.
-So che ti piace, Culpaper-.
Quel tono mi fece uscire di testa. Liberai i polsi e affondai le mani tra i suoi capelli mentre spingevo la mia bocca contro la sua con un’impazienza che non avevo mai provato prima. Ora che le sue mani non mi tenevano più i polsi, scesero fino alle cosce, poi, lente e inesorabili salirono fino all’incavo della schiena, dove si infilarono sotto la camicia.
Senza poter smettere un istante di baciarci, arrivammo al divano a tentoni. Dopodiché, mi sedetti sopra di lui come avevo fatto in hotel e cominciai a sbottonarmi la camicetta. Lui mi osservava in modo possessivo. Gli tolsi la maglietta ma quando mi stavo avvicinando per baciarlo di nuovo, la porta si aprì.
 
COLE
 
Mio fratello ci trovò avvinghiati sul divano. Lei sopra di me, le braccia che circondavano il mio collo e la camicetta sbottonata. Io con le mani infilate nel retro dei suoi jeans e senza maglietta.
-Oh, buongiorno. Ho interrotto qualcosa?- chiese. Era chiaro che la risposta era si, così non mi degnai di rispondere.
Isabel si affannò a chiudersi la camicetta e si rimise in piedi. Le indicai le scale e lei corse di sopra imbarazzata.
-Ehi fratello, non mi devi alcuna spiegazione. Te l’ho detto no? Basta che non l’abbiate fatto nel mio letto.-
In realtà non avevo niente da dire.
-Bentornato-
Dopodiché presi il cellulare e raggiunsi Isabel in camera.
C’erano parecchie chiamate di Sam.
-Sam ha chiamato un bel po’ di volte- la informai.
Proprio mentre glielo dicevo, il cellulare squillò. Chissà cos’aveva da dirmi.
-Da.-
-Cole, dov’eri? Non ha importanza. Grace…lei…continua a trasformarsi, come faceva Victor e quando è umana…vomita sangue. Cole, sono disperato, non so che fare.-

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Capitolo 8
*** Cole deve trovare una soluzione ***


And please don’t cry
I know how you feel inside I’ve
I’ve been there before
Somethin’s changin’ inside you
And  you don’t  know

(e per favore non piangere
So come ti senti dentro
Ci sono passato prima
Qualcosa sta cambiando dentro di te
E tu non capisci)

(Guns N’ Roses, Don’t Cry)
 
 
ISABEL
 
-Allora, che c’è?- chiesi appena riattaccò. Erano stati molto tempo al telefono e mi stavo chiedendo cos’avessero da dirsi.
-Dobbiamo andare a Mercy Falls- disse infilandosi una maglietta a caso, gettata su una sedia vicina.
-Ehi, time out. Che è successo?- ripetei.
-Grace ieri sera si è trasformata. Tutto regolare, ma quando è tornata a casa ha cominciato a trasformarsi ogni due minuti e quando è umana vomita sangue.-
-Bè, che ci facciamo ancora qui?- chiesi, immaginando in che stato fosse Sam.
Afferrai la borsa e infilai il cappotto, dopodiché scendemmo le scale.
-Ehi, dove vai?- gridò suo il fratello di Cole dalla cucina.
-Fuori- rispose Cole.
Mentre chiudevo la porta dietro di me, sentii che dalla cucina suo fratello ribatteva “Vi serve più privacy?”. Sorrisi.
 
Erano più o meno le due di notte quando arrivammo in Minnesota. Prendemmo a noleggio una macchina e ci avviammo alla penisola.
Era bellissimo vedere Cole guidare. O forse mi piaceva poterlo guardare senza che lui lo sapesse.
Il modo in cui inarcava leggermente le sopracciglia, o quando si mordeva piano l’interno del labbro di tanto in tanto. O come carezzava il volante ogni volta che si fermava ad un semaforo rosso.
-Non sapevo di attrarti così tanto- disse.
-E invece…- risposi e invece di distogliere lo sguardo avvicinai le mie labbra alla pelle del suo collo. La sfiorai piano, prima sulla mascella, poi giù percorrendo la linea del collo, dove sentii il pomo d’adamo muoversi e intuii che stava deglutendo. Abbassò lo sguardo su di me per un istante e lo sfidai con gli occhi. Le sue mani slittarono sul volante e partì un coro di clacson e uno spettacolo di fari accecanti. Mi alzai di scatto e Cole riprese controllo della macchina.
-Cazzo, Isabel- esclamò.
-Io non pensavo di distrarti a tal punto- risposi, con la voce più suadente che riuscii a tirar fuori.
Volevo provocarlo. Era bello avere la conferma di essere desiderata da qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era Cole. Anche  se eravamo andati a letto insieme, però, nessuno dei due era sicuro dell’amore dell’altro. Speravo solo che un giorno sarei stata in grado di dirglielo. Di certo non entro poco tempo. Tutti e due ci proteggevamo con delle maschere perchè in fondo eravamo insicuri, quindi ognuno era restio a esternare i propri sentimenti. Speravo solo che un giorno o l’altro quella scorza dura che avvolgeva entrambi si rompesse.
Il filo dei miei pensieri venne interrotto quando la macchina si fermò.
Quel paesaggio- una casa a due piani che si stagliava su un prato immenso sotto un celo di pece- fece strisciare in me una paura irrazionale.
Cole mi aprì la portiera e io scesi, però lasciai che andasse lui per primo.
Dentro, notai subito Sam rannicchiato davanti a quello che presumo fosse il bagno.
Alzò lo sguardo su di noi.
-È lupo adesso, ma non resterà così a lungo- ci informò.
Come a dar man forte alle sue parole, dietro alla porta si sentì uno strascichio e subito dopo dei conati.
Sam entrò in bagno e lo sentimmo dire a Grace che eravamo lì.
Dopo un’altra serie di strascichii uscì dal bagno più sconvolto di prima.
-Devi trovare una soluzione, è un inferno, sta vivendo in un inferno da troppe ore e non può continuare oltre!- disse, camminando velocemente verso di noi.
-Ehi, Ringo, ok. Tranquillo. Mi serve caffè, parecchi fogli e una penna.-
Mi venne in mente che Grace doveva  aver iniziato questa cosa dopo che le avevo telefonato per Cole. Era sempre stata una buona amica. Cole doveva trovare una soluzione.
 
 
 
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
Ciao!!!!
Scustemi enormemente per la cortezza (non so se si può dire) del capitolo!!! Il prossimo sarà più lungo, lo sto già preparando!! :* grazie a quelli che mi seguono e anche a tutti gli altri!!
Alla prossima, Mostrina2

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Capitolo 9
*** Appigli e cure ***


I still don’t know what I was waiting for
And my time was running wild
A million dead-end streets
Every time I thought I’d got it made
It seemed the taste
Was not so sweet
(Non so ancora cosa stavo aspettando
e il mio tempo passava velocissimo
un milione di vicoli ciechi
Ogni volta che pensavo di avercela fatta
Sembrava che il sapore
Non fosse poi così dolce)
(Changes, David Bowie)
 
 
 
 
ISABEL
 
Sam non trasmetteva il suo dolore e la sua angoscia solo attraverso le parole. I suoi occhi-se possibile- erano più tristi del solito, rabbuiati da una preoccupazione enorme. Le sue spalle curve, come a sottintendere il peso che erano costrette a sostenere e la testa bassa, segno di impotenza. Niente che lui potesse fare alleviava la sofferenza di Grace.
Tornai sui miei passi, in cucina, dove Cole scribacchiava su dei pezzi di carta. Stava parlando a sé stesso, ma quando si rese conto che ero tornata in cucina si voltò verso di me.
-È piuttosto semplice.- disse soltanto. Inarcai le sopracciglia per fargli capire che ciò che aveva appena detto non aggiungeva né toglieva niente alla situazione.
-Dobbiamo far rimanere Grace lupo e iniettargli la cura e…tadà!- fece un segno con le mani che poteva mimare una magia.
-Oh, che genio! Naturalmente come  far rimanere Grace lupo è scontato per te. Io però sono una comune mortale. Mi concede di venire a conoscenza dei suoi segreti?- usai un tono melodrammatico e feci un piccolo inchino di scherno.
-No, l’ho giudicata indegna. Non verrà mai a sapere dei miei segreti.- mi liquidò con un cenno della mano e si chinò nuovamente sui fogli.
Mi sembrava di essere tornati a quando ci punzecchiavamo gratuitamente. Poi mi ricordai di Grace e di Sam di là, in salotto, e la mia voce tornò seria.
-Spiegati.- dissi, accomodandomi su una sedia, senza abbandonare il tono un po’ acido.
-Quando dovevamo trasferire i lupi nella penisola, ho iniettato a Sam una sostanza ch l’ha fatto diventare e rimanere lupo…la potrei iniettare anche a Grace e poi le somministrerei la cura.- concluse. Non capivo come potesse parlare in un modo così leggero di far venire la meningite a Grace. Di darle una fantomatica cura che su mio fratello non aveva funzionato e su Sam sì. Uno su due e nessuna prova che Grace sarebbe sopravvissuta. No.
-Cosa? Ma quella cura è effimera. L’hai detto tu. E non possiamo essere sicuri che Grace sopravvivrà.  Mio fratello è morto per quella roba. Non lascerò morire anche Grace.-
-Non è vero.-
-Cosa?-
-Ho studiato i lupi più a fondo, da quando te ne sei andata. La cura definitiva non l’ho ancora trovata ma ho capito come usare la meningite. L’essere lupo ti aiuta a superare la malattia, ecco perchè Sam è sopravvissuto e tuo fratello no. L’ho provata. Su di me.-
Questo mi zittì. Aveva capito come usare l’unica cosa che avevamo a disposizione. Aveva capito come evitare di morire. E l’aveva provata su di sé. Quindi era guarito.
-Sei guarito?- sussurrai. L’idea che finalmente avesse deciso di affrontare  in prima persona la vita, senza bisogno di perdersi nelle spire di alcol, droga e addirittura dell’incoscienza che l’essere lupo ti dona mi fece sentire lasciata indietro. Io non avevo ancora acquisito quel tipo di autonomia. Ma allo stesso tempo non mi affidavo a varie sostanze o liquidi per dissipare le responsabilità. In quello sconcertante momento, capii che il mio appiglio era Cole.
Mi resi conto che ora c’era anche Sam in cucina.
-Credi che funzionerebbe?- stava chiedendo.
Uscii. Avevo bisogno d’aria.
 
COLE
 
Per fortuna era entrato Sam. La faccia che Isabel aveva quando uscì-tuttavia-mi fece capire che le dovevo un mucchio di spiegazioni, che io non volevo dare.
-Si, Ringo. Magari dovrei fare qualcosa di più potente per farla rimanere lupo il tempo necessario perchè la malattia distrugga il lupo senza che distrugga anche Grace, però funzionerà.-
-Ok…questo significa che dovrai ritornare a Mercy Falls.- constatò. Che arguzia.
-Verrà anche Isabel. Io di certo non mi fingerò un’infermiera nella clinica di sua madre.- dubitavo che Isabel mi avrebbe trovato sexy, vestito da infermiera.
-Ok, io resto qui con Grace.- chi l’avrebbe mai detto…
-Ok, penso che dovremmo partire subito, così forse potremmo essere di ritorno tra due-tre giorni con il necessario.-
Quando uscii trovai Isabel già in macchina col motore acceso. Doveva aver origliato.
Entrai e la prima cosa che disse fu:-Parla-
-Cosa?-
-Oh, mio caro. Non penserai di cavartela così? Raccontami tutto.-
-Anche i momenti in cui sono andato al bagno?-
-Se necessario…- commentò divertita. Ghignai.
-Te l’ho detto…ho capito come funziona…e poi l’ho provato su di me, come ho sempre fatto. Con la differenza che ha funzionato- spiegai mentre entrava in autostrada.
-Quindi la tua guarigione- strinse le mani attorno al volante.-non era intenzionale.-
Immaginavo che mi avrebbe fatto quella domanda. Per via di suo fratello. Come potevo dirle di essere guarito per sbaglio quando suo fratello avrebbe preferito morire che vivere come lupo?
-Prima o poi avrei comunque deciso di guarire. Solo, è successo prima del previsto.-
Dalla smorfia che fece dedussi di non aver centrato la risposta perfetta, ma almeno ero stato sincero. Lo preferivo, a dispensare bugie solo perchè così, magari, Isabel non mi avrebbe portato rancore.
Non ci potevo fare niente: era la mia natura.
Il resto del viaggio passò molto tranquillamente, e Isabel decise che prima di andare a casa di Sam sarebbe passata a casa sua per recuperare qualche vestito.
Quando accostò nel vialetto di casa Culpaper mi ricordai di quel giorno in cui aveva scoperto chi ero. Avevamo salito le scale, proprio come stavamo facendo adesso. Poi avevo abbassato la testa per non prendere una testata e lei mi aveva baciato, proprio come adesso. E stavamo per finire nel letto, proprio come adesso. E qualcosa ci aveva fermati. Allora era stata la mia coscienza. Adesso, una mia conoscenza. Sua madre era appena entrata in casa.
 
 
 
 
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Gioooooooorno!!! :*
Eccomi con un nuovo capitolo ;) la canzone iniziale si riferisce a Cole :)
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo…stavolta l’incontro con la mamma di Isabel sarà un po’ diverso….;)
Alla prossimaaaaaaaaaa!!!! :*
 

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Capitolo 10
*** Non conosco la differenza tra il non combattere e l'arrendersi ***


Yes, there are two paths you can go by

but in the long run

there's still time to change the road you're on

(si, ci sono due strade che puoi percorrere

ma a lungo andare

ci sarà ancora tempo per cambiare strada)

(Stairway to heaven, Led Zeppelin)

 

 

ISABEL

 

Cole mi faceva impazzire. Mi dava bacetti da bambino solo perchè io dovessi implorarne di più profondi. Ero ancora vestita e aspettavo se ne accorgesse.

Tutto a un tratto, scattò all'indietro.

Le mie numerosissime proteste furono bellamente ignorate e alla fine mi arresi a chiedere-Che c'è?!-

-Ma non hai sentito?- sussurrò.

Mi fermai ad ascoltare e, in effetti, si udivano dei bicchieri cozzare, probabilmente nella credenza della cucina.

-Che facciamo?- mi chiese Cole.

Doveva essere mia madre. A quell'ora mio padre era sicuramente al suo studio.

Mi tornarono in mente i discorsi infiniti sull'ascoltare le regole. “Sei minorenne e sotto il nostro tetto.” Il bello era che non ero più minorenne. Il giorno prima era il mio compleanno e me ne rendevo conto solo ora.

-Avrà visto la macchina.- constatai a voce alta.-Andiamo, prima o poi l'avrebbe scoperto. Via il dente via il dolore, no?-

 

COLE

 

Si fece strada davanti a me, diretta alla cucina, dove c'era sua madre. La sua sicurezza mi rendeva perplesso: sua madre l'avrebbe certamente rinchiusa in un convento, a questo punto. Con me al seguito poi...

Nella sala del pianoforte sfiorò con le dita lo sgabello.

-Ero qui quando ho saputo che eri vivo. Mi hai fatto cadere dallo sgabello!- disse con un tono di rimprovero, affondando le dita nell'imbottitura.

Non sopportavo che qualcosa ci avesse interrotti, poco fa. A New York avevo avuto solo un assaggio di Isabel. Questo mi portò a fare quello che feci.

-Bè, mi sembri tutta intera. Fammi controllare.-

Mi avvicinai e dopo averle sfiorato la guancia mi avventai sulle sue labbra. Il bacio venne prontamente corrisposto, con molta foga. L'ardore che avevamo dovuto contenere poco fa esplose e lei si ritrovò sospesa da terra e subito dopo sulla tastiera del pianoforte, che proruppe in un tono basso e lamentoso. Una parte del mio cervello era consapevole che quel suono avrebbe potuto insospettire la madre di Isabel, ma i tre quarti del mio cervello erano concentrati su altro.

Quando alla fine la porta alle nostre spalle si spalancò, Isabel scese dalla tastiera e coprì con passo sicuro la distanza tra lei e sua madre.

Pensai solo che stava andando al macello.

-Mamma, ho una sola domanda per te.-

-Io ne ho a dozzine, tesoro.-

-Che giorno era ieri?-

 

ISABEL

 

Stavo cavalcando un'onda. Potevo sfruttarla, ma se mi spingevo troppo oltre, quella mi avrebbe travolto.

Alla fine, con l'amaro in bocca ammise “Il tuo compleanno”.

-Già, sono maggiorenne. Autonoma. Indipendente.-

-Almeno vai a scopare da un'altra parte che non sia il mio pianoforte- era chiaro che voleva litigare.

Si sporse sopra la mia spalla.-Ancora lui?-

-Ah. Almeno dovresti essere contenta che certe cose le faccio sempre con lo stesso-

-So che tipo è sai? Sesso, sesso, sesso, poi cambia giocattolo.-

Cosa? Lei non sapeva niente di Cole. O di me e Cole.

-Il corpo è mio no?- socchiuse gli occhi.

-Vattene di qui, ora sei maggiorenne no?-

Il suo tono era aspro.

Cole mi seguì fuori e mentre le passavo di fianco le strinsi la mano.

Avevo vinto, ma non avrei voluto combattere così.

 

In macchina, Cole fu il primo a parlare.

-Sai, non sapevo che fosse il tuo compleanno. Non ho un regalo.-

Proseguì mentre entravamo in casa. Non capivo dove volesse arrivare.

-Però pensavo, potrei essere io il tuo regalo no? Come starei con un fiocco in testa?-

Adesso avevo capito. Ma non mi diede il tempo di ribattere: le sue labbra erano già sulle mie.

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Capitolo 11
*** Cause nothin' lasts forever ***


'Couse nothin' lasts forever

and we both know hearts can change

[]

we've been through this such a long long time

just tryin' to kill the pain

(perchè nulla dura per sempre

e entrambi sappiamo che i nostri cuori possono cambiare

ci siamo dentro da talmente tanto tempo

cercando semplicemente di far passare il dolore)

(November rain, Guns 'n 'roses)
 

 

ISABEL

 

Eravamo a Mercy Falls da due giorni, e ci eravamo presi il tempo per festeggiare il mio compleanno senza fretta. Però avevo come la sensazione che il palco stesse per crollare. Come se questa assoluta felicità fosse effimera. Ogni volta che ci univamo, sentivo che era in parte sbagliato. Cole si era appena svegliato, era ancora mezzo nudo, come me. Stavo cercando di preparare il caffè.

-Oggi vado in clinica- dissi.

-Cosa? Ma...-

-Niente ma! Mentre noi siamo qui a... -si insomma, hai capito- Grace sta male.-

Mi staccai da lui, determinata a non cedere anche oggi alle sue lusinghe.

Raggiunsi la camera e mi vestii. Avevo già pensato di andare in clinica mentre mia madre non c'era. Conoscevo tutte le infermiere e loro conoscevano la situazione che si era creata con il tempo tra me e i miei genitori. Tuttavia, mi avevano aiutata una volta e speravo lo facessero di nuovo. Naturalmente non sapevano dei lupi, avevo detto loro che avevo bisogno di fare il test di gravidanza e che non potevo farlo a casa.

Quando uscii, Cole stava facendo colazione e quando mi lanciò un'occhiata di disappunto, gli ricordai che al mio ritorno mi aspettavo di vederlo al lavoro.

Quando arrivai in clinica ero nervosissima, speravo che Hannah-la donna che si occupava dell'accoglienza- mi reggesse il gioco.

-Isabel?- era incredula, quando entrai.

-Ciao, Hannah. Dovrei, sai...ho paura...-

-Di nuovo?!- aveva abboccato, grazie a dio.

-Lo so, ma ti giuro che è l'ultima.- dissi, andando verso la fine del corridoio.

-Ehi, non penserai di cavartela così vero?- disse, raggiungendomi.-Non eri in California? Perchè sei qui?-

Pensai disperatamente a cosa dirgli. E alla fine dissi semplicemente la verità.

-Perchè lui è qui-.

Probabilmente se non avessi detto la verità, lei l'avrebbe capito, perchè mi stava guardando dritta negli occhi. Mi lasciò il braccio e io mi precipitai nella stanza dove ero entrata tanto tempo prima.

Fortuna che a Sam non l'avevamo iniettato tutto, il sangue, altrimenti non avremmo avuto speranze, poiché non c'erano più casi di meningite in Minnesota. La infilai in un sacchettino sterile e lo gettai nella borsa. Quando uscii, Hannah mi chiese il risultato.

-Diciamo che l'ho scampata anche questa volta- risposi con aria complice.

-Però devi stare attenta Isabel, non la scamperai per sempre.-.

La salutai e tornai da Cole.

Una volta in casa tirai un sospiro di sollevo, ma lui non era in casa.

Non sapevo cosa gli fosse preso, da quando eravamo a Mercy Falls. Ogni singola volta che ci sfioravamo, finivamo col baciarci e ogni singola volta che ci baciavamo finivamo per...insomma...

In quel momento entrò Cole dalla porta sul retro.

-Dov'eri?- chiesi.

-In garage, ho lasciato lì le cose che mi hai portato...sai...in caso mi servissero. E per fortuna!- disse, appoggiando lo scatolone sul piano della cucina.

-Oh, ok. Io vado a farmi una doccia.-.

Gettai la borsa e la giacca sul divano e andai nel bagno al piano superiore.

Mentre lasciavo che l'acqua mi scorresse sul corpo, pensai a come, ogni volta che andavamo oltre il bacio, Cole sembrasse assente, come se quello che stava facendo fosse solo un'occupazione, per impedirgli di pensare ad altro. Speravo non fosse così. E se si stesse buttando su quello, ora che non poteva più sfogarsi mentre era lupo? Non volevo essere un oggetto di sfogo, per Cole.

Scesi al piano di sotto con indosso solo un accappatoio e tanti dubbi.

Quando Cole si voltò e mi baciò non rimasi sorpresa. Mi circondò la vita con le braccia e mi fece indietreggiare fino al piano della cucina. Cinque minuti dopo, raggiungemmo una camera a caso al piano terra.

 

 

-Cole, perchè lo fai con me?- chiesi, voltandogli la schiena, mentre lui mi abbracciava da dietro.-È perchè sono io, o è così, per avere una distrazione?-

Mi voltai per vedere la sua espressione mentre mi diceva che era per me, perchè ero io. Ma non lo fece. Non fece proprio niente.

-Isabel, io...-

-Cosa?!- quella mezza frasetta mi aveva fatta scattare. Allora avevo ragione, per lui non ero altro che un corpo. Non Isabel, una donna. Avrebbe potuto prenderne una a caso e per lui sarebbe stato lo stesso.

Mi rivestii in fretta, e Cole non ebbe neanche il tempo di dire “a”.

Uscii dalla stanza con gli occhi che fiammeggiavano.

-Isabel!- mi chiamò dalla camera da letto. No, non ne volevo più sapere. Volevo solo che Grace guarisse e che si sposasse e volevo dimenticare ogni cosa che riguardasse Cole. Non mi aveva mai voluta veramente.

Urlai a Cole di prendere tutto quello che serviva a Grace e, prese le mie cose, salii in macchina. Telefonai a mia madre con gli occhi pieni di lacrime. Lacrime di rabbia, indubbiamente.

-Pronto, mamma?- avevo la voce che tremava, ma non me ne importò fino a che Cole non entrò in macchina.

-E' per Cole vero? Te l'avevo detto, che sarebbe finita così- mio malgrado, dovetti dargliene atto.

-Si, avevi perfettamente ragione, mamma. A lui non importava niente di me- lo dissi guardando Cole negli occhi.

 

 

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Capitolo 12
*** Non c'è nessun Me e Cole, ok? ***


This is love but,

if I tell the world

I'll never say enough

'Couse it was not say to you

and thats exatly what I need to do

if I'm in love with you

(questo è amore ma

anche se lo dico al mondo intero

non l'avrò mai detto abbastanza

perchè non l'avrò mai detto a te

ed è esattamente ciò di cui ho bisogno di fare

se sono innamorata di te)

(Chasing Pavements, Adele)

 

 

COLE

 

In macchina c'era un silenzio opprimente.

Come sempre non stavo reagendo, o meglio, non stavo reagendo nel modo giusto.

È vero, avrei dovuto dirle che ci tenevo a lei e tutte quelle frasi fatte, ma non lo sapevo neanche io cosa veramente era Isabel per me. Intendiamoci, per me non era mai stato un problema dire la verità, anche a costo di ferire gli altri. Ma questa volta si stava rivelando più difficile del previsto.

Faceva freddo, e sentivo che dentro di me il lupo non se n'era andato davvero. Ok, ero guarito, ma era la cura di Sam. Provvisoria, precaria e non definitiva. Prima o poi sarei morto, e come me Sam e Grace, se non avessi trovato la vera cura in tempo. E intendevo farlo.

Le uniche volte che provavo a parlare, a dire ad Isabel di lasciarmi un po' di tempo per riflettere sulla nostra strana unione, la voce rimaneva incatenata nella mia gola.

Stava guidando come un'idiota, ma non credevo che dirglielo sarebbe stato d'aiuto. Un paio di volte dovetti reggermi per non finirle addosso. Non che mi sarebbe dispiaciuto.

Quando finalmente qualcosa ruppe il silenzio, fu la portiera che si apriva. Isabel stava quasi correndo verso la casa. Aveva lei le due siringhe che sarebbero servite a Grace, quindi a me non rimase che scendere, infilarmi le mani in tasca e avviarmi vero la porta. Mai, mai avevo provato un rimorso tanto profondo. Solo dopo la morte di Victor.

Quando entrai, Isabel stava confabulando con Sam, incurante degli occhi gonfi e rossi. Quindi lasciai a lei il compito di spiegare e mi buttai sul divano.

Avevo incasinato tutto, per la centesima volta. Non riuscivo a cogliere neanche un'opportunità senza mandare tutto a puttane ancora prima che cominciasse il bello.

Mi odiavo, ed era tornato il desiderio di autodistruggermi.

Sam fece il suo ingresso in salotto, senza Isabel. Mi porse le due siringhe.

-Cole, procedi pure.-

Mi alzai e feci per avviarmi al bagno, quando Sam mi afferrò il braccio.

-Sai quanto passerà, prima che...prima che torni?- disse Sam, come se non credesse neanche che sarebbe tornata.

-Non so, Ringo. Un mese o due...non so, è soggettivo-

Non del tutto convinto, mi lasciò comunque andare.

-Grace, posso entrare? Sono Cole.-

-C-cole...si entra pure.-

Non avevo mai sentito Grace così rassegnata.

Mi lasciai scivolare sul muro fino a trovarmi seduto vicino a lei. Si strinse di più nella coperta.

-Ti va se ti inietto la meningite?-

Strabuzzò gli occhi, ma rimase in silenzio. Sembrò pensarci su un po', poi parlò.

-Si, non vedo l'ora- disse, con tutta la speranza di questo mondo nella voce.

-Grace, funzionerà, te lo garantisco. Ma prima devo farti diventare lupo, ok?-

-Si- disse, questa volta con un lieve sorriso. -Dimmi, Cole, come va con Isabel?-

Finsi di non sentirla con la scusa di dover prendere le siringhe dalla tasca.

-Sei pronta?-

Un lampo di consapevolezza le passò negli occhi, ed ebbi la certezza che avesse capito che tra me e Isabel non andava proprio.

-Si, ma prima voglio vedere Sam.- disse, improvvisamente consapevole di cosa sarebbe successo.

Uscii e chiamai Sam. Stare fuori dalla porta mentre dentro c'erano due persone innamoratissime che non resistevano per due ore lontane, figuriamoci due mesi; mi faceva sentire fuori posto.

Nessuno avrebbe mai messo in dubbio il loro amore, mentre io non riuscivo ad ammettere neanche a me stesso di provare qualcosa di più di una semplice attrazione per Isabel.

Quando mi diedero il via libera, le iniettai lentamente ciò che tempo fa aveva assunto Sam per andare a salvare il branco.

Dopo di che, mi unii agli altri in salotto. Avremmo aspettato un'ora per vedere se Grace rimaneva lupo, poi le avremmo fatto venire la meningite.

 

ISABEL

 

Avrei dato di tutto per sapere cosa stava pensando Cole. Avrei voluto scuoterlo e toglierli dalla faccia quell'espressione assente, urlargli contro tutti gli insulti di questo mondo. Odiavo il suo essere così maledettamente menefreghista, il fatto che non si lasciasse trascinare da niente e tanto meno dall'amore per una persona. Perchè non sopportava il fatto che una persona potesse indurlo a modificare gran parte delle sue abitudini e convinzioni? Lo sapevo, che odiava avere delle debolezze, che odiava ammetterle. Ma l'amore era una debolezza? Secondo me no, ma se per lui era così, non sarei stata certo io a fargli cambiare idea. Nessuno ci sarebbe riuscito.

Sarei tornata in California, non appena fossi stata sicura che Grace sarebbe stata bene.

 

 

Sessanta minuti dopo, Cole tornò in bagno e lasciò andare il lupo che Grace era diventata.

Lo presi da parte.

-Tornerà vero?- chiesi, trattenendo a stento la rabbia.

-Si, e poi troverò una cura, una cura vera. E se ce ne sarà bisogno chiederò aiuto a mio padre.-

-Bene, da te non mi serve altro.- risposi secca, chiudendo la conversazione.

Andai verso Sam.

-Sam, io torno in California.-

Alzò lo sguardo, confuso.

-Ma...tu e C...-

-Non c'è nessun “Me e Cole” ok? Chiamami quando torna Grace.-

Probabilmente Sam, con tutti i libri che leggeva, le poesie e le canzoni scritte da lui stesso e la sua conseguente attenzione quasi maniacale per le parole che si usavano, notò che dissi quando e non se.

-Invitatemi al matrimonio.- mi raccomandai, prima di avviarmi alla porta.

 

 

 

Ciaoooo!!! :)

Bhè, lo ammetto: la canzone iniziale l'ho dedicata ancora a Cole :)

spero vi piaccia <3

alla prossima!! :*

 

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Capitolo 13
*** Ci abbiamo provato ***


Cry alone, I've gone away
No more nights, no more pain
I've gone alone, took all my strength
but I've made a change
I won't see you tonight
(Piango da solo, me ne sono andato
Niente più notti, niente più dolore
Me ne sono andato, ho raccolto tutte le mie forze
ma ho fatto un cambiamento
Non ti vedrò stanotte)
(I Won't See You Tonight Part 1, Avenged Sevenfold)

 

 

ISABEL

 

Varcai la porta di casa di mia nonna mentre ero ancora al telefono con mia madre, a dirle che aveva ragione. Che aveva sempre avuto ragione. Che stupida ero stata a pensare che avrei potuto cambiare Cole anche solo di una virgola. Irruppi i casa senza salutare e non mi accorsi che c'era mia cugina seduta al tavolo della cucina. Era la figlia di mia zia, mia madre odiava sia lei che i suoi genitori. Samantha aveva la mia stessa età e tra noi era stata guerra aperta dal primo giorno. Un ragazzo le stava accarezzando i lunghi capelli neri come la pece- tinti, l'avevo capito dal primo sguardo- e la stava guardando dritta negli occhi azzurri. Mi stava guardando, così scostai il telefono dall'orecchio.

-Che guardi? Mi consumi a lungo andare e se avete in programma una serata particolare vi conviene evaporare, perchè ho fame. E ho intenzione di mangiare su questo tavolo.- dissi puntando l'indice sul legno. Si alzò in piedi e mi fronteggiò.

-Che c'è Isabel, il fidanzato ti ha lasciata? Non sai quanto mi dispiace!- non aveva l'aria per niente dispiaciuta, mentre pronunciava quella frase con il tono da gatta morta e sbattendo le ciglia finte.

-Sparisci- le ringhiai contro.

Abbassai lo sguardo sul suo accompagnatore, che non aveva ancora aperto bocca e che mi stava guardando. Aveva i capelli ondulati scuri, anche gli occhi erano marroni. Era il classico belloccio Californiano e se non avessi conosciuto Cole, avrei anche potuto pensare che fosse il più piacente che avessi mai visto.

-Guarda, l'hai contagiato, anche lui si è messo a fissarmi- dissi a Samantha, continuando a guardare il ragazzo.

-Bhè io ho da fare.- dichiarai, poi mi diressi verso la porta e uscii. Spensi la comunicazione con mia madre e gironzolai un po'. La spiaggia era splendida, sopratutto a quest'ora, quando la sabbia diventava di fuoco sotto la luce del tramonto. Il sole mandava in tutte le direzioni un caldo bagliore arancione e caldo. Mi lasciai cadere sulla sabbia e non feci altro che fissare quel disco incandescente, finchè non si spense. Grace in quel momento doveva essere nei boschi, a combattere il mal di testa lancinante della meningite.

Quando cominciarono a comparire le prime stelle e la spiaggia cominciò a dare rifugio alle coppiette, mi alzai e tornai a casa. In quel momento avvertivo una gran voglia di cambiare, dimenticare tutto ciò che era stato e cominciare a pensare ad altro.

 

COLE

 

Isabel se n'era andata. Quel pensiero non mi faceva niente. Immagino che le cose ti facciano male solo se sei in grado di comprenderle, capirle e accettare che possano essere successe e io non ce la facevo, per quello non provavo niente.

Avevo lasciato Sam a casa da solo e stavo tornando a New York, per assistere alla funzione commemorativa per Victor. Ricordavo che una volta ero stato a casa di Isabel e avevo preso in mano un rosario. Quando mi ero voltato lei aveva l'aria confusa; probabilmente non pensava che io fossi credente, o cose del genere. Invece nel mio passato ero stato devoto, se così si può dire. Solo che dopo aver sperimentato su di me l'ironia dell'uomo dei piani alti, mi ero ricreduto e avevo cominciato a credere in altro. All'inesistenza dell'impossibile, ad esempio. Però non mi era bastato e per affrontare tutto il carico sulle mie spalle avevo avuto bisogno di qualcos'altro. Così avevo cominciato a conoscere il mondo delle droghe.

Ai miei genitori avrei detto che ero andato a trovare Jeremiah, e mio fratello non avrebbe aperto bocca, o l'avrebbe pagato caro.

 

ISABEL

 

Tornata a casa, identificai subito i rumori provenienti dalla camera di Samantha, così non mi avventurai subito al piano superiore. A quanto pareva mia nonna era chissà dove.

Calciai le scarpe verso il divano, poi mi ci stesi sopra. I tacchi produssero un rumore secco quando caddero violentemente sul pavimento, e lo stesso fece il mio cuore quando pensai a Mercy Falls. Ora basta, non ne potevo più.

Mentre salivo le scale lasciai cadere la giacca sui gradini e raggiunsi il bagno.

Frugai nei cassetti finchè non trovai ciò che cercavo: il rasoio per capelli.

Ignorando le vocine nel mio cervello che mi ricordavano quanto pazientemente avevo aspettato che ricrescessero l'inverno scorso, lo portai vero la parte sinistra della testa e mi rasai i capelli. In realtà non pensavo a niente: è vero, i miei capelli lunghi li avevo aspettati paziente, ma in quei capelli c'erano state le mani di Cole e non volevo più averli.

Tuttavia, una volta finito con la parte sinistra mi fermai e tornai in me: decisi che l'indomani sarei andata a farmeli sistemare da un parrucchiere.

Quando abbassai lo sguardo vidi le ciocche che avevo tagliato sparse per terra, e le lasciai dov'erano.

 

COLE

 

La chiesa non era molto affollata, tuttavia presi posto in fondo alla chiesa. I familiari di Victor erano già presenti, come anche Angie.

Assistetti alla funzioni completamente passivo, aspettando solo che finisse.

Quando uscii mi sentii come se fossi stato calpestato e rimesso in piedi più volte di fila.

Una mano sulla spalla.

-Cole, vieni a casa mia-

Non avevo più voglia di combattere, di oppormi al flusso della vita, a ciò che mi succedeva. Così la seguii. Mi aveva colto nel mio momento più debole.

A quanto pareva ora Angie viveva in un appartamento non molto grande.

Mi baciò, ed era esattamente ciò che mi aspettavo. Risposi meccanicamente, mentre pensavo a Isabel, a come mi ero sentito bene mentre facevo lo stesso con lei, molti giorni fa.

Lei mi tolse la maglietta, ma io pensavo a come ero stato io a toglierla a Isabel, sulla cassettiera in camera mia.

Ad un certo punto cominciai a rispondere quasi violentemente ai solleciti di Angie: le mie azioni erano piene di rabbia, le sue piene di accuse.

 

ISABEL

 

Avevo incontrato il ragazzo di Samantha mentre tornavo in camera mia, e ci avevo trascinato dentro anche lui. Sapevo che era sbagliato, ma avevo davvero bisogno di smettere di pensare. Di fermare i miei pensieri per un'oretta, di annullare ogni cosa. Di non sentirmi in colpa.

Ora lui mi stava contemplando e io avrei voluto schiaffeggiarlo.

-Vattene-

Senza dire una parola, si rivestì.

Malgrado quello fosse un tentativo di accantonare Cole, nell'ultima ora non avevo fatto altro che desiderare che ci fosse lui in quella stanza a farmi compagnìa.

 

 

 

Ciao!!!

Bhè, ho trovato molto difficile scrivere questo capitolo, dispiace anche a me per come sta andando ;(

Alla prossima!!

 

 

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Capitolo 14
*** Per sempre ***


You loved me and I froze in time

(…)

What do you see in those yellow eyes?

'Couse I'm falling to pieces

(mi hai amato per quel tempo che ho congelato

(…)

cosa vedi in questi occhi gialli?

Perchè sto cadendo a pezzi)

(She Wolf (falling to pieces), David Guetta)

 

SAM

 

È incredibile come, a volte, una giornata sembri la cosa più preziosa che si possa avere e altre volte sprecarla solo ad aspettare che finisca.

Grace mi mancava con la stessa prepotenza con cui mi sarebbe mancata una parte del corpo, perchè lei era una parte del mio corpo, il mio cuore ce l'aveva lei.

Alla mattina mi alzavo e, indipendentemente dall'orario, uscivo a fare un giro attorno alla casa, per vedere se fosse tornata. Poi aspettavo che quell'ennesima, inutile giornata finisse, senza neanche provare a mettere per iscritto le mie emozioni.

Non potevo fare a meno di chiedermi, ogni volta che il giorno diventava notte e lei non era ancora tra le mie braccia, se sarebbe tornata davvero. Se per me era così difficile aspettarla, avendo la garanzia di Cole, come era stato per lei aspettare me?

Una di quelle tante mattina, aprii gli occhi e mi resi conto che no, Grace non era accanto a me nel letto. Io non stavo respirando la sua pelle, lei non aveva le mani nei miei capelli.

Alzai lo sguardo vero la sveglia, erano più o meno le nove del mattino.

Come ogni singolo giorno, dopo che Grace era uscita dalla porta in forma di lupo, mi infilai la giacca e uscii.

Intorno alla casa non c'era niente, sentivo il cuore affondare nel petto ogni volta che giravo lo sguardo e nel mio campo visivo non appariva altro che prato e boschi e alberi.

Un urlo dal folto dei tronchi.

L'adrenalina di diffuse nel mio corpo alla stessa velocità che la mia mente impiegò per recepire quella voce come quella di Grace.

Scattai immediatamente verso la voce, che ora mandava un secondo urlo, più strozzato, più frettoloso.

-Grace!- urlai, nel disperato tentativo di raggiungerla il prima possibile.

Correvo e correvo, ad ogni passo più veloce. Urlavo il suo nome ma avevo la sensazione di non avanzare mai.

Mi ritrovai in una radura splendida, molto lontano dal rifugio. I miei occhi corsero sui confini del cerchio imperfetto deserto, per terra c'erano gli ultimi brandelli di autunno: foglie secche, di diverse gradazioni di ocra erano sparsi qua e là senza uno schema preciso. Poi i miei occhi si soffermarono su ciò che cercavo e il mio cuore esplose nel petto per il sollievo, la felicità e l'amore immenso che provavo per lei.

-Grace...- sussurrai. Era completamente nuda, e venne verso di me con una certa circospezione.

Quando si accorse che non ero una minaccia, parlò.

-Sam- disse sollevata. Mi strinse in un abbraccio carico di significati.

Sono guarita.

Mi sei mancato.

Oh, Sam.

È stato terribile.

Sono così contenta!

Come stai?

Ti amo.

Un po' scombussolato dall'improvviso contatto così ravvicinato del suo corpo nudo contro il tessuto sottile del mio pigiama, ricambiai lentamente l'abbraccio.

Poi mi staccai da lei, le porsi la mia giacca e senza soffermarmi troppo sulla sua pelle esposta, la guidai verso il rifugio.

Mentre si vestiva, corsi in camera e recuperai la piccola scatolina scarlatta. Dopo quello che avevamo passato, non intendevo aspettare oltre.

Raggiunsi il divano e mi ci accomodai, nervoso come mai in vita mia, cercando di asciugarmi le mani sui pantaloni.

Quando apparve, bella come non mai, con i capelli ancora leggermente umidi, cominciai.

-Grace, non puoi sapere quanto ti ho desiderato in tutti questi anni. Quando, anni fa, ti vidi distesa sulla neve, come un angelo, così innocente...capii subito che non avrei amato niente- neanche il rimanere umano- più di quanto amassi te. Tu eri...così innocente e io ero una creatura spaventosa. Mai avrei pensato che tu potessi amarmi. Eppure, quel giorno, quando ho capito che forse non avrei avuto altre occasioni, appena ho capito che mi avevano sparato, sono venuto a casa tua. Esattamente alla finestra dalla quale ti vedevo scrutare il bosco ogni sera. Esattamente la finestra della tua camera. E quando ti ho vista, sopra di me, anche se i pensieri stavano diventando confusi, provai un senso di completezza incredibile: tu eri lì, con me, e mi parlavi e finalmente parlavamo la stessa lingua, io e te. Sapevo il tuo nome, e tu il mio. E ho capito che anche se non avevamo mai parlato, anche se non ci conoscevamo, ci eravamo innamorato l'uno dell'altra. E, Grace, adesso che tu hai rischiato di perdermi e io ho rischiato di perdere te, voglio rendere ufficiale il nostro amore. So che non serve un anello a tenerci uniti, ma voglio che tutti sappiano che non ho intenzione di lasciarti. Allora, Grace Brisbane, so che non lo chiesto a tuo padre e, francamente, non ho intenzione di farlo, ma vuoi sposarmi?-

Mi tremavano le mani, mentre aprivo la scatolina. Improvvisamente mi balenò in mente l'idea che potesse dirmi di no. E se non volesse?

-Ti amo, Sam- sì, lei mi amava. Sarebbe bastata questa frase a farmi vivere felice la mia vita.-E si, certo, che domande sono? Certo che ti voglio sposare!-

Sopraffatto dal sollievo, dalla felicità e da tutte le sensazioni che seguirono, mi dimenticai di infilarle l'anello, così lo fece lei.

-Ti amo Sam- mi disse all'orecchio, poi mi baciò. Un bacio pieno dei giorni passati separati, pieno della voglia che avevamo l'uno dell'altro. Pieno della promessa di una vita con questa ragazza.

Per sempre.

 

 

 

Zaaaaaaaaaalve!!

Bhè, si, ci tenevo a scrivere questo capitolo su Grace e Sam, anche se dal prossimo capitolo torneranno le solite voci narranti penso :)

Alla prossima!! :)

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Capitolo 15
*** Il tuo morbo mi ha infettato ***


Non riesco a liberarmi

del tuo fantasma.

Per quanto distolga lo sguardo

continuo a vederti.

Non posso spezzare il legame che ci ha unito.

Per quanto non ascolti

continuo a sentire la tua voce.

La tua ombra discreta

mi accompagna dappertutto.

Il tuo morbo mi ha infettato

e per quanto abbia cura di me

non riesco a guarire.

(Ossessione, Jim Morrison)

 

 

ISABEL

 

-Vattene- era la seconda fottutissima volta che glielo dicevo, sempre con lo stesso sguardo duro.

Era la terza fottutissima volta che finiva nel mio letto.

Si sporse verso i suoi pantaloni e prese qualcosa da una tasca.

-Ti ho detto di andartene- ringhiai, furiosa. Non riuscivo più a guardarlo, perchè mi ricordava che negli ultimi giorni avevo fatto sesso con lui. Ma lui si voltò e mi allacciò una catenina al collo.

Abbassai gli occhi: era una piccola farfalla, leggera e sottile.

In quel momento il mio odio per lui fu al culmine, per fortuna si stava vestendo altrimenti l'avrei preso a pugni.

Appena uscì mi rivestii anche io, vergognandomi. Piena di rimorsi.

Mi tolsi con rabbia la collanina e la studiai meglio. Dietro c'era scritto Devon. Ah certo, probabilmente si era accorto che non sapevo il suo nome. D'altro canto, ogni volta che finivamo a letto lo chiamavo Cole...

La scagliai verso la parete e me ne tornai di sotto, diretta all'appuntamento col parrucchiere fissato giorni prima.

Camminavo in fretta, lo sguardo puntato davanti a me, senza guardare nessuno.

Non avevo un bordo di pelliccia in cui potermi nascondere, in California non erano necessarie giacche a vento. Di fatto, indossavo solo due canotte sovrapposte e un paio di jeans.

Quando arrivai mi fecero accomodare su una sedia davanti ad un lavandino.

Oddio, non riuscivo a credere di esserci caduta di nuovo. È che ogni volta che lo vedevo, pensavo a Cole, a come mi aveva usata, e la voglia di vendetta si faceva strada in me. E ci cascavo. Anche se Cole non mi vedeva, gioivo del momento in cui gli avrei raccontato che l'avevo tradito, più d'una volta. Certo, non è proprio una cosa di cui andare fieri, ma la rabbia verso Cole mi accecava.

Dissi alla parrucchiera di fare quello che le pareva, alla fine lei rifinì la rasatura sulla parte sinistra dei capelli e tagliò le ciocche rimanenti, lasciando la frangia laterale piuttosto lunga, diciamo fino al mento, e il resto dei capelli tagliati corti. Uscii dal salone con i capelli lunghi al massimo quattro centimetri.

 

COLE

 

E così, eccomi qui con la sensazione di essere tornato indietro nel tempo. Mi stavo rivestendo, dando la schiena a una ragazza addormentata che si sarebbe svegliata sola. Solo che quella volta c'era Angie in quel letto e quello non era un hotel.

Era stata furba, sapeva che non mi sarei opposto, in quel momento di massima debolezza emotiva che aveva seguito la cerimonia per Victor. La cosa che mi sfuggiva era il perchè di quel gesto. Qualunque fosse, non l'avrei mai scoperto, perchè avevo intenzione di non rivedere mai più Angie, neanche per sbaglio.

Uscii dalla porta, come avevo fatto così tante volte quando ero ancora il Cole dei NARKOTIKA, che tutto mi sembrava solo un grosso déjà vu.

 

ISABEL

 

Suonò il cellulare, era Grace. Avevo la sensazione che mi avrebbe detto che si sarebbe sposata.

-Isabel, mi sposo.-

Mi trovai a sorridere per la mia previsione.

-Lo sapevo- dissi, serafica -E immagino che ora tu mi chieda, anzi mi supplichi, di aiutarti nei preparativi- aggiunsi con tono ovvio, grata a Grace per distrarmi da Cole e da quello che ne conseguiva.

 

COLE

 

-Da- risposi.

-Cole, mi sposo-

-Perfetto, immagino che dovrò organizzare l'addio al celibato di Ringo, non trovi?-

 

ISABEL

 

-Ci sarà anche Cole?-

 

COLE

 

-Ci sarà anche Isabel?

 

GRACE

 

-Certo, come poteva mancare?-

 

ISABEL

 

-Non voglio avere a che fare con lui-

 

COLE

 

-Questo rende tutto ancora più carico di emozioni- commentai.

 

 

ISABEL

 

Quindi sarei comunque tornata a Mercy Falls, dopotutto.

E ci sarebbe stato anche Cole. Cole. Cole.

Non sapevo cosa provavo, pensando a lui. Era come una vecchia bruciatura ora insensibile.

Preparando le valige, intravidi la collanina che Devon mi aveva regalato poche ore fa. Pensavo a Cole, e a che reazione avrebbe avuto se l'avesse vista. Decisi che l'avrei scoperto solo se l'avrebbe effettivamente vista, quindi la indossai e uscii, diretta all'aereoporto.

 

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Capitolo 16
*** Le persone cambiano...? ***


Ci vuole pioggia

vento

e sangue nelle vene

e sangue nelle vene

e una ragione per vivere

per sollevare le palpebre

e non restare a compiangermi

(Tensione evolutiva, Jovanotti)

 

ISABEL

 

Messaggio 20: “Speravo rispondessi.”.

 

Pensavo. Qualcuno avrebbe detto che era una cosa strana per Isabel Culpaper. Chi non mi conosceva lo diceva.

 

Messaggio 3: “Mi annoio, ho bisogno di qualcuno che mi intrattenga. Sam è giù di morale. Potrei usare la sua chitarra per ucciderlo. Così avrei qualcosa da fare e lui sarebbe costretto ad aprire bocca. Due piccioni con una fava! Hai notato che molti modi di dire sono inutilmente violenti? Tipo, Giro girotondo casca il mondo. Lo sapevi che parla della peste? Certo che lo sai. La peste è una cugina maggiore, per te. Ehi, Sam ti parla? No, perchè a me non dice nulla. Dio, quanto mi annoio. Chiamami.”

 

All'epoca in cui Cole mi aveva lasciato quei messaggi in segreteria, avevo trovato quasi impossibile non richiamarlo. Perchè, oh, io avrei saputo come intrattenerlo. Avrei voluto pregarlo di avvicinarsi a me abbastanza da scoprire che non ero poi così fredda come sembravo, e a quel punto non avrebbe più detto che la peste era come una cugina maggiore, per me.

Suppongo che mi avesse lasciato messaggi in segreteria- messaggi vocali- perchè sapeva quanto sensuale e roca potesse risultare la sua voce.

Perchè ora non lo faceva? Dopotutto, era colpa sua se me n'ero andata. Ma il dubbio mi si era insinuato dentro: cosa sarebbe successo se fossi rimasta?

Se fossi rimasta ad aspettare la risposta per una manciata di secondi in più, sarebbe cambiato qualcosa?

E poi c'era il bacio sul letto, molto tempo prima, e- cosa che mi aveva non poco spiazzata- il commento che aveva fatto Cole.

Ti bacerei così, se ti amassi.

Ma cosa aveva voluto dire? Mi aveva baciato così, quindi mi amava? O stava solo dicendo che se mai mi avesse amata, allora mi avrebbe baciata così? Oppure non intendeva niente?

Cosa aveva voluto dire, con quella frase? Magari non lo sapeva neanche lui, o magari aveva pensato che lasciare che mi trastullassi nel dubbio fosse più divertente. Sarebbe stato indubbiamente alla Cole.

 

COLE

 

L'aereo aveva sempre rappresentato un negozio di caramelle per me. Era pieno zeppo di divertimenti: hostess da importunare, bagagli a mano altrui da aprire, vicini di sedile da torturare...

Tuttavia, l'unica cosa che avevo voglia di fare era pensare. Strano, di solito mi piaceva di più agire. Ma molte cose erano cambiate in me, dopo aver rischiato di morire. Due volte.

Quando Beck mi aveva donato una seconda opportunità, non l'avevo considerata tale. Avevo solo pensato che allora c'era un modo più divertente per sparire. L'avevo preso come un gioco, se sopravvivevo evviva, altrimenti in cielo ci sarebbe stato un altro Dio.

Avevo convinto Victor a farlo per tutt'altri motivi, ma per me erano quelle le motivazioni.

Poi la morte di Victor, come uno schiaffo, mi aveva portato alla realtà. C'erano cose più importanti di uccidersi. Cose più importanti che potevo fare col mio cervello, oltre che inventare canzoni e pensare a non essere come mio padre. Potevo trovare una cura.

Poi ero morto.

Ma qualcuno, lassù, voleva che finissi il lavoro. Credo che per guarire mi ci sia voluta un bel po' di forza di volontà.

Ancora una volta avevo fatto lo stesso errore. Avevo valutato male i miei averi e non mi ero reso conto, per la seconda volta, che se fossi morto avrei perso anche cose che non mi ero reso conto di voler tenere.

In testa mi correvano gli stessi pensieri che avevo avuto quando, tempo fa, riflettevo sulla decisione che avevo preso di diventare un licantropo.

In quell'occasione, le cose che avevo perduto erano Jeremy e Victor, forse gli unici individui sulla faccia della terra che mi conoscevano davvero.

Invece, quando mi ero ritrovato nel bosco, reduce di un duello e di un colpo di fucile, tra le cose che non avrei voluto perdere figurava Isabel.

Perchè lei era- nonostante le telefonate a vuoto, i mezzi insulti, gli sguardi pieni di disprezzo- l'unica che in qualche modo sapeva come prendermi. L'unica che riusciva a farmi svestire almeno una parte della scorza dura che indossavo.

Anche Grace e Sam avevano imparato a conoscermi, ma Isabel era l'unica che mi faceva salire l'adrenalina anche solo a parlarle.

Non sapevo se l'amavo. Sapevo che era complicata, e che a me piacevano le cose complicate.

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Capitolo 17
*** Io l'adoro ***


I’m burning down every bridge we make
I’ll watch you choke on the hearts you break
I’m bleeding out every word you said
Go to hell for heaven’s sake
(Sto radendo al suolo tutti i ponti che abbiamo costruito
Ti guarderò soffocare sui cuori che hai infranto
Mi sto purificando di ogni parola che hai detto
Vai all'Inferno, per l'amor del cielo)
(Go to hell, for heaven's sake, Bring Me The Horizon)

 

 

ISABEL

 

Scesi dall'aereo e recuperata la valigia giusta, mi avviai all'uscita.

D'un tratto, udii diverse urla isteriche e pensai seriamente che fosse scoppiato un incendio o che qualcuno avesse tirato fuori un coltello a serramanico.

In realtà la faccenda era molto più grave.

Prima di tutto, notai la grande massa di ragazzine rosa e urlanti che gridavano un nome, poi lo vidi.

Si faceva strada a fatica tra quella folla e si tappava le orecchie per quello che glielo permetteva la valigia. Cole. Dio, che pena. Una delle ragazze tirò quella davanti a lei per i capelli in modo da essere più vicina a Cole.

Per un solo secondo Cole osò togliere le mani dalla faccia-in quel secondo una ragazzina riuscì a sfilargli il giubbino- e fu in quel preciso secondo che mi vide. Per prima, sul suo viso comparve la sorpresa. Probabilmente per i miei capelli.

Con l'aria sollevata, mi corse incontro e io capii le sue intenzioni.

-Non pensare che ti tiri fuori da questo macello- gli urlai, per sovrastare le grida.

-Cole non dirmi che quella è la tua ragazza!- strepitò fuori di sé qualcuna tra la folla. La ragazza che aveva agguantato il giubbino di Cole lo stava annusando avidamente. Credo di aver avuto un'espressione parecchio disgustata.

-Culpaper, mi basta che gridi che sono solo tuo, così smammano.-

-Cosa?! Guarda che per me non sei un dio in terra, sei solo un colossale bastardo!- gli urlai in faccia, la voce più alta ancora di quanto necessitassero le urla.-Sbranatelo pure!-gridai alle ragazzine accatastate intorno a noi. Qualcuna lanciò un verso di sollievo al pensiero che Cole fosse ancora sulla piazza. Come se a Cole interessassero delle preadolescenti in piena crisi ormonale.

Niente riguardo ai miei capelli o ai miei occhi lucidi.

Aveva pensato solo- come sempre, d'altro canto- a salvarsi il suo bel culetto sodo.

Dio, che stronzo! “Mi basta che gridi che sono solo tuo.” Che faccia tosta! Come si permetteva?! Come se fossi sempre pronta ad adularlo appena me lo chiedeva!

Scagliai la valigia nel mio SUV. Mia mamma l'aveva parcheggiato lì il pomeriggio precedente. Non aveva senso nasconderle il mio ritorno in Minnesota, se era per il matrimonio di Sam e Grace.

Guidai verso la penisola e dopo una mezz'ora arrivai a destinazione.

Grace aveva preparato pancake, pancetta e uova, perchè erano le nove e sapeva che probabilmente in aereo io e Cole non avevamo mangiato niente.

-Non crederai che io mangi quella roba, vero?- fu la prima cosa che le dissi.

-Isabel! Che bello vederti! Sempre gentile comunque!- mi abbracciò e io feci lo stesso. Poi entrò Sam.

-Romolo- lo salutai e anche lui fece lo stesso.

-Non hai mica visto Cole, è? Doveva arrivare prima di te...-

Probabilmente se avesse saputo in che situazione si trovava, Grace sarebbe andata ad aiutarlo.

-No, non si è visto.-

Sam mi guardò di sottecchi. Di certo lui aveva capito che era una bugia, ma non disse niente.

Notai che in una angolo, Grace aveva preparato anche caffè e cereali integrali. Evidentemente mi conosceva meglio di quanto pensassi.

Cole si fece vedere solo nel tardo pomeriggio, quando ormai avevo capito che se non volevo che Grace si sposasse in jeans e maglietta nel bel mezzo nel bosco, avrei dovuto organizzare io il matrimonio.

-Comunque tu e Rachel sarete le mie damig...- stava dicendo Grace, ma si interruppe perchè qualcuno era appena entrato.

-Senti, porto le mie cose in camera.- dissi, non avendo nessuna voglia di parlare con Cole.

 

COLE

 

Quando vidi Isabel rimasi allibito. Non credevo che avrebbe mai rinunciato così alla sua fluente chioma. Per me. A causa mia.

Sei tossico.

Si, ero tossico e nuocevo gravemente alla salute. Che gioia.

Comunque, non avevo tempo di occuparmi di questo, visto che ero circondato da una mandria che avrebbe fatto di tutto anche solo per avere i miei peli delle braccia. E non intendevo rinunciare ai miei peli delle braccia.

-Culpaper, mi basta che gridi che sono solo tuo, così smammano- le urlai.

Nei suoi occhi passarono diverse emozioni: sopratutto disgusto e sgomento.

-Cosa?! Guarda che per me non sei un dio in terra, sei solo un colossale bastardo!- poi fece ciò che più temevo. Diede il via libera. -Sbranatelo pure!-

A quel punto se ne andò. Urlai varie volte contro quella massa ma non accennavano ad ascoltarmi.

-Se state zitte canto!- urlai esasperato.

Si zittirono all'istante.

-Adesso vi prego di allontanarvi.- si allontanarono- Ancora un po'- si allontanarono quel tanto che mi serviva.

Fuggii all'istante. Corsi finché non trovai un taxi e mi ci fiondai dentro.

Arrivai alla penisola nel tardo pomeriggio. Isabel filò su per le scale, mentre Sam e Grace vennero a salutarmi.

Mi congratulai con loro e Grace mi disse di andare a sistemare le mie cose. Quando le passai accanto, mi disse a voce molto bassa che magari avrei anche potuto salutare Isabel.

Mi diressi al piano superiore e scoprii che era interamente occupato da camere ma con un solo bagno in comune.

Scelsi a caso una camera e lasciai la mia valigia in un angolo. Poi cercai la camera di Isabel, che scoprii essere di fronte alla mia.

Lei non c'era, ma decisi comunque di dare un'occhiata. Sopra al letto c'era un cambio di vestiti, probabilmente era andata a farsi una doccia. Sopra al comodino c'era una collana che non avevo mai visto. La presi in mano e la osservai meglio. Era un piccolissimo ciondolo a forma di farfalla, molto sottile. In modo che le fosse possibile tenerla sempre addosso. Due brillantini azzurri brillavano davanti mentre dietro c'era inciso qualcosa: Devon. D'un tratto diventai furioso. La lasciai cadere di nuovo sul comodino e ritornai in camera mia, sbattendomi la porta alle spalle.

 

ISABEL

 

Due cose mi facevano stare meglio in ogni situazione: una doccia calda o una doccia fredda, a seconda delle stagioni.

Così sfruttai la doccia anche quella volta.

Mentre l'acqua calda scorreva sul mio corpo, mi importava solo di me. Niente Cole, matrimoni imminenti, amore altrui e amiche di amiche.

Quando uscii dalla doccia mi accorsi di non avere addosso la collana di Devon. Era in camera. Sentii una porta sbattere, probabilmente era Cole.

Mi dedicai un po' di tempo, poi decisi di tornare in camera, dove scoprii la collanina gettata in malo modo da tutt'altra parte rispetto a dove l'avevo lasciata. Sorrisi tra me e me: la guerra ai colpi bassi era cominciata.

La indossai e mi vestii con leggins di pelle e una maxi maglia e scesi di sotto.

-Isabel, puoi dire a Cole che ceniamo?- mi chiese Grace.

Risalii le scale, ma prima di bussare mi assicurai che la collana fosse ben in vista e per ribadire il concetto la tolsi e la riallacciai in modo che davanti brillasse la scritta Devon. Entrai senza bussare e trovai Cole steso sul letto con la testa all'ingiù, lasciata a ciondolare. La musica che si stava iniettando nelle orecchie era talmente alta che la sentivo molto bene anche io, nonostante le cuffie.

-Cole, Grace ti vuole a cena.- mi curai di avere uno sguardo di sfida ma di rimanere distaccata il più possibile. Lui, molto lentamente, si tolse le cuffie e mi raggiunse.

-Bella collana.- disse, superiore, menefreghista. Ma i suoi occhi lo tradivano. Rivelavano la rabbia che cercava di trattenere e la sfida che mi lanciava. La guerra era cominciata, così risposi al fuoco con il fuoco.

-Io l'adoro-

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Capitolo 18
*** I muri non servono a niente ***


Ti confesso di avere paura

e non mi era ancora successo.

Paura del modo,

di te

e a volte di me stesso.

(Il battito animale, Raf)

 

ISABEL

 

Se prima pensavo che la guerra mi sarebbe piaciuta, ora mi rimangiavo tutto.

Non avevo ottenuto ciò che desideravo: passeggiavo per casa con la collana di Devon sempre addosso, ma lui sembrava non vederla e quando gli parlavo lui rispondeva neutro.

Mi stava irritando davvero troppo.

Quella mattina, quando scesi a colazione, trovai soltanto lui in cucina.

-Dove sono Sam e Grace?- chiesi, ancora assonnata.

-Credo che siano andati a fare la spesa.- ecco, niente frecciatine, prese in giro, battutine o commenti velenosi. Niente di niente.

A sorpresa, il cellulare sull'isola squillò, era Devon. Non volevo rispondere, ma non volevo neanche rifiutare la chiamata, perchè Cole aveva visto il nome sul display. Non potevo dare corda a Devon, ma neanche dimostrare a Cole che stavo recitando da giorni, riguardo a lui.

Così mi portai il cellulare all'orecchio, ma invece di premere il tasto verde premetti il rosso.

-Ciao Devon.- risposi con una voce piena di allegria, felicità e anche un po' roca.

Anche se Cole era di schiena, riuscii a scorgere le sue dita che stringevano fin troppo la tazza.

-Non so quanto resterò qui, piccolo. Lo so, lo so, anche tu mi manchi- mi sentivo un po' idiota a parlare da sola, ma calcai comunque sull'ultima frase.

-Certo che indosso la tua collana. È bellissima, non la tolgo neanche di notte.- a Cole andò di traverso il caffè.

-Devo andare ora.- soffiai. Rimisi il cellulare sul piano della cucina e chiesi a Cole del caffè. Come se non fosse successo nulla.

Lui sbattè la tazza sul tavolo e uscì.

 

COLE

 

Era rabbia quella che stava nascendo nel mio petto?

Si, credo proprio che fosse così.

Mi aveva davvero messo da parte con tanta facilità? No, non credevo fosse possibile.

A sorpresa, mi tornò in mente il periodo felice vissuto a Mercy Falls, quando Grace stava male.

Le mie mani erano scivolate così tante volte sul suo corpo e avevano tolto molte magliette.

Non avrei resistito a lungo, a vederla con la collana di un altro, al telefono con un altro.

Non sopportavo l'immagine di lei tra le braccia di qualcun altro, insieme. No, no, no.

Lei era mia.

 

Dopo aver passeggiato fin troppo a lungo, addentrandomi nel bosco della penisola come mai avevo fatto, ripercorsi i miei passi fino all'ex rifugio. Avevo riflettuto e infine deciso: me ne sarei andato, altrimenti avrei finito per dire a Isabel cose sconvenienti.

Avrei atteso il matrimonio a Mercy Falls.

Appena entrai, intuii subito che Grace e Sam erano tornati: si respirava aria di casa, il camino era di nuovo acceso e la casa era di nuovo rumorosa, per quanto potesse esserlo un'abitazione così grande abitata da quattro persone.

Così, decisi di comunicargli la mia decisione.

-Grace, Sam, me ne vado.-

Entrambi si voltarono verso di me. La prima a reagire Grace, come sempre.

-Perchè?- e Sam la seguì subito dopo:-Dove?-. Naturalmente risposi solo alla domanda di Sam: quella di Grace era troppo complicata.

-A Mercy Falls-. Grace sembrò notare alquanto che non le avevo risposto, ma mi concesse un “Ok”, solo con la promessa che di quando in quando mi sarei fatto vivo.

 

ISABEL

 

Che idiota.

Non lo sopportavo più.

Sentii Cole, nell'altra stanza, rovistare nei cassetti.

Nel pomeriggio, avevo ascoltato Cole. Non Cole la persona, il Cole racchiuso nei dischi.

Avevo sentito tanti, troppi tipi di canzoni: certe parlavano del mondo e di come stesse andando a puttane, altre-praticamente il novantanove per cento- parlavano di Cole. Di come si sentiva, di come si comportava, di come vedeva il mondo intorno a se e di come il mondo intorno a sé vedeva lui.

Per una volta, ascoltai Cole che diceva la verità.

Oh, se l'avevo cercata. L'avevo cercata nei suoi gesti, nelle sue parole, nei suoi comportamenti e nelle pagine di un diario. E la verità da Cole non l'avevo mai ottenuta. Chi l'avrebbe detto che mi sarebbe bastato ascoltare le sue canzoni?

E dopo di quello era troppo rischioso stargli vicino, avrei finito per dirgli cose sconvenienti.

Di sotto, una porta si chiuse: Grace e Sam dovevano essere tornati.

Raccolsi le mie cose e le chiusi di nuovo in valigia, dopodiché scesi a comunicare la mia decisione ai due futuri sposi.

 

SAM

 

Cole era appena uscito dalla porta, quando anche Isabel trascinò la sua valigia giù per le scale.

-Grace, Sam, me ne vado.-

Solo allora compresi l'improvvisa fuga di Cole, e anche quella imminente di Isabel. Il motivo di Cole era Isabel e quello di Isabel era Cole. Avrebbero mai risposto le armi? O sarebbero andati avanti così per sempre, finchè non avessero esaurito le forze?

 

I muri non servono a niente, quando è da noi che dobbiamo difenderci.*

 

E anche Isabel uscì dalla porta. Forse, e solo forse, l'avrebbero capito.

 

I muri non servono a niente quando è da noi che dobbiamo difenderci.

 

ISABEL

 

Ed ecco, mi accingevo a trascorrere il tempo che mancava al matrimonio a Mercy Falls.

Lontano da Cole, forse avrei potuto schiarirmi le idee.

 

 

 

 

 

 

*frase presa da tumblr

Giorno !!!!

come va? Bè, la situazione è comica: entrambi vogliono allontanarsi l'uno dall'altro e finiscono per avvicinarsi ancora di più.

Il prossimo capitolo sarà...particolare, spero che venga come l'ho immaginato. Un bacione, alla prossima!!

 

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Capitolo 19
*** Un anno fa- parte 1 ***


Where did I go wrong

I lost a friend

somewhere along in the bitterness

and I would have stayed up

with you all night

had I know how to save a life

(Dove ho sbagliato?

Ho perso un amico

da qualche parte, nell'amarezza

e sarei stato in piedi tutta la notte

se solo avessi saputo come salvare una vita)

(How to save a life, The Fray)

 

COLE

 

6:00 am

Le mie giornate erano fatte di lampi di coscienza che alternavo sapientemente alle ore di oblio.

 

7:58 am

Ero lupo e d'improvviso uomo, poi tornavo il ragazzo immaturo che ero stato. Che purtroppo non ero più.

Mi ridestai e poco dopo ricaddi addormentato.

 

10:45 am

Stavo perdendo sonno. Non potevo permetterlo. Non mi sarei svegliato.

Mi svegliai.

 

11:00 am

Il dormiveglia aveva portato con sé un ricordo che non sapevo di avere.

Caldo. Concerto. Urla.

La sentivo, più forte che mai. Ma forse era solo il mio cervello ad amplificare all'infinito quel suono.

Sentivo la folla: urlante, impaziente.

Sentivo tutto ciò che c'era da sentire ad un concerto.

Erano pronti a rubarmi l'anima ed io ero ben disposto a cederla. Non pretendevo qualcosa in cambio, semplicemente non la volevo più.

Anima. Sa di sacro e di puro. E io di sacro e puro non avevo più niente.

Non mi aspettavo più qualcosa dalle persone sotto al palco, da tempo mi ero arreso all'idea che non mi trasmettessero alcunché.

Quel concerto non era stato particolarmente esaltante; era stato fastidiosamente ordinario.

Non era degno di essere ricordato proprio quel giorno.

 

ISABEL

 

Mi fermai prima di inaugurare la mia mattinata di jogging e rubai al tempo un momento per sentire.

L'odore freddo e grigio della nebbia, quello che copriva tutto come un telo spesso e impenetrabile.

Solo quando mi chinai ad allacciarmi una scarpa sentii l'erba, che combinata con la rugiada emetteva una fragranza mai sentita, unica.

Pochi passi verso il bosco e le foglie secche sprigionarono l'autunno nelle mie narici. I profumi si mischiarono ai suoni quando iniziai a calpestarle. Alcune producevano un suono rassicurante, di infanzia, quando non sapevo neanche cosa fossero morte, sofferenza o rimorso. Altre non emettevano alcun suono, ancora troppo morbide e non abbastanza secche.

Né vive né morte, una via di mezzo che mi dava sui nervi.

 

COLE

 

Mi arresi al giorno e alla vita che scorre solo a mezzogiorno, quando scesi dal letto, acconsentendo così ad affrontare ciò che quel giorno mi avrebbe portato.

Un anno fa.

In bagno c'era un asciugamano usato. Dedussi che Sam o Grace non l'avevano rimesso a posto, l'ultima volta che erano stati qui.

Un anno fa.

L'aria trepidava di aspettativa e di cambiamenti, il mio corpo era in estrema tensione e di quando in quando imponevo ai muscoli che non sapevo neanche di aver teso di rilassarsi.

Oggi qualcosa sarebbe cambiato. In casa ferveva la tensione che ci può essere prima di un bacio significativo o degli applausi della folla.

Perchè mentre facevo colazione non facevo altro che pormi domande esistenziali?

Il mio subconscio trovava da ridire a ogni mia azione.

Oggi un cucchiaio non ti servirà a niente. La lentezza con cui mangi i cereali non ti salverà dal tuo dovere.

Un anno fa Victor moriva.

 

ISABEL

 

Dovevo correre da un bel po' di tempo. Ormai, secondo l'orologio che avevo al polso, era mezzogiono e mezzo. Era ora di tornare.

Mi incamminai lentamente e quando sbucai in una radura mai vista, rimasi a bocca aperta.

I colori autunnali creavano uno spettacolo magnifico. Ogni tonalità di giallo, ocra, arancione, rosso si fondeva in quella fronde e faceva sembrare ogni altra cosa grigia, banale o non degna di essere vista. Mi sembrò di avere appena aperto gli occhi dopo ore di grigi monotoni.

Camminando a testa in su potevo perdermi in quello spettacolo fino ad avere le vertigini.

Improvvisamente caddi.

 

COLE

 

E così decisi di uscire ed affrontare me stesso. Portai con me la chitarra.

Non avevo dimenticato dove avevamo scavato io e Sam. Non avevo dimenticato un solo momento di quelle ore.

Anche se il terreno non era più smosso e non c'era più nessuna differenza tra l'erba circostante e quella che nascondeva il corpo; l'avrei riconosciuta sempre. Era nel bel mezzo del giardino e mentre avanzavo sentivo di stare affrontando un mare. Di paure, di angosce, di debolezze, di arroganza. Per lasciarmelo alle spalle, stavolta per sempre.

Quando arrivai a quel rettangolo di terra non potevo che aver percorso una manciata di metri, ma mi sentivo sfinito.

Seduto sull'erba, non ci furono bisogno di parole per promettere che sarei cambiato. Una per una, presi tutte le cose che volevo lasciarmi alle spalle e le tolsi da me stesso.

Nel mentre cantavo, per Victor. Era una canzone che avevo sentito tanto, troppo tempo fa per ricordarne la melodia. Accompagnavo le parole con l'unica nota che Sam mi aveva insegnato a fare bene.

-Oh where did I go wrong, I lost a friend, somewhere along in the bitterness and I would have stay up with you all night. Had I know how to save a life-

Sentii un urlo e la mia mente, inspiegabilmente, recepì la voce come quella di Isabel.  

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Capitolo 20
*** Un anno fa- parte 2 ***


'Couse I'm only a crack

in this castle of glass

hardly anything left

for you to see

for you to see

(…)

wash the sorrow from off my skin

and show me how to be whole again

(perchè sono l'unica crepa

in questo castello di vetro

non c'è quasi nient'altro

che tu riesca a vedere

che tu riesca a vedere

(…)

lava via il dolore dalla mia pelle

e fammi vedere come essere di nuovo completo)

(Castle of glass, Linkin Park)

 

COLE

 

Corsi come mai avevo fatto. Corsi talmente a perdifiato che persi la strada due volte.

Poi non sentii più la voce di Isabel e ancora prima che me ne rendessi conto stavo urlando.

-Isabel! Urla! Dove sei?!- la mia voce suonava troppo lontana per sentirla mia e troppo vicina per ignorarla.

Poi la voce di Isabel tornò a farmi da filo di Arianna.

Riconobbi la strada: era quella che avevamo percorso io e Ringo per arrivare alla buca dove avevamo trovato Grace. Pregai affinché non ci fosse bisogno di niente e pregai che sarei riuscito a tirarla fuori da solo.

Ero arrivato. Lo scenario era talmente diverso che dovetti aspettare un secondo per riconoscerlo come il posto giusto. Avrei potuto apprezzare la maestria con cui la natura aveva intrecciato una svariata gamma di colori autunnali sopra la mia testa, ma no. Isabel, prima Isabel.

Mi chinai e la vidi in preda al tremore più violento, le mani impotenti per il freddo che incatenava le dita tra loro.

Alzò lo sguardo su di me e i suoi occhi azzurri come il cielo più limpido e più brillante che avessi mai visto mi si stamparono nella mente, con la certezza che non mi sarei mai dimenticato questo momento.

Constatai che l'acqua scesa in quei giorni aveva contribuito ad alzarne il livello nella buca. Isabel era più raggiungibile.

Tesi il braccio più che potei e la esortai a fare altrettanto. Non ci arrivavo.

Improvvisamente, Isabel sprofondò e intuii che un ramo a cui si appoggiava si fosse spezzato.

-Isabel! Isabel!- non risaliva, non la vedevo. Solo allora compresi il terrore che avevo visto nel viso di Sam, la disperazione con cui si era buttato in acqua-se così si poteva chiamare. Anch'io, per un attimo, pensai all'orribile fine che Isabel avrebbe potuto fare se non fossi riuscito a tirarla fuori di lì.

E quando avevo finalmente e stupidamente deciso di buttarmi, lei riemerse.

-Cole! Ti prego, aiutami!- mugolò. Cercai di allungare all'impossibile il braccio ma non la sfioravo neanche.

-Cerca una radice!- la disperazione nella mia voce era decisamente eccessiva ma non mi preoccupai di camuffarla. C'erano cose più importanti del nascondermi da me stesso.

Quando trovò un appoggio la raggiunsi. Con uno sforzo riuscii ad afferrarle la mano, ma non era niente. Niente di più, niente di meno. Ora veniva il difficile. Cercai di fare forza sulle gambe ma non la spostai di un centimetro.

-Isabel salta. Al mio tre salta! Uno, due, tre!- saltò nello stesso momento in cui io la tiravo a me e cademmo entrambi all'indietro.

Dopo aver tratto un respiro lunghissimo per cercare di riprendere fiato, la cercai con la mano. Mi chinai a baciarla. Perchè era ciò che volevo, ciò che aspettavo da troppo.

 

ISABEL

 

Potevo respirare. Non avrei più dovuto lottare per rimanere a galla. Prima che potessi prendere a pieno atto di ciò, Cole mi baciò.

Un bacio pieno di paura e spavento, di disperazione. Mentre si sistemava sopra di me, le sue labbra cercavano febbrilmente le mie e parlavano un linguaggio che comprendevo cento volte meglio delle parole.

La sua mano sulla mia nuca, a stringermi convulsamente a sé, l'altra sotto la maglietta, per avere un contatto più intimo di quanto permettessero le mie labbra gelate.

Le mie mani cercarono il suo viso, rivelarono ciò che volevo veramente da Cole: lui stesso, non solo il suo corpo.

Gli passai una mano tra i capelli finalmente scomposti e lui strinse i miei, più corti che mai.

Tenevo gli occhi chiusi mentre socchiudevo la bocca, per permettere a Cole di approfondire il bacio. Non mi importava più di niente. Le settimane senza parlarci? Sparite!

Prima che potessi prendere l'iniziativa, Cole mi abbassò la maglietta, che non mi ero accorta avesse alzato.

-Forza, andiamo.- disse, alzandosi e porgendomi la mano.

Durante il ritorno a casa non mi disse niente né lo feci io.

-Com'è che sei qui anche tu?- chiese infine.

-Ho detto a Grace che volevo starti lontano.-.

Lo vidi stringere la mascella e poi disse:-Non che possa offendermi, è il mio stesso motivo...-

-Non siamo poi così diversi, alla fine.- soffiai con una voce profonda e soffocata che non sapevo di possedere.

Mi guardò e lo stesso feci io. I suoi occhi verdi, brillanti come non mai e profondi come non li avevo mai visti mi scavarono nell'anima.

-Isabel, io...- ma si interruppe e io andai verso il bagno per non dire quello che avrei dovuto e voluto confessare.

Credo di amarti, Cole. È mai possibile?

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Capitolo 21
*** Non ho mai voluto iniziare una guerra ***


It’s moments like this where silence is golden
(And then you speak)
(E' in momenti come questo che il silenzio è d'oro
e poi tu parli)
(Go to hell for heaven's sake, Bring me the horizon)

 

COLE

 

Isabel si incamminò verso il bagno e con lei se ne andò il mio improvviso coraggio. Dio, cosa mi era saltato in mente?

Salii in camera mia e mi cambiai, dopodiché uscii a recuperare la chitarra.

Le mani mi prudevano per la voglia di scrivere i versi che, contro la mia volontà , mi si formavano in mente.

 

 

ISABEL

 

Arrivai in bagno e mi sentii come se fossi finalmente al sicuro. Finalmente da sola.

Mi guardai allo specchio: avevo i capelli incollati alla fronte, il trucco era in parte colato ed ero sudicia. Come aveva fatto Cole a baciarmi in queste condizioni?

Non era da me dare significati metaforici all'acqua che puliva la sporcizia. Odiavo chi sosteneva che l'acqua scorre sul mio corpo e porta via la sporcizia e ogni cosa brutta! L'acqua è acqua, non una sostanza miracolosa che cancella le tragedie della vita.

Uscita dalla doccia mi accorsi che il cellulare squillava. Grace. La richiamai.

-Isabel, mi sono accorta che è autunno-. Dovevo ridere?

-Grace, hai bevuto?-

-Ah-ah-ah. No, voglio sposarmi in autunno. E non durerà ancora molto. Due mesi al massimo.-

-Ok, quindi? Grace, ti prego, dimmi cosa vuoi da me e io lo farò, ma non parlare per sottintesi, per oggi sono a posto.-

-Intendo dire che dobbiamo organizzare il matrimonio entro questo mese e che dobbiamo iniziare oggi.-

-Bene, bastava dirlo. Arrivo.-

 

COLE

 

Quando Isabel uscì dal bagno ero piuttosto di buonumore, ma quando vidi ciò che aveva al collo cambiai subito idea.

La portava ancora. Dopo che le avevo quasi confessato... tutto. Lei la portava ancora.

-...e quindi ci vuole lì oggi stesso.-

-Cosa?- chiesi. Non avevo ascoltato una parola.

-Grace vuole sposarsi in autunno e ha realizzato che sta per finire, quindi dobbiamo iniziare a organizzare il tutto oggi stesso.-

-Magnifico- sbottai e uscii sbattendo la porta.

 

ISABEL

 

Non capivo cosa potesse succedere nella testa di Cole St Clair ogni santo giorno. Ma al momento non era un mio problema, visto che Grace si stava Sam-izzando e era diventata talmente romantica da volere il matrimonio in autunno. Dio solo sapeva perchè, poi.

Passai a prendere anche Rachel, come mi aveva chiesto Grace.

Quella mattina aveva raccolto i capelli in una treccia laterale a spina di pesce e indossava un cardigan a righe sopra un vestito leggero. Non era stravagante come il solito e questo me la rese momentaneamente sopportabile.

-'Giorno Isabel. Come te la passi?- momentaneamente.

-Come una che deve stare in macchina con te.- risposi secca, ma un sorriso mi comparve, leggero, sulle labbra.

Arrivammo alla penisola alle tre del pomeriggio.

Grace ci accolse con un “Meglio che non parliate a Cole.” e non volli sapere il perchè. Non avevo neanche idea del mezzo che aveva usato per arrivare fin lì.

-Cole?- chiese Rachel.

-Oh, è vero, tu non lo conosci, Rachel. Bè, è Cole St Clair e...- ma Rachel la interruppe con un “Cooooosaa?!”.

Grace si voltò di nuovo verso di lei e così feci io. Possibile che conoscesse i NARKOTIKA?

-Quel Cole?-

-Quale Cole, Rachel?-

-Ex front man dei NARKOTIKA?- chiese cauta.

-Come li conosci?- chiesi, allarmata.

-Erano la band preferita di Olivia...- disse a voce molto bassa, ancora lo sguardo su Grace. Quest'ultima si portò lentamente una mano alla bocca e mormorò qualcosa del tipo “Ecco perchè conoscevo Break my face.”.

Entrambe avevano gli occhi lucidi e io non avevo idea di cosa fare, così aspettai che una delle due parlasse, ma non lo fecero. Sam entrò in salotto.

-Ehi, che succede?- disse raggiungendo Grace. Ancora silenzio.

Alzai lo sguardo verso i presenti e incrociai lo sguardo di Cole, appoggiato allo stipite della porta che dava sulla cucina. Gli lanciai uno sguardo interrogativo ma lui non diede spiegazioni sulla sua improvvisa scenata di poco prima. Si limitò a spostare lo sguardo da me a Rachel, cosa che mi irritò non poco.

Intanto, Sam aveva distolto Grace e Rachel dal loro pensieri e le due stavano lentamente ritrovando i consueti sorrisi.

-Bè, Rach, questo è Cole.- disse Sam, indicandolo. Lui la raggiunse e le strinse la mano, scambiando con lei qualche battuta, che non ascoltai. Era il sorriso di Cole che guardavo; la sua mano ancora stretta in quella di Rachel, lo sguardo interessato che le rivolgeva. Del tutto estraneo a quello che rivolse a me poco dopo. Quello fu freddo come il piano di marmo della cucina, a cui mi ero appoggiata. Duro e distaccato.

Ma insomma, che gli prendeva?!

Decisi di andare dritta in camera mia, senza più degnare di uno sguardo la nuova coppietta.

La sera stessa, mentre mi preparavo alla notte, notai che avevo ancora indosso la collana di Devon. Probabilmente l'avevo infilata per abitudine, e poi non era così brutta, così la posai davanti allo specchio.

Una volta a letto, pensai e ripensai al comportamento di Cole, ma non trovai nessuna azione da parte mia che potesse spingerlo a flirtare conRachel.

Non riuscivo a prendere sonno, così mi alzai dal letto e sentendo dei passi in corridoio, uscii per vedere chi era. Cole stava per entrare in camera.

-Rachel, davvero? Sei caduto così in basso?- Cole si voltò, per niente stupito di vedermi a quanto pareva.

-Neanche tu ti sei risparmiata, vero?-

-Che diavolo stai blaterando, Cole?-

-Non hai perso tempo a trovarne un altro.-

-Un altro?-

-Non credere di fare il doppio gioco con me.- disse, e un po' di rabbia si mischiò alla sua voce.

-Cos...- ma prima che potessi finire la frase, Cole mi era addosso. -Cosa stavi per dirmi oggi? Perchè mi hai baciato? Volevi decretare chi baciasse meglio tra me e lui? Credi che mi lascerò prendere in giro da te? Hai questa bassa considerazione di me?-

-Io...- ero spaventata da questo Cole.

-Non mi interessa la tua opinione!- mi urlò ad un centimetro dal viso.

-Bè, sei tu che me l'hai chiesta!- ribattei.

-In questo caso, ritiro ogni domanda!-

-Vaffanculo, Cole!- rientrai nella mia stanza sbattendo la porta, più confusa di prima.

Ma feci in tempo a sentirlo e fu il peggiore insulto che mi avessero mai rivolto, perchè non era dettato dalla rabbia ed era la pura e semplice verità, quella che non volevo ammettere a me stessa. Cole lo disse chiaramente e quasi sottovoce.

-Sei solo una viziatella. Scappi dalle cose da cui non ti puoi difendere. Bella stronza che sei!-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buongiono!!

Vi piace?? Sto perdendo un po' la bussola quindi ditemi cosa va e cosa non va, se vi va...(??) :D

Bene, alla prossima!!!!

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Capitolo 22
*** Non mi spezzerò ***


Can you tell from the look in our eyes?
(we’re going nowhere)
We live our lives like we’re ready to die
(we’re going nowhere)
You can run but you’ll never escape
(over and over again)
Will we ever see the end?
(we’re going nowhere)
(Riusciresti mai a capire, dallo sguardo nei nostri occhi,

(che non stiamo andando da nessuna parte?)
Viviamo le nostre vite come se fossimo pronti a morire
(Non stiamo andando da nessuna parte)
Puoi scappare ma non sfuggirai mai
(ancora e ancora e ancora)
Finirà mai?
(Non stiamo andando da nessuna parte))
(Shadow Moses, Bring me the Horizon)

 

COLE

 

Sbattei la porta della mia camera talmente forte che lo schianto riverberò contro le pareti più di una volta. O forse accadeva solo nelle mie orecchie. Continuavo a risentire la cose che avevo detto e le mie ultime parole erano ancora fresche sulle mie labbra.

 

Bella stronza che sei.

 

Forse avevo parlato a vanvera. Forse, e solo forse, avevo esagerato. No, no, no.

 

Bella stronza che sei.

 

Era ora che qualcuno glielo dicesse. Era sempre stata altezzosa.

Sempre e mai erano parole pericolose. Per usarle si deve essere certi con tutti noi stessi di quello che diciamo. Escludono ogni eccezione e questo era un guaio, perchè io vivevo di eccezioni. Ero un'eccezione.

Sempre. Fino alla fine dei miei giorni, in ogni momento, luogo e situazione. Senza nessuna eccezione. Ti amerò per sempre.

-Ti amerò per sempre-.

La mia voce suonò piatta e fastidiosamente familiare. Ti amerò per sempre. Lo ripetei. Una volta, due, tre, finché la frase non perse ogni significato. Non l'avrei mai detto a nessuno.

Mai. Escludeva tutto. In qualsiasi situazione potessi trovarmi, in ogni circostanza, ero sicuro che mai avrei detto una cosa del genere. Perchè, se anche avessi davvero amato qualcuno per sempre, sarei stato troppo preso da me stesso per accorgermene.

Per quanto provassi a cambiare, rimanevo fermo, i piedi incollati a terra dalle mie stesse paure.

Invidiavo chi viveva semplicemente con l'intento di prendere qualcosa di bello dalla vita per poi andarsene senza troppi rimpianti, mentre io ero così deciso a fare di me una leggenda che ferivo le persone sbagliate. Talmente preso dall'immagine e da ciò che dovevo sembrare da costringermi in vesti inadatte a me.

Avevo sempre avuto qualcuno che mi diceva come comportarmi, vestirmi, atteggiarmi. Qualcuno che decidesse la mia immagine per me. Qualcuno che decidesse chi dovevo essere. E così non ho mai capito chi sono veramente. Dopotutto, chi era Cole St Clair?

 

ISABEL

 

Cole St Clair era un bastardo.

Un bastardo che diceva le cose come stavano, e proprio per questo era un bastardo.

Avrei potuto stare ore ad elencare i suoi difetti e le sue superbie e lui giudicava me?

Una piccola parte di me, più grande di quanto avessi voluto, gli dava ragione ma lo odiavo, con tutta me stessa. Per un orrendo scherzo del destino e di madre natura e solo Dio sa di chi altri, Cole St Clair era un bastardo maledettamente bello. Non carino o figo o sexy. Bello.

Come si sarebbero potuti definire i tratti taglienti del suo volto (del tutto coerenti col suo carattere), gli occhi verdi come pochi altri e il fisico perfetto?

Belli. Ma d'altro canto anche io lo ero. Mi davo da fare per avere la pelle liscia e senza alcuna imperfezione, ma non faticavo tanto quanto faticavo per avere un carattere come il mio.

Cosa mi impediva, dopotutto, di andare in camera sua, in questo momento? Fondamentalmente niente, ma col tempo avevo imparato a comportarmi. Se fossi andata, gli avrei dato ragione.

Carattere. Tutto ciò che rovina il mondo.

Perchè se fossimo tutti dei codardi senza un briciolo di decisione nessuno si farebbe male, nessuno verrebbe deluso.

Ma sarebbe altrettanto divertente?

Non credo proprio.

Carattere. La nostra rovina e la nostra salvezza.

Una volta qualcuno mi disse che per leggere bene un libro bisogna lasciare che lui legga noi.

Forse per poter amare Cole avrei dovuto lasciare che lui mi amasse.

Per prendere qualcosa da lui, lui avrebbe dovuto prendere qualcosa da me. Niente si fa senza un compenso.

Ma se per caso mi avesse amata e poi respinta, sarebbe morto. E non avevo la forza di ucciderlo.

 

COLE

 

All'improvviso mi si parò davanti un baratro e prima che potessi rendermene conto stavo cadendo.

Contrassi i muscoli in un moto di sorpresa e sentii il tappeto strusciare contro il mio corpo.

Balzai a sedere. Un sogno. Uno stupido sogno.

Mi alzai e andai alla porta per capire che ore erano e Isabel passò davanti a me con solo una camicia troppo larga addosso. Mi fulminò con lo sguardo e sparì in camera.

-Cole, oggi dobbiamo scegliere il posto, quindi vedi di sbrigarti.- disse Sam, mentre attraversava il corridoio per scendere le scale.

Quando scesi e raggiunsi gli altri, Isabel era vestita in un modo decisamente troppo provocante per andare a scegliere la location del ricevimento.

Se voleva farmi ingelosire non ci sarebbe riuscito.

Inutile dire che mi rimangiai tutto quando iniziò a flirtare con chiunque.

 

 

 

 

 

 

 

Hello!!!!

È un capitolo di passaggio, ma spero che vi piaccia lo stesso :*

Detto questo, ho una notizia importantissima!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Non so se sono l'unica ciompa che non sapeva niente, ma io lo dico lo stesso.

MAGGIE STIEFVATER HA DICHIARATO DI AVER SCRITTO UN LIBRO SU ISABEL E COLE, CHE VERRÀ PUBBLICATO IN AMERICA IN LUGLIO 2014!!!!!!!!!

Si chiama Sinner!!!!!!! CIOÈ, STO SALTELLANDO DA UN'ORA!!!!!!!!!! NON VEDO L'ORA DI LEGGERLO!!!!!

Alla prossimissima, Mostrina2!!!!!!!

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Capitolo 23
*** Cedere ***


A te che io

ti ho vista piangere nella mia mano

fragile che potevo ucciderti

stingendoti un po'

e poi ti ho visto con la forza di un aereoplano

prendere in mano la tua vita

e trascinarla in salvo

(A te, Jovanotti)

 

COLE

 

Procedevamo verso i confini della penisola stipati in due macchine: io e Sam nella macchina rossa, Grace, Rachel e Isabel in quella di Sam.

Isabel quella mattina indossava un paio di leggins finta pelle più aderenti di qualsiasi altro indumento avessi mai visto, una canottiera aderente con dei tagli orizzontali sulla schiena e dei manicotti neri. I capelli corti la facevano sembrare ancora più sexy. Non c'erano dubbi: aveva dato fuoco alle micce. Sembrava pronta a fare la cubista in un locale notturno.

Ci fermammo nel parcheggio di un edificio moderno ed entrammo dalla porta principale.

Ci affidarono ad un ragazzo che aveva si e no due anni in più di me e, come ci spiegò lui stesso, figlio del proprietario.

Era molto alto e aveva capelli biondi e ricci, che a volte scostava dalla fronte con un gesto di studiata noncuranza. Gli occhi azzurri ci scrutavano da sopra il naso picco e dritto. Guardai Isabel, che sembrò gradire quella vista. Guardai lui, e mi sembrò che la cosa fosse reciproca.

 

ISABEL

 

Dopotutto non mi era andata così male. Avevo pensato di dover flirtare con un signore di mezza età senza capelli. Il ragazzo non era niente male.

Ci scortò attraverso ampie sale che descrisse a Grace nei minimi dettagli, spiegando dove avrebbe potuto sistemare i fiori e le decorazioni.

Io mi limitavo a guardarlo e a volte lui ricambiava. Una volta gli feci l'occhiolino e lui si affrettò a distogliere lo sguardo.

Le sale si susseguivano, e man mano, con mia crescente irritazione, immaginavo come le avrebbe arredate mia madre. Fiori secchi, soprammobili, vasi e quadri.

Infine ci recammo nel giardino. Qua e là spuntavano statue e fontane all'apparenza antiche, i cespugli erano curati e dei piccoli sentieri portavano alla fontana più grande di tutte.

Le fronde floride che si chiudevano sopra di noi davano una sensazione di intimità e riservatezza. A questo punto il ragazzo disse che ci lasciava per un po' in modo che potessimo ammirare tutto con più tranquillità.

Avvicinai un ragazzo che ciondolava lì vicino (che era venuto per sua sorella maggiore), scoccando qualche volta uno sguardo oltre la spalla per controllare che Cole mi vedesse. E lui era sempre lì a scrutarmi cupo, ostentando indifferenza.

Poi raggiunsi il giovane che ci aveva fatto da guida.

 

COLE

 

Quando finalmente pensavo che ci fossimo liberati di quello stoccafisso, Isabel lo fermò e iniziò a parlarci amabilmente. La vidi chinarsi appena per sussurrargli qualcosa all'orecchio e lui ebbe modo di sbirciare la sua scollatura. Quando lei si scostò, si affrettò a distogliere lo sguardo. Povero scemo, non ci sapeva proprio fare.

Malgrado tutto, cominciavo ad averne abbastanza. Mi dava troppo fastidio vedere Isabel che gli posava una mano sul petto o lui che accidentalmente le sfiorava i capelli.

Poi, Isabel fece cadere di proposito qualcosa dalla minuscola borsetta e si chinò a raccoglierla.

Dalla mia posizione, vidi esattamente ciò che vide lui: la canottiera le scivolò in alto, rivelando la sua schiena candida e le due piccole fossette appena sopra il piccolo lembo di pizzo nero della biancheria che spuntava dai leggins. Poi allungò il braccio per raccogliere la cosa che le era caduta e la spallina della canottiera le scivolò dalla spalla. Quando si alzò, la spallina si abbassò ulteriormente, rivelando un po' più del dovuto.

Il ragazzo era paonazzo e dopo aver balbettato qualcosa che riguardava un impegno urgente, se ne andò. Ne avevo davvero abbastanza, così uscii dagli alberi deciso a parlarle, ma lei mi precedette.

-Piaciuto lo spettacolo, Cole?- disse, voltandosi.

-Non proprio- dissi, brusco.-Ma se vuoi fare la puttanella non è un problema mio.- aggiunsi, oltrepassandola e puntando a Rachel.

 

ISABEL

Cercai di rimanere calma. Quando mi voltai non c'era traccia né di Rachel né di Cole.

Maledetto, Dio santo, quanto lo odiavo.

Mi sedetti su una delle panchine e aspettai che Grace e Sam ne avessero abbastanza, dopodichè mi infilai in macchina e tornammo alla penisola.

 

Nei giorni a seguire, l'unica cosa che ricevevo da Cole erano sguardi truci. Non iniziava mai una conversazione con me, ed era piuttosto frustrante, visto che rimanevamo soli molte volte. D'altronde, non intendevo cedere.

Al momento, assistevo Grace, che cercava di camminare dignitosamente su un tacco dieci, in vista del matrimonio.

-Ma perchè non ti metti un paio di ballerine se queste non le sopporti?- le chiesi. Non capivo davvero la sua fissazione.

-Perchè Sam si aspetta esattamente questo: un paio di ballerine. Non voglio... essere così prevedibile.- disse, incerta.

Si rialzò e ricominciò a camminare, rigida come un baccalà. Per l'ennesima volta, inciampò e cadde di lato sul letto, poco distante da dov'ero seduta io. Aspettai che si rialzasse e ricominciasse a camminare su e giù per la stanza, ma non lo fece. Dopo un po' mi accorsi che singhiozzava. In imbarazzo, non fiatai né feci altro per qualche minuto ma poi non potei più ignorare il suo pianto: le spalle erano scosse e aveva il viso affondato nelle mani.

Non sapevo proprio cosa fare, ero spiazzata. Non mi sarei mai aspettata di vedere Grace scoppiare in lacrime per un paio di scarpe.

Mi chinai, esitando, su di lei. Le scostai i capelli dal viso e le chiesi cosa la turbasse.

-Troppo... presto.. sono... i miei...- cercava di parlare tra le lacrime, ma il pianto era diventato talmente violento da lasciar trapelare solo qualche parola sparsa.

Ero basita.

Le feci appoggiare il capo contro la mia spalla. Fu una delle poche situazioni che mi mise veramente in difficoltà, fino ad allora. Aspettai che si calmasse un po', e ci vollero parecchi minuti.

Alla fine disse esattamente così:-Non sono pronta.-

E lo disse con tutta la risolutezza di questo mondo, come se non fosse affatto un problema, ma un dato di fatto. Un'informazione, fredda e sterile.

E se possibile, fui ancora più sorpresa.

-Co-cosa?-

-Non sono pronta a sposarmi. Sono da poco maggiorenne, Isabel. E i miei non lo sanno. Come farò a sposarmi senza che i miei lo vengano a sapere? Non... non ce la faccio, mi sembra una cosa troppo importante e... grande, per me.-

-Grace Brisbane, queste sono cazzate.- liquidai le sue proteste con un gesto della mano.-Mi sembri una rammollita. Ma dov'è Grace?! Tirala fuori, per favore, perchè questa versione mi da sui nervi! Tu e Sam... insomma, siete come il modello della coppia perfetta. Siete talmente innamorati da fare invidia. Siete solo così... giusti, insieme. Nessuno potrà mai dire che non vi amate. Neanche i tuoi genitori. Quindi dillo anche a loro se ci tieni. Ma smettila di fare la vittima.-

A quel punto si raddrizzò. Nei suoi occhi riuscivo a scorgere la fierezza e la determinazione tipiche di Grace.

-Isabel, ti ricordi che Sam era accusato di omicidio? E di chissà che altro?- chiese, sembrava contenere a stento la rabbia. Non parlai, ma la mia espressione doveva farlo da sola. Me ne ero completamente dimenticata, tra i lupi, la penisola, la cura... -Koenig ci ha procurato un avvocato. Io ho raccontato cose false. Ho dovuto. Ero sotto giuramento, davanti alla famiglia di Olivia. Davanti a John. E ho raccontato di essere stata con Sam dal momento della mia scomparsa. Di non averlo lasciato un attimo. Avevo giurato. I miei non erano presenti e avevo il terrore che entrassero da un momento all'altro, che scoprissero che non ero con Rachel in un altro paese. E credimi non puoi capire quale peso ti si posi sulla coscienza una volta che hai giurato cose false! È un peso che mi schiaccia. Anche se sono sicura come lo sono di amare Sam, che lui non avrebbe fatto niente ad Olivia. E per quanto io possa essere forte qualche volta cedo. Ho ceduto quando mi sono resa conto che era l'ulimo anno di Sam. Ci sono cose davanti alle quali non posso rimanere di ghiaccio. Qualche volta devo cedere. Tutto questo- la penisola, la cura, il processo, i miei genitori e adesso anche il matrimonio- è fin troppo, anche per me.-

Per un momento sembrò arrabbiata a morte, furiosa, ma poi si rialzò e si asciugò le lacrime. Si tolse i tacchi. E uscì.

 

 

 

 

Buongiorno!

Eccomi dopo un lungo periodo di assenza ;( spero vi piaccia!

Per fine serie sto raccogliendo un po' di curiosità sulla scrittura di questa storia, quindi se avete cose da chiedermi o curiosità, io sono qui :*

Alla prossima, Mostrina2

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Capitolo 24
*** Il mio polso accelera ***


I sit alone in my bedroom

staring at the walls

I've been up all damn night long

my pulse is speeding

(siedo da solo nella mia stanza

a fissare le pareti

sono stato sveglio tutta la dannata notte

il mio polso accelera)

(2000 light years away, Green Day)

 

COLE

 

Dannazione.

Vomito. Convulsioni. Non ha funzionato.

 

ISABEL

 

Dopo dieci minuti buoni, mi alzai dal letto e andai verso il bagno. Ma la porta era chiusa.

Allora scesi le scale e raggiunsi Grace.

-Senti...- cominciai, infilando i pollici nelle tasche dei jeans. -Se vuoi, posso accompagnarti dai tuoi genitori... Potresti spiegargli.-

Mi dava la schiena, aveva la testa china sul piano di lavoro di marmo della cucina.

-Ci stavo pensando anche io.-

-Bene, quando...?-

Si voltò.

-Adesso. Non voglio aspettare ancora.-

Le sorrisi, ancora a disagio: questa situazione era completamente nuova per me.

-Porteremo anche Rachel. Deve prendere le cose necessarie per rimanere qui per tutta la durata dei preparativi.-

In un attimo, eravamo all'ingresso. O meglio, io e Rachel eravamo all'ingresso e Grace stava spiegando tutto a Sam.

Alla fine lui la baciò e le sorrise. E fece quella cosa che avevo già notato in passato: le mani di Sam corsero sulla schiena di Grace, la strinsero a sé e l'espressione di lei si addolcì.

Mi voltai, perchè era una cosa troppo intima.

Quando Grace ci raggiunse fui quasi felice di lasciare quel salotto.

 

La casa di Rachel era di un rigido bianco sporco. In seguito Grace mi spiegò che Rachel era una personalità del tutto anomala nella sua famiglia e nessuno sapeva da chi avesse preso.

Rachel- un'esplosione di colori contrastanti in quella magnifica giornata autunnale- scese dalla macchina, ci salutò, e partì alla volta della casa a passo di marcia.

Grace ripartì. Le foglie di colori accesi danzavano sull'asfalto a gruppi di due o tre, rotolando o scivolando sulla strada tiepida attraversavano le corsie, e venivano inghiottite di tanto in tanto dalle ruote di una macchina solitaria.

Arrivammo a casa Brisbane nel tardo pomeriggio e fortunatamente per noi una sola auto era presente nel parcheggio: quella della madre di Grace.

Lei mi precedette e arrivammo davanti alla porta, dove il sole tiepido non ci raggiungeva, ma il suo tepore ci avvolgeva, delicato.

Quando si aprì la porta un gatto sfrecciò nel cortile e la madre di Grace ci guardò rassegnata.

Il salotto era più ordinato di quando ero venuta a fare la torta salata, ma sul divano erano ancora ammassate non poche scartoffie.

La signora Brisbane si accomodò sulla poltrona, io e Grace sul sofà.

-Bè, non dici niente?- chiese Grace, irritata.

-Grace, nessuno di noi due ti aveva creduto quando hai detto che saresti andata con Rachel. Come potevi, visto che eri maggiorenne, Samuel abitava qui vicino, e tu disponevi di una macchina? Andiamo, ci credi così ingenui?-

Grace fece un verso irritato.

-Ok, non ci siete cascati. Sono venuta per dirti che io e Sam ci sposiamo.-

Lei, che stava bevendo un tè, non diede segni di sorpresa. E allora mi fece una gran rabbia. Perchè Sam non aveva niente che non andasse. E lui amava Grace, e lei amava lui. E loro non lo accettavano. Tremavo di rabbia- non saprei dire il perchè di una reazione così feroce. Avrei rotto la tazza.

-Bè, pensavo fossi incinta. Direi che ci è andata bene, no?-

A quel punto il manico si staccò dalla mia tazza, rimanendo nella mia mano destra.

La signora Brisbane mi guardò calma.

-C'è qualcosa che non va, Isabel?- stavo digrignando i denti. Inspirai profondamente e le dissi che sarei andata in bagno.

Come poteva una persona essere così stronza?

In cucina gettai la tazza ancora piena nel lavandino e decisi di andare di sopra. Solo per fargli credere che stavo davvero andando in bagno. E per non urlare di rabbia.

Trovai la camera di Grace, e dedussi che i suoi genitori non avevano toccato niente.

Dei vestiti erano ammucchiati ai piedi del letto, probabilmente quelli che Grace non era riuscita ad infilare nello zaino quando aveva deciso di scappare.

Le finestre offrivano la vista del cortile sul retro, il limite del bosco, da dove probabilmente Grace vedeva Sam quando lui era un lupo. Sotto il letto c'era un bigliettino. Era una lista: Propositi per il nuovo anno.

Siccome non era la scrittura di Grace, doveva per forza essere di Sam.

Uno dei propositi era “Dare ascolto a Grace.”.

E allora mi immaginai Sam steso sul letto, Grace al suo fianco. E mi chiesi cosa l'avesse spinto a scriverlo. Cosa stessero facendo Grace e Sam, perchè lui avesse deciso di fare dei propositi.

Ma non volevo pensare a quanto amore fosse stato fatto in quella stanza. A quante volte loro due si fossero detti che si amavano, sotto quelle coperte. O quante volte Sam avesse affondato le mani nella schiena di Grace. A quante volte la sua espressione si fosse addolcita.

Uscii da quella stanza.

 

COLE

 

Uscii dal bagno e entrai nella mia camera.

Maledizione. Maledizione.

Dovevo assolutamente parlare con Grace.

Cos'era andato storto?

Altri conati mi scossero e fui costretto a piegarmi in due, mentre vomitavo l'anima.

 

ISABEL

 

Tornai di sotto, dove Grace e sua madre sembravano parlare del matrimonio.

-Voglio farlo grande. Voglio che tutti vedano che amo Sam.- disse Grace, guardando dritto negli occhi sua madre. Lei fece scattare impercettibilmente la testa all'indietro: era sorpresa.

-Bene, allora sapranno tutti quanto... ami- e lo disse con un disprezzo che quasi mi indusse ad allontanarmi di nuovo. -Sam-.

-Bene.-

-Bene.-

Grace si alzò, camminò fino alla porta e dopo aver fatto a sua madre un cenno, uscimmo insieme. Quando arrivammo a casa sua, Rachel trascinò fino alla macchina una grande valigia lilla a strisce bianche, sulla quale erano presenti moltissime cartoline, tra le quali c'era una foto di lei e Grace con la data di uno o due Natali fa.

La incastrò tra lei e la portiera e finalmente partimmo per ritornare a casa.

 

 

Quella sera Cole non si vide da nessuna parte e quando chiesi a Sam dove fosse andato, lui disse che era uscito poco dopo la nostra partenza. E aggiunse che sembrava strano.

Al momento ero seduta al tavolo della cucina con Rachel, dato che Grace e Sam si erano ritirati in camera loro.

Ero rimasta sorpresa del fatto che Sam non avesse portato con se le gru di carta che aveva a Mercy Falls; me ne aveva parlato Grace, quando entrambe davamo Sam per morto. Ma quando gli chiesi il motivo, lui rispose che era il momento di crearne di nuovi, di ricordi.

Così adesso il soffitto della loro camera si stava lentamente popolando di uccelli non ancora rovinati, ancora perfettamente in grado di spiccare il volo.

-Isabel.-

Ci misi un po' ad accorgermi che Rachel stava chiamando me, e quando lo feci, le lanciai un'occhiata di fuoco. Lei non ci fece minimamente caso.

-Cole... tu gli piaci. Molto.-

Lì per lì non risposi. La cosa più strana in tutto ciò era che Rachel me lo stesse dicendo. Se anche fosse stato vero, che piacevo a Cole, perchè lei me lo stava dicendo? Così glielo chiesi.

-Perchè... Isabel, prima di conoscerti ti credevo la classica figlia di papà, la stronzetta coi boccoli biondi...-

-Bè, viva la sincerità...- ribattei.

-No, aspetta. Tutto questo prima di sapere i retroscena.- disse seria, e con quella fascia per capelli sgargiante e i capelli folti troppo voluminosi faceva un effetto un po' comico.-Grace mi ha raccontato di Jack. Di tutto ciò che hai passato. E allora ho capito che era solo la facciata. Dio, come ho potuto essere così cieca? Mi sono sentita in colpa, perchè ho sempre pensato male di te.-

tacque un secondo, poi aggiunse in fetta:-Ti garantisco che gli piaci proprio, a Cole.- e se ne andò, lasciandomi sgomenta per la seconda volta in ventiquattro ore.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciaoo!!

Mi dispiace moltissimo per il ritardo!! Purtroppo non posso garantire al 100% la regolarità dei prossimi capitoli, ma comunque cercherò di aggiornare quanto più possibile!!

Grazie a voi che mi leggete, che mi fate tanto felice :D.

E comunque, mi sono definitivamente condannata a non avere una vita sociale attiva aprendo la pagina facebook dedicata a Shiver: https://www.facebook.com/pages/Shiver-Italia/424530424348568?ref=hl :) se avete voglia di farci un giro... non è ancora una paginona, ma spero che con il vostro sostegno potrà diventarlo :)

Alla prossima, Mostrina2.

 

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Capitolo 25
*** Cambiare idea ***


Girl, I think about you

every day now

was a time when I wans't sure

but you send my mind at ease

there is no boubt

you're in my heart now

(Ragazza, ti penso

ogni notte adesso

c'era un tempo in cui non ero sicuro

ma tu mi hai guarito la mente

senza dubbio

ora sei nel mio cuore)

(Patience, Guns 'n Roses)

 

COLE

 

La cura non aveva funzionato.

Ogni ora sentivo lo stomaco rivoltarsi e ne subivo le conseguenze. La pelle si accapponava, in attesa di mutare.

Ma alla fine non mutava.

Ero in un perenne stato di sospensione tra questa vita e l'altra.

E non sapevo cosa fare.

 

ISABEL

 

Erano passate più o meno due settimane dalla visita alla madre di Grace, e ormai eravamo in pieno autunno.

Questo aveva spinto Grace ad accelerare le cose. Oggi stesso saremmo andate-io, Rachel, Grace e sua madre- a cercare un vestito, ma la cosa che più mi premeva adesso era capire il comportamento di Cole.

Non si vedeva quasi mai: alla mattina lo sentivo prepararsi nella sua stanza, poi usciva prima che noi ci svegliassimo.

Non capivo perchè faceva così. Non poteva essere a causa mia.

Comunque sia, adesso avevo altro a cui pensare. Tipo, come avrei fatto a resistere, seduta tra la madre di Grace e Rachel, a consigliare Grace sul suo vestito da sposa?

Non lo sapevo. Speravo solo che questa tortura finisse presto.

 

COLE

 

Ero nel bosco. Non potevo rimanere in casa: Sam si sarebbe di sicuro accorto che qualcosa non andava, vista la sua smania di capire la gente.

Per due settimane, si era ripetuto lo stesso schema e ora credevo di aver capito. In pratica, ero diventato com'era Grace prima di diventare lupo per la prima volta. Ero bloccato. E questo mi avrebbe ucciso, un giorno.

Avevo una soluzione-ovvio che ce l'avevo-ma era provvisoria.

E credo che non sarei riuscito a fare altro, per ora.

 

GRACE

 

Era pieno di abiti. Vedevo bianco dappertutto. Come avrei fatto a capire quale volevo mettere?

Ce n'erano troppi. Stavo andando in panico.

Fortunatamente qualcuno entrò nel camerino dove mi avevano parcheggiata. L'assistente aveva i capelli a caschetto, biondo platino, con una frangetta leggera. Disse di chiamarsi Sofy.

-Ti chiami Grace, giusto?-

Annuii.

-Bene, che tipo di abito ti interessa?-

Era così gentile e disponibile, ma io continuavo a sentirmi fuori posto.

-Non lo so. Penso di volere qualcosa di semplice. Non sono un tipo molto frivolo.-

-Ok, allora. Torno subito.- E mi lasciò di nuovo sola.

Il camerino era piuttosto piccolo e una parete era interamente occupata da uno specchio gigantesco.

Nel frattempo, mi tolsi gli abiti e misi la vestaglia. Non sapevo esattamente cosa provavo.

Era un mondo del tutto estraneo per me, questo. Un anno fa non avrei mai immaginato di ritrovarmi a provare abiti da sposa e a preparare un matrimonio enorme. Avevo sempre pensato che prima avrei finito gli studi e che avrei avuto un matrimonio piccolo, intimo.

Ma le circostanze erano cambiate.

Improvvisamente, sentii un dolore lancinante allo stomaco e fui costretta a piegarmi in due.

Mi vennero i conati e cominciai a tremare. Cosa stava succedendo?

Poi, così com'era cominciato, finì e proprio in quel momento entrò Sofy.

Aveva portato cinque abiti. Due erano a sirena, perciò li scartai subito.

Decisi di provarne uno con una scollatura a cuore, stretto in vita e con la ginna ampia.

Quando mi guardai allo specchio capii subito che non andava bene: sembravo enorme; ma decisi comunque di farmi vedere. Quando uscii, Isabel aveva la faccia di qualcuno che non ne può proprio più, Rachel aveva in testa un cerchietto con una piuma enorme e mia madre ostentava indifferenza.

Certo che erano molto d'aiuto, così.

Quando mi vide, la maschera di mia madre un po' vacillò, e gli occhi le diventarono umidi.

-Non mi piace.- misi in chiaro, a scanso di equivoci.

Sofy mi propose di provare gli altri, e lo feci, ma nessuno mi faceva sentire a mio agio.

La frustrazione cominciava a farsi sentire, perchè non avevo la minima intenzione di provare tutti gli abiti di quel negozio, ma dovevo assolutamente trovarne uno che mi andasse bene.

 

ISABEL

 

Secondo me eravamo in quel negozio da tre ore, ma l'orologio alla parete mi smentiva: era passata solo mezz'ora. Grace aveva provato cinque abiti, e ogni volta ci raggiungeva con le sopracciglia corrucciate e lo sguardo rassegnato di chi non è soddisfatto. Avrei giurato di averla vista stringersi la pancia e fare una smorfia di dolore, ad un certo punto, ma nessuno a parte me sembrava averlo notato.

 

GRACE

 

Sofy mi propose di provare un vestito corto, e io accettai: non avevo altre alternative.

Aspettai nel camerino, piena di aspettative, e quando Sofy tornò, non ci potevo credere.

Mi aveva portato un vestito lungo fino al ginocchio, di pizzo Sangallo con le spalline sottili.

Quando lo indossai, mi pervasero mille sensazioni diverse.

Giusto. Non avrei saputo definirlo altrimenti. Mi stava perfetto, l'orlo mi solleticava la pelle, il tessuto aderiva al mio corpo. Mi sembrava di non avere niente addosso.

Erano tutte sensazioni che avevo già provato, quando quella sera Sam era tornato con un regalo per me. E io avevo creduto che fosse un completino intimo. Ma era un vestito, un vestito molto simile a quello che indossavo ora.

Uscii, e quasi non mi accorsi che stavo sorridendo.

Sofy mi portò davanti allo specchio e mi legò una cintura sottile in vita. Ora era perfetto. Ora era il vestito che Sam mi aveva regalato.

Ricorderò per sempre quell'attimo: le fitte allo stomaco mi avevano lasciato in pace, ero felice, molto felice.

Quello sarebbe stato il mio vestito.

 

 

 

 

 

 

ISABEL

 

Alla fine, Grace comprò un vestito molto grazioso, che le stava alla perfezione. Grace pagò l'abito, e Rachel si comprò quello stupido cerchietto di piume.

Nel viaggio di ritorno, feci congetture sul comportamento di Cole, ma alla fine ci rinunciai, e mi concessi di pensare solo a Cole. Alla fine decisi di parlargli, usando come pretesto il suo strano comportamento.

Sam mi disse che non l'aveva visto, così decisi di provare a cercarlo nel bosco.

Vagai per un bel po', ma alla fine lo trovai in una radura, disteso sulla schiena, con gli occhi chiusi.

Mi avvicinai, cercando di fare meno rumore possibile, e lo osservai.

Aveva i piedi incrociati, uno sopra l'altro, e teneva le mani in grembo, come in preghiera.

I tratti del viso erano rilassati, le labbra formavano una linea dritta e severa, i capelli gli coprivano la fronte, e a volte erano smossi dal vento.

Le ombre giocavano sulla sua pelle e l'unica cosa di cui mi dispiacevo era di non poter vedere i suoi occhi.

Avevo voglia di baciarlo. Avevo voglia di rivivere tutte le sensazioni che avevo vissuto con lui e desiderai disperatamente che non fosse tutto così complicato. Desiderai di potermi arrendere, di non dover per forza combattere contro di lui ogni santa volta che ci rivolgevamo la parola. Avrei voluto un amore come quello di Sam e Grace.

Dopo un po', mi convinsi che stava dormendo.

Mi inginocchiai piano all'altezza del suo viso e mi chinai a baciarlo.

Sfiorai piano le sue labbra con le mie, mi presi tutto il tempo di sentire il suo odore invadermi, sedurmi.

Mi vennero i brividi quando premetti le labbra sulle sue con più forza, desiderando che si svegliasse, che ricambiasse il mio bacio senza fare domande.

Feci correre una mano nei suoi capelli, poi scesi fino al suo collo, al petto.

Stavo piangendo, perchè lo desideravo, lo desideravo davvero tanto.

Quando aprii gli occhi, vidi che mi stava guardando. Si era svegliato, e nei suoi occhi lessi lo stesso desiderio che provavo io.

Senza dire niente, mi avvolse le braccia attorno alla vita e mi baciò.

Fu pazzesco.

Si avvicinò piano, mi diede un bacio delicatissimo, morbido.

Poi si allontanò di pochissimo, per poi riavvicinarsi e stringermi un po' di più, baciarmi con più decisione.

La sua mano trovò la pelle della mia schiena, e allora non resistetti più.

Lo spinsi contro di me, le mani tra i suoi capelli.

Lo baciai forte, e lui fu più vicino che mai.

Improvvisamente, sembrava quasi che avessimo fretta.

Ci baciavamo febbrilmente, io mi premevo contro di lui e lui mi stringeva forte tra le sue braccia.

Corsi con le mani sotto la sua maglietta. I suoi muscoli si tendevano sotto il mio tocco.

Lui mi tolse in fretta la giacca e mi baciò la mascella.

-Cole...- sussurrai.

E allora parve svegliarsi. Si bloccò all'improvviso e si alzò, sistemandosi la maglietta.

-Isabel, smettila. Deciditi. Non puoi fare quelle sceneggiate e poi venire a baciarmi mentre dormo! Non puoi cambiare idea ogni secondo!-

Si voltò e se ne andò.

E per qualche motivo mi sentii una persona orribile.

 

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Capitolo 26
*** Sparirà ***


I hurt myself today

to see

if I steel feel

I focus on the pain

the only thing that's real

(mi sono ferito oggi

per vedere

se ancora posso provare qualcosa

mi sono concentrato sul dolore

l'unica cosa reale)

(Hurt, Nine Inch Nails)

 

 

ISABEL

 

Il venticello fresco si trasformò ben presto in un soffio gelido che mi trapassava il corpo come una lama fredda, e mi contagiava. Quel piccolo fuoco che aveva acceso il bacio era sparito, completamente. Nessuno avrebbe notato alcuna anomalia nel gelo del mio cuore, nessuno avrebbe sospettato che in me ci fosse stato mai calore.

Il cielo azzurro e luminoso si tinse di blu, poi di nero, e infine si punteggiò di piccole lucine, come quando un pittore schizza di tempera bianca un dipinto tetro.

Ma non me ne accorgevo.

Rimuginavo su tutto. Soprattutto rimpiangevo.

Ripensai alle canzoni di Cole.

Voleva essere spaccato in mille pezzi e poi essere venduto. L'anno scorso voleva morire. Ma poi aveva acquistato quella consapevolezza e quel briciolo di coscienza che gli aveva portato la morte di Victor che adesso lo contraddistingue.

Perchè non la smettevo anche io di farmi del male? Perchè dovevo sempre vedere il marcio nelle cose e mai la luce?

 

 

COLE

 

Ritornai al rifugio, ma evitai qualsiasi contatto umano. Mi fiondai in camera. Stentai a credere all'emozione che mi aveva provocato quel bacio.

Possibile che stessi diventando sentimentale?

No.

Ma non c'è bisogno di essere sentimentali per apprezzare un bacio da Isabel Culpeper.

Quel profumo forte e intenso che la caratterizzava era una droga. E io avevo esperienza in questo campo.

Mi capitava di chiedermi se lei fosse quel tipo di persona che adora i cuccioli. O se al mattino bevesse caffè o latte. O caffellatte.

E quando mi capitava capivo di essere davvero nei guai.

Chiusi gli occhi e ripensai a pochi attimi fa.

Quando lei era a qualche centimetro da me. Quando avevo aperto gli occhi e avevo sentito le sue labbra che mi sfioravano e anche lei mi aveva guardato e nei suoi occhi c'era questa emozione incredibile.

Avevo sempre considerato amore quello di Grace e Sam, ma potevano esistere altri modi per amare. Modi meno romantici o espliciti.

Sul letto c'erano dei fogli, e a terra una penna.

Provai a resistere. Non ero più i NARKOTIKA. Ma dentro di me si muovevano emozioni sconosciute e pericolose, e lì c'erano dei fogli. E alla fine cedetti alla mia natura, e cominciai a scrivere una canzone.

 

ISABEL

 

Alla fine tornai a casa, con la certezza che nulla fosse cambiato. Niente. Niente.

Non cambiava mai nulla con Cole. Era snervante.

La mattina dopo mi svegliai presto per accompagnare Grace a vedere una location proposta da sua madre.

Era una villa. Una grandissima residenza appena fuori dalla penisola, con l'edera alle pareti e un enorme giardino.

Quando entrammo, una ragazza sui venticinque anni ci accolse nell'enorme ingresso. Indossava un completo incredibilmente stretto e trasparente. Improvvisamente, mi parve un enorme fortuna che Cole non fosse presente.

Ci pregò di attendere qualche minuto e di accomodarci ai tavolini lì vicini.

Mi abbandonai su di una sedia e afferrai una rivista a caso.

All'improvviso mi bloccai, ero sul punto di aprire su una pagina a caso, ma un nome stampato con l'inchiostro giallo in basso a sinistra aveva catturato la mia attenzione.

Cole St. Clair. Articolo a pagina sessantasette. Foto inedite.

A pagina sessantasette, sfocata e scura, c'era la fotografia mia e di Cole, scattata al Kenny's dalle tre ragazzine inopportune. Eravamo mano per mano, Cole mi teneva la porta aperta. Io lo stavo guardando. In realtà non eravamo mano per mano, era stato un caso che ci fossimo ritrovati cosi. Mi sorpresi di come le cose potessero cambiare, a seconda della prospettiva con cui le si guardava.

C'era un'altra foto, di noi all'aeroporto. Mentre io gli urlavo addosso.

E sotto, a caratteri cubitali: Una nuova fiamma?

L'articolo si lanciava nell'analizzare le due foto, il fatto che in una gli urlavo contro e nell'altra ci tenevamo per mano.

Cole aveva ragione, la gente lo conosceva per le sue bravate, non per la sua musica.

Fissai quelle foto per un sacco di tempo, pensando che Cole avrebbe potuto darsi in pasto agli show televisivi o alle fan in qualsiasi momento. Che la gente dava per scontato che sarebbe tornato sul palco, prima o poi. Un giorno si sarebbe stancato di Mercy Falls e sarebbe tornato a New York, Los Angeles, Chicago o chissà quale grande città, a fare ciò che voleva, come sempre.

Un giorno sarebbe andato via. E solo adesso mi rendevo conto che mi sarebbe mancato terribilmente. Come quando era morto.

Era incredibile: mi rendevo conto di quanto fosse importante per me quando capivo che non c'era più. O quando mi si presentava davanti l'eventualità che sparisse.

La ragazza tornò.

Ci scortò in una sala da concerti con centinaia di sedie disposte in modo ordinato, con uno spazio sufficiente a lasciar passare tre persone al centro.

-È fatta. Voglio questa.- disse Grace.-Appenderemo delle gru. Centinaia. E non voglio il tappeto sulla navata. Voglio foglie autunnali.- poi sussurrò:-Ogni foglia vale un giorno felice.- ma non sapevo esattamente cosa volesse dire con quelle parole.

Grace guardò sua madre; non per vedere se fosse d'accordo, ma per mettere in chiaro che sarebbe stata irremovibile.

Ammiravo questa sua decisione e determinazione. Sapeva ciò che voleva e se lo prendeva, stop.

 

COLE

 

Isabel era diventata un chiodo fisso. Un ronzio che non la smetteva di tormentarmi.

E comunque, un tempo, l'unica pseudo-soluzione a questo problema era stata lasciarle dei messaggi.

Dovevo solo chiamarla. Ma non lo feci. Invece, presi i fogli sparsi in giro e li rilessi. Più volte, finché le parole non divennero piatte e insensate. Finché non divennero un dedalo di segni, cancellature, macchie d'inchiostro e Isabel. Allora, recuperai la chitarra di Sam e suonai a caso, in cerca di una melodia drammatica al punto giusto da non essere ridicola e con quell'accenno di sarcasmo che non poteva mancare, da affiancare alle parole.

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Stiamo per esplodere ***


Sometimes the wire must tense for the note

Caught in the fire, say oh

we're about to explode

(A volte la corda deve essere tesa per tenere la nota

Bloccata nel fuoco, dice Oh

stiamo per esplodere)

(Atlas, Coldplay)

 

ISABEL

 

Il matrimonio si stava lentamente avvicinando. Io e Rachel, le damigelle, avevamo i nostri vestiti, la location era stata scelta.

Ma niente di tutto questo mi teneva occupata quanto Cole. O meglio, il pensiero di Cole, dato che non ci parlavamo.

Ancora con solo l'asciugamano addosso, decisi di scendere per fare una colazione veloce; dopo avrei dovuto aiutare Grace a finire le ottomila gru di carta per il matrimonio.

Mi versai un po' di caffè dalla caffettiera rossa di Grace. Dopo qualche minuto, qualcuno scese dalle scale. Era Cole, e indossava soltanto i pantaloni; in questi momenti avrei voluto essere cieca, era davvero troppo bello per poter rimanere arrabbiata con lui.

I muscoli del petto erano più definiti rispetto all'ultima volta che l'avevo visto così. Quando si voltò per prendere qualcosa dal frigo-facendo finta di non vedermi-mi offrì la meravigliosa vista della sua schiena, seguii con gli occhi la linea della spina dorsale, che scompariva sotto la stoffa.

Distolsi lo sguardo prima che si girasse.

Lui si sedette all'altro capo della tavola: eravamo rivolti l'uno verso l'altro, ma irrimediabilmente distanti.

Passarono lunghissimi minuti silenziosi. Talvolta alzavo lo sguardo verso di lui, sorprendendolo a guardarmi, ma lui non distoglieva il suo. Tuttavia, il suo viso, come il suo corpo, era arduo da fissare, quando dovevi mantenerti arrabbiata, perciò distolsi il mio.

 

COLE

 

Ero sceso senza maglietta proprio perchè sapevo che in cucina avrei trovato Isabel. Ed ero scuro che quando mi ero voltato mi avesse fissato. E adesso, di fronte a lei ma così lontano, non potevo smettere di fissarla.

Che fosse bella era un dato di fatto, i suoi occhi erano sempre stati simili a calamite per me: potevi trovarci tutto ciò che non diceva. E poi, diciamoci la verità: aveva addosso solo un asciugamano; era impossibile non fissarla.

Qualcuno si affacciò alla cucina, era Grace.

-Scusate se ho interrotto qualcosa,- la sua voce fu come un sasso lanciato contro il sottile strato di ghiaccio che era stato il nostro silenzio.-Ma devo parlarti, Cole.-

Alzai di scatto la testa, sapevo cosa doveva dirmi. Probabilmente i sintomi erano fuori controllo anche per lei.

-Nessun problema Grace. Stavamo solo giocando a chi faceva innervosire di più l'altro. E Cole stava vincendo.- disse Isabel, e la frase fu accompagnata da un'occhiata di fuoco.

Grace non le badò più di tanto e venne a sedersi vicino a me.

-Per favore, non svegliate Sam.-

 

ISABEL

 

Li lasciai discutere di ciò che dovevano discutere e tornai in camera a vestirmi.

Non avrei dovuto lasciarmi coinvolgere così. Vederlo intento a fissarmi mi dava una sensazione piacevole. Più che piacevole.

Dannazione.

Siccome non potevo permettermi di parlare con lui, andai in camera sua.

Quando aprii la porta, non ero pronta a ciò che mi sarei trovata davanti.

C'erano fogli dappertutto, accartocciati e stropicciati, alcuni strappati, manifesto della confusione che Cole aveva in testa.

Il letto era, come d'abitudine, sfatto, e le coperte erano ancora calde.

Resistetti alla tentazione di seppellirmi tra le lenzuola per esaminare da vicino quel disordine.

Mi accovacciai sui fogli e scoprii che erano interamente coperti da scritte, parole, cancellature.

Qualcuno aveva solo delle parole buttate a caso qua e là.

Forse a Cole piaceva fare Brainstorming.

Ma dopo un po', nei fogli riuscii a distinguere una trama ricorrente. Dei versi si ripetevano sempre uguali, alcuni cambiavano. Alla fine, sulla scrivania, trovai un plico di fogli ordinati e puliti, i versi scritti in ordine.

Era una canzone.

Ma quando feci per prendere il primo foglio, una voce mi fermò.

-Non ti hanno insegnato a non frugare nella roba degli altri, Zucchina?-

-Non chiamarmi cosi!- esclamai voltandomi.

Cole, in tutto il suo dannato splendore, stava appoggiato allo stipite della porta. Gli occhi verdissimi nella luce del mattino.

Mi diressi verso la porta, pronta ad uscire senza degnarlo di uno sguardo, ma Cole occupava la maggior parte dello spazio della porta. Non potevo passare, se non strusciandomi contro di lui.

Ma non si mosse, aspettando di vedere cosa avrei fatto. E non avevo idea di cosa fare.

Alla fine, cercai di passarci mettendomi di schiena rispetto a lui, la fronte all'altro stipite, ma lui mi avvolse un braccio attorno alla vita e mi tirò a sé.

La mia schiena premuta sul suo petto, la sua testa sulla mia spalla. Non potei trattenere il gemito che mi si era formato in gola.

Mi sussurrò all'orecchio:-Lo so che mi adori, Zucchina.-

Mi fece voltare verso di lui e mi baciò, come se fosse un'urgenza, qualcosa che doveva fare, anche se era arrabbiato.

Mi spinse contro lo stipite e mi baciò ancora, cingendomi la vita.

Mi lasciai trasportare e gli passai una mano tra i capelli, le sue labbra premevano contro le mie, i nostri respiri affannosi si mischiavano. Avevamo la stessa complicità di quando avevamo ballato assieme, lo stesso affiatamento.

Inarcai la schiena, spinsi il mio busto contro il suo e lui mi strinse con più forza.

Passai una mano sul suo petto e la feci scendere lungo la sua schiena, percependo i muscoli tendersi al mio tocco.

Lui aveva una mano sotto la mia maglietta, il palmo caldo.

Poi, così come era iniziato, tutto finì.

Ci allontanammo all'unisono, consci che se avessimo continuato non ci sarebbe stata possibilità di tornare indietro.

Lo guardai, lui guardò me.

-Sei una droga.- disse.

-Dovresti saperlo.-

 

COLE

 

Nei giorni successivi, non vidi molto Isabel.

Lei aiutava Grace, io aiutavo Sam.

Ma non riuscivo a smettere di pensare al suo corpo contro il mio e alla sua voce quando aveva detto “Dovresti saperlo”.

Avevo la sensazione che prima prima o poi, questa situazione sarebbe scoppiata. La carica esplosiva era davvero troppa, serviva solo una minuscola scintilla per scatenare il pandemonio.

Non mi ero accorto che i giorni passassero così in fretta, finché Grace non partì.

Lei e Sam avevano deciso di rispettare questa tradizione e dormire separati la notte prima delle nozze. Avrebbe dormito al piano superiore rispetto a dove si sarebbe svolta la cerimonia, assieme ad Isabel e Rachel.

Ero all'ingresso assieme a Ringo, Grace e Rachel. Loro due si baciarono, io abbracciai Rachel. Non era poi così male, quando la conoscevi.

Isabel scese poco dopo, e mi sussurrò all'orecchio:-A domani.-. E in quel preciso istante, ebbi la certezza che domani sarebbe stato il giorno dell'esplosione.

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Occhi negli occhi ***


I'd do anything for a smile, holding you 'til our time is done
We both know the day will come, but I don't want to leave you

(Avrei fatto qualsiasi cosa per un sorriso, 
Stringendoti prima che il nostro tempo finisca 
Entrambi sappiamo che il giorno arriverà 
ma non voglio lasciarti )
(Seize the day, Avenged Sevenfold)

 

ISABEL

 

Ci allontanavamo sempre di più dalla penisola, la nostra unica arma contro la notte scura erano i fari della macchina.

Avevo la sensazione che sarebbe cambiato tutto, domani. Andavo incontro al cambiamento, all'ignoto. Non sapevo cosa ci sarebbe successo dopo, cosa ci avrebbe ostacolato.

Mi sembrava che nulla fosse più importante, fino a che c'era il matrimonio: tutto era finalizzato a rendere bello quel giorno.

Sembrava che dopo di quello non ci fosse altro, quasi come se stessi aspettando la fine del mondo seduta su una poltroncina a mangiare pop-corn.

E dubitavo che tutto quel nervosismo fosse dovuto al matrimonio, quando avevo la certezza che domani sarebbe successo qualcosa di assolutamente decisivo tra me e Cole. E sospettavo che non sarebbe stato del tutto positivo.

Arrivati a destinazione, mi infilai a letto e cercai di dormire, ma una sensazione di disagio mi perseguitava, come a sollecitarmi a saltare o volare o buttarmi dalla finestra.

Cercai di soffocarla, ma alla fine fui costretta ad alzarmi e per non svegliare Rachel e Grace uscii sul piccolo poggiolo che dava sul giardino.

Camminai avanti e indietro per un bel po', non potevo stare ferma.

Avevo la sensazione di andare incontro a un disastro e di non poter fare niente per fermarlo.

Poi qualcuno mi toccò la spalla.Trasalii e mi voltai: era Grace.

L'unica cosa che riuscii a dire fu: -Domattina avrai delle occhiaie da far spavento.-

-Grazie, Isabel.- mi fulminò.

-Perchè sei qui?- chiesi.

-Sto per sposarmi, ho il diritto di essere nervosa.- disse, secca. Poi alzò lo sguardo indagatore su di me. -Tu, piuttosto, che ci fai qui?-

Abbassai lo sguardo. Non avevo nessuna voglia di rispondere, ma era notte fonda ed eravamo una di fronte all'altra in un poggiolo a parecchi metri da terra. Morale della favola: non avevo via d'uscita, escluso il fatto che avrei potuto buttarmi di sotto e che probabilmente farlo mi avrebbe migliorato la nottata.

-Prendo aria.-

Lei proruppe in una risata secca.

-Mi prendi per stupida?-

Avevo voglia di rispondere di si, solo per farla arrabbiare, solo per litigare, solo per sfogare su qualcuno la rabbia che mi stava nascendo dentro. Perchè per l'ennesima volta, non avevo idea di cosa mi aspettava.

-Non lo so, Grace. Non so più niente.-

-Niente cosa?-

Non sapevo cosa rispondere. Era come se mi si stessero scaricando le pile.

-Isabel, sono tua amica. Puoi dirmi tutto.-

Pensai che probabilmente, era l'unica persona sulla faccia della terra che stava con me- che era mia amica-senza secondi fini. E allora mi sembrò davvero meschino non confidarmi con lei.

-Non so cosa mi prende, non riesco a parlare con Cole in maniera diplomatica, non sono capace di stare con lui senza litigare o punzecchiarlo. Vorrei solo, per un giorno, sapere cosa si prova a non essere me. Vorrei imparare a fidarmi delle persone e a rilassarmi. Forse non sono adatta a queste cose. Inizio a pensare che la cosa migliore sia darmi ai rapporti occasionali ed essere una stronza nel tempo libero.-

Non appena lo dissi, mi resi conto che la maggior parte delle cose che dicevo riguardavano Cole.

E allora mi odiai ancora di più.

-Credo che tu non sia una stronza nel tempo libero- disse Grace-credo che tu lo sia a tempo pieno.-

Stavo per mandarla a quel paese quando disse:-Ma è proprio per questo che tu sei Isabel. Perchè sei stronza e non riesci a stare un secondo senza fare battute acide. Ma è per questo che Cole non riesce a starti lontano, è questo che ti rende ciò che sei.-

-Io odio ciò che sono.- sussurrai.

-Beh, non dovresti. Noi ti adoriamo proprio per la tua faccia tosta.-

Calò il silenzio. Forse ero irrecuperabile e avrei fatto meglio ad andare ad insegnare storia vestita di tweed dalla testa ai piedi.

Le parole di Grace entrarono sottopelle, come un rinforzo contro il mondo, e alla fine abbandonai le mie idee depresse.

Dissi:-E così voi mi adorate...-

Le nostre risate squarciarono il nero nella notte e in quel momento sembrò tutto più vicino, tutto più semplice.

 

 

 

Il mattino dopo tutto era confusionario. Mi svegliai esattamente mezz'ora prima dell'inizio del matrimonio e la prima cosa che notai fu che la stanza era troppo affollata.

La seconda fu Grace.

Non era stata stravolta, stava semplicemente rivelando quanto fosse carina: le sopracciglia erano state leggermente definite e la sua pelle pareva risplendere. Era sempre Grace, ma era Grace come non lo era mai stata.

Attraverso phon e piastre mi lanciò un'occhiata nello specchio, e io le feci l'occhiolino.

Quando la parrucchiera e la truccatrice ebbero finito, io e Rachel l'aiutammo a indossare l'abito e poco dopo Cole fece irruzione nella camera.

Aveva un semplice completo da cerimonia, con le scarpe eleganti, ma i capelli erano spettinati come sempre.

Nei suoi vestiti non spiccava alcun colore particolare, e ciò faceva sì che il verde dei suoi occhi calamitasse l'attenzione.

Non li avevo mai osservati con l'accortezza che meritavano, e subito prese il sopravvento il bisogno impellente di vederli da vicino.

Invece chiesi:-E lui che ci fa qui?-, ma il mio tono non risultò così aggressivo quanto avrei voluto.

-A quanto pare, la cura non curava un bel niente.- cominciò Grace, ma nella sua voce non c'era alcuna tristezza, né risentimento, solo una grande impazienza e felicità.-Ma Cole ha trovato una soluzione temporanea. Ha sempre una soluzione, vero, Isabel?-

Le lanciai un'occhiataccia e lei mi fece l'occhiolino. Ma cosa le prendeva?!

Cole le iniettò qualcosa nella piega del gomito, la salutò e ne andò.

Grace ci rivolse un sorriso raggiante.

-Ti sarei grata se non lo facessi più.-

-Mi sorprenderei se i prossimi a sposarvi non sarete proprio voi.- disse, buttandosi sul letto.

-Grace, troppo champagne.- disse Rachel, guardando il bicchiere vuoto sul comodino.

Mi diede fastidio che si fosse intromessa con questo commento dopo quello che aveva detto Grace.

-Perchè, pensi di sposartelo tu, Cole?- stavolta il mio tono di voce fu aggressivo abbastanza da far indietreggiare Rachel. Ci fissammo per un momento, ma poi Grace scattò come una molla dicendo che era ora di andare.

Suo padre non l'avrebbe accompagnata all'altare, perchè, come aveva detto Grace, non l'aveva accompagnata mai da nessuna parte.

Così raggiungemmo l'ingresso della sala, l solo rumore udibile erano i tacchi sul pavimento.

Prima entrava Rachel, poi io, e per ultima Grace.

Dal soffitto pendevano milioni di gru di carta che svolazzavano di qua e di là, sospinti dalla leggera corrente che c'era in sala, creando uno stormo di carta disordinato e bellissimo.

Il pavimento, invece, era disseminato di foglie dai colori caldi, rassicuranti,. La maggior parte di esse era concentrata nella navata, ma alcune rotolavano leggere sotto le sedie. Il tappeto di foglie arrivava al cospetto di Sam, dopodiché si diradava.

In generale, la sala aveva un aspetto disordinato e rassicurante, i colori autunnali sparsi ovunque.

 

Cominciai a camminare lungo il corridoio in mezzo alle sedie, lo sguardo fisso su Cole.

 

GRACE

 

Passi tutto il tempo ad aspettare che qualcosa rovini tutto, ad aspettarti il peggio.

Tanto che dopo un po', smetti di pensare al futuro che ti eri programmato. Vivi alla giornata, senza aspettarti niente di buono, per non rimanere delusa.

Ma ero lì, con Sam che mi aspettava lì in fondo. Alla faccia di tutti, mi stavo legando a lui per sempre, in barba ai pregiudizi e alle dicerie.

Camminavo senza voltarmi, senza volgere lo sguardo da qualche parte che non fosse Sam.

Guardavo i suoi occhi gialli: mio passato, presente e futuro.

E lui guardava me, in quel modo che all'inizio mi faceva un po' paura.

Con quello sguardo penetrante, di chi guarda una cosa che gli appartiene e che non ha intenzione di cedere a nessuno.

Io ero sua. Lui era mio. Per sempre.

 

COLE

 

Prima, in camera, non l'avevo guardata.

Non so perchè, ma avevo fatto attenzione a non posare mai lo sguardo su di lei.

E ora un po' me ne pentivo.

Perchè magari, se l'avessi guardata prima, ora avrei potuto controllare l'emozione che mi provocava. Forse avrei potuto risultare addirittura impassibile quando entrò.

Non era appariscente: il suo abito era molto semplice, lo chiffon scivolava sulle gambe con leggerezza, i capelli non erano stati acconciati molto e il trucco era appena accennato.

Anche con i capelli corti mezzi rasati, appariva quasi dolce, se non la conoscevi.

Fu proprio la sua semplicità a colpirmi. Per una volta, Isabel non era nascosta dietro all'eyeliner o ai vestiti appariscenti. Era semplice, la sua personalità era espressa da lei stessa piuttosto che dal suo aspetto.

Posò subito lo sguardo su di me, e io non distolsi il mio.

Mi fissò-e io fissai lei-fino a che non si sistemò accanto a Rachel, dalla parte opposta rispetto a me.

Poi fu il turno di Grace, che entrò accompagnata da una melodia di chitarra.

Era radiosa, ed erano le emozioni che provava a renderla tale, molto più del trucco.

Sam pareva essere dentro un sogno: la guardava meravigliato, completamente ignaro che in quella stessa stanza c'era chi aveva sospettato che l'avesse uccisa.

Ero completamente affascinato dal modo in cui comunicavano senza il bisogno delle parole, da come Sam capisse a cosa alludeva il sorriso di Grace o i suoi sguardi.

Grace alla fine arrivò da Sam e la cerimonia inizò.

 

ISABEL

 

In realtà avevo prestato poca attenzione all'entrata di Grace. Guardavo Cole. Ma lui non distoglieva gli occhi dalla sposa.

Avrei voluto urlargli “Ehi, sono qui, è me che devi guardare!”, ma non sembrava fattibile.

La cerimonia fu breve, e presto giunse il momento delle promesse. Iniziò Sam.

-Grace, scommetto che ti aspettavi una canzone. Ma non è quello che voglio fare. Ci siamo incontrati in un modo strano, e forse il nostro amore ha avuto poco tempo e ha dovuto maturare in fretta, ma non mi pento di niente. Non mi pento di nessuna lacrima e di nessun sacrificio. Perchè avrei potuto sopportare di avere addosso il peso del mondo, piuttosto che patire il peso della tua assenza. Ti amo.-

Da fuori quelle promesse sarebbero apparse belle, profonde, ma sapevano tutti i sottintes che contenevano, erano commoventi.

Alzai lo sguardo al soffitto, per evitare di piangere, e nell'abbassarlo notai che Cole mi guardava, sorridendo senza malizia né cattiveria. Gli sorrisi di rimando.

Poi Grace prese la parola.

-Sai che non sono brava con le parole, perciò le mie promesse saranno brevi e chiare. Ti amo.-

Poi stampò a Sam un bacio a fior di labbra.

Non sapevo se fosse permesso, ma le parole mi morirono in gola.

Era così da Grace che rischiai di commuovermi di nuovo.

Il celebrante, che sembrava un po' perplesso, pronunciò le ultime parole e li dichiarò uniti in matrimonio.

_Sam, puoi baciare la sposa.-

E siccome quei due non potevano attenersi agli schemi, fu Grace a baciare lo sposo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ce l'ho fatta!!! Ho finalmente aggiornavo dopo mesi, credo!

Spero tanto che vi piaccia tanto, visto che ci stiamo avvicinando al nocciolo, al bello, al clou della storia! Fatemi sapere.

Un bacio, Mostrina2

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Capitolo 29
*** Voglio dimenticare ***


Secrets I have held in my heart
are harder to hide than I thought
Maybe I just wanna be yours
(I segreti che ho tenuto nel mio cuore
Sono più difficili da nascondere di come pensavo
Fose voglio solo essere tuo)
(I wanna be yours, Arctic Monkeys)

 

 

COLE

 

Dopo la cerimonia ci fu l'aperitivo.

Uscimmo tutti nella perfetta giornata autunnale, il sole filtrava attraverso le fronde degli alberi gettando un tiepido calore nel giardino.

Decisi di ritirarmi all'ombra in compagnia dei miei appunti. Stavo per prendere i fogli dalla tasca quando Isabel mi raggiunse.

Mi guardò e disse.-Sono venuta qui solo perchè c'è ombra.- ma la sua voce era normale, non sprezzante come al solito.

Rimanemmo in silenzio, ma non c'era imbarazzo, solo un comune ascolto dei suoni che popolavano quella giornata così bella. Dopo un po' disse:-È un Martini quello?- e si lanciò all'inseguimento del cameriere. Io tornai ai miei pensieri.

La canzone era finita, solo che non era una vera e propria canzone: al momento, era priva di melodia.

Mi sentivo come se avessi in mano passato, presente e futuro di me stesso e le loro sorti dipendessero dalle note che avrebbero accompagnato quei versi.

Era l rompicapo più difficile che mi fossi mai trovato davanti, escludendo Isabel.

Una ciocca ambrata mi distolse dalle mie riflessioni, ricadendo sul foglio e coprendo le parole.

Alzai lo sguardo e mi ritrovai ad osservare il viso di una ragazza. Doveva avere più o meno l'età di Grace, ma c'era qualcosa in lei che la faceva sembrare più piccola, e non in modo positivo.

Era la solita ragazza carina, sexy e incredibilmente anonima con cui mi intrattenevo un tempo.

Isabel sembrava provenire da un pianeta diverso.

Mi guardò e sorrise maliziosamente.

-Io lo so chi sei.- disse. Naturalmente avevo preso in considerazione che qualcuno avrebbe potuto riconoscermi al matrimonio di Grace e Sam, ma non mi ero preoccupato di inventarmi qualche scusa.

-Eh già, sono proprio io. Ora smamma.-

-Ah, lo sapevo. Ma che ci fai qui? Come sei finito con loro? Come ci sei finito con lei?- disse lanciando un'occhiata a Isabel. Nella sua voce c'era una sorta di risentimento, di rabbia.

-Purtroppo chiameresti il manicomio se te lo dicessi.-

-Non mi sorprende, probabilmente Sam ti ha rapito e ha minacciato di ucciderti. Non sarebbe la prima volta che lo fa.- accompagnò l'affermazione con una risata.

-Se dici ancora una parola su di loro, ti garantisco che non riderai più tanto.-

Lei non si spaventò minimamente e disse:-Bene, parliamo di te. Io sono molto meglio di Isabel Culpeper.-

-Non capisco, ti dà fastidio che io abbia scelto proprio Isabel, o che non abbia scelto, per esempio, una come te?-

Volevo innervosirla, volevo che se ne andasse.

-Non c'è nessuna differenza tra le due cose.-

-Si, invece. Se ti dà fastidio che abbia scelto Isabel, il tuo focus non è su di me, ma su Isabel, perchè vuoi che lei non abbia me. Invece, se ti da fastidio che io non abbia scelto una come te, vuol dire che il tuo obbiettivo sono io.-

Neanche io avevo idea di che cosa stavo dicendo, volevo solo che se ne andasse. Lei parve confusa, ma si riprese subito.

-Senti, lasciamo da parte questi discorsi complicati e andiamo di sopra.- disse, chinandosi più del dovuto.

In effetti, qualche dote ce l'aveva.

-Io ce le ho più grandi.- intervenne una voce dietro di me. La riconobbi, spietata e sarcastica. Colsi l'occasione di allontanare la ragazza.

-Non serve che me lo dici, lo so meglio di te.- risposi.

Isabel si avvicinò, ma la ragazza non sembrava intenzionata a mollare. Così baciai Isabel.

Mi avvicinai piano, appoggiando la fronte alla sua, affondando una mano tra i suoi capelli e portando l'altra sulla sua schiena.

Le nostre labbra si toccarono, si sfiorarono.

Ad un tratto, non mi importò più niente della ragazza o del fatto che fossimo nel bel mezzo di un matrimonio. Lei schiuse le labbra e fu come essere soli, lontani da tutto. Non avevo più il controllo del mio corpo, semplicemente rispondevo al bacio.

-Ok, ho afferrato il concetto.-

La voce della ragazza fu come la sveglia alla mattina presto: si insinuò piano nella mia mente, raggiungendo lentamente la mia coscienza e svegliandomi del tutto.

Mi staccai da Isabel, e fu come se la luce fosse più intensa, accecante.

 

ISABEL

 

Quando entrammo per la cena, ero ancora un po' stordita dal bacio. Era stato perfetto.

Purtroppo io e Cole non eravamo allo stesso tavolo e lo persi di vista alla seconda portata.

Alla fine della cena, lo cercai con gli occhi, ma non lo vedevo da nessuna parte.

Pensavo fosse in bagno, ma neanche un lassativo ti tiene occupato per così tanto tempo.

Così uscii dalla sala per cercarlo. Salii perfino nella camera dove avevo dormito la sera prima, ma di lui non c'era nessuna traccia.

Stavo per tornare alla festa per chiedere se qualcuno l'avesse visto, quando lo sentii.

Dalla sala in fondo al corridoio proveniva della musica.

Mi avvicinai, attenta a non far rumore.

Era una bellissima composizione; una cascata di note che si alternavano in continuazione, facendo salire l'ansia e la paura. Le note diventarono sempre più basse e la melodia accelerò, frenetica, inquieta, disturbata.

Poi, silenzio.

Così prolungato che pensai che fosse tutto finto.

Mi sporsi un po' di più, in modo da vedere senza essere vista.

La sala era molto ampia, ariosa. Un pianoforte splendido stava al centro, protagonista: una sala da concerti.

Cole era il musicista.

La sua espressione era di concentrazione pura, le sopracciglia corrugate sopra gli occhi che saettavano veloci, in cerca di ciò che gli serviva.

Si passò una mano tra i capelli. Un gesto casuale, ma che faceva capire che non gli importava che aspetto avesse, gli importava quello che stava facendo, e come era già successo, mi ritrovai ad ammirare la sua bellezza in quei rari momenti in cui non era impegnato a fare lo stronzo, ma solo ad essere Cole, con tutte le sue forze.

Annotò velocemente qualcosa su un foglio e ricominciò a suonare.

Le dita affusolate volavano sopra i tasti, Cole seguiva la melodia con degli accenni della testa e di tanto in tanto spostava il peso da un piede all'altro, ma pareva non rendersene conto, completamente assorto nella musica.

Sembrava inquieto, come se stesse avendo mille idee geniali tutte in una volta e non avesse abbastanza tempo per scriverle tutte.

Il che, probabilmente, non era molto lontano dalla realtà.

Mi accorsi che stava accennando delle parole sottovoce, continuando a scrivere appunti su dei fogli.

Stava scrivendo una canzone.

Pensavo che Cole avesse smesso con la musica.

Improvvisamente mi sentii presa in giro.

Lui si stava rialzando, quasi pronto a piantarci in asso e a tornare sul palco. Pronto a rimpiazzarmi con ragazze come quella di prima.

La rabbia, dal mio cuore, iniziò a scorrere lenta dentro di me, raggiungendomi in ogni parte.

Cole smise di suonare e alzò gli occhi, vedendomi.

Io richiusi la porta e tornai alla festa, determinata a dimenticare tutto.

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Capitolo 30
*** Changes ***


And if I show you my dark side

Will you still hold me tonight?

And if I open my heart to you

and show you my weak side

what would you do?

(E se ti mostro il mio lato oscuro

mi stringerai ugualmente stanotte?

E se ti apro il mio cuore

e ti mostro il mio lato debole

che cosa farai?)

(The final cut, Pink Floyd)

 

COLE

 

Mi ero assentato dalla cena molto presto, ma non potevo rimandare.

Ero entrato nella sala in fondo al corridoio solo per trovare un posto tranquillo e per puro caso avevo trovato una sala da concerti.

Non so da quanto tempo ero lì quando notai Isabel.

Era sulla soglia, ma non si era appoggiata allo stipite; stava in piedi con le braccia conserte, come se non volesse trattenersi a lungo.

Ma il modo in cui mi guardava, accusatorio, ferito, mi confondeva non poco.

Se ne andò.

Ma in quel momento lei era l'ultimo dei miei problemi. Non avevo voglia di litigare con lei, ero stanco dei suoi sbalzi d'umore.

Ritornai alla canzone.

Provai diverse melodie che avrebbero potuto adattarsi, ma ciò che volevo non era ancora venuto fuori. Volevo qualcosa di unico, che si distinguesse.

Dopo molto tempo decisi di improvvisare, lasciai che le dita scegliessero i tasti per conto loro. Ascoltando, mi resi conto che ciò che sentivo era esattamente ciò di cui avevo bisogno: una melodia particolare, interessante, originale e distinguibile fra mille altre.

Era perfetta. Scrissi le note sul pentagramma improvvisato.

Era fatta. In quei fogli erano racchiusi questi mesi di totale follia e confusione, di cambiamento. Ero euforico, stanco, svuotato. Sentivo gli occhi gonfi, le palpebre pesanti, ma c'era un senso di vittoria e di rivincita scaturiti da chissà dove che mi impedivano di cedere al sonno.

Guardai la sala, e mi parve impossibile che fosse rimasta la stessa di quando ero entrato, quando nella mia vita erano appena cambiate moltissime cose. Quando io mi sentivo un Cole totalmente diverso. Quando avevo appena scritto la canzone con cui avrei definitivamente detto addio alla musica.

Non potevo più pensare di stare fermo. Girai per tutta la sala, spostai sedie, mi ci sedetti, scostai le tende e poi le chiusi del tutto. Tornai al centro della sala e ripiegai con cura i fogli.

Dopodiché tornai al ricevimento.

 

A quanto pareva, la festa era riuscita. Quasi tutti gli invitati erano sulla pista da ballo, e mi sorpresi quando notai che anche Grace e Sam stavano ballando.

Forse era per la musica, forse per l'open bar.

Ma io non avevo intenzione di ubriacarmi, non quella sera. Volevo conservare vivido e limpido il ricordo di quella sera, volevo rimanere cosciente del cambiamento che era appena avvenuto in me. Avrei finalmente detto addio alla musica, ciò che mi dava un senso da sempre; forse perchè avevo scoperto che dopo i NARKOTIKA c'era qualcos'altro dentro di me. Che Cole non era solo la droga o il palco o la tastiera. Avevo scoperto che Cole era anche qualcos'altro.

Mi accomodai su una sedia e osservai gli altri che si divertivano, completamente ignari di quanto quella sera era stata decisiva per me.

Solo dopo un po' notai Isabel.

Faceva avanti e indietro dal bar alla pista da ballo, e non sembrava propriamente sobria.

Cercai di non prestarle attenzione, ma mi ritrovai a paragonare tutte le ragazze a lei.

Mi decisi ad accompagnarla a casa quando per sbaglio si rovesciò un bicchiere addosso e un tizio si offrì di accompagnarla in bagno.

Li raggiunsi prima che uscissero dalla sala.

-Ci penso io a lei- dissi.

Il tizio però non sembrava intenzionato a mollare così facilmente, quindi pensai di sbrigare la faccenda in modo semplice e diplomatico. Gli tirai un pungo sul naso.

Avvertii gli sposini che avrei riaccompagnato a casa Isabel e Grace mi disse di divertirmi.

Dissi a Isabel di seguirmi, ma dopo due passi inciampò e perse una scarpa, quindi la presi in braccio.

Lei non oppose resistenza, mi mise le braccia al collo e abbandonò la testa all'indietro, completamente disinibita.

La adagiai sul sedile posteriore, feci per chiudere la portiera, ma lei mi prese per la cravatta.

-Eddai, fammi compagnia.- sussurrò. Ma non avevo alcuna intenzione di fare niente con Isabel in quello stato.

Le tolsi le mani dalla cravatta e chiusi la portiera prima che potesse protestare.

Quando misi in modo mi disse:-Sai dove staresti bene? Nel club di castità della mia scuola. Sai, accolgono anche stronzi drogati.-

Io non ribattei. Probabilmente avrebbe detto cose del genere per tutto il viaggio se non si fosse addormentata.

Arrivati a casa sperai che si svegliasse da sola, ma non lo fece. Non avevo idea di come svegliarla senza beccarmi uno schiaffo o cose simili.

Provai a dirle che le si era sciolto il trucco, ma non funzionò.

Alla fine la scrollai per una spalla e mi beccai uno schiaffo.

-Toglimi le mani di dosso!- sbraitò, poi si diresse quasi di corsa in casa. Io la seguii subito perchè probabilmente se non l'avessi fermata mi avrebbe chiuso fuori.

Riuscii ad entrare appena prima che lei sbattesse la porta talmente forte da far vibrare i vetri della credenza.

-Sparisci, Cole-sbottò.

Non avevo idea di cosa fare per calmarla, probabilmente la cosa migliore era aspettare il mattino dopo. Così mi diressi verso le camere al pianterreno, ma lei disse:-Bravo, scappa! È quello che fai sempre no? È quello che farai tra poco, no?-

Cercai di dirle che mi aveva appena detto di sparire, ma era una battaglia persa in partenza. Infatti...

-Hai intenzione di lasciarci così? Senza una cura, senza niente? Immaginavo che non eri cambiato per niente. Cole St Clair, il re del mondo. Il perno attorno a cui tutti devono girare intorno. Tutti siamo cambiati, tutti. Tu sei l'unico bastardo che rimane sempre uguale. Cosa farai? Andrai dal tuo paparino che inventerà una cura e poi ritornerai ad essere la star di sempre? Sei...-

-Ma chi ha mai parlato di andarsene, Isabel?- la interruppi. Non capivo davvero da dove avesse tirato fuori questa storia. Lei si avviò furiosa verso le camere e io la seguii.

-Ah, fai il finto tonto! Ti meriteresti un Oscar. Che ne dici, accrescerebbe il tuo ego? Purtroppo credo che sia già arrivato al punto massimo di espansione. E non venirmi a dire che non stai pensando di tornare nella musica.-

-Ma cosa...? Io non...- cominciavo a comprendere la causa della sua sfuriata.

-Tu non cosa? Tu non vuoi stare qui un momento di più, ecco cosa! Tornerai da Angie? Be' sai cosa ti dico? Non mi interessa! Io tornerò da Devon. Potrei anche dire che è molto più bravo di te in certe cose.-

Mi ero completamente dimenticato di quel particolare. Isabel era stata con un altro. Era la prima volta che ci riflettevo davvero. Isabel era stata con un altro.

Lei continuava a parlare e parlare, blaterare cazzate. Io coglievo solo i mille Devon che diceva, Devon, Devon, Devon.

Non sopportavo l'idea di lei con un altro, era un'immagine che mi stava facendo impazzire.

All'ennesimo Devon persi il controllo sul mio corpo.

Mi ritrovai addosso a Isabel, le tenevo i polsi sopra la testa.

Sentii la mia stessa voce urlare:-Tu sei mia!-

 

ISABEL

 

Un attimo prima stavo parlando, forse un po' a vanvera, di argomenti sempre più scomodi. Mi stavo arrabbiando sempre di più, sembrava che l'aria si facesse via via più elettrica, il volume della mia voce cresceva, cresceva, fino a che tutto giunse ad un culmine. E tutto scoppiò quando Cole mi prese i polsi e me li portò sopra la testa, sbattendomi contro il muro e urlando:-Tu sei mia!-

L'impatto con la parete fu talmente forte da togliermi il fiato e ciò che disse Cole mi lasciò senza parole.

Non mi sentivo più brilla, ero perfettamente cosciente di ogni cosa.

Le mani di Cole erano calde attorno ai miei polsi, percepivo benissimo il suo corpo premuto contro il mio, il suo viso a pochi centimetri dal mio. Tutto taceva.

Lo guardai negli occhi.

Erano di un verde smeraldo penetrante, brillante. Una mezza via tra il verde degli aghi di pino e quello delle foglie in primavera. Notai che il contorno delle iridi era un po' più scuro, definito.

Lo baciai, e sì, fu uno di quei baci bramosi, disperati, affamati, ma questa volta era diverso. Dopo quello che aveva detto non potevamo essere di nuovo al punto di partenza, non potevamo di nuovo dover ricominciare tutto. Probabilmente ciò che aveva detto Cole equivaleva ad un “Ti amo”, detto da lui. Non potevo aspettarmi che mi dicesse che mi amava, tutto il valore di quelle tre parole stava nel fatto che le aveva pronunciate Cole e che probabilmente gli era costato tantissimo esternarle.

Lo baciai e lui mi lasciò i polsi per affondare le mani tra i miei capelli, per accarezzarmi il viso. E nonostante il bacio fosse così disperato e urgente, le sue mani erano gentili.

Non mi toccò se non le guance, non volevamo nient'altro per quella notte, solo un bacio.

Raggiungemmo il letto e ci addormentammo così, ancora vestiti, con la consapevolezza di ciò che era appena successo e di come ciò avrebbe influito su di noi.

 

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Capitolo 31
*** Sei mia(?) ***


And satisfaction feels like a memory

And I can't held myself alive

Wanna hear you say are you mine

Well, are you mine?

(E la soddisfazione sembra un ricordo

E non riesco a trattenermi

Voglio sentirti dire che sei mia

Be', sei mia?)

(R u mine?, Arctic Monkeys)

 

ISABEL

 

Mi svegliai con la sensazione di aver dormito parecchio, ma quando controllai la sveglia dovevano essere passate appena due ore da quando eravamo tornati.

Ripensai alla voce di Cole mentre diceva che ero sua. Ripensai ai suoi occhi.

Era disteso affianco a me nel letto, un braccio proteso verso il mio corpo, le dita allungate verso il mio viso.

Indossava ancora il completo elegante e le scarpe; sembrava che fosse stato abbandonato lì per caso.

I capelli erano sparsi sul cuscino, e se avevo sempre pensato che non li pettinasse, ora mi rendevo conto che in realtà doveva dedicare tempo alla sua solita acconciatura.

Teneva la bocca socchiusa, totalmente incosciente di quanto esilarante fosse la sua espressione.

Mi accorsi di sorridere, e non cercai di nasconderlo, perchè poi avrei sorriso ancora di più.

La camicia gli era uscita un po' dai pantaloni ed era tutta stropicciata, la cravatta pendeva dal colletto .

Sembrava completamente innocente e semplice e incosciente.

Mi avvicinai a lui e piano posai le mie labbra sulle sue, un bacio lento e paziente, che mi ricordò quella volta in cui l'avevo trovato addormentato nel bosco.

Ma stavolta continuò a dormire.

Non so per quanto tempo rimasi lì a fissarlo, ma poco a poco la stanza si illuminò, riempiendosi poco a poco di luce, fino ad esserne piena fino all'orlo.

Eravamo nella stanza gialla.

Ogni momento importante della mia vita era passato di lì.

 

Ritornai alla morte di Jack, a quei terribili giorni grigi in cui l'avevo solo guardato morire, da spettatrice, senza provare a salvarlo. Avevo visto la vita lasciarlo a poco a poco. Avevo visto i suoi occhi non riuscire più a sostenere il peso delle palpebre, mi ricordavo il momento in cui si erano chiusi per sempre.

 

Ritornai a quando ero venuta qui per cercare Cole, non l'avevo trovato. Non avevo trovato nessuno. La casa era vuota e io ero capitata qui, ancora. E le pareti gialle erano sempre le stesse, la morte di Jack non le aveva cambiate e il fatto che i lupi stessero per essere massacrati non aveva sortito alcun effetto sulla casa. Avrei potuto rimanere lì pensando che fossero stati tutti umani e che la casa fosse vuota perchè quel giorno erano andati a visitare il Museo di Storia Naturale di Duluth. Avrei potuto chiudere gli occhi ed aspettare che tornassero, rimanere lì e prendere una delle siringhe di Cole prima di perdere il coraggio.

 

Ritornai al presente. E Cole era di fianco a me. E io non li avevo lasciati morire. E la morte di Jack era servita a cambiarmi.

Cole si svegliò nel preciso istante in cui le mie dita toccarono la sua guancia.

Lo guardai negli occhi e capii che si ricordava tutto, che voleva parlarne ma che adesso non era il momento.

Mi avvicinai a lui e la sua mano mi accarezzò la guancia, calma, lenta.

La sua bocca toccò la mia, calma, lenta.

Allentai il nodo della sua cravatta e la tolsi. Lui allontanò le mani dal mio viso e sfilai la giacca, la gettai da qualche parte.

I nostri baci erano lenti e profondi, il naso di Cole sfiorava il mio, il suo respiro era pesante, nonostante i nostri baci fossero così calmi.

Iniziai a sbottonare la camicia, bottone dopo bottone, e il bacio fu interrotto mentre lo guardavo in faccia e gliela sfilavo.

Lui si avvicinò, senza riprendere a baciarmi portò le mani alla cerniera del vestito e la abbassò. Quando me lo tolse mi guardò negli occhi, e stavolta il suo sguardo era intenso, vicino, concreto.

E non potevo più nascondermi. Ero nuda, in ogni senso. E non riuscivo a ricordare perché mi fossi coperta per tutto quel tempo. Cole era davanti a me. E io potevo scegliere come volevo che finisse. E scelsi la cosa che per me era la più pericolosa, più stupida e meno appropriata a Isabel Culpaper.

Furono le prime parole che pronunciai quella mattina, eppure fu la frase più pericolosa e azzardata che avessi mai pronunciato. Eppure era vero. E me ne resi conto mentre lo dicevo.

-Ti amo-

Qualcosa si ruppe negli occhi di Cole, come se fino ad allora la sua corazza si fosse scheggiata sempre di più e adesso fosse definitivamente crollata.

Mi afferrò i capelli, stringendoli tra le dita e questo bacio fu simile a quello della sera prima. Così disperato. Così importante.

Quando mi guardò di nuovo, ebbi l'impressione che avesse gli occhi lucidi, ma forse mi ero sbagliata.

 

COLE

 

La strinsi a me prima che si accorgesse che una lacrima mi aveva rigato la guancia.

Ero sgomento da questa reazione, è come quando leggi un libro e ti immagini una scena, poi vai al cinema ed è una cosa completamente diversa.

A parte il fatto che ritenevo un'utopia il fatto che un giorno qualcuno mi avrebbe amato-nel senso vero e più profondo del termine-pensavo che quando sarebbe successo sarei stato felice. E invece piangevo.

Forse erano lacrime di felicità, ma le mie esperienze in questo campo erano più che limitate.

E quindi la strinsi a me, sempre più forte, perchè ormai non sapevo cosa aspettarmi nemmeno da me stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È corto, lo so! Ma lo volevo così, perchè questa parte va separata dal resto. Spero di aggiornare presto ma non lo spero, perchè ci avviciniamo inesorabilmente alla fine e non voglio!

Nel frattempo è uscito Sinner!!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima.

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Capitolo 32
*** Fear(less) ***


Follow me

You can follow me

I will always keep you safe

Follow me

You can trust in me

I will always protect you, my love

(Seguimi

Puoi seguirmi

Ti terrò per sempre al sicuro

Seguimi

Puoi fidarti di me

Ti proteggierò sempre, amore)

(Follow me, Muse)

 

COLE

 

Il karma a volte sa essere molto crudele.

Avevo davvero commesso così tanti misfatti da non meritarmi un normalissimo risveglio accanto all'unica persona che mi importasse in quel modo, che per giunta mi aveva appena detto di amarmi? Evidentemente no, perchè qualche forza superiore aveva spinto Grace a chiamarmi alle dieci e quaranta di mattina. Avevo afferrato il concetto: la prossima volta avrei spento il cellulare.

-Da-

-Cole, non posso crederci!-

-A cosa? Grace, meglio per te che sia qualcosa di importante- suonai vagamente minaccioso, ma Grace mi conosceva abbastanza da sapere che non ero davvero arrabbiato.

-Il tuo regalo...-

-Già, non c'è di che-

-Ma...-

-Grace, non so se te ne sei accorta, ma ieri sera io e Isabel ce ne siamo andati insieme-

Lei soffocò una risata e mi ringraziò prima di riagganciare.

Posai il cellulare sul comodino e mi voltai verso Isabel, che fortunatamente dormiva ancora.

Non avrei conosciuto il giusto comportamento in situazioni come queste neanche tra mille anni, ma avere una manciata di minuti in più era comunque confortante.

 

ISABEL

 

In realtà avevo ascoltato tutta la conversazione di Cole e a stento avevo trattenuto le risate per il modo in cui aveva detto Meglio per te che sia qualcosa di importante.

Tuttavia non mi sentivo del tutto pronta ad affrontare con Cole la chiacchierata che avevo programmato, perciò rimasi immobile per un po' prima di andare in cucina.

Ripensai per un attimo a ciò che era successo nelle ultime ore, a come il mio mondo era stato stravolto dalle mie stesse parole. Non si poteva tornare indietro, e allora tanto valeva che andassi avanti.

In cucina Cole litigava col tostapane, e la sua presenza era qualcosa di esclusivo e raro anche quando se la prendeva con oggetti inanimati.

Non mi aveva visto; avrei potuto tornare indietro e aspettare che qualcuno mi dicesse qual'era la cosa giusta da fare, ma da tempo avevo capito che era una cosa che potevo decidere solo io.

I fogli nella mia mano destra pesavano quanto un macigno, peso che apparteneva più al loro significato che ai fogli in sé.

Lì posai sul bancone, abbastanza bruscamente perchè il rumore facesse voltare Cole.

Li fissò e continuò a farlo mentre parlava.

-Isabel, hai capito male. È vero, è una canzone, ma non voglio tornare alla musica. Non riuscirei a sopportare di... tornare sul palco, senza Victor. Non voglio cercare un nuovo batterista. E poi non sono più quel Cole.-

-E allora perchè l'hai scritta?- chiesi. La voce mi tremava, ma per una volta non cercai di camuffarla: c'erano cosa più importanti di nascondermi da me stessa.

-Non posso abbandonare tutto così di botto. Ho visto gli articoli che hanno scritto su di me, so che continuano a parlarne alla radio. E continueranno a farlo. Voglio mettere un punto e chiarire il fatto che sono fuori. Un'ultima canzone, per ufficializzare la fine della mia carriera.-

Mentre mi spiegava le sue ragioni, era come se avessi sempre saputo che le cose stavano così. Come un bambino che sa di essere bravo in qualcosa, ma vuole continuamente sentirselo dire. E tutto il rancore provato verso di lui svanì poco a poco, nessuna diga teneva, la rabbia scorreva via dal mio corpo senza freni, e per la prima volta nella mia vita mi sentii a posto. Non avevo bisogno di niente, tutto ciò che desideravo era qui di fronte a me, che mi apriva quella terza possibilità che non era né combattere né arrendersi. E la terza possibilità era Cole.

 

COLE

 

I giorni a seguire passarono in un lampo davanti ai miei occhi, giorni in cui non mi aspettavo niente, giorni di assestamento, come se questa volta fosse davvero cambiato qualcosa.

Quella mattina Grace e Sam partivano per la luna di miele che gli avevo regalato e quel pomeriggio io e Isabel saremmo partiti per New York, dove avrei registrato il mio singolo.

Raggiungemmo gli sposi nella penisola, li aiutai a sistemare le valigie in macchina e poi partirono alla volta dell'aeroporto, con Grace che pretendeva aggiornamenti sulla nostra “situazione di coppia”.

La sua voce-Quando torno mi racconterete tutto?-venne trascinata via con la macchina.

-Dove andranno?- mi chiese Isabel.

-In un posto caldo.- risposi, con un'alzata di spalle.

Io e Isabel rientrammo in casa per pranzare e poi partimmo anche noi, e non riuscivo a credere che stessimo andando d'amore e d'accordo da più di due giorni.

Quando arrivammo a New York raggiungemmo la casa dei miei genitori, ma solo per prendere la mia Mustang e portare i bagagli nell'hotel che avevamo prenotato.

Quando la porta dell'albergo si richiuse, era ormai sera, e crollammo addormentati sul letto.

 

ISABEL

 

Quando la mattina dopo mi svegliai, ero sola nel letto. Per un attimo, provai un intenso senso di abbandono e perdita, ma poi notai il bigliettino che c'era al posto di Cole.

Diceva solo che era allo studio di registrazione.

Mi immaginai Cole dietro il vetro, la tastiera davanti a sé, che cantava la sua ultima canzone. E decisi di raggiungerlo. Presi il taxi, perchè non avevo la minima idea di dove fosse lo studio di registrazione. Confidavo nelle abilità dell'autista. E poi Cole aveva preso la Mustang.

Il tassista mi lasciò in un enorme parcheggio deserto, eccetto per la macchina di Cole e una piccola utilitaria.

L'edificio era basso e scolorito, con due finestre in tutto e una sola porta, lasciata socchiusa.

La speranza di entrare di soppiatto si infranse non appena mi ricordai di indossare i tacchi, ma all'improvviso la voce di Cole esplose in tutto l'edificio facendomi trasalire. L'avevo già sentito cantare, ma la sua voce bassa e graffiante faceva sempre il suo effetto.

Continuai a camminare finché non mi trovai davanti ad una porta tappezzata di foto stropicciate. Un tizio era presente in tutte le foto, e i suoi orecchini e piercing aumentavano di scatto in scatto.

Cercai Cole, e lo trovai tre volte. In una doveva aver appena cominciato a suonare, i capelli erano abbandonati a loro stessi, lasciati al caso quasi quanto i suoi vestiti. Il sorriso era lo stesso, aperto e abbagliante.

Nella seconda stentai a credere che fosse lui, gli occhi erano circondati da ombre scure, i capelli erano molto più corti e curati ed era vestito tutto di nero. Il sorriso era scomparso, insieme alla spontaneità che sfoggiava nella prima foto.

Nell'ultima somigliava molto di più a sé stesso, i capelli erano cresciuti e avevano la stessa acconciatura spettinata di adesso, sorrideva ancora, ma il sul suo sorriso era scesa un'ombra di malizia. Se si sapeva dove cercare, si poteva scorgere un po' di tristezza.

La canzone finì nello stesso istante in cui varcai la soglia, ma nessuno mi aveva notato, eccetto un ragazzo che doveva avere più o meno l'età di Cole, seduto sul divanetto a ridosso del muro.

I capelli biondo cenere arrivavano sotto le spalle, indossava dei pantaloni color kaki larghi e una maglietta bianco sporco. I braccialetti di metallo tintinnavano al minimo movimento, erano una decina attorno al polso. Aveva la carnagione chiarissima, in nettissimo contrasto con il divano nero.

Mi portai un dito alle labbra e lui, in tutta risposta, urlò:-Cole, ci sono visite!-

Gli lanciai un'occhiataccia, che lui ricambiò facendo il segno della pace, e rivolsi il mio sguardo a Cole.

 

COLE

 

Ecco, era successo. Avrei dovuto cantare davanti a lei, il che era molto diverso da cantare davanti ad un pubblico. Le mie canzoni parlavano sempre di me, e le cantavo al mondo perchè ero pienamente consapevole che al mondo non importava niente dei miei dubbi esistenziali. Ma a lei sarebbe importato ciò che diceva questa canzone. Perchè per la prima volta la canzone non parlava solo di me.

E qui, in questa sala di registrazione a New York, tutti i cambiamenti che avevo attraversato fino ad ora si condensarono.

Fu come fare un salto nel vuoto senza paracadute o cantare un inedito per la prima volta.

Chiusi gli occhi, ma continuavo a rivedere la sagoma di Isabel dietro al vetro.

L'ansia mi squarciò lo stomaco, lasciando un vuoto famelico, e qualcosa di sconosciuto si agitò all'altezza del petto.

Paura.

Paura perchè ora, per la prima volta, avevo qualcosa da perdere, e quel qualcosa era Isabel.

E in quell'attimo si affacciò nella mia mente quello che sarebbe stato il titolo della canzone.

Iniziai a cantare, ad occhi chiusi, lasciando che le dita suonassero la tastiera, movimenti che avevo imparato a memoria. Ad occhi chiusi in una stanza insonorizzata era più facile illudersi di essere soli. Perciò cantai senza pensare al fatto che di là ci fossero Jeremy e Bart. Cantai pensando a ciò che stavo dicendo. Aprii gli occhi una sola volta, quando la canzone iniziava a parlare di Isabel, e la guardai negli occhi un momento prima di richiuderli.

Quando finii Jeremy e Bart applaudirono; ebbi l'impressione che Isabel avesse gli occhi lucidi, ma forse mi ero sbagliato.

La riascoltai, ed era esattamente come me l'ero immaginata.

Avevo finito, avevo inciso il mio ultimo singolo.

 

 

 

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Capitolo 33
*** Finalmente ***


My days end best when the sunset gets itself behind

that little lady sitting on the passenger side

it's much less picturesque without her catching the light

the horizon tries but it's just not as kind on my eyes

as Arabella

(I miei giorni finiscono meglio quando il sole tramonta dietro

quella signorina seduta sul lato del passeggero

è molto meno pittoresco senza lei che cattura la luce

l'orizzonte ci prova ma non è bello ai miei occhi

quanto Arabella)

(Arabella, Arctic Monkeys)

 

ISABEL

 

Finalmente.

Era stato il mio pensiero più frequente nell'ultima settimana. Ed era la parola che meglio descriveva tutto ciò che provavo. Racchiudeva lo svegliarsi accanto a Cole, iniziare a sentire la sua presenza come qualcosa di costante, il suo viso sul mio collo e il suo braccio che mi circondava la vita.

L'intera settimana era stata un grande finalmente.

Sentivo-come una campanella che risuonava ad intervalli regolari-che prima o poi avremmo dovuto tornare a Mercy Falls. Ma poi Cole mi abbracciava e mi sussurrava qualcosa, e poi smetteva di parlare e mi baciava, e io mi abbandonavo a lui.

Ora, col telefono in mano, vestita del profumo di Cole e della sua maglietta, aspettavo di sentire Grace. Dubitavo che mi avrebbe chiamata, e ormai mi ero persa a guardare il minuscolo ritaglio di cielo che si scorgeva sopra l'hotel. Era un giorno magnifico, nessuna nuvola minacciava la città, e io e Cole avremmo potuto uscire a prendere un gelato, o a fare qualsiasi cosa, ma nessuno dei due ne sentiva il bisogno.

-Stasera ti porto fuori a cena- la voce roca di Cole proveniva dal letto. Lo occupava interamente, le braccia allungate sopra la testa e i piedi che puntavano agli angoli del letto.-E non in un posto snob-proseguì, -Ti porto in una pizzeria in periferia. Voglio fare la persona normale.- sembrò riflettere un attimo.-Forse è un po' troppo di basso livello per te. È troppo di basso livello per te?-

Scoppiai a ridere:-Decisamente. Probabilmente verrò infettata da qualche malattia incurabile, tipo la Zoticosi.-

-Allora è perfetto- concluse Cole. Aprì gli occhi per vedere la mia espressione, ma io mi voltai verso la finestra. Stavo sorridendo come una scema.

Non sentii Cole avvicinarsi, perciò quando mi sollevò dalla sedia mi lasciai sfuggire un urletto stridulo. Atterrammo entrambi sul letto ridendo e pensai che se Grace e Sam ci avessero visti ora, avrebbero pensato che ci avessero sostituiti con due persone che ci assomigliavano.

 

L'ora di cena si avvicinava e mano a mano che il tempo passava io diventavo più nervosa. Cosa sarebbe successo se qualcuno avrebbe riconosciuto Cole? Di cosa avrei parlato con lui? E se si fosse rivelato un fiasco?

Cole uscì nel balcone per parlare con Jeremy, che quella sera avrebbe annunciato l'ultimo singolo di Cole ad un programma radiofonico che non conoscevo. Lui non sembrava affatto nervoso, o camuffava ad arte la sua agitazione.

Io ne approfittai per scegliere il vestito per quella sera. Niente mi sembrava adatto, non conoscevo il posto in cui Cole mi avrebbe portato e non sapevo se lui intendeva quell'appuntamento come romantico oppure informale. In pratica brancolavo nel buio.

Alla fine optai per un vestito color cipria non troppo elegante senza maniche, con una cintura sottile in vita e un paio di stivaletti. Non mi truccai troppo, lasciai i capelli com'erano; non avevo molto da acconciare, visto il taglio.

Quando uscii dal bagno notai con sommo piacere che neppure Cole era troppo elegante. Era comunque meraviglioso, con i jeans chiari e la maglietta aderente. Quando mi vide mi squadrò e poi abbassò lo sguardo, e intuii che anche lui era un po' nervoso. Non sapevo da cosa era dovuta quell'ansia, ma siccome la provava anche Cole, mi convinsi che la serata sarebbe stata decisiva.

 

COLE

 

Ne rimasi folgorato. Come al matrimonio, aveva inserito nel suo aspetto quella vena di sincerità che custodiva nel suo carattere.

La portai in un ristorante senza troppe pretese, e mi sentii strano al pensiero che agli occhi degli altri eravamo la tipica coppietta impacciata che probabilmente avrebbe finito per sposarsi qualche anno dopo. Mi sentii strano perchè quella sera eravamo effettivamente impacciati. Cole St. Clair impacciato. Chi l'avrebbe mai detto? Io di certo no.

Nonostante tutto Isabel era sempre Isabel, e dopo poco io tornai ad essere me stesso, e la serata fu una delle migliori della mia vita. Ritornati nel parcheggio le aprii la portiera e quando mi accomodai al posto di guida scoppiai a ridere. Mi sentivo tranquillo, realizzato, come se avessi appena dato prova di essere valido. Di non essere un giocattolo rotto. Isabel mi chiese perchè ridevo, con il tono sicuro e sarcastico di chi si aspetta una risposta sicura e sarcastica.

-Ninete, pensavo a come sarebbe trasformarsi in un procione invece che in un lupo.-

Lei alzò un sopracciglio e disse:-Di sicuro tutta la faccenda della caccia non sarebbe esistita. Sto immaginando mio padre accanirsi così tanto contro dei procioni. Credo che sia esilarante.-

-Sono d'accordo. Tuo padre rimane uno stronzo però. E prendersela con dei procioni...non potrei mai perdonarlo. I procioni sono gli animali più cool della terra.-

-Mio padre rimarrebbe uno stronzo anche se vendesse zucchero filato e caramelle alle fiere di paese.-

-Sono d'accordo per la seconda volta.-

Accostai in un parcheggio deserto. In realtà non era un parcheggio, era uno di quei cinema all'aperto abbandonato, lo schermo era nero. Il posto aveva un che di pittoresco, il volto di Isabel illuminato dal tramonto era bellissimo. Trassi un profondo respiro, poi accesi la radio.

Vilkas aveva appena concluso una pausa pubblicitaria.

-Qui con me, che ci crediate o meno, c'è il membro dei NARKOTIKA che non è mai sparito. Jeremy, che ci fai qui?-

Jeremy rispose con la sua solita voce un po' annoiata:-Purtroppo, Rick, dovresti dire ex membro: niente reunion tour, i NARKOTIKA non esistono più.-

La frase rimase sospesa nell'aria, la mia mente me la riproponeva con milioni di toni di voce differenti, cercando di provocarmi qualche emozione. Pensai che chiunque stesse ascoltando Vilkas in questo momento doveva essere basito. Infondo eravamo diventati leggenda in poco tempo e il fatto che ufficialmente non esistevamo più doveva aver scioccato un bel po' di gente. Nessuno sapeva che eravamo morti da molto, molto tempo.

Rick aveva ripreso a parlare; mi ero perso la prima parte della frase.

-...cosa farete? Voglio dire, vi dileguerete tutti?-

-Bè, a proposito di questo ho qualcosina per te. E ritieniti fortunato, è l'unica copia.-

Immaginai Jeremy che consegnava il disco a Rick, la faccia sgomenta di quest'ultimo.

-L'addio di Cole alla musica, tutto per te.-

Rick doveva essere parecchio scombussolato, tutto quello che disse fu:-Bè, suppongo di doverlo ascoltare...-

Ed ecco Fear(less), per la prima volta alla radio.

Quando finì, Rick iniziò a commentarla. Non mi interessava ciò che ne pensava, perciò la spensi.

-Quindi ora è tutto finito- disse Isabel, con un filo di voce.

-Scherzi? Ora inizia tutto.-

Non volevo esprimere a parole ciò che stava per iniziare, perciò sperai che lo capisse da sola. Allungai una mano verso il suo viso e rimasi immobile un attimo prima di raggiungere le sue labbra. Non pretendevo molto, mi bastava sentire le sue labbra sulle mie, anche immobili. Mi bastava che lei stesse trattenendo il respiro, stesse capendo cosa volevo iniziare con lei. Volevo che Isabel volesse lo stesso, volevo che scegliesse me.

Tornammo in albergo e ci togliemmo senza fretta le scarpe, mi sdraiai sul letto accanto a lei e la abbracciai. Lasciammo le finestre aperte e osservammo il cielo, anche se non si riuscivano a vedere le stelle. Poi lei abbandonò la testa contro la mia spalla e chiuse gli occhi, e io la strinsi ancora più forte.

 

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Capitolo 34
*** Scompaio(Epilogo) ***


EPILOGO

 

I am at the edge of the world

where do I go from here?

Do I disappear?

Edge of the world

Showld I sink or swim?

Or simply disappear?

(Sono ai confini del mondo

Da qui dove si va?

Scompaio?

Confini del mondo

Dovrei affondare o nuotare?

O semplicemente scomparire?)

(Sleepwalking, Bring Me The Horizon)

 

 

COLE

 

E così, il giorno dopo la metà dei giornali parlava di me, e l'altra metà di Jeremy che parlava di me. Malgrado non tutti avessero sentito Fear(less), la notizia si era diffusa in fretta e silenziosa, per poi esplodere la mattina dopo sulle copertine delle riviste e su qualche telegionale.

Ma io e Isabel, quando verso le nove del mattino il fatto era ormai sulla bocca di tutti, eravamo già sull'aereo di ritorno per Mercy Falls.

Da ora iniziava ufficialmente la mia nuova vita. Avrei trovato una cura. Avrei avuto Isabel.

Eravamo tornati a casa, io certo che ormai il mondo si fosse rassegnato alla mia dipartita e Isabel che pensava a cose cui non dava voce.

 

 

ISABEL

 

Mi portò alle Boundary Waters.

Non c'ero mai stata; era un posto meraviglioso: la superficie dell'acqua limpida interrotta di tanto in tanto dalla scia di una canoa di passaggio rispecchiava esattamente la mia tranquillità interiore. La vegetazione pareva crescere direttamente nell'acqua.

Era il posto perfetto. Non sapevo per fare cosa, ma Cole aveva scelto un posto perfetto.

Lui mi cingeva la vita, stingendomi a sé come se non avesse voglia di fare altro. Il suo respiro mi solleticava la fronte facendomi il solletico, percepivo il battito del suo cuore proprio in corrispondenza del mio, sincronizzati.

Sussurrai:-Ti amo.-

Lui mi fece voltare e mi baciò. Un bacio delicatissimo, il suo pollice vicino alla mascella. Estremamente silenzioso. Pareva il ricordo di un bacio, forse perchè mi ricordavo perfettamente l'ultima volta che mi aveva baciato così. E le esatte parole erano state:”Ti bacerei così, se ti amassi.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buongiorno a tutti.

Ebbene si, con mio sommo dispiacere eccoci giunti alla fine.

Sappiate che ho iniziato a scrivere non avendo la minima idea di cosa stavo facendo, non avevo una trama in testa e diciamo che le idee sono arrivate nel mentre. Spero non si sia notato troppo. Spero con tutto il mio cuore di non aver scritto una montagna di cavolate (in tal caso vi prego di dirmelo e toglierò all'istante la storia), perchè tengo moltissimissimo alla trilogia di Shiver. La amo profondamente, e l'idea di avere scritto cavolate mi fa inorridire.

Detto questo, mi è piaciuto moltissimo scrivere di questo mondo e di questi personaggi che amo, sicuramente scriverò altre storie su Shiver, che è una serie eccezionale.

Insomma, non so come chiudere, come sempre.

Grazie a chi ha letto e recensito, grazie a tutti, è stato stupendo, un bacio.

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