Tempeste e giornate luminose ne incontrerai tante ma la vera Serenità è dentro di te

di musa07
(/viewuser.php?uid=93538)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Passato è la torcia che ci illumina la Via ***
Capitolo 2: *** Un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa ***
Capitolo 3: *** Devi guardare a testa alta le cose che ti stanno davanti, o non potrai mai superarle ***
Capitolo 4: *** Sulle macerie delle tue sconfitte costruisci le tue vittorie ***
Capitolo 5: *** Le persone che aspettano che tutte le condizioni siano perfette prima di agire, non agiscono mai ***
Capitolo 6: *** Un buon Inizio ha sempre una buona Fine ***



Capitolo 1
*** Il Passato è la torcia che ci illumina la Via ***



 
Ciaossu^^ Dopo l'angst, dopo la 3Some PWP, approdo nuovamente al mio habitat naturale: lo slice of life romantic, condito da “fase mongolismo acuto” data l’alta concentrazione di personaggi vaneggiati di questo anime/manga. Volevo la 0027? E me la sono scritta ^////^ Inutile che vi dica che saranno presenti anche la 8059 e la D18, più … ah, avete già indovinato? Bravi! Saranno presenti anche i ragazzuoli di First Generation (quanto li amo, nonché li adoro!)
Ah, cosa importantissima: ovvio che il rating si alzerà lungo il cammino.
Bon, è tutto. Ci sentiamo dopo.
Bc bc
 

 
“Il Passato è la torcia che ci illumina la Via”
 
 

CAPITOLO 1
 
 
I ricordi di Cozzato continuavano a non dargli tregua durante il sonno.
Da quando il sangue di Cozzato Primo, che era rimasto sopito fino alla Cerimonia di Successione, si era risvegliato prepotentemente in lui e aveva ripreso ad ardere, si erano scatenati anche tutti i ricordi di quello che era stato il Primo Boss della Famiglia Simon. Ed Enma li riviveva. Ogni notte. Nitidi. Netti. Vivi …
Se finalmente, grazie a Tsuna, non si risveglia più in un bagno di sudore a rivivere in sogno la carneficina della sua famiglia, ora era Cozzato a non dargli tregua. Era tutto così vivido …
E lui non conosceva altra maniera per farli tacere se non correndo.
Da quando Tsuna aveva scoperto che nella sua vecchia scuola faceva parte del Club di Atletica, con la sua solita gentilezza ferma, l’aveva alla fine convinto ad entrarvi anche lì alla Namimori.
Quando, a suo tempo, era entrato nel Club era stato semplicemente perché era attraverso la corsa che riusciva a scacciare i demoni presenti nella sua testa. Era stata una forma di difesa.
Nello sforzo della corsa c’era spazio solo per i metri che venivano macinati. Per il sangue che pompava con maggior potenza nelle vene e nel cuore. Per il fiato che si doveva mantener regolare.
E quella mattina non fece eccezione …
Svegliatosi poco dopo l’alba, si alzò rabbrividendo al contatto del pavimento ghiacciato sui suoi piedi nudi. Uscì dal suo piccolo appartamento nel quale ora viveva da solo, rabbrividendo nuovamente e fissando la nuvoletta ghiacciata che gli usciva dalla bocca. Era sempre il momento iniziale il peggiore di tutti, ma nell’istante in cui la prima falcata partiva, ecco che Enma si sentiva vivo. Sentiva la linfa vitale scorrergli per tutto il corpo.
Anche quella notte, come quelle precedenti, aveva rivissuto parte della vita di Cozzato attraverso i suoi ricordi. C’erano tanti episodi divertenti e, al ricordo, gli veniva ancora da ridere, perché Enma riviveva perfettamente con Cozzato Primo, non solo il ricordo, ma anche le emozioni provate. Qualunque fossero. Belle. Brutte. Di gioia. Di felicità. D’affetto. Di angoscia. Di disperazione. Di paura. Tutte …
Da quelle reminiscenze il Decimo Boss Simon aveva imparato tanto del suo predecessore. Aveva avuto conferma di quello che già aveva intuito dai ricordi che i Vindice avevano fatto vedere loro attraverso le chiavi lasciate da Giotto e Cozzato stesso.
Aveva rivissuto tante cose belle, ma anche cose angoscianti. Cose che sentiva particolarmente come sue. Riconosceva quel timore viscerale di perdere persone alle quali si tiene particolarmente.
A quel pensiero andò aumentando la sua falcata, sentendo come i primi raggi di quel sole invernale lo stessero scaldando. Alzò gli occhi verso il cielo, scorgendolo attraverso le fronde degli alberi. Quei raggi che lo scaldavano erano proprio come Cozzato. Come Tsuna …
Si sentiva protetto, avvolto da loro due. Era come se il suo predecessore ora vegliasse sempre su di lui. Ne poteva sempre sentire il sorriso buono e rassicurante, allegro e sincero posarsi su di lui.
Un ultimo scatto, per poi andare rallentando via-via la corsa …
Quel momento non aveva prezzo! Erano pure endorfine scaricate in corpo.
 
Controllando l’ora una volta rientrato in casa, si accorse della colazione pronta in microonde per essere scaldata.
- Adelaide … - sorrise teneramente, al pensiero dell’amica. Di come si fosse silenziosamente introdotta nel piccolo appartamento per lasciargli la colazione. Di come lei si fosse sempre preoccupata di tutti loro e ancora, discretamente, continuasse a farlo.
Anche se le era costato una sofferenza indicibile, aveva accettato immediatamente la sua scelta di andar a vivere da solo. L’aveva guardato negli occhi come avrebbe fatto una mamma, nonostante fosse più grande di lui di solo un anno. Quei ragazzi erano davvero la sua Famiglia. Erano cresciuti insieme, e insieme si erano dati coraggio e sostegno. A volte pensava che non sarebbe bastata una vita intera per ringraziarli a dovere. Ed ora, insieme a loro, Enma poteva contare anche su altri amici. Amici veri. Certo, i Vongola erano un concentrato di elementi … hum … strani? Andava bene quest’ aggettivo per descriverli? Forse bizzari. Sì, bizzarri era indubbiamente il termine migliore.
E pensato da uno che di amici bizzarri ne aveva, era tutto dire.
Scoppiò in una piccola risata, a pensare ai suoi amici, mentre si immergeva nella vasca piena di acqua bollente. E si lasciò cullare da quel calore rinfrancante fino ad addormentarsi.
 
 
...
- Non so cosa fare … -
- Sì, che lo sai. –
- Ho paura! –
- E’ normale. È fin quando manterrai la paura che riuscirai a mantenere la tua umanità. Finché avrai paura, non permetterai mai a nessuno di far del male alle persone a cui tieni, e non farai mai nulla di cui potrai pentirti perché metterai sempre gli altri al primo posto. –
...
                                                                              
           
 
Enma spalancò gli occhi, ritrovandosi boccheggiante. Era tutto così reale …
Si portò una mano alla bocca, accorgendosi dopo un po’ che a risvegliarlo era stato il bussare alla porta d’entrata.
- Tsuna … - bisbigliò.
“ Cozzato, cosa stai cercando di dirmi?” si interrogò perplesso nel momento in cui, infilato l’accappatoio, si indirizzò verso l’ingresso.
- Ah, meno male. Cominciavo a preoccuparmi. – furono le prime parole di sollievo di Tsuna quando gli aprì, leggendo anche negli occhi lo stesso sollievo.
- Scusami. – si trovò a biasciacare, massaggiandosi i capelli rossi imbarazzato. Non gli piaceva farlo preoccupare. Il suo unico pensiero, il suo desiderio, era di farlo stare bene. Ma l’altro scosse la testa, in segno di lasciar correre, che era tutto a posto. Gli sorrise socchiudendo gli occhi e piegando la testa di lato, come faceva sempre e, a quella visione, il cuore di Enma si riempì di calore.
Si ritrovò Natsu trotterellargli felice tra le gambe mentre si dirigeva verso l’armadio a recuperar la divisa di scuola.
Sorrise a veder come l’animaletto reclamasse le sue attenzioni. Il sorriso gli si impreziosì ancora di più sapendo che Tsuna lo faceva uscire dal Vongola Sky Ring proprio perché sapeva che a lui Natsu piaceva un sacco. Erano le piccole carinerie silenziose di Tsuna.
Velocemente si rivestì e condivise con l’altro la colazione che gli aveva preparato Adelaide, notando come la ragazza avesse preparato per due. Si trovò a reprime una risata. Quella ragazza era un demonio! Aveva già capito tutto. Ok, ovvio che aveva condiviso con lei, prima di tutti e tra tutti, i sentimenti che lui – giorno per giorno – sentiva crescere per Tsuna. Adelaide l’aveva ascoltato pazientemente, supportato, sognato con lui, incoraggiato e spronato. Ecco, questa era stata la parte più difficile, nonché la più terrificante, pensò con un autentico brivido di terrore. L’amica era stata irremovibile su quel punto.
 
- Enma! – aveva tuonato nel momento in cui lei gli aveva chiesto quando avrebbe pensato di rivelare all’altro i suoi sentimenti e lui l’aveva guardata con gli occhi fuori dalle orbite, escludendo nella maniera più categorica possibile il fatto che avrebbe mai rivelato a Tsuna il fatto di esser innamorato di lui. – Non vorrai non dirglielo spero?! –
Adelaide era peggio di un despota quando si metteva in testa di fare quello che era il bene per loro.
E, ovviamente, non c’era stato verso.
Ancora non sapeva dirsi se la cosa che l’aveva terrorizzato di più era stata l’idea di rivelare all’amico i suoi sentimenti o il timore di incorrere nelle ire della ragazza.
- Adel … - ci aveva provato lui.
- Adel un corno! Tu adesso vai e glielo dici! – l’aveva minacciato, issandosi in tutta la sua poderosa statura, tirandolo su per un braccio con ancora il bento del pranzo in mano, mentre si trovavano sul terrazzo di scuola.
- Altrimenti, Enma Kozato, ti assicurò che sarò io a dirglielo. –
Opzione altrettanto terrificante!
E così si era ritrovato scaraventato a forza giù dalle scale, andando a ruzzolare proprio contro Tsuna, con ancora nella testa le parole dell’amica: “ Enma ti prego: vivi questa storia d’amore anche per me”, gli aveva detto sognante. Dopotutto, era pur sempre una ragazza …
La sua dichiarazione fu meno disastrosa di quello che i suoi peggiori incubi gli aveva prospettato.
Diventando in viso un tutt’uno con i suoi capelli, senza spostarsi di un solo millimetro da dove si trovava (anche perché Tsuna, nella caduta, gli era finito a cavalcioni e da lì non si decideva a schiodarsi) aveva sollevato gli occhi verso quelli castani dell’altro. Un grosso inspiro prima di iniziare a parlare. O meglio: a balbettare.
“Merda!” aveva imprecato dentro di sé. Non si era neanche preparato un minimo di discorso! Ovviamente perché mai si era preoccupato del fatto che gliel’avrebbe detto.
- Tsuna, io … ecco … -
Il vociare che aveva sentito avvicinarsi lungo il corridoio, l’aveva costretto a deglutire pesantemente e a fargli capire che si doveva dare una mossa.
Miseria! Lui non era mai stato bravo con le parole.
La loro attenzione era stata distratta dal ringhiare di Natsu attraverso il Vongola Ring di Tsuna. Natsu reagiva sempre alla voce di Enma. Il Juudaime sorrise.
- A Natsu tu piaci tanto. – gli aveva rivelato felice.
- Anche tu a me. – aveva spiattellato alla fine tutto di un fiato, mordendosi il labbro inferiore per il nervosismo e spiando di sottecchi la reazione dell’altro. Aveva sperato solo di non essersi mangiato le parole e che il messaggio fosse arrivato forte e chiaro. Anche perché non l’avrebbe di certo ripetuto. Già avrebbe voluto scavarsi una fossa così!
Tsuna l’aveva fissato silenzioso, scrutandolo negli occhi dubbioso. E se non fosse stato per il fatto che gli si trovava ancora ostinatamente a cavalcioni, se la sarebbe data a gambe. Infine, gli aveva sorriso.
- Anche tu. – aveva detto ed Enma si era mosso a disagio, sotto di lui.
- Sì, ma tu non come amico. Sì, anche quello … ma … e-ecco … non solo … – aveva preferito chiarire e aveva visto l’altro annuire con la testa e allargare ulteriormente il sorriso.
- Hum-hum … - aveva annuito nuovamente vigorosamente. – Anche tu mi piaci non come amico. –
- Eh?! – aveva esclamato lui scioccato, facendo render conto a Tsuna - con quella sua esclamazione di sorpresa – di quanto appena detto. Anche il Vongola Juudaime aveva allora sfiorato ogni gamma possibile di rosso in volto.
Che coppia di imbranati! Aveva proprio ragione Reborn, non c’era che dire. La loro dichiarazione d’amore era stata proprio tipica loro. Neanche se si fossero messi a studiarla a tavolino, sarebbe venuta così.
Il pensiero di sicuro doveva esser passato anche nella mente di Tsuna, perché si erano guardati negli occhi ed erano scoppiati a ridere, alzandosi poi a malincuore, perché i passi che si stavano avvicinando erano pericolosamente quelli di Hibari Kyoya.
Quello che i due non seppero mai nel momento in cui si diedero saggiamente alla fuga, fu che Adelaide, che aveva sperato ardentemente di veder la degna conclusione di quella dichiarazione con un bacio, aveva giurato e meditato vendetta contro il terribile Presidente che li aveva interrotti.
 
E da quel giorno era passata una settimana. E l’indomani sarebbero partiti per la gita scolastica. Inutile dire che ne erano letteralmente elettrizzati. Avrebbero passato ogni singolo minuto insieme. Non che in quei sette giorni – ma anche prima! – non fossero sempre insieme, perché ancora tante volte capitava che Enma si fermasse a dormire a casa di Tsuna, ma sarebbe stato comunque diverso.
Era a dir poco felice al pensiero. Anche perché avrebbe condiviso quell’esperienza con gli altri suoi nuovi amici. Capì, e non ci fu bisogno dei suoi ricordi, come dovesse essersi sentito Cozzato quando aveva conosciuto Giotto e G.
Già, Cozzato! Enma voltò per un attimo la testa verso Tsuna mentre si allacciava le scarpe da ginnastica. Era stato tentato più e più volte di chiedergli se anche a lui, durante il sonno, si presentassero ricordi di Giotto in maniera così incalzante, ma aveva sempre lasciato perdere.
Anche perché, nelle ultime notti, i ricordi che si presentavano con più insistenza riguardavano G. Ne avrebbe potuto parlare con Gokudera … Sì, solo se il suo sguardo avesse invogliato un po’ di più alla conversazione, si trovò a pensare nel momento in cui, raggiunta la strada, trovarono i due migliori amici di Tsuna di sempre. Forse ce l’aveva con lui per tutto il casino che i Simon, loro malgrado, avevano combinato dopo la Cerimonia di Successione … Anche se non gli pareva che Gokudera fosse uno che portava rancore. Era uno diretto e lapidario – anche troppo a volte! – e se c’era qualcosa che non gli andava bene, te lo diceva punto e fine.
“Mah, chissà …” sospirò dentro di sé, mentre sorrideva dolcemente a sua volta al saluto amichevole di Takeshi, chiedendosi – per l’ennesima volta – come uno solare come lui potesse stare con uno come Hayato. Ma forse perché, molto semplicemente, si incastravano alla perfezione. Ed era troppo divertente assistere ai loro siparietti, nei quali il moro veniva ripetutamente insultato dall’altro senza mai scomporsi, cosa che irritava Gokudera ancora di più. Come se non si vedesse poi, pensò Enma mentre si incamminavano verso scuola, che stravedeva per lui. Che per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa. Forse era proprio per questo che allo spadaccino non davano fastidio gli insulti del suo innamorato. Perché comunque traspariva anche in questi tutto il suo infinito amore.
Varcarono la soglia dell’Istituto giusto in tempo e allora Tsuna dovette richiamare Natsu nel Vongola Ring, non prima che quest’ultimo si fece fare l’ultima coccola da Enma, che non gliela negò di certo, prendendolo in braccio e accarezzandolo.
A quella visione, Tsuna e Takeshi sorrise teneramente. Addirittura lo sguardo del Juudaime era estasiato. Enma era la dolcezza e la gentilezza fatta a persona, che al tempo stesso ti infondeva un profondo senso di pace e tranquillità. Incarnava in se stesso, in tutto quello che faceva senza rendersene nemmeno conto, il fatto che fosse dai piccoli gesti, dalle piccole attenzioni che si scaturiva la vera felicità della gente. Proprio com’era stato il suo antenato diretto.
- Ci muoviamo? – fu il richiamo brusco di Hayato a svegliare i tre. Il Guardiano aveva continuato a proseguire nel suo cammino.
Takeshi guardò la sua figura di schiena. Sospirò mesto. In quegli ultimi giorni Hayato era diventato più irascibile del solito. E lui era certo di sapere il motivo … E a questo pensiero, si rabbuiò a sua volta.
 
 
Non c’era che dire: era proprio da sadici mettere come due prime ore del mattino Matematica.
Già a metà della prima l’attenzione della classe si era pericolosamente dimezzata.
Enma dovette reprimere non sapeva nemmeno lui più quale sbadiglio. Poggiò la guancia su una mano per impedire che cadesse pericolosamente a terra dal sonno. Per sua fortuna sedeva dietro ad un ragazzo alto almeno un metro e novanta e largo altrettanto, così che lui – smilzo com’era – poteva bellamente nascondersi. Inevitabilmente il suo sguardo si spostò verso Hayato che sedeva nella prima riga. Ovviamente se ne stava seduto con le mani cacciate in tasca, sguardo annoiato. Per uno intelligente come lui, stare in classe ad ascoltare quelle ovvietà era una vera seccatura. Lo vide sbuffare più e più volte. Ne studiò attentamente il profilo e all’immagine dell’amico si sovrappose inevitabilmente quella del Primo Guardiano della Tempesta.
 

- G. –
Cozzato l’aveva fermato per un braccio, facendolo voltare verso di sé. L’arciere l’aveva guardato interdetto. Si vedeva perfettamente l’espressione interrogativa in quel volto perfetto.
- Non dobbiamo dire niente a Giotto. –
Il tono di Cozzato era gentile, come sempre, ma fermo e sicuro.
A quell’affermazione G. dovette dar fondo a tutto il suo autocontrollo. Con gli anni, e con la vicinanza calma e serafica di Giotto sempre al suo fianco che lo placava, come l’acqua doma il fuoco, aveva imparato a stemperare la sua irruenza. Ma lui era e restava un indomito e a volte non era sempre semplice domare il fuoco che gli montava dentro.
Guardò il suo migliore amico dritto negli occhi. A leggervi dentro. A leggervi nell’animo. Nel cuore … in quel cuore che non vacillava mai.
- Ok. – acconsentì alla fine con un sospiro, annuendo con il capo e vedendo chiaramente come nel volto di Cozzato apparve il sollievo.
- G. so di chiederti tanto … E mi dispiace coinvolgerti in questa maniera, ma tu – oltre a Giotto – sei l’unico del quale io mi fidi ciecamente, e non voglio dar ulteriori pensieri a Giotto … - aveva ripreso a parlare afflitto, ma l’arciere l’aveva interrotto con un gesto della mano, ad indicargli che era tutto a posto.
- Tu faresti lo stesso per me. –
- Puoi starne certo! – gli aveva risposto il Boss Simon fiero, sorridendogli e strappando uno dei rari sorrisi anche nell’altro.
- Ma Cozzato, se non risolviamo la questione questa notte, riferirò tutto a Giotto. – aveva poi detto asciutto e anche lo sguardo dell’altro si era fatto serio a sua volta.
- Non ti preoccupare. Sarò io a metterlo al corrente di tutto in quel caso. – gli aveva assicurato.

 
Era questo il ricordo che si presentava con maggior insistenza in quelle notti. Appariva tra un ricordo e l’altro. L’immagine andava sfuocando, così come i contorni e quello che vedeva prima che la nebbia andasse dissolvendosi, erano le immagini di quella che doveva esser stata Residenza Vongola. Il battere sui vetri di una finestra … il Guardiano della Tempesta che si voltava e sgranava gli occhi meravigliato … lo stesso che usciva dalla porta sul retro e lo seguiva tra gli alberi …
Enma si chiese se anche Hayato rivivesse mai quello stesso ricordo dal punto di vista di G.
Cos’è che i due avevano fatto tenendolo nascosto a Giotto? Si sentì in colpa al solo pensiero. Lanciò un’occhiata a Tsuna, che si trovava alla sua sinistra, seduto vicino alla finestra mentre si disperava a cercare di capir qualcosa di quelle intricate formule, per poi riportare laconicamente lo sguardo verso Hayato. Il quale si sentì osservato e lentamente girò il volto fino ad incontrare il suo sguardo. Quando i loro occhi si incrociarono quelli di Gokudera si assottigliarono, mentre i suoi si sgranarono per la sorpresa di essersi fatto sgammare così miseramente e non gli riuscì proprio di mantenere il contatto visivo. Deglutendo a vuoto, abbassò lo sguardo e lo spostò nuovamente verso Tsuna, il quale stavolta incrociò i suoi occhi e gli lanciò un piccolo sorriso timido, al quale lui rispose. E come iniziò a galoppargli il cuore in petto! E dire che non si erano ancora mai nemmeno baciati. Sarebbe stata una dura lotta a vedere chi dei due avrebbe vinto anche la timidezza dell’altro.
Takeshi, seduto dietro tutti loro, seguiva la lezione sonnacchiosamente ma il suo sguardo si fece invece incredibilmente attento di fronte a quegli intrecci di sguardi. Di come Hayato, dopo aver lanciato un’occhiata enigmatica ad Enma, seguì lo sguardo e il sorriso che lui e Tsuna si scambiarono, assottigliando ulteriormente gli occhi turchesi.
Takeshi sospirò mestamente.
“ Ci risiamo.” pensò afflitto. Era certo che Hayato fosse geloso di Enma. A maggior ragione nel momento in cui avevano saputo che i due si erano dichiarati. Il che, secondo i suoi ragionamenti, implicava ciò di cui aveva sempre avuto timore: che il suo innamorato qualcosina, dentro di lui, per Tsuna dovesse ben provarlo, altrimenti non si sarebbe capito il perché di tanta freddezza nei confronti di Enma.
E come si sentì insicuro Takeshi in quel momento. Primo perché non poteva di certo manifestare con Hayato quel tarlo che lo attanagliava dentro – pena, molto probabilmente la morte per bombardamento. Non avrebbe mai potuto dirgli una cosa del genere. Sarebbe stato come mettere in dubbio quando Hayato gli diceva di amarlo. Secondo perché era così follemente innamorato di Gokudera, che impazziva anche solo all’idea di non essere l’unico verso cui posava il suo sguardo, le sue attenzioni. Che magari quando facevano l’amore insieme, pensava a qualcun altro … Che magari lui era semplicemente un ripiego … Sospirò gravemente.
“ Che casino!” pensò dentro di sé, rendendosi conto che quei pensieri erano come una spirale che si attorcigliava sempre di più. Senza via d’uscita.
 
 
Incredibilmente, sopravvissero a quella giornata a dir poco infernale. Molto probabilmente aiutati dall’idea che il giorno dopo sarebbero partiti.
Uscirono dall’edificio scolastico che pesanti nuvole plumbee minacciavano pesantemente il cielo.
Takeshi fu il primo a staccarsi dal quartetto, visto che anche per quel giorno aveva gli allenamenti di baseball.
- Ohi! – lo richiamò indietro Hayato.
- Hum? – si girò dubbioso lo spadaccino e sorrise teneramente a vedere come le guance dell’altro si imporporarono, mentre lanciava occhiate in giro. Stava aspettando una cosa. Ma, ovviamente, non gliel’avrebbe chiesta mai.
Takeshi coprì in un lampo la breve distanza che li separava. Lanciò a sua volta uno sguardo furtivo intono a loro, a controllare fosse deserto, prima di prendere il volto dell’altro tra le mani per sollevarlo verso il suo e schioccargli un bacio. Bacio che Hayato pretese più profondo, ancorandosi alla sua schiena.
Lo spadaccino si separò a malincuore, mentre l’altro gli cacciava in mano le chiavi del suo appartamento.
- Vado con il Juudaime e Kozato a comprar le cose che ci servono per domani. Arriverai di sicuro prima tu. – gli spiegò di fronte al suo sguardo interrogativo, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Takeshi, quando comprese il perché di quel gesto, si aprì in uno dei suoi sorrisi luminosi.
- Ok! Ti aspetto allora. – esclamò felice, tentando di abbracciarlo ma beccandosi una minaccia di morte con insulto annesso, che lo fece scoppiare a ridere di gusto.
 
In effetti, come aveva giustamente calcolato Hayato, a far compere ci misero praticamente tutto il pomeriggio. In più, una pioggia gelata aveva preso a scendere. Leggera ma inesorabile.
I tre se ne stavano sotto la pensilina fuori dalla stazione della metropolitana, ad attendere che scemasse almeno un po’.
Gokudera emise un sospiro che sembrava un grugnito, decidendo che quell’occasione meritava lo sfogo di una sigaretta. Da quando stava insieme a Takeshi, cioè esattamente da quattro mesi, gli aveva promesso che avrebbe cercato di smettere. Ma quella era una situazione frustrante che meritava il palliativo della nicotina.
Situazione che sarebbe divenuta ancora più frustrante nel momento in cui il cellulare cominciò a vibrargli nella tasca posteriore dei pantaloni.
- Yamamoto? – mormorò inarcando un sopraciglio perplesso. Quando non erano loro due da soli, istintivamente si rivolgeva a lui chiamando ancora per cognome.
°° Hayato? °°
- Hum? – replicò lui dubbioso. C’era qualcosa che già lo inquietava nel tono allegro dell’altro.
°° Non funziona più la lavatrice.°° esordì l’altro ridendo.
Hayato si trovò costretto ad alzare gli occhi al cielo, a chiamar a raccolta tutta la sua già labile pazienza.
- Cioè vuol dire che mi hai allagato la casa? –
°° Ahahah! No, no tranquillo. Non si apre più l’oblò però. °°
- Non trovo la cosa così particolarmente divertente. – si permise di obiettare il dinamitardo, parlando con tono di voce mesto.
°° Tranquillo: ho chiamato Dino a darmi una mano.°° disse lo spadaccino, convinto di rassicurarlo, ma a quel nome, al quale Hayato associava il sostantivo di “calamità naturale”, andò nel panico.
- Non fargli toccare niente! – sbraitò.
°° Hayato, non ti preoccupare.°°
- Mi preoccupo eccome! E tanto anche. –
°° Adesso abbiamo chiamato anche Hibari … °° disse Takeshi, ma ora nel tono della voce non c’era più l’allegria, molto probabilmente perché si rendeva conto di non aver agito saggiamente.
“ Mi chiedo dove possa arrivare la stupidità di questo ragazzo …”pensò sconsolato il Guardiano della Tempesta dentro di sé.
-  Noo! Non voglio che quello schizzato vaghi per casa mia quando io non ci sono! – e poco ci mancò che non si mettesse a pestare i piedi per terra, suscitando una risata cristallina nel suo innamorato.
°° E di cosa hai paura? Che ci metta le telecamere nascoste? °° obiettò l’altro.
- Stupido fissato del baseball, non mettermi nuove paranoie in testa! – sbraitò nuovamente, spostando il cellulare dall’orecchio e dedicandosi solo al microfono, in maniera tale che il messaggio arrivasse forte e chiaro. – Ma soprattutto: mi spieghi perché hai accesso la lavatrice? – lo interrogò sempre più furioso.
°° Volevo metterti la casa un po’ in ordine. Dopo aver preparato la cena, mi annoiavo ad aspettarti e così … °°
Ma Hayato non gli permise di continuare a parlare.
- Scusami … - sussurrò appena, socchiudendo gli occhi e immaginandosi – dal tono della voce dell’altro – l’espressione da cucciolo smarrito che doveva sicuramente aver assunto in quel momento.
- Arrivo. E dì a quell’altro invornito di non toccare niente! – sbraitò chiudendo la conversazione ma sentendo perfettamente il suo innamorato dire, rivolto al biondo che si trovava con lui: °° Dino, Hayato dice di non toccare niente” e udire, altrettanto chiaramente, il giovane boss italiano scoppiare a ridere ed uscirsene con un innocente: °° Mi sarei meravigliato del contrario!” che gli fece pulsare violentemente la tempia sinistra.
- Juudaime, devo andare. – proferì cercando di mantenersi calmo e tranquillo. – Ci vediamo domani. Ciao Kozato. – li salutò.
- Ciao. – mormorarono i due all’unisono.
 
Fu così che Tsuna ed Enma, rimasti soli, con la notte ormai avanzata, fissavano l’incessante e costante pioggerellina che, con l’avanzare dell’oscurità, si era mescolata al ghiaccio.
In silenzio fissavano le loro ombre allungarsi grazie alla luce fioca di un lampione alle loro spalle. Nonostante il rumore di sottofondo del traffico cittadino, i due ragazzi potevano sentire il proprio cuore battere e martellare perfino nelle orecchie, mentre continuavano a deglutire per dar sollievo alla gola che si ostinava a mantenersi arsa. Ispirando ed espirando, lanciavano occhiate di sottecchi all’altro, sperando che – in qualche maniera – facesse la prima mossa. Non importava cosa, l’importante è che facesse qualsiasi cosa.
Fu quando Enma sollevò il naso verso l’insù che Tsuna, con un lieve sospiro, portando lo sguardo a terra, mosse la mano verso quella dell’altro. Chiuse gli occhi per calmarsi e darsi coraggio. Gli sembrò un tragitto lunghissimo, quello che stavano compiendo le sue dita alla ricerca di quelle di Enma e quando i dorsi vennero finalmente in contatto, Tsuna fu certo di aver perso un battito. Come Enma d’altronde. Questi si irrigidì per un secondo, ma fu solo questione di un attimo. Quando sentì il palmo caldo di Tsuna ricercare il suo, così caldo, così avvolgente, la sua mano si mosse da sola. Le dita si intrecciarono e loro due sorrisero. Non si guardarono. Non ce n’era bisogno!
Tsuna appoggiò la testa sulla spalla di Enma, e questi fece altrettanto, poggiando la testa sulla sua, godendosi quel contatto, sentendo come continue scariche elettriche gli attraversassero il corpo. Inspirò profondamente, rendendosi conto solo in quel momento di come il profumo della pelle di Enma fosse diventato parte del suo vissuto ormai.
Rimasero così fino a quando finalmente la pioggia non cessò e, sempre mano nella mano, s’incamminarono. Quando Enma sentì che la mano di Tsuna, senza i guanti, si stava pericolosamente ghiacciando, se le mise entrambe nella tasca del giubotto, girandosi a guardarlo come a chiedergli se a lui andava bene. Il sorriso del Juudaime e le sue guance colorate di rosso furono la risposta.
Prima di quanto avrebbero voluto, arrivarono a casa Sawada.
- Ti fermi a mangiare? –
- No, grazie. Vado a casa. Ho promesso ad Adel che avrei cenato con loro stasera. – gli rispose, sempre tenendo le loro mani intrecciate in tasca. Era difficile staccarsi. Era impossibile. Soprattutto nel momento in cui, all’unisono – e risero insieme di questo – il pollice di entrambi si era mosso ad accarezzare il dorso della mano dell’altro.
Alla fine, con un grosso espiro che valeva più di mille parole, a malincuore si staccarono.
- A domani allora … - sussurrò Tsuna, continuando a fissarlo negli occhi.
Enma sorrise dolcemente.
- Sì, a domani … -
Ma rimasero fermi lì, pensando che la punta delle loro scarpe fosse la cosa più interessante da fissare.
- Tsuna! – lo richiamò indietro Enma con urgenza nel momento in cui l’altro si stava richiudendo il cancelletto d’entrata alle sue spalle.
- Sì? – si voltò speranzoso e si ritrovò il rosso ad un soffio da sé. Lo vide prendere un grosso, ulteriore ispiro, socchiudere gli occhi, socchiudere le labbra ed infine posarle sulle sue. Delicatamente. Dolcemente …
Fu un contatto lieve, ma fu comunque in grado di far aumentare pericolosamente il battito cardiaco di entrambi. Le labbra si staccarono le une dalle altre, mentre riaprivano lentamente gli occhi e si sorrisero.
- A domani. – si accomiatò Enma mentre Tsuna alzava una mano in segno di saluto, per poi poggiare le dita sulle labbra e sentire ancora conservato il calore dell’altro.
Quella sera, mentre si trovava disteso a letto, stringendo a sé il cuscino, Tsuna rivisse momento per momento quello sfiorarsi leggero tra le loro labbra. Di quanto morbide fossero quelle di Enma. Di quanto calde fossero. Di come avrebbe voluto che quei secondi non finissero più. E di come era stato tutto così semplice e naturale. Nessun imbarazzo. Nessun turbamento …
Sospirò felice, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi serenamente.
 
Chi invece non stava affatto dormendo serenamente era Hayato.
Di nuovo quel sogno. Di nuovo quella sensazione di panico. L’inevitabile paura per la propria vita.
Quelle immagini irrompevano con prepotenza nel sonno e lo sapeva, lo sapeva che non era un sogno.
Oscurità intorno e la sensazione del metallo gelido di una pistola che si puntava sulle carni.
Spalancò i suoi due fanali turchesi, trovandosi in un bagno di sudore. Si portò una mano alla bocca, mordicchiandosi le nocche per essere certo – attraverso il dolore che si stava procurando – che quella era la realtà. Che era al sicuro sul suo letto, con Takeshi addormentato al suo fianco che si era fermato a dormir da lui quella notte, come spesso accadeva ultimamente. Passandosi una mano tra i capelli e sentendo come le dita tremassero leggermente, lanciò un’occhiata scandagliatrice intorno a sé. Nessun pericolo. Si trovava ancora in quella fase in cui parte del sogno si protrae anche nella realtà. L’ultima cosa della quale si volle assicurare fu la spalla destra. Se la toccò, ad assicurarsi che nessun colpo era partito. Che nessuno l’aveva colpito.
Ispirò ed espirò un paio di volte, sapendo già che solo Takeshi sarebbe stato in grado di calmarlo.
- G. … - mormorò pensieroso perché sapeva che quelle immagini appartenevano ai ricordi del suo predecessore, mentre attorcigliò le dita sulla maglia del compagno, affondando la testa sul suo petto. A quel contatto, Takeshi reagì immediatamente, circondandogli la schiena con le braccia.
- Stai bene? – gli chiese sussurrando lo spadaccino, iniziando ad accarezzargli i capelli.
- Sì … - bisbigliò lui, sentendosi immediatamente al sicuro e più tranquillo.
- Dormi adesso amore, che domani mattina ci dobbiamo alzare presto. – gli ricordò, mentre scivolava già nel sonno. E poco dopo anche Hayato lo seguì. Trovando finalmente il meritato riposo tra le braccia del suo adorato amore.
 
 
 
IL GIORNO DOPO
 
Dino ci aveva proprio preso gusto ad insegnare. Ecco perché aveva accettato l’incarico fino a fine anno scolastico. E questo voleva dire che sarebbe partito in gita con la classe della quale era responsabile. Alias quella di Tsuna e company. Non stava più nella pelle!
- Che bello. In gita! – stava proferendo felice per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina ed era stato malamente scaricato da Kyoya a casa Sawada, dato che il Disciplinare non era più in grado di reggere i suoi farneticamenti.
Ed ora, per strada, il biondo li incitava a camminare più velocemente per non arrivare in ritardo a scuola, beccandosi una serie di improperi infinti di parte di Hayato.
- Cosa ci sarà di così divertente nell’andare in gita, mai. Poi tu, invornito, che sei anche un insegnante e dovrai star dietro a un marasma di spocchiosi adolescenti. Tch! –
Tutti, vedendo che il cipiglio di Gokudera era più accigliato del solito, soprassederono sul fatto che anche lui faceva parte di quel “marasma di spocchiosi adolescenti”.
- Ma scherzi Gokudera-kun? Io non vedo l’ora! – lo contraddise Dino – La gita dell’ultimo anno del Liceo io me la son persa. Reborn mi ha impedito di andarci … - pensò con un brivido di terrore.
“ Poveraccio!” pensarono all’unisono Takeshi, Tsuna ed Enma “ E’ ancora traumatizzato al ricordo.”
 
- Prof, ma ha capito? – richiese per l’ennesima volta dubbioso il Preside, rivolgendosi verso Dino, dopo che il Dirigente Scolastico l’aveva chiamato nel suo ufficio per dare agli insegnanti le ultime indicazioni in merito prima che le classi partissero.
- Hum-hum – assentì con il capo il diretto interessato - Sì: rendere questa gita indimenticabile per i ragazzi. – concluse trionfante.
- Noo! – replicò scioccato l’altro, lanciando un’occhiata disperata verso Hibari che si trovava a sua volta in quell’ufficio. – Controllare che i ragazzi non facciano nulla di sconveniente e imparino qualcosa. –
- Appunto, è quello che ho detto io: rendere questa gita indimenticabile. – terminò con uno dei suoi sorrisi, mentre la sua zazzera dorata brillava più del solito quel giorno. Kyoya alzò gli occhi al cielo, con sospiro silenzioso annesso, prima di uscire dall’ufficio e raggiungere gli altri sull’autobus.
- Kyoya, viene anche tu via con noi perché non puoi neanche immaginare di restare senza di me per cinque lunghi giorni e quattro lunghissime notti? – lo provocò divertito il biondo, sapendo di irritarlo fuori dalle maniere, soprattutto nel momento in cui lo obbligò a fermarsi afferrandolo per un braccio e facendolo voltare verso di sé. Prendendogli il mento tra due dita, lo costrinse a sollevare il volto verso il suo.
- No, ovviamente. – fu l’ovvia risposta atona, mentre si liberava da quella presa – Vengo per controllare che tu non faccia casini. –
Dette queste parole, Hibari proseguì per il suo cammino imperterrito, neanche accorgendosi che Dino – dopo una rapida corsetta – l’aveva raggiunto.
- Ah Kyoya, quasi dimenticavo … – proferì sornione nel momento in cui l’ebbe superato e si era voltato verso di lui. – … sarò io a decidere la disposizione delle camere. -
Un brivido di angoscia lo gelò sul posto.
Così come un brivido di angoscia e agonia, nonché di mesta disperazione e rassegnazione, si dipinse sul suo volto quando – una volta che l’autobus fu partito – vide una figura non meglio distinta correre verso il mezzo, urlando di fermarsi e aspettarlo.
- Ehm … - biascicò l’autista, notando che la losca figura non accennava a frenare la sua corsa verso di loro.
- Non si preoccupi – proferì Hibari, guardando dritto davanti a sé – acceleri pure. –
Tanto era sicuro che, in caso di impatto, non sarebbe stato di certo Sasagawa Ryohei a subir danni, ma l’autobus.
 
 
Continua …
 

 
Clau: Ciaossu^^ e ben ritrovati. Ah, non serve che ve lo dica, ma sapete che quando nelle mie fic appaiono G&Giotto – a meno che non sia espressamente indicato il contrario – loro due stanno insieme, no? Hum … com’è che non c’è nessuno in queste note finali oggi?
Hibari: Hn!
Clau: Oh, Mr.Sociopatico. Vabbè, sempre meglio di niente.
Hibari: Hn!
Clau: Dove son tutti gli altri?
Hibari: Son rimasti tutti fuori fase dopo aver letto la tua 3some.
Clau: Hum, tu sei rimasto indenne invece …
Hibari: Hn!
Dino: Clauuuuuuuuuu!! Anch’io anch’io. Ti prego ti prego! Anch’io voglio una 3Some.
Yama: Anch’io!
Clau: Ohhh! *ç*
G. : Tch! Io invece non voglio più niente da te! Mi hai fatto addirittura finire sotto.
Clau: Ohhh *ç*
Alaude: Pft …
G. : Cosa ridi ?!
Clau: Ehm^^’ Vabbè … Che ne dite se ripristiniamo la rubrica “ I misteri di KHR” anche in questa fic^^?
Goku: Che ne dici se invece, a proposito di misteri, cercassimo di capire cosa c’è nella tua testa oltre al vuoto e al silenzio?
Clau: Non sei per niente divertente.
Goku: Tzk, e quando mai ho sostenuto il contrario?
Clau: -_____-
Cozzato: Posso chiudere io queste note finali^^?
Clau: Ohh, Cozzato *ç*
Lambo: Ciao! Sei venuto a farti castigare dalla Clau?
Cozzato: Eh?
Goku: Lascia perdere, e abituati a questa gabbia di matti!
Mukuro: Kufufufu … Qualcuno mi ha chiamato?
Clau: Oh, ciao amichetto del cuore. Dove andiamo di bello oggi?
Goku: A farvi visitare, ma da uno bravo però!
Yama: Chiudo io, và. Ciao a tutti e alla prossima^^
Clau: Fermi tutti! Ho avuto un’idea geniale! Giochiamo a Hibarin?
Dino: Pft…
Hibari: Hn!
Goku: Mamma mia, che idea geniale … rabbrividisco di fronte a tanta genialità -____-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa ***


 
Dubbio mio e della Terry: ma se Tsuna ed Enma lo fanno quando sono in Hyper Mode, che numeri vengono fuori? Ahahah
Tonikaku: capitolo fluffosissimo. Avevo troppo bisogno di immergermi nello zucchero filato.
Ancora una volta, un grazie di cuore a Terry che oltre a sopportarsi i miei vaneggi stalkeranti, ha anche betato questo chappy a tempi di record <3
 

 
“Un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa”
 
 
 


CAPITOLO 2
 
Il suono martellante della sveglia lo colse impreparato.
Dino annaspò parecchio prima di riuscire a capire che cosa fosse la fonte di disturbo prima, e da dove arrivasse poi.
- La sveglia … - biascicò, mentre un braccio uscì dal tepore delle coperte alla ricerca dell’aggeggio infernale.
- Perché ho come la sensazione di esser appena andato a dormire? – si stava interrogando perplesso, mettendosi a sedere e scostandosi da davanti agli occhi una ciocca di capelli dorati che gli stava stuzzicando la punta del naso. – E perché fuori è così buio? –
Già queste due cose avrebbero dovuto suonargli come campanello d’allarme, se non fosse stato così stordito dal sonno.
Gettò un’occhiata al suo compagno che pareva dormire quietamente.
Recuperando la sveglia da terra, il suo sguardo si addolcì e fu quasi tentato di accarezzare quei capelli neri tanto amati. E l’avrebbe fatto se la sua attenzione non fosse stata catalizzata da un altro piccolo particolare …
- Kyoya! Perché hai messo la sveglia all’una di notte?! – esclamò scioccato.
- Hn! Perché è l’ora della ronda. – fu la scontata replica dell’altro, detta come se fosse un’ovvietà e mettendosi a sedere sul letto, sveglio e pronto ad agire.
Dino lo guardò con tant’occhi.
- Perché è l’ora della ronda? – ripeté allibito, prima di stendersi nuovamente e tirarsi su le coperte, spegnendo la luce.
- Io non ho intenzione di fare proprio nessuna ronda – esclamò il biondo deciso – Mi fido dei miei studenti. –
- Hn! E fai male! -  
Dino dovette soffocare una piccola risatina, perché non voleva assolutamente dargli soddisfazione, attendendo che si alzasse dal letto. Nemmeno uno come Hibari Kyoya, alias il terrore dei sette mari della Namimori, poteva esser così stoico da sfidar il freddo glaciale che si trovava al di fuori del tepore delle coperte.
Attese un po’, Dino, prima di iniziare a punzecchiarlo.
- Allora? – ruppe il silenzio, portando una mano sotto la testa – Questa ronda? –
Kyoya rimase imperterrito a fissare il soffitto, supino. In silenzio.
- Kyo-ya? – cantilenò il biondo divertito, lanciandogli un’occhiata divertita e mettendosi di fianco.
- Hn! Te l’ho detto: io son qui con l’unico scopo di controllare che tu non combini più di tanti casini. Di quella massa di erbivori, sei responsabile solo ed unicamente tu. – grugnì, mettendosi a sua volta di lato, ma dandogli le spalle. E anche se non lo poteva vedere in volto, Hibari si sarebbe scommesso l’anima col Diavolo che le labbra dell’altro si erano curvate in quel loro sorrisetto sghembo impertinente.
Trattenne il respiro quando udì il frusciare delle lenzuola, segno che il suo compagno si stava avvicinando a lui. Si sforzò di rimanere concentrato sul suono del vento che, fuori, ululava malignamente, quando un braccio di Dino lo circondò per attirarlo a sé. Ovviamente fu un vano tentativo stoico il suo. Quando aveva quel biondo inetto a meno di cinque metri di distanza – cioè sempre! – sentiva che ogni giorno un po’ del suo stoicismo crollava miseramente.
- Quindi Kyoya, se ho ben capito, e correggimi se sbaglio, tu sei qui con l’unico nobile scopo di badare solo e unicamente a me? –
- Stai rigirando quello che ho detto a tuo uso e consumo. – lo piccò, facendolo scoppiare in una piccola risatina smorzata sulla sua spalla. Cosa che gli procurò i brividi.
- Come sempre. – ridacchiò Dino, cominciando a depositargli una piccola scia di baci, partendo dalla spalla per arrivare all’orecchio.
-Esatto. Come fai sempr … - cercò di sbottare, ma una mano infingarda dell’altro lo fece sussultare nel momento in cui gli sollevò la maglia e andò a depositarsi all’altezza dell’ombelico. Sul quale le dita del biondo iniziarono a giocherellare.
- Cavallone, smettila! -
- Oh, no. Adesso ripaghi del danno fatto – ridacchiò ancora – mi hai fatto svegliare all’una di notte? E adesso mi intrattieni. –
Un sospiro sconsolato di Kyoya; quello che faceva sempre dentro di sé quando sapeva di non aver nessuna buona carta in mano.
Per pura e semplice ripicca, lo gelò con lo sguardo nel momento in cui Dino lo fece scivolare sotto di sé. Peccato che lo sguardo che aveva in quel momento il biondo, lo fece letteralmente sciogliere …
 
 
Con ancora il cuore che ringhiava rabbiosamente nel petto di entrambi, e con Kyoya ancora in una fase idilliaca di limbo post orgasmico - che permetteva al giovane boss italiano di tenerlo acciambellato sul suo petto - Dino fissava il soffitto pensieroso.
Indeciso sul da farsi, si sforzava di non badare al ticchettio della sveglia.
- Nee Kyoya … - iniziò titubante.
- Cosa? – replicò l’altro, percorrendo con la punta dell’indice l’arzigogolarsi delle fiamme nel  tatuaggio sul corpo del suo compagno.
Hibari ne era sempre rimasto letteralmente rapito, fin dal primo momento in cui l’aveva scorto in tutta la sua interezza.
Ma Dino tacque.
- Cosa? – domandò Kyoya nuovamente, sollevandosi sul gomito a fissare il volto dell’altro. Si staccò dal corpo di Dino a malincuore, perché – anche se non l’avrebbe ammesso mai neanche sotto tortura – si stava divinamente accoccolati su quel corpo ancora bollente.
Dino piegò le labbra in un leggero sorriso. Sorriso che si sarebbe potuto dire imbarazzato, mentre si accarezzava distrattamente l’addome che ancora portava i segni della loro unione.
Buttò fuori l’aria prima di iniziare a parlare.
- No ecco, vedi … come dire … e non mi fissare così, dai! – lo rimproverò innocentemente, lanciandogli il cuscino addosso. Cuscino prontamente schivato da Kyoya, per poi imprigionargli i polsi sopra la testa. Cosa che fece sgranare gli occhi a Dino, esterrefatto.
- Cosa mi devi dire, Cavallone? Mi inquieta quando non riesci a trovar le parole. – gli sibilò sulle labbra.
Dino sbuffò, liberandosi dalla morsa e riposizionandolo sopra al suo petto. Cosa che Hibari, incredibilmente, si lasciò fare.
- Ecco, la questione è che ... sento che quando lo facciamo ti piace … -
Kyoya inarcò un sopraciglio scioccato. E vorrei ben vedere che per te sia una cosa chiara, pareva dire quel sopraciglio.
- … e che quindi non è che ti debba obbligare, né ho la sensazione che lo fai contro voglia … -
Nuovamente, Hibari si issò dal corpo dell’altro e lo incatenò nei suoi occhi grigi.
- Ma? – lo invitò a parlare con lo sguardo.
- Ma … - biascicò Dino – Ma mi piacerebbe che ogni tanto fossi tu a prender l’iniziativa. Che qualche volta cominciassi tu a baciarmi, spogliarmi … – spiattellò alla fine, imbronciando la bella bocca.
- HAH?! – esclamò l’altro sbigottito, sgranando gli occhi.
Che cazzo di richiesta è mai questa?, stava pensando allibito dentro di sé Kyoya. Già era a dir poco allucinante ripensare, dopo, a tutti gli ansimi e i gemiti che l’altro gli aveva fatto scappare dalla gola. Figurarsi esser lui a prendere l’iniziativa!
- Mi sembra che, tra i due, basti già tu a prendere l’iniziativa. – annaspò, forse per la prima volta in vita sua. Era quello che lo fregava nel suo rapporto con Dino. Che questi fosse imprevedibile. E che se ne uscisse con quelle richieste assurde e bislacche nel cuore della notte. Dopo aver fatto l’amore tra l’altro! Cioè nel momento in cui uno si trova in un limbo di pieno e totale rincoglionimento.
- Kyoya … - tentò di difendersi Dino – … è che mi piacerebbe sentirmi desiderato da te. –
E quello sguardo tentatore in quegli occhi marroni, fece imbrigliare ulteriormente Kyoya. Dino non solo era la persona alla quale teneva di più al mondo, ma anche la cosa più preziosa che la vita gli avesse donato. Oltretutto, per lui – a differenza del loquace compagno – non era per niente facile esprimere le sue necessità.
- Idiota! – lo beccò inviperito – Ovvio che ti desider … -
“Ma porca merda!” imprecò dentro di sé dopo essersi bloccato, quando vide il sorriso raggiante dell’altro illuminargli il viso. Nel panico del momento, aveva abbassato la guardia. “Ma guarda cosa mi fa dire ‘sto maledetto inetto!”
Sarebbe stato un gioco da niente mettere su uno sguardo truce dei migliori, ma Dino glielo impedì, imprigionandolo per i polsi e impedendogli di girarsi dall’altra parte. Nulla gli proibì, però, di emettere quello che sembrava in tutto e per tutto un grugnito.
- Ti amo, lo sai? – gli sussurrò dolcemente Dino sulle labbra, facendolo avvampare come ogni volta. Proprio non gli riusciva di reggere l’espressione di quegli occhi marroni.
- … ch’io … - farfugliò, spiandolo di sottecchi.
- Eh? Non ho capito. – si divertì a punzecchiarlo il biondo, beccandosi una mazzata giù per la testa.
- Crepa! -
Dino scoppiò a ridere, vedendo come il suo adorato amore si distese di lato, dandogli nuovamente le spalle, tirandosi su le coperte fin sopra la testa. Chiaro segnale che per lui la discussione era conclusa.
La risata si tramutò in un dolce sorriso, a ripensare al loro amore. Al loro amore che era fatto di inossidabile fiducia, di incrollabile certezza della presenza l’uno dell’altro.
Con un piccolo sospiro, si posizionò dietro l’altro, circondandolo con le braccia.
Abbraccio al quale Kyoya rispose, passando le braccia sopra alle sue e stringendosi ad esse.
 
 
Nel frattempo, a poche stanze di distanza, Tsuna ed Enma – da poco rientrati dopo esser stati a chiacchierare giù nella hall dell’albergo insieme ai soliti noti – si stavano dando le spalle, dubbiosi, fissando ognuno il proprio letto …
Erano grati a Dino per averli messi in camera insieme, ma questo voleva dire che si sarebbero trovati loro due da soli a dormire per la prima volta da quando … sì, da quando si erano dichiarati.
Entrambi erano ben consapevoli del fatto che, proprio alla luce di questa loro confessione, non sarebbe stata la stessa cosa rispetto alle volte precedenti in cui si erano ritrovati a dormir insieme nella stessa stanza da soli.
Enma cercò di far meno rumore possibile nel momento in cui buttò fuori un grosso espiro, che stava ad indicare la sua agitazione. Ovvio che durante le lunghissime e tedianti ore scolastiche, per evitare di cascare a terra fulminato dal sonno, qualche volta aveva fantasticato su una situazione del genere, ma ovviamente nelle sue fantasticherie ad occhi aperti, il nervosismo e, magari, una punta di imbarazzo, non erano mai contemplati. Solitamente quei momenti di empasse erano superati seduta stante.
“Merda!” salmodiò dentro di sé, sperando in un aiuto. Sarebbe andato bene anche un aiuto sovrannaturale. Qualsiasi cosa che avrebbe deciso per loro come proseguire quell’attimo. Perché il suo dubbio fondamentalmente era uno solo: chiedergli o non chiedergli di dormire insieme? Sì, dai: nello stesso letto, tanto per farla breve. Da un lato avrebbe voluto, dall’altro temeva, nell’ordine, primo: che Tsuna lo prendesse per un maniaco assatanato, secondo: che una parte recondita di lui si potesse davvero trasformare in un maniaco assatanato.
“ Arghhh! Che casino!”
- Enma? –
Saltò, quasi avesse avuto le molle, quando la voce di Tsuna lo raggiunse. Che avesse deciso lui per tutti e due?
Deglutendo a vuoto, si girò verso l’altro, sforzandosi di sembrar il più tranquillo possibile.
- S-sì? – tartagliò, accarezzandosi la nuca.
- Vai tu in bagno per primo? –
- Eh? Ah, in bagno sì … No no, tranquillo: vai pure tu intanto. – lo invitò, rendendosi conto nel momento in cui lo vide sparire oltre la porta che, andando per secondo, la decisione finale sull’agire sarebbe spettata a lui.
- Nooo! – proruppe in panico.
°° Enma, tutto bene?°° chiese Tsuna da dentro, preoccupato da quell’urlo inquietante.
- Sì, sì … - piagnucolò lui.
E quando uscì a sua volta dal bagno dopo essersi lavato i denti, trovò Tsuna seduto sul suo letto a gambe incrociate, ad attenderlo.
Sarebbe stato di sicuro d’aiuto se almeno uno dei due fosse stato solito sfogare il proprio nervosismo parlando a raffica, ma loro due, così simili per carattere, non poterono far altro che sorridersi, fissandosi negli occhi, come a voler capire cosa macchiavellasse la testa dell’altro.
“Che cosa devo fare?” pensò sempre più in panico, mettendosi a sua volta seduto sul suo letto, di fronte a lui.
- Spegniamo la luce intanto? – si fece coraggio a chiedere.
“Perché hai detto intanto? Così sembra quasi che implichi il fare qualcos’altro dopo. Con la luce spenta poi. Oh no!” valutò il rosso dentro di sé. Era proprio un disastro, non c’era che dire.
E mentre lui era perso in queste edificanti elucubrazioni, Tsuna si sporse tra i loro letti, a spegner la luce. Nel momento in cui, per un attimo, prima che i loro occhi si abituassero, nella stanza ci fu buio, Enma avrebbe potuto giurare che il suo sospiro si era perfettamente sincronizzato con quello di Tsuna.
“Che accoppiata che siamo!” pensò dolcemente divertito. E nella stanza ci fu solo silenzio. Ma un silenzio che non pesava assolutamente. Soprattutto nel momento in cui, sporgendosi verso il bordo del letto, Tsuna raggiunse la sua mano con la propria. A quel contatto, Enma si elettrizzò, e poco aveva a che fare con i loro anelli (vd. KHR ch. 285)
Sollevò gli occhi verso quelli castani del Decimo boss Vongola, ed entrambi sorrisero nuovamente. Forte del coraggio dell’altro, si alzò dal proprio letto – sempre tenendosi per mano – e lo raggiunse sul suo, sedendosi l’uno al fianco dell’altro, e Tsuna gli appoggiò la testa sulla spalla. Quella era una cosa che aveva fatto anche nel pomeriggio, durante il viaggio in autobus e che faceva sempre quando erano soli. Gli piaceva un sacco quel gesto. Pur nella sua semplicità, gli trasmetteva un senso di intimità e calore assurdi. Istintivamente, si girò quel poco che bastava per posargli un bacio sulla fronte.
Tsuna sgranò gli occhi per un attimo, dolcemente sorpreso, per poi sospirare beato e chiudere gli occhi, assaporandosi il calore del braccio di Enma.
- Andrai a correre anche queste mattine? – gli chiese, mormorando, per non spezzare quella magia.
- Dovrei, ma spererei di no … - fu la sua risposta sibillina, visto che a Tsuna non aveva mai detto che le sue corse mattutine erano volte a scacciare i demoni della notte, ma il Juudaime – forte del suo super intuito Vongola – si mise per un attimo sull’attenti, per poi chiudere nuovamente gli occhi. Si fidava di Enma, ciecamente!, e sapeva che se doveva dirgli qualcosa, gliel’avrebbe detta quando se la sarebbe sentita.
“Che sia questa la fiducia incrollabile che hanno due persone che si amano?” si chiese Tsuna.
- Che vento assurdo! – spezzò il silenzio Enma dopo un po’, sentendo come le raffiche, fuori, si stessero abbattendo con implacabile malignità, frustando le fronde degli alberi.
- Hum, fa impressione … - bisbigliò Tsuna, e stavolta fu il turno del Boss Simon a rizzar le antenne. Gli lanciò un’occhiata guardinga.
“Sarà mica che  …” pensò dentro di sé, quando lo sentì aggrapparsi ancora di più al suo braccio in seguito ad una raffica più potente.
- Tsuna? – lo chiamò, mentre gli circondava le spalle con un braccio e si posizionava di fronte a lui – Ti mette ansia? – gli chiese, il più delicatamente possibile. Conosceva perfettamente quella sensazione. D’altra parte, come non avrebbe potuto?
- Hum-hum … - confessò l’altro, sollevando lo sguardo verso di lui, sorridendo per schernire se stesso. Era una cosa assurda, ne era perfettamente consapevole, ma sentire il vento ululare in quella maniera gli metteva i brividi. Così come gli mise i brividi, ma di tutt’altro genere, il sorriso dolcissimo che l’altro gli dedicò.
- Anche a mia sorella faceva un’angoscia pazzesca. – gli rivelò Enma, facendogli scivolare le mani sulla schiena ed iniziando ad accarezzarlo. Cosa che Tsuna fece altrettanto, trovandosi a stringerlo, per non fargli pesare in alcuna maniera il ricordo della sorella. A che razza di dolore cieco e sordo è dovuto sopravvivere?, si trovò a pensare addolorato, stringendolo ancora di più a sé. Ed Enma, grato, gli affondò la testa sull’incavo della spalla, mentre lui prese a passare le dita tra quelle ciocche rosse, beandosi di quella morbidezza.
- Ti … ti somigliava? – si trovò a chiedere, formulando la domanda in un mormorio e trattenendo il fiato ad attendere la reazione dell’altro. Non voleva arrecargli dolorosi ricordi, ma voleva che con lui si sentisse libero di sfogare ogni cosa.
- Per niente! – ridacchiò Enma divertito – Io non assomigliavo a nessuno della mia famiglia, nemmeno ai miei nonni. A casa mia, nessuno aveva gli occhi e i capelli rossi come i miei … -
E la sua voce si spense in un mormorio malinconico.
“Beh” avrebbe voluto dirgli Tsuna, ma si trattenne “per forza: tu sei la copia vivente di Cozzato Primo.” e si limitò a stringerlo ancora di più.
- E lei come superava il panico? – gli chiese invece.
Enma piegò le labbra in un piccolo sorriso sghembo. Beh, un aiuto insperato era alla fine arrivato, si trovò a pensare.
- Veniva a dormire con me. – disse semplicemente, e Tsuna lo sentì sorridere sulla sua spalla al ricordo di quel momento di dolcezza tra fratelli - Mi ricordo che non facevo neanche in tempo a chiamarla, che la sentivo arrivare di soppiatto e intrufolarsi sotto le coperte, per poi stringersi forte a me. –
Il Juudaime trattenne per un attimo il fiato, e quasi non riconobbe la sua voce quando parlò.
- Enma, pensi che funzionerebbe anche con me? – chiese in un mormorio, attendendo. E la risposta dell’altro non si fece attendere.
Enma sollevò il volto verso il suo.
- Io, credo proprio di sì. – replicò, e lo sguardo tremendamente serio che aveva in quel momento era lo specchio di quello di Tsuna. La risposta di quest’ultimo fu quella di passargli le mani sulla nuca e annullare la distanza tra i loro volti, facendo sfiorare le loro labbra. Così come Enma aveva fatto la sera prima.
Dei piccoli baci schioccati presero presto il posto dello sfiorarsi. E ad ogni schiocco, il cuore martellava maggiormente nel petto di entrambi, mentre, inconsciamente, i corpi si avvicinarono; mentre le gambe da incrociate si aprirono per permettere ai corpi di aderire meglio, scivolando l’uno verso l’altro. Dettato da quest’istinto, Enma – nel momento in cui Tsuna cercò aria – lo afferrò per la maglia attirandolo nuovamente a sé  per legarsi nel loro primo vero bacio.
Le punte delle lingue, dapprima si scontrarono impacciate, facendoli irrigidire per un istante, ma molto presto anche loro si mossero dettate dall’istinto.
Fu come ogni primo bacio, un mix di titubanza, imbarazzo, dolcezza unica che cercava di trasmettere tutti i sentimenti che si provano, che ti fa fermare giusto quell’attimo prima di aver varcato la soglia del punto di non ritorno. Si staccarono giusto quell’istante prima, per non rovinare tutto. Nessuno dei due aveva fretta e volevano godersi appieno ogni singolo momento di quella loro storia. Socchiusero gli occhi nello stesso identico istante, sorridendosi appena, per poi appoggiare la fronte l’una sull’altra, abbracciandosi.
- Andiamo sotto? –
- Sì … -
Due sussurri, due mormorii.
Velocemente i due s’intrufolarono sotto le coperte del letto di Tsuna, rabbrividendo al contatto con le lenzuola gelide, manifestando il loro dissenso per poi – una volta che si erano distesi l’uno di fronte all’altro – abbracciarsi nuovamente.
Con la testa affondata nella spalla di Enma, l’ululare del vento arrivò a Tsuna via-via sempre più ovattato, coperto dal suono del battito cardiaco dell’altro.
E Tsuna, molto presto, avrebbe scoperto il perché di quella sua particolare fobia …
 
 
 
Hayato, sul finir della giornata, indossava sempre gli occhiali da vista per far riposare gli occhi.
E questa sua abitudine stuzzicava le fantasie più perverse di Takeshi.
- No, tienili. – lo pregò lo spadaccino nel momento in cui lo vide fare il gesto di sfilarseli.
Con ancora le dita appoggiate sulla montatura, Hayato gli lanciò un’occhiata enigmatica. Sapeva a cosa l’altro stava pensando. Sorrise, scuotendo la testa, guardandolo mentre riponeva con cura i vestiti sul letto che loro avevano decretato come guardaroba. Nemmeno si erano scomposti nel decidere quale letto occupare o da chi. Molto semplicemente si erano guardati una volta messo piede nella stanza, per decidere se andava bene ad entrambi dormire in quello vicino alla finestra.
L’altro letto non era stato nemmeno contemplato.
Con pochi passi, Takeshi lo raggiunse, sovrastandolo in un attimo, con i soli boxer addosso e una leggera maglietta a maniche corte che usava per dormire. Hayato, sorpreso, arretrò di un passo, andando irrimediabilmente a sbattere contro la sponda del letto. Perdendo l’equilibrio e trascinandosi dietro l’altro. Lo spadaccino scoppiò a ridere di gusto, beccandosi la solita serie di insulti. Insulti che furono arrestati dalla bocca del suo idiota del baseball che si posò sulla sua con  insolita irruenza.
Takeshi era sempre dolce, all’inizio, ma si erano dovuti trattenere tutto il santo giorno. A differenza di quando erano a scuola, niente fughe verso i bagni imboscati del terzo piano, niente terrazza, niente spogliatoi del club di baseball … Niente di niente per potersi sfogare in qualche maniera. E loro due, ancora prima di mettersi insieme, checché ne dicesse Hayato, smaniavano sempre dalla voglia di mettersi le mani addosso. Di baciarsi. Di far sentire all’altro, anche in questo caso, tutto l’amore che provavano l’uno per l’altro.
E quella sera non fece eccezione. Hayato, attorcigliando i lembi della maglia di Takeshi lo attirò a sé mentre si trovavano ancora legati nella loro ingordigia, finendo distesi l’uno sopra l’altro.
Scostandogli i capelli dal viso, lo spadaccino iniziò la sua lenta discesa sul volto di Hayato. Come sempre, non avrebbe tralasciato neanche uno sprazzo di pelle del suo adorato. Peccato che questi non fosse proprio per niente d’accordo. Tirandolo malamente per i capelli castani, lo costrinse a sollevare il volto e a dedicarsi ancora alle sue labbra.
Le bocche si legarono di nuovo, le gambe s’intrecciarono le une con le altre, sfregando le erezioni l’una sull’altra, strappando un miagolio ad entrambi, costringendoli a staccarsi giusto il tempo di riprendere quel fiato che, in quell’istante, si erano sottratti l’uno con l’altro. Ma il guardarsi negli occhi, ansimanti, e vedervi riflessa la propria bramosia fu loro fatale. Scostandosi appena l’uno dal corpo dell’altro, iniziarono a spogliarsi freneticamente, lanciando i vestiti a terra.
- Tienili. Per favore … – lo pregò ancora una volta Takeshi, nel momento in cui vide che Hayato fu lì-lì per togliersi gli occhiali. E anche se avesse voluto, il Guardiano della Tempesta non avrebbe potuto non accontentare l’altro dato il tono che aveva usato. Quel tono indegnamente osceno che usava sempre in quei momenti. E che gli veniva maledettamente spontaneo.
Delicatamente, Takeshi si posizionò tra le sue gambe, rubandogli un ultimo leggero bacio a fior di labbra.
Takeshi era sempre così. Dolce, ma anche terribilmente sensuale. E non lo era stato solo la loro prima volta. Era una cosa che, come Hayato aveva sospettato appena conosciuto, gli era propria di natura. E d’altra parte, se il sorriso è lo specchio dell’Anima di una persona, quello di Takeshi faceva presagire chiaramente come potesse essere in quei momenti.
E lo spadaccino impazziva, letteralmente, a star dietro ai mugolii del suo adorato e ai suoi occhi turchesi resi liquidi dall’eccitazione. Era una cosa che, le prime volte, lo costringeva sempre a doversi fermare per non venire troppo presto. Ovvio era che per lui – buono e generoso di natura - nel momento in cui lo facevano, prima veniva il piacere di Hayato e solo successivamente il suo.
E anche quella sera non fece eccezione. Anche se fu dura per lui, nel momento in cui scivolò delicatamente dentro l’altro, trattenersi dall’iniziare a lasciarsi andare da subito a spinte vigorose.
Hayato, sotto di lui, vide perfettamente i muscoli delle braccia del suo innamorato tendersi fino allo spasmo e di come dovette  mordersi il labbro inferiore per trattenersi, a fatica.
- Merda! – biascicò Takeshi, trattenendo il fiato. Ok che si erano dovuti trattenere tutto il giorno, ma in fin dei conti l’avevano fatto solo un giorno prima l’ultima volta!
- Takeshi … - lo chiamò dolcemente Hayato e lui socchiuse gli occhi.
- E’ per colpa tua ovviamente. – si permise di prenderlo in giro lo spadaccino, nel momento in cui l’altro gli posò una leggera carezza sulla guancia. Come sapeva esser dolce anche Hayato, quando erano loro due da soli. In quei momenti, in cui si mettevano a nudo completamente, e non solo in senso letterale del termine, ma soprattutto in senso figurativo.
Takeshi baciò quel palmo che si trovava ancora appoggiato sul suo volto, nel momento in cui l’altro, scivolando con il bacino verso il suo, gli andò incontro nelle spinte.
- Non trattenerti … - gli bisbigliò Hayato.
- E quando mai lo faccio? – lo prese nuovamente in giro bonariamente.
- Idiota! – fu la scontata replica, che li fece scoppiare a ridere.
Era in quei momenti, quando il suo adorato amore mugolava e salmodiava il suo nome, che le paure e i timori di Takeshi si dissipavano come bolle di sapone nell’aria.
E poi ci fu spazio solo per loro due …
 
 
Sarà stato, per Tsuna, il fatto che, per la prima volta, stava dormendo abbracciato ad Enma; sarà stato, per Kyoya, il fatto che si trovava a condividere l’ambiguità della notte sotto lo stesso tetto degli altri, ma quella sera, anche i sogni di loro due si tesserono ai ricordi dei loro predecessori …
E con loro, come ogni notte, anche Enma e Hayato …
 
 
G. osservò Cozzato sparire tra le fronde degli alberi. Silenzioso così come era arrivato.
E i suoi sensi acuti e animaleschi gli avevano già rivelato anche la presenza di qualcun altro che si era trovato, suo malgrado, ad assistere alla loro conversazione.
Ancora prima di veder le braci della sigaretta irradiarsi nel buio della notte, nel momento in cui girò sui tacchi per rientrare a Residenza Vongola, l’arciere percepì la presenza di Alaude.
Quando il primo Guardiano della Tempesta gli fu a fianco, senza che l’uno volgesse lo sguardo verso l’altro, il biondo parlò.
- Avrete bisogno che qualcuno vi copra il gioco. –
Pronunciò, con il suo tono di voce basso ed avvolgente, mentre socchiudeva gli occhi azzurri irritati dal fumo della sigaretta, aspirando l’ennesimo tiro.
G. si permise un piccolo sospiro silenzioso, cacciando a forza le mani nelle tasche. Non aveva ancora capito quando il suo istinto gli aveva detto e spiegato che di Alaude si poteva fidare ciecamente.
Gli lanciò un’occhiata fugace, senza dirgli una sola parola, prima di avanzare oltre.
Non appena uscì dal piccolo boschetto e si trovò davanti all’entrata della Residenza, scorse Giotto circondato dal solito milione di gatti. I quali, a forza, reclamavano le sue attenzioni e le sue coccole.
Sorrise dolcemente e, a quella visione, la piccola ruga che aveva sentito solcargli la fronte, si appianò come per magia. Questi erano i poteri di Giotto.
E non appena il biondo lo vide, si alzò in piedi e gli andò incontro sorridente. E lui non poté far altro che rapirlo in un abbraccio quando fu ad una distanza ravvicinata.
(per fortuna di Hayato, G. gli risparmiava sempre altri particolari della loro vita di coppia. Già era abbastanza imbarazzante così!)
 

Fu solo quando i Guardiani Simon erano arrivati a Residenza Vongola chiedendo se Cozzato si trovasse lì, che Giotto collegò il fatto di come Alaude si fosse prodigato a fargli assolutamente vedere alcuni rapporti nel momento in cui si stava rendendo conto che non vedeva G. da un bel po’, cosa praticamente insolita. Dato che generalmente erano calamitati l’uno verso l’altro.
Udendo nel silenzio della stanza solo il ticchettare dell’orologio a pendolo e il mugghiare del forte vento che si era alzato sull’avanzare della notte, il boss Vongola incastrò perfettamente i pezzi.
- Alaude – lo chiamò indietro il Primo nel momento in cui lui era pronto per uscire dallo studio, calcolando che G. e Cozzato dovevano ormai esser quasi arrivati alla loro meta.
Si fermò, con ancora un dito intrufolato nel nodo della cravatta, pronto ad allentarsela. Sospirò greve prima di girarsi e affrontare lo sguardo dell’altro. Sguardo che, come aveva già presagito dal tono imperante della voce, non aveva niente a che fare con il solito.
Gli occhi dorati di Giotto lo fissavano seri e, né sulle labbra, né tantomeno nella sua espressione, c’era traccia della solita seraficità. D’altra parte, si trattava del suo innamorato e del suo miglior amico. In una parola, le persone più importanti della sua vita.
Per sfortuna del Primo, Alaude era uno abituato al più glaciale e distaccato sangue freddo. Toccò a Giotto, infatti, iniziare a parlare.
- Tu sai dove sono andati – sibilò, muovendo un passo verso l’altro e la sua non era una domanda, ma un’affermazione - e per un motivo che ignoro, li stai coprendo. -
La maniera in cui si stava muovendo verso di lui, lenta e sinuosa, avrebbe fatto indietreggiare anche il più valoroso ed indomito dei guerrieri, ma Alaude non arretrò di un passo. Continuò a fissarlo. A fissare quel volto praticamente perfetto, quella cravatta allentata che si poggiava pigramente sul tessuto della camicia, i polsini di quest’ultima aperti e arrotolati sui gomiti.
- Non starò qui a chiederti le motivazioni, mi basta solo che tu mi dica dove sono diretti. – continuò mantenendo una freddezza che metteva i brividi.
- Mi spiace, ma ho dato la mia parola. – proferì semplicemente, congedandosi. O almeno cercando di farlo, ma l’occhiata che gli lanciò l’altro, lo fece fermare, girandosi verso di lui di trequarti.
- Alaude, chi è che prende le decisioni qua dentro? – esclamò con tono imperante, erigendosi ulteriormente. Non aveva usato l'espressione “comanda”, ma era fin troppo chiaro.
E il messaggio arrivò forte e diretto ad Alaude, e ora anche i suoi occhi azzurri emanavano bagliori. Si girò completamente verso l’altro.
- Quando mai io ho preso ordini da te? – gli sibilò contro.
Nessuno dei due cedeva allo sguardo dell’altro. Né arretrava di un passo. Poi il sorriso e il sereno tornarono sul volto di Giotto e placarono Alaude.
- Alaude, per favore. – si limitò ora a chiedergli il Primo, allargando le braccia, in segno di armistizio e alleanza.
Il Guardiano sospirò mestamente. Preferiva di gran lunga quando Giotto imponeva la sua autorità – come raramente succedeva – perché così era in grado di gestirlo. Non di certo quando era calmo e serafico. E sorridente.
Ancora prima che lui proferisse parola alcuna, il Primo capì che aveva già capitolato.
- E per favore, vieni con me … - lo pregò questi, sorridendogli timidamente.
Alaude imprecò dentro di sé.
- Ecco perché non vi sopporto, voi che vi muovete in branco in preda ai vostri sentimentalismi. – bisbigliò infastidito, scuotendo la testa seccato. – Dai, muoviamoci allora. Dobbiamo guadagnare terreno. –
- Grazie. – gli sussurrò Giotto, sinceramente grato.
- Hn! – fu la scontata replica.

 

Continua …
 
 
Clau: Settembre è arrivato … l’estate è finita … l’estate non c’è mai stata … non riuscirò mai ad arrivare a Giugno anche per quest’anno … mandatemi un collega come Dino e allora, forse, potrei anche farcela …
Goku: Oh, mamma: stavolta è andata veramente! Presto: che i Vindice vengano a prendersela.
Clau: Hum … almeno là avrei tanto tempo da dedicare solo ed unicamente a me stessa^O^
Tsuna&Goku: -___________-
Clau: No, davvero: son così scioccata dal fatto che sia già Settembre un’altra volta, che non so cosa dire.
Goku: Ohh! È arrivata la fine del mondo?! Davvero sei senza parole?
Clau: Goku, a sentire te, sembra che io parli sempre a vanvera …
Tsuna: Ehm …
Clau: Juudaime, tu quoque?T_T Vabbè, facciamo un nuovo gioco?
Goku: Ecco, lo sapevo! Era troppo bello per durare.
Lambo: KYAKYAKYAAAAKAYYYAAA. Anche il grande Lambo-san vuole giocare.
Goku: Ahhh, annamo bene …
Clau: Dunque, pensavo di giocare al gioco “se fosse …”
Goku: Che gioco è? Non lo conosco.
Tsuna: Sì, nemmeno io.
Clau: Perché l’ho appena inventato.
Goku: Non è assolutamente vero.
Clau: Ahahahah
Goku: Non ridere.
Clau: Vabbè, proseguiamo. Facciamo un esempio: tipo, se Lambo fosse una verdura, che verdura sarebbe?
Clua&Goku&Tsuna: Il broccolo!
Clau: Ecco, siamo tutti d’accordo. Perfetto!
Lambo: Ma …
Clau: Se Lambo fosse un aggettivo, quale aggettivo sarebbe?
Clua&Goku&Tsuna: Pedante!
Clau: Ohh! Siamo nuovamente d’accordo …
Lambo: Ma uffi! Non è per niente divertente questo gioco! >____<
Clau: Ah, ecco! Se Lambo fosse un gioco, che gioco sarebbe?
Goku: Il Monopoli.
Clau&Tsuna: Perché?
Goku: Perché è noioso e inconcludente.
Clau: Hum … vero …
Lambo: T_T
Ryohei : Ohh, ohhh. Posso provare anch’io ?
Clau: Certo Onii-chan^^
Ryohei: Se Lambo fosse una pianta, che pianta sarebbe?
Clua&Goku&Tsuna&Ryohei: Carnivora.
Lambo: HUUUUAAUUUUUU T_T Cattivi!!
Ryohei : E’ divertentissimo all’estremo questo gioco AHAHAH
Lambo: Proprio per niente!
Ryohei: Continuiamo?
Clau: Claro que sì^^
Ryohei: Se Lambo fosse un organo umano, che organ …
Tsuna: Ahehm, Onii-chan, fermiamoci qui per questa volta.
Ryohei: Uffi, perché? Vabbè, la prossima volta, le domande le fate su di me^O^?
Goku: Testa a Prato, trovi davvero divertente questo stupido gioco?
Ryohei: Certo!
Clau: Tiè Goku: incarta e porta a casa. Bleahhh :P
Tsuna: -_____- Ma dove siamo, alle elementari?
Clau: Juudaimeeee, non mi parlare di scuola T_T
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Devi guardare a testa alta le cose che ti stanno davanti, o non potrai mai superarle ***


Ciaossu^^ Sono un po’ un ritardo, lo so, ma stavolta non è colpa mia ma colpa di Fushimi^O^ Saru, il tuo cosp mi sta dando tanta soddisfazione a mano a mano che lo creo, ma che capperi!!!
Ragazzuoli miei adorati, son qui, tuuuuuutta per voi! Ahahah^//^ So che suona come una minaccia.
A dopo e buona lettura.

 
 

“ Devi guardare a testa alta le cose che ti stanno davanti, o non potrai mai superarle”
 


CAPITOLO 3
 
 
Kyoya non era di certo uno facile al panico, ma si trovò inspiegabilmente col fiato corto quando si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi grigi.
Era stato tutto così dannatamente reale! Quello non era stato di certo un sogno …
Boccheggiante, scandagliò con lo sguardo i contorni della stanza, per esser certo di trovarsi nella sua realtà. Nel suo mondo.
La prima cosa che lo portò alla realtà fu vedere che le braccia della persona dietro di lui, che lo stavano tenendo stretto, non potevano altro che essere di Dino. Si assicurò della certezza seguendone i contorni del tatuaggio. Poi, sempre più calmo e rientrato completamente in sé, voltò appena la testa di lato a scrutare il volto serenamente addormentato dell’altro. Sì, ok: era il suo biondo inetto quello che lo stava abbracciando.
- Biondo … - sussurrò appena, con i sensi ancora leggermente offuscati dalla nebbiosità del sonno.
Di colpo si portò una mano tra i capelli, scostandosi la frangia e scrutandola a fondo, grazie al chiarore spettrale della luna che filtrava attraverso i vetri della finestra.
- Ok, sono neri … - bisbigliò, e fu solo perché ancora intorpidito dal sonno che aveva permesso per un lungo, lunghissimo istante, al panico di serpeggiare in lui. D’altra parte, per lui era stata la prima volta. La prima volta che riviveva in maniera così spasmodica i ricordi di Alaude. Comprensibile quindi che, perfino per un animale freddo e raziocinante come lui, quella cosa era stata in grado di frastornarlo.
- Hn! – grugnì, ripensando ai suoi “compagni” di sogno  – Domani li ucciderò tutti e tre. – decretò, dando la colpa agli altri tre di quella sua strana avventura notturna.
 
 
 
Più morti che vivi, i ragazzi si trascinarono verso il luogo di ritrovo per il primo giorno di tour, non ricordando neppure di esser passati per la colazione.
Perfino Hayato, che era uno abituato a dormir poco, non seppe mai dirsi come ci fosse arrivato in strada.
Per loro fortuna, il programma di quella mattinata prevedeva di arrivare al Museo di Arte Moderna a piedi, perché se fossero dovuti salire sull’autobus, sarebbero stati vittime di un attacco narcolettico senza avere neanche il tempo di sedersi.
Come spesso accade durante le gite scolastiche, a mano a mano che la camminata proseguiva, si formavano vari gruppetti di ragazzi e gli argomenti di conversazione spaziavano e variavano nella maniera più molteplice. Ovvio che l’argomento di conversazione preferito tra le ragazze – nonché oggetto di ogni attenzione - fosse il loro insegnante di inglese. Dino, infatti, non stava avendo un attimo di tregua da quando aveva messo piede fuori dalla sua stanza. Il docente, affabile com’era nella sua natura, rispondeva gentilmente a tutte, scortato a distanza da Hibari. Ovvio era, ma gli altri ben si sarebbero guardarti dall’affermarlo a voce alta, che il Disciplinare era chiaramente infastidito da tutte quelle attenzioni. Ok, quando camminavano normalmente per strada, molte teste si giravano in direzione di quella zazzera dorata e quella figura atletica, ma durante quella gita, Dino stava subendo continui e ripetuti assalti, che stavano irritando Kyoya fuori dalle maniere. Da bravi Guardiani, gli altri accorsero in aiuto dei due, in qualche maniera.
- Prof, ma lei ce l’ha la ragazza? –
Eccola! La domanda tanto temuta da tutti, era alla fine arrivata.
Per un secondo ci fu solo silenzio, e Takeshi, Hayato, Ryohei, Tsuna ed Enma, non seppero verso chi – tra Dino e Kyoya – portar l’attenzione. Il primo istinto sarebbe stato quello di darsi saggiamente alla fuga, e il fatto che tutti e cinque per un attimo si fermarono di botto, fu segno inequivocabile che per un istante ci avevano seriamente pensato, ma poi il forte senso di amicizia nei confronti del biondo, li costrinse a restar lì. Dino, dal canto suo, deglutì a vuoto, tentando in ogni modo e maniera di non spostare la direzione dello sguardo verso Kyoya, per non tradirsi. Kyoya che, come sempre, rimase il solito modello di stoica imperturbabilità. Solo l’assotigliare degli occhi grigi fu segno di un bagliore di interesse, nonché un accenno di sorrisetto sadicamente divertito a vedere come l’altro se la sarebbe cavata. Bastava negare, no? , pensò il Guardiano, ma Dino – traendo un profondo inspiro – parlò.
- Sto insieme ad una persona, sì. – confessò alla fine, sorridendo, obbligandosi a portar l’attenzione verso il gruppetto di ragazze che stavano attendendo ansiose la risposta, e non su Kyoya.
- Uffi! – borbottarono in coro le sue studentesse, evidentemente deluse. – Eh vabbè, ragazze: uno così, c’era da aspettarselo! -
E i cinque tirarono un sospiro di sollievo. Sospiro di sollievo che lasciò loro tregua solo per un istante, perché le dolci donzelle non avevano ancora soddisfatto la loro morbosa curiosità.
- E lei com’è, Prof? – cinguettarono felici, stringendosi maggiormente attorno al loro insegnante.
- Eh? – chiese Dino, cercando di mascherare il panico serpeggiante.
- Sì, ce la descriva. –
Takeshi e Ryohei, che si trovavano al fianco di Kyoya, inconsciamente si allontanaro preventivamente da lui, deglutendo a vuoto. Nemmeno Tsuna, né tantomeno Enma ebbero il coraggio di guardarlo.
“Cazzo Cavallone, ma non potevi limitarti a negare?” pensò Hayato “Quel sociopatico di Hibari non se la sarebbe mica presa, avrebbe di sicuro capito la situazione.”
Ma se Dino non aveva negato, ma aveva risposto sinceramente, non era per il fatto che temeva che il suo innamorato potesse prendersela, ma perché – se fosse stato per lui – avrebbe dichiarato il loro amore ai quattro venti. E Dino continuò a parlare …
- Per stare con lei, deve essere sicuramente bellissima. – insistette una delle ragazze.
- Oh, sì: lo è. Tanto. – rispose il biondo, addolcendo lo sguardo. E quell’adorabile espressione che gli si dipinse in volto, lasciò le sue interlocutrici senza fiato, dandogli tregua.
Gli altri cinque si strozzarono con la loro stessa saliva, per non scoppiare a ridere. Quanto ardire stava dimostrando, pensarono. Quella era una dichiarazione d’amore in piena regola e Hibari stava tentando di incenerirlo con lo sguardo. E Dino, che quando si trattava del suo compagno, permetteva a tutto il suo fervore di venire fuori, si lasciò prendere la mano, incalzato dalla curiosità delle sue allieve.
- Ohhh … - sospirarono sognanti  – Prof, qual è stata la prima cosa che l’ha fatta innamorare? –
- I suoi occhi … Sono bellissimi. Di un color ardesia screziato di azzurro che non pensavo potesse esistere in natura. - fu la risposta altrettanto sognante.
Nuovo coro di “Ohhhh” estasiato.
Takeshi e Ryohei che, al solito, erano quelli che riuscivano sempre a ricavare un lato divertente in ogni situazione, dovettero mordersi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere quando videro Hibari voltarsi verso Dino, letteralmente scioccato dal fatto che il suo compagno stesse continuando a rispondere alle domande di quelle scocciatrici.
“ Dino non vedrà l’alba del nuovo giorno!” pensarono invece in panico Tsuna ed Enma.
- E come si è dichiarato? – continuarono imperterrite le ragazze, costringendo Hibari ad attirare l’attenzione del biondo con un colpo di tosse. Fulminandolo seduta stante nel momento in cui, finalmente!, gli occhi marroni si legarono ai suoi.
Non azzardarti a continuare a parlare, stava chiaramente ad indicare quell’occhiataccia, ma Dino si limitò a fare il suo sorrisetto sghembo, segno inequivocabile che stava bellamente ignorando la minaccia.
- Mi sono preso una randellata di botte quando l’ho fatto. – ricordò ridendo.
“ Chissà come mai non facciamo fatica a crederci …”pensarono gli altri, tuttavia interessanti, perché quella parte della storia non l’avevano mai saputa neppure loro.
- Come sarebbe a dire che l’ha pestata? – borbottarono perplesse le ragazze – Cioè, non era al settimo cielo quando si è dichiarato? –
- Per niente! –
- E come l’ha fatta capitolare alla fine? –
Nuovo colpetto di tosse da parte di Hibari, che parve più un grugnito stavolta.
- È stata dura, infatti. – confessò Dino, ridendo ancora al ricordo.
- Che caratterino che deve avere ‘sta tipa. – costatò perplessa la capoclasse, incredula che questa fantomatica ragazza si fosse permessa anche di far la preziosa.
- Tch – si lasciò sfuggire Hayato, a voler dar conferma di quanto detto dalla ragazza. L’aveva fatto sovvrapensiero, ma fu perfettamente udito dalle assaltatrici. Che drizzarono le antenne. Sei paia d’occhi si spostarono dal volto del loro docente agli occhi turchesi del Guardiano.
- Voi la conoscete? – chiesero, rivolgendosi a tutti e cinque e il tono tuonava in maniera minacciosa.
- Tch! – si riprese immediatamente Hayato – Noi non abbiamo niente a che farci. – specificò.
- Magari è lei che non ha nessuna intenzione di aver niente a che fare con voi … - ci tenne a precisare Kyoya, mormorando.
Per fortuna lo scambio di battute al vetriolo tra i due non suscitò l’interesse delle ragazze, che avevano quindi riportato l’attenzione verso il loro docente.
- Ce la farà conoscere almeno, eh Prof? –
 “ Non potete neanche immaginare che questa persona la conoscete benissimo … ” pensò Tsuna, sempre più in ansia per le sorti dell’amico. Ma, al solito, la fortuna arrise al giovane boss italiano.
- Oh, siamo arrivati. – dichiarò il biondo sollevato, chiamando a raccolta i suoi studenti e andando a recuperar la guida del Museo. Guida del Museo che altri non era che una vecchia cariatide che ci provò con Dino per tutto il tempo della durata della Mostra. E il copione si ripeté.
 
 
 
QUALCHE ORA PIU’ TARDI
 
Alla fine del percorso guidato, gli studenti furono lasciati liberi di scorazzare fino all’ora di pranzo per il parco che si trovava all’interno del Museo.
Enma si era seduto sulla muretta, attendendo che Tsuna ritornasse dal chiosco con le bibite. Era da quella mattina che non si sentiva proprio per niente bene, e poco aveva a che fare con il fatto che non avesse dormito tanto.
Si sentì rabbrividire dalla testa ai piedi e cercò tepore in un raggio di sole, affondando le mani gelide in tasca.
- Stai male? – la voce di Dino lo costrinse a sollevar la testa, dopo che aveva cercato calore immergendosi nella sciarpa.
- Diciamo che mi sembra di esser passato sotto ad una pressa … - confessò debolmente, sentendosi in qualche maniera – e a torto – in colpa.
Il biondo lo fissò dubbioso, piegando la testa di lato.
- Sei caldo, in effetti. - costatò dopo che gli aveva poggiato una mano sulla fronte e stava facendo il raffronto con la sua.
- Gomen … - bisbigliò Enma.
- E di cosa ti scusi? – lo rassicurò Dino, sistemandogli meglio la sciarpa e facendogli un sorriso incoraggiante  - Vuoi rientrare in albergo? – gli chiese premuoroso.
- No! – si affrettò a rispondere l’altro, in ansia. Non voleva che Dino lo rispedisse in hotel, ci teneva a passare il tempo con Tsuna e soprattutto non voleva farlo preoccupare o rovinargli la giornata. In particolar modo il pomeriggio, dato che dovevano andare a vedere le cascate nella campagna limitrofa. Cascate che in quel particolare periodo dell’anno si ghiacciavano completamente e formavano delle composizioni archiettetoniche naturali da fiaba. Lui le aveva già viste un paio di volte, ma Tsuna no ed Enma sapeva che era una cosa che non vedeva l’ora di visitare.
Nuovamente Dino lo scandagliò con lo sguardo, intuendo perfettamente i suoi pensieri.
- Ok – disse alla fine, con un sospiro – Ma quando rientriamo alla pensione prima di prepararci per le cascate, ti provi assolutamente la febbre e sei hai più di 38 e mezzo, non metti piede fuori dalla tua stanza, intensi? –
- Hum … - rispose Enma, assentendo con il capo. Sapeva che Dino in quel momento non stava facendo il professorino ma il fratellone maggiore che si preoccupa per il suo fratellino.
 
 
Ed Enma non riuscì ovviamente a bypassare le premure di Dino.
- Enma! Hai 39 e due! – esclamò Dino sbalordito ed evidentemente preoccupato – Come hai fatto a reggerti in piedi fino adesso? –
Il miagolio che il ragazzo produsse stava chiaramente ad indicare che nemmeno lui sapeva darsi una risposta. Seduto sul suo letto, a gambe incrociate, sollevò lo sguardo dapprima su Dino, per poi portarlo verso Tsuna. Il quale lo stava osservando altrettanto preoccupato.
- Mi dispiace … - bisbigliò di nuovo, cercando un po’ di calore dalla coperta che il Juudaime gli aveva poggiato sulle spalle una volta che erano rientrati in stanza.
Dino gli lanciò un’occhiata tenera, scompigliandogli i capelli.
- Adesso tu ti metti sotto le coperte, ti prendi un’aspirina e non muovi un solo passo fuori di qui.– gli disse perentorio.
- Hai bisogno di qualcosa? – gli chiese poi, mentre gli porgeva medicinale e bicchiere d’acqua. Enma si limitò a scuotere il capo. Non aveva neanche la forza di protestare. Già si sentiva un emerito schifo a notare lo sguardo preoccupato di Tsuna, ed era proprio il fatto di sapere di esserne la causa che lo faceva star male.
- Tsuna? – lo richiamò Dino, mentre stava per uscire dalla camera – Tra dieci minuti partiamo … - gli ricordò, con uno sguardo triste. Capiva perfettamente come si sentissero entrambi in quel momento.
Enma, vestito di tutto punto, si distese trascinandosi dietro la coperta, prontamente aiutato dal suo compagno.
- Scusa se non mi sono accorto che stavi male … - mormorò Tsuna, sedendosi al suo fianco. Enma si limitò a scuotere la testa ad indicare di stare tranquillo, sorridendogli debolmente. Fece scivolare una mano al di fuori della coperta fino a recuperare quella dell’altro. Il quale sobbalzò a sentire quanto bollente fosse.
- Ti preparo un thè. – esclamò il Juudaime solerte. Fece per alzarsi, ma il rosso lo bloccò, costringendolo a sedersi nuovamente.
- Tsuna, vai. –
- Ma … - cercò di protestare alacremente, ma fu interrotto dall’altro.
- Vai. – bisbigliò dolcemente Enma, ma con tono fermo. Sapeva quanto Tsuna ci tenesse a quella particolare escursione  - L’autobus tra pochi minuti parte … - sussurrò, biascicando le parole, dato che il sonno stava avendo la meglio su di lui.
Tsuna lo vide cercare di combattere, inutilmente, contro l’avanzare dell’oblio ovvatato dato dalla febbre alta. Sospirò, posandogli una leggera carezza sulla guancia …
 
Per Enma sarebbe potuto esser passato solo un minuto, così come giorni interi. L’aprirsi e il richiudersi della porta gli arrivò ai sensi come se si trovasse all’interno di una bolla. Come se intorno a lui il tempo si stesse muovendo a rallentatore, riaprì gli occhi e si trovò nuovamente Tsuna davanti.
- Tsuna … - riuscì a bisbigliare. L’arsura della gola gli impediva di deglutire e parlare gli costava una fatica indicibile  - Hai dimenticato qualcosa? –
Il Boss Vongola si limitò a scuoter la testa, sorridendo divertito.
- Hum-hum, niente. –
Enma socchiuse gli occhi, per cercare di leggere in quell’espressione.
- Ma l’autobus … -
E stavolta fu il turno di Tsuna di togliergli la parola.
- Sono sceso in reception, per avvisare Dino e gli altri che non sarei andato. –
Enma si passò una mano tra i capelli confuso, non capendo ancora appieno le parole dell’altro.
- Gli ho detto che sarei rimasto qui. Con te. – concluse con un sorriso, sedendosi nuovamente sul letto e gattonando verso di lui.
- Ma Tsuna! – esclamò il giovane Simon, avendo ora pienamente intuito il significato di quanto detto. Si mise a sedere sul letto. – Vai, per favore. Io sto bene, mi faccio una bella dormita e sono a posto. Vai, non restare qui per me … Ci tenevi così tanto a veder le cascate … - la protesta si spense in un mormorio, mentre lo pregava con lo sguardo di andare. Ma Tsuna, con uno di quei sorrisi che, pur nella loro bontà non ammettevano repliche, fu irremovibile. Sarebbero stati proprio quel genere di sorrisi che, anni più avanti, ne avrebbero fatto la sua forza quando avrebbe dovuto mantener salde le sue posizioni di fronte a polemiche e proteste.
- Ci tenevo a vederle anche insieme a te. – fu la sua dolce replica. Detta mentre le guance gli si coloravano di rosso.
- Tsuna … - bisbigliò Enma, ricercando la sua mano. Gli faceva sempre così specie quando qualcuno faceva qualcosa per lui. Era abituato a dar tanto, ma si stupiva sempre molto quando qualcuno faceva qualche carineria nei suoi confronti. E in questo assomigliava in tutto e per tutto al suo antenato.
- Allora sai cosa facciamo? – si sforzò a parlare, con la voce roca – Durante le vacanze invernali, ci prendiamo due giorni e torniamo qui a vederle, ok? –
- Ok! – assentì Tsuna, sorridendo e rubando un dolce sorriso anche all’altro. Nel momento in cui il Juudaime gattonò ulteriormente sul letto, abbassandosi verso le sue labbra, fu il bussare alla porta che li interruppe.
I due si fissarono negli occhi, dubbiosi. Chi poteva essere?
Tsuna andò ad aprire perplesso, ma fu un’autentica sorpresa che gli fece sgranare gli occhi quando li vide sulla soglia.
- Minna – esclamò sbigottito. C’erano proprio tutti!
Fece per aprir bocca nuovamente, a chieder loro il motivo per il quale non si trovavano sull’autobus che ormai si doveva trovare in strada da qualche minuto, ma Takeshi non gli permise di dir alcunchè.
- Se avete bisogno di qualsiasi cosa, noi siamo in stanza del senpai. –
- Ohhh, certo! A farci una bella partita a carte. –
-  Tch! Io non voglio proprio far niente con te! –
- Che cosa hai detto Testa a Polpo?! –
- Su su, ragazzi …  –
- Hn! -
Il quadretto si stava svolgendo come al solito da copione, tanto che Tsuna – dopo aver lanciato un’occhiata fugace alle sue spalle, a cercare con lo sguardo Enma – non poté che scoppiare a ridere.
- Ragazzi, cos’è tutta questa confusione? –
- Dino! Anche tu? – esclamò Tsuna sorpreso quando la ben nota zazzera dorata fece capolino a sua volta sulla soglia della stanza.
- Certo – fu la replica del biondo, strizzandogli l’occhio, complice – Non potevo lasciare i miei studenti preferiti da soli. – scherzò, beccandosi un’occhiata in tralice da parte di Hayato. Occhiataccia carica di significati.
- Tutti a giocare a carte da Ryohei, allora? – proseguì il giovane boss italiano, battendo le mani felice. Due “no” e due “sì” si levarono per il corridoio, ed Enma, anche se non avesse riconosciuto le voci, avrebbe potuto affermare con sicurezza da chi provenissero.
Dino fece spallucce, limitandosi a prendere sottobraccio Takeshi e Ryohei, ovviamente i due ferventi sostenitori del pomeriggio di giocate.
- Ragazzi? – li richiamò indietro Enma, che si era trascinato fino alla porta, avvolto nella coperta.
Cinque paia d’occhi si girarono verso di lui, attendendo.
- Grazie … - bisbigliò, divenuto più rosso dei suoi capelli, e il rossore non era dato esclusivamente dalla febbre.
- Ehi, a cosa servono gli amici altrimenti? – rispose per tutti lo spadaccino, facendogli dono di uno dei suoi splendidi sorrisi rasserenanti.
 
I due si richiusero la porta della camera alle loro spalle. Vederlo rabbrividire per l’ennesima volta, sentirlo mugolare il più silenziosamente possibile – cosa così da lui, perché Enma più di tutto non voleva che la gente si desse pena e affanno per lui. Per non disturbare. Per non essere di peso – gli fecero sentire una morsa in mezzo al petto. Come se una mano invisibile si fosse fatta spazio tra le sue carni, fino a raggiungerne il cuore e iniziare a stritolarlo. Così come, in netta contrapposizione, si fece spazio in lui un’enorme felicità. A sentire quanto tenesse a lui. Al fatto che avrebbe fatto ogni cosa – qualsiasi cosa – per rendere Enma felice. Per poter vedere ancora, e ancora, le sue labbra piegarsi in quel dolcissimo sorriso che gli andava a plasmare una fossetta sulla guancia sinistra. Eh, no: indubbiamente per lui Enma non era un amico. Era molto di più. Come se, in un momento non meglio precisato della sua nascita, la sua Anima fosse stata squarciata in due e solo in quel preciso istante gli fosse stato rivelato ciò. Che la metà della sua Anima aveva sempre avuto memoria e ricordo della sua gemella persa chissà dove, ed ora – improvvisamente – l’avesse finalmente ritrovata.
Allungò una mano verso la schiena dell’altro, Tsuna, ma quando le sue dita furono ad un soffio da Enma, si fermarono. Ce l’avrebbe mai fatta?, si chiese. Ce l’avrebbe mai fatta a pronunciare quelle semplici paroline? In fin dei conti, era già chiaro no, per entrambi? Ovvio! Ma dirlo, era tutto un altro paio di maniche.
Sospirò affranto, mentre le sue dita – nuovamente – si mossero silenziose verso la schiena di Enma, ma si trovò a ritirarle di scatto quando l’altro si voltò verso di lui, fissandolo interrogativo in volto, mentre gli sorrideva.
Il sorriso di Enma era il suo mondo. La sua salvezza. La sua ancora. Loro due, insieme, si sarebbero potuti salvare a vicenda da quel mondo che nessuno dei due aveva scelto, ma nel quale – loro malgrado – erano stati gettati. E avrebbero potuto di sicuro migliorarlo. Farlo ritornare per quello per il quale era nato. Con Enma, fin dal primo istante in cui si erano conosciuti, si era potuto permettere di esprimere i suoi dubbi, le sue paure, senza paura di saltar per aria come faceva sempre Reborn quando lui si permetteva – o per lo meno tentava - di opporsi. Per non parlare di manifestarle ad Hayato, il quale – sorvolando sul 99% di quanto diceva, cioè che a lui non avrebbe potuto fregare di meno di essere il Decimo Boss Vongola – gli ribatteva di non preoccuparsi, che lui sarebbe stato in grado di farcela, che ok: faceva bene alla sua labile autostima, ma non lo aiutava di certo. Perfino manifestare i suoi dubbi, le sue perplessità a due serafici come Takeshi e Dino, non gli faceva ottenere l’aiuto morale sperato. Anche solo impensabile manifestarle ad Hibari – pena la morte. E poi era arrivato Enma … Enma che, come lui, si era trovato invischiato in qualcosa che non avrebbe voluto. Troppo buoni tutti e due, ma grazie alla loro caparbietà erano sempre riusciti ad andare avanti. Com’era sempre stato facile parlare con Enma! Perché Enma, non solo ascoltava, ma lo capiva perfettamente. E Tsuna, per la prima volta da quando tutto quell’infernale casino era iniziato, si sentiva completamente compreso. E lo capiva perfettamente. Perché Enma, impacciato e imbranato come lui, quand’era il momento, quando i suoi amici erano in pericolo, non guardava più in faccia niente e nessuno, a cominciare proprio dalla propria incolumità.
Perché Enma era il suo mondo. Il suo riferimento. Se lui era il Cielo, Enma era la Terra senza la quale il Cielo non può neanche pensare di reggersi.
- Enma? –
- Sì? –
Dai, forza!, udì perfettamente dentro di sé. Ma era così difficile! E allora, come sempre, dove non arrivano le parole, arrivano i gesti ... Tanto Enma avrebbe capito, ne era certo. Avrebbe capito cosa si stava sforzando di far uscire dalle sue labbra. Due semplici parole … Enma avrebbe capito, e poco c’entrava il loro super-intuito ereditato direttamente dai loro amati predecessori.
Tsuna, abbassando timidamente gli occhi a terra per poi risollevarli verso i suoi, lo prese per un braccio per attirarlo verso di sé e poter affondare la testa nell’incavo della sua spalla e abbracciarlo. Peccato solo che, trattandosi di loro due, inevitabilmente, il suo gesto repentino li fece incespicare nelle falde della coperta e finire a terra.
Tsuna sgranò gli occhi incredulo. Non ci poteva credere! Quella che doveva essere la sua dichiarazione d’amore, si era tramutata al solito in un disastro. Ma la risata cristallina di Enma, il suono della sua risata fresca, sincera, di cuore, gli arrivò alle orecchie ammagliandole e gli fece affondare maggiormente la testa su di lui. Lo strinse ancora più a sé. E le braccia di Enma fecero altrettanto sulla sua schiena. E gli incespicanti successivi tentavi di alzarsi, non sapendo bene da che parte appoggiar le mani, fecero tremare e sussultare entrambi, sempre più imbarazzati, tanto che anche il posare semplicemente lo sguardo l’uno sull’altro – con le mani di Tsuna appoggiate sul petto di Enma, e quelle di Enma adagiate morbidamente sui fianchi di Tsuna – li fece andare a fuoco entrambi, mentre tentavano di biasciare scuse, caracollando sulle loro stesse parole.
 
 
Questa volta i ricordi che si presentarono nei suoi sogni riguardavano qualcosa di differente rispetto ai soliti. Qualcosa che tutti loro avevano visto quando i Vindice avevano consegnato l’ultima chiave dei ricordi di Giotto e Cozzato. Ma quello che Enma e Hayato rivissero, fu ciò che successe dopo …
 

Giotto era annientato. Non solo aveva subito il tradimento di uno dei suoi amati e preziosi Guardiani, ma – cosa ancora più annichilente – stava per dire addio al suo più caro amico.
A G. non era mai importato più di tanto di Daemon – ultimamente l’aveva sopportato solo ed eslusivamente per amore di Giotto – ma per quanto riguardava il dare l’addio a Cozzato, si sentiva esattamente come il Primo. Se non peggio. Se Giotto era l’adorato compagno della vita e per la vita, Cozzato era per lui il fratello che non aveva mai avuto. E quel genere di legame che si era creato tra loro, andava ben oltre ad un semplice legame di sangue.
- Ci rivedremo un giorno? – provò a chiedere, ben sapendo già da sé la risposta. La decisione era stata presa. E per il bene di tutti loro. Delle loro rispettive Famiglie. Ma questo non voleva dire che il bene comune non cozzasse contro quello che era il loro bene. I loro desideri. Le loro necessità. E Cozzato – tra tutti – fingendo la sua morte e quindi scegliendo la via dell’esilio, il fatto di non poter più vivere alla luce del giorno, era quello che avrebbe pagato di più del tradimento ordito da Daemon ai danni delle Famiglie Vongola e Simion . Ma molto probabilmente, dato che quella soluzione l’aveva suggerita e decisa lui stesso, era proprio per questo motivo che, tra i tre, era il più sereno e cercava di trasmettere ai suoi due cari amici quella serenità.
- Non in questa vita. – disse sorridendo, posando una mano sulla spalla di entrambi, stringendo appena, infondendoli la sua tranquillità. Posò lo sguardo ora all’uno, ora all’altro, e vedendo riflessa nei loro occhi quella tristezza che stava tendando in ogni modo di non far trapelare, anche il suo sorriso si immalinconì.
- Ma io sono sicuro che tra qualche anno, magari tanti anni … - riprese a parlare, sorridendo nuovamente e strappando un piccolo sorriso anche in G. e Giotto - Riusciremo a reincontrarci attraverso i nostri discendenti. Ne sono certo … - proferì convinto, stringendo maggioramente la presa sulle spalle degli altri due, addolcendo lo sguardo, prima di riprendere a parlare.
- Perché la nostra amicizia va oltre al tempo. Oltre alle parole. Oltre ai luoghi … Io porterò nel mio cuore ogni singolo momento passato con voi. Ogni risata. Ogni discorso. Ogni notte tirata a far tardi a raccontarci di noi. Il fatto che sia nelle cose belle, che in quelle brutte siamo sempre stati l’uno al fianco dell’altro. Sempre! Ovunque io sarò. – concluse in un mormorio, in un soffio che gli spezzò le parole. E nuovamente anche Giotto e G. si addombrarono, a vedere come il sorriso morì sulle labbra del loro amico.
-  Cozzato, ci rincotreremo. L’hai detto tu! Nei nostri eredi, noi ci rincontreremo e saremo amici per sempre. – sostenne l’arciere, e fu loro il turno, ora, di posargli una mano sulla spalla, stringendo, per farlo scuotere dallo stato nel quale era caduto. Il Boss Simon fu loro grato di quel gesto. Sarebbero stati amici per sempre.
- Beh, se il tuo discendente avrà il tuo carattere di merda, siamo fregati. Povero Simon futuro! – rise di gusto Cozzato, strappando una risata anche in Giotto.
- Ma che cazzo vorresti dire? – finse di inalberarsi il Guardiano, facendoli nuovamente scoppiare a ridere.
- Hum, Cozzato ha ragione mi sa … - diede man forte all’amico il biondo.
- Giotto, anche tu? – replicò allibito G., e stavolta il suo sbigottimento era reale.
- Ah, Giotto: penso proprio che solo il tuo discendete si salverà dai suoi sguardi truci. – continuò nella farsa Cozzato.
-Ancora?! – sbottò G. Cosa che fece scambiare ai due infingardi un’occhiata complice, prima che Cozzato li stringesse a sé in un abbraccio.
- Boss, dobbiamo andare … - uno dei Guardiani Simon era andato a recuperar Cozzato. A malincuore, perché sapeva cosa volesse dire per lui dire addio ai suoi due amici. Cozzato aveva parlato con i suoi, dicendo che ognuno si sentisse libero di seguire la propria strada. Non li avrebbe mai costretti a seguirlo. Ma nessuno di loro, dal primo all’ultimo, aveva sciolto la promessa. L’avrebbero seguito tutti. Per loro sarebbe stato anche solo impensabile non seguire in capo al mondo uno come Cozzato. E a nulla erano valse le sue proteste e le sue argomentazioni.
Il Boss Simon si girò verso il suo Guardiano, sorridendogli.
- Arrivo … - rispose semplicemente, facendo scivolare lentamente le mani lungo le braccia dei suoi due amici.
 - Non c’è proprio altro modo? – ci riprovò G., sentendo la rabbia montargli dentro. E fu Giotto a cercar di placarla, stringendogli delicatamente un braccio, come a volergli dire “smettila, ti prego” mentre scuoteva la testa, sempre più sofferente. E Cozzato non ebbe neanche il tempo di cercare una risposta, che si trovò rapito e stretto nell’abbraccio dell’arciere.
- Mi mancherai. Non puoi neanche immaginare quanto! – sussurrò G. con la voce incrinata in quel pianto che non gli riuscì più di trattenere.
- Oh sì, invece. Sì che lo posso immaginare, perché sarà quanto voi mancherete a me. – bisbigliò l’altro in risposta, stringendolo forte a sua volta. Tutta la stoicità con la quale aveva cercato di rasserenarli, era andata a farsi benedire.
Giotto non li aveva mai visti piangere. Né l’uno nell’altro. E si sentì lacerare il cuore.
È tutta colpa mia, non faceva altro che ripetersi dentro di sé, disperato. Se anni prima non avesse dato vita a quella storia dei Vigilantes, ora non sarebbero stati lì a dirsi addio …
- Giotto, non ti crucciare – per l’ennesima e ultima volta, Cozzato gli aveva letto dentro – Sono stato io a suggerirtelo, se ben ricordi. –
- E come potrei dimenticarlo? - sussurrò, sforzandosi di sorridere mentre le lacrime gli scendevano lungo il volto, rigandogli le guance. E di nuovo si strinsero tutti e tre in un abbraccio.
- Ci rincontreremo ragazzi. Il bene che ci vogliamo non morirà. Passerà oltre le ere. Oltre il tempo …- bisbigliò nuovamente Cozzato. Quel pensiero li avrebbe sempre rincuorati e rasserenati.
Perché era molto di più di una semplice promessa.

 
 
Per quanto stesse scivolando effimeramente sulla sua guancia, fu una lacrima a risvegliare Hayato.
Sbattendo gli occhi turchesi, si ritrovò a fissare il soffitto della camera, mentre le lunghe ombre della notte avevano gettato le loro spire. Incredulo, poggiò la punta delle dita sul volto, fissandole poi sofferente nel vederle inumidite. Un sospiro che esprimeva tutta la sua tristezza gli uscì dalle labbra. Si sentì il cuore stritolare in una morsa. Solo quando era morta sua madre, aveva provato una tristezza agghiacciante simile. Sospirando nuovamente, si mise seduto. Solo allora si accorse che Takeshi lo aveva coperto. Gli aveva messo addosso una coperta prima di uscire per andare a fare la sua corsetta serale di allenamento.
Si passò una mano tra i capelli, recuperando dal comodino a fianco gli occhiali. Inforcandoli, si alzò dal letto, recuperò la felpa di Takeshi e uscì dalla stanza.
 
La malinconia che si sarebbe impossessata di Enma al momento del risveglio, fu in parte mitigata dal fatto che il ragazzo fu immediatamente rassicurato e rasserenato dal respiro di Tsuna, che si era addormentato al suo fianco, ed ora il rosso si trovava accoccolato sopra di lui, con la testa appoggiata sul suo petto. Mentre, sempre più cosciente, riviveva momento per momento di quel particolare ricordo lacerante, si sovrappose il proprio ricordo di come, una volta ritornato a letto, il suo compagno gli si fosse steso a fianco e lui vi si fosse acciambellato sopra. Di come, nel momento in cui, sentendolo tremare, Tsuna aveva fatto per alzarsi a recuperar altre coperte dall’armadio e lui gliel’aveva impedito. Aggrappandosi a forza alla sua maglia, attorcigliandone i lembi intorno alle dita. Nell’incoscienza della febbre alta, aveva percepito quel gesto di premura nei suoi confronti come una sorta di abbandono, e con ogni energia l’aveva fermato.
Facendosi rassicurare dall’alzare a abbassare ritmico del petto di Tsuna, Enma socchiuse nuovamente gli occhi. La febbre, grazie al farmaco, doveva esser scesa del tutto, pensò iniziando a percorrere con la punta delle dita il profilo della mano di Tsuna.
- Possibile che sia questo, quello che stai cercando di dirmi? … - bisbigliò, rivolgendosi a Cozzato.
Lentamente si mise a sedere, massaggiandosi le tempie e accorgendosi solo allora che il volto era rigato di lacrime. Sbigottito, si guardò la punta delle dita, bagnate. Emise un grosso espiro, portandosi in piedi, facendo ben attenzione a non fare movimenti bruschi.
Aveva una sete infernale! Infilandosi la rinfrancante tuta del Club di Atletica che portava stampato il suo cognome sul retro, posò delicatamente le labbra sulla fronte di Tsuna, che mugolò del sonno, e uscì dalla stanza per recuperare dell’acqua.
Si era fatto molto più tardi di quello che credeva e nell’albergo regnava il più completo e totale silenzio. E la più completa e totale oscurità. Fu proprio per questo che, una volta arrivato nella sala da pranzo, si accorse solo all’ultimo momento che vi si trovava un’altra persona.
Beh, è inevitabile, pensò, sorridendo appena.
Hayato si voltò di scatto nel momento in cui sentì Enma avvicinarsi.
Per un lungo, lunghissimo, istante, i due si studiarono in silenzio, poi il Guardiano riportò lo sguardo davanti a sé, a fissare fuori dalla finestra la luce tremolante delle stelle glaciali.
- Come stai? – gli domandò, guardandolo di sottecchi.
- Meglio, grazie – rispose, felice del fatto che si fosse interessato del suo stato – Sto cercando qualcosa da mangiare, perché immagino che Tsuna non abbia cenato … - proseguì a parlare. Sicuro che il ragazzo non era sceso per cena, perché lui stesso gliel’aveva impedito, ancorandosi a lui.
- Hum … - fu il commento laconico di Hayato, detto mentre si cacciava le mani in tasca, voltandosi verso di lui e scandagliandolo dalla testa ai piedi. Quel ragazzo aveva veramente a cuore il bene del suo Juudaime. Quando gli occhi turchesi si posarono su quelli di Enma, per i due fu come una sorta di deja-vù. Rivissero, l’uno nello sguardo dell’altro, quanto visto nei loro sogni. E bastò guardarsi per capire che avevano avuto lo stesso tipo di ricordo. Hayato scostò per primo lo sguardo, passandogli a fianco e augurandogli la buonanotte. Ed Enma, facendosi coraggio e traendo un grosso sospiro, lo bloccò fermandolo per un braccio. Doveva sapere.
Il Guardiano sgranò gli occhi sorpreso, spostando poi l’attenzione al volto dell’altro, il quale – fatto l’ennesimo sospiro - sollevò gli occhi su di lui.
- Io credo che Cozzato e G. avrebbero desiderato che le cose tra noi due andassero diversamente. – proferì semplicemente Enma. Ad Hayato si mozzò il respiro in gola. Ripensò al dolore del suo predecessore e, di nuovo, sentì una stilettata trafiggergli il cuore. Non riuscì a rispondere alcunchè e, dopo aver abbassato mestamente gli occhi a terra, li riportò verso quelli di Enma, che riprese a parlare.
- Gokudera, ho fatto qualcosa che ti ha infastidito? – chiese. Nel suo tono e nel suo sguardo non c’erano la solita sfumatura di dolcezza, ma era incredibilmente serio. Sempre più spesso, era in grado di tirare fuori quella venatura di autorità che spetta ad un vero boss. E Hayato gli pose la massima attenzione.
- No. – rispose, sincero. Era praticamente impossibile subire un torto da uno come Enma, questo glielo doveva.
- Se ho fatto qualcosa di sbagliato, dimmelo per favore e chiariamo una volta per tutte. – proseguì, sempre serio. E Hayato, nuovamente, sgranò gli occhi e sorrise dentro di sé. Enma e Tsuna si assomigliavano veramente molto da quel punto di vista. Ecco perché il Juudaime si è innamorato di lui, pensò. Avevano lo stesso senso di lealtà, lo stesso recondito bisogno di esser chiari e leali con gli altri.
Solo quando si rese conto di aver la massima attenzione dell’altro, il rosso allentò la presa sul braccio.
- Kozato, non hai fatto niente. Cosa te lo fa pensare? –
- Dal modo in cui mi guardi. – fu la risposta lapidariamente sincera, che lasciò Hayato spiazzato mentre schiudeva la bocca per parlare, ma nessuna parola vi uscì.
… se il tuo discendente avrà il tuo carattere di merda, siamo fregati. Povero Simon futuro … aveva detto Cozzato, ripensò Hayato. E aveva ragione! Maledettamente ragione!
Il fatto che tacesse, indusse Enma a credere – erroneamente – che l’altro avesse qualcosa contro di lui.
- Gokudera, mi spiace per tutto il casino che ho combinato durante la Cerimonia di Successione. – spiattellò alla fine, mortificato.
- Ehi, non eri in te – si affrettò a rassicurarlo, finalmente, l’altro – Ti era stato fatto credere che la tua famiglia fosse stata sterminata da noi Vongola. E non da una persona qualsiasi, ma addirittura dal padre del Juudaime … -
Enma deglutì a fatica a quel ricordo, mordendosi il labbro inferiore.
- Nessuno ti può biasimare. Da quando eravate piccoli siete dovuti crescere da soli e avete sempre subito umiliazioni e sorpusi da parte degli altri, certi che i Simon fossero stati traditi dai Vongola. E poi se per il Juudaime è tutto a posto … - ma Enma lo interuppe.
- Non mettere in mezzo Tsuna. Dimmi tu, dimmi quello che provi tu. – lo pregò, portandogli entrambe le mani sulle spalle, inquisendolo con lo sguardo. E Hayato, che non era bravo con le parole, che non era bravo a manifestare i suoi sentimenti, nuovamente tacque. Meravigliato, ma al tempo stesso anche ammaliato, dal fervore con il quale l’altro stava parlando. Ed Enma, non si risparmiò di certo.
- Indipendentemente da quello che Loro avrebbero desiderato, a me piacerebbe davvero esserti amico ... – gli rivelò, e sul suo volto ritornò la solita dolcezza.
- Tu non sai niente di me … - mormorò Hayato ostico, notando come gli occhi dell’altro, vicini ai suoi come mai erano stati, brillassero. A quell’obiezione, Enma si permise di sorridere.
- So che per quello in cui credi ti butti a capofitto. So che dietro a questa facciata a volte scontrosa c’è un cuore d’oro e un animo indomito. So che per i tuoi amici, per proteggerli, per proteggere il loro sorriso, passeresti anche in mezzo alle fiamme dell’Inferno … e quello che non so, per favore: permettimi di conoscerlo. – sussurrò in un soffio, sorridendogli nuovamente, non mollando la presa dalle sue braccia. Hayato si trovò a deglutire a vuoto, leggendo in quegli occhi la trasparenza, la sincerità, la purezza.
- Hayato? –
La voce di Takeshi, fermo immobile sulla soglia della porta, mentre li osservava perplesso percependo chiaramente la tensione tra di loro, li fece voltare di scatto entrambi. Enma lo liberò dalla sua stretta, ma ci fu un istante in cui i due si studiarono ancora negli occhi.
- Buonanotte … - bisbigliò il Guardiano, prima di voltarsi e raggiungere il suo compagno.
- Buonanotte … - sussurrò in risposta Enma, fissandoli.
 
Takeshi, mentre si indirizzavano in silenzio verso l’ascensore, lanciò occhiate sempre più dubbiose all’altro, attendendo che parlasse, ma quando vide che – al solito – Hayato si era chiuso a riccio, capì che toccava a lui rompere il silenzio.
- Di cosa stavat … - non fece neanche a tempo a finir la domanda, sorridente, che l’altro lo interruppe.
- Niente! – fu la brusca replica di Hayato mentre scendeva dall’ascensore, che gli fece morire il sorriso sulle labbra.
Sospirò gravemente Takeshi, fissando la schiena dell’altro mentre apriva la porta della loro stanza. Sospirò e nuovamente, come solo la paura sa fare, fu scaraventato a forza nella sua angoscia più atavica. Nella paura di perderlo. Nel timore che Hayato non fosse suo. Cercò di calmarsi, Takeshi, d’altra parte la calma era la sua forza, una delle sue innumerevoli qualità. Ma non quando si trattava del suo adorato amore. Non quando temeva che quegli occhi turchesi lo fissassero e si sentisse mormorare che tra loro non poteva continuare, perché non era di lui che era innamorato.
“Forse” pensò lo spadaccino “dovrei dimostrargli di più ciò che provo. Il fatto che non voglio che sia di nessun altro.”
Come in trance, vide se stesso muovere quei pochi passi che, pietrificato dai dubbi, dalla paura, le sue gambe si erano rifiutate di fare. Vide le sue mani afferrare l’altro di spalle, di come Hayato si girò sbigottito verso di lui, di come chiuse la porta dietro di loro con un calcio, di come lo scaraventò sulla parete in entrata, di come il Guardiano della Tempesta neanche tentò inizialmente di opporre resistenza alcuna nel momento in cui iniziò a strappargli letteralmente i vestiti di dosso, perché troppo sorpreso.
- T-Takeshi … - cercò di fermalo Hayato, ripresosi dallo stupore iniziale, ma ancora troppo scosso. Neanche lo riconosceva. Quello non era il suo fissato del baseball. Non era da Takeshi imprigionargli i polsi in una morsa sopra le loro teste. Non era da Takeshi impedirgli ogni via di fuga, incastrandolo tra lui e la parete con un colpo di reni, dopo che aveva cercato di spingerlo via. Non era da Takeshi cercare di farsi strada dentro di lui, senza averlo minimamente preparato. Incredulo, Hayato, tentò nuovamente di liberarsi dalla presa dell’altro, ma lo spadaccino strinse ancora di più.
- Takeshi … - ci riprovò allora nuovamente. Ma il nome del suo amato gli morì in gola, perché fu un gemito strozzato quello che richiese a prepotenza di uscire, nel momento in cui Takeshi lo penetrò con un’unica spinta decisa. Strabuzzò gli occhi incredulo. Che diavolo stava succedendo?, si stava chiedendo freneticamente, mentre l’altro gli sollevava maggiormente la gamba destra per potersi muover agevolmente e spingersi maggiormente dentro di lui. Neanche si era spogliato. Neanche l’aveva spogliato completamente! Si era limitato a togliergli pantaloni e boxer, mentre lui aveva semplicemente abbassato i suoi, per permettere al suo sesso di uscire dagli indumenti.
Fissando le loro figure avvinghiate attraverso lo specchio nella parete di fronte a loro, Hayato si scoprì intento ad assicurarsi che quello lì con lui fosse veramente il suo Takeshi.
“ Cazzo!” salmodiò dentro di sé, non trovando niente di meglio che mordergli una spalla per farlo smettere. Non gli aveva dato così fastidio neanche la loro prima volta.
- Ohi! – lo redarguì pesantemente, e finalmente Takeshi si degnò di spostare gli occhi nocciola sui suoi, ma quello che vide lo lasciò pietrificato.
- Tu sei solo mio, sono stato sufficientemente chiaro? – gli soffiò sulle labbra lo spadaccino, con un tono di voce e uno sguardo così tremendamente severo che Hayato non gli aveva mai visto prima. E che, sarebbe stato un bugiardo se non l’avesse ammesso con se stesso, gli piacque. E tanto anche!
Impossibile replicare ad un’affermazione del genere. Ad un tono del genere.
E poi gli arrivò ai sensi. Ancora fresca della corsa appena finita, arrivò ai sensi di Hayato la fragranza della pelle sudata di Takeshi, facendogli scorrere i brividi per tutto il corpo. E allora, facendo leva sul tavolino che aveva a fianco, si issò sul corpo dell’altro, allacciandogli le gambe sulla schiena. Solo allora Takeshi, per forza di cose, gli liberò i polsi e portò le mani su di lui, per tenerlo e poter affondare maggiormente in lui.
“ Guarda solo me Hayato, ti prego. Solo me …” continuava a pregare lo spadaccino dentro di sé, imprimendo se stesso nell’altro, come a volergli lasciare un marchio.
Hayato dal canto suo, vinta la comprensibile ritrosia iniziale, si lasciò completamente andare. Non che gli dispiacesse che quando lo facevano, Takeshi fosse dolce prima, durante e dopo - era una cosa così da lui! – ma avrebbe mentito a se stesso ancora una volta se non avesse ammesso che quella maniera rude e selvaggia di fare l’amore – impressi a forza su di una parete, ancora praticamente vestiti, con Takeshi che affondava in lui senza alcuna pietà, con l’ansimare di piacere di quest’ultimo che gli stuzzicavano il lobo dell’orecchio, con i suoi stessi gemiti che salivano d’intensità e dei quali, più tardi, era certo si sarebbe vergognato come un ladro - gli stava piacendo. E quasi si stupì, sgranando gli occhi e aggrappandosi ancora di più alla schiena del suo adorato, nel momento in cui sentì la scarica più poderosa che mai avesse provato in vita sua squarciarsi nel basso ventre e iniziare a godere come mai prima di allora.
Implorando, supplicando, miagolando il nome di Takeshi, venne come mai gli era successo.
E Takeshi immediatamente dietro di lui.
Ansanti, ancora gementi, con le braccia e le gambe che ancora tremavano per lo sforzo, rimasero l’uno sull’altro.
Takeshi schiuse appena gli occhi, sentendo i capelli di Hayato stuzzicargli la punta del naso e solo allora riprese completo contatto con la realtà. Sentì l’ansimare conciato suo e di Hayato, di come questi fosse avvinghiato su di lui, di come lui lo stava tenendo ancora imprigionato tra il suo corpo e la parete. Spalancò gli occhi, sussultando. Solo allora si rese conto di quello che aveva fatto. Di come l’aveva fatto. Sentì il morso sulla spalla che gli aveva fatto Hayato pulsare, vide i segni sui polsi di quest’ultimo che LUI gli aveva procurato, e si maledì.
“ Oh, no! Che cosa ho fatto!” si maledì dentro di sé, angosciato. Senza avere il coraggio di spostare lo sguardo verso il volto del suo adorato. Verso quegli occhi turchesi tanto amati e per i quali avrebbe fatto qualsiasi cosa …
 
 
Continua …
 
 
Clau: Ciao bella gente. Ecco, devo dire che continuo a scioccarmi da me medesima^^’ Dai, vi prego:  non mi dite che Takeshi lovelove vi sembra OOC, io morivo dalla voglia di descriverlo un po’ più selvaggio nel momento del fornicamento. Oltretutto, ad Hayato è piaciuto tanto.
Goku: Questo lo dici tu veramente!
Takeshi: Beh, veramente lo dico anch’io^^
Clau: *ç* Oh, Madre *ç*
Goku: Mmmmmmm, che solfa! Andiamo avanti?
Clau: Oh, Goku: stai morendo dalla voglia di esser tu il protagonista assoluto del gioco “Se fosse”?
Goku: Assolutamente no.
Clau: Bene, cominciamo^^
Goku: Ohi! Ma mi hai ascoltato?
Clau: No, come sempre ahahah^///^
Goku: Cioè, lo ammetti anche?
Clau: Ahahah^O^
Goku: Basta ridere! Ti hanno separato dalla nascita da quell’altro idiota?!
Clau: Veramente io per disgrazia sono nata il giorno prima del Mr.Sociopatico di Hibari, quindi sarei potuta esser separata alla nascita da lui … Brrrrr, brivido di terrore!
Hibari: -_______-
Clau: Anche se ogni tanto, aver il caratteraccio sbroccato di Kyoya mi farebbe comodo.
Hibari: Hn!
Goku: Ohh, io direi che il “Se fosse” potremmo farlo su di te.
Clau: Eh?! Ma non penso che ai nostri cari lettorucci interesserebbe più di tanto.
Goku: Oh, ma a noi sì, invece.
Clau: Ehm, Goku: mi inquieti^^’
Goku: Bene gente cominciamo. E non trattenetevi eh. Se la Clau fosse un aggettivo, che aggettivo sarebbe?
(Terry, qua mi vien troppo in mente la descrizione che Allen fa di Tyki ^O^ Ancora rido!)
Takeshi: Hum ….
Dino: Hum …
Tsuna: Hum ….
Lambo: KYAKKYYYAKKKYYYA
Hibari: Hn!
Mukuro: Kufufufu.
Ryohei: Hum …
Goku: Occhio Testa a Prato, vedo fumo. Non sforzarti troppo a pensare.
Clau: Ahahah, Goku: questa mi piace proprio. Scusa Onii-chan^^
Goku: Allora? Nessuna risposta. Ok, rispondo io per tutti: Maniacità.
Clau: -__- Ma Goku …
Goku: Proseguiamo. Se la Clau fosse un mestiere, che mestiere sarebbe?
Takeshi: Hum ….
Dino: Hum …
Tsuna: Hum ….
Lambo: KYAKKYYYAKKKYYYA
Hibari: Hn!
Mukuro: Kufufufu.
Ryohei: Hum …
Goku: Ohi! Un po’ di fantasia. Rispondo io anche questa volta: la maniaca.
Clau: -__- Non è un mestiere Goku.
Goku: Zitta tu! Continuiamo. Se la Clau fosse la prima cosa che vi viene in mente, cosa sarebbe?
Takeshi: Hum ….
Dino: Hum …
Tsuna: Hum ….
Lambo: KYAKKYYYAKKKYYYA
Hibari: Hn!
Mukuro: Kufufufu.
Ryohei: Hum …
Goku: Ehhh, ma che palle che siete!
Clau: ^^’
Goku: Rispondo io di nuovo per tutti: la maniaca.
Clau: Ma Goku! Lo sai che la prima cosa che si nota negli altri, in realtà è la prima cosa che caratterizza noi stessi?
Goku: Tch!
G&Giotto: Buonasera a tutti.
Clau: Oh Signore! Muoio dissanguata*ç*
Goku: Tch! E poi ha anche il coraggio di negare!
Dino: Chiudiamo?
Takeshi: Sì và.
Tsuna: Ciao a tutti e alla prossima.
Studentesse: Profffff ci dica almeno il nome della sua ragazza!
Ryohei: Pft!
Hibari: Hn!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sulle macerie delle tue sconfitte costruisci le tue vittorie ***


Mi cospargo il capo di cenere! PerdonatemiT_T Come scusante posso solo dirvi che son strapresa con le prove per i concerti di Dicembre e che quando ho tempo mi esercito sui pezzi come una matta – non che ci voglia tanto per farmi andar via di testa più di quello che già sono ahahah.
Ma ora, eccomi qui. E buona lettura <3

 
 
 
“Sulle macerie delle tue sconfitte costruisci le tue vittorie”
 
 

CAPITOLO 4
 

Kyoya si trovava in ascensore con Dino e con l’uomo dai decibel più alti dell’intero universo, alias: Sasagawa Ryohei. Incredibilmente, la voce più che squillante del pugile non era il motivo – o per lo meno non il primo – per il quale voleva scaraventarsi fuori da quell’angusto abitacolo.
Sentiva il collo della camicia opprimerlo sempre di più. Per non parlare del resto dei vestiti. Decise di concentrarsi stoicamente sul display dei piani. Addirittura si sforzò di ascoltare la conversazione che pareva tanto divertire il suo compagno e Ryohei.
Dino, a dirla tutta, più volte da quando erano saliti in ascensore, gli aveva lanciato occhiate inquisitrici, perché si era ben accorto del suo disagio, ma lui aveva sempre evitato di incrociare il suo sguardo. Molto semplicemente perché quando i suoi occhi grigi si posavano su quelli marroni di Dino, quella sensazione strana aumentava esponenzialmente.
Si sforzò quindi, Kyoya, di ascoltare gli altri due. E quello che captò lo lascio pietrificato sul posto.
Era il boxeur che stava parlando in quel momento, impossibile non sentirlo tra l’altro!
- I dolcetti al cioccolato della proprietaria dell’albergo erano estremamente fenomenali! –
“ Che cosa ha detto ‘sto deficiente? Cioccolato?” s’irrigidì Kyoya.
Lui non poteva mangiare il cioccolato! E per un semplice, inquietate motivo …
(Nota seria, ahahah^//^ Mi faccio ridere da sola. ‘Sta cosa della strana allergia di Hibari verso il cioccolato e dei suoi particolari^^ effetti, me la sono inventata di sana pianta qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1710852&i=1)
Quanti ne aveva mangiati?, si trovò ad interrogarsi.
cinque … si rispose.
“Cinque!?” andò in fibrillazione dentro di sé, mentre si portava una mano tra i capelli neri, prendendo un ispiro e un espiro silenziosi.
“ Come ho fatto a resistere fino adesso?” si chiese. Merito del suo feroce autocontrollo, era la risposta.
Lanciò un’occhiata di fuoco e di accusa verso Dino, ma Dino non poteva averlo fatto apposta a farglieli assaggiare. Primo perché il cioccolato era l’ingrediente segreto, ben nascosto. Secondo perché Dino non sapeva …
Figurarsi se Kyoya si era mai fatto sfuggire con il biondo che ogni volta che mangiava cioccolato, per una strana e inspiegabile reazione chimica, questo sortiva su di lui un effetto peggiore di un potentissimo afrodisiaco! Era certo che quel molesto l’avrebbe usata come arma contro di lui.
E adesso … E adesso erano chiusi dentro quel maledetto trabiccolo e lui sentiva che i pantaloni gli stringevano sempre di più e dentro quel maledetto ascensore c’era una persona di troppo!
Maledì con tutto se stesso la presenza di Sasagawa Ryohei. Ok, lo faceva sempre ogni qualvolta si trovava in presenza del pugile e questi, puntualmente, lo privava del senso dell’udito, ma quella volta il motivo era ben altro.
“Calmati! Calmati!” s’istruì a forza.
Ecco perché sentiva sempre più caldo. Ecco perché gli abiti erano sempre più opprimenti. Ecco perché aveva iniziato a guardare Dino con occhi sempre più famelici, quanto un lupo di fronte ad un agnellino. Con la sola differenza che il giovane Boss non era un agnellino indifeso e sprovveduto. E questo Kyoya lo sapeva molto bene, proprio per questo la sua eccitazione montava dentro di lui con forza sempre più incalzante. Perché conosceva perfettamente cosa quelle dita erano in grado di scaturire in lui. Quali brividi quelle labbra fossero capaci di procurargli …
Quasi si fosse trovato di colpo con le capacità sensoriali amplificate, sentiva chiaramente il profumo dei capelli dorati dell’altro, il profumo ambrato della sua pelle. Il calore di quella pelle …
Stava per andare via di testa. “ E questo infame non mi è di certo di aiuto!” lo maledì, vedendo come il biondo, con la sua solita sensualità incurante ed innata, si portò distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, lasciandogli scoperto il collo mentre continuava a chiacchierare allegramente con Ryohei. Offrendoglielo. Kyoya poteva vedere perfettamente ogni singolo contorno delle fiamme impresse a fuoco sulla pelle ambrata dell’altro.
Si sarebbe scaraventato fuori dall’ascensore!
Per sua fortuna, invece, l’abitacolo si fermò, per far scendere il Guardiano del Sole. Fu certo che i suoi occhi grigi ebbero un guizzo quando Ryohei si voltò verso di lui per augurargli la buonanotte, dato che lui e Dino avevano la loro stanza tre piani più su e quindi sarebbero stati finalmente soli. Fu anche certo che, inconsciamente, proprio come un lupo famelico, si passò la lingua sulle labbra, pronto per il suo spuntino. Ma come i poveri lupi delle favole, Hibari fu gabbato!
Insieme a Ryohei, scese anche Dino.
- D-dove stai andando? – lo ammonì secco.
- Hum? – lo interrogò Dino, voltandosi a fissarlo perplesso.
- Dove vai? – sibilò minaccioso.
- Vado a vedere come sta Enma. – fu la replica tranquilla del biondo, detta con un amabile sorriso.
E il sorriso di Dino e il suo “arrivo subito”, furono le ultime cose che vide e sentì prima che le porte dell’ascensore gli si chiudessero in faccia.
- Crepa inetto di un Cavallone! – sussurrò, ancora sconcertato dall’incredibile piega della situazione, sentendosi venir meno, costretto ad appoggiare una mano alla parete. Non ce l’avrebbe mai fatta!
 
E invece, visto che Hibari Kyoya era una specie di highlander, ce la fece eccome.
Il Disciplinare riuscì a calmarsi a forza, con il suo eccitante compagno fuori dalla portata dei sensi e, a mali estremi, estremi rimedi.
Estremi rimedi che Dino scoprì non appena tentò di aprire la porta della loro stanza, nel momento in cui fu di ritorno dopo essersi assicurato da Tsuna sulle condizioni di Enma, che dormiva ora pacificamente.
Sgranando gli occhi marroni sorpreso, nuovamente fece leva sulla maniglia della porta, ma, di nuovo, la serratura non scattò. Segno che qualcuno, da dentro, l’aveva chiusa a chiave. Sempre più perplesso da quello strano comportamento del suo compagno, bussò lievemente.
- Kyoya? – chiamò a mezza voce, accostando un orecchio. Non era da Hibari quel comportamento guardingo. Se solo avesse saputo che quella precauzione era stata addotta per lui!
- Kyoya? – ci riprovò. E la sconcertante risposta arrivò.
°° Trovati da dormire da un’altra parte per questa notte.°°
Ecco qual era lo stoico proposito del Guardiano. Sapeva che nel giro di qualche ora l’effetto afrodisiaco del cioccolato sarebbe svanito. Semplicemente doveva stare senza avere Dino intorno fino a quel momento. Non poteva fargli vedere quel suo punto debole, era una questione di principio. E di stupidissimo orgoglio ovviamente. Di fronte a Dino, che era praticamente perfetto anche nella sua insulsa imbranataggine, Kyoya non voleva sentirsi da meno. Che il suo compagno potesse perdere interesse nei suoi confronti. Come se a Dino importasse poi! Erano ben altre le cose per cui si era innamorato di lui e che se ne innamorava ogni giorno sempre più.
- Hah? – esclamò incredulo il biondo, facendo ancora una volta leva sulla maniglia, riprendendo a bussare, incurante stavolta del fatto che avrebbe svegliato tutto il piano probabilmente. Non gli era piaciuta proprio per niente quella risposta.
- Kyoya! – e il suo tono stavolta non era più interrogativo.
°° Ci vediamo domani mattina.” fu l’imperturbabile replica.
- Non dire stronzate! – stava veramente iniziando a perdere la pazienza. E come quelle rare volte in cui succedeva, il suo tono di voce si abbassava fino a renderlo un arrochito ancora più sensuale di quello che già era.
°° Hn!°° tentò di resistere. Dino arrabbiato, pensò. Non aveva prezzo!
Chissà cos’era in grado di fare quando era incazzato. Non riuscendo in nessuna maniera a frenare i pensieri e le immagini sempre più perverse, Hibari si artigliò alle lenzuola.
- Kyoya! – e questa volta non ammetteva repliche.
Con un lungo brivido che gli attraversò tutto il corpo, procurandogli scariche elettriche che si condensavano dolorosamente sul già martoriato basso ventre, grugnendo, Kyoya andò ad aprire la porta, e quello che vide … Oh, lo lasciò senza fiato.
Il biondo se ne stava a braccia conserte, piegando la testa di lato come a volergli chiedere spiegazioni. Spiegazioni che lui non gli diede, mentre si trascinava nuovamente verso il letto, infilandosi sotto le coperte. Speranzoso.
 “Ok, basterà aspettare che mi salti addosso lui.” pensò infatti. Così non gli avrebbe dovuto rivelare quel suo imbarazzante punto debole, ma al contempo avrebbe sfogato quella voglia che stava raggiungendo vette epocali. Per non parlare di quando Dino, uscito dal bagno, davanti a lui si tolse la maglia e restò scoperto dalla vita in su. Come un superstite in mezzo alle soffocanti sabbie del deserto, Kyoya si trovò a bere ogni singolo centimetro di quella pelle scoperta. Di quel fisico praticamente perfetto senza sforzo alcuno, ma solo gentile dono di madre Natura. Dei muscoli delle braccia perfettamente torniti e asciutti. Senza rendersene conto, Kyoya si infossò ancora di più sotto le coperte, sentendo come la vergognosa erezione pulsasse con sempre maggior rabbia e veemenza.
Con i suoi occhi da gatto, lo studiò avvicinarsi al letto, sedervisi. E attese … Attese pensando che tra breve la sua sete sarebbe stata placata. E invece Dino – una volta che si fu infilato a sua volta sotto le coperte - si limitò a posargli un leggero bacio sulle labbra, mentre sul suo volto era ritornato il sereno.
- Buonanotte … - gli sussurrò il biondo, soffiandogli sulle labbra, mentre lui, istintivamente, le protendeva ulteriormente verso di lui.
Pensò stesse scherzando, ma quando il giovane boss chiuse la luce, Kyoya si trovò a fissare il buio. Incredulo, lo scrutò di sottecchi. Non poteva crederci!
- Non provi nemmeno a saltarmi addosso? – gli chiese con tono di voce atono. Tono che cozzava spaventosamente con quell’uscita, tanto che Dino riaprì gli occhi e lo fissò perplesso.
- Tutto bene? – gli chiese, ricevendo in risposta il solito grugnito.
Poteva resistere, poteva farcela. Quando mai lui, Hibari Kyoya, non aveva resistito agli istinti umani semplicemente ignorandoli? Mai. Appunto! Sì, certo: peccato che l’arrivo di Dino nella sua vita gli avesse scartavetrato ogni suo modo d’essere.
Sospirando impercettibilmente, voltò la testa verso il suo compagno, a fissargli la schiena. Quanto maledettamente sexy era? Tanto.
“Troppo!” lo corresse il suo autocontrollo. Sembrava nato apposta per tentarlo.
Ulteriore sospiro, solo stavolta più rumoroso, prima di avvicinarsi furtivamente al suo compagno.
Quasi fosse stato un gatto in calore, iniziò a strusciarsi su di lui, mentre una mano raminga iniziò a pellegrinare sul corpo del biondo, sapendo perfettamente quale fosse la meta.
- Kyoy … - fece tempo solo a dire Dino, prima che la mano dell’altro centrasse l’obiettivo.
Dino si trovò a deglutire quando sentì le dita del suo innamorato scivolare suadentemente dentro i boxer.
- Kyoya? – lo interrogò nuovamente, bisbigliando appena il suo nome. Incredulo.
E Kyoya si limitò a rispondergli passandogli la punta della lingua lungo il profilo dell’orecchio.
Nuovamente, il biondo si ritrovò a deglutire il vuoto. Cosa stava succedendo? Si stava chiedendo sbigottito, mentre sentiva il corpo del Disciplinare spalmarsi sempre più contro il suo, mentre questo aveva spostato l’attenzione della sua lingua al collo, con la mano raminga che avvolgeva il suo membro e ne seguiva i movimenti.
“Chi se ne frega!” si rispose “Va bene così.”
- Captato il messaggio? – gli sussurrò Kyoya, con una voce che non gli aveva mai sentito prima ma che Dino sapeva poter esser in grado di modulare, mentre gli spingeva contro la sua eccitazione.
- Forte e chiaro! – fu la replica, sentendo l’erezione del compagno pulsargli addosso.
Piegando le labbra nel suo sorrisetto sghembo, Dino si voltò verso l’altro, ma si trovò spinto a forza sul materasso, mentre Kyoya gli saliva a cavalcioni, togliendosi la maglia. Dino rimase senza fiato, mentre cercava nuovamente di mettersi seduto a sua volta, ma l’altro glielo impedì di nuovo, imprigionandogli i polsi sopra la testa, non distendendosi tuttavia completamente sopra di lui, ma lasciando che i corpi si sfiorassero appena, tentando di sfuggirgli anche con le labbra, da quel bacio che il biondo stava pretendendo con sempre maggior forza. Si fissarono negli occhi, scambiandosi uno sguardo carico di complicità come mai prima di allora e come sarebbe stato sempre di più nella loro vita insieme.
- Kyoya, che cosa è successo? – chiese piacevolmente sorpreso, in un bisbiglio.
- Non te lo chiedere … - fu la replica mormorata, mentre si abbassava verso il suo volto, liberandogli i polsi e tuffando le dita tra quei fili dorati, scivolando sotto di lui.
Assaporando l’uno le labbra dell’altro, si sfiorarono appena in piccoli baci. Piccoli, dolci … Dino ne era letteralmente deliziato, perché lui, manco a dirlo, era un coccolone di natura, e gli mancava non poteva riempire di coccole l’altro. Sorrise di fronte all’inconsueta mansuetudine dell’altro alle sue tenere carezze. Gli strofinò la punta del naso sulla guancia, prima di abbracciarlo e stringerlo forte a sé e sentire come il cuore di entrambi galoppasse all’impazzata. E come qualcosa di ancora più pressante e urgente pulsasse con cattiveria in entrambi.  E prima ancora di fare alcunchè, fu Hibari a parlare.
- Cavallone? –
- Sì? -
- Fai il cattivo? – gli sussurrò impunemente Kyoya, sciogliendo appena l’abbraccio e sollevando gli occhi grigi su di lui. Il tono quasi pudico con il quale l’aveva detto fu in grado di mandare ulteriormente su di giri Dino che, sopra di lui, si scostò maggiormente per poterlo guardare, mentre si trovava a deglutire a vuoto.
- V-vuoi che faccia il cattivo? – chiese, incespicando sulle sue stesse parole. Addirittura si poteva dire in imbarazzo, come neanche la loro prima volta era stato.
- Hum-hum … - fu la replica, mentre gli passava le mani sulla nuca per attirarlo nuovamente a sé e legarsi in un bacio preludio del Paradiso nel quale si sarebbero gettati a vicenda.
 
 
Tsuna osservava Enma dormire tranquillamente. Più che osservare, sarebbe stato più corretto dire che si trovava in muta e perpetua adorazione.
Quando poco prima era passato Dino a sincerarsi sulle condizioni del Boss Simon, questi già dormiva placidamente. Tsuna, dopo aver salutato il biondo e auguratogli la buonanotte, rabbrividendo si era rituffato dentro il rincuorante tepore delle coperte. E delle braccia di Enma. Quest’ultimo aveva mugugnato qualcosa di non meglio decifrato nel sonno e lui aveva sorriso teneramente. Così come si era trovato a sorridere dal profondo del cuore quando era stato lui a risvegliarsi e trovare Enma seduto ai piedi del letto, ad attenderlo dopo avergli procurato la cena. Era una cosa a dir poco sensazionale come quel ragazzo fosse in grado di farlo stare divinamente.
Seduti sul letto, con la stessa coperta gettata sulle spalle, ridendo, avevano consumato insieme quel frugale pasto. Ma come se fosse stato la cena preparata per un re.
Più volte si erano ritrovati a fissarsi frenando il flusso di parole per scoppiare a ridere silenziosamente per non arrecare disturbo ai vicini di stanze.
- Va tutto bene? – si era ritrovato a chiedergli più di qualche volta, quando notava lo sguardo di Enma perdersi, ed ogni volta questo gli faceva un accenno con la testa ad indicare che, sì: andava tutto bene. E allora Tsuna lo fissava dubbioso, non potendo sapere della conversazione avvenuta poco prima con Hayato e l’unica cosa che poteva fare era prendergli la mano e stringerla alla sua. A comunicargli ciò che parola umana non poteva trasmettere.
Fu quando si ritrovarono a dormire anche per quella notte sullo stesso letto, che Enma si decise a parlare. Nell’oscurità della stanza, Enma ruppe il silenzio, mentre le dita di Tsuna percorrevano i muscoli della sua schiena, appurando come nonostante il suo compagno fosse uno smilzo di natura, gli allenamenti del club di Atletica avevano dato i loro frutti. Sotto la punta della sue dita infatti, Tsuna poteva perfettamente sentire la tonicità della muscolatura di Enma e si ritrovò a seguirne il contorno affascinato. Fu strappato a forza da quel mondo incantato quando il suo compagno lo richiamò.
- Tsuna? –
- Sì? – aveva risposto lui, bloccando le dita a mezz’aria. Attendendo. Ascoltando il sospiro di Enma prima che riprendesse a parlare.
- Ti capita mai di fare dei sogni, che non sono propriamente dei sogni ma … - nonostante sapesse che quello che stava per dire all’altro non sarebbe apparso come un’assurdità, si faceva ancora qualche remora. D’altra parte, per lui aver il sangue del suo antenato dentro di sé prepotentemente risvegliato, era una cosa ancora nuova.
- Ma?  - lo aveva incitato Tsuna.
- Ma ricordi di Giotto? – aveva rivelato alla fine, affondando la testa sull’incavo del collo dell’altro.
- Sì … - era stata la replica. Replica che aveva fatto sollevare lo sguardo di Enma verso gli occhi castani di Tsuna. A quella rivelazione si era sentito incredibilmente sollevato. Ok, non stava impazzendo del tutto, aveva pensato con un sospiro di sollievo. E il fatto che l’altro stesse sorridendo stava a significare che era una cosa che gli capitava spesso, e da molto.
- Anche questa notte mi è capitato. – aveva rivelato Tsuna, ed Enma si era fatto attento, sollevandosi in appoggio sul gomito per poter ascoltar attentamente. Peccato che il Juudaime aveva preteso che lui si rimettesse nella posizione di poc’anzi, in maniera tale da poter continuare a stare abbracciati, distesi uno di fronte all’altro.
- Quello di questa notte è un ricordo che non avevo mai visto prima … - aveva iniziato a raccontare, ricercando nei meandri della memoria di ricreare il ricordo – Il Primo era con Alaude e … qualcosa in merito a … a un posto dove G. e Cozzato erano andati insieme … -
Si era interrotto, Tsuna, quando aveva visto Enma sgranare gli occhi. Stavano rivivendo, da punti di vista differenti, lo stesso ricordo. E poi l’aveva visto ridere e allora lui aveva piegato la testa di lato perplesso, ad interrogarlo con lo sguardo.
- Sei consapevole vero del fatto che se anche Hibari ha questo genere di ricordi nei sogni, tu ed io siamo morti? –
E Tsuna non aveva potuto far altro che scoppiare a ridere a sua volta.
 
 
...
Con l’acutezza dei sensi che era propria ad entrambi, G. e Cozzato si erano bloccati di colpo nel medesimo istante, mettendosi ai lati dei due piccoli aceri. Si erano fissati negli occhi, tirandosi su i cappucci dei loro pastrani per mimetizzare in parte i loro capelli rossi che brillavano incautamente come stendardi infuocati sotto il riflesso spettrale della luna.
I passi si avvicinavano sempre più. Certo, erano passi felpati, di chi voleva mantenere il riserbo, ma loro due – penetrati a forza nella rocca disabitata doveva sapevano ci sarebbe stato un raduno di personaggi che insospettivano e allarmavano Cozzato da un po’ – avevano i sensi allertati.  Erano andati lì in avanscoperta, per scoprire cosa stessero  ordendo e non era loro intenzione attaccare, anzi: non volevano in alcun modo far palesare la loro presenza. Volevano solo sincerarsi se i sospetti del Boss Simon fossero fondati o meno.  Quello che dovevano sentire, l’avevano sentito ed ora stavano cercando altri indizi, altre prove, prima di andarsene. Ovvio era che non si sarebbero tirati indietro di fronte ad uno scontro diretto, anche perché palesare la loro presenza lì avrebbe di sicuro mandato a monte i loro piani di segretezza e quindi di poter agir in contromisura.
G. strinse i flettenti del suo arco, quell’arco che era stato dono di Giotto perché quest’ultimo aveva intuito che quella era la sua arma letale naturale. E poi di nuovo lo sguardo a Cozzato, mentre questi andava in Hyper Mode. Cozzato non era uno che amava lo scontro. Preferiva parlare, mediare e con la scaltrezza e la sagacia che gli erano proprie, vi riusciva sempre egregiamente. Come Giotto d’altra parte. In questo erano uguali.
I passi si avvicinavano sempre più e loro erano pronti ad attaccare. Si fissarono di nuovo negli occhi, a comunicare. I loro muscoli si tesero come corde di violino, pronti a scattare. E poi … E poi nel silenzio della notte, nonostante il cupo ululare del vento, G. lo sentì.
“ Il chiama-angeli di Giotto …” si ritrovò a pensare il Guardiano sbalordito, sentendo il tintinnio che ben conosceva, perché quella collana gliel’aveva regalata proprio lui. E solo lui poteva sapere che Giotto non se ne separava mai. Che la teneva sempre addosso.
- Fermo Cozzato, fermo! – gridò verso l’amico, sollevando una mano a fermarlo. E, con il fiato ansante, si ritrovarono proprio Giotto di fronte.
Giotto che li fissò con sguardo severo.
 ...
 

Appena usciti da Residenza Vongola, Giotto e Alaude iniziarono a correre veloci e leggiadri. Sembrava volassero. Il vento gelido sferzava i loro volti e più volte fece cadere all’indietro il cappuccio dei loro pastrani. Sotto la luce argentea della luna, i loro capelli biondi illuminavano l’assurda oscurità della notte. (Sì, adoro i biondi lo sanno anche i muri, ma ultimamente mi ha preso una fissa assurda per i rossi, quindi non potevo non omaggiare entrambi in un parallelismo. NdC)
Mille pensieri arrovellavano la mente del Primo Boss Vongola, mentre seguiva Alaude davanti a sé. Era certo solo di una cosa. Se Cozzato e G. aveva agito senza di lui, voleva significare solo ed unicamente una cosa. Che lo stavano proteggendo. Era assurdo come quei due, silenziosamente, erigessero un muro protettivo intorno a lui. E non lo facevano perché pensavano che non fosse in grado di proteggersi da solo, ma molto semplicemente perché volevano fungere da filtro. Da parafulmini. Rendere meno gravoso e pressante il suo compito. Il suo ruolo.
In quei frangenti Giotto ripensò a come lui e G. avessero conosciuto Cozzato. A come si fossero ritrovati con lo stesso desiderio di voler proteggere la loro città e i loro abitanti. E non per un delirio di onnipotenza, ma perché ci credevano. E allora Cozzato, cacciandosi la visiera del cappello davanti agli occhi e le mani dentro le tasche dei pantaloni, aveva detto loro di seguirlo. E li aveva condotti nella Chiesa lì vicino, quella dedicata all’Arcangelo Michele, dove avevano trovato altre persone con il loro stesso desiderio. Con il loro senso di giustizia. Con la stessa necessità di proteggere gli altri. Era stato proprio Cozzato a raccoglierli tutti. Le ore erano volate in mezzo a quelle persone e lui e G. erano stati immediatamente accolti a braccia aperte. Con grandi sorrisi e manate amichevoli giù per la schiena. E alla fine, quand’era arrivato il momento di andarsene, proprio sotto gli occhi della statua dell’angelo guerriero che li fissava severo dall’alto, mentre brandiva la sua spada da una parte e la bilancia della giustizia nell’altra mano, loro tre si erano guardati negli occhi e avevano capito che tutte quei discorsi non sarebbero stati solo delle belle parole. Che avrebbero fatto quello che si erano preposti. E l’angelo guerriero li avrebbe condotti ovunque, poiché si sarebbero impressi la sua effige sul corpo. In una sorta di segno di fratellanza, di alleanza. Di promessa …
E i suoi occhi dorati, sulla via del ritorno dopo aver salutato Cozzato, avevano brillato più del solito.
G., già fido compagno della vita, era stato al solito la voce della sua coscienza.
- G. dobbiamo farlo. – aveva proferito dopo che entrambi erano stati immersi nelle loro meditazioni.
- Giotto, non tutti ti ameranno. A molti darai fastidio. Tanti ti faranno sorrisi amichevoli, mentre in realtà staranno tramando alle tue spalle. Sei disposto a sopportarlo? – gli aveva chiesto. Sapeva G., sapeva quanto il biondo ci tenesse a farsi volere bene dagli altri. Al fatto che si fidasse degli altri, perché sempre portato a sperare che il meglio delle persone venisse fuori. Lui invece, già scorza dura, era in grado di captare il marcio negli altri. Contro quanti muri in faccia si sarebbe dovuto scontrare!
- Sì G., sì. – gli aveva risposto lui, fermo nella sua posizione, voltandosi a fissarlo negli occhi. – Io credo in questa cosa. Ma ti prego: sii al mio fianco. Ancora una volta … - le ultime parole si erano perse in un mormorio, mentre lo penetrava con i suoi occhi dorati e il rosso aveva sorriso lievemente. Con quel piccolo sorriso che lo lasciava sempre senza fiato, perché era per lui come assistere ad un piccolo miracolo.
E G. non avrebbe potuto abbandonarlo neanche se avesse voluto. Sarebbe stato al suo fianco prima di tutto perché in quella cosa ci credeva a sua volta. Secondo perché, come gli avrebbe ricordato anni dopo Cozzato, in caso di necessità l’avrebbe risollevato ogni qualvolta che fosse caduto.
 (Questa ovviamente è una mia personale lettura ed intepretazione di come potrebbero essere andate le cose. Una sorta di missing moments dal momento del secondo ricordo consegnato dai Vindice a quello successivo, quando son passati anni dalla creazione della Vongola’s Family)

 

- Che cosa ci fate qui? – chiese in un bisbiglio incredulo Cozzato, scambiandosi un’occhiata frugale con G., il quale stava cercando di fulminare con lo sguardo Alaude, il quale – manco a dirlo – non se ne stava curando.
 - Che cosa ci fate voi, veramente. – era stata la replica per niente serafica di Giotto, mentre spostava lo sguardo ora all’uno ora all’altro, esigendo una risposta.
E Cozzato si era dovuto arrendere, scoppiando a ridere di cuore. Risata che placcò il Primo, il quale si unì alla risata a sua volta.
Messo al corrente velocemente da parte del Boss Simon dei suoi sospetti, nonché timori, di un possibile attentato al Sindaco della sua città natale – persona alla quale Cozzato era affettivamente molto legato – proprio perché aveva sempre apertamente appoggiato l’operato di Simon e Vongola, Giotto ascoltava attentamente.
- Cozzato, quand’è che la smetterai di pensare che potresti essere un fastidio, un peso per gli altri se chiedi una mano quando ne hai bisogno? – lo aveva ammonito dolcemente, scompigliandogli la zazzera infuocata, sotto lo sguardo divertito dell’arciere. - Soprattutto ad un fratello. –
Perché era così che Giotto si considerava: fratelli.
- Scusami … - era stata la replica del rosso, mentre si accarezzava la nuca imbarazzato ma al contempo divertito, per poi farsi nuovamente serio. – Non volevo darti ulteriori pensieri fino a quando non fossi stato certo che i sospetti che avevo fiutato si fossero rivelati fondati. Scusami.- ripeté dolcemente, guadagnandosi per l’ennesima volta la stima e l’affetto dei suoi due migliori amici.
- A proposito Alaude – aveva iniziato G. – ma tu non dovevi reggerci il gioco? – concluse sardonicamente, incrociando le braccia al petto.
- Hn! Non si può rifiutare una richiesta del Boss. - fu la sua laconica replica che gli fece ottenere un’occhiataccia di biasimo da parte di G. e Giotto e una risatina soffocata da parte di Cozzato.
La tensione era stata stemperata. Ma solo per un attimo, poiché l’attenzione dei quattro fu catturata da rumore di passi che si avvicinavano.
- Chi va là? – udirono. E sarebbe stato del tutto inutile nascondersi o fuggire. D’altra parte non era nell’indole di nessuno dei quattro. Quando un ostacolo si presentava, loro lo affrontavano. Di qualsiasi natura fosse. A testa alta. Come in quel momento. Quasi si fossero dati un silenzioso comando, all’unisono si tirarono indietro i cappucci, scoprendo i loro volti. E le loro identità.
...
 
 
 
 
IL MATTINO DOPO
 

Hayato aveva passato la notte in una sorta di dormiveglia a dir poco esasperante, ma per tutto il tempo, mentre si trovava disteso sul fianco destro, aveva perfettamente percepito che Takeshi, dietro di lui, non l’aveva mollato per un solo istante. Neanche per un attimo non l’aveva tenuto abbracciato, stretto tra le sue braccia. Ma era stato un abbraccio differente rispetto a quello con il quale erano abituati a dormire di solito. Solitamente era lui che, nonostante cercasse sempre di spinger via lo spadaccino per cercare di respirare, affondava in quella stretta, mentre quella notte era stato Takeshi a cercarvi rifugio.
Nell’istante stesso in cui, la sera prima, il loro atto si era consumato e alla fine Takeshi aveva spostato gli occhi verso i suoi, nel loro sguardo non c’era stata la solita complicità. Il solito amore. Lui, ancora incredibilmente confuso e stordito, gli aveva lanciato un’occhiata di rammarico, prima di spingerlo lontano da sé e trovar rifugio in bagno. Aveva visto chiaramente negli occhi nocciola del suo adorato amore lo stesso sbigottimento, ma era così preso e confuso dal suo, che non aveva avuto proprio voglia di affrontare l’argomento. Né che Takeshi l’avesse sollevato nel momento in cui si erano dati il cambio in bagno. Certo era che nel momento in cui l’altro si erano infilato sotto le coperte, al suo fianco, circondandolo con le sue braccia, lui non si era girato verso di lui. Non si era accoccolato sul suo petto come faceva di solito, anzi: a dirla tutta, si era irrigidito a quel contatto. L’avrebbe preso a pugni. Se c’era qualcosa che non andava, bastava che parlasse, no? Era lui lo scorbutico, paranoico, musone, non il suo Takeshi.
- Scusami … - gli aveva mormorato questi tra i capelli, portandogli le mani all’altezza del cuore.
- Non c’è niente di cui tu ti debba scusare. – aveva replicato lui, freddo, concludendo la questione. E sapeva, sapeva Hayato, se la poteva figurare perfettamente davanti agli occhi turchesi l’espressione da cucciolo smarrito che aveva assunto il suo amore in quel momento. D’altra parte era vero. Takeshi non aveva niente di cui scusarsi. Certo, anche in quel preciso instante, nel momento in cui si mise seduto, una fitta gli partì dal fondoschiena, ma era un altro discorso a lasciarlo basito.
- Merda! – imprecò, terribilmente frustrato. Non era lui quello bravo a far parlare le persone. A leggere e capire i loro turbamenti. Come avrebbe potuto? Sapeva solo che lui, di Takeshi, si fidava. Ciecamente.
“ E’ per questo che non mi sarei mai aspettato un comportamento del genere ieri sera. Non è da lui. Ma … ma è come se avesse cercato disperatamente di dirmi qualcosa …” valutò dentro di sé.
Ovviamente Takeshi sentì chiaramente che Hayato non si trovava più tra le sue braccia e si svegliò a sua volta e, immediatamente, una stilettata gli trapassò il cuore al ricordo della sera prima. Si vergognava come un ladro! Si era lasciato trascinare da una stupida gelosia che, ne era più che certo, non aveva motivo di esistere. E a lui che era un limpido, un cristallino di natura, non piaceva lasciare le situazioni in sospeso. Doveva chiarire immediatamente.
- Hayato … - sussurrò, mettendosi seduto a sua volta, posandogli una mano sulla spalla. Delicatamente, perché era semplicemente terrorizzato dall’idea che ora il suo adorato amore potesse schifare il suo tocco. La sera prima, solo alla fine del rapporto si era reso conto che gli aveva sicuramente procurato fastidio nella maniera in cui l’avevano fatto. L’aveva fatto, pensò con rammarico.
Ma Hayato non avrebbe mai potuto schifare i suoi tocchi, i suoi abbracci, le sue carezze, perché gli erano indispensabili più dell’aria che respirava. Quello che gli bruciava era il suo maledetto orgoglio. Stupido orgoglio che, ancora prima di far collegare le sinapsi, gli fece scacciare la mano dell’altro, alzandosi e richiudendosi ancora una volta in bagno, senza girarsi a guardarlo.
Gli dava fastidio non aver capito che il suo idiota del baseball stesse male per qualcosa. Takeshi captava e intuiva sempre tutto, mentre lui invece … Sempre così terrorizzato dall’idea di perdere nuovamente qualcuno a cui teneva, si chiudeva a riccio.
Takeshi, seduto sul letto, sospirò pesantemente, portandosi la testa tra le mani, angosciato. Si sentiva in torto marcio come mai prima di allora e soprattutto Hayato pareva non intenzionato ad ascoltarlo. Ma d’altra parte, dirgli che era geloso di Tsuna … come avrebbe potuto? Si sentiva un emerito schifo anche solo a pensarlo. Tsuna era il suo più caro amico. Con che coraggio aveva anche solo permesso a un sentimento del genere di insinuarsi strisciando dentro di sé?
 
 
Per sua fortuna l’umore risalì non poco quando si trovò giù con gli altri a far colazione.
Avere intorno due come Dino e Ryohei era un vero toccasana per l’animo. In particolar modo quando in questo teatrino era coinvolto anche un non consenziente Hibari. La stoica indifferenza che il Disciplinare cercava di mantenere nei confronti del rumoroso Guardiano, era qualcosa in grado di far scompisciare dalle risate anche senza i continui e ripetuti assalti del boxeur. Vedere come quest’ultimo, sfidando apertamente la morte, continuasse a tormentare imperterrito Kyoya, era un vero spasso. Questo tuttavia non impedì a Takeshi di notare come, incredibile incredibile, quando era Dino a rivolgersi ad Hibari, quest’ultimo ci metteva quell’istante in più a rispondergli per le rime. Addirittura, a guardare bene bene, si sarebbe anche potuto notare un lieve accenno di rossore imporporargli le guance. Tanto che, in più di un’occasione, lui e Tsuna da sopra le loro tazze si erano lanciati occhiate interrogative.
Anche vedere Tsuna ed Enma insieme fu come un balsamo per l’animo dello spadaccino. Quei due erano la dolcezza e la tenerezza incarnata in un rapporto di coppia. Fu contento di vedere che il rosso si era ripreso dalla spaventosa influenza del giorno prima, anche se ancora evidentemente infiacchito. E vedere come il Juudaime, d’istinto, lo precedesse in ogni sua necessità, in ogni suo bisogno, era qualcosa che scaldava indubbiamente il cuore. E fu con lo stesso istinto che anche lui, da sotto il tavolo, cercò la mano di Hayato, seduto comunque al suo fianco. Le sue dita si erano mosse da sole, ma prima di arrivare a quelle del suo adorato amore, si bloccarono. Sgranò gli occhi, irrigidendosi, riportando poi velocemente la mano sopra al tavolo.
Nonostante la minaccia di morte che Hibari lanciò apertamente a Ryohei, con conseguente scoppia di risa da parte di quest’ultimo, Tsuna aveva chiaramente visto il turbamento adombrare il volto solitamente sorridente dell’amico e lo fissò perplesso.
 
Enma uscì dal bagno in entrata e quasi fece un colpo quando lo vide appoggiato alla parete, con le mani cacciate a forza dentro le tasche della giacca, già pronto ad uscire. Era palese che lo stesse attendendo. Non sapendo mai cosa aspettarsi da Gokudera, rallentò per un attimo l’andatura, perdendosi a guardarlo. E la sua attenzione non poté andar oltre nel momento in cui l’altro, sentendolo arrivare, aveva sollevato gli occhi turchesi verso di lui.
Enma emise un piccolo sospiro dentro di sé. Ricordando la sua avventatezza della sera prima, fu normale sentirsi impossessare da una lieve dose di nervosismo. D’altra parte, ciò che gli aveva detto, era qualcosa che sentiva sinceramente dentro di lui.
- O-ohayo … - biascicò, passandogli a fianco, ricamando lo sguardo.
- Ohayo. – gli rispose Hayato, per poi chiamarlo. – Kozato? –
- Sì? – rispose il rosso, fermandosi e deglutendo a fatica nel momento in cui si voltò verso di lui, attendendo. Ma mai, mai, si sarebbe aspettato quanto l’altro gli disse. Con quell’unica parola con la quale se ne uscì.
- Scusami. - mormorò, infatti, Hayato, facendogli sgranare gli occhi, mentre si affrettava a rispondergli incespicando sulle sue stesse parole, senza che l’altro gli permettesse di parlare tuttavia. E il Guardiano continuò a parlare.
- Scusami … è il mio modo di approcciarmi alle persone e nessuno mi hai mai insegnato a farlo diversamente. –
Ad Enma fece una tenerezza incredibile e mosse un passo verso di lui, con l’istinto di abbracciarlo, fermandosi poi, perché aveva notato che l’unico al quale permetteva di toccarlo era Yamamoto. Si limitò ad appoggiargli una mano sulla spalla e stringere leggermente, a comunicargli che andava tutto bene. E a quel gesto, nel momento in cui il tocco avvenne, i due portarono l’uno gli occhi sull’altro. Era un gesto che andava oltre il tempo … Per la prima volta da quando si conoscevano, Hayato gli sorrise. Con uno dei suoi sorrisi lievi, appena accennati, che scaldarono il cuore di Enma.
- Sto imparando adesso che … che delle persone, di certe persone, posso anche fidarmi – continuò il Guardiano – da quando ho conosciuto il Juudaime.-
Enma sorrise. Questi erano i poteri di Tsuna. Anche lui all’inizio quando l’aveva conosciuto, nonostante il rancore accumulato per anni nei confronti dei Vongola dopo la brutale carneficina della sua famiglia, aveva sentito d’istinto di potersi fidare di lui.
- Poi i ricordi di G. che rivivo ultimamente attraverso i sogni, non mi aiutano di certo. Sì, ad essere più … come dire? Più socievole – e qui Enma si permise una piccola risata, seguito a ruota dall’altro – Rivivere la vita di G. e dei ragazzi di Prima Generazione attraverso i suoi ricordi, è veramente sbarellante. E sfiancante. –
- Lo so. – confermò Enma e Hayato si perse nuovamente a guardarlo. Quegli occhi veri, sinceri, limpidi. Diretti. Senza nessuna ombra.
Aveva visto come il suo predecessore si fidasse ciecamente dei suoi compagni, ai quali affidava la vita. E lui? Lui poteva dire altrettanto? Tolti Takeshi e Tsuna, agli altri avrebbe affidato ciecamente la sua vita? Guardò la figura di spalle di Kozato mentre si avvicinava agli altri. Ripensò a come questi lo avessero accolto fin da subito a braccia aperte. Perché Enma, con la sua squisita dolcezza, era uno che si faceva voler bene al tempo di un battito di ciglia. Sorrise, Hayato. Ora sentiva di potersi fidare ciecamente anche di lui …
 
 
Durante tutta la giornata Tsuna aveva notato come Takeshi e Hayato si sforzassero di apparire sereni e tranquilli, in particolar modo il primo. Ma, per lui che li conosceva più delle sue stesse tasche, si percepiva chiaramente che era tutta una forzatura, che erano più le occhiate tese quelle che si lanciavano. Che mai, neppure per una volta, lo spadaccino, con il favore di qualche angolo nascosto, avesse tentato di rubare un bacio al suo adorato.
Nel momento in cui lui ed Enma erano rimasti incatenati a guardare un enorme albero di Natale già pronto nella vetrina di un negozio, con il naso all’insù e lentamente l’uno aveva ricercato la mano dell’altro, facendole intrecciare per un frugale, prezioso, attimo, alle loro spalle Dino aveva rapito questo loro piccolo momento di tenerezza e ne era rimasto deliziato, prima di raggiungerli e prendere sottobraccio il rosso. Era stato allora che Tsuna aveva atteso Takeshi, rimasto a sua volta incantato davanti ad una vetrina piena di decorazioni natalizie.
Quasi avesse paura che gli si potesse leggere negli occhi la sua vergogna, lo spadaccino si morse nervosamente un labbro per poi ricambiare il sorriso del suo migliore amico.
- Tutto bene? – andò diretto al punto il piccoletto.
- Si vede così tanto? – ridacchiò il Guardiano, massaggiandosi la nuca in una specie di autococcola e Tsuna gli sorrise teneramente.
- Cos’è successo? – domandò. Era palese che potesse essere solo uno screzio con Hayato a togliere il sorriso e la serenità dal volto e dell’animo di Takeshi. E, infatti, il volto di Takeshi si rabbuiò.
- Io … io ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare … - mormorò contrito, ripensando alla maniera rude con cui avevano fatto l’amore la sera prima.
Tsuna gli posò una mano sulle sue, strette a pugno.
- E sai che cosa è stato a portarti ad agire così? – gli chiese e lo spadaccino assentì mestamente con il capo, abbassando lo sguardo a terra.
- È perché lo amo da morire e sono semplicemente terrorizzato dall’idea di perderlo. Tsuna, non pensavo si potesse arrivare ad amare una persona così tanto. – confessò con ardore e l’amico gli sorrise nuovamente.
- E allora basterà che tu glielo dica. Che tu gli dica quello che hai appena detto a me. Sono sicuro che Gokudera-kun capirà. – concluse dolcemente e Takeshi sospirò, sperando ardentemente che l’amico avesse ragione.
- Magari Tsuna … - bisbigliò infatti, poco convinto.
- Fidati di lui. Parlagli. Lo sai tu meglio di me, quanto il cuore di Gokudera-kun sia grande. Se se l’è presa così tanto, molto probabilmente è perché si è sentito ferito dalla persona che ama più di ogni altra cosa al mondo, ma non per qualcosa che hai fatto, ma per qualcosa che non gli hai detto perché temi che lui non avrebbe capito. –
Quanto ci ha azzeccato!, si trovò a pensare Takeshi sentendosi già più sollevato.
- Tsuna, gomen … -
- C-cosa? – mormorò sorpreso.
Takeshi glielo doveva. Solo così tutta la questione si sarebbe potuto dir risolta per lui. Non poteva non chiarirsi anche con il suo miglior amico. Non si sarebbe sentito in pace con se stesso.
- Tsuna scusami, perché io ero geloso di te. –
- Eh? – replicò il piccoletto, sempre più interdetto e Takeshi, terribilmente in imbarazzo, sorrise. Perché quando non sapeva cosa dire o fare, Takeshi sorrideva sempre. E quel suo sorriso buono era in grado di spostare le montagne.
- Geloso … di me? – domandò Tsuna sbigottito, certo di non aver afferrato completamente quella confessione.
- Son sempre stato stupidamente convinto che sotto-sotto Hayato fosse innamorato di te. –
- E tu temevi di esser un ripiego? – gli domandò, sorridendogli dolcemente e come l’altro abbassò gli occhi a terra, gli fece capire di essersi avvicinato parecchio alla verità.
- E secondo te Gokudera-kun è uno che apre il suo cuore, il suo animo al primo che passa? -
- No … - gli rispose, certo di quella sua risposta. – No. – ripeté.
- Yamamoto, solo tu conosci cose di Gokudera-kun che neppure lui sa di se stesso. E se tutto questo è possibile, è perché lui ti ama alla follia e non c’è nessun altro nella sua testa. Nei suoi pensieri. Nel suo cuore. –
Takeshi sospirò. Quanto era stato cieco e stupido! Il terrore di perdere il suo adorato amore lo aveva scagliato in una spirale di angosce e cecità, quando l’unica cosa che avrebbe dovuto fare era semplicemente fidarsi della genuinità del loro amore.
- Grazie Tsuna. – mormorò all’amico dopo averlo rapito in uno dei suoi abbracci e Tsuna si trovò a ricambiare quell’abbraccio.
Takeshi sollevò lo sguardo e vide che Enma li stava osservando poco distante sorridendo dolcemente.
- State bene insieme, sai? – gli bisbigliò ancora una volta all’orecchio.
- Eh? – replicò Tsuna, prendendo fuoco. E il suo ritrovato imbarazzo fece scoppiare a ridere di gusto lo spadaccino, che sciolse l’abbraccio.
Sentire la solita risata fresca e cristallina di Takeshi fu un toccasana per il cuore del Juudaime. E non solo …
- Va a parlargli. – lo invitò il piccoletto, vedendo come anche Hayato li stesse osservando da lontano.
E Takeshi eseguì.
 
 
Continua …
 


Clau: Allora, sono in un ritardo che ho le ansie solo a pensarci. Ma davvero, primo: ho sempre ‘sti ragazzuoli che mi girano felicemente ed impunemente per la testa. Secondo, come dicevo all’inizio, sono strapresa con le prove per i due concerti.
Goku: Cioè, spiega un attimo …
Clau: Ebbene sì, suono in un’orchestra. Amatoriale, ma sempre orchestra è. E, a breve, avremo due concerti ^__^
Goku: Ma ti fanno suonare per davvero?
Clau: -____- Ovvio che mi fanno suonare per davvero.
Ryohei: Ma allora saresti anche una persona seria …
Clau: E’ quello che mi ostino a dirvi ogni volta.
Ryohei: AHAHAH!
Clau: Non c’è niente da ridere!
Goku: Vabbè, parlando di cose serie …
Clau: Ero seria ovviamente …
Goku: … vedremo l’aggiornamento prima di Natale?
Clau: MammaSaura; spero proprio di sì^^’
Giotto: Clau, com’è andata al LuccaComics?
Clau: Oh, Giotto*ç*. Ti ho cercato disperatamente per tutto il LuccaComics per poterti saltar ripetutamente addosso, ma non ti ho trovato da nessuna parte. Me tapina ed infelice T_T
Giotto: ^^’ Ehm …
G.: Ohi! Giù le zampe.
Clau: L’unica soluzione che ho, astutamente, pensato è quella di fare il cosp tuo e di Dino e autosalrarmi addosso^__^
Hibari: Hn, un’astutezza proprio.
Goku: Madonna mia … pensa a che livelli viaggia la testa di ‘sta invornita …
Clau: Tonikaku, adesso vi racconto tutto quello che ho visto e fatto al LuccaComics.
Goku: Non gliene frega una pippa a nessuno!
Yama: ^^’ Gokudera, dai: non essere così crudele.
Goku: Tch! Voglio l’aggiornamento del prossimo capitolo in tempi veloci.
Clau: Perché, vuoi far le zozzerie con Takeshi-lovelove*ç*?
Goku: No, perché voglio che questo strazio finisca il prima possibile!
Clau&Yama: -___-
Lambo: Jingle bells jingle bellssssss. KYAKYYYAKKYYYYA Anche il grande Lambo-san suonerà al concerto.
Goku: Ahhhh! Annamo bene, annamo.
Clau: Giotto, me li presti i tuoi vestiti per il cosplay*ç*? Cioè, tipo adesso?
G.: Ma la pianti?!
Clau: Ma G. io voglio che sia tu a spogliarlo *ç*
G.: Ah …
Clau: Oh, perché lo fareste davvero qui davanti a me*ç*?
G.: No, ovviamente.
Clau: Cozzato mi fanno tutti i dispetti T_T consolami.
Cozzato: Che c’entro io adesso^^’?
Clau: Mah, tipo potrei far finire nella mitica 3some anche te^__^
G.: Ma non esiste proprio! Io non voglio più finir nelle tue 3some da deviata quale sei.
Alaude: Pft
G.: Piantala di sghignazzare!
Clau: G., le 3some son cose da deviati.  Con doppia penetrazione poi.
Giotto: Quello è stato Alaude a dirla tutta.
Clau: Sì, che è un grandissimo deviato infatti^O^
Alaude: Hn! E voi due vi siete tirati indietro … niente!
Giotto&G: ^^’
Clau: Tonikaku: Takeshinolovelove, Dino: voi la volete sempre la 3some?
Yama&Dino: Sì^___^
Clau: Bene. Kufufufu
Mukuro: Kufufufu. Qualcuno mi ha chiamato?
Hibari: Hn!
Clau: Dino, Takeshi lovelove potrei finire io in mezzo a voi*ç*?
G.: Ma la vuoi piantare di dire oscenità?!
Clau: Oh, vuol dire che posso fare i RingoBoys con te e Giotto^__^?
Ryohei: I RingoBoys? Che cosa significa?
Goku: Lascia perdere Testa a Prato, è una volgarità. Per favore chiudiamo qui và.
Clau: Cozzato, lo sai che tra un po’ è il tuo compleanno?
G.: Smettila di importunarlo!
Lambo: Jingle bells, Jingle bellsssssss
Clau: Dovrò pur farvi un bel regalo di Natale^___^
Goku: Sì, perdere la memoria per esempio e dimenticarti di noi. Ciao a tutti, alla prossima.
Lambo: Jingle bellsssss!!!
Ryohei: Cosa vuol dire “fare i RingoBoys”?


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Le persone che aspettano che tutte le condizioni siano perfette prima di agire, non agiscono mai ***


E niente. Sti due son stati il mio primo amore di KHR … e sono uno dei miei amori tuttora …
ci sarà un perché …
 
Nota tecnica: sul finire del capitolo, ci sarà una cosa che, se non morirete seduta stante dalla pucciosità, farà dire alla vostra parte razionale: “Ma non è possibile!” (E non mi sto riferendo ad Hibari che parla ^//^)
Ebbene, essendo questa un’opera di fantasia, ceeeerto che è possibile.
E godetevela come me la sono goduta io a scriverla.
Ah, quasi dimenticavo! Mi cospargo il capo di cenere anche stavolta e grazie a Tutti per aver pazientemente aspettato <3
 
 
 
“Le persone che aspettano che tutte le condizioni siano perfette prima di agire, non agiscono mai”
 
 


CAPITOLO 5
 

Gli sembrava che l’aria che gli arrivava ai polmoni glieli avrebbe squarciati. Perché era difficile respirare in quel momento. Perché i polmoni non erano l’unica parte del corpo che gli sembrava si stesse lacerando.
Non pensava che potesse essere quella la sensazione prevalente all’inizio. Ok, lo sospettava, se lo immaginava, ma provarla sulla sua pelle era tutta un’altra cosa. E dire che Hayato ci stava mettendo tutta la delicatezza possibile. Anche se all’inizio si era opposto con tutte le forze, anche se quando alla fine Takeshi l’aveva convinto, Gokudera l’aveva pregato in ogni modo e maniera di aiutarlo, era un irruento di natura e nella pura angoscia di potergli far male, si irrigidiva sempre di più e la cosa non era proprio per niente di aiuto. Né a lui. Né tantomeno a Takeshi che, per la prima volta sotto, tentava di rassicurare il suo adorato amore in ogni modo e maniera. Che stava andando tutto bene. Che non gli stava facendo male. Oddio: che non gli stava facendo così tanto male.
 
Quando, seguendo il suggerimento di Tsuna, Takeshi l’aveva preso dolcemente per una mano, dicendogli che dovevano parlare, era stata come la cosa più naturale del mondo finire nella loro stanza, seduti sul letto, a gambe incrociate, uno di fronte all’altro.
Takeshi, come sempre, gli aveva parlato con il cuore in mano. Non nascondendo nulla, anche se si vergognava come un ladro a dovergli raccontare del suo essere geloso di Tsuna. Hayato aveva sgranato gli occhi turchesi sbigottito. “E ‘sta fissa da dove cazzo gli salta fuori?” aveva pensato il Guardiano della Tempesta, cercando nella memoria suoi atteggiamenti o comportamenti che avessero potuto indurre l’altro a formulare dentro di sé una paranoia del genere, ma non trovandovi – ovviamente – nulla.
- Perché non me ne hai mai parlato prima, idiota fissato del baseball? – lo aveva ammonito seccamente, alche lo spadaccino aveva sospirato mestamente.
- Perché a livello razionale sapevo che non aveva ragion d’essere, ma dentro di me … dentro di me … - aveva biascicato, scivolando lentamente verso di lui, costringendolo a sciogliere le gambe per farlo scivolare sopra di lui e abbracciarlo. Takeshi aveva sentito le guance andare a fuoco e l’unica cosa che aveva potuto fare era stato stringerlo ancora di più a sé. Con il semplice terrore di perderlo. Anche al solo pensiero si sentiva morire.
Hayato era rimasto basito, ma poi quando l’aveva sentito infossare il volto sull’incavo del collo, strofinando la punta del naso su quella porzione di pelle nuda, scoperta dalla camicia, aveva sospirato. Cominciando a capire molte cose. E allora lo aveva stretto a sé. Le sue dita si erano appoggiate sulla schiena dell’altro, scivolando lentamente, percorrendo ogni singolo centimetro, a fargli capire che lui c’era. E che ci sarebbe stato. Semplicemente per sempre.
- E quando ieri sera mi ha visto discutere con Kozato … - aveva tentato di aiutarlo, strofinandogli a sua volta la punta del naso contro, per convincerlo a sollevare il volto verso il suo, prendendogli il viso tra le mani e scrutandogli dentro con quel turchese pazzesco che Takeshi semplicemente adorava.
- Scusami Hayato, scusami. Son un completo idiota. – non aveva potuto far altro che ripetere lo spadaccino, terribilmente mortificato, mentre si mordicchiava il labbro inferiore, continuando a vergognarsi per quella gelosia che lui considerava meschina. Hayato l’aveva fissato dolcemente, non permettendogli tuttavia di sottrarsi al suo sguardo.
- E quando mi hai visto discutere con Kozato … - aveva insistito, riuscendo finalmente a farlo sorridere. Glielo diceva sempre, Takeshi, che era un puntiglioso. Ma Hayato voleva che Takeshi desse finalmente voce a quella sua assurda paura.
- E quando ti ho visto parlare con Enma, pensavo steste discutendo di Tsuna. Eravate così seri … - si era sfogato alla fine, gonfiando le guance in un adorabile sbuffo che aveva fatto sorridere l’altro teneramente, tanto che gli aveva appoggiato delicatamente le labbra sulle sue. In una carezza.
- Eri convinto fossi geloso di Kozato? Perché mi aveva portato via il Juudaime? – aveva concluso per lui, ma senza nessun tono di rimprovero o di biasimo, ma anzi: con l’espressione più dolce che Takeshi gli avesse mai visto in volto.
- Hm-hm … - aveva assentito con il capo, sospirando e sorridendo di se stesso e del suo illogico timore. – E … e … -
- … e: sei un inguaribile idiota. - Hayato aveva ridacchiato, non permettendogli di dire altro, stringendolo di nuovo a sé, facendogli appoggiare la testa sul suo collo, per poi sospirare un: il mio idiota, che gli aveva fatto guadagnare il rafforzarsi della stretta di Takeshi. Entrambi avevano respirato il confortante profumo l’uno dell’altro.
- Ti pare che mi sarei messo con te se fossi innamorato di un altro? – lo aveva poi di nuovo rimproverato dolcemente. Non era lui quello bravo a rassicurare con le parole e la dolcezza, ma molto probabilmente in quei mesi che stavano insieme qualcosa di buono da Takeshi l’aveva preso. Una delle sue tante innumerevoli qualità – Ma soprattutto: non senti che ti amo, e che sei l’unico per me? – gli aveva chiesto, sospirando lievemente, costringendolo a riportare nuovamente l’attenzione ai suoi occhi.
- Gomen … - si era scusato nuovamente Takeshi. Si sentiva un verme e, di nuovo, Hayato gli aveva sorriso dolcemente, accarezzandogli serenamente una guancia – Sono stato uno stupido. È che il terrore cieco di perderti ha permesso a questo tarlo di crescere dentro di me. –
- Baaaka! –
Ed erano scoppiati a ridere, soffocando la risata l’uno sul collo dell’altro, riabbracciandosi nuovamente. Mai come in quel momento, avevano sentito così forte la necessità di tenersi stretti. Di sentire il calore dentro l’anima che il contatto con il corpo dell’altro gli dava.
- Takeshi, però la prossima volta, parlamene prima … per favore … -
Un mormorio che si era perso nel silenzio, mentre lo spadaccino assentiva con il mento appoggiato sulla sua spalla e la punta di quelle dita che sapevano essere fatali con la sua katana ma sempre delicate e premurose su di lui, avevano iniziato a percorrere ogni singola cesellatura della sua schiena.
E allora l’urgenza di essere l’uno parte dell’altro si era fatta presente. Una necessità. Quella di appartenersi. Era la cosa più naturale del mondo. Anche la loro prima volta era avvenuta nella maniera più naturale e spontanea, senza nessuna premeditazione. Un attimo prima erano vestiti, cercando, o meglio: facendo finta di studiare, mentre quelle mani timorose si muovevano e cercavano il corpo dell’altro. Casualmente. Per sbaglio. Un attimo prima vestiti, seduti per terra, l’attimo dopo sul letto di Takeshi, mentre timidamente ma senza vergogna alcuna, quelle mani si erano spinte un ulteriore passo oltre a quelle che erano state le pellegrinazioni delle ultime settimane.
Ed ora … ed ora, era come se fosse una nuova prima volta per loro due.
Nel momento in cui erano sgattaiolati sotto le coperte e Hayato l’aveva fatto scivolare sopra di sé mentre lo aiutava freneticamente a sfilarsi la maglia, continuando a mordicchiargli le labbra, Takeshi si era bloccato di colpo. L’aveva fissato interrogativo, Hayato. Ad interpellarlo con lo sguardo. A domandargli del perché si fosse fermato all’improvviso. E Takeshi aveva spiegato.
- N-non ci sono andato leggero ieri sera … - aveva bisbigliato, contrito e lui avevo scosso la testa, a dirgli che era tutto a posto, cercando di attirarlo nuovamente a sé, strusciandogli il ginocchio sulla sua erezione, già tesa allo spasmo.
- No, Hayato, aspetta. – l’aveva fermato di nuovo, bloccandolo delicatamente per i polsi – Non vorrei ti facesse male … -
Il decimo Guardiano della Tempesta aveva sorriso teneramente, scuotendo di nuovo la testa e cercando nuovamente le sue labbra. Ne aveva un’urgenza pressante. Ma Takeshi, di nuovo, era stato irremovibile. Si era messo seduto e nonostante Hayato gli avesse miagolato un ma io ti voglio. Ho bisogno di fare l’amore con te adesso, era stato irremovibile. Il ragazzo dagli occhi turchesi aveva sospirato leggermente, scostandosi la solita ciocca ribelle e si era messo seduto a sua volta. Attendendo. Ma mai si sarebbe aspettato quanto l’altro gli stava per dire.
- Hayato? – l’aveva richiamato solenne.
- Hum? – si era limitato a replicare lui, un po’ seccato in verità. E Takeshi aveva sganciato la bomba.
- E se per questa volta provassimo a scambiarci? – gli aveva proposto mentre le guance gli andavano adorabilmente a fuoco. Lì per lì, Hayato non aveva afferrato subito.
- Scambiarci? – aveva ripetuto, accigliato, per poi capire. Aveva boccheggiato – No. No. No. – si era affrettato a replicare, portando le mani davanti.
- Perché no? – lo aveva incalzato dolcemente lo spadaccino, prendendolo di nuovo per un polso, attirandolo a sé. E Hayato era andato nel panico più totale.
- Perché non ne sarei capace. Avrei paura di farti male e … e  … - “ E mille e più motivi” aveva protestato la sua mente.
- Amore, guardami. – gli aveva ordinato e lui, docilmente, aveva obbedito – Questa non è una prova, nessuno è qui per giudicarti. E poi … e poi è da un po’ che volevo proportelo. – aveva confessato timidamente, ridacchiando in imbarazzo.
- Perché? – gli aveva chiesto, sempre più confuso. Andava sempre nel panico quando temeva di deludere chi aveva di più caro al mondo – Non ti piace più? –
- No, no Hayato. Ma cosa vai a pensare? – l’aveva rassicurato, donandogli uno dei suoi piccoli baci preziosi – No amore, no. Certo che mi piace. E non potrebbe essere altrimenti. Fare l’amore con te, mi permette di toccare il cielo con un dito. Letteralmente. – aveva continuato a rassicurarlo, cullandolo tra le braccia, dove Hayato aveva cercato rifugio, non ancora del tutto rasserenato tuttavia.
- E allora perché Takeshi? – aveva insistito.
Lo spadaccino aveva sospirato dolcemente.
- Perché voglio provare quello che provi tu. Perché voglio darti con tutto me stesso. Può bastare come risposta? – aveva sussurrato, disseminando una piccola scia di baci sul suo volto, con quel suo sorriso che era sempre e comunque un attentato per il cuore di Hayato. E allora questi aveva sollevato il volto verso di lui, guardandolo dal basso, come faceva sempre quando si sentiva adorabilmente in imbarazzo.
- Ma se non vuoi, amore, non importa. – lo aveva rassicurato lo spadaccino.
- Sì, che voglio … anch’io voglio  darti tutto me stesso … - aveva replicato lui, biascicando.
E quanto adorava Takeshi! Quanto adorava quel lato così spudoratamente tsundere di Hayato.
- Solo … solo devi aiutarmi … - lo aveva pregato, fissandolo con i suoi occhi turchesi.
E Takeshi aveva sorriso dolcemente, stringendolo a sé per l’ennesima volta. A rassicurarlo per l’ennesima volta. E Hayato si era affidato a Takeshi. E Takeshi ad Hayato.
 
- Hayato, ehi? – lo richiamò, vedendo quanto teso fosse. Lo sentiva anche chiaramente. Fisicamente. Era strano averlo dentro di sé e non il contrario com’era sempre stato.
L’altro aveva portato la sua attenzione su di lui.
- Va tutto bene Amore. Lasciati guidare dall’istinto … -
- Sei … sei stretto … -
- Dimmi quello che provi … - lo pregò dolcemente e l’altro sgranò gli occhi, continuando a far leva sulle braccia, sopra di lui, temendo che con quale movimento brusco, potesse entrargli dentro troppo in fretta e di colpo. Oltretutto, e non ultime, erano strane – oltre che nuove – le sensazioni fisiche che stava provando.
- È strano … - biascicò, mentre Takeshi gli andò incontro, ondeggiando appena il bacino verso il suo, facendolo sussultare.
Cioè, è fantastico … avrebbe dovuto dirgli. Era una sensazione che gli stava dando a dir poco le vertigini. Non avrebbe mai potuto immaginare potesse essere così intenso. Lo era anche accoglierlo dentro di sé, perché lo amava alla follia e quindi, grazie a questi sentimenti, le sensazioni si amplificavano, ma essergli dentro un po’ alla volta, era qualcosa che gli stava mozzando il fiato.
- Anche per me è strano, ma bello … - gli sussurrò, portandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio e asciugandogli la piccola goccia di sudore che gli stava imperlando la guancia. Come al solito, Takeshi era almeno dieci passi avanti a lui in merito all’esprimere ciò che provava.
- È bello anche per me … - gli confessò, sorridendo dolcemente, con quel piccolo sorriso timido che riusciva a modellare solo per lui.
Ti amo …
 
 
 
- Che abbiano fatto pace? – chiese Enma dubbioso, sentendosi – a torto – in qualche maniera in colpa mentre si trovavano giù nella hall dell'albergo a chiacchierare. E il suo Cielo l’avrebbe rassicurato.
- Sì, credo proprio di sì. – gli rispose Tsuna, sorridendogli. E Dino rinforzò quanto detto dal suo fratellino, battendogli un’incoraggiante pacca sulla spalla.
- Quei due non riuscirebbero a stare distanti l’uno dall’altro neanche se volessero. Gravitano l’uno intorno all’altro. – proferì il biondo, incredibilmente serio.
 
 
 
Cozzato era andato in avanscoperta.
A controllare che la strada fosse libera.
Si erano liberati di quel gruppetto che li aveva scoperti senza che questi avessero neanche il tempo di capire che cosa stesse succedendo.
Stava velocemente e silenziosamente ritornando indietro per dare il via libera quando, trovandosi su un’altura rispetto agli altri, vide che gli altri tre avevano subito un nuovo attacco.
Si bloccò di colpo. Approfittando sia dell’oscurità – ora che la luna era velata – sia delle fronde degli alberi, avrebbe sfruttato l’elemento sorpresa per aiutare i suoi amici.
Stava per accucciarsi, quando il sangue gli si gelò nelle vene …
 
 
Ovviamente Giotto, anche se G. si trovava alle sue spalle, se ne accorse subito.
Si voltò con un istinto animale e rimase pietrificato.
L’unico rumore che sentì in quel momento era il suo respiro che si mozzava in gola. E il fischiare insistente e maligno del vento. Da allora, e per sempre, avrebbe associato il mugghiare feroce del vento a quel momento per lui agghiacciante.
“Dio no, ti prego! Non portarmelo via, ti prego!” questa preghiera gli rimbombò con potenza dentro la testa quando vide che il suo compagno si trovava con una pistola puntata alla schiena.
Portò gli occhi dorati sui suoi, in apnea, dopo che aveva intimato ad Alaude di fermarsi, per evitare qualsiasi rappresaglia nei confronti dell’arciere.
I due si fissarono negli occhi, immobili, con G. – più che preoccupato per la sua incolumità - furente per essersi fatto cogliere alla sprovvista come mai era successo, nel momento in cui aveva evitato a Giotto un attacco alle spalle da parte nemica.
 
 
Cozzato attirò l’attenzione dell’amico verso di sé e quando i loro sguardi si incrociarono, il primo Boss Simon gli fece cenno che al suo “tre” avrebbe agito.
G. assentì in maniera impercettibile gli occhi.
In maniera così impercettibile che solo Giotto fu in grado di cogliere e capì che Cozzato era alle loro spalle.
E Cozzato iniziò a contare …
 
Giotto accorse immediatamente verso il suo compagno. Seguito a ruota da Cozzato e Alaude. Anche se di striscio, grazie all’intervento del Primo Boss Simon, G. era stato in ogni caso ferito.
Stoicamente, com’era nel suo carattere, il Guardiano strinse i denti.
“Fa un male boia!” imprecò dentro di sé.
- G.!–
Il Primo, angosciato, gli prese una mano tra le sue, mentre – aiutato da Cozzato – lo spostavano delicatamente per verificare l’entità del danno.
A vedere tutto quel sangue fuoriuscire dalla ferita sulla spalla, il biondo si sentì morire.
- Ehi! – lo richiamò l’arciere, che aveva iniziato a sudare freddo a causa del colpo – Io sono come l’erba cattiva. – si schernì, ricambiando la stretta della mano e riuscendo a strappare un debole sorriso al suo innamorato, per poi trovarsi costretto a boccheggiare nel momento in cui una nuova fitta lo squarciò da capo a piedi.
- Stai bene? – gli chiese Alaude.
- Come cazzo vuoi che stia con una pallottola ficcata nella spalla? – sbraitò. Per una volta tanto non avrebbe voluto essere scortese con il Guardiano della Nuvola, ma il dolore lo stava lacerando.
Era insopportabile. Non pensava che un corpo potesse sopportare tutto quel dolore fisico in una volta sola.
- Hn. Vedi Primo, sta benissimo direi. – sibilò il biondo, con un ghigno quasi divertito.
- Vaffanculo Alaude! –
E fu l’ultima cosa che riuscì a dire prima che davanti agli occhi calasse la nebbia.
 
 
- Scusami Giotto. Tutto questo è successo a causa mia. – proferì per l’ennesima volta Cozzato, affranto e in pena per l’amico, mentre si trovavano seduti sul piccolo divano fuori da una delle stanze dell’ambulatorio del loro amico medico Paolo.
Il biondo, seduto al suo fianco, sollevò il volto pallido a sorridergli mentre gli poggiava una mano sulla sua ad indicargli che lui non aveva nessuna colpa, né tantomeno che gli portava nessun tipo di rancore, giusto nel momento in cui la porta si aprì e l’anziano medico uscì.
I due, alzandosi, diressero l’attenzione dei loro sguardi sul volto dell’uomo, che stava indubbiamente sorridendo. Solo allora si permisero di tornare a respirare, prima di voltarsi l’uno verso l’altro e abbracciarsi forte, a sciogliere la paura che li aveva attanagliati per innumerevoli minuti.
- Adesso sta dormendo, ma potete entrare. – li invitò sorridente, scostandosi di lato per farli passare.
 
 
Che sofferenza indicibile gli procurò vedere quel volto così amato esangue.
Il rosso dei capelli spiccava ancora di più.
Lentamente, Giotto fece scivolare la punta delle dita in una leggera carezza e un brivido lo percosse.
Il viso di G. era bollente.
Si volse verso Paolo, interrogativo.
- Ha un po’ di febbre. Giotto, è normale non temere. Ha perso un po’ di sangue, ma non così tanto. L’emorragia si è fermata relativamente presto. La pallottola non era andata in profondità, si è schivato per tempo.
Lo sai che il tuo amico è come l’erba cattiva.
Non muore mai. –
Incredibilmente, il medico aveva usato la stessa metafora.
Giotto sorrise, con l’ennesimo sospiro di sollievo, ringraziando con gli occhi il medico.
- Paolo, G. è più che il mio miglior amico. – ci tenne a precisare con un piccolo sorriso timido.
- Lo so. – rispose l’anziano medico, strizzandogli l’occhio – Vi conosco fin da quando eravate piccoli.-
Cozzato si permise a sua volta un piccolo sorriso. La gente voleva così bene a quei due che era sempre andata oltre ogni pregiudizio e preconcetto dell’epoca.
Dopo che la moglie di Paolo, che fungeva anche da infermiera, ebbe recuperato delle coperte di fortuna, Giotto e Cozzato si accomodarono sulle poltrone, mentre il medico li rassicurò sul fatto che sarebbe andato ogni paio d’ore a controllare le condizioni del ferito.
 
 
Era praticamente impossibile per loro due prendere sonno. Adesso che sapevo G. fuori pericolo, i due amici, a bassa voce per non disturbalo, iniziarono a parlare.
Giotto era a dir poco interdetto dal fatto che qualcuno stesse pianificando un attentato contro il Sindaco Giordano. La cosa che lo lasciava ulteriormente scosso era che ciò si stesse ordendo perché l’uomo appoggiava il loro operato.
Sospirò, Giotto, affranto.
– Lo sapevamo che non tutti sarebbero stati d’accordo con ciò che avremmo fatto … - iniziò a parlare, intrecciando le mani sotto il mento, dopo aver lanciato l’ennesima occhiata a G. a volersi assicurare stesse ancora respirando – Il fatto che avremmo aiutato e difeso chi si trovava vittima di rappresaglie, non sarebbe stato accolto con favore da tutti… -
E Cozzato studiò attentamente i suoi lineamenti.
- Giotto? – lo richiamò. Doveva parlare. Doveva dirglielo. Giotto alle volte, con la sua cieca fiducia nella bontà e nella sincerità di chi gli stava a fianco, non vedeva il male oltre il suo naso.
- Hum? –
- Se ultimamente c’è aria di tempesta, non è per qualcosa che facciamo, ma per ciò che non facciamo … - gli disse in un mormorio.
Il biondo lo fissò per poi abbassare gli occhi dorati.
- Lo so. – mormorò a sua volta, stringendo ora le mani fino a rendere le nocche bianche, indurendo lo sguardo – Noi seguiamo sempre la via del dialogo e della pace, non siamo guerrafondai … ma c’è chi vorrebbe che aumentassimo la nostra potenza militare … - le parole si spensero in un mormorio sofferto, prima che il Primo riportasse lo sguardo dorato verso l’amico, e Cozzato sorrise a vedere la risolutezza nel suo volto.
- Ma io non permetterò che i Vongola spargano sangue o creino una dittatura. Noi siamo nati per difendere i più deboli, non per terrorizzarli. Non perché la gente ci tema … -
Ci fu un momento di silenzio prima che il rosso riprendesse a parlare.
- Guardati alle spalle Giotto. – lo pregò Cozzato, forse avendo già intuito come sarebbe andata a finire. E nello sguardo del suo miglior amico, si riflessero i suoi stessi presentimenti.
Cozzato in quel momento non poteva sapere quanto le cose sarebbero precipitate velocemente, quello che sapeva era che avrebbe fatto di tutto per proteggerli.
- Lo farò … lo farò … - mormorò Giotto, perdendo lo sguardo davanti a sé.
Il tradimento di Daemon era alle porte ... Ma per il momento, per loro ci sarebbero stati ancora attimi di gioia e serenità da passare insieme.
A cominciare da quel preciso istante.
G. si era finalmente risvegliato.
 
 
 
 
QUALCHE SETTIMANA PIU’ TARDI 
 
- Dove sei stato questo pomeriggio? – gli chiese Hayato, mentre si metteva di fronte a lui, sedendosi per terra e infilando le gambe sotto il confortevole calore del kotatsu*. Non era una domanda accusatoria, ma semplice curiosità, nel momento in cui Takeshi era arrivato a casa sua trafelato.
Lo spadaccino si era seduto a sua volta, prendendogli dalle mani la tazza di liquido fumante che l’altro gli stava porgendo e se n’è uscì nella maniera più innocente possibile con un: - Ah, niente: ho accompagnato Enma in farmacia a prendere i preservativi e il lubrificante; poi decideranno loro con che cosa si trovano meglio. –
Per poco Hayato non morì soffocato! Il tè gli andò letteralmente di traverso, tanto che per evitare di morire sul serio soffocato, si vide costretto a sputare il liquido fuori. In viso a Takeshi.
- CHE????!!! – sbraitò, tra un colpo di tosse e l’altro, con gli occhi fuori dalle orbite, mentre l’altro tentava di asciugarsi in qualche maniera, mantenendo come al solito la sua solita seraficità, non capendo perché il suo adorato stesse sbraitando più del solito.
- Beh … - tentò di intromettersi nella conversazione – E’ normale che presta o tardi succeda … -
- No, io non le voglio neanche sentir ‘ste cose! – strepitò, portandosi le mani sulle orecchie per tapparsele, sotto lo sguardo di Takeshi – Il Juudaime è asessuato per me. Lui non fa sesso … non fa sesso … il Juudaime non fa sesso … - continuò a salmodiare, sempre tappandosi le orecchie e beccandosi un’occhiataccia di biasimo da parte dello spadaccino, che continuò a bere tranquillamente il tè scuotendo la testa con un sospiro.
- Infatti Hayato, Tsuna non fa sesso, ma fa l’amore con il suo ragaz … - ma venne nuovamente interrotto brutalmente dall’altro, che non gli permise di continuare a dir altro.
- Ahh. Io non voglio sentire … - squittì – Quindi vuol dire che in questo momento lo stanno facendo? –  sospirò sconsolato e di nuovo si guadagnò un’occhiata laconica da parte di Takeshi.
- Poi Hayato, chiedimi perché mi vengono le paranoie … - lo rimproverò sardonico e a quelle parole l’altro si grattò imbarazzato la punta del naso, per poi scoppiare in una piccola risatina gutturale.
- Ma è stato Kozato a chiederti di accompagnarlo? – chiese seriamente incuriosito. Enma gli pareva il riserbo fatto a persona. Così impacciatamente timido, proprio come il suo Juudaime.
- Ma scherzi! Povero, era così in imbarazzo che l’ho dovuto cogliere di sorpresa e trascinarlo a forza dentro la farmacia quando abbiamo girato l’angolo. – ricordò e ad Hayato venne un brivido di solidarietà nei confronti del povero Boss Simon. Si vergognava sempre come un ladro anche lui quando gli capitava quell’ingrato compito.
- È stato Dino ad accorgersi che Enma stava disperatamente tentando di lanciare segnali di fumo in questi giorni perché qualcuno corresse in suo soccorso. – proseguì Takeshi, ricordando il momento in cui, il giorno prima, il giovane Boss italiano gli si fosse avvicinato quando si trovavano in corridoio di scuola da soli e lo avesse pregato di andar a parlare con Enma.
 
- Credo abbia un disperato bisogno di confrontarsi con qualcuno, ma con me sarebbe troppo imbarazzante. – gli aveva detto il biondo, sorridendo dolcemente e lui aveva inarcato un sopraciglio perplesso.
- Troppo imbarazzante per parlarne con te  … - aveva ripetuto confuso, per poi illuminarsi – Ahhhh! Ok, ok. –
E Takeshi l’impavido era corso in aiuto di Enma. Andando diretto al punto ed Enma aveva preso letteralmente fuoco, diventando un tutt’uno con i suoi capelli. Boccheggiando, aveva iniziato ad armeggiare nervosamente con il nodo della cravatta della divisa scolastica, allentandoselo per cercar di nuovo aria.
 
- Oh Signore, idiota del baseball: gliel’hai chiesto senza alcun giro di parole? – lo rimproverò Hayato, portandosi due dite a stringere la radice del naso e sentendosi in modalità solidarietà massima con Kozato per la lapidaria schiettezza del suo compagno.
- Ma scusa: era inutile girarci tanto intorno. – scoppiò a ridere Takeshi, leggermente imbarazzato in verità, rendendosi conto solo in quell’istante che forse avrebbe dovuto essere un po’ più delicato invece che chiedere ad Enma se lui e Tsuna l’avevano già fatto o meno e che, se voleva, poteva chiedergli qualsiasi cosa. Non con tutti, andar diretti al punto era una buona strategia. Per fortuna lui, con la sua innata seraficità, era riuscito a mettere a suo agio Enma in un attimo.
- Hum … in effetti Dino con me quella volta era stato più delicato … - biascicò pensieroso, e aveva bisbigliato quasi tra sé e sé, ma l’altro l’aveva udito perfettamente.
- Che cosa hai detto?! – sbraitò di nuovo Hayato, sentendo per la seconda volta in poco tempo, la pressione salirgli alle stelle  - Hai parlato della nostra vita sessuale con quell’idiota del Cavallo Pazzo?! –
E Takeshi si trovò costretto a difendersi dalla morsa assassina con il quale l’altro lo stava strattonando per il collo della camicia.
- Hayato, scusa ma … prima di farlo, non sapevo neanche da parte girarmi. Avevo un disperato bisogno di incoraggiamento … -
Ma a nulla valsero le sue argomentazioni, perché Hayato stringeva sempre di più la sua morsa.
- E tra tutti, proprio dal Bronco?! – gli sbraitò ulteriormente contro.
- Ma scusa, da chi andavo: da Hibari? –
L’ipotesi agghiacciante parve sbollire l’ira funesta del Guardiano della Tempesta che masticò tra i denti le imprecazioni, per poi risedersi a terra, incrociando le braccia al petto e sbuffando rumorosamente.
- Tch! Perché Kozato non è venuto da me? – bofonchiò offeso e l’occhiata divertita che gli lanciò Takeshi, valse più di mille parole. Primo, lui sarebbe entrato in modalità professorino, secondo, Enma, ovviamente a disagio con lui, non sarebbe stato in grado neanche di spiaccicar parola. Già Takeshi aveva dovuto cavargli dubbi, perplessità, domande con la pinza praticamente.
- Tch! – ripeté, sbuffando nuovamente e lo spadaccino sorrise dolcemente, prima di gattonare verso di lui e, al solito, farlo scivolare sopra di sé a cavalcioni.
- Comunque in farmacia ho preso qualcosa di interessante anche per noi due … - gli sussurrò maliardo, soffiandogli sul collo mentre iniziava a mordicchiarne con delicatezza la pelle calda.
- Dobbiamo andare a cena dal Juudaime … - gli ricordò Hayato, non tentando tuttavia in nessuna maniera di sottrarsi alle sue attenzioni.
- Hm-hm … sono solo le cinque e mezza … - fu la replica, mentre i denti avevano lasciato posto alla punta della lingua e Hayato ridacchiò, sollevandosi da lui e porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. E una volta che anche Takeshi fu in piedi, lo condusse verso la camera da letto …
 
 
Enma aveva sempre invidiato a Takeshi la sua intrepida impavidità, nonché avventatezza, ma quando l’aveva colto di sorpresa mentre giravano l’angolo della strada e l’aveva preso sottobraccio scaraventandolo oltre la porta a vetri della farmacia, aveva pregato che una voragine gli si aprisse sotto i piedi. Si era infossato dentro la sciarpa, come se la sua zazzera infuocata potesse passar inosservata poi! Aveva volto gli occhi al Cielo, quasi a voler chiedere aiuto al suo amato predecessore, pregando che Yamamoto si sbrigasse a recuperare quella miseria di scatola e andar di filata alla cassa. Ma l’altro si era messo a studiare attentamente ogni minimo dettaglio di ogni maledetta confezione.
Gli era veramente grato per averlo accompagnato, di cuore! Ma in quei momenti, che gli erano parsi a dir poco infiniti, si era sentito sulla graticola come mai prima di allora. E dire che di momenti aberranti ne aveva passati nella sua giovane vita! Era rimasto in apnea fino a quando Takeshi non si era voltato verso di lui, sorridendogli in quella sua maniera che sapeva di affetto, di amicizia.
- Grazie … - gli aveva sussurrato Enma, cercando di infondere in quell’unica parola tutta la sua sincera gratitudine.
Ed ora eccolo a casa, con il sacchetto con l’insegna della farmacia in mano, dopo che l’aveva tirato fuori dallo zaino di scuola. Non aveva neanche il coraggio di tirarne fuori il contenuto. Si sentiva così in imbarazzo! Ed era così immerso nel suo imbarazzo, mentre tentava di farsi coraggio, che quando suonò il campanello, dallo spavento fece volare pacchetto e suo contenuto.
°° Enma? °° la voce di Tsuna, al di là della porta. Era passato a prenderlo prima di andare a cena a casa sua dopo aver recuperato gli ultimi ingredienti che occorrevano a Nana.
- Oddio! – esclamò in panico, quasi fosse stato colto in flagranza di reato, mentre si precipitava a raccattare le confezioni. Con Tsuna non aveva proferito parola in merito al fatto che il loro amico l’aveva accompagnato in quella spedizione punitiva. Semplicemente voleva esser, o almeno cercar di esser pronto quando sarebbe successo. Non aveva fretta.
“ Sì, cioè: mi piacerebbe … ma…” perfino il solo pensarci lo faceva avvampare.
- A-arrivo … - biascicò, rifficando tutto nel sacchetto e imbucandolo da prima dentro la credenza, ma poi si ricordò che molte volte Adel veniva a casa sua a cucinare e dovette portarsi una mano sul cuore ad immaginarsi l’amica trovarsi quelle due confezioni dal contenuto inequivocabile.
Rabbrividì al pensiero dello sguardo accigliato della ragazza con preservativi in una mano e lubrificante nell’altra.
- Arrivo Tsuna! – urlò in direzione della porta, mentre si guardava in giro, cercando un luogo sicuro. Abbastanza sicuro anche dalle possibili incursioni di Julie a casa sua.
- Oddio! – mormorò impanicato. Non avrebbe retto alle prese in giro da lì all’eternità dell’amico.
°° Enma? °° aveva bisbigliato Tsuna impensierito, mentre stava per bussare alla porta con circospezione. Al quel punto, il decimo boss Simon aveva aperto, con un profondo sospiro.
- Tutto ok? – gli chiese preoccupato il Juudaime, notando i capelli rossi scompigliati.
-S-sì … sì … - Enma, come da copione, incespicò sulle sue stesse parole, facendosi miseramente sgamare. Non era bravo a nasconder le cose a Tsuna. E Tsuna sapeva che quando l’altro era imbarazzato, a disagio, appena muoveva un primo passo, incespicava sui piedi. Cosa che accadde puntualmente, finendogli addosso e facendoli ruzzolare entrambi a terra. E si trovò sotto Enma, che andò in fiamme. Come lui del resto!
Era inutile negare, nascondere, cercar di frenare le reazioni fisiche che si scatenavano d’istinto nel corpo di entrambi ad essere così vicini, a fissarsi negli occhi in silenzio. Era inutile, soprattutto tra quelle rassicuranti mura che, nelle ultime settimane, erano state testimoni di ogni singolo sospiro a stento trattenuto, di ogni minimo imbarazzo scardinato, di ogni paura via-via spazzata. Dove ogni minima scoperta l’uno sul corpo dell’altro si era compiuta in maniera sempre meno imbarazzata, mentre spiavano di sottecchi l’uno le reazioni dell’altro, sorridendosi impacciati, per poi abbracciarsi stretti-stretti, come a volersi dire: “Io ci sono. Sono qui per davvero, stai tranquillo”
Non se l’erano mai detto, mai posti l’interrogativo. Semplicemente sapevano che anche il passo successivo, fare l’amore insieme, sarebbe venuto naturalmente come tutto il resto. Solo che, inutile negarlo, questo comportava qualche dettaglio tecnico non propriamente trascurabile. Quindi meglio esser pronti con tutto l’occorrente.
Così come c’era un’altra spinosa questione da affrontare. Dirlo a Nana e Iemitsu. Dirli che loro due stavano insieme.
Erano sempre stati d’accordo tutti e due sul fatto di raccontarlo ai genitori di Tsuna. Nana poi, manco a dirlo, aveva preso particolarmente a cuore Enma, ignorando tutti i retroscena ovviamente. La donna l’aveva accolto come un figlio, come tutti gli altri amici di Tsuna, ma per Enma aveva sempre un occhio di riguardo. Molto probabilmente perché gli ricordava tanto il figlio. O forse perché, da mamma, aveva già capito tutto. Aveva notato l’incrociare degli sguardi, quell’accarezzarsi, coccolarsi anche solo con gli occhi.
Ma oltre ad una mamma doc, Tsuna poteva anche contare su degli amici doc.
Quella sera, infatti, a casa sua, mentre si trovava a cena con i genitori, Enma, Takeshi e Hayato, sarebbe stato proprio quest’ultimo a fungere da Deus Ex Machina.
Hayato aveva percepito chiaramente, dalle occhiate che i due si lanciavano, che c’era qualcosa che volevano dire. E aveva anche capito cosa.
Quando, per l’ennesima volta, notò Enma fare a Tsuna cenno con gli occhi come ad invitarlo a parlare, fu lui ad aprir bocca. Da bravo amico, neanche si pose tanti dubbi, dei “se” e dei “ma”. Sapeva solo di volerlo aiutare. E quindi, parlò.
- Io e il fissato del baseball stiamo insieme. - proferì come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo, per poi, con altrettanta naturalezza, proseguire con un: - Kozato, mi passi l’insalata per favore? –
Toccò allo spadaccino questa volta rischiar di morire soffocato, neanche si voltò a guardare il suo innamorato che gli sedeva alla sinistra. Ci mise un attimo però, a capire cosa aveva indotto Hayato, che era un riservato di natura, ad esporsi così e gli andò incontro.
- Hm-hm … da un bel po’ anche. – rincarò la dose, sorridendo tranquillamente.
Tsuna ed Enma, seduti di fronte, erano rimasti con le bacchette a mezz’aria, a bocca spalancata, a fissarli. Increduli. Solo Nana, ovviamente, non batté ciglio e sorrise piegando la testa.
- State bene insieme. – proferì la donna, compiaciuta, porgendo al marito il condimento. E quattro paia d’occhi si voltarono lentamente proprio verso di lui.
- Oh sì sì … - si affrettò a dire Iemitsu – State bene insieme, sì. –
Come se i quattro volessero un suo parere poi! Ciò che interessava loro, era vedere come avrebbe reagito.
- A-anche io ed Enma! – se ne uscì allora Tsuna, pronunciando quelle parole tutte d’un fiato, puntando gli occhi su quelli dei genitori. – Anche io ed Enma stiamo insieme. – pensò bene di precisare. E attese, ma con la coda dell’occhio non poté non vedere, il dolcissimo sorriso che impreziosì le labbra di Enma.
- Hm-hm, da un bel po’ anche voi due, no? – ribatté Nana, tranquilla.
- E-eh? – balbettò Tsuna, che aveva già perso ogni baldanza, mentre dall’altra parte del tavolo, Takeshi e Hayato avevano tratto un profondo sospiro di sollievo, scambiandosi una rapida occhiata.
Anche questa era fatta, pensarono nel momento in cui il resto dell’allegra brigata suonò alla porta, per la famosa meringata di Nana.
Sotto le minacce di morte, ovviamente neanche minimamente velate, di Hibari nei confronti di Ryohei reo, al solito, di sfondargli i timpani, i due fecero il loro ingresso. Dino neanche ci provava più a farli ragionare, pensando che Lambo - che teneva in quel momento in braccio dormiente dopo averlo portato al luna park -  potesse esser più ragionevole di quei due. A volte!
Che quadretto apparvero alle persone sedute in tavola! E che meraviglia per Tsuna sentire le loro voci, le loro risate, il loro rivolgersi l’uno all’altro nella loro maniera inconfondibile. Pensò che fosse qualcosa di a dir poco stupefacente come il loro relazionarsi, il loro essere uniti, fosse davvero come una sorta di filo rosso del destino. Che sempre li avrebbe tenuti legati.
Avrebbero potuto non essere sempre insieme, non sempre vicini fisicamente ma sapendo che un affetto imprescindibile, gratuito, li legava. E che qualcuno avrebbe sempre vegliato su di loro dall’alto.
E quante ne avrebbero passate ancora insieme, ma sempre con la forza e il sostegno che solo una Famiglia può dare. Ricordando loro che una delle cose più importanti della vita fossero gli amici.
Gli amici veri.
 
 
 
DIECI ANNI DOPO
 
Enma riemerse dolcemente dalle braccia di Morfeo trovandosi, al solito, il volto di Tsuna ad un soffio dal suo, mentre questi continuava a dormire pacificamente. Sorrise. Da sempre prendevano sonno così e così si ritrovavano la mattina successiva. L’uno di fronte all’altro, teneramente abbracciati.
Solo che da quattro anni a quella parte, capitava a volte – come quella mattina – che fosse anche il viso di qualcun altro a finire nel suo campo visivo.
Sorrise teneramente di fronte a quel piccolo miracolo che dormiva beatamente tra loro due.
Dopo aver posato una leggera carezza sul volto del suo adorato amore, posandogli un leggero bacio a fior di labbra, Enma portò l’attenzione delle dita su quei capelli rossi ribelli che il figlioletto non poteva che aver ereditato da lui. Da lui e da Cozzato. Restava ancora da capire gli occhi verde scuro da chi li avesse presi. Una piccola risata gli sfuggì dalle labbra.
- Papi … - esclamò il bambino, risvegliandosi.
- Kou … – sussurrò lui, addolcendo a sua volta lo sguardo. (Kou = un nome, una garanzia di figherrimiccità.ndC)
E il piccolo Kou, dopo essersi voltato verso Tsuna, vedendo come questi dormisse ancora, si portò un dito sulle labbra.
- Sshhh, papi Tsu dorme ancora … - proferì tutto serio, ed Enma se lo strinse al petto.
- Sì, amore: papi Tsu dorme ancora … - bisbigliò, posando un’altra carezza sul volto del suo innamorato, che mugugnò qualcosa, segno che si stava risvegliando a sua volta.
E quale meraviglioso scenario apparve agli occhi assonati di Tsuna. Le sue due ragione di vita.
- Buongiorno amori miei … - biascicò, donando loro un dolce sorriso. Di quei sorrisi in grado di scaldare anche nelle giornate più gelide. Ecco da chi Kou aveva ereditato il suo dolce sorriso.
 
 
Kou poteva contare non solo su due papà, ma anche su una serie di zii da far invidia a chiunque.
Kyoya non avrebbe mai saputo spiegarsi del perché i bambini fossero tutti attratti da lui. Forse era a causa di Hibird e Roll. Forse era a causa del fatto che, nell’immaginario collettivo, lui veniva associato a quell’inetto biondo, fattosta che Kou, con il suo fedele peluche in mano che riprendeva le irritanti fattezze di un Lambo TYB, seduto sul tappeto continuava a fissarlo serio.
- Zio Kyo? –
Quand’è che gli aveva dato il permesso di chiamarlo zio? E Kyo? Ah già! Mai! Se l’era semplicemente preso, pensò Hibari.
Tsuna e Dino, che stavano finendo di preparar la tavola per il pranzo, si voltarono all’unisono verso il divano dove si trovavano seduti Hibari e Hayato. Attendendo. Anche Enma e Takeshi, che stavano completando di sistemar il sashimi, tennero la situazione sotto controllo.
- Zio Kyo, perché dormi nello stesso letto con lo zio Dino? – chiese il bambino, nella sua beata innocenza.
Dino scoppiò a ridere di gusto, mentre Tsuna si portò una mano sulla faccia.
- Perché queste domande non le fai ai tuoi papà? – replicò il Guardiano, senza batter ciglio.
- Ah, Hibari – si intromise Takeshi, reprimendo a forza le risate – Questo è il genere di domanda che non si fa mai ai propri genitori. – ridacchiò
- Su Kyoya: rispondi. – si divertì a punzecchiarlo il biondo, beccandosi un’occhiata truce. Ma se tutti pensarono che la questione fosse finita lì e che Hibari non avesse ancora incendiato il povero malcapitato con lo sguardo, giusto perché un minimo di senso civico ed etico in fondo ce l’aveva, beh, si erano sbagliati di grosso.
Mentre Kou continuava a fissarlo speranzoso, ma con un cipiglio comicamente serio per un bambino di quattro anni ed Enma lo ammoniva dolcemente dicendogli di non disturbare ulteriormente lo “zio Kyoya”, il Guardiano – incredibilmente – continuò a parlare.
Si abbassò un poco, in maniera tale da portare gli occhi al livello di quelli verdi di Kou, che non si spaventò minimamente, anzi: allungò una manina per poter accarezzare il volto dell’altro.
“ Hiii! Non ha di certo preso da me!” pensò Tsuna, con un brivido, pronto a scattare nel caso in cui Hibari desse qualsiasi segno di cedimento.
- È perché ci vogliamo bene e vogliamo passare ogni momento insieme. – gli bisbigliò.
- Kyoya … - sussurrò Dino, stupefatto.
Mai si sarebbe aspettato una risposta del genere. Una risposta così dolce. Forse, dopo tutto, in quei lunghi anni passati insieme, un po’ era riuscito a domarlo.
Anche Takeshi, Tsuna ed Enma si voltarono per un piccolo istante a fissarlo, sbalorditi dalla dolcezza della risposta ma, saggiamente e perché ci tenevano alle loro vite, finsero di non aver sentito alcunché. Solo Hayato non si scompose minimamente, ma quando vide che Kou si era spostato di fronte a lui e aveva iniziato a fissarlo, prudentemente – prima di domande imbarazzanti – si diede alla fuga, alzandosi dal divano. E facendo scoppiar a ridere il suo compagno e Dino. Kou sospirò, stringendo ulteriormente il suo peluche al petto, facendosi meditabondo.
E fu in quel preciso istante che accadde.
- Wow! – sibilò Dino, rimanendo interdetto, fissando a bocca aperta la Fiamma dell’ultimo desiderio che Kou aveva, inconsapevolmente, sviluppato. Anche gli altri tre rimasero a bocca aperta di fronte alla purezza di quella fiamma.
Enma, che si trovava di spalle, lo percepì chiaramente e si voltò verso Tsuna, fissandolo. I due sospirarono, scambiandosi un’occhiata significativa.
- Capita molto spesso ultimamente. – spiegò il Juudaime, cercando di sorridere, ma si vedeva chiaramente che sia lui che Enma erano turbati da questa cosa. Sapevano che era una cosa che non avrebbero potuto evitare, che era inevitabile, ma avrebbero – per contro – fatto di tutto per poter evitare che accadesse.
- Beh … - iniziò a parlare il biondo, che aveva capito cosa turbasse i suoi due amici – ... d’altra parte ha dentro di sé la Fiamma dell’ultimo desiderio di tutti e due. – sorrise incoraggiante, come solo lui sapeva esserlo, dando una pacca di incoraggiamento a Tsuna che, nuovamente si sforzò di sorridere, per poi recuperare anche Enma. Li abbracciò, facendo scivolare un braccio intorno alle loro spalle e stringendoli a sé. La Fiamma dell'ultimo desiderio di Vongola e Simon non era cosa da poco. Dino non poteva neanche immaginare cosa volesse dire averle inglobate all’interno di un’unica persona.
- Vostro figlio è destinato a far grandi cose. – mormorò, per poi alleggerir la tensione nell’animo dei due scompigliando ad entrambi i capelli.
- Nel bene o nel male … - bisbigliò Enma contrito.
- Nel bene ovviamente! Con due genitori come voi. – corse a dar supporto l’altro bontempone del gruppo, unendosi all’abbraccio  – E con degli zii come noi. –
E la solita risata cristallina di Takeshi fu in grado, al solito, di sciogliere ogni tensione.
Kou, forse capendo che si stava parlando di lui, si voltò, alzandosi in piedi e dirigendosi verso i sei, allungando le braccia verso i suoi due adorati papi, che – all’unisono – si abbassarono verso di lui sorridendogli, prima di venir sommersi di baci da parte del piccolo.
Dino sorrise dolcemente per poi spostare lo sguardo verso Hibari.
- Kyoya, pensavo che  … - non fece neanche tempo a proferire.
- Scordatelo! – fu la risposta lapidaria del Guardiano, che aveva già capito dove l’altro volesse andare a parare. D’altra parte non poteva non vedere lo sguardo tenerissimo con il quale il biondo guardava Kou ogni qualvolta il bambino si sbaciucchiava i suoi due amati papà.
Una nuova risata liberatoria calò sull’allegra brigata. E Tsuna ed Enma sospirarono di sollievo. Qualsiasi cosa si fosse presentata, qualsiasi cosa fosse accaduta, non sarebbero stati soli.
 

Continua …
 
 
Tsuna ed Enma come paparini son così carini, ohhh! Sono così dolci ‘sti due, ohhh! E Kou, beh: ve l’ho detto, un nome una garanzia di figherrimicità ahahah^//^ Nel prossimo chappy cerco anche di mettervi una sua immagine (modificando una bellissima di Giotto che ho in mio possesso)
Ah, non mi chiedete chi – tra EnmaLove e Tsuna – ha fatto cosa ahahah^///^
 
 
 

 
 
Kotatsu*: Tavolino riscaldato

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Un buon Inizio ha sempre una buona Fine ***


Ciaossu^^
Ed eccoci arrivati all’ultimo chappy anche di questa minilong.
Eh sì: che tristezza! T_T E’ sempre brutto metter la parola Fine, ma vabbè…
A maggior ragione, anche questa volta un doveroso grazie a tutti Voi per la pazienza e l’affetto <3
A tutti Voi dedico questo capitolo.
E come promesso la scorsa volta, giusto per farvi un’idea, ecco come io mi son immaginata Kou …
http://i58.tinypic.com/2h7jdb8.jpg
 
Ma non solo. Eh eh! A mano a mano che vi verranno presentati i personaggi, ho creato delle versioni chibi. Anche qui giusto per farvi un’idea.
 
 
 
“ Un buon Inizio ha sempre una buona Fine”
 

 
CAPITOLO 6
 
DIECI ANNI DOPO
 
- Ittekimasu* - salutò allegramente Kou, dopo essersi infilato le scarpe in entrata.
- Kiotsukete* - fu la risposta all’unisono di Enma e Tsuna, che d’istinto girarono la testa verso la portafinestra della cucina e videro il ragazzo prendere di corsa la strada verso scuola.
Sorrisero, scuotendo la testa.
(http://i57.tinypic.com/xptv9d.jpg)
 
Nel frattempo Kou, ignaro di essere oggetto delle battute scherzose dei genitori, non accennava a diminuire la sua corsa.
Non era in ritardo quella mattina – stranamente – ma stranamente avrebbe fatto la strada da solo e non in compagnia dei suoi due più cari amici. Amici che aveva sempre avuto al suo fianco fin da quando ne aveva memoria.
Arima e Watari, infatti, quel giorno erano impegnati con gli allenamenti mattutini dei loro rispettivi club e lui non vedeva l’ora di vederli per mettersi d’accordo per la loro prossima maratona serale della nuova serie televisiva che impazzava in quel periodo. Sì, ok: era vero anche quello, ma non era l’unico motivo per il quale stava correndo con il cuore in gola che batteva a mille. E per quello ben poco ci poteva fare. Doveva accettarlo e basta, come qualsiasi altro adolescente nel pieno di una cotta spaventosa.
Buttò fuori rumorosamente l’aria dopo aver gonfiato le guance, sentendo il confortante peso della custodia del suo violino scaldargli la schiena e di come una delle corde – “ E’ sicuramente quella di LA” pensò sorridendo dolcemente – pizzicasse in seguito ai movimenti della sua corsa.
Portando l’attenzione degli occhi verdi verso il cielo terso e scrutandolo attraverso le ciocche rosse che gli ondeggiavano allegramente sulla punta del naso, voltò l’angolo e lo scontro fu inevitabile. Preoccupandosi per i danni che il suo amato violino avrebbe potuto subire se fosse caduto a terra, la sua velocità di reazione si amplificò d’istinto, come succedeva spesso ultimamente. D’istinto, si portò una mano alla fronte, nel timore che fosse successo …
Nelle ultime settimane era capitano un fatto strano ed inspiegabile, e al contempo inquietante. Era accaduto che, nel momento in cui aveva percepito un pericolo per sé o per gli altri, la sensazione di un grande fuoco era partita da dentro. Gli era scorso nelle vene e, cosa ancora più angosciante, quel fuoco aveva trovato sfogo nella sua fronte.
La prima volta che era successo, pensò di aver avuto un’allucinazione. La seconda pensò di essere andato completamente fuori di testa ma poi, con la curiosità e l’interesse che gli erano propri di natura, aveva cercato di trovare una spiegazione, cercando di capire come controllare quella cosa, sperando così che non si sarebbe più verificata. Solo che alcune volte quella cosa partiva da sola e sfuggiva al suo comando.
Con sollievo, si accorse che non era accaduto.
Non ne aveva fatto parola con nessuno. Né con Arima e Watari, né tantomeno con Enma e Tsuna.
- Sumimasen. – si scusò con lieve inchino, prima di sollevare gli occhi e trovarsene un paio di turchesi che lo fissavano.
- Zio Hayato! – esclamò felice, scusandosi nuovamente.
Hayato, come ogni volta, restò a dir poco affascinato di fronte a quel sorriso che era la somma di quello di quattro persone. Non solo dei suoi due genitori ovviamente, ma anche di quello di Giotto e Cozzato.
Kou, crescendo, aveva fatto proprie nel volto e nel carattere, le caratteristiche di tutti e quattro. In un mix a dir poco adorabile. Se da Giotto e Cozzato aveva preso l’incredibile dono di farsi semplicemente adorare da chi gli stava a fianco e una leadership innata che Kou continuava umilmente a rifuggire, da Tsuna ed Enma aveva preso la stessa squisita timidezza con gli estranei che lo faceva adorare ancora di più. Gli piaceva stare in mezzo alla gente, anche perché le persone si sentivano naturalmente calamitate da lui - dalla sua gentilezza, dalla sua solarità – ma, essendo comunque uno riservato, erano pochi quelli che considerava suoi amici fidati. Quelli con i quali confidarsi ed esser apertamente se stesso, con le sue insicurezze, le sue paure, senza timore. Quelli che sapeva l’avrebbero capito anche con una sola occhiata.
Piegò la testa di lato, Kou, continuando a sorridere ad Hayato, socchiudendo gli occhi verdi.
- I papi sono già svegli. – gli disse, intuendo che stesse andando a casa loro.
- Lo spero bene. – replicò Hayato accigliato, guardandolo mentre riprendeva la sua cacciata e, puntualmente, prendersi un coccolone assurdo nel momento in cui, passando davanti al cancello di una casa, uno yorkshire iniziò ad abbaiare copiosamente al suo passaggio.
Il Guardiano ebbe una specie di deja-vù che gli fece scuotere la testa divertito.
 
 
Mettendo le ali ai piedi, Kou ci mise un attimo ad arrivare alla Namimori School. Nonostante le lezioni mattutine sarebbero cominciate solo da lì a mezzora, il cortile della scuola era già frizzantemente animato dai ragazzi impegnati con gli allenamenti mattutini.
Corse verso l’aula assegnata al Club di Musica, del quale faceva parte, per lasciare il suo prezioso strumento, per poi scappare nuovamente fuori.
Semplicemente, moriva dalla voglia di vederlo. Come mai prima di allora.
- Kou, non si corre per i corridoi! –
Era così immerso in questi suoi pensieri da dokidoki assurdo, che il richiamo gli arrivò ovattato alle orecchie. E lo percepì solo perché era una voce ben nota e conosciuta.
- Gomen zio Dino! – si scusò, senza tuttavia accennare a frenare la sua cacciata e salutandolo con una mano.
- Mattaku! – sospirò il biondo divertito, battendosi il registro di classe su una spalla. Per fortuna, ed incredibilmente!, era riuscito ad evitare la collisione.
- Guarda che se ti vede il Preside son guai, eh! – si divertì a prenderlo in giro e Kou, nonostante fosse accaldato dalla corsa, sentì un brivido ghiacciargli il sangue nelle vene. Lo “zio Kyo” – come continuava ostinatamente a chiamarlo, fuori da scuola ben si intende - era peggio di un boa costrictor in quanto a muoversi velocemente e silenziosamente, attendendo con sadico divertimento le sue prede cadere in fallo.
 
Kou era diretto verso la parte più distante dell’edificio scolastico. Per arrivarci stava quindi attraversando tutta la struttura, ricambiando gentilmente ogni saluto che gli veniva rivolto, sempre con un sorriso per tutti. Rallentò la sua corsa solo quando qualcosa aveva attirato la sua attenzione.
- Ohayo, Tsukishima-senpai. – salutò allegramente, dopo aver fatto marcia indietro.
Tsukishima sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo, seduto sulla panchina più deserta e solitaria della Scuola, limitandosi a replicare con il suo monosillabo preferito, chiedendosi per l’ennesima volta del perché quel petulante ragazzino si fosse fissato con lui.
(http://it.tinypic.com/r/mu93ly/8)
 
Sarebbe inorridito se avesse saputo che Kou, vedendolo sempre da solo, si era incaponito di volerci assolutamente far amicizia, e facendo venire ogni volta il sangue alla testa ad Arima che cercava di farlo desistere da questo proposito suicida.
Kou sapeva benissimo che Tsukishima si aggirava per la scuola come un animale solitario perché gli andava bene così, ma pensava anche che fosse perché molto probabilmente non aveva ancora conosciuto nessuno al quale affezionarsi sinceramente. E quando esponeva questa sua teoria ai suoi due amici d’infanzia, Watari scoppiava a ridere di gusto, trovandosi perfettamente d’accordo con lui e promettendogli il suo aiuto, mentre Arima li fissava sconcertato, incrociando le braccia al petto e inarcando un sopraciglio, mentre li ammoniva dicendo loro di fare come diavolo li pareva ma che non si sognassero di coinvolgerlo a far amicizia con quel sociopatico del loro senpai. Allora Kou sorrideva leggermente, socchiudendo gli occhi e per Arima era la fine. Sì perché, come ogni volta, non sapeva mai dir di no a Kou, soprattutto perché sentiva partirgli da dentro un istintivo bisogno di proteggerlo silenziosamente e nell’ombra.
 
Nel frattempo Kou proseguiva nella sua corsa, passando davanti al campo di baseball dove stazionava ai bordi la solita orda assassina e minacciosa di ragazze, il cui oggetto di attenzioni – al passaggio del ragazzo – agitò la mazza in segno di saluto. Immediatamente ricambiato da Kou, che allargò il sorriso contagiato da quello caldo e solare di Watari.
(http://i59.tinypic.com/23ual35.jpg)
 
Ed infine arrivò al Dojo.
Il club di Tiro con l’Arco in quella soleggiata mattina si stava allenando fuori.
In religioso silenzioso, si avvicinò alla rete di sicurezza, prendendo posto a fianco ad alcune sue compagne di classe, letteralmente in estasi e che manifestavano tale estasi con risolini e piccoli schiamazzi.
- Arima-kun! –
(http://i59.tinypic.com/20uxuoi.jpg)
 
Cercarono di attirare l’attenzione del ragazzo nel momento in cui questi tese perfettamente il suo arco, concentrato. E in quel momento, col sole che ne dorava ulteriormente i capelli, poteva tranquillamente far invidia direttamente al dio Apollo, il grande arciere delle divinità greche.
Kou, senza accorgersene, trattenne il fiato, incastrando le dita tra le maglie della rete, forse a voler sopperire al desiderio di poterlo fare tra i capelli biondi del suo miglior amico.
Deglutì a vuoto nel momento in cui Arima scoccò la freccia e non gli servì controllare se fosse andata a segno. Neanche gli interessava a dire il vero. Ciò che gli interessava era che quegli occhi smeraldini si posassero su di lui.
In quelle settimane l’animo di Kou aveva avuto di che annoverarsi. Tra quelle strane fiamme che si sviluppavano nei momenti meno opportuni, tra l’aver capito che quando stava con Arima, quando smaniava per vederlo, quando doveva farsi violenza inaudita per non toccarlo più del necessario e del dovuto, molto probabilmente non era da considerarsi più affetto fraterno.
Con Watari non succedeva. Certo, era strafelice di stare anche con l’altro suo miglior amico di sempre, perché l’allegra presenza del giocatore di baseball era una ventata di aria fresca, ma con Watari non sentiva l’impellente desiderio di saltargli addosso.
Sospirò affranto a tali pensieri. Decisamente, tra una cosa e un’altra, c’era qualcosa che non andava in lui, pensò.
La sua attenzione fu risvegliata quando sentì che i gridolini concitati delle sue compagne andarono aumentando di intensità.
- Ohhh, si sta girando da questa parte! – squittirono felici.
Ma l’attenzione di Arima non era rivolta a loro. No, gli occhi di Arima – con ancora l’arco imbracciato – si spostarono fino ad incontrare quelli verdi di Kou. Che sentì il cuore partire al galoppo. E fu solo quando i loro sguardi si incrociarono che Arima permise alle sue labbra di aprirsi in un sorriso, appianando il leggero cipiglio sulla fronte.
- Huuu, Kou! – si lamentarono le ragazze - Quando ci sei tu, ti prendi sempre tutte le attenzioni di Arima-kun! –
- Ah … ehm … scusate … - bofonchiò, seriamente a disagio.
- Ma ti perdoniamo perché sei altrettanto carino. – sghignazzarono malefiche, prima di andarsene.
- E-eh? C-cosa? – biascicò, cercando di riparare il rossore delle guance con una ciocca di capelli, accorgendosi tuttavia che l’altro si stava avvicinando alla rete.
Cercando di calmarsi il più possibile dall’allegro sfarfallio che aveva malignamente iniziato ad agitarsi nello stomaco, la mente di Kou continuava a ripetersi “E’ solo Arima. È sempre e solo Arima. Il solito Arima …” “Appunto!” replicava il cuore in visibilio.
Ma Kou era bravo a eclissare e dissimulare i suoi turbamenti interni e salutò l’amico con tutta la seraficità di cui era possessore.
- Hai finito per questa mattina? – gli domandò, restando tuttavia rapito dalle dita dell’altro che si muovevano tra i capelli per scioglierli dalla piccola coda nella quale li aveva legati per liberare il volto dai soliti ciuffi fuori controllo.
- Sì. – rispose il biondo, ammorbidendo nuovamente le labbra in un sorriso.
“ Wow!” si ritrovò a pensare Kou, sentendo una piccola parte dentro di sé inorgoglirsi, perché non poteva proprio far finta di non vedere che quel sorriso Arima lo dedicava solo a lui.
- Mi cambio e arrivo. – proferì quest’ultimo, non prima di aver appoggiato a sua volta, per un attimo, le dita nella fessura a fianco di quella dove si trovavano quelle di Kou, e le mani dei due si sfiorarono.
Molto presto quelle stesse dita si sarebbero intrecciate per la prima volta per non lasciarsi mai più. Nel momento in cui entrambi avrebbero trovato il coraggio di confessarsi i propri sentimenti l’uno all’altro.
 
Kou con Arima diventava ancora più ciarliero, soprattutto perché il taciturno compagno si limitava ad ascoltarlo in silenzio, divertendosi ogni tanto ad intervallare il monologo dell’altro con battutine e frecciatine a suo danno, che il rosso accoglieva scoppiando a ridere, perché sapeva che il tutto era fatto con estremo e sincero affetto.
Stava finendo di raccontare del concerto che avrebbe avuto di lì a qualche giorno con l’Orchestra Scolastica della quale faceva parte, quando un “Attenzione” gridato nella loro direzione fece appena in tempo a far presagire ai due un imminente pericolo, e Kou si ritrovò steso a terra da un micidiale Home Run del miglior battitore della Squadra di Baseball.
- Gomen, gomen Kou … - si affrettò a scusarsi Watari, porgendo una mano all’amico per aiutarlo ad alzarsi, dopo esser corso verso i due a veder i danni fatti.
- Watari, razza di scimunito, l’hai steso! – si inalberò Arima, prendendolo per il bavero della divisa sportiva, con intenzioni per niente pacifiche.
- Arima, sto bene, tranquillo. – cercò di riportar la calma il diretto interessato, come sempre, mettendosi a sedere a terra e massaggiandosi la testa dolorante.
- Scusami … - sussurrò mortificato Watari, porgendogli nuovamente la mano e sempre con il suo bel sorriso stampato in faccia.
- Va tutto bene. – lo rassicurò Kou afferrando la sua mano.
- Tch! – fu il commento di Arima – Va a cambiarti, che è quasi ora di lezione. – ammonì il giocatore.
- Sì, mammina. – si divertì a prenderlo in giro quest’ultimo.
- Crepa! – fu l’ovvia risposta che lo fece scoppiare a ridere, prima di scappare a cambiarsi, non prima di aver urlato un allegro “Yamamoto-Sensei, ha visto il mio Home Run?” che sfondò i timpani agli altri due.
 
La giornata proseguì nel migliore dei modi, come sempre.
Le ore mattutine di lezione scivolarono via pigramente e sonnacchiosamente. Durante quelle pomeridiane ci fu un piacevole diverso dato dall’ora buca di Economia Domestica, dato che Dino e Takeshi – avendo un’ora libera da lezioni a loro volta – avevano deciso di sfidare i loro alunni in una gara di cucina.
Gara di cucina che si tramutò ben presto in una cosa goliardica quanto casinista, tanto da spingere il Preside dell’Istituto – alias Hibari Kyoya – ad indagare, facendo serpeggiare il panico, in particolar modo nel suo compagno, che sapeva avrebbe fatto una brutta fine di lì a poco vedendo il guizzo malefico passare negli occhi grigi dell’altro.
“ Sono un uomo morto!” aveva pensato Dino con un brivido, pur tuttavia continuando a sorridere imperterrito.
Stavano quindi rientrando a casa, Kou, Arima e Watari, ridendo e chiacchierando del più e del meno, spensierati, tanto che il primo quasi si dimenticò delle sue preoccupazioni.
Con il sole che tramontava davanti a loro, Watari si portò una mano a schermarsi gli occhi marroni.
- Oh! – esclamò divertito, scorgendo la figura di spalle di Tsukishima camminare solo qualche metro davanti a loro.
- Bene, vado a fraternizzare con il nemico. – proferì, facendo il segno di vittoria con le dita e strizzando l’occhio agli altri due, che rimasero basiti con il loro gelato a mezz’aria.
Arima e Kou si scambiarono un’occhiata perplessa, mentre osservavano l’amico raggiungere l’altro con una veloce corsetta.
Tsukishima si limitò ad alzare gli occhi dal libro e lanciargli una chiara occhiata infastidita, ma Watari non si fece gelare da quello sguardo turchese, anzi: pensò bene di fargli un buffetto tra i capelli castani – e lì Kou e Arima temettero seriamente per la sua vita – per poi passare quella stessa mano tra i suoi ciuffi biondi ribelli in una sorta di coccola, cercando di placare l’ira funesta dell’altro.
A quel gesto, i due indietro si rinnovarono l’occhiata, ma stavolta non era un’occhiata interrogativa, ma eloquente e sghignazzarono ammiccanti.
 
Kou, finita la cena, finiti i compiti, finito di dare una mano a sistemare in cucina, si trovava nel bagno al piano inferiore, di fronte allo specchio.
Ormai non poteva più negarlo.
Da quando si era rinchiuso in bagno aveva provato a controllare la fiamma e, dopo vari tentativi, si sentiva più sicuro in merito al padroneggiarla ma questo non voleva dire che la cosa non lo angustiasse.
Sospirò rumorosamente, con le mani appoggiate al lavandino, chinando il capo per poi riportare gli occhi alla sua immagine riflessa.
C’era una sola cosa da fare …
- Papi? – li richiamò con voce tremula, entrando in salotto dove si trovavano Tsuna ed Enma. I due si voltarono sorridenti verso il figlio sulla soglia, ma quando videro la Fiamma sprigionare dalla sua fronte, ritornarono seri, fissandosi.
Com’era stato per Tsuna, anche la Fiamma di Kou era stata sigillata fino a quando le condizioni non fossero state pronte, e questo significava che Kou era pronto.
Enma e Tsuna, di nuovo e come sempre, si parlarono con gli occhi, prima di assentire leggermente con il capo e nel momento in cui riportarono l’attenzione al figlio, sprigionarono a loro volta le loro Fiamme pure.
Kou spalancò gli occhi verdi, ammaliato, prima di sospirare di sollievo, portandosi una mano all’altezza del cuore.
- Allora è tutto a posto. Non ho niente che non vada. È una cosa che ho ereditato da voi. – proferì al limite della commozione data dal sollievo arrecato, facendo sorridere teneramente gli altri due.
Chissà da quanto si teneva questo cruccio dentro, pensarono, sentendosi in pena per lui.
- Kou, vieni, siediti. – lo invitò Enma, facendogli segno di raggiungerli sul divano.
- Non è finita qui, eh? – ci provò Kou, grattandosi la punta del naso.
- No, non è finita qui, no … - sussurrò Tsuna, facendogli segno a sua volta di raggiungerli, dopo che aveva tirato fuori dal fondo di un cassetto un vecchio album di fotografie.
Kou inarcò un sopraciglio perplesso. Primo, non l’aveva mai visto prima d’ora; secondo, chi esisteva ancora al giorno d’oggi che sviluppava e stampava foto?, si chiese interdetto, mettendosi a sedere in mezzo ai suoi genitori.
- Adesso ti raccontiamo la storia di questa Fiamma e da dove e da chi ha avuto origine. – gli spiegò dolcemente il Juudaime, posandogli l’album in grembo, invitandolo con un cenno del capo ad aprirlo.
Kou li fissò dubbioso entrambi, prima di concentrarsi sulla copertina. Sapeva che nel momento in cui l’avesse aperto, non si sarebbe più potuti tornare indietro.
Intuendo già la portata della cosa, sospirando greve, aprì l’album.
- Pà! – bisbigliò basito, sollevando di scatto gli occhi verso quelli di Tsuna, che gli sorrise dolcemente. Certo, lui Giotto la prima volta che l’aveva visto se l’era trovato davanti in carne ed ossa, ma capiva comunque perfettamente lo sbigottimento del figlio anche a vederlo ritratto in una vecchia foto.
- Questo … questo non è il nonno da giovane … - mormorò Kou, sentendogli la testa girare.
- Indubbiamente no. – sorrise incoraggiante Tsuna.
- E allora perché questo ragazzo ti somiglia così tanto? – chiese, deglutendo a fatica.
Non era pronto. Qualsiasi cosa fosse, non era pronto; continuava a martellarsi in testa.
- Kou, va avanti. – si limitò ad invitarlo, sempre dolcemente. E Kou, girando pagina, obbedì. E un nuovo choc lo attese.
Se Tsuna, crescendo, era diventato sempre più somigliante a Giotto, Enma era da sempre la fotocopia vivente di Cozzato.
D’istinto, il ragazzo ritrasse di scatto la mano dall’immagine del primo boss Simon, per appoggiarla sopra quella di Enma, senza rendersene conto, per poi portarla davanti agli occhi.
- Ok … - bisbigliò – Ok … - ripeté, portando lo sguardo ora all’uno ora all’altro.
- Voi due, quanti anni avete in realtà? – chiese, incredibilmente serio.
Era rimasto colpito da una delle ultime letture fatte sui vampiri, e del fatto che, essendo più o meno immortali, soverchiavano il valore del tempo, susseguendosi nelle varie ere.
Ora, vedendo che i due ragazzi nella foto erano così sorprendentemente uguali ai suoi due genitori e che i vestiti che indossavano appartenevano indubbiamente ad un’altra epoca, il dubbio gli era venuto legittimo.
Enma e Tsuna scoppiarono a ridere di gusto, avendo perfettamente intuito quali pensieri fossero, comprensibilmente, sorti nella mente del figlio.
- No, tranquillo: non siamo sopravvissuti a tutte queste ere. Questi son semplicemente i nostri antenati. – spiegarono e Kou accolse la risposta annuendo con il capo, per poi riportare l’attenzione verso la foto e solo allora rendersi conto di quei capelli rossi … Erano come i suoi …
Quei due ragazzi ritratti erano anche suoi predecessori …
Lasciò vagare lo sguardo, fino a quando la voce di Enma non lo richiamò alla realtà.
- Vuoi conoscere tutta la storia? – gli chiese e lui, sempre con lo sguardo perso, annuì.
E Tsuna ed Enma iniziarono a raccontare …
 
I due, nel racconto, si erano avvalsi delle chiavi che, vent’anni prima, i Vindice avevano lasciato loro. E avevano raccontato tutta la storia dall’inizio e Kou aveva rivissuto tutto con loro. Ogni cosa.
Del primo incontro di Giotto e Cozzato, della creazione della Famiglia Vongola e Simon, del loro nobile scopo, dei Guardiani di Prima Generazione (Kou ebbe quasi un coccolone quando, attraverso le chiavi, vide G. e Alaude, perché fisicamente gli ricordavano indubbiamente due persone di sua conoscenza. Anzi: quattro a dirla tutta! E come si era già affezionato un sacco a tutti loro! Aveva sentito qualcosa, un affetto viscerale montargli dentro, come se li avesse conosciuti da sempre. Per non parlare del magone assurdo che l’aveva colto quando aveva visto i suoi adorati papi l’uno contro l’altro, per poi salvarsi a vicenda, come nelle migliori storie) e di come, Dieci Generazioni dopo, quegli Anelli fossero arrivati nelle mani di Enma e Tsuna e tutto quello che ne era conseguito.
Ora se ne stava seduto fuori, nel giardino di casa, con una coperta gettata sulle spalle, mentre cercava di assimilare ogni cosa.
Era tutto così assurdo! Ok, aveva sempre avuto sentore che Uri e Natsu non fossero propriamente due animali come gli altri, ma avendoli sempre visti fin da bambino aveva dato per scontato che fossero normali così, punto e fine. La mente dei bambini non si ferma ad interrogarsi più di tanto sull’ovvietà dei fatti presentati. E ok che i vari zii che orbitavano nella sua vita erano particolari. E poi i suoi due adorati papi …
Come capperi aveva fatto a non capire la verità per tutto quel tempo? Lui sapeva che lavoravano tutti insieme in una sorta di corpo di Difesa che aveva a che fare con organi esterni, e ok: era effettivamente così. Sì, prendendola alla larga. Molto alla larga!
Forte del fatto che l’unione di due Famiglie come Vongola e Simon - supportate dai Cavallone e dai quei pazzi scatenati dei Varia - aveva permesso anni e anni di tranquillità, nessuno dei Guardiani, né tantomeno Tsuna ed Enma, si erano mai dovuto assentare più di tanto da casa, a parte per le solite riunioni formali, e la vita quotidiana era proseguita senza particolari intoppi.
Ed ora … ed ora la vita di Kou era stata gettata in una sorta di centrifuga. Non poteva sottrarsi al suo Destino. Certo, ne dovevano passare di anni, e di acqua sotto ai ponti, ma restava pur sempre l’Undicesimo Boss di entrambe le Famiglie …
Sospirò, ed era così immerso in quei pensieri frastornarti che non si accorse che qualcuno gli si era avvicinato.
 
Da dentro casa, Tsuna ed Enma, l’avevano sorvegliato e tenuto d’occhio. Potevano perfettamente sapere come si sentisse. C’erano passati entrambi e, conoscendo il loro figlio, sapevano che adesso necessitava di restare solo per raccogliere le fila dei suoi pensieri.
 
- Kou? –
- Onii-chan! – sorrise lui di rimando, facendogli spazio per farlo sedere sul dondolo.
Lambo in quei giorni si trovava ospite a casa loro, in uno dei suoi viaggi in Giappone, ed era rientrato in quel momento.
Il fatto che avessero solo dieci anni di differenza, lo faceva sentire a Kou estremamente vicino. Come una specie di fratello maggiore.
Lambo si accorse immediatamente di come l’altro si rigirasse tra le mani i due Anelli. L’Anello dei Cielo e l’Anello della Terra.
Sospirò, portandosi in appoggio sulle mani e sollevando gli occhi alla volta stellata.
- Te l’hanno detto, eh? – domandò, spiando la reazione dell’altro di sottecchi.
- Hmn … - biascicò Kou, stringendosi maggiormente nella coperta. E Lambo attese. Attese che fosse Kou a parlare o chiedere, se ne sentiva la necessità.
Non era rimasta pressoché nessuna traccia della mocciosità della Scemucca di vent’anni prima.
- Tu avevi solo cinque anni quando tutto questo casino è iniziato … - farfugliò Kou e Lambo rise, scompigliandogli ulteriormente i capelli rossi, per poi passargli un braccio intorno alle spalle e stringerlo a sé.
- Sì, avevo solo cinque anni, sì … - ricordò, sorridendo teneramente al ricordo. Nella sua sconsideratezza di bambino, aveva trovato ogni cosa estremamente divertente. Sia che fossero questi i battibecchi con Hayato, piuttosto che gli scontri nel Futuro.
Kou lo spiò di sottecchi, sperando che continuasse a rievocare. Ne aveva un disperato bisogno.
E Lambo proseguì a parlare.
- Tra i ricordi del mio passato ci sono cose che non potrei cancellare nemmeno volendo … per me sono stati i giorni più felici e non vedevo l’ora di entrare nel loro mondo (KHR Vol. 33 Ch.312) –
Kou sospirò, sollevando gli occhi da terra e portandoli a sua volta al cielo stellato.
- Non sarai solo Kou – proseguì Lambo, dandogli un’incoraggiante pacca sulla gamba – Non sarai mai solo, così come non lo sono mai stati neanche Tsuna ed Enma. Ci sarà sempre tanta gente intorno a te e a vegliare su di te. – concluse mormorando, primi di stiracchiarsi e sbadigliare rumorosamente.
- Toh! La Stupidiera. – rise il Guardiano guardando verso il cancello, facendo uscire una piccola risatina gutturale dalla gola.
- Tch! Taci Scemucca! – lo ammonì Hayato stizzito, incrociando le braccia al petto, dopo aver scoccato un’occhiata di fuoco anche al suo compagno, reo di esser scoppiato a ridere.
Nonostante fossero entrambi adulti, nonostante fossero passati anni, quella loro maniera di punzecchiarsi era rimasta, affettuosamente, inalteratata.
Kou si alzò sorridendo a sua volta, suo malgrado. Pensò che anche per Takeshi e Hayato, vent’anni prima, tutta quella cosa non doveva aver avuto un peso indifferente nei loro pensieri e nelle loro vite, ma aveva ragione Lambo: nessuno era mai rimasto solo. Nessuno era mai stato lasciato indietro.
Andò ad aprire il cancello ai due nel momento in cui, dal fondo della strada, sentì echeggiare una risata calda e avvolgente. Stavano arrivando anche Dino e Kyoya.
Casa sua era indubbiamente un porto di mare, pensò divertito mentre rientrava per annunciare ai genitori degli allegri arrivi.
Enma e Tsuna si girarono all’unisono, scrutando attentamente nel suo volto e lui si limitò a sorridere dolcemente, piegando la testa di lato, socchiudendo gli occhi mentre due adorabili fossette gli ornavano le guance, in quella posa che non aveva indubbiamente ereditato da loro due, ma da qualcun altro.
E con quale consapevolezza differente adesso Kou guardò quella reunion di vecchi amici.
E visto che il Destino ci mette sempre lo zampino quando vuol darci conferma che la strada che abbiamo deciso di intraprendere è quella giusta, il campanello suonò nuovamente.
Kou andò ad aprire. Sorrise vedendo due ben conosciute zazzere dorate.
Il sorriso di Arima e Watari si aprì al sincrono, così come quello di Kou. Ma le labbra si trovarono costrette a spalancarsi quando si accorse che i due non erano soli.
Scoprendo solo in seguito cosa e come - ma un sospetto ce l’aveva e portava di sicuro il nome di Watari e gli sguardi che i due si lanciavano da qualche giorno quando capitava che i loro occhi si incrociassero – l’avesse condotto lì, Kou salutò calorosamente anche Tsukishima.
“ È vero! Anch’io non sarò mai solo. ”
Kou, quando sarebbe stato il suo turno, avrebbe portato avanti con orgoglio e contentezza l’eredità di Vongola e Simon.
 
FINE^^
 

E mentre ascolto la OST di Tokyo Ghoul son qui a darvi i saluti finali. Ma siccome mi fanno sempre una tristezza incommensurabile, vi lascio dicendo che, se mi gira, farò anche un’appendice, sempre con questa ambientazione temporale.
Io mi son divertita tanto a creare i 4 ragazzuoli, e le somiglianze di carattere e/o fisiche con i ragazzi di Prima e Decima che li hanno preceduti è voluta.
Così come mi son divertita tantissimo e creare le loro versioni chibi^^ Non sono adorabili?
Speriamo di vederci presto.
Ja ne
 
 

 
 
 Ittekimasu*: Corrisponde al nostro “Vado” quando si esce da casa
Itterasshai*: Fa attenzione, in risposta a qui sopra
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2786666