How To Train Your Angel

di Dedde_Jester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dal Prologo al Giovedì ***
Capitolo 2: *** Dal Venerdì all'Epilogo ***



Capitolo 1
*** Dal Prologo al Giovedì ***


Prologo
 
Castiel era l’ultimo di una lunga lista di fratelli che Gabriel non aveva mai visto né ha aveva intenzione di vedere. L’ennesimo, semplice angelo addestrato da Michael per svolgere la burocrazia divina, consegnare messaggi o proteggere qualche anonimo umano.
Quando aveva saputo che era stata creata una seconda schiera angelica non si era nemmeno preso la briga di salire in Paradiso per vederla, ed era probabilmente per quello che Dio aveva deciso di punirlo.
Doveva essere così, perché altrimenti Gabriel non aveva la più pallida idea del perché Metatron l’avesse richiamato nel suo ufficio per annunciargli che avrebbe dovuto prendersi personalmente cura di una delle nuove reclute sulla Terra per un’intera settimana. Aveva stroncato tutte le sue proteste  sul nascere annunciando che: «Questa è la parola di Dio, Gabriel», e così l’Arcangelo si era ritrovato per le strade fumose di una cittadina umana chiamata Sioux Falls a trascinare Castiel per il bavero del grosso cappotto.
Persino Michael, il Primo Angelo, Braccio Destro di Dio, Buttafuori e Grande Capo del Paradiso (nonché suo fratello maggiore), lui che non aveva mai messo in discussione una sola parola di loro Padre, era apparso preoccupato dalla prospettiva di scaraventare un piccolo angelo appena creato sulla Terra insieme a lui.
«Non potete affidarlo a Gabriel» aveva affermato con il solito tono pacato, la preoccupazione tradita solo dall’innaturale rigidità. «Insomma, si tratta di Gabriel. Non sarebbe capace di tenere in vita nemmeno un pesce rosso, quella recluta non sopravvivrà».
«Grazie della fiducia, eh».
«Sai che ho ragione».
«Gabriel scenderà sulle Terra con Castiel e ci resterà per una settimana, questo è il volere di Dio. Ha richiesto lui personalmente, non ci si tira indietro» tagliò corto Metatron, zittendo entrambi i fratelli.
«E, Gabriel: ti saremmo tutti grati se l’angelo sopravvivesse».
A quel punto Michael aveva ripescato dalle reclute il marmocchio e glielo aveva consegnato con un’occhiata strana. Le porte del Paradiso si erano richiuse dietro di loro e Gabriel si era ritrovato nella cittadina più deprimente di tutt’America, Sioux Falls, con un bambinetto aggrappato alla giacca e la certezza che quella sarebbe stata la peggior settimana della sua vita.
 
 
Lunedì
La scuola materna
 
La notizia che a Gabriel, notoriamente l’angelo più irresponsabile di tutti, era stata affidata una piccola recluta da accudire sulla Terra aveva fatto il giro di Paradiso e Inferno in meno di un’ora.
Scommesse erano volate ovunque, e la maggior parte puntavano sulla dipartita dello sventurato angioletto prima della fine della settimana.
Gabriel, tuttavia, aveva deciso di fare sul serio ed era fiero di sé per i risultati ottenuti.
Aveva trovato un posto dove scaricare il fratellino senza rischi, un posto perfettamente sicuro e a prova di bambino (Michael sarebbe stato orgoglioso della sua perizia nelle ricerche), e così lunedì mattina accompagnò Castiel alla scuola materna.
Dopodiché, dal momento che non era certo di come la faccenda funzionasse, si presentò a casa dell’amico Balthazar per chiedere delucidazioni.
«Posso offrirti qualcosa?» borbottò di malavoglia lui quando l’Arcangelo si materializzò senza invito nel suo appartamento.
«Sì, il tuo aiuto».
Balthazar sospirò. «Che hai combinato, questa volta?».
«Ho un moccioso da tenere in vita per una settimana e non ho la più pallida idea di come fare» riassunse Gabriel lasciandosi cadere sul divano.
«Hai fatto arrabbiare qualcuno ai piani alti e ti hanno messo in castigo quaggiù?» rise l’amico, recuperando il vino dal ripiano della cucina e versandosene un bicchiere generoso.
«E che ne so, Metatron sostiene che Dio abbia richiesto proprio me per badare all’angelo».
«Vale così tanto da scomodare paparino in persona?» indagò Balthazar con un lampo negli occhi chiari.
«Non ti permetterò di scambiarlo neanche per un migliaio di anime, Balth, ne va della mia reputazione…».
«Già pessima».
«… del mio onore…».
«Ne hai uno?».
«… e del mio pass per il Paradiso. Se perdo il marmocchio o in ogni caso muore, Michael mi caccerà come ha fatto con Lucifer».
«Brutto affare» commentò Balthazar senza scomporsi. «Dov’è ora l’angelo?».
«Alla scuola materna».
«Bravo» approvò vagamente sorpreso. «Pensavo che lo avessi già dimenticato in qualche casinò a Las Vegas».
«Non sono così idiota» sbuffò Gabriel guardandolo in tralice e rubandogli il bicchiere di vino.
L’altro angelo sorrise beffardo e optò per un silenzio diplomatico, accendendo la TV.
 
Erano passate ore, e i due erano ancora spalmati sul divano a commentare un talent show, quando il campanello di casa suonò.
Balthazar assunse un’espressione stupita.
«Aspetti ospiti?».
L’angelo scosse la testa e andò ad aprire, cauto.
Un qualcosa di estremamente arrabbiato si fiondò nell’appartamento tra insulti irripetibili e minacce di morte, inchiodando Gabriel sul divano.
Anna Milton, angelo caduto e amica di vecchia data, gli puntò contro un dito accusatore, l’altra mano che stringeva un piccolo e spaventato Castiel.
«Ma si può sapere qual è il tuo problema?» sputò rossa come i suoi capelli.
«Ciao anche a te, Anna».
«L’hai abbandonato!» ruggì la ragazza cercando di saltargli addosso, mentre Balthazar provava in tutti i modi a trattenerla. «Il Paradiso ti affida un compito, uno solo dopo almeno un millennio di riposo, e tu lo scarichi in una scuola materna?!».
«È questo che fanno gli umani, mi sono informato!» si difese Gabriel, sconcertato.
«L’orario di chiusura è passato da due ore!» ringhiò Anna. «La scuola materna termina alle quattro del pomeriggio, saresti dovuto tornare a prendere Castiel! È rimasto due ore con gli insegnanti che non sapevano cosa fare o chi chiamare, dal momento che tu non ti sei curato nemmeno di lasciare un recapito, e se non fossi passata di lì per caso lo avrebbero sicuramente mollato sull’uscio di un orfanotrofio!».
«Okay». Gabriel si alzò in piedi, squadrando il bambino con uno sguardo distratto. «A me sembra stare bene. Quindi qual è il problema?».
Anna sospirò, nel tentativo di calmarsi. «Gabriel. Se porti Castiel alla materna la mattina, alle quattro devi tornarlo a prendere. È così che funziona».
L’Arcangelo alzò gli occhi al cielo, seccato. «E dove lo metto dalle quattro fino alle otto della mattina successiva?».
«Magari lo tieni con te!?».
«Ragazzi». Balthazar si mise in mezzo, le braccia alzate in segno di resa. «Se continuate così mi citeranno in giudizio per disturbo alla quiete pubblica».
«Fottiti, Balth».
«Non dire parolacce davanti al bambino!».
«E tu piantala di cercare di strangolarmi!».
«Ragazzi!».
«Gabriel?».
I tre angeli si immobilizzarono, abbassando lo sguardo sul dimenticato Castiel.
«Gabriel?» ripeté il piccolo azzardando un passo verso il fratello maggiore.
«Cosa vuoi?».
Il bambino si bloccò, abbassando lo sguardo. «Torniamo a casa?» mormorò.
«Ma che carino» sghignazzò Balthazar nello stupore generale. «Ti chiama per nome!».
«Anche tu lo fai, ma non per questo sei una compagnia più gradevole» lo zittì Gabriel con una smorfia.
«Sì, sì, andiamo» sbottò poi seccato rivolto a Castiel, che lo stava timidamente tirando per una manica.
«Ricordati--».
«Di non dimenticarlo alla scuola materna, lo so, Anna, lo hai già detto».
La ragazza sembrava diffidente.
«Domani vengo a controllare che lo tratti bene» minacciò infine mentre i due fratelli si chiudevano la porta alle spalle.
 
Arrivati nel piccolo disordinato appartamento di Gabriel, l’angelo schioccò le dita e face apparire un piccolo letto. Lo indicò al bambino. «Tu resti qui. Non entrare nella mia stanza. Non distruggere niente e non uscire dall’appartamento per nessun motivo al mondo. Capito?».
Castiel fece di sì con la testa e si accoccolò sul lettino. «Buonanotte, Gabriel».
Non ci fu risposta.
 
Martedì
I cereali

Quella mattina Gabriel si ritrovò a fronteggiare un altro problema della vita familiare.
«Ho fame».
Il Messaggero di Dio sbatté le palpebre, perplesso. «Sei un angelo, Castiel. Gli angeli non hanno bisogno di mangiare».
«Io però ho fame e ieri a scuola abbiamo mangiato» insisté il bambino.
«D’accordo». Il maggiore schioccò le dita e riempì il tavolo di qualsiasi dolcezza immaginabile: biscotti, caramelle, mashmellow, torte ricoperte di panna montata e persino una piccola fontana di cioccolato. Gabriel si tagliò una fetta di torta e indicò il mucchio di prelibatezze al fratellino. «Serviti pure».
«Non mi piacciono i dolci».
Gabriel lo fissò incredulo per qualche istante, la torta ancora a metà strada verso la bocca.
«Come sarebbe a dire che non ti piacciono di dolci? A tutti piacciono i dolci!» protestò non appena si riprese dalla sorpresa.
Castiel si strinse nelle spalle, in silenzio.
«Okay. Va bene. Quindi che cosa vuoi?».
«I cereali con la volpe».
«Cosa?».
«Quelli che abbiamo mangiato a scuola. Quelli con la volpe sulla scatola» spiegò Castiel.
Il fratello aggrottò le sopracciglia. Non aveva idea di cosa stesse parlando, e di conseguenza non poteva fare apparire quegli stupidissimi cereali.
Gabriel sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Quelli non ce li abbiamo. Mangia un po’ di pane tostato e andiamo» lo liquidò schioccando le dita.
 
«Dobbiamo trovare dei cereali con la volpe».
Balthazar guardò stralunato l’amico entrare a grandi passi nel suo appartamento.
«Quel coso vuole degli stupidissimi cereali in una scatola con una stupidissima volpe sopra» chiarì Gabriel a beneficio dell’angelo, che esibiva ancora un’espressione perplessa.
«Intendi dire Castiel?».
«E chi altri?».
Balthazar lo osservò distrattamente gettarsi sul divano e tormentare il lecca-lecca che aveva in bocca, ridotto ormai ad uno stecchino bianco contorto e appiccicoso, prima di decidere: «Chiamo Anna».
Dopo una lunga conversazione telefonica in cui Balthazar fu costretto a prendere appunti, l’angelo sventolò sotto il naso dell’amico quella che aveva tutta l’aria di essere una lista della spesa.
«Tutta roba che Anna ritiene indispensabile per il sostentamento di un bambino» annunciò trionfante. «Si può trovare al supermercato».
Gabriel inarcò le sopracciglia. «I cereali?».
«Nel reparto cereali».
«Grazie per l’illuminazione. Come faccio a farli comparire se non ce li ho presente?» insisté Gabriel tirandosi su.
«Non lo fai. Andiamo al supermercato e li compriamo».
Ma la questione si rivelò un filino più complicata del previsto: i due angeli vagarono per i reparti per quasi mezz’ora, cercando di decifrare la lunga lista di Anna e di trovarne gli elementi; alla fine, quando era ormai un’ora che gironzolavano a vuoto tra gli alimentari, un’anziana signora ebbe pietà di loro e gli indicò i fantomatici cereali con la volpe che piacevano a Castiel.
Così, dopo aver recuperato il bambino alla materna e averlo riportato a casa, Gabriel gli mostrò orgoglioso la scatola comprata con tanta fatica. «I tuoi cereali».
Castiel alzò gli occhi di lui, stupefatto. «Li hai trovati!».
«Ovvio, ma per chi mi hai preso?» replicò lui con sufficienza, lanciandogli un’occhiata di sbieco.
Beccati questa, Michael. Spero proprio che tu perda la scommessa, aggiunse mentalmente rivolto al fratello maggiore. In realtà, Gabriel non era certo che l’incorruttibile Grande Capo potesse essersi abbassato a tanto da scendere all’Inferno per combinare scommesse con il Re[5], ma di sicuro non aveva smesso un attimo di gufare contro di lui. Dopo la caduta di Lucifer, quell’angelo aveva sviluppato la mania di vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto e di incolpare sempre Gabriel per qualsiasi cosa accadesse in Terra e Paradiso.
Se fosse riuscito a tenere in vita il bambino fino alla scadenza del suo obbligo, sarebbe stata una doppia vittoria.
Anna si presentò da loro un quarto d’ora dopo con una teglia di biscotti («Non gli piacciono i dolci, ma io li assaggerò con piacere» aveva ghignato Gabriel felice della sua rivincita), e ispezionò la casa da cima a fondo. Poi, spaventosa come solo lei sapeva essere, si piantò di fronte a Gabriel con le mani sui fianchi.
«Dov’è tutta la roba che avevo detto a Balthazar di comprare?».
«Non lo so, chiedilo a Balthazar».
«Gabriel ha preso i cereali» si intromise Castiel indicando la scatola ancora sul bancone della cucina.
«Ma che bravo, Gabriel». Anna riuscì a far suonare il suo nome come il peggiore degli insulti, e inarcando le sopracciglia aggiunse a denti stretti: «Però che cosa mangerà Cass per cena se non hai comprato niente?».
«Ehi, nemmeno ieri c’era niente ma non è mica morto di fame» replicò Gabriel scrollando le spalle.
Anna chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo.
«Ho capito. Dovrò pensarci io» sbuffò piano, più rivolta a se stessa che ai due fratelli, e fulminando Gabriel con un’occhiataccia finale scomparve.
Tornò una frazione di secondo più tardi, in cui Gabriel non aveva fatto nemmeno in tempo ad aprire bocca per commentare, con una serie di buste di plastica per ogni mano.
«Che figura ci facciamo noi angeli con Cass, eh?!» borbottò mentre ne svuotava il contenuto sul bancone della cucina e iniziava a far apparire pentole, piatti e un sacco di altri aggeggi che Gabriel non seppe identificare. «Lo affidano al più irresponsabile, amorale, idiota degli angeli, sarei sorpresa se alla fine della settimana questo povero bambino non riportasse un shock post-traumatico».
Mezz’ora e molti borbottii più tardi, l’isola in mezzo alla cucina era bene o male apparecchiata e Castiel osservava stranito il polpettone nel suo piatto.
«I cereali con il latte vanno mangiati a colazione» stava spiegando nel frattempo Anna all’altro angelo. «Prima di accompagnarlo a scuola. Per cena ordina una pizza, io sarò via. Non fare danni, non avvelenare Castiel e non lasciarlo morire di stenti, sono stata chiara?».
«Scuola, pizza, niente veleno. Sì, credo di aver afferrato» commentò sarcastico lui.
«Ottimo». Anna gli tirò una pacca comprensiva sulla spalla. «Andiamo, Gabe, ce la puoi fare. Ho scommesso su di te, non posso perdere contro Ruby».
E con queste parole si smaterializzò.
 
Mercoledì
Il mostro nell’armadio

Ormai Gabriel si stava quasi abituando alle stranezze di avere un baby coinquilino.
Quasi, perché quando Castiel si arrampicò sul suo letto prima dell’alba scuotendolo per un braccio, la sua prima reazione fu quella di sbattere contro il comodino tra mille imprecazioni alla ricerca della Lama Angelica. Poi, realizzando che il pericoloso nemico non era altri che Castiel e osservando prima il piccolo angelo, poi la sveglia che segnava le cinque del mattino, si risolse a sbottare un ben poco gentile: «Ma che diavolo vuoi a quest’ora?!».
«C’è un mostro nell’armadio» sussurrò spaventato Castiel.
«Ho la casa tappezzata di sigilli anti-tutto, nessun mostro può mettere piede in questo appartamento» replicò Gabriel seccato, cercando di scrollarsi di dosso il fratellino.
«Ma lui è nell’armadio» insisté Castiel afferrandolo per un braccio. «Io l’ho visto!».
«Ti sarai sbagliato».
«E se mi prende mentre dormo?» pigolò lui.
«E dove vuoi che ti porti, a Narnia? Lasciami dormire e tornatene di là, la scuola inizia tra tre ore».
Si rimise a letto e voltò ostentatamente le spalle al bambino, che si lasciò scivolare giù dal materasso e uscì mogio mogio dalla stanza.
Passarono i minuti. Gabriel non riuscì a riprendere sonno.
In fondo era pur sempre un Arcangelo: non aveva neanche bisogno di dormire, la sua era solo un’abitudine consolidata durante il suo lungo soggiorno terreno.
Alla fine, alle cinque e mezza, si alzò e seguì Castiel, che era rannicchiato nel suo letto con gli occhi sbarrati fissi sull’armadio. Sentì il suo sguardo seguirlo mentre si avvicinava alle ante e le spalancava.
«Non c’è nessun mostro» ribadì, per poi esclamare: «Ma che ca-- ZACHARIAH!».
Castiel emise un debole squittio e si tirò le coperte sulla testa, per nascondersi.
Gabriel invece rimase a fissare sconvolto l’angelo che era appena uscito dall’armadio e che si stava spolverando il completo nero.
«Gabriel» lo salutò lui imperturbabile.
«Si può sapere che cazzo ci facevi nel mio armadio?!» sbottò Gabriel, che iniziava a perdere la pazienza.
Arcangelo o meno, restavano pur sempre le cinque e mezza del mattino e nessuno -umano, divino o demoniaco- a quell’ora era particolarmente ben disposto verso il prossimo.
«Non essere volgare, Gabriel» lo rimbrottò Zachariah con un’occhiatina di superiorità. «Sono qui solo per controllare che l’angelo», e qui accennò a Castiel ancora nascosto, «Stia bene».
«Stava meglio prima che lo traumatizzassi».
«Con te come baby-sitter?». Zachariah rise, sprezzante. «Ne dubito».
«Resta il fatto che non hai nessun diritto… Dio mi ha affidato questo compito, ripetilo a Michael quando torni su in Paradiso. Perché è lui che ti ha mandato, non è vero?».
«Allora non sei così stupido come si dice».
«Tu invece lo sei eccome, tanto da provocarmi di prima mattina».
I due restarono a fissarsi in cagnesco per qualche istante, prima che la voce di Castiel giungesse ovattata da sotto le coperte. «Il mostro se n’è andato?».
«Non sono un mostro, sono un angelo come voi» lo rassicurò Zachariah.
«Gabriel, mandalo via» supplicò lui, ignorandolo.
Il maggiore ghignò. «Con piacere».
Schioccò le dita, e l’angelo scomparve.
«Il mostro dell’armadio se n’è andato» annunciò poi al bambino, la cui testa arruffata fece capolino dalle coperte. «E se torna?».
«Fidati, l’ho spedito in un posto da cui sarà difficile scappare».  
Gabriel gli rivolse un sorrisetto sbilenco, schioccando le dita e facendo apparire un mucchio di caramelle sul bancone della cucina. Scartò un lecca-lecca e se lo ficcò in bocca.
«Mirtilli, il mio preferito» commentò estasiato, lasciandosi cadere su uno sgabello e iniziando a frugare tra i dolci. «Tu tieniti pure i tuoi stupidi cereali, ma questi cosi sono la fine del mondo».
 
Quel pomeriggio, come avvisato, Anna non si fece vedere.
Balthazar, invece, si materializzò nell’appartamento dei due angeli, si offrì un drink e iniziò a lamentarsi di tutto il lamentabile. Poi, quando la conversazione sembrò arenarsi, Castiel, che si era accoccolato sul divano a fissare il nuovo arrivato, disse: «Gabriel ha cacciato il mostro nell’armadio».
«Il mostro…?».
«Zachariah. Michael l’ha spedito quaggiù per controllarmi» spiegò Gabriel alzando gli occhi al cielo.
«Urgh, ci credo che l’abbia scambiato per un mostro» commentò Balthazar.
«Almeno Michael poteva avere la decenza di mandare qualcuno di più carino, anche io mi sarei spaventato vedendolo di prima mattina».
I due angeli scoppiarono a ridere, mentre Castiel, che non capiva, ripeté: «Gabriel l’ha mandato lontano e non tornerà mai più, l’ha detto lui».
Balthazar ghignò. «Però, sei proprio un eroe, mammina. Il prossimo passo qual è, la favola della buona notte? Ora devo andare, c’è Samandriel che mi aspetta» aggiunse rapidamente prima che l’angelo potesse insultarlo, e in fruscio d’ali scomparve.
«Spero che Samandriel abbia brutte notizie per lui» ringhiò offeso Gabriel. «Allora, Anna ha detto stasera pizza. Dunque che pizza sia» annunciò poi rivolto a Castiel, afferrando il telefono e componendo il numero della più vicina pizzeria d’asporto.
 
Quella sera lo sguardo di Castiel lo seguì mentre faceva sparire i cartoni vuoti e scartava qualche caramella prima di andare a letto.
«Posso dormire con te, questa notte?» chiese dopo un po’.
«No».
«Ma il mostro…» iniziò Castiel.
«Era solo un mio collega di lavoro, e ti ho già detto che non tornerà» tagliò corto Gabriel andandosene in camera da letto. «E ora a dormire».
Si chiuse la porta alle spalle, con la sensazione nitida degli occhi azzurri di Castiel piantati sulla sua schiena, e si lasciò cadere sul materasso. Riuscì a sentire i fruscii delle coperte del letto del piccolo angelo e fu certo che si era nuovamente nascosto sotto le lenzuola per paura di quello stupido armadio.
Gabriel sospirò, esasperato. Balthazar lo avrebbe preso in giro a vita.
«Puoi venire, ma solo per questa notte!» urlò a Castiel, che in uno scalpiccio di piedi nudi corse nella sua stanza e si arrampicò sul letto.
«Grazie, Gabriel» mormorò riconoscente infilandosi sotto le lenzuola e accoccolandosi contro di lui.
«Sì, ma non dirlo a Balthazar, intesi?» bofonchiò il maggiore dandogli le spalle
Poi, sentendo il corpo del fratellino premuto contro di sé, si affrettò a spintonarlo via.
«Senti, coso, spazio vitale, okay? Resta a minimo dieci centimetri di distanza da me» ordinò brusco.
Castiel annuì, e rimase ad osservare il profilo della schiena dell’angelo sull’alta sponda del letto.
Gli piaceva Gabriel. Era un po’ strano e odorava sempre di zucchero e caramelle, ma gli piaceva.
«Buonanotte» sospirò dopo un po’, sistemandosi meglio sul cuscino.
«’Notte, coso, e ricordati lo spazio vitale».
 
Giovedì
Lezioni di volo

Neanche a dirlo, la mattina successiva trovò Castiel avvinghiato al suo braccio.
Se lo scrollò di dosso e si alzò dal letto, sbadigliando, deciso a mantenere le distanze.
Poi andò in cucina e si sgranchì un po’ le ali, che non usava da fin troppo tempo, iniziando a zuccherare il suo caffè. Non si accorse della presenza di Castiel fino a quando la sua voce meravigliata non lo raggiunse: «Hai delle belle ali».
La zuccheriera gli sfuggì di mano con una mezza imprecazione, e Gabriel schioccò rapidamente le dita per impedirle di esplodere in mille pezzi sul pavimento.
«Sono un Arcangelo, vorrei anche vedere» bofonchiò, affrettandosi a  ritirarle.
«Anche le mie diventeranno così?» chiese Castiel piegando il capo di lato.
«Non lo so, ero assente alla lezione “Come Crescere un Baby Angelo”» replicò Gabriel sarcastico, tirando fuori un ciotola e preparandogli la colazione.
Il bambino iniziò a mangiare i suoi cereali, in silenzio, poi domandò: «Tu sei il mio papà, Gabriel?».
Per poco il caffè non gli andò di traverso.
«Ma che-- ti sembro Dio, per caso?!» sbottò, forse un po’ troppo bruscamente. «Sono tuo fratello. Perché me lo chiedi?».
«Alla scuola materna sono i papà ad accompagnare i bambini» spiegò Castiel tranquillamente.
«Noi siamo angeli. Nostro Padre è Dio, e lui non si scomoda di certo per portare te alla materna».
«Oh». Dopo qualche secondo di silenzio, però, Castiel tornò all’attacco: «Neanche Sam e Dean vengono accompagnati dal loro papà. Ci pensa lo zio Bobby, perché lui è al lavoro».
Gabriel non si diede la pena di commentare, e vuotata la tazza del caffè fece apparire l’eterno lecca-lecca che si infilò in bocca con un mugugno soddisfatto.
«Tu che lavoro fai?».
«Sono un Arcangelo».
«E che cosa fanno gli Arcangeli?».
«Un po’ quello che gli pare».
«Oh. E non avete dei compiti?».
«Sì, ma sono rari. Annunciare qualcosa sulla Terra, addestrare le schiere angeliche, mantenere l’ordine su in Paradiso». Gabriel scrollò le spalle. «È per questo che siamo qui: mi è stato assegnato l’incarico di tenerti sulla Terra per una settimana. Ricordi com’era prima di scendere?» chiese poi curioso.
Castiel aggrottò la fronte. «Non lo so. C’era qualcuno che ci spiegava… delle cose. Poi siamo arrivati a casa».
 «Quello era Michael, mio fratello maggiore. Un tipo noioso, a dirla tutta. E comunque questa non è casa» precisò Gabriel, indicando in alto. «Quella è casa».
«Il soffitto?».
«Il Paradiso» chiarì il maggiore alzando gli occhi al cielo, esasperato. «E se non ti succede nulla per i prossimi tre giorni ci torneremo presto».
 
Di ritorno da scuola, Gabriel aveva lasciato il fratellino da solo per discutere con Balthazar.
Non aveva ben capito cosa stesse accadendo in Paradiso, ma l’amico gli aveva riferito che c’era più movimento del solito, e dubitava che si trattasse ancora della questione Gabriel-babysitter.
Così si era smaterializzato nel suo appartamento e aveva incontrato Samandriel, che era un po’ il corriere divino, sballottato da una parte all’altra per recare messaggi e partecipare ad aste a cui nessun altro voleva andare. Lui, con una strana espressione, riferì che Metatron era andato su tutte le furie quando aveva scoperto delle scommesse degli angeli e aveva cancellato buona parte dei patti con il re dell’Inferno.
«Nessun problema» aveva terminato con una scrollata di spalle, ammiccando furbamente. «Adesso controllo io il giro di scommesse con l’Inferno. Ho puntato su di te contro Uriel».
Balthazar sorrise. «Interessante. Riferisci a Crowley che scommetto mille anime su Gabriel» annunciò tirando una pacca sulla spalla dell’amico.
«Tu non ce le hai mille anime, Balth» sbuffò con una mezza risata Gabriel.
«E allora? Le guadagnerò non appena vincerai» replicò lui sicuro di sé.
«Grazie mille, ragazzi» disse Samandriel scribacchiando fitto fitto su un taccuino. «Fare affari con voi è sempre un piacere. Vado da Crowley, anche Zachariah si è deciso a scommettere. Contro di te, Gabriel, tra parentesi, quindi vedi di non perdere l’angelo, d’accordo?».
Samandriel si dileguò.
«Ora che mi ci fai pensare, dov’è Castiel?» chiese Balthazar dopo qualche istante.
«Al sicuro a casa».
«E da quanto è solo?».
Gabriel ci pensò su. Poi, imprecando, si smaterializzò all’istante.
Quando tornò, gli sgabelli della cucina era rovesciati e il pavimento era ricoperto di schegge di vetro.
Alcuni dei quadri che Balthazar insisteva a stipare da lui erano in frantumi, altri sul punto di cadere.
«Ma che… Castiel!» esclamò, riconoscendo la figura seduta per terra in mezzo a quel disastro.
Lo sollevò in fretta, posandolo sul divano e controllando che non fosse ferito.
«È stato Crowley? Eppure dovrei aver messo sigilli anti-demone ovunque… un angelo? È stato un angelo, Castiel?». Poi però notò le piccole ali arruffate che gli spuntavano dalla schiena, e sospirò.
«Hai provato a volare, non è vero?».
L’angelo, lentamente, annuì.
«D’accordo. Ti sei fatto male?» chiese osservandogli i palmi graffiati delle manine. Aveva un brutto livido sulla spalla, visibile da sotto la maglia rovinata, ma per il resto sembrava tutto intero
Castiel scosse la testa. Poi, proprio mentre il maggiore tirava un sospiro di sollievo e schioccava le dita per sistemare la stanza, domandò: «Mi insegni a volare, Gabriel?».
Lui inarcò le sopracciglia. «Come, prego?».
«Voglio volare. E apparire e scomparire come fai tu. Me lo insegni?».
«Ma…».
«Ti prego».
«Va bene, va bene, ma non qui. Andiamo dallo zio Balth» concesse Gabriel con una smorfia, prendendolo per un braccio e smaterializzandosi dall’amico.
Anna era lì, e stava aiutando Balthazar ad appendere un quadro enorme sopra al divano.
«Ti piace? L’ho vinto ad un dio pagano dal nome impronunciabile» lo accolse lui soddisfatto, prima di dire ad Anna: «Vai un po’ più a destra… così, esatto, un po’ più su…».
In un modo o nell’altro riuscirono ad appenderlo, ma Balthazar, allontanandosi per osservare il risultato con occhio critico, storse le labbra in una smorfia insoddisfatta.
«Mi sa che stava meglio in camera da letto…».
Dal divano, Anna gemette e si esibì in una serie di gestacci osceni, prima di accorgersi del piccolo Castiel che la osservava curioso. Si affrettò ad abbassare il braccio e arrossì.
«Cass… credevo che…». Tacque. «Cosa ci fate qui?».
«Vuole imparare a volare» disse Gabriel.
«In effetti il volo è una parte importante dell’addestramento basilare, in Paradiso» approvò Anna, impedendo a Balthazar di raggiungere il quadro che si era messo in testa di spostare.
 «E allora?» fece invece lui.
«Allora devi insegnarglielo tu». 
«E che c’entro io? Castiel è stato affidato a te, mica a me».
«Sì, ma… insomma, non ho mai addestrato un angelo prima d’ora. Non so come si faccia. Quindi a te l’onore, Balth» liquidò Gabriel con una scrollata di spalle.
L’amico, che alla prima affermazione era scoppiato a ridere, tacque per qualche istante.
«Sì. Giusto. Lezioni di volo» disse poi, ma senza accennare a muoversi.
Gabriel inarcò le sopracciglia. L’amico continuò a guardare altrove, fino a quando:
«Non lo sai fare neanche tu, vero?».
Balthazar alzò le mani in segno di resa. «Ehi, volare è un po’ come respirare. È spontaneo, non sono capace di insegnare a qualcuno come compiere un gesto praticamente involontario».
Anna, dalla sua postazione, sbuffò.
«Siete due incapaci» disse alzandosi e facendosi strada verso il piccolo Castiel.
«Adesso ti spiego io come si fa a volare, altro che questi due imbecilli».
 
Castiel aveva provato e riprovato, fino a ricoprirsi di lividi violacei per le cadute.
Non aveva pianto nemmeno una volta, né aveva chiesto di fermarsi, ed era toccato a Gabriel intervenire per evitare che finisse ammazzato. Lui e Balthazar erano stravaccati sul divano ad osservare i tentativi del piccolo angelo di spiccare il volo, e quando Castiel perse nuovamente quota, precipitando verso il pavimento a velocità vertiginosa, il fratello si smaterializzò.
Un attimo dopo erano entrambi con i piedi saldamente ancorati a terra, anche se Castiel aveva un grosso graffio rosso su una guancia.
«Posso ricordarti che se Cass si schianta da qualche parte, voi perdete le vostre scommesse e io il mio Pass per il Paradiso?» ringhiò ad Anna, che assunse un’espressione vagamente colpevole.
«Michael ci ha addestrati così» si scusò stringendosi nelle spalle.
Balthazar, invece, scoppiò improvvisamente a ridere.
«Ma sentitela, Mamma Gabriel! Cos’è, hai iniziato ad affezionarti all’angioletto?».
Castiel abbassò lo sguardo, stringendo con forza la mano del fratello.
Gabriel esitò per una frazione di secondo, poi si divincolò dalla sua presa e rise.
«Continui a non capire, non è vero?».
Si gettò nuovamente sul divano accanto all’amico. «Due giorni e lui torna in Paradiso. Io ottengo la riconoscenza di tutti gli angeli che hanno scommesso su di me e la rivincita su quei bastardi che hanno gufato per tutto il tempo, Michael e Metatron in primis. Tu vinci mille anime a Crowley. Anna straccia Ruby. Viviamo tutti felici e contenti».
Gabriel allargò le braccia, soddisfatto.
«Non pensi che tenere l’angelo in vita possa farci comodo?» terminò sarcastico.
Quella sera Castiel si infilò nel suo letto senza una parola.
Non voleva tornare in Paradiso, dove c’era il mostro dell’armadio e quel Michael di cui parlavano i grandi, quello sempre serio che non sorrideva mai.
Voleva restare con Gabriel, ma lui evidentemente aveva tutt’altre intenzioni.
 
 
Angolo della più o meno Autrice

Prima che l'intero fandom di Supernatural mi linci per le mie giganterrime licenze poetiche alla cazzo, vorrei premettere che questa storia è stata scritta come regalo di compleanno ad un non fan di Spn e che quindi non mi sono curata troppo del fatto che gli angeli non nascono bambini, che sono tutti tramiti etc. Giuro che lo so. Però la storia non sarebbe stata in piedi altrimenti. 
Tra parentesi, avrebbe dovuto essere una OS ma ho deciso di spezzare la settimana in due capitoli altrimenti sarebbe stata troppo lunga e niente, spero di essere riuscita a strapparvi almeno un piccolo sorriso. Sinceramente amo molto questi personaggi e mi dispiace che ci siano così poche storie su di loro, quindi... sì, insomma, eccomi qui.
Un enorme grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui e uno ancora più enorme a chiunque deciderà di lasciarmi un commento: ci terrei molto al vostro parere :)
Mi farò sentire presto con il prossimo capitolo (è già tutto scritto e corretto),
Asia
 

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Capitolo 2
*** Dal Venerdì all'Epilogo ***


Venerdì
Chiarimenti
 
Venerdì mattina, Castiel non rivolse la parola al fratello maggiore più dello stretto indispensabile.
Non che a lui sembrasse importare, beninteso. Gabriel lo accompagnò alla materna e lo tornò a prendere alle quattro del pomeriggio senza degnarlo di più di un’occhiata distratta, ma quando fece per smaterializzarlo a casa di Balthazar, Castiel lo interruppe:
«Non voglio tornare in Paradiso, Gabriel».
«Non essere stupido, certo che vuoi. Quella è casa tua» sbuffò il maggiore.
«Questa è casa mia» replicò Castiel, testardo. «Io voglio restare con te».
«Tornerò anche io in Paradiso» lo rassicurò Gabriel.
«E Sam e Dean?».
«Chi?».
«I miei amici».
Il maggiore si strinse nelle spalle. «Se chiedi a Metatron forse ti permetterà di diventare il loro angelo custode. A volte lo fa».
I due restarono in silenzio per qualche istante, poi Castiel mormorò: «Quindi tu non mi vuoi?».
Gabriel si immobilizzò, agghiacciato.
«Mi porterai in Paradiso e mi abbandonerai lì» insisté Castiel rassegnato sedendosi sul divano e abbassando lo sguardo.
«Questo non è vero» protestò Gabriel, affiancandolo.
«Però mi lascerai comunque a Michael» rilevò tristemente il piccolo angelo.
«Anche lui è tuo fratello» cercò di ragionare Gabriel.
«Ma non è te».
«Vorrei ben vedere, io sono più bello» sbuffò il maggiore con una mezza risata.  «Ma è lui ad addestrare le reclute. Io non sono stato capace nemmeno di insegnarti a volare, se restassi con me diventeresti l’angelo più inutile di sempre. Anche più di Balthazar, e lui non fa nulla dalla mattina alla sera».
Castiel sospirò, ma non rispose.
«Senti, riguardo quello che ho detto ieri ho a Balthazar…». L’Arcangelo distolse lo sguardo con un sospiro. «Non è vero che lo faccio solo per le scommesse, d’accordo? Non voglio che tu ti faccia male».
«Mi vuoi… bene?» chiese il piccolo angelo un po’ stupito.
«Non ho detto questo».
«Oh».
Alla vista dell’espressione delusa del bambino Gabriel sospirò, alzando gli occhi al cielo.
«Però sì, possiamo dire di sì. In un certo senso… ti voglio bene».
Gli occhi di Castiel si illuminarono, e lo abbracciò di slancio. «Anche io ti voglio bene, Gabriel».
Il maggiore tossicchiò, a disagio. «Cass?».
«Sì?».
«Spazio vitale».
 
Anna era nuovamente da Balthazar quando si smaterializzarono nel suo appartamento.
Il quadro era scomparso, e i due erano stravaccati sul divano a giocare alla playstation.
«Che persone mature…» commentò Gabriel con un mezzo sorriso, facendo spostare Anna e sedendosi in mezzo a loro. Castiel gli si arrampicò accanto con un sorrisone.
«Gabriel mi vuole bene!» annunciò entusiasta.
Balthazar si voltò di scatto. «Cosa?».
«Sì, me l’ha detto oggi!».
«Castiel!» protestò Gabriel tirandosi una manata in fronte, imbarazzato.
«GAME OVER, Balth, ti ho stracciato di nuovo!» esultò in contemporanea Anna.
«Cosa
Balthazar fece vagare lo sguardo dai tre compagni, confuso, allo schermo della Tv.
Poi sospirò, posò il joystick mentre Anna ribadiva che le doveva da bere e si concentrò sull’espressione felice di Castiel.
«Puoi ripetere, Cassie?» ghignò, ammiccando all’Arcangelo che aveva tutta l’aria di voler sprofondare all’inferno e non riemergerne mai più.
«Gabriel mi ha abbracciato!».
«Lui ha abbracciato me!» protestò oltraggiato il diretto interessato, alzando il mento in segno di sfida.
«Che carino» commentò Anna impostando una nuova partita con la playstation.
«Adorabile» le fece eco Balthazar ridendo.
«Piantatela, voi due. Piuttosto, Anna, passami un joystick» sbuffò Gabriel.
Giocarono per tutto il pomeriggio, tra le lamentele di Balthazar che continuava a perdere e le provocazioni di Anna; poi, dopo una veloce cena d’asporto, Castiel si addormentò sul divano tra i tre angeli.
Anna mise in pausa il videogioco e sospirò. «Allora?».
«Allora cosa?».
«Lo riporterai in Paradiso?» chiese osservando tristemente il bambino accoccolato contro di lei.
«E cosa dovrei fare, mettermi contro tutte le schiere angeliche? Michael verrà a prenderlo, lo sai. Non posso farci nulla» rispose Gabriel scrollando le spalle. «Ti consiglio di non affezionarti troppo».
«Ehi, non è mica un addio» si intromise Balthazar. «Lo rivedremo tutte le volte che torneremo in Paradiso, e tra un secolo o giù di lì probabilmente verrà inviato anche lui sulla Terra per svolgere qualche incarico».
«Non sarà la stessa cosa, forse non ci riconoscerà nemmeno. Sai com’è fatto Michael, gli farà dimenticare in fretta questa settimana e tra un compito e l’altro Cass diventerà come tutti gli altri angeli» replicò Anna accarezzandogli i capelli arruffati.
«Ah no, qui la situazione inizia a farsi deprimente. Io vado» sbuffò Gabriel, sfiorando il braccio del fratellino e smaterializzandosi dall’appartamento. Quando riapparvero nella loro cucina, però, Castiel si era svegliato e si strofinava stancamente gli occhi. «Dove siamo?».
«A casa. Ora vai a dormire, sei stanco» rispose Gabriel indicandogli il lettino.
«Gabriel, mi parli del Paradiso, di Anna e dello zio Balth?» chiese il fratellino infilandosi sotto le coperte con uno sbadiglio.
«Non è una favola della buonanotte, potresti avere gli incubi» commentò Gabriel con un sorriso storto, ma si accomodò comunque per terra con la schiena contro il letto.
Castiel gli si avvicinò e lui, sospirando, incominciò a raccontare.
Ad un certo punto doveva anche essersi addormentato, perché l’alba lo sorprese ancora sul pavimento, il braccio di Cass ad un soffio dalle sue ali.
Rimboccandogli le coperte sulle spalle, Gabriel le ritirò e con uno sbadiglio tornò in camera da letto.
 
Sabato
Il pic-nic
L’idea era stata di Anna.
«Si tratta del parco vicino casa, non della Foresta Pluviale. Cosa vuoi che possa accadere?» aveva commentato piegando la tovaglia e infilandola nel cestino.
Aveva preparato personalmente i panini per Cass, Balthazar aveva aggiunto qualche birra ghiacciata e Gabriel una manciata di caramelle e dolcetti di tutte le forme.
Soddisfatti, si erano smaterializzati tutti e quattro nel parco e una volta stesa la tovaglia si erano piazzati all’ombra di un grande albero mentre Castiel si guardava attorno stupefatto.
A parte la scuola e gli appartamenti di Gabriel e Balthazar, non aveva ancora visto nulla della Terra.
«Un vero peccato considerando che domani se ne va. Avremmo dovuto fargli visitare qualche città d’arte, o magari le sette meraviglie del mondo» aveva rimpianto Anna scuotendo la testa.
Gabriel, invece, aveva sbuffato. «Con il rischio di perderlo ad Hong Kong? No grazie».
Però il suo umore era peggiorato di colpo, e ficcandosi un lecca-lecca in bocca si era chiuso in un ostinato silenzio mentre osservava Castiel gironzolare nei dintorni esaminando i fiori e le api. 
Poi, ad un certo punto, era semplicemente uscito dalla sua visuale.
Gabriel nell’immediato non se n’era preoccupato troppo, almeno fino a quando Balthazar non aveva chiesto dove si trovasse il bambino e il piccolo non aveva risposto alle chiamate.
Così erano schizzati tutti e tre in piedi e avevano iniziato a setacciare il parco urlando il suo nome, ma di Castiel non c’era ancora nessuna traccia.
Gabriel si sentiva come se il cuore gli fosse schizzato in gola e stesse ostruendo le vie respiratorie.
Era una sensazione nuova, e non gli piaceva affatto.
Preoccupazione, gli suggerì la sua mente. Ansia. Paura.
Gabriel scosse la testa per scacciare quelle emozioni e cercò di concentrarsi su Balthazar, che stava blaterando qualcosa da almeno dieci minuti.
«Mille anime» lo sentì lamentarsi mentre frugava inutilmente tra i cespugli. «Dovrò mille anime a Crowley, e pensare che mancava solo un giorno… dove le trovo mille anime? Sarò in debito con l’Inferno per il resto della mia vita. Michael mi esilierà per questa scommessa, poco ma sicuro».
«Non perderò Cass, lui è ancora qui da qualche parte» replicò Gabriel a denti stretti. «Lo troveremo e tu vincerai la tua stupidissima scommessa, okay? Quindi zitto e cerca».
L’amico sembrò offeso da quell’uscita brusca. «Non c’è bisogno di essere così intrattabili, sai? Stavo solo pensando ad alta voce».
«Be’, non farlo. Troveremo Castiel e--».
Gabriel si interruppe di colpo.
«Cosa? Che c’è?». Balthazar  si sporse oltre la sua spalla per vedere.
Castiel era lì, in un ampio spiazzo verde con il cappotto leggero che svolazzava alle spalle quando correva. Mentre lo osservavano sollevati («Sono vivo. Altro che mille anime a Crowley, Cassie sta bene e io starò ancora meglio dopo aver vinto la scommessa!»), un lampo bianco schizzò nella loro visuale e colpì forte Castiel, facendolo cadere per terra.
Balthazar trattenne Gabriel con la forza per impedirgli di intervenire, indicandogli due bambinetti correre verso Cass, scusarsi e porgergli una mano per alzarsi.
«Sono umani, non c’è nessun peric-- metti giù la Lama Angelica, idiota!» sibilò Balthazar all’amico, prima di ordinargli: «Tu recupera Anna e digli che abbiamo trovato il bambino, io mi occupo degli umani».
Gabriel sbuffò. «Pensi che non sia capace di--».
«Penso» lo interruppe l’altro angelo. «Che Mamma Gabriel debba girare a largo per un po’».
Gli fece segno di andarsene, e con un’ultima occhiataccia Gabriel si smaterializzò.
Balthazar si infilò le mani in tasca e raggiunse il piccolo angelo, che si stava spolverando le ginocchia.
«Tutto bene, Cassie?» chiese con nonchalance.
I due bambini sembravano diffidenti, e il più grande stringeva una palla tra le mani.
«Zio Balth! Che ci fai qui?».
«Non ti trovavamo e Gabriel si è preoccupato».
«Oh» commentò arrossendo. «Mi dispiace. Loro sono Sam e Dean, i miei amici» presentò poi i bambini con un sorrisone. «E lui è lo zio Balth».
Balthazar notò con la coda dell’occhio che Gabriel e Anna erano tornati, e che lei aveva il cestino del picnic tra le braccia da cui sporgeva un lembo della tovaglia ficcata all’interno in fretta e furia.
Gli fece cenno di avvicinarsi, e in un attimo i due angeli gli furono accanto.
«Sono amici» mormorò prima che potessero iniziare ad interrogare i bambini.
D’altro canto, però, un uomo dall’aria burbera con un cappellino da baseball aveva raggiunto Sam e Dean.
Prima che i tre angeli potessero anche solo accorgersi di quello che succedeva, si ritrovarono inzuppati.
Gabriel estrasse la Lama Angelica e l’uomo si affrettò ad alzare nuovamente la fiaschetta di acqua santa.
«Non siamo demoni!» sbottò Anna mettendosi in mezzo, mentre il bambino più grande trascinava via il fratellino.
«Ma davvero?» ringhiò l’uomo.
«Signor Bobby, sono angeli» si intromise Castiel, affiancando Anna e posando una manina sulla Lama Angelica del fratello.
«Non la toccare, è affilata» borbottò lui mettendola via di malavoglia.
L’uomo, Bobby, emise un verso a metà tra uno sbuffo e un ringhio. «Non mi fido».
«Ma sono la mia famiglia» insisté Cass.
«Penso che potremmo evitare di saltarci alle rispettive gole davanti ai bambini» si intromise Anna tirandosi indietro i capelli bagnati.
«E lo dice per voi, perché io sarei capace di polverizzarvi con uno schiocco di dita» rimarcò risentito Balthazar lanciando a Bobby un’occhiataccia torva.
«Devi solo provarci, pennuto» sputò lui diffidente ricambiando la cortesia. 
Alla fine, anche quella era stata un’idea di Anna.
“Non davanti ai bambini” era diventato il suo motto, e dopo aver steso la tovaglia si era seduta a mo’ di paciere tra gli angeli e Bobby. Sam, Dean e Cass si erano invece accomodati in mezzo e giocavano tra loro mangiando i panini di Anna e ridendo.
«Lasciamoli divertire, loro vanno d’accordo» aveva ribadito lei alle proteste degli adulti.
Così le ore passarono e si fece pomeriggio. Bobby, Sam e Dean salutarono (il primo molto controvoglia) e si allontanarono, e Anna incominciò a rimettere tutto nel cestino.
«Ora di tornare a casa» annunciò, e gli angeli si smaterializzarono.
Gabriel e Cass tornarono nel loro appartamento, e dopo una cena veloce il più piccolo andò a dormire.
«Michael» chiamò Gabriel una volta che si fu addormentato. «Michael lo so che mi senti, quindi scendi; ti devo parlare».
Ci fu un fruscio d’ali alle sue spalle, e quando si voltò incontrò lo sguardo impassibile del fratello maggiore.
«Cosa vuoi?». I suoi occhi azzurri si posarono immediatamente sulla sagoma di Castiel nascosta dalle coperte. «Sta bene? Sai che Metatron--».
«Sì, lo so, lo so» lo interruppe rapidamente Gabriel. «Lui sta bene. Però non vuole tornare in Paradiso, e pensavo che magari potrebbe restare sulla Terra ancora un po’».
«Non devi pensare, non è  per questo  che sei stato creato» lo redarguì seccato il maggiore.
«E l’angelo deve tornare in Paradiso. Domani a mezzanotte verrò a prenderlo e ti consiglio caldamente di non metterti in mezzo, fratello. Il tuo compito è quasi terminato».
«Gli ho promesso che sarei venuto anche io con lui».
Michael gli rivolse un’occhiata dura. «Ti ho sempre detto di non fare promesse che non puoi mantenere. Sai che sono il solo a poter addestrare le reclute, è inutile che torni in Paradiso. Se non riesci a convincere l’angelo a venire senza di te, allora digli che resterà qui».
Gabriel storse le labbra in una smorfia rabbiosa. «Il tuo grande suggerimento sarebbe di ingannarlo? Illuderlo che resterà sulla Terra e poi portarlo via a tradimento, quando dorme?».
Michael non mosse un muscolo. «Esattamente. Trovare un modo per evitare che opponga resistenza è a tua discrezione, sappi solo che se proverà a ribellarsi mi vedrò costretto ad usare le cattive maniere. Il mio compito è di riportarlo in Paradiso, e non mi importa come ma lo farò, dovessi anche scatenare tutte le schiere angeliche contro questo sputo di cittadina» minacciò pacatamente.
«Michael, ascoltami…».
«No, ascoltami tu, Gabriel» lo interruppe il fratello. «Domani verrò a prelevare l’angelo, la storia finisce qui. Ci vediamo a mezzanotte».
Si smaterializzò in un fruscio d’ali, lasciando Gabriel ad imprecare a mezza voce nell’appartamento vuoto.
 
Domenica
Demons run
 
Castiel era felice. Quella mattina, mentre facevano colazione, Gabriel gli aveva annunciato che non sarebbe più dovuto tornare in Paradiso e che sarebbero rimasti tutti insieme sulla Terra, a mangiare pizza nell’appartamento di Balthazar e a fare pic-nic all’aperto.
Inoltre gli piaceva la domenica, anche se era la prima in assoluto che viveva.
Domenica voleva dire svegliarsi tardi e trovare Anna che cucinava canticchiando, il profumino delizioso del pranzo che invadeva la casa, e Balthazar che tirava cuscinate a Gabriel con espressione offesissima.
«Che succede?» chiese osservando il fratello maggiore piegato in due dalle risate e l’ennesimo cuscino abbattersi su di lui.
«Si comportano da persone mature e responsabili» lo raggiunse la voce di Anna, ironica, dai fornelli.
Quando riemerse dalla marea di pentole in cui  stava scomparendo, aveva i capelli arruffati e le guance arrossate. Spintonò Balthazar, che si era messo in piedi sul divano per prendere meglio la mira, e si lasciò cadere tra i due amici. «Niente scarpe sul divano» lo rimbrottò mentre Gabriel si rialzava da terra.
Castiel si affrettò a raggiungerli e acciambellarsi tra i cuscini.
«Ma si può sapere che hai combinato?» esclamò Gabriel osservando il ripiano della cucina imbrattato di ogni possibile alimento e la marea di pentole accozzate una accanto all’altra sui fornelli.
Alcune uova erano rotte sul pavimento, e ad osservarla bene Anna era sporca di farina dai vestiti ai capelli.
«Ho fatto un dolce» rispose lei tranquilla.
«A me sembra che tu abbia distrutto la cucina» rimbeccò Balthazar riappoggiando provocatoriamente i piedi sul bracciolo. Anna gli tirò una sberla. «Non dare il cattivo esempio a Cass».
Balthazar scoppiò a ridere. «Ma Cassie lo sa che non deve prendere esempio da me. Ci pensa già Mamma Gabriel a crescerlo male».
«Ma taci, persona orribile che non sei altro. Ha rifiutato il mio regalo di compleanno!» si lamentò lui con Anna e Cass a mo’ di spiegazione, melodrammatico.
«É il tuo compleanno?» chiese sorpreso Castiel a Balthazar.
«No che non lo è! Solo che Gabriel non è soddisfatto se non rompe la palle al prossimo» sbuffò Balthazar alzando gli occhi al cielo.
«Balth». Anna sollevò le sopracciglia, accennando al bambino.
«Non è colpa mia se ha il peggior fratello maggiore di sempre».
«Ingrato! Uno prova a fargli un pensierino ed ecco come lui ringrazia!» protestò offeso Gabriel.
«Lui non è il peggior fratello maggiore di sempre» disse invece Castiel. «È il migliore in assoluto!».
Gabriel tacque. Un’ondata di senso di colpa lo investì come una secchiata d’acqua gelida.
Si sentiva come se una mano invisibile gli stesse strizzando le budella, e si accorse che anche Anna e Balthazar si erano zittiti improvvisamente.
Quella mattina aveva raccontato loro dell’incontro con Michael, e si era seduti tutti e tre sul divano, per una volta seri, persi nei propri pensieri. Anna era furiosa.
«È una farsa nauseante. Mi rifiuto di ingannarlo in questo modo, è solo un bambino!» aveva sibilato. «Gabriel, devi dirglielo. Non puoi lasciare che Michael--».
«Cosa, esattamente?» aveva replicato lui stancamente. «Se scopre la verità e si rifiuta di andare con Michael, lui passerà alle maniere forti. Preferisco che pensi che io l’abbia tradito e mi odi, che vedere Michael fargli del male. Vi chiedo di fingere solo per un giorno; lasciamo che non abbia preoccupazioni e che si addormenti felice, e poi…».
Aveva lasciato cadere la frase, ma tutti e tre avevano capito.
«Solo per un giorno» aveva concesso Balthazar senza guardarli negli occhi.
Nel presente, Gabriel mormorò: «Non sono un bravo fratello maggiore».
«Sì che lo sei» replicò con forza Cass.
Prima che l’Arcangelo potesse ribattere, però, si intromise debolmente Anna: «Allora, la storia del regalo di compleanno…?».
Gabriel si costrinse a sorridere. «Ah già. Dal momento che ho saltato gli ultimi duecento compleanni di Balthazar o giù di lì, ho pensato di rimediare».
Sventolò un DVD davanti al naso di Anna e lei rise.
«Titanic? Fai sul serio?».
«Il film preferito dello zio Balth!» annunciò lui a beneficio del piccolo Cass, che vedendoli ridere si rilassò al’istante.
«Possiamo vederlo?» chiese con trepidazione.
«Ma da che parte stai, Cassie?» gemette Balthazar nascondendo il viso sotto un cuscino.
«Magari dopo pranzo» propose Anna, ignorandolo.
«Nah, meglio stasera. Oggi pomeriggio pensavo potessimo uscire per un gelato» disse invece Gabriel, e così fu. Pranzarono tutti insieme e dopo assaggiarono la torta di Anna.
Gabriel ne fu quasi commosso, e mentre si serviva la quarta fetta si fece promettere dalla ragazza di preparargliela come minimo due volte a settimana.
Poi uscirono alla ricerca di una gelateria. Balthazar, ricordandosi di una qualche asta soprannaturale, si smaterializzò e tornò mezz’ora più tardi con una tela sottobraccio.
«La Monna Lisa, quella originale» annunciò soddisfatto.
«Pensavo si trovasse al Louvre di Parigi» commentò Gabriel inarcando le sopracciglia.
«Sì, è quello che pensano anche gli umani» ghignò lui.
Dopo aver preso il gelato si incamminarono verso il parco.
Castiel corse avanti per osservare le anatre in un laghetto poco distante e per un attimo Gabriel si dimenticò di Michael e il Paradiso e si chiese da quanto tempo non era così felice.
Balthazar stava blaterando qualcosa sull’arte moderna, Castiel aveva praticamente affondato il viso nel suo gelato e Anna rideva, tenendolo per mano e sporgendosi di tanto in tanto per dire la sua a Balthazar.
Era bloccato in un’anonima, noiosissima cittadina umana con un piccolo angelo che aveva paura degli armadi e due fuggiaschi del Paradiso, eppure era felice.
Così giunse alla conclusione che forse la punizione di Dio non consisteva nello scaraventarlo sulla Terra con Cass; consisteva nel portarglielo via dopo tutto quello che avevano passato.
 
Alla scuola materna spesso le maestre li facevano parlare delle proprie famiglie.
C’era chi, come Jo, raccontava di una mamma tuttofare e di un padre sempre via per lavoro, chi come Garth descriveva un idilliaco quadretto di amore familiare, e chi, come Sam, Dean e Cass, odiava profondamente quei momenti di condivisione.
In realtà a Castiel sarebbe piaciuto parlare della sua famiglia: solo che non era certo di averne una.
Così, quando era arrivato il suo turno, aveva confidato alla maestra i suoi dubbi.
Lei aveva sorriso, accovacciandosi accanto a lui. «Certo che hai una famiglia, Castiel. Tutti ce l’hanno. Ci sono tanti tipi di famiglia, e non deve necessariamente avere legami di sangue, va tutto oltre la parentela. Dimmi, tu con chi vivi?» gli chiese.
«Mio fratello Gabriel» rispose lui in un sussurro. «E poi Anna e zio Balth, che sono i suoi amici d’infanzia. Loro in realtà non vivono proprio da noi, ma stiamo sempre insieme». 
«E tu vuoi bene a queste persone?».
«Tanto. Loro sono…».
«La tua famiglia» concluse la maestra soddisfatta.
Ma tutto quello era accaduto molto tempo fa, all’inizio della sua breve vita sulla terra.
Poi erano sopraggiunti i discorsi tra Gabriel e Balthazar su Michael e il Paradiso, e Castiel aveva avuto paura. Paura di andarsene, di abbandonare la sua vita e di essere abbandonato da Gabriel.
Paura della prospettiva di non rivedere più la Terra. Paura di non essere mai stato abbastanza.
Così si era avvicinato alla maestra Jodie e le aveva raccontato tutto, del suo arrivo, dei modi un po’ bruschi di Gabriel e della sua giacca che sapeva sempre di zucchero, di Anna e i suoi tentativi culinari incredibilmente riusciti, di Balthazar, che lo chiamava Cassie quando nessun altro lo faceva, e ancora di Michael che era lontano e che doveva venirlo a prendere, dei suoi timori, dell’appartamento a Sioux Falls, del fatto che non sarebbe più tornato, insomma, davvero di tutto.
E Jodie Mills rimase ad ascoltare in silenzio in attesa che il bimbo finisse, poi, non appena lui inclinò il capo di lato nel suo personalissimo modo per annunciare che aveva terminato di parlare, gli consigliò di raccontare tutte le cose che aveva detto a lei a Gabriel.
«È una situazione delicata, ma penso che Gabriel capirà. Di sicuro non vuole lasciarti, è solo che a volte…». Jodie tacque un attimo, alla ricerca delle parole adatte. «A volte accadono cose più grandi di noi che ci impediscono di agire come vorremmo».
«Quindi dovrò tornare con Michael» appurò Castiel, ormai rassegnato per tutte le volte in cui gli era stata  ripetuta quella frase.
«Non potresti dare una chance a questo Michael?» azzardò la maestra, ma lui scosse energicamente la testa. «Non voglio andare. Non ritornerei mai più qui, e non rivedrei più Gabriel, Anna e zio Balth. Io voglio restare con loro» insisté con una nota di angoscia nella voce.
Jodie si affrettò a mettergli una mano sulla spalla per tranquillizzarlo.
Uscirono in giardino dove giocavano gli altri bambini e si sedettero su una piccola panchina.
Poi Jodie riprese a parlare: «Sai, hai una bella famiglia. È strana, ma ti rivelerò un segreto: tutte le famiglie migliori lo sono. E tu sottovaluti l’affetto di chi ti sta accanto, perché qualsiasi cosa accada, l’amore di un genitore è sempre più forte. Quindi non pensare neanche per un istante che Gabriel ti abbandoni così senza dir nulla; da come mi hai parlato di lui, sembra che ti voglia davvero bene, e in tal caso farà di tutto per non lasciarti».
«Gabriel però non è mio padre» disse Cass, un po’ confuso.
«Ma si comporta come se lo fosse, e non è forse questo che i papà fanno? Ti lasciano salire sul letto dopo qualche incubo…».
«Il mostro dell’armadio è vero, non era un sogno!».
«… ti impediscono di cadere, fanno di tutto per renderti felice» elencò Jodie, ignorando ampiamente il commento convinto di Castiel.
«Gabriel ti vuole bene, Castiel. Non permetterà che ti accada nulla di male».
E Castiel si era fidato. Aveva atteso e sperato per un po’ di giorni, osservando come l’umore della sua famiglia scivolava sempre più basso, notando con la coda dell’occhio come ogni volta che credeva di non essere visto le spalle di Gabriel si afflosciavano e il suo sguardo diventava vitreo, distante, fisso su un punto indistinto della parete. Castiel aveva sperato fino all’ultimo, aspettando ogni sera la notizia tanto attesa, e domenica, infine, arrivò.
Sarebbe rimasto. Gabriel non lo avrebbe abbandonato. Il countdown si era azzerato, e lui non avrebbe lasciato la sua casa a Sioux Falls.
Così quella sera si era accoccolato tra Anna e Gabriel mentre inserivano il dvd di Titanic e facevano partire il film tra le minacce di suicidio di Balthazar.
 «Se non lo togliete subito» tentò lui un’ultima volta con espressione seria, alzando un grosso cuscino tra le mani. «Io mi soffocherò con questo cuscino, e poi toccherà a te, Gabriel, spiegare perché c’è un uomo morto sul tuo divano. Verrai accusato di omicidio, e mi avrete entrambi sulla coscienza! Vi giuro che lo faccio, eh!».
Gabriel, però, gli sfilò con un mezza risata il cuscino e glielo tirò in testa. «Piantala di lamentarti sempre, Balth, sei noioso».
«E inopportuno, non vedi che questa è la scena in cui Rose riconosce il disegno che le ha fatto Jack? Dovrebbe essere tragica, non rovinare l’atmosfera!» rincarò la dose Anna afferrando il telecomando e alzando il volume.
Balthazar, neanche a dirlo, sembrò provare un gusto immenso a commentare sarcasticamente ogni fotogramma del film, ma dopo meno di un’ora, mugugnando sempre più indistintamente, lasciò cadere la testa contro la spalla di Gabriel -che provò in tutti i modi a spostarlo invano- e si addormentò.
Anna resistette per un’altra mezz’ora, poi seguì l’amico nel mondo dei sogni.
Si fecero le undici, e il film ancora non finiva.
Gabriel trascorse l’ultima mezz’ora di film con gli occhi sul bambino, per imprimersi a fuoco nella mente ogni più piccolo particolare: i capelli scompigliati che avevano mantenuto quel loro non-so-che di arruffato anche dopo la guerra che Anna e le sue spazzole avevano mosso loro, i suoi occhi blu e luminosi, le manine piccole, l’espressione corrucciata che assumeva quando si concentrava, il modo in cui piegava inconsciamente la testa di lato quando parlava. Ogni volta che Castiel si voltava per incontrare il suo sguardo, faceva finta di star sporgendosi verso Anna per cercare il telecomando, un lecca-lecca, o anche solo per controllare che non cadesse dal divano per il sonno agitato. Allora Cass sorrideva in quella sua maniera speciale e le posava una manina sul braccio, cercando di trattenerla, e le labbra di Anna si piegavano impercettibilmente all’insù.
Quel bambino aveva l’innata capacità di tranquillizzare le persone con il solo sguardo, e di far sentire Gabriel in colpa anche solo respirando. Inoltre faceva schizzare alle stelle il suo desiderio di spaccare la faccia a Michael, anche più del solito, e Gabriel non era mai stato un guerrafondaio.
Non era nella sua natura.
Il film terminò quando mancavano pochi minuti alla mezzanotte.
Castiel sbadigliava, e il fratello sperò che si addormentasse prima dell’arrivo di Michael.
Non avrebbe sopportato il suo sguardo ferito, sarebbe stato semplicemente troppo.
Le lancette rotolarono verso le dodici. Castiel gli si strinse contro e chiuse gli occhi.
Per una attimo, Gabriel ebbe paura e aprì la bocca per dirgli tutto ciò che non aveva mai detto e che non avrebbe mai più avuto occasione di dire.
Ti voglio bene, Cass.
Mi dispiace per averti mentito.
Non voglio lasciarti andare.
Ma il suo respiro si era già regolarizzato. Gabriel allungò un braccio sulle sue spalle e lo strinse a sé con maggior forza.
Avrei dovuto abbracciarti più spesso, dedicarti più tempo.
Avrei dovuto trattarti meglio.
Mezzanotte meno un minuto. La nausea montò insormontabile in Gabriel, mista al senso di colpa che lo stava corrodendo avvelenandogli l’anima pezzo per pezzo.
Avrei dovuto avere il coraggio di lottare per la mia famiglia.
Chiuse gli occhi.
Un orologio, lontano, scoccò il rintocco della mezzanotte.
 
 
Demons run when a good man goes to war
Night will fall e drown the sun
When a good man goes to war
 
Friendship dies and true love lies
Night will fall and the dark will rise
When a good man goes to war
 
Demons run, but count the cost
The battle’s won but the child is lost
 
 
Epilogo

«Voglio il bambino».
Metatron sospirò, massaggiandosi le tempie in un principio di mal di testa.  «Gabriel…».
«No, niente Gabriel questa volta. Rivoglio Cass indietro» lo interruppe seccamente l’Arcangelo.
«Non puoi».
«Allora smantellerò il Paradiso pezzo per pezzo, se necessario, e lo troverò da solo».
«Gabriel».
L’angelo si voltò, incontrando lo sguardo duro del fratello maggiore.
«Michael, portalo via prima che faccia un’idiozia» borbottò Metatron.
«Io non me ne vado!» protestò lui. «Non senza mio fratello».
«Non costringermi…» iniziò minaccioso Michael, ma il minore lo liquidò con un gesto rabbioso della mano.
«A fare cosa, esattamente? Vuoi cacciarmi dal Paradiso come hai fatto con Lucifer, vuoi esiliarmi all’Inferno?».
Allargò le braccia con fare provocatorio. «Fai pure. Ma sappi che tornerò per Castiel, dovessi muovere guerra ad ogni singolo angelo del Paradiso e a paparino in persona».
Gabriel non attese replica e si smaterializzò.
 
«Lo hai trovato?» chiese Anna non appena Gabriel tornò dal Paradiso. «Michael che ha detto?».
«Non importa quello che ha detto Michael, noi riporteremo Castiel a casa costi quel che costi» ribatté lui.
I due amici alzarono istintivamente lo sguardo.
«Oh no» rise Gabriel amaramente. «Non parlo del Paradiso, quella non è casa».
Indicò con un gesto vago il piccolo, disordinato appartamento di Sioux Falls, con il divano sformato ricoperto di cuscini, la custodia di Titanic abbandonata in un angolo e il bancone della cucina ancora infarinato.
«Questa è casa. E ci riporterò Castiel, fosse l'ultima cosa che faccio. Questa è una promessa che posso mantenere».



Angolo della più o meno Autrice

Perché ci sarà un giorno in cui riuscirò a trovare dei finali decenti e a rendere i protagonisti IC, ma non è questo il giorno! 
No, okay, sul serio. Avrebbe dovuto essere una storia comica. L'avevo programmata comica, poi è spuntato fuori Michael e ha rovinato tutto con la sua logica inoppugnabile (?), dal momento che volevo conservare almeno un briciolo di coerenza con la serie. Forse.
E lo so, nell'Epilogo mi sa di aver stravolto Gabriel e averlo reso OOC con la sua eroica comparsa in Paradiso stile Aragorn, ma originariamente pensavo di terminare la storia con la poesia di Moffat (Demon's run è di Doctor Who, ma mi sembrava azzeccata), poi più di una persona mi ha fatto cortesemente notare che sarebbe stato troppo triste (leggasi "mi ha minacciato in caso non avessi cambiato finale") and here we are.
Ah, anche la frase sulle famiglie strane è una citazione un po' riadattata, questa volta di Alice in Wonderland. E ora che dire?
Un enorme grazie a tutti i lettori silenziosi e a coloro che hanno recensito; credo che tornerò con il trio Anna-Gabriel-Balth, ma non posso dirlo, quindi amen, qui termina la storia e ancora grazie a tutti coloro che l'hanno seguita. Biscotti per tutti!
Alla prossima, 
Asia

 

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