You've always been there.

di DulceVoz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova vita. ***
Capitolo 2: *** Lavori e colloqui. ***
Capitolo 3: *** Scottanti conoscenze. ***
Capitolo 4: *** Un catalogo... particolare! ***
Capitolo 5: *** Buon compleanno, Leon. ***
Capitolo 6: *** Iniziare la conquista. ***
Capitolo 7: *** Una notte in bianco. ***
Capitolo 8: *** Un rapporto difficile. ***
Capitolo 9: *** Accese e pericolose rivalità. ***
Capitolo 10: *** Superare, insieme. ***
Capitolo 11: *** Padri e figli. ***
Capitolo 12: *** Segreti di famiglia. ***
Capitolo 13: *** Rassegnarsi al potere dell'amore. ***
Capitolo 14: *** Lara comincia a tremare. ***
Capitolo 15: *** Ostacoli da superare. ***
Capitolo 16: *** Una giornata tempestosamente perfetta. ***
Capitolo 17: *** Somewhere over the rainbow. ***
Capitolo 18: *** Separazioni forzate o dovute. ***
Capitolo 19: *** Lottare per amore. ***
Capitolo 20: *** Seguire il proprio cuore. ***
Capitolo 21: *** Avvicinamenti inaspettati... ***
Capitolo 22: *** Mi mejor momento. ***
Capitolo 23: *** Insieme siamo migliori! ***
Capitolo 24: *** Alla luce della luna. ***
Capitolo 25: *** Scoperte scottanti. ***
Capitolo 26: *** Addii dolorosi. ***
Capitolo 27: *** Un pericolo che incombe. ***
Capitolo 28: *** Aprire gli occhi. ***
Capitolo 29: *** L'ultima carta da giocare. ***
Capitolo 30: *** Questo matrimonio non s'ha da fare! ***
Capitolo 31: *** Amore e traguardi. ***
Capitolo 32: *** Epilogo - Tre anni dopo. ***



Capitolo 1
*** Una nuova vita. ***


Il campanello suonò ripetutamente ma lei non sembrò essersene accorta, ancora completamente coperta dal suo piumone bianco fino alla cima della testa. Si rigirò stizzita da quel trillo così insistente e, solo dopo un minuto abbondante, aprì un occhio, sbadigliando rumorosamente. Ancora un’altra scampanellata a darle fastidio. La donna sbuffò sonoramente e, nervosa, si mise a sedere sul letto, massaggiandosi le tempie con aria distrutta. Din Don! “- ARRIVO!” urlò Angie, stiracchiandosi e infilandosi con tutta calma le pantofole.
“- Ma chi diavolo rompe a quest’ora?” borbottò tra sé e sé, scendendo le scale della sua enorme villa a due piani. Si precipitò alla porta e, aprendola, si ritrovò di fronte alcuni uomini, uno elegante in un abito nero ed altri tre con tute blu da lavoro… no, non poteva essere vero. “- Salve, lei è la signora Caldez?” chiese quello vestito bene, sistemandosi distrattamente il nodo alla cravatta. “- Signorina Saramego. Non ho mai sposato il defunto signor Caldez, deceduto da circa un mese, ormai.” Disse, come se nulla fosse, la bionda, studiando l’espressione per nulla sorpresa dei suoi ospiti. “- Lo so bene, volevo solo che me lo confermasse… sono desolato per la sua situazione, ma vede, siamo gli espropriatori mandati dal tribunale. Lei ha ricevuto l’istanza, vero?” chiese quel moro, varcando la soglia e facendo sgranare gli occhi alla donna: stava succedendo tutto così in fretta che le sembrò di stare ancora sognando… “- Che cosa? No! Cosa diamine volete? Secondo il testamento tutto spetta a me, o sbaglio?” urlò la Saramego, tentando di fermare gli uomini che stavano già afferrando mobili e soprammobili dal salone principale ed avevano intenzione di caricarseli nel camion parcheggiato nell’enorme giardino. “- Troppo tardi, lei è nei guai fino al collo, bella signorina! Non paga le bollette, in teoria dovrebbe soldi a fin troppi creditori di Caldez, stanchi di stare ai suoi comodi, e la casa è sotto sequestro perché il signore non ha mai detto in alcun testamento che le spettasse di diritto, né l’ha mai sposata! Se ne deve andare subito da qui!” urlò serissimo l’uomo, consegnandole un foglio dalla sua cartelletta blu scuro. “- Che cosa? Lei non puo’ farmi questo! Ero sicuramente nel testamento, è certo! Caldez me lo aveva promesso, e l’ho letto io stessa! Ero l’unica erede di tutto il patrimonio!” urlò Angie, scioccata. Era un piano perfetto il suo: si era intrufolata come dipendente in quella enorme villa entrando in amicizia con quell’uomo, era riuscita a farsi firmare gli atti per dimostrare a tutti che l’uomo le avesse lasciato la casa e tutto il resto ma, purtroppo era stata sfortunata… e, a quanto sembrava, era stato il vecchio stesso ad aver fregato lei! “- Sì che posso, è il mio lavoro! Il signor Caldez a quanto pare, ha ritratto tutto prima della sua dipartita! A lei non spetta nulla, ha lasciato tutto ad un ente benefico. Ne parli con il notaio se non mi crede! Se vuole, al massimo, utilizzeremo una cifra per toglierle i debiti in cui quella vecchia volpe l’ha lasciata!” ribatté l’uomo, osservandola andare avanti e indietro per il salotto, come una trottola impazzita. Aveva cambiato il tutto in punto di morte, che disdetta! E che astuzia per un ultranovantenne! “- Certo, risolvetela così ma almeno lei mi dia un po’ di tempo in più per andar via! Come faccio a sfrattare in meno di 10 minuti?” si lamentò la donna, leggendo di fretta quell’atto ufficiale che l’uomo le aveva consegnato tra le mani. “- A quanto pare non le spetta proprio nulla, signorina, nemmeno tempo! Ma siccome mi sento buono, posso darle un solo giorno, uno solo in più… entro domani deve lasciare la casa, mi dispiace. E si ritenga fortunata! Sta volta si è evitata un’altra denuncia e mi pare di aver letto in qualche fascicolo che una l’avesse già… e lei sa cosa scatterebbe con una sola in più…” Sentenziò l’uomo in abito elegante alludendo al carcere, salutandola con un cenno della mano e facendo segno ai due operai di lasciare tutto com’era… sarebbero tornati il giorno successivo per prendere tutto il resto della roba di valore che era in bella mostra in quella reggia. “- Non ci posso credere! Quell’infame di Caldez!” balbettò la donna, portandosi le mani al viso e correndo di sopra, in camera, per gettarsi di nuovo a peso morto sul letto e prendere a fissare il soffitto, iniziando a riflettere. Pensava di averla fatta franca, che quel riccone, avesse perso la testa per lei, che le avesse lasciato la casa e tutto il resto senza neanche doverlo sposare, cosa a cui non era per nulla disposta ma, a quanto pareva si sbagliava… ed ora? Come avrebbe fatto per vivere e soprattutto dove lo avrebbe fatto? Era rovinata! Doveva trovare una soluzione in fretta per quella situazione inaspettata, doveva inventarsi qualcosa e alla svelta per sperare di continuare a sperperare soldi altrui e ad essere la ricca di turno… amava troppo quello stile di vita per lasciarlo perdere, una volta avendolo conosciuto. Per quanto ancora avrebbe potuto truffare? Sarebbe stata beccata ancora come allora e la volta precedente? Non ne aveva idea ma una cosa era certa: doveva trovare un minimo alloggio in meno di 24 ore per potersi trasferire dalla casa di Caldez. Dove poteva andare a chiedere aiuto? Era orfana fin da ragazzina e non aveva alcun parente e conosceva poche persone a parte le vittime alle quali aveva tentato di rubare tanti soldi e beni con raggiri vari. La polizia la conosceva già e, con una sola denuncia alle spalle, era riuscita a farla franca ma voleva continuare in quella sua “carriera”? Avrebbe rischiato davvero tanto? Non aveva mai voluto sposare un uomo dell’alta società e probabilmente quello era stato il suo vero, grande errore: con un matrimonio, forse, avrebbe ottenuto legalmente tutti i beni del suo marito benestante e avrebbe potuto continuare a fare la vita da nababbo che sognava. Doveva trovare un altro uomo ricco e abbastanza rimbambito per riprovarci o sarebbe stato meglio lasciar perdere? Angie scosse il capo come per allontanare quel pensiero, mettendosi a sedere sul letto in posizione seduta: no, in quel momento la vera questione era un’altra: doveva fare le valige e andarsene via da quella casa che non le apparteneva e, con un lampo di genio, realizzò subito cosa dovesse fare. Afferrò un trolley da sotto al grande letto matrimoniale e lo aprì velocemente, non aveva tempo da perdere: abiti, effetti personali e tanti suoi oggetti finirono nella valigia che dovette richiudere sedendosi sopra di essa. Riguardò per l’ultima volta quella stanza e, stizzita, si avviò per le scale che portavano al piano inferiore. “- Maledetto Caldez! Pensavo sul serio di essere riuscita a imbrogliarti, ma mi sbagliavo!” sibilò tra sé e sé, aprendo la porta d’ingresso e, dopo aver fissato quell’enorme salone, uscì per andare via da lì, sbattendola con foga.
 
 
“- Leon! Sto parlando con te, mi stai ascoltando?” Pablo Galindo era nel suo elegantissimo ufficio e aveva convocato il figlio per parlargli di alcuni problemi che lo affliggevano da un bel po’: il ragazzo stava degenerando davvero troppo e più cresceva e più peggiorava con i suoi atteggiamenti discoli e irresponsabili. “- Papà la smetti di lamentarti? Si puo’ sapere cosa vuoi da me?” borbottò un giovane con tono seccato, ben vestito e molto bello ma dall’aria spenta e annoiata. “- Voglio che non fai più fuggire tutte le tue istitutrici, che ti renda conto che non si puo’ andare avanti così e voglio anche che quanto ti parlo mi presti attenzione!” elencò il padre, esasperato da tutta quella situazione. Il ragazzo stava tenendo uno stile di vita inammissibile: feste, locali, bevute, cattive compagnie, ragazze come se piovesse e al tutto doveva aggiungersi la totale mancanza di disciplina che sembrava essere scomparsa da qualche anno a quella parte in particolare. Leon Galindo, da bambino era diverso… ma con il passare degli anni il giovane era cresciuto e voleva condurre la vita che gli sarebbe, secondo lui, spettata di diritto. Era ricco e viziato e non aveva intenzione di fare altro se non divertirsi in tutte le maniere possibili e immaginabili.
“- E cosa vuoi che faccia? Sentiamo!” ghignò il ragazzo al moro che scosse il capo, appoggiando con rassegnazione la schiena alla sua poltrona in velluto nero. “- Voglio che studi, che ti costruisca un futuro e che la smetta di comportarti in questa maniera assurda! 382349,3712 pesos, Leon! 382349,3712. E non aggiungo altro!” urlò Pablo, scrivendo un assegno e firmandolo con un rapido gesto della mano. “- Cosa vuoi che siano per te, papà!” ridacchiò il giovane dagli occhi verdi e intensi, prendendo a fissare Galindo che gli consegnava il denaro. “- Non è per i soldi! Non è quello il problema e lo sai! Ma stiamo parlando di un atto di vandalismo, Leon! Capisci? Ti rendi conto della gravità della situazione?” domandò l’uomo, fissandolo con decisione. Il figlio era identico alla sua amata Clara, morta quando lui aveva solo 5 anni: gliela ricordava tantissimo, avevano lo stesso sguardo magnetico, gli stessi lineamenti, i capelli… il carattere no, per nulla ed era certo che quello non lo avesse ereditato neppure da lui, fin troppo calmo e serioso per potersi anche solo paragonare al ragazzo e d’altronde, come poteva essere l’architetto e imprenditore più importante di Buenos Aries se non una persona rispettabile e dall’aspetto severo? “- Papà allora per la festa di compleanno allora è confermato, vero?” chiese, senza peli sulla lingua nonostante l’ultima malefatta, Leon. “- Ti pare il momento di pensare alla serata per i tuoi 20 anni? Dannazione, Leon! Se continui di questo passo non ci sarà nessun party!” strillò, perdendo le staffe, Galindo, scattando in piedi e prendendo a camminare nervosamente per la stanza. “- Ho solo fatto un murales con Diego! Non è mica la fine del mondo!” si lagnò il giovane, facendo scuotere il capo al padre. “- Sì, sulla facciata principale della Cattedrale della città! E’ illegale, Leon! La devi smettere di vedere quel perdigiorno di Dominguez e compagnia!” il tono di Pablo era tornato serio e freddo e il ragazzo lo osservò con calma… lo conosceva troppo bene e sapeva che l’uomo, se solo glielo avesse chiesto, avrebbe soddisfatto ogni suo desiderio, nonostante i guai in cui si cacciava fin troppo spesso. “- Papino, sai che quella festa mi spetta!” tentò di dissuaderlo con decisione il figlio, cambiando argomento, dall’accaduto alla sua festa. “- Non ti spetta proprio niente finché continui ad avere questi atteggiamenti!” urlò il padre, sbattendo un pugno sul tavolo che il ragazzo ignorò, restandosene immobile, seduto scompostamente sull’elegante sedia il legno color ciliegio. “- Jackie ha già invitato tutta l’alta società di Buenos Aires! Non annullerebbe mai, neppure per tutto l’oro del mondo…” replicò il ragazzo con noncuranza, alzandosi e cominciando ad avviarsi verso la porta della stanza. “- Leon non osare varcare quella soglia! Mi hai sentito? LEON!” ma l’urlo di Pablo terminò a vuoto, il giovane era già fuori, nel corridoio al secondo piano della loro enorme villa, probabilmente una delle più grandi di tutta l’Argentina. “- Amore, perché gridavate tanto? Cosa è successo di così grave sta volta?” l’elegantissima Jacqueline Saenz fece capolino nello studio dell’uomo, venendo quasi travolta da Galindo che stava andando a rincorrere il figlio che, nel frattempo, era già in fondo alle scale. “- Non ce la faccio più. Quel ragazzo mi manderà in manicomio!” esclamò Pablo, portandosi una mano alla fronte e ritornando ad accasciarsi sulla sua poltrona, dietro all’ordinatissima scrivania. Jackie si sedette di fronte a lui e prese a fissarlo con aria preoccupata… era un’ottima attrice nel fingere interessamento per la situazione e, dopo essere riuscita a raggirarselo in tutti i modi, era prossima al fidanzamento ufficiale con lui, avendo sbaragliato la concorrenza di altre donne che puntavano al denaro dell’uomo.
“- Tesoro, Leon è in un’età difficile. Dagli tempo e vedrai che metterà la testa apposto!” sorrise, quasi in un ghigno, la bionda, poggiando la sua mano su quella dell’uomo che prese a fissarla un po’ stranito. “- Quanto tempo ancora dovrei dargli? Tra una settimana compirà 20 anni! E’ ora che maturi! Che la smetta con questa vita frivola! Deve finalmente riuscire a diplomarsi e iscriversi ad Architettura, dovrà portare avanti le mie imprese, Jackie. E’ il mio unico figlio, tutto dovrà passare a lui e non posso lasciare i miei beni nelle mani di un vandalo che si fa arrestare con i suoi amichetti una notte sì e l'altra pure!” sentenziò duramente Galindo, facendo annuire la Saenz che sospirò, chinando il capo sui progetti disposti sul tavolo da lavoro dell’uomo: ville, ponti, palazzi, centri sportivi… Galindo era sempre pieno di lavoro per il suo talento riconosciuto in tutta la città e anche all’estero: tutti lo cercavano, tutti volevano che fosse lui a dirigere le costruzioni più importanti della capitale e le sue imprese edili gli fruttavano tantissimi soldi.
“- Pablo, si sistemerà tutto, vedrai. Ed io sarò al tuo fianco, come sempre.” Sussurrò quasi la donna, alzando gli occhi scuri e specchiandosi in quelli altrettanto neri dell’uomo che aveva, però, lo sguardo spento e preoccupato per il suo amato figlio. Dio solo sapeva quanto ci tenesse a Leon: era tutta la sua vita e detestava essere così severo con lui ma era certo che a quel ragazzo servisse un atteggiamento del genere per poter rigare dritto. Doveva mantenere il controllo, lui era il padre e il giovane doveva rispettarlo, che gli piacesse o meno. “- Cosa pensi di fare per quanto riguarda l’istitutrice per Leon?” domandò poi, con calma, Jacqueline, analizzando il volto del moro per cercare di comprendere una sua possibile reazione di risposta. “- Ho pensato ad un’inserzione sul giornale. La troveremo, vedrai.” Sorrise Pablo, apparendo, finalmente, più rilassato. “- Ma… hai dimenticato a quello che ha fatto alle ultime due insegnanti? Sono fuggite a gambe levate, tesoro! Si saranno tutte passate parola. Nemmeno si presenteranno ai colloqui e ti ricordo che l’ultima volta l’agenzia non ce ne inviò neanche una!” Si incupì Jackie, inarcando un sopracciglio e rimuginando sui guai che aveva combinato Leon con le altre insegnanti private. “- Sta volta no. Qualcuna si presenterà di sicuro, vedrai. Sanno che siamo dei Galindo e lo stipendio ricco farà di certo gola a qualcuna. Ora va’, e porta questa busta a Roberto. Voglio che la consegni subito al giornale locale per far sì che già da domani l’annuncio sia tra le offerte di lavoro… niente agenzia, facilitiamoci le cose per una volta.” Ordinò Pablo, porgendo una lettera alla compagna che annuì, facendogli l’occhiolino. “- Ci penso io, ma tu rilassati! Non mi piace vederti così teso. Ci vediamo dopo.” Ghignò la bionda, appoggiandosi alla maniglia della porta e, girandola lentamente, uscendo così dallo studio. Galindo si prese la testa tra le mani e sospirò, sperando di calmarsi. Quella situazione non poteva continuare, doveva cambiare tutto in quella enorme casa e sperava che, prima o poi, qualcosa o qualcuno fosse riuscito a stravolgere in positivo la vita di Leon e forse, anche la sua.
 
 
Angie si ritrovò di fronte ad una casetta malridotta con un piccolo giardino antistante: non era per nulla ben curato e l’erba avrebbe avuto proprio bisogno di una bella potata. La piccola aiuola di violette era secca e l’albero che era lì da quando anche lei era una bambina stava perdendo le foglie a causa del periodo autunnale che incombeva. La bionda camminava a passo deciso sul breve vialetto in pietra e bussò ripetutamente alla porta della casa. “- Angie! Che bello vederti! Entra, forza!” una ragazzina sui 16 anni sorrise candidamente alla donna, pulendosi le mani sporche di farina sul grembiule da cucina e facendole cenno di accomodarsi ma subito, poi, lo sguardo della giovane si posò sulle valigie della bionda e le girò intorno sconvolta. “- Oh no! Non dirmi che stai per partire! No, per favore non puoi andartene! Ed io come faccio senza di te?” chiese, quasi con gli occhi lucidi, la ragazza, vedendo Angie accasciarsi sul logoro divano con aria pensierosa. “- Magari avessi i soldi per lasciare questo posto, Violetta cara!” si lagnò, scuotendo il capo con rassegnazione. “- Cosa ti è successo, allora?” domandò la giovane, prendendo posto accanto a lei e poggiando la sua mano su quella della donna. “- Mi hanno beccata. Devo lasciare la villa di Caldez e, avendo venduto la mia sono praticamente senza casa! Sono stata un’idiota, pensavo di farla franca stavolta ma a quanto pare è andato tutto in frantumi! L’unica cosa che mi ha lasciato quell’infame per giunta, sono i suoi debiti ma almeno per quelli hanno trovato la soluzione! E la sola nota positiva è che non sono stata di nuovo denunciata!” strillò Angie, prendendosi il capo tra le mani e massaggiandosi le tempie con foga per un gran mal di testa che si era prontamente impossessato di lei ma una voce la fece sobbalzare e, istantaneamente, innervosire. “- Mi dispiace ma qui non ci puoi restare!” il tono acido di Jade La Fontaine attirò la sua attenzione, facendola scattare in piedi e voltare nella sua direzione. “- Zia Jade! Ma non vedi che è disperata?! Papà dì qualcosa!” accanto alla mora, sentendo la voce della Saramego, si era materializzato lui: Matias La Fontaine, padre di Violetta La Fontaine, nonché migliore amico storico di Angie. “- Mati! Proprio te cercavo! Senti, è un’ emergenza! Sono senza casa, senza soldi e senza un lavoro! Mi devi aiutare! Ospitami per qualche giorno, solo un paio di notti! Ti prego! Poi ti giuro che ti lascerò in pace, troverò un’ altra sistemazione quanto prima.” La voce supplichevole di Angie fece abbassare lo sguardo al biondo che, continuando a fissare il pavimento, fece alcuni passi verso di lei. “- Per favore!” lo pregò ancora la donna, fissandolo intensamente con i suoi occhi verdi e magnetici, afferrandogli le mani dolcemente.
“- Fratellino, non vorrai mica…?” tentò di iniziare Jade, rimasta alle sue spalle ma l’uomo la ignorò e, incrociando il suo sguardo con quello della bionda, gli sorrise amaramente. “- E va bene. Ma sai che stiamo messi peggio di te, quindi o collabori economicamente cercandoti finalmente un lavoro che sia degno di questo nome o mi vedrò costretto a doverti far andare altrove.” Spiegò Matias, facendo sì che lei sgranasse gli occhi e lo abbracciasse di colpo. “- Oh, grazie, grazie amico mio! Sapevo che non mi avresti abbandonata!” urlò, entusiasta, la bionda, fissando in malo modo Jade alle spalle del suo grande amico. La loro era una storia molto particolare: abitando nello stesso viale si conoscevano sin da bambini ed erano cresciuti insieme. Matias era come un fratello maggiore per lei, quel fratello che non aveva mai avuto e a cui voleva un bene dell'anima. Erano così simili eppure avevano intrapreso strade decisamente differenti: Angie era sempre stata vivace, iniziò a studiare musica ma la sua vita cambiò radicalmente quando rimase orfana, troppo giovane di entrambi i genitori e fu costretta a diventare adulta troppo in fretta, iniziando a guadagnare qualcosa con piccoli lavoretti per poi dedicarsi alla sua prima, vera e propria truffa. Matias, invece, perse la testa per un’altra coetanea del quartiere, Esmeralda Ferrara che, contro il volere dei suoi genitori ebbe una relazione con lui dalla quale nacque Violetta, la loro bambina. Ovviamente, però, la madre e il padre della ragazza lo scoprirono e, una volta nata, lasciarono la piccola a La Fontaine, non volendo sapere nulla di lei, non potendo tollerare di subire quello scandalo e decidendo di partire quando la piccola era ancora neonata, per l’Europa.  Il destino però, fu fatale e volle che la giovane e la sua famiglia prendessero l’aereo sbagliato, quello che, dopo poche ore di volo, precipitò, non lasciando alcun superstite. Quando Matias seppe la notizia rimase troppo scioccato e cadde in uno stato di depressione fortissimo ma non demorse mai: non era più lo stesso ma la figlia fu la sua forza e crebbe anche grazie all’aiuto di Angie che l’adorava e le faceva da madre. Le due avevano uno splendido rapporto anche se, spesso, era la ragazzina a consigliare e aiutare la donna, perennemente in mezzo ai guai. Jade, in tutto questo, avrebbe regalato volentieri, con un bel fiocco in testa, la mocciosa alla bionda… per lei era solo un’altra testa da sfamare e la situazione era già complessa di per sé. La zia della ragazza e, senza ombra di dubbio, avrebbe preferito un trattamento da gran signora alla SPA piuttosto che occuparsi della nipote, figlia di quell’inetto del fratello che, se fosse stato per lei, avrebbe dovuto già sbarazzarsi della bambina anni addietro, lasciandola in un qualche orfanotrofio. Angie la detestava, Violetta ancor di più e anche con Matias non scorreva buon sangue, nonostante lui le volesse bene lo stesso essendo suo fratello.  
“- Angie puoi restare tutto il tempo che vuoi!” sorrise Violetta, prendendole il trolley e portandoglielo al lato del divano. “- Dormirò io sul sofà e tu al posto mio, accanto a Violetta, d’accordo?” propose il capofamiglia, facendo annuire con gratitudine la bionda. “- Grazie. Sul serio! Ti voglio bene.” sorrise la Saramego, portandosi le valige in camera ma prima fermandosi sul posto per riabbracciare l’amico. “- Di nulla, di nulla.” Balbettò, in imbarazzo, l’uomo, sciogliendo quella stretta e dirigendosi verso il giardino probabilmente per uscire di casa. “- Io vado alle terme!” strillò Jade, facendo sgranare gli occhi alla ragazzina. “- E con quali soldi, zia? Sentiamo!” chiese, indispettita, la piccola, andando prontamente a proteggere il barattolo dei risparmi sulla mensola più alta della cucina. “- Con quelli!” gracchiò la mora, strappandole il contenitore dalle mani. “- No, Jade! Quelli ci servono per vivere! Smettila!” strillò Violetta, afferrando il salvadanaio e tirandolo a sé. “- Ci hai già abbastanza rovinato la vita, mocciosa! Tu e tua madre! Ora dammi questi soldi e torna a fare i piatti!” la voce di Jade era dura e fredda e una lacrima scese lungo il viso della giovane… quanto gusto poteva provare nel farla sentire in colpa del solo fatto di essere nata? Lo faceva di continuo e Violetta soffriva anche troppo per quell’accusa così malvagia. “- LASCIA STARE MIA MADRE! NON NOMINARLA NEMMENO! NON NE HAI IL DIRITTO!” urlò, furiosa e ormai in lacrime la giovane, continuando a tirare a sé quei risparmi. Angie, sentendo quelle grida, si fiondò nella cucina e trovò zia e nipote a litigare, la piccola in un pianto disperato e la donna che, conquistato il barattolo, lo teneva in alto con un braccio teso per non farlo afferrare a Violetta. “- Che diamine succede qui?” strillò Angie, facendole azzittire, mentre la giovane le corse incontro alla bionda e l’abbracciò. “- Ehi, tesoro! Perché piangi? Jade che le hai fatto?” chiese prontamente la Saramego con tono seccato, conoscendo sin troppo bene la mora. “- Fatti gli affari tuoi. Tu sei un altro intralcio qui dentro, come la ragazzina!” disse con acidità la donna, aprendo il barattolo ed estraendone una decina banconote verdi. “- Lo vedi, Angie? Ruba i soldi di papà per le sue stupidaggini e poi non abbiano nemmeno un centesimo per mangiare!” urlò la nipote della La Fontaine, mentre la donna continuava a stringerla a sé, accarezzandole lievemente i capelli castani. “- Tieni. Prendi questi e vattene.” Angie aveva armeggiato nella tasca dei jeans per poi tirarle sul tavolo una banconota stropicciata del valore superiore a quella decina che aveva preso lei. “- Brava, comincia a renderti utile da subito!” borbottò la mora, afferrando i soldi e uscendo di fretta dalla casa.
“- Perché tuo padre non la caccia di casa? Sa che è lei che vi ruba tutti i risparmi, no? E allora perché non le da un bel calcione nel fondoschiena e la manda altrove?” disse, con stizza, la bionda, rimasta da sola in casa con la ragazzina. “- Non lo farebbe mai. Vuole bene a quell’arpia di sua sorella e poi lo sai… lui è buono, non caccerebbe mai nessuno da casa sua, anche se fosse in miseria. Lui finge di non credermi quando gli dico che Jade ruba i nostri risparmi ma in fondo so che ne è consapevole.” Sussurrò quasi la ragazza, ritornando presso il lavello e continuando a lavare i piatti. “- Dai, ti aiuto… faccio io qui, vai a riposarti un po’.” Sorrise dolcemente la bionda, con fare materno. Lei era sempre stata la madre che la giovane non aveva mai avuto: le voleva bene, un mondo di bene, era praticamente cresciuta con lei… meno vedeva sua zia e meglio era per entrambe. Quando viveva con la Saramego era tutto un’avventura… le truffe, le ville enormi… una vita da nababbi! Tornava a casa solo per suo padre, la sera. Almeno si risparmiava di dover stare con quell’arpia di Jade per tutto il giorno. Angie era diversa: ci teneva tanto a lei, la sentiva come una sua nipotina anche se non lo era e Violetta ne percepiva l’affetto. Si divertiva un sacco ad andare alla reggia del vecchio Caldez dove la donna lavorava come cameriera, tentando di diventare l’unica amica di quel vecchio acido e scorbutico nella speranza che quel tipo le lasciasse qualcosa in eredità, non avendo alcun familiare o amico. E glielo ripeteva spesso, avrebbe lasciato tutto a lei e la donna era così felice da aver venduto la sua casetta vicina a quella dei La Fontaine… ma non era andata a buon fine. Il vecchio prima la inserì nel testamento e poi, in punto di morte, l’aveva fatta escludere, ed ora eccola lì, senza casa né lavoro, sperando nel prossimo colpo di fortuna. “- Prima o poi la caccerò io se tuo padre me lo consentirà!” ridacchiò la bionda, infilandosi i guanti di lattice per iniziare il lavoro interrotto dalla ragazza, mentre Violetta si andava a sedere alla sedia del piccolo tavolo in legno scuro posto proprio alle spalle del lavandino. “- Come farai adesso?” chiese la giovane, mentre la bionda smise di strofinare dei bicchieri e si voltò di colpo. Già, come avrebbe fatto ora per vivere? Voleva avere una vita normale, seppur non era lo stile che si aspettava… aveva conosciuto la ricchezza, le bellezza e gli sfarzi delle ville dei ricchi e sarebbe stato difficile lasciar andare quei sogni. “- Mi troverò un lavoro vero e proprio. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento di fare qualcosa di utile e onesto.” Sussurrò quasi la donna, per poi voltarsi e continuare a sciacquare delle stoviglie. “- Tu? Un lavoro normale e onesto? Ma figurati!” sghignazzò la giovane, facendola voltare solo per lanciarle un’occhiataccia di rimprovero. “- Angie, mi prometti che mi porterai con te, qualunque cosa accada?” chiese la piccola, avvicinandosi a lei che le sorrise teneramente. “- Dove vuoi che ti porti? Qui c’è tuo padre, la tua casa…” iniziò la donna, venendo però interrotta di colpo da Violetta: “- …E c’è mia zia! Ed è quello il problema fondamentale!” esclamò la ragazzina, incrociando le braccia al petto con rabbia. “- E va bene, te lo prometto. Spero di trovare un impiego in cui me lo consentiranno… almeno tutto il giorno non dovrai stare qui solo con l’oca giuliva e perfida!” esclamò, con una mezza risata, Angie. “- Ti voglio bene!” urlò la giovane, abbracciandola. “- Oh, anch’io, lo sai. Tanto, tanto, tanto!” sorrise la bionda, abbracciandola e riempiendola di schiuma bianca del sapone dei piatti. “- Ops… scusami!” urlò poi, togliendosi i guanti impiastricciati. “- Ah, vuoi la guerra? E guerra sia!” urlò la giovane, ridendo, prendendo una manciata di bolle di sapone e lanciandogliele. “- No, basta che poi tocca a noi pulire!” la rimproverò Angie, ridendo e scansando quel colpo con riflessi invidiabili. “- Ok, hai ragione… ma conserviamone un po’, così quando Jade torna dal parrucchiere…” si interruppe la ragazza, alzando un sopracciglio con aria furba. “- …Noi le rifacciamo lo shampoo!” concluse Angie, facendo scoppiare a ridere anche la giovane. “- Ottima idea!” esclamò Violetta, slacciandosi il grembiule da cucina e appoggiandolo sul bordo della sedia su cui si trovava prima. “- Sono sicura di una cosa…” disse la ragazza sottovoce, incuriosendo la bionda che, lasciando perdere la mansione le si andò a sedere accanto, seguendola sul divano del salottino, antistante alla cucina. “- Che Jade sarà furiosa se dovessimo mettere in atto il nostro piano malvagio e schiumoso?” chiese, ridendo, Angie, mentre la ragazza scosse il capo con decisione, guardando la donna negli occhi. “- Che se tu sarai qui la mia vita, almeno un po’ cambierà in meglio. Quando sono con te migliora sempre tutto!” esclamò, sorridendole con dolcezza. “- Sei un tesoro, lo sai? Prima o poi vivrai nel castello che meriti, lontana da quell’arpia di zia che ti ritrovi e con il tuo papà accanto. Vi meritate una vita perfetta, tutti e due.” Le disse la donna, stringendole la mano con fare rassicurante. Dopo quella vita di sacrifici e dolore lei e Matias si meritavano proprio una bella rivincita ed Angie era sicura che, prima o poi, il destino gliel’avrebbe concessa.
 
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Eccomi qui, con una nuova storia! Vi sono mancata? *Coro di no* ahahahah Pensavate di esservi liberata di me, eh? *Coro di sì* e invece no! u.u Emh, bene andiamo un po’ a commentare questa nuova follia… ops, volevo dire fan fiction. Dunque, Angie truffatrice, Violetta LA FONTAINE e Matias buono! Scioccante, lo so… abbiamo tante novità a parte l’essere odioso e petulante rappresentato da Jade che resta tale o forse ancor più cattivo. Leon è un po’… particolare! E vi ricordo che si parla di Leon GALINDO! *-* Povero padre, il figlio lo esaspera! XD Jackie giù le manacce da Pablito! Ecco un’altra che mantiene il suo essere… insopportabile! U.U  Bene, attendo commenti! Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 2
*** Lavori e colloqui. ***


“- Hai deciso cosa fare? Sei qui da una settimana ormai e…” “- LEI PUO’ RESTARE QUI TUTTO IL TEMPO CHE VUOLE!”. Quella mattina era iniziata con il piede sbagliato e la colazione era un vero e proprio campo di guerra, senza esclusione di colpi. Matias, seduto a capotavola, faceva passare il suo sguardo da Angie a Jade che continuava a punzecchiarla da quando la bionda era entrata in quella casa, e sua figlia tentava in tutti i modi di difenderla, come, tra l’altro, faceva anche lui.
“- Sorellina, smettila. Vilu, tesoro, mi passi la marmellata per favore?” tentò di cambiare discorso l’uomo ma la mora, ignorandolo completamente, continuava a guardare male l’ospite che abbassò lo sguardo sulla sua tazza stracolma di latte. “- Vado a prendere il giornale, lo hanno lasciato qui fuori.” Borbottò la Saramego,per poi alzarsi di colpo pur di stare lontana da quel tavolo, o, più precisamente, da quell’oca della La Fontaine. Uscì in giardino e raccolse il quotidiano, scrutando poi l’orizzonte: l’alba rendeva l’aria fraschetta e un pallido sole era sorto da poco nel cielo limpido sgombro di ogni nuvola, illuminando, con i suoi raggi, tutto intorno a sé. Angie respirò a pieni polmoni per scaricare quella rabbia che covava nei confronti di quella donna tanto odiosa e buttò fuori l’aria quasi con lo stesso nervosismo… doveva andar via di lì, e doveva portarsi anche la povera Violetta, succube di quella strega. Aprì distrattamente il giornale mentre rientrava in casa e si buttò sul divanetto a peso morto, prendendo a leggere senza prestare troppa attenzione le prime pagine, mentre la vocina acida di Jade continuava a rimbombare nella stanza accanto e, purtroppo, anche nella sua testa. Senza nemmeno soffermarsi troppo su quella marea di parole che le ballavano davanti agli occhi, terminò a fissare gli annunci di lavoro, come ogni mattina, come faceva da sempre ormai. Voleva ricrearsi una vita normale, basta truffe, basta sciocchezze… le sarebbe piaciuto solo trovare un impiego serio, in modo da cercarsi poi un appartamentino lontano da quella casa in cui si sentiva una persona incomoda e fastidiosa. “- Hai trovato niente, oggi?” La vocina melodiosa di Violetta la fece sobbalzare e voltare di colpo. “- Eh?” chiese, immersa ancora nei suoi pensieri. “- Il lavoro, intendo!” sorrise la ragazzina, indicandole la pagina ancora aperta sulle offerte di impieghi di ogni genere. “- Ah… non ho ancora controllato in realtà…” sussurrò la donna, sentendo le urla di Matias che inveiva contro la sorella provenienti dalla camera accanto, farsi sempre più feroci. “- Pensi che debba andare a dividerli prima che si prendano per i capelli?” rise Angie, indicandole la porta della stanza in cui i due discutevano fin troppo animatamente. “- No… lascia perdere. Papà quando si arrabbia con zia Jade ha solo bisogno di starsene da solo.” Esclamò, sbuffando, Violetta, sporgendosi verso il giornale. “- Litigano ancora per colpa mia, vero? Sapevo che dovevo andare da qualche altra parte ma giuro che sarà ancora per poco. Troverò qualcosa e lavorerò duramente per pagarmi una casa tutta mia.” Spiegò la donna, abbassando gli occhi sulle pagine bianche e nere del quotidiano. “- No! Che se ne andasse lei! Papà ci litiga ma alla fine non ha mai il coraggio di mandarla a quel Paese, purtroppo!” esclamò con stizza la giovane, mentre la donna si era focalizzata a leggere un annuncio in particolare, scritto in un riquadro diverso dagli altri, più grande e in evidenza, al centro rispetto agli altri.
 
“Cercasi istitutrice seria, affidabile, preparata nelle diverse discipline matematiche e letterarie per un allievo di scuola superiore, disponibile al trasferimento immediato. Colloqui il 25/9 dalle 11 alle 12. Presentarsi muniti di Curriculum presso Villa Galindo, in Calle Puente Nuevo, 45 .”
 
“- Sarebbe perfetto per te!” urlò, entusiasta, la ragazza osservando l’espressione perplessa della bionda che sembrava imbambolata da quell’offerta. “- Almeno mi trasferirei lì e lascerei questa casa per non darvi più fastidio…” borbottò lei, tra sé e sé mentre la giovane scosse il capo. “- Smettila! Sai che non dai assolutamente nessun fastidio! E comunque potresti provare… sei diplomata, hai studiato persino al conservatorio per poco tempo ma comunque lo hai frequentato. Sei affidabile, preparata e disponibile da subito! Che vuoi di più?” sorrise Violetta, facendole l’occhiolino. Già stava pensando di trasferirsi anche lei via da quella casa, magari seguendo sul lavoro la donna e lasciando quell’appartamento. Le dispiaceva per suo padre, gli voleva un mondo di bene, ma anche lui sarebbe stato felice di andare con Angie… si fidava ciecamente di lei e lo aveva ripetuto varie volte e poi sapeva che la figlia odiava la sorella e che più quelle due stavano lontane, meglio era. “- Io non so se ne sarei all’altezza però… sono i Galindo, ti rendi conto? Suppongo si tratti del figlio dell’architetto e imprenditore Pablo Galindo! Mica un incarico di poco conto!” iniziò a titubare la donna, scuotendo il capo con rassegnazione e portandosi una mano alla fronte. “- Tu prova! Oggi ti aiuto con il Curriculum, certo lo gonfieremo un pochino… ma andrà bene, vedrai. Ti accompagnerò io stessa al colloquio.” Sorrise la ragazzina, prendendole la mano dolcemente. “- E’ domani! Non sono pronta e forse non è il caso!” esclamò in panico la bionda ripegando giornale e appoggiandolo sul tavolinetto di fronte al sofà. “- Sì che lo è! Angie è la tua grande occasione e non puoi lasciartela sfuggire!” strillò la ragazza, abbracciandola forte. In quel momento la porta si spalancò e Matias, ancora accigliato, fece il suo ingresso nel piccolo salottino. “- Papà! Lo sai Angie ha trovato lavoro?” esclamò la ragazza, mentre la bionda scuoteva il capo con decisione in segno di disapprovazione. “- No! Non ho nemmeno fatto ancora il colloquio!” rise poi, nervosamente la Saramego, “- Ma è fantastico! Ti assumeranno di sicuro, qualunque cosa sia! Adesso vado che in cantiere hanno bisogno di me. Buona giornata, signorine!” salutò allegramente l’uomo, afferrando un borsone dal pavimento dell’ingresso e uscendo per recasi sul posto di lavoro. Era un muratore affidabile e serio e i suoi colleghi lo adoravano per il suo buon cuore e per la sua determinazione. “- Ciao papà!” salutò la giovane, andandogli incontro per abbracciarlo. “- Ciao, Mati!” disse, con calma, la bionda, mentre anche Jade li raggiunse nella camera. “- Vado alla Spa. Mi raccomando, riordinate questa casa perché è ridotta alquanto male… soprattutto camera mia!” esclamò la donna, ghignando e sbattendo la porta subito dopo che il fratello fu uscito dalla casa. “- Ignora quella strega, pazza di mia zia! Abbiamo un Curriculum da scrivere!” sorrise Violetta, andando a prendere un pc portatile dalla camera di suo padre. “- E quello?” chiese Angie al suo ritorno, indicando l’oggetto così sofisticato in mano alla ragazza. “- L’ho… preso in prestito a casa di Caldez!” spiegò candidamente lei, come se nulla fosse e sottolineando la parola “prestito” cambiando il tono della voce e inclinandolo in maniera alquanto evidente. “- L’hai fregato al vecchio? VIOLETTA!” urlò Angie, mentre il computer si stava già accendendo ed emise un lieve e melodioso suono. “- Senti chi parla a me di cosa è giusto o cosa non lo è!” rise la giovane, mentre la donna si zittì, portandosi il portatile sulle gambe ed aprendo una pagina bianca di Word per iniziare a buttare giù le basi per il suo Curriculum.
“- Allora, mettici un po’ di dati tipo: nome, cognome, indirizzo…” esclamò subito la giovane, indicando lo schermo. “- Quale indirizzo?” rise Angie confusa, fermandosi di colpo nella scrittura. “- Boh, metti quello della tua vecchia casa e non mettere quello di Caldez!” le spiegò la giovane, astutamente mentre la donna continuò a digitare velocemente sui tasti. “- Occupazioni precedenti…?” continuò la donna, prima di fermarsi ancora nella stesura di quel documento. “- Truffatrice!” iniziò a sghignazzare la La Fontaine, mentre la bionda scosse il capo e iniziò a scrivere e a leggere ad alta voce ciò che stava aggiungendo: “- Dunque.. emh… cameriera, quello è vero…” esclamò la Saramego, ma la ragazza cancellò quella parola rapidamente tenendo l’indice premuto su un tasto appena sopra quello di “invio”. “- No! Angie inventa! Che diamine, come ti viene in mente di inserire tutta la verità? Scrivi: ‘insegnante di musica e canto’, forza!” la donna prese a fissare scioccata la giovane con i suoi grandi occhi verdi, interrogativi. “- Violetta io non ho nemmeno finito il conservatorio!” disse, con perplessità la bionda prendendo poi a osservare nuovamente lo schermo del pc con il foglio ancora bianco per metà. “- SCRIVILO!” rise Violetta, strappandole poi il computer dalle mani e iniziando a battere forte e rapidamente sulla tastiera. “- Insegnante di musica  e canto, madrelingua italiana con ampie conoscenze della lingua francese e inglese…” “- No, questo no! Non parlo italiano, Vilu! E se Galindo mi facesse qualche domanda? E poi non ho ‘ampie conoscenze’ né di francese né, tanto meno, di inglese!” ribatté la donna, ma la ragazzina continuava a scrivere come se nulla fosse. “- Pregressa esperienza come istitutrice presso villa Salinas.” Aggiunse la giovane con un ghigno astuto. “- Che cosa? Ma non è vero! E poi chi sono questi Salinas?” chiese Angie, affacciandosi per leggere se davvero la castana avesse scritto una bugia del genere, costatando con i suoi occhi che aveva detto il vero. “- Che ne so io! Inventiamo!” esclamò la ragazza, scioccando ancor di più la Saramego. “- Che? No, dai! Stiamo esagerando, questo è troppo! Metti che esistano dei Salinas e che Galindo li conosca anche!” rise nervosamente la donna ma la ragazza la interruppe con un secco gesto, alquanto spazientito, della mano. “- Tu lo vuoi sul serio questo lavoro?” chiese d’un tratto, lasciando ancor più stupita la donna. “- Certo che sì!” disse con decisione Angie, alzandosi e cominciando ad andare avanti e indietro per la piccola stanza. “- E allora lascia fare a me! Fidati che ti assumeranno immediatamente! E io verrò con te a vivere in quella casa!” sognò, ad occhi aperti la giovane, esclamando quell’ultima parte di frase con aria speranzosa. Avrebbe fatto di tutto pur di fuggire da casa sua e poi adorava le avventure con la Saramego. “- Tu cosa? Non se ne parla! E poi stavolta non ci sarà niente di divertente, niente stupidaggini o truffe… lavorerò onestamente per i Galindo... a patto che mi assumano!” spiegò la donna, facendo scuotere il capo alla ragazza che la fissava con aria sicura di sé e dei suoi pensieri… “- Lo stampo e poi scegliamo l’abito per il colloquio. Zia Jade ce ne presterà uno dei suoi… di certo non ci puoi andare in jeans! Quella lì è gente altolocata, mia cara!” sorrise la giovane, estraendo il Curriculum dalla stampante e inserendolo in una busta di cellophan. “- Vieni con me…” la incitò la più piccola, trascinandosi a forza la Saramego per un braccio fino alla stanza della sorella di Matias.
Angie fu fatta sedere sul letto della donna mentre Violetta aprì l’enorme armadio e quasi scomparve alla vista lì dentro, tra tutti quegli abiti di ogni colore e modello. “- Questo?” chiese la giovane, mostrandole un cortissimo abito rosso fuoco. “- E’ imbarazzante, Vilu! Non lo metterei neanche morta!” strillò, per poi scoppiare a  ridere, la bionda, facendo sì che anche la piccola prendesse a fissarlo e che, guardandolo bene, storcesse il naso, disgustata. “- E quest’altro?” disse poi, dopo aver buttato a terra il vestito numero uno ed estraendone un secondo. “- Carino ma è così… ‘da signora’!” borbottò Angie, alzandosi e andando a prendere la gruccia che reggeva un elegante tubino blu scuro mentre la giovane afferrava delle scarpe dai tacchi vertiginosi dello stesso colore. “- Invece ti starà d’incanto e anche queste! Seria, professionale e di classe! Galindo ti assumerà di sicuro… e forse ti sposerebbe pure con quello addosso!” sorrise astutamente Violetta, stendendo l’abito sul letto e stirandolo con entrambe le mani. “- Tua zia si accorgerà che le manca qualcosa! Te lo dico io! Avrà uno schedario per gestire tutta questa roba!” esclamò la Saramego, immaginandosi già la reazione della La Fontaine nel notare l’assenza dei suoi pezzi rari dal guardaroba. “- Nascondili nella tua valigia, ne ha talmente tanti che non se ne accorgerà nemmeno e non mi risulta che abbia un catalogo con tutte le sue cose!” la esortò la ragazza, fissando la faccia sconcertata ma divertita della bionda. “- Sei incredibile! Ma da chi avrai preso?” domandò la donna, uscendo dalla camera della La Fontaine con le cose che aveva preso in prestito. “- L'allieva ha superato la maestra, mi sa!” rise Violetta, facendo scoppiare anche Angie in una fragorosa risata che riecheggiò fino alla cucina.
 
 
“- Era ora che ti decidessi a presentarti, La Fontaine! Muoviti che ci serve il tuo aiuto e il capo non c’è neanche oggi! C’è la figlia, e forse è anche peggio, se possibile!” la voce del suo amico Pedro fece affrettare il passo a Matias che, per poco, non inciampò su un ammasso di tubi e attrezzi. “- Non mi dire! Quella lì non la sopporto proprio!” borbottò il biondo, iniziando a darsi da fare sul serio, imbracciando un secchio e una cazzuola.  Ricordava molto bene quella donna: Marcela Parodi, si chiamava. Era andata rare volte, anni addietro quando era ancora una mocciosa, sul posto di lavoro di cui era a capo suo padre, ma lei era si era fatta ricordare per le sue frecciatine e i suoi consigli gelidi e severi, aiutando il genitore ad essere ancor più duro di quanto Sebastian Parodi non fosse già di suo. Non era cattiva ma pretendeva sempre la perfezione, in ogni minimo dettaglio. “- Come mai c’è lei?” chiese poi Matias, asciugandosi la fronte sudata con un rapido movimento del braccio. “- Sebastian non si è presentato di nuovo e ha mandato la figlia da noi! Se n’è lavato le mani! La barca affonda. lui fugge e lui ci getta dentro l’erede! Ottima trovata scappare dai problemi, no?” borbottò Juan, un altro lavoratore come loro due. “- Ancora non ha pagato? Spero che almeno abbia fatto venire la figlia con i soldi, altrimenti vado a dirle io due paroline!” sibilò il biondo, beccandosi una pacca sulla spalla da alcuni dei colleghi.  “- Fratello, se tu hai il coraggio di andare lì a scambiare quattro chiacchiere con quella lì, ben venga! Solo perché sono a capo di tutto non possono trattarci come degli schiavi e senza salario da due mesi! Dobbiamo fare qualcosa!” urlò Pedro, alzandosi in piedi e andandosi a sedere su un mucchio di travi di legno. “- Ci vuole uno sciopero! Non possono trattarci così!” esclamò Juan, brandendo una pala con aria stizzita. Diplomaticamente, Matias, si mise al centro del gruppo e tentò di placare gli animi. “- Se scioperiamo perderemo altri giorni e di conseguenza altri soldi e la possibilità, quando si calmeranno le acque, di restare a lavorare qui! Non possiamo!” sentenziò, fissando gli altri che lo avevano circondato, ascoltandolo con attenzione. “- E cosa dovremmo fare per farci sentire? Continuare a prestargli servizio gratuitamente?” strillò qualcuno, facendo annuire gli altri. “- No. Parliamo con la Parodi. Ci vado io… è nell’ufficio del padre?” chiese La Fontaine, mentre posò a terra il secchio con la calce. “- Sì… vai, amico! Fatti valere! Siamo tutti con te!” urlò Pedro, facendo cominciare un applauso che si levò come un eco nell’aria. Matias si sistemò un po’ i capelli imbiancati dalla polvere dei lavori e si avviò per raggiungere la donna che così poco sopportava. Si ritrovò in breve tempo fuori dal cantiere e si avvicinò ad una delle piccole casette in legno, costruite proprio per capeggiare i lavori più da vicino, bussò quasi timidamente, tirando un sospiro per la tensione che risuonò intorno a lui. “- Avanti.” Una voce glaciale lo fece rabbrividire ma girò la maniglia ed entrò. Si ritrovò di fronte una elegante stanzetta che contrastava con l’esterno: una scrivania ben levigata e ordinata, troneggiava al centro della sala e una donna dai capelli corvini ne era seduta alle spalle, tenendosi la testa con una mano e scrivendo velocemente su dei fogli di fronte a sé. “- Signorina Parodi… devo parlare.” Esordì seccamente Matias, facendole alzare finalmente gli occhi: sembrava preoccupata ma quando il suo sguardo incrociò quello del biondo ritornò ad ostentare un aspetto freddo e composto. “- Cosa vuoi?” esclamò, seccata Marcela. “- Gli operai vogliono entrare in sciopero. Ho tentato di fermarli venendo a parlare con lei ma deve dimostrarmi che sarà disposta a darci retta.” La voce di La Fontaine era calma e decisa e la donna colse subito la sua sicurezza. “- E cosa potrei fare? Sentiamo…” lo studiò la mora, sporgendosi verso l’uomo, con le braccia incrociate sulla scrivania, facendo sì che lui le si accomodasse di fronte. “- Gli stipendi. Signorina Parodi, molti di noi hanno famiglia, dobbiamo pur ricevere un compenso pari al nostro lavoro!” esclamò l’uomo, stregato dagli occhi di ghiaccio di lei che lo scrutavano e gli fecero inclinare la voce in un tremolio.
“- Mio padre è stato chiaro su questo punto. Vedrete il denaro quando tornerà lui, suppongo tra qualche mese. Mi dispiace.” Qualche mese? Supponeva? Matias aveva afferrato solo quelle parole! Come lo avrebbe spiegato agli altri? E come avrebbero fatto tutti loro? “- Non possiamo continuare a lavorare gratis! Se ne rende conto?” chiese La Fontaine, scompigliandosi il ciuffo biondo con un gesto stizzito della mano. “- Mio padre mi ha affidato tutto proprio adesso, sono con l’acqua alla gola, mi ha lasciato in una situazione difficile. Lui ha lasciato proprio ora che la "Parodi&Co" è in crisi. Stiamo fallendo, La Fontaine. E non so se ci sarà qualche segnale di ripresa… dovrò licenziare una ventina di operai, purtroppo.” la voce di Marcela, finalmente, sembrò meno cruda e abbassò di nuovo gli occhi su i suoi progetti. “- No! Non è possibile. Ci dev’essere qualcos’altro che si potrebbe fare!” iniziò Matias, ma la donna scosse il capo con forza, agitando la sua chioma scura come la pece. “- No… o meglio sì, qualcosa ci sarebbe… ma dovranno passare sul mio cadavere prima di farmi accettare. Io con Casal non entrerò mai in affari.” Sentenziò, con sguardo fiero la donna, facendo sgranare gli occhi azzurri all’uomo che conosceva fin troppo bene quel nome. Per un anno aveva lavorato per lui e, se possibile, era molto peggio di Sebastian Parodi, il suo datore attuale. “- Casal? Quel Casal? L’infame?” chiese, sorpreso di sentire nominare Gregorio, un buffone senza scrupoli e alquanto detestabile. “- Esatto. Preferirei chiudere l’impresa piuttosto che lasciarmi convincere a collaborare con quel tizio… Mi dispiace… abbiamo fatto tanto per non avere soci e non vogliamo perdere tutto proprio ora, per poi entrare in affari con Gregorio.” Sentenziò Marcela, sfogliando un fascicolo di fronte a sé con aria distratta. Aveva la testa altrove e Matias lo colse subito, imbambolandosi a fissarla, prima di riprendere a parlare con calma. “- Ma noi…” tentò di iniziare. “- Niente ma, La Fontaine. Lo stipendio ve lo darò il prima possibile, o almeno ci proverò a costo di rimetterci di tasca mia… tu intanto fammi il piacere di placare gli animi al cantiere! D’accordo?!” domandò, facendo annuire senza entusiasmo il biondo.
“- Bene, ma se vorranno scioperare non venga a prendersela con me. Sono furiosi e se non hanno sospeso i lavori oggi stesso si puo’ davvero ritenere fortunata.” Borbottò Matias, alzandosi e provocando un forte cigolio proveniente dalla sedia. “- Facciano come meglio credano! Avrò meno problemi nel tagliare il personale!” strillò la Parodi, scattando anche lei in piedi e mettendosi di fronte all’uomo che scosse il capo in segno di disapprovazione. “- Bene! se la mette così! Tanto ormai il capo è lei, no?!” urlò Matias, furioso, andando verso l’uscita. “Benissimo!” borbottò la mora, portandosi una ciocca dietro l’orecchio e osservando La Fontaine ritornare al lavoro sbattendo con foga e stizza la porta. Quell’uomo la innervosiva parecchio! Con quel suo modo di fare calmo e pacifico, sempre ad interpretare il ruolo di portavoce dei colleghi… che poi non era neppure così tranquillo come voleva apparire e lei lo aveva colto! Ma non capiva che problemi, tanti problemi, ne aveva anche lei? Non si rendeva conto di quello che gli aveva detto, della situazione in cui la “Parodi&Co” versava? Prese un profondo respiro e tornò alla scrivania, doveva trovare una soluzione per quegli intoppi economici e doveva farlo in fretta. Uno squillo di telefono la fece sobbalzare. “- Emilia! Tesoro!” la vocina squillante di sua figlia la fece sorridere istintivamente. “- Non ti preoccupare, la mamma torna presto, così oggi pranziamo insieme, d’accordo?” esclamò, dopo un momento di pausa in cui aveva ascoltato la sua piccola. Era divorziata, aveva un matrimonio andato male alle spalle e la sua unica gioia era la sua bambina, sempre allegra e tanto intelligente. In quel periodo viveva con il padre, il suo ex marito Carlos, dati i suoi numerosi impegni di lavoro dovuti all’abbandono da parte di Sebastian della ditta. “- Anch’io ti voglio bene, piccolina. A dopo! Passo a prenderti io da papà.” Esclamò la donna allegramente, richiudendo la chiamata. Almeno era riuscita a distrarsi per un secondo dai suoi mille problemi, tutto grazie alla sua bambina.
 
 
“- Roberto, allora? quante candidate si sono presentate?” la voce di Pablo Galindo risuonò nel salotto enorme della sua immensa villa. Il suo fido collaboratore sospirò e gli fece cenno di sedersi sul divano accanto a lui, comando che l’uomo prontamente eseguì. “- Lo vuoi davvero sapere?” domandò Lisandro, sistemandosi gli occhialetti sul naso. “- Certo, Roberto! E smettila con questi giochetti! Dimmelo e finiamola qui!” disse, stizzito, l’architetto, portandosi una mano alla fronte con aria seria e stanca. “- Nessuna, Pablo. Nessuna. Neanche una!” Borbottò Roberto, osservandolo con la sua solita calma. “- CHE COSA? MA COME E’ POSSIBILE?” chiese Galindo, scattando in piedi e cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro per la camera, in preda ad una crisi di nervi. “- Lo sapevo! Ti ricordi, amore? Ti avevo detto che si sarebbero passate parola tra loro! Leon è un po’… particolare, ecco. E ormai nessuna mai verrà a dargli lezioni! E non oso pensare cosa accadrebbe se lo mandassi in una qualunque scuola!” ridacchiò Jackie, scendendo le scale e giungendo anche lei nella sala al piano di sotto. Aveva un abito corto ed elegantissimo di un rosso fuoco quasi accecante, una collana di diamanti e uno chignon a raccoglierle i lunghi capelli biondi che le dava un’ aria ancor più severa. “- E’ impossibile, Jackie! Qualcuna verrà al colloquio! Roberto sei sicuro che l’annuncio sia stato pubblicato?” esclamò Pablo serissimo, mentre l’occhialuto gli allungò il quotidiano del giorno prima. “- Lo hai già visto il giornale di ieri! Almeno una decina di volte! E’ proprio in bella vista, nella pagina delle offerte di lavoro!” disse il suo fido assistente, indicando il foglio in bianco e nero. “- Dov’è Leon? E cos’è questo frastuono?” chiese d’un tratto Galindo, guardandosi intorno sperando di vedere da un momento all’altro il volto del figlio giungere in soggiorno. Un rumore assordante proveniva dal piano superiore, proprio in direzione della camera del giovane.  “- E’ nella sua stanza, suppongo. Sta di nuovo facendo baccano con la sua bella chitarra elettrica fiammante!” si lamentò la Saenz, scuotendo il capo in segno di disapprovazione. “- Non so più cosa fare!” sibilò quasi l’uomo, prendendosi la testa tra le mani e scuotendola con rassegnazione. In quell’istante il campanello suonò e fu ascoltato per puro caso, data la musica assordante provocata dal ragazzo. “- Salve! Sono Ingrid Herdez, un’aspirante istitutrice!” una donna bionda e anzianotta, dagli occhi scuri e buffi occhiali giganteschi fece il suo ingresso nella camera, mentre Roberto con cordialità, la faceva accomodare su una poltrona proprio di fronte al grande sofà. Il colloquio durò una mezz’ora e la donna mostrò le sue tante referenze… tutto stava andando alla perfezione fino a quando la signora sentì che quel fracasso musicale era terminato e tirò un sospiro di sollievo. “- Lei quindi sarebbe disposta a iniziare già da domani?” sorrise Galindo mentre, suo malgrado, lei non notò un ombra scendere dalle scale. “- Certo ma vorrei conoscere almeno il ragazzo!” richiese la donna, fissando quel bel giovanotto giungere nella camera e non notando come lui la squadrasse con aria disgustata e buffa. “- Ah, tu devi essere il caro Leon!” era evidente, da quella parola che precedeva il nome del ragazzo, che la Herdez non sapesse nulla delle precedenti esperienze con le vecchie istitutrici. Tutti i presenti presero a fissarsi tra di loro, sperando in una buona reazione da parte dell'erede di Galindo. “- Per servirla! E lei chi è? La nonna di Jackie?”. A quella domanda, la donna impallidì, la Saenz si portò una mano alla fronte scioccata e con l’altra prese a sventolarsi scioccata per cotanta sfacciataggine, il padre del ragazzo diventò paonazzo per l’imbarazzo e Roberto sogghignava divertito. “- Leon! Smettila e siediti! Lei è Ingrid Herdez, la tua nuova istitutrice!” strillò il moro con tono autoritario, facendogli sollevare un sopracciglio, con aria imperturbabile nonostante la partaccia ricevuta. “- Ah, io pensavo voleste presentarmi la mia futura bisnonna. Una trisavola che spiega storia potrebbe essere utile! Lei c’era all’epoca della Rivoluzione Francese, vero? L’ha vissuta in prima persona, suppongo!” ghignò, scrutando Ingrid con i suoi profondi occhi verdi e facendo sgranare quelli piccoli e scuri della donna. “- Mi perdoni?!” domandò, sperando di essersi sbagliata e di aver udito male. Che screanzato era mai quel giovane? Neppure per un milione di Pesos al mese avrebbe accettato quel lavoro. “- Mi scusi… non volevo offenderla! Ma io dico sempre ciò che penso e credevo che la mia affermazione fosse stata corretta!” l’aria indisponente di Leon fece inorridire Ingrid che si alzò di colpo afferrando la sua borsa dal tavolinetto di cristallo di fronte a sé. “- E’ inaudito! Inaudito! Io non resterò un minuto di più in questa casa! Suo figlio, signor Galindo, è uno screanzato, un troglodita, uno sfrontato e non perderò il mio tempo con lui!” esclamò la donna, mentre Pablo si alzò di colpo per seguirla. “- No! Le spiego, il ragazzo è un po’ confuso… sa, il cambiamento di insegnante per lui non è facile!” Tentò di giustificarlo il padre, mentre dal divano il ragazzo continuava a ghignare divertito. “- Confuso? E’ un maleducato, ecco che cos’è! Mi meraviglio di lei, così a modo...!” si lamentò la bionda, sistemandosi gli occhiali portandosi due mani alle tempie, arrivando ormai sulla porta. “- No, non se ne vada, signora Herdez!” esclamò Pablo, affacciandosi sull’uscio che dava sull’enorme giardino della villa ma fu tutto inutile: la donna era già scomparsa nel nulla, fuggita a gambe levate da quell’enorme casa.
“- La smetti, Leon? La smetti di comportarti come uno screanzato? Fila in camera tua! Stasera vai a letto senza cena!” tuonò Pablo, indicandogli le scale mentre il ragazzo si alzava contro voglia dall’enorme sofà bianco e beige e si avviava verso i gradini, eseguendo, stizzito, l’ordine ricevuto dal padre. In quel momento suonò di nuovo il campanello. Galindo senior, che si trovava già di fronte alla porta, la aprì distrattamente e una signorina bionda e alta e dai grandi occhi verdi, seguita da una ragazzina minuta dai capelli castani, fecero il loro ingresso. “- Salve, sono qui per il lavoro di istitutrice.” La voce melodiosa della donna riecheggiò nella stanza mentre la piccola continuava a guardarsi intorno come incantata dallo splendore di quella reggia. “- Ah, prego! Da questa parte…” fece subito strada il padrone di casa, scrutando un po’ la donna che gli ricordava davvero tanto qualcuno... per poi fissare il figlio che era a metà scalinata e aveva preso a guardare in modo interessato e tuttavia, preoccupante, le due ospiti. Pablo rabbrividì, sperando che il giovane non gli facesse fare qualche altra brutta figura e fece accomodare le due sulla poltrona, osservando con curiosità anche la ragazzina che era imbambolata ad osservare la bionda futura signora Galindo o meglio, quello che indossava.

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 Eccoci al secondo capitolo con la comparsa di Marcela e la preparazione al colloquio per Angie! Violetta ha scioccato tutti sul finale, all'inizio sarà davvero OOC... preparatevi! Cosa sarà passato per la testa alla ragazza? E come andrà il provino per la Saramego? Vedremo! Adoro Leon così cattivello! xD Adorabile! E già fissa le due con curiosità… e la vita di Matias è alquanto complessa, povero! :( Vi ringrazio per le stupende recensioni che mi avete lasciato al primo capitolo! Siete mitici, grazie di cuore! Sperando che la storia vi piaccia, vi saluto... alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 3
*** Scottanti conoscenze. ***


Leon scese le scale con passo fiero e la classe che lo contraddistingueva, fissando Angie e Violetta che lo osservavano mentre andava a sedersi accanto a Galindo e a Jackie che guardava, a sua volta, entrambe con superiorità. “- Papà! Ma che bello il regalo di compleanno di quest’anno! Grazie di cuore! Addirittura doppio, poi!” a quella frase del ragazzo Pablo avvampò, la Saenz ghignò e abbassò lo sguardo sconvolta e le due ospiti si fissarono con aria interrogativa… ma di cosa stava parlando?  L’aspirante istitutrice e Violetta si voltarono istintivamente, pensando che alle loro spalle ci fosse un possibile pacchetto, precedentemente non notato da loro contenente una qualche sorpresa e, solo dopo l’occhiata maliziosa che il ragazzo lanciò loro ancora una volta, il messaggio fu più chiaro e venne recepito, lasciandole a bocca aperta.
“- Perdonatelo, vi prego! Non andate via!” supplicò quasi il padrone di casa, tirando una gomitata al figlio che continuò a ridere, puntando i suoi profondi occhi verdi sulla Saramego e la La Fontaine, facendoli passare dall’una all’altra con aria da seduttore. “- Si figuri! Nessun problema! Basterà far capire al ragazzo come stanno le cose e chi comanda…” esclamò Angie con voce ferma ma lasciando intuire una nota di imbarazzo dovuta alla situazione. “- Bene, io la trovo un’ottima idea!” si scusò ancora Pablo, serissimo e teso, ancora violaceo fino alla punta delle orecchie per la figuraccia fatta a causa del figlio. “- Vogliamo vedere le referenze, per favore? O dobbiamo perdere altro tempo?” strepitò per poi sbadigliare sonoramente con l’intenzione di mostrare la propria noia, Jackie. L’altra bionda tirò fuori dalla borsa un Curriculum alquanto sgualcito e lo consegnò a Galindo che le sorrise gentilmente, ringraziando con un cenno del capo. “- Ah, lei conosce varie lingue, ottimo!” sentenziò l’uomo, prendendo a leggere e sfogliando nervosamente le pagine. “- Così sembra!” ridacchiò nervosamente Angie, lanciando un’occhiataccia alla ragazzina che le fece l’occhiolino per rassicurarla. “- Ottimo… fa sempre piacere avere un’insegnante esperta nelle lingue…” il tono allusivo di Leon era abbastanza furbo e la donna se ne accorse subito, anche perché il giovane Galindo non le staccava gli occhi di dosso e di tanto in tanto si perdeva anche a guardare con fierezza la ragazzina che tentava con tutte le sue forze di ignorarlo. “- Leon, dacci un taglio!” lo rimproverò la Saenz, dandogli uno scappellotto e inzialmente, facemdolo divertire ancor di più eppure, solo dopo qualche secondo, il ragazzo le lanciò un’occhiataccia stizzita, realizzando il gesto compiuto dalla futura matrigna e innervosendosene.
“- Non ti preoccupare, Jackie, farò il bravo. O almeno ci proverò per quanto mi sarà difficile!” l’ultima parte della frase la borbottò tra i denti, mentre Violetta tentava in tutti modi di fuggire a quegli sguardi indagatori da playboy, fissando ovunque ma non di fronte a sé, dove era seduto il ragazzo. Bello era bello, su quello non ci pioveva… quello sguardo magnetico l’attirava come una calamita e quel sorrisetto perfetto le faceva letteralmente girare la testa… ma era altezzoso e sicuro di sé e poi sembrava fin troppo intraprendente per i suoi gusti. “- Quindi parla italiano, inglese e francese… Très bien!” iniziò Galindo, prima di farsi un intero discorso in lingua che lasciò la donna alquanto preoccupata, facendola sorridere di tanto in tanto, come imbambolata, non avendo capito quasi nulla ad esclusione di qualche rara parolina… tra l’altro quell’uomo aveva una pronuncia incredibile e parlava velocemente, rendendole ancor più difficile la comprensione.
“- Oui… oui…” balbettò lei, fingendosi certa di aver capito tutto alla perfezione e continuando ad annuire. Dalla faccia di Pablo serena, Angie poté tirare un sospiro di sollievo… chissà cosa diamine le avesse chiesto! Subito capì che non lo avrebbe mai saputo. “- Insegnante di musica e canto! Ma che bello! La musica è una parte fondamentale della formazione di un giovane.” commentò ancora Pablo, facendola  sorridere imbarazzatissima... Tutta colpa della ragazza ch aveva gonfiato un po’ troppo quel curriculum ed ora lei ne stava pagando le conseguenze! Già aveva detto chissà quale cavolata in Francese e ci mancava solo che l’uomo le chiedesse di mettersi a suonare il grande pianoforte a coda, posizionato sotto alla finestra dell’enorme stanza. “- Sentiamo un pezzo al piano?” esclamò Jackie, sperando di metterla in difficoltà. Ecco fatto! Se l’intenzione della padrona di casa era spaventarla ci era riuscita alla grande! La sua avventura in quella casa finiva lì, se lo sentiva. “- C-certo…” balbettò l’altra, alzandosi come se stesse per andare alla ghigliottina e sedendosi allo strumento con aria preoccupata come forse mai in vita sua. Sperò con tutte le sue forze di ricordarsi qualcosa di teoria musicale… per fortuna ebbe un lampo di genio e suonò giusto quattro note che lasciarono un po’ perplessi gli altri… doveva essergli sembrato un brano alquanto elementare… per un’insegnante di musica! “- Bene, credo… ma io non sono un musicista! Magari lei è un talento come Mozart e sono io a non sono capace di comprenderlo e riconoscerlo!” esclamò Galindo, mentre Leon continuava a osservarla come se le stesse facendo una radiografia. Angie avvampò ancora e tornò a sedersi quasi tremante per il nervosismo, tentando di non inciampare con quei trampoli di Jade che indossava e ai quali era poco abituata. “- Per me è perfetta. Puo’ iniziare domani?” chiese gentilmente il moro, rivolgendole un altro sorriso gentile. “- Anche per me lo è…” la voce di Leon era come al solito inclinata in un tono da seduttore e Angie ruotò gli occhi al cielo, per poi dissimulare il suo nervosismo in un bel sorriso. “- Forse è una decisione un po’ affrettata, non credi amore?” esclamò Jackie, aggrappandosi al braccio dell’uomo che scosse il capo con decisione. “- No, la signorina va benissimo. Lei è disponibile a trasferirsi qui? Suppongo l'abbia letto sull’annuncio, vero? Magari sempre domani, così si organizza per bene…” chiese l’uomo, analizzando l’espressione tesa della Saramego. “- Sì, certo! Domani è perfetto.”  rispose subito lei, notando poi che l’attenzione dei suoi interlocutori si fosse tutta focalizzata su Violetta che osservava di nuovo l’abbigliamento costosissimo di Jackie come incantata. “- La signorina invece è… il sua portafortuna personale?” chiese Leon, ammiccando alla giovane che avvampò ancora e abbassò di nuovo lo sguardo sull’elegante tappeto sotto ai suoi piedi. Angie stava per rispondere qualcosa di veritiero, ovvero che la giovane l’avesse solo accompagnata e che sarebbe tornata a casa sua ma fu interrotta dalla stessa Violetta, rimasta in silenzio per tutto quel tempo: “- Io sono sua figlia!” la vocina melodiosa della La Fontaine riecheggiò nel silenzio della stanza. Persino Roberto che era seduto in disparte prese a fissare le due sconcertato… non si somigliavano affatto! Non sembravano per niente madre e figlia e la cosa gli sembrò subito alquanto strana… poi però penso che forse la giovane fosse simile al padre e lasciò perdere le sue teorie, sempre fin troppo sospettose. Angie fissò Violetta con terrore e confusione, forse fin troppo visibili sul suo viso... A che gioco stava giocando adesso la ragazzina? Cominciò a osservarla con aria di rimprovero ma senza darlo troppo a vedere… già sapeva che in seguito, avrebbe dovuto farle un bel discorsetto in privato. La castana, dal canto suo, si sentiva soddisfatta eppure, allo stesso tempo, le faceva strano considerare la Saramego in quel modo… certo, per lei era sempre stata una mamma vera e propria, eppure sapeva che non era così… il suo flusso di pensieri fu presto interrotto dal padrone di casa: “- Ah, quindi resterà qui con lei, bene.” esclamò Galindo, sorridendo ora alla ragazzina che ricambiò gentilmente. “- No! Cioè no, perché non vogliamo dare problemi!” la voce di Angie era nervosa, tremante e osservò la faccia furba della giovane ghignarle allegramente… il suo sguardo diceva solo una cosa: da quell’arpia di sua zia non ci sarebbe mai e poi mai ritornata! E poi sapeva che suo padre, finché era con Angie, l’avrebbe mandata anche in capo al mondo. “- Ma quali problemi! Stia tranquilla! Roberto, dì ad Olga di preparare una stanza per la signorina e la figlia. Benvenute a casa Galindo!” esclamò con tono rassicurante Pablo, stringendo la mano, prima alla donna e poi anche alla più giovane. “- Quindi io sono assunta?” chiese la Saramego, euforica, dimenticando per un secondo il problema in cui l’aveva cacciata la giovane. “- Pare di sì.” borbottò la Saenz, guardandola sott’occhio e stringendosi a Galindo che continuava a fissare le nuove arrivate, soddisfatto della sua scelta. “- Domani mattina alle 10 iniziate con le prime lezioni e porti i suoi effetti personali e quelli di sua figlia, in modo che vi trasferiate da subito qui!” disse Pablo alzandosi e recandosi con la novella istitutrice e Jackie nella sala accanto, mentre Leon si avvicinava a Violetta con ampie falcate, facendola indietreggiare e ritrovare, dopo tre o quattro passi, schiacciata tra lui e la poltrona. Nel salotto erano rimasti solo loro due, tutti si erano spostati a parlare altrove dei vari dettagli dell’assunzione e la stanza era preoccupantemente vuota.
“- Non potevo sperare di meglio, in casa mia, a tutte le ore del giorno e… della notte.” Ghignò il ragazzo, con aria maliziosa. “- Io… io non…” ma lui le poggiò l’indice sulle labbra lasciandola di sasso. “- Ci conosceremo, vedrai… anche tua madre è… interessante, forse anche più di te. Sarà bello vivere sotto lo stesso tetto.” Sibilò Leon, scostandole una ciocca dietro l’orecchio e facendo sì che lei si imbambolasse ancor di più a fissarlo. “- Tu… cosa…?” Violetta era sbiancata. Ma cosa aveva quel ragazzo di tanto particolare? Sembrava parlare una lingua che lei non comprendeva o meglio sperava di non capire! Davvero alludeva a lei e Angie in quella maniera? “- Bambolina, ti avverto: prima che tu te ne accorga sarai mia, vedrai. Cadrai ai miei piedi come tutte le donne che hanno incrociato i miei occhi almeno una volta nella loro vita!” ridacchiò Leon, mentre lei gli diede un forte spintone per allontanarlo, facendolo finire a sedere di nuovo sul grande divano di fronte a sé. Il ragazzo ghignò ancora, con il suo sorriso perfetto e i suoi profondi occhi verdi che si ridussero a due fessure. “- Cos’hai da guardare?” chiese la giovane, preoccupata da quel tipo. “- Indovina un po’?” chiese lui, sorridendole ancora e facendola avvampare per l’imbarazzo… quello sguardo insistente la portò a rabbrividire istantaneamente. Fece per andarsene ma la voce di Galindo la bloccò: “- A domani, mocciosa!” esclamò Leon, soddisfattissimo del suo operato fin a quel momento… lei non disse nulla e corse verso il corridoio in cui Angie, che continuava a parlare animatamente con Pablo e Jackie che la studiava con aria stizzita, stava uscendo

“- Andiamo?” chiese la ragazza aggrappandosi al braccio della donna che sgranò gli occhi, fissandola sorpresa di quella reazione. Fino ad un secondo prima, al colloquio, le era parsa così decisa ed adesso sembrava quasi spaventata da chissà cosa! Le portò una mano alla fronte, notando quanto fosse rossa e accaldata… che le fosse salita una febbre improvvisa? “- Dov’è Leon?” intuì prontamente Pablo, ricordandosi che probabilmente la giovane era rimasta da sola con il figlio e che, per quello, fosse così sconvolta. “- Eccomi, papino!” ghignò Galindo junior, appoggiandosi alla spalla del moro. “- Che hai detto alla signorina? La vedo alquanto scioccata… ed era da sola, in soggiorno con te.” Sentenziò l’uomo, fissando negli occhi il figlio che alzò le spalle con noncuranza. “- Ci stavamo solo conoscendo un po’ dato che ora verranno a vivere qui. Volevo solo fare amicizia…” Leon fece l’occhiolino alla giovane di fronte a sé, ancora appoggiata alla sua “fasulla madre” facendola sentire ancor più tesa per l’insistenza di quel ragazzo… ma lei aveva già in mente qualcosa, un piano per cui si era fatta passare per la figlia di Angie e non avrebbe mollato, nonostante l’intraprendenza dell'erede di Galindo. “- Potete andare, a domani.” Salutò poi Pablo, stringendo nuovamente la mano alla bionda Saramego e alla presunta figlia. “- Saremo puntualissime, arrivederci.” Esclamò allegramente lei, allungando il braccio anche alla Saenz che accennò solo un cenno del capo per fingersi cordiale. La porta si richiuse e Jackie se ne andò di sopra per prepararsi ad uscire. Nel salotto ritornarono solo padre e figlio: il primo si andò a sedere sul divano mentre il giovane stava già imboccando la strada che portava alle scale per tornare in camera sua. “- Non così in fretta, Leon. Vieni un secondo qui…” la voce di Galindo era seria e il giovane, sbuffando sonoramente, si incamminò controvoglia verso di lui. “- Ora puoi dirmelo, avanti! Cosa hai detto alla figlia della tua nuova istitutrice? “ chiese l’uomo, sporgendosi verso il ragazzo che si sedette scompostamente proprio di fronte a lui, su una candida poltrona. “- Papà! Ma cosa vuoi che le abbia detto?!” rise lui in modo sguaiato, afferrando una rivista dal tavolinetto di cristallo e prendendo a leggerla distrattamente. A quel punto Pablo non ne potette più, si alzò di colpo e gli strappò il giornale dalle mani, lasciandolo scioccato. “- Io comunque lo stavo leggendo quello!” esclamò ironicamente il castano, passandosi poi una mano nel ciuffo dorato. “- E io ti sto parlando! Leon ti rendi conto di quello che hai detto durante il colloquio che stavo tenendo con la Saramego? Pensi di essere divertente?” chiese, accigliandosi, Galindo. “- Non lo penso, lo sono.” Ghignò ancora lui, interrompendo l’uomo che buttò la rivista sul tavolo con stizza. “- Adesso mi sono stancato… basta, Leon! BASTA! Sono tuo padre e devi rispettarmi! Tu prova a far fuggire anche Angie e giuro che io ti sbatto in un collegio e ti ci lascio fino a quando non avrai imparato ad essere una persona civile! E se neppure quello dovesse funzionare opterò per l’accademia militare, e vedremo se li ti metteranno in riga… Intesi?” chiese nervosamente il moro, fissando con ira il giovane erede del suo patrimonio, alzarsi controvoglia, come se nulla fosse. “- Pensi davvero che io voglia far fuggire Angie e la sua ‘bambina’? Papà mi sottovaluti! Perché vorrei farle scappare? Sarà magnifico averle in casa nostra, mi stanno già così simpatiche.” sorrise Leon, poggiandogli una mano sulla spalla per rassicurarlo. Pablo assottigliò gli occhi per fissare quelli del ragazzo che sapeva non essere pienamente sincero ma si volle basare su quella frase per dargli fiducia. “- Figliolo… mi raccomando.” Sperò di farlo rinsavire Galindo, mentre il ragazzo prese a salire i gradini, lasciandolo in fondo alle scale. “- Fidati.” Disse lui, voltandosi con un ghigno già alquanto esplicativo, aggiustandosi il colletto della giacca e continuando a camminare. Pablo prese un profondo respiro e si andò di nuovo a sedere… possibile che suo figlio fosse così maleducato e particolare? Dove aveva sbagliato? Forse se Clara fosse stata lì sarebbe stato tutto diverso, tutto migliore. Sarebbero stati una famiglia felice invece tutto era andato in fumo dopo quel maledetto incidente che gliel’aveva portata via. Vide arrivare Olga con un vassoio tra le mani e le sorrise amaramente, immerso in pensieri che gli riportavano alla mente troppi ricordi malinconici di momenti drammatici che volentieri non avrebbe voluto dovuto subire. Un thè in quel momento gli ci voleva proprio e la cuoca della casa sembrava leggergli il pensiero… anzi, forse in quel momento sarebbe stata meglio una camomilla.
 
 
“- Posso sapere cosa ti è saltato in mente quando hai detto quella frase? Ho una figlia, adesso! Ah, guarda non ci posso credere! Violetta adesso come faccio? Ti rendi conto di quella enorme bugia che hai detto ai Galindo? ed io che ti ho dovuto anche assecondare!” Angie camminava a passo svelto verso casa La Fontaine, mentre la giovane la seguiva piano, aveva la mente sommersa dai pensieri per potersi mettere ad ascoltare la partaccia che si aspettava già di dover ricevere dalla Saramego. Quel Leon l’aveva turbata e non sapeva spiegarsi se in positivo o in negativo! Era proprio un principe: bello, ricco… il punto era che del carattere del principe azzurro non aveva un bel niente! Non se lo immaginava per niente a recitarle una poesia, a regalare rose rosse oppure ad andarla a prendere con un cavallo bianco. No. Al massimo le lanciava frecciatine maliziose, le regalava un bacio appassionato e la passava a prendere con un’ auto di lusso o con qualche motocicletta rumorosa e super veloce. “-  VIOLETTA!” Angie per poco non le stonò un timpano, voltandosi verso di lei e portandosi le mani sui fianchi con aria indispettita, battendo un piede nervosamente a terra. “- Che c’è?” chiese candidamente la giovane, dando dimostrazione di averla ignorata fino a quel momento. “- Hai il coraggio di chiedermi cosa succede? Sei incredibile, lo sai?” la donna riprese a camminare e tagliò per il parco, sedendosi sulla prima panchina che incontrò lungo il viale alberato.
“- Hai visto che vita fanno quelli lì? Ti rendi conto di cosa indossava la padrona di casa? Quei gioielli, quella casa… Angie io voglio vivere così! Sono stanca di essere la Cenerentola di turno, sempre a sopportare quell’arpia di zia Jade! Voglio trasferirmi lì con te, sposare Leon e vivere come loro!” a quelle parole la donna rimase a fissarla in silenzio per qualche secondo che sembrò eterno alla più piccola, gli occhi verdi sgranati ed espressione confusa. “- Tu sei fuori di testa! Ora ho la certezza che sei la nipote di quella svalvolata della sorella di Mati! Sei pazza come lei!” ribatté Angie, tirando un forte sospiro e portandosi le mani al viso, disperata. “- Se fingo di essere tua figlia potrò trasferirmi in quella reggia e cominciare a conquistare il figlio di Galindo. Sarà una truffa in grande stile... vero, esperta?” sorrise Violetta, dando una gomitata alla bionda che scosse con foga il capo, facendo ondeggiare i boccoli biondi. “- Non chiamarmi così! Io non voglio che tu ti inventi questi piani assurdi! Se verrai a stare in quella villa è perché ormai sanno che sei mia figlia e non potrei fare altrimenti che portarti con me! Ma niente truffe, niente imbrogli, niente di niente. Io lavorerò onestamente e mi guadagnerò da vivere come si deve.” Spiegò la donna, mentre una lieve brezza si era alzata e scompigliava i capelli alle due. “- Non ti prometto nulla!” ribatté lei, decisissima a portare a termine il suo piano… era convinta che Leon fosse solo duro in apparenza, che si divertisse a provocare lei e Angie, ma che, alla fine, fosse solo una maschera che indossava per apparire spavaldo, tutto fumo e niente arrosto, insomma. Sapeva che l’avrebbe saputo conquistare, ne era certa e quel suo atteggiamento l’avrebbe solo aiutata a giungere prima al suo intento.  “- Invece me lo giuri! Convincerò tuo padre a lasciarti venire con me ma soltanto perché voglio tenerti lontana da quell’arpia di Jade, chiaro?” specificò Angie, incrociando le braccia al petto e facendola annuire. “- Grazie!” gridò, buttandosi tra le braccia della donna che la strinse a sé con affetto. “- A papà non parlerai del mio piano, vero?” ghignò furbamente la ragazza, facendo ruotare gli occhi al cielo alla donna. “- No, perché tu non attuerai nessun piano! E poi quel ragazzino è un po’ troppo…” tentò di dire la Saramego ma le parole non le vennero subito. “- Un po’ troppo cosa?” chiese lei, curiosa. “- ...Troppo astuto e malizioso. Lascialo perdere!” esclamò Angie, circondandole le spalle con un abbraccio. “- Nah! Io dico che è un aspetto esteriore! Riuscirò a conquistarlo!” rise la castana, scattando in piedi entusiasta. “- Violetta cosa ti ho appena detto…?!” ribatté subito la bionda, rialzandosi dalla panchina e riprendendo a camminare. “- E va bene, ho un’idea. Ascoltami! Tu conquisti il padre ed io il figlio… diventeremo ricchissime se riuscissimo mai a sposarci con quei due! Angie non fare la santarellina! Anche con Caldez puntavi ai soldi o sbaglio? Bene, riproviamoci, ma insieme!” la Saramego si bloccò a quelle parole… come poteva quella ragazzina essere così astuta? Aveva preso da lei, evidentemente! Seppur non fosse sua madre l’aveva praticamente cresciuta tra una truffa e l’altra e la giovane aveva appreso a meraviglia le tattiche degli imbrogli. “- VIOLETTA, BASTA! Cammina, è già tanto che convinca Mati a farti trasferire con me! Andiamo!” Angie la invitò ad affrettarsi ma rifletté sulla frase della ragazza… certo, Galindo sembrava una preda facile, un uomo buono che sarebbe cascato con tutte le scarpe… ma stava con quel mastino di Jacqueline Saenz. Quella non doveva nemmeno essere la moglie, tra l’altro! Era così diversa da lui, era evidente che fosse solo la sua attuale compagna e forse non erano neppure ancora sposati. Inoltre era molto giovane e Angie era quasi certa che la madre di Leon fosse stata un’altra donna. Poi si rese conto di star riflettendo su cose che non la dovevano riguardare… ma a cosa stava pensando? L’idea di Violetta era assurda e lei voleva finalmente trovarsi un vero e proprio lavoro onesto e retribuito quindi delle teorie sulla vita sentimentale del suo capo nemmeno dovevano passarle per la testa. La ragazza fissò la bionda precederla sul sentiero del parco, barcollante per i tacchi sulla ghiaia e nervosa… capì che quella tensione l'aveva provocata lei con il suo folle piano e furbamente un sogghigno le si disegnò sul viso. Leon avrebbe ceduto, era sicuro di quello che pensava. Per ora avrebbe iniziato con il trasferirsi dai Galindo con la sua falsa madre e sapeva che, forse, anche Angie rimuginava su quella che definiva folle idea e, una volta rimesso piede in quella reggia, avrebbe cambiato prontamente opinione, dandole ragione e appoggiandola nella sua opera di conquista.
 
 
La cena in casa La Fontaine fu molto particolare quella sera: Matias fissava il piatto e, stranamente, non ne stava divorando il contenuto, Jade borbottava qualcosa sul fatto che Violetta non l’avesse servita per prima, snobbandola per Angie e, quest’ultima, sembrava avere la testa altrove. “- Papà, non chiedi ad Angie com’è andato il colloquio?” la voce della figlia risvegliò il biondo che la smise di giocherellare con il suo purè e alzò lo sguardo verso l’amica. “- Sì, scusami… com’è andata?” chiese, prendendo a fissare la Saramego che non sembrava attenta alla conversazione appena iniziata. “- Eh?” chiese, voltandosi verso Matias che le sorrise perplesso… non la stava ascoltando e, prima che uno dei due potesse aggiungere qualcosa si intromise Jade. “- Che domande! L’avranno cacciata a calci, è ovvio!” sentenziò, pulendosi la bocca con il tovagliolo e versandosi dell’acqua. “- Mi dispiace deluderti, zia ma è stata assunta subito! Domani si trasferirà a villa Galindo, dove sarà istitutrice del figlio dell’architetto e imprenditore! Non è fantastico?” spiegò euforica la giovane, facendo annuire Matias allegramente e stizzire la mora. “- Wow! Sono felicissimo per te! Te lo meriti! E stavolta, mi raccomando… niente sciocchezze!” esclamò, sporgendosi verso di lei per poggialre una mano sulla spalla e facendola rispondere con un sorriso a quel gesto affettuoso. Violetta fissò Angie e sperava si ricordasse della faccenda del trasferimento che riguardava anche lei. “- Ah, Mati io e Vilu dobbiamo chiederti una cosa…” la voce della donna incuriosì il biondo e sua sorella, mentre la giovane, felice, pendeva dalle labbra della Saramego. “- Dimmi tutto.” Tentò di sorridere, preso dai mille problemi lavorativi, l’uomo. “- Vorrei che Violetta venisse a stare con me a villa Galindo. il proprietario è d’accordo e sono sicura si troverebbe benone!” la risposta di Matias non tardò ad arrivare e precedette persino la frecciatina pungente che stava per esclamare Jade. “- D’accordo.” Disse subito l’uomo, lasciando a bocca aperta la figlia, la sorella e la Saramego. Come mai aveva accettato d’istinto? “- Al lavoro ho affrontato la Parodi. Non ci pagheranno ancora per un bel po’ o forse potrei perdere addirittura il posto. Tesoro mio, non vorrei mai lasciarti andare via da me… ma andando con lei potrai vivere bene. Angie, so che anche se sei un po’ folle mi fido di te, so quanto ci tieni a mia figlia ed è per questo che te la affido… abbi cura della persona che amo di più al mondo.” La voce di La Fontaine era quasi tremante e presa a fissare la donna che annuì timidamente. Nessuno poteva immaginare dei problemi dell’uomo, lui non ne parlava mai, e doveva essere davvero disperato per affidare la figlia alla sua migliore amica e  sperare che trovasse più fortuna che con lui. Jade, rompendo quell'atmosfera dolce e drammatica che si era creata, scattò in piedi istericamente: “- Ed io? Che farò io?” strillò, mentre Matias scosse il capo senza sapere più cosa poter inventarsi per aiutare la sua famiglia. “- Andrai a cercarti un bel lavoretto, come ha fatto Angie!” esclamò Violetta alzandosi nervosamente anche lei, facendo finire la sedia al suolo e provocando un gran frastuono. “- Sta’ zitta, ragazzina!” “- Jade non parlarle così!” urlò di risposta Matias, alzandosi a sua volta. “- Dateci un taglio! Ecco, per questo la voglio portare con me! Questa donna è insopportabile!” Angie fu l’ultima a mettersi in piedi e fissò tutti, ad uno ad uno, dritto negli occhi. “- Mati, del mio stipendio faremo a metà… e con la tua parte continuerai a mantenere la casa. Violetta però viene comunque con me e ci resterà fino a quando lavorerò in quella casa e spero per molto, me ne prenderò cura io.” Sentenziò decisa la donna, sapendo che, però, quella scelta significava che anche Jade sarebbe stata aiutata con i suoi soldi. “- In quanto a te… prova a sprecare la parte di denaro che vi invierò e giuro che te la farò pagare! Chiaro? E ringrazia che non finisci in mezzo ad una strada!” il tono di Angie era glaciale ma fece annuire con stizza la mora che si risedette di botto, come cadendo a peso morto sulla sedia. “- Prepara le valige, tesoro. Domani inizia una nuova vita per te.” Matias si allontanò dal tavolo, schioccò un bacio sulla guancia della figlia e si andò a sedere sul divanetto, la testa tra le mani e tanti pensieri in testa, troppi, tanto da non fargli nemmeno finire la cena. “- Tuo padre ha ragione. Domani cambierà tutto… speriamo in meglio.” Le sorrise rassicurante Angie, mentre la giovane si approntava a sparecchiare. Era stata entusiasta per tutto il giorno di poter andare a vivere in quella villa ma vedere suo padre così le faceva troppo male. Posò i piatti e le stoviglie sporche nel lavello e corse verso il piccolo salotto. “- Papà…” chiamò, facendo alzare gli occhi all’uomo che si la ritrovò di fronte la sua bambina. Com’era bella, diventava sempre più uguale alla sua Esmeralda e ogni giorno era sempre più adulta, una signorina intelligente e amorevole. “- Tesoro, che succede?” chiese lui, sfogliando un quotidiano ma richiudendolo subito non appena la giovane gli aveva rivolto la parola. “- Mi mancherai ma verrò spesso a trovarti, te lo prometto.” Sorrise dolcemente la giovane, fiondandosi tra le braccia del biondo. “- Ti adoro, piccolina!” le sussurrò Matias, accarezzandole i capelli.
“- Anch’io, papà.” Esclamò lei, in un singhiozzo commosso. Sapeva che l’uomo l’aveva lasciata ad Angie per il suo bene e non gliene sarebbe mai stata grata abbastanza. Se mai il suo piano avesse funzionato e sarebbe diventata la ricca sposa di Leon Galindo sapeva già cosa avrebbe fatto con tutti quei soldi: avrebbe pensato a suo padre.
 
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Terzo capitolo, eccoci qui! Vi sono mancata? *Coro di no* xD Leon! Al colloquio è il massimo, ridevo solo io al pc! xD E dopo che resta solo con Violetta? L’ha spaventata ma lei non demorde! Ha un piano in cui finge di essere figlia della Saramego e vuole convincere anche Angie a ritornare alle truffe! Quanto durerà? Ora si trasferiranno dai Galindo! Cosa accadrà? Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio come al solito per le bellissime recensioni che mi lasciate! *___* Alla prossima, ciao. :)

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Capitolo 4
*** Un catalogo... particolare! ***


“- Olga, porta pure i bagagli di sopra, benvenute!” Pablo strinse la mano alla Saramego e sorrise a Violetta che si guardava intorno estasiata: quella casa era un castello e sapeva che ne sarebbe rimasta incantata ogni volta che vi avrebbe messo piede come se fosse stata la prima. “- Io spero che lei voglia iniziare già da oggi la prima lezione con mio figlio… ovviamente si organizzi prima con le valige e con quelle di sua figlia, non voglio metterle fretta.” Tentò di apparire tranquillo l’uomo, nonostante fosse fin troppo agitato e avendo i suoi buoni motivi per esserlo. “- Non si preoccupi, meglio cominciare presto con lo studio! A mente fresca viene tutto più facile e si è anche più concentrati!” sorrise la bionda, seguendo il suo nuovo capo verso il divano del salotto.
Il moro era molto nervoso e terrorizzato da che approccio avrebbe potuto avere Leon con l’insegnante e la ragazzina... Suo figlio non era esattamente il prototipo del “bravo ragazzo” e lui lo conosceva fin troppo bene, sapeva fin troppe cose che era meglio evitare di far sapere alla bionda o sarebbe scappata a gambe levate da quella casa, portandosi via sua figlia in fretta e furia e, in effetti, nemmeno le avrebbe potuto dare tutti i torti. Leon non era cattivo: scapestrato, ribelle, indisciplinato, amante della sua libertà e della bella vita da ricco che aveva sempre fatto, ma cattivo no, non si poteva definire tale.
Galindo accolse le due in soggiorno e chiamò a gran voce il figlio che, data la musica ad alto volume, nemmeno lo sentì. “- Sedetevi, prego! Lo vado a prendere... per le orecchie se necessario.” Sorrise forzatamente Pablo a disagio, mormorando l’ultimo pezzo della frase tra i denti, avviandosi verso il piano di sopra e scomparendo nell’enorme corridoio che vi era al secondo livello della villa.
“- Hai visto che benessere c’è qui? Questo sì che è godersi la vita! Voglio farlo anch’io!” la voce della piccola La Fontaine era determinata ma pur sempre melodiosa e quelle parole fecero scuotere con rassegnazione la testa alla Saramego che prese a sfogliare distrattamente dei documenti che le aveva consegnato Galindo per ufficializzare quel contratto lavorativo. D’un tratto, sulle scale, dei passi svogliati e pesanti le fecero alzare in piedi: Leon fece il suo ingresso con un ghigno, mentre il padre lo seguiva con il capo chino, continuando a sperare che il figlio si comportasse come di dovere. “- Salve, è un piacere avervi qui. Papà non poteva fare scelta migliore nell’assunzione…” la voce del giovane si ridusse quasi ad un sibilo e squadrò, prontamente, dalla testa ai piedi le due ospiti, imbarazzandole abbastanza e rendendo ancor più chiara la sua frase sibillina. “- Mamma io… vado a disfare le valige. A dopo.” Violetta, quasi d’istinto, si fiondò per le scale, scansando i proprietari e ancora paonazza in volto. “- La camera degli ospiti è quella accanto alla mia… in fondo al corridoio, ultima porta a sinistra…” spiegò Leon, fissando la giovane che si voltò annuendo con decisione, per poi continuare a camminare a passo rapido e testa bassa, ancora con il cuore in gola. Che diamine le prendeva? Doveva iniziare il suo piano e invece fuggiva a gambe levate dal suo obiettivo! “- Stupida, Violetta, sei una stupida!” si ripeté nell’enorme corridoio che sembrava quello di un albergo di lusso in cui, quadri e soprammobili, probabilmente di inestimabile valore, attiravano di tanto in tanto l’attenzione della giovane che si perdeva a fissare quelle opere d’arte alternate a porte color ciliegio, alcune aperte, da cui poteva scorgere le grandi camere all’interno, ed altre chiuse. Quando, finalmente, Individuò la sua vi entrò subito richiudendosela alle spalle e appoggiandosi al freddo legno, prendendo un profondo respiro, socchiudendo gli occhi e sentendosi ancora accaldata in volto. Cosa diavolo le era saltato in mente per darsela a gambe in quel modo? Ad un tratto aprì le palpebre lentamente e quello che si trovò di fronte la lasciò sconvolta: quella stanza era un sogno, la suite dell’Hilton doveva essere una topaia in confronto a quell’enorme camera. Un grande letto matrimoniale troneggiava al centro di essa, sopra un tappeto bianco e beige che copriva gran parte del pavimento, interamente in parquet. Le loro valige si trovavano accostate ad una finestra con una vista mozzafiato sul giardino e vi erano tanti mobili dallo stile moderno ed essenziale, tranne un’elegante specchiera, decisamente più classica e raffinata ma che non stonava affatto con il resto dell’arredamento. Una cabina armadio da fare invidia ad una diva Hollywoodiana era sulla parete alla sua sinistra e la giovane ci si fiondò subito dentro con aria sognante… era tristemente vuota ma non vedeva l’ora di sistemarvi tutte le sue cose… e tutte quelle che avrebbe potuto avere se fosse stata la fidanzata e poi la sposa di quel Galindo... eppure lui aveva un atteggiamento che la rendeva una tonta, aveva un potere troppo forte su di lei e non riusciva proprio a capacitarsene. “- No, Vilu, è solo un buffone!  Tu puoi conquistarlo e poi tutta questa sarà piena zeppa di cose belle!” ghignò, tra sé la giovane, uscendo da lì e andandosi a buttare a peso morto su quel grande lettone, alto e morbidissimo. Fissò il soffitto e sorrise astutamente: lei poteva avere tutto ciò che desiderava, in fondo pensava di meritarsi un po’ di fortuna dopo tanta sofferenza patita in tutta la sua breve vita! Inspirò a pieni polmoni il profumo di lavanda che emanava quella trapunta e le fece sembrare di essere distesa su una nuvola. “- Forse non oggi… ma mi avvicinerò a te, Leon Galindo. Fosse l’ultima cosa che faccio… tu sarai mio.” Disse, come fosse una minaccia, sottovoce, alzandosi poi e mettendosi seduta al centro del materasso, per prepararsi a disfare la sua valigia.
 
 
“- Vogliamo andare in camera mia a studiare o preferisce qui?” Leon sorrise gentilmente alla donna che alzò le spalle, alquanto imbarazzata. “- E’ indifferente, va bene anche qui, ma va’ a prendere i libri, iniziamo dalla storia, d’accordo?” chiese la bionda, mentre il ragazzo annuì continuando ad osservarla con attenzione. La ricordava bene dal colloquio… e come dimenticare quel fisico mozzafiato, quegli occhi e quelle labbra che tanto bramava, dalla prima volta che aveva incrociato il suo sguardo? Si alzò di colpo e arrivò nella sua stanza, trafelato e con il suo solito ghigno. Angie doveva capire subito di che pasta era fatto, lui era un cattivo ragazzo, ne era consapevole e la cosa lo divertiva alquanto. La donna lo intrigava, si sentiva ammaliato e sapeva che sarebbe stata perfetta per quello che voleva lui… ecco cosa doveva fare per farle capire chi era sul serio Leon Galindo. Afferrò dei volumi dalla scrivania e, tra la copertina e la prima pagina di quello di storia, inserì un quaderno personale e molto particolare… Ad un tratto il cellulare gli squillò, facendolo sobbalzare ma, leggendo il nome sul display, continuò a ghignare. “- Diego! Che diamine vuoi? Sono occupatissimo!” la voce dall’altra parte del telefonino sembrava divertita almeno quanto la sua. “- E cosa avresti di tanto importante da fare per non parlare con il tuo migliore amico? Spero che almeno sia… impegnato come penso io!” Leon assunse un’aria sorniona e ridacchiò di gusto. “- Non immagini con chi sia in questo momento, una dea!” esclamò, prendendo i libri sotto braccio e tenendo il cellulare solo tra il collo e l’orecchio. “- La numero 13 o… no, aspetta! La 26, la 26!” urlò l’altro, continuando a sghignazzare sguaiatamente. “- No, non è ancora lì dove pensi tu… ma presto ci finirà, e anche sua figlia, probabilmente!” replicò Galindo, afferrando una penna dall’astuccio, nello zaino buttato sotto al letto. Quella stanza era praticamente grande quanto un appartamento nel centro di Buenos Aires, eppure tutto era in un disordine colossale e offuscava la bellezza effettiva della camera. “- Ahah, Galindo sei un mito! Poi me le fai conoscere queste bellezze?” chiese la voce dal telefono, facendo ancora sogghignare Leon.
“- Ovviamente… penso che al compleanno le vedrai e ne resterai rapito anche tu…” sibilò il ragazzo, alzando un sopracciglio e assumendo una buffa espressione. “- E corri da lei o loro, allora! Buon proseguimento!” salutò Diego, richiudendo la chiamata.
“- Finalmente! Pensavo che ti fossi perso nei meandri del piano di sopra!” esclamò Angie, vedendolo scendere le scale con tutta calma, non rendendosi conto di aver perso circa mezz’ora tra il cellulare, con il quale aveva parlato al suo amico di avventure Diego, e la sua pigrizia. “- Scusi, ho ricevuto una telefonata importante.” disse il ragazzo, sedendosi fin troppo vicino alla donna che si spostò verso il bracciolo del sofà, inutilmente, dato che anche il giovane fece lo stesso e si ritrovarono paurosamente vicini. “- Allora, mi dai il libro, per favore?” chiese la Saramego, mentre il giovane glielo porse prontamente, ghignandole e lasciandola sorpresa… Cosa aveva da ridacchiare quel ragazzino impertinente?  L’aveva già sconvolta abbastanza al colloquio, sperava che almeno nella fase dello studio, si potesse dare una regolata! E, infatti, fino a quel momento sembrava essere rinsavito… o quasi, tralasciando le occhiatine audaci che le continuava a lanciarle. Scostando la copertina del manuale di storia, infatti, fuoriuscì un quadernetto dalla copertina rosa scuro e, su di essa, una scritta in grassetto incuriosì la donna. “DALLA 1 ALLA 95.” L’istitutrice, aprendolo, rimase scioccata: ad ogni pagina erano incollate foto di ragazze elegantissime accanto al giovane allievo. “- Ah ecco dov’era! Grazie mille, l’ho cercato dappertutto!”. La voce di Leon era tranquilla mentre Angie girava quella sorta di… catalogo o schedario, sempre più scioccata... “- Sono tutte in ordine alfabetico, con nome e numero di cellulare, ma per ricordarle ancor meglio ad ognuna corrisponde un numero: lei è Andrea Maldez, la numero 13, la 18 invece è quest’altra bella mora qui, Clelia Sanchez e poi… ah, lei la più famosa! La 26! Lara Gonzales! Una castana da sballo!” Angie sgranò gli occhi verdi e li fece passare da Leon a quella sorta di “raccolta di conquiste” con sguardo terrificato e disgustato. “- Tu non stai bene!” ebbe la forza di balbettare la Saramego, richiudendo quell’orrore sotto forma di album di figurine. “- Perché mi dice questo? Io sono solo un ragazzo che ama la vita e vuole godersela… in tutti i sensi.” Sussurrò lui avvicinandosi all’orecchio della donna, facendole sentire il suo fiato caldo sul collo e innervosendola ancor di più per cotanta sfacciataggine. “- Leon!” esclamò l'insegnante con decisione, alzandosi e andando a sedersi sulla poltrona di fronte a lui per mantenere le distanze. “- Leggi questi 3 capitoli e poi mi fai un bel riassunto, penso che ce la possa fare anche da solo… ah, magari i compiti falli su un altro quaderno, grazie.” Ordinò con una vena ironica Angie, afferrando dal tavolinetto un altro volume, quello di matematica, sperando di non avere altre brutte sorprese. “- Perché non passiamo subito a materie più interessanti?” la voce di Galindo era seducente e inarcò un sopracciglio con aria da playboy, facendo abbassare gli occhi della donna sul libro che stava sfogliando con foga, fino quasi a strapparne le pagine.
“- Piano, prof! Abbiamo iniziato subito con i compiti ma potremmo conoscerci prima un po’ meglio, non crede? Vuole sapere cos’è questo?” sorrise Leon, sventolando il quaderno rosa come un trofeo davanti agli occhi della donna. “- Non mi interessa e comunque penso di averlo intuito… è disgustoso!” balbettò, un po’ a disagio Angie, scribacchiando dei numeri su un foglio a quadretti. “- Disgustoso? E’ molto selezionato, mi creda… mi piacerebbe che anche lei ne facesse parte, ma niente di serio, sia chiaro!” La voce suadente del ragazzo scioccò ancor di più l’istitutrice che si alzò di scatto per fuggire a quello sguardo indagatore e sexy del giovane che la seguiva come se fosse incollato a lei. “- Dacci un taglio, ok? Studia queste regole di algebra che domani ti interrogo!” cambiò argomento, cercando poi, distrattamente, qualcosa nella sua borsa. “- Tieni, questo è l’orario. Iniziamo con argomenti che già hai studiato per poi procedere con i nuovi. Spero che domani sarai pronto per la prima verifica…” esclamò la donna, scostandosi una ciocca dietro all’orecchio e passandogli alcuni tomi evitando accuratamente di guardarlo in faccia. “- Io sono sempre pronto! Per qualunque cosa lei voglia…” sussurrò lui, sempre con lo stesso tono ammaliatore e malizioso che, per un nanosecondo, riuscì ad incatenarsi al suo. “- Ho le valige da disfare. A dopo.” Lo liquidò, violacea, la bionda, mentre lui la fissava incantato andare via dal soggiorno, seguendola con la coda dell’occhio. Quella donna sarebbe entrata a far parte della lista delle sue conquiste, ne era certo e più lo ignorava e più la voleva, più lo allontanava e più avrebbe voluto avvicinarsi a lei… ci sarebbe riuscito, prima o poi.
 
 
“- Dobbiamo andarcene di qui!” Angie aprì la porta di scatto e fece sobbalzare Violetta che era quasi addormentata sul grande lettone della loro stanza. “- Che ti prende?” chiese con un ghigno la ragazzina, mettendosi a sedere di fronte alla donna che andava nervosamente avanti e indietro per l’enorme camera. “- Quel ragazzo non sta bene! Con tutti i soldi che ha suo padre non ha mai pensato di pagargli delle cure psichiatriche?” Violetta si irrigidì nel sentire quella frase e si alzò tentando di avvicinarsi a quella trottola impazzita della Saramego che già stava riempiendo la sua valigia per scappare via da quella casa.
“- Aspetta… che ti ha detto?” chiese la La Fontaine curiosa, vedendo la donna fare la spola dall’armadio al trolley come una furia. “- Chi ti ha detto di disfarmi i bagagli? Avremmo fatto molto prima se l’avessi lasciati chiusi! Prepara le tue cose, forza!” urlò la bionda, continuando a camminare per la stanza, ripiegando alcune magliette e gettandole alla rinfusa nel bagaglio . “- CALMATI E DIMMI COSA DIAMINE E’ SUCCESSO DI SOTTO!” strillò ancor di più la giovane, prendendo Angie per le spalle e facendola fermare di colpo. “- Ha un catalogo, capisci? Un catalogo! Ah, ma io parlerò a Galindo! Prima gli parlo e poi andiamo via!” esclamò la donna, tentando di divincolarsi dalla presa della ragazzina che però si fece sempre più salda. “- Un catalogo? Di cosa?!” chiese innocentemente lei, mentre la Saramego si andò a stendere di colpo sul letto, una mano sulla fronte e l’aria scioccata. “- Di conquiste!” mormorò la donna, sperando che la giovane non avesse sentito. “- CHE COSA? Ma quel tipo è pazzo?!” avvampò la ragazza, sgranando gli occhi castani e andando a sedersi accanto alla donna che scosse il capo, pur restando con esso sul cuscino. “- Sì, decisamente! Lo dovevamo capire sin dal colloquio! E sapessi cosa mi ha detto quando eravamo di sotto...!” rabbrividì la bionda, sollevandosi sui gomiti per fissare la giovane che sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto. “- Ero convinta che le parole che diceva fossero tutto un bluff, che lui si comportasse solo da buffone ma che fosse un bravo ragazzo!” disse, mentre Angie scuoteva il capo in segno di disapprovazione, serissima e pallida in volto. “- Lascia perdere quella stupidaggine di piano che hai, io te l’avevo detto! Non metterti nei guai e credimi… quel moccioso ne porta molti!” esclamò la donna, accarezzandole una guancia, ancora rosso fuoco per quella notizia. Leon era davvero come appariva? La faccenda la spaventò alquanto e, unito alle parole della bionda istitutrice l’idea che si era fatta del ragazzo non poteva che andare in frantumi. “- Vai semplicemente a parlare con Pablo! Vedi cosa ti dice e poi decideremo sul da farsi… io non voglio andar via di qui per ritornare da quell’arpia di Jade! E poi lo hai sentito mio padre, no? E’ chiaro che non puo’ più mantenermi per quanto gli si spezzi il cuore...”. il discorso della LaFontaine  fece finalmente fermare a riflettere la donna: poteva quel moccioso del figlio di Galindo rovinare la sua nuova vita e quella di Violetta? Poteva renderle impossibile il suo voler cambiare tutto, essere una persona onesta, rispettabile e con un lavoro come tanti? No. Avrebbe parlato al suo nuovo capo e avrebbe messo in chiaro le cose quanto prima… “- Hai ragione, sai? Non voglio prendere una decisione avventata: parliamo con il padre del pervert… emh, di Leon e vediamo cosa avrà da dirmi.” Sbottò Angie, facendo applaudire soddisfatta la giovane. “- Ecco! Così si fa!” la ragazza fece leva sulle ginocchia e salì  sul letto in piedi per cominciare a saltarci sopra allegramente, facendo sobbalzare la donna che era ancora seduta sul materasso. “- Smettila! Vieni giù! Questo coso varrà quanto tutto il mio stipendio annuale e se rompi la rete io non potrò pagarla!” gridò la Saramego, sperando di essere ascoltata ma fu tutto inutile: la giovane seppur cominciasse a temere il ragazzo, era decisissima e da quella reggia non pensava di sloggiare per nulla al mondo! Le piaceva da morire quella camera, mai, neppure nei suoi sogni avrebbe immaginato di dormire in una stanza simile… e quella casa! Un castello sarebbe parso nulla in confronto a quello sfarzo!
Il bussare alla porta della stanza non fu colto dalle due: Angie continuava a tentare di controllare Violetta che sembrava invasata e quasi riusciva a toccare il soffitto, come se fosse su un tappeto elastico e ignorava la donna, specchiandosi nel riflesso dell’enorme specchio di fronte a sé. “- Dai vieni su con me, ci divertiamo!” rise la giovane, riuscendo persino a tirarsi la bionda accanto a lei. “- E’ stupendo!” rise ancora, mentre la Saramego cominciò, timidamente, ad imitarla. “- Tuo padre da ragazzo lo adorava, siete identici!” sghignazzò, rimembrando i tempi in cui a fare lo stesso erano lei e Matias dopo aver ottenuto qualche buon voto a scuola e di norma, il rituale del salto sul letto, riguardava la matematica: i voti dal quattro e mezzo al cinque in quella materia meritavano esultanze simili considerando la media di entrambi in quel campo, soprattutto per quanto riguardava il biondo La Fontaine!
“- PERMESSO!” sull’uscio, già da qualche secondo, il padrone di casa le fissava con aria tra il divertito e lo scioccato. “- Oh santo cielo! Signor Galindo ci perdoni!” Angie con uno scatto atletico si precipitò giù dal letto e si avvicinò al moro che sorrise con aria rassicurante. “- Non temete, sul serio! Non sono qui per fare ramanzine… volevo parlare con lei, è possibile?” Pablo puntò i suoi occhi scuri in quelli verdi della donna che annuì in vistoso imbarazzo, sotto lo sguardo divertito di Violetta che continuava a credere che, se non fosse riuscita lei nel suo intento, considerato il caratteraccio di Leon, almeno Angie avrebbe potuto conquistare quel riccone e sposarlo per assicurare ad entrambe una vita da nababbi. La Saramego, con lo sguardo seguì il moro uscire dalla stanza e si incamminò verso l’uscio con aria sconvolta… cosa voleva dirle adesso Galindo? cosa diamine aveva riferito al padre quel depravato del figlio? Arrivò sotto l’arco della porta e borbottò qualcosa a Violetta che suonò come un: “- Questa me la paghi!” riferita alla figuraccia fatta agli occhi del suo datore ottenendo, per tutta risposta, un gesto dalla ragazzina che la intimò ad avvicinarsi di nuovo al letto su cui lei ancora era in piedi. “- Cerca di fargli… una buona impressione!” disse, ammiccando, la La Fontaine, facendo sgranare gli occhi all’altra. “- Violetta, NO! Il tuo piano folle tienitelo per te, grazie!” sbottò la Saramego, per poi correggersi di colpo: “- ...O meglio, neppure per te! Levati dalla testa di conquistare quel malato di mente, te lo dico per l’ultima volta!”. Quella fu l’ultima frase che precedette una fortissima sbattuta di porta prima che la bionda si dileguasse per andare nell’ufficio di Pablo. Violetta sorrise: volente o dolente Angie avrebbe prima o poi riflettuto su quel piano anche se, testarda com’era, non sapeva se avrebbe mai accettato… e lei? Cosa avrebbe fatto con Leon? Per un secondo abbandonò la sua folle idea di conquistarlo… quel ragazzo era strano e pericoloso… lo avrebbe… studiato per un po’! E, in fondo, non poteva neppure negare che quel giovane l’avesse alquanto turbata… era un bel ragazzo seppur così particolare… rigettò quel pensiero nei meandri del suo cervello  e scosse il capo: scattava la missione: “Analizza Leon.”
 
 
Il miglior modo per definire lo studio del signor Galindo era: maniacalmente ordinato. Angie si guardava intorno e non poteva credere a quello che le appariva davanti: una libreria che prendeva lo spazio di un’intera parete stracolma sino al cielo di volumi di ogni colore e grandezza, una scrivania enorme sulla quale nulla era fuori posto e quadri e diplomi incorniciati erano appesi tutti alle spalle dell’uomo che la fissava con aria seria seduto al suo tavolo. “- Si accomodi.” Sentenziò, appoggiandosi con la schiena alla poltrona in velluto nero. “- E’ successo qualcosa?” domandò prontamente la donna, accomodandosi di fronte all’uomo, alquanto agitata dalla situazione, torturandosi nervosamente le mani per il nervosismo. “- Volevo solo informarla che tra qualche giorno ci sarà la festa di compleanno del mio Leon e mi farebbe molto piacere che anche lei e sua figlia vi prendiate parte...”. La Saramego tirò un sospiro di sollievo… temeva che quel ragazzino insolente avesse raccontato qualcosa riguardante quella lezione al piano di sotto  all'uomo, ma rigirando a suo favore la situazione e facendo passare lei dalla parte del torto. “- Io non so se sarebbe il caso…” ebbe la forza di balbettarle lei, portandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio: a quel gesto l’uomo sorrise istintivamente… quel movimento quasi impercettibile fece nascere in lui il ricordo indelebile della sua Clara… quanto era bella, quanto l’amava… anche lei quando era a disagio faceva lo stesso e lui lo ricordava bene, ricordava ogni cosa della sua dolce moglie che se ne era andata troppo presto in un tragico incidente… era stato così difficile affrontare quel dolore ed era certo di non averlo mai superato del tutto per quanto si sforzasse di far credere il contrario. Lei viveva in lui e nessuno l’avrebbe mai fatta sparire dal suo cuore, dalla sua mente. Pablo fece passare lo sguardo dall’istitutrice alla cornice che aveva sulla scrivania e distrattamente la prese tra le mani: non riusciva a non vivere nel passato, a rievocare al minimo dettaglio quei tempi andati via così rapidamente. Dopo 15 anni dalla sua scomparsa ancora non se ne riusciva a fare una ragione: poteva amare un’altra dopo Clara? Jackie sarebbe stata la matrigna perfetta per suo figlio? Leon la detestava e poi lui, dal bambino adorabile e gentile che era quando la madre era viva, era cresciuto in maniera così lontana dal suo essere, da quello che era sua moglie… diventando irriconoscibile. Il ragazzo era cambiato e l'unica cosa che riusciva a fare era viziarlo per non fargli mancare nulla, per sopperire a quel grande vuoto che gli aveva lasciato la perdita di sua madre. Angie notò quanto, dal sorriso malinconico, l’uomo fosse rimasto cupo e triste, fissando ancora quella foto in silenzio, come se lei non fosse neppure stata lì. “- Va tutto bene, signor Galindo?” domandò timidamente la bionda, analizzando quell’espressione così angosciata del moro. “- Sì, scusi…” sentenziò lui, ritornando freddo come voleva apparire davanti a tutti. “- E’ sua moglie?” si azzardò a domandare Angie, quando lui rimise giù la fotografia, facendo sì che lei subito l’afferrasse e la osservasse con attenzione: quella donna era bellissima, occhi verdi e capelli castano dorati… assomigliava in maniera impressionante al figlio del suo datore e, in qualche modo, anche a lei. Nell’immagine sorrideva all’obiettivo ed era abbracciata ad un giovane Galindo che teneva in braccio proprio il figlio, di circa 3 anni. “- Sì…” sospirò l’uomo, sostenendosi il capo con una mano. “- Era meravigliosa.” Commentò Angie, riponendo la cornice e comprendendo subito che Jackie doveva essere la nuova fidanzata e che lui fosse vedovo. La Saenz non aveva nulla a che fare con quella donna della foto: lei era di una bellezza aurea, come un angelo, mentre la compagna attuale di Pablo invece era molto più… terrena! Non dava quell’idea di splendore sovrannaturale per quanto fosse una bella donna ed era stata certa, dalla prima volta che l’aveva vista, che non poteva essere la vera moglie del padrone di casa. “- Ci ha lasciato 15 anni fa a causa di un incidente stradale.” Si limitò ad aggiungere glacialmente l’uomo che prese un profondo sospiro e abbassò gli occhi su una pila di progetti che facevano bella mostra di fronte a sé. Angie rimase in silenzio per un po’… certo che il destino amava accanirsi contro alcune persone! Dagli occhi di Galindo capì che doveva aver amato davvero tanto sua moglie e sembrava ancora sotto shock nonostante fosse passato tanto tempo da quell’incidente… come poteva parlargli di quello che era successo con Leon dopo quel discorso riguardante Clara? Povero ragazzo, aveva 5 anni alla morte di sua madre e doveva essere stato terribile accettare quella triste realtà e crescere senza l’affetto della donna, lei lo sapeva bene essendo rimasta orfana da ragazza. “- E’ terribile.” Fu tutto quello che riuscì a mormorare la Saramego, sgranando gli occhi a quella rivelazione così drammatica. Pablo annuì mestamente, non rivelando il tutto: quella notte non l’avrebbe mai dimenticata finché avesse avuto vita e tutti i dettagli erano fin troppo vividi nella sua memoria. Tornavano tutti e tre dal Country Club di sua proprietà e proprio quella sera c’era stata la festa di inaugurazione di apertura. Lo schianto, le grida, le sirene delle ambulanze… la sua amata che non riprese più i sensi. Lui e il bambino che ne uscirono miracolosamente illesi mentre lei… lei non ce l’aveva fatta… la cosa più tremenda era che era lui a guidare quella notte e, seppur vittima di un ubriaco che andava contromano, non si sarebbe mai perdonato quello scontro per quanto fosse stato inevitabile. Galindo alzò gli occhi, palesemente lucidi, e cercò prontamente di cambiare discorso: “- Allora domani ci sarete? La festa sarà nel giardino sul retro, a bordo piscina.” spiegò alla bionda che annuì, comprendendo appieno lo sforzo dell’uomo di voler oltrepassare quell’argomento così delicato. “- Certo. Ormai siamo parte della casa, no?” sorrise a malapena, facendogli fare lo stesso, forzatamente. “- Giusto.” Esclamò, ritornando subito serioso come sempre. “- Allora io vado…” disse la donna, dopo un minuto di imbarazzante silenzio. “- Sì, io ho da lavorare, buona giornata… ci vedremo direttamente a cena.” Esclamò lui, immergendosi nuovamente tra le sue scartoffie e cominciando a firmare un plico di fogli che sembrava interminabile. “- Buona giornata.” Rispose educatamente lei, ritornando verso la sua camera. Quella conversazione era stata alquanto triste e si vedeva che Galindo ne soffriva ancora ed era certa che anche Leon, per quanto tentasse di nasconderlo e ci riuscisse molto di più del padre, doveva starci ancora molto male.
“- Allora? Lo hai conquistato?” Violetta era all’elegante specchiera e armeggiava con una dozzina di trucchi che aveva rubato dalla valigia di Angie. ”- Ma cosa dici? Ancora con quella folle idea?” sbottò lei, buttandosi sul letto con aria distrutta: prese a fissare il soffitto e sbuffò sonoramente, mentre Violetta le si avvicinò piano, notando subito quanto fosse scioccata l’altra. “- Ci ha provato come il figlio anche il padre?” realizzò la castana, scoppiando in una fragorosa risata che fece sobbalzare Angie… no, Pablo era palesemente diverso da Leon... eppure adorava prenderla in giro! “- Ma figurati! Quello è un uomo serio, tutto d’un pezzo…” commentò l’altra, mettendosi in posizione seduta e osservando la ragazza assumere un’espressione furba. “- Se ci è riuscita quella Jackie che mi sembra solo un’oca per te dovrebbe essere una sciocchezza farlo cadere ai tuoi piedi…” sbottò lei, incrociando le braccia al petto e sedendosi accanto all’altra, proprio al centro del materasso. “Smettila con quest’idea folle del conquistare i Galindo! Mi hai stancata!” sentenziò con aria nervosa la bionda, agitando i boccoli dorati nello scuotere il capo con decisione. “- Domani c’è il 20esimo compleanno di Leon e siamo state invitate, tutto qui.” Spiegò la donna, facendo sorridere allegramente la ragazzina. “- COSA? MA E’ MERAVIGLIOSO! Ora sì che potrò studiarlo da vicino! Vediamo com’è questo Galindo Junior davvero!” esclamò Violetta, cominciando ad andare verso la cabina armadio per decidere cosa indossare per la grande occasione. “- Studiare? Come studiare? Lo hai preso per una cavia da laboratorio? Tu devi girare a largo da quel depravato, te lo dico per l'ultima volta!” sbottò Angie, raggiungendola di fretta e appoggiandosi all’anta aperta del guardaroba. “- Promettimelo!” esclamò, puntando i suoi grandi occhi verdi in quelli castani e astuti della giovane. “- Ci proverò… mammina!” sussurrò lei, facendo accigliare la bionda e continuando a gettare abiti al suolo per trovare il capo adatto alla serata che, ancora non sapeva, le avrebbe stravolto la vita.
 
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 Ma poveri Pablo e Leon! Ricchi e infelici! :( Leon depravato! Ahahahah E’ un bel po’ OOC! Ma proprio tanto! XD Ha un catalogo! O.o Angie voleva fuggire ma, alla fine, Vilu l’ha convita a rimanere e non ha detto neanche nulla a Galindo… si avvicina il party del 20enne! E che triste il ricordo di Pablo! ç_ç Cosa succederà ora? Grazie a tutti per continuare a seguire la mia folle storia! :D Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 5
*** Buon compleanno, Leon. ***


“- Sono così felice di aver rivisto papà! Pochi giorni di lontananza e già mi mancava!” Violetta varcò il cancello dell’enorme villa Galindo accanto ad Angie che annuì soddisfatta a quella frase della castana.
“- Era a casa per problemi di lavoro… povero Mati! Ma perché la vita sembra accanirsi così tanto contro alcune persone?” borbottò tra i denti la Saramego, tenendo su una spalla due grucce da cui pendevano sacchi bianchi con cerniera: erano riuscite a prendere due abiti dal guardaroba di Jade per quel ricevimento che tutta l’alta società di Buenos Aires attendeva con ansia: quel giorno era finalmente arrivato,  era giunto il 20esimo compleanno di Leon Galindo. “- E perché altri possono avere così tanto?” Violetta ogni volta che varcava il cancello di quel vero e proprio castello, si guardava intorno estasiata e quella frase la disse quasi involontariamente: intraprendendo il viale principale, quello che dava accesso anche alle enormi auto di lusso che frequentavano la casa: intorno a lei vi erano grandi distese d’erba fino a perdita d’occhio, un piccolo gazebo in legno con un ponticello dello stesso materiale che dava su un laghetto artificiale si estendeva alla loro sinistra mentre, dall’lato opposto, alcuni alberi e un’ imponente fontana le accoglieva sempre festosa, con i suoi rumorosi zampilli e spruzzi che di sera si fondevano ad arte con giochi di luci sfavillanti. La facciata della villa era maestosa e raffinata in stile vistosamente classico, con un’ampia scalinata biforcuta che permetteva l’accesso alla porta d’ingresso e, alcune statue a dimensione umana erano intelligentemente disposte tra le siepi che contornavano il viale principale. “- Non l’ho mai capito in realtà questa vicenda del ‘a chi tutto e a chi niente’! Dev’essere relativo ad una sorta di karma o roba del genere! Mah!” sbuffò la bionda, mentre un auto le sorpassò ad alta velocità. “- Fai attenzione che questi ricconi non ci vedono neppure nei nostri abiti fuori moda!” ironizzò Angie, tirandosi quasi sull’erba la ragazza per scostarla da quei pericoli pubblici che le ignoravano del tutto. “- Se si tratta di karma o cose simili, per essere punita così tanto vorrà dire che nelle mie vite precedenti sarò stata molto cattiva!” ridacchiò Violetta, inclinandosi verso un copioso cespuglio e staccandone una calla profumatissima e candida come la luna. “- No, non credo  c’entri nulla con le vite precedenti! La legge del karma indica che ogni azione ha la sua causa effetto, una sorta di ripercussione rispetto ad essa…” affermò con decisione Angie, tirandola via da quella siepe che la ragazza aveva deturpato tagliandovi il più bel fiore e portandoselo tra i capelli. “- Parla in maniera più comprensibile per favore!” esclamò la castana, avvicinandosi alla fontana e specchiandosi all’interno, per poi fare un mezzo giro, soddisfatta dell’acconciatura ottenuta. “- Detta in parole semplici: si raccoglie ciò che si semina! Per ogni azione vi è una conseguenza debita.” riassunse la donna, prendendole di nuovo la mano e allontanandola dal riflesso dell’acqua su cui continuava a rimirarsi. “- Sei diventata troppo vanitosa! Quasi al pari di tua zia Jade!” rise Angie, camminando al fianco della giovane e riportandola sul sentiero principale, facendo sorridere la ragazza per quell’affermazione. “- Sono come quel tizio… quello del mito… come si chiamava?” domandò lei, la cui educazione finiva alle scuole medie a causa dei troppi intoppi lavorativi del padre. “- Narciso!” le spiegò Angie con il fiatone, accelerando il passo: era in ritardo per le lezioni del giovane Leon e quel giorno, tra l’altro, dovevano tutti fare in fretta per poi concedere il dovuto spazio ai festeggiamenti per l’erede del padrone di casa. “- Narciso era bellissimo!” commentò lei, provando ad immaginarsi subito una persona di pari splendore: davanti ai loro occhi, proprio in quell’istante, si materializzò Leon Galindo, che le fissò e sorrise con aria sorniona ad entrambe.
“- Buongiorno, signorine!” ghignò, andando in contro alle due che si bloccarono sul posto. “- Però Narciso fece una brutta fine, non è vero Galindo? Hai studiato?” domandò Angie, scrutando con attenzione il giovane che annuì, deciso: “- Narciso era il tipico bello e bastardo… come piace alle donne, o forse mi sbaglio?” soffiò piano ad un centimetro dalle sue “vittime” che indietreggiarono di qualche passo. “- Che assurdità! Chi ti ha detto che il "bello e bastardo" piace alle donne?!” chiese con decisione la donna, non perdendo forza nel suo sguardo rispetto a quello del giovane che ricambiava con la stessa forza: era diventata una vera e propria sfida, verde contro verde, decisione contro decisione… chi avrebbe avuto la meglio? Violetta li fissava sorpresa… subito però comprese che la bionda volesse far capire al ragazzo chi comandasse e, in effetti, essendo la sua insegnante, non aveva tutti i torti. “- E’ una domanda che fa parte del programma?” la provocò ancora lui ironicamente, passandosi una mano nel ciuffo castano che risplendé sotto la luce del sole che brillava alto nel cielo. “- No, non era affatto una domanda, anzi! Era una costatazione.” Controbatté la bionda, con un mezzo sorriso per nulla di piacere e piuttosto forzato ma soddisfatto. “- E poi che fine ha fatto questo Narciso?” La La Fontaine si intromise per tentare di placare quel clima teso che c’era tra i due, da parte del giovane vi era malizia soprattutto, mentre Angie, dal canto suo, voleva metterlo al suo posto.
“- Leon, diglielo tu, così ti varrà come interrogazione… avanti! Anzi, fa una cosa, racconta tutto dal principio…” lo intimò a parlare l’istitutrice, mentre l’attenzione del ragazzo si era ormai focalizzata su quella che sapeva la figlia dell’insegnante. “- Narciso era un ragazzo bellissimo ma, purtroppo o per fortuna, non lo sapeva dato che quando nacque, l'indovino Tiresia aveva preannunciato ai suoi genitori che il giorno in cui si sarebbe specchiato sarebbe morto e per questo motivo non poté mai guardarsi riflesso… insomma, secondo la profezia di quel tipo, non doveva ‘conoscere sé stesso’. Di lui si innamorò la ninfa Eco, la quale era stata punita dalla dea Era per averla ingannata e, non potendo più parlare liberamente si limitava a ripetere le ultime parole dette da altri. Un giorno, lei seguì Narciso nel bosco e provò a dichiarargli il suo amore ma venne respinta: la ninfa si nascose in una grotta dove morì consumata dal suo amore e di lei rimase solo la voce, appunto l’Eco. La dea Nemesi volle però vendicare la ragazza e fece in modo che Narciso andasse alla fonte, qui vide finalmente il suo riflesso e ammaliato dall'immagine, se ne innamorò e, volendo abbracciarsi da solo, cadde in acqua e affogò. Infine Nemesi lo trasformò nel fiore che porta il suo nome...”. Aveva studiato e l’insegnante ne fu soddisfatta: poche settimane prima avevano proprio affrontato quell’argomento e sapere che l’allievo lo ricordasse la rese soddisfattissima, del suo lavoro e del giovane.
“- Molto bene, bravo.” Commentò la donna, annuendo, per poi prendere ad osservare Violetta che sorrise: “- E’ così triste… eppure così bella! Soprattutto la parte di Eco! Poverina!” commentò, mentre Leon le si avvicinò paurosamente. “- Così impara ad innamorarsi della persona sbagliata!” sbottò deciso, con un ghigno chiaramente rivolto alla La Fontaine che rabbrividì a quel tono così glaciale e nel sentire quegli occhi verdi e così profondi incatenarsi ai suoi castani e dolcissimi. “- Causa e effetto! Come il karma! E’stato lui ad essere malvagio e l’ha pagata cara…” mormorò Violetta, ripensando alla conversazione avuta precedentemente con Angie. Il ragazzo le sorrise e poi si rivolse alla professoressa: “- E comunque, per quanto riguarda lei, mia cara prof… oggi è il mio compleanno e le lezioni sono sospese, quindi questa ‘interrogazione a sorpresa’ la valuti come si deve!” sbottò, incamminandosi poi nella direzione opposta alle due che si fissarono stupefatte per cotanta sfacciataggine. “- Inoltre, almeno gli auguri prima di controllare se avessi studiato potevate anche farmeli! Lo sa tutto il mondo che giorno è oggi…” sentenziò, ancora di spalle, fingendosi offeso per quella mancanza di rispetto da parte di entrambe, le ultime arrivate in quella casa. Ormai era più o meno una settimana che le due vivevano in quella reggia e Leon era sempre stato come il primo giorno: buffone, antipatico e fin troppo malizioso. Angie tentava di allontanare anche la “figlia” dal piccolo Galindo e lei, seguendo il suo piano, lo studiava da lontano: in quel periodo, però, non ci aveva capito molto di più di quanto non sapesse già. Leon usciva spesso per andare a quello che scoprì essere il famoso Country Club e spesso tornava alle prime luci dell’alba: il rombo della sua moto la faceva sobbalzare dal sonno e, affacciandosi, lo vedeva rientrare come se fosse pieno giorno. “- Buon compleanno.” La prima a esclamare quell’augurio fu proprio la ragazzina che lo fece voltare, con aria soddisfatta, verso le due. Il ragazzo ringraziò con aria gelida, girando solo il capo e continuando a camminare verso l’entrata principale della casa, disinteressato totalmente ai preparativi che fervevano sul retro per la sua festa. “- Grazie.” Quella parola risuonò un milione di volte nelle orecchie e nella mente di Violetta che non riuscì a non adorare quella voce: doveva essere un ottimo cantante! Certo era che quello non era il tipo di ragazzo che faceva romantiche serenate al balcone… il massimo di musica che aveva sentito riguardante Leon Galindo era il suono assordante della sua fida chitarra elettrica e doveva ammettere che, seppur non fosse uno strumento che particolarmente amasse o conoscesse, il giovane aveva talento… eppure le era sempre sembrato che suonasse con ira, come se si sfogasse con quella musica, come se riuscisse a liberarsi in quel modo bizzarro da ogni pensiero o malinconia celasse il suo cuore.
“- Violetta! Ci sei? Andiamo di sopra a posare gli abiti, forza!” esclamò Angie, schioccandole le dita davanti agli occhi per farla riprendere da quella sorta di trance in cui era caduta. “- Sì, andiamo.” Sentenziò, imboccando la scalinata diramata a destra e a sinistra che portava sino all’ingresso della villa. La Saramego, dal canto suo, osservò la più piccola, confusa… poteva quel ragazzo averla colpita tanto per quelle due parole che, per la prima volta senza fuggire a gambe levate, lei era riuscita a scambiarvi? Scosse il capo e, continuando a restare perplessa, seguì la figlia di Matias che era già arrivata in cima ai gradini e stava facendo il suo ingresso in quella sorta di vero e proprio palazzo reale.
 
 
La sera era calata in un batter d’occhio, quel pomeriggio era volato tra un via vai di camerieri, pasticcieri, cuochi e giardinieri che avevano affollato i corridoi e, soprattutto, il retro della villa, che dalla finestra, Violetta continuava ad osservare come incantata: non solo la grande vasca della piscina risplendeva di luci colorate dovute a faretti sul fondo, ma i gazebo bianchi, di solito sempre chiusi, erano aperti e un grande tavolo da buffet era già pronto ed adibito per la festa, con ogni sorta di delizia immaginabile posta sopra di esso. Angie era seduta alla specchiera e si stava truccando per la grande occasione. “- Come ho fatto a mandare te a scegliere i vestiti? Tu dovevi distrarre Jade e io prendevo gli abiti!” sbottò la donna, alzandosi ed osservando quel tubino nero che, a causa della sua altezza maggiore rispetto alla zia della ragazzina, era corto almeno cinque dita sopra al ginocchio e la cosa la metteva alquanto a disagio. “- Sei così sexy!” cominciò a prenderla in giro la ragazza, appoggiandosi con le spalle alla finestra e additandola, ridendo.
“- Sghignazza pure quanto ti pare, ne hai tutte le ragioni! Il tuo invece ti sta a pennello!” sentenziò la bionda, sedendosi sul letto per indossare dei tacchi vertiginosi e indicandola. “- Questo azzurro mi dona un sacco!” la ragazza fece un giro veloce su sé stessa e si divertì nel vedere la gonna gonfiarsi: il suo vestito era decisamente meno attillato di quello di Angie e se l’era scelto con cura… aveva sempre invidiato quello splendore alla zia e mai aveva osato toccarlo, temendo le sue ire… ma ora era a casa Galindo e si sentiva così libera di fare quello che voleva… le sembrava un sogno non sottostare più a quell’arpia! Poi, in fondo, li avrebbe restituiti entrambi… forse. “- Sono le 20, sono già tutti di sotto!” esclamò poi Violetta, tornando alla finestra e osservando di sotto. La bionda si affacciò da dietro alla tenda, accanto alla La Fontaine e guardando di sotto, sentì le gambe tremarle in maniera inedita: mai in vita sua si era sentita così inappropriata in un luogo! Neppure quando aveva occupato la casa di Caldez pensando, erroneamente, di averlo truffato! “- Andiamo… odierei essere così tanto al centro dell’attenzione: chi arriva per ultimo viene osservato fin troppo e con quest’abito vorrei evitare anche se temo sarà impossibile non attirare l’attenzione proprio a causa sua e tua!” sbottò la Saramego, afferrando una pochette appesa al bordo della sedia.
“- Smettila, a parte scherzi sei bellissima! Andiamo… mamma!” Sorrise Violetta, prendendole la mano per infonderle sicurezza e stringendogliela forte.
Il giardino era pieno di gente, ragazzi e ragazze elegantissimi chiacchieravano tra loro e anche molti adulti parlottavano, la maggior parte con Jaqueline Saenz che, allegra come una Pasqua, baciava e salutava chiunque le si parasse di fronte. Il signor Galindo se ne stava un po’ in disparte, odiava quelle occasioni mondane da quando Clara non c’era più, non sentiva di avere nulla per cui festeggiare ma Leon era Leon, la luce dei suoi occhi e per lui si fingeva sorridente a tutti e, di tanto in tanto, stringeva la mano a qualche ricco uomo d’affari come lui. Il rumore di tacchi fece voltare tutti, ma proprio tutti, verso l’ingresso al giardino: Angie arrossì fino alla punta delle orecchie, sentendosi fin troppo sotto esame, mentre Violetta, decisamente più a suo agio, cercò subito Leon con lo sguardo ma, evidentemente, il ragazzo ancora non era sceso… in fondo il festeggiato doveva farsi attendere come la migliore delle star!
“- Buonasera, auguri per suo figlio.” Angie, decisamente in panico, si avvicinò a Galindo che era seduto con il suo fido tablet sotto ad uno dei gazebo più isolati e, nel vederla, alzò a malapena gli occhi dallo schermo. “- Grazie…” sentenziò, continuando ad armeggiare con quell’arnese, sfiorandone lo schermo. La Saramego seguì con lo sguardo Violetta che, staccandosi da lei, stava andando in avanscoperta del luogo e la lasciò fare… non poteva essere pericoloso con tutte quelle persone, sicuramente di ottima famiglia, conoscendo il padrone di casa. “- Pablo, amore! Non pensavo che avessi invitato anche la servitù con annessa famiglia… non che mi dispiaccia, sia chiaro!” Jackie apparve come dal nulla alle spalle di Angie e, come un falco si sedette accanto al fidanzato che, finalmente, alzò gli occhi e appoggiò, controvoglia, il computer sul tavolo. “- Jackie lei ha tutto il diritto di essere qui e lo sai: è l’istitutrice di Leon e ora fa parte della famiglia, come anche la sua bambina…” sbottò con tutta calma Galindo fissando con un mezzo sorriso l’insegnante. La Saramego deglutì rumorosamente e si sentì sotto analisi dall’altra bionda che le aveva puntato gli occhi scuri e alquanto malvagi addosso, scrutandola con attenzione, per poi rialzarsi con tutta calma e dirigersi verso altri invitati all’evento: la freccia l’aveva lanciata e il bersaglio era stato centrato, ora poteva anche andar via e, infatti, così fece. “- Mi perdoni… Io vado, volevo solo felicitarmi con lei.” Angie abbassò lo sguardo sulle sue scarpe ma la voce di Pablo le fece di colpo risollevare il viso. “- Non deve scusarsi lei, mi scuso io per l’atteggiamento della mia fidanzata… sono mortificato, sul serio!” commentò l’uomo, scattando in piedi ed avvicinandosi alla bionda: rimase per un nanosecondo ammaliato da quegli occhi così intimiditi e dal sorriso che le si formò sul volto a quelle parole, ma scosse il capo per cercare di allontanare quegli stupidi pensieri. “- No, lei non c’entra nulla, non si preoccupi. In effetti la sua compagna ha ragione, io qui sono sul serio fuoriposto… inoltre le feste non hanno mai fatto per me, ancor meno se non sono desiderata, come mi è parso di capire.” concluse la donna, lanciandogli un’ultima occhiata ma nel voltarsi, si sentì, inaspettatamente, afferrare per un polso. “- Non se ne vada, la prego, resti! Leon sarebbe contento di sapere che c’è anche lei! Ormai passa più tempo lei con mio figlio che io…” sentendo quella presa al suo braccio il cuore di Angie, non sapendo spiegarsi il perché, accelerò di un numero sconsiderevole di battiti: non si aspettava un gesto del genere, men che meno da quel glaciale del suo datore di lavoro.
“- D’accordo. E comunque dovrebbe passare del tempo con il suo ragazzo, penso che non possa fargli che bene… e forse anche a lei.” Sentenziò in maniera criptica Angie, lasciando l’uomo a bocca aperta in confusione e allontanandosi a passo svelto verso la folla che fissava tutta in direzione dell’accesso al giardino: Leon Galindo, in uno splendido abito elegante blu notte, stava facendo il suo grande ingresso e tutti presero a battere le mani per accoglierlo. Un gruppo di ragazzi subito gli si avvicinò, “rapendolo”, letteralmente, per festeggiarlo come di dovere, mentre il buffet veniva ufficialmente aperto.
 
 
“- Amico, ora sei vecchione!” un moro dai capelli corvini diede una forte pacca sulla spalla a Galindo che per poco non lo fece ruzzolare in avanti ma ebbe il risultato di farlo soltanto ghignare soddisfatto. “- Il mio amico Dieguito! Da quant’è che non ti fai vedere al Club, eh? Paura del doppio a tennis contro me e Federico?” rise Leon, facendo sgranare gli occhi verdi al giovane e sghignazzare un altro dei suoi amici intimi, il giovane ragazzo di origini italiane, Federico Bianchi. “- Finché mi mettete in coppia con Calixto mi rifiuto di giocare!” concluse Diego, facendo avvicinare un altro ragazzo frequentatore del gruppo e amico di Leon, Andres. “- Mi avete chiamato?” domandò lui, comparendo da dietro le spalle di alcune ragazze che fece sobbalzare, compresa la sua fidanzata, già in vistoso imbarazzo, Libi. “- Sarà divertente vincere, vero amico?” rise l’italiano, dando il cinque al suo compare di malefatte che sorrise soddisfatto, annuendo con decisione. “- Permesso, fate passare la stella della festa! Leon, amico! Tanti cari auguri!” eccola, la supernova del Country Club, nonché ricchissima figlia degli avvocati più celebri di tutto il sud America: la bella Ludmilla Ferro, in un succinto abito di seta rosa e tacchi dorati, si avvicinò al resto dei giovani invitati e, sotto lo sguardo di tutti gli altri, gettò le braccia al collo di Vargas che la strinse a sé… la ragazza era la sua migliore amica da sempre, erano cresciuti insieme e mai e poi mai avrebbe fatto parte delle sue conquiste, nutriva fin troppo affetto nei suoi confronti. Diego, dal canto suo, prese a fissarla con ammirazione e malizia dalla testa ai piedi e subito Federico finse di sorreggerlo da un eventuale svenimento. “- Non sbavare troppo, amico! Non ti vuole! Sei troppo… intraprendente per lei!” rise Bianchi, figlio di uno dei medici più importanti di tutta la capitale Argentina. Dominguez lo guardò con aria di sfida e lo scostò da sé in malo modo, offeso per quella figuraccia, seppur l’amico avesse solo mormorato quella frase: era permaloso, soprattutto se si trattava della ragazza che sognava da una vita ma che, quasi impaurita dal suo essere frequentatore di molte coetanee allo stesso tempo, l’aveva sempre snobbato. “- Ragazzi non vi azzardate a litigare e a rovinarmi il compleanno o ve la vedrete con me!” il tono minaccioso di Leon che, sott’occhio, aveva seguito il bisticcio, fece subito riavvicinare Diego a Bianchi a lui ed entrambi, fissandosi in cagnesco, annuirono al capetto del loro gruppo restando in silenzio. Leon era così: il figlio del proprietario del loro ritrovo, il Club più in della capitale, frequentato solo dai membri più influenti della città.
“- Ludmilla, leva le tue zampacce dal mio tesoro…” quella voce così irritante era famosa a tutti i frequentatori del Country… Lara Gonzales, la famosa numero 26, si avvicinò ancheggiando al castano che le sorrise subito, schioccandole un focoso bacio sul collo. Non era la sua ragazza anche se lei, evidentemente, era convinta del contrario… eppure tutti sapevano le regole del catalogo, il ‘TRExNO’ come lo chiamava Galindo:

1. NO IMPEGNI SERI.
2. NO RIFIUTI.
3. NO NOIA.

Lara, compiaciuta da quell’accoglienza calorosa, subito si strinse al ragazzo sotto lo sguardo irato della Ferro che non le rispose giusto per rispettare il volere del suo amico: niente risse… o le avrebbe volentieri strappato qualche ciocca castana a mani nude! La detestava, era gelosa del suo Leon, lei era solo un’arpia, una sanguisuga che si divertiva ad andarci a letto e a considerarlo “di sua proprietà”, manco fosse un soprammobile! Ludmilla, per quanto odiosa, vanitosa e amante dell’ostentare le sue ricchezze, era educata e detestava tutta quella questione del catalogo, ma l’accettava… di certo non per lei stessa! Lei mai e poi mai sarebbe caduta in quella rete ma se Galindo era felice così non la disturbava più di tanto, continuando comunque a detestare tutte quelle che facessero parte di quell’elenco di conquiste, in particolare quella tizia, odiosa e irritante.
Mentre le ragazze cominciarono a parlare di makeup, ragazzi e ultime mode dalle passerelle di Milano, Leon, Federico e Diego si erano allontanati dalla piscina e dal vociare assordante, per andare a sedersi sotto un albero con aria annoiata come al solito. “- Ehi amico, ma chi sono le bellezze che sono venute a vivere qui di cui mi hai parlato? Ce le vuoi tenere nascoste, eh?” Diego prese a guardare tra la folla: di lì aveva un’ ottima visuale di tutta la gente intervenuta alla festa e, subito, puntò una bionda alta e dal fisico longilineo seduta con una ragazzina semi coperta da lei, in disparte da quel caos di persone. “- Chi è quella bomba sexy?” urlò poi subito, scattando in piedi e indicando la direzione in cui era la Saramego, assottigliando gli occhi per vederci più chiaro. “- Diego, tieniti forte e frena gli ormoni… lei è la mia nuova istitutrice. Ti avevo detto che era uno schianto!” sentenziò Leon, con un ghigno soddisfatto. “- Diamine, io mi trasferisco a casa tua! Posso?” Federico non esitò ad autoinvitarsi alla villa per stare con l’insegnante ma l’amico scosse il capo con fermezza. “- Scordatelo, Bianchi! Chi ti sopporta poi sempre tra i piedi?! Prima o poi Angie sarà mia, ne sono certo.” Sbottò il padrone di casa, con un sorrisetto malizioso, osservando che la Saramego si stesse alzando proprio in quell’istante, liberando loro la visuale alla ragazzina,  timidamente seduta da sola che però, fissava da lontano nella direzione degli invitati più giovani.
“- E la mocciosetta?”domandò sempre Dominguez, continuando però a seguire la più grande dirigersi al tavolo del buffet. “- E’ la figlia.” Commentò gelidamente Leon, abbassando poi gli occhi sull’erbetta che gli solleticava le gambe anche attraverso i pantaloni. Quella ragazzina per lui era una fissazione: da qualche giorno non faceva che desiderarla, che volere farla sua… e più lei scappava, più lui ne rimaneva seriamente attirato. “- E’ carina! Certo, la madre è la madre… però anche la ragazza potrebbe finire nel tuo catalogo!” commentò Federico, facendo scattare in piedi Leon che prese a scuotere il capo con decisione. “- Quella lì è una santarellina, scordatevelo… e poi non è la tipa che fa per me…! All’inizio addirittura fuggiva non appena mi vedeva! Sono così brutto?!” sghignazzò lui, appoggiandosi distrattamente con la schiena alla corteccia umida dell’ albero, continuando a guardarla. “- Non lasciarti abbindolare, le santarelline spesso sono le peggiori!” borbottò Diego, alzando gli occhi per fissare un impassibile Galindo. “- No, ha ragione Leon, nemmeno io dico che ce la farà a conquistarla e a farla diventare la numero 96… ha quasi più probabilità con la madre che con la figlia secondo me!”. A quelle parole, Bianchi scattò in piedi e, con le mani in tasca, fece cenno con il capo a Diego di seguirlo per andare via da lì, consapevole di aver stizzito abbastanza il figlio del padrone di casa. “- Fermi dove siete!” Leon con tono minaccioso li fece voltare di scatto e sul viso di entrambi gli amici si disegnò un ghigno furbo… sapevano come innervosirlo alla perfezione, che Galindo non si lasciasse mai provocare in quel modo, sapevano quanto amasse le sfide e da quando giocavano al Club, che si trattasse di golf, tennis o salto ad ostacoli al maneggio, mai aveva rifiutato una proposta di gara, di qualunque genere si trattasse. I due amici gli si avvicinarono lentamente, Diego incrociò le braccia al petto e Federico fissava Galindo come in attesa di qualcosa che già sapeva… sapeva cosa avrebbe fatto il ragazzo ma sentirselo dire da lui stesso sarebbe stato il massimo!
“- Forse non capite! Io ottengo sempre quello che voglio e se Leon Galindo la vuole conquistare, Leon Galindo l’avrà.” Sbottò quasi arriabbiato dall’affronto, il festeggiato, “- Non ce la farai mai, amico! Non si innamorerebbe mai di un depravato come te!” rise Federico, piegato in due per la sua stessa frase. Violetta ancora se ne stava buona, buona al suo tavolo con Angie, a guardarsi intorno con aria estasiata, sognante per tutto quello sfarzo che la circondava e ignara di quello che i tre stavano complottando.
“- Io voglio dargli fiducia… buona fortuna amico, con quella ne avrai bisogno!” commentò Diego, per poi prendere a riflettere di nuovo: “- Se tu ti conquisti la ragazza, la bambola bionda puoi lasciarla al tuo amico spagnolo?” sentenziò dopo qualche secondo di silenzio, lasciando gli altri due divertiti. “- Sei già cotto di una bionda! Ti piacciono proprio quelle dai capelli chiarissimi, eh?” rise Federico, questa volta facendo ghignare il moro. “- Ludmilla non mi vuole! So che puo’ apparire assurdo ed in effetti lo è… eppure è così!” sbottò Dominguez, rassegnato. “- Se la Ferro non ti vuole è solo perché sei peggio di me e Galindo!” lo corresse Federico, facendogli assumere una buffa espressione poco convinta. “- Violetta sarà mia, solo mia.” sentenziò, tornando serissimo, Leon, interrompendo quella baruffa tra gli altri due amici. “- Sarà pure mocciosa e santarellina, ma penso che non ti sia molto indifferente… sappi che ti crederemo che ci stai insieme solo nel momento in cui ti bacerà davanti a tutti al Club.” sottolineò Federico, stringendogli la mano poco dopo l’altro, soddisfatti della decisione del loro capetto e sancendo quella sorta di patto. Erano così certi che quella ragazzina mai e poi mai avrebbe ceduto al loro amico e ai suoi modi poco romantici… pregustavano già il fatto che Leon si fosse arreso. Il padrone di casa, dal canto suo sorrise: altro che Angie! Da quel momento in poi la sua conquista alla figlia della sua istitutrice sarebbe cominciata e, prima o poi, l’avrebbe fatta rassegnare a sé, al suo essere. La festa continuava ma lui, per tutta la sera, aveva quell’unico pensiero fisso: far cedere Violetta La Fontaine.
 
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Aiuto! Leon è decisissimo all’opera di conquista! Ma così ancora non ci siamo, caro Vargas… anzi, Galindo! Ed eccoci al 5° capitolo, nuovi personaggi fanno il loro ingresso in scena: il trio malefico composto da Diego, Federico (attenti a Bianchi, io vi avverto! XD) e Leon ne combinerà di tutti i colori… abbiamo poi Lara la sanguisuga… >.< e Ludmilla, che sarà un personaggio positivo per tutto il seguito della storia… beh, già il fatto che odi la numero 26 ce la farà adorare! XD E abbiamo anche la prima conversazione Pangie… awww *_* Questo capitolo mi convince e la cosa è strana dato che non sono mai soddisfatta dei miei scritti! XD Mi piace soprattutto la parte di Narciso,: l’incontro scontro a tre tra Angie, Vilu e Leon! Fatemi sapere che ve ne pare… alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 6
*** Iniziare la conquista. ***


Violetta se ne stava silenziosamente seduta alla specchiera e spazzolava la sua folta chioma castana: non poteva credere a quello che aveva visto a quella festa, non riusciva a realizzare. Leon, a parte un breve lasso di tempo in cui l’aveva perso di vista, verso la fine del party, era sempre stato appiccicato a più di una ragazza, aveva accolto una castana con un focoso bacio e non si era fermato a lei, anzi! Un'altra decina di giovani coetanee lo avevano affiancato fin troppo per tutta la serata e lui era parso decisamente soddisfatto e felice di tutte quelle attenzioni così… calorose. Lo sbattere della porta la fece sobbalzare e Angie, senza dire una parola, si sedette sul letto per togliersi quelle scarpe, la tortura della serata ma non la peggiore di tutte: era chiaro che la padrona di casa la detestasse ma Pablo era stato stranamente meno glaciale del solito e era stato lui a trattenerla alla festa… la cosa le aveva fatto davvero molto piacere, lasciandola sorpresa. Probabilmente senza la sua intercessione quel party in grande stile, per lei, sarebbe finita in camera sua ancor prima dell’arrivo di Leon in giardino.
“- Angie…” la ragazza la fece letteralmente saltare dal letto per lo spavento. “- Vilu! Non pensavo fossi già in stanza! Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò la bionda, entrando nella cabina armadio per togliersi anche quell’imbarazzante abito di Jade. “- Scusa non volevo metterti paura, pensavo mi avessi vista.” mormorò la giovane, posando la spazzola sul tavolo davanti a sé e rimirandosi più volte nello specchio: afferrò un batuffolo d'ovatta con dello struccante e cominciò a togliersi tutta quella roba dalla faccia… non vi era molto abituata e ammise che, in fondo, si preferiva senza. “- Ti è piaciuta la festa?” la voce della Saramego proveniva dal guardaroba e la giovane, scosse il capo, continuando a ripulirsi il viso. “- No. O meglio sì, io avrei sempre desiderato un compleanno così… non mancava nulla: abiti super cool, cibo squisito, invitati di prim’ordine, auto di lusso…” la ragazza sospirò e, alzandosi di colpo, andò a sedersi sul bordo del letto con aria perplessa. “- …Ma c’è qualcosa che non ti convince… o sbaglio? Cos’è che non ti è piaciuto?” Angie, in una lunga camicia da notte, uscì dalla cabina e le si accomodò accanto, accarezzandole dolcemente i capelli mentre lei le poggiò la testa sul petto: adorava Vilu, era come la figlia o la sorellina che non aveva mai avuto… avendola cresciuta praticamente da sempre erano legate da una forza indissolubile e anche la giovane la considerava più che un’amica di suo padre: la Saramego conosceva bene persino Esmeralda e aveva voluto molto bene anche a lei… in qualche modo la ragazzina la vedeva come un punto di riferimento, una persona di cui potersi fidare e che l’amava da morire… di certo molto di più di quella perfida zia che era Jade. “- Leon non mi è piaciuto… per niente.” Sentenziò la castana, prendendo un profondo respiro di rassegnazione. L’erede di Galindo era proprio come aveva detto Angie: era amante della vita sregolata! La storia del catalogo non poteva che essere vera considerato tutte quelle ragazze che se lo spupazzavano al party… altro che buffone! Era un caso disperato e, analizzandolo quella sera, ne aveva la certezza. “- Lo hai visto? Tutte quelle giovani… come le guardava, che atteggiamenti aveva con loro… Angie io ho preso una decisione: rinuncio ufficialmente al mio piano.” Sbottò la La Fontaine alzando lo sguardo e incrociando gli occhi verdi della donna che le regalò un mezzo sorriso sornione. “- E’ la cosa giusta da fare. Quel ragazzo è… strano.” commentò la donna, schioccandole poi un bacio sulla fronte e stringendola a sé. La Saramego non riusciva proprio a comprendere come Pablo, così serioso e rispettabile, consentisse al ragazzo tutti quegli svaghi senza batter ciglio… non poteva crederci! Il ragazzo era allo sbando completo e, sicuramente, era tutto dovuto alla perdita della madre: Il giovane non si era mai ripreso da quel brutto trauma e, evidentemente, allontanava così il suo dolore. Il padre, probabilmente dal canto suo, permetteva di tutto al figlio sperando di colmargli quel vuoto così profondo che Clara aveva lasciato e sbagliava, inconsapevolmente, ma sbagliava, concedendogli più del dovuto.
“- Farò la brava e gli girerò alla larga.” commentò Violetta restando stretta alla bionda. “- Già… è molto affascinante e mi sarebbe piaciuto fidanzarmi con lui per avere tutto questo lusso… però no. Prima di tutto ho capito che non sarebbe stato giusto ingannarlo così, non so cosa mi sia saltato in mente quando ho avuto quell’idea… e poi non credo che sia un bene avvicinarsi a lui, in ogni senso.” concluse la ragazza, alzandosi e cominciando a camminare aventi e indietro per la stanza. “- Ottimo, sono felice che tu abbia rinunciato a quel piano assurdo!” rise Angie, facendola fermare di colpo. “- Non so cosa mi fosse preso quando l’ho soltanto ipotizzato! Anche Leon non fosse stato così e fossi stata costretta a rinunciarvi in partenza, come avrei potuto tentare di fare una cosa simile?” esclamò la castana, mentre la bionda cominciò a fissarla e a sentirsi in colpa: la vicinanza con lei, ex truffatrice, l’aveva potuta compromettere in quell’atteggiamento? “- Colpa mia, come al solito!” mormorò con un filo di voce l’istitutrice, facendo sgranare gli occhi scuri all’altra. “- Ma cosa dici? Non sentirti responsabile! Guarda che l’idea è stata mia e soltanto mia! Sai quanto ami il lusso e gli sfarzi… ma evidentemente sono soltanto ambiziosa, restando la solita persona fragile che conosci anche tu! Tu sei cambiata, ora sei così responsabile e non mi hai mai incitata con quella follia, anzi!” Il tono dolce rassicurò la bionda che si andò a stendere, finalmente, sotto le coperte. “- Dai, vieni a dormire anche tu! So che non è poi così tardi ma domani abbiamo la sveglia all’alba… che quel pigrone di Galindo junior, non appena spunteranno le prime luci del giorno dovrà studiare visto che oggi non ha voluto fare un tubo con la scusa del compleanno!” ridacchiò la donna, facendo sì che anche Violetta scostasse la trapunta per mettersi comoda a letto accanto a lei. “- Non è un pigrone! L’hai sentito come raccontava alla perfezione la storia di Narciso? L’aveva imparata bene!” lo difese la ragazza, appoggiando delicatamente la testa sul guanciale. “- Adorava quell’argomento… chissà perché!” mormorò Angie, girandosi sul fianco, verso la giovane ma sapendo bene il motivo che subito sottolineò la LaFontaine: “- Ci si rispecchiava molto, evidentemente!” sbottò infatti la più giovane, con tono freddo e incolore. “- Già… e comunque è un ragazzo intelligente e riuscirò a fargli prendere quel dannatissimo diploma anche se ha perso vari anni a causa delle sue malefatte, che gli piaccia o no quest’anno ce la farà!” esclamò la Saramego con una grande decisione negli occhi verdi tanto che la castana rabbrividì di colpo al solo guardarla. “- Che non sia un tonto ne sono certa… ma sarà dura farlo concentrare su qualcosa che non gli piaccia e che non riguardi il suo prezioso catalogo… in bocca al lupo!” rise, per poi allungare un braccio verso il comodino per spegnere l’elegante abatjour che, nel buio della camera, aveva donato ancora un filo di luce alle due.
 
 
Leon, quella notte, era tornato più tardi del solito e stava risalendo le scale con noncuranza: il casco stretto nella mano destra e l’aria di chi si era divertito anche troppo. Ogni gradino era come un monte insormontabile da superare e la testa gli girava come ogni qual volta ritornasse dal Club a quell’ora… eppure, forse assuefatto agli alcolici, sentiva di non aver perso ancora del tutto la lucidità. Il grosso e antiquato pendolo in salotto segnava le 4:45 e lui quasi si compiacque nel notare che fosse già l’alba… anche quel dannato compleanno era finalmente passato e, come al solito, nel migliore dei modi tra ragazze, fiumi di bibite e musica assordante… mica come quella festa da vecchi organizzata da suo padre, o meglio, da quell’arpia di Jackie? Leon si appoggiò al corrimano di botto, sentendo la terra tremargli sotto ai piedi: erano stati i troppi cocktail a fargli quell’effetto o il solo pensiero di quella strega manipolatrice? Non sopportava l’idea che quella tizia stesse abbindolando suo padre, nessuna, soprattutto lei, avrebbe mai preso il posto di sua madre. Ingannare. Lo stava ingannando per i suoi soldi, Leon ne era certo. Ingannare… lui non avrebbe fatto lo stesso con quella Violetta solo per mostrare a tutti che Galindo aveva sempre ciò che voleva? Tutta la sera il pensiero di quelle parole sicure, dette a Federico e Diego lo aveva tormentato ed era strano per uno come lui sentirsi in quella maniera: lui non si faceva scrupoli, soprattutto in fatto di universo femminile. Se lui era davvero Leon Galindo, quel Leon Galindo, perché il pensiero di tradire la fiducia di quella ingenua e fragile ragazzina gli faceva così male? Neanche se l’avesse chiamata a gran voce nel silenzio tombale della casa, nell’ombra del corridoio, scorse una figura minuta che camminava a passo lento, fermandosi di tanto in tanto ad osservare quadri, gingilli e busti di antichi antenati dei Galindo intorno a lei.
Leon, seppur avesse alzato un po’ il gomito, non poté evitare di notarla, era quasi una figura aurea in una lunga vestaglia bianca e con i capelli che le ricadevano dolcemente sulle spalle… doveva provare ad iniziare subito un approccio con lei e sfoderò le sue migliori armi di seduzioni, o meglio, le uniche che conosceva: quelle maliziose. “- Non riesci a dormire?” borbottò, scoppiando poi in una fragorosa risata. Già a quella frase, essendo di spalle a toccare una sorta di mappamondo alquanto antico, la giovane era sobbalzata… quello sghignazzare poi, le mise ancor più paura… era una risata malvagia e di qualcuno che aveva bevuto alquanto, era evidente: emanava puzza di Martini a chilometri di distanza e lei, sentendo le gambe immobilizzarsi, non riuscì a fare altro che specchiarsi in quei due grandi occhi verdi che la squadrarono dalla testa ai piedi. “- No, stavo solo andando a prendere un bicchiere d’acqua.” balbettò, incatenata a quello sguardo, così profondo eppure così vuoto. “- Vieni, in camera mia ce n’è molta, una cascata intera…” le soffiò maliziosamente Leon ad un centimetro dal suo collo, sporgendosi verso di lei per depositarle un focoso bacio che Violetta, con un balzo laterale, evitò, provocando però la caduta di un enorme vaso, probabilmente di grande valore, su un tavolinetto alla sua sinistra. “- No, grazie… piuttosto muoio di sete.” Mormorò la giovane, fissando come imbambolata i cocci sul tappeto al di sotto dei suoi piedi.
“- Cosa è stato questo rumore?” Una voce li fece sobbalzare e dalla propria camera, ad affacciarsi verso di loro in corridoio, per poi prendere subito correre verso la ragazza, fu proprio Angie. “- Leon! Che ci fai in piedi a quest’ora e… vestito? Dov’eri? Non dirmi che stai rientrando adesso?” le mille domande della donna fecero storcere il naso al ragazzo che, con un ghigno, si andò ad appoggiare alla stipite della sua stanza: “- Non ti riguarda, tesoro. Non sei mia madre e mai lo sarai, come nessun altra donna su questo pianeta.” Sentenziò con un sibilo glaciale lui, aprendo la porta e fiondandosi in camera sua, sbattendola con forza. Angie prese un profondo respiro e poi strinse una mano a Violetta che tremava ancora come una foglia. “- Stai bene?” le sussurrò all’orecchio, facendola annuire lentamente, lo sguardo fisso di fronte a sé, vuoto e impaurito. “- Cosa ci fai in piedi anche tu?” domandò la Saramego, inginocchiandosi e tentando di raccogliere i cocci del prezioso oggetto distrutto per disfarsene e nascondere le prove del danno. “- Volevo bere, nient’altro.” Riuscì a dire la ragazza, per poi genuflettersi anche lei e iniziare ad aiutare la bionda. “- Va’ in camera e chiudi la porta… qui ci penso io o potresti tagliarti.” Le ordinò la donna, facendo sì che Violetta scattasse prontamente in piedi ed eseguisse il comando di Angie, ancora scossa. Leon le aveva davvero detto quella frase maliziosa o se l’era sognata? Sul serio voleva portarsela in camera? Doveva essere parecchio ubriaco o fin troppo malizioso per farle una proposta del genere… anzi no. Lui era sempre così evidentemente, sobrio o brillo che fosse! Si gettò sul letto e si rannicchiò in posizione fetale… come aveva solo ipotizzato di poter amare, anche se solo per soldi, un ragazzo come quello? Come aveva pensato di poter amare solo per la ricchezza? Era stata paralizzata quando l’aveva incorciato… quegli occhi erano così spenti eppure erano due calamite per i suoi che non riuscivano a staccarsi da loro… scosse il capo e strinse ancor di più le ginocchia al petto: Leon Galindo era pericoloso, ne era certa e doveva evitarlo.
“- Eccomi… ora mi spieghi cosa è successo?” Angie apparve sull’uscio e si voltò verso la porta per chiuderla, dall’interno con una decina di mandate, per sicurezza sua e della ragazza. “- Era ubriaco, suppongo… o forse era il solito Galindo di sempre.” Sentenziò lei freddamente, come per giustificare l’atteggiamento del figlio di Pablo. “- E quindi? Cosa ti ha fatto? Dimmelo, dannazione!” la voce della bionda era preoccupata e, senza più riuscire a pensare ad una bella dormita, cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, con la mente affollata di preoccupazioni. “- Nulla, voleva… portarmi in camera sua.” Sussurrò la ragazzina, aspettando la reazione dell’altra che non tardò ad arrivare, con la stessa furia di un torrente in piena.
“- CHE COSA VOLEVA FARE?” l’urlo di Angie la fece sobbalzare. La donna si voltò di scatto e si avvicinò all’entrata della stanza con un'unica intenzione: andare a svegliare dal sonno il padre del giovane e parlargli subito! Era una situazione insostenibile e finalmente, non stentò a credere il perché delle varie rinunce da parte delle altre istitutrici! “- Non farlo! Non parlare a Pablo, non adesso!” la vocina flebile di Violetta fermò la mano della Saramego, già sulla chiave, pronta a girarla per uscire di lì. Angie si voltò e si appoggiò con la schiena alla porta, fissando in cagnesco la ragazza che si era alzata in piedi e le si stava avvicinando lentamente, ancora tremante come una foglia. “- Domattina se vorrai, ma non è successo nulla di così serio.” Sentenziò, ottenendo, come risultato, di far innervosire ancor di più la donna: “- NULLA DI COSI’ SERIO? NULLA, DICI? COME PUOI DIRE UNA COSA DEL GENERE!” le urla di Angie invasero la camera come un uragano e la giovane tentò di calmarla prendendole le mani, ma fu tutto inutile: la donna continuò ancora a gridare e ad agitarsi: “- Ah, ma domani Galindo senior mi sentirà! O prenderà provvedimenti o ce ne andremo, definitivamente.” Sbottò, mentre la ragazza l’abbracciò di colpo, facendo sì che si zittisse e la stringesse forte a sé. “- La mia povera piccoletta…” sussurrò dolcemente la donna, dandole un bacio sulla sommità del capo, per poi condurla, tenendole la mano stretta, stretta, a letto, sperando che tutto quel movimento notturno fosse terminato lì.
 
 
Il tavolo della colazione era già ricco di cibo di ogni tipo quando Angie e Violetta scesero per sedersi con il resto della famiglia tra cui, ovviamente, mancava Leon. Jackie Saenz, già “accecantemente” ingioiellata ed elegantissima, se ne stava composta come una gran dama, alla destra di Pablo che, a capotavola, anche alle 8:30 del mattino riusciva ad essere serioso e indaffarato: fissava il suo tablet con aria affranta e vi armeggiava freneticamente, ignorando del tutto le conversazioni superficiali e vanesie della fidanzata che, non appena vide arrivare le ospiti, puntò i suoi occhi scurissimi sulla bionda che, furiosa per l’accaduto della sera prima, neppure la notò. “- LEI!” urlò, strappando il mini computer dalle mani del padrone di casa che la fissò stupito da tale gesto. “- Mi scusi?” domandò con calma, sgranando gli occhi neri e analizzando l’espressione furiosa di Angie, mentre la ragazzina, preoccupatissima e in silenzio di tomba, aggirò i due e andò ad accomodarsi al suo solito posto, sperando che la discussione non sarebbe degenerata troppo. Sapeva che la donna si sarebbe fatta sentire ma non si aspettava una piazzata di quel genere già alle prime luci del giorno e, per altro, di fronte alla Saenz che la studiava con attenzione ed aria disgustata. “- Sì, proprio a lei, dico! Le restituirò il tablet quando avrò terminato di parlare e lei mi avrà ascoltato!” sbottò la bionda, diventando subito paonazza fino alla punta delle orecchie, gridando come una forsennata.
“- TENGA A BADA QUEL DEPRAVATO DEL SUO FIGLIOLO CHE STANOTTE E’ TORNATO UBRIACO E, PER GIUNTA, HA TENTATO DI PORTARSI IN CAMERA VIOLET… MIA FIGLIA.” Le urla di Angie arrivarono sino alla cucina, tanto che Olga, la cuoca e Roberto, il braccio destro tutto fare di Galindo, si affacciarono sull’uscio della sala accanto per assistere alla scena. “- Prima di tutto moderi i toni e si calmi… sembra un’oca impazzita!” la vocina pacata e irritante della compagna di Pablo innervosì, se possibile, ancor di più la donna… e solo dopo qualche secondo si rese conto di quell’insulto ricevuto! Era bastato il tono odioso a farla voltare di scatto verso di lei. “- Oca impazzita a chi? Signorina, sono già stata clemente alla festa, tacendo su ciò che mi ha detto… ora mi sono stancata! Lei non è nessuno per rivolgersi a me così, inoltre non parlavo con lei, bensì con il padre del ragazzo!” Jackie ritornò ad imburrarsi in silenzio una fetta biscottata con noncuranza, mentre Angie, soddisfatta della partaccia fatta alla donna, aveva di nuovo preso a fissare con stizza Pablo che, stanco di quelle grida, scattò in piedi e sbatté una mano sul tavolo con forza, facendo saltare dalla sedia sia la Saenz che la giovane La Fontaine. “- Posso capire cosa è successo, Violetta?” domandò poi, rivolgendosi alla ragazza che, nel sentire il suo nome, sobbalzò di nuovo e fece cadere un cucchiaio colmo di zucchero sul tavolo invece che nella sua tazza di latte. “- Quello che ha detto mia… madre.” Balbettò in vistoso imbarazzo, la giovane, riprendendo a bere un piccolo sorso della bevanda. “- Era ubriaco! Capisce? UBRIACO! O forse era come al solito… in ogni caso è rientrato tardissimo e ha… detto quello che ha detto a Vilu!” riprese a strillare Angie, andando finalmente a sedersi accanto alla figlia fasulla e di fronte alla Saenz. “- Lo fa spesso, lo so.” Esclamò piano Galindo, abbassando gli occhi nuovamente sul suo prezioso oggetto, restituitogli dalla bionda che quasi glielo aveva lanciato sul tavolo, di fronte a lui. “- Ah, quindi lo sa, ottimo! E pensa di fare qualcosa per questa spregevole situazione? Consente sempre a suo figlio di fare quello che vuole? Uscire tutte le sere, avere un centinaio di ragazze alla settimana e chissà cos’altro? Complimenti, lei sì che è un genitore modello, la dovrebbero premiare come ‘Padre dell’anno'!” sbottò ancora lei, prendendo nervosamente un muffin allo yogurt e addentandolo con foga. “- Non si permetta! Lei non sa cosa abbiamo passato io e mio figlio! Non le consento di dire una cosa del genere su di me e di contestare i miei metodi educativi!” stavolta, anche il tono di Galindo era alquanto alterato e, se un secondo prima si era risieduto, ora era di nuovo scattato in piedi come se avesse preso la scossa nel sentire quelle parole. “- Quali metodi educativi? Suo figlio non sa neppure cosa sia l’educazione! E se li contestavo già quando sono arrivata ed ho preferito tacere ora no, se si tratta di Violetta, non me ne starò zitta!”. La Saramego, che con il dolcetto tra le mani, sembrava essersi calmata, ora era nuovamente furiosa e la sua voce era di nuovo alta. “- Se si dovesse ripetere un evento simile… io e Violetta ce ne andremo all’istante… inoltre lo dico per lei: continui così e suo figlio le sfuggirà ancor di più dalle mani e, ovviamente, dopo non potrà fare realmente più nulla per recuperare un rapporto civile con lui.” A quelle parole, Angie si alzò e, lasciando il muffin non finito sul tavolo, si allontanò a passo svelto diretta verso le scale dove, suo malgrado, stava scendendo proprio Leon che attirato dalle troppe grida e ancora con aria assonnata e stravolta, subito sorrise alla donna che lo fissò in malo modo. “- Ehi bellezza, cos’è quella faccia…? Hai dormito male?” rise il giovane con voce impastata dal sonno e sbadigliando rumorosamente, mentre la donna, afferrandolo per un braccio, se lo trascinò di colpo nella sala da pranzo, lasciandolo piacevolmente sorpreso per quel contatto e quella foga.... “- Leon! Cosa diamine hai fatto stanotte?” il padre, non appena lo vide, gli si avvicinò con tono autoritario e lui, per tutta risposta, ghignò.
“- Non mi ricordo molto… anzi sì, aspetta… la tua noiosissima festa, il Country Club, la discoteca… e poi mi ricordo di essermi svegliato nel mio lettino con queste grida isteriche della bomba qui presente… certo che pure tu, padre, potevi abbassare la voce! Che avete stamattina? Divertitevi un po’ di più e vedrete che sarete tutti molto rilassati! Come me…” il tono ironico e, allo stesso tempo malizioso, nonostante tutto fece sbiancare Pablo e Angie ma sogghignare Violetta… non si ricordava nulla? Possibile? Non ci credeva neppure un po’, lui non era il tipo da non reggere tutto quell’alcool e poi la faccia troppo da santarellino che aveva assunto lo tradiva ancor di più. “- Non ricorda, perfetto…” mormorò, tra sé e sé, nervosamente, Pablo, portandosi una mano alla fronte con aria già stanca: se solo pensava che la giornata fosse appena cominciata gli venivano i brividi! “- Scusati con Violetta e Angie per favore! Avanti, muoviti!” ordinò l’uomo, in modo che, tutta l’attenzione, passasse di nuovo sul giovane che sorrise falsamente. “- Non so cosa abbia fatto ma mi scuso a priori. Ah, e di fronte la mia porta c’è un vaso Ming distrutto, in particolare quello che sembra un urna per ceneri… il più inquietante insomma! Sono quasi felice che ce lo siamo tolto dai piedi! Era orrendo… però una cosa strana c’è: i frammenti erano appena sotto al tappeto ma non tutti… forse avrò rotto io anche quello e avrò rimesso anche a posto, chissà!” ghignò il ragazzo, tradendosi palesemente e forse, volutamente, dal ridere ancor di più: ricordava! Ricordava eccome! Angie e Violetta si fissarono con la stessa unica idea… Leon aveva finto alla perfezione e, come al solito, si era rigirato come meglio preferiva suo padre che, nel sentire le scuse, si era subito riseduto e aveva ripreso a lavorare con aria distrutta. Le due non aggiunsero altro e la colazione proseguì silenziosa: il figlio di Galindo si sedette all’altro capo del tavolo, alla destra di Violetta che evitò accuratamente il suo sguardo per tutto il tempo, mentre quella che lo studiava con nervosismo era invece Angie a cui lui, con aria innocente, di tanto in tanto, ghignava soddisfatto, avendo compreso che la bionda e, probabilmente anche la figlia, avessero intuito della sua bugia.
La prima ad alzarsi da tavola fu Violetta che, velocemente, si diresse in giardino, per prendere un po’ d’aria… dopo quell’inizio di giornata ne aveva proprio bisogno! Inoltre aveva già alcuni luoghi preferiti e tutti si trovavano proprio fuori dalla villa: scese la scalinata biforcuta e, camminando, si ritrovò quasi all’ingresso, nei pressi della grande fontana vicino al cespuglio di calle a cui aveva strappato quel fiore meraviglioso la mattina della festa: era così bello che era custodito tra le pagine del suo diario segreto, insieme ai suoi racconti su quella nuova vita a casa Galindo. Violetta si andò a sedere su una panchina in pietra proprio tra quelle siepi, geometricamente scolpite e fissava di fronte a sé oltre il cancello che alla sua visuale era semi nascosto da alberi, statue e dalla stessa vasca rigogliosa. Nella sua mente un unico pensiero: Leon. Aveva mentito, ne era sicura! Voleva davvero portarsela in camera, altro che i fumi dell’alcool… era incredibile quel tizio!
“- Scommetto che stai pensando a me.” Qualcuno alle sue spalle la fece sussultare e, prontamente, scattò in piedi, avvicinandosi con la schiena al bordo della fontana che continuava a frusciare allegramente. “- Che vuoi? Non dovresti già essere a lezione invece di comparire di soppiatto per farmi prendere un colpo come al solito?” domandò stizzita, mentre Leon prese ad avanzare verso di lei. “- Avevo voglia di prendere una boccata d’aria… non posso per caso? Ti ricordo che tutto questo è mio!” Sentenziò Galindo, sorridendole astutamente e scrutandola con attenzione, per poi allargare le braccia, segno che la villa fosse unicamente di sua proprietà. “- Hai mentito, vero? Tu non eri ubriaco come volevi far credere… sei proprio tu ad essere così… così…” ma le parole non le vennero o, più semplicemente, riuscirono ad uscirle, probabilmente nel notare come il ragazzo le si stesse avvicinando ad ampie falcate, ridendo e annuendo: “- Così, come? Avanti, sono curioso…” soffiò il ragazzo ad un centimetro dal suo volto, prendendo a fissarle le labbra con desiderio… poi ritornò in sé, scuotendo il capo: non poteva era desiderio, era solo banalissima attrazione… ed era sicuramente dovuta al fatto che voleva provare a farla cadere ai suoi piedi con quel bacio, sin da subito, per poter poi vincere facilmente quella scommessa. “- Così depravato!” sbottò lei, raggirandolo agilmente e incamminandosi di nuovo verso la casa. “- Ah, e ti dispiace che io lo sia?” domandò dopo qualche secondo di silenzio Leon, facendola voltare di scatto. “- Vai a lezione che è meglio! La mia risposta potrebbe essere un’imprecazione!” sbottò Violetta, indicandogli le scale e riprendendo il suo percorso per rientrare in casa. Inoltre quel ragazzo era così detestabile che avrebbe preferito starsene chiusa in camera per tutta la mattina piuttosto che passare del tempo con lui! Salì i gradini a quattro per volta e scansò Roberto con aria stizzita, per avere accesso alla villa… il cuore le batteva ad un ritmo forsennato e, probabilmente, non era per la corsa fatta per raggiungere la casa: poteva quella vicinanza con quell’essere abbietto farla sentire così? Impossibile! No. Scosse il capo e, tenendosi al corrimano, si ritrovò velocemente nel corridoio del piano superiore, diretta alla sua camera: aprì la porta e la richiuse con alcune mandate, per sicurezza. Se la notte era stata movimentata… quella giornata si prospettava anche peggio! Si andò a sedere alla specchiera e, velocemente, estrasse da un cassetto il suo fido diario, il miglior consigliere di una vita: aveva tanto da raccontargli… l’erede di Galindo, ancora non sapeva ben dire come, si era impossessato totalmente della sua mente e non riusciva a cacciarlo via di lì. Come avrebbe potuto continuare a convivere con un tipo del genere? Sospirò e si gettò a pieno nella scrittura… la parola più ricorrente? Per quanto avrebbe voluto evitarlo fu inevitabilmente: Leon.
 
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Leon mette in pratica la sua opera di conquista per adempiere alla scommessa fatta con gli amici ma lo fa con metodi fin troppo… maliziosi! Altro che ubriaco! XD E’ così il ragazzo, ormai lo abbiamo capito! Mega rissa tra Pablo, Jackie e un’ Angie furiosa! E scena finale ancora Leonettosa… strano ancora il rapporto tra i due ma non temete… a poco a poco si avvicineranno in maniera più definita! Preparatevi che dal prossimo capitolo capiremo qualcosa in più su Pablo e, finalmente, sul sovrannaturale e su quei sogni di cui si parla nell’introduzione! Approfitto per ringraziare tutti coloro che seguono, leggono e recensiscono la storia! :3 Grazie di cuore, davvero! :D Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 7
*** Una notte in bianco. ***


Violetta era già a letto e dormiva, caduta in un sonno davvero profondo: quelle giornate a villa Galindo, seppur non dovesse lavorare e badare alla casa come, in passato, la obbligava a fare Jade, erano davvero stressanti. Fin troppo spesso, si ritrovava a fuggire da una parte all’altra di quella reggia per evitare di incappare in Leon che, invece, sembrava ci provasse gusto a seguirla per ogni dove. Il ragazzo riusciva a turbarla, ad ammaliarla… eppure la innervosiva anche terribilmente! Era uno screanzato, pervertito e anche buffone! Il suo diario ormai era zeppo di quei tipi di commenti relativi a lui e, scrivendo, era come se riuscisse a gridargli in faccia tutto ciò che pensava, un a sorta di valvola di sfogo contro quel tizio.
Quella notte però, Angie, dal canto suo, si rigirava nervosamente nel letto senza riuscire a chiudere occhio tanto che, ad un tratto, esausta di quella situazione, si alzò e si sedette sul bordo del materasso con i capelli arruffati e l’aria, nonostante tutto, assonnata. Perché aveva quella strana sensazione di ansia che l’affliggeva? Era forse per Leon che, temeva, avrebbe continuato a provarci con Vilu in quella maniera assurda? Anche lei aveva capito, come la giovane, che quella famosa notte più che ubriaco fosse lucidissimo… e, inoltre, era riuscito a far credere a suo padre ciò che voleva, scusandosi addirittura con entrambe, assumendo quell' aria da santarellino che non gli si addiceva affatto. Era incredibile come quel giovane riuscisse a raggirare Pablo a suo piacimento!
La bionda si voltò per un istante a guardare la ragazza che, rannicchiata su un fianco, riposava tranquillamente. “- Questa situazione mi farà impazzire…” sibilò, tra sé e sé, la donna, infilandosi poi le pantofole e avvicinandosi alla porta d’accesso alla loro stanza: forse una camomilla l’avrebbe calmata e, chissà, anche lei sarebbe riuscita a dormire in maniera serena, per quanto le sembrasse impossibile la sola idea. Aprì con la chiave e, estraendola dalla serratura, se la portò distrattamente nella tasca della lunga vestaglia bianca, di seta leggera che svolazzava a destra e a sinistra al minimo movimento della Saramego. Una volta fuori, tentò di chiudere la porta quanto più piano fosse possibile e, riprendendo l’oggetto appena riposto, diede alcune mandate di sicurezza al varco d’entrata alla stanza. L’idea di Violetta, da sola in camera, con quel diavolo in casa, l’agitava… quindi preferì chiuderla dentro per qualche minuto.
Il corridoio era illuminato da fioche applique moderne ma in stile classico, che diffondevano raggi smorti, di un tenue color arancio. Angie avanzò piano e si bloccò, preoccupata, fuori alla porta della stanza di Leon: chissà se stava già dormendo, chissà se non era dentro con qualcuna delle sue "amiche" di quel disgustoso catalogo… la donna rabbrividì a quel pensiero e riprese a camminare sempre a passo lento e felpato, provando a non fare troppo rumore. Quella casa era meravigliosa ma, da un paio di sere a quella parte, si rese conto di quanto potesse essere inquietante di notte, e non si trattava solo per l’incidente avvenuto proprio in quella parte del giorno tra Violetta e Leon… era come se, con il buio, quelle pareti diventassero più tetre o, semplicemente, che senza la luce naturale del sole, tutto fosse più malinconico… passandoci davanti, si accorse distrattamente, che la porta della camera di Pablo fosse spalancata e vuota, come se qualcuno fosse uscito di fretta… forse era anche lui in cucina per bere? O in bagno? Non vi diede troppo peso e continuò a riflettere sul figlio di quest’ultimo, fin troppo bizzarro. Le sue riflessioni, quando stava per imboccare le scale, furono interrotte da un forte sbattere di porta: Leon, quasi l’avesse evocato con il solo pensiero, vestito di tutto punto, un casco sotto al braccio e aria stranamente per nulla beffarda come al solito, aveva proprio tutto l'aspetto di chi stesse per uscire e fosse in ritardo. “- Leon…” la Saramego gli si avvicinò piano e lui, dopo averla squadrata, quello come faceva sempre, dalla testa ai piedi, ghignò soddisfatto. “- Prof… sempre bellissima!” sorrise, osservando i gradini alle spalle della donna, con l’aria di chi avesse fretta, molta fretta. “- Vorrei tanto fermarmi a… chiacchierare con lei ma devo scappare, sono già in ritardo.” sentenziò il giovane, facendole l’occhiolino e fissandola con un’ espressione meno allegra di come avrebbe fatto solitamente. Era così strano… cosa aveva? Perché voleva ‘scappare’, come aveva detto? Era un termine casuale o c’era qualcosa di più? Angie scosse il capo, probabilmente aveva solo voglia di correre dalla sua amante di turno… oppure sentiva proprio, così impellente, il bisogno di allontanarsi da quella casa? “- Dove vai? Che ore sono?” senza neppure guardare l’orologio il ragazzo rispose, stranamente, fin troppo in fretta. “- L’1:20. Ed io sono in ritardo, fammi passare!”sbottò glacialmente Leon, scostandola di lato con un gesto stizzito della mano e cominciando a scendere a grande velocità la scala, anche se la voce di Angie lo bloccò di colpo. “- Non puoi uscire! Tuo padre non ti ha detto nulla dopo l’ultima volta? Non posso crederci! Vado a cercarlo e ci parlo subito! Questa storia non puo’ andare avanti così! In camera sua non c’era sarà sicuramente al piano di sotto…” esclamò a tono alto, seguendolo quando lui riprese a camminare a passo svelto e rendendosi conto solo dopo che, il pendolo in salotto segnasse proprio l’ora esatta detta dal giovane… come lo sapeva così con precisione, senza dover neppure consultare l’orario? “- LEON! FERMO DOVE SEI!” ormai nel salone principale, la donna si bloccò proprio di fronte all’antico orologio che andava avanti e indietro nervosamente, quasi come il cuore del ragazzo che, al solo doversi fermare di fronte all'antico oggetto, sentì volergli schizzare fuori dal petto per l’agitazione e il nervosismo. “- Non ti riguarda dov’è mio padre, adesso! FATTI GLI AFFARI TUOI!” Galindo si voltò minacciosamente e le si avvicinò con aria furiosa, lasciando sconvolta Angie. “- C-come?” balbettò la donna, perdendo tutta quella sicurezza che era riuscita a mostrare in precedenza... cosa intendeva il ragazzo? E perché si era infuriato tanto urlando quella frase così criptica? “- Lascia stare, lo prenderesti solo per pazzo e non capiresti, come Jackie, come chiunque… solo io lo capisco, io e nessun altro!” era la prima volta che il figlio di Galindo usava quel tono: aveva abbassato le sue difese su quell’argomento e ad Angie non sfuggì: quella conversazione stava diventando piuttosto strana e ammise a sé stessa che la faccenda la inquietava… cosa nascondeva Pablo? Perché avrebbe dovuto prenderlo per pazzo? Dalla serietà con cui ne parlava il figlio non sembrava affatto uno stupido scherzo o qualcosa di poco conto!
“- Leon, cosa devo sapere? Ti prego, dimmelo!” la voce di Angie uscì quasi spezzata in un singhiozzo, ormai aveva paura per Violetta, per lei e sentì gli occhi pizzicarle per poi farsi subito lucidi. “- Vuoi sapere dov’è mio padre? Va bene, te lo dirò… ma non provare ad andare a disturbarlo o giuro che te la vedrai con me, e non sto scherzando!” Sentenziò Leon, sedendosi sul bracciolo di una poltrona, fissando il pavimento sotto di sé con una cupezza in viso con cui la donna, in quelle settimane, non l’aveva mai visto. “- All’1:15, ogni notte, va di sopra, in mansarda… hai presente la porta dal lato opposto alle nostre camere, quella in fondo?” la bionda, scioccata e ancor più preoccupata, annuì in silenzio e pendeva dalle labbra del ragazzo che, prendendo un profondo respiro, continuò: “- Ecco, da lì si sale fin sopra… ma tu non provare a metterci piede, chiaro? Sei avvisata, istitutrice.” scandì piano e rabbiosamente, ritornando nervoso, il giovane. “- Ma cosa c’è lì, in cima?” chiese ancora lei, mentre Leon si alzava e, con sguardo gelido e per niente malizioso come al solito, la fissò per un secondo che parve eterno ad entrambi: “- Niente che tu o nessuna potrà mai capire o sostituire.” Quel tono, quella voce fredda e con una vena di sofferenza palpabile in quelle parole, avevano senza dubbio sconvolto Angie e lo sbattere della porta esterna la fece sobbalzare di colpo. Rimase in piedi nel buio, con aria scioccata e un brivido che le correva giù per la schiena senza riuscire a fermarlo. Cosa diamine nascondeva quell’uomo nella soffitta? Mille pensieri le attraversarono la mente e, dopo essere rimasta a fissare di fronte a sé per un lasso di tempo indefinito, decise che l’ultima cosa che voleva in quel momento era la camomilla… c’era un segreto in quella villa e lei lo avrebbe scoperto, quella notte stessa, e, anche se il ragazzo l’aveva avvertita di non andare a ficcanasare, non poteva lasciar correre, non poteva per il suo bene e, soprattutto, per quello di Violetta… se fosse stato qualcosa di pericoloso lei doveva saperlo, doveva portare in salvo la giovane figlia del suo migliore amico che gliel’aveva affidata con tanta fiducia. Senza nemmeno pensarci, la donna si ritrovò al piano superiore, il cuore in gola, lo sguardo subito fisso verso la porta indicata da Leon… e se fosse stato rischioso? A maggior ragione, era il momento di scoprirlo. Non sapeva da dove saltasse fuori tutto quell’improvviso coraggio ma si ritrovò improvvisamente a scostare leggermente il pesante oggetto, mentre i cardini cigolarono lentamente, e, di fronte alla Saramego, si materializzò una scala a chiocciola abbastanza vecchia: i gradini non sembravano molto solidi e il corrimano era sporco di almeno tre strati di polvere… le gambe, però, si mossero da sole: salì piano le scale, fino in cima, sentendo molti scricchiolii sotto alle sue pantofole che la fecero più volte sobbalzare… il cuore le batteva come mai in vita sua e, una volta su, sentì una voce proveniente da una grande porta di legno, dalla cui fessura inferiore si intravedeva una luce fioca: era Pablo e stava parlando animatamente, prendendo, di tanto in tanto, alcune lunghe pause. Angie si avvicinò piano a quella porta e, sentendo le gambe tremarle fino quasi a farle perdere la forza, si poggiò con la schiena contro essa, sperando di capirci qualcosa di più.
“- Sai, la festa di Leon è stata bella come al solito… ma io non riesco proprio ad entrare in quel clima allegro… senza di te non è possibile essere felici. So che dovrei esserlo per lui ma io non… non ci riesco.” La voce di Galindo, in quel momento, fu chiaramente tremolante, come  in una sorta di singhiozzo strozzato e, in seguito, non si sentì più niente se non un pianto silenzioso e piuttosto flebile. La Saramego sbiancò: con chi stava conversando? Possibile che… no, non poteva essere vero. Ancora non l’aveva superata? Stava realmente raccontando di sé a… a Clara?
Voleva allontanarsi da lì eppure le gambe le si bloccarono, come pietrificate e, dopo qualche secondo, vide la luce spegnersi: doveva andare via, fuggire da lì, lei non doveva aver sentito nulla, non si doveva trovare in quel luogo… la porta si aprì e lei si sentì svenire e strinse forte i pugni, come per farsi forza. Il padrone di casa fece per richiudersi l’oggetto alle spalle ma, voltandosi alla sua destra, per poco non gli prese un colpo: si portò una mano al cuore e la sua faccia diventò bianca come la neve, mentre, allo stesso tempo, avrebbe voluto sprofondare per l’imbarazzo. Angie era lì e lo fissava, con le lacrime agli occhi, evidentemente spaventata a morte e lui non poteva di certo biasimarla… “- Cosa ci fa qui?” a quella domanda, la bionda finalmente riuscì a muoversi e si diresse di nuovo verso le scale, ma sentendosi afferrare lievemente per il polso, si ritrovò di nuovo occhi negli occhi con il moro. “- Io… io non volevo, non mi faccia del male, per favore! Non lo dirò a nessuno!” la voce della donna era tesissima e alcune lacrime le cominciarono a scendere, come automaticamente, sulle guance, sotto lo sguardo per niente duro dell’uomo che le sorrise dolcemente e con un pollice,riuscì a catturargliele prontamente, lasciandola di sasso. “- Farle del male? Perché dovrei? Al massimo mi perdoni lei per quello che ha… sentito. E poi tutti in casa… sanno, quindi puo’ dirlo a chi le pare.” Galindo subito le lasciò il braccio e, divertito, alzò le braccia in segno di innocenza, per tranquillizzarla. La donna, pur non comprendendo a pieno cosa avrebbe dovuto “sapere” di cui gli altri erano già a conoscenza, ritornando a puntare gli occhi verso di lui, sorrise a sua volta, seppur molto a disagio e ancora agitata come mai in vita sua. “- Mi scusi se però non ne voglio parlare… spero che non mi prenda troppo per pazzo. Buonanotte.” Salutò lui, scendendo le scale con calma, seppure, dentro la sua testa, si affollavano più di un pensiero. Che fosse stato lui, per una volta, a far scappare l’istitutrice di suo figlio invece che Leon? Scosse il capo e la sua attenzione fu richiamato dalla donna che, finalmente, sentì lo stesse seguendo dal rumore di passi leggeri sui gradini alle sue spalle, per uscire di lì, senza dire una parola. Pablo richiuse a chiave la porta che dava sul corridoio del piano delle camere e si diresse, silenzioso, verso la sua stanza da letto. “- Signor Galindo...” la voce di Angie lo fece sobbalzare e si voltò di colpo, ormai sotto l’uscio. “- Non la prendo per pazzo, però penso che, anche se non ora… beh, dovrebbe parlarne. Così peggiora solo la sua situazione… e forse anche quella di suo figlio che è scappato proprio qualche minuto dopo che lei è salito. Quando vorrà, insomma… io sarò pronta ad ascoltarla.” La voce della Saramego era una dolce melodia durante la quale Pablo non poté che sentire, insieme a quel tono soave, il cuore accelerare i battiti senza riuscire a spiegarsi il perché. La osservò: lei lo guardava attentamente, forse aspettando una risposta o forse, più semplicemente, sperando che avesse compreso cosa intendesse. L’uomo annuì mestamente: sapeva cosa volesse dire la bionda, lo sapeva benissimo… sapeva che vivesse nel passato eppure non capiva come quel suo essere, potesse far male anche a Leon o forse, reprimeva quel pensiero, come se per lui non potesse essere reale. “- Buonanotte.” Mormorò la donna, per poi incamminarsi nella direzione opposta per arrivare in camera sua, avanzando a passo sempre più svelto nel corridoio: Violetta non doveva sapere nulla di quella vicenda dell’1:15 o si sarebbe troppo spaventata e impressionata… la cosa migliore da fare era tacere su quell'argomento.
Il proprietario della villa la fissò allontanarsi: possibile che si sentisse così attratto da lei solo perché simile, fisicamente, alla sua Clara? No, no di certo... lui non era affascinato affatto dall’istitutrice di suo figlio, scosse il capo e, mentre un forte mal di testa si impossessava del suo capo, rientrò nella stanza da letto per tornare a dormire. Amava Jackie e l’avrebbe sposata… l’amava? E soprattutto… da quando aveva cominciato a farsi quella domanda?
 
 
“- Allora, amico? Come va la tua opera di conquista della santarellina?” la discoteca del Country Club più famoso di Buenos Aires era affollata e la musica era così forte da far tremare persino i bicchieri sul bancone della saletta accanto. Leon era appena entrato e, come al solito, si era seduto al suo solito posto, l’intoccabile privè del capetto del luogo, in una cameretta adiacente alla pista da ballo: nessuno doveva osare rubare il posto al figlio del proprietario e ai suoi migliori amici o sarebbero stati guai seri. Diego e Federico, infatti, erano già seduti sulla bassa poltroncina bianca di pelle e, di colpo, fecero spazio all’ultimo arrivato, urlando subito quella frase e notando però, che il ragazzo fosse cupo in volto. “- Ehi, stai bene?” No, ecco cosa avrebbe dovuto rispondere a Diego a quella domanda così pertinente. Stava male, rispondere a quel vero e proprio interrogatorio ad opera di Angie gli aveva riaperto una profonda ferita riguardante sua madre e, allo stesso tempo, anche suo padre. Fuggiva, fuggiva da quella casa, stava soffrendo troppo ma, nonostante tutto, sorrise ai due compagni di malefatte e, con entrambe le braccia, gli circondò le spalle. “- Mai stato meglio!” mentì spudoratamente, tenendo vicini a sé i due che, confusi, si scambiarono una rapida occhiata. “- E Violetta?” chiese divertito Diego, sporgendosi per afferrare il bicchiere dal tavolinetto di fronte a loro, ancora colmo. “- Niente, non cede! Ma tranquilli, la voglio e sarà mia! Ho mai perso una scommessa?” sentenziò Leon con determinazione facendo scuotere il capo e sogghignare i due. “- CAMERIERA FRANCESCA!” l’urlo di Bianchi fece sobbalzare gli amici stessi e una bella ragazza mora, longilinea e dai lunghi capelli corvini che gli si avvicinò con aria sognante. “- Sì?” domandò, incatenando i suoi occhi a quelli del giovane che, dall’accento, si intuiva e sapeva bene essere italiano come lei. Francesca Cauviglia era fin troppo innamorata del ragazzo eppure lui neanche la guardava… lei, per meglio dire, era la sua vittima preferita: scherzi, provocazioni, risate con i suoi soci a suo discapito… ma la mora, nonostante tutto, continuava a fissarlo con lo stesso viso incantato, troppo innamorata per rendersi conto che lui la trattasse in maniera così malvagia. “- Il mio drink dov’è finito?! L’ho ordinato un’ora fa! Muoviti!” sbottò Federico, facendola annuire e ritornare dietro al bancone come una trottola impazzita, travolgendo anche alcuni clienti per la fretta.
“- La smetti di guardarlo così?” una ragazza dai capelli ramati la fece sobbalzare, mentre la bruna era rimasta, con la testa tra le mani e i gomiti poggiati al tavolo da lavoro, a fissare da lontano l’italiano. “- E’ bellissimo… e si ricorda persino il mio nome!” sussurrò Francesca con un filo di voce emozionato, mentre l’altra ruotando gli occhi al cielo, scosse il capo con foga. “- Sei un caso disperato, Fran!” disse, scostandola in malo modo e andando lei stessa a preparare le bibite, notando quanto l’altra fosse troppo presa a guardare da lontano uno del “trio dei gradassi” come amava definirlo. “- Camilla, tesoro! Vai tu a servire i ‘tre delle malefatte’?” Luca, il gestore della discoteca nonché fratello maggiore della Cauviglia, rivolgendosi alla fidanzata, sperò di allontanare la sorella da quei tipi così poco raccomandabili: sapeva quanto fosse cotta di Federico o meglio, tutti lì dentro lo sapevano… e proprio per questo preferiva incaricare la sua ragazza storica, nonché amica del cuore della bruna, Camilla Torres, a recarsi presso quel tavolinetto… lei era una tipa tosta a differenza della bruna e sapeva bene come gestirli. “- Se tua sorella si decidesse almeno a darmi una mano a preparare i cocktail forse farei più in fretta!” sbottò la rossa, afferrando un vassoio e dirigendosi verso il privè dei giovani. “- Ecco a voi.” Disse senza entusiasmo, quasi sbattendo i bicchieri sul tavolinetto, sotto lo sguardo divertito dei tre. “- Dì alla tua amichetta che potrebbe anche smetterla di scapparmi! Prima o poi otterrò ciò che voglio!” ammiccò Federico, per poi prendere la bevanda e assaggiarne un lungo sorso. “- Sentimi bene: la devi smettere di disturbare Francesca! Lei non se lo merita e se dovessi ancora darle fastidio… te la vedrai con me e Luca, il gigante dietro al bancone! Chiaro?”. Un ululato di finto terrore si sollevò in coro dai ragazzi e Federico, divertito più degli altri, prese a ridere come un matto. “- Ma dai, si scherza, tesoro! Non prendertela tanto!” rise lui, passandosi una mano nel ciuffo castano e facendo l’occhiolino alla Cauviglia che, per poco, non svenne dietro al bancone. “- Dacci un taglio!” gridò la Torres, riafferrando il vassoio con i bicchieri vuoti e allontanandosi di colpo.
“- Carina anche la rossa, eh?” borbottò Diego, con la bocca stracolma di salatini. “- Grintosa!” esclamò Leon, scoppiando a ridere come un forsennato. “- Ma Lara? Andrea? Ludmilla? Dove sono tutte le bamboline?” domandò Federico, guardandosi intorno con aria furtiva e perplessa. “- Erano in pista, dopo ci raggiungeranno di sicuro…” sentenziò Dominguez, fissando poi nella direzione che dava proprio sulla sala da ballo. “- Eccole!” rise subito dopo, salutandole con la mano da lontano. “- Buonasera!” esclamò la Gonzales,  alle spalle della Ferro che subito si rese conto che a Leon qualcosa non andasse. “- Ludmi, sei particolarmente sexy stasera!” Diego la fece sobbalzare e, prontamente lei si voltò con il viso dal lato opposto, storcendo il naso. “- Dai, mi sono contenuto! Non ho detto altro e sai bene che l’avrei potuto fare…” ghignò il bruno, prendendo però a fissarle le gambe, esili e scoperte dal cortissimo abito dorato che indossava. Ludmilla gli si avvicinò, giusto per assestargli un calcio nello stinco che, oltre a un lancinante dolore, ebbe anche il risultato di farlo scoppiare a ridere ancor di più, cosa che fecero anche i due amici. Andrea e la stessa biondina, poi, presero anche loro posto sul divanetto, una si sistemò sul bracciolo destro, accanto a Federico e per enorme delusione di Diego fu proprio la Ferro, e Andrea si posizionò su quello nei pressi dello spagnolo.
“- Stasera devo distrarmi più del solito!” sbottò con uno sbadiglio Leon, facendo scattare Lara che subito gli si fiondò in braccio e prese a solleticargli il collo, sfiorandoglielo con un dito e facendolo rabbrividire. “- Vieni, noi due ce ne andiamo da un'altra parte…” sentenziò poi lui, fuggendo prontamente  di lì, tirandosi la giovane dietro che, divertita, lo seguì tenendogli la mano, anche tra la folla della sala accanto: era nervoso, doveva distrarsi… perché quella situazione così dolorosa doveva riemergere ogni notte? Perché si era aggiunta quella voglia folle di conquistare quella Violetta, una povera ingenua che lo temeva e quasi gli dispiaceva illuderla in quel modo così crudele? Il timore della ragazzina poteva attirarlo tanto o c’era altro? Scosse il capo e ricacciò indentro tutti quei pensieri molesti… tutti lì sapevano qual era la sua camera nell’alberghetto del Country Club, quella sera toccava ancora alla 26.
“- Ma guarda! Galindo stasera ha fatto prima del solito a scappare!” borbottò Camilla, indicando all’amica il gruppetto, ormai privo di Leon e Lara. “- Chi ha scelto oggi? Scommetto un’altra volta la Gonzales! E’ in un periodo in cui nemmeno guarda le altre da quando è comparsa quella Lara!” commentò Luca, affacciandosi da una porta che dava sul retro del locale.  “- Non sbagli!” commentò la Torres, fissando ancora i ragazzi e borbottando qualcosa tra sé e sé. “- CHE?” urlarono in coro Francesca, finalmente ripresasi da quello stato di trance e il fratello maggiore dell’amica, di nuovo a lavoro freneticamente, mentre sciacquava dei bicchieri. “- Imprecavo contro questi tizi! Ricchi, belli e che hanno tutto dalla vita! Prendete noi: siamo costretti a lavorare qui dentro e ad avere a che fare con persone odiose come loro, per poterci permettere l’Univeristà! Scommetto che la metà di quelli lì nemmeno si è ancora diplomata e, per giunta, i genitori sarebbero pronti a iscriverli, senza alcun problema, ai corsi universitari più esclusivi e costosi! E magari loro neppure si interessano allo studio e li frequenteranno solo per farsi belli con altre ragazze! Vi sembra bello?! Bah!”. Camilla, studentessa di matematica, non era mai stata una con i peli sulla lingua e, quella volta, lo aveva confermato: era forte, decisa e sarebbe stata disposta persino a picchiare qualcuno pur di difendere le persone che amava. “- Lascia stare, amore! I nostri sacrifici varranno molto di più del loro vile denaro!” esclamò il moro, abbracciando la ragazza da dietro e schioccandole un delicato bacio sul collo che, finalmente, le fece passare quel broncio, illuminando il suo viso con uno splendido sorriso. “- Com’è saggio il mio filosofo!” rise Francesca, dando una pacca sulla spalla al fratello che rise divertito, afferrando la citazione alla facoltà a cui era iscritto: Luca amava tutto ciò che era filosofia... e, rispetto alle due appena iscritte, era ormai prossimo alla laurea magistrale, essendo il più grande tra loro.”- Ha parlato la mia aspirante dottoressa… anche se, senza offesa, non vorrei mai essere curata da te e non per mancanza di fiducia, sia chiaro!” commentò invece Cauviglia, facendo annuire la sorella: “- Perché non vuoi finire nelle mani di alcun medico, me compresa quando lo sarò! Lo sappiamo!” disse, con tono seccato la mora, facendo scoppiare a sghignazzare anche Camilla che, come lei, conosceva alla perfezione la frase che il fidanzato ripeteva in continuazione. I ragazzi ripresero a lavorare con aria finalmente più allegra: sarebbe stata una lunga notte… ma, almeno, l’atmosfera era ritornata quella delle migliori.
 
 
Angie camminava a passo svelto per quel viale che conosceva ormai alla perfezione: aveva appena sceso la scalinata biforcuta alla sua destra, che riconobbe subito come quella di villa Galindo. “- Signorina Saramego, la padrona di casa la sta aspettando, si sbrighi, presto!” Roberto le si parò contro correndo come un forsennato e lei, temendo sin da subito le ire della Saenz, affrettò il passo, tagliando la strada dal viottolo principale ad una distesa d’erba che sembrava molto più grande rispetto alle aiuole, seppur enormi, di quella casa. Non sapeva dove fosse Jackie, eppure camminava svelta, istintivamente, senza meta. Riconobbe il laghetto artificiale della villa sormontato dal ponte di legno e lo attraversò, rallentando il suo andamento, come se sapesse che fosse quasi arrivata a destinazione: il gazebo che dava sull’acqua dello stagno era il luogo dove le sue gambe, o meglio, il suo cuore, l’avevano portata mentre, un enorme arcobaleno, si stagliava alto nel cielo che lo sormontava... il tetto, infatti era  praticamente scomparso magicamente. Di fronte a sé, la donna, ancora con il fiato corto, subito vide una signora di spalle, dal fisico longilineo e lunghissimi capelli castani dorati che le arrivavano sino al bacino. “- Sono qui.”  La voce della Saramego appariva persino a sé stessa come una sorta di eco ma l’altra, nonostante la sua voce risuonasse comunque ancora nell’aria, non si voltò: no, non era la Saenz… e poi indossava una semplice tunica che risplendeva dei sette colori dello stesso fenomeno presente tra le nuvole, lunga sino ai piedi, che la fidanzata di Galindo mai e poi mai avrebbe messo, a meno che non fosse stata firmata da qualche stilista e quella, per quanto splendida e quasi magica, non dava quell’impressione… inoltre, quella chioma non le apparteneva affatto! E allora chi…?
“- Lo so bene che sei qui, infatti ti stavo aspettando. Benvenuta Angeles.” Quel tono: era di una dolcezza infinita, come il canto di un usignolo in primavera, il gorgoglio di un ruscello di montagna. “- Come sa il mio nome? Lei non è Jackie! Ma allora…?” la castana di spalle, finalmente, si voltò e il verde dei suoi grandi occhi si fuse con quello stesso colore della bionda che rimase sotto shock, sicura di essere diventata bianca come un cencio. “- C… Clara? Signora Galindo è… è lei?” domandò, titubante, senza neppure sapere come quelle domande le uscirono di bocca… si sentiva impietrita, incapace di muovere un solo muscolo… ma fissava l’altra che, con movenze eleganti, si poggiò con le spalle alla piccola ringhiera che circondava tutto intorno il gazebo… era lei, e seppur non la castana glielo confermò, ne era sicura! Era la donna nella foto sulla scrivania di Pablo, l’aveva già vista in quell’immagine. “- Non vedevo l’ora che arrivassi, Angeles, solo tu potrai aiutarmi.” Soffiò con voce ancor più melodiosa, facendo però accigliare la Saramego. “- Aiutare? Io vorrei anche farlo, ma come potrei aiutarla?”. Quella conversazione diventava sempre più strana e Angie si sentì sempre più confusa. “- Salvali. Ti prego!” esclamò lei, camminando lentamente verso la donna che sgranò gli occhi, preoccupata da quel tono, improvvisamente cupo e sofferente, della sua interlocutrice: l’arcobaleno scomparve e tutto intorno si fece più nuvoloso, tetro, nebbioso… persino i colori della sua veste cominciarono ad affievolirsi di colpo. “- Cosa? Chi? E come?” disse ancora la bionda, prendendo ad indietreggiare, ora alquanto preoccupata: quell’atmosfera magica e paradisiaca intorno a lei, ora, la sentiva pensante, quasi oppressiva, asfissiante. “- Salvali tu, ti supplico!” Esclamò ancora la castana, prima di cominciare a dissolversi, piano. “- Dimmi qualcosa in più!” con le lacrime agli occhi, l’istitutrice pregò quella visione angelica che scosse il capo. “- Non posso, adesso! Non ci sarà bisogno che io ti spieghi nulla… sii te stessa, in fondo al tuo cuore sai già cosa fare! Arrivederci, dolce Angeles!” la salutò, venendo poi avvolta da un fascio di luce colorata che quasi accecò anche l’altra…
 
Angie si sollevò con la testa dal cuscino di soprassalto, sentendo alcune gocce di sudore imperlarle la fronte e i battiti del cuore accelerarsi di cento volte al secondo. Già dopo aver scoperto il segreto di Pablo riuscire a prendere sonno era stata un’impresa… e poi, quando finalmente era riuscita a chiudere gli occhi, si imbatteva in quel sogno così strano… non era un incubo, non aveva paura… ma quel “Salvali tu.” le aveva messo non poca ansia, l’aveva lasciata inquieta e la voce di quella donna risuonava ancora nella sua testa come un eco. Clara. Ne era certa. Quella signora che le aveva parlato era la moglie di Pablo, la madre di Leon… morta da 15 anni! Ma era stata così dannatamente criptica! Cosa doveva fare? La donna aveva detto che lo sapesse già, in fondo al suo cuore c'era quella risposta… e invece no, diamine! Non lo sapeva! Violetta, accanto a lei, sentendola muoversi aprì un occhio e la fissò, pur restando a pancia in giù. “- Stai bene, Angie?” esclamò, con la voce impastata dal sonno. “- Sì, dormi, tesoro. Non preoccuparti.” sorrise forzatamente la donna, carezzandole lievemente una guancia e ritornando in posizione supina a fissare il soffitto candido… di due cosa era certa: quel sogno, per quanto era ansiosa, l’avrebbe perseguitata per giorni e sapeva anche che, quella notte, non l’avrebbe mai più dimenticata.
 
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Calma e sangue freddo che qui è successo di tutto e di più! Adoro questo capitolo, spero sia piaciuto anche a voi! xD Povera Angie, che nottata… Pablo inquietante, lo so... è un uomo che ha sofferto molto e soffre ancora! :'(  E Clara anche più inquietante di suo marito... xD Ricordatevi il dettaglio dell'arcobaleno perchè ritornerà spesso... ;) Intanto c'è Leon che scappa, letteralmente, in disco… e come dargli torto? :( Però Lara se la poteva evitare! -.-" Come odio qella parte… grrr >.< Dolci i nostri nuovi arrivi non ricchi! Fran cotta di Fede, alquanto cattivello e i Lucamilla! <3 Penso di aver detto tutto, approfitto come al solito per ringraziare chi continua a seguire la storia, siete fantastici! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 8
*** Un rapporto difficile. ***


Era un caldo sabato mattina e la colazione era stranamente silenziosa, a parte i soliti discorsi fastidiosi di Jackie su chissà quale stilista italiano, ignorati dagli altri commensali che tacevano e si apprestavano a terminare il proprio pasto, in modo da potersi alzare presto da tavola. Angie e Pablo, dopo quella notte in cui si erano incontrati fuori dalla camera in soffitta, a stento si salutavano, imbarazzatissimi per l’accaduto. Leon, sempre dopo quella conversazione tesissima sulla stanza segreta, era ancora più strano con l’insegnante, sembrava avercela perennemente con lei, mentre con Violetta aveva tentato vari approcci dello stesso tipo di quelli precedenti ma erano sempre tutti tristemente falliti: la ragazza lo evitava preoccupata, e lui con la voglia irrefrenabile di farle perdere la testa, neppure riusciva a capire che avrebbe dovuto usare altri metodi di conquista, magari meno maliziosi dei soliti.
“- Vorrei proprio andare alla piscina termale del Country Club…” quella fu l’unica frase della Saenz che il capofamiglia riuscì a cogliere e, come punto da uno spillo, si alzò di scatto, fissandola nervosamente. “- Non chiedermelo, ti prego…” Il suo tono era freddo come il ghiaccio e Jackie non poté fare altro che ruotare gli occhi al cielo, con rassegnazione, come se avesse già immaginato quel tipo di reazione: sapeva perfettamente che l’uomo non metteva piede nel suo stesso centro sportivo da anni, esattamente quindici… e, infatti, se ne restò zitta, continuando a spalmare della marmellata di un rosso acceso su una fetta biscottata. “- Papà… dai, vieni...” Leon, stranamente, si intromise in quella discussione e il moro sgranò gli occhi verso di lui, sconvolto da tale richiesta… lui non si era mai azzardato a chiederglielo, lui sapeva che effetto gli facesse quel posto, eppure quel giorno lo voleva lì, con sé. “- Se ci vieni tu, forse, ci verranno anche Angie e Violetta.” si affrettò ad aggiungere il ragazzo con il tono che ritornò subito malizioso, facendo quasi soffocare la La Fontaine con il suo latte e storcere il naso ad una disgustata Saenz: ci mancavano solo quelle due tra i piedi! E poi era certa che mai e poi mai il suo futuro marito avrebbe accettato, lo conosceva bene ormai! Leon, però, nascondeva anche altro: aveva chiesto al padre di andare al Club per far andare con loro anche Violetta… sapeva che lei si sarebbe mossa solo se ci fosse stata Angie e la bionda mai e poi mai l’avrebbe lasciata andare da sola con lui, se non almeno con l’uomo e lei presenti. A modo suo, il Galindo junior, voleva però, per una volta, anche suo padre gli fosse stato accanto in quel luogo così triste per lui, l’ultimo in cui aveva passato del tempo con Clara e confidava nel fatto che la Saramego avrebbe potuto anche convincerlo ad unirsi a loro. “- Leon, sai che… non posso.” La voce di Pablo era incrinata in una sorta di malinconia mista a rassegnazione. Non poteva? Cosa non poteva? Quelle domande rimbombavano nelle menti le due ospiti… forse aveva da lavorare? Ma come poteva anteporre la carriera al suo unico erede? “- Certo, tu non puoi, non puoi mai…” mormorò il figlio, scuotendo il capo e prendendo a fissare la tazza di fronte a sé con rabbia. “- Leon, non iniziare… stiamo facendo colazione, per favore.” Commentò il bruno, incenerendo con lo sguardo il ragazzo che, stanco di quella situazione, scattò in piedi provocando un frastuono assordante con la sua sedia, per allontanarsi dal tavolo: quella conversazione finiva lì, lo decideva lui. “- LEON! VIENI QUI!” il richiamo severo di suo padre riecheggiò nella stanza come un eco ma il giovane si stava già fiondando di sopra, ignorandolo del tutto. “- Cos’ha contro questo Country Club? Certo che poteva anche accontentarlo suo figlio! Manco le avesse chiesto la luna!” Angie, come al solito, non riuscì a trattenersi e, dopo un attimo di tesissimo silenzio, sbottò quella frase con nervosismo, non riuscendo a spiegarsi come quell’uomo potesse rifiutare quella richiesta, stranamente educata, del giovane. “- NON HO NULLA CONTRO QUEL POSTO! NULLA! E NON SE NE PARLI PIU'!” ora era stato il moro a scattare di nuovo in piedi ma la Saramego, prontamente, fece lo stesso. “- Suo figlio voleva solo passare del tempo con lei, ma sul serio non l’ha capito?! E lei cosa fa? Lo rifiuta!” sbottò rossa in viso per l’ira. “- Se le avesse chiesto una moto nuova, una macchina… forse l’avrebbe ottenuta con più facilità, l’avrebbe accontentato! O sbaglio?”. Tutti rimasero impietriti da quell’affermazione, Pablo in prims: puntò i suoi occhi neri in quelli verdi e decisi della donna. “- Lasciatemi in pace! Lei non sa, non puo’ capire, nessuno puo’ capire!” con quella frase, Galindo si allontanò stizzito da tavola e, come una furia, si precipitò anche lui per le scale, probabilmente per andare a sigillarsi nel suo studio.
Angie ricadde su quella sedia a peso morto, fissando ancora, scioccata, nella direzione da cui l’uomo era scappato via. C’era qualcosa… forse qualcosa di doloroso che poteva riguardare quel posto? Non lo sapeva… ma era certa che, se la giornata cominciava così, non poteva che finire peggio… nello stesso momento in cui quel pensiero le prese a tormentare la mente, Jackie subito si alzò furiosa e cominciò ad inveire contro di lei: “- Sei per caso impazzita? Non lo sai che quel posto per lui è sinonimo di sofferenza?” la vocina stridula e irritante, a quella frase fece sollevare lo sguardo della bionda dalla trama geometrica della raffinata tovaglia alla sua interlocutrice. “- C-che?” balbettò, confusa… quanti segreti poteva avere quell’uomo di cui lei fosse all'oscuro? Già quello scoperto qualche tempo prima l’aveva stravolta! C’era dell’altro da sapere? “- Clara, sua moglie, morì la notte dell’inaugurazione di quel dannatissimo Club, mentre tornavano dalla festa d’apertura… guidava Pablo e in auto c’era anche Leon ma un’altra macchina gli andò letteralmente addosso. Sono anni che neppure riesce a stare al volante, per non parlare di varcare la soglia di quel posto...!” A quelle parole, anche Violetta alzò di nuovo il volto dal tavolo e sgranò gli occhi castani verso Jackie, mentre Angie, scioccata da quel racconto, sbiancò di colpo e rabbrividì istintivamente… ecco perché non voleva tornare in quel luogo! Che figuraccia aveva fatto ad aggredirlo in quella maniera! Comunque, in effetti, non si abbatté del tutto per la gaffe, nonostante avesse calcato la mano, non sapendo ancora tutta la vicenda, Pablo avrebbe anche potuto farsi forza per il bene del ragazzo e affrontare quel dolore. Se non si sbrigava a fronteggiare quella situazione il figlio sarebbe sul serio fuggito via da lui, sempre di più e poi sarebbe stato davvero irrecuperabile qualsiasi tipo di rapporto tra i due. La Saramego immaginò come si dovesse sentire in colpa per quello scontro e sentì le lacrime pizzicarle gli occhi… sensibile com’era dovette trattenersi molto per non scoppiare a piangere istantaneamente.
“- Poverina, tu non ne sapevi nulla? Impossibile! Secondo me ci godi semplicemente a farlo soffrire!”. Una freccia trapassò il cuore della bionda: come poteva la Saenz pensare una cosa del genere? Nessuno meritava di sentir una ferita del genere riaprirsi, a maggior ragione se quella cicatrice era ancora troppo fresca o, semplicemente, non si era mai rimarginata… come era per l’uomo.
Angie, senza neppure rispondere a quelle provocazioni, scattò in piedi e si avvicinò all’uscio della sala da pranzo: “- Vilu preparati e va’ a chiamare Leon, andiamo con lui al Country Club…. Non varcare la soglia della sua stanza, però… ora arrivo anch’io.” Sentenziò, con aria serissima la bionda, facendo scattare la ragazzina che la superò di fretta, mentre la donna prese a fissare la padrona di casa con aria freddissima.
“- Se proprio vuole puo’ venire anche lei con noi… a patto che non le faccia ribrezzo entrare nella mia umile auto.” La sbeffeggiò, facendole scuotere con decisione il capo, mantenendosi nonostante tutto, aggraziata ed elegante. “- No, grazie. Ci vado per conto mio.” Sbottò infatti Jackie, alzandosi e ancheggiando verso l’istitutrice che, non contenta, le bloccò il varco di uscita con il suo corpo. “- Non osi mai più dirmi che amo far soffrire la gente, soprattutto quel pover uomo che ha già patito abbastanza. Non ne sapevo nulla… e poi non mi diletto nel mandare frecciate dolorose agli altri… forse questo è il suo di hobby, ma non di certo il mio… con permesso.” Con quelle parole, la donna si congedò, lasciando impietrita e furiosa la futura sposa di Galindo. Cosa diamine voleva quella sciacquetta? Provocarla? Rubarle il fidanzato? La Saenz sbuffò sonoramente e, con il suo solito portamento, si avviò verso la sua camera per prepararsi.
Di sopra, Violetta, era in corridoio, fuori alla porta del figlio di Galindo… come era saltato in mente ad Angie di mandare lei ad avvertirlo del cambio di programma? Era come se, improvvisamente, lo ritenesse meno pericoloso… forse, come pure lei stessa se ne era accorta, aveva notato quanto il giovane avesse abbassato le sue difese in quel contesto, discutendo con il padre. Era, come dire… innocuo. Improvvisamente, innocuo.  Violetta titubò ancora nell’immenso corridioio… probabilmente la bionda istitutrice l’aveva mandata da lui più semplicemente perché la controllava dalla parte opposta alla cima delle scale, intenta a bussare a Galindo senior con aria meno stizzita, forse a proprio per la storia raccontata dalla Saenz sul Conutry.
“- Leon… io e Angie veniamo con te al Club.” La ragazza si avvicinò piano alla porta e, dandovi qualche colpo secco, non ottenne alcuna risposta… forse lui non aveva sentito o semplicemente, non gli andava di vederla. In effetti erano giorni che lei lo evitava, come poteva biasimarlo? Fece qualche passo indietro mentre, nello stesso istante, si rese conto che la chiave stesse finalmente girando nella serratura, facendo sì che la porta si aprisse e Leon apparisse, nervoso, sull’uscio. “- Lui non verrà, vero?” sbottò subito, puntando i suoi grandi occhi verdi sulla giovane che sentì un brivido percorrerle la schiena rapidamente, al solo contatto visivo con lui… da quanto quel tipo così strano le faceva quell’effetto ancor più particolare? Da quanto tempo se ne stava cominciando a rendere conto? Non rispose alla subito alla sua domanda ma scosse il capo in segno di dissenso. “- Lo sapevo. Aspettatemi giù, preparo la borsa e scendo.” Sbottò, per poi richiudere con foga la porta in faccia alla giovane che rimase impietrita e non tanto per quel gesto screanzato, ma forse perché era la prima volta che, da quando aveva messo piede in quella casa, Galindo non la fissava con aria maliziosa: era come se si fosse messo in testa di farla sua ma che, in quel momento se ne fosse dimenticato, troppo preso da altro.
Leon, afferrando una racchetta da sotto all’enorme letto, preparò di fretta tutte le sue cose, nella testa mille pensieri: suo padre continuava a rifiutarsi di andare avanti, nemmeno l’istitutrice era riuscito a smuoverlo... aveva sentito le sue urla fino al piano di sopra eppure, a quanto pareva, non aveva ottenuto alcun risultato. Angie stranamente, cominciava ad andargli a genio: era una tipa tosta, decisa, riusciva quasi a metterlo in riga o almeno ci provava. Lei, a differenza del suo genitore che sembrava piuttosto essersi rassegnato con lui, perlomeno gli faceva ancora delle partacce colossali ma, allo stesso tempo, provava a spiegargli cosa fosse giusto e cosa no, con dolcezza. Era anche evidente, però, che la donna fosse ancora terrorizzata dal fatto che Violetta si potesse avvicinare a lui e, in fondo, non poteva neppure darle torto. Lui era così… doveva conquistare la ragazzina, non poteva mostrarsi un perdente agli occhi degli amici o lo avrebbero deriso a vita… eppure c’era  qualcosa in Violetta che lo turbava: il fatto che fuggisse da lui forse... poteva essere quello ad attirarlo maggiormente? O c’era qualcosa in quegli occhi spauriti e bellissimi che lo tratteneva dal voler farla cadere ai suoi piedi per poi spezzarle il cuore? Possibile che ancora non fosse riuscito a farle perdere la testa? Scosse il capo e imbracciò la grande sacca con indumenti ed altri oggetti che gli sarebbero potuti servire… forse, al Club, avrebbe ricominciato la sua opera di conquista, senza pietà: non poteva turbarlo troppo, non lei, non quell’innocentina della La Fontaine… non era da Leon Galindo.
Angie, senza nemmeno bussare, spalancò la porta dello studio di Pablo e lo fece sobbalzare dalle sue scartoffie, tanto che si portò la mano al cuore e diventò alquanto pallido. “- Angie!” riuscì a balbettare, mentre la bionda richiudeva la porta alle sue spalle con un colpo sordo. “- Mi dispiace per prima, ho… saputo solo ora.” Mormorò quasi la donna, mentre lui abbassava di nuovo lo sguardo sui suoi fogli, disordinatamente sparsi sulla scrivania, per evitare di farle cogliere nei suoi occhi la nota di dolore che in essi si era riaccesa. “- Non avrei dovuto aggredirla in quel modo, mi perdoni. Non avrei dovuto in ogni caso.” Si giustificò ancora, sedendosi di fronte al moro che continuò a scribacchiare distrattamente su alcuni progetti. “- Non si preoccupi, in fondo non aveva tutti i torti.” Sussurrò quasi Galindo, gettando la penna con stizza davanti a sé e facendo sì che la donna si soffermasse a lungo a osservarlo: era stanco, molto stanco e probabilmente anche preoccupato… forse quella situazione gli appariva da troppo insormontabile, eppure non riusciva, né provava nemmeno a fronteggiarla. “- Io porto Leon e Violetta al Club… mi rendo conto che per lei sia difficile, ora so il perché ma mi chiedevo se, beh… ecco, se per il bene di suo figlio volesse accompagnarci… sarebbe magnifico.” Concluse, con un profondo sospiro la donna, facendo sì che lui si prendesse la testa tra le mani e cominciasse a scuoterla con rassegnazione. “- Non posso. Mi dispiace… ho... ho da lavorare.” Concluse l’uomo, finalmente, guardandola negli occhi e osservando la strana espressione rammaricata che la donna aveva assunto. “- D’accordo, come preferisce. Buona giornata.” concluse la bionda, alzandosi e incamminandosi verso la porta. “- Angie…” la voce del suo datore la fece voltare di colpo e notò un l’espressione glaciale dell’uomo, aprirsi in un mezzo sorriso. “- Grazie.”. Quella parola… perché la ringraziava? Perché lo aveva capito e, nonostante tutto, ancora non gli dava del pazzo? Perché continuava a tentare di smuoverlo o, semplicemente, perché si era offerta di accompagnare i ragazzi al Club? La Saramego non lo sapeva, eppure rivolse anche lei un sorriso di risposta, ma più di malinconia che di altro. Improvvisamente, nella sua mente, si materializzò nuovamente quel sogno il cui pensiero non l’aveva mai abbandonata… rivedere quella cornice sul piano da lavoro dell’uomo glielo aveva riportato alla mente di nuovo con prepotenza… che Clara si fosse riferita proprio al marito e al figlio? Che fossero loro le persone da “salvare”?
 
 
“- Quest’auto è oscena e i sedili sono scomodi!” “- Taci se non vuoi che ti faccia scendere qui, in mezzo al nulla!” Leon, da quando aveva messo piede nella piccola utilitaria rossa della Saramego, alquanto mal ridotta e antiquata, non aveva fatto altro che lamentarsi per tutto il tragitto, facendo anche ridacchiare sotto i baffi Violetta chiaramente divertita da quelle volute provocazioni. “- La sai almeno la strada? Avresti almeno fatto guidare me saremmo già arrivati, anche se con questo catorcio ne dubito in ogni caso!”. Leon non la smetteva di dar fastidio, si era già ripreso da quello stato di angoscia? Evidentemente l’idea di stare in macchina con loro due aveva distratto il giovane e risvegliato il suo essere rompiscatole. “- Sto seguendo le indicazioni, ci sono cartelli ovunque, ti pare che non ci sappia arrivare?!” sbottò, tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé, la donna, sperando che le frecciatine fossero finite lì. La figlia di Matias, seduta accanto al posto di guida, fissava fuori dal finestrino: il paesaggio, dopo una sfilza di ville simili alla Galindo, ora mostrava una veste più campestre, dove distese di alberi e d’erba costeggiavano la stretta strada che l’auto stava percorrendo. Certo che Leon era un tipo proprio strano! Stava cominciando ad adorare quelle battute pungenti, fin a quando non toccavano il lato malizioso… un fosso preso dalla macchina la fece sobbalzare e per poco non diede una testata nel vetro e il giovane, accortosene, subito scoppiò in una fragorosa e sguaiata risata. “- Tesoruccio, attenzione! Pensare troppo a me provoca danni, anche fisici come puoi notare!” lei subito si voltò a fissarlo in cagnesco e notò come il ragazzo fosse quasi in piedi, affacciato tra i due sediolini anteriori e ghignasse divertito. “- Eccoci arrivati!” la voce di Angie li interruppe da un’ipotetica litigata e, Violetta, rimase sorpresa da quello che le si aprì davanti agli occhi: un’enorme insegna intarsiata in legno recitava:  “Country Club” e sotto, in piccolo, troneggiava al centro il nome "Galindo".
“- Questo posto è mio, io comando qui dentro… non è fantastico?” Leon cominciò ad indicare tutte le particolarità del posto, facendole voltare a destra e a sinistra in continuazione ed entrambe non potettero che concordare su quella bellezza di cui si vantava tanto dal giovane: quel luogo era magnifico, si intravedevano già dal viale che portava al parcheggio campi da tennis, da calcio, un’enorme distesa verde che doveva servire per il golf e un piccolo albergo. Sostarono nell’ampia zona riservata alle auto e, in men che non si dica, Galindo cominciò a fare da cicerone, girando per i vialetti curatissimi e ombreggiati da alberi alti e dalle rigogliose chiome verdissime. “- Dove volete andare, tesorucci?” domandò d’un tratto, tra un saluto a qualche ricco ospite e una spiegazione sui vari padiglioni. “- Piscina!” dissero in coro le due, facendo voltare il ragazzo che, come se si aspettasse quella risposta, sorrise distrattamente. “- D’accordo… ma dopo ho un doppio di tennis quindi vi lascio lì e vado a vincere quella sfida.” commentò subito lui, indicando poi come raggiungere il luogo indicato sperando che Diego, non disposto più a saltare ancora la partita, si presentasse per il tanto agognato match.
“- Questo posto è splendido! Vorrei restare qui in eterno!” Violetta, non appena arrivati, subito si spaparanzò sul lettino, ancora con gli short di jeans. La sua voglia di lusso stava di nuovo prendendo il sopravvento: mai e poi mai era stata in una piscina e quella era… la più grande che avesse mai sognato! Inoltre non essendo neppure troppo affollata, lasciava intuire quanto d’elite dovesse essere quel luogo. Angie, dal canto suo, era fin troppo a disagio: neppure riusciva a spogliarsi per restare in costume quando, come due avvoltoi, intravide dei ragazzi amici di Leon cominciarono a fissarla fin troppo… in cabina non poteva andarci, in un luogo del genere e con quei tre in allerta, di certo non poteva lasciare sola la La Fontaine… così si limitò a sedersi ai piedi della sdraio della ragazza, fingendo di concentrasi su una rivista di gossip che aveva in borsa. “- Ragazze mie, vengo subito… vado a salutare i miei cari soci.” Si pavoneggiò improvvisamente Leon, lanciando un’ultima occhiata alle due e incamminandosi verso i lettini dei compagni di avventure. “- Santo cielo! Quanto vorrei vederla in costume! Perché diamine non si sveste?” Diego, come al solito, puntava alla Saramego, tanto da far ruotare gli occhi all’amico. “- Ma tu guarda chi si vede… quello che aveva paura di essere schiacciato come uno scarafaggio da me e Fede a tennis! Hai finito di fare il depravato con la mia insegnante? Smettila!” esclamò il castano, dandogli il cinque e facendo lo stesso con Bianchi. “- E non sbavare troppo o dovrò procurati un secchio!” lo rimproverò scherzosamente Federico, chiudendogli la mascella con un ironico gesto della mano. “- Manca Andres e quindi niente di fatto, niente partita, niente di niente!” si affrettò a giustificarsi prontamente lo spagnolo, alzando le braccia al cielo in segno di resa sperando di saltare per l’ennesima volta quella partita destinata alla sconfitta già in partenza. “- E trovati un altro partner, allora! Oggi si gioca, che ti piaccia o no!” sbottò Leon, sedendosi accanto a loro e afferrando un drink da un tavolinetto basso tra le sdraio. “- Io una partner l’avrei già scelta e se non sa giocare le insegno io, con piacere…” la voce di Dominguez si incrinò in tono sensuale e abbassando gli occhiali da sole dal naso, continuò a fissare in direzione Angie. “- DIEGO BASTA!” urlarono gli amici divertiti, tirandogli uno scappellotto in simultanea. “- Non fate i santi che siete i peggiori! Io almeno sto tentando di cambiare per amore…” scrollò le spalle il moro, con un ghigno che non avrebbe convinto neppure sé stesso. “- Si vede come stai cambiando!” lo rimproverò Galindo, sghignazzando come un matto. “- E dai, non rompere! Io ci metto impegno… ma è più forte di me! Metti che incontri una come la professoressina, lì… che fai? Non ti viene voglia di portartela in una cabina e…” “- DIEGO, ANCORA?!” urlarono di nuovo i ragazzi, ridendo sempre più forte. “- La fedeltà non è il nostro forte, ma se vuoi la Ferro come dici, dovrai resistere anche a tentazioni come quelle: sexy, bionde e da far girar la testa!” Federico annuì con tono solenne, riuscendo appena a trattenere le risate. “- Non so se sono così convinto di volere Ludmilla, allora… sarà durissima ma per lei ci proverò…” sentenziò il moro, portandosi una mano al cuore e alzando l’altra in aria come per giurare solennemente che avrebbe fatto il bravo. “- Come va con la tua preda? E’ già caduta ai tuoi piedi?” a quella domanda di Federico, il cervello di Leon andò come in standby e prese a guardare, da lontano, la ragazza: era sorridente, solare… perché gli dispiaceva conquistarla solo per farsi bello con gli amici per poi doverla abbandonare? Scosse il capo stizzito a quella informazione richiesta: non poteva dire che andasse malissimo e neppure che, in fondo, stranamente gli dispiaceva ferirla. “- Non temere, presto sarà mia, vedrete! Già il fatto che sia qui è un ottimo segno, non trovate?” sbottò con tono di superiorità il castano, facendo annuire i suoi due seguaci con decisione. Leon, con quelle parole, si alzò e tornò dalle due, avvicinandosi piano alla La Fontaine che quasi sembrava si fosse addormentata sotto i caldi raggi del sole e la Saramego che, immersa nella sua lettura, alzò a malapena lo sguardo per seguire i suoi movimenti. “- Che noia, tesorucci! E vabbè che le ragazze vengono qui solo per il sole… ma lì c’è una vasca che ci attende… lo facciamo un tuffo?” Violetta, come se avesse preso la scossa, si sollevò e annuì prontamente: non vedeva l’ora di fare un bagno in quell’acqua così limpida. “- Io non ci vengo, andate pure voi… Vilu fa attenzione…” Commentò invece Angie, sempre troppo imbarazzata per pensare di svestirsi e rimanere in costume, andandosi finalmente a stendersi anche lei, immersa nella lettura ma, ansiosa com'era, tenendo comunque d’occhio la giovane La Fontaine. “- Non mordo, piccola… dammi la mano che si scivola a bordo vasca.” La ragazza, titubante, scosse il capo con foga… poteva farcela benissimo da sola, non aveva bisogno di quel buffone per… mentre lo pensava, mise il piede in una pozza d’acqua e, per fortuna, fu Leon a prenderla al volo, sostenendola per la vita e ritrovandosi occhi negli occhi con lei: un brivido e un calore coinvolse entrambi, la ragazza arrossì fino alla punta delle orecchie e lui, notandolo, si compiacque. “- Ti avevo detto di fare attenzione, sia a me che all’acqua.” Soffiò il castano, ad un centimetro dalle labbra di lei che, finalmente, riuscì a divincolarsi da quella presa salda. La cosa strana è che, se lui non avesse parlato, avrebbe resistito per chissà quanto tempo stretta al giovane, avvolta da quel forte braccio che la faceva sentire al sicuro, cingendola appena sopra al bacino... ma quella frase maliziosa aveva rovinato tutto, come al solito. “- Mi gira la testa, forse è meglio che torni a sedere, avrò preso troppo sole…” tentò di inventare al momento la ragazza, facendo sì che lui, reclinando il capo, prendesse a fissarla con attenzione. “- Sono io che ti faccio girare la testa, non il sole…” sussurrò, prima di lanciarle un’ultima occhiata e tuffarsi in acqua, guardando in direzione degli amici fierissimo di quanto successo con Violetta e del fatto che loro avessero assistito alla scena. Galindo, però, non poteva di certo negare che quella giovane lo attirasse e non poco… poteva sentirsi fin troppo rapito da lei? Nuotò con vigorose bracciate sperando di allontanare quei pensieri… lui non si innamorava. Mai.
 
 
Pablo, per la prima volta in vita sua, tranne che qualche raro evento di vitale importanza, stava guidando la sua Maserati nera, ancora fiammante, che teneva in garage da esattamente 15 anni. Dopo quell’incidente si era rifiutato di toccare il volante di un’auto e quella, acquistata dopo la disgrazia, di certo non faceva eccezione. Inoltre, come se non bastasse, dopo 15 anni stava ripercorrendo esattamente quella strada maledetta, quella che gli aveva strappato via la sua Clara, l’unica donna che avesse mai amato davvero. Quasi si dimenticò del perché fosse lì… Roberto! Dannato lui e i suoi sermoni! Come al solito aveva ascoltato la sua furiosa lite con Angie e probabilmente anche origliato la conversazione avuta sempre con la donna nel suo studio e, come al solito, lo aveva spinto ad agire… Lisandro era d’accordo con la Saramego, doveva mostrarsi forte per Leon e forse, andandoli a prendere proprio al Club, avrebbe dato prova di grande coraggio. Galindo aveva subito avuto l’impressione che il suo fido collaboratore appoggiasse appieno l’istitutrice, forse anche troppo… ma mai e poi mai pensava che sarebbe stato capace di convincerlo a fargli ripercorrere proprio quel tragitto così doloroso, guidando addirittura. Alcuni ricordi strazianti si fecero largo nella sua mente ma tentò di scacciarli, respirando a pieni polmoni per calmarsi e concentrandosi sulla strada davanti a sé. Quando l’insegna del Club si materializzò davanti ai suoi occhi quasi stentò a credere di avercela fatta… ci era riuscito! Lasciò la macchina ferma al centro della strada e scese, ancora tesissimo ma felice per quella grande prova superata. Il non aver mai provato a ritornare lì lo aveva penalizzato e aveva fatto lo stesso nei confronti di suo figlio… doveva combattere, per lui, per il suo ragazzo: Angie e Lisandro avevano ragione e forse non era ancora troppo tardi per provare a ricucire quel rapporto. L’uomo, titubò sotto al cartellone con la scritta del nome del posto… no, più di così non riusciva a fare, era già tanto per lui quella piccola vittoria: riprendere a guidare senza che dovesse scarrozzarlo Roberto a destra e a manca. Era arrivato sin lì ripercorrendo proprio quel tragitto… chiedergli di entrare anche nel Club sarebbe stato troppo per un solo giorno… forse lo avrebbe anche fatto, ma non subito, non in quel momento. Si appoggiò al cofano dell’auto con aria distratta, tentando di concentrare la sua attenzione su altro: i problemi lavorativi che in quel periodo non mancavano, suo figlio da riconquistare, Angie… Angie? Come diamine le era saltata in mente proprio lei e in quel luogo, poi, l’ultimo da cui era uscito con la sua Clara? Si sentì dannatamente colpevole per quel pensiero e tentò di scacciarlo via dalla sua testa… per fortuna, in quel momento, la piccola auto rossa della Saramego stava uscendo dal viale e, prontamente, si fermò. “- Pablo…” la donna, seguita da Violetta e Leon, scese di colpo dalla sua vettura e gli andò incontro preoccupata e sorpresa. “- Sono venuto a prendervi.” balbettò lui, in evidente imbarazzo, studiando subito l’espressione del figlio, tra lo sconvolto e l’arrabbiato. “- Siamo venuti con Angie e con lei andremo via.” Sentenziò di colpo Leon, sostenendo con fierezza lo sguardo del padre. “- Leon…” provò ad iniziare l’uomo ma il ragazzo, stizzito, scosse il capo. “- Leon, vai con lui, io e Vilu verremo con la mia macchina, dai.” tentò di persuaderlo dolcemente, la bionda, cingendogli le spalle con un braccio. “- NO! Non penserete mica che mi presti a questa pagliacciata? Anzi, sapete che vi dico… ritorno dentro e vedo se Diego o Federico mi danno un passaggio.” e, dopo aver pronunciato quella frase, diede le spalle a tutti e si catapultò di nuovo nel Country. Pablo, distrutto e deluso, abbassò gli occhi sulla strada e, mentre Violetta si apprestava in silenzio a rientrare in macchina, Angie rincorse il  padre del giovane che stava facendo lo stesso con aria rammaricata. “- Pablo, aspetti!” lui si voltò e le sorrise amaramente, alzando le spalle. “- E’ normale che lui sia sconvolto… ma è stato un bel gesto venire sin qui e sono certa che quando il ragazzo lo capirà, riuscirà ad apprezzarlo. Non demorda… lo faccia per entrambi.” Galindo annuì mestamente e, risalendo sulla sua Maserati, subito richiuse lo sportello e girò la chiave per mettere in moto… in testa, ormai, un unico pensiero: avrebbe avuto ragione la donna? Leon gli avrebbe dato altre chances per fargli capire che lui ci fosse? E ancora… come diamine riusciva Angie a dirgli sempre la frase giusta al momento giusto?
 
 
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Liti, liti e ancora liti! Prima tra i padroni di casa e la Saramego e poi tra Pablo e Leon! Non commento la scena in piscina Leonetta o sclero troppo… *___* e ancora litigio finale tra padre e figlio! Come continuerà la storia? Approfitto per ringraziare tutti coloro che seguono, recensiscono e apprezzano la ff! Grazie di cuore! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 9
*** Accese e pericolose rivalità. ***


La facciata dell’Università di Buenos Aires era enorme e dallo stile classico: un' imponente sfilza di colonne con capitelli in stile dorico davano su un basamento di almeno un centinaio di gradini e, più che un luogo di studio, ricordava un tempio della Magna Grecia. Francesca, in piedi nel grandissimo giardino antistante, una pila di libri sotto al braccio e sguardo assente, fissava l’ateneo con aria preoccupata e, a renderla tale, era la sua prima lezione con il dottor Bianchi. Il padre di Federico, il ragazzo che considerava il suo amore di una vita, quello che, però, nemmeno la guardava, avrebbe dovuto insegnare proprio al suo corso e la cosa le metteva un’ansia indescrivibile… di sicuro anche il figlio sarebbe stato presente a quelli che, a detta degli studenti più grandi, erano dei veri e propri comizi interminabili… e la Cauviglia, al solo pensiero di essere nella stessa aula con il giovane, andava in panico! In realtà non sarebbe stata neppure la prima volta che capitavano nella medesima sala, isieme... ma quella volta avvertiva come una strana sensazione di disagio… e il fatto non riuscire a spiegarsi il perché di quel nervosismo, la faceva stare ancora peggio.
“- Buongiorno, Fran!” alle sue spalle, una voce la fece sobbalzare letteralmente dal flusso dei suoi pensieri e si voltò quasi come se avesse preso la scossa. “- Marco, ciao!”. Un ragazzo alto, dalla folta e mossa chioma corvina, e dal chiaro accento messicano, le sorrideva con aria rassicurante: lui era l’unico che l’ascoltava sempre, il suo confidente nonché anche il suo migliore amico storico. “- Non mi dire che il corso di Bianchi senior ti spaventa?” il ragazzo la comprese al volo e, lei, abbassando di colpo lo sguardo dalle sue scarpe, annuì nervosamente. “- Non è che mi spaventa, mi terrorizza e il fatto che Federico sarà lì ancora di più! E se dovesse fare qualcosa per mettermi in imbarazzo? Se parlasse male di me a suo padre solo per farmi sfigurare di fronte a lui?” finalmente, i due, presero a camminare verso la scalinata e Marco, terribilmente irato al solo dover toccare quell’argomento, scosse il capo con foga. “- No! Te lo dico io cosa ti fa star ancora più male… il fatto che il piccolo Bianchi, nemmeno oggi ti considererà!” sbottò, ormai stanco di sentir nominare quel ragazzo e affrettando il passo, superò la giovane e, facendo i gradini a quattro per volta, scappò letteralmente via da lei. Francesca sospirò, sapeva che il suo amico detestava Federico e, probabilmente, ancor di più il fatto che a lei piacesse tanto e che lui la trattasse sempre così  male… ma che poteva farci lei? A detta di Camilla, il “capellone”, come la Torres si divertiva a sbeffeggiarlo, aveva avuto, in passato, una cotta colossale per l’italiana… eppure lei non riusciva proprio a vederlo come un ipotetico fidanzato e, quando lui si era innamorato follemente di Ana, una ragazza che studiava nella loro stessa facoltà, dimenticandola in quel senso, lei era stata felicissima per loro due... Marco Tavelli era un amico, a volte anche insopportabile come in quel caso e tale voleva che sarebbe rimasto. Peccato che, realmente confuso tra lei e l’altra, il messicano avesse perso la sua fiamma biondina e fosse rimasto single, pentendosene subito dopo… in fondo Ana era la ragazza perfetta per lui e, come un idiota, se l’era fatta scappare. Francesca percorreva distrattamente i corridoi affollati di studenti e, invano, cercava con lo sguardo il giovane amico ma, suo malgrado, di occhi ne incrociò altri: il ragazzo che amava era già fuori all’aula 21, insieme ad un gruppetto di belle ed eleganti ragazze che la Cauviglia conosceva solo di vista, e, da quanto sembrava, stava raccontando qualcosa di esilarante dato che loro presero a sghignazzare come delle oche. Solo lei sapeva, in quell’istante, quanto avesse invidiato quel gruppo di papere che attorniava Federico! Essere così vicino a lui, poter ascoltarlo, ridere alle sue battute… quanto avrebbe voluto essere al loro posto! Ad un tratto, Bianchi, fece segno alle ragazze di lasciarlo da solo e subito ghignò in direzione di Francesca, avendola notata e prendendo a salutarla con la mano. La giovane si pietrificò al centro del corridoio e, lui le andò incontro ad ampie falcate. “- Una cameriera frequenterà il corso di mio padre, ma pensa un po’!”. Ecco la prima frecciata della giornata, la prima cattiveria gratuita… la Cauviglia abbassò gli occhi sulle sue ballerine blu notte e non disse nulla… si sentiva ferita ma, allo stesso tempo, non sapeva perché, nonostante tutto, quella vicinanza con il ragazzo le provocasse la tachicardia. “- FEDERICO! LASCIALA STARE!” la voce di Marco, proveniente dalle spalle di un gruppo di coetanei, lo fece voltare in quella direzione e l’italiano sorrise ancora. “- E chi le ha fatto niente! Stavamo solo parlando!” commentò stizzito lui, voltandosi e prendendo a camminare in direzione della classe solo dopo aver lanciato un occhiolino alla bruna che arrossì di colpo. “- Che voleva?” il messicano fece risvegliare la giovane dallo stato di trance in cui era caduta a causa di Federico e, per tutta risposta, lei scosse il capo. “- Niente? Come niente? A me non sembrava proprio che fosse qui per un “niente”! Io lo ammazzo!” sbottò il bruno, prendendola per mano e tirandola in direzione della classe. “- E io ammazzo te se provi a intrometterti di nuovo! STAVAMO PARLANDO! Forse addirittura mi avrebbe invitata ad uscire ma tu hai rovinato tutto!” il tono stizzito di Francesca fece sgranare gli occhi neri al giovane che poi alzò lo sguardo al cielo, disperato. “- Sì, certo, ti avrebbe invitata ad uscire oppure avrebbe continuato a prenderti in giro! Sei proprio un caso perso!” mormorò, per poi entrare in classe, lasciandola lì, nervosa come non mai. Voleva bene all’amico ma amava, purtroppo, quel malvagio di Bianchi! Che poteva farci? Si avviò anche lei verso la 21 a passo rapido e subito, non appena varcò la soglia, notò il figlio del professore in prima fila, e, alla sua destra e alla sua sinistra, una sfilza di ragazze, le stesse spasimanti che erano fuori con lui.  L’italiana, tesissima, si incamminò verso le ultime file ma subito fu tirata a sedere in seconda da Marco che le aveva tenuto il posto, nonostante la mezza litigata di qualche istante prima. Un uomo, sulla cinquantina, fece il suo ingresso in aula e la ragazza rimase scioccata dalla somiglianza che quel professore avesse con suo figlio: occhi scuri, capelli leggermente brizzolati ma lineamenti identici al giovane… se avesse avuto il ciuffo alto sulla fronte sarebbe stata la fotocopia dell’italiano! Per tutto il tempo della lezione, Francesca vivette uno stato di nervosismo come mai prima, accorgendosi persino di essere fin troppo deconcentrata per seguire… la sua attenzione cominciò a focalizzarsi solo quando il docente, rimasto in silenzio, sembrava attendere una risposta ad una domanda che neppure aveva sentito ma che, per fortuna, l'uomo ripeté con tono stizzito e imbarazzato… imbarazzato? Ecco perché! Quella richiesta era per Federico che, invece, era rimasto zitto con aria stupita da tale quesito. “- Allora, mi sa dire qual è la funzione della cistifellea?” il padre voleva fargli fare bella figura, convinto che il giovane erede conoscesse la risposta, ma, a quanto pareva, si sbagliava di grosso. Davvero Federico non lo sapeva? La Cauviglia cominciò a preoccuparsi per lui mentre il suo vicino di banco, Marco, ghignava divertito e subito, alzò la mano. “- Piccolo organo, aiuta la digestione immagazzinando bile prodotta dal fegato…” come un mormorio indefinito, Francesca suggerì, sotto lo sguardo sconvolto del suo migliore amico, la risposta al ragazzo che, già con l’orecchio teso colse al volo il suggerimento e recitò subito quella frase ad alta voce, persino con tono solenne, ricevendo un segno spazientito ma d’assenso da parte del padre che, alla lavagna, continuò a scribacchiare geroglifici intraducibili e a parlare con tono severo e alto, in modo da farsi comprendere da tutti. Federico, con un movimento impercettibile del capo, si voltò e sorrise alla ragazza che ricambiò, sentendo subito il cuore accelerare i battiti. “- Grazie cameriera!” sibilò l’italiano facendo ruotare gli occhi al cielo a Marco che continuò, distrattamente, a prendere appunti. “- Di nulla, figurati…” riuscì a balbettare lei, fingendo di prendere nota sulle parole del professore… almeno, non incrociando gli occhi di Federico che continuavano a fissarla in modo imperterrito, non si sarebbe sentita in imbarazzo e avrebbe mantenuto il pieno possesso delle sue facoltà mentali, senza perdere la testa per lui.
“- Avevamo l’occasione per far fare la figuraccia più epica della storia della Facoltà a quell’odioso raccomandato! E tu che fai? Lo aiuti!” Marco, all’uscita dall’aula, non faceva altro che disturbare lo stato di felicità raggiunto dall’amica nel momento in cui Bianchi le aveva sorriso e ringraziata. “- Io non sono cattiva, non riesco a non aiutare gli altri, che sia un odioso raccomandato o il mio migliore amico!” sbottò stufa la giovane, sedendosi su uno dei gradini più in alto, appena fuori dall’Università. “- Ah, certo! Se poi l’odioso raccomandato è quello per cui hai una cotta storica, tanto meglio!”. Il messicano stava davvero esagerando! Francesca, ignorandolo, tirò fuori dalla borsa un quaderno e cominciò a rileggere gli appunti presi durante la lezione e a ricordarsi di quanto fosse stata splendida quella mattinata. “- Smettila ok, dacci un taglio!” urlò esausta la mora, alzando lo sguardo verso Luca e Camilla che si avvicinarono a loro: quel giorno i loro corsi iniziavano quando terminavano quelli dei due amici e, notandoli subito, si sedettero sui gradini accanto a loro. “- Che sono queste grida, sorellina? Ti si sente fino alla fermata del bus!” ironizzò subito il fratello, facendo scoppiare a ridere la fidanzata. “- Ha suggerito a Bianchi! Vi rendete conto?” Marco subito si prodigò a spiegare l’accaduto e, gli ultimi arrivati, concordarono con lui. “- Capellone ha ragione! Dovevi lasciargli fare la sua figuraccia!”sbottò prontamente Camilla, innervosendo ancor di più l’amica. “- Ancora sei in fissa con quel tizio? Smettila Fran! Cosa pensi di ottenere ora che gli hai salvato la faccia? Pensi che ti ringrazierà?” gridò Luca spazientito e nervoso come mai. “- Lo ha già fatto…”. I due Cauviglia presero a battibeccare, ma ad intromettersi fu di nuovo Marco: “- 'Grazie cameriera!' Ecco come l’ha ringraziata! E finirà lì, Fran! Al Club prenderà di nuovo a fare il gradasso con gli amici tonti e a sbeffeggiarti!”. A quelle parole la ragazza non ne poté più: scattò in piedi e, come una furia, si allontanò a passo rapido… preferiva tornarsene a casa piuttosto che continuare quella conversazione! Potevano essere tutti coalizzati contro di lei? Federico doveva avere una parte buona, in fondo, molto in fondo… e poi quel modo in cui l’aveva guardata, ringraziata, sorriso… non poteva essere un caso… e forse, un giorno, il ragazzo sarebbe anche potuto essere il suo fidanzato, non più solo nei suoi sogni.
 
 
“- Non posso credere che ci abbia preceduto anche questa volta! Come diamine ci riesce?” Pablo, con aria particolarmente stizzita, camminava avanti e indietro nel suo studio, sotto lo sguardo quasi ipnotizzato di Roberto che alzò le spalle, ignorando anche lui quella risposta. Galindo continuò a leggere l’articolo del Clarín, in prima pagina, accanto al quale troneggiava la foto con il volto del suo rivale storico, Gregorio Casal. ”- Non ho idea di cosa si sia messo in testa quell’infame! Sta comprando allargando le sue imprese e appena tento di fare un’offerta io per evitare quel triste destino ai malcapitati che si mettono in affari con lui, mi precede… e sappiamo come sono le aziende di quel tizio! Ritmi durissimi, operai che devono tenere un passo frenetico o vengono licenziati in tronco… e poi leggi qui! Nel suo ultimo acquisto ha già dimezzato il personale, così, su due piedi la gente si ritrova in mezzo alla strada! E’ assurdo! E tutto solo perchè vuole farmi terra bruciata intorno! Ti sembra normale?” Galindo conosceva bene il suo nemico giurato, sapeva che Gregorio lo detestasse da tempo, precisamente da quando il Country Club, progettato dallo stesso Casal con il socio storico Antonio Fernandez, lo portò ad impazzire del tutto per la sete di potere che crescebbe a dismisura in lui, convito che quella struttura gli avrebbe dato ancora più fama o meglio, che l'alleanza con quell'anziano e ricchissimo uomo gliene avrebbe data molta. Antonio, avendo capito che tipo assetato di denaro fosse, lo aveva allontanato da sé e dai suoi affari preferendogli Galindo per la fine del progetto del circolo che, alla sua morte, gli lasciò anche in eredità: da allora, Gregorio aveva sempre dichiarato guerra aperta a Pablo. Per alcuni anni era stato fuori da Buenos Aires ma da quando era rientrato in patria era più agguerrito che mai. Erano tre anni, che sembrava essersi accanito maggiormente: voleva espandersi sempre di più, voleva potere e fama e la sua voglia di autorità era inarginabile, a discapito dei poveri lavoratori. “- La Parodi&co è a rischio! Sicuro punterà anche a loro… Sebastian Parodi è stato anche tuo socio se non erro, figurati! Ci godrà un sacco a farti vedere come riesce a comprare pure loro, che sono già in crisi e, per giunta, tuoi ex alleati!” commentò Lisandro, continuando a fissare l’uomo camminare nervosamente. “- Sebastian ha ceduto il posto a Marcela, sua figlia… e comunque non credo che Casal riuscirà ad ottenere qualcosa! Sono tipi tosti, li conosco bene, e lo odiano almeno quanto me!” ribatté l’uomo, passandosi nervosamente una mano nel ciuffo corvino. “- E se dovesse…?” Roberto non riuscì a terminare la frase che Pablo, come un falco, ritornò a sedersi alla sua poltrona. “- No, da me sa che non caverebbe un ragno dal buco, ma mi dispiace troppo anche per tutte le altre imprese che hanno già ceduto a lui, facendosi incantare dai suoi soldi! Non sanno con chi stanno facendo affari… e solo per una stupida ripicca che riguarda me! Non immagini quanto la cosa mi faccia stare male…” Commentò, prendendosi la testa tra le mani e socchiudendo gli occhi, cercando di tranquillizzarsi. “- Pablo, tu non hai colpe, calmati. si sistemerà tutto, vedrai.” Lo rincuorò il collaboratore, nonché suo fido confidente, facendogli risollevare lo sguardo. “- Me lo auguro…” Sbottò l’imprenditore, afferrando il cellulare dalla tasca e cominciando ad armeggiarvi nervosamente. “- Roberto, se vuoi puoi andare.” sentenziò, notando che l’assistente non si fosse mosso di un centimetro e lo fissasse, ancora con aria sorniona. “- Che altro c’è?” domandò, comprendendo che la conversazione non fosse finita lì. “- Sei stato coraggioso l’altro giorno ad andare al Club, ottimo! Si vede che la mia influenza e soprattutto quella di Angie stanno dando i loro frutti e deduco addirittura che la sua sia stata anche più forte della mia, dato che erano 15 anni che io  ti dicevo le stesse cosa, e improvvisamente arriva quella donna, ti spiattella tutto in faccia anche più duramente di me e le presti attenzione... ci voleva proprio una presenza come lei in questa casa!” esclamò l’uomo, entusiasta e attendendo la reazione dell’altro che non tardò di certo ad arrivare. “- Sì, devo ammetterlo, è molto importante per… per tutti noi, ovviamente.” Si limitò ad affrettarsi a rispondere Galindo, con aria pensierosa… La Saramego poteva davvero riuscire a fargli comprendere tutte quelle cose con qualche semplice frase diretta? E poi, cosa stava per ammettere a Lisandro? Angie era importante per tutti, proprio tutti… se avesse detto per lui come voleva, chissà Roberto quali film mentali avrebbe cominciato a farsi! Invece era così, ma non nel senso che avrebbe voluto sentire il suo amico… lei era riuscita a fargli fare già un piccolo passo ma che per lui era tantissimo; era importante ma non di certo in altro modo come avrebbe facilmente pensato Lisandro... “- Jackie non ha apportato molto alla famiglia, mi sembra… a parte grida e isterie! Quelle non ce le fa mai mancare, devo ammettere!” La frecciata del suo amico non si fece aspettare e Pablo ruotò gli occhi al cielo, sapendo già dove volesse andare a parare: non gli aveva mai fatto segreto di quanto poco gli andasse a genio la fidanzata e non perdeva mai occasione per rinfacciarglielo, seppur non esplicitamente. “- Roberto…” lo richiamò severo il moro, fissandolo con aria di rimprovero. “- Cosa?” “- Vai pure.” lo congedò ancora una volta Pablo, facendo sì, che, controvoglia, l’altro si alzasse e si allontanasse verso la porta, scontrandosi, ormai sulle scale, con un’infuriata Saenz. “- PERMESSO!” strillò la donna, dandogli uno spintone e facendosi spazio per arrivare alla porta dello studio del suo fidanzato. “- Amore! Stai bene? Hai una faccia!” domandò poi la donna, rivolgendosi a Pablo che annuì forzatamente. No, non stava bene e tra le vendette trasversali di Casal, i pensieri che lo affliggevano sul figlio e i discorsi di Roberto era sicuro che, prima o poi, sarebbe potuto anche impazzire.  “- Va tutto bene, tranquilla.” Si limitò a rispondere l’uomo, facendola sorridere distrattamente. “- Leon è di sotto con l’istitutrice, sta studiando e stranamente ascolta l’insegnante! E’ un miracolo… Pablo tesoro ma mi stai ascoltando? Ci sono problemi con il lavoro?” a quella domanda Galindo sussultò quasi dalla sedia. “- No, nessuno.” Balbettò, tesissimo, il bruno, ritornando a scrivere su alcuni progetti… ma la Saenz non si arrese e aggirò la scrivania, andandosi a sedere sulle sue gambe e sbirciando tutti i suoi lavori. “- Quanto sei bravo, questo bozzetto è strepitoso!” ghignò, ancorandosi con un braccio dietro al collo di lui e cominciando a solleticargli la nuca. “- E’ la pianta della villa del dottor Martinez, me l’ha commissionata lui, dice che vuole ci lavori personalmente.” Disse, con tono quasi imbarazzato il moro, indicando il foglio che Jackie neppure fissava più.  “- Che bella, mi piacerebbe che anche noi, magari dopo il matrimonio, avessimo una nuova casa, tipo quella, ad esempio…” mormorò Jackie, facendo sì che il moro la fissasse stupito: una nuova casa? Perché quella non le andava bene? Secondo la donna, per far sì che il fidanzato fosse ancor più in suo potere, aveva bisogno di cambiare aria, di dimenticare del tutto la moglie morta, di dedicarsi solo ed esclusivamente a lei.  “- Amore, qui sei troppo preso dal passato, ora hai me, devi eliminarlo dalla tua vita…” sibilò lei, carezzandogli una guancia con il dorso della mano e facendogli sollevare lo sguardo, perplesso… forse la trascurava, per giunta per il ricordo di Clara? Ma lui non poteva né voleva lasciare quella casa, la sua, quella dove era nato e cresciuto Leon, quella in cui aveva passato i momenti più felici della sua vita... non voleva o poteva immaginare neppure di eliminare il ricordo della moglie dal suo cuore, dalla sua vita... “- Scusami ma… devo andare di sotto, ho dimenticato il tablet in salotto.” Si apprestò a dire lui, facendola scattare in piedi e lasciandola impietrita a fissarlo, mentre si precipitava fuori a passo rapido. La bionda sbuffò sonoramente… Pablo non aveva idea contro chi si stesse mettendo, ignorandola in quella maniera. Pensava che fosse una stupida? Beh, si sbagliava di grosso e il tempo le avrebbe dato ragione.
 
 
Quella notte la discoteca del Country Club era affollata come sempre e Luca, Camilla e Francesca erano al lavoro come al solito, girovagando tra i tavoli con fare affannoso e stanco. “- Ma questi qui non hanno di meglio da fare che venire qui ogni benedetta sera?” sbottò la Torres, lavando dei bicchieri da cocktail, rivolgendosi a Francesca che, offesa dalla litigata mattutina, a stento le rivolgeva la parola. “- Francesca? FRAN!” la rossa posò con stizza il delicato oggetto sul bancone e si avvicinò, con le mani sui fianchi, all’amica, alquanto piccata. “- Che c’è? Hai altre prediche da farmi su Federico? Sai quanto mi piace quindi, beh che ne so… essendo la mia migliore amica potresti anche rispettare la mia scelta!”. La voce della mora era risentita e Camilla si arrabbiò ancor di più per quella frecciata. “- Proprio perché sono la tua migliore amica ti dico ciò che penso e ti consiglio per il meglio! Quello lì è un poco di buono! E poi quale scelta? Di che parli? Della scelta che hai fatto di venire derisa e presa in giro da lui? Bella scelta, complimenti!” . Neanche se lo avessero chiamato, Federico Bianchi entrò nella saletta e si andò a sedere subito al suo posto con i suoi pessimi soci, già sul divanetto da un bel po’, insieme a Lara, Andrea e una certa Carla, probabilmente un nuovo acquisto del catalogo. Il giovane italiano, però, dopo aver un po’ chiacchierato con gli amici, subito ricominciò con la solita solfa e iniziò a chiamare la bruna a gran voce: “- Cameriera Francesca! Venga qui!” sbottò, con tono persino annoiato, il ragazzo. “- Hai ottenuto molto aiutandolo, visto?” esclamò la Torres, avviandosi lei stessa verso il privé per dirgliene quattro. “- No, ferma! Vado io…” la bloccò per un polso la Cauviglia, afferrando un vassoio e un taccuino con una penna per le ordinazioni, per quanto servisse dato che sapeva a memoria cosa prendesse il ragazzo ogni volta: un Affinity Orange o, di solito il sabato, un Palm Beach. Si diresse verso il gruppetto di giovani e, prontamente, sorrise a Bianchi, sperando che dopo l’aiuto prestatogli quella mattina, almeno un pochino meglio l’avrebbe trattata. “- Un Affinity, e muoviti che ho cose più importanti da fare che aspettare che ti sbrighi!” sentenziò lui, battendo le mani come per invitarla a far presto a quel comando. “- Federico, io…” balbettò lei, pensando di ottenere almeno una frase gentile… non pretendeva né, tanto meno, si aspettava che l’amasse quanto lo amava lei, eppure un minimo di rispetto poteva concederglielo! “- Che c’è? Pensavi che solo con quel piccolo suggerimento sarei diventato buono con te? Povera piccola illusa! E poi non chiamarmi Federico, io per te sono il Dottor Bianchi!” si pavoneggiò lui, facendo sghignazzare Lara, Andrea e gli altri. Alle spalle della mora, però, apparve Camilla che, ascoltata quella discussione, non esitò a correre in soccorso della Cauviglia. “- Dottor Bianchi? Ma ti ascolti quando parli? A quanto ne so stamattina ti sei salvato da una figuraccia colossale solo grazie alla cameriera, mio carissimo dottor Bianchi!” cominciò la rossa, sotto lo sguardo stupito dei presenti, tranne quello, ancora basso sul pavimento, di Francesca. “- E sai che ti dico? Spero che prenda il ramo di chirurgia plastica, così quando io e Luca ti spaccheremo la faccia saprai cosa fare per riaggiustartela o meglio, ricomporla!” gridò, paonazza per la rabbia, la Torres, mentre la Cauviglia, imbarazzata e delusa, se la tirò con sé, prima che avesse dato il via a una qualche rissa. Bianchi ghignava, Diego e Leon commentavano le ire della Torres divertiti e le giovani vicino a loro subito provarono a saperne di più su quella presunta gaffe del mattino evitata dal ragazzo, giusto per spettegolare un po’.
“- Che è successo? Che voleva stavolta?” Luca, sentite le grida di Camilla, era corso dietro al bancone dal retro e, prontamente, aveva preso a scuotere per le spalle la sorella che, per tutta risposta, lasciò che una lacrima le rigasse una guancia. “- Fran! Non farmi preoccupare! Gliene vado a dire quattro io a quel gradasso!” sbottò l’italiano, facendo subito scuotere il capo alla bruna. “- Ci ha già pensato Cami, tranquillo. E poi non ce ne sarà più bisogno, avevate ragione, tutti. Ho chiuso per sempre con quel tizio, per sempre!” esclamò, allontanandosi di colpo da Luca per andare a nascondersi nella saletta che faceva da dispensa e, accucciandosi in un angolo, lontano dai sorrisi malvagi di quel perfido, si lasciò andare ad un pianto disperato e liberatorio, venendo presto raggiunta da Camilla che, in silenzio, l’abbracciò e la tenne stretta, senza dire nulla ma solo facendole sentire il suo calore e il suo appoggio.
Nell’altra sala, invece, i ragazzi notarono subito entrare Ludmilla, ma, stranamente, la bionda non si sedette con loro e, andando proprio a posizionarsi su un divanetto di fronte, aveva tutta l’aria di stare aspettando qualcuno. “- Diego, è il tuo momento, ora o mai più!” Leon, stranito dall’atteggiamento dall’amica, intuì che si fosse apposta seduta in disparte proprio perché sembrava volesse dare una chance al ragazzo, magari avendo sentito la voce che diceva quanto stesse “cambiando” per amor suo, Dominguez. “- Ok, io vado ma siamo sicuri che non mi manda a quel paese come sempre?” esclamò il moro, facendo sollevare gli occhi al cielo a Federico che, per tutta risposta gli diede uno spintone per farlo sbrigare. “- Che ti importa, tanto ci sei abituato!” sbottò Bianchi ridendo sguaiatamente. In fondo anche alla Ferro sembrava che piacesse Diego, era solo che non accettava quel suo essere così… donnaiolo. Lo spagnolo si incamminò con passo fiero verso la bionda che stava armeggiando con il suo Iphone e, nel momento in cui il bruno era a metà strada tra lei e il suo divanetto, un altro moro lo sorpassò e si andò a sedere proprio accanto alla giovane. “- Thomas! Finalmente! Pensavo che non saresti venuto più!” disse lei, alzando gli occhi verso quell’altro tipo e abbracciandolo, per poi depositargli un caldo bacio sulla guancia. “- Ti pare che rifiutavo il tuo invito?” commentò il ragazzo, dagli occhi di ghiaccio e il sorriso smagliante, prendendo posto accanto a lei, stranamente un pochino a disagio. Dominguez non si era mai sentito così in imbarazzo e, allo stesso tempo, furioso, in vita sua. Chi era quel tizio? E come osava stare accanto alla sua Ludmilla? Senza pensarci due volte, il ragazzo si avvicinò ancor di più e a falcate maggiormente ampie verso di loro che chiacchieravano amabilmente di chissà cosa e ridacchiavano felici. “- Scusami…” Diego, picchiettò sulla spalla di Thomas con forza, facendogli sollevare lo sguardo e ottenendo l’effetto di far sbordare la bibita che teneva in mano dal bicchiere. “- Ci conosciamo?” domandò Heredia, sotto lo sguardo falsamente stupito della Ferro. “- Leva le tue manacce dalla mia ragazza, subito!” esclamò, rabbioso, Diego, facendo sì che l’altro si alzasse, pronto a fronteggiarlo a viso aperto. “- Per quanto mi risulta Ludmilla è single, quindi puo’ stare con chi le pare…” sentenziò, senza fare una piega, Heredia, innervosendo ancor di più, per quella triste realtà, Diego. “- Beh, tu forse non lo sai… ma lei è mia.” Lo spintonò Dominguez, digrignando i denti con ira. “- Io non sono di nessuno, tantomeno tua! E ora vattene, ti stai rendendo ridicolo! Invece di fare scenate inutili, dimostrami che sei cambiato… io e Tommy siamo amici ma tu di certo non potresti mai essere il mio fidanzato finché continuerai a fare la vita del Don Giovanni e ad essere così arrogante!” esclamò, a sorpresa la Ferro, scattando anche lei in piedi e mettendosi davanti a Thomas, per proteggerlo con il suo stesso corpo. “- Me ne vado! Ma sappi, Thomas… che se ti rivedo accanto a lei, la prossima volta potrei non rispondere di me!” sbottò poi Diego, puntandogli l’indice ad una clavicola e smuovendolo leggermente. “- Va’ via!” urlò Ludmilla, risiedendosi e cominciando a parlottare con il ragazzo che, prontamente, lei stessa tirò a sedere, essendo lui troppo pietrificato per muovere anche un solo muscolo. “- Sapevo che avrebbe reagito! Sono una mente geniale!” esultò, sottovoce, la giovane, facendo annuire Thomas. “- Ci è cascato come un pollo! Ora devi solo attendere che ti dimostri quanto sia cambiato e quanto ci tenga davvero a te! Il mio compito è finito… anche perché non vorrei rischiare di prenderle da quel bisonte!” commentò lui, facendo sghignazzare la Ferro che, sporgendosi verso il tavolino, afferrò anche il suo bicchiere. “- Un brindisi a noi e al mio piano geniale che lo ha fatto finalmente scuotere un po'!”  mormorò con aria astuta e facendo l’occhiolino ad Heredia. “- A noi!” ribatté prontamente l’altro, facendo sì che il suo drink oscillasse leggermente nello scontro di vetri con quello della giovane. Ludmilla ghignò soddisfatta e sollevò il bicchiere con aria trionfante verso Dominguez che, con il broncio, la fissò esterrefatto: ora toccava davvero a lui, se voleva la Ferro doveva fare di tutto per conquistarla, anche fare il bravo ragazzo e, per quanto cotto fosse, giurò solennemente che avrebbe fatto di tutto e di più per riuscirci.
 
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Capitolo di rivalità! Attenzione a Federico il malvagio! XD Abbastanza OOC... Tra poco anche lui avrà il suo rivale! Ma povera Fran! :’( Blocco centrale in cui conosciamo il personaggio (a proposito di malvagi…) di Gregorio Casal, non dimenticatelo che tornerà! A quanto pare odia Pablo e vuole fargli terra bruciata intorno, alleandosi con altri imprenditori e lasciandolo praticamente solo contro tutti, ottenendo il potere e la fama. E, sempre per parlare di malvagi, c’è il nostro caro nido di avvoltoi che, essendo stata trascurata da Galindo, sembra quasi giurargli vendetta! O.O Ludmilla… alla fine ha risvegliato la voglia di Diego di conquistarla e tutto grazie a Tommy che ha rischiato di prenderle da Dominguez! XD Insomma, capitolo movimentato… e non temete che i Leonetta torneranno già nel prossimo! ;) Si avvicina una scena da scleri Leonettosi, io vi avverto! ;) Grazie a tutti e alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 10
*** Superare, insieme. ***


Quella domenica mattina era alquanto calda e Olga, sotto suggerimento di Angie, aveva allestito la colazione sul retro della villa nei pressi di uno dei più ampi gazebo, quello proprio vicino alla piscina e, per la prima volta, seduti con il resto della famiglia, vi erano la cuoca stessa e Roberto. Il tavolo era imbandito di ogni prelibatezza come al solito ma l’umore dei commensali non era affatto dei migliori... Pablo, tra mille problemi lavorativi, aveva l’aria pensierosa, ma, ovviamente, la cosa che più lo faceva rimuginare era sempre il suo Leon: la situazione con lui, dopo che l'uomo era andato a prenderli al Club, non era migliorata, anzi. Il figlio continuava ad uscire tutte le notti e lui a recarsi nella mansarda dove sentiva la sua Clara più vicina. Il ragazzo, dal canto suo, aveva preso malissimo il tentativo del padre di superare il suo trauma e, per quanto lo amasse, non riusciva proprio ad accettarlo… era come se lui volutamente continuasse a vivere nel passato e, di conseguenza a far soffrire entrambi e considerava il fatto di aver guidato fino al Country quel giorno una pagliacciata, un gesto a cui era stato obbligato, forse da Angie, ad obbedire… inoltre, un nuovo problema lo affliggeva e non sapeva davvero come fronteggiarlo, considerando che fosse strettamente correlato alla sua relazione con il padre. La Saramego, sperando di placare quel clima di tensione che si avvertiva già dalle prime luci dell'alba a villa Galindo, aveva proposto quel posto diverso per il primo pasto della giornata, sperando di rallegrare gli animi di tutti sotto i raggi di quel caldo sole, ma, a quanto sembrava, nemmeno quello avrebbe cambiato la situazione. “- Ieri al Club mi hanno sfidato…” per fortuna, qualcuno, ruppe il silenzio tetro che era calato sulla tavolata e, Leon, iniziò a parlare, tra un sorso di caffè e l’altro. “- In cosa?” domandò, curiosa, Violetta, sperando di intavolare una conversazione con il giovane per non starsene come al solito in silenzio e apparire meno timida, anche agli occhi dello stesso figlio del padrone di casa. “- Tennis. Io e Fede abbiamo vinto la partita contro Diego e Andres e Bianchi mi ha proposto un altro doppio.” Sentenziò il ragazzo, stranamente fin troppo serio e preoccupato per quella sfida. “- E quindi? Che c’è hai paura di perdere?” lo provocò, timidamente, la giovane La Fontaine, facendo sì che Galindo la incenerisse con lo sguardo, prima di poter continuare: “- E’ un doppio, ho detto! Lui sarà in coppia con suo padre, il dottor Alberto Bianchi e io dovrei giocare con… a detta di Alberto con te, papà.” Sentenziò, tesissimo, il giovane, sapendo già in partenza che l’uomo non avrebbe preso parte alla gara considerando che non metteva piede in quel Club da 15 anni… perché mai ricominciare per uno stupido match? “- Ah… capisco.” Borbottò il moro, già realizzando il fatto che, per giocare con lui, avrebbe dovuto varcare di nuovo quel cancello, dando il via ad un rincorrersi di molteplici malinconici ricordi nella sua mente.
“- Ma non ti preoccupare, so che hai dei problemi con quel… luogo. Roberto, mi farebbe molto piacere che tu giocassi al posto suo, ci sarai?” Quella domanda fu una fucilata al cuore per Pablo, un colpo sordo che, se non avesse stretto i pugni, l’avrebbe fatto sobbalzare dalla sedia o, se fosse stato in piedi, stramazzare direttamente al suolo, svenuto. Lisandro, in vistoso imbarazzo per la richiesta, rimase a fissare con gli occhi sgranati da dietro gli occhialetti il giovane: in fondo, si poteva dire che Leon fosse anche un po’ figlio suo, lo aveva letteralmente cresciuto da quando, morta Clara, il suo vero padre era caduto in una sorta di forte depressione da cui ancora non era venuto del tutto fuori. Era stato lui a portarlo a scuola, lui ad andare alle sue recite, lui a giocare in giardino quando, a 10 anni, il piccolo si rese conto di non saper tirare ancora un calcio ad un pallone e di essere rimasto l’unico nella sua classe a non esserne in grado. Era grazie a Lisandro se aveva cominciato a distrarsi andando al Country Club e a socializzare di più con gli altri... in sostanza, lo adorava come avrebbe fatto un papà e non gli sarebbe dispiaciuto aiutarlo in quel doppio ma il ragazzo, un padre lo aveva e stava provando a superare ed abbattere le sue barriere sul passato proprio in quel momento, quindi, Roberto, scosse lievemente il capo in segno di dissenso… perché non provare a proporlo a Pablo proprio nel momento in cui stava dando dimostrazione di cambiamento? “- Mi dispiace, Leon… non credo di ricordare come si giochi a tennis!” ridacchiò nervosamente l’uomo, posando poi il suo sguardo su Galindo senior che, seppur non lo desse a vedere, era in ansia e armeggiava distrattamente con il suo fido tablet per sfuggire a tutti quegli occhi puntati addosso che sentiva: voleva dire a Leon che avrebbe giocato lui, come di dovere e seppure fosse una schiappa… ma come l’avrebbe presa lui? Si sarebbe arrabbiato? Lo avrebbe rifiutato spezzandogli il cuore? E, soprattutto, lui ce l’avrebbe fatta a mettere piede dopo tanti anni al Club?
“- Io vado di sopra, ho ricevuto una mail e devo controllare dei progetti prima di rispondere, scusate.” Si sentì un codardo, un maledetto codardo come sapeva di non essere eppure in quel momento, senza guardare in faccia nessuno e con quella frase che si intuiva a chilometri di distanza essere una scusa, il padrone di casa si alzò da tavola e si rintanò in casa dove, forse, si sarebbe sentito più a suo agio.
“- Lo sapevo.” Quello fu l’unico commento di Leon una volta che il padre si allontanò da tavola e nessuno osò continuare a parlare. Angie, finendo la colazione in fretta, dicendo di dover preparare la lezione del giorno per il suo allievo, si fiondò dentro la villa… come poteva Galindo perdersi quell’occasione di stare con il figlio? Era forse impazzito? I suoi discorsi, allora, erano andati al vento? Quella fiducia che gli aveva dato dov’era andata a finire? Con la mente affollata di pensieri, la donna si precipitò subito per le scale, diretta all’ufficio dell’uomo.
Violetta, dal canto suo, restò ferma a tavola a fissare Galindo junior, scosso da quell’ennesima discussione e notò come il ragazzo avesse una strana espressione malinconica. Certo che doveva soffrire un sacco, era una situazione bizzarra e riusciva a leggergli negli occhi  un vuoto enorme, un abisso, quella mancanza di un vero e proprio legame con suo padre gli provocava: per un attimo si immaginò di essere al posto suo… anche lei non aveva la madre ma, a differenza del giovane, poteva sempre contare sull’appoggio di Matias, sul suo amore incondizionato e su Angie… lui, in fondo, chi aveva?
 “- Leon, io non posso giocare ma potresti sempre chiedere a tuo…” il ragazzo non lasciò neppure finire Roberto e, come una furia, scattò il piedi con chiara ira nel suo sguardo tanto profondo quando, in quel momento, triste. “- Non credo gli faccia piacere! Non hai visto che sceneggiata ha messo in piedi per scappare via? Dirò a Federico di avvisare suo padre… non se ne farà niente. Declinerò la sfida e passerò come lo zimbello del Club ma va bene, tanto si devono solo azzardare a parlar male di me! Li caccerò via a pedate, TUTTI!” con quelle parole rabbiose, si allontanò veloce come un razzo verso il giardino frontale della villa, sotto le facce attonite di Violetta e Roberto. Jackie, come se quella conversazione non l’avesse toccata minimamente e, evidentemente era proprio così, si alzò e si andò a preparare per andare a fare shopping e Olga, dal canto suo, per quanto amasse spettegolare, capì che quello non era il caso e rientrò a passo rapido in cucina, portandosi alcuni vassoi così da iniziare a sparecchiare. “- Vorrei andare a parlargli ma forse vuole stare da solo…” la voce tremante della La Fontaine fece sollevare gli occhi a Lisandro che, scuotendo il capo, si aprì ad un goffo sorriso. Violetta non capiva il perché ma, quando l’uomo si affrettò a spiegarglielo, forse comprendendo a pieno la perplessità della ragazza, capì anche lei cosa volesse intendere Roberto. “- E’ stato solo per troppo tempo, non credo che la tua vicinanza gli possa dispiacere, anzi.”  La giovane, scostando piano la sedia dal tavolo, tentò di seguire il ragazzo ma Leon era già sparito dalla circolazione. “- Credo che sia al gazebo sul lago, sono anni che quando è triste si rifugia sempre lì.” Per fortuna, Lisandro, osservando come la giovane si stesse guardando intorno perplessa, gli diede quella dritta con tanto di direzione da seguire. “- Grazie.” ribatté lei timidamente, avendo capito finalmente dove potesse essersi cacciato il ragazzo. In quel momento non lo temeva, non aveva paura di lui, della sua malizia… era un figlio distrutto dal dolore, come lei, nonostante tutto, non lo era mai stata.
 
 
Angie, di fronte allo studio di Galindo, titubava da interminabili minuti sul da farsi: forse era il caso di farsi gli affari suoi, pensò distrattamente la bionda, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. Eppure, se quel sogno che non le aveva mai abbandonato la mente, voleva significare qualcosa era proprio che lei dovesse combattere per la felicità di quel padre e quel ragazzo, ancora troppo straziati dal dolore. “- Tesoruccio…” quella voce irritante, poi, la fece sobbalzare: alle sue spalle, proprio mentre stava per bussare alla porta di Pablo, si materializzò Jackie, elegantissima e con espressione malvagia, come al solito. “- Prego?!” domandò l’istitutrice, che come di scatto, si voltò ritrovandosi occhi negli occhi con quella vipera della Saenz. La fidanzata di Galindo la studiava con aria di superiorità, attenzione e una vena di nervosismo. “- Non ti conviene entrare. Lo conosco e credimi, quando sta così è meglio lasciarlo da solo.” Sbottò acidamente, con il tono di chi la sapesse lunga sull’argomento. “- Io penso che da solo starà ancora peggio, non crede?” domandò Angie, facendo alzare le spalle all'altra con una punta di nervosismo mista alla più totale indifferenza sulla situazione di Galindo. “- Da solo o no, di certo questa faccenda non riguarda te, bambolina!” esclamò, ancheggiando poi verso le scale che portavano al piano inferiore. “- Ah, e un’altra cosa…” sibilò quasi, voltandosi e tenendosi con una mano lungo il corrimano della gradinata. “- Se proprio c’è qualcuna che puo’ consolarlo quella sono io, non tu... ci penserò io dopo a risollevargli il morale… ed ora ti saluto, la carta di credito non si svuoterà da sola!” ridacchiò, con una nota di cattiveria e indifferenza nel tono che alla Saramego non sfuggirono. L’insegnante sospirò amaramente: ma come aveva fatto un uomo intelligente e dal cuore buono come Galindo a ritrovarsi legato ad una donna come quella? Di sicuro era stato costretto dalle voci che, nell’ambiente altolocato, erano anche peggiori di quelle dei bassi ranghi. D’altronde, un uomo che, dopo aver perso la moglie tragicamente così giovane, decide di starsene solo con il figlio doveva apparire fin troppo strano e doveva anche essere fonte di pettegolezzi per l'alta classe che era costretto a frequentare… e, forse per  metterli a tacere, si era ritrovato aggrovigliato a quella tizia tanto scorbutica e odiosa. La Saramego si curò minimamente di ciò che le aveva detto la Saenz e, finalmente, bussò e, un timido “Avanti”, le fece fare il suo ingresso nella stanza. “- Posso?” domandò la bionda, facendo sollevare lo sguardo all’uomo che rimase un po' stupito da quella presenza nella camera: come diamine faceva ad arrivare sempre nel momento in cui aveva bisogno di parlare con qualcuno? Per quanto fosse un tipo solitario, in occasioni come quella, aveva bisogno di qualcuno, di una persona come lei… e si meravigliò al solo pensiero di quelle tre parole… “Aveva bisogno di lei..” ma come gli saltava in mente anche anche solo di riflettere su ciò? “- Sì, certo.” Disse, richiudendo un quotidiano e facendole cenno di sedersi davanti alla sua scrivania. “- Sa’ perché sono qui, vero?” Chiese la donna, accomodandosi di fronte a lui. “- Suppongo di sì.” sentenziò l’uomo, passandosi nervosamente una mano nel ciuffo corvino, vistosamente a disagio per quella conversazione… non era facile per lui parlare dei suoi traumi passati e sapeva bene che, se viveva quella situazione era proprio a causa di essi. “- Si ricorda quando le ho detto di non demordere, quando ci venne a prendere al Club, nonostante la reazione di Leon?” la voce di Angie era serissima e il moro, annuì nervosamente. Ricordava bene quelle frasi che gli aveva detto, quegli occhi verdi così luminosi che lo supplicavano di non arrendersi con suo figlio, che dovesse continuare su quella strada per riallacciare un rapporto vero e saldo con lui. “- Ecco, allora faccia questo sforzo. Leon vuole solo una partita di tennis con lei! Mi rendo conto che quel posto non le va a genio e capisco perfettamente il perché, non creda che non lo sappia… ma lo faccia per lui: se lo ama come dice e come sono certa che sia, non lo puo’ deludere, non ora che sta davvero facendo passi in avanti! Dia la possibilità anche a lui di diventare diverso, migliore… e potrà farlo solo se si mostrerà lei per primo disposto a cambiare.” La voce della Saramego era così dolce che l’uomo, come ammaliato da quel tono e da quelle splendide parole, non riuscì a staccarle gli occhi di dosso per tutta quella spiegazione che gli aveva fornito: era così intelligente, premurosa… Jackie si sarebbe mai preoccupata per lui e per suo figlio? In fondo al cuore, ne dubitava e sapeva che faceva bene a dubitarne. “- Lei è una psicologa, per caso? Non mi risultava dal suo, seppur vasto, curriculum!” ridacchiò teso come una corda di violino il padrone della villa, facendole disegnare un sorriso luminoso sul viso. “- No, non lo sono… ma non ci vuole un genio per capire cosa serve a lei e a suo figlio.” commentò Angie, scrutandolo con attenzione. “- Cosa?” domandò Pablo, rapito da quello sguardo verde, luminoso, profondo  e da quelle parole così sentite. “- Comprensione. Comprensione, ascolto, fiducia e un piccolo sforzo nel voler cambiare da parte di entrambi, per il bene di tutti e due.” Concluse Angie, facendo riflettere Galindo… se non era una psicologa allora sarebbe potuto esserlo senza alcun problema! Era così chiara e pacata mentre in quel momento gli parlava, quella voce lo rapiva completamente… e si rese conto che sarebbe stato capace di restare lì ad ascoltarla per ore, giorni… forse per tutta la vita… preoccupandosi e pentendosi subito di quel folle pensiero. “- Io… io avrei voluto accettare subito, mi creda. Ma sono stato un codardo e ho avuto paura che mi rifiutasse… insomma, si rende conto? Lo ha chiesto a Roberto, mi ha escluso a priori!” sbottò, con un tremito nel tono della voce, il bruno, alzandosi dalla poltrona e aggirando la scrivania per andare avanti e indietro nello studio come un pendolo impazzito. “- Se lo ha chiesto a Roberto è perché sapeva che lei avrebbe rifiutato! Leon sa bene come odia quel posto e sa che non ci avrebbe messo piede per tutto l’oro del mondo, figurarsi per una partita di tennis, un motivo così futile per uno come lei!” ribatté la donna, scattando in piedi anche lei e parandosi di fronte al moro, con aria decisa. “- Lei crede?” disse lui, bloccandosi davanti alla donna e riprendendo a far sì che la mente gli si affollasse di più di un pensiero. “- Non è che lo credo, io ne sono certa. Fiducia, signor Galindo! E’ una delle cose che serve ad entrambi, ricorda?” sorrise la bionda, portandosi una ciocca dietro l’orecchio, facendo di nuovo annuire l’altro che, sentendo improvvisamente le gambe tremargli al solo ritrovarsi a specchiarsi negli occhi di lei, si ancorò con una mano alla spalliera di una delle due sedie di fronte alla scrivania... 
Comprensione, ascolto, fiducia e voglia di cambiare. “- Bene, allora cosa sta aspettando? Vada a dire al ragazzo che giocherà quella diamine di partita! E non faccia quella faccia!” rise la Saramego, indicando il viso dell’uomo che, improvvisamente, era passato dall’essere sereno all’agitazione più totale per il dover affrontare il giovane. “- Sono sicura che ne sarà felice e questa sfida farà bene ad entrambi, e non parlo solo della partita in sé… sarà una gara da affrontare ma ne uscirete vincitori, comunque vada il doppio contro i Bianchi ed io tiferò per voi, ovviamente. In tutti i sensi.” Sorrise Angie, dandogli una pacca sulla spalla che lo fece sobbalzare e, così facendo, uscì con passo calmo dalla stanza. Pablo rimase a fissarla per alcuni minuti che gli parvero interminabili… poi andò di nuovo a sedersi alla sua poltrona, sperando di trovare il coraggio di parlare al figlio… incrociò distrattamente la foto di Clara e, prendendola tra le mani, l’osservò con aria preoccupata ma sorridente. “- Come fa ad avere sempre ragione?” disse, tra sé e sé, rivolgendosi però alla moglie. Ripose la cornice sulla scrivania e si appoggiò completamente con la schiena alla sedia, pensando su come affrontare Leon senza provocare una rottura ancora più profonda tra loro.
 
 
Leon era affacciato alla ringhiera del gazebo in legno che dava sulla sponda del piccolo stagno artificiale e guardava l’acqua sotto di sé muoversi lievemente insieme ad alcune ninfee per la leggera brezza che si era sollevata proprio in quell’istante. Quel movimento era quasi ipnotico ma il ragazzo aveva troppi pensieri perfino per venire incantato da esso… cosa doveva fare? Solo lui sapeva quanto gli costasse rimandare quella partita o, peggio ancora, conoscendo Bianchi, perderla a tavolino… Galindo non perdeva mai, figurarsi in quella maniera così orrenda, senza neppure giocarsela fino allo stremo delle forze come era abituato a fare lui. Eppure non aveva nessuno con cui giocarla. Nessuno. Quella parola lo fece rabbrividire e, stizzito, lanciò un piccolo calcio al parapetto che tremò leggermente. Violetta, con il fiato corto per aver dovuto compiere il giro di tutta quell’enorme casa prima di trovarlo, attraversò il ponticello che portava sino a lì e sentì le assi di legno sotto ai suoi piedi scricchiolare impercettibilmente. Quel suono, però, per quanto appena udibile, non fu colto solo da lei ma anche da Galindo che come una furia, si voltò di scatto con un’espressione che le fece venire i brividi: aveva gli occhi gonfi, segno che avesse pianto per un bel po’ ma, quegli stessi occhi erano furenti di rabbia per quell’arrivo inaspettato, come se non gradisse la sua presenza. “- Se vuoi vado via.” balbettò la giovane, restando immobile all’imboccatura del ponticello e a diversi metri da lui. Leon, stranamente scosse il capo e si voltò di nuovo verso la ringhiera, appoggiandosi con entrambe le braccia su di essa, continuando a guardare verso il basso. “- Non capisco cosa ci faccia tu qui… per un attimo ho quasi sperato che fosse mio padre… che stupido illuso che sono…” sentenziò il ragazzo, per poi prendere un profondo respiro e interrompersi di colpo: Violetta non aveva più paura di lui? Era apparso così debole e indifeso da averla fatta decidere di raggiungerlo? Il gracidare di una rana interruppe tutte quelle sue domande mentali così che continuasse quella frase, chiaramente rimasta incompiuta. “- …Però se ti va, puoi restare a vedere come si dispera il terrificante Leon Galindo.” Commentò con freddezza glaciale, facendo però sì che la giovane facesse qualche passo titubante verso di lui, fino a raggiungerlo del tutto e ad appoggiarsi anche lei al parapetto, sotto lo sguardo stupido del ragazzo: aveva sperato con quel commento di mandarla via, eppure lei non dava la minima impressione di volerlo lasciare solo e in fondo, la cosa, per quanto mai lo avrebbe ammesso, non gli dispiaceva affatto. Quella ragazzina lo aveva sempre attirato eppure non avrebbe mai pensato che, in qualche momento, l’avrebbe potuto essere accanto senza tremare come una foglia. In quel frangente, invece, la ragazza era ferma e decisa e fissava anche lei la superficie del laghetto, seguendo con lo sguardo un gruppo di girini che, a pelo d’acqua, nuotava allegramente facendo slalom tra quei grossi fiori a galla. “- Non dovresti disperarti, Pablo ti adora e tu lo sai.” Affermò la giovane, facendo sollevare gli occhi al ragazzo che non esitò a puntarglieli addosso come due fari accesi, interessato dalla piega che aveva preso sin da subito quella conversazione. “- Voglio dire, non sprecare l’occasione di essere felice con lui, dovete poter contare l’uno sull’altro… è questo che importa, no?” domandò la ragazza, sperando di tirargli su il morale. “- Ma che ne sai, tu! Tu non lo conosci nemmeno, non conosci me e pretendi di poterci giudicare!” sbottò Leon, ritornando furioso e riprendendo a guardare verso il basso. La giovane scosse il capo con decisione: di certo non poteva dirgli che invece lo capiva e benissimo, anche il suo di padre era perennemente triste per la scomparsa di sua madre ma lui sapeva che quel ruolo fosse occupato da Angie che era viva e vegeta, quindi se stette in silenzio e tirò un profondo sospiro. In fondo la sua situazione era comunque diversa per quanto simile a quella dei Galindo: Matias, seppur non avendo mai dimenticato Esmeralda, non viveva nel passato, anzi tentava di superare il dolore facendosi forza con sua figlia… per il giovane doveva essere l’opposto e anche per suo padre.
“- Non voglio giudicarvi, non mi permetterei mai… ma sono sicura che, prima o poi, questa situazione la supererete e...” Tentò di iniziare la ragazza ma fu subito interrotta dalla reazione di Galindo. “- ... Non finché continuerà ad essere legato ai ricordi come lo è ora.” Ribatté prontamente lui, andando poi verso il centro del gazebo con lo sguardo basso sulle assi e le mani nelle tasche dei pantaloni. Non riusciva a spiegarsi perché, eppure con quella ragazzina si stava aprendo, come probabilmente non aveva mai fatto con nessuno, per anni... forse semplicemente perché non aveva mai avuto qualcuno di esterno a quella famiglia con cui farlo o, in fondo, perché aveva capito che quella Violetta era stata l’unica, nonostante tutto, ad aver avuto il coraggio di seguirlo. “- Devi anche capirlo! L’avrà amata come nessuna e sei tu che lo stai giudicando, adesso!” sbottò la castana, facendolo voltare di colpo. “- Io lo capisco e ne soffro, credimi... ma quand’è che lui capirà me? Non è facile sopportare di vederlo così, sono 15 anni che piange ogni notte all’1 e 15, l’ora dell’incidente! Pensi che per me sia semplice? Io sono praticamente un estraneo per lui! Non gli importa niente di me…” Violetta non aveva mai visto il ragazzo in quello stato: aveva le lacrime agli occhi e non si vergognava di farlo notare, infatti continuava a tenere lo sguardo alto e fiero su di lei, riuscendo a metterle una tensione addosso indescrivibile… e poi, tutte quelle informazioni insieme le confusero la mente… era possibile che Pablo fosse ancora tanto attaccato al ricordo della madre del ragazzo? “- Però non dire così, non è giusto! Lui ti ama e lo sai.” lo rimproverò la La Fontaine, notando come il ragazzo avesse preso a ghignare e a scuotere il capo. “- Lo pensi davvero? Io sto cominciando ad avere i miei forti dubbi.” Era incerto, insicuro ma pensava sul serio quello che stava dicendo, tanto che la ragazza se ne accorse, Quella non era una domanda sarcastica: davvero Leon si stava chiedendo fino a che punto l’affetto del padre potesse superare anche quegli ostacoli, realmente era confuso sul fatto che l'uomo potesse amarlo come un figlio. “- Certo che lo penso! Leon, quando ti guarda nei suoi occhi si vede che sei tutto per lui… perché non gli hai proposto di giocare con te? Pensi davvero che non verrebbe al Club per… insomma, per quello che rappresenta per lui e ti deluderebbe in questo modo? Sta cambiando ma non te ne sei accorto?” Violetta, quasi sorpresa dalle sue stesse parole, gli andò incontro con passo lento e tremante ma lui non si allontanò e si limitò ad osservarla con aria sorpresa: poteva quella ragazzina essere così matura? Forse, se invece di guardarla solo con malizia l’avesse conosciuta, evitandola di farla fuggire a gambe levate, lo avrebbe scoperto molto prima. “- Leon… proponiglielo, almeno!” Sussurrò Violetta, rendendosi conto di essere arrivata sin troppo vicino a Galindo che, come ammaliato da quella giovane, annuì piano, anche se nella sua mente, la paura di una risposta negativa lo attanagliava come mai in vita sua. Senza aggiungere altro, la ragazza, inspiegabilmente, sentì l’impulso di abbracciarlo… e non riuscì a resistervi: fu come se fosse guidata da una forza che non dipendesse dalla sua mente, e, in un batter d’occhio, si ancorò alle spalle forti del ragazzo che sgranò gli occhi, sorpreso da quel gesto così improvviso e sconvolgente, rimanendo immobilizzato, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo fisso di fronte a sé. Un brivido però, gli scosse la colonna vertebrale e si chiese come fosse possibile una cosa del genere… lui non si innamorava mai, eppure quell’emozione era uno dei chiari sintomi che probabilmente, poteva provenire solo da un sentimento tale. Violetta, dal canto suo, restò alcuni secondi con il viso appoggiato contro il suo petto di Leon e ispirò a pieni polmoni quel profumo così deciso e forte ma che, allo stesso tempo, aveva una nota delicata… era proprio come lui, non avrebbe potuto scegliere una fragranza che si avvicinasse maggiormente al suo essere. In realtà il giovane non era affatto un cattivo ragazzo ma sfuggiva a quel suo dolore fingendo di esserlo. La La Fontaine si staccò dopo qualche secondo, preoccupata per la reazione di Galindo e prese a fissarlo, specchiandosi in quegli occhi così profondi sorridendogli, leggermente a disagio, mentre lui era impassibile, troppo scosso da quel gesto per fare qualunque cosa, anche ricambiare a quel dolce sorriso di lei che gli fece per un attimo tremare il cuore.
“- LEON!” la voce del signor Galindo li fece sussultare: l’uomo li raggiunse a passo svelto e Violetta, per non apparire scortese e invadente, si allontanò di colpo per lasciarli da soli a parlare e nessuno poteva sapere quanto ne avessero bisogno. “- Ci verrò io con… con te a giocare, se vorrai ovviamente.” Il tono di Pablo era insicuro e, senza mezzi termini, propose al giovane quella soluzione. “- Tu? Ma non…?” balbettò il figlio, seguendo con lo sguardo ancora quella ragazza  che, in un batter d’occhio, era riuscita a sottrargli ogni certezza e che si stava allontanando, avendo superato il ponticello, verso la villa.
L’uomo lo zittì con un gesto della mano e continuò: “- Sono arrivato per te sin là fuori e proverò anche ad entravi… sempre per il tuo... il nostro bene.” Sorrise goffamente l’uomo, attendendo nervosamente la reazione del giovane che non tardò ad arrivare. “- D’accordo… ma dovrai allenarti, già da domani andremo al Club, ok?” sbottò, serio, il castano, mettendo le mani in tasca e fissando il volto del padre, evidentemente a disagio come lui… a quell’invito il padre si sentì sollevato ma, allo stesso tempo, era agitato al solo pensiero di dover varcare l’entrata di quel posto. “- Va bene.” Si limitò a dire, con più freddezza, il moro, dandogli una pacca sulla spalla e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al figlio, si allontanò dal gazebo.
Il ragazzo, per quanto fosse apparso ancora severo con l'uomo, era felice… in fondo era stato troppo duro con lui, se aveva guidato fin fuori al Country era per fargli capire che voleva cambiare ed ora ne aveva la certezza. Violetta aveva ragione, anche il suo papà aveva i suoi motivi e, evidentemente aveva voglia di cambiare quella situazione, lo stesso forte desiderio che aveva anche lui e, in fin dei conti, perché non dargliene la possibilità? Era forse merito di Angie che gli aveva parlato? Sapeva che quella donna era un genio! Perché, allora, continuare solo ad accusarlo e non provare a affrontare, finalmente, quel passato che tanto li faceva soffrire? Solo insieme, probabilmente, avrebbero potuto finalmente superare quel dolore, ancora fin troppo presente nelle loro esistenze.
 
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Hola a todos! :D Allora, il rapporto tra padre e figlio non è dei migliori e le crepe vengono fuori ancora una volta! Dolciose che sono Angie e Vilu! E l’abbraccio Leonettoso? Vogliamo parlarne? *___* E Galindo junior sta cedendo ai sentimenti, ora vede la ragazza con occhi diversi… :3 Quando si deciderà a seguire del tutto il suo cuore? E la scommessa con gli amici che fine farà? Come andrà la partita di tennis? ;)
Grazie a tutti coloro che mi seguono con  tanto affetto, siete davvero gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :D DulceVoz. :)

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Capitolo 11
*** Padri e figli. ***


Ludmilla se ne stava seduta comodamente su una delle gradinate più alte del campo da tennis del Country Club, fissando davanti a sé con aria falsamente disinteressata a tutta quella confusione intorno a lei: era il giorno dell’epico match in cui si sarebbe scontrato il suo migliore amico, Leon, in coppia con suo padre, contro il dottor Bianchi e suo figlio, Federico. Si era mostrata molto combattuta giusto per non offendere nessuno dei due su chi tifare, quando i giovani glielo chiedevano, ovvero praticamente ogni giorno ma, in cuor suo, sperava che la coppa in palio ricadesse senza dubbio nelle mani dei Galindo, soprattutto dopo lo sforzo immane che, sapeva, aveva dovuto fare Pablo per tornare lì dentro e, lei che conosceva tutta la storia passata, era ancora maggiormente convinta che loro meritassero il suo appoggio. La voce, da qualche giorno, si era infatti diffusa: il proprietario del centro era ritornato nella sua struttura con il figlio per allenarsi in vista della gara e tutti i membri non vedevano l’ora di assistere a quel match. La Ferro, armeggiando distrattamente con il cellulare, però, non poteva fare a meno di pensare a Diego e alla sua reazione alla vista di Thomas insieme a lei, qualche settimana prima. Era stato geloso, tremendamente geloso, e il suo piano gliene aveva dato atto, ma il punto non era quello: aveva bisogno di scuoterlo ancora, di far sì che il giovane le dimostrasse il suo cambiamento in positivo… ma quanto ancora avrebbe resistito, considerando quanto lui le piacesse? O meglio, quanto tempo ci avrebbe messo Dominguez a cambiare, a patto che ci sarebbe riuscito? Avrebbe dovuto dargli fiducia? In fondo, anche a detta di Leon, Diego stava tentando in tutti i modi di fare il bravo ed era vero: non si era più sentito dire che il giovane avesse flirtato con qualche ragazza e Galindo glielo aveva confermato, sperando che lei gli credesse. Effettivamente, Leon stesso sperava che il moro si stesse convertendo ad una vita meno da “Don Giovanni”… il ragazzo, non avrebbe mai voluto vedere Ludmilla piangere per l’amico ed era arrivato anche spesso a minacciare lo spagnolo… ma Diego, dal canto suo, a parte qualche occhiata a qualche giovane a bordo piscina, stava facendo davvero il bravo e la Ferro, anche stando a quanto raccontatole dal figlio di Pablo, doveva dargliene atto. Eppure quanto sarebbe durata quell’ improvviso cambio di rotta? Lo spagnolo la amava davvero così tanto da modificare il suo carattere? Forse, in effetti, anche lei sbagliava a non prenderlo ancora in considerazione in quel senso, ma la paura di essere ferita l’attanagliava fin troppo. Mentre gli spalti continuavano ad affollarsi di curiosi, la sua attenzione ricadde su un gruppo di ragazzi che conosceva di vista e, alle loro spalle, spuntò la testa bruna proprio di Domuinguez che stava salendo sulle gradinate: era spento, come depresso e non era certo da lui. La conferma Ludmilla la ebbe quando due ragazze molto carine gli si sedettero accanto e lui neppure alzò lo sguardo per osservarle, come avrebbe fatto di solito… ma che gli prendeva? Possibile che il fatto che lei lo rifiutasse lo rendesse in quello stato? O c’era dell’altro? Fece per avvicinarsi ma una folla di persone che saliva in direzione contraria la costrinse a ritornare al suo posto ovvero su alcuni spalti più a destra e in alto rispetto a lui.
“- Ludmilla! Ti stavamo cercando!” Andres e Libi, la figlia del console israeliano, nonché fidanzata storica del ragazzo, si sedettero accanto a lei, facendola letteralmente sobbalzare, tutta presa com’era a riflettere sullo spagnolo. “- Ero qui, dove ci eravamo accordati, no?” sbottò acidamente lei, accavallando una gamba e abbassandosi gli occhiali da sole sul volto, mostrando i suoi occhi nocciola. “- Stai calma, principessina! Come mai tanto astio stamattina?” ridacchiò la bruna, alla sua sinistra. “- Sono nervosa per la gara! Voi no?” mentì spudoratamente lei, mantenendo il suo tono scorbutico, facendo annuire gli altri due. “- Perché Diego è seduto lì da solo? Che gli è preso?” domandò poi Ludmilla, distrattamente, indicando il moro che, con aria assorta, fissava di fronte a sé. “- Problemi di famiglia, me lo ha detto Leon… nemmeno voleva venire alla partita ma lui lo ha convinto, per farlo distrarre.” spiegò, sottovoce, Calixto, facendo incupire la bionda. Cosa gli era successo di così grave? Di solito Diego era sempre allegro, solare… non poté resistere… Ludmilla doveva saperne di più, anche a costo di sembrare più interessata del dovuto. “- Cosa gli è capitato?” chiese ancora, facendo alzare le spalle al moro. “- Galindo non ne sapeva molto, sai com’è chiuso sui fatti suoi Dominguez! Non mi ha detto altro.” Sentenziò Andres, mentre, finalmente, i due Bianchi erano arrivati in mezzo al campo per iniziare il riscaldamento.
Diego finalmente cominciò a distrarsi un po’, osservando ipnoticamente il padre e il figlio che iniziavano con i primi palleggi, entrambi nella stessa metà del campo. Quella mattina di certo non gli era iniziata nel migliore dei modi e se era lì lo doveva solamente a Leon che lo aveva praticamente obbligato a recarsi alla partita. Odiava quella situazione, di solito non amava restare a casa più del dovuto ma quel giorno i suoi avevano sorpassato ogni limite e, in effetti, uscire era stata una liberazione più del solito: se il giovane era ormai abituato da anni a furiose litigate a tutte le ore, quella mattina era stata un inferno senza precedenti. Francisca Lopez, esasperata dai comportamenti del marito che per l’ennesima volta non era rientrato per tutta la notte con la scusa di impegni lavorativi, nonostante lei avesse avuto le prove di dove invece fosse in realtà, lo aveva cacciato di casa e, addirittura, era dovuta intervenire una volante della polizia per placare gli animi. La povera donna, per il bene del loro unico figlio, aveva sopportato tradimenti su tradimenti ma, ormai stanca, si era ribellata e gli aveva fatto volare dalla finestra tutti i suoi effetti personali. Diego, sentendo quelle grida, si era chiuso a chiave in camera, le grandi cuffie nelle orecchie e la musica a tutto volume, sperando di evitare di ascoltare e assistere a quella bolgia che si stava scatenando in giardino. Avevano toccato il fondo, o meglio, suo padre lo aveva fatto, il celebre cuoco famoso persino in Europa e America, la cui cucina si stava cominciando ad apprezzare anche in Asia: Gonzalo Dominguez.
Perché continuavano con quella farsa? Non sarebbe stato più semplice che l’uomo avesse deciso da solo di lasciare quella casa invece di continuare a illudere sua moglie e, soprattutto, lui, suo figlio? Diego sentì gli occhi pizzicargli: ripensò a sua madre, a quando era rientrata in casa e gli aveva riferito, piangendo, di quel divorzio imminente… e lui aveva dovuto consolarla, per poi rifiutare le centocinquanta chiamate di Leon che voleva sapere cosa diamine fosse successo e perché non gli rispondesse da ore. Aveva spento il cellulare ma l’amico, prima di andare al Club per la partita, era addirittura passato a casa sua per parlargli ed era venuto a conoscenza di tutta la vicenda. “- Non voglio venire, devo restare con lei…” aveva commentato Dominguez, indicando la madre, avvolta in una coperta, ancora in lacrime sul divano del salone. Ma sia Leon che, inseguito, Francisca, avevano insistito per farlo uscire da lì, per farlo evadere da quella casa in cui ormai, la famiglia, si era del tutto sgretolata come neve al sole nonostante Diego sapesse che, in cuor suo che, vedere invece tutte quelle felici sugli spalti e i padri e figli che di lì a poco si sarebbero sfidati, di certo l’avrebbe fatto stare anche peggio.
 
 
“- Sono certo che non verrà.” Nel sottopassaggio che portava dagli spogliatoi maschili al campo, Leon era seduto su una panca di legno e maneggiava agilmente la racchetta, come a colpire un’immaginaria pallina. “- Vedrai che tra poco sarà qui, avrà avuto qualche contrattempo…” lo rincuorò Violetta, accanto a lui, mentre Roberto armeggiava con il telefonino per contattarlo e Angie, come una furia, andava nervosamente avanti e indietro. “- Manca un quarto d’ora all’inizio del match, sbrigati!” sbottò Lisandro, lasciando l’ennesimo messaggio in segreteria al suo capo. “- Giuro che se non si fa vivo lo vado a prendere fino a casa per le orecchie e lo conduco qui... con la forza se necessario!” sbottò tra sé e sé, paonazza di rabbia la Saramego. Pablo si era allenato per un solo giorno al Club, trovando il coraggio di entrare lì dentro solo perché accompagnato dalla bionda, da Lisandro e dalla giovane LaFontaine, eppure, in quell’unico pomeriggio, era apparso fin troppo nervoso e poco concentrato su dritti, rovesci e punteggi… per non parlare del momento in cui aveva intrapreso il viale d’ingresso principale del Country! Era come se fin troppi ricordi gli avessero affollato contemporaneamente la mente e non riuscisse a pensare ad altro se non al passato. Leon se n’era accorto e non era stato il solo… ecco perché tutti, seppur non facendolo notare, erano preoccupati che l’uomo non si sarebbe neppure presentato alla gara. “- Va beh, se non arriva scendo in campo io e quando torniamo a casa lo ammazzo, anche se è il mio capo, lo faccio fuori comunque, non mi importa!” la bionda istitutrice non nascose più il suo timore e, a passo rapido, si avviò agli spogliatoi femminili, sperando di trovare una tenuta adatta rispetto ai suoi tacchi, jeans e camicetta, per la partita. “- Non ce ne sarà bisogno signorina Angie e si calmi… cos’è che voleva farmi?” l’istitutrice si bloccò di colpo a fissare la porta verso la quale era diretta e restò zitta, non avendo il coraggio di voltarsi, mentre sia Roberto che Violetta e Leon corsero verso Galindo senior che sorrideva divertito dalle accuse della donna che, nel frattempo, continuando a restare muta, era diventata prima bianca come un cencio e poi paonazza, resasi conto dell’enorme gaffe appena messa a segno. “- Papà! Sinceramente pensavo che non saresti venuto!” sentenziò, con tono ancora teso, il figlio, beccandosi una goffa pacca sulla spalla dall’uomo. “- Problemi per un progetto importante… non temere però, ora sono qui e sono venuto per vincere.” Sorrise il moro, facendo annuire Roberto con aria soddisfatta: “- Questo è lo spirito giusto!” esclamò, fiero del suo capo. “- Vado a cambiarmi… non c’è tempo per l’ultimo allenamento… riscaldamento e in campo, ragazzo mio!”  sentenziò ancora Pablo, per poi dirigersi verso lo spogliatoio. “- Ah, signorina Saramego?!” A quelle parole, finalmente, la donna si voltò e si avvicinò al gruppo con lo sguardo basso sul pavimento. “- Che arma avrebbe usato? Per curiosità…” la provocò l’uomo, facendo sghignazzare persino Violetta. “- Una racchetta sarebbe stata perfetta.” Ribatté, alzando gli occhi smeraldo e ritrovandoseli incatenati a quelli neri del bruno che alzò un sopracciglio, assumendo un’espressione buffa… quella donna era davvero incredibile, doveva ammetterlo!
Il campo era di un brillante colore rossastro che risplendeva ancor di più sotto ai raggi del sole, tipica cromatura della terra battuta, una superficie lenta in cui la pallina viene sempre rallentata dopo il rimbalzo, facilitando lo scambio da fondo campo. La rete era tesissima e sembrava che, il pubblico festoso, non aspettasse altro che assistere quanto prima all’inizio di quel match.
“- Alberto, che piacere vederti!” Pablo, già con la racchetta tra le mani, subito si avvicinò al dottor Bianchi per stringergli la mano, conoscendolo già abbastanza bene dato che, in quell’ambiente, erano quasi tutti amici. “- Galindo! Non credevo saresti venuto!”. Il moro, aspettandosi una frase del genere, incassò il colpo e si sforzò di sorridere, cingendo con un braccio le spalle del figlio che, subito, cominciò a chiacchierare con Federico. “- Nemmeno io lo avrei mai detto, eppure, eccomi qui.” Sentenziò, più amichevolmente e diplomaticamente possibile, il proprietario del Country.
“- Vi stracciamo, amico! Io e mio padre siamo stati campioni regionali, Leon! Altrimenti, secondo te, perché vi avremmo sfidati?” ghignò Federico, cominciando subito a punzecchiare l’amico, conoscendo quanto fosse permaloso sulle gare e, soprattutto nelle sconfitte. “- Per perdere, Fede. Voi evidentemente ci avete sfidato per perdere! Non mi risulta che abbiate mai vinto Wimbledon!” rise il ragazzo dagli occhi verdi, facendo sghignazzare anche l’amico. “- Lo vedremo, Galindino! Sai che ti voglio bene ma in guerra e a tennis tutto è lecito, quindi preparati a soccombere alla forza dei Bianchi!” esclamò Federico, con tono solenne, andando a posizionarsi nella sua metà campo. “- Lo vedremo… e comunque era in guerra e in amore…” lo corresse il castano, sistemandosi la fascetta tergisudore sulla fronte e cominciando a saltellare sul posto, mentre l’arbitro prendeva posizione sulla sua scaletta, in posizione elevata per assistere meglio al match. “- Papà…” Leon, poco prima che il gioco iniziasse, si rivolse all’uomo con tono serio e quasi non riusciva a credere a ciò che stava per confidargli. “- Che c’è? Dimmi.” Si preoccupò prontamente il moro, fissandolo già con stupore misto ad ansia. “- Comunque vada… sappi che sono felice che tu sia venuto e che sia qui con me.” Balbettò il giovane sottovoce, quasi come se si vergognasse di quella frase tanto sentita eppure un tantino smielata rispetto al suo essere. Che quella Violetta lo avesse influenzato? Erano giorni che non riusciva a spiegarsi cosa gli fosse accaduto per farlo stare in quel modo… quell’abbraccio, quella sola conversazione durante la quale era riuscito ad aprire completamente il suo cuore come non gli era mai successo, si sentiva strano… come non gli capitava con nessun’altro. “- Lo stesso vale per me, figliolo. Ti voglio bene.” sorrise, in vistoso imbarazzo, l’uomo, facendolo rabbrividire: da quanti anni il padre non gli diceva quelle tre parole? Evidentemente lo considerava un dato di fatto, un qualcosa di talmente sottointeso da non dover neppure essere detto eppure, sentirlo, fece un ottimo effetto al ragazzo che sorrise. “- Anch’io.” Balbettò, ormai decisamente fuori dai suoi schemi soliti per quella marea di smancerie… era carico, ora voleva anche la vittoria, quella sul campo: quella più importante l’aveva già ottenuta nel vedere il padre andare lì per lui… ma quella sfida la voleva vincere su tutti i fronti e, seppure non fosse di certo il Roland Gaross, ci teneva ugualmente tantissimo a sollevare quella coppa simbolica con suo padre e diamine, lo avrebbe fatto.
“- Buona fortuna, ne avrete bisogno!” rise Federico, avanzando di qualche passo rispetto al dottor Bianchi. “- Papà…?” “- Che c’è Leon?” “- Stracciamoli!”. E dopo quell’ennesimo scambio di battute tra padre e figlio Galindo, subito il castano batté con talmente tanta rabbia la pallina che il suo primissimo servizio terminò in un ace perfetto e i Bianchi neppure videro dove fosse andata a finire la piccola sfera gialla che si schiantò appena sulla linea che delimitava il campo. “- Miseriaccia!” imprecò Federico, sentendo solo una scia di vento passare alla sua destra, rimanendo pietrificato da quel tiro. “- Pare che la fortuna sia dalla nostra, eh, Fede?” urlò Leon agitando un pugno in aria in segno di esultanza. “- Ok, hai avuto il vento a tuo favore… ma vi battiamo comunque!” sbottò l’amico, con aria nervosa come mai. La gara continuò e i Bianchi si accanirono sempre di più, come se almeno stessero giocando per la conquista della Coppa Devis. I Galindo, dal canto loro, rispondevano con altrettanta forza, soprattutto Leon che spesso si ritrovava a coprire anche le zone di Pablo che, in evidente difficoltà per le chiare mancate sedute di allenamento, non esitava a combattere comunque. Fu una lotta all’ultimo set e senza esclusione di colpi e il testa a testa continuò sino alla fine.
Il tifo era molto più forte per i Galindo che per i Bianchi e Federico si sentì ancor più offeso e nervoso per quell’affronto… l’ultimo servizio ed era in mano proprio del giovane italiano. “- GALINDO, GALINDO, GALINDO!” i cori contro di sé lo fecero miseramente sbagliare alla battuta e non riusciva più a concentrarsi, colpendo in pieno la rete. “- Ultima possibilità, figliolo! Impegnati!” sbottò Alberto rigirandosi la racchetta nervosamente tra le mani. Federico, con un servizio impeccabile, riuscì a mandare la pallina nel campo avversario e questa venne prontamente raccolta con un bel rovescio da Pablo che la rispedì ad Alberto che, con un dritto, aveva intenzione di spiazzare Leon ma lui, flettendosi su un ginocchio, non perse occasione per ribattere con un’agilità tale che spiazzò entrambi i Bianchi, sicuri di avere già la vittoria in tasca… i Galindo fissarono la direzione della piccola sfera come ipnotizzati e sentivano il cuore uscirgli quasi dal petto per la tensione… era come assistere ad una scena al rallentatore: un silenzio assordante li avvolse, poi il colpo sordo dell’oggetto giallo colpire il suolo e il boato d’esultanza sugli spalti. “- Abbiamo vinto…” balbettò sottovoce il padre, mentre Leon, con un salto, lo abbracciò di slancio. Avevano vinto! I Bianchi, increduli, presero a litigare rabbiosamente, mentre, scendendo dagli spalti, Angie, Violetta e Roberto corsero a festeggiare i vincitori. “- GRANDI! SIETE STATI GRANDIOSI!” urlò, euforica, la giovane, abbracciando, ancora una volta istintivamente Leon, che, sgranando gli occhi sconvolto, la sollevò a mezz’aria e la fece volteggiare per qualche secondo, per poi farla ritornare con i piedi per terra… ma come diamine gli era saltato in mente? Subito si scostò, stizzito e teso, ma continuando a sorriderle e a gonfiare il petto soddisfatto per la vittoria.
“- SIGNOR GALINDO! LEI E’ UNA LEGGENDA DEL TENNIS! ALTRO CHE RAFA NADAL!” la risata cristallina della Saramego si impossessò delle orecchie dell’uomo che colse subito quella voce anche nella confusione e sorrise, in imbarazzo ma felice. “- Grazie…” sussurrò poi all’orecchio della donna, per poi stringerla forte tra le sue braccia, facendola restare un po’ sorpresa. “- E di cosa? La partita l’avete vinta voi!” ammiccò la bionda, facendogli intuire a cosa si riferisse: la gara superata non era stata solo quella sul campo ma un’altra… l’uomo voleva fare il possibile per recuperare con Leon e giurò di provarci ad ogni costo anche se, forse, non sapeva di non riuscirci ancora a pieno…
 
 
4:30. Leon non poteva credere alle sue orecchie… non era cambiato nulla in quella casa, era esattamente tutto come prima: la porta della soffitta che sbatteva, la camera di suo padre vuota ed una grande voglia di evadere che si era impossessata di lui… come poteva resistere ancora lì dentro? Era andato in discoteca a festeggiare, aveva chiacchierato a lungo con lo sconfitto, Federico, e si era di nuovo dato alla pazza gioia con le ragazze e gli amici, tra i quali, però, mancava Diego… doveva essere ancora scosso dall’accaduto ed, in effetti, non poteva biasimarlo. Se l’amico non aveva nemmeno voglia di andare al Club a distrarsi la vicenda doveva essere più grave del previsto… insomma, Dominguez aveva bisogno di lui e, da buon amico, decise di telefonargli, certo del fatto che non stesse ancora dormendo, nonostante l’ora tarda. Come previsto, il moro aveva ancora il cellulare acceso e, dopo qualche squillo a vuoto, subito Galindo sentì la voce dello spagnolo far capolino dall’altro capo del telefono. “- Leon…” balbettò, con voce stravolta. “- Ehi… come va?” domandò subito lui, sedendosi sul suo letto, ancora intatto: a quella domanda seguì silenzio e, prontamente, Leon aggiunse dell’altro: “- Non ti preoccupare, so che non vuoi che si sappia in giro e i ragazzi, infatti, non sanno nulla di preciso…” commentò, facendo finalmente riprendere l’amico. “- Grazie… sai che mi vergogno di quello che… che è successo. Tieniti sul vago, se proprio la vicenda dovesse venire fuori ci parlerò io.” Mormorò Diego, con tono ancora stranamente intimidito. “- Non ti devi vergognare tu! E’ stato lui a sbagliare, lui dovrebbe sentirsi in colpa per ciò che vi ha fatto! Domani notte passo a prenderti e vieni con me al County!” sintetizzò il ragazzo, sfilandosi le scarpe e stendendosi, appoggiando finalmente la testa sul cuscino. “- D’accordo, ci proverò. Ciao.” Lo salutò il bruno, riagganciando la chiamata. Leon restò immobile a fissare il soffitto… povero Diego, quel Gonzalo Dominguez era un bastardo a far soffrire così sua moglie e suo figlio. Il silenzio di quella camera, presto, fu così forte che addirittura coprì i suoi pensieri e, prontamente, si portò in posizione seduta. Quella serata era stata particolare e non era solo per l’assenza di Diego che, sicuramente, si era fatta sentire... Ludmilla, la sua migliore amica, era stata stranamente silenziosa e spesso lo fissava come se avesse voluto chiedergli qualcosa ma, evidentemente, la presenza di Federico, Lara e Andrea, glielo impediva. Bianchi, dal canto suo, era stato per tutto il tempo a punzecchiare Francesca ma lei, stranamente, si era comportata in maniera fredda, non guardandolo più con aria trasognante ma quasi con disprezzo. Lara non aveva fatto altro che fare domande su quella castana che in campo l’aveva abbracciato e lui, stizzito, non l’aveva scelta per completare la serata, chiamando un’altra delle sue “amiche” da catalogo. Quel pensiero dell’abbraccio davanti a tutti con Violetta non aveva fatto altro che confonderlo ancora di più: lui non si innamorava e se la voleva farla cadere ai suoi piedi, evidentemente  era solo per farsi bello davanti agli amici, come si era accordato la sera del suo compleanno… eppure quella ragazza era diversa dalle sue solite prede, fonti di scommesse, lei era… speciale e non sapeva spiegarsi ancora il perché.
La vibrazione del suo cellulare lo fece sobbalzare e subito si sporse verso il comodino sul quale l’oggetto giaceva, proprio accanto alla medaglia d’oro ricevuta, insieme alla coppa, quella mattina. Un sms, ed era di Ludmilla.
 
“- Dormi? Devo parlare con te.”
 
Lo sapeva! Sentiva che la Ferro volesse sapere qualcosa e sospettava anche che potesse riguardare proprio Dominguez… per quanto lei fingesse di snobbarlo per quel suo lato troppo intraprendente, Leon era a conoscenza del fatto che ne fosse cotta almeno quanto lo spagnolo lo fosse di lei. Cercò di fretta il numero in rubrica e sfiorò lo schermo con un dito per avviare quella seconda telefonata. “- Ehi!” la Ferro, dopo mezzo squillo, subito rispose e sembrava attendere quella conversazione da almeno tutto il giorno. “- Ludmi sapevo che dovessi dirmi qualcosa, ti conosco… me ne sono accorto!” rispose Leon, voltandosi e, agitando il braccio verso il comò, afferrò il premio della partita. “- Volevo chiederti di Diego… stamattina Andres era così vago… ma io so che tu ne sai di più, quindi parla.” sentenziò, con voce quasi tremante, la bionda. “- Sì, ne so di più ma non posso dirti nulla, è lui che non vuole. Mi dispiace.” A quelle parole, la Ferro ritornò la ragazza acida e viziata che era e si infastidì di quella mancata informazione. “- LEON, DANNAZIONE! DIMMELO!” urlò, facendo allontanare istintivamente il cellulare dall’orecchio del castano. “- Piano, principessa! A momenti mi rompevi un timpano! Te l’ho detto e Galindo non si ripete! Non posso! Comunque stai tranquilla, l’ho chiamato prima e domani gli ho già detto che verrà al Club.” Spiegò il giovane, rigirandosi la medaglia tra le mani e osservandone i dettagli, finemente incisi nell’oro massiccio.
“- Ti odio quando fai così! Mi irriti terribilmente!” sbottò la ragazza, facendolo sogghignare istintivamente. “- Anch’io ti voglio bene e ti auguro una buonanotte… o buongiorno dato che è l’alba.” Rise Leon, innervosendola ancor di più. “- Leon?” domandò poi, ritornando più calma. “- E’ così grave come sembra?” domandò, quasi pentendosi della sua stessa domanda, Ludmilla. “- Non è una sciocchezza, anzi… ma la supererà. Siamo suoi amici e dobbiamo stargli accanto.” Rispose il giovane, con tono fermo ma non cedendo comunque alla tentazione di parlarle… riuscì, però, a rassicurarla almeno un po’. “- Certo che gli staremo vicini, questo è ovvio... Ciao, Leon.” sentenziò, fingendosi ancora un po’ offesa, la Ferro. Galindo, salutando a sua volta, si ristese e poggiò di nuovo il riconoscimento di vittoria sul comodino, insieme al cellulare. La sua amica era proprio innamorata e sperò che quei due testoni presto si fossero dati una mossa a mettersi insieme… e lui? cosa avrebbe fatto, lui? Si sarebbe trovato una ragazza e avrebbe messo la testa a posto? E perché, proprio in quell’istante, l’immagine di quei due abbracci con Violetta cominciarono freneticamente a vorticargli nella mente? “- Basta con queste stupidaggini!” si ripeté mentalmente, esausto dei suoi stessi pensieri. Chiuse gli occhi e rimase immobile ad assaporare quell’attimo di pace… era stata una mattinata intensa e la notte era stata anche peggio… e, per quanto tentasse di farsi piacere quella situazione di falsa serenità, in realtà la detestava dal profondo sentendola fin troppo artefatta e fasulla per poterne godere appieno. Quanto era stato bene con suo padre, senza ricordi tristi che incombevano, senza pensieri… erano solo loro due, la coppia vincente, quella più acclamata… quanto avrebbe voluto che fosse rimasto tutto così, come in quel momento… e invece no, era come se fosse stata solo una pausa dalla loro vita di sempre, una felicità temporanea e fin troppo sfuggente. Prima di quanto potesse immaginare, Leon cadde in un sonno profondo e un sogno che si impossessò presto della sua mente, gli sembrò paurosamente reale: Violetta, nello stesso campo da tennis del mattino, si avvicinava a lui ma invece di abbracciarlo come aveva fatto in realtà, lo baciava, e lui sentiva quelle labbra morbide premere sulle sue con passione e tenerezza e prontamente riuscì ad approfondire quel gesto, stringendola a sé, con una sensazione di serenità che non provava mai quando era con altre ragazze… si svegliò di soprassalto, appagato ma inquieto: cosa diavolo gli stava accadendo? Che stregoneria gli aveva fatto quella ragazza per rimbambirlo sino a tal punto? Per quanto tentasse di non pensarla, nel mondo onirico, non poteva placare il suo desiderio di lei e, seppure non lo avrebbe ammesso neppure a sé stesso, in fin dei conti, la cosa non gli dispiaceva neanche tanto.
 
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Questo capitolo mi ha fatto scervellare e infatti non mi convince in pieno! Diego protagonista con la sua triste situazione familiare! Ludmilla più che interessata vuole sapere cosa abbia ma non riesce a cavare un ragno dal buco! Partita di tennis con Pablo e Leon trionfatori! E se sembrava che le cose, la mattina, stessero migliorando, la notte ritorna tutto com’era… :( Questi due hanno bisogno di un amore VERO! Altro che un vecchio ricordo o un catalogo! E quindi… muovetevi!  *Spintona Angie e Vilu verso di loro* Leon ha sognato Violetta! Awww *_* Un sogno che non fa parte del sovrannaturale, finalmente! :3 Grazie a tutti coloro che mi seguono e recensiscono con affetto! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 12
*** Segreti di famiglia. ***


Il cantiere della “Parodi&co” era bloccato come al solito e gli operai erano fermi a braccia incrociate, aspettando l’ennesimo salario che non arrivava da più di due settimane.
“- Papà!” una vocina melodiosa si fece largo tra i borbottii indignati dei lavoratori, esclusivamente uomini, e Matias la riconobbe al volo, facendosi spazio tra la folla di colleghi per correre incontro alla sua bambina. “- Tesoro mio!” esclamò il biondo, con tono allegro in contrasto con quel cupo ambiente, sollevandola da terra e facendo girare a mezz’aria la sua Violetta. “- Aveva voglia di vederti… so che non è il luogo adatto ma ha insistito tanto…” Angie, immobile a fissare i due, salutò con un cenno della mano l’uomo che ricambiò con un sorriso. “- Avete fatto benone, invece! Come va alla villa?” esclamò, schioccando un bacio sulla guancia alla ragazza e mettendola finalmente giù. “- Benissimo!” disse lei, euforica, ricordando improvvisamente quei bei momenti passati in quella casa… e anche quelli meno entusiasmanti che però, sembravano già un ricordo lontano. “- A te come prosegue?” domandò la Saramego, avvicinandosi di qualche passo ai due, sentendo i tacchi affondare in quel terreno quasi sabbioso e tentando a fatica di mantenere l’equilibrio, venendo sorretta per un braccio da La Fontaine. “- Male, purtroppo. La Parodi fa del suo meglio ma è troppo testarda! Spera ancora di risollevare l’impresa da sola quando invece dovrebbe lasciarsi aiutare! Capisco che non si fidi di quel Casal ma almeno chiedere al loro ex socio, a Galindo per l’appunto, potrebbe essere una soluzione… So che con Sebastian vi sono stati alcuni screzi dopo che lui ha voluto proseguire da solo, ma sono rimasti in buoni rapporti, quindi…!” commentò il biondo, evidentemente preoccupato per quella situazione sempre più insostenibile. “- Dai, papà, vedrai che cederà a collaborare con lui e si sistemerà tutto!” lo rincuorò, saggiamente la figlia, stringendogli la mano affettuosamente e facendogli abbozzare un mezzo sorriso tirato e teso. “- Lo spero. Ma finché non si smuove qualcosa qui nessuno vuole lavorare, e non posso dargli torto!” esclamò La Fontaine, sedendosi su una cassetta di legno capovolta con aria sconsolata, mentre la Saramego e la più piccola, gli si avvicinarono e cominciarono a tirargli su il morale, chiacchierando amabilmente con lui.
 
 
“- Pablo ti ho già detto che non c’è nulla che tu possa fare per convincermi a cambiare idea! E poi dovrei consultare comunque prima mio padre…” Nel suo enorme ufficio della sede principale della sua impresa, la Parodi era seduta alla sua scrivania e Galindo andava nervosamente avanti e indietro per la stanza con aria preoccupata. “- Ma che male c’è? Ti voglio aiutare! E se sono qui è anche per metterti in guardia da Casal!” sbottò l’uomo, per poi andare ad accomodarsi, nervosamente, di fronte a lei. “- So già di Gregorio Casal e non sono una sprovveduta, ho rifiutato ogni sua offerta, per quanto siano state allettanti, e credimi, lo erano sul serio.” sentenziò, con aria glaciale, la mora, cominciando a scribacchiare nervosamente su dei fogli sparsi di fronte a sé, continuando a tenere lo sguardo basso su essi. “- Benissimo! Che tu non abbia ceduto alle sue offerte è un bene! Ma come pensi di pagare gli operai, di affrontare le spese della Parodi&co e tutto il resto? Non puoi continuare così! Ti sto offrendo una soluzione alternativa alla chiusura e anche ad un’alleanza con quel tizio imbroglione! Sebastian ed io siamo stati soci per anni e sono certo che anche lui piuttosto preferirebbe tornare mio socio!” spiegò con stizza Pablo, portandosi poi una mano alla fronte con aria molto stanca. “- Perché diamine sei orgogliosa quanto tuo padre?” esclamò poi ancor più nervoso, ripensando a quella faccenda: Sebastian, ad un certo punto della sua carriera, aveva deciso di continuare da solo, senza alleato alcuno e per questo aveva preso le distanze da Galindo, convinto di poter contare esclusivamente sue forze ma si sbagliava… ed ora, in crisi, aveva lasciato tutto in mano alla figlia, fuggendo all’estero con la scusa di voler mostrare alla donna quale fosse la vita di imprenditrice che lei tanto agognava. “- D’accordo. In effetti io preferisco centomila volte te a quel tipo!” sentenziò, anche alquanto irata la mora, ruotando gli occhi al cielo e buttando la penna davanti a sé con aria tesa. “- Sia ringraziato il cielo! Hai capito!” esclamò, esasperato ma soddisfatto, l’uomo, sfilando un modulo dalla sua valigetta nera. La donna, però, scattò in piedi e aggirò la scrivania per arrivare a leggere quei documenti ancor prima che lui glieli passasse. “- Tu sei sicuro di quello che stai facendo?” domandò titubante a Galindo che annuì con decisione. “- Assolutamente sì. Casal vuole farmi terra bruciata intorno per una sciocca ripicca di una questione accaduta anni fa! Almeno tu non mettere tutto il lavoro che ha fatto tuo padre nelle sue mani, o per meglio dire, nelle sue grinfie!” le consigliò il bruno con aria serissima ma meno severa. “- Sì, su questo non posso che essere d’accordo… aspettami che lo contatto e poi concludiamo con la firma e ti porto a vedere il cantiere principale.”. A quelle parole, l’uomo decise di lasciarla da sola e, facendo un silenzioso cenno a Roberto che fino a quel momento era restato in silenzio, si allontanò fuori dall’ufficio.
“- Sapevo che l’avresti salvata!” commentò Lisandro, nell’enorme corridoio appena fuori dalla porta dello studio della donna. “- Non l’ho salvata, ho solo fatto del mio meglio per aiutarla! E’ colpa mia se Casal vuole approfittare della sua crisi interna!” si colpevolizzò il moro, appoggiandosi con la schiena alla parete e fissando un punto indefinito di fronte a sé. “- Smettila di incolparti di qualcosa di cui non hai colpa! Se quell’uomo è matto non è di certo a causa tua!” sbottò il suo fido collaboratore, dandogli una pacca sulla spalla così forte da farlo quasi barcollare sul lato. “- Se Antonio fosse vivo se la prenderebbe anche con lui!” commentò ancora Roberto amaramente, facendo incupire ancor di più Galindo. “- Già. Lui si che era un onesto uomo d’affari!” fu la timida risposta malinconica del moro. “- Eccomi. Mio padre è favorevole al ritornare soci… ed io voglio mostrarti subito il cantiere principale, quindi seguitemi.” Marcela, nel suo elegante tailleur grigio, aprì la porta e, con quelle parole, fece sorridere i due uomini: poteva Sebastian per quanto fosse testardo come un mulo, aveva accettato? Incredibile ma vero e Pablo si sentì decisamente sollevato per quella decisione del suo ex socio, ora divenuto di nuovo tale. “- Marcela, ascolta…” “- No, Pablo. Non aggiungere niente. Lo facciamo solo perché la situazione è davvero grave, ed ora potrai costatarlo con i tuoi stessi occhi.” la bruna, nel tragitto verso il parcheggio del palazzone, se ne era restata in silenzio e aveva anche un’aria alquanto nervosa ma, allo stesso tempo, amareggiata. Era chiaro che dipendesse ancora troppo da suo padre, era evidente che, senza di lui, avrebbe sicuramente ceduto molto prima all’ottima proposta di Galindo. “- Volevo solo dirti che sono contento di ricominciare a collaborare con voi, e vedrai che con il mio aiuto…” iniziò il bruno venendo prontamente interrotto. “- Non terminare la frase…” “- Con il mio aiuto, le cose si sistemeranno presto.” Pablo, ignorandola, aveva proseguito rendendola ancor più nervosa: ecco cosa dava fastidio ai Parodi, essere aiutati… ma lui lo avrebbe fatto, non tanto per il padre quanto per la giovane donna e tutti gli operai che erano dipendenti nei loro, ora anche suoi, cantieri.
 
 
“- Dunque è qui che dovrebbe sorgere il nuovo centro commerciale…” i tre, entrando con l’auto di Lisandro sin dentro il cantiere, parcheggiarono proprio di fronte al piccolo ufficio della donna che si erigeva in quel luogo e si incamminarono al suo interno. Durante il percorso, però, Pablo, pur ascoltando Marcela, aveva notato qualcosa di strano o meglio qualcuno che, in quel posto, era alquanto fuori luogo… poteva essere vero o stava impazzendo da immaginare quelle due lì a parlottare tranquillamente con un operaio biondo?
“- Scusatemi… io… torno tra un attimo. Voglio fare un giro da solo e parlare con i lavoratori.” Balbettò l’uomo, dopo un discorso di circa mezz’ora da parte della Parodi che non sembrava ancora aver terminato, lasciando dunque un po’ sconvolti sia di lei che di Roberto. “- Pablo, sei sicuro di star bene…?” si preoccupò Lisandro, mentre il suo capo si affrettava ad uscire verso l’esterno della piccola casetta in legno. “- Sì, concludi tu gli ultimi dettagli con lei, per favore. Ho bisogno di capire una cosa…” sentenziò lui, sbattendo la porta e ritrovandosi in quell’enorme spiazzato in cui i lavori sembravano essere cominciati per poi subito venire sospesi. Fece slalom tra carriole zeppe di mattoni, ruspe e altre attrezzature più o meno ingombranti e si incamminò a passo svelto verso quella zona in cui gli era sembrato di vedere due volti familiari.
“- Galindo, che piacere vederla! Vi siete accordati? E per favore diteci che quella strega ha accettato!” Juan, uno dei manovali, gli si parò contro e l’uomo, accennando un breve cenno del capo, annuì, continuando a fissare oltre le spalle di quel bruno. “- Sì, ha accettato ma con voi parlerà dopo la Parodi, ora devo cercare due persone, anzi forse lei puo’ aiutarmi… sto cercando una donna, Angie e Violetta una ragazzina magra, capelli castani… erano con un uomo alto, biondo… le ha viste? Le conosce?” domandò Pablo, approfittando della situazione, non vedendo all’orizzonte nessuna delle due. “- Ah, certo! Sono dietro quei blocchi di cemento, lì vede?” indicò l’operaio, facendo annuire Galindo. “- Che dolce la figlia di Matias La Fontaine! E quella bionda… come si fa a non notarla!” spiegò ancora Juan con tono malizioso, mentre Pablo, finalmente, riconcentrò la sua attenzione su quella frase… la figlia? Allora quel biondo era il padre di Violetta, l’ex marito o in qualche modo, compagno di Angie? “- La bionda che si lascia notare…” ripeté ironicamente, Pablo, stizzito per poi continuare: “- … la donna, insomma, come ha detto lei, è la madre della giovane e a quest’ora dovrebbe essere a casa mia, a lavorare!” commentò, seccato, Galindo, facendo assumere una buffa espressione all’altro che scoppiò a ridere sguaiatamente, facendo sgranare gli occhi all’imprenditore che prese a fissarlo con stupore per quella reazione. “- No!!! Ma quale madre di Violetta! Lei è un’amica di Mati! Figuriamoci se lui fosse mai riuscito anche solo ad uscire con quella bomba del genere che non se lo sarebbe filato né ora, né in passato, né mai! Neppure in un’altra vita!” commentò il lavoratore ironicamente e afferrando poi una zappa accanto a sé salutò Pablo, allontanandosi in direzione opposta. Come non era la madre? Che significavano le parole di quell’uomo? Non aveva la certezza di quello che quel tizio gli aveva detto così prese a correre per raggiungere i tre che aveva già visto in precedenza, nel luogo indicato da quell’operaio. Aveva una marea di domande in testa a cui solo quelle due bugiarde potevano dar risposta… era sicuro che doveva esserci un motivo per una menzogna così importante… ma quale?
“- E la piscina era enorme, papà! Gigantesca! Angie neanche ci ha fatto il bagno!” la risata cristallina di Violetta subito giunse alle orecchie del moro che, istintivamente, si bloccò sul posto, quasi come per desistere da quelle spiegazioni, eppure non poteva lasciar correre, era troppo grave e voleva una motivazione per quella farsa. “- Angie, Violetta…” quella voce, quel tono gelido tanto da far rabbrividire… le due sobbalzarono istintivamente. “- Pablo! Che ci fa lei qui…?” la voce tremante della Saramego preoccupò prontamente Matias che scattò in piedi subito dopo di loro che si fissarono, preoccupate per quella situazione. “- No, io qui da oggi ci lavorerò! La domanda corretta sarebbe voi che ci fate qui?” la zittì Galindo, fissando poi Matias con aria confusa: lui sorrideva e, prontamente, gli strinse la mano con aria cordiale. “- Signore, è un piacere sapere che da oggi sarà dei nostri! Quindi la Parodi ha accettato?” esclamò il biondo, euforico, innervosendo abbastanza Pablo che voleva solo parlare con l’istitutrice in particolare e si limitò ad annuire, serissimo e continuando a fissare la donna. “- Angie mi sa proprio che dovete raccontarmi qualcosa!” tuonò Pablo, diventando paonazzo per la rabbia… strinse i pugni, tentando di controllarsi: come aveva potuto fare quell’enorme figura da idiota? “- Violetta non è sua figlia, vero?” domandò ancora rivolgendosi alla bionda che, scioccata, abbassò gli occhi sul terreno mentre la giovane, si portava il padre lontano da lì, spiegandogli il tutto. “- Non ci posso credere! Mi ha mentito su una cosa del genere! Ma perché lo ha fatto?” non resse più: la bionda sentì gli occhi farsi lucidi e pizzicarle sempre di più. Ecco fatto. A causa di quello stupidissimo piano di Violetta aveva perso tutto! Il nuovo lavoro, un posto dove vivere… tutto! “- Angie!” senza pensarci due volte, la donna si allontanò a passo veloce, sentendo una lacrima rigarle una guancia. In fretta prese a correre verso l’uscita da quel luogo ma l’uomo riuscì a raggiungerla e a bloccarla per un polso. “- Possiamo parlarne a casa? Per favore…” Galindo l’aveva fatta voltare verso di sé ma lei teneva ancora lo sguardo basso sulle sue scarpe ed aveva chiaramente balbettato quella frase in preda ai singhiozzi che le scuotevano già l’esile corpo. “- D’accordo.”. Galindo le sollevò il viso con una mano prima di risponderle… era disperata, c’era qualcosa sotto… e incrociare quei grandi occhi verdi e umidi gli fece sentire inspiegabilmente una fitta al cuore.
 
 
Villa Ferro era un’altra delle case più maestose e conosciute della capitale Argentina e non sarebbe potuto essere altrimenti essendo la dimora dei due avvocati più celebri di tutta Buenos Aires: Felipe Ferro e sua moglie, la sempre impeccabile Susana Martinez. “- Io comunque prenderò le difese della donna, si è rivolta a me ed è inammissibile quello che le ha fatto quel degenerato! Ci metterò tutto l’impegno per rovinare quel… quel…” la voce della donna era squillante e stizzita quasi quanto il tono usuale di sua figlia ma, prontamente, il marito afferrò delle carte dal tavolinetto basso di fronte al sofà e cominciò a studiarne il contenuto. “- Ti prego, Sue! Quest’uomo non ha fatto niente di così grave! Qualche scappatella e…” “- E TU VORRESTI DIFENDERLO E GIUSTIFICARLO?” le grida dei due, divennero talmente forti che la figlia, nell’enorme salone accanto, intenta a suonare il piano, rabbrividì a quelle urla e sbatté violentemente la custodia che proteggeva i tasti. Sempre la stessa storia! Quando beccavano qualche caso di divorzio finivano, essendo i più bravi e richiesti nel campo e i più richiesti, l’uno per difendere la moglie e l’altro il marito e  prendevano anche loro a litigare violentemente in difesa delle proprie parti.
“- Se continuate di questo passo ci arriverete anche voi a quelle pratiche!” Ludmilla, con il suo solito ancheggiare, fece capolino sull’uscio e i genitori subito presero a fissarla con aria confusa. “- Ah, tesoro! Puoi stare tranquilla! Spennerò tuo padre e soprattutto il suo assistito solo in tribunale, come al solito!” ridacchiò Susana, facendo segno alla giovane di accomodarsi sul sofà tra loro due, cosa che lei non tardò a fare. “- I problemi li terremo fuori di questa casa, non preoccuparti, principessa mia!” commentò Felipe con un sorriso rivolto alla giovane ed un’occhiataccia per la Martinez. “- E chi spennerà chi, sarà tutto da vedere, amore!” borbottò poi, sfogliando il fascicolo del suo protetto, Felipe. “- BASTA, SMETTETELA!” li riprese ancora la figlia, facendoli, però, scoppiare a ridere. “- Non c’è alcun rischio che io e tuo padre arriveremo a tal punto, tranquilla!” sorrise Susana, accarezzandole dolcemente il capo, e riuscendo finalmente a placare le sue ire. “- Tornando a noi, il signor Dominguez non ha scusanti, ma rispetterò la tua scelta di difenderlo, come faccio sempre.” Quel cognome… aveva capito bene? Ludmilla scattò in piedi come se avesse appena preso la scossa e rimase immobile a fissare il camino, spento, davanti a lei. Poteva essere vero? Certo il cognome era comune in tutto il paese ma era come se un sesto senso le dicesse che non fosse un caso. “- Mamma, come… come si chiama questo signor Dominguez, di nome?” domandò, continuando ad osservare un punto indefinito di fronte a sé. “- Gonzalo. Gonzalo Dominguez… e come al solito io difenderò la povera moglie, mentre tuo padre si occuperà del marito!”. Gonzalo Dominguez! Era lui, Ludmilla ne ebbe la certezza… ricordava quell’uomo, qualche volta era andato al Club con Diego e aveva sentito qualcuno chiamarlo in quel modo. “- Il padre e la madre di Diego non è così?” chiese, per averne ancor di più la conferma. “- Sì, hanno un figlio e anche lui membro del Country… lo conosci, suppongo!” sentenziò suo padre, facendola annuire silenziosamente. Ecco perché il giovane stava così male! Era quello il problema di famiglia che lo affliggeva ma di cui non voleva parlarne!
“- Sì ma cosa ha fatto di così grave quest’uomo?” esclamò la ragazza, afferrando un modulo dal tavolo ma che, la donna, prontamente le strappò dalle mani. “- Sono cose private e non volendo hai saputo anche troppo!” disse, con tono improvvisamente serissimo e professionale, la donna. “- Mamma, ti supplico, per me è troppo importante!” la pregò la bionda, ma la donna, scuotendo il capo e facendo cenno al marito di spostarsi nel loro studio, raccattò tutti i fogli e cartellette dal tavolinetto e, con una freddezza glaciale, anticipò l’uomo sino alla scalinata che portava al piano superiore della casa. Povero Diego! Ecco cosa era successo, ecco perché era così triste! Ludmilla si accasciò a peso morto sul divano e, subito, notò un documento sfuggito al controllo della donna proprio sopra al tappeto, ai piedi del sofà.
“Gonzalo Dominguez, ripetuti tradimenti verificati, padre poco attento al figlio e alla sua consorte: DIFESA FRANCISCA LOPEZ.” Tutte quelle parole mandarono inizialmente in confusione la ragazza ma, prontamente, riuscì a recuperare la sua lucidità ed un solo pensiero si impossessò della sua mente: Doveva aiutare Diego, doveva essergli vicino e giurò a sé stessa che, anche a costo di sembrare invadente e esporsi fin troppo facendogli finalmente capire di ricambiare il suo amore, lo avrebbe fatto.
 
 
“- Ora penso che sia arrivato il momento di parlare, non crede?” Pablo, tesissimo, aveva convocato Angie nel suo studio e aveva chiuso la porta a chiave prima di andare a sedersi alla sua poltrona. “- Sì, ha ragione.” Commentò la bionda, ancora con gli occhi lucidi. Aveva pianto per un tempo indeterminato e, non appena furono rientrati alla villa, il primo pensiero dell’uomo fu invitarla nell’ufficio per sapere tutta la verità. Era seduta di fronte a lui, si torturava le mani che teneva in grembo e continuava a mordersi nervosamente il labbro inferiore nel panico più totale. “- Dunque Violetta non è sua figlia… mi ha mentito. Perché?” domandò subito Pablo, senza troppi giri di parole: era come riprendere quel discorso esattamente da dove l’avevano lasciato al cantiere, anche se la situazione era diversa: prima, in quell’altro luogo erano stati paurosamente vicini e all’uomo era quasi dispiaciuto infierire, vedendola in quello stato… ora tutto era diverso: erano lontani, la scrivania li divideva e Galindo non poteva fare altro che apparire freddo e cupo, confuso da quella situazione scoperta per puro caso.
“- Ha conosciuto Matias, l’operaio, giusto?” chiese Angie, ancora la voce singhiozzante e il corpo scosso da un tremito irrefrenabile. “- Sì, il biondo…” sentenziò Pablo, sempre più perplesso… quel Juan aveva detto il vero? Pendeva dalle labbra della donna e non vedeva l’ora di scoprirlo. “- Lui è il padre di Violetta, lui è Matias La Fontaine. Io sono solo una sua amica, ma le giuro che se ho finto che fosse mia figlia è stato solo per salvarla!” la Saramego sentì di nuovo le lacrime scenderle lungo entrambe le guance in quantità sempre maggiore e si affrettò a catturarle con una mano, gesto che però al moro non sfuggì. Un’altra morsa gli strette il cuore… ok, gli aveva mentito ma sembrava essere per un motivo valido… chissà perché si sentiva così alla vista di Angie in lacrime... di certo non riusciva proprio a capirlo. “- Si spieghi meglio, per favore.” Esclamò, tentando di apparire ancora distaccato l’uomo, mentre lei si decise a risollevare lo sguardo. “- Penso che lei sappia di quanto fosse stata in crisi l’impresa della Parodi e vede… Matias non è più riuscito a mantenere la ragazza. Per quanto il cuore gli si spezzasse in mille pezzi è stata la stessa Violetta a proporgli questa soluzione: qui non le sarebbe mancato nulla e lui, di malavoglia, ha accettato… e poi c’era Jade, sua zia, una vera arpia… lei viveva malissimo in quella casa, deve credermi.” A quelle parole, alla mente di Angie ritornò anche il piano folle iniziale della giovane, quello di voler conquistare Leon… ma era meglio sorvolare su quel dettaglio e poi, in fondo, quella era la verità: Matias, sperano di farle vivere giorni migliori, gliel’aveva affidata e Violetta aveva avuto l’idea di farsi passare per sua figlia… beh, in fondo quell’idea, inizialmente così pazza, era stata poi un bene visto che suo padre l’aveva mandata via di casa subito, forzato dalla terribile situazione che stava vivendo. Galindo abbassò lo sguardo su dei fascicoli aperti di fronte a sé e, dopo qualche secondo, prese un profondo sospiro che fece quasi rabbrividire la donna… cosa voleva dire? Era confuso? Arrabbiato? L’avrebbe cacciata a calci? “- Quindi è per questo.” concluse, sinteticamente, Galindo, facendo sobbalzare la donna per quel lungo silenzio calato nella stanza. La bionda non poté fare altro che annuire, silenziosamente, raccogliendo un'altra goccia sul suo viso che sfuggiva al suo controllo. “- Va bene, puo’ andare in salotto.” Sentenziò in un mormorio il moro, prendendosi la testa tra le mani e facendole sgranare i grandi occhi verdi per fissarlo con perplessità. “- Mi dia il tempo di preparare le valige almeno!” sbottò poi, convinta che il capo volesse licenziarla in tronco. “- Per andare a far lezione a mio figlio ha bisogno dei bagagli?” domandò ironicamente Pablo sogghignando e lasciandola ancor più basita. Quindi non era fuori dalla casa? Non aveva perso il lavoro? “- Davvero io posso…?” ma lui la interruppe con un cenno della mano per farla tacere, probabilmente voleva dirle qualcosa di importante e si mise in piedi lentamente, tenendo le braccia tese arpionate scrivania, prima di aggirarla e avvicinarsi alla donna che, a sua volta, si alzò. “- Leon si trova bene con lei, con Violetta e anche io. La sua presenza qui mi sta aiutando molto con mio figlio e… anche se mi vergogno ad ammetterlo, questo periodo che ha vissuto fino ad ora con noi è stato positivo per il rapporto tra me e lui. Spero vivamente che, anche se ora per La Fontaine le cose si sistemeranno, la giovane resti ancora con noi. Leon poi la guarda in un modo che… non so, lo vedo sereno con lei, come non l’avevo mai visto.” a quel punto il bruno prese un altro profondo respiro e lei continuava a fissarlo con aria stranita ma felice per quella frase, per poter rimanere alla villa, per quel complimento. “- Tuttavia mi ha mentito…” “- Mi dispiace, sul serio io non volevo!” lo interruppe la Saramego ma lui ruotando gli occhi al cielo esasperato, le prese istintivamente una mano, riuscendo a zittirla ancora. “- Ma ha mentito per una buona causa e… non importa. E’ fortunato quel Matias ad avere un’amica come lei!” sorrise meno glaciale del solito Galindo, avvertendo un brivido inaspettato corrergli giù per la schiena al solo sfiorare le candide dita della donna che, dal canto suo, si sentì avvampare per quel gesto così dolce… allora, in fondo, quell’uomo non era poi così gelido come voleva farsi credere! “- Beh, se vuole posso essere anche sua amica, o forse lo sono già e nessuno dei due lo ha ancora capito!” commentò l’istitutrice, facendolo ridacchiare l’altro. “- Dunque potremo esserlo anche noi a tutti gli effetti, che ne dice?” le domandò Pablo, stupendo persino sé stesso di quella domanda. La Saramego rimase alquanto sorpresa ma era allo stesso tempo al settimo cielo per quella richiesta. “- Ne sarei onorata, signor Galindo!” esclamò, sottolineando quel nome così formale e facendo una mezza riverenza alquanto goffa che per poco non le fece perdere l’equilibrio e ritrovare al suolo… a quel punto sarebbe anche potuta sprofondare per la vergogna e, se quel capitombolo non avvenne, fu grazie al moro che, notando quanto fosse in bilico, le afferrò anche l’altra mano per evitarle la caduta e riuscì ad attirarla al suo petto con un movimento repentino delle braccia. “- Certo che in figuracce non mi batte nessuno, mi perdoni!” rise nervosamente lei, incatenata a quegli occhi nerissimi, immersi nei suoi. “- Ah, non è la fine del mondo, tranquilla! Deve solo imparare a portare quei tacchi enormi e poi sarà tutto più facile!” la schernì l’uomo, indicando con lo sguardo le enormi zeppe che indossava la bionda. “- Cosa hanno che non va? Non è che la fanno sentire troppo basso?” lo provocò la bionda, per poi lasciare quelle mani, ancora intrecciate alle sue e allontanandosi verso la porta, sotto lo sguardo sorpreso dell’uomo. “- Mi ha dato del tappo!” mormorò, quando lo sbattere della porta lo riportò alla realtà. “- Ma come osa?” rise poi tra sé e sé, incrociando le braccia al petto continuando a fissare la porta con un sorriso ebete stampato in viso. Quella donna era incredibile, riusciva a rallegrargli la giornata con una semplice parola! Pensava davvero che l’avrebbe cacciata? Beh, poteva anche scordarselo! E poi gli aveva mentito per una giusta causa… e, d’altronde, da quella dolce Saramego avrebbe dovuto aspettarselo.
 
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Eccoci! Capitolo 12 in cui si svelano segreti di famiglia! Angie e Vilu vanno a trovare Mati al cantiere e… ops! Pablito scopre che la giovane non è figlia della donna! Per fortuna nel finale ha capito le motivazioni dell’istitutrice e l’ha perdonata! :3 Ludmilla, intanto, viene a sapere di Diego e della sua situazione familiare alquanto difficile! Ora cosa farà, agirà seguendo il suo cuore o per paura di star male lascerà correre? Prossimo capitolo dedicato interamente ai ragazzi: Leonetta, Diemilla e tante altre sorprese! :) Grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi con affetto! :3 Alla prossima, baci! :)

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Capitolo 13
*** Rassegnarsi al potere dell'amore. ***


“- Posso parlarti un secondo?” Violetta era seduta nei pressi della fontana, luogo della casa che preferiva e quella voce la fece voltare di scatto: Leon, in uno splendido abito blu scuro, la fissava con aria per niente maliziosa come l’ultima volta che l’aveva sorpresa in quel posto, sempre così tranquillo e soleggiato. “- Cosa c’è?” chiese lei, richiudendo il suo diario che teneva ancora aperto sulle sue gambe e stringendolo a sé come per proteggere quei suoi segreti di cui erano colme quelle pagine. In realtà una mezza idea sull’argomento su cui voleva conversare il figlio di Galindo lo aveva, ma tentò di apparire tranquilla. “- Ho parlato con mio padre, so tutto. Tu non sei la figlia di Angie.” Come pensava... quella frase le raggelò il sangue. La Saramego le aveva anticipato tutto la sera prima, le aveva detto di aver dovuto confessare a Pablo che lei era lì perché suo padre non stava più lavorando e non poteva più mantenerla, sottolineando anche la questione “Jade”. Si sentì quasi sprofondare per la vergogna al solo pensiero del suo folle piano ideato quando, per la prima volta, aveva messo piede in quella casa e aveva puntato Leon… le sembrava fosse passata un’eternità e si sconvolse al solo pensiero di quanto fosse stata superficiale in quei momenti! L’unica cosa che le interessava era vivere in quella reggia ed essere mantenuta dalla ricchezza quel ragazzo! Ma come diavolo le era saltato in mente? Forse era vero, la vita da nababbo che aveva conosciuto quando Angie era una truffatrice l’aveva condizionata troppo, e poi era pur sempre un tantino vanitosa… mai aveva vissuto per tutto quel tempo in una reggia simile e, pur di allontanarsi da sua zia e, in fondo, aiutare anche suo padre economicamente, avrebbe fatto carte false. “- Sì, ma non è stata colpa sua, infatti inizialmente era in difficoltà, poverina. E’ stata una mia idea fingere che lei fosse mia madre... in fondo lei è come se lo fosse davvero.” Galindo la ascoltò con attenzione, sedendosi accanto a lei e reclinando il capo verso destra osservandola, come a voler cogliere bene ogni minimo dettaglio di quella vicenda. “- Che significa come se lo fosse? Ti ha cresciuto lei?” chiese, interessato, osservandola annuire mestamente. Non disse nulla ma aprì il diario che teneva ancora tra le mani e ne estrasse una foto sgualcita… era l’unica che aveva dei suoi genitori insieme a lei. “- Questa è mia madre… e lui è mio padre…” spiegò la ragazza, passandogli l’immagine e cominciando ad indicare i volti di Esmeralda, stesa in un letto d’ospedale e Matias che sorrideva, molto più giovane, accanto a lei. “- E questa cosetta sei tu?” chiese Leon, facendo segno ad un fagottino rosa che la donna teneva stretto tra le braccia. “- Sì ed l’unico momento in cui siamo stati tutti e tre insieme.” Balbettò Violetta, riprendendosi la foto e riponendola nuovamente tra le pagine del diario. Il ragazzo la fissava: mai gli era sembrata così fragile da quando l’aveva conosciuta… in quel momento le parve quasi come un cristallo di ghiaccio che, toccando il suolo, si scioglie delicatamente…fino a quell’istante infatti, aveva visto solo il gelo in lei, mentre ora sembrava stesse cominciando ad aprirsi. Quella metafora lo fece rabbrividire, e non per il freddo ma per una strana sensazione che si impossessò di lui, fin dentro le ossa: cosa celava di così triste quello sguardo così tenero? “- Io non ce l’ho più una madre. E’ morta e non l’ho mai conosciuta. Ero piccola come in quella foto quando i miei nonni materni se la portarono via da me e da mio padre.” Quel racconto fu una coltellata alla base del cuore sia per lei che ne stava parlando che per il giovane in ascolto: lui almeno qualche ricordo sfocato di Clara riusciva ad averlo, invece la giovane no, non poteva rimembrare nulla di Esmeralda. “- Quando sono nata io loro erano due ragazzini, avranno avuto più o meno la mia età… e non appena i genitori di mia madre scoprirono della gravidanza aspettarono che io nascessi per poi lasciarmi a mio padre e scappare all’estero. Non mi volevano, ero uno scandalo per loro.” Concluse la ragazza, restando a fissare la copertina del diario che teneva stretta al petto. Sfiorò piano la morbidezza del tessuto e ne seguì i contorni con un dito con aria malinconica. Leon non la perse di vista neppure per un istante, ogni suo movimento catturava la sua attenzione come una calamita e capì che, la giovane, fosse molto a disagio nel dover parlare di quell’argomento. “- Non siamo poi così diversi, allora.” sentenziò in un sospiro il ragazzo, facendo sì che lei, di colpo, prendesse a fissarlo con espressione meno cupa ma più perplessa. “- Diversi?” domandò, confusa, non riuscendo più a dire una sola parola  ritrovandosi a specchiarsi in quei magnifici occhi verdi che la scrutavano senza alcuna malizia ma solo con aria comprensiva. “- Sì, noi siamo simili. Anch’io non ricordo quasi nulla di mia madre e l’ho persa troppo presto, proprio come te.” La voce di Leon, per quanto l’argomento fosse delicato era calda e calma, eppure la giovane, nel suo sguardo, subito riuscì a cogliere una nota di dolore, per quanto lui tentasse di camuffarla con quella pacatezza. “- Tu non puoi avere alcun ricordo su di voi, nessuna parte della tua memoria ti puo’ rimandare a lei, alla sua voce… io sì, qualcosa di molto vago ma ce l'ho.” Sentenziò il ragazzo, prendendo a guardare l’ipnotico zampillare della fontana, di fronte a loro.  Violetta deglutì rumorosamente e poi annuì, con aria di nuovo fissa sul diario. “- Già. Tutto quello che ho è questa foto e i racconti di mio padre o di Angie.” Mormorò mestamente la ragazza, risollevando gli occhi e puntandoli anch’essa davanti a sé come aveva fatto Leon. “- Però, in compenso, tu hai avuto la Saramego… sono sicuro che sarà stata un’ottima sostituta, seppur non sia la stessa cosa.” concluse Galindo, passandosi nervosamente una mano nel ciuffo castano, scompigliandoselo vistosamente. “- Sì… lei c’è sempre stata per me, per papà... E’ davvero favolosa!” sorrise, perdendo quello stato di tristezza in cui era caduta, la giovane. “- Immagino!” ghignò Leon, pensando a quanto fosse fantastica quella donna. “- E tu? Insomma, tuo padre non ha avuto nessuno… a parte Jackie, intendo…” Leon però, a quelle parole scattò in piedi, improvvisamente più teso per quella domanda. “- No. Io e mio padre siamo sempre stati soli e se penso al nido di cornacchie con cui sta ora, era molto meglio così.” Sbottò, facendo qualche passo incerto verso la vasca d’acqua e poggiandosi con i gomiti sul bordo, rivolgendosi di nuovo verso Violetta. “- Nido di cornacchie?” una risatina sfuggì alla castana riuscendo a contagiare anche il giovane, che, nonostante fosse così teso, si sciolse in una pure lui in una sana risata. “- Perché avresti un altro appellativo per definirla?” chiese, continuando a sorridere di gusto. “- Vediamo… nido di avvoltoi! Anche se mi dispiace paragonarla sia alle cornacchie che agli avvoltoi!” ironizzò la LaFontaine, alzandosi e avvicinandosi lentamente a lui per posizionarsi anche lei con le spalle alla fontana: in quella posizione si poteva scorgere, attraverso la chioma di alcuni alberi, la maestosa facciata della villa, fiera e severa fuori eppure tanto malinconica all’interno… era la prima volta che, guardandola da quella prospettiva, notò quanto potesse ricordare un po’, per certi aspetti, quel padre e figlio che ne erano proprietari: apparentemente forti all'esterno, eppure, in fondo, sconvolti dal dolore e fragili.
“- Violetta... non hai più paura di me, vero?” quella frase riuscì di nuovo a mettere nervosismo alla ragazza… perché Leon le chiedeva una cosa simile? “- Insomma, mi hai aiutato e ci siamo… abbracciati… e fino a qualche settimana fa fuggivi da me a gambe levate!” Si apprestò a spiegare il ventenne, notando una sorta di ansia far capolino dagli occhi castani della ragazza, nel ricevere quella domanda. “- Perché, secondo te avrei dovuto averne?” “- La Fontaine! Non si risponde mai ad una domanda con un’altra domanda!” la rimproverò lui, con un mezzo sorriso che fece tremare il cuore alla giovane. “- D’accordo, all’inizio mi facevi un po’ spavento, ma poi tutto è cambiato…” Cambiato? Leon si sentì così curioso di sapere come mai in vita sua… perché quella ragazza lo attirava tanto? Non sapeva se fosse dipeso da quella conversazione intensa di quel mattino o se fosse iniziato già da qualche tempo… eppure quando stava con lei provava qualcosa che andava oltre il desiderio fisico, come avveniva di solito con le altre ragazze: le piaceva ascoltarla, ci sarebbe restato per ore a parlare con lei, adorava osservare ogni suo minimo gesto e tutto gli sembrava stesse accadendo così in fretta… si era innamorato, doveva soltanto accettarlo, per quanto ogni qualvolta balenasse quella parola nella sua mente lui tentasse con tutte le sue forze di allontanarla. Come era potuto succedere, considerando che quella relazione era iniziata nella maniera più sbagliata possibile? Uno stupido giochetto con gli amici ed eccolo lì, a fissarla come imbambolato da cotanta dolcezza e bellezza che lo ammaliavano e stordivano completamente. “- Sono cambiato io?” chiese, alzando un sopracciglio e assumendo un’espressione buffa. “- Siamo cambiati entrambi. Ci siamo conosciuti meglio, ecco tutto.” Sottolineò prontamente lei, facendolo annuire e riassumere la solita faccia seria. In effetti era vero, anche lei era cambiata... arrivata con le peggiori intenzioni in quella casa, poi, aveva conosciuto quegli aspetti della ricchezza che, di certo, non si aspettava: loro avevano tutto, eppure non avevano niente. Rabbrividì a quel pensiero… lei aveva suo padre, era il suo mondo… e poi c’era Angie e, seppure maligna, aveva anche Jade… Leon e Pablo erano soli insieme e singolarmente seppure, materialmente, avessero di tutto e di più. “- Dici che potremmo conoscerci ancora?” domandò, criptico, il giovane ma continuando a tenere un’aria distaccata e per niente seducente come faceva in passato ad ogni frase che pronunciava. “- Se lo vorremo entrambi perché no!” sorrise dolcemente lei facendolo quasi sciogliere come neve al sole… si sentì ridicolo per quell’espressione inebetita che, a sua volta, aveva assunto e scosse il capo per ritornare almeno a sembrare una persona seria. “- Io lo voglio. E tu?” chiese, riprendendo il pieno possesso delle sue facoltà mentali. “- Anch’io.” Disse lei, con tono più basso eppure melodioso, per poi staccarsi dal freddo marmo della fontana e allontanarsi verso l’entrata principale alla villa, seguita dallo sguardo incantato del ragazzo. Ci rinunciava! Forse non l’avrebbe conquistata perché aveva scommesso con gli amici, forse l’avrebbe fatta sua perché lo voleva e basta, perché lei lo faceva stare bene, sentire migliore… doveva dirlo anche a quei due sconsiderati di compagni che si ritrovava e giurò solennemente che, a costo di passare per perdente, lo avrebbe fatto: si rassegnava al potere dell’amore… dunque quello era davvero amore, quel sentimento di cui tutti parlavano ma che mai aveva conosciuto davvero?
 
 
“- Francesca è il 32esimo messaggio in segreteria che ti lascio! Dai, chiamami! Sono preoccupato per te! Sono fuori alla Facoltà… fammi sapere, un bacio” Marco camminava nervosamente avanti e indietro alla facciata dell’Università, ormai chiusa per l’ora tarda: anche a quella lezione con il dottor Alberto Bianchi, Francesca non si era presentata. Il messicano, dal canto suo, sapeva perfettamente il perché di quell’assenza, ne aveva parlato anche con Luca e Camilla, eppure era in ansia per la sua migliore amica: poteva perdersi quel corso così importante solo per quell’infame, figlio di papà di Federico? Scosse il capo con foga per allontanare il pensiero di quel tizio… aveva saputo cosa avesse detto alla Cauviglia al locale del Country Club dopo che lei gli aveva salvato la faccia a lezione e lo odiava con ogni fibra del suo essere: si poteva essere più meschini? Ma soprattutto… come aveva fatto Francesca a perdere la testa per uno così?  Era proprio vero che alcune ragazze preferissero i “belli e dannati”… lo aveva letto da qualche parte su una rivista, probabilmente proprio a casa della mora, e quel tipo di gusto la descriveva in pieno. “- Fran dai, dammi almeno un segno di vita! Siamo a 33 messaggi!” per l’ennesima volta, il moro si portò il cellulare all’orecchio e un altro squillo fece trillare il telefono dell’Italiana che, già al 23esimo sms, si era decisa a raggiungerlo… non voleva farlo preoccupare e sapeva quanto fosse ansioso il suo migliore amico così, senza pensarci troppo, aveva preso il bus che passava proprio vicino casa sua e si era diretta al luogo definito dal giovane per parlargli a quattr’occhi. Il paesaggio le passava accanto dal finestrino e lei, seduta al posto più vicino ad esso, volava con la sua mente grazie anche agli auricolari e la musica che, sperava, fosse riuscita a coprire i suoi pensieri. Non aveva voglia di chiamare Tavelli, voleva affrontarlo di persona, così si decise a scrivergli un sms solo quando scese dal mezzo di trasporto. “- Aspettami. Sto arrivando.” Testo semplice, freddo e diretto. Marco, finalmente, poté tirare un sospiro di sollievo, seppure fosse tuttavia teso… cosa voleva dirgli la Cauviglia di così importante da raggiungerlo addirittura fino a lì? Si sarebbe mica ritirata dalla Facoltà? Lei era a medicina perché lo voleva davvero, era il suo sogno e il fatto che lì avesse incontrato Federico aveva solo peggiorato la situazione. Era una studentessa modello e non poteva sprecare tutto così, per quell’idiota… non glielo avrebbe permesso. “- Eccomi…” la voce della bruna lo fece voltare come un falco e, prontamente, scese le scale della facciata e la raggiunse, stringendola in un forte abbraccio. “- Oh Fran! Ero così preoccupato e… e ho parlato con Luca e Cami, mi hanno spiegato tutto. Mi dispiace così tanto…” mormorò quelle ultime parole con malinconia, riferendosi alla cattiveria con cui Bianchi l’aveva trattata. La mora abbozzò un sorriso tirato e, nervosamente, si staccò da quella morsa, facendogli cenno di tacere con la mano. “- No, non sono venuta fin qui per parlare di lui, ti prego. Voglio solo che tu sappia che non voglio rinunciare a nulla, a maggior ragione domani tornerò a seguire il corso del dottor Bianchi. Avevo solamente bisogno di qualche giorno di pausa.” Sentenziò con tono serio la bruna, abbassando gli occhi sulla gonna del suo abitino bianco e rosso, per poi andare a sedersi su uno dei gradini, azione che eseguì di colpo anche il ragazzo. “- Sono davvero felice! E’ la cosa giusta da fare, Fran! Te lo meriti e…” la giovane, senza aggiungere altro, aveva interrotto Tavelli e con un gesto fin troppo inaspettato: le labbra premettero su quelle di lui e gli teneva, con foga, il viso tra le mani. Lo aveva baciato quasi prepotentemente, lasciando l'amico scioccato e immobile, come una statua di sale. La giovane si staccò rapidamente e riprese fiato, sconvolta di sé per quel vero e proprio “attacco a sorpresa” fatto ai danni di Marco. “- Com… cos.. perché?” ebbe la forza di balbettare il messicano, sentendo il cuore saltargli quasi fuori dal petto più che altro per la tensione… lui sì, in passato si era preso una gran cotta per lei ma si era rassegnato da tempo indefinito e ormai non provava nulla se non amicizia nei confronti di Francesca: lei voleva esclusivamente Federico… possibile che avesse dimenticato così in fretta quel tizio? Poteva essere alla fine lui quello prescelto? Ma lei lo sarebbe stata felice di quella scelta così avventata? E lui?
 “- Marco io… so che sei stato innamorato di me prima che conoscessi Ana… e so che, perché eri confuso tra me e lei vi siete lasciati… penso che sia arrivato il momento di darci una chance visto che siamo soli entrambi. Sono stata ingiusta con te in questo periodo e mi dispiace.” Il giovane non sapeva cosa dire… era davvero possibile che l’italiana fosse improvvisamente innamorata di lui? E lui cosa voleva davvero? Il suo cuore batteva ancora per la sua ex o tremava tuttavia per la giovane, considerando che, durante quel bacio, si era sentito stranamente sconvolto? Valeva la pena correre il rischio di rovinare la loro amicizia per un tentativo? “- Francesca, ascolta… tu sei sicura di quello che stai dicendo? Non prendiamo decisioni affrettate, insomma… so quello che senti per Bianchi e io e Ana siamo stati molto innamorati…” ma lei, con decisione, gli poggiò un dito sulle labbra, invitandolo a stare zitto. “- Non lo nominare. Proviamoci.  Se tu sei d’accordo, chiaramente.” Esclamò la mora, con un sorriso che fece accigliare un po’ l’amico. La ragazza ripensò a quel bacio di qualche istante prima… non aveva sentito assolutamente nulla, niente. Quel tentativo di dimenticare Federico sarebbe andato a buon fine? E il cuore del suo migliore amico come ne sarebbe uscito alla fine? “- D’accordo, in effetti potremmo… ma tu devi giurarmi una cosa.” Quel tono serio di Marco la spaventò… cosa doveva promettergli di tanto importante da farlo diventare così severo? “- Cosa?” chiese, sciogliendo la tensione in un altro luminoso sorriso. “- Giurami che se questo tentativo dovesse fallire, noi rimarremmo amici come al solito. Non ti voglio perdere, Fran… ci tengo troppo a te.” sentenziò il bruno, prendendole dolcemente una mano. “- Te lo giuro.” Sussurrò quasi lei, convinta che niente avrebbe potuto distruggere il forte legame tra loro, neppure un amore che, in fondo, sapeva essere fasullo già in partenza... evidentemente, anche Marco doveva pensarlo per farle promettere qualcosa che presagiva già un ipotetico fallimento di quella relazione… avrebbe potuto imparare ad amare Tavelli per dimenticare Bianchi? Ci sperava, con tutto il cuore. “- Andiamo a prenderci un gelato? Così ti passo gli appunti delle lezioni che hai perso?” propose lui, alzandosi e tendendole il braccio con un astuto ghigno disegnato sul volto. “- Certo! Io lo voglio ai gusti di cioccolato…” “- E panna, lo so!” terminò la frase lui, stringendo la sua mano con quella della ragazza che si appoggiò completamente a lui… certo che Marco la conosceva anche di più di suo fratello, era un dato di fatto! Ma forse erano solo così: come due fratelli e quel bacio gliene aveva data la conferma… quanto avrebbe resistito? Sarebbe riuscita a farselo piacere? il giovane, dal canto suo, era perplesso, forse anche più della ragazza. Per anni era stato in dubbio tra lei e Ana e alla fine aveva optato per la biondina, per cui aveva del tutto perso la testa… ed ora? Cosa sarebbe accaduto ora che aveva perso l’altra a causa dei suoi dubbi e stava tentando di ricominciare con la Cauviglia? Sospirò perplesso… forse se aveva scelto Ana qualche motivo c’era: Fran era una sorella per lui e sapeva che non aveva mai ricambiato quello strano sentimento che provava nei suoi confronti… e allora, quanto sarebbe durata quella farsa della coppietta felice, a patto che sarebbero riusciti a risultare tali?
 
 
Forse la sua era stata una decisione troppo avventata, eppure se non avesse agito subito era sicura che avrebbe cambiato idea: Ludmilla, lunatica com’era, lo faceva spesso ma forse, quella volta, neanche il tempo l’avrebbe portata a fermare la sua voglia di affrontare Diego. Forse aveva ragione Leon, forse era vero che lui stava cambiando? Oppure... oppure avrebbe ritrovato il solito depravato di sempre? Fatto era che il suo desiderio di stargli accanto in un momento come quello era più forte di qualunque dubbio o incertezza. Doveva ammettere a sé stessa, per quanto avrebbe negato in eterno, che era innamorata di lui, con i suoi pregi e i suoi innumerevoli difetti e se in quel momento era fuori al grande cancello di Villa Dominguez, era stato solo perché evidentemente, il cuore l'aveva condotta sin lì.
Esitava e non aveva il coraggio di suonare a quel brillante citofono dorato… era da poco passata l’ora di cena e non voleva disturbare quella situazione già abbastanza precaria di per sé di quella famiglia. La giovane prese a torturarsi il labbro inferiore e, alla fine, si avvicinò al bottone con quell’elegante scritta in corsivo e avrebbe bussato se una voce leggermente roca ma che ben conosceva, non l’avesse fatta sobbalzare. “- Ludmilla… che ci fai qui?” la ragazza si voltò di scatto e si avvicinò alle sbarre di ferro che la separavano dal giovane padrone di casa. “- Volevo vederti.” Sussurrò quasi, affrettandosi ad aggiungere altro per rendere meno ambigua quella frase: “- Mi preoccupava che non venissi più al Club e così ho deciso di passare a trovarti… sempre che non ti disturbi, ovviamente.”  Diego sorrise, seppure nei suoi occhi si leggesse ancora tristezza e si apprestò ad aprire il cancello con foga, felice di vedere la ragazza che amava così preoccupata per lui. “- No che non disturbi, ero giusto in giardino per distrarmi un po’. Vieni…” così dicendo il moro le fece strada, facendosi da parte per farla entrare. La bionda varcò l'ingresso titubante come non era mai di solito e lo seguì nel buio del cortile, i cui unici raggi di luce provenivano da alcuni lampioni lungo il viale principale e dalla pallida luna che era già alta nel cielo. Camminarono in un imbarazzante silenzio fino all’enorme portico della villa, Diego avanti e la Ferro che lo seguiva. “- Ti farei entrare ma è un brutto momento e la casa è un disastro… ti va bene se chiacchieriamo qui?” disse il moro, indicandole un dondolo bianco, appena fuori dalla porta d’ingresso. “- Sì, figurati… non ti preoccupare.” Rispose lei, sedendosi con attenzione e sentendo subito l’oggetto ondeggiare sotto al suo peso, seppur minimo: fu Diego a spingerlo lievemente e iniziarono ad andare su e giù ad un ritmo quasi impercettibile. “- Hai parlato con Leon, perciò sei qui, vero?” chiese, fissando di fronte a sé, il ragazzo, in vistoso imbarazzo. Ludmilla si limitò a scuotere silenziosamente il capo, in segno di dissenso: “- So tutto, Diego. Leon non mi ha detto il perché del tuo strano comportamento e per puro caso l’ho scoperto da sola… sai che i miei sono avvocati, no?” domandò, mentre il ragazzo alzava le spalle, confuso. “- Ecco… dei fascicoli sparsi sul tavolo… quei cognomi e quei nomi… ora so cos’hai e voglio esserti vicina, almeno quanto lo sta facendo Leon.” Mormorò la bionda, voltandosi per fissarlo e salendo con le ginocchia sull’altalena, facendola muovere come una barca in piena mareggiata, anche se il bruno non si scompose affatto, limitandosi a tirare un profondo respiro rassegnato. “- Non dirlo in giro, per favore.” Sbottò con calma, riuscendo finalmente a girarsi verso di lei e incrociando quegli occhi nocciola che da sempre gli facevano battere il cuore… a causa sua aveva anche perso il vizio di frequentare la solita decina di ragazze a sera e, in quel periodo così triste, forse era un male per lui non poter usufruire di quel diversivo solo perché cotto della Ferro e impossibilitato a fare la sua solita vita… “sociale”.
“- Se non vuoi non lo farò… eppure non capisco cosa ci sia di male! Non è mica tua la colpa  di tutto quello che è accaduto?” Diego scattò in piedi come se avesse preso la scossa e si andò ad affacciare al piccolo parapetto della veranda che dava su un’aiuola di gerani, in fiore e profumatissimi. Ludmilla si alzò piano cercando di  fermare quell’aggeggio piantando i piedi saldamente al suolo e, grazie a qualche passo, lo raggiunse e gli poggiò una mano sulla spalla, facendolo sobbalzare ma non voltare verso di lei: il ragazzo infatti, continuava a tenere le braccia incrociate al petto ferme sulla ringhiera, scrutando con aria assente di fronte a sé. “- Ludmilla, perché sei venuta?” domandò poi, continuando a rimanere in quella posizione ma facendo sì che lei lo affiancasse alla sua sinistra. “- Perché lo volevo.” Quelle parole fecero smuovere il moro che si voltò appoggiandosi con la schiena al parapetto e iniziando a riflettere, confuso per tale affermazione. Sì, d’accordo, erano sempre stati amici e lei sapeva benissimo cosa provasse lui nei suoi confronti… eppure ora era lì, voleva esserci… che fosse stata solo tenerezza per quello che stava passando? “- Strano però… fino a qualche tempo fa non saresti mai venuta sin qui… sai come sono fatto, o sbaglio? Sei venuta solo perché ti facevo pena, vero?” chiese, alludendo al suo essere tanto Don Giovanni e a quello che stava vivendo. “- Pena? E poi cosa c’entra il tuo… ‘essere’? Sei il solito egocentrico, ecco cosa sei! Sono venuta perché ci tengo a te, non ti è passato per quel cervelletto d’arachide che hai? Siamo comunque amici, no?!” domandò lei, recuperando il suo temperamento ribelle e fiero. “- Amici, certo… eppure fino a qualche settimana fa mi snobbavi per il mio essere, ed ora, magicamente, vieni anche a trovarmi… questo non puoi negarlo!” sbottò acidamente il ragazzo, con quel pizzico di ironia che sempre lo caratterizzava. “- Smettila, Dominguez! Sei ridicolo! Ora oltre che depravato sei anche antipatico! Forse è meglio che vada.” a quelle parole, la bionda, ancora risentita, scese i pochi gradini che la separavano dal viale principale e si allontanò a passo rapido lungo quest’ultimo, ancheggiando come suo solito ma sperando di sentire qualcuno che la fermasse, quel qualcuno che l’aveva appena ferita nell’orgoglio. Quando non ci sperava più ed era arrivata al cancello esterno, si sentì afferrare per un polso e, quando fu costretta a voltarsi, un sorriso irritante le si stagliò di fronte al viso. “- Sono ridicolo, depravato, antipatico e egocentrico? Quante cose carine, grazie! Ed eri venuta a consolarmi… pensa se volevi vedermi per insultarmi! Ah, e cosa hai detto riguardo al mio cervello?” Quel ghigno ravvicinato, quel sarcasmo pungente… la Ferro si innervosì ancor di più, tanto che sbuffò sonoramente e subito si divincolò da quella presa così salda e irritante almeno quanto quella risatina. “- Ero venuta per starti vicina, ma a quanto pare non te lo meriti! Dannato Leon che mi aveva fatto credere che fossi diverso dal solito! Era meglio continuare a pensare che fossi lo stesso di sempre, almeno non mi sarei avvicinata a questa casa, non mi sarei mai avvicinata a te!” gridò Ludmilla, agitandosi e aggirandolo, facendo sì che lui si ritrovasse con le spalle rivolte alle sbarre di metallo del portone esterno. “- Cosa c’entra Galindo adesso? E cosa c’entra il mio cambiamento? Di che parli?!” anche il tono di Dominguez ora era stizzito e aveva preso a sbracciarsi a sua volta, perdendo il suo atteggiamento di solito fermo e glaciale. “- DI QUESTO!” a quelle parole, la ragazza gli prese il viso tra le mani e premette con foga le sue labbra su quelle del ragazzo, facendogli sgranare gli occhi di colpo e andare a sbattere contro il cancello… lo stava baciando? Era il suo sogno di sempre incontrare quella bocca così delicata ma, allo stesso tempo, passionale… eppure era così confuso e travolto dalle emozioni che non riuscì a fare altro che ricambiare con la stessa forza e, mentre lei continuava a tenergli il volto, lui la strinse per la vita con le sue forti braccia e l’attirò a sé, sentendo i loro corpi aderire e riuscendo quasi ad udire i battiti dei loro cuori andare ad un ritmo forsennato. La Ferro si staccò e, lentamente, fece qualche passo a ritroso, senza smettere però, di fissare quegli splendidi occhi verdi che la scrutavano con aria perplessa. “- Che cosa ti ha detto Leon? Che sono cambiato?” balbettò il giovane reggendo con forza lo sguardo della bionda. “- Sì, mi ha riferito i tuoi sforzi colossali, tutti per me… e diamine, ti amo troppo per non darti fiducia!” Sbottò, con stizza Ludmilla, realizzando solo dopo qualche secondo cosa avesse appena affermato. Diego sorrise a quelle parole, alzando un sopracciglio e assumendo una buffa espressione soddisfatta, lasciandola ancor più basita: non era il suo solito ghigno irritante, quella volta sembrava felice. “- Ripetimelo.” Le soffiò ad un centimetro dalla bocca, avendola avvicinata di nuovo, raggiungendola a lente falcate. “- Ludmilla la Supernova, non ripete mai ciò che…” ma a quella frase venne forzatamente interrotta: Diego infatti, aveva di nuovo dato vita ad un bacio altrettanto passionale, se non di più, del precedente, lasciando stupefatta ma contenta la giovane che ricambiò con entusiasmo, intrecciandogli le braccia esili intorno al forte e possente collo, mentre lui le faceva scorrere le mani lungo tutta la schiena. “- Ti amo anch’io, Supernova e cambierò in meglio, te lo prometto.” Mormorò il bruno, quando si staccarono ma rimasero fronte contro fronte, entrambi a corto di fiato. “- Lo spero bene per la tua incolumità Dominguez, o potrei non rispondere più di me!” sbottò con stizza la ragazza, facendolo ghignare, mentre prese ad incamminarsi a passo rapido verso l'uscita dalla villa e lontano dal giovane che amava, il quale restò, per un tempo indefinito, a osservare nella direzione da cui era andata via. Poteva, nel momento in cui pensava che tutto fosse perduto, aver riottenuto almeno un raggio di sole nel buio della notte più nera? Ludmilla era il suo faro, la sua ancora di salvezza… e non se la sarebbe fatta scappare, mai.
 
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Awww i Diemilla! <3 Sì, il blocco Marcesca non mi fa impazzire…ma va bene, puo’ essere che Bianchi si svegli un po’ e recuperi la retta via! XD Ma vogliamo parlare dei Leonetta? No, parliamone! *___* Leon è cotto, stracotto e ultracotto e anche lei! *___* Finalmente si stanno avvicinando! Il loro bacio è alle porte! Pronti? :3 Ringrazio sempre tutti coloro che recensiscono e seguono con affetto la storia! Grazie infinite! :3 Lunedì prossimo, per quanto sia Pasquetta aggiornerò comunque, forse in serata ma il nuovo capitolo arriverà! ;) Alla prossima, ciao! :D

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Capitolo 14
*** Lara comincia a tremare. ***


“- Questo campo da golf è enorme! Io non ne avevo mai visto uno così immenso!” Leon, quella mattina, si era svegliato di buon umore avendo deciso di mantenere la sua promessa: voleva conoscere meglio Violetta e, di conseguenza, si era organizzato per portarla al Country Club, il luogo in cui si sentiva a suo agio, nel suo mondo, circondato dagli amici e dallo sport che tanto amava. La ragazza aveva accettato riuscendo persino a convincere Angie dopo ore di suppliche ma, nonostante tutto, la donna si era offerta di accompagnarli fino a fuori al circolo. “- Tu non ne avevi mai visto uno, in generale!” la schernì Leon, beccandosi un’occhiataccia da parte della giovane che continuava a guardarsi intorno, estasiata: distese verdi la circondavano, strani mezzi di trasporto a quattro ruote dotati di tettuccio parasole e volante erano parcheggiati accanto a loro, stracolmi di sacche con lunghe mazze che spuntavano dalla cima di quelle strane borse e,  in lontananza si potevano scorgere altre di quelle particolari vetture, fare avanti e indietro da quelle che chiamavano “buche” ed erano segnalate da alcune bandierine bianche. “- Diego, Ludmilla e Federico saranno qui tra poco, così te li presento… sono miei amici, ti piaceranno… sarà bello stracciare ancora Bianchi! Anche se credo si dovrà trovare una compagna di giochi! Chissà chi porterà!” Esclamò sogghignando Galindo, ritirando alcune piccole schede di cartone da una sorta di chioschetto che si trovava all’inizio della distesa d’erba, intervallata solo da ostacoli d’acqua che consistevano in alcuni piccoli stagni e dei bunker, ovvero delle zone sabbiose, messi proprio lì per rendere più difficoltosa la partita.
“- Sei nervosa?” le sussurrò Leon, caricando una delle piccole auto e salendo a bordo, invitandola a fare lo stesso. “- No… è che… io non so giocare.” Mormorò quasi lei, imbarazzatissima dalla situazione: mai in vita sua avrebbe immaginato di ritrovarsi in un posto del genere eppure, se fino a alcune settimana prima se ne sarebbe compiaciuta, ora il suo unico pensiero fisso era lui, quel ragazzo dagli occhi verdi e profondi che voleva farle conoscere la sua vita, come le aveva promesso: quale luogo migliore per aprirsi a lei se non quello in cui passava più ore al  giorno? Galindo le tese la mano e lei salì accanto al posto guida, mentre lui prese a tamburellare nervosamente sul volante, restando fermo. “- Leon…” “- Sì?” domandò lui, voltandosi verso la ragazza che si imbambolò a fissare quello sguardo così determinato ma che, in un certo modo, mostrava una nota di dolcezza, soprattutto nell’ultimo periodo, quando si rivolgeva a lei. “- Sai portare questo coso, vero?” sorrise, nervosamente, la castana, facendolo cominciare a sghignazzare di gusto. “- Ma ti pare? Ho imparato prima a guidare una Golf Cart che il triciclo!” esclamò, continuando a ridere e scostandosi con un gesto rapido, un ciuffo castano dorato dalla fronte: solo in quel momento la giovane notò degli splendidi guanti bianchi che gli fasciavano le mani e ne rimase colpita… avrebbe avuto bisogno anche lei di quei vestiti così particolari? Era troppo fuori luogo con la sua solita gonna bianca e la t-shirt rosa confetto con la stampa dell’unicorno che tanto adorava? Per non parlare delle scarpe che prese a fissarsi in quello stesso istante, preoccupata… no, quei tacchi non le avrebbero facilitato la sfida... “- Certo che potevi avvertirmi che non era una semplice passeggiata…  già non so giocare, se ci aggiungi che sono vestita in questo modo la situazione non puo’ che peggiorare!” borbottò di colpo lei dopo alcuni istanti di silenzio, facendolo quasi sobbalzare. “- Non preoccuparti, vai benissimo così: Ludmilla ti porterà solo delle sue scarpe, più adatte di quelle… per il resto sei perfetta.” le fece l’occhiolino il ragazzo, cosicché lei potesse tirare un sospiro di sollievo. Chissà com’erano quei ragazzi… di sicuro la maggior parte erano gli stessi snob del compleanno di Leon! Al solo pensiero rabbrividì e tentò di calmarsi, stringendo i pugni, aspettando di capire perché il giovane non mettesse in moto… evidentemente era quello il punto di ritrovo con gli altri e li stavano semplicemente aspettando.
“- Alleluia! Ecco i primi due, la coppietta felice!” li schernì subito Leon, scendendo con un balzo dalla quattro ruote e andandogli incontro, seguito da Violetta, alquanto tesa: riconosceva di viso quei due ragazzi… lui era anche in piscina quando erano andati al Club con Angie, ed era sicura di aver visto la giovane biondina anche alla partita di tennis dei padroni della villa in cui stava vivendo. “- Ciao!” salutò Ludmilla, stringendosi a Dominguez che subito ghignò, soddisfatto di capire che Leon fosse riuscito nel suo intento, ovvero conquistare quella mocciosetta solo per farsi bello e dimostrarsi ancora una volta trionfante agli occhi degli amici. “- Sono felice che vi siate decisi, finalmente!” sorrise Galindo, avvicinandosi ai due, mentre la La Fontaine se ne stava qualche passo dietro di lui, violacea per l’imbarazzo. “- E io vedo che anche tu sei in dolce compagnia, ottimo…” ghignò Diego, dandogli una pacca sulla spalla, facendolo impallidire… aveva capito male, molto male! Quella sorta di scommessa iniziata il giorno del suo compleanno finiva lì e dopo lo avrebbe comunicato ai due amici, seppure dovesse aspettare per poterlo fare in privato: si limitò a sorridere al moro, contento, nonostante tutto, di vederlo finalmente uscire e distrarsi da quella situazione tremenda che stava vivendo a casa e sapeva che, se tutto ciò era possibile, lo doveva anche alla Ferro. “- Eccomi, scusate il ritardo ma Lara ci ha messo un’ora per prepararsi!” Federico, sbracciandosi animatamente, corse verso il gruppetto seguito da una ragazza castana che Leon e gli altri conoscevano molto bene… ed anche Violetta la riconobbe subito: era quella che al compleanno era stata più appiccicata di tutte a Leon e già le stava poco simpatica… “- Lara…?!” stava per iniziare Galindo, facendosi largo tra Dominguez e la Ferro, spostandoli uno a destra e l’altro a sinistra per cercare di capirci di più… davvero Bianchi aveva scelto, come compagna di squadra, la Gonzales? La fissò un po’ stranito,ma d’altronde l’italiano cosa ne poteva sapere che lui stesse cominciando a sentire qualcosa di così forte per Violetta, tanto che neppure riusciva a, stranamente, considerare le altre ragazze? Nulla e proprio per questo non poteva giudicare la sua scelta di portarsela dietro. “- Salve a tutti, scusateci, colpa mia!” la giovane si avvicinò a Ludmilla che la fissò in cagnesco, mentre la LaFontaine le guardava, restando in disparte. “- Violetta, vieni! Loro sono Bianchi il perdente e Lara, mentre questi due sono Diego e Ludmilla… signori, lei è Violetta.” Sorrise Leon, facendo subito avvicinare la Ferro alla nuova arrivata. “- Spero non sia un altro membro del catalogo!” la battutaccia della Gonzales riecheggiò nell’aria, sconvolgendo persino Federico e Dominguez che si voltarono verso la giovane mentre Violetta, ormai rossa fino alla punta delle orecchie, abbassò gli occhi, non sapendo proprio cosa dire. “- Non sono tutte come te, Laruccia.” Per fortuna, la biondina, subito lanciò una frecciata bella e buona a quella tizia, in sua difesa, e Galindo alzò le spalle goffamente, fingendosi impossibilitato dal fermare quel commento. “- Andiamo che è meglio! Allora siamo: io e la Supernova contro Bianchi e Gozales… e tu e… lei, che però non sa giocare! Leon come farete?” Diego subito tentò di smorzare la tensione buttando il discorso sulla partita. “- Sono sicuro che imparerà presto, è molto intelligente, mica come te!” esclamò il figlio di Pablo, facendo poi l’occhiolino alla ragazza che finalmente si sciolse in un dolce sorriso, facendo sì che Diego gli lanciasse un’occhiataccia letale per la pessima battuta. “- Iniziamo, dai! Ci vediamo alla piazzola di partenza.” Con quella fame di sfida, Federico si trascinò Lara alla piccola vettura e salirono a bordo, per poi sfrecciare prontamente verso il tee, zona di inizio della gara. “- Sempre combattivo Bianchi, wow!” rise Dominguez, andandosi a posizionare anch’egli al posto di guida facendo fare lo stesso a Ludmilla. “- Ha voglia di perdere ancora, evidentemente!” ridacchiò Leon, aiutando Violetta a sedersi a bordo della Golf Cart, tendendole la mano, sporgendosi verso di lei dal posto di guida. “- Come a tennis?” Chiese timidamente lei, però con un sogghigno alquanto furbo. “- Esattamente. Come a tennis…” ammiccò Galindo, facendo partire l’automobilina e temere la giovane che si ancorò con entrambe le mani al suo seggiolino, impaurita da quella velocità colossale a cui andava il ragazzo. “- Fidati di me.” sussurrò quasi il castano, sorridendo, voltandosi per un nanosecondo a fissarla: la La Fontaine non solo si teneva al sedile, ma aveva gli occhi chiusi e sembrava, dal labiale, che probabilmente stesse pregando qualche Santo in paradiso per far sì che non schiantassero contro un albero.  
“- Puoi anche riaprire gli occhi… siamo arrivati!” sghignazzò Leon, fermando la vettura e scendendo in una sorta di piazzola verde e pianeggiante, sulla quale vi erano già Federico, Lara, Diego e Ludmilla ad attenderli. “- Non li tenevo chiusi!” sbottò la castana, facendo un balzo dal seggiolino e avvicinandosi a lui, aggirandolo la vettura. “- Iniziamo? Dai che sono impaziente di vincere!” rise Bianchi, impugnando una mazza argentata e agitandola come a colpire una palla immaginaria. “- Infatti, sbrigatevi!” aggiunse la Gonzales, appoggiandosi alla spalla del suo partner con aria di sfida. “- Impaziente di essere sconfitto ancora, Fede?!” lo corresse la Ferro, avvicinandosi a Violetta con una sacca di tela color panna abbastanza pesante. “- Tu metti queste, altrimenti non riusciremo a far fuori quei due presuntuosi.” sorrise, allungandogliela e sogghignando divertita. “- Come facevate a sapere il mio numero?” esclamò stupita la giovane, osservando delle scarpette bianche e verdi e indossandole: le calzavano a pennello. “- Ho tirato ad indovinare, da come ti ha descritto Leon non potevi avere più di 37! E ci sono anche dei vestiti di ricambio, per dopo… chi dice che giocare a golf non faccia sudare sbaglia di grosso!” rise con aria soddisfatta la biondina, agitando la chioma lucente che teneva alta in un’elegante coda di cavallo, sormontata una visiera fucsia. “- Facciamo iniziare la novellina, prego!” Lara, con il suo solito modo acido, le fece segno di avvicinarsi alla piccola sfera bianca, già sistemata da Galindo. “- Penso sia una buona idea, vieni…” sorrise il giovane, prendendole la mano e neppure rendendosene conto: lei invece, era diventata paonazza fino alla punta delle orecchie e rimase davanti alla pallina, mentre Leon, tornando indietro, le andò a prendere una mazza, leggermente diversa da quella che teneva in mano Federico. “- Questa andrà bene…” sibilò tra sé e sé, passandogliela. “- Ok, non vale come allenamento… un tiro è un tiro, lo calcoliamo già come tale!” si apprestò a precisare Bianchi, già competitivo fin da subito. “- Beh, dai è la prima volta che…” Diego stava tentando di placare la voglia di sfida dell’amico ma Leon li interruppe con un gesto stizzito della mano: “- No. Ha ragione Fede. Inizieremo subito con la partita.” La decisione del castano sconvolse tutti e, lentamente, si avvicinò a Violetta che era di spalle. “- Tieni le gambe leggermente divaricate, e la schiena dritta ma poco chinata in avanti.” La giovane, che mai aveva impugnato una mazza da golf in vita sua, eseguì l’ordine e sentiva il cuore schizzarle fuori dal petto, sentendo il petto di Leon aderire alla sua schiena. Lui, stranamente, si sentì rabbrividire a quel contatto ma allontanò quel pensiero e si concentrò sul suo obiettivo: insegnarle a giocare. “- Stringi l’impugnatura con entrambe le mani…” a quelle parole, il ragazzo appoggiò le sue mani su quelle della castana che, ormai, sentì un calore improvviso impossessarsi di lei… riuscì a voltare leggermente il capo verso Leon e si ritrovò ad un centimetro da quel viso così angelico e perfetto: sentire il suo respiro sul suo collo per poco non la fece svenire e quegli occhi così profondi la fissavano, rassicuranti. “- La pallina deve arrivare almeno a qualche metro dalla prima buca, si trova da quelle parti…” il giovane allungò un braccio e le indicò una zona del campo a parecchi metri da loro, di un verde scuro più intenso. “- Libera la mente…” mormorò quasi lui, al suo orecchio, mentre la castana prese a fissare prima la pallina e poi l’orizzonte. “- E… swing!” tutto il gesto fu compiuto da entrambi, in sincronia perfetta: la rotazione del busto, la flessione di una delle due gambe saldamente al suolo, la mazza che prima in aria, impatta fortemente sulla sfera, rendendola un bolide degno del boccino d’oro nel pieno di una partita di Quidditch nella saga di Harry Potter. La pallina volò alta nel cielo, diventando un puntino quasi invisibile che, sotto ai raggi del sole, fece strizzare gli occhi ai giocatori che per poco non la persero di vista. “- Hai capito l’inesperta!” fischiò Diego, dando una pacca sulla spalla all’amico. “- Fortuna dei principianti!” sbottò Lara, ancheggiando verso il punto da cui avrebbe dovuto dare il via alla gara, ignorando del tutto Federico e le sue tattiche che le diceva di farsi da parte per lasciargli la battuta più difficile, quella d’inizio.
 
 
“- Federico, accettalo una buona volta, io e Ludmi abbiamo vinto e, con i punteggi alla mano, tu e Lara siete arrivati ultimi!” gli spogliatoi maschili erano silenziosi, c’era solo la voce di Diego che rimbombava sottoforma di un potente eco a risuonare nell’aria. “- Comunque Violetta è stata brava! Per essere la prima volta se l’è cavata egregiamente!” aggiunse poi Dominguez, uscendo da una delle docce, con un asciugamano legato in vita e i capelli ancora fradici e spettinati. “- Con un insegnante come me, che ti aspettavi?” Leon, seduto su una panca di legno, era stato il più rapido ad asciugarsi e attendeva i due amici con aria annoiata, giocherellando con il suo IPhone, già cambiatosi da almeno 10 minuti abbondanti. “- Smettila con questi giochini o diventerai più tonto di Andres!” Federico, infilandosi una camicia bianca con le sue cifre elegantemente ricamate su una tasca, scoppiò a ridere della sua stessa battuta appoggiandosi con la schiena al muro, ma l’altro ragazzo non fece una piega. “Ma lasciami in pace, idiota!” sbottò stizzito Galindo, scompigliandosi nervosamente il ciuffo, ancora leggermente umido. “- Non è che stai facendo un catalogo tecnologico, eh?” lo riprese Diego, abbottonandosi la cintura dei pantaloni e parandoglisi di fronte con aria furba. “- Smettetela! Mi avete stancato!” a quelle parole Leon scattò in piedi furioso e cominciò a camminare avanti e indietro con aria perplessa: quello che aveva sentito con Violetta non lo aveva mai provato con nessun’altra in vita sua… perché? Perché le faceva quell’effetto? E perché al solo sentir nominare il catalogo ora diventava così nervoso? “- Comunque devo ammettere, mio malgrado, che hai vinto! La mocciosa è cotta di te… inoltre è pure carina, non sarà un sacrificio per te aggiungerla alla lista delle tue… conquiste…!” la voce di Bianchi riecheggiò nella stanza, facendo sbiancare Galindo che gli si avvicinò come una furia. “- Non chiamarla così e non parlare di lei in questa maniera, chiaro?!” sbottò il giovane, afferrando per il colletto l’italiano che impallidì di colpo, sollevato a mezzo metro dal suolo. “- Piano, amico! Di solito sei più simpatico, che hai?” quella volta fu Diego ad intromettersi e si andò a posizionare tra i due, cercando di placare gli animi, riuscendoci: il castano sbatté quasi sulla panca Federico che deglutì rumorosamente, spaventatosi da quell’attacco così improvviso… tutti sapevano quanto fosse impulsivo Leon e la cosa lo terrorizzava. “- Si puo’ sapere che ti prende? Sei impazzito?!” ebbe la forza di balbettare l’italiano, sistemandosi la camicia, stropicciatasi nello scontro. “- Niente! Che volete che abbia! Sono sempre il solito!” sbuffò il giovane, ritornando a sedersi dov’era prima di minacciare l’amico, come se nulla fosse. “- Ok, frena! Per quanto ammetto che Bianchi sia irritante, non ti sei mai azzardato a mettergli le mani addosso! Sei strano, Leon! Davvero molto strano!”. La voce di Dominguez era pacata e i suoi occhi verdi erano fissi su Galindo, a cui voleva un mondo di bene… non se lo sarebbero mai detti, fieri e duri com’erano ma lo sapevano entrambi ed era quello ciò che contava. Diego aveva capito da subito ciò che l’amico avesse ma voleva che fosse lui ad ammetterlo, doveva arrivarci da solo. “- Lascio perdere la scommessa. Non voglio ferire quella poverina di Violetta… mi ritiro, se devo pagare pegno ditemi subito cosa devo fare e facciamola finita.” Le parole di Leon sconvolsero più Federico che esultò soddisfatto per quella piccola vittoria che il moro, convinto di sapere il perché Leon rinunciasse: lui non si sarebbe arreso per un motivo sciocco, semplicemente per non voler delude la giovane… c’era qualcosa sotto e Diego non avrebbe esitato ad affermarlo ad alta voce mentre qualcuno, da fuori la porta, si allontanò con aria soddisfatta: quel segreto avrebbe fatto molto comodo alla persona in questione e, a passo rapido, si avviò di nuovo verso la zona esterna del Club.
“- Una scommessa, eh? Interessante…” Lara aggirò alcuni clienti del piccolo bar nei pressi della piscina e si sedette al classico punto di ritrovo, dove, di lì a poco, sarebbero arrivati anche gli altri amici… era stata un’ottima l’idea quella di andare a cercare Federico per restituirgli la sacca lasciata nella golf cart.
In effetti le era sembrato strano che Leon, il suo Leon, fosse interessato a quella mocciosa… eppure, nonostante la scommessa, il modo di guardarsi di quei due era fin troppo strano… poteva, un giochetto di tre ragazzi, portare all’amore, quello vero? Beh, era evidente che Galindo stesse facendo tutto tranne che giocare, considerato che  non aveva fatto altro che fissare Violetta in maniera innamorata per tutta la durata della partita, ricambiato dalla giovane. Lara però, era sicura che quel dato scoperto avrebbe, prima o poi, giocato a suo favore… sapeva bene le regole del catalogo ma non aveva mai avuto intenzione di rispettarle, soprattutto quella che non prevedeva storie d’amore con il proprietario del quaderno: lei voleva Galindo, lo reputava quasi una sua proprietà, tanto da detestare le altre ragazze con cui era stato e consapevolmente soddisfatta del fatto che lui prediligesse sempre e solo lei.
“- Violettina, grazie a me, hai i giorni contati… povera, sai che delusione quando saprai che Lion ti voleva solo usare per farsi bello con gli amici… quasi mi dispiace…” pensò tra sé e sé ghignando, salutando poi da lontano Andres e Libi che, limitandosi a farle un cenno con la mano, la superarono, evitandola palesemente. Sapeva che con la fama che si era costruita, la sopportassero tutti molto poco, a maggior ragione i santarellini, come Calixto, la sua fidanzatina e, in primis, Ludmilla. Ormai attendeva solo il suo momento, quello della vendetta, con la consapevolezza che, prima o poi, la piccola e fragile La Fontaine avrebbe perso quel ragazzo così poco adatto ad una principessina come lei e che, il castano, sarebbe tornato a strisciando ai suoi piedi.
“- Leon, te lo dico io cosa ti succede…” intanto, la conversazione negli spogliatoi maschili, continuava animatamente e stava prendendo una piega importante. “- Sei innamorato di Violetta, ecco tutto! Quando mai ti sei preoccupato di ferire una delle tue… vittime?” La conclusione a cui era arrivato Diego fece quasi svenire il diretto interessato che si alzò di nuovo, cominciando a camminare in lungo e in largo davanti ai due amici che lo fissavano, aspettando la sua reazione. “- Voi davvero credete che io…?” chiese il ragazzo, perplesso: non l’avrebbe ammesso mai, forse neppure avrebbe riconosciuto quel sentimento così inusuale per lui a sé stesso, eppure sentirselo sbattere in faccia dagli amici era tutta un’altra storia: era innamorato di Violetta? Era quello che gli faceva sentire i brividi quando gli era vicina? Era per quel motivo che quando lei sorrideva si sentiva stordito, come se avesse ricevuto una padellata in pieno cranio? Quel sentimento poteva fargli sentire che, quando si erano abbracciati, da quella stretta ne dipendesse la sua vita? Ecco perché non voleva ferirla, ecco perché gli sarebbe dispiaciuto illuderla per uno stupido giochetto di tre ragazzi annoiati dalla loro ricchezza. “- Sì! Sei anche più cotto di lei, seppur tu voglia nasconderlo te lo si legge dallo sguardo!” Dominguez non gli staccava gli occhi di dosso e, ad un tratto, si alzò e gli si parò contro, fermandolo per le spalle. “- Stai fermo che metti ansia!” sbottò, bloccandolo tra il suo possente corpo e il muro. “- Leon, lei è una brava ragazza, si vede… se davvero sei innamorato metti le cose in chiaro e conquistala… perché è chiaro che lo vuoi veramente! Non fare cavolate o la perderesti…” commentò, squadrandolo con attenzione: l’intensità degli occhi del moro gli misero quasi soggezione, altra sensazione di cui, fino a quel momento, ignorava l’esistenza. “- E la penitenza?” borbottò Federico, facendoli voltare entrambi verso di lui. “- Al diavolo quella cavolata! Io lo vedo fin troppo preso dalla La Fontaine!” ribatté Diego, allontanandosi poi dall’amico e, finalmente, liberandolo: Leon però rimase immobile a riflettere sul da farsi… come avrebbe fatto a conquistarla, stavolta sul serio? “- Sii te stesso… dimostrale che non sei solo quello che ha il catalogo! Perché io lo so che non sei solo quello…” ghignò divertito Dominguez, sedendosi nuovamente accanto a Bianchi. “- Non ho idea di cosa potrei fare!” sibilò tra i denti Galindo, tirando un piccolo pugno alla parete alla quale era restato appoggiato con la schiena. “- Senti, se tu sei negato, noi siamo anche peggio!” rise il figlio del dottore, afferrando il borsone e avviandosi verso la porta. “- Io mi avvio al bar, Lara avrà la mia sacca! Dannazione, l’ho dimenticata!” sbottò, guardando poi l’orologio e fiondandosi fuori in cerca della giovane.
“- Leon… io da quando sto con Ludmilla sto riuscendo a cambiare in meglio, sono certo che anche Violetta avrebbe lo stesso effetto su di te, pensaci su… il primo passo lo hai fatto oggi: hai rinunciato alla scommessa e hai riconosciuto di essere innamorato davvero di lei… ora devi solo far filare bene le cose… basta discoteca, stupidaggini, vandalismi, ragazze come se piovesse… prendi esempio da me!” le ultime parole di quella lunga frase del bruno, furono dette con tono solenne e buffo, tanto da far sogghignare l’amico. “- E tu ci stai riuscendo… vedi però di continuare sulla retta via! Guarda che se fai soffrire Ludmi io ti ammazzo!” sbottò Leon, tirandogli un piccolo cazzotto sulla spalla. “- Lo so, tranquillo… la amo da così tanto tempo che sono disposto a tutto per lei, anche a cambiare!” “- Ottimo.” Ribatté prontamente Leon, osservandolo poi uscire per raggiungere gli altri. Perso nei suoi pensieri, Galindo, rifletté ancora sulle parole di Diego e si avviò anche lui al bar, seguendo lo spagnolo che lo precedeva di almeno una decina di passi.
 
 
“- E’ stata una bella giornata, anche se quella Lara mi odia e non so il perché…” Violetta, sul viale che portava al parcheggio del Country Club dove Angie li aveva informati che li avrebbe attesi, camminava fianco a fianco con Leon il quale, a quell’affermazione, alzò le spalle confuso. In effetti la Gonzales era stata abbastanza odiosa con la ragazza ma non diede troppo peso alla cosa, in fondo Lara sapeva le regole del catalogo e avrebbe dovuto accettarle. Si notava così tanto che tra lui e la La Fontaine ci fosse qualcosa, una sorta di connessione? Che voleva la Gonzales se lui aveva perso la testa per l’altra, cosa c’entrava in quella, già di per sé complessa, situazione? “- Stai bene?” la dolce voce di Violetta lo scosse dai suoi pensieri e annuì frettolosamente, bloccandosi poi al centro dello stradone ciottolato e parandosi di fronte alla giovane. “- Non do quest’impressione?” chiese lui, con un sorriso splendente. “- Per niente… cos’hai? Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato che…?” ma il giovane la interruppe scuotendo il capo con calma. “- Tu sei stata fantastica, tranquilla!” sorrise ancora, facendole tirare un sospiro di sollievo… erano ancora a pochi metri dal bar, eppure non c’era la solita folla di persone che andava e veniva su quel viale: erano loro due, una lievissima brezza calda e, solo in lontananza, un vociare proveniente da una delle piscine all’aperto che rendeva l’atmosfera più allegra. “- Devi dirmi qualcosa, lo sento.” Violetta non esitò ad ammettere ciò che pensava, Leon era pensieroso e tanto… non poteva esserle sfuggita quell’aria così riflessiva e silenziosa, non essendo tipica sua. Galindo prese un profondo respiro e, alla mente, gli tornarono le parole di Diego dettegli negli spogliatoi:
 
“- …il primo passo lo hai fatto oggi: hai rinunciato alla scommessa e hai riconosciuto di essere innamorato davvero di lei… ora devi solo far filare bene le cose…”
 
Filar bene le cose? Che diamine voleva dire? Cosa doveva fare? Lo sguardo di Violetta puntato su di sé lo fece rabbrividire e realizzò, ancora, quanto fosse speciale ciò che provava per quella ragazza… quando mai Leon Galindo sentiva una scossa elettrica al solo essere accanto ad una giovane? No, stava perdendo il senno, ne era certo… ed era ancor più certo che lo stesse perdendo a causa di quella La Fontaine. Non seppe dire cosa gli stesse prendendo eppure fece qualche passo verso di lei, sempre di più, ritrovandosi occhi negli occhi con la castana che sembrava pietrificata ed in attesa che lui agisse o almeno dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. “- Leon…” balbettò, impossibilitata nel dire altro… lui le si avvicinò ancora, ormai poteva sentire il suo caldo respiro sul viso, le poggiò dolcemente la mano sulla guancia e gliela accarezzò teneramente, stupendosi del suo stesso gesto, fin troppo romantico per un ragazzo con la sua personalità. Non aveva mai notato quanto fosse delicata quella pelle e il solo contatto lo portò al settimo cielo… era un angelo, ne era sicuro, un angelo disceso dal paradiso solo per lui. Rimase a fissarla per alcuni interminabili minuti e, nel momento in cui stava per avvicinare le sue labbra a quelle della giovane, una voce lo richiamò: “- LEON!” Si staccarono di colpo e il viso del giovane era abbastanza eloquente: non sapeva di preciso cosa diavolo stesse per fare ma quell’interruzione lo stizzì comunque alquanto, soprattutto nel capire chi ne fosse l’artefice… Lara, sorridente e soddisfattissima, si avvicinò ai due con passo lento e fiero. La castana li stava spiando da quando si erano allontanati e aveva solo aspettato il momento giusto per raggiungerli con una scusa stupida… solo che, in quell’attimo, aveva avuto la conferma di ciò che temeva… quei due si amavano sul serio e il suo ruolo, nella vita di Leon, era in grave pericolo a causa di quella mocciosa.
“- Che vuoi Lara?” sbottò acidamente il ragazzo, ruotando gli occhi al cielo, sotto lo sguardo stupito e ancora sconvolto di Violetta per ciò che di li a poco sarebbe potuto accadere. “- Non mi hai neppure salutato quando sei andato via! Che antipatico stai diventando!” ridacchiò la giovane, riprendendo a fare qualche passo verso i due. “- Volevo solo dirti che ti aspetto domani, in disco, come ogni sabato… ah, Vilu tesoro… tu lascia stare, non è un luogo per bamboline come te!” ridacchiò ancora, innervosendo di più Leon e indispettendo anche la ragazzina. “- Adesso basta! Si puo’ sapere cosa vuoi da me, Lara?” le chiese, senza troppi giri parole, la ragazza. “- Niente, era un consiglio… e te ne darò un altro: a volte le persone fanno soffrire, ricordalo… buona serata!”E, a quelle parole criptiche, la ragazza si incupì di colpo… aveva capito che lei avesse avuto dal primo momento intenzione di farla soffrire ma continuava ad ignorarne il motivo: Lara era ricca, bella… cosa poteva invidiarle? Che fosse la sua vicinanza con Galindo motivo di quella gelosia? E se si fosse riferita proprio al fatto che lui, invece, l’avrebbe fatta star male? No, scosse il capo a quel pensiero: Leon stava cambiando e lei ne aveva avute svariate prove.
“- Andiamo, la super fashion auto di Angie è già lì…” Leon, lanciando un’ultima occhiataccia a Lara che si allontanava, porse il braccio, da perfetto gentleman alla La Fontaine che, titubante, lo accettò con un sorriso: realizzò in quell’istante cosa avesse tentato di fare Leon… voleva baciarla? Se non fosse arrivata la Gonzales cosa sarebbe successo?
 
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Eccoci, capitolo 14! Ok, al mio tre eliminiamo Lara, pronti? Via! Partita di golf, Diemilla innamorati, Federico che si porta a giocare… sì, quella lì e, cosa più importante, Leon accetta finalmente di essere innamorato e rinuncia alla scommessa… ed ora… la conquisterà perché lo vuole sul serio! :3 Come continuerà la vicenda? Lara ora sa della scommessa… ed ha pure intuito che i Leonetta siano sul serio innamorati! Cosa accadrà adesso? Grazie infinite come al solito a coloro che seguono la storia con affetto e buona Pasqua (anche se in ritardo…) e felice Pasquetta a tutti! :) Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 15
*** Ostacoli da superare. ***


“- Si puo’ sapere cos’hanno questi tizi stasera?! Sono così euforici! E poi, sbaglio o c’è più gente del solito?” la voce di Camilla era palesemente nervosa e quella punta di stizza non sfuggì a Luca che, lucidando dei bicchieri da cocktail le sorrise dolcemente, sperando di calmarla… quando la Torres era arrabbiata c’era ben poco da fare se non sopportare le sue ire! “- E’ sabato, che ti aspettavi? E pare che ci sia una sorta di festa di Dominguez e  la Ferro… sembra che abbiano vinto una stupida partita di golf!” sentenziò Francesca, shakerando dei drink e scaricando la sua stizza su quegli oggetti. Federico era già seduto al solito posto, accanto ad Andrea e Lara e continuava a fissarla, rendendola ancor più nervosa… non ne poteva più, quella situazione era insostenibile e vedere il ragazzo ogni sera di certo non aiutava. La storia con Marco proseguiva… in maniera strana, ma proseguiva. Sì, strana… erano troppo uniti per avere una storia d’amore, erano quasi come due fratelli… eppure lui l’adorava, la trattava sempre magnificamente  ma tra loro, a parte qualche bacio, non era cambiato nulla e lei riusciva a percepirlo chiaramente: quella era amicizia, null’altro. Stavano da poco insieme, eppure se ne era già resa conto: quanto ancora avrebbe proseguito con quella farsa? E soprattutto, avrebbe potuto dimenticare quell’odioso di Bianchi?
“- Guarda chi c’è! Il mio cognatino preferito!” Suo fratello, posando l’ennesimo calice lucente davanti a sé, diede una pacca sulla spalla a Marco che, tutto sorridente, arrivò dietro al bancone, schioccando prontamente un bacio sulla guancia alla Cauviglia che abbozzò un sorriso tirato. Tavelli era stato ottimamente accettato sia da Luca che da Camilla e vedevano di buon grado il legame nato tra lui e la bruna. I giovani ricordavano ancora quando, una tesissima Francesca, lo aveva riferito ad entrambi: “- Stiamo insieme. Io e Marco abbiamo iniziato una… storia.” aveva detto, torturandosi le pieghe della gonna, ma i due fidanzati erano così felici che neppure notarono la sua ansia, troppo presi a festeggiare, ad abbracciarla… quella, secondo loro, era la volta buona che la giovane si sarebbe tolta dalla mente e, soprattutto, dal cuore, l'italiano.
“- Che ci fai qui?!” il tono della ragazza era nervoso e fece sgranare gli occhi al bruno che indietreggiò di qualche passo, come se quella reazione lo avesse quasi impaurito… perché le dava tanto fastidio che fosse lì? Con la coda dell’occhio, Francesca fissò ancora Federico sul divanetto e scosse il capo, tentando di allontanare l'immagine di lui che sbaciucchiava Lara, accanto a Ludmilla e Diego che non la smettevano di sussurrarsi paroline all’orecchio e di scambiarsi sguardi languidi… in quanto a loro, era evidente che si fossero messi insieme e tutti gli altri sembravano felicitarsi da giorni.
“- Francesca volevo farti una sorpresa, non arrabbiarti!” Il tono del messicano era quasi titubante e lei, rendendosi conto di quanto fosse stata dura con lui, smise di scuotere un cocktail in preparazione e gli si avvicinò circondandogli il collo con le esili braccia. “- Scusa, hai ragione… comunque non fraintendermi, sono felice che tu sia venuto.” Sussurrò la bruna, guardandolo intensamente negli occhi. “- Si vede! Se avessi potuto mi avresti cacciato a calci... e non negarlo!” ironizzò il giovane, assumendo una buffa espressione offesa. “- Dai, visto che ci sei dammi una mano! O pensi di scampartela così?” rise l’italiana, allungandogli un ananas e un tagliere di legno. “- Che devo fare?” chiese lui, arrotolandosi le maniche del pullover e stringendo il manico di un coltello che faceva bella mostra sul bancone. “- Renderti utile, ovviamente! Oggi sembra ci sia una festa, la gente è troppa e più fastidiosa del solito, aggiungerei!”  sorrise Francesca, ricominciando a lavorare, sta volta facendo delle semplici spremute d’arancia. “- Ho notato! C’è buona parte della nostra Università!” sbottò Marco, cominciando ad affettare il frutto con attenzione e minuzia. “- Io sono già distrutta e la notte è ancora lunga!” sentenziò la Torres, arrivando vicino ai due con un vassoio pieno di bicchieri vuoti o semi vuoti. Marco, d’improvviso, notò alle spalle di Camilla un viso fin troppo familiare: Federico continuava a “socializzare” con alcune ragazze e non sembrava neppure averlo notato, per fortuna.  “- Tante facce carine, devo dire…” sibilò tra i denti, senza staccare lo sguardo da Bianchi che in quel momento prese a ridere sguaiatamente. “- Ah, quello? Lascialo perdere, non avrà di meglio da fare che starsene lì con quelle oche!” la punta di gelosia nella voce di Francesca fece sì che il suo ragazzo e Camilla si lanciassero una rapida occhiata, piuttosto eloquente… “- E ALLORA? A TE COSA IMPORTA COSA FA O NON FA?” la voce stizzita della Torres espresse a pieno anche il pensiero di Marco che, però, si limitò ad abbassare lo sguardo, triste. “- Camilla, calmati! Era per dire… che diamine urli?!” La discussione stava degenerando e, per fortuna, si intromise Tavelli a placare gli animi: “- Smettetela, su! Siete così unite che non vale la pena litigare, men che meno a causa di quel tipo!” spiegò il moro, con un sorriso che riuscì a zittire entrambe.  La rossa, ancora nervosa, gli diede una pacca sulla spalla e lo aggirò, sperando che l’amica aprisse gli occhi e cominciasse a considerarlo il ragazzo perfetto cosa che, era evidente, ancora non le era chiara. “- Hai sempre ragione tu, Tavelli!” la voce di Francesca era più rilassata dopo quel battibecco e si allontanò un secondo da lui solo per buttare le bucce d’arancia nel cestino appena vicino alla porta che dava sul retro. “- Finalmente lo hai capito, brava Cauviglia!” sorrise, osservandola con attenzione: per quanto volesse apparire tranquilla sapeva che la presenza di Bianchi la innervosisse troppo, era consapevole che, seppure lei tentasse di nasconderlo, Federico non le era ancora indifferente, nonostante tutto il male che le aveva fatto. Sospirò profondamente e riprese a tagliuzzare, con aria distratta e, non accorgendosi di aver finito di affettare una parte del frutto, si tagliò un dito con forza. “- AHI, DANNAZIONE!” urlò, attirando subito l’attenzione della fidanzata che gli si avvicinò di colpo, sgranando gli occhi sconvolta alla vista del piccolo rivolo di sangue che copriva l’indice del giovane e aveva macchiato persino il tagliere. “- Marco, che hai combinato? Stai bene?” il bruno annuì portandosi la parte lesa alla bocca, mentre lei lo attirò per l’altra mano verso il lavandino, qualche passo più lontano da dove si trovavano. “- Bisogna sciacquarlo con acqua fredda e poi te lo fascio, tieni la mano sotto al getto, io cerco la cassetta del pronto soccorso!”. Marco rimase come imbambolato a fissarla andare sul retro del locale e la vide subito ritornare, in un batter d’occhio, con una valigetta bianca e rossa. “- Vieni qui, l’emorragia sembra essersi già fermata, non è un taglio profondo, niente punti di sutura… ma per evitare infezioni disinfettiamo e bendiamo il taglio.” Francesca gli fece cenno di andare allo sgabello dall’altra parte del banco, mentre lei, spostando alcuni oggetti d’ingombro, si sporse da dov’era e estrasse dalla valigetta alcune fasce sterilizzate, del cotone e una bottiglietta di liquido scuro. “- Ecco fatto…” sorrise, dopo circa una decina di minuti, chiudendo la fasciatura con cura. “- Wow, diventerai una dottoressa stupenda, non ho sentito nulla!” esclamò, osservandosi il dito medicato perfettamente. “- E’ perché ti ho distratto quando ho passato il disinfettante, così non ti potevi lamentare… psicologia, mio caro!” I due presero a ridacchiare e a raccontarsi aneddoti di anni addietro, da buoni amici qual erano, fino a quando Francesca non aggirò l’ostacolo che li separava e si andò a sedere proprio accanto al moro, sotto lo sguardo di Luca e Camilla che, per non interromperli, continuarono loro a lavorare anche per lei, la giovane fin troppo sfortunata in amore che forse stava trovando un po’ di serenità.
Federico, continuando a parlottare con Lara, sentì improvvisamente la voglia di bere qualcosa… La Gonzales era fin troppo preoccupata del fatto che Leon non si fosse ancora presentato e sbraitava da ore su cosa gli avesse impedito di andare alla festa e secondo lei di sicuro c’era di mezzo quella mocciosa e non poteva sopportarlo: si attaccò al cellulare, andandosene fuori a chiamare Galindo per la ventesima volta, senza alcun risultato mentre Bianchi si sistemò a sedere ancor più comodamente per ordinare un cocktail.
“- CAMERIERA FRANC…!” Le parole, nel momento in cui stava per urlarle con il solito tono acido, gli si strozzarono in gola: la Cauviglia e un bruno, che subito riconobbe come l’amichetto di lei, Marco, si stavano baciando… come poteva essere possibile? Si incantò a fissare i due con aria di disprezzo, stizzito a quella vista così disgustosa. Storse il naso e non poté fare altro che scattare in piedi e avvicinarsi ai due… era come se le gambe lo guidassero da sole, senza che il cervello glielo imponesse. Arrivò ad un centimetro dai fidanzatini ma Luca subito lo avvistò e gli andò in contro, cercando di far sì che la sorella e Tavelli non se ne rendessero conto. “- Ha bisogno di qualcosa, Bianchi?” sbottò il moro con voce fin troppo alta e minacciosa, ottenendo l’effetto indesiderato di essere ascoltato comunque anche dall’italiana e da Marco. “- No, venivo a prendermi un’altra cannuccia ma posso farcela anche da solo visto che la mia cameriera preferita è impegnata…” sibilò l'altro, facendo alzare di colpo, come una furia, il messicano. “- Federico ma cosa vuoi ancora? Lasciami in pace!” La voce di Francesca bloccò sul posto il suo ragazzo che, stancatosi, stava per suonarle al figlio del dottore. “- Almeno quando vieni a lavorare evita di stare con la tua nuova fiamma!” ridacchiò, sguaiatamente, il ragazzo, indicando Tavelli e scuotendo il capo in segno di dissenso. “- Ma che ti importa, scusa? Marco è venuto per darmi una mano! E ora vattene! La mia vita non è affar tuo e mai lo sarà!” sentenziò la bruna, furiosa, indicandogli la poltroncina su cui era seduto fino a qualche istante prima. Federico ghignò fastidiosamente e, ammiccando come se nulla fosse, ritornò dov’era.
“- Ancora non è l’una! Dai tempo al tempo Leon arriverà!” Il povero Diego, era seduto tra Ludmilla che non faceva altro che sbuffare a causa di Lara che lo spagnolo stava tentando di calmare, mentre la Gonzales aveva seguito a tormentarlo da un pezzo, abbastanza irata dall’assenza di Galindo al Club. Bianchi si risedette e prese ad ascoltarli distrattamente ma continuava a fissare nella direzione dei due fidanzatini… perché gli dava così fastidio che stessero insieme, che si stessero scambiando qualche bacio, neppure così appassionato? Poteva essere così egoista da voler tutte le attenzioni della Cauviglia per lui, tanto da odiare il fatto che ora sembrasse felicemente fidanzata con quello spilungone messicano? Sapeva bene che quella ragazza fosse stracotta di lui, eppure l’aveva sempre punzecchiata, divertendosi quasi a trattarla male… come mai adesso, improvvisamente, si sentiva così furioso nel vederla con Marco? Sbuffò sonoramente e abbassò gli occhi sui drink, appena serviti da Camilla… quella sarebbe stata una lunga e fastidiosa nottata.
 
 
Leon guardò furtivamente l’orologio: era quasi l’una eppure era ancora in camera sua, indeciso sul da farsi... una vocina nella sua testa gli diceva di andare a divertirsi, a distrarsi da tutto ciò che di lì a poco gli avrebbe rievocato solamente tristezza e malinconia. Da un altro punto indefinito al centro del petto, invece, qualcosa gli imponeva di restare in quella casa, di iniziare a cambiare e sapeva che, se voleva veramente stare con Violetta, avrebbe dovuto farlo. il ticchettio delle lancette proveniente dalla sveglia sul suo comodino sembravano scandire il battito del suo cuore, il suono di quel silenzio intorno a sé, illuminato solo dalla lampada che emanava una tenue luce giallastra. Una porta che si chiudeva, un’altra che se ne apriva, rumore dei soliti passi sulle scale e la terza porta che sbatteva. Come ogni notte da quindici anni a quella parte, come ogni volta che tentava di dimenticare. Suo padre soffriva e si rese conto che non poteva neppure accusarlo o giudicarlo… lui però, nel frattempo, soffriva due volte, per il dolore dell’uomo evidentemente mai guarito e per sé, per il suo. Scosse il capo per allontanare il pensiero di non evadere da lì e, invece, si apprestò a raccogliere il casco da sotto al letto, tenendolo ben saldo in una mano e avviandosi verso il corridoio.
“- Leon…” Una voce lo bloccò di sasso quando era quasi in cima alla scalinata che portava al piano di sotto. “- Non pensavo che ci saresti andato.” La voce di Violetta era dolce come al solito e il suo tono era basso per non svegliare il resto degli inquilini di quella casa. “- Infatti sto solo andando di sotto.” Si giustificò lui, ignorando il fatto di tenere ancora in mano l'oggetto con cui avrebbe evitato pericoli in moto. “- Certo, e per scendere le scale hai bisogno di quello?” rise amaramente lei, consapevole del fatto che ciò che era accaduto al Club, forse, era solo stato un momento vano, un’illusione senza alcun fondamento né futuro. Leon scosse il capo e sorrise alla sua battuta ma subito si incupì capendo che doveva evitare di andare in quel luogo... ecco, mostrandole che voleva prendere parte a quella serata aveva deluso la ragazza e se il giorno prima la voleva baciare, convinto che fosse la cosa giusta da fare, ora era in confusione e probabilmente, ci aveva mandato anche lei. La ragazza, in effetti, lo guardava perplessa ma una nota di tristezza era ben chiara nei suoi occhi che si affrettò ad abbassare sulle sue pantofole per far sì che lui non la cogliesse. “- Vado a prendermi un bicchiere di latte, scusa…” sussurrò, scostandolo delicatamente verso la parete e incamminandosi giù per le scale, tenendosi saldamente al corrimano. Galindo, quando lei giunse all’ultimo gradino e tentava di orientarsi al buio per raggiungere la cucina in quell’enorme casa a cui, nonostante tutto, non era ancora abituata, decise di correrle dietro, non sapendo neppure ancora spiegarsi il perché… era come se stesse seguendo la seconda vocina che aveva sentito precedentemente, in camera sua, quella che proveniva dal cuore e gli consigliava vivamente di mandare a monte quell’uscita e di cominciare ad attuare un atteggiamento diverso favorendo la conquista vera della giovane che gli faceva quello splendido quanto strano effetto: al solo guardarla negli occhi, come era accaduto qualche istante prima, si era sentito girar la testa ed era certo che il suo ritmo cardiaco fosse accelerato come mai in vita sua… aveva ragione Diego, era cotto e se stava per baciarla al centro sportivo, era perché lo voleva davvero tanto. In men che non si dicesse arrivò sull’uscio dell’enorme stanza nella quale, la giovane, aveva acceso la luce ed era completamente nascosta dall’anta del frigorifero… solo quando la chiuse e riapparve alla visuale di Galindo si accorse di lui e per poco non fece cadere al suolo la bottiglia di vetro che teneva in mano, creando un frastuono improponibile per quell’ora così tarda e uno spargimento di latte al suolo inimmaginabile. “- Mi hai fatto prendere un colpo, pensavo fossi già andato al Club.” Esclamò lei, portandosi una mano al cuore e riuscendo ad appoggiare il contenitore sull’enorme tavolo in legno davanti a sé. “- Non ne avevo voglia, te l’ho detto che non ci sarei andato…” esclamò il ragazzo, facendo qualche passo verso di lei e appoggiandosi con una mano allo schienale di una delle sedie. “- Avevi il casco…” iniziò lei, indicandolo ancora. “- Lo porto sempre con me, non sia mai che mi possa servire!” ironizzò prontamente lui, facendola sorridere istintivamente, mentre prendeva a versarsi la bevanda in un bicchiere appena estratto da una mobile abbastanza alto. “- Ho cambiato idea, non si puo’?” chiese ancora lui, rialzandosi e cominciando ad armeggiare con degli scatolini di cartone. “- Certo, ma… che diamine stai facendo?” rise poi la giovane, mentre, nel voltarsi, lo vide alquanto stizzito, non riuscendo a capire come si preparasse il contenuto di quei contenitori. “- Una cioccolata calda… non dev’essere così complicato!” sbottò, poggiando poi nervosamente i recipienti davanti a sé e incrociando le braccia al petto, fingendosi quasi offeso per quelle istruzioni dal linguaggio fin troppo tecnico per uno che era stato sempre servito e riverito, sin da bambino. “- Infatti non lo è! Lascia, faccio io…” mormorò Violetta con sicurezza, afferrando subito la scatolina blu e rossa della cioccolata. “- Vado in salotto…” borbottò lui, imbarazzatissimo nell’aver sfiorato la mano di lei nel voltarsi per andare nella camera accanto. La ragazza, a sua volta, per un secondo aveva avvertito un brivido impossessarsi di sé e, per tenere la mente occupata, iniziò a mettersi all’opera con la bevanda.
Leon si sedette distrattamente al pianoforte e ne accarezzò con un gesto lieve la custodia che proteggeva i tasti… erano anni che non lo suonava e il solo vedere quello strumento gli provocava ricordi fin troppo vecchi e sbiaditi ma, soprattutto, malinconici. Suo padre, ad esempio, che amava inventarsi melodie per la madre era ancora vivo nella sua memoria… spezzoni di flashback confusi vagavano nella sua mente e si rincorrevano sempre più veloci: le risate di Clara che cantava e si sedeva a suonare accanto al marito, lui da bimbo che, arrivando a stento ai tasti, batteva le manine contento di quell’atmosfera così gioiosa, amorevole e che poi, poco dopo, veniva prontamente preso in braccio dalla donna e sbaciucchiato dal padre... bei tempi che non sarebbero più tornati e quei ricordi erano tanto magici quanto dolorosi proprio per il fatto che nessuno gli avrebbe più potuto dare indietro momenti simili. “- Eccomi.” La voce di Violetta, dopo una decina di minuti in cui si era perso in quelle riflessioni così amare lo scosse e la sua bocca si inarcò in un sorriso teso: ok, secondo Dominguez era innamorato di lei e lo stava riconoscendo… eppure non capiva come potesse sentirsi così idiota quando stava con la giovane: era forse così l’amore? Poteva rimbambire a tal punto? Suo padre non lo aveva mai visto così con Jackie… e non si stupì del perché! Era chiaro come la luce del sole che quella relazione forzata non dipendesse da tale sentimento... forse era per quel motivo che tra loro non c'era poi quella grande connessione... “- Soffia che è bollente.” Sentenziò lei, dopo aver appoggiato un vassoio sul pianoforte e essersi seduta al suo fianco quando lui, prontamente, le aveva fatto posto sul piccolo sgabello. I due presero una tazza ciascuno e cominciarono a sorseggiare la cioccolata che emanava ancora un bel fumo denso. “- Scotta troppo! Come fai a berla?” rise d’un tratto la giovane, invadendo con quel suono melodioso tutta la stanza, illuminata solo da alcune abatjour accese in precedenza dal figlio del padrone di casa. “- La mia non è così calda!” sbottò con una buffa espressione Leon, scolandosi fino all’ultima goccia quella succulenta bibita.
“- E’ strano che non sia uscito stanotte, lo fai sempre…” iniziò ancora la giovane, facendogli abbassare lo sguardo e incupire. “- Te l’ho detto, non volevo andarci e dacci un taglio! Per una volta che voglio fare la scelta giusta ti ci metti tu a rimproverarmi? E per cosa poi?” Galindo affermò quella frase quasi con rabbia, tanto da far perdere lo sguardo di lei sul pavimento, imbarazzatissima per quell’ulteriore domanda. “- Scusami, non volevo innervosirti…” sussurrò quasi la castana, tenendo ancora gli occhi fissi sulle sue pantofole rosa. “- No, no, anzi... scusami tu… sono sempre capace di rovinare tutto! Beh, parlare delle mie uscite notturne non è facile e… suppongo che tu sappia della vicenda riguartante l'1 e 15, vero?” La ragazza annuì piano e con aria titubante. “- Non del tutto, mi hai detto qualcosa ma…” allora, il giovane, subito la interruppe con un gesto secco della mano. “- Ah, giusto… lo dissi ad Angie e lei, sicuramente per non spaventarti, avrà evitato di raccontartelo.” Violetta sgranò gli occhi preoccupata: c’era qualcosa di così grave che la Saramego avesse addirittura evitato di dirle? “- Mio padre, si tratta di lui. ogni notte, all’1 e 15, ovvero all’ora esatta dell’incidente in cui persi mia madre, sale in soffitta: lì tiene tutti i suoi ricordi e… e io non ce la faccio a vederlo così, a star male ancora, al pensiero che lui provi ancora tanto dolore…” la voce di Galindo si interruppe per evitare che un singhiozzo sfuggisse dalle sue labbra, così Violetta proseguì a parlare: “- Ed è per questo che esci sempre?”. La domanda arrivò come un fulmine a ciel sereno e Leon non poté far altro che asserire con un segno del capo. Era difficile sentirselo dire così, eppure era così: lui fuggiva da quella casa che di notte diveniva sin troppo piena di malinconici ricordi, nulla di più o di meno, la pura verità era quella. “- Non prenderci per due pazzi ora, ti giuro che non lo siamo però…” la La Fontaine risollevò lo sguardo e puntò i suoi occhi castani in quei fari verdi così profondi e cupi. “- …Però avete sofferto molto, e soffrite ancora… non siete pazzi, Leon. Lui ha amato veramente molto tua madre e tu… tu ami lui e ti fa male vederlo così… è la cosa più normale del mondo.” Quella voce riuscì a tranquillizzarlo come nulla e si perse a guardarla, con aria confusa: come faceva, quella ragazzina, a calmarlo in quella maniera? No, se pensava ancora che fosse una mocciosa si sbagliava di grosso e lo riconobbe a sé stesso ancora una volta, in quell’istante stesso.
L’orologio a pendolo scoccò le 2 del mattino… possibile che quando era con lei il tempo volasse così in fretta? Istintivamente e sorprendendo anche sé stessa, Violetta, vedendolo così malinconico dopo quel racconto allungò tutta tremante un braccio e prese ad accarezzargli piano una guancia, sperando di non correre troppo con quel gesto che, invece, il ragazzo dovette apprezzare molto, tanto che reclinò il capo e si lasciò trasportare da quella tenera attenzione, cosa che lo sconvolse… da quanto Leon Galindo amava le piccole e dolci attenzioni? Fu un attimo... la giovane, titubante, si avvicinò piano a lui, sempre di più e sentirono a vicenda l’uno il respiro dell’altra sulla bocca: la ragazza, senza pensarci due volte, premette le sue labbra su quelle di lui che subito sentì morbide e profumante al contatto ma, proprio nel momento in cui lui tentò di approfondire quel bacio, lei si staccò di colpo e scattò in piedi, sotto lo sguardo scioccato di Leon che non le tolse gli occhi di dosso per la sorpresa di quella fuga. Quel gesto lo aveva sconvolto in positivo ed era sicuro che anche lei lo volesse… allora perché si era allontanata così?
“- Forse non avrei dovuto! Devo andare!” sentenziò, la castana, cominciando a correre verso le scale… davvero aveva fatto quel che aveva fatto? Ma come le era saltato in mente? Sapeva che Leon non era pericoloso come un tempo credeva, ora ne era certa… eppure quella situazione l’aveva imbarazzata da morire! E se lui avesse pensato che lo avesse baciato solo per pena, per aver provato dispiacere per lui? No, dannazione! Lei voleva già quel bacio al Country Club… se solo non fosse stato interrotto da quella Lara! “- Violetta, aspetta!” Galindo, dopo circa due minuti di shock, scattò in piedi e prese a seguirla a passo rapido, senza ottenere alcun risultato: fece le scale a quattro gradini per volta, sperando di raggiungerla ma fu tutto inutile, lei era troppo in vantaggio e, in un nanosecondo, raggiunse la sua camera e chiuse la porta di colpo, lasciandolo imbambolato nel mezzo del corridoio. Non poteva baciarlo e poi fuggire in quel modo, non era giusto! Perché lo aveva fatto? Si era pentita? Paura per la sua intraprendenza? Caspita, sapeva che doveva andarci piano con lei, così piccola, fragile… scosse il capo, ma con la consapevolezza che non si sarebbe arreso: prima o poi l’avrebbe affrontata, di sicuro. Si avviò anche lui verso la sua stanza e si chiuse dentro confuso, nervoso eppure felice e, ignorando i 200 messaggi sul cellulare di Lara, scrisse un semplice: “Non ci sarò, scusa.” indirizzato però a Diego, nonostante gli sms fossero, per lo più, della Gonzales. Dopo quel rapido bacio ne era quasi sicuro: forse, aveva capito davvero cosa fosse l’amore… e, evidentemente, se si sentiva così scombussolato era per quello strambo sentimento e per la stramba ragazza che amava! Inoltre, dovette ammetterlo: era anche grazie a lei se non era scappato e se aveva affrontato e superato quel nuovo, difficile ostacolo, ovvero restare in quella casa di notte.
Violetta respirava ancora affannosamente, sorprendendosi però di non trovare Angie a letto, come non c'era neppure prima che lei scendessee al piano di sotto… eppure poco importava in quel momento: era accaldata e rossa per la gran corsa e, ancor di più per quello che era accaduto. La castana si andò a sedere alla scrivania e rimase immobile per un bel po’ a riflettere, per poi iniziare subito a scrivere sul suo diario, piena di domande che si susseguivano nella mente… come ne sarebbe uscita adesso? Sapeva che lui avrebbe voluto affrontarla dopo quel gesto da lei compiuto ed era anche giusto… cosa doveva fare? Dichiarargli ciò che sentiva senza paura? In fondo anche lui aveva tentato di baciarla… quindi provava lo stesso? In fondo il suo terrore era dovuto sempre al passato del ragazzo… aveva un catalogo di ragazze e, per quanto lei lo vedesse cambiato, il pensiero di divenire solo la numero 96 la terrorizzava. Si alzò di colpo e si buttò a peso morto sul letto, stendendosi e rimanendo a fissare il soffitto, sfinita… senza neppure accorgersene, qualche minuto dopo, era già nel mondo dei sogni e rivivette quel momento al pianoforte, con Leon, anche sottoforma onirica.
 
 
Erano notti che avrebbe voluto farlo eppure non ne aveva mai avuto il coraggio… Angie voleva sapere cosa il padrone di casa tenesse di così importante in quella mansarda ed era arrivato il momento di scoprirlo. Era uscita dalla sua stanza che Violetta dormiva profondamente e, titubante, era rimasta in corridoio per un tempo indefinito… la porta della camera di Pablo era già aperta e anche quella che portava alla soffitta era leggermente accostata: ora o mai più… per quanto la cosa la inquietasse decise che, affrontandolo nuovamente a viso aperto sul posto, lo avrebbe spinto a parlare con più facilità, cosa che di giorno evitava accuratamente di fare, a maggior ragione se l’argomento riguardava Clara.
Quel corridoio sembrava più lungo del solito quella notte e la Saramego lo attraversò lentamente, avvolta nella sua camicia da notte bianca e rabbrividendo, non sapendo dire di preciso se fosse per il freddo stranamente pungente quella notte o per l’ansia, scaturita da ciò che si stava accingendo a fare. Incrociò le braccia al petto per avere un po’ di calore e, senza neppure rendersene conto, la donna giunse alla scala polverosa che portava al piano superiore e prese a salirla con lentezza, sentendo scricchiolare i gradini ad ogni passo, ad ogni minimo movimento, anche il più lieve. Giunta al piano, la bionda si accostò subito con le spalle alla parete e restò immobile per qualche secondo: c’era uno strano silenzio… possibile che Galindo non fosse lì? Eppure la luce fioca proveniente dalla fessura sotto la porta di quella misteriosa camera pochi passi più avanti diceva il contrario. La donna sentiva le gambe immobilizzate, come se non avessero intenzione di raggiungere quella sala poco distante da lei… inoltre, altri brividi le pervasero l’esile corpo ma stavolta era certa che fosse per paura: paura che Pablo prendesse a male quella seconda:  “visita improvvisata”… in fondo, lei non doveva trovarsi neppure lì, non ne aveva alcun diritto… paura che fosse pericoloso? No, quella era l’ipotesi che aveva sempre scartato a priori, sin dalla prima volta che lo aveva visto uscire da lì: quell’uomo aveva sofferto e soffriva ancora troppo ma aveva un cuore buono, lo si intuiva guardandolo negli occhi… eppure, se non lo riteneva motivo di preoccupazione… perché era lì? Lo doveva aiutare, forse? Sì. Sentiva dannatamente in dovere di farlo e non sapeva spiegarsi il perché ma la voglia di salvare lui e Leon, dopo aver sognato Clara, si era fatta una necessità sempre più impellente. Aguzzando l’udito, in quel teso silenzio, un pianto debole giunse alle sue orecchie e sentì come una morsa stringerle il cuore… no, doveva andarsene, non poteva affrontarlo proprio quando stava così male, non era giusto, non ce l’avrebbe fatta neppure lei. Fece per voltarsi ma una voce tremante, un sussurro, la bloccò sul posto: “- Clara?”. Quella domanda proveniente da qualcuno che, dal singhiozzare ininterrotto, aveva pianto troppo e continuava a farlo, la raggelò e lei non ebbe quasi il coraggio di voltarsi, perciò lo fece lentamente. Si  ritrovò in un secondo che le sembrò eterno, occhi negli occhi con il padrone di casa che, nel vedere di chi si trattasse, abbassò lo sguardo di colpo, imbarazzatissimo. “- S-signorina Saramego, mi scusi…” balbettò Pablo, asciugandosi alcune lacrime con un gesto rapido della mano e immobilizzandosi, mentre lei faceva qualche titubante passo verso l’uomo. “- Non si scusi, dovrei farlo io. Non dovrei essere qui, lo so…” si affrettò a correggerlo lei, riavviandosi una ciocca dietro l’orecchio, gesto che fece abbozzare un sorriso amaro al moro. “- Lo faceva sempre anche lei, quando era a disagio… ho notato che avete lo stesso vizio da un bel po’ di tempo.” Esclamò, non smettendo di tremare ma tentando si apparire tranquillo, per quanto gli fosse impossibile. “- Le somiglio… l’ho notato dalla foto sulla sua scrivania.” Sentenziò la donna, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue per la tensione. “- Già, me la ricorda molto.” sospirò Pablo, ancora singhiozzante. “- Se le chiedessi cosa tiene lì dentro mi darebbe una risposta o sembrerei troppo invadente?” La voce dolce della donna fece scuotere subito il capo a Galindo che, prontamente, tirò fuori una chiave arrugginita dalla tasca del pigiama e gliela consegnò con gli occhi fissi nei suoi. “- Guardi lei stessa.” disse, sfiorandole il dorso della mano nel consegnarle l’oggetto e rabbrividendo inspiegabilmente a quel contatto. Angie si avvicinò alla porta con titubanza e lui subito colse quanto tremasse per la tensione… se le aveva dato quella chiave non c’era niente da temere, a quel punto la bionda poteva averne proprio la certezza. “- No… non sono affari miei e mi perdoni ancora.” La donna, ad un passo dallo scoprire la verità, si era tirata indietro, fiduciosa di ciò che aveva fatto e di Pablo. “- Sono solo i suoi oggetti, i vestiti, le sue foto, i suoi scritti… ma per me valgono tantissimo.” La voce del bruno si inclinò ancora in una volta in un tremito e Angie gli si avvicinò maggiormente, per riconsegnargli l’oggetto che lui prontamente ripose al sicuro. “- Lo credo e non deve vergognarsene.” Fu tutto ciò che riuscì a dire la donna, ormai a un passo dal padrone della villa. “- Sono folle, forse… però è come se parlandole la sentissi più vicina, come se fosse qui e mi riuscisse quasi a consigliare. Da solo sono un disastro come avrà potuto notare.” Pablo, senza nemmeno accorgersene, ricominciò a piangere con intensità maggiore e Angie si intristì davvero troppo nel vederlo così… fu un attimo: con le esili braccia lo strinse forte a sé e accostò il suo viso contro la sua spalla, respirando a pieni polmoni quel profumo leggermente muschiato che emanava. Pablo, inizialmente neppure si rese conto di cosa lei avesse fatto e restò semplicemente in lacrime, stretto alla bionda, ispirando l’odore di camomilla proveniente dalla sua folta chioma bionda… realizzò dopo un abbondante minuto chi stesse abbracciando eppure non riusciva a staccarsi da lei o, più semplicemente, non voleva: quella stretta gli fece correre un brivido prolungato lungo la schiena e, allo stesso tempo, si sentì protetto come un bambino e si ancorò alle spalle di lei come se da quel gesto ne dipendesse della sua vita. Lei gli accarezzò delicatamente la schiena e sentì che gli occhi le si stessero facendo lucidi… alla mente le ritornò il sogno di Clara in cui la pregava di salvare lui e suo figlio, allo stesso tempo rifletté sul fatto che dovesse fargli evitare di andare ogni notte lì, anche per il bene di Leon… ma con quale coraggio lo avrebbe fatto? Evidentemente Pablo doveva riuscire a capirlo da solo ed era certa che, con il suo aiuto, prima o poi ci sarebbe anche riuscito. “- Andiamo, dev’essere molto tardi.” La prima a sciogliere quell’abbraccio fu la stessa Angie che, prendendogli la mano, prese a condurlo verso la scalinata che portava al secondo piano della villa. Lui, una volta ritornato davanti alla sua camera, riuscì a guardare di nuovo negli occhi la donna: era bellissima, un angelo, e non lo era solo perché simile a Clara… era chiaro che lo volesse salvare da quella situazione, che avesse una forza e una determinazione che alla sua povera moglie erano sempre mancati e ancor di più a lui… però gli piaceva quell’atteggiamento, aveva bisogno di una persona così accanto… accanto? Ma a cosa stava pensando? Per fortuna la voce della donna lo riscosse da quei pensieri che pensò essere fin troppo inutili. “- Buonanotte, Pablo.” Lo salutò riabbracciandolo, stavolta più rapidamente. “- Buonanotte, Angie.” Mormorò lui ancora stretto a quel corpo così esile che lo consolava e lo faceva sentire incredibilmente bene al solo contatto. Era stata una lunga notte, eppure entrambi si erano resi conto di qualcosa di troppo importante: il loro non era un semplice rapporto lavorativo, e la cosa piaceva eppure, allo stesso tempo, spaventava tanto sia lui che lei.
 
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Adoro questo capitolo! *___* Federico geloso di Francesca, primo bacio Leonetta al piano, e abbraccio Pangie che riconoscono che ci sia qualcosa di più tra loro… ok, sclero! Ferjioferop *___* Lascio a voi i commenti, sperando che questo quindici vi sia piaciuto! :3 Preparatevi che nel 16 si sclera proprio tanto! xD :3 Detto ciò… grazie mille a tutti coloro che seguono la storia e alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 16
*** Una giornata tempestosamente perfetta. ***


“- Buongiorno a tutti!” la voce melodiosa di Angie risuonò in tutta la sala da pranzo, mentre un Pablo in imbarazzo e un altrettanto nervoso Leon erano già seduti a tavolo, pronti per la colazione. L’uomo sorrise gentilmente ma, ricordandosi di quell’abbraccio così intenso della notte precedente, abbassò lo sguardo sulla sua tazza di caffè, fingendosi rilassato. “- Violetta? Dorme ancora?” la domanda del giovane figlio di Galindo senior quasi rimbombò nella stanza e la Saramego, felice per quell’interesse, scosse il capo con foga, facendo ondeggiare i suoi boccoli biondi. “- Si stava preparando, scenderà a momenti.” Sorrise lei, sedendosi al suo solito posto e iniziando a spalmare della marmellata su una fetta biscottata. Era felice di leggere, negli occhi del ragazzo, una nota nuova, diversa… quel rapporto con Violetta, forse, lo stava migliorando incredibilmente, seppure ancora non fosse ancora colui che si potesse definire “Il figlio modello”. “- Stanotte non ti ho sentito rientrare e ti sei svegliato presto… a che ora sei tornato?” il padre fissò sott’occhio il giovane che, a quella curiosità dell’uomo, sgranò gli occhi verdi, ricordandosi di colpo del fatto che quella notte, forse per la prima volta in vita sua, era restato a casa. Violetta gli aveva tenuto compagnia e gli era piaciuto tanto stare lì con lei, a sorseggiare cioccolata calda, ad aprirsi con la giovane in conversazioni più o meno profonde… già, e poi, mentre stava avvenendo l’inaspettato, nel momento in cui la ragazza aveva avvicinato le sue labbra alle sue, era scappata. Come diamine doveva interpretare quel gesto? La testa gli scoppiava ancora, per tutto il resto della notte non aveva chiuso occhio e non vedeva l’ora di poterle parlare, a quattrocchi, per sentire una spiegazione valida a quella sua fuga.
“- Non sono uscito, ero stanco.” Si limitò a rispondere a Galindo senior che, accigliandosi per la sorpresa, annuì soddisfatto per poi prendere un altro sorso della sua bevanda fumante. “- Ciao amore!” la vocina stridula della Saenz fece voltare tutti nella direzione da cui arrivava, mentre Leon lanciò una furtiva occhiata eloquente ad Angie che abbozzò una mezza risata… gli occhi del giovane erano abbastanza chiari: Jackie aveva ignorato tutti tranne il suo fidanzato che, quasi infastidito, finse un sorriso falso e tiratissimo quando lei si avvicinò alla sua guancia per schioccarvi un bacio.
“- E’ una bellissima giornata, che ne dici se oggi studiamo in giardino? Ti piacerebbe?” l’istitutrice, ignorando le occhiate furtive e stizzite dell’altra donna, si rivolse con tono dolce al ragazzo che, ovviamente, sbuffò scocciato comprendendo che avrebbe dovuto passare l’ennesima mattinata sui libri. “- Angie dai! Oggi no che è…!” si lagnò, mentre lei, indispettita, scosse il capo assumendo una buffa espressione severa senza dagli la possibilità di proseguire la frase. “- Eh no, signorino! Siamo indietro e abbiamo tanto lavoro da fare!” Galindo fece per protestare ancora ma si intromise il padrone di casa che, finalmente, riuscì a guardare la Saramego in viso, cosa che da quando quella colazione era iniziata, ancora non era riuscito a fare. “- Per oggi mi permetta di dar ragione a mio figlio…”  la bionda si voltò di scatto verso l’uomo e quello sguardo così intenso e deciso la fece rabbrividire… perché reagiva così? E poi… come osava l’uomo darle contro su quello che era il suo incarico, ovvero riuscire a far diplomare Leon? “- Abbiamo scienze da studiare!” esclamò l’insegnante, facendo sbuffare ancora il ragazzo che ruotò gli occhi al cielo. “- Perfetto, il posto in cui vi voglio portare è il luogo più adatto per qualunque tipo di studi… anche se oggi preferirei che veniste tutti con me e senza libri.” Ma che diamine aveva il padrone di casa quel giorno?
“- Amore, quasi dimenticavo…! Tanti auguri!” Dopo circa un minuto abbondante di silenzio, Jackie fece sobbalzare tutti i presenti e subito si alzò in piedi per andare ad abbracciarlo. “- Auguri? Per cosa?” chiese la Saramego, accigliandosi perplessa. “- E’ il suo compleanno stavo tentando di dirtelo ma tu hai il pessimo vizio di non far finire le frasi ai poveri interlocutori che dialogano con te!” borbottò tra i denti il ragazzo, beccandosi un’occhiataccia dalla bionda che ebbe, come risultato, solamente quello di farlo sorridere di gusto. “- E basta con queste scene di prima mattina! E’ disgustoso!” sentenziò poi Leon, storcendo il naso e notando come la Saenz stesse sbaciucchiando suo padre mentre lui, più che ricambiare con altrettanta passione, sembrava preso da altri pensieri. Angie non poté che dare ragione al commento di Leon, per quanto fosse stato crudo… perché dopo quella notte le dava così fastidio assistere agli atteggiamenti innamorati di quei due? In fondo lei era solo l’insegnante del figlio dell’uomo, nient’altro, e lui era fidanzato… e allora come mai si sentì una fitta trafiggerle lo stomaco, alla sola vista di quelle labbra che si sfioravano?
“- Salve a tutti.” a far staccare quella sanguisuga dal povero Galindo senior fu il saluto alle loro spalle che provenne da una assonnata Violetta. “- Non hai chiuso occhio tutta la notte e ti sei rigirata in continuazione, stai bene?” la voce preoccupata della Saramego fu subito motivo di attenzione anche per il figlio del padrone di casa che prese a fissare la La Fontaine e lei, notando quello sguardo incatenato al suo, abbassò di colpo gli occhi su dei croissant che Olga stava portando in tavola, ancora fumanti e profumatissimi. “- Sembrano deliziosi! Olga me ne daresti uno al cioccolato, per favore?”cambiò discorso la figlia di Matias, tenendo lo sguardo fisso sulla cuoca che, intenerita da tanta dolcezza e gentilezza, cominciò a sproloquiare su quanto fosse tenera ed educata quella ragazzina, comprendo la voce di tutti i commensali. “- Olga per favore! Stai stordendo tutti e non mi pare il caso! Ah, auguri Pablo!” sentenziò con la sua calma glaciale, Roberto, porgendo il tablet al suo capo e facendo il giro del tavolo per prendere posto. “- Ah, io stordisco? IO STORDISCO?” iniziò ad urlare ancor più forte lei, appoggiando un cornetto nel piatto di fronte alla castana che sorrise per ringraziarla. “- OLGA LA SMETTA, LA PREGO! Sono appena le 8 e già ho mal di testa…” sbottò il padrone di casa, stizzito da cotanto baccano alle prime luci dell’alba. Era confuso e nel suo sguardo c’erano sin troppi pensieri: aveva pianto di fronte alla Saramego e lei lo aveva abbracciato… non sapeva dire come ma, in quella notte, aveva realizzato tante cose che prima gli sfuggivano: lui non amava Jackie, aveva provato in tutti i modi a farsela piacere ma ora, addirittura, quasi la sua sola presenza lo infastidiva. Si sentì un mostro al solo pensiero di volerla lasciare e, in quel momento, si rese conto a pieno su cosa stesse riflettendo… lasciarla? Angie lo aveva potuto sconvolgere così tanto in positivo? E Clara? Poteva averla dimenticata? Ancora una volta si sentì dannatamente in colpa: no, lei non l’avrebbe mai scordata, eppure il suo cuore, in quell’abbraccio, era come se avesse ricominciato a battere dopo quindici lunghi anni di dolore… doveva reprimere quel sentimento? Non ci sarebbe riuscito, lo sapeva già. Poteva mai star male per quello che stava cominciando a sentire che, invece, lo faceva stare così bene? Con la Saenz non si era mai fatto tanti problemi, forse perché sapeva, inconsciamente, che quello non era vero amore…
“- Quindi oggi è il suo compleanno? Ma perché non ci ha detto niente? Tanti auguri signor Galindo!” la voce soave della Saramego lo fece quasi sobbalzare tanto era preso dai suoi sproloqui mentali e, accennando un dolce sorriso, si affrettò a ringraziarla. “- E’ che… mi imbarazza parlarne, ecco… non amo festeggiare. Comunque grazie.” Mormorò quasi il bruno, versandosi un’altra tazza di caffè. “- La imbarazza? Questa non l’avevo mai sentita! Eppure non ancora è così vecchio da doversi vergognare di compiere gli anni!” rise allegramente la bionda, addentando l’ennesima fetta biscottata e lasciandolo di sasso. “- Grazie, lei è sempre gentilissima!” ironizzò Pablo, smorzando una risata che, però, proprio non riuscì a trattenere… da quanto tempo non c’era in casa una presenza così solare da mettergli il buon umore?
“- Amore, allora? Dove ci porti di bello? In barca? O prendiamo un elicottero privato e andiamo, che ne so, in Europa?” Jackie riuscì subito ad intromettersi, distruggendo quella serenità e appoggiando con movenze sensuali la sua mano su quella del bruno. “- No, ho pensato a qualcosa di meno mondano! Sai che odio quel tipo di uscite!” commentò lui, con un ennesimo tiratissimo sorriso rivolto alla donna. “- Il maneggio!” esultò Leon improvvisamente, facendolo annuire in silenzio, divertito da tanta allegria del figlio. “- Non ci penso nemmeno! Quella puzza insopportabile, il sole cocente, quelle bestie gigantesche! Che orrore!” la voce della Saenz subito irrigidì il ragazzo che le lanciò un’occhiata letale. “- Qui se c’è una bestiaccia quella sei…” “- LEON!” Pablo interruppe subito l’ennesimo litigio tra i due e si alzò in piedi, già sicuro che la sua decisione fosse la migliore: voleva che il figlio fosse felice e sapeva che avrebbe amato quella giornata all’aria aperta. “- Interpelliamo tutti… Angie, tu che dici?” il ragazzo subito cercò il sostegno dell’istitutrice che rimase un po’ interdetta… le sarebbe piaciuto passare una giornata in mezzo alla natura, a costo di mettersi ancor più in cattiva luce con la padrona di casa che già sembrava detestarla ma, in fondo, se lo stesso Leon le chiedeva un parere non se la sentiva di dire qualcosa che non pensasse solo per non inimicarsi Jackie. “- Per me sarebbe fantastico.” Concluse semplicemente e sinceramente lei, ottenendo che, in ogni caso, la Saenz la guardasse in cagnesco reputando quella scelta un affronto contro di sé. “- Violetta tu che ne pensi?” Il padrone di casa si rivolse invece alla giovane che, saltando dalla sedia quasi avesse preso la scossa, annuì distrattamente… non si era neppure resa conto di quella conversazione in corso! Leon l’aveva stordita, o meglio, probabilmente lei aveva fatto il danno irrimediabile di baciarlo, quindi non faceva altro che darsi della stupida dalla notte prima. Era scappata. Si poteva essere più idioti, pensava, incessantemente, ormai da ore? Se una parte di lei voleva baciarlo, poteva essercene un’altra che la spingesse ancora a stargli lontano? In fondo lui avrebbe approfondito quel gesto subito e la cosa, per quanto avesse iniziato lei, la spaventava. Non era il bacio in sé che le faceva paura ma l’atteggiamento avuto da Leon… e se l’avesse solo usata, come una qualunque del suo catalogo? No, non poteva essere… eppure il panico, in quel momento, le aveva dettato che la miglior soluzione sarebbe stata la fuga. 
“- Ti vedo confusa… non sei contenta di venire con noi?” la domanda di Leon la fece ritornare in sé o meglio, sperava di riuscirci, perché quando si ritrovò quei grandi fari verdi puntati su di sé con curiosità per poco non credé di svenire… sapeva che quello era solo uno dei primi approcci che avrebbe tentato lui per parlarle di qualcosa che non c’entrava nulla con quella gita, e la cosa le metteva ancor più agitazione. “- Sì, certo che sono contenta! Non ce la facevo più a restare tra queste quattro mura, per quanto enormi e belle siano!” rispose, prendendo a fissare tutti gli altri commensali pur di fuggire allo sguardo del ragazzo, sentendolo ancora fisso su di lei. “- D’accordo… allora è deciso, papà, la maggioranza vince!” esultò il giovane, scattando in piedi con soddisfazione, lanciando uno sguardo vittorioso alla futura matrigna: Jackie doveva capire sin da subito che, se la decisione la prendeva lui, dipendesse o meno dal parere degli altri, il padre non avrebbe battuto ciglio.
“- Tesoro non prendertela, ma la mia idea era la stessa di Leon e non è che voglia dargliela vinta però…” iniziò Pablo, facendola annuire con stizza. “- Certo, tanto tu gliele dai sempre vinte, una in più o una in meno, che importa?” Sentenziò la bionda con una punta di sarcasmo che non sfuggì ad Angie. “- Non l’ha sentito? Aveva già deciso da sé per il maneggio!” Perché non si teneva mai un cecio in bocca? Se fino a qualche secondo prima quasi aveva paura di manifestare la sua gioia per quella gita, improvvisamente, quasi d’istinto e senza accorgersene, aveva palesemente attaccato la Saenz. Per la Saramego non era giusto che Galindo gliela facesse passare liscia sempre, e se lui voleva evitare discussioni per la pace familiari, beh… allora ci doveva pur essere qualcuno in grado di metterla a tacere quell’arpia, a costo di venir odiato da lei! “- Andatevi a preparare, ci vediamo alla macchina tra mezz’ora!” sorrise il padrone di casa interrompendo quella discussione e facendo scattare tutti in piedi, in primis Violetta che fu la prima a precipitarsi di sopra… per quanto ancora avrebbe potuto evitare di affrontare Leon Galindo?
 
 
Violetta non era mai stata in un maneggio eppure non avrebbe mai pensato che potesse essere un posto così meraviglioso: distese erbose si stagliavano a perdita d’occhio sotto i pochi raggi di sole rimasti che filtravano da grossi nuvoloni grigi, dei recinti di dimensioni gigantesche erano affollati di cavalieri che si dilettavano a saltare ostacoli colorati più o meno alti e, già dall’esterno, le stalle  apparivano, per quanto rustiche, un posto magico. La ragazza si guardava intorno quasi ammaliata da quel luogo così affascinante, eppure non riusciva a godersi a pieno quella gita: Leon l’aveva fissata dallo specchietto retrovisore per tutto il percorso in auto ed era evidente che, alla prima occasione, avrebbe cercato un confronto con lei, per quanto il solo pensiero la mandasse nel panico. “- Quanto detesto questo posto!” la vocina irritante di Jackie riscosse i presenti mentre, per evitare la puzza, la donna si teneva un fazzoletto premuto sul naso, continuando a lamentarsi per i tacchi che affondavano nella ghiaia e l’odore che, solo a detta di lei, era fin troppo molesto. “- Se lo detesti perché ci sei venuta?! Te ne saresti potuta restare a casa ed eravamo tutti più felici!” sbottò il figlio di Pablo, beccandosi un’occhiataccia dal padre. “- Angie, Violetta voi sapete montare a cavallo?” Galindo senior, per evitare che la fidanzata ribattesse, subito cambiò argomento, lasciando un po’ perplesse le due, seguito dal ghigno di Leon che capì subito il tentativo del padre di placare quell’ennesimo battibecco. “- Ci potrei provare!” sorrise la donna, facendo subito storcere il naso alla Saenz. “- Io sono sicura di essere un’ottima amazzone!” la vocina di Violetta subito fece voltare tutti nella sua direzione, soprattutto il giovane che la fissò con un sopracciglio inarcato, convinto che quella fosse una bugia. “- Allora andiamo a fare un giretto, che ne dite? Una bella escursione sulle colline rocciose al confine, verso nord!” propose poi la Saenz, sconvolgendo tutti ancor di più della La Fontaine per la sua affermazione precedente. “- Tesoro in realtà loro non sono pratiche e non sarebbe il caso andare in quella zona. Pensavo ad una passeggiata, qualcosa di meno rischioso… e poi con queste nuvole sarà bene non allontanarci troppo!” Pablo subito prese in mano le redini della situazione e fece naufragare l’idea della donna che, indispettita, si avviò a passo rapido sul sentiero scosceso, per arrivare alle scuderie prima degli altri, offesa per quell’ennesimo affronto.
“- Questo posto fa parte del Country Club ma, avendo bisogno di uno spazio più ampio e di un piccolo bosco, quello laggiù, decisi, insieme ad Antonio, che dovesse essere costruito in un luogo diverso dal resto del complesso sportivo.” Il moro prese a spiegare la storia del posto, dopo aver preso un lungo sospiro per la reazione di Jackie. “- Papà, ti ricordi quando ero piccolissimo eppure la mamma insisté tanto per farmi iniziare a prendere lezioni di equitazione? Veniva sempre a vedermi agli allenamenti…” quelle parole fecero subito incupire l’uomo: il ragazzo le aveva dette senza pensarci troppo eppure, inconsapevolmente, aveva scatenato un fiume in piena di ricordi malinconici al padre che si intristì di colpo. “- Sì, Leon. Mi ricordo.” Si limitò ad annuire, sforzandosi di sorridergli dolcemente per nascondere il suo dolore.
“- Quanti cavalli! Io ne voglio uno… marrone, no! Bianco!” Angie, come una ragazzina alle giostre, cominciò a saltellare per le stalle non appena ne varcarono la soglia, tirandosi Violetta per la mano ma la sua fu tutta una scusa per far rimanere padre e figlio da soli: ne avevano bisogno e molto. “- Ferme voi due, qui la scelta primaria va al figlio del padrone!” rise Leon, seguendole e cominciando a correre verso di loro. Jackie, seduta su una balla di fieno, giocherellava con il cellulare, alquanto nervosa per quella gita non voluta… non ci sarebbe mai andata, eppure doveva tener d’occhio quell’istitutrice… era bella, simpatica e aveva notato come Pablo l’adorasse… quindi la cosa migliore sarebbe stata sorbirsi quello strazio di giornata per stare più tranquilla. “- Io resto qui, andate voi!” gridò al gruppo, fingendosi felice di essere lì come la migliore della attrici.  “- Pablo io potrei avere quello? E’ meraviglioso…” Violetta, avvicinandosi ad uno stallone nero dal manto lucido, fece scuotere subito il capo all’uomo in segno di dissenso. “- Mi dispiace deluderti piccola ma se lui si chiama Diablo un motivo c’è e non posso proprio permetterti di cavalcarlo!” ridacchiò, indicando la targhetta con il nome, affisso giusto sotto il muso del cavallo che, come per presentarsi, nitrì allegramente ma con un qualcosa di minaccioso negli occhi scuri come la pece. “- Quello è mio. Preparate un pony alla signorina!” Sbottò Leon scherzosamente, avvicinandosi all’animale e carezzandogli la fronte con la mano. “- Come ti permetti? Un pony! Bah! Sei incredibile!” strillò stizzita Violetta, dandogli un mezzo spintone che lo fece barcollare alla sua sinistra e sghignazzare. “- Fai attenzione anche tu con Diablo.” gli sussurrò poi il padre scompigliandogli i capelli affettuosamente e andando in contro alla Saramego che era imbambolata di fronte ad un purosangue baio che lui conosceva fin troppo bene…
“- Violetta, penso che tu mi debba qualche spiegazione!” esclamò il ragazzo, continuando a coccolare il suo animale. “- Non ora… vado a scegliermi un altro cavallo, ciao!” La giovane si sentì ancora una volta una codarda… ma non poté fare altro che allontanarsi da lui, per quanto il suo cuore le imponesse di fermarsi lì e spiegargli. “- Non potrai scappare per sempre! Prima o poi ne parleremo!” sentenziò a voce alta Galindo, facendola prima bloccare, di spalle, e poi continuare a camminare, tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé.
“- La sua fidanzata non si unisce a noi?” Angie, senza neppure voltarsi verso Galindo, stupì sé stessa per quel tono acido con cui aveva espresso l’appellativo per Jackie. “- No, odia cavalcare.” Sentenziò lui, fissando l’animale che lei sembrava aver scelto… era incredibile! Proprio lei… perché? “- Ma sul serio? Non l’avrei mai detto!” ironizzò la bionda, fissando la Saenz con dei tacchi vertiginosi che la guardava in cagnesco anche da lontano. “- Si sbrighi che usciamo in passeggiata.” Sentenziò Galindo con un mezzo sorriso, avviandosi verso l’uscita. Quella frase di Angie era stata molto chiara: la presenza di Jackie le dava fastidio… poteva quindi davvero essere interessata a lui o le stava semplicemente antipatica? Ordinò ad alcuni stallieri di sellare i cavalli indicati e, allegramente, si ritrovò all’esterno della struttura dove le nuvole erano diventate sempre più numerose e i radi raggi di sole erano completamente spariti, lasciando il posto ad un vento leggero alzatosi nell’aria, piuttosto elettrica e che non lasciava presagire nulla di buono.
 
 
“- Proseguiamo di là, ci sono meno rocce!” Leon, a capo gruppo, indicò un sentiero facilmente percorribile, mentre sia Violetta che Angie, sembravano parecchio impacciate in quella passeggiata. Erano già a parecchi metri dalle scuderie ma, il tempo, sembrava voler reggere nonostante i nuvoloni che incupivano l’atmosfera. “- Non vi allontanate da me!” urlò ancora il ragazzo, voltandosi leggermente verso di loro e sfoderando tutto il suo talento equestre. “- Buona Margot, dai!” Violetta tentava di calmare la sua cavalla sussurrandole quelle parole con tranquillità, ma l’animale sembrava comunque alquanto irrequieto. “- Strano che sia così nervosa, di solito è buonissima… meglio che tu scenda e continui con Zeus, io la porto di nuovo indietro.” Pablo, subito si rese conto della situazione e per evitare problemi, propose il suo purosangue alla giovane che scosse il capo. “- No, sto bene! Siamo un binomio perfetto!” mentì spudoratamente lei, accigliando l’uomo che, in seguito, postò la sua attenzione sulla Saramego, anche lei alquanto in difficoltà. “- Lei sta bene?” domandò poi alla donna che, stringendo a sé le redini, annuì con poca convinzione. “- Sì… e mi sto divertendo un sacco!” si affrettò poi a ridere. “- Athena è magnifica! Mi ha incantato anche il nome oltre ai suoi occhioni intelligenti!” sorrise, facendo incupire padre e figlio… come potevano dimenticare chi avesse deciso quel nome per quella cavallina, appena nata? “- Lei ha 15 anni… è stata l’ultima puledra nata prima che mia madre…” Leon, a quelle parole, si interruppe… era chiaro come sarebbe finita la frase, eppure non aggiunse altro. “- Il nome lo ha scelto lei.” Sorprendentemente, fu proprio Pablo a proseguire il racconto, tenendo lo sguardo fisso sul sentiero intrapreso, non volendo dar a vedere il suo dolore in quell’istante… potevano far così male dei semplici ricordi? Un lampo squarciò il cielo, sempre più nuvoloso e ne seguì un tuono che rimbombò per tutta la vallata. I cavalli cominciarono a spaventarsi e a nitrire senza sosta, ma, quello più terrorizzato fu quello di Violetta che, mentre Pablo, Leon  e Angie tentavano di domare i propri, cominciò a correre forsennato giù per il pendio, scendendo per un viale alberato alle spalle degli altri i quali, intenti a placare i propri, nemmeno si accorsero della scomparsa della ragazza che, nel panico, non riuscì a lanciare neppure un urlo. La Saramego fu disarcionata e cadde rovinosamente al suolo, Leon riuscì a restare in sella, per quanto Diablo continuasse a impennare e Pablo, rapidamente, scese dalla sella con un balzo e andò a soccorrere la bionda che, toltasi il caschetto, continuava a massaggiarsi una gamba. “- DOV’E’ VILU?” gridò poi, spaesata, guardandosi intorno e notando l’assenza della ragazza. “- Oh dannazione!” sbottò, spaventato, Galindo, mentre finalmente anche il cavallo nero del giovane sembrò essersi calmato. “- NON POSSO CREDERE CHE SIA SPARITA!” la Saramego, alzandosi e zoppicando, si appoggiò al suo destriero e prese a fissare diverse zone nella sua visuale. “- Calma! La troviamo, non puo’ essere andata lontano!” sentenziò Pablo, provando a tranquillizzarla e circondandole la spalle con un braccio. “- Io vado a cercarla.” la donna con decisione, cercò di rimontare su Athena ma sentì un dolore lancinante bloccarle un piede e la caviglia, distorta nella caduta. “- No, io conosco il posto meglio di chiunque e papà, credimi, rispetto alla sua costruzione i sentieri sono mutati con la vegetazione, perciò, vado io. Accompagna Angie alle scuderie, io e Diablo la riporteremo lì sana e salva.” La voce di Leon era palesemente nervosa, per quanto lui tentasse di farla risultare calma e fredda. “- NO! IO FINCHE’ NON LA TROVO NON VADO DA NESSUNA PARTE!” sbottò la donna, facendo un passo in dietro per mettere il piede nella staffa ma barcollando per un’altra fitta che le avvolse tutta la gamba, venendo presa al volo da Pablo. “- In questo stato non puo’ andare da nessuna parte! Leon, io l’accompagno indietro e mi unisco a te.” esclamò l’uomo stringendo Angie a sé, sotto lo sguardo stizzito della donna che non sembrava affatto d’accordo. “- Papà, fidati di me… resta dentro con lei e cercate di mantenere la calma… se non torno entro 3 ore manda i soccorsi.” Il giovane riuscì a convincere l’uomo che, aiutando la Saramego a salire sul suo cavallo, legò le redini di Athena a quelle di Zeus e montò in sella, sedendosi giusto davanti alla donna. “- Leon, fa’ attenzione e… ma quella che sta tornando non è Margot?” chiese poi, stringendo le redini e bloccando il suo stallone, mentre, all’orizzonte, una puledra correva come imbizzarrita verso di loro… ma, a condurla la giovane non c’era. “- Violetta… lei… lei dov’è?” la Saramego, non riuscì più a trattenere le lacrime: nessuno riuscì a fermare l’animale che, spaventatissimo, corse nella direzione opposta alla loro, come per ritornare alle scuderie. “- Veniva da lì quindi… tranquilli so già dove cercarla, voi andate indietro, presto!” esclamò il figlio di Galindo, dando un forte colpo con gli stivali all’animale e facendolo partire come un razzo al galoppo mentre, i primi goccioloni di pioggia, cominciarono a cadere giù dal cielo.
 
 
Violetta aprì lentamente gli occhi e la prima cosa che vide fu un cielo grigio e la pioggia che, scendendo, la bagnava completamente facendola rabbrividire per il freddo. Tentò di mettersi in piedi e un forte dolore al ginocchio tentò di impedirglielo… la ragazza, però, fu più forte e, stringendo i denti, cominciò a saltellare su un piede solo, completamente disorientata. Un altro tuono squarciò il silenzio che era ininterrotto solo dal fruscio dell’acqua, la quale continuava a scrosciare tempestosamente. Come diamine era potuto accaderle? Se non fosse stata così testarda e avesse accettato di cavalcare Zeus ora non sarebbe stata lì! Si avvicinò ad una zona appena fuori dal boschetto in cui si era risvegliata e, non sapendo dove andare, si accasciò a terra, senza forze e bagnata fradicia. “- Aiuto…” sussurrò quasi, stremata da quel percorso e dal colpo subito… evidentemente il suo animale l’aveva disarcionata ed era anche fuggito via, lasciandola lì priva di sensi.
“- Violetta!” per un attimo pensò di aver avuto un’allucinazione, in fondo la botta l’aveva presa nonostante il caschetto, eppure si voltò nella direzione da cui proveniva quella voce familiare nella speranza che non fosse solo frutto della sua immaginazione. “- Leon?” balbettò, mentre le gocce continuavano a scivolarle sul viso e su tutto il corpo. Il ragazzo scese da cavallo e le andò incontro, anche lui zuppo dalla testa ai piedi, sotto una pioggia scrosciante che non sembrava voler dare tregua alla città.  “- Qualcosa mi dice che hai bisogno di me!” sentenziò lui, avvicinandola lentamente. “- Credimi, non sono stata mai così felice di vederti!” rise la giovane, che, non appena lui si chinò su di lei, subito lo abbracciò di colpo. Intanto, Leon, guardandosi intorno, iniziò a cercare un punto di riparo e lo trovò in una piccola grotta poco distante da loro e subito ebbe un’idea. “- Vieni qui…” il ragazzo, senza darle la possibilità di replicare, la prese in braccio come una sposa e, avvicinandosi a Diablo, se lo tirò per le briglie in quella direzione da lui stabilita per raggiungere il rifugio di fortuna. Un brivido percorse la schiena di lei e non era il freddo: il caldo respiro affannoso di Galindo la faceva sentire bene e il contatto tra i loro corpi le dava una sensazione di sicurezza che non aveva mai provato: lui era lì, lui l’aveva cercata e l’avrebbe salvata… poteva definirlo a tutti gli effetti il suo eroe? Beh, in una situazione del genere non aveva alcuna scusa che reggesse! Era chiaro come l’acqua che anche in quel caso, il suo principe, passato dall’essere nero ad azzurro ancora scuro, rispondesse al nome di Leon. “- Eccoci qui… ed ora, visto che dobbiamo aspettare che il temporale finisca e che non puoi fuggire perché infortunata, sappi che dobbiamo parlare.” Galindo la fece sedere su una grande roccia all’interno di quella insenatura nella montagna, appena fuori dal confine del boschetto e, prontamente, approfittò per iniziare quella conversazione che tanto attendeva. “- Leon, smettila! Ti sembra il momento?” sentenziò lei, stizzita, fissandolo con attenzione. “- Sì, mi pare che sia il caso! Mi hai baciato e sei fuggita… perché?!” Quella secca domanda la fece arrossire di colpo, mentre prese a strizzarsi i capelli bagnati dalle radici alle punte per concentrare la sua attenzione in altro. “- Avevo paura, contento ora?” Sentenziò, dopo un abbondante minuto di silenzio, in cui lui non le aveva staccato gli occhi di dosso. “- Allora perché lo hai fatto? Se ancora mi temi non avresti dovuto passare quella notte in mia compagnia e, soprattutto, non avresti dovuto fare ciò che hai fatto!” sbottò, non soddisfatto di quella risposta sintetica e quasi offeso, pensando che la ragazza avesse avuto una considerazione migliore di lui. Lei, scuotendo il capo, fece per alzarsi e si avviò, zoppicando, verso l’uscita dalla caverna ma, non sapendo però dove andare,  rimase ferma appena fuori da quel luogo, osservando la pioggia continuare a cadere fittamente, rendendo quasi impossibile lo scrutare l’orizzonte. “- Dove credi di andare? Allora? Nessuno mi lascia come un idiota e non mi spiega le sue azioni come hai fatto tu!” esclamò Leon, avvicinandosi e afferrandole un polso, facendola voltare di colpo: erano occhi negli occhi, con la pioggia che sembrava ormai stesse per affievolirsi e non riuscivano a fare altro che guardarsi: avevano bisogno l’uno dello sguardo dell’altra come se, da essi, ne dipendesse la loro intera esistenza. “- Non lo capisci il perché? Non capisci perché l’abbia fatto e perché sia scappata?” sussurrò la ragazza nervosamente, quando un altro tuono ruppe il silenzio di quella scura mattinata così tempestosa. “- Io sto cercando di cambiare! E se lo sto facendo è solo per te, perché non riesco a toglierti dalla mia mente e dal mio cuore… se qui c’è qualcuno che non capisce, quella sei tu, Violetta!” A quelle parole cosi sentite e sincere, la giovane, non resisté più: gli prese il viso tra le mani e, un’altra volta, avvicinò la sua bocca a quella di lui ma fu come se, finalmente, il suo cervello si fosse spento, andando in standby e lasciandola libera: niente preoccupazioni, ansie, paure… niente di niente. Sfiorò le sue labbra con desiderio e lo baciò con passione, sentendo la lingua del ragazzo che amava intrecciarsi con la sua mentre Leon, finalmente, capì tutto: con quella frase le aveva fatto finalmente intuire che poteva fidarsi di lui, che non doveva temerlo più per quello che era, che non aveva mai perso la testa per una ragazza come era accaduto per lei… la giovane gli teneva ancora il volto mentre lui, inizialmente sconvolto, l’attirò prontamente a sé, facendo aderire i loro corpi bagnati e prendendo a percorrerle la schiena con le mani. Un turbinio di emozioni li travolse come un’ onda di dimensioni smisurate e entrambi si lasciarono trasportare da esse, assaporando quell’attimo così passionale eppure, allo stesso tempo, romantico e tanto voluto da entrambi. La ragazza continuando a tenere gli occhi chiusi, imitava gli stessi movimenti di lui per evitare di sbagliare qualcosa o di rovinare quel momento magico mentre, il castano, che almeno quanto lei non vedeva l’ora di assaporare quelle labbra dolci e morbide quanto le aveva immaginate o forse anche meglio, non si sarebbe più staccato, nemmeno per tutto l’oro del mondo dalla sua Violetta. Si allontanarono solo dopo qualche minuto, ormai entrambi senza fiato e rimasero fronte contro fonte a specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra. Il suo primo vero bacio… Violetta non poteva credere che fosse accaduto sul serio ed era stato migliore di qualunque aspettativa. Il giovane Galindo si passò nervosamente una mano nel ciuffo dorato e fradicio, un po’ a disagio come di solito non lo era mai stato, notando come, a poco a poco, la pioggia fosse terminata, quasi come per incanto: uno splendido arcobaleno faceva bella mostra di sé e sembrò abbracciarli con i suoi colori lucenti, facendo sollevare, automaticamente, gli occhi alla giovane. “- Leon, guarda!” sorrise allegra come una bambina, indicando il cielo. “- E’ meraviglioso…” commentò ancora, facendo sì che anche lui alzasse gli occhi, soddisfatto.
“- Il cielo è dalla nostra parte.” Sentenziò il giovane, stringendola per la vita, mentre lei teneva il capo poggiato sul suo petto bagnato, riuscendo a sentire il battito del cuore di lui che andava ad un ritmo forsennato. “- Andiamo, saranno tutti preoccupati.” Sussurrò poi lui, aiutandola ad arrivare al cavallo e facendola sedere davanti a sé. A passo lento, Diablo venne ricondotto dal ragazzo sul sentiero principale, attraversando il boschetto dal quale era fuggito e, in poco tempo, raggiunsero le scuderie.
 
 
“- Se non tornano entro mezz’ora andrò io stessa a cercarla! Personalmente! Con o senza la caviglia slogata!” la voce di Angie rimbombava istericamente per tutta la struttura, sotto lo sguardo disgustato della Saenz e quello teso di Pablo, nervoso oltre che per la scomparsa di Violetta, anche per il figlio. “- Stia tranquilla, sono sicuro che Leon la troverà, gliel’ho detto: è pratico della zona e se la cava egregiamente come cavaliere.” Per l’ennesima volta, l’uomo esclamò quella frase rivolgendosi alla Saramego ma allo stesso tempo fu come se con quelle parole, potesse riuscire a tranquillizzare anche sé stesso. Senza pensarci due volte, la fermò prendendola per le spalle dal suo zoppicare avanti e indietro come una furia e, in men che non si dicesse, l’abbracciò forte, sperando di riuscire a calmarla almeno un po’, forse per trovare sostegno anche lui da quella stretta durante la quale un brivido percorse la schiena di entrambi e, tutti e due, lo stesso Galindo compreso, rimasero sorpresi dal gesto del moro... però, in effetti, aveva funzionato e, per qualche minuto, persino la Saramego riuscì a zittirsi e placarsi, ignorando tutti e due lo sguardo letale della Saenz che rimase a bocca aperta per quella che interpretò come l’ennesima sfida lanciatale.
“- ECCOLI!” la voce irritata di Jackie li fece subito staccare e entrambi corsero verso l’entrata alle stalle: Leon, con aria da trionfatore, cavalcava con fierezza mentre Violetta, ancora tremante ma felice, era seduta davanti a lui e subito sorrise ad Angie la quale, felicissima di rivederla, scoppiò in lacrime. “- TESORO! Stai bene? Povera piccola sei tutta bagnata, vieni qui, bisognerà farti asciugare o ti prenderai un bel raffreddore!” la Saramego non la smetteva più di parlare e, finalmente, Pablo aiutò la ragazza a scendere mentre il figlio, con un balzo, smontò rapidamente e subito si diresse senza dire una parola verso il box del suo destriero, dandogli una pacca affettuosa sul manto nero come la pece.  
“- Leon!” la voce di Angie lo richiamò e lui, affidando Diablo ad uno stalliere, le si avvicinò piano, con un ghignetto felice stampato in viso. “- Grazie.” Sorrise la donna, asciugandosi una lacrima con la mano, facendolo sentir ancor più soddisfatto e correndogli incontro con difficoltà a causa del dolore alla gamba, per abbracciarlo con gratitudine. “- Figliolo… sapevo che ce l’avresti fatta… sono fiero di te.” Mentre Angie continuava a stritolarlo a sé, il ragazzo si sentì ancor più orgoglioso e contento: era felice, felice di aver salvato Violetta, di non essere passato per l’ennesima volta come quel poco di buono che sempre veniva considerato da tutti, di aver ottenuto quel bacio e aver dichiarato i suoi sentimenti alla giovane… non era un principe e mai, forse, lo sarebbe diventato, di quelli che sprizzavano romanticismo da tutti i pori: in fondo, lui non era il tipo da cavallo bianco, ma da quello nero che aveva per nome Diablo…  Ma l’amava davvero e voleva cambiare… ed era certo che, per lei, ci sarebbe riuscito.
 
 
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Chi è svenuto sul bacio Leonettoso? Io sì! XD emh, qui succede sempre di tutto di più ma questo capitolo è soprattutto per loro due! <3 Però va detto che anche i Pangie si sono avvicinati notevolmente, sotto lo sguardo vigile e malvagio del nido… emh, di Jackie volevo dire… xD Grazie a tutti, dedico questo capitolo a Sweet_Trilly , a Syontai, a Rio50, ChibiRoby e tutti a tutti i fans della Leonetta che seguono la storia con affetto, grazie! :D Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 17
*** Somewhere over the rainbow. ***


Il cielo era sereno, eppure il luogo era lo stesso di quella tempestosa mattina: Violetta subito intravide in lontananza la grotta nella quale si era riparata dal temporale con Leon, dove, soprattutto, i due si erano chiariti e avevano finalmente smesso di reprimere il loro amore, suggellando il momento con un passionale bacio. Il posto quindi, lo conosceva bene, ma c’era qualcosa di strano… era come se il tutto fosse ovattato, magico, eppure la cosa non le faceva paura, anzi era quasi felice di trovarsi di nuovo lì, appena fuori da quel bosco, nel bel mezzo della vallata. Quasi meccanicamente guardò il cielo e, ancora una volta, quell’arcobaleno splendeva come l’ultima volta che era stata lì mentre, riabbassando lo sguardo, appena sotto lo spettacolare e colorato fenomeno, notò una figura di donna, ancora poco distinguibile da quella distanza e non riusciva a scorgere di più se non la sua sagoma, quasi aurea eppure vestita di colori eterei, tutti diversi. La ragazza, come se le gambe si muovessero da sole, si incamminò lentamente verso la signora che, con un sorriso smagliante, sembrava invitarla ad avvicinarsi senza indugiare. “- Finalmente sei arrivata… ti stavo aspettando, Violetta.” Quel suono così soave riecheggiò come un eco nella sua mente e per tutto il prato nel quale, l’unico rumore udibile fino a quel momento, era il cinguettio incessante e festoso di uno stormo di uccellini.”- Angie?” la voce della ragazza era incerta… no, quella signora era più grande d’età di alcuni anni, i capelli erano leggermente più castani e poi la voce decisamente non era quella della Saramego. “- No, bambina… per quanto le somigli non sono lei.” Una risatina riecheggiò nell’aria leggera eppure, la giovane, sempre più perplessa, fece un altro paio di passi verso quella donna. “- Allora chi è?” chiese, facendole ruotare gli occhi al cielo. “- Questo non importa… sono qui per ringraziarti, sono felice di quello che è accaduto.” Il tono pacato riuscì quasi a rilassare la giovane che, colpita da quelle parole, rimase in silenzio, seppur la sua mente si fosse riempita di domande. “- L’arcobaleno, guarda…” A quelle parole, la misteriosa figura aprì le braccia e alzò il volto, fissando quel cielo così limpido e meraviglioso. “- E’ bellissimo…” riuscì a balbettare Violetta, sollevando anche lei gli occhi verso quei colori eterei quanto la figura con cui stava parlando. “- Sapevo che ti sarebbe piaciuto, e anche a lui.” Sorrise, alludendo a Leon e facendo automaticamente illuminare il viso della sua interlocutrice che colse subito il riferimento al giovane. “- Sei perfetta e lo cambierai in meglio… continua così. In fondo quando sei arrivata alla villa indossavi una maschera, volevi salvare la tua esistenza dal dolore e hai agito male… ma l’importante è recuperare la strada giusta, non trovi?” La La Fontaine non era mai stata così confusa in vita sua… cos’altro voleva dirle quella donna? La curiosità la spinse ad annuire in silenzio, attendendo che la signora continuasse a parlarle. “- Bene. Hai un cuore nobile, Violetta… non lasciarti scoraggiare dagli ostacoli che vi si opporranno. Mai. Me lo prometti?” ancora più perplessa di prima, la giovane asserì ancora con il capo e quella donna, con un dolce sorriso materno, a poco a poco, si dissolse nel nulla, lasciando sconvolta la ragazza… con lei, inoltre, sparì lentamente anche l’arcobaleno e rimase soltanto il cielo sgombro di nuvole a farle compagnia.
 
“- Violetta, tesoro! Scotti terribilmente, ti sarà salita ancora la febbre!” la voce preoccupata di Angie le fece lentamente aprire gli occhi e, sbattendo le palpebre, mise a fuoco il viso teso della donna, seduta su una sedia accanto a letto che le premeva sulla fronte un panno freddo come il ghiaccio. “- Ho fatto un sogno strano…” esclamò la giovane, con voce impastata dal sonno, tentando di sollevarsi sui gomiti. La Saramego non sembrava prestare attenzione a quelle parole, considerando che, dopo aver preso tutta quel freddo al maneggio, alla ragazza fosse salita la temperatura sin da quando erano rientrate, in serata, a villa Galindo. “- C’era una donna, ti somigliava un po’ ma… no, non eri tu, era più grande… e mi parlava dell’arcobaleno, di Leon…” Con quelle parole vaghe, la giovane riuscì a catturare l’attenzione della donna che, improvvisamente, sgranò gli occhi scioccata… poteva essere Clara? Poteva averle parlato di suo figlio? Eppure come poteva Violetta aver descritto la donna se, mai, in quella casa, l’avesse vista? Quasi tutte le foto dovevano trovarsi nella soffitta dove si recava sempre Pablo… Forse era entrata nell’ufficio di Galindo, unico posto in cui vi era la cornice con la foto della moglie defunta dell’uomo?
“- Riposa, il dottore ha detto che alla caviglia non è nulla di serio e che la febbre è dovuta solo al colpo di freddo, quindi scenderà presto.” Sentenziò, seria, la bionda, mentre la ragazza, ignorandola, si alzò di nuovo sui gomiti con la chiara intenzione di scendere dal letto. “- Non ci provare nemmeno, capito?” la rimproverò l’altra, portandole una mano all’addome per farla ristendere. “- Quella donna era così… bella, calma… e ha detto che è felice che io e Leon…” Angie, di nuovo, si interessò a quelle parole, cercando di capirci di più ma, per quanto fossero inconcludenti, subito le ricollegò ai vaneggiamenti dovuti all’elevata temperatura. “- Tu e Leon, cosa?” domandò distrattamente, quando la ragazza si interruppe… ecco, quel sogno aveva senso solo sapendo il fatto che si fossero baciati e dichiarati così appassionatamente quella mattina… come poteva la Saramego capire senza sapere tutto l’antefatto? “- Ecco, quando lui mi ha salvata, durante il temporale, noi… beh… tu non sai che…” La ragazza balbettava incerta sul da farsi però, in fondo, sapeva che di Angie poteva fidarsi ciecamente, così decise di ammetterlo, con un filo di voce alquanto imbarazzato: “- Ci siamo baciati… ed è stato bellissimo!” a quelle poche parole, la donna scattò in piedi, con lo sguardo perso nel vuoto e il volto sconvolto, non tanto per il bacio, o meglio, anche per quello… ma soprattutto perché ricollegò il sogno raccontato da Violetta a Clara: era lei, non c’erano dubbi e, come voleva che lei stessa salvasse Pablo, ora aveva visitato anche il mondo onirico della giovane, probabilmente felice di quell’unione. “- Angie, dì qualcosa, mi fai paura…” sussurrò quasi Violetta, nel buio della notte, illuminato solo dall’abatjour sul comodino dalla parte in cui riposava la giovane. “- Cosa vuoi che ti dica? Leon inizialmente non mi ispirava affatto, non so se ricordi quel che abbiamo passato appena abbiamo messo piede in questa casa…” La castana annuì: certo che lo ricordava, era stato il periodo in cui il suo folle piano aveva avuto inizio e quando, conoscendo quello che credeva il vero Leon, lo aveva prontamente abbandonato. “- Quel ragazzo non mi piaceva affatto, ad ogni modo ora lo vedo molto diverso, evidentemente sta cambiando… e se lo dice Clara, forse dovremmo fidarci.” Clara? Violetta ricordava di aver sentito citare spesso quel nome alla villa ma non riusciva a trovarci un collegamento in quel racconto. “- Chi sarebbe Clara, scusa? Non dirmi che…” la domanda della giovane arrivò tempestiva, proprio come Angie si aspettava. “- La madre di Leon, la moglie di Pablo… e, parecchie notti fa, la sognai anch’io. Sta cercando di dirci qualcosa, per quanto assurdo possa sembrare!” Il volto di Violetta era tutto un programma: dal rossore sulle gote dovuto alla febbre, era sbiancata di colpo e fissava, scioccata, l’istitutrice. “- CHE COSA? Ma com’è possibile se io nemmeno so che volto abbia questa donna…?” esclamò la La Fontaine, portandosi una mano alla fronte, sentendola ormai ancor più accaldata. “- Non lo so, ma è evidente che sia una sorta di segno, Vilu. Cosa ti ha detto di preciso?” domandò la Saramego, facendo iniziare a riflettere l’altra. “- Che era felice, che c’era l’arcobaleno e che degli ostacoli ci avrebbero separato.” Riassunse la castana, spremendosi le meningi per cercare di visualizzare qualche altro dettaglio. “- Un arcobaleno! C’era anche nel mio sogno ma è subito svanito quando lei si è incupita e poi…e poi il suo abito…” disse tra sé e sé la bionda, fermandosi di colpo e tornando a sedersi al capezzale della ragazza. “- Caspita è vero, il vestito! E sì, quel fenomeno c’era sia nel sogno e anche questa mattina, dopo il nostro bacio, quello reale.” Spiegò lei, sempre più confusa. “- Allora c’è una spiegazione! Se magari è stata lei ad indicartelo nel sogno, vuol dire che era simbolo della sua felicità, anche nella realtà! E’ una metafora, capisci?!” concluse, un po’ scioccata, la donna. “- Una metafora… ma certo!” realizzò anche la piccola, stendendosi di colpo e prendendo a fissare il soffitto: perplessa e stanca, la giovane richiuse gli occhi e, senza nemmeno dare il tempo di replicare alla Saramego, ricadde nel mondo dei sogni.
 
 
La colazione, quel giorno, fu stranamente silenziosa: Angie scese per poco più di mezz’ora e subito ritornò in camera per assicurarsi delle condizioni di salute di Violetta. Non appena arrivò in stanza le posò delicatamente una mano sulla fronte e notò che non scottasse più come durante la notte, passata da lei per lo più insonne a vegliare sulla ragazza. Alzandosi dalla sedia accanto al lettone in cui riposava la giovane, si avvicinò alla specchiera e si rese conto del fatto che, il non aver chiuso occhio, fosse alquanto evidente: due profondi solchi viola erano disegnati sotto ad essi e, il volto, era alquanto pallido… non poteva credere di essere scesa a tavola in quello stato, nonostante avesse passato più di un’ora a cercare di nascondere quella stanchezza tra creme e trucchi vari. Quel sogno raccontatole da Violetta non aveva potuto che peggiorare la sua ansia… potevano loro essere perfette per il padrone di casa e suo figlio? Inoltre, solo in quell’istante, quasi come un improvviso flash, realizzò che quella, alla fine, sarebbe stata la vita sempre sognata che avrebbe voluto… ma con la stessa rapidità, si rese conto che non le interessava più quell’aspetto, sorprendendosi di sé stessa, positivamente. Non poteva negare che, quegli abbracci con Pablo non l’avessero sconvolta, che, mentre lo stringeva a sé non avesse provato solamente affetto e comprensione… quell’uomo era così dolce, affettuoso e… e fidanzato. Ecco, doveva toglierselo dalla testa e, in realtà, non si spiegava neppure come ci fosse entrato! In effetti in quei giorni erano stati vicini: la notte alla soffitta, il maneggio… e anche prima, quando lei tentava di riavvicinarlo al figlio… ma, per quanto le si spezzasse il cuore, lui aveva Jackie, la sua futura sposa e, probabilmente, l’amava. “- Probabilmente? No, sicuramente!” Si corresse tra sé e sé, alzandosi con stizza e affacciandosi alla finestra che dava sul retro del giardino di quell’enorme villa. “- No… non è possibile…” mormorò, osservando di sotto. La piscina, coperta da un telo bianco per la tempesta del giorno prima, ora era di nuovo scoperta e risplendeva sotto a dei timidi raggi di sole… ma un segno, alquanto improbabile, fece sgranare gli occhi alla donna: appena sopra il pelo dell’acqua, come riflessi da un prisma, risplendevano i sette colori dell’arcobaleno, ondeggiando piano con le impercettibili ondine provocate dal leggero venticello che era alto nell’aria, rimasta pungente dopo il temporale. Angie rimase scioccata a fissare quello strano fenomeno e, lanciando una rapida occhiata alla giovane che ancora dormiva tranquilla, volle andare giù per verificare che non ci fosse qualcosa a provocare quelle sfumature leggere… il pensiero dell’arcobaleno non poté che rimandare subito la sua mente al sogno raccontatole da Violetta, a Clara… poteva essere vero? Forse c’era dell’altro? Non lo sapeva, eppure voleva scoprirlo e, accostando piano la porta per non svegliare la ragazza, si avviò verso quel luogo, non sapendo che, dalla finestra del proprio studio, anche qualcun altro avesse notato quello strano fenomeno e si stesse recando, quasi meccanicamente, di sotto.
“- Non ci posso credere.” La Saramego, giunta in giardino e inginocchiatasi appena sul bordo della vasca, sfiorò piano l’acqua al suo interno con una mano. I sette colori, in ordine, erano sempre lì, come se fossero cuciti su quella superficie con un filo invisibile. “- Pensavo ci fosse qualche faretto acceso sul fondo per sbaglio, ma sono tutti spenti. E’ incredibile.” La voce di Pablo la fece sobbalzare e per poco non cadde nella piscina per lo spavento. “- Signor Galindo! Mi ha fatto prendere un colpo!” esclamò la donna, scattando in piedi e portandosi una mano all’altezza del cuore. “- Mi dispiace tanto, non era mia intenzione…” si scusò il moro, mentre lei, piano gli si avvicinava a passo lento. “- Allora lo ha notato anche lei?” domandò la bionda, con un sorriso confuso: Pablo si incantò a fissarla per almeno mezzo minuto, facendole abbassare gli occhi imbarazzata sull’erbetta del prato all’inglese sotto alle sue scarpe. “- Sì, l’ho visto dalla finestra del mio studio… curioso fenomeno.” Concluse, facendole segno di seguirla sul giardino che dava sulla facciata principale della villa, facendola impallidire: una passeggiata per il giardino? Con lui? Forse non avrebbe dovuto… ma, in fondo, non c’era nulla di male e poi la voglia di accettare era molta quindi, dopo un secondo di titubanza, accettò e prese ad affiancarlo in quel cammino. Pablo non appena aveva visto quel segno sulla piscina aveva pensato ad una sola persona… Clara amava l’arcobaleno e ancora ricordava quando, anni addietro, lei e il piccolo Leon, dopo la pioggia uscivano nella speranza di vederne uno e, quando ci riuscivano, il bambino correva subito a chiamare anche lui per mostrarglielo, soddisfatto e felice… l’ultima persona che si aspettava di vedere, però, a bordo di quella vasca a studiare lo stesso fenomeno, era Angie: quanto era dolce e bella quella donna?  Erano giorni che non smetteva di pensare a lei, al suo sorriso, ai suoi occhi così profondi e simili a quelli di sua moglie e a quelli di Leon… ma in quel tempo, aveva realizzato anche che l’istitutrice gli piacesse per altro che andava oltre la somiglianza con la madre di suo figlio... la Saramego era decisa, sapeva sempre confortarlo e consigliarlo per il meglio, era forte ma, in alcuni momenti riusciva a sentire da un suo solo sguardo quanto, in realtà, fosse fragile e sensibile.  I due, continuando a camminare un po’ in imbarazzo e silenziosi, ognuno perso nei propri pensieri, giunsero praticamente dall’altra parte del parco della villa, sul piccolo gazebo che dava sul laghetto. “- C’è anche qui, guardi! E’ incredibile!” esclamò, un po’ cupo in viso, Pablo, affacciandosi al parapetto e notando anche sulla superficie dello stagno, esattamente tra due ninfee, quel piccolo rettangolo dei sette colori caratteristici del fenomeno. “- Gli arcobaleni non le piacciono? E’ così pensieroso...” domandò, audacemente lei, pentendosi subito dopo di quella questione postagli, forse troppo personale. “- Tanto tempo fa, i colori fecero una lite furibonda… ognuno voleva prevalere sull’altro: il verde, il blu, il giallo, l’arancio, il rosso, il porpora e l’indaco non la smettevano di battibeccare su chi avesse più valore rispetto agli altri, sempre più violentemente, finché un lampo squarciò il cielo e un rombo si udì risuonare nell’aria...” A quelle parole, l’uomo prese una pausa e si perse di nuovo a fissare il viso della Saramego, presissima da quella favola e, capendo di aver catturato la sua attenzione, lui continuò nel suo racconto: “- La pioggia li fece riappacificare, spiegando loro che ognuno avesse uguale importanza e facendoli restare uniti per sempre, gli spiegò che sarebbero apparsi nel cielo dopo ogni temporale.”  Angie lo osservava come incantata e sempre più affascinata da lui: non era solo quell’uomo serioso che voleva sembrare e lei lo aveva già capito… ma quella leggenda la fece istintivamente sorridere. “- Che bella storia!” esclamò, mentre, da affacciata alla ringhiera, si posizionò anche lei con le spalle appoggiate ad essa. “- Non immagina da dove spunta fuori…” rise amaramente lui, facendola accigliare. “- E invece ora me lo dice, mi è piaciuta e mi ha incuriosita! Un libro di favole?” azzardò, puntando i suoi occhi verdi in quelli neri del bruno che scosse il capo, fissando le assi del pavimento. “- Un racconto di Clara a Leon, quando era piccolissimo e le chiedeva da dove nascessero gli arcobaleni… quando c’era una tempesta ne andavano sempre a cercare uno e lui, ogni volta, voleva sentirsi raccontare la storiella, seppure la conoscesse a memoria!” rise istintivamente a quell’allegro ricordo Pablo, facendo sì che anche lei sorridesse mestamente, immaginando quella famiglia felice prima che il dolore la travolgesse in maniera devastante. “- A volte penso che se solo non avessi guidato io, se forse le avessi lasciato il volante a quest’ora lei potrebbe essere qui e io…” quasi come se l’avesse letta nel pensiero, l’uomo esclamò nervosamente quella frase ma la donna non lo lasciò finire e scosse il capo con aria triste ma decisa. “- Non lo dica. Lei non c’entra nulla… ho saputo tutta la faccenda e penso che lei abbia dovuto già sopportare un dolore immane e lo sopporta ancora, avendola persa per sempre… perché accollarsi anche una colpa che non ha?” Quelle parole sembrarono tranquillizzarlo almeno un po’ e, prontamente, si staccò dal parapetto e le si parò di fronte, scrutandola con attenzione. “- Come fai?” le chiese, lasciandola perplessa e preoccupata… che si fosse offeso? No, il suo viso era sereno ma sembrava impaziente di avere quella risposta ad una domanda incomprensibile e sin troppo criptica. “- C-cosa?” balbettò la donna, rimanendo paralizzata sul posto. Le aveva dato anche del “tu”? Si sentì onorata della cosa ma, in quel momento, non riusciva a darle valore, troppo confusa dalle parole di Galindo. “- Come fai a dirmi sempre la cosa giusta nel momento giusto? Sei speciale, Angie. Se almeno in parte sono riuscito a ricucire il rapporto con mio figlio è grazie a te…” A quelle parole la donna si sentì lusingata ma in vistoso imbarazzo, avvampò di colpo. “- Io non ho fatto nulla di speciale! E’ lei,cioè… sei… sei stato tu a capire quale fosse un buon inizio per riprendere un legame vero con lui ma hai ancora un bel po’ di lavoro da fare!” esclamò allegramente lei, puntandogli un indice al petto e facendolo sorridere di gusto. “- Lo so… e tu ci sarai al mio fianco?” le chiese in un mormorio imbarazzato il moro, facendola annuire con decisione. “- Se vorrai, certo che sì.” sussurrò, notando come l’uomo stesse avanzando piano verso di lei: Pablo non sapeva cosa lo stesse spingendo in quel momento… non avrebbe nemmeno dovuto, c’era Jackie ma… ma nel momento in cui prese il viso di Angie tra le mani in cervello si spense istintivamente, sentendo quelle guance morbide al solo contatto e credendo di impazzire. La bionda, dal canto suo, a quel gesto, pensò che il cuore le sarebbe saltato via dal petto, e non seppe ben spiegare come fosse accaduto quello che ne seguì, troppo scioccata ma, innegabilmente, al settimo cielo. Pablo le sfiorò le labbra, timidamente e subito si sentì pervadere da un brivido di calore che non sentiva da anni, la stessa fiamma che si accese anche lei la quale, non sapendo come reagire, rimase impietrita, le braccia lungo i fianchi ma una voglia pazzesca di sentire quel bacio prendere vita.  Il moro non sapeva di preciso se la bionda avesse voluto continuare con quel gesto ma era troppo tardi per ripensamenti e indecisioni e il desiderio di sentirla così sua era troppo forte:  voleva baciarla, più di qualunque altra cosa al mondo, voleva ancora e ancora assaporare quella bocca così morbida e dolce, lo avrebbe voluto per tutta l’eternità… fu un attimo: le labbra si schiusero, il gesto fu approfondito e nessuno dei due sembrava voler far smettere quel momento così incantato. Si staccarono solo quando rimasero senza fiato e, in imbarazzo come mai in vita loro, abbassarono di colpo lo sguardo, quasi simultaneamente.
“- Noi non… non possiamo, Pablo.” Quella frase, come una doccia gelida, fece prontamente alzare gli occhi all’uomo che, comprendendone il motivo, scosse il capo, senza staccare gli occhi da quei verdi smeraldi. “- Lo capisco ma… io non posso rinunciare a te. Angie io non la amo e… la lascerò, te lo prometto.” Non la amo. Non la amo. Non la amo. Quelle parole rimbombarono più volte nella mente della donna… se non amava Jackie allora lui… lui poteva essersi innamorato proprio di lei? “- D’accordo.” Si limitò a balbettare tesissima la Saramego, con un sorriso enigmatico. “- Te lo prometto, Angie.” esclamò infine Pablo, allontanandosi poi, ma venendo seguito dalla donna e ritornando, in breve tempo, sul retro del giardino per rientrare in casa.
Dalla finestra della sua camera, purtroppo, una persona aveva assistito a tutta la scena anche se, almeno, non era riuscita a sentire cosa i due innamorati si fossero detti, seppure il messaggio fosse comunque chiarissimo per lei. “- Me la pagherai, Angie Saramego! E tu poi, Pablo Galindo… non hai idea contro chi ti sia messo!” Jackie, furiosa, sbatté con foga la finestra della sua lussuosissima stanza e si stese sul letto, a fissare il soffitto con aria fin troppo agitata, sperando di trovare presto una soluzione per arginare quell’amore appena nato tra quei due.
 
 
Violetta, svegliatasi, si sorprese di trovare la stanza vuota e dopo essersi abbondantemente stiracchiata, saltò giù dal letto sentendo però, un lieve formicolio alla gamba leggermente lesa nell’incidente del giorno prima. “- Dannazione!” imprecò, risedendosi sul materasso e massaggiandosela con la mano. Il pensiero di quel sogno avuto la notte precedente si impossessò nuovamente della sua mente, per non parlare di quella conversazione con Angie! Come era possibile che avesse sognato proprio Clara di cui non conosceva nemmeno il volto? Incredibile! Si sentiva decisamente meglio, niente più temperatura alta e, così, decise di uscire in corridoio per sgranchirsi un po’ le ossa, intorpidite per le tante ore passate a riposare. L’arto dolorante riusciva a malapena a poggiarlo bene a terra e, infatti, faceva peso sull’altro, stringendo i denti. La camera di Leon le si parò subito di fianco e sperando di trovarlo lì, facendo qualche passo barcollante, si appoggiò alla porta per chiamarlo: “- Leon, ci sei?”. Nulla, nessuna risposta. Saltellando su un solo piede, si andò a sedere subito su quell’enorme letto che troneggiava al centro della stanza, cercando di evitare tutti quegli ostacoli sparsi al suolo, dovuti alla confusione che regnava sovrana tra quelle quattro mura. Da quell’angolazione aveva la visuale di tutta la camera e non poteva credere a quanto fosse ridotta male: un bazar in qualche paese orientale, forse, avrebbe reso l’idea di quella baraonda di oggetti che spuntavano da ogni dove. Quasi si dimenticò di cosa fosse andata a fare in corridoio… in realtà aveva un’intenzione ben precisa ed era certa che, anche in quella stanza, avrebbe potuto scoprire qualcosa di più… di sicuro, seppure in qualche angolo recondito di quel caos, Leon doveva avere una foto di sua madre e, alzandosi piano, si avvicinò al comodino proprio accanto al letto: ne aprì alcuni cassetti, frugò in ogni dove ma nulla, solo cartacce, disordine, libri persino sul pavimento, poster di motociclette di cui alcuni anche poco eleganti, raffiguranti ragazze in bikini appoggiate a bolidi da corsa. Violetta storse il naso disgustata, eppure non poteva di certo dimenticare di chi si fosse innamorata… per quanto lui stesse a poco a poco cambiando, era pur sempre l’ideatore del catalogo delle conquiste che sperò, con tutto il cuore, di non trovare sottomano in quel momento, quando aveva ripreso a scavare, stavolta vicino alla scrivania. In effetti avrebbe dovuto parlargli di quell’oggetto, doveva sparire… ora stava con lei e doveva bruciare quell’affare demoniaco… eppure affrontare l’argomento non era affatto facile… e poi… stavano davvero insieme? Lo sperava con tutto il cuore ed era un altro tema che avrebbe dovuto affrontare con lui per saperlo con certezza. “- Che stai facendo?” una voce la fece letteralmente sobbalzare. E, appoggiandosi allo schienale di una sedia, zeppa di felpe e pantaloni buttati lì alla rinfusa, prese a respirare affannosamente , portandosi una mano al petto. “- Scusami è che ero stanca in corridoio… e la prima camera uscendo dalla mia era la tua, così mi sono un attimo seduta a riposare e…” Leon però, sorridendo, subito la tranquillizzò, facendo sì che con quel semplice gesto il cuore le accelerasse la frequenza. “- Non ti preoccupare, mi fa piacere che sia qui, stavo giusto venendo da te… come stai?” Il tono assunto dal giovane era tra l’impacciato e il dolce, lasciando chiaramente capire che tutta quella tenerezza non fosse tipica sua e che la cosa lo mettesse in imbarazzo. “- Meglio.” Tirò un sospiro di sollievo lei, scostando la sedia e sedendosi per calmare il dolore alla caviglia. “- Sbaglio o cercavi qualcosa?” ghignò furbamente il ragazzo, accomodandosi sul bordo del letto e facendole sgranare gli occhi con curiosità. “- Io emh… ecco…” balbettò, incerta sul da farsi la castana, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. “- Avanti, sai che puoi dirmi cosa volessi da qui…” sorrise Galindo, sporgendosi verso di lei per studiare meglio la sua espressione. “- Una foto.” “- Mia?” ridacchiò lui prontamente, fingendo di mettersi in posa con un’espressione alquanto buffa. “- No… ecco vedi… vorrei vedere tua madre.” Spiegò, serissima, la ragazza… voleva dirgli tutto, ci teneva a lui e sapeva che non se la sarebbe presa se stava frugando in camera sua per una  giusta causa. Che volto aveva Clara? Perché l’aveva sognata pur non conoscendola? Il viso di Leon si incupì di colpo e  tornò a sedersi compostamente. Violetta era sorpresa da quella reazione e quasi si preoccupò di come potesse averla presa il ragazzo. Lui non disse nulla, eppure si alzò, prendendo a camminare nervosamente avanti e indietro fino a quando si fermò di fronte al letto e, chinandosi sotto ad esso, estrasse una piccola scatola di latta con disegni floreali sul coperchio che aprì con un tremore alle mani, colto dalla giovane. Leon prese un profondo respiro e, sistemando con cura alcuni fogli ingialliti sul letto su cui tornò a sedersi, afferrò una fotografia con il capo chino e, sorridendo amaramente, allungò il braccio per darla a Violetta che, alzandosi, l’afferrò e, sconvolta, si accasciò sul materasso proprio accanto al giovane. “- Non ci posso credere, è lei.” Sibilò, senza staccare gli occhi dall’immagine. A quelle parole, Leon si accigliò confuso, non sapendo proprio a cosa potesse riferirsi. “- Come?” riuscì a balbettare, perplesso, fissandola e sperando in una sua reazione per poterci capire qualcosa in più. “- Leon io… io l’ho sognata. Non la conoscevo in volto e… ed era felice! Felice del nostro bacio, di noi!” quelle parole lo fecero rimanere di sasso, lo sguardo perso nel vuoto e il volto teso… poteva essere vera una cosa del genere? Si riprese la foto e cominciò a fissarla, stupito: istintivamente, una lacrima gli solcò una guancia e abbassò gli occhi per non farla cogliere alla giovane… da quanto non piangeva? Quante volte aveva represso quella sofferenza attuando quel modo di essere così erroneo? “- Scusa io non avrei dovuto dirtelo, perdonami.” Sussurrò Violetta, avvicinandosi a lui e circondandogli le spalle con un braccio, tentando di calmarlo: quel pianto silenzioso erano diventati singhiozzi sempre più forti e irrefrenabili… in effetti mai si sarebbe aspettata di vederlo in lacrime così, eppure, in fondo, sapeva ormai da un po’ che lui non fosse mai stato cattivo, che avesse solo bisogno del suo amore per poter cambiare e quel pianto era la prova che lo stesse facendo, che avesse bisogno di sfogare quel dolore represso da troppi anni. “- L’arcobaleno di ieri mattina, te lo ricordi? Lei lo adorava, io lo adoravo e già mi era tornata in mente allora… rivedere questa foto dopo così tanto tempo è… è difficile per me.” E questa storia che adesso Clara amava gli arcobaleni? La ragazza sgranò gli occhi, ripensando a quello che aveva visto durante il sonno, scioccata. “- Leon, c’era anche nel mio sogno, lei me lo ha mostrato.” A quell’ultima frase, Galindo sollevò gli occhi scioccato verso la giovane che, prontamente, gli asciugò alcune lacrime solitarie con le mani, prendendogli il viso tra esse e guardandolo negli occhi attentamente: poteva essere tutto un collegamento che rimandava sempre a lei? Approvava la loro storia e voleva farglielo capire? “- Hai bisogno di sfogarti: piangi, urla se vuoi! Ci sono io qui con te.” Il sorriso di Violetta fu così contagioso che, ancora con gli occhi rossi e bagnati, portò anche il ragazzo a fare lo stesso… poteva la La Fontaine avere così tanto potere su di lui? E quel sogno? Sua madre era davvero felice per lui che, finalmente, sembrava aver messo la testa a posto, perdendola per Violetta? Ci volle credere: senza pensarci troppo, si avvicinò alle labbra della giovane e, esitando solo quando furono ad un millimetro di distanza, la baciò lentamente, senza fretta e fu subito ricambiato con trasporto: era come se il tempo, in quell’istante, si fosse fermato: c’erano solo loro due e quel legame così potente da andare oltre ogni cosa… sì, ora la ragazza ne aveva ancor di più la consapevolezza: stavano insieme ed era certa che, seppure si fossero presentati quei famosi ostacoli tra loro, nessuno di essi avrebbe mai potuto separarli.
 
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Eccoci! Capitolo d’amore, di arcobaleni e di sovrannaturale! XD Il sogno di Violetta, Clara approva l’unione con Leon! Evviva una nuova fan della Leonetta! xD E poi… bacio Pangie! Trgrrtytue *_* Ultima scena che vede Leon piangere sulla foto della madre e Vilu che gli racconta del sogno e, venendo a sapere della questione dell’arcobaleno, gli dice di averlo visto anche lei quando ha parlato alla donna durante la notte! :3 Spero vi sia piaciuto questo diciassette, a me fa impazzire questo capitolo! :3 Grazie a tutti come al solito, siete gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 18
*** Separazioni forzate o dovute. ***


Lara fece fermare la sua auto appena fuori dal cancello esterno dell’enorme villa Galindo e decise di proseguire a piedi: se Maometto non andava alla montagna, allora doveva essere la montagna ad andare da lui e così, anche lei, aveva deciso di fare. Non poteva essere vero, Leon non poteva trascurarla, ignorarla, rifiutare le sue chiamate, non poteva non andare al Club solo a causa di quella mocciosa… doveva intervenire, ci teneva troppo alle attenzioni del giovane Galindo e di certo non vi avrebbe rinunciato a causa di Violetta. Il percorso che la separava dalla scalinata di pietra che portava alla porta d’ingresso principale lo passò a riflettere su cosa avrebbe potuto fare per allontanare quei due, così innamorati: Leon non poteva innamorarsi sul serio, la La Fontaine non poteva avere tutto questo potere su di lui, era impossibile… ma certo! Sapeva perfettamente cosa fare! Come aveva pensato, l’informazione che aveva su quell’amore, nato per scommessa nel vero senso della parola, le tornava utile e così pensando, bussò con foga, venendo prontamente accolta dalla domestica della dimora. Lara aveva saputo che anche la ragazzina vivesse lì e quindi era il momento perfetto di attuare la sua vendetta e sapeva che Leon non avrebbe negato, orgoglioso com’era: avrebbe detto a Violetta che era tutto vero, che inizialmente lui voleva solo farsi bello con gli amici a suo discapito… e lei, indubbiamente, avrebbe sofferto un bel po’, per sua immensa gioia.
“- Devo parlare con Leon, sono un’amica.” Esclamò con arroganza ad Olga che, abituata alle compagnie del ragazzo, la conosceva già di vista e storcendo il naso infastidita, si fece da parte per farla accomodare in salotto. La castana, stizzita del fatto che la donna fosse evidentemente nervosa della sua presenza, si sedette con le gambe accavallate sull’enorme sofà in attesa che il giovane venisse avvisato e si precipitasse di sotto da lei.
“- Leon non è in camera, è in giardino sul retro a fare lezione con la sua istitutrice, ma suppongo che Olga non lo sapesse.” La voce di Violetta, in cima alle scale, subito fece scattare in piedi l’altra che, con qualche passo deciso, prontamente la raggiunse in fondo ai gradini. “- No, non è urgente non ti preoccupare,  In fondo posso parlare anche con te, è da molto che avrei voluto farlo…” La voce di Lara si incrinò quasi in un sibilo cattivo sul finale di quella frase e con i suoi occhi castani studiava attentamente l’espressione della rivale che, confusa, non aveva proprio idea di cosa volesse dirle quella giovane: sin dalla prima volta che l’aveva incontrata, al campo da golf, si era resa conto di quanto la Gonzales la odiasse a pelle, considerando che lei non le avesse mai fatto nulla… ed ora non poteva nascondere che, quel volto tirato di Lara, quasi stizzito, le incuteva un po’ di paura seppure tentasse di non darlo a vedere. “- Ma sediamoci, dai! Non vorrai mica stare in piedi qui? Ho alcune informazioni importanti da darti e potresti rimanerne sorpresa, forse fino a svenire…” sorrise enigmaticamente l’ospite e, quasi come se fosse lei la padrona di casa, condusse l’altra sino al divano, sedendosi poi su una poltrona appena accanto ad esso. Violetta era sempre più confusa… ma cosa voleva da lei quella tizia? “- Suppongo che tu sappia che tipo sia Leon, vero? Insomma, un ragazzo che ha un catalogo di conquiste… non è un bella cosa, sai? Perché tu sai di quel quaderno, no?”  La La Fontaine subito la interruppe con un gesto stizzito della mano, nervosa per tutte quelle insinuazioni. “- Sì lo so, tranquilla, se sei venuta per dirmi questo puoi anche andar via.” Si rese conto solo dopo che il suo tono forse fosse stato troppo duro, eppure quella Lara aveva un qualcosa di irritante, fastidioso… era tutta quella sicurezza che ostentava o, peggio, il modo in cui le stava parlando di Galindo ad innervosirla tanto? Entrambe, ne era certa.  “- Non arrabbiarti! Io sono solo qui per aiutarti! Tu non hai idea di che persona orribile ti sia innamorata… non vuoi sapere perché ti ha fatto perdere la testa?” Violetta sapeva che forse a quel punto avrebbe sentenziato qualche ennesima cattiveria, eppure continuava a non capire per quale motivo ce l’avesse tanto con lei quella tizia… che fosse solo in buona fede e volesse aprirle realmente gli occhi? No, impossibile… aveva un velo di malvagità nello sguardo ed era chiaro che volesse farla soffrire… e poi quel ghigno soddisfatto non poteva che confermarglielo. “- Hai presente Federico e Diego? Beh, ti posso dire che li ho sentiti parlare negli spogliatoi quando andammo a giocare a golf… e dicevano di una scommessa che ti riguardava molto da vicino. Ora capisci perché Galindo ti stia facendo innamorare? Davvero pensavi che quel tipo potesse essere interessato ad una bambolina come te? Ti facevo più sveglia, tesoruccio!” La La Fontaine sentì improvvisamente gli occhi farsi lucidi e pungerle come se fosse sul punto di piangere ma, stringendo i pugni, scattò in piedi e si posizionò giusto di fronte a Lara. “- E chi mi dice che tu stia dicendo il vero?” sussurrò quasi, ormai più cupa in volto che arrabbiata. “- Chiedilo a lui, di certo non potrà negarlo, non ce lo vedo proprio a mentire su una cosa del genere, se ne dovrebbe piuttosto vantare, considerando che è riuscito nel suo intento….” Il sorrisetto sornione sulla faccia della castana lasciò ancor più triste l’altra… che fosse tutto reale? In fondo se la incitava a domandarlo allo stesso Leon non poteva essere una bugia: una lacrima sfuggì al controllo di Violetta e fu subito colta da Lara, felice come una Pasqua a quella reazione: la sua acerrima nemica era ferita, delusa… ed era certa che mai e poi mai lei e Galindo sarebbero tornati insieme dopo ciò che era venuto a galla. Il giovane era davvero innamorato, questo lo aveva intuito ma di certo la mocciosetta non l’avrebbe perdonato, tant’era scossa e tutta tremante com’era, al solo ricevere quella notizia. “- E dimmi, sei diventata già anche la 96 o l’operato di Leon ancora non è del tutto concluso?”. Continuava. Quella ragazza sprizzava cattiveria da tutti i pori e quello sguardo fermo su di sé fece rabbrividire la La Fontaine che, come pietrificata, non riusciva neppure a muoversi: teneva la testa bassa e gli occhi fissi il pavimento, non riuscendo più a sostenere lo sguardo della Gonzales. “- Bene, a questo punto vado, hai saputo ciò che era il caso che tu sapessi… ciao Violetta e non odiarmi per quello che ti ho riferito, anzi. Dovresti reputarmi un’amica: ti ho salvato da quel tizio e dal suo viziaccio di conquistare per gioco tutte le ragazze che hanno a che fare con lui.” Con quelle ultime parole che riecheggiarono nell’enorme salone, Lara tacchettò sino alla porta d’ingresso, imbattendosi in un allegro Leon che chiacchierava con la Saramego, altrettanto sorridente. “- Cosa ci fai qui?” Il viso del ragazzo subito si incupì, fermandosi di colpo sotto l’arco della porta d’ingresso, mentre la giovane gli sorrideva enigmaticamente… che voleva Lara da lui? Che voleva lì di primo mattino? “- Ero venuta a farti visita ma, a questo punto vado che ho una lezione di piano... ciao, Leon!” ghignò, soddisfattissima, uscendo e superando il Galindo sull’uscio: non le importava affatto che lui avrebbe capito che avesse rivelato lei a Violetta di quella scommessa fatta con Diego e Federico, nonostante tutto era certa che, alla fine, solo e depresso, sarebbe tornato strisciando da lei… e poi era contenta comunque: l’espressione triste della ragazzina era stata impagabile e anche se Leon non fosse andato ancora a consolarsi da lei, cosa di cui dubitava, era lo stesso felicissima.
“- Olga, dov’è Vilu?” la voce di Angie fece quasi sobbalzare il ragazzo, perso tra mille pensieri per quell’inaspettata e indesiderata visita. “- Non lo so, era in salotto fino ad un secondo fa, sarà in camera sua!” urlò dalla cucina la cuoca, facendo accigliare la Saramego. “- Strano, di solito scende e ci raggiunge in giardino…” borbottò tra sé, cominciando a salire i gradini che portavano al piano superiore della villa, venendo subito seguita dal suo allievo che, correndo, la superò addirittura, collegando paurosamente, nella sua, in quegli istanti, confusa mente, la presenza di Lara e il fatto che la ragazza non fosse neanche in salotto. Arrivarono entrambi alla porta della camera degli ospiti e, bussando ripetutamente, non ottennero alcuna risposta. “- Vilu cosa è successo? Apri, dai!” Angie subito capì che ci fosse qualcosa che non andasse e la sua ipotesi venne confermata dall’innumerevole rumore di singhiozzi che provenivano dall’interno della stanza. Niente, nessuna risposta. “- Vai a chiamare mio padre, io provo a stanarla o a capire almeno cosa sia successo!” La incitò Leon, cominciando a bussare ininterrottamente sul freddo legno, finemente levigato. “- Violetta sono io, apri, dai! Non so cosa sia accaduto ma ti prego, fammi entrare e spiegami!”. Intanto, la ragazza, con la faccia affondata nel cuscino, ormai umido di lacrime, si sentiva ferita e umiliata: possibile che Leon l’avesse tradita fino a quel punto? Che la sua fosse tutta una perfetta attuazione, che non avesse mai provato nulla per lei se non, probabilmente, divertimento nell’usarla solo per quella stupida scommessa? Ormai non sapeva più niente, o forse non voleva saperne niente: anche lei, appena entrata in quella villa, aveva provato a raggirarlo ma, fragile com’era, era stata certa sin dal primo istante che mai e poi mai avrebbe avuto il coraggio di portare avanti quel piano, per quanto volesse apparire ambiziosa. Non era così cattiva, subdola, non lo era davvero: l’unica sua pecca era stata voler vivere in quella reggia per sempre e, in fin dei conti, Leon le era davvero piaciuto sin da subito… ora no, non poteva nemmeno immaginare di essersi presa una cotta per una persona così orribile… in fondo avrebbe dovuto capirlo, sin dalla storia del catalogo… che stupida che era stata a dargli tanta fiducia! Era completamente caduta nella sua rete ed ora, sentendo quella voce provenire dall’esterno, pensò seriamente di sentirsi male: in effetti, però, aveva bisogno di parlargli… basta, voleva delle spiegazioni, voleva sapere se quello che aveva detto Lara fosse vero seppur non potesse sembrare altrimenti… si alzò e si sedette al centro del materasso, mentre il ragazzo continuava a bussare e le sue grida che la pregavano di aprire arrivavano sempre più chiaramente nella camera: con un secco e rapido gesto della mano si asciugò le lacrime che ancora scorrevano a frotte sul suo pallido volto, scattò in piedi e, lentamente, si avviò verso la porta… esitò a lungo con la mano su quella maniglia dorata, per poi scendere sino alla serratura, non sapendo se dover girare oppure no quella chiave… fu un attimo: dopo aver fatto scattare l’oggetto nella toppa, spinse il pomello e, subito, si ritrovò di fronte due grandi smeraldi, quelli che erano la causa di tutta la sua disperazione.
 
 
Francesca tremava come una foglia, scossa dal lieve venticello che, alquanto pungente, continuava a tagliarle il viso per tutto il percorso che separava il portico di casa sua dal piccolo cancelletto principale. Quella citofonata di Marco l’aveva un po’ inquietata e, probabilmente, quel fremere non era dovuto solo al freddo ma anche o, soprattutto, alla tensione. Come mai era lì se aveva detto che sarebbe andato all’Università? No, non era un appuntamento, ne era certa… non era di certo passato a prenderla per una placida uscita di coppia, non poteva essere… e poi quella voce, così fredda, quasi irriconoscibile… non era decisamente nello stile di Tavelli presentarsi senza preavviso preciso com’era, a meno che non fosse successo qualcosa di grave. La ragazza, finalmente, scorse la figura del moro appena fuori dal cancello accostato e subito gli aprì, stupendosi che non lo avesse fatto lui stesso. “- Potevi anche entrare, comunque… sembra che tu non sia mai stato a casa mia!” sorrise la Cauviglia, tentando di apparire rilassata, mentre il volto del messicano era tutto un programma: sembrava agitato e teneva le mani nelle tasche dei pantaloni, strette in due pugni, come per farsi coraggio. “- So che non hai alcun rottweiler pronto ad azzannarmi ma devo parlarti da solo e se dentro c’è Luca, beh… non so se sia il caso di…” A quella prima parte frase, Francesca avrebbe riso, ma il seguito la fece sbiancare… cosa diamine aveva di così preoccupante da dirle se non voleva affrontare suo fratello? “- Marco cosa c’è?” Francesca, bloccatasi al centro del piccolo vialetto che portava di nuovo alla porta d’ingresso della villetta, gli si parò di fronte e, senza troppi giri di parole, fece quella domanda così diretta quanto nervosa. Non voleva scuse, solo la verità e anche in fretta o sarebbe svenuta per la tensione nell’attesa di saperlo. “- Devo parlarti di una cosa importantissima, non ce la faccio più a tenermelo dentro, devi sapere, dobbiamo… chiarire.” Quelle parole strascicate la fecero incupire ancor di più: erano alcuni giorni che le cose tra loro sembravano essere cambiate, si sentivano appena, come se fosse calato un velo di ghiaccio a separarli… e tutto era cambiato da quando Ana era tornata e aveva ripreso a frequentare i corsi, dopo un periodo di assenza dovuto al fatto che si fosse trasferita, proprio dopo aver rotto con Marco, per qualche mese in Messico, suo paese d’origine. In realtà avrebbe dovuto restare lì per sempre ma, a quanto si diceva, il padre aveva di nuovo ottenuto il suo lavoro a Buenos Aires e, con tutta la sua famiglia, si erano di nuovo stabilito in Argentina. Tavelli l’aveva vista nei corridoi, camminando mano nella mano con Francesca e, non potendo mentire a sé stesso, si sentiva di nuovo confuso tra le due, la bionda e la mora, il suo primo amore e la sua migliore amica. La ragazza, però, lo aveva palesemente evitato, raggelando i due fidanzatini da lontano solo con qualche occhiataccia. Il bruno, però, tentava sempre di mantenere il controllo con la sua pacatezza, ma la Cauviglia aveva intuito da giorni tutto e per quel motivo era ancora più nervosa… lei aveva bisogno di lui, doveva dimenticare Bianchi e per quanto egoistico fosse, sapeva essere così.
“- Entra, sono da sola in casa, Luca non c’è.” Lo invitò, spalancando la porta e facendogli strada sino alla piccola cucina, aprendo subito il frigo e versando a entrambi una Coca Cola, in bicchieri di vetro alti e colorati. “- Siedi, Marco! Santo cielo mi stai mettendo ansia incredibile!” sbottò, stavolta più stizzita, Francesca, accomodandosi proprio di fronte a lui. Il ragazzo, dopo aver preso un sorso della bibita, prese di nuovo  a fissarla con aria affranta. “- Francesca, non possiamo continuare a mentirci, a mentire a noi stessi… io devo dirtelo: da quando è tornata, io sono di nuovo confuso e non voglio farti del male, stando con te e pensando a lei… e già so che, inevitabilmente, potrebbe accadere.” La voce del ragazzo era seria e disse quasi quella frase tutta d’un fiato, come se avesse preparato da almeno un paio di giorni quel discorso, apparentemente così semplice eppure tanto difficile da affrontare per lui. La ragazza non sapeva cosa dire di preciso, o meglio lo avrebbe saputo ma non voleva rinunciare a lui, non poteva. “- Marco… io ti voglio bene e non voglio perderti.” Si limitò a sussurrare, abbassando di colpo lo sguardo sul tavolo. Lui la fissò, con un sorriso enigmatico, e subito si affrettò a risponderle. “- E’ vero, forse non vuoi perdermi e nemmeno io lo vorrei mai, ma come amici… se non vuoi perdermi come il tuo ragazzo, invece, è solo per farmi ricoprire il ruolo di fidanzato che ti permetta di allontanare il pensiero che esiste in certo Federico Bianchi.” Federico Bianchi. Federico Bianchi. Federico Bianchi. Quel nome risuonò più volte nella mente della giovane e sentì come una stretta al cuore al solo ascoltarlo, in quel contesto poi, era anche peggio: inoltre le faceva malissimo il fatto che Marco avesse centrato in pieno il punto, lei non poteva dimenticare quell’essere orripilante dei figlio del dottore e, purtroppo, stava illudendo sé stessa e anche il suo migliore amico.
“- Scusami, Marco. Davvero io ci ho provato a togliermelo dalla testa e… non dovevo usarti in questo modo, sono una persona orrenda! Che amica sono? Se mi detesterai per tutto il resto della tua vita ne avrai tutte le ragioni!” il volto di Francesca, istintivamente, si coprì di lacrime e, tenendo il capo chino sul tavolo, continuava a singhiozzare silenziosamente. “- Sapevo che sarebbe finita male questa storia… ma ti ricordi che ti feci promettere quando ci mettemmo insieme?” La mora, alzando gli occhi, annuì e nella sua mente, il ricordo di quella mattinata si fece di colpo vivido:
 
“- Giurami che se questo tentativo dovesse fallire, noi rimarremmo amici come al solito. Non ti voglio perdere, Fran… ci tengo troppo a te.” sentenziò il bruno, prendendole dolcemente una mano. “- Te lo giuro.” Sussurrò quasi lei, convinta che niente avrebbe potuto distruggere il forte legame tra loro, neppure un amore finito.
 
“- Non ci perderemo mai, vero?” balbettò la Cauviglia, ancora con il volto arrossato e gli occhi pieni di lacrime che continuavano a scendere senza sosta sulle sue guance. “- Mai, te lo prometto. Il nostro legame deve uscire intatto da tutta questa vicenda.” sentenziò Tavelli, serissimo, poggiando la sua mano su quella di lei, distesa sul tavolo. “- Sono d’accordo.” Si limitò a esclamare lei, non potendo fare a meno di abbozzare un tirato sorriso. “- Ma levami una curiosità… come fa a piacerti quel… tizio? Insomma, potresti avere di meglio!” Quella domanda di Marco arrivò come un fulmine a ciel sereno per la ragazza che, in effetti, non riusciva davvero a spiegarsi come fosse possibile. “- Non lo so, mi piace è basta! Sono sicura che in lui ci sia qualcosa di buono, lo sento…” Il moro, sorpreso per quella spiegazione, alzò un sopracciglio perplesso: “- Beh, buona fortuna! Ma sappi che se solo dovesse farti soffrire ancora io…” La ragazza, scattando in piedi, lo stoppò subito con un gesto della mano: “- Non mi farà soffrire più perché riuscirò a dimenticarlo.” Sbottò, quasi stizzita da tutto quel parlare di Bianchi. Marco annuì poco convinto e, con decisione, riafferrò il suo bicchiere di Coca Cola, soddisfatto che, se tra loro fosse finito quell’amore fasullo, comunque fosse rimasto un solido rapporto di amicizia e, probabilmente, se lui non le avesse fatto giurare prima di mettere in scena quella farsa, quella promessa, ora il loro legame avrebbe persino potuto rompersi e rabbrividì al solo pensiero. “- Andiamo a vedere quel film che ti piace tanto dai, così ci distraiamo un po’, che ne pensi? Lo danno stasera in tv, quello orribile sui vampiri, come è che si chiama…?” Ecco, Marco non poteva essere più tenero di così e la cosa la fece sentire ancor più in colpa per quello che gli aveva fatto. “- Twilight e non osare dire che è orribile!” rise lei, puntandogli un indice contro minacciosamente. “- Va beh, me lo guarderò per la trecentesima volta a causa tua, ma basta piangere… amici?” sorrise, scattando in piedi e tendendole la mano con aria più serena, come se, lasciandosi con lei, si fosse tolto un macigno dal cuore. “- Amici!” Esclamò Francesca, stringendogliela, per poi aggirare il tavolo di fretta per abbracciarlo: era contenta, in fondo quella relazione con Marco non aveva senso per nessuno dei due e la cosa migliore sarebbe stata solo far tornare tutto com’era prima… non si poteva scegliere chi amare e lei, a sue spese e a quelle di Marco, ormai lo aveva capito.
 
 
Leon, per quanto lei tenesse il capo chino e si guardasse bene da non perdersi nei suoi occhi, subito notò quanto la giovane fosse sconvolta e, lievemente, le sollevò il viso con due dita: leggere quella sofferenza nel suo sguardo lo fece rabbrividire come mai in vita sua. Perché la ragazza che amava stava così male? Che diavolo le aveva detto Lara? Già, Lara… sin da subito aveva collegato che c’entrasse qualcosa in tutta quella situazione e vedere Violetta in quello stato riuscì, inspiegabilmente, a dargliene la conferma. “- Posso entrare?” soffiò piano Galindo, rimanendo incatenato a quegli occhi lucidi e arrossati. Lei non rispose e, scostandosi di lato alla porta, gli fece cenno di seguirla dentro, per poi richiuderla a più mandate. “- Mi vuoi sequestrare?” ironizzò il giovane, sperando di allentare la tensione, seguendo con lo sguardo la ragazza che andò a posizionarsi, dandogli le spalle, alla specchiera. “- Ti sembra che io abbia voglia di scherzare? Sei patetico.” Quel tono glaciale lasciò sconvolto il figlio del padrone di casa: beh, in effetti dal suo volto aveva già capito che fosse successo qualcosa ma non pensava che potesse riguardare lui o almeno, sperava di sbagliarsi. “- Mi fidavo di te, Leon Galindo, davvero stavo cominciando a credere che potessi cambiare, che per te quel bacio avesse significato almeno quanto ha significato per me… e invece? Una scommessa, una schifosissima scommessa per farmi cadere ai tuoi piedi… che delusione.” A quelle parole, dette non con rabbia ma più che altro con disgusto, Leon non poté fare altro che impallidire e, improvvisamente, capì tutto: ecco cosa aveva combinato Lara! Chissà in che modo era venuta a sapere del suo piano iniziale, di quel patto fatto con gli amici… e aveva avuto il potere di rovinare tutto: la odiava, la odiava profondamente e se ora doveva pensare a recuperare il rapporto appena nato con Violetta, sapeva che, subito dopo, sarebbe andato a scambiarci qualche parolina.  “- Non parli, eh? Avrei dovuto aspettarmelo, bravo.” sbottò la ragazza, scattando in piedi e sostenendosi al tavolinetto davanti a sé con i pugni tesi su esso. “- Cosa dovrei dirti? Che non è così? Beh, purtroppo quell’arpia, non so come lo abbia saputo, ma ti ha detto la verità… ma non è questo che conta!” Violetta, avvicinandosi a lui ad ampie falcate, gli si parò di fronte stizzita e con le mani sui fianchi, mentre il volto era ancora umido e gli occhi arrossati, lo fissava scioccata. “- Ah, no? E cosa conta per te? Il tuo prezioso catalogo? Vincere quel giochetto e farti bello con i tuoi amichetti a mio discapito? COSA, LEON? COSA?” Galindo abbassò lo sguardo, forse per la prima volta in vita sua a disagio per quell’ira di lei che sapeva essere giustificata, e che gli fece sentire una forte fitta all’altezza del cuore. “- SAI COSA CONTA PER ME, LO VUOI SAPERE?” urlò, scattando in piedi e sfiorandole, delicatamente, una guancia. “- Tu e solo tu, conti per me.” Sussurrò poi, facendole scuotere il capo con decisione: la ragazza non poté negare che un brivido, a quel contatto, si impossessò della sua schiena ma in quel momento si sentiva così dannatamente delusa che scansò il giovane, andando ad affacciarsi alla finestra da dietro alla tenda, dandogli ancora una volta le spalle. “- Esci, ti prego.” Lo supplicò, con un filo di voce, la ragazza. “- Violetta, io ammetto di aver sbagliato con quella storia della scommessa, ma credimi, ci ho rinunciato quando ho capito che mi sentivo strano con te, che avevo perso la testa… mi sono innamorato sul serio come non mi era mai capitato e non ti avrei voluto ferire, così ho rinunciato a quella cavolata!” Quelle parole che apparentemente sembrarono scivolarle addosso, la colpirono profondamente ma, al momento, ancora non sapeva cosa fare, troppo sconvolta da quello che Lara le aveva rivelato che, a quanto pareva, era vero. “- Non ti credo… mi fidavo di te, che stupida sono stata...” mormorò la ragazza, facendo sì che lui le si avvicinasse, poggiandole una mano sulla spalla, delicatamente. “- Devi credermi, sul serio… se sto cambiando è grazie a te, Vilu.” sussurrò appena lui. “- Va’ via, per favore.” Sentenziò con tono basso ancora lei, asciugandosi furtivamente una lacrima e continuando a guardare fuori dalla finestra: la sera era calata e dei nuvoloni neri rendevano il tutto ancor più cupo, quasi come la sua anima in quell’istante. Non si era mai sentita così presa in giro in tutta la sua vita, lei che voleva apparire così forte e decisa, ma che in realtà era solo piccola, fragile e tanto ingenua. Da quando aveva rinunciato al suo piano si era ripromessa che mai e poi mai avrebbe fatto una cosa del genere, che se si fosse innamorata sarebbe stato solo per amore e non di certo per una sciocchezza simile e… sì, era accaduto, si era innamorata. Se inizialmente fuggiva da Leon, a poco a poco aveva notato quella che credeva essere la sua vera essenza, un ragazzo segnato dal dolore che affrontava la vita in maniera erronea ma, insieme, pensava che avrebbero potuto farcela, avrebbero potuto superare tutto… e quella notizia le era arrivata come un fulmine a ciel sereno, una doccia gelida proprio nel momento in cui era più felice, in cui era davvero soddisfatta della sua vita… paradossalmente, per quanto restasse un po’ vanitosa, non le importava più della villa, dei soldi dei Galindo… no. Era di lui che le importava, di lui e nessun altro… e in un solo giorno tutto era cambiato in peggio.
 
“- …Hai un cuore nobile, Violetta… non lasciarti scoraggiare dagli ostacoli che vi si opporranno. Mai. Me lo prometti?”
 
E poi c’era stato quel sogno: Clara, la madre del ragazzo, le aveva mandato quel messaggio tramite il suo mondo onirico… era quello l’ostacolo? E perché aveva parlato di più di un problema? Inoltre, la ragazza, aveva promesso alla donna che non si sarebbe mai arresa, che avrebbe combattuto per quella relazione… cosa doveva fare, allora? Sentì Leon che le toglieva la mano dalla spalla e che, piano, si allontanava a passo lento verso l’uscita e, in quell’istante, dovette reprimere l’impulso di fermarlo, di corrergli incontro, di baciarlo… e ci riuscì: forse prima o poi ce l’avrebbe fatta a perdonarlo ma ci sarebbe voluto tempo, forse molto, troppo… sempre a patto che gli avrebbe dato una seconda opportunità.
 
 
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Lara! Quella dannatissima Lara!!! >.< Io la faccio fuori, prepariamo i fucili! u.u  E Marco, con il ritorno di Ana, decide di lasciare Francesca, anche perché comprende come lei sia ancora cotta di Bianchi. Scontro finale Leonetta… stringiamoci e soffriamo insieme! :’( Prometto che arriveranno i capitoli di scleri per loro… tempo al tempo! ;) Grazie a tutti coloro che mi seguono con affetto e alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 19
*** Lottare per amore. ***


Angie era seduta nel giardino della villa nei pressi della fontana e stava correggendo un tema di Leon: la sua mente, però, era davvero poco attenta su quel foglio, o meglio, non lo era affatto. La Saramego ticchettò la sua penna rossa contro lo schienale in pietra della panchina e, resasi conto di essere alquanto distratta, posò il lavoro del giovane in borsa, fin troppo scossa dal susseguirsi di eventi che la riguardavano per poter concentrarsi su altro. Violetta, per tutta la notte, non aveva fatto altro che singhiozzare e a rigirarsi nel letto, non facendo chiudere occhio neppure a lei, un po’ per l’ansia di quella situazione, un po’ per quei movimenti sussultori. La ragazza le aveva raccontato poco o nulla sul suo stato, limitandosi a dirle di una lite con Leon di cui, la donna, rimase poco convinta… era probabile che ci fosse altro oltre una semplice baruffa, ma neppure da Galindo era riuscita a cavare un ragno dal buco, avendo solo l’effetto di irritarlo ancor di più di quanto non lo fosse già quella mattina. Come se non le bastassero i problemi di cuore della figlia di Matias a preoccuparla, c’erano anche i suoi a tormentarla: non poteva dire che quel bacio con Pablo non l’avesse sconvolta e che ci pensasse in ogni secondo delle sue giornate e nottate e non perché non le fosse piaciuto, anzi... Eppure, a quel ricordo così vivido, si univa anche quello che riguardava i sogni, in particolare il suo, che aveva avuto in passato, riguardante Clara che la supplicava di salvare Galindo senior e il suo figliolo. Cosa diamine significava? E poi quegli arcobaleni: Violetta ne aveva visto uno e, sotto l’arco colorato, aveva baciato Leon, sognando poi lo stesso fenomeno… e quei segni sull’acqua con gli stessi colori uniti e eterei? Incredibile!  Era tutto così strano, particolare, quasi magico… e allo stesso modo poteva definire quel bacio con Pablo: magico. Ed ecco che la sua mente le rimandava in testa ancora e ancora quel pensiero. Non si era mai sentita meglio in vita sua come quando aveva assaporato le labbra del moro: tutti i problemi erano passati in secondo piano, come fosse in una bolla di sapone e poi… puff! La bolla era esplosa, era ritornata con i piedi per terra e il pensiero che l’uomo fosse impegnato si era impossessato della sua mente come un tarlo fastidioso… era una storia impossibile in partenza, lo sapeva e ne soffriva, eppure, per quanto lui le avesse giurato che avrebbe lasciato Jackie, non riusciva a sentirsi a suo agio in quella casa, dopo averlo baciato, sotto lo stesso tetto della sua fidanzata che, di lì a poco, sarebbe stata scaricata a causa sua. Come se con il solo pensiero l’avesse chiamato, il signor Galindo apparve, con le mani in tasca e aria pensierosa, dal cancello principale, appena rientrato da una breve passeggiata al di fuori di quella reggia, piacere che si concedeva, come aveva argutamente notato la Saramego, quando era più preoccupato del solito. L’uomo la notò subito da lontano e il suo volto cupo si aprì in un bel sorriso ad indirizzo di lei che ricambiò, un po’ a disagio. “- Buongiorno, Angie.” salutò, avvicinandosi a lei e sedendole accanto, facendole di colpo abbassare gli occhi sulle sue scarpe, come se, improvvisamente, fossero diventata la cosa più interessante al mondo… poteva, dopo quel bacio, sentirsi così a disagio con lui? “- Salve.” Rispose, continuando a guardare i suoi sandali. “- Volevo parlarti di Leon, stamattina mi è parso così nervoso… lei, cioè volevo dire, tu ne sai qualcosa?” Galindo doveva trovare un modo per interagire con la bionda che, subito, osservò essere alquanto in imbarazzo per la sua vicinanza. “- Ha litigato con Violetta, tutto qui.” si limitò a dire la donna, finalmente alzando gli occhi e volgendoli all’uomo che annuì, poco soddisfatto di quella spiegazione così sintetica ma, comunque, felice per essere riuscito ad intavolare una conversazione, seppur ancora striminzita, con lei.
“- Io… volevo parlarti da qual giorno e... ecco… di noi, noi due, intendo.” Loro? Loro due? Insieme? A quelle parole Angie si sistemò seduta ancor meglio, interessata e allo stesso tempo, rapita da quegli occhi neri come la pece che la portavano tre metri sopra al cielo con un solo sguardo. “- Pablo, tu stai con Jackie e… e io non voglio che a causa mia…” Ma il moro, con decisione, le poggiò il dito indice sulle labbra per zittirla, evitare che dicesse cose che lui, mai e poi mai, avrebbe voluto sentire, come sensi di colpa inutili. “- Non so cosa tu mi abbia fatto, Angie… ma con te mi sento bene come non mi era mai successo dopo la morte di… di Clara.” Disse quel nome con una nota di malinconia, eppure continuava a fissarla, come incantato dal verde di quegli occhi così profondi e brillanti che gli riuscivano a ricordare magicamente quelli di sua moglie, di suo figlio… eppure quell’amore che sentiva per lei andava oltre quella somiglianza: lei era speciale, dolce ma decisa, sensibile eppure, allo stesso tempo, tanto forte… e quello andava oltre la semplice similitudine con Clara. “- Pablo, io…” tentò di interromperlo ancora la bionda ma lui, nuovamente, le fece cenno di ascoltarlo: era chiaro che non avesse finito di dirle ciò che voleva e anche quel discorso lo imbarazzasse tanto che, se fosse stato stoppato, avrebbe perso inevitabilmente il filo. “- Ti giuro che lascerò Jackie perché sento che è la cosa giusta da fare. Da quando sei entrata nella mia vita, tu… tu l’hai stravolta in meglio e credimi, non avresti potuto farmi regalo migliore.”  La Saramego non poté non sentire il cuore batterle sempre più forte per quelle parole e per il fatto che l’uomo le avesse preso dolcemente le mani. “- Io non ho fatto nulla di straordinario, sei tu che hai capito la strada giusta da intraprendere, soprattutto con Leon.” Sussurrò lei, sorridendogli e lasciandolo incantato da quel viso angelico che tanto aveva iniziato ad amare. “- No, credimi… senza il tuo aiuto non avrei saputo davvero da dove cominciare con lui ed ora lo vedo così… sereno… ed è anche merito di Violetta, non c’è dubbio. Seppure ora hanno litigato sono certo che si chiariranno presto… sono ragazzi, è inevitabile avere dei contrasti ogni tanto!” A quelle parole la donna si incupì, ripensando alla notte trascorsa dalla giovane a causa di quel bisticcio con il ragazzo: che peccato, proprio quando stavano cominciando a legare così positivamente era sicuramente successo qualcosa che li aveva fatti allontanare! Cosa poteva fare per riavvicinarli? Il sogno di Clara la tormentò per l’ennesima volta: aveva detto chiaramente che doveva aiutare i due Galindo e quindi, in un certo senso, si sentiva in dovere di farlo. “- Stai bene?!” Pablo, forse preoccupato per la sua espressione e per il minuto abbondante in cui era rimasta in silenzio, la fissò con attenzione, cercando di cogliere il minimo gesto che potesse rivelargli una risposta. “- Sì, credo di sì.” sentenziò, facendogli allentare la presa sulle sue mani e scattando in piedi, per andare ad appoggiarsi con la schiena al bordo della fontana, visibilmente agitata. “- Se è successo qualcosa, sai che puoi parlarmene tranquillamente, non farti problemi e dimmi tutto.” Sorrise gentilmente il moro, alzandosi anche lui e avvicinandola a passo lento ma deciso. Angie non ce la faceva più, forse sarebbe stato stupido, forse no, eppure, per quanto fosse un argomento duro per lui, non riusciva più a sorreggere da sola quella responsabilità di quel pensiero che, come un chiodo fisso, la sconvolgeva sempre più. “- Si tratta di sogni…” si limitò a dire, mentre l’ipnotico rumore degli zampilli della fontana che sgorgavano allegramente, continuavano ininterrottamente a riecheggiare nell’aria. “- Incubi?” subito si apprestò a chiedere lui, corrucciandosi, ma lei scosse il capo, facendo ondeggiare i suoi boccoli dorati. “- No, non lo sono… io non so come dirtelo, però vedi, io…” titubò la donna, tentando di cercare le parole giuste. “- Cosa?” chiese il bruno, reclinando il capo e cominciando a preoccuparsi seriamente per quell’indecisione. “- Pablo, i sogni riguardano Clara.” Quella frase, detta quasi tutta d’un fiato da Angie fece sgranare gli occhi all’uomo che, come paralizzato, sperò che aggiungesse subito dell’altro per schiarirsi un po’ le idee a quella rivelazione. “- Lei mi ha detto di… di aiutarvi, so che forse sembrerà assurdo ma… ma è così, e poi c’è stato quel fenomeno sull’acqua, e tu mi hai detto quanto amasse gli arcobaleni io… non so più cosa pensare!” Galindo, a quelle parole, sbiancò paurosamente e, inizialmente, non poté crederci: “- E’ impossibile, forse ti avrò condizionato io con tutte le volte che mi hai trovato in soffitta, non me ne sorprenderei! Epoi tutti quei racconti su di lei… mi dispiace averti inquietato, sul serio, perdonami.” commentò infatti, passandosi nervosamente una mano nel ciuffo corvino. Era sempre stato un uomo razionale, non poteva neppure lontanamente immaginare che fosse vero, eppure Angie era così spaventata e confusa, probabilmente, dal suo sguardo, capiva che si fosse sentita una sciocca nell’avergli rivelato di quei sogni. “- Non credo c’entri molto la suggestione. Violetta, ad esempio… anche lei l’ha sognata, e non l’aveva mai neanche vista. Pablo non puo’ essere stato un caso! Clara vuole dirci qualcosa: mi ha rivelato che dovevo salvare te e Leon, poi a Vilu è sembrata felice del rapporto nato tra lei e tuo figlio e… non prendermi per pazza, anche se probabilmente lo starai pensando però… però ti sto dicendo la verità.” La voce della donna si spezzò in un singhiozzo e Pablo, a quel tono così cupo, non poté far altro che intristirsi a sua volta: non poteva non crederle, non quando lei, con mano tremante, gli carezzò lievemente una guancia, provocandogli un brivido lungo la schiena e facendo sì che il suo ritmo cardiaco accelerasse notevolmente. “- Angie…” balbettò, socchiudendo gli occhi e beandosi di quel gesto così delicato. “- Perdonami, forse non avrei dovuto dirtelo.” Mormorò la donna, incredula di sé stessa per quella tenerezza concessasi e donata a lui: se fino ad un secondo prima aveva quasi paura di reggere il suo sguardo, di tenergli le mani con il terrore che qualcuno li potesse vedere e per quel filo di imbarazzo, ora era lei ad aver avuto l’impulso di cercare un contatto con lui e si sentì subito meglio nell’averlo trovato. “- Come potrei reputarti pazza?” disse il moro, sottovoce, ad un soffio dalle sue labbra e cominciando seriamente a riflettere su quella questione dei sogni che lei le aveva detto: Clara davvero era d’accordo con quell’unione? Voleva anche che Violetta stesse con Leon? Per quanto di solito sarebbe stato scettico, non riuscì a non credere a quel segno, al fatto che, probabilmente, la sua amata moglie avesse fatto visita alla bionda nel suo mondo onirico per far sì che andasse in loro soccorso, parlandole… sì, forse era stupido, credulone… eppure a prescindere da quel racconto di Angie, era vero che stesse meravigliosamente con la Saramego e non se la sarebbe lasciata scappare. Pablo, delicatamente, le portò una ciocca bionda dietro l’orecchio e si perse ancora in quelle profondità cristalline che erano i suoi grandi occhi smeraldo. “- Ti credo, credo al fatto che lei voglia essere dalla nostra parte.” Soffiò, con un filo di voce e gli occhi lucidi l’uomo, facendola annuire e sorridere, illuminando tutto intorno a sé: la donna, senza pensarci troppo, senza farsi problemi, fece scendere la sua mano dalla guancia di Galindo ad una sua spalla, per poi attirarlo a sé e abbracciarlo di colpo, lasciandolo, ancora una volta, felicemente sorpreso: Angie era sempre una sorpresa e, giorno per giorno, sarebbe stato felice di scoprirla sempre di più, per quanto fosse sicuro, l’amasse già così com’era… la sua dolce Saramego.
 
 
Leon quella mattina era furioso e si era svegliato con un solo e unico pensiero: scambiare quattro chiacchiere con Lara e vedere cosa avesse da dirgli in proposito alla visita, riguardante il giorno precedente alla villa… Violetta non era neppure scesa a colazione e le domande su cosa fosse successo da parte di Angie non poterono fare altro che innervosirlo ancor di più: se la Saramego era così preoccupata, la ragazza doveva stare proprio malissimo e non riusciva a sopportare neppure il pensiero che lei soffrisse, men che meno se a causa della Gonzales.  Dopo le lezioni che volle fare volontariamente, per cercare di apparire in fase di miglioramento per quanto riguardava lo studio, senza dir nulla a nessuno, aveva preso la sua moto e, quasi non pensandoci troppo, si era recato al Country Club dove era sicuro avrebbe trovato i suoi amici e lei, Lara. Parcheggiò subito il suo potente scooter nell’area riservata ai mezzi di trasporto e, in men che non si dicesse, si avviò verso la piscina, convinto di trovarla lì, imbattendosi invece in Diego e Ludmilla, stesi sullo stesso lettino, l’uno tra le braccia dell’altro. Leon ruotò gli occhi e, cercando di non disturbarli, si stava dirigendo verso la zona in cui di solito prendeva il sole la castana, ma la voce di Dominguez lo fermò di colpo: “- Non si saluta più, amico?” sorrise, sollevandosi sui gomiti, facendo spostare anche la Ferro che teneva, fino a qualche istante prima, la testa poggiata sul suo petto muscoloso. “- Non volevo disturbare, piccioncini!” si apprestò a giustificarsi Galindo con un ghigno rivolto ai due che si misero in posizione seduta. “- …Ma già che ci siamo, avete visto Lara?” domandò poi, facendo alzare le spalle al moro. “- Penso sia andata al bar, sai com’è, da quando sto con la mia Supernova non guardo più le altre!” sorrise Diego, ammiccando a Leon che non poté non trattenere una mezza risata, per quanto fosse ancora furioso a causa della Gonzales. “- E MENO MALE!” sbottò la biondina, incrociando le braccia al petto un po’ piccata. “- Ok, scusatemi, mi piacerebbe restarmene qui a sentirvi battibeccare, ma devo andare a cercarla.” esclamò Leon, sperando di sfuggire presto ai due per il semplice fatto che volesse parlare presto a quell’arpia della numero 26, per chiarire alcune cose con lei. “- Perché la cerchi così affannosamente? Cosa vuoi da quella sanguisuga? Non dirmi che…” Ludmilla, scattata in piedi con la velocità di un puma, anche alquanto infuriato, fermò per un braccio il castano che, nel voltarsi, si ritrovò occhi negli occhi con la sua migliore amica: improvvisamente si rese conto che era da tanto che non facevano una bella chiacchierata e, in fondo, meritava una spiegazione a quell’atteggiamento, tanto quanto la doveva a Diego. “- Dobbiamo fare un discorsetto, non mi interessa altro da lei. Io e Violetta ci eravamo appena messi insieme ma lei è stata capace di rovinare tutto, e me la pagherà.” La freddezza con cui il giovane aveva detto quelle parole fece sgranare gli occhi ad entrambi i fidanzatini che non seppero dire se fossero rimasti più sconvolti per la rivelazione di quella nuova coppia nata o per lo zampino che subito era riuscita a metterci Lara, chissà poi in che modo. “- Tu e Violetta? Sul serio? Sono così contento! Bravo amico!” Ghignò Dominguez, soddisfatto, alzandosi anche lui per dare una pacca sulla spalla al suo compagno. “- Sì, auguri e figli maschi, ma io voglio sapere cosa diavolo ha fatto quella vipera della Gonzales!!!” La vocina irata di Ludmilla riecheggiò più volte nell’aria e un gruppetto di ragazzi che camminavano a bordo piscina si voltarono persino a guardarli. “- Non so cosa le abbia detto ma lo voglio scoprire! Di certo so che le ha fatto sapere della scommessa che facemmo al mio compleanno e che ora non voglia più saperne nulla di me!” sbottò stizzito Leon, facendo accigliare la Ferro. “- VOI CHE COSA? QUALE SCOMMESSA?” urlò ancor di più, facendo sì che, dalla vasca, alcuni bambini che giocavano a palla, si bloccassero a fissarli, quasi intimoriti dalle grida della Ferro. “- Non conta questo adesso! Io la amo, e voglio chiarire con lei! Ma prima devo dirne quattro a quella lì!” spiegò il ragazzo, facendo annuire, soddisfatta, la Ferro. “- Vengo con te! Le strapperò i capelli uno ad uno se necessario… e tutti sappiamo quanto lo sia…” sorrise furbamente Ludmilla, prendendo sottobraccio l’amico che scosse il capo con decisione. “- Statene fuori, per favore… Lara deve parlare con me, unicamente con me.” sentenziò, serissimo, il giovane.  I due lo fissarono, come impietriti, ma non potettero fare altro che asserire con il capo, continuando però a fissarlo allontanarsi. “- Ludmilla…” sussurrò il fidanzato, facendola voltare di scatto verso di lui. “- Che c’è?” chiese, ancora scossa dal pensiero che quella Lara avesse potuto far del male al suo migliore amico e alla povera Violetta che, sin da subito, le era sembrata una brava ragazza. “- Dobbiamo fare qualcosa, non ho mai visto Leon così innamorato! Non è giusto che soffra! Né lui, né Violetta.” sbottò Diego, cingendole la vita con sue possenti braccia e poggiando il capo sulla sua spalla. “- Sono d’accordo. Io potrei andare a parlare alla Gonzales…” sibilò, di nuovo con aria furba, la biondina, facendo ghignare Dominguez. “- Ma a quello ci penserà Leon e poi tu potresti seriamente mandarla in ospedale e non mi sembra il caso…” rise, facendola accigliare come se l’idea in fondo non le sarebbe affatto dispiaciuta. “- Andremo a parlare a Violetta, prima che Leon torni a casa, vieni!” la incitò il bruno, facendo annuire di fretta la ragazza che, iniziando a raccogliere le sue cose, ancora era convinta che, forse, sarebbe stata più felice di andare a dirne quattro a Lara... eppure in quel momento era più importante far sapere a  Violetta quanto Leon l’amasse… e forse, solo loro potevano farglielo capire davvero.
 
 
“- Lara dobbiamo parlare.” Il bar quella mattina era più affollato del solito e al suo solito tavolo, in occhiali da sole, un cappello di paglia e in dosso un bikini di un arancio acceso, c’era lei, sorseggiando un cocktail dal colore rosso scuro con aria annoiata come al solito. “- Sapevo che saresti tornato da me, non sai quanto ne sia felice.” Sibilò la ragazza, mentre Leon, subito, le si sedette di fronte, puntando i suoi grandi occhi verdi su di lei con stizza. “- Tornare da te per quello che pensi tu? Che assurdità! Se sono qui è solo perché voglio sapere cos’hai detto a Violetta.” Lara si accigliò e assunse un’aria innocente, come non l’avrebbe mai avuta realmente in tutta la sua eterna vita. “- Cosa vuoi che ti dica? Le ho solo detto che il vostro è un amore fasullo, nato da una scommessa idiota! Non è forse così? Vi ho sentiti io stessa, quando andammo a giocare a golf, che tu e i tuoi due soci ne ridevate negli spogliatoi!”. Nella mente del ragazzo il ricordo di quella scena iniziò a fargli ricordare le parole dette agli amici e poi... “- Ah davvero? E cos’altro hai sentito? Immagino che tu non abbia ascoltato il fatto che io abbia rinunciato a quel patto perché amavo davvero Violetta, no? Oppure l’hai sentito e hai deciso di omettere quel piccolo dettaglio? Ma certo! Sarà andata così o sbaglio? Sei patetica, Lara!”A quelle parole, la Gonzales scattò in piedi come una furia, arpionando le mani al tavolo, fin troppo arrabbiata. “- No! Non sapevo che avessi detto una cosa del genere, e comunque hai ragione, anche se l’avessi saputo di certo non gliel’avrei detto… ti amo, Leon! Voglio stare con te, tu meriti una come me, che sappia ciò di cui hai bisogno… non una santarellina come quella lì!”. Ecco! Ora capiva tutto… Lara aveva perso la testa ed era disposta ad ogni cosa pur di stare insieme a lui… forse davvero non aveva sentito quella parte di discorso che ne era seguito quel giorno eppure poco gli importava: la odiava, mai avrebbe voluto una storia con lei e non solo perché non l’amava ma soprattutto perché si era dimostrata subdola come pochi. “- Non parlare di lei così! TU NON AVEVI ALCUN DIRITTO DI ANDARE A DIRLE QUELLE COSE ORRIBILI!” L’urlo di Galindo fece voltare un gruppetto di ragazzi verso di loro che smisero di chiacchierare e presero a fissarli sorpresi. “- Le ho solo detto la verità! O forse non è vero che ti sei avvicinato alla La Fontaine esclusivamente perché volevi portare a termine quel giochetto  malvagio ideato con Federico e Diego?” ridacchiò l’altra, risiedendosi e prendendo con calma, come se nulla fosse, un altro sorso del suo succo. “- Non lo nego, certo! Ma io la amo e avevo rinunciato per lei, rinuncerei a tutto per lei!” Leon sbatté un pugno sul tavolo facendo ondeggiare la bibita e debordare dal bicchiere di Lara che, invece, non si smosse minimamente e alzò un sopracciglio, infastidita per quel piccolo incidente che per poco non le macchiò il costoso costume. “- La ami… ah, e poi la patetica sarei io? So che prima o poi tornerai da me strisciando, Galindo!” ribatté, ancora convinta che Violetta, non perdonando mai e poi mai il ragazzo, l’avrebbe lasciato triste, solo e depresso e che lui, non potendo fare altro, sarebbe ritornato alle vecchie abitudini, sarebbe tornato a stare con lei.
“- Lara, mettiti bene in testa una cosa: io non provo, né ho mai provato nulla per te se non attrazione fisica, qualcosa che è ben distante dall’amore che sento ora per Violetta… lasciaci in pace o ti giuro che te la farò pagare.” La voce ferma e fin troppo calma del giovane avrebbe dato i brividi a chiunque ma lei, più che paura, si sentì ferita nel profondo: non poté far altro che incassare quel colpo e odiare ancor di più quella mocciosa che le aveva portato via il suo sogno proibito. “- E va bene, non vi darò fastidio… tanto te ne pentirai tu stesso. Quell’angioletto ti deluderà e ci soffrirai, poco ma sicuro…” ghignò la Gonzales, alzandosi e estraendo un piccolo borsellino dalla sua pochette. “- Tu preoccupati degli affari tuoi che ai miei ci penso io.” Esclamò Leon, sempre più nervoso e osservando come il volto della castana non facesse una piega, come se quella conversazione l’annoiasse fin troppo e non la scalfisse minimamente. “- Perfetto, poi vedremo chi tornerà da chi.” Sentenziò, posando una banconota sul tavolino e allontanandosi con aria indifferente a tutto ciò che era accaduto. Galindo sentì le tempie pulsargli per la rabbia ed era certo di essere diventato paonazzo per quella discussione: la Gonzales era una persona orribile e, faccenda ancor più terribile, era certa che lui sarebbe andato ancora da lei… ridicolo! Mai e poi mai sarebbe ritornata nella sua vita, nessuna ragazza del catalogo vi sarebbe tornata: lui amava Violetta ed ora, l’unico suo pensiero, era quello di riuscire a riconquistarla.
 
 
“- Salve signor Galindo, vorremmo vedere Violetta, è possibile?” Ludmilla, molto più in confidenza con il padrone di casa che la conosceva sin da piccola, subito fece un passo avanti quando, sulla porta, invece che Olga come al solito, si presentò lo stesso Pablo. “- Certo, dovrebbe essere al gazebo sul laghetto, tu sei di casa, sai dov’è, no?” sorrise alla ragazza che ricambiò, gentilmente, annuendo soddisfatta. Lo sguardo di Galindo senior, poi, si posò su Dominguez che abbozzò un ghigno teso: sapeva di non essere visto di buon occhio dal padre dell’amico per le sue malefatte e subito si apprestò ad affermarlo, con la sua solita ironia. “- Se se lo sta chiedendo, io vengo in pace, non si preoccupi…” ridacchiò, facendo accigliare l’uomo che, goffamente, non poté fare altro che fare lo stesso. “- Meglio così… Ludmilla, mi fido di te.” si affrettò a sottolineare l’uomo, facendo sì che la ragazza, annuisse ancora, schiacciando con un tacco il piede al fidanzato che trattenette a stento una smorfia di dolore. Dopo aver salutato il signor Galindo, finalmente, i giovani si avviarono verso il luogo indicato dal padre di Leon e subito, in lontananza, scorsero la figura minuta della giovane che di spalle era affacciata al parapetto con aria assente.
“- Potevi stare zitto, sei sempre il solito! Ora dobbiamo solo aiutare questi due testoni, non fare figuracce, anche se so che in quello tu sei il re! Ah, ma non riuscirai a mettere in imbarazzo anche me, nossignore!” sentenziò la Ferro, tirandosi Diego per la mano che, sbuffando, abbassò il capo prendendosi la meritata partaccia senza fare una piega. “- Sai che quando ti arrabbi diventi tutta rossa e sei anche più sexy del solito?” sussurrò, continuando a tenere lo sguardo sul sentiero tra le aiuole, facendo ruotare gli occhi all’altra: non c’era nulla da fare con quel ragazzo! Per quanto lo amasse non riusciva ad essere serio per più di cinque minuti astenendosi dai suoi commenti maliziosi! Lei però lo adorava anche per quello: era sempre simpatico, passionale e l’amava come nessuno e non poteva non ricambiarlo. “- Smettila adesso e andiamo!” esclamò lei, arrossendo per quanto lusingata da quelle attenzioni: ora l’obiettivo era uno solo, ovvero far riappacificare quei due, innamorati eppure troppo distanti a causa di quell’arpia di Lara.
 “- Ehi, Violetta!” la voce di Ludmilla riscosse la ragazza, che, sobbalzando, si voltò di colpo poggiandosi con la schiena alla ringhiera. “- Ciao ma che… che ci fate qui?” balbettò, sorpresa di trovare quei due alla villa. “- Siamo venuti per chiacchierare con te, hai un minuto?” domandò Diego, con un sorriso astuto, facendola annuire, confusa. “- Se vi ha mandato Leon sappiate che…” iniziò la castana, tenendo la testa bassa sulle sue scarpe, leggermente alte e di colore beige. “- No, lui non sa neppure che siamo qui.” rispose la Ferro, facendo qualche passo verso di lei con aria sicura, fino ad affiancarla, posizionandosi anch’ella con le spalle al parapetto. “- Violetta, nessuno meglio di me conosce quel ragazzo e credimi, mai l’avevo visto così innamorato in vita sua.” Ludmilla prese un grande respiro prima di continuare  e si soffermò a guardare prima Diego, ancora di fronte alle due con le braccia incrociate al petto e poi, con la coda dell’occhio, la reazione di Violetta a quelle parole: era palesemente nervosa al sentir nominare Galindo ma il luccichio nei suoi occhi la tradiva… stava male per quella lontananza, sapeva che lui l’amasse tanto e anche lei provava lo stesso, era fin troppo evidente.
“- Sappiamo che Lara  ti ha detto della scommessa ma credimi, io c’ero quando Leon l’ha fatta, c’eravamo io e Federico…” ora, ad intromettersi nella discussione, fu Dominguez che, avendo attirato l’attenzione della La Fontaine su di sé, continuò: “- Lei ti ha raccontato solo di quel giochetto idiota ed è vero, inizialmente Galindo ti voleva conquistare solo per vincere quella stupida gara… ma quando andammo a giocare a golf, negli spogliatoi, lui ha rinunciato al piano, cosa di certo non tipica per uno come Galindino che odia perdere… sai perché lo ha fatto?” la ragazza, demoralizzata, scosse il capo, facendo lievemente ondeggiare i capelli castani. “- Perché ha capito di amarti e non voleva ferirti. Violetta, fidati di noi… Leon non si era mai innamorato prima, mai. Eppure adesso è cambiato, tu lo hai cambiato e non puoi lasciare che tutto vada perduto così, gettato al vento!”. La La Fontaine prese a mordersi nervosamente un labbro, confusa: doveva credere ai due ragazzi? Poteva perdonare Leon? in fondo lo amava così tanto! E se anche Diego e Ludmilla sapevano che lui fosse realmente cotto, almeno quanto lei, non poteva giudicarlo per aver, inizialmente, sbagliato a voler giocare con i suoi sentimenti… poi però, si era arreso e non voleva credere che Dominguez gli stesse mentendo, perché avrebbe dovuto farlo? Perché era amico di Leon? No. Lo spagnolo non era proprio il tipo che si lasciava comandare da altri e se era lì a dirle quelle cose era perché, evidentemente, le sentiva sul serio… inoltre era chiarissimo dai suoi occhi smeraldo: le aveva detto quelle parole con il cuore in mano e quello sguardo così sincero era ancora impresso nella sua mente ed era certa che ci sarebbe restato per un bel po’.  “- E’ meglio che vada, scusatemi.” sussurrò quasi Violetta, sorridendo ai due e salutandoli con un cenno del capo. “- Sì ma pensa a ciò che ti abbiamo detto!” gridò Diego, quando la ragazza era già sul sentiero che riportava alla villa: la castana si voltò e sorrise ai due, annuendo per poi riprendere a camminare piano verso la scalinata che portava all’accesso principale alla casa.
“- Amore…?!” la voce della Ferro riscosse il bruno che, confuso, si girò per perdersi in quegli occhi nocciola che tanto amava. “- Penso proprio che ce l’abbiamo fatta…” ammiccò, staccandosi improvvisamente dalla ringhiera e corrergli incontro, buttandogli le braccia al collo in maniera plateale come tipico suo e stritolandolo in una forte stretta, per poi appoggiarsi con la fronte alla sua.
“- Siamo i migliori, principessa! I paladini dell’amore!”  soffiò lui, ad un centimetro dalle sue labbra che prese a fissare con desiderio. “- Sì, lo so… degni eredi di Cupido…” sentenziò lei, sicura di sé come sempre, prima di accorciare le distanze in un passionale bacio. Leon e Violetta avrebbero riuscito a chiarire grazie a loro? Il loro ego era così elevato che entrambi ne erano certi e forse, in quel caso, non avevano poi tutti i torti.
 
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Ehilà eccomi qui! Pace Leonettosa in vista? Si spera! :3 Amo il primo blocco per i Pangiosi e i successivi per la partaccia a Lara ad opera di Leon e per i Diemilla in veste di sostenitori Leonettosi! :3 Grazie mille a tutti e alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 20
*** Seguire il proprio cuore. ***


“- Sappi che stai commettendo un grosso errore! Non puoi lasciarmi così, te ne pentirai, Pablo Galindo!”. Quelle parole risuonavano ancora nelle orecchie e nella mente del padrone della villa, come un minaccioso uragano, come un tormento che non dava affatto l’impressione di volerlo lasciare in pace: quel pomeriggio, mentre Angie era fuori casa con Violetta e Leon era andato a giocare a tennis con gli amici, era il momento perfetto per mettere fine a quella storia così strampalata con Jackie e, una volta per tutte, aveva trovato il coraggio di farlo. Era stato difficile ma, alla fine, ce l’aveva fatta e, senza troppi giri di parole, le aveva detto di non amarla, di non voler illuderla ancora e lei, ovviamente, era andata su tutte le furie, dando prontamente la colpa di tutto ad Angie. In effetti, la Saenz non aveva tutti i torti: Pablo sapeva che se la stava lasciando era per il fatto che avesse completamente perso la testa per l’istitutrice di suo figlio, eppure non riusciva a farsene una colpa, per quanto in quello fosse un maestro! Cosa ci poteva fare se, dopo tanti anni, era tornato ad amare davvero? Poteva lasciare quei forti sentimenti così, senza darsi un’altra chance?
Mentre, seduto sul divano, fingeva di leggere il giornale, la porta sbatté riscuotendolo dai suoi pensieri e fecero il loro ingresso in casa la Saramego con quella che, per mesi, tutti avevano creduto essere sua figlia. “- Buonasera.” salutò allegramente la bionda, mentre Violetta prese a guardarsi intorno, pensierosa: era evidente che volesse evitare di incappare in Leon, come stava facendo da alcuni giorni a quella parte, e, di fatti, non vedendolo nei paraggi, si tranquillizzò e si sedette su una poltrona, alla sinistra del padrone di casa, afferrando una rivista dal tavolinetto e cominciando a sfogliarla con nervosismo.
Era innegabile che le parole di Diego e Ludmilla avessero scosso non poco la giovane e, da quella visita inaspettata dei ragazzi, non aveva fatto altro che rifletterci su, arrivando finalmente ad una conclusione: quella sera era decisamente troppo importante per lei perché aveva deciso di parlare al figlio di Pablo, di dare loro una seconda opportunità, di superare quella stupida lite, insieme… come aveva promesso anche a Clara. Il solo pensiero di quel sogno la fece rabbrividire ma la voce seria del padrone di casa la fece risvegliare dai suoi pensieri e lo sbattere della porta d’ingresso attirò la sua attenzione: eccolo… bello come il sole che faceva ritorno dal Club, ancora sudato e con i capelli umidi.
“- Leon, siediti. Devo dirvi una cosa importante, ma volevo aspettare che foste tutti qui.” il ragazzo, dopo aver posato il suo sguardo su Violetta che teneva ancora il volto nascosto dal giornale, subito lo fece passare, confuso, su suo padre che si alzò e lo invitò a sedersi al suo posto, accanto ad Angie che, a sua volta, rimase sorpresa di quella improvvisa comunicazione che doveva dar loro Galindo senior.
L’uomo, cominciando a torturarsi le mani per il nervoso, prese a fissare prima il figlio e poi la Saramego che sembrava incatenata a quegli occhi neri, in quel momento così preoccupati e tesi.
“- Ho… io ho…” balbettò e non sapendo proprio come dirlo agli altri, temporeggiò ancora, passandosi una mano nel ciuffo corvino, spettinandoselo. “- Papà, io devo andare a fare una doccia, puzzo decisamente troppo e non ho avuto il tempo di farla al Country, quindi sbrigati e parla.” Il ragazzo, come tutti del resto, aveva subito colto l’ansia del moro e  non ci mise troppo a fargli pressione per spronarlo a dar loro quella notizia. “- Ho… ho lasciato Jackie.” Quelle parole Galindo senior le disse senza sciogliere quel contatto visivo con Angie che, dopo quella frase, non sapeva proprio come reagire: era al settimo cielo, poteva sentirsi egoista per quella gioia immane che le metteva voglia di saltare per tutta la casa? Pablo l’amava, aveva mantenuto la promessa ed non poté proprio trattenere un mezzo sorriso che le si disegnò automaticamente sul volto: per fortuna, ad attirare l’attenzione fu Leon che, senza pensarci troppo, cominciò ad esultare. “- ERA ORA!” urlò ridendo, per poi alzarsi e correre incontro al suo papà, abbracciandolo con foga, fino quasi a far cadere con il sedere per terra il bruno. “- Sono felicissimo, ottimo!” disse, con tono meno elevato del precedente, staccandosi dall’altro per poi salire di sopra, diretto verso uno degli elegantissimi bagni della casa.
L’imbarazzo, nella stanza, era a livelli massimi: Violetta, dopo che Galindo junior era salito di sopra era corsa in giardino, attendendo il momento giusto per parlare con lui e Pablo era rimasto solo con Angie che, sentendosi osservata, aveva abbassato gli occhi sulle sue scarpe e si scosse da quello stato di trance solo quando sentì che qualcuno si fosse seduto accanto a lei. “- Non vuoi dirmi nulla?” la voce di Pablo la fece finalmente voltare verso di lui e si ritrovò ad un centimetro dal suo volto che subito le parve come alleggerito di un grande peso, uno dei tanti che si potevano scorgere dal suo sguardo. “- Lo hai… fatto per me?” sussurrò la bionda, pentendosi subito dopo per quella domanda così stupida e prendendo a mordersi il labbro inferiore con nervosissimo. “- Non è esattamente corretto. Non l’ho fatto solo per te, l’ho fatto per noi.” ribatté quasi in un sussurro, il bruno, prendendole il volto tra le mani e, lentamente, accostando il suo a quello della donna che socchiuse gli occhi, convinta di star vivendo un sogno ad occhi aperti: l’uomo che aveva a poco a poco conosciuto, che amava come mai aveva amato prima, la stava ricambiando, avrebbe fatto di tutto per lei e sentiva che nulla avrebbe potuto interrompere quel momento… tranne Olga che iniziò a urlare come una forsennata e si precipitò in salone, facendo sì che Pablo e Angie si allontanassero di colpo e che l’uomo la fissasse, tra lo stizzito e l’imbarazzato. “- Olga, che diamine ti succede? Calmati!” esclamò, avvicinandosi alla cuoca e tentando di prenderla per le spalle ma lei, ritraendosi, iniziò ad agitargli un indice contro con aria furiosa: “- No, signore! No! Olga non si calma! Si puo’ sapere per quale motivo devo essere sempre l’ultima a sapere le cose? Se non fosse stato per Roberto e la sua lingua lunga ora starei ancora in cucina, convinta che il nido di cornacchie vivesse ancora qui, e invece no! Ha finalmente emigrato altrove e io, dico… IO, neppure lo sapevo!” la donna sembrava fin troppo furiosa per tacere, per cui tentò di intervenire colui che le aveva dato la notizia che, correndo dalla cucina per placare la situazione. “- Pablo, ti giuro che io non volevo dirglielo, mi è scappato!” si giustificò, portandosi una mano al cuore in segno di lealtà e sollevando l’altro braccio solennemente. “- D’accordo, smettetela, su!” esclamò il padrone di casa agitando le braccia in direzione della domestica, decisamente spazientito. “- Olga, perché non si prende la serata libera? Possiamo cucinare noi, per una volta, che ne dici Pablo?” sorrise dolcemente la Saramego, rimasta in silenzio fino a quel momento, venendo improvvisamente fissata dai tre presenti. “- Ottima idea… Roberto, tu per farti perdonare la porterai anche al cinema!” sottolineò Galindo, spingendo l’uomo verso la porta d’ingresso. “- Ma non… io non posso e…” “- NIENTE ‘MA’! TU HAI FATTO IL DANNO E TU VI PORRAI RIMEDIO!” urlò Pablo, facendo sghignazzare Angie, ancora seduta sul divano. “- Vi divertirete, forza! E lei Roberto non sia così antipatico! Sarà una bella serata!” esclamò la bionda, scattando in piedi e prendendo sottobraccio la cuoca che sembrò aver di colpo placato le sue ire. “- Che brava ragazza che sei Angie! Un vero angelo!” commentò infatti, rivolgendosi alla donna ma continuando a guardare in cagnesco colui che le aveva negato quel succulento gossip. “- A domani!” salutarono Angie e Pablo, ormai sull’uscio, fissando i due che, contrariati, presero a scendere i gradini della scalinata biforcuta, l’una dal lato sinistro e l’altro da quello destro.
“- Dov’eravamo noi due?” ghignò astutamente Galindo, dopo aver tirato un sospiro di sollievo per quella rissa placata, avvicinandosi alla donna e richiudendosi la porta d’ingresso alle spalle, con le quali lei si poggiò di colpo. “- Abbiamo una cena da preparare…” sorrise lei, gettandogli le braccia al collo e sfiorandogli piano le labbra per poi allontanarsi, lasciandolo stupito ma felice. “- Andiamo, chiama i ragazzi… li vedo troppo distanti, tristi e non mi piace vederli così… quindi forza, io cerco Vilu e tu fai scendere Leon!” esclamò ancora la bionda, avviandosi verso la cucina, sotto lo sguardo estasiato di Pablo… era incredibile quella donna, una forza della natura meravigliosa. “- Angie…” la voce del padrone di casa risuonò nell’ingresso, mentre lei, piano, si voltò e fece qualche passo verso di lui. “- Grazie.” Sussurrò, guardandola intensamente negli occhi, l’uomo. “- Di cosa?” esclamò lei, alzando le spalle per poi correre nell’altra stanza, senza neppure dargli il tempo di rispondere. Non voleva ulteriori risposte, aveva fatto già tanto per lui ma voleva continuare, rendere migliore quella casa, aiutarlo: voleva farlo e non solo perché, in un certo senso, l’aveva promesso a Clara… certo, era tutto diverso da quando aveva fatto quel sogno… ma ora era certa di amarlo e che lui ricambiasse… non poteva desiderare di meglio.
 
 
“- Abbiamo rischiato di bruciarle però dall’aspetto sembrano davvero ottime!” la vocina di Violetta si diffuse nella sala da pranzo come una dolce melodia e Leon non poté fare altro che sorridere istintivamente, nonostante per tutto il tempo in cucina lei fosse stata incollata ad Angie, scrutandolo solo con la coda dell’occhio, come se volesse dirgli qualcosa ma le mancasse il coraggio. “- Non sapevo cucinassi così bene!” sorrise Pablo, mentre la Saramego si apprestava a mettere in tavola una pizza margherita, dall’aspetto squisito e ancora fumante. “- E io non sapevo che le dessi del tu, papà…” ghignò subito il figlio, facendo arrossire prontamente il moro che si apprestò a cambiare discorso. “- Basta! Sedetevi tutti che è tempo di cenare!” esclamò l’uomo, prendendo il piatto che l’istitutrice gli stava porgendo. “- E comunque le abbiamo fatte tutti insieme, quindi non è che sono solo io la brava cuoca, eh!” sorrise la bionda, sedendosi accanto alla La Fontaine e servendosi un trancio di pizza guarnita con il prosciutto. “- No Galindo! Non ci siamo! Posa quella forchetta! Sapete che anche gli esperti di galateo consentono di mangiare la pizza con le mani in occasioni più o meno formali?!” esclamò la donna, facendo accigliare padre e figlio che, straniti, posarono sul tovagliolo la posata e provarono a prendere l’invitante cibo con delicatezza, come aveva suggerito la Saramego, se pur non vi fossero abituati. “- Così c’è più gusto, Angie ha ragione come sempre!” la voce di Leon risuonò potente nella stanza… e la La Fontaine fu subito catturata da quel suono che così tanto l’attirava. La cena trascorse tranquilla come mai prima: di solito alle loro orecchie doveva arrivare o la voce petulante di Jackie o qualche borbottio di Olga sempre fin troppo chiassoso che comportava, una volta sì e l’altra anche, battibecchi con Roberto o con Pablo addirittura.
“- Violetta puoi venire con me in salotto? Devo parlarti…” La voce di Galindo junior riscosse la ragazza che, finalmente decisa a chiarire con lui, subito annuì e si alzò di scatto, facendo voltare verso di lei anche Pablo ed Angie, ancora intenti a chiacchierare animatamente. La giovane, seguendo Leon, si avviò nella grande stanza accanto con un’ansia che le faceva battere forte il cuore… riusciva quasi a sentirlo. Leon si sedette sul sofà e la invitò, con il solo sguardo, a fare lo stesso. Quella stanza che la giovane conosceva bene sembrava molto diversa, forse per il silenzio che difficilmente c’era a quell’ora o forse per il fatto che l’ambiente fosse illuminato soltanto da alcune lampade alte e dal fuoco nel caminetto che continuava a scoppiettare: come mai era acceso? Non faceva poi freddo ed era la prima volta che la ragazza lo vedeva in uso… “- Se te lo stai chiedendo, l’ho acceso io ed ho un motivo valido per averlo fatto.” Galindo interruppe le sue riflessioni e le indicò con un cenno del capo il camino, come se l’avesse appena letta nel pensiero. “- Leon, ascoltami io ci ho pensato e… ti credo. Voglio credere al fatto che tu, dopo aver scommesso con i ragazzi di conquistarmi, abbia poi cambiato idea… ho parlato con Diego e Ludmilla e…” “- Diego e Ludmilla sono stati qui?” domandò lui, stupito, sgranando i grandi occhi verdi verso la La Fontaine che annuì in silenzio. Il ragazzo capì subito quando, probabilmente, i due avevano pensato bene di raggiungere Violetta e di parlarle… esattamente nel momento durante il quale lui ne stava dicendo quattro a Lara, in piscina. “- Lo sapevo, quei due ci mettono sempre lo zampino…” sorrise, con un ghigno perfetto tanto da far rabbrividire la ragazza. Ecco, quando sorrideva non riusciva a non fissarlo, a perdersi in quello sguardo così dolce, di chi aveva già sofferto troppo e che meritava solo felicità. “- Perdonami, per favore.” Sussurrò d’un tratto lui, sporgendosi verso di lei e carezzandole delicatamente una guancia, sentendo un brivido estendersi lungo tutto il braccio al solo contatto con quel pallido e delicato viso. “- Leon, ti ho già perdonato.” Mormorò quasi lei, socchiudendo gli occhi per assaporare meglio quell’attimo così intenso, che, improvvisamente, fu proprio lo stesso Galindo a spezzare, alzandosi di colpo per avvicinarsi al tavolinetto di fronte a loro. “- Ora ti spiego a cosa mi serviva il fuoco acceso.” Sentenziò, con il suo solito aspetto fiero e deciso: afferrò un quaderno che la ragazza non aveva mai visto ma che, prontamente, come se lo sapesse già, ipotizzò di cosa potesse trattarsi… “- Sono certa che avrai sentito parlare di questo...” Esclamò Leon, facendole sgranare gli occhi, non sapendo se dovesse annuire oppure no. “- Il famoso, celeberrimo catalogo di conquiste…” spiegò, accertando l’ipotesi di Violetta che, di colpo, abbassò gli occhi sulle sue scarpe. Che faccia tosta poteva avere quel ragazzo? Le chiedeva scusa, lei lo perdonava e poi? E poi si pavoneggiava con quel… coso. Improvvisamente un disgusto le salì fino alla gola, dallo stomaco seguì tutto l’esofago e pensò di aver vomitato da un secondo all’altro se solo lui non avesse ripreso a parlare. “- Non fare quella faccia, non sono così ributtante come credi, tanto da sventolartelo davanti solo per vedere la tua espressione che, credimi, andrebbe immortalata!” ridacchiò Leon, facendola accigliare ancor di più: “- Bravo, se fino ad un secondo fa avevi preso punti ora ne hai persi davvero troppi… sei sempre il solito…” “- Riesci a star zitta per cinque minuti filati, La Fontaine?” la interruppe, innervosendola ancor di più ma riuscendo a farla tacere… quello che avvenne dopo fu un attimo: il giovane fissò per l’ultima volta quello che era stato il suo prezioso quaderno che, da quando amava Violetta, aveva perso ogni tipo di valore e, dopo averlo rigirato tra le mani, si avvicinò al fuoco e lo gettò con un colpo secco tra le fiamme che crepitarono più potentemente nel accorparsi a quelle pagine.
“- Capito adesso? Ti facevo più sveglia, La Fontaine!” disse, soddisfatto il castano, ritornando seduto dov’era prima di bruciare l’oggetto. Violetta non poteva credere ai suoi occhi: lo aveva fatto davvero? Pensò di toccare il cielo con un dito e, evidentemente, sarebbe stato così se solo quello che avvenne dopo, non la portò decisamente più su, probabilmente direttamente in paradiso. Leon si stese sul sofà e, delicatamente, le fece cenno di fare lo stesso:  lei, timidamente, si poggiò con la testa sul suo petto del giovane che le circondò le spalle con un braccio, accarezzandole piano un braccio. Restarono in silenzio, non c’era bisogno di dire nulla, sentivano semplicemente i battiti dei loro cuori fondersi l’uno all’altro, come due voci che, unendosi, rendono una canzone più bella, più magica. Il calore del corpo del giovane l’avvolse completamente, come una coperta, e quando lui le posò un delicato bacio tra i capelli credé di svenire. Lui l’amava, gliel’aveva dimostrato ancor di più quella sera e non poteva essere più felice come in quell’istante. “- Violetta?” Leon sussurrò piano quel nome per controllare se lei stesse dormendo oppure no: come previsto dal suo respiro tranquillo, era già caduta in un sonno profondo… il ragazzo, decise che sarebbe stato meglio non spostarla da lì o l’avrebbe svegliata nel tragitto, così con un balzo atletico riuscì a scendere dal sofà senza destare la ragazza che, a parte rigirarsi, non aprì gli occhi. Leon si avvicinò alla poltrona alla sua sinistra e afferrò un plaid pesante sopra di essa per poi distenderlo sulla giovane e, piano andò verso il pendolo: se non volevano sobbalzare nel sonno era meglio disattivarlo e, di fatti, così fece, armeggiando con il grande orologio che suonava con fin troppa foga ad ogni ora del giorno o della notte.
Senza che Violetta se ne accorgesse, ritornò nella stessa posizione in cui era disteso, e lei, come se avesse colto nel sonno la sua presenza, ritornò a tenerlo stretto a sé, la testa di nuovo sul suo addome e il braccio di lui ritornò a scivolarle lungo la schiena per accarezzargliela piano, in movimenti circolari e rilassanti… non poteva essere più felice, l’amava, come non aveva mai amato nessuno e la cosa quasi lo spaventava ma, allo stesso tempo, lo rendeva sereno… quella piccola e fragile ragazza gli aveva fatto conoscere quel sentimento così potente eppure così sconosciuto e lo aveva fatto inconsapevolmente, sentendo in segreto lo stesso per lui: niente ormai avrebbe potuto interrompere la sua gioia… per quanto avesse il timore di ammetterlo, non era così sereno da molto, molto tempo.
 
 
“- Non posso credere che i ragazzi si siano addormentati sul divano, hai visto che carini che erano?” la voce melodiosa di Angie in cima alle scale risuonò per tutto il corridoio del piano superiore tanto che Pablo, che la precedeva, le fece cenno di abbassare il volume: era abbastanza tardi e i due si erano trattenuti per molto tempo in cucina a chiacchierare del più e del meno, per poi fare i piatti, sconvolgendo alquanto Galindo a quella proposta d’aiuto della Saramego nel lavarli ma, davanti a quello sguardo, di certo non si sarebbe mai tirato indietro e per la prima volta in vita sua, si era cimentato anche in quel lavoretto domestico. “- Sono felicissimo che mio figlio sia così sereno con Violetta, lo vedo così cambiato in meglio!” sorrise l’uomo, sistemandosi le maniche della camicia, ancora arrotolate sino all’avambraccio. “- Sì, se lo merita. Ha bisogno di essere felice dopo tanto dolore… e anche tu devi esserlo.” Sussurrò quasi la donna, perdendosi, come ogni volta, in quegli occhi neri come la pece che le provocarono un brivido lungo la colonna vertebrale che la scosse dalla testa ai piedi. “- Chissà se riuscirò mai ad aiutarlo anch’io in questo ‘percorso per la felicità’…” mormorò il bruno abbassando gli occhi sul pavimento, con aria rammaricata… sapeva che, ogni notte, riusciva a far star male sé stesso e il suo adorato figliolo salendo in quella soffitta e riaprendo ferite troppo grandi per entrambi… non avrebbe mai e poi mai vederlo soffrire, ma non riusciva ad evitare di andare lì… eppure ora che c’era Angie nella sua vita era diverso, sentiva che poteva aiutarlo e avrebbe superato quell’ultimo ostacolo per raggiungere, forse, la serenità. “- Ti posso chiedere un favore?” azzardò d’un tratto, guardando distrattamente l’orologio: era l’una di notte e, di colpo, sentì una grande agitazione montargli dall’animo alla testa, per poi coinvolgere tutto il suo corpo. “- Certo, tutto quello che vuoi.” Sorrise la bionda, accarezzandogli dolcemente una guancia per rassicurarlo, leggendo nel suo sguardo fin troppo nervosismo. “- Stanotte non voglio… salire. Devo farlo per me ma soprattutto… per Leon.” Disse, alzando gli occhi al cielo per farle capire a cosa si riferisse. Angie si morse nervosamente il labbro inferiore, annuendo con decisione: era dalla prima volta che aveva saputo di quella vicenda della mansarda che glielo avrebbe voluto dire, quella situazione danneggiava sia lui che suo figlio, e alla fine, ci era arrivato da solo come aveva sospettato. “- Tu non la dimenticherai, Pablo non devi farlo e nessuno ti chiederebbe mai una cosa del genere. Lei ci sarà per sempre nel tuo cuore e se non sali, allo stesso tempo farai del bene a te e Leon… dovete provare ad andare avanti. Però se a te fa stare così bene andare di sopra e… parlarle… beh, nessuno potrà mai giudicarti per questo.” La voce dell’istitutrice era tesa, eppure gli stava parlando con il cuore in mano, certa di quello che stesse affermando. “- Angie, se non inizio ad allentare questo rapporto morboso con… delle foto, dei ricordi… non potrò mai guardare al futuro: mio figlio non merita più tanto dolore e tu meriti un uomo… normale, che non ti faccia sentire in competizione con una stanza vuota e polverosa. Angie io ti amo, credimi… e voglio solo essere felice con te.” sorrise, prendendole il volto tra le mani e perdendosi come sempre in quelle profondità smeraldo che erano i suoi occhi. “- D’accordo, se vuoi ti aiuterò… vieni con me.” Sorrise la donna, che nell’udire quelle tre parole così dolci sentì la terra tremarle sotto ai piedi: tese la mano all’uomo e, con passo leggiadro, lo condusse verso la sua stanza e quella di Violetta che intanto dormiva al piano di sotto con Leon. “- Non devi varcare quella soglia fino a domattina.” Sentenziò la donna con decisione, girando energicamente la chiave nella serratura con varie mandate. “- Mi sento preso in ostaggio.” Scherzò il moro, sedendosi sul bordo del letto seguendo con lo sguardo la bionda che, mettendo anche una sedia davanti alla porta, si apprestò a fare lo stesso, affiancandolo. “- Sarai il mio ostaggio.” Sentenziò lei, sporgendosi verso di lui con un luminoso sorriso che irradiò quasi tutto intorno a sé, nella camera illuminata solo dalle due abatjour sui comodini che davano una fievole luce arancio. “- Se devo essere sincero, n-non mi dispiace…” riuscì a balbettare lui, in vistoso imbarazzo per la situazione: in piena notte, Angie accanto a lui seduta sul grande letto matrimoniale e l’amore sconfinato che provavano l’uno per l’altra… diventò paonazzo al solo pensiero di quel momento e a ciò che sarebbe potuto accadere, ma ogni sua riflessione, ogni suo ragionamento svanì quando, la bionda, gli si avvicinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio: “- Pablo, conta su di me. Ti amo anch’io e voglio che sappia che sarò sempre dalla tua parte, sempre.” Quello era ciò che aveva bisogno di sentire, un appoggio su cui poter contare che gli era mancato da tempo, avendo vissuto nella solitudine più totale per anni, pur essendo circondato da molte persone… erano mesi che la conosceva eppure ancora non si spiegava come facesse la donna a leggerlo nel pensiero come nessuno: non seppe dire il perché ma a quelle parole incoraggianti, sentì l’impulso di attirarla a sé e baciarla con passione, per percorrere, con le sue mani, ogni centimetro della sua schiena mentre lei ricambiò con trasporto a quel gesto. Ad un tratto si staccò, sentendosi colpevole di ciò che aveva fatto: poteva essere stato guidato dall’istinto, lui, l’uomo più razionale e riflessivo del pianeta? Era il momento giusto o sarebbe riuscito a rovinare tutto? Lei voleva semplicemente aiutarlo e, in quell’attimo baciarla così, era corretto? Stava forse sbagliando? La Saramego prese a fissarlo, più sconvolta che dispiaciuta, era evidente che non si aspettasse quel brusco fermarsi da parte sua in quel momento così passionale.  “- Scusami, perdonami sul serio…” balbettò Pablo, nervoso come mai in vita sua, alzandosi e cominciando a camminare avanti e indietro come un’anima in pena per la camera. “- Non devi scusarti, non mi è affatto dispiaciuto quel bacio, dico davvero.” sussurrò la bionda, scattando in piedi e avvicinandolo con passi leggeri: gli si parò contro e lo fermò per le spalle, facendo sì che i suoi occhi si incatenassero a quelli del bruno. “- Se ci amiamo non facciamo del male a nessuno…” Mormorò ancora lei, prendendogli il volto per poi, lentamente, avvicinare le sue labbra a quelle dell’uomo che, sorpreso, ricambiò con foga a quel bacio, tanto dolce quanto passionale: si staccarono solo quando rimasero entrambi senza fiato, eppure, guardandosi intensamente, lessero a vicenda che non potevano fermarsi lì, la mente non ragionava più, c’era solo il cuore a comandare incontrastato e fu un bene che avesse preso lui in mano le redini delle loro azioni. Angie, con mani tremanti, gli allentò il nodo alla cravatta e, piano, sbottonò la camicia al moro, diventata un intralcio sin troppo fastidioso. “- Ti amo…” soffiò lui, tra i suoi capelli al profumo di miele che riusciva a farlo sragionare decisamente troppo, per poi cominciare a sua volta ad armeggiare con la cerniera dell’ abito a fiori di lei, depositandole alcuni baci roventi ma leggiadri sul lembo di pelle che scendeva dall’orecchio al collo, sino alla spalla scoperta, fatta eccezione per la sottile bretella del vestito. “- Io di più…” sussurrò la donna, continuando a baciarlo affondando le sue dita sottili tra i capelli corvini dell’uomo che, piano, prendendola delicatamente tra le sue braccia, riuscì a condurla sino al letto: non riusciva a pensare, era come se la sua mente fosse andata in standby, cosa fin troppo inusuale per un uomo come lui… eppure l’unica cosa che riusciva a sentire forte e chiaro era il battito cardiaco che accelerava sempre di più, come in una danza forsennata. La Saramego avvertiva la medesima sensazione… cosa le stava accadendo? Non lo sapeva, non riusciva a realizzare che quello che succedeva in quella stanza, su quel letto, con l’uomo che amava… eppure si sentiva fin troppo felice, e più sfiorava Pablo, più lui le sussurrava qualche parola dolce, più era certa di star facendo la cosa giusta. Fu una notte magica per entrambi, sentivano il bisogno di stare insieme, di amarsi fino in fondo e non ci fu nessun pensiero, nessuna preoccupazione a disturbare le loro menti. Nulla se non un desiderio sconfinato di sentirsi completamente l’uno dell’altra, di viversi senza timori: no, non c’era spazio per quelli, almeno fino al mattino dopo erano liberi, finalmente liberi di stare insieme.
 
 
Le prime luci dell’alba filtrarono dalla finestra e colpirono in pieno il volto di Galindo che, strizzando gli occhi, fu piacevolmente sorpreso della scena che si ritrovò di fronte: sul suo petto dormiva Angie, la chioma bionda sparsa sul candido lenzuolo bianco che la copriva e l’aria serena… era perfetta, non aveva mai amato tanto dopo aver perso la sua… Clara. Il pensiero della donna lo raggelò e, solo in quel momento, si sentì in colpa per quello che aveva fatto, l’aveva… tradita. Ecco, forse con Jackie non si era mai preoccupato di ciò perché non l’aveva mai realmente amata come invece ora amava la Saramego, come aveva amato solo sua moglie. Si portò una mano alla fronte e si scompigliò il ciuffo corvino ma, avvertendo il movimento, Angie cominciò a risvegliarsi lentamente, sollevando il capo e specchiandosi negli occhi scuri del bruno che, istintivamente, le sorrise ma con aria tesa. “- Buongiorno…” sussurrò lei, depositandogli un bacio sul petto. Pablo rabbrividì a quel contatto e prese ad accarezzarle i capelli dolcemente, sperando di allontanare quei maledetti sensi di colpa che lo attanagliavano: perché diavolo non riusciva ad essere felice? Che male aveva fatto per riuscire a rovinarsi sempre tutto da solo? “- Cos’hai?” Doveva aspettarselo. La Saramego riusciva a leggerlo sempre nella mente, le bastava uno sguardo per capire tutto ciò che provava, che sentiva… le cose erano tre: o lei era una maga, o riusciva perfettamente a comprenderlo, oppure lui era talmente un libro aperto che era chiarissimo cosa gli passasse nella testa.  “- Niente.” Soffiò lui, depositandole un bacio tra la folta chioma bionda come per tranquillizzarla. “- Certo, come no… pretendi che ti creda? A me non mi inganni, Galindo.” sentenziò Angie, mettendosi seduta, stretta nel lenzuolo e fissandolo con aria sicura. “- Io so cos’hai…” sussurrò poi, abbassando gli occhi e facendo portare anche lui nella sua stessa posizione, con le spalle però poggiate alla testiera del letto. “- Ho paura di aver fatto un… una sorta di…” “- Errore. Dillo.”. La voce della donna era seria, eppure non sembrava arrabbiata, come se sapesse che quello sbaglio non fosse stato nei suoi confronti, non perché non l’amasse… bensì rispetto a qualcun altro. “- No, non volevo dire questo. Angie, io ti amo più della mia stessa vita ed erano anni che non passavo una notte meravigliosa come questa.” Il tono di Galindo era quasi ridotto ad un mormorio, come se avesse paura di sbagliare le parole che voleva dirle. “- Ma?” chiese la bionda, sgranando gli occhi senza staccarglieli nemmeno per un secondo da dosso… c’era di sicuro un ‘ma’, lo sentiva. “- …Ma evidentemente ho paura. Angie ho paura di sbagliare, di andare avanti, di non poterti rendere felice come meriti di… rovinare tutto a causa di quello che… che sono. Io sono quello che vedi, amore mio… quello che si sente in colpa per ogni minima sciocchezza, che viene scansato con molta cura dalla serenità, come se non la meritasse e voglio che tu abbia la vita che ti spetta, una vita meravigliosa… eppure a questo punto non so se io, per quanto voglia con tutta l’anima, sia in grado di dartela.” Lo sguardo della donna, da freddo qual era, diventò di colpo dolce e comprensivo… come pensava: si sentiva in difetto nei confronti di sua moglie, e pensò fosse normalissimo, per quanto lei fosse già morta da anni il ricordo nel cuore dell’uomo era ancora vivido. “- Dopo di lei io non avevo più amato davvero ed ora con te ci sono riuscito, capisci? E’ come se mi sentissi un po’… a disagio nell’essere finalmente felice. So che ti sembrerà contorto ma è così.”. A quella frase la donna non poté fare altro che sorridere teneramente e prese ad accarezzargli una guancia delicatamente. “- Smettila di dire il contrario, tu sei un uomo straordinario e meriti la felicità… ed io sarò felice solo accanto a te. Non sentirti colpevole per averla trovata o riuscirai a rovinarti questa gioia. Pablo, ti amo anch’io e voglio starti accanto… ora e sempre. Il nostro amore non devi considerarlo uno sbaglio… amare non è mai un errore e noi ci amiamo, e tanto.” La voce melodiosa e pacata di Angie riuscì come al solito a tranquillizzarlo e, finalmente, si sciolse in un sorriso luminoso. “- Sai sempre cosa dire al momento giusto, prima o poi mi spiegherai come ci riesci?”  esclamò, attirandola a sé per ristendersi come quando si erano svegliati. “- Ti amo, ecco tutto.” Soffiò lei, sollevando lo sguardo per specchiarsi ancora in quegli occhi scuri e teneri che tanto adorava. “- Io di più, credimi.” Sussurrò lui, finalmente più sereno; aveva superato la notte senza salire in soffitta… ce la poteva fare e con la donna che amava al suo fianco era sicuro che sarebbe riuscito a guardare avanti, al suo futuro che, ovviamente, voleva fosse accanto alla sua dolce Angie.
 
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Lo so, lo so… non a tutti piace la Pangie… come ormai saprete però, io li amo e scusatemi ma questo capitolo glielo dovevo da quando ho iniziato praticamente a scrivere fan fictions… xD :3 Intanto i nostri Leonettosi hanno fatto pace, il catalogo è stato bruciato e hanno dormito abbracciati sul sofà! Yreyryr Aw! :3 Ah, e non dimentichiamo che il nido di cornacchie ha emigrato! Olé! xD Bene, lascio a voi i commenti, io sono ancora in fase scleri… ciao e grazie a tutti! :)

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Capitolo 21
*** Avvicinamenti inaspettati... ***


Jackie camminava nervosamente per il centro di Buenos Aires a passo rapido, diretta verso uno degli edifici più alti e imponenti della capitale, la sede principale delle imprese Casal. “- Non posso credere che quella istitutrice da quattro soldi sia riuscita a portarmelo via, che sia riuscita a rovinare tutto…” pensò tra sé e sé, specchiandosi con la coda dell’occhio in una vetrina di gioielli preziosi che, inevitabilmente, aveva attirato la sua attenzione. Era passata già una settimana da quando Pablo l’aveva praticamente cacciata di casa e non riusciva a farsene una ragione: come aveva potuto farle una cosa del genere? Sapeva che voleva rimpiazzarla, sapeva che la causa di tutto fosse Angie e l’amore che Galindo, probabilmente, aveva iniziato a sentire da un po’ per l’altra ma, dopotutto, non si spiegava come il destino avrebbe potuto giocarle quel brutto tiro. Il suo piano per stare con lui era andato in frantumi, e non osava pensare a come l’avrebbe presa Gregorio… sicuramente le avrebbe dato dell’inetta, sicuramente, come al solito, si sarebbe infuriato e, in effetti, non avrebbe neanche avuto tutti i torti: la sua, in quella villa, era una missione bella e buona: con che coraggio lo avrebbe potuto affrontare ora che ne era fuori? In fondo a lei comunque non dispiaceva stare con il ricchissimo Galindo e averlo perso la mandava su tutte le furie… in più, però, era sicura che Casal l’avrebbe aiutata a togliere quella biondina dai piedi a lei e, facendolo, avrebbe favorito anche lui stesso e le sue strategie.
Nell’ascensore affollatissima dell’enorme palazzone la bionda si poggiò con lo schienale allo specchio e sentì le gambe tremarle… la rabbia che montava in lei era incredibile, quella Angie gliel’avrebbe pagata ed era certa che, se Gregorio inizialmente se la sarebbe presa a morte, poi l’avrebbe aiutata nella sua vendetta micidiale. Quando finalmente quell’aggeggio infernale giunse al nono piano, la donna riuscì di nuovo a prendere fiato, nervosa com’era da quella visita a Casal e, prendendo ad avventurandosi in quell’enorme corridoio che conosceva fin troppo bene, fatto di tante porte e pochi ornamenti ad abbellirlo, il che rendeva il luogo piuttosto tetro, sperò con tutte le sue forze che il suo socio non avrebbe preso troppo male quella notizia che doveva dargli.
“- Vieni, accomodati… sapevo che saresti venuta, prima o poi…” L’ultima porta, la più grande e maestosa del piano, era leggermente socchiusa e Gregorio invitò ad entrare subito la Saenz che non riuscì a capire come avesse fatto a vederla, essendo seduto sulla sua grande poltrona, girata verso la parete frontale all’ingresso, che consisteva in un’enorme finestra da cui si scorgeva praticamente tutta la città. “- Cos’hai gli occhi anche dietro la testa, ora?” sbottò ironicamente Jackie, mentre lui, come un falco pronto a planare sulla sua preda, si voltò di colpo con un ghigno astuto e prese a fissare la bionda che, con aria stanca, si lasciò cadere sulla sedia davanti alla sua grande scrivania. “- Immaginavo che fossi tu, a quest’ora poi… e non avevo alcun appuntamento previsto, quindi... intuito, Jacqueline cara…” La voce di Casal era quasi ridotta ad un sibilo da far accapponare la pelle ma la donna restò impassibile, ostentando la sua solita sicurezza sperando di non mostrare il timore che aveva nel dovergli dire quella novità, riguardante l’allontanamento da villa Galindo. “- Dobbiamo parlare da un po’, ti ho chiamato varie volte e non ti sei fatta viva.” sbottò ancora Gregorio, richiudendo dei fascicoli di fronte a sé e fissando, sott’occhio, il volto della donna impallidire leggermente. “- Ho avuto da fare.” Sentenziò, accavallando le gambe per dissimulare il loro tremore. Quell’ufficio era così grande che le loro voci riecheggiavano potentemente come nel bel mezzo di una vallata e il tutto era grigio e spento, senza alcun quadro o soprammobile a rendere più luminoso quell’ambiente fin troppo essenziale. “- Quello che dovevo dirti io era di sicuro più importante, non ho alcun dubbio su questo.” Ora il tono di Casal era fermo e glaciale ancor più di prima e, lentamente, si sporse sul tavolo che lo separava dalla sua interlocutrice che, accuratamente, tentava di evitare il suo sguardo indagatore… possibile che sapesse già del suo allontanamento da Pablo? O c’era dell’altro? “- Sempre modesto! Chi ti dice che ciò a cui mi dedico io sia di minor valore?” Jackie, finalmente, lo fissò intensamente e un ghigno fastidioso si dipinse sul suo volto. “- Lo so e basta… sei inutile! Incredibilmente inutile, Jacqueline!” A quelle parole, la bionda scattò in piedi quasi avesse preso la scossa, troppo stizzita per quell’affronto. “- Che diamine vuoi? Non è colpa mia se Pablo mi ha lasciata! Prenditela con quella istitutrice da quattro soldi! Ah ma io la rovino, fosse l’ultima cosa che faccio!” Nel sentire quella frase, l’uomo sbiancò visibilmente e il suo sguardo non era più stizzito, quanto piuttosto sconcertato da ciò che aveva appena udito… “- Che significa che vi siete lasciati? E… e… il piano?” riuscì a balbettare, portandosi una mano alla fronte: la Saenz rimase sconvolta a sua volta… quindi non lo sapeva? E a cosa si riferiva lui, allora per darle dell’inetta in quella maniera? “- Scusami, ma allora tu cosa intendevi?” chiese lei stizzita, preoccupandosi però gravemente… c’era dell’altro per cui l’uomo voleva vederla con tanta insistenza, era evidente… ma non sapeva ancora nulla della sua rottura con Pablo, beh… almeno fino a quell’istante. “- Io… io non so cosa fare con te! Sei forse impazzita? Come ti è saltato in mente di farti fregare il posto nel cuore di Galindo? Lo avevamo in pugno, Jackie!!!” La donna si incupì al solo pensiero che quella Angie le avesse rubato tutte le attenzioni di quell’uomo e scosse il capo, ormai con i nervi a fior di pelle. “- Io non lo so! Ma si puo’ sapere allora di cos’altro volevi parlarmi?” Jackie tentò di deviare il discorso su qualcos’altro e ci riuscì ma la cosa non giovò comunque a suo favore considerato l’argomento spinoso. “- Ti sei fatta scaricare da quell’idiota! Sei una buona a nulla, Jackie! Io ancora non posso crederci!” sbottò per l’ennesima volta l’altro, facendo sì che lei ruotasse gli occhi, fin troppo annoiata e già nervosa di suo per sentire ancora quella predica. “- Smettila! Mi dici tu cosa volevi oppure me ne devo andare?” sentenziò con tono di chi avesse dato un secco ultimatum, con l’effetto di far accigliare Casal che, prontamente, iniziò a scavare in un cassetto sotto alla sua scrivania. Gregorio ne estrasse una cartelletta rigida di un verde bottiglia acceso e la sbatté con foga davanti agli occhi sconvolti di Jackie che, prontamente, l’afferrò e l’aprì: un solo foglio faceva bella mostra di sé da una bustina di cellophan per raccoglitori. “- Cos’è questa?” chiese lei, troppo stizzita anche per mettersi a leggere. “- Questa… è la prova cartacea che sei un’incapace!” l’urlo di Casal fece sobbalzare la Saenz che, confusa, riuscì a focalizzarsi sulle prime frasi di quel documento. “- Sono dovuto venire a sapere da altre fonti che Pablo ha aiutato la Parodi e che sono ritornati soci! Ti sembra normale? Tu a cosa diavolo pensavi in quella villa? Lo dobbiamo rovinare, chiaro? Come puoi essere tanto sciocca!”. Jackie non poteva credere alle sue orecchie… davvero era riuscita a perdersi un dato così importante? Davvero le sue incontrollabili gelosie e il suo amore per le ricchezze di Galindo l’avevano distratta dalla sua missione? Se era in quella villa doveva rispettare il volere di Casal, erano alleati e se lei doveva far invaghire Pablo, allo stesso tempo doveva riuscire a fare da spia interna nella sua grande casa in modo da aiutare Gregorio: insomma, lei ci guadagnava le attenzioni di Pablo e i soldi di Casal e lui, invece, riusciva ad avere qualcuno che lo informasse in anticipo sulle mosse del suo acerrimo nemico prima ancora che potesse compierle, per poi riuscire a rovinarlo del tutto e pagare come da accordo anche la sua socia. “- Io… io non sapevo nulla, mi dispiace.” Riuscì a giustificarsi ma gli occhi dell’uomo emanavano scintille e l’avrebbe incenerita con un solo sguardo se solo avesse potuto. “- …E’ colpa di quella Angie! Sono stata distratta dalla gelosia… non che ami più di tanto Galindo ma si tratta di principio!” sentenziò la bionda, agitando le braccia furiosa. “- …E alla fine comunque ti sei fatta soffiare Pablo da sotto al naso, congratulazioni!”. Casal non usava mai mezzi termini e anche quella volta riuscì, ironicamente, a dirle tutto ciò che secondo lui, la donna meritasse di sentire. “- Senti, dobbiamo fare qualcosa… se vuoi continuare a fare terra bruciata intorno a Galindo hai bisogno di me in quella casa, ed io ho bisogno dell’istitutrice fuori di lì.” in fondo, da quando aveva messo piede in quell’edificio, la volontà di Jackie era stata quella di far cacciare a pedate la Saramego da quella villa, e ovviamente, l’aiuto del potente Gregorio le avrebbe solo potuto giovare: quella frase, detta con tanta secchezza e glacialità, in effetti, portò subito a riflettere l’uomo che incrociando le braccia al petto e poggiandosi allo schienale della sua poltrona, cominciò a pensare sull’idea della Saenz. “- D’accordo. E come pensi di sbarazzarti di questa donna? Hai qualcosa in mente o come al solito dovrò occuparmi di tutto io, cervello di gallina?”. Il silenzio che calò nella stanza rese ancor più tetro l’ambiente e sul volto di Jackie si fece largo un ghigno malefico che venne colto al volo dal suo interlocutore,facendole incassando quell’ennesima cattiveria ormai quasi con noncuranza. “- Nessuno sa nulla di lei di preciso… dovrà pure avere qualche scheletro nell’armadio, non puo’ essere così perfetta, così angelica!” esclamò stizzita al solo dover parlare di quella donna… risentimento talmente evidente che subito fu compreso da Gregorio, il quale abbozzò una mezza risata. “- …E di sicuro non lo sarà! Magari c’è qualcosa che la potrà far odiare agli occhi di quell’inetto… quanto lo detesto, non immagini neanche! Ho perso quel Club solo a causa sua… Antonio preferì lui a me! Ah! Assurdo!” sbottò irato Casal, lisciandosi il mento con aria però pericolosamente astuta. “- Ecco, bravo! Che poi io comunque non capisco quest’astio che hai nei confronti di Pablito! Non rovinarmelo troppo sin da subito, però! io voglio prima un matrimonio regale, sappilo! Piuttosto, scava nel passato di quella donna, e vedi di trovare qualcosa di utile… io lo so che tu hai tutti i mezzi per sapere vita, morte e miracoli di Angeles Saramego.” Sentendo quel nome l’uomo subito se lo annotò, per una volta avrebbe seguito l’idea della bionda, anche se, pur sempre per i suoi interessi. “- Non fare altri danni, se domani parteciperai a quella cena del galà di beneficenza vedi di non complicare le cose… io non ci sarò quindi non potrò essere lì a farti da balia!” La voce di Gregorio ritornò serissima ma sarcastica e la donna annuì, inarcando un sopracciglio… la considerava così stupida? Beh, purtroppo ormai su quello non aveva dubbi, ma Casal ignorava quanto fosse malvagia e vendicativa… “- Non temere… non lo farò.” Sentenziò con tono fermo e glaciale, ghignando nuovamente con soddisfazione… in realtà un’idea, nell’attesa di quelle informazioni su Angie, ce l’aveva già… e l’avrebbe messa in pratica proprio durante quella serata elegante.
 
 
“- Papà, sono alcuni giorni che ti vedo… diverso.” La voce di Leon, steso su una sdraio a bordo piscina dell’enorme villa Galindo, fece quasi sobbalzare l’uomo, seduto come al solito a lavorare sotto ad un gazebo poco distante dal figlio. Poteva aver capito che stesse così perché la sua felicità dovuta all’aver trovato l’amore con Angie era più evidente di quanto potesse immaginare? In effetti era vero: anche lui da quando stava insieme alla donna si sentiva molto differente… era semplicemente al settimo cielo e non riusciva ancora a realizzare di aver raggiunto, finalmente, quella serenità che gli mancava da anni. “- Sono sempre il solito, perché me lo chiedi?” A quelle parole, Leon si alzò di colpo e si mise a sedere con aria astuta e un sorrisino che gli si increspava le labbra. “- Papà…?” Lo chiamò con tono furbo, quasi come se volesse prenderlo in giro. “- Che c’è, figliolo?” chiese l’uomo, alzando gli occhi dalle sue innumerevoli scartoffie e incrociando quelli verdi e malandrini del ragazzo. “- Non è che tu… tu ed Angie…?”La voce del ragazzo era pacata ma riuscì ad agitare palesemente Pablo che, balzando in piedi nervosamente, fece cadere rovinosamente al suolo un plico di fogli, facendone finire la metà direttamente a pelo d’acqua. “- Dannazione!” Imprecò il moro, inginocchiandosi per recuperare il tutto, con le risate del figlio come sottofondo. “- Papà non sono uno stupido, si vede che tra voi c’è qualcosa, per quanto vogliate evitare di ammetterlo!” Lo incalzò Leon, avendo l’effetto di farlo diventare ancor più rosso fuoco, fino alla punta delle orecchie. In quei giorni, Pablo ed Angie si erano sempre nascosti, evitando di far notare agli altri abitanti della casa quanto si fossero avvicinati… il ragazzo, di norma, disapprovava chiunque occupasse il posto della madre nel cuore di suo padre, ma, sfortunatamente, non gli si poteva mai nascondere nulla… e al fatto che tra lui ed Angie ci fosse qualcosa, c’era ovviamente arrivato da solo. L’uomo avrebbe voluto dirglielo con calma di sua spontanea volontà, tenendo la sua relazione segreta ancora per qualche giorno, ma forse era stato un bene che il giovane lo avesse intuito da sé, almeno gli avrebbe facilitato il compito e non avrebbe perso altre notti insonni a cercare le parole giuste per affrontarlo. “- Leon se per caso… beh se io… e… e Angie… insomma se tra noi ci fosse qualcosa, come dici tu… ti darebbe fastidio?” il balbettare di Galindo senior accreditò ancor di più le ipotesi del figlio che, alzandosi, lo avvicinò, e mentre il bruno era ancora al suolo cercando di raccogliere quelle carte, lui gli lasciò intendere, con un cenno del capo, di mettersi in piedi, cosa che il moro, prontamente, fece. “- Papà, io adoro Angie… mi spieghi perché dovrebbe darmi fastidio? E poi con Jackie che detestavo non mi hai mai chiesto cosa ne pensassi, come mai ora ti fai tanti problemi?” Le domande del giovane agitarono, se possibile, ancor di più il padre che si passò nervosamente una mano nel ciuffo corvino, scompigliandoselo. “- Forse perché sono cambiato io… ora voglio ascoltarti e… non voglio che il nostro rapporto si rovini come un tempo.” “- Se sei cambiato è grazie ad Angie, ed è anche per questo che quella donna mi piace tanto… è forte, decisa, eppure tanto dolce… è perfetta per te.”Il ragazzo non lo fece neppure terminare di parlare che subito fece capire quanto amasse la sua istitutrice: Pablo da quella frase, si rese conto che come al solito si era fatto stupidi problemi inutilmente… Leon approvava e, finalmente, si era tolto un peso dal cuore rivelandogli della Saramego, o meglio ricevendo la sua benedizione.
“- Buongiorno!” la voce di Angie li fece subito voltare verso la porta del retro da dove la donna stava arrivando, seguita da Violetta che subito lanciò un dolce sorriso a Leon che ricambiò, come imbambolato da quello splendore che era la sua ragazza: non poteva credere che, dopo tanto tempo, avesse trovato l’amore della sua vita, quella che gli faceva battere il cuore davvero, non come quella miriade di giovani con cui era stato… lei era così speciale, così meravigliosa… mai nessun’altra avrebbe contato nella sua vita, voleva solo stare con Violetta, sempre. “- Dobbiamo andare a fare lezione, giovanotto! E’ inutile che ti sistemi come una lucertola a prendere il sole!” L’ordine dell’istitutrice fu prontamente rivolto al figlio di Pablo che, sbuffando, ruotò gli occhi al cielo, stufo ma consapevole che avrebbe dovuto arrivare a prendere almeno quel diploma, a cui aveva iniziato a tenerci davvero tanto. “- Non possiamo spostare le lezioni ad oggi pomeriggio?” La implorò letteralmente il ragazzo, facendo sì che lei lo guardasse in cagnesco ma restando in silenzio. “- Silenzio è assenso, dunque io mi butto in piscina ma ti prometto che oggi studio!” sorrise, andando poi incontro a Violetta che ghignava alla sinistra di Angie. “- Ti andrebbe di venire con me a fare un bagno? Oggi ci saranno almeno quaranta gradi!” rise, guardandola attentamente negli occhi con un brillio emozionato, sfiorandole piano una guancia con una carezza, sotto lo sguardo sereno, seppur alquanto sorpreso, del padre: mai il ragazzo si era rivolto così dolcemente ad una coetanea, mai l’aveva osservata così intensamente, rivolgendole tutte quelle tenere attenzioni… anche lui stava cambiando, ed era solo grazie a Violetta. “- Certo che mi va, altrimenti non sarei scesa in costume!” rise lei, mostrando, al collo, i laccetti del suo bikini fucsia che sbucavano da sotto alla t-shirt. “- E allora vieni! Così ti insegno a nuotare come si deve!” ghignò lui, prendendole la mano e facendola però bloccare, piantando i piedi al suolo: “- E chi ti dice che non sappia nuotare?! Ti devo ricordare come andò a finire con il golf?!” Sghignazzò lei, avendo l’effetto di far scoppiare a ridere anche lui. “- Perdono, hai ragione! Sarai sicuramente una perfetta sirenetta!” esclamò, allacciandogli le braccia alla vita e depositandole un bacio leggero sulle labbra che lasciò stupita la giovane. Violetta, prontamente, si voltò poi verso Angie: la bionda sapeva che stessero insieme e infatti non fece una piega, limitandosi a sorriderle e a farle l’occhiolino, mentre Pablo era quello più sorpreso, all’oscuro del fatto che ci fosse storia tra i due giovani. “- Ti sei perso qualcosa, vero?” sussurrò la Saramego all’uomo, sedendosi accanto a lui all’ombra del gazebo. “- Stanno insieme? Sul serio?” chiese, confuso ma felice. “- Ah! Mi deludi, Galindo! Ti facevo più sveglio! Davvero non l’avevi capito?” rise la bionda, guardandolo negli occhi scuri con una grande voglia di baciarlo… ma dovette trattenersi: sperava di poterlo amare presto alla luce del sole… in fondo però Pablo aveva ragione, la sua situazione e quella del figlio non era facile e sarebbe stato meglio se il padre vi avesse prima parlato con calma di quell’argomento. “- Leon invece ha capito di noi due.” A quella frase del moro la Saramego sgranò gli occhi, sorpresa: ok, sapeva che il ragazzo fosse furbo ma… come diamine lo aveva potuto sapere calcolando che nemmeno Violetta avrebbe potuto dirglielo, essendo anche lei all’oscuro della faccenda? Ora di sicuro avrebbe lui detto tutto anche alla giovane e… a interrompere il flusso dei suoi pensieri, però, fu ancora Pablo: senza pensarci due volte le prese il viso tra le mani e la baciò, fregandosene di tutto, allontanando ogni negatività o riflessione di troppo, assaporando solo quell’attimo così magico. “- LO SAPEVO!” L’urlo di Galindo junior li fece sobbalzare e la Saramego si staccò di colpo, con le guance tutte rosse e mordendosi nervosamente il labbro inferiore, correndo verso una sdraio. “- ANGIE! POTEVI ANCHE DIRMELO!” La voce che seguì fu quella della La Fontaine che si arrampicò e si sedette sul bordo della vasca con aria sognante. “- Smettetela, mi mettete in imbarazzo!” Sdrammatizzò la donna, alzandosi di colpo per andare a stendersi su uno dei lettini al sole. “- E poi anche voi avete qualcosa da dirci, o sbaglio?” Galindo senior, finalmente, mandò al diavolo quel lavoro che stava facendo e si alzò con un sorriso furbo, sotto lo sguardo soddisfatto della fidanzata per andare ad accomodarsi accanto a lei. “- Papà, pensavamo lo avessi capito!” A quel punto, quella che divenne paonazza fu Violetta che, per dissimulare la sua agitazione, subito si buttò in acqua, prendendo a nuotare distrattamente verso il lato opposto della vasca.
“- Stiamo insieme e la amo tanto… come vi amate voi due, no?” Esclamò, con tono fermo e sereno, il giovane, facendo annuire l’uomo che ricambiò con un altro sorriso, seppur più imbarazzato. Violetta, non potendo più proseguire, riemerse e si ritrovò proprio accanto al fidanzato che le circondò le spalle con un braccio, come per tranquillizzarla: Leon la capiva al volo, era un dato di fatto… e poi quella frase che aveva detto qualche minuto prima le faceva tremare il cuore: anche lei lo amava alla follia e, ripensando a quelle parole, poggiò prontamente la testa sul suo petto bagnato che la strinse maggiormente a sé. Quell’atmosfera splendida riusciva finalmente a rendere le vite di tutti e quattro più serene, erano felici, felici come mai prima di allora… se avessero dovuto descrivere la felicità con una sola parola, in quell’istante, erano certi che avrebbero deciso che all’unanimità, sarebbe stata: amore.
 
 
La sera era calata e la discoteca del Country Club stava aprendo le sue porte proprio in quegli istanti al suo pubblico. Considerando che di lì a poco quel posto si sarebbe riempito di ragazzi scalmanati e musica assordante, Francesca assaporava con piacere quegli ultimi momenti di serenità prima che la bolgia infernale la travolgesse e attendeva Luca e Camilla, ancora fermi a parlare con dei fornitori del locale, fuori, nel parcheggio. L’italiana, dal canto suo, aveva preferito allontanarsi un po’ per starsene da sola e di conseguenza si era avviata al luogo in cui avrebbe dovuto passare tutto il resto della nottata. Come adorava quel posto quando ancora era vuoto e silenzioso! Avrebbe tanto voluto che fosse rimasto così anche per le ore successive, ma fu inutile anche solo immaginarlo, sapeva come avrebbe concluso quella giornata di lavoro, con il solito mal di testa martellante che l’attanagliava sin troppo spesso. Ancora non poteva credere di aver chiuso con Marco… ok, erano rimasti buoni amici come d’accordo ma il suo pensiero fisso era solo uno: era finito tutto anche a causa di Federico, oltre che per quella di Ana? Poteva amare ancora quell’essere così malvagio e irritante? Sbatté la porta alle sue spalle per evitare di pensarci e si diresse dietro al bancone per cominciare a riaccendere le luci e riordinare quel po’ di cose fuori posto lasciate da lei e suo fratello… forse lavorando si sarebbe potuta distrarre, evitando di pensare al fatto che avrebbe sicuramente rischiato di rivedere ancora quel brutto muso di Bianchi che, tra l’altro, mancava al locale da qualche settimana, precisamente da quando lei si era baciata nello stesso luogo con Tavelli… che fosse geloso? In fondo all’Università evitava accuratamente di incrociarla e il fatto che snobbasse la discoteca era fin troppo strano per il figlio del dottore… no. La Cauviglia scosse la testa come per allontanare il pensiero che fosse a causa sua, di certo Federico non era interessato a lei… forse era solo disgustato da quel bacio che si era data con Marco, disgusto che lei aveva scambiato per gelosia… allora perché evitarla? Dopo essere entrata sul retro del locale, Francesca si caricò tra le braccia una cassetta di frutta di ogni tipo e, faticosamente, ritornò dietro al bancone, poggiandola con aria stanca sopra al tavolo da lavoro. “- Ciao, Francesca.” Quella voce la fece sobbalzare e di colpo alzò gli occhi esterrefatta: era impazzita e si immaginava anche le persone adesso? “- Che vuoi? Siamo ancora chiusi.” Cosa diamine ci faceva Federico seduto proprio di fronte a lei? Lui abbassò gli occhi e annuì, giocherellando con una cannuccia che teneva tra le mani, vistosamente preoccupato e imbarazzato dalla situazione… e in effetti lo era, come non gli era mai capitato in vita sua. Il ragazzo era rimasto troppo scosso nel capire che Marco e Francesca stessero insieme e per notti non aveva dormito per riflettere sul perché si sentisse in quel modo. Quando li vedeva insieme, anche in Facoltà, la sua rabbia montava sempre più incontrollabile e non era nemmeno andato più al Country Club la sera, per evitare di doverli vedere, come quell’ultima volta in cui vi aveva messo piede… già era troppo vederli al mattino, non riusciva a reggerli in atteggiamenti affettuosi anche quando andava in discoteca unicamente per divertirsi… solo dopo molti giorni era arrivato ad una conclusione, e non era stato per niente facile ammetterlo a sé stesso, orgoglioso com’era soprattutto in amore, a patto che, prima di quell’istante, l’avesse mai conosciuto. “- Devo parlarti.” Sentenziò serissimo Bianchi, risollevando gli occhi e specchiandosi in quelli neri e dolci della giovane, per quanto, in quel momento, non avessero nulla di tenero ma fossero piuttosto irati. “- Non abbiamo nulla da dirci, la ‘cameriera Francesca’ ha molto da fare.” Sbottò, dandogli le spalle per ritornare sul retro, venendo però seguita dall’italiano che si recò anche lui in quella saletta, essendo scattato in piedi quasi avesse preso la scossa nel sentire quella frase. “- Per favore ascoltami almeno!” Federico, esasperato, riuscì a bloccare al muro la giovane che, sentendosi in trappola, non poté fare altro che perdersi in quegli occhi castani che tanto adorava eppure, allo stesso tempo, sapeva di dover detestare. Bianchi, dal canto suo, tenendo le braccia salde e ferme alla parete e la giovane alquanto perplessa di fronte a sé, sentì un forte impulso che non poté placare: non sapeva dire cosa gli prese ma, rapidamente, avvicinò le sue labbra a quelle della mora che a quel contatto sgranò gli occhi sconvolta. Erano anni che Francesca sognava una cosa del genere, da troppo bramava quel bacio… lo sognava, immaginava, ci fantasticava… ma non poteva, non riusciva proprio a cedere all’amore, dopo tutto quello che Bianchi le aveva fatto, non poteva consentirglielo: senza sapere come, la ragazza trovò una forza sovraumana la quale gli permise di stampargli un forte schiaffo che risuonò per tutta la sala sul retro della discoteca. La ragazza lo colpì con talmente tanta energia che Federico si staccò di colpo e prese a massaggiarsi la guancia colpita con un ghigno di dolore. “- Scusami ma io… io non posso stare con te. Mi hai fatto troppo male, e credimi, quello schiaffo è nulla al confronto alle ferite che hai tu lasciato dentro di me.” La voce della giovane era serissima e fredda, la mano ancora le pizzicava e cominciò a sentirle gli occhi farsi lucidi improvvisamente. “- Hai ragione. Me lo merito.” Quelle parole, quello sguardo basso… la Cauviglia si sentì ancor più male e notò quando Federico sembrasse realmente addolorato, come se, avendo capito tutto il male che le aveva provocato in passato, si fosse pentito di ogni cosa. “- Meglio che vada, e perdonami, per tutto… ciao, Francesca.” Con quella frase, il giovane si avviò verso l’uscita dal retro per ritornarsene a casa, la coda tra le gambe e il volto in fiamme, soprattutto sul lato sinistro dove, la sagoma delle cinque dita della giovane, ancora faceva male come le parole della Cauviglia o forse meno di quelle… davvero era riuscito a farla soffrire così tanto? Ma quanto era stato stupido a lasciarsi scappare un gioiello di ragazza come Francesca? Di una cosa era certo: avrebbe fatto di tutto per provare a recuperare con lei, anche a costo di rimetterci l’orgoglio… l’amava ed era paradossale che, da un sentimento subdolo come era la gelosia, avesse capito quanto l’italiana fosse importante per lui.
 
 
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Eccoci al 21! Rivelazioni shock! Jackie e Gregorio sono alleati! E non è tutto… come vedrete! O.O E come mai lei rispetta i voleri dell’uomo? Ci sarà dell’altro sotto? E poi i nostri adorati Leonetta e Pangie… aw,solo scleri per loro in piscina! <3 Terzo e ultimo blocco per i Fedencesca ma volano ancora scintille… riuscirà Federico a conquistare il cuore della Cauviglia? Lo scopriremo più avanti! ;) Alla prossima e grazie a tutti, ciao! :)

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Capitolo 22
*** Mi mejor momento. ***


Angie si trovava al centro del gazebo della villa eppure, come l’ultima volta, sembrava avvolta da un ambiente ovattato e nebbioso, come se tutto intorno a lei fosse scomparso: c’era solo, alto tra quelle nebulose candide, un bell’arcobaleno che brillava di luce… quei sette colori così vividi fecero inevitabilmente restare la donna con il naso all’insù a fissarli… era come se il tetto di legno fosse scomparso e il cielo fosse un tutt’uno con quel posto così etereo. “- Eccoti Angie!” La voce, quella stessa voce di donna ascoltata tanto tempo fa, la fece quasi sobbalzare, presa com’era ad osservare quel soffitto scomparso che lasciava il posto alle nuvole e all’arco colorato. La donna era al centro della struttura, vestita sempre con la stessa luce dell’arcobaleno e le sorrideva dolcemente. “- Clara…” Balbettò la Saramego, incredula del fatto che fosse proprio lei, che la stesse rivedendo, le stesse riparlando… “- Sono così fiera di te, Angie cara… hai riportato la serenità in quella casa, in quei cuori gelidi come il ghiaccio e credimi, non potrei essertene più grata, a te come a Violetta.” Che melodia era il suono di quelle parole! L’istitutrice sorrise dolcemente, felice che anche la moglie di Pablo stesse approvando la sua relazione con l’uomo. “- Clara io… io lo amo… perdonami, ti prego!” una risata cristallina si impossessò prepotentemente delle sue orecchie e fu quasi come se, nell’udirla, ogni sua paura su quella storia scomparisse. “- E perché mai dovrei perdonarti? So bene che lo ami e credimi, lui ti ama a sua volta alla follia… quindi posso solo ringraziarti.” Quella frase con cui continuò a parlare la signora Galindo rassicurò davvero molto la Saramego che sentì quasi di essersi tolta un peso dal cuore. “- Vedo che non mi temi più come la prima volta, sono contenta!” A proseguire la conversazione fu ancora una volta Clara che fece arrossire debolmente l’altra… era così evidente che nel suo primo sogno sarebbe scappata per il terrore di trovarsi di fronte una donna morta 15 anni addietro? Evidentemente sì, eppure ora era più tranquilla, molto di più. “- Ma non sono qui per parlati di questo… c’è una cosa molto più importante che devo dirti.” A quelle parole, il volto della donna si incupì di colpo, l’arcobaleno scomparve e anche i colori della sua veste si affievolirono notevolmente, rendendo ancor più aurea la sua esile figura. “- Cosa?” Balbettò Angie, facendo un passo in avanti verso la sua interlocutrice. “- Il pericolo, Angie. Il pericolo è vicino…” sibilò quasi Clara, come se avesse quasi paura di pronunciare quelle parole. “- Il pericolo? Cosa è?” “- Non cosa… chi.” Ci tenne subito a mettere in chiaro la signora, indietreggiando e andando ad appoggiarsi quasi con la schiena alla ringhiera. “- Fai molta attenzione e non demordere mai… mai, capito?” Angie era in confusione come mai prima di quel momento… cosa significava quella frase? A chi doveva fare attenzione? “- Non demorderò.” Si limitò a dire, due semplici parole che sembrarono calmare anche la sua eterea interlocutrice. “- Dimmi qualcosa in più, te ne prego! Come farò altrimenti a guardarmi da questo pericolo?” La voce supplichevole della Saramego intenerì Clara che, a poco a poco, stava cominciando a svanire nell’aria. “- Vorrei ma non ne ho la possibilità… non posso interferire troppo con quello che accadrà, gli ostacoli dovrai superarli da sola… ma non temere, in realtà da sola non sarai mai…” Per la prima volta, la donna si avvicinò a pochi centimetri dalla Saramego e, teneramente, le accarezzò una guancia… la sensazione più strana che avesse mai provato: fu come se una farfalla le si posasse su una guancia, come se fosse stata sfiorata da un petalo di rosa… eppure era aria, un colpo di vento che voleva rassicurarla, dolcemente.
 
“- Angie! Ti sei addormentata e svegliata di soprassalto, tutto ok?” La voce di Pablo la fece voltare verso di lui, l’aria perplessa e lo sguardo preoccupato. La donna si guardò intorno e subito riconobbe l’enorme salotto della villa, la tv accesa con i titoli di coda del film che stava guardando con l’uomo, con i ragazzi e, improvvisamente, si incupì al pensiero di quel sogno. “- Scusami, evidentemente ero stanca…” Sussurrò, coprendosi la bocca per uno sbadiglio. “- Angie ti sei persa la parte più drammatica!” Esclamò Violetta soffiandosi il naso, stretta a Leon il quale, anche lui, era quasi mezzo addormentato con la ragazza tra le sue braccia. “- Il tuo russare ha impedito il mio sonnecchiare, istitutrice! Non si fa!” Borbottò alla bionda il ragazzo, facendo sogghignare sia il padre che la fidanzata. “- Non hai visto quando è affondata la nave! Povero Jack si è sacrificato per salvare Rose…” La voce della La Fontaine era chiaramente incrinata in un singhiozzo e, quando la donna se ne accorse, subito ruotò gli occhi al cielo per quanto fosse sensibile la giovane… beh, in fondo anche lei aveva pianto troppe volte su quel film, quindi la comprendeva perfettamente. “- Sei sicura di star bene?” Galindo senior subito la guardò intensamente negli occhi, cercando di capire a cosa fosse dovuto quel sobbalzo nel sonno che aveva fatto solo qualche minuto prima. Angie, dal canto suo, avrebbe voluto raccontargli di quel secondo sogno ma non voleva inquietarlo ancora, sapeva quanto stesse male al ricordo di Clara e poi in quella sorta di visione non prometteva nulla di buono, quindi preferì tacere per non mandare in agitazione anche lui.  “- Sì, sul serio… sto benone.” Sorrise forzatamente, cercando di tranquillizzarlo, affondando la testa contro il suo petto per non mostrare il suo sguardo, visibilmente scioccato da quell’ennesima visita nel suo mondo onirico da parte della signora Galindo. “- Papà lasciala stare, pure io mi stavo addormentando con questa lagna! La capisco!” La voce di Leon fece voltare tutti verso di sé che, di colpo, si alzò e stiracchiandosi, andò a prendere il portatile di suo padre appoggiato sul tavolinetto di fronte a loro. “- L’ho visto un trilione di volte, sono stupita dal fatto che Vilu non l’avesse mai visto…” Sorrise dolcemente Angie, rivolgendosi alla ragazza che ancora era commossa sino alle lacrime. “- Sbaglio o prima che iniziassero queste circa tre ore di tormento, volevi parlarci di qualcosa, papà? Era riguardo a quella mail che hai ricevuto ieri, di cui mi hai accennato?” Leon subito si mise alla ricerca della casella mail dell’uomo che subito gli prese il pc dalle mani e se lo portò sulle gambe facendo spostare un po’ Angie. “- Sì… in realtà volevo parlarvi di domani sera… come ogni anno c’è la grande cena, la serata di Beneficenza, tu lo sai già, figliolo.” Le due ospiti finalmente si misero a sedere normalmente e subito furono colpite da quell’argomento, da subito tesissime. “- E’ molto… formale come serata?” Si azzardò a chiedere già euforica la ragazza, rivolgendosi a Leon che sbuffò sonoramente. “- Formale? La parola ‘formale’ non rende a pieno come sono quel tipo di eventi in realtà! Infatti i miei amici non vi partecipano mai! Solo gli adulti ci vanno!” Sbottò, facendo sgranare gli occhi alla bionda e alla giovane. Violetta non era affatto sconvolta, amava la vita mondana e pregustava un evento del genere da sempre… insomma, per quanto avesse rinunciato al suo folle piano iniziale, la voglia di vivere quel mondo così magico la portava al settimo cielo… e poi immaginava già che con Leon al suo fianco sarebbe stata una serata perfetta sotto ogni punto di vista. Angie, invece, era piuttosto perplessa… si sarebbe mai trovata a suo agio tra quella classe così altolocata? Non lo sapeva ma lei non era una che si arrendeva… “- Non demordere, lo hai promesso a Clara.” Nella sua mente ronzava solo quella frase, quello non poteva essere l’ostacolo di cui parlava la donna, ci doveva essere di peggio e non doveva assolutamente arrendersi per così poco.
 
 
Il giorno seguente, il giardino dei La Fontaine era il solito luogo tetro e poco curato come sempre, da quando Violetta non viveva più in quella casa. Marcela camminava a passo incerto, percorrendo il piccolo viale che la separava dalla porta d’ingresso e non era sola: una bambina di circa 7 anni la seguiva e si guardava intorno con aria curiosa, come tipico della sua età. “- Mamma ma dove stiamo andando?” La vocina soave della piccola fece sobbalzare quasi la donna, ancora incerta sul da farsi… il suo ex marito aveva deciso di lasciarle proprio quel giorno la sua bambina, proprio quando aveva una delle cene più importanti della sua vita. Prima di quell’anno, il Galà di beneficenza era qualcosa a cui presenziava solo il padre,  a cui lei neppure voleva mai andare, odiando quel mondo altolocato nel quale, troppe volte, era stata costretta a vivere. Questa volta, però, quell’evento le toccava e non aveva altre vie di fuga per scansarlo. Ovviamente, purtroppo, c’era un problema… non voleva portare la sua bambina in quella noiosa cena elegante e raffinata e sperava che qualcuno potesse tenergliela, almeno per un paio d’ore… e l’unica persona che avrebbe potuto farlo abitava in quella casa, l’uomo con cui aveva avuto più scontri ma che sapeva avere una figlia. Matias La Fontaine era certa fosse affidabile rispetto agli altri dipendenti del cantiere e probabilmente, avrebbe potuto farle quel piccolo favore… d’altronde erano abbastanza in confidenza considerati i problemi lavorativi e, quella mattina, sentendola parlare al telefono alquanto irata, si era offerto lui stesso di tenerle la bambina per tutto il pomeriggio e la serata. “- La mamma deve andare ad una noiosa serata di lavoro, ma vedrai, con questo mio… amico… ti divertirai.” Per un nanosecondo le passò in testa l’idea di darsi per malata ma, avendo la piccola bussato al campanello, il suo flusso di pensieri fu interrotto dal padrone di casa che spalancò la porta. “- Ciao! Tu sei l’amico di mamma?” La bimba riuscì subito a mettere in imbarazzo Marcela che le tappò la bocca con una mano, attirandola a sé e sperando tacesse. “- Buon pomeriggio, La Fontaine… sei ancora sicuro di voler badare ad Emilia o hai cambiato idea?” La voce della Parodi era evidentemente agitata, d’altronde la piccola di certo non era un angioletto e, per quanto l’uomo sembrasse paziente, avrebbe comunque potuto cambiare idea. “- E perché avrei dovuto farlo? Entrate, prego!” Sorrise lui, facendosi da parte per far accedere alla casa madre e figlia. “- Scusate il disordine, mia sorella non è molto… d’aiuto in casa.” Si giustificò, cercando di sollevare almeno alcuni abiti dal pavimento. “- Per fortuna è uscita e passerà la serata con un tizio… dunque, eviterete di incontrarla.” Sospirò, sedendosi sul sofà accanto alla donna, mentre Emilia prese a girovagare in quel disordine per esplorare il posto del tutto nuovo. “- E’ così cattiva?” concluse la bambina, cominciando ad armeggiare con dei soprammobili, in particolare un paio, a forma di cavalli di porcellana con tanto di cavalieri in sella. “- Hai presente la matrigna di Cenerentola? Uguale.” La bambina a quelle parole lasciò cadere una statuetta che, inevitabilmente, si frantumò in mille pezzi. “- EMILIA!!!” L’urlò di Marcela fece sobbalzare la bambina che rimase a fissare il disastro con aria assorta. “- Mi dispiace tanto, amico di mamma!” A quella frase l’uomo scoppiò in una fragorosa risata che lasciò sconvolte madre e figlia. “- Mati, chiamami pure Mati…” esclamò, asciugandosi le lacrime causate dall’essersi sbellicato troppo e alzandosi, per andare a prendere una paletta e una scopa per togliere quei cocci dal pavimento. “- Sono mortificata, era molto antica?” Si informò Marcela, correndo ad aiutarlo, “- Nah, chincaglierie inutili che compra mia sorella, tranquilla.” In realtà, quella statuina era uno dei pochi ricordi che i La Fontaine avevano di loro padre Giacinto, ma, non avendo mai avuto un buon rapporto con l’uomo, il biondo lasciò correre per non apparire troppo pesante nei confronti della donna.  “- Senti, è meglio che lasci perdere, mia figlia è un terremoto, io ti avevo già avvertito questa mattina! Vuol dire che la porterò con me e che il cielo me la mandi buona!” Sentenziò, guardando Emilia che era corsa a sedersi buona, buona sul sofà come se nulla fosse accaduto. “- Mati vieni anche tu con noi! Sei pure bello! Devi solo trovare un vestito carino!” A quelle parole la donna sbiancò paurosamente per poi arrossire di colpo, mentre lui sorrise divertito. “- Dove dovrei venire?” Chiese, sollevandosi sulle ginocchia per andare verso la cucina a buttare i resti di quel soprammobile. “- Alla cena elegante e noiosa!” La bambina saltò sul divano in piedi e subito la madre corse a prenderla in braccio, per evitare che facesse altri danni. “- Per me non ci sono problemi, così io baderei a lei mentre tu sarai impegnata…” Sorrise Matias, facendo avvampare ancor di più Marcela che scosse il capo, cercando disperatamente di evitargli quella seccatura. “- Dai, troverò un’altra babysitter, visto che la mia mi ha dato buca… anche se a quest’ora sarà difficile...” Cercò di tranquillizzarlo lei, mentre Emilia, continuava a parlare come se stesse cantando una filastrocca: “- Vieni con noi! Vieni con noi! Vieni con noi!” “- CALMATI!” La madre la mise giù ma la piccolina continuò a saltellare intorno a Matias che, imbarazzato, seppur mai quanto la Parodi, non poté far altro che accettare. “- Sono davvero desolata… che figura!” sussurrò la madre della bambina, ormai paonazza per la vergogna, ravviandosi nervosamente delle ciocche brune dietro ad un orecchio. “- Dai, non ti preoccupare, i bambini fanno questo ed altro!” Esclamò il biondo, andando verso la sua camera, lasciando le due nella cucina. “- Questo puo’ andare?” Dopo un minuto abbondante, l’uomo apparve sull’uscio e mostrò alle due un abito abbastanza elegante ma evidentemente di alcune taglie minori rispetto alla sua. “- Cos’è quello della tua prima comunione?” Lo prese in giro la bambina che venne di nuovo azzittita dalla madre che gli tappò la bocca con una mano mentre con l’altra l’attirò a sé per farla stare buona. “- In effetti però sembra un po’ piccolo per te… facciamo così, al vestito ci penso io, torno tra mezz’ora e te lo porto… ma tu sei proprio sicuro di voler venire? Guarda che ci sarà gente noiosa, altolocata… beh, almeno ci sarà Galindo, lui è simpatico!” Sorrise la bruna, facendogli sgranare gli occhi sorpreso. “- Galindo? Quel Galindo?” Esclamò euforico, sperando di poter vedere anche la sua bambina al ricevimento. “- Sì, ma come mai ti interessa tanto saperlo?” Domandò la Parodi, curiosa, perdendo per un secondo di vista Emilia che andò subito in avanscoperta della piccola dimora. “- E’ una lunga storia!” Esclamò lui, grattandosi la nuca nervosamente. “- Abbiamo tempo…” Esclamò la donna, prima che un forte rumore li interrompesse. “- EMILIAAA!” La madre, rapidamente, corse a recuperare la piccola mentre La Fontaine, elettrizzato al pensiero di rivedere Violetta, si sarebbe messo a fare i salti di gioia… in effetti, di lì a poco però, avrebbe dovuto anche raccontare il motivo di tutta la sua felicità alla Parodi o lo avrebbe preso per pazzo! Marcela non aveva idea che, con quell’invito, gli aveva letteralmente cambiato la giornata ed ora il suo unico pensiero era riabbracciare sua figlia.
 
 
“- Non credevo di aver mai cenato in un ristorante così enorme!” Violetta, in uno splendido abito lilla lungo fino ai piedi, camminava sottobraccio con Leon che sorrideva ad alcuni ospiti con viso falsamente sereno: solo il cielo sapeva quanto lo annoiassero quei ricevimenti seppure amasse essere al centro dell’attenzione… ma quella serata era speciale, diversa: con lui c’era la ragazza che amava e sapeva che sarebbe stata una notte magica. “- Ti piace qui?” Sorrise lui, allargando un braccio e mostrandole il tavolo più in vista della sala, quello a cui i Galindo e le due rispettive fidanzate, avrebbero preso posto. “- E’ perfetto! E guarda che splendore quel pianoforte! Oh Leon, è tutto così meraviglioso che mi sembra di sognare!” Esclamò euforica la giovane, intrecciando le dita dietro al collo del castano che sorrise, abbagliandola con il suo viso angelico. “- A me sembra di sognare perché ci sei tu con me… e non potrei essere più felice.” Sussurrò con voce calda al suo orecchio, perdendosi poi negli occhi castani della ragazza che, arrossendo leggermente nella zona delle guance, prese a mordersi nervosamente il labbro inferiore. “- Ti amo.” Mormorò lei, sempre più in imbarazzo, seppur contenta. “- Io di più, mia piccola principessa.” A quelle parole la ragazza sentì le gambe tremarle e l’aria mancarle per l’emozione… in un secondo, si sollevò di poco sulle punte e fece aderire il suo petto a quello di Leon, per poi fare lo stesso con le sue labbra, mentre lui le prese il viso tra le mani: il vociare intorno era solo un sottofondo inutile, c’erano solo loro due, il loro amore e quel bacio che, a poco a poco, si fece più passionale e travolgente. Si staccarono, rimasti entrambi senza fiato e restarono fronte contro fronte, fissandosi intensamente negli occhi, come se da quegli sguardi ne dipendesse della loro intera esistenza. “- Violetta!” una voce di uomo fece sobbalzare la giovane che si voltò di colpo, riconoscendola al primo colpo… possibile che si trattasse proprio di…? “- Papà?” Chiese sorpresa, incrociando gli occhi azzurri di Matias che era imbambolato a fissarla, per poi osservare alle sue spalle quel giovane con cui la figlia si era appena scambiato un bacio appassionato. “- Cosa ci fai qui, papà?” La ragazza prontamente corse ad abbracciarlo e l’uomo subito la strinse a sé, dimenticandosi solo per un secondo di Leon. “- Tesoro mio, sembri una principessa, sei uno splendore!” Cominciò a sproloquiare il padre, depositandole un dolce bacio sulla fronte mentre alle loro spalle due da destra e due da sinistra, Marcela, Emilia, Pablo e Angie avevano sospeso le loro chiacchierate, incantati da quella tenera scena. “- Mati ma cos…?!” La Saramego subito fece qualche passo in avanti, sorpresissima di trovare lì il suo migliore amico, elegante come mai l’aveva visto e stretto alla sua adorata bambina. “- Angie… che bella che sei anche tu, sono felicissimo di vedervi!” Esclamò poi, facendo sorridere istintivamente la donna e facendo sì che Galindo senior subito la raggiungesse e la stringesse a sé per la vita, marcando il proprio territorio, leggermente ingelosito. “- Immagino vogliate sapere cosa ci fa La Fontaine qui… beh, mi ha accompagnata, è una lunga storia…” Marcela subito fece un passo avanti e si intromise in quel discorso, facendo annuire perplessi sia Pablo che la bionda, mentre Violetta era ritornata accanto al figlio di Galindo. “- Sediamoci, questo è il nostro tavolo, tanto abbiamo tutta la sera per chiacchierare.” Sorrise amabilmente il moro, scostando la sedia di Angie dal tavolo per farla accomodare, mentre Matias, la Parodi e sua figlia si sistemarono proprio a quello di fianco al loro e la bambina subito cominciò a fare confusione tra posate, piatti e bicchieri di cristallo, venendo distratta solo dal biondo che prese a raccontarle una favola da lui inventata al momento, che sembrò riuscire ad accattivarla prontamente.
“- Tuo padre mi guarda male…” Soffiò d’un tratto Leon all’orecchio di Violetta che aveva preso a guardarsi intorno con aria estasiata, mentre la cena era già cominciata da un bel po’: in passato era stata al Country Club ma quel ristorante era del tutto nuovo per lei: i tavoli erano enormi, accostati vicino ad una parete composta da una grande vetrata che dava su un giardino interno, adorno di svariate aiuole ricche di fiori bianchi. Al centro del salone poi, c’era un enorme pianoforte a coda nero fiammante che subito aveva attirato la sua attenzione e il giovane subito se ne accorse. “- Mi stai ascoltando, amore? O ti attira più quello che il tuo fidanzato?” La voce del ragazzo la fece sobbalzare di colpo: in effetti era palesemente ferma a fissare quell’oggetto da qualche minuto e scosse distrattamente il capo: amava la musica, l’amava da sempre ma, purtroppo, proprio come per Angie, la vita non le aveva consentito di studiarla come avrebbe voluto… amava però cantare più di sé stessa e quando lo faceva si sentiva libera, come una farfalla… e più di una volta quella sua passione l’aveva aiutata nei momenti più bui della sua vita.
“- Andiamo a suonare, vieni con me…” Sorrise Leon, alzandosi di fretta e porgendole il braccio, sotto lo sguardo sornione di Angie e Pablo che, fingendosi distratti, avevano assistito comunque alla scena con la coda dell’occhio. “- Suonare?! Cosa?! No, non ne sarei capace, sul serio!” Rise nervosamente la giovane, facendo accigliare buffamente il ragazzo. “- Ma tu non suonerai a quello ci penserò io. Tu canterai… dalla prima volta che ti ho vista ho sempre immaginato che avessi una voce meravigliosa...” Sorrise ancora, intrecciando le sue dita con quelle di Violetta che si era messa in piedi a sua volta e, istintivamente, sembrò calmarsi al sentire quel contatto. “- E… c-cosa dovrei cantare?” Balbettò però ancora nervosamente, incrociando gli occhi verdi di lui che, subito, vennero attraversati da un lampo di genio. “- La conosci la celebre cantante Noelia Carrara?” Sorrise, alludendo ad una donna molto celebre nel mondo dello spettacolo e del teatro Argentino. “- Certo, chi non la conosce!” Esclamò con un sorriso: aveva sempre ammirato quella cantante, bella, elegante e dalla voce angelica… quanto avrebbe voluto essere come lei un giorno, girare il mondo, cantare, realizzare il proprio sogno… “- Ottimo, allora vieni con me.” Esclamò lui, conducendola attraverso la sala, sotto lo sguardo stupito di tutti i presenti alla serata, ancora compostamente seduti al proprio tavolo. “- Leon mi imbarazza da morire questa cosa… non… non posso farlo!” Il giovane, arrivato al pianoforte, si sedette e sollevò la protezione per i tasti in legno, scura e lucida. “- Stai tranquilla, non pensare a loro… siamo io, tu e la musica, nient’altro che noi.” Sussurrò lui, schioccandosi le dita tra loro pronto ad iniziare. “- Questa canzone era la preferita di mia madre… ormai la so suonare a memoria, mi insegnò lei stessa i primi accordi quando ero molto piccolo… è molto famosa, sono sicuro che, se conosci Noelia, la conoscerai anche tu.” Le disse ancora sottovoce e visibilmente scosso il castano, prendendo poi un profondo sospiro e iniziando a sfiorare piano i tasti per cominciare a far risuonare nell’aria una delicata melodia. Violetta, se inizialmente era in panico, subito riconobbe quella dolce sinfonia e, quando fu il momento di attaccare, sotto lo sguardo stupito di tutti i presenti, guardò per un nanosecondo Leoin alle sue spalle e, con un gran sospiro, iniziò:
 
“- Es seguro que me oíste hablar... de lo que se puede hacer. De la magia que tiene cantar, Y de ser quien quiere ser...”
 
Il giovane sorrise soddisfatto: era sicuro che la voce della giovane fosse melodiosa ma non pensava sino a tal punto... tutti in sala erano come ipnotizzati dai due che continuarono nella loro esibizione improvvisata. Angie subito notò quanto, al sentire quel brano, anche Pablo si fosse come bloccato nell’udire quelle parole, quella musica e subito, da sotto al tavolo, gli strinse una mano per rassicurarlo… non sapeva perché reagisse in quel modo ma era evidente che fosse molto teso. “- Va tutto bene?” Mormorò al suo orecchio, facendolo annuire distrattamente. “- Clara amava questa canzone e insegnò a suonarla anche a lui.” Balbettò, abbassando lo sguardo con aria affranta… quanti ricordi poteva rievocare una semplice canzone? Tanti, troppi. “- Capisco...” Riuscì a soffiare lei con tono comprensivo, non sapendo cos’altro aggiungere. “- Sono bravi, non trovi?” Sentenziò poi per distrarlo, indicando i due con un cenno del capo. “- Sì, molto! Non sapevo Violetta cantasse così bene, è meravigliosa.” Disse il moro, finalmente sciogliendosi in un dolce sorriso rivolto alla sua Angie che ricambiò più serena e appoggiò la testa sulla sua spalla.
 
“- Y donde quiera yo voy... Y donde quiera yo voy.”
 
La canzone finì, seguì un secondo di silenzio e poi, tutto il pubblico, sorpreso ma felice per cotanto talento, applaudì per un minuto abbondante, alzandosi persino in piedi con entusiasmo. Matias era in lacrime, orgoglioso della sua bambina, Angie urlava come una forsennata sotto lo sguardo divertito e fiero di Pablo, che subito sorrise in direzione del suo figliolo.
“- Mi hai fatto un grande regalo, Violetta. Tu sei il mio miglior momento e… caspita, non so da quanto io sia così smielato! Solo tu mi fai questo effetto!” Leon si era alzato dal pianoforte e, accanto alla giovane, stava per fare una riverenza, tenendo di nuovo la mano stretta a quella della ragazza che, a quella frase, sorrideva allegramente. “- Allora sono felice di farti diventare così dolce!” Lo redarguì lei, facendogli una linguaccia e subito dopo, un occhiolino. Gli applausi continuavano mentre i due, stretto l’una all’altro, ritornarono al loro posto: Violetta venne letteralmente rapita da suo padre che non la smetteva di congratularsi, mentre Leon, risiedendosi,  cominciò a preoccuparsi: non aveva pensato che, forse, suonare proprio quel brano potesse far soffrire suo padre per i troppi ricordi che avrebbe portato alla luce nel suo cuore e subito prese a guardarlo con aria pensierosa. “- Papà, mi dispiace… forse avrei dovuto scegliere un altro brano ma lì per lì io non ci ho riflettuto troppo e…” Ma Pablo, scompigliandogli un po’ i capelli, lo rassicurò subito. “- Sta’ tranquillo, non devi scusarti, anzi. Sarebbe fiera di te, Leon… ne sono sicuro.” Esclamò l’uomo con tono pacato come al solito, facendo finalmente tirare un sospiro di sollievo al figlio che gli circondò le spalle con un braccio, facendo sorridere anche Angie che, poi, si alzò per lasciarli un po’ da soli, avvicinandosi al tavolo accanto, quello di Matias e Marcela.
 
 
“- Cosa ci fa lei qui, papà?” Leon, al centro della sala affollata di ospiti, sotto i quali si era appena svolta l’asta di beneficenza, evento cardine della serata, notò subito Jackie da lontano che parlottava con alcuni ospiti dell’alta società e frequentatori del County abitualmente, ridendo e scherzando come se nulla fosse. “- Non ne ho idea. A questa cena ci dovevano essere imprenditori edili con le famiglie, quindi non mi spiego cosa c’entri lei!” Sibilò il moro, lanciando un’occhiata alla Saenz che, notandolo, continuò a parlare con quelle persone. “- Angie è alla toilette con Violetta… sta’ tranquillo, quella tizia non farà nulla o se la dovrà vedere con me…” Borbottò minacciosamente il ragazzo, facendo annuire distrattamente il padre, preoccupato dalla presenza della sua ex a quel ricevimento. “- Qualunque cosa stia dicendo è per pura gelosia, papà! Non l’ascoltare, non lasciarti abbindolare da quell’arpia, ignorala!” La voce del figlio rimbombò ancora nella mente dell’uomo che asserì con il capo ancora una volta e lasciò correre: era sicuro che la Saenz era lì solo per invidia, forse voleva solo mostrarsi felice con tutti gli altri ricchi nonostante la loro rottura… o forse no, c’era dell’altro.
“- Io e Galindo ci siamo lasciati perché ora è legato ad una donna davvero di basso rango, non è di certo come noi, per carità!” La vocina della bionda non aveva fatto altro che ripetere quella frase e molte altre dello stesso tipo, per tutta la sera ad altri invitati che ora, a poco a poco si erano disposti in semicerchio nella sala, mentre una leggera musica si era nuovamente levata nell’aria proveniente dal pianoforte a cui avevano suonato poco prima Leon e Violetta.
“- Angie, si chiama… quella donna bionda in abito rosso che è stata incollata per tutta la sera a Pablo Galindo… una poveraccia, pensate era l’istitutrice di suo figlio… l’ha sedotto con grande maestria, ovviamente.” La donna aveva messo in pratica il suo piano durante tutta la notte e, in quell’istante, la Saramego uscì dai bagni seguita da Violetta e subito, tutti gli occhi vennero puntati su di lei che, confusa da quell’improvvisa attenzione, divenne in volto quasi dello stesso colore del suo abito, meravigliosamente lungo e di stoffa leggera. Un borbottio si levò nell’aria e tutti, le donne soprattutto,cominciarono a sparlare e ridacchiare sotto i baffi, sconvolgendo sia i Galindo che la bionda. “- Papà devi fare qualcosa!” Lo spintonò Leon, facendolo balzare in avanti verso Angie che, divenuta paonazza, subito stava per correre verso l’uscita che dava sul giardino, avendo incrociato per un attimo lo sguardo di Jackie tra la folla e avendo capito tutto… quella donna la voleva rovinare agli occhi di tutti quelli dell’alta classe di cui faceva parte lei, di cui facevano parte i Galindo. Gli occhi cominciarono a pizzicarle, evidente segno che stesse per piangere ma sentì le gambe pietrificate, come impossibilitate a compiere qualsiasi movimento… in un secondo, proprio quando aveva trovato la forza di allontanarsi, si sentì afferrare delicatamente per un polso e fu costretta a voltarsi: bastò un solo istante per ritrovarsi occhi negli occhi con Pablo e lui prontamente capì  che la donna stesse per piangere. “- Non ho idea di cosa sia successo, ma sappi che qualunque cosa sia, non bisogna dargli alcuna valenza!” Sussurrò il moro, sfiorandole leggermente una guancia, rovente per la vergogna eppure delicata e liscia. “- Io penso di saperlo invece… lei mi odia e vuole mettermi in cattiva luce agli occhi di tutti ma forse ha ragione… io non sono come te, come voi… io… io non sono del vostro rango e mai lo sarò, capisci?!” Una lacrima, ormai, le aveva rigato una gota e l’uomo subito gliela catturò con il pollice. Il bruno le prese il viso con entrambe le mani e la obbligò a guardarlo ancora negli occhi, ormai umidi e arrossati. “- Io ti amo da impazzire, non mi importa niente di quello che pensano loro, delle ire di Jackie che vuole farti solo sfigurare! E’ gelosa, disperata… lasciala perdere… ma soprattutto non voglio che pianga per una massa di idioti che ama sparlare perché non ha di meglio da fare, capito? Ed ora vieni, balliamo.” Le sorrise, facendola accigliare di colpo… aveva sentito bene? Voleva ballare? “- Non ne sono capace…” Balbettò mentre lui, lasciandole il volto, le cinse la vita con un braccio, mentre l’altro lo sollevò a mezz’aria, stringendole una mano che lei teneva lungo il corpo. “- Neanche io, ma non deve importarci neppure questo…” Mormorò dolcemente, iniziando a muovere qualche passo a ritmo di quello che aveva tutta l’aria di essere un valzer.
“- E’ un grande! Io adoro mio padre!” Esclamò Leon, sollevando istintivamente Violetta per poi farla volteggiare a mezz’aria. Staccandosi, fu proprio lei che lo prese per mano con l’intenzione di condurlo  poi verso il centro della sala. “- Mi concede questo ballo, Galindo?” scherzò con tono solenne la giovane. “- Ovvio, anche se dovrei essere io a chiederlo a te!” Rise il ragazzo, facendole un leggero baciamano che fece avvertire un brivido lungo la schiena a Violetta. Seguirono anche loro la musica e, a poco a poco, il centro dell’enorme camera divenne una vera pista da ballo dove, anche altre coppie, iniziarono a volteggiare a ritmo di musica. Jackie, se prima aveva goduto come mai in vita sua nel vedere l’istitutrice così afflitta e in imbarazzo, ora era furiosa, estremamente arrabbiata e paonazza in volto per l’ira che le attanagliava il cuore, lo stomaco e la mente. Pablo amava quella donna come con lei non aveva mai successo, l’aveva consolata ed ora ballavano dolcemente senza smettere di guardarsi negli occhi. “- Me la pagherai comunque, ruba fidanzati che non sei altro! Ti odio e ti giuro che mi vendicherò, fosse l’ultima cosa che faccio!” Sibilò tra i denti, per poi allontanarsi dalla festa, nervosa come mai in vita sua.
 
 
“- Non credevo che Emilia si riuscisse ad addormentare così, di colpo! Non si era mai verificato! A furia di correre su e giù per il giardino era esausta!” Marcela, con la bambina in braccio, sussurrò quella frase a Matias che camminava al suo fianco per rientrare in sala. “- Che ne dici se approfittiamo per andarcene?” Esclamò poi la mora, entusiasta alla sola idea, accarezzando lievemente i capelli castano scuro della piccola. “- Sei felicissima di questo evento, eh Parodi?” Rise La Fontaine, avvicinandosi alla porta di vetro che dava sull’ingresso alla sala del ristorante. “- Si nota tanto, eh?” Ironizzò la bruna, sedendosi su una panca poco lontana da loro, continuando a stringere a sé Emilia. “- No, per niente!” La prese in giro il biondo, prendendo posto accanto a lei con un sorriso sarcastico. “- Smettila di prendermi in giro, ricordati che sono il tuo capo!” Sbottò falsamente offesa lei, sempre con tono basso per non svegliare la piccola. “- Perdono, non mi licenzi!” Rise lui allegramente, facendo risuonare quel suono gioioso più volte nelle orecchie della donna. Dopo quel pessimo matrimonio con Carlos durato pochi anni non aveva più neppure immaginato di poter trovare un uomo gentile, buono che potesse voler bene a lei e ad Emilia… ma cosa diavolo stava pensando? Matias era un suo dipendente e, per quanto una bella persona fosse, sia dentro che fuori, tentò di allontanare quell’idea… lei doveva riuscire a mostrarsi sempre con autorità di fronte a lui… eppure, dopo quella serata così piacevole non sapeva più se ci sarebbe mai riuscita. La Fontaine, dal canto suo, era rimasto sorpreso di conoscere quegli altri lati di Marcela: in fondo era una donna dolce e un’ottima madre, e per quanto volesse sempre apparire fredda e glaciale aveva un cuore buono che forse, aveva sofferto molto, esattamente come il suo… avrebbe potuto vederla ancora come la sua datrice di lavoro? E come mai la sua mente non smetteva di rievocargli i momenti più belli trascorsi quella sera e, oltre all’incontro con Violetta, c’era anche quella donna gelida ma che riusciva a scaldargli il cuore?
“- Ma sì, andiamocene se vuoi. Vi riaccompagno a casa, signorine!” esclamò facendo roteare in aria un mazzo di chiavi e facendo alzare in piedi, sollevata, la donna che gli rivolse un sorriso di gratitudine e felice al chiarore della luna, si incamminò con la bimba in braccio e Matias, verso il parcheggio del Country Club.
 
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Capitolo lunghissimo! Lo so! Chiedo scusa per eventuali errori ma non posso rileggere molto! xD Però mi piace un sacco e spero conquisti anche voi! :3 Con ordine: ennesimo sogno di Clara, preannuncio di ostacoli… si riferirà solo a quello che è accaduto alla serata o no? Vedremo… scene Leonette e Pangie da scleri! *___* Ammetto che pure i Matirela + Emilia mi sono piaciuti parecchio! Dolciosi! xD Dedico questo capitolo a Syontai… augurissimi per ieri! :D Grazie a tutti coloro che mi seguono con affetto… grazie, grazie e ancora GRAZIE! Alla prossima, ciao! :D

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Capitolo 23
*** Insieme siamo migliori! ***


Federico camminava a passo svelto verso il bar del Country con aria decisa, convinto finalmente di aver preso la decisione giusta: amava Francesca, ormai ne era pienamente consapevole, ne aveva la certezza, e se voleva ricucire il loro rapporto, almeno, per cominciare, sotto forma di  amicizia, non poteva fare altro che andare dove si stava recando. Luca, Camilla e Francesca, quel pomeriggio, avrebbero sostituito due ragazzi, Maxi e Nata, impegnati in un’audizione di una prestigiosa accademia di danza, al ritrovo nei pressi della piscina del Club e tutti ne erano a conoscenza, Bianchi compreso. Il giovane non salutò neppure i conoscenti che vide lungo il suo cammino, continuando a seguire il suo percorso: seduti ad alcuni tavolini c’erano Diego, Ludmilla, Andres con Libi e persino Thomas con Andrea, ma li ignorò tutti, tenendo lo sguardo alto e fiero davanti a sé. “- Luca devo parlarti… è importante.” La voce di Federico fece voltare di scatto l’altro italiano che la riconobbe al volo e un’ aria particolarmente corrucciata gli si disegnò sul viso, tesissimo al solo sentirla. Il chioschetto era alquanto piccolo rispetto alla discoteca di cui si occupava di solito il bruno, talmente stretto che Camilla e Francesca erano rimaste fuori a servire i clienti, come due trottole impazzite, vagando tra i tavolini munite di vassoi e blocnotes per segnare le ordinazioni. “- Che cosa vuole, signor Bianchi?” Lo canzonò quasi Cauviglia, guarendo alcuni bicchieri con delle sottili fettine di limone. “- Vengo in pace, credimi. Ascoltami, ti prego…” Lo supplicò quasi il giovane, passandosi nervosamente una mano nell’alto ciuffo castano. “- Luca devi preparaci due aranc… che ci fa lui qui?” Francesca, seguita dall’altra ragazza, inizialmente neppure aveva notato la presenza di Federico che, invece, non le aveva staccato gli occhi di dosso da quando si era avvicinata al bancone. “- Voglio solo parlare con tuo fratello e con te…” Balbettò, per la prima volta in vita sua a disagio, Bianchi. “- Non hanno nulla da dirti, sparisci.” Mentre Francesca aveva abbassato gli occhi e non aveva più spiccicato parola, Camilla si intromise con il suo solito caratterino per fronteggiare “il nemico” e spalleggiare fidanzato che la sua migliore amica, nonché cognata. “- La mia ragazza ha ragione, non ti è bastato quello che hai fatto a mia sorella? Vattene!” A quelle parole, Cauviglia uscì da dietro al bancone e subito protesse con il corpo le due giovani, affrontando a viso aperto l’altro italiano. “- Con quale faccia tosta vieni qui e pretendi di voler parlare con me o lei? Sarai pure un riccone, figlio di papà che probabilmente ha sempre avuto tutto dalla vita… ma stavolta ti è andata male, bello! Tu Francesca non ti permetti di farla soffrire, chiaro?” I toni della discussione si stavano alterando e, prontamente, tutti si voltarono verso i due litiganti e le giovani che, imbambolate, assistevano alla scena. Nella mente della Cauviglia un susseguirsi di immagini si rincorrevano veloci, dal primo incontro con Bianchi, alla volta in cui lo aveva aiutato all’Università, la sera che l’aveva sbeffeggiata comunque dopo il suo suggerimento e, in ultimo, quel bacio sul retro del locale, conclusosi con un ceffone tiratogli da parte di lei…  quante emozioni aveva però provato nell’attimo in cui le loro labbra si erano sfiorate? Quanta voglia di approfondire quel gesto aveva avuto? Tanta, troppa. L’orgoglio l’aveva tradita e aveva mosso quella mano per schiaffeggiarlo quasi indipendentemente dalla sua volontà, tanto da far rimanere stupita anche sé stessa. Lo amava, ogni fibra del suo essere glielo gridava, eppure lo aveva colpito lo stesso, con tutta la forza che aveva in corpo… le aveva fatto troppo male, ed era come se, improvvisamente nel suo cervello, si fosse fatto tutto più chiaro: Federico adorava burlarsi di lei, lo aveva sempre fatto ma evidentemente, troppo innamorata, non se n’era mai resa conto. Forse però, con quel bacio non aveva continuato a prenderla in giro… oppure sì? Poteva Federico spingersi fino a quei livelli? Poteva essere così malvagio da giocare anche con i suoi sentimenti sino a tal punto? Francesca non lo sapeva ma era certa del fatto che si fosse sentita terribilmente in colpa per quel ceffone: nonostante tutto lo amava, non sapeva perché ma era ancora convinta che del buono in lui, molto in fondo, ci fosse. E poi c’era quel momento… le sembrava incredibile che Federico si fosse presentato lì per parlare come una persona civile a lei e al fratello… che quel lato positivo stesse cominciando ad emergere improvvisamente? Che quello schiaffo, forse, lo avesse scosso almeno un po’?
“- Aspetta Luca… fallo parlare.” La vocina flebile della Cauviglia arrivò come un boato nel silenzio che era calato su quella scena: Diego, incredulo, faceva passare il suo sguardo sconvolto da Ludmilla a Leon che era appena arrivato con Violetta ed era rimasto all’ingresso, come immobilizzato da quello che stava accadendo. “- Che diamine vuole fare?” Mugugnò Dominguez alla Ferro, la quale alzò le spalle, sconvolta. “-  Diego ma che sta facendo? Non sa che Cauviglia lo odia? E’ forse impazzito e le vuole prendere da quel tizio?” Galindo e la La Fontaine corsero a sedersi accanto agli altri due che scossero il capo, scioccati quanto loro. “- Non ne ho idea, amico! Non ne ho idea! Ma se quel gigante vuole picchiarlo io, di certo, non mi metto in mezzo!” Borbottò tra i denti il moro, assumendo una buffa espressione sicura eppure preoccupata. “- Sembra che voglia dichiararsi a Francesca in grande stile… non è per niente da lui, però!” Ridacchiò Ludmilla, conoscendo bene il carattere di Bianchi, lontano da ogni tipo di romanticismo o dolcezza. “- Marco! Ma certo! Ha capito di essersi innamorato di Francesca quando lei lo snobbava per Tavelli, quel ragazzo con tutti quei capelli… quello di medicina! Capito a chi mi riferisco?” Spiegò astutamente lo spagnolo, facendo annuire rapidamente sia l’amico che la fidanzata, mentre Violetta, ancora più perplessa degli altri, assisteva sia alla scena del bisticcio dei baristi con quel Bianchi che alla conversazione dei tre con interesse, sperando di capirci qualcosa in più… in effetti Federico, per quel poco che lo conosceva, non le era mai sembrato il prototipo del bravo ragazzo, neppure con gli amici, figurarsi con le ragazze! E poi, quella giovane che dicevano chiamarsi Francesca, aveva l’aria dolce, amichevole… forse era molto più simile a lei che alla Ferro, a Libi, o alle altre ragazze dell’alta società di Buenos Aires che frequentavano il Club… non che loro fossero cattive, anzi! Ad esempio, lei adorava Ludmilla, le era simpatica a pelle e poi lei e Diego l’avevano aiutata un sacco con Leon quando avevano litigato a causa di Lara… eppure quella brunetta era più semplice, più come lei… e quello era evidente. 
“- Luca, volevo dirti che mi dispiace moltissimo per come mi sono comportato con te, soprattutto per come mi sono comportato con tua sorella… sono stato un bastardo, lo so e sono pentito.” Il silenzio era calato nel piccolo bar all’aperto, nei pressi della piscina, e Federico era al centro della scena verso la quale tutti erano rivolti. “- Ma bravo, ora sparisci!” Sbottò irato l’altro, facendo annuire soddisfatta anche la Torres che subito affiancò il fidanzato. “- Ringrazia che Luca non ti picchi, altrimenti ti spezzerebbe in due! Vattene!” Sentenziò con forza Camilla, mentre il Cauviglia le circondò la vita con un braccio con fare protettivo. “- Non ho finto… volevo anche dirti che, nonostante tutto, nonostante i miei errori… beh, mi sono accorto di amare Francesca. Ti prego…” A quelle parole, Bianchi si inginocchiò sotto lo sguardo sconvolto di tutti, degli amici, di Cauviglia, della Torres ma, soprattutto, della diretta interessata. “- …Ti prego, concedimi di stare con lei. La amo, Luca e mi sento un idiota per averla fatta soffrire tanto…” Lo sguardo di Federico era fisso sulle mattonelle bianche e lucidissime in linoleum che si estendevano per tutto il pavimento e neppure riusciva a reggere gli occhi verdi e penetranti di quello che avrebbe voluto tanto che fosse divenuto suo cognato. “- Federico, alzati.” La voce di Francesca scioccò tutti e, tesissima, gli allungò una mano che subito fece sollevare il viso al giovane: la ragazza lo fissava, lo sguardo era freddo, imperscrutabile, non riusciva a leggervi nulla, niente… solo il gelo. “- Smettila di fare così, basta! Non ce n’è affatto bisogno!” Sentenziò la Cauviglia, stizzita. “- Tutti devono sapere quanto ti ami, Fran, tutti!”. A quelle parole, Diego stava per alzarsi, convinto che l’amico fosse impazzito del tutto, che il sole di quel mattino gli avesse fatto male o che forse avesse già alzato il gomito… ma Ludmilla se lo tirò prontamente a sedere, sotto lo sguardo divertito degli altri amici.
“- Mio fratello non c’entra nulla in questa vicenda quindi lascialo fuori… perché mi hai fatto tanto soffrire allora, se mi amavi così come dici?” La domanda dell’italiana arrivò come una doccia gelida su Bianchi che, afferrata la sua mano, si era rimesso in piedi e prese a specchiarsi negli occhi neri della giovane: aveva ragione, quanto stupido e perfido era potuto essere fino  a quel momento, per averla ignorata e maltrattata così tanto? Molto, ne era sicuro… eppure voleva stare con lei, trattarla da principessa come meritava ed era certo che anche lei voleva lo stesso, voleva essere la sua ragazza, seppur fosse giustamente ferita e, di conseguenza, tanto glaciale. “- Mi dispiace… Francesca te l’ho detto, sono un imbecille, l’ho detto, lo ripeto e posso urlarlo qui davanti a tutti… ti prego, perdonami.” Lo sguardo di tutti si era posato sulla Cauviglia, il cui volto si abbassò verso il suolo. Quanto sperava che il giovane avesse parlato con il cuore in mano, sul serio, che per una volta fosse stato sincero… le pareva incredibile che Federico, quel Federico, fosse capace di amare così tanto, così intensamente. Non poteva star mentendo, non si sarebbe mai e poi mai umiliato davanti a tutte quelle persone, invece lo aveva fatto, lo stava facendo per lei. E allora era stato onesto davvero? Sì, quella volta suo amore era veritiero e non riusciva proprio a non credere al ragazzo che continuava a fissarla cogliendo ogni suo minimo gesto. “- Fran, non vorrai sul serio…?” La domanda di Luca spezzò prepotentemente il flusso dei suoi pensieri e si voltò prontamente verso il bruno. “- Gli credo.” Sussurrò quasi la mora rivolgendosi al fratello, facendo sgranare gli occhi a Camilla, al suo ragazzo e al pretendente. “- Francesca, ci hai pensato bene…?” Borbottò la Torres, poggiandosi con i gomiti al bancone e facendola annuire di fretta, senza che staccasse gli occhi di dosso a Federico. “- E’ sincero.” Sentenziò ancora la Cauviglia, facendo abbassare gli occhi a Luca e alla rossa. “- Ascoltami bene, Bianchi. Tu prova a farmi star male ancora e giuro che ti spedirò io stessa con un calcio nel didietro sino in Antartide… mi sono spiegata?” La voce stizzita della ragazza fece annuire prontamente il giovane che, sottovoce, rispose con sincerità: “- Te lo prometto, Fran. Te lo prometto…” Balbettò, un po’ a disagio e, di colpo, abbracciò la mora che gli gettò le braccia al collo e lo strinse a sé a sua volta. “- Bada bene che se ti comporti male te la vedrai anche con me… io altro che calcio! Ti scompongo e ti rimonto da capo se la fai soffrire, chiaro?” La minaccia di Luca subito fece deglutire rumorosamente il ragazzo che annuì, continuando a stringere Francesca: i capelli della giovane avevano un delicato profumo di vaniglia e la sensazione di calore che gli provocava lo rendeva finalmente felice, e non era la solita felicità vuota… era felice, finalmente, felice per davvero.
 
 
“- Buon pomeriggio, principessa.” Pablo abbracciò da dietro Angie che stava sistemando dei libri sparsi sul tavolino di fronte al sofà sul quale, quella mattina, aveva fatto lezione a Leon. Sobbalzò nel sentire delle braccia cingerle la vita ma subito sorrise istintivamente, comprendendo al volo che si trattasse dell’uomo che amava. “- Ehi! Mi hai fatto prendere un colpo, ma tu appari sempre così d’improvviso?” Rise la bionda, gettando i volumi sul divano e allacciando le braccia al collo dell’uomo che sorrise dolcemente. “- I ragazzi sono al Country…” Le sussurrò  Pablo, ad un centimetro dalle sue labbra, facendole poi aderire alle sue dando vita ad un bacio delicato quanto rapido. “- Sì, lo so. Mi piace vederli così felici, uniti… insieme.” “- Come noi?” La domanda di Galindo subito la fece annuire silenziosamente… quanto poteva essere perfetto il suo amato? Sapeva sempre cosa dire, era come se completasse alla perfezione ogni sua frase… e poi era di una dolcezza unica, come non aveva mai conosciuto alcun uomo. “- Sai, domani sera mi piacerebbe portarti a cena fuori, ovviamente se vorrai.” La voce tremante del moro la fece istintivamente sorridere ancora: era tesissimo come un ragazzino alla prima cotta e lei subito se ne rese conto. “- Ma certo, ne sarei felice.” Lo rassicurò lei, andando a sedersi proprio accanto a lui sul sofà e poggiando la sua mano su quella di Galindo il quale, finalmente, riuscì a sentirsi meno nervoso per quell’invito e sembrò riprendere a respirare solo nell’aver ricevuto quella risposta positiva. “- Bene!” Si limitò a balbettare lui, pensieroso, attirandola a sé e facendo in modo che lei poggiasse la testa sul suo petto. “- C’è qualcos’altro che volevi dirmi?” Angie sollevò il capo e incrociò gli occhi scuri dell’uomo che parevano alquanto sereni seppur particolarmente riflessivi. “- No, nulla… A volte mi chiedo come mai tu sai tutto di me, del mio passato eppure io non so niente di te. sei così… misteriosa!” Sentenziò, con una mezza risata, Pablo, facendola accigliare di colpo: cosa mai poteva dirgli? Che era stata una truffatrice, così l’avrebbe cacciata seduta stante? Lo amava, non voleva perderlo e sapeva che, dicendogli del suo trascorso così sbagliato lui l’avrebbe allontanata sicuramente, convinta che quella relazione fosse basata solo sul suo denaro, che lui fosse l’ennesima vittima di una criminale e non era così, non lo era affatto. Pablo le aveva rapito il cuore come nessuno eppure doveva mentirgli, glissare su quell’argomento per lei così spinoso e contorto. “- Non c’è molto da dire…” Balbettò, piuttosto a disagio, rizzandosi e mettendosi a sedere compostamente. Galindo afferrò al volto quella tensione e subito prese a fissarla con sospetto, assottigliando gli occhi e tentando di capirci qualcosa in più. “- Se non vuoi parlarne, va bene… insomma, anch’io sono il primo che preferisce sorvolare su alcuni discorsi… ma con te sono riuscito ad aprirmi, quindi quando vorrai io sarò pronto ad ascoltarti.” Quel tono dolce, quello sguardo fisso su di sé… la Saramego si sentì un mostro a dovergli nascondere quel suo passato così erroneo, fatto di scelte sbagliate e una vita che non le si addiceva affatto. “- Sono rimasta orfana da ragazzina è stato molto difficile riuscire ad andare avanti per me.” Il racconto della donna iniziò quasi automaticamente, non sapeva neanche lei come, eppure le parole le stavano uscendo di bocca da sole. “- Mi ha aiutato molto Mati in quel periodo, il mio migliore amico… anche se poi le nostre strade si sono separate un po’…” A quelle parole si bloccò, ricordando il periodo in cui i due si erano allontanati: La Fontaine non condivideva quella sua scelta di illegalità eppure, volendole bene, continuava a rispettarla, mentre lei si dedicava alle prime truffe. “- Come mai si sono separate?” Ecco la domanda che più temeva. Ed ora come ne usciva? Se lei e Matias si erano allontanati un po’ era per il suo “lavoro” da truffatrice, non di certo per altri motivi! E poi questa vera e propria separazione tra i due non c’era mai stata, anzi! “- Dopo qualche anno nacque Vilu e Matias perse Esmeralda a causa di un incidente aereo ed io…” “- E tu immagino gli sarai stata molto vicino, ti ci vedo.” Sentenziò amaramente Pablo, facendola annuire. “- Sì, fino a quando…” Fino a quando aveva continuato con la truffa successiva, e poi quelle più importanti che le erano costate ben due denuncie. “- Fino a quando mi trasferii appena fuori città, per motivi di lavoro.” Inventò la bionda al momento, facendo annuire l’uomo che si bevve la scusa. “- Capisco…” Sentenziò, cingendole le spalle con un braccio. “- Caspita, anche tu non hai avuto vita facile.” Sussurrò il bruno, facendo sì che lei appoggiasse la testa sulla sua spalla, particolarmente tesa, seppur la conversazione dolente fosse terminata lì. “- Già.” Sentenziò in un mormorio nervoso la Saramego, consapevole di avergli mentito per non rovinare tutto e sentendosi anche dannatamente in colpa per tutte quelle bugie. “- Sai, stavo pensando a noi, al nostro… futuro, ecco.” A quelle parole lei sussultò, entusiasta all’idea di un “noi” insieme a Pablo… si dimenticò prontamente del fatto che gli avesse nascosto quella parte scioccante del suo passato e subito sollevò gli occhi smeraldo, specchiandosi in quelli neri di lui. “- Insomma, mi auguro che Leon si diplomi quest’anno ma non voglio che tu ecco, che tu… te ne vada.” Sorrise, prendendo ad accarezzarle piano la schiena, facendola rilassare ulteriormente. “- E si diplomerà, vedrai!” Scherzò lei, solleticandoli lievemente una guancia con le dita, facendolo sorridere ancora. “- Beh, con un’insegnante come te non ho mai avuto dubbi!” Esclamò il moro, sistemandosi meglio sul comodo sofà e stringendosi alla donna. “- Nemmeno io voglio lasciarti, né lasciare Leon…” Esclamò la bionda, continuando a fissare l’uomo con la consapevolezza che avergli mentito la faceva sentire uno straccio, Pablo non lo meritava ma se non voleva perdere lui e suo figlio sul serio, doveva tacere su quella questione… in fondo, era sicura che niente avrebbe potuto far venire alla luce quella bugia. “- E non accadrà. Ti amo, Angie… sei la donna giusta per me.” Sussurrò tra i suoi capelli, per poi depositarle un bacio tra la folta chioma dorata. “- Ti amo anch’io, Pablo.” Mormorò lei, allacciandogli le braccia al collo per poi far combaciare le loro labbra dolcemente, dando vita ad un bacio romantico, lento ma, allo stesso tempo, travolgente.
 
 
“- Non ci credo! Abbiamo vinto! Siete delle schiappe! SCHIAPPE! SCHIAPPE! SCHIAPPE!” Ludmilla saltellava soddisfatta tra le altre amiche, schernendo i giovani rivali, tutti seduti al suolo sul campo da calcio del Country. “- Dai, lasciamoli stare, hanno già avuto la loro umiliazione con il punteggio a nostro favore! Non infieriamo!” Sentenziò Libi, legandosi la folta chioma bruna e andando a prendere una bottiglietta d’acqua dalla panchina delle riserve femminili. Violetta e Leon, dopo che Francesca e Federico avevano avuto il loro momento al chiosco a bordo piscina, avevano proposto a tutti una bella partita di pallone e le squadre erano state sin da subito chiarite: maschi contro femmine, cinque contro cinque. “- Avete vinto di misura, 3 a 2 non è una vittoria di cui vantarsi!” Sbottò Diego, con il suo solito fare da gradasso. “- E se Bianchi non avesse lasciato passare Francesca forse ora saremmo noi quelli a festeggiare!” Sentenziò Leon, mentre Violetta si apprestò a sedersi sulla corta erba accanto a lui, proprio sulla linea di centro campo. “- Infatti, sono d’accordissimo con Galindo! E chi l’avrebbe mai detto!” Sbottò Luca, portiere della squadra dei ragazzi, considerata la sua altezza. “- Tutto è stato a vostro favore! L’ultimo goal era della Cauviglia e il fidanzatino e il fratellino l’hanno fatta segnare!” Commentò Andres, palleggiando allegramente con la sfera di gioco, nonostante la stanchezza. “- Caspita, per una volta devo concordare con Calixto!” Sghignazzò Diego, stendendosi completamente al suolo, ancora sudato e con il fiatone. “- Ehi, bello! La prossima volta sceglietevi meglio i difensori!” Sbottò Camilla, soffiando il pallone al moro e cominciando a correre ancora per il campo, inseguita da Andres che tentava di recuperare l’agognato oggetto. “- Non vi avremmo mai fatto vincere solo per questo, diamine sono Bianchi, ragazzi! Vi pare che potevo favorire le ragazze?!” Sbottò Federico, sottolineando il suo nome, sapendo che tutti lo collegassero all’essere competitivo su ogni tipo di sfida. “- E basta litigare! Godiamoci questa bella giornata di sole e sport all’aria aperta! E’stato bello, tutti uniti, senza distinzioni! Né migliori o peggiori…” Tentò di placarli Violetta, appoggiando la testa sul petto di Leon: amava da impazzire quella sensazione di calma che solo tra le braccia del giovane riusciva a percepire… lui, a sua volta, respirò a pieni polmoni il profumo di vaniglia che la chioma castana della giovane emanava e dovette ammettere che, dopo quella sconfitta bruciante, ebbe l’effetto di un calmante, lo stesso che gli provocava quel calore che avvertiva tenendola così stretta tra le sue braccia.
“- No, qui i peggiori ci sono eccome! E direi che a questo punto dovrebbero chiederci anche la rivincita… o sbaglio?” Sorrise astutamente la Ferro, stendendosi proprio accanto a Dominguez che, subito, l’attirò a sé per cingerle la vita con le braccia. “- Hanno paura, ecco tutto!” Rise Libi, mentre, finalmente, anche Andres e Camilla li avevano raggiunti di nuovo, con il fiatone, stramazzando al suolo entrambi, distrutti per la corsa. “- Quando volete!” Esclamò Leon, scattando in piedi un po’ adirato, per poi dirigersi verso gli spogliatoi, seguito dagli altri ragazzi che, stizziti per quell’ulteriore provocazione, continuarono ad accusare Federico per la cocente sconfitta.
 
 
“- Poveretti, secondo me sono ancora furiosi!” Esclamò Francesca, autrice del punto della vittoria che, fino a quel momento, se ne era rimasta in silenzio: anche le giovani erano rientrate negli spogliatoi per darsi una rinfrescata e cambiarsi, eppure l’argomento di conversazione restava la partita giocata poco prima. La stessa Cauviglia, però, aveva avuto la sensazione che Bianchi, per quanto negasse, l’avesse voluta far passare di proposito per andare a segnare, senza provare neppure a fermarla… non subito ma prima o poi avrebbe tanto voluto chiederglielo: era così felice di aver trovato nuovi amici e, finalmente, anche l’amore… amava Federico da sempre e ora che lui la ricambiava sinceramente le pareva di vivere in un sogno. “- FRANCESCA CI SEI?” La voce di Camilla la ricosse dai suoi pensieri e subito si apprestò a drizzare le orecchie per ascoltare l’amica, scattando in piedi di colpo dalla panca sulla quale era seduta ad infilarsi le scarpe. “- Cosa?” Chiese, facendo sghignazzare la Ferro sotto ai baffi. “- E’ sul pianeta Fede, mi sa!” Sorrise Violetta, dandole una lieve gomitata che la scosse leggermente da quello stato di trance in cui continuava ad essere l’italiana… il gruppo si era appena formato, eppure erano già tutti in grande confidenza, soprattutto le ragazze che, a differenza dei maschi, i quali non smettevano di battibeccare, per quanto si fossero anche loro uniti notevolmente, erano molto più compatte e forse la vittoria le aveva anche aiutate parecchio sotto quell’aspetto. “- Ti chiedeva se vieni a prendere un gelato con noi! Tanto avete finito il turno al chiosco da un pezzo!” Esclamò Libi asciugandosi con un asciugamano i capelli bagnati, facendola annuire distrattamente. “- Bene, allora che aspettiamo? Andiamo, forza! Tanto mi sa che i ragazzi passavano prima al campo da golf e poi ci raggiungevano lì, quindi…”. La frase di Ludmilla fece sì che tutte si affrettassero ad avvicinarsi alla porta della sala, tranne la Cauviglia che, ancora persa nei suoi pensieri, rimase seduta lì da sola. “- Voi andate, vi raggiungo dopo, devo prima recuperare tutte le mie cose… sono parecchie, emh… vengo tra qualche minuto!” Sentenziò nervosamente, scattando in piedi e cominciando a buttare i suoi vestiti alla rinfusa nel borsone da lavoro: se glielo avessero chiesto il giorno prima, mai e poi mai si sarebbe immaginata una giornata come quella, così movimentata eppure così stupenda… aveva detto di proposito alle ragazze di avviarsi al bar, lei doveva fare una domanda a Federico, sentiva, senza averne la certezza, che lui l’avesse favorita per la vittoria ma voleva che lui glielo dicesse di persona e non poteva più aspettare. Sperò con tutto il suo cuore che il ragazzo fosse ancora negli spogliatoi dei maschi ma non potendovi entrare, si appoggiò con la schiena allo stipite di legno, provando a sentire se loro fossero ancora dentro… le voci di Diego, Leon e Luca,  arrivarono nitidamente alle sue orecchie, sempre di più, fino a quando non furono palesemente troppo udibili, facendo sì che lei cadesse al suolo ai loro piedi, sull’uscio, nel momento in cui aprirono la porta a cui era appoggiata. “- Oh caspita, stai bene sorellina?” Cauviglia subito aiutò la giovane ad alzarsi, la quale prese a ridere come  una forsennata per l’imbarazzo della situazione. “- Ma che fai, origli? Non si fa, cameriera Francesca!” Sghignazzò Diego, beccandosi uno scappellotto da Luca e un calcio in uno stinco da Leon. “- Sta’ zitto, Dominguez o dopo te la vedrai con me!” Sbottò Bianchi, ancora intento a ripiegare con cura e precisione le sue cose da mettere in borsa. “- E con me!” Sbottò l’altro italiano, avvicinandosi minacciosamente allo spagnolo riuscendo solo a farlo ghignare. “- Stava scherzando, vero Diego?” Francesca lo aiutò a uscire da quella pericolosa situazione, facendolo annuire soddisfatto. “- Ecco, come siete pesanti! Andiamo va’, così magari ci calmiamo giocando a golf!” Sorrise lo spagnolo, dando una pacca sulla spalla sia a Luca che a Galindo, per poi uscire, seguiti anche da Andres che, correndo, per poco non ruzzolava addosso alla povera ragazza, facendola quasi cadere ancora una volta al suolo. “- Devo chiederti una cosa, è importante.” La vocina della Cauviglia riecheggiò prepotentemente  nello spogliatoio ormai vuoto e Federico subito le si avvicinò con aria curiosa e felice di vederla lì. “- Dimmi tutto.” Sentenziò con decisione, poggiandosi con la mano alle fredde mattonelle bianche della parete, con il braccio teso e gli occhi fissi in quelli della giovane: Francesca, nel vedere così da vicino Bianchi per la seconda volta dopo che si erano baciati brevemente, credé seriamente di svenire… “- Mi hai fatto fare goal di proposito, vero? Dai dimmelo, tanto non lo rivelerò a nessuno!” Quella domanda fece prontamente sorridere Bianchi: mai lo avrebbe ammesso, eppure l’aveva fatta arrivare in area di rigore fin troppo facilmente, per far sì che riuscisse a segnare il punto decisivo. “- Perché lo vuoi sapere? Avete vinto, no? Mi sento già abbastanza umiliato di mio, non infierire!” Ridacchiò nervosamente Federico, che, mentre con una mano si teneva al muro, con l’altra prese lievemente a carezzare una guancia alla bruna che sorrise imbarazzata, sentendo il viso andarle a fuoco per l’emozione. “- Tanto anche se non lo ammetterai mai, perché so che tu non lo ammetterai mai, sono certa che mi hai favorita.” Sentenziò Francesca, fissando quegli occhi nocciola così allegri che stavano rispondendo alla sua domanda da soli… in un attimo, Bianchi si avvicinò sempre di più a lei, sperando di non avere la stessa sorte di qualche tempo prima: le loro bocche si sfiorarono prima delicatamente, poi, a poco a poco, quel tocco delicato divenne sempre più travolgente e appassionato. La ragazza inizialmente credé di svenire ma successivamente trovò davvero piacevole quel contatto così desiderato da sempre, tanto da non voler più smettere di assaporare le labbra di Bianchi e ritrovandosi ad allacciargli le braccia al collo, completamente presa da quel bacio. I due giovani si staccarono solo quando rimasero senza fiato e continuarono a specchiarsi a vicenda l’uno negli occhi dell’altra. “- D’accordo, ti ho fatta andare in goal ma non dirlo a nessuno, io sono Federico il competitivo, ricordalo.” Soffiò lui, ancora ad un centimetro dalla bruna che rabbrividì al solo sentire il suono della sua voce, felice però che finalmente avesse ammesso ciò che lei già sospettava. “- Ma oggi però Federico il competitivo ha perso…” Balbettò l’italiana, facendo sfiorare i loro nasi, con aria astuta. “- Non esattamente! Oggi Federico il competitivo ha vinto il cuore di Francesca Cauviglia, ed è l’unica cosa che conti davvero.” Sentenziò con un ghigno astuto il moro, facendo quasi commuovere lei per quella dolcezza inaspettata. “- Ti amo, Fede…” Mormorò Francesca, prendendogli il viso tra le mani e fissandolo intensamente. “- Anch’io ti amo, piccola mia… più di quanto tu possa immaginare.” Rispose Bianchi, per poi baciarla ancora una volta, felice come mai in vita sua.
 
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Fedencesca! E’ il loro capitolo, non c’è dubbio! *___* Finalmente Fede conquista Fran dopo numerose peripezie dovute al suo caratteraccio! u.u Scena finale da scleri! Rpjroptoroor Non mancano accenni Leonetta e Diemilla! <3 E poi parte mooolto importante dei Pangie… ricordatevela bene! Angie ha mentito a Pablo sul suo passato per timore… cosa succederà ora? Alla prossima e grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi! :) ciao! :) 

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Capitolo 24
*** Alla luce della luna. ***


“- Qualcuno qui dentro è alquanto nervosetto!” Leon apparve sull’uscio della stanza degli ospiti e seguiva con lo sguardo Angie che vagava come una trottola impazzita dall’armadio alla specchiera, continuando a rimirarsi, a sistemarsi capelli e a tentare di domare con le mani alcune pieghe del suo elegante abito blu notte. “- Violetta non c’è, è in giardino…” Si apprestò a rispondere l’istitutrice convinta che il giovane volesse vedere la ragazza, inginocchiandosi poi per cercare qualcosa sotto al letto. “- In realtà volevo parlare con te.” Sentenziò lui, facendo qualche passo verso il centro della camera e ottenendo che lei, ormai quasi stesa sul pavimento, si sollevasse con curiosità e prendesse ad osservarlo confusa. “- Se posso, chiaramente, madamigella…” Iniziò a scherzare lui, tendendole una mano per aiutarla a rimettersi in piedi. “- In verità anche io volevo scambiare quattro chiacchiere con te.” Sbuffò la Saramego per lo sforzo dovuto al rialzarsi e, sedendosi sul letto, riprese fiato, facendo cenno a Leon di prendere posto accanto a lei. “- D’accordo, inizia tu… prima le signorine.” Sentenziò Galindo con un tono solenne e buffo che fece ruotare gli occhi al cielo alla bionda la quale si sciolse poi in un bel sorriso, ritornando però subito seria, come se l’argomento che volesse toccare fosse leggermente spinoso. “- Stasera io e tuo padre andremo a cena ed… ecco… torneremo un po’ tardi.” Sentenziò con lo sguardo fisso sulle pieghe che increspavano la ancora la gonna del suo vestito. “- Lo so, papà si sta dando alla pazza gioia in questo periodo ma sono felice per lui, non fraintendermi, eh!” Commentò il ragazzo, con un ghigno malizioso sul volto che fece arrossire di colpo la Saramego. “- Non… non è questo che… fammi finire!” Balbettò infatti visibilmente a disagio e imbarazzatissima, mentre Leon cominciò a sghignazzare divertito dalla situazione. “- Insomma, tu e Violetta state insieme e… Leon ti prego, non farmi stare in ansia. Mi fido di te, anche se in passato non sei stato proprio il prototipo del bravo ragazzo, ma ora sei cambiato e… mi auguro che tu possa essere responsabile… sai perfettamente cosa intendo. Me lo prometti?” Angie aveva detto quella frase quasi senza riprendere fiato e Galindo se ne rese conto subito: era come se per tutto il pomeriggio si fosse preparata quel discorso da fargli e non si sarebbe sorpreso se l’avesse trovato scritto su qualche post it attaccato alla specchiera. “- Te lo prometto, farò il bravo.” Sorrise, portandosi una mano al cuore con aria solenne ma seria. “- Bene.” Sospirò la donna, alzandosi per continuare a tentare di trovare quello che aveva perso già quando il ragazzo era entrato. “- Io però non ti ho ancora detto nulla e ti ricordo che sono venuto qui per dirti qualcosa… ma si puo’ sapere cosa diamine stai cercando?” Sbottò poi lui, continuando a fissarla fare la spola da un lato all’altro della stanza. “- La pochette… è nera, con la tracolla argento e…” Tentò di descriverla, scostando degli abiti finiti al suolo ai piedi dell’armadio. “- Eccola, era sotto al cuscino… ora siediti e ascoltami.” La donna, con un sorriso, lo ringraziò e si sedette di nuovo al suo fianco, portandosi la piccola borsa in grembo. “- Stai tranquilla, ci tengo davvero a Violetta, come non ho mai tenuto a nessun’altra in vita mia…” Iniziò Leon, prendendole la mano per rassicurarla, facendola voltare verso di sé. “- Ne sono felice.” Sorrise ancora Angie, accarezzandogli una guancia, serena. “- E poi volevo dirti che sono contento che tu e mio padre siate così affiatati… insomma tu sei intelligente, bella, simpatica… ok, sei un tantino più giovane ma chissene importa, l’amore non ha età, no?!” Ammiccò il giovane, alzando un sopracciglio e assumendo un’aria alquanto divertente che la fece scoppiare a ridere di gusto. “- Angie ti adoro, sei eccezionale e non so davvero cosa sarebbe stato di noi senza di te, senza Violetta… insomma ti… ti voglio bene e so che sembrerà una roba smielata e da femminucce per niente nel mio stile, ma dovevo dirtelo, ecco.” A quelle parole la Saramego, che era di colpo tornata seria nell’ascoltarlo, quasi non riuscì a contenere le lacrime e sentì gli occhi pizzicarle e farsi subito lucidi: istintivamente abbracciò il giovane attirandolo a sé e cominciando a piangere irrimediabilmente. “- Dannazione, dovrò rifarmi il trucco ed è tutta colpa tua!” Ridacchiò tra un singhiozzo e l’altro, mentre il giovane prese ad accarezzarle piano la schiena per tranquillizzarla. “- Capirai, sei splendida anche senza trucco, ti ho vista in corridoio di mattina e in piena notte, sai?” Esclamò allegramente lui, sciogliendo in simultanea con la bionda quella stretta così importante per entrambi. “- E tu sei il solito ruffiano!” Sbottò la bionda, continuando però a ridere Angie, tentando di tamponare alla meglio le scie di mascara nero lasciate dalle lacrime. “- Divertitevi stasera, eh! Non vi aspetteremo svegli…” La provocò ancora Galindo, mettendosi in piedi, per poi chinarsi a darle un delicato bacio sulla guancia. “- Leon…” Lo chiamò la Saramego, avvicinandosi con passo incerto al ragazzo, il quale si poggiò con la schiena allo stipite della porta. “- Mi raccomando...” Aggiunse la donna, allungandogli una mano per stringergliela, come a sancire un patto, facendo sì che lui subito gliela afferrasse, con gli occhi fissi in quelli altrettanto smeraldo della donna. “- Tranquilla…” Sorrise lui, facendola annuire. “- Buona serata, dolcezza!” Salutò, uscendo con passo baldanzoso. “- Anche a voi!” Esclamò lei, affacciandosi sull’uscio e incrociando subito lo sguardo di Pablo che, in un elegante abito nero, si avvicinava sempre di più alla porta, scansando con un sorriso Leon che correva in direzione opposta a lui. “- Sei meravigliosa…” Balbettò, osservandola rapito e facendola arrossire lievemente nella zona delle guance. “- Anche tu sei fantastico, signor Galindo!” Sorrise la donna, allacciandogli le braccia al collo e perdendosi nei suoi occhi neri. “- Ma mai quanto te, principessa! Andiamo?” Le sussurrò ad un centimetro dalla sua bocca, prima di sfiorarle le labbra con un rapido e delicato bacio. “- Certo, sono pronta.” Esclamò, afferrandogli la mano sinistra e intrecciando le sue dita con quelle dell’uomo: combaciavano alla perfezione, come se fossero state create per essere unite le une a quelle dell’altro e una sensazione di calore si propagò nei loro corpi a quel contatto, apparentemente così semplice ma tanto significativo per entrambi.
 
 
“- E’ bello ogni tanto avere casa libera, cenare io e te… e poi anche quei due meritavano di stare un po’ da soli!” Leon era seduto sulla panchina di fronte alla fontana e sussurrò all’orecchio di Violetta con voce calda quella frase, per poi depositarle un bacio delicato sul collo, appena sotto al lobo. “- Sì sono d’accordo! Prima che se ne andassero però, non ce la facevo più con tutte quelle raccomandazioni! Sembrava stessero partendo per la Cina e invece tra qualche ora saranno di nuovo qui!” Sorrise lei, reclinando lievemente il capo, avvertendo un brivido al contatto con il giovane. “- Comincia a far freddo, rientriamo, dai!” Ghignò il ragazzo, intuendo subito che quel tremore fosse dovuto a lui e non al lieve venticello che cominciava a levarsi nell’aria. ”- D’accordo, andiamo…” Sentenziò lei, scattando in piedi e stringendo al petto il suo diario che il giovane prese a fissare con insistenza, restando immobile. “- Che hai, ora? Non hai più voglia di tornare in casa?” Rise Violetta, schioccandogli poi le dita davanti agli occhi per distoglierlo da quello stato di trance in cui era caduto. “- Ehi!” Lo richiamò ancora, sperando di fargli dare una mossa. “- C’è scritto anche su di me in quel coso, vero?” Quella domanda improvvisa la fece avvampare di colpo e, istintivamente, abbassò lo sguardo, dapprima puntato in quello di Leon, sul suo diario, l’oggetto più prezioso che avesse. “- C’è un po’ di tutto ma soprattutto c’è tanto di me.”  Con quell’astuto di Galindo era meglio tenersi sul vago… era vero, la maggioranza di quelle pagine conteneva i suoi pensieri, sé stessa… ma sarebbe stata una grande bugiarda se avesse detto che, tra quei fogli, non figurasse almeno ogni tre  parole anche il nome di Leon, magari seguito da qualche cuoricino. “- Posso leggere qualcosa?” Sorrise lui, facendole gli occhi dolci, sperando di convincerla. “- Certo che no!” Sbottò Violetta, scoppiando a ridere divertita da quella folle richiesta, lasciandolo stupito e deluso. “- Non prendertela ma è troppo personale, non posso!” Mormorò poi, intuendo di averlo fatto rimanere troppo male e facendo qualche passo verso di lui, accovacciandosi ai suoi piedi per guardarlo negli occhi che lui teneva bassi, fingendo tristezza. “- Non temere, non fa nulla…” Balbettò poi lui, mentre lei, con una mano, gli sollevò il viso, riuscendo a specchiarsi ancora nel suo sguardo e abbandonando il diario sulle proprie ginocchia. “- Mi dispiace ma proprio non posso, mi vergognerei troppo…” Sorrise la La Fontaine, prendendo poi a carezzargli una guancia, mentre lui, stranamente, rimase serissimo ma con un luccichio furbo nello sguardo. “- Ti ho detto che non fa nulla, tanto quello che Leon Galindo vuole…” Iniziò lui, con il suo solito ghigno malefico che si disegnava sul suo volto. “- …LEON GALINDO AVRA’!” Con quell’urlo, il giovane sfilò il prezioso oggetto  che la ragazza teneva poggiato in grembo e riuscì a evitarla, prendendo a correre come un forsennato per il giardino. “- Ehi, ridammelo! SUBITO!” sbottò lei ridendo, scattando in piedi e cominciando a seguirlo, veloce come un fulmine: fecero due volte il giro della fontana e subito il giovane deviò alla sua sinistra, tagliando per il percorso che spettava alle auto che entravano alla villa e ritrovandosi sull’altra enorme distesa di verde che portava al piccolo ponticello sullo specchio d’acqua artificiale “- LEON, DAI! TORNA SUBITO QUI!” In quel momento Violetta era meno divertita, eppure non riusciva a fare a meno di pensare a quanto amasse il suo ragazzo, seppure spesso, come in quel caso, lui sembrava adorare farla innervosire, quasi lo divertisse ed anche parecchio.  Il giovane, dal canto suo, non avrebbe mai preteso di leggere il diario segreto di lei, gli piaceva solamente a provocarla, osservare il suo broncio quando fosse nervosa… adorava tutto della sua Vilu, anche quando battibeccavano, cosa che non accadeva troppo spesso e che, per questo motivo, si occupava di farla stizzire lui.
I ragazzi superarono il gazebo che sormontava il laghetto e finirono per correre ancora tra gli alberi fino al capanno per gli attrezzi che si trovava poco nascosto dalla boscaglia: il chiarore della luna, in quella zona, era l’unica fonte di luce che avevano dato che gli sporadici lampioncini finivano pochi metri alle loro spalle mentre un grande faretto splendeva appena sulla porta della piccola struttura in legno, vicino ai quali erano giunti. “- Leon qui è ancora più buio, dai fermati!” Continuò lei, con il fiatone, piegandosi sulle ginocchia respirando a pieni polmoni, sentendo il ritmo del suo cuore correre come un tamburo. Leon, a quella richiesta, si bloccò con le spalle poggiate alla facciata della casetta e non sembrava affatto stanco, eppure si preoccupò nel vederla così affaticata. “- Stai bene?” Sussurrò, con pochissimo affanno, avvicinandosi di qualche passo a lei che aveva preso a fissare il ramo di un albero proprio poco sopra la sua testa. “- Andiamocene, io odio questo posto! Quell’alveare mi… mi terrorizza!”  A quelle parole Galindo l’affiancò e finse di darle il diario, facendoglielo passare più volte davanti agli occhi. “- Vieni con me, segui me e vinci la tua paura.” Sussurrò lui, indietreggiando verso la piccola rimessa, per poi spalancarne la porta come per invitarla ad entrare. Violetta, alzò di nuovo gli occhi verso quell’alveare: quella zona la evitava sempre seppur sembrasse accogliente… ma era più forte di lei, aveva la fobia degli insetti e il solo doversi avvicinare a quel vivaio di api la faceva sudare freddo. “- Fidati, vieni!” Il castano le tese anche una mano sperando di aiutarla a raggiungerlo: lui sapeva quello che faceva, sapeva che la sua amata non dovesse avere nulla da temere… la giovane, aggirando l’albero, riuscì a passo lento e preoccupato a raggiungere Leon che, una volta arrivata, subito la strinse a sé mentre lei  si lasciò prontamente cullare dal ritmo del cuore del ragazzo, sperando di tranquillizzarsi. “- Perché?” Balbettò, arpionandosi alle sue forti spalle. Era così confusa… per quale motivo Leon l’aveva spinta a superare quell’ostacolo? “- Perché sapevo che quell’alveare fosse abbandonato da qualunque tipo di insetto… ti puoi fidare di me, Vilu. Sempre.” La ragazza smise un po’ di tremare e, a quelle parole, alzò lo sguardo, ritrovandosi a persa in quegli occhi così profondi e dolci che erano quelli del giovane. “- Ti amo.” Sussurrò, allacciandogli ancora le braccia al collo e lui, ancora con il diario sottobraccio, l’attirò ancor di più a sé in modo che i loro corpi aderissero maggiormente, facendo sì che una sensazione di calore si impossessasse di loro prepotentemente e che si accentuasse ancor di più quando presero a baciarsi con sempre più passione, staccandosi solo di tanto in tanto per riprendere fiato. Senza neanche accorgersene, i ragazzi si ritrovarono ad indietreggiare sempre di più fino ad entrare nel capanno e Leon, prontamente, poggiò su una vecchia sedia sgangherata il diario per poi chiudere la porta, il tutto non riuscendo proprio a lasciar andare le labbra di Violetta, come se da esse ne dipendesse della sua stessa vita. “- Leon…” Sospirò lei, mentre il giovane continuava a mordicchiarle il labbro inferiore con desiderio e con le mani riprese a percorrere ogni centimetro della sua schiena. “- Violetta, sei sicura? Ti senti pronta?” Soffiò lui ad un centimetro dalla sua bocca, facendola annuire di fretta… era sicuro che per lei dovesse essere la prima volta e non voleva che si sentisse forzata nel doverlo fare… era chiaro quello che sarebbe successo di lì a poco e il giovane, per correttezza, voleva sapere cosa lei ne pensasse prima di proseguire. “- D’accordo, allora aspetta un secondo…” Il ragazzo, staccandosi da lei, afferrò una coperta da una mensola alta e la stese con cura su una vecchia e piccola branda pieghevole, per poi fare ancora qualche passo sicuro verso la giovane che, immobile, lo osservava attenta, seguendo ogni suo gesto con attenzione: non poteva credere a quello che stava per succedere, non riusciva a razionalizzare. Violetta amava profondamente Leon, era stato l’unico ragazzo con cui avesse mai avuto davvero a che fare, l’unico a cui aveva dato il primo bacio, l’unico con cui avrebbe voluto stare, per sempre. Sì, nonostante un po’ di ansia, si sentiva pronta a fare quel passo così importante, voleva essere sua, per sempre, ed era certa che mai e poi mai se ne sarebbe potuta pentire. Galindo le si parò contro e le tese lamano, per farla avvicinare a sé. “- Se non sei pronta posso aspettare, sul serio. Ti amo e voglio che tu ti senta davvero certa di volerlo sul serio…” In quell’istante la La Fontaine ebbe l’ennesima sicurezza del fatto che quel giovane fosse perfetto, che voleva fare l’amore con lui più di ogni altra cosa al mondo. Se, fino a qualche mese prima, lei non avrebbe mai immaginato neppure lontanamente di innamorarsi di quel ragazzo inizialmente così arrogante, Leon, dal canto suo, non avrebbe mai pensato di comportarsi così dolcemente con una ragazza. Violetta lo aveva cambiato in meglio, aveva un grande potere su di lui ed era sicuro che tutta quella tenerezza insita nel suo cuore, in fondo, ci fosse sempre stata ma che solo con lei accanto riuscisse a venir fuori, rendendolo quasi irriconoscibile persino per sé stesso. In quel momento voleva che tutto fosse perfetto, che lei ricordasse quella sera per sempre e sperò di riuscire a renderla tale, seppur l’ambiente non fosse proprio alla pari di una suite di un grande Hotel… ma poco importava, c’erano loro, il loro amore, la voglia di essere completamente l’uno dell’altra e quello bastava a rendere l’atmosfera magica. Violetta sfiorò ancora le labbra di Leon e, con le mani tremanti, cominciò a sbottonargli la camicia fino a farla cadere al suolo, mentre il ragazzo le sfilava piano la leggera maglietta, senza staccarsi dalla sua bocca neppure per un secondo. I baci si fecero sempre più infuocati e gli indumenti cominciarono ad essere sempre più superflui, d’intralcio. “- Ti amo, Leon…” Soffiò la ragazza, ritrovandosi stesa sul lettino, sentendo il contatto con gli addominali del ragazzo appoggiati su di sé e che riuscivano ad infondere un calore enorme. “- Io di più, principessa…” Quel mormorio con voce suadente… Violetta credé di impazzire e sentì altri brividi percorrerle la colonna vertebrale prepotenti e, allo stesso tempo, irrefrenabili. Le piacevano tutte quelle sensazioni nuovi così forti da toglierle il fiato eppure così dolci… quella fu una notte magica, tra baci, carezze, tenerezze sussurrate all’orecchio e tanto amore: erano loro due, la passione che li travolgeva e un tenue raggio di luna che arrivava dritto sulla coperta che li avvolgeva, ad illuminargli l’atmosfera.
 
 
“- E’ stata una cena fantastica, quel posto è davvero magnifico!” Angie camminava al fianco di Pablo lungo la riviera sulla costa di Buenos Aires dove si trovavano i ristornati più eleganti di tutta la città. Una luna piena enorme brillava alta nel cielo data l’ora tarda e oltre il parapetto in ferro, il mare, poco mosso, spandeva nell’aria un forte odore di salsedine. “- Sono felice che ti sia piaciuto, è stata una serata stupenda, sai quanto ami passare del tempo con te.” Galindo, come al solito, era imbarazzato e sapeva che, quell’invito, aveva un motivo ben preciso al quale lui ancora non aveva risposto… istintivamente e distrattamente mise una mano nella tasca della giacca e sentì che quello era il suo obiettivo… come diamine era riuscito a rimandare così tanto il momento buono per parlarle? Doveva farlo al tavolo, quello che aveva prenotato sulla terrazza del grande locale, o meglio per rendergli più facile quel discorso tanto importante, aveva fatto sì che quella sera il loro fosse l’unico all’esterno. Gli era costato una fortuna prenotare tutto ma poco importava… avesse almeno avuto il coraggio di sfruttare quella cena a suo favore! “- Sei taciturno, va tutto bene?” La donna, improvvisamente, si fermò, appoggiò la schiena alla ringhiera e lo fissò inarcando un sopracciglio, confusa… che avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato? D’altronde lei non si sentiva chic quanto le signore dell’alta classe che affollavano quella zona, eppure, al fianco di Pablo era come se dimenticasse ogni problema, quello compreso. “- In realtà è che devo dirti una cosa e non neppure so come iniziare…” La voce seria di Galindo accese ancor di più la sua attenzione e, in fondo, anche la sua ansia, tanto che un tremito la scosse vistosamente dalla testa ai piedi. “- Hai freddo? “ Chiese lui, rendendosi però conto che fosse alquanto tesa. “- Un po’…” dissimulò lei, non potendo ammettere che quei brividi fossero dovuti alla paura di essersi comportata in modo poco consono. “- Aspetta, metti questa…” In un secondo l’uomo si sfilò la giacca e, delicatamente, gliela posò sulle spalle, facendola sorridere istintivamente per quella dolcezza. “- Non ce n’era bisogno…” Balbettò, leggermente rossa in volto ma stringendosi nell’indumento, intriso del profumo al muschio dell’uomo e beandosi di quella sensazione di calore che l’avvolse. “- Cosa dovevi dirmi?” Aggiunse subito, mentre lui, stranamente, cominciò a cercare qualcosa nelle tasche dei pantaloni, lasciandola un po’ sorpresa. “- Dannazione! Sono un imbranato!” Imprecò, ricordandosi di avere la scatolina nella giacca appena ceduta alla donna. “- Permetti?” Domandò, con un mezzo sorriso imbarazzatissimo. “- Come?!” Sghignazzò Angie, mentre lui, avvicinandosi a lei nuovamente, senza attendere risposta, prese a scavare nelle tasche dell’altro capo d’abbigliamento, recuperando il prezioso oggetto. “- Eccoci, dunque… ho pensato per giorni a come iniziare ma… non lo so, ora ho un vuoto totale, una sorta di blackout e…” Gli occhi di Angie per un secondo fissarono un pugno dell’uomo stringere qualcosa che aveva ripescato dalla giacca che ancora lei teneva sulle spalle ma prontamente ritornò sui suoi occhi neri leggendovi subito tanto imbarazzo. “- Tranquillo, non devi mica vergognarti con me! Sai che puoi dirmi tutto. Parla con il cuore e tutto sarà più semplice.” La Saramego, continuando a specchiarsi nello sguardo un po’ nervoso di lui, prese a carezzargli piano una guancia, avendo intuito quanto per lui dovesse essere difficile farle quel discorso, seppur ne ignorasse ancora il tema fondamentale. “- Ecco, come al solito hai ragione e sappi che seguirò solo quello… ti amo, Angie. Ti amo con tutto me stesso e… e da quando sei entrata nella mia vita, in quella di Leon, tutto è cambiato in meglio: hai portato la gioia di vivere dove c’era solo dolore e non te ne sarò mai grato abbastanza.” A quelle parole il moro riprese fiato con un grande sospiro. Basta, ora o mai più doveva dirle il motivo principale per cui avesse organizzato quella cena e notò come un sorriso si fosse disegnato sul volto di lei nel sentirsi dire quella frase. “- Io voglio che questa gioia non vada più via dalla mia vita e… voglio che tu ci sia accanto a me, per sempre: solo così potrò riavere la felicità che ho perso.” Pablo, dopo aver detto ciò, si inginocchiò su una sola gamba mentre, piano, afferrò una mano di Angie che sentiva il cuore batterle a mille, come un tamburo impazzito… nel vedere il contenuto del pugno dell’uomo, una piccola scatolina in velluto blu, sentì le gambe tremarle per l’emozione e pensò seriamente di poter svenire da un momento all’altro. “- Pablo…” Sussurrò con aria sognante quando poi lui la aprì, mordendosi nervosamente il labbro inferiore per l’emozione: un elegante e raffinato anello con un piccolo diamante lucente faceva bella mostra di sé al centro del suo astuccio. “- Aspetta, fammi finire che se inizio a perdere il filo è la fine…” Ridacchiò nervosamente lui, depositandole la scatolina nella mano che le teneva ancora stretta mentre lei, prontamente, misurò all’anulare il prezioso gioiello: le stava d’incanto ed era così raffinato nelle sue  linee classiche… era di valore eppure, paradossalmente, semplice… era come Pablo, il suo vero diamante. “- Angeles Saramego… vuoi diventare mia moglie?” Quell’ultima parola la disse quasi in un sussurro tesissimo e sperò vivamente che lei accettasse seppur la donna, con le lacrime agli occhi, facesse passare in continuazione lo sguardo dall’oggetto sul suo dito a Pablo: non riusciva a crederci, le sembrava di vivere un sogno e quasi ebbe l’istinto di pizzicarsi un braccio per verificare che fosse sveglia sul serio. “- Ti prego dì qualcosa, qualunque cosa! Non ce la faccio più a stare in questa posizione… non sono più un ragazzino!”. La voce divertita ma allo stesso tempo agitatissima di Pablo la fece sobbalzare dal flusso dei suoi pensieri… il colloquio, Clara, i sogni, la soffitta, il primo bacio al gazebo sul lago… tutto le tornò in mente in un secondo e tutto l’amore che provava per Galindo la portò a sentire una lacrima scorrerle lungo una guancia… quanti errori aveva fatto nella sua vita, prima di conoscere Pablo? Era stata una stupida e si vergognava di sé, di quella che era stata, di quella Angie di cui l’uomo che amava mai e poi mai avrebbe dovuto sapere.  “- Alzati, dai!” La bionda, sorridendo seppur in un singhiozzo, esclamò quella frase, tirandolo su per un braccio e lasciandolo un po’ sconvolto. “- Perché, ti ci vuole ancora così tanto per rispondermi?” Ironizzò lui, beccandosi un piccolo buffetto su una spalla. La donna gli allacciò le braccia al collo e sorrise ancora, emozionatissima. “- Non mi serve tempo… lo voglio! Lo voglio più di qualunque altra cosa al mondo!” Esclamò entusiasta, per poi, prendendogli il volto tra le mani, baciarlo con passione. “- Ti amo, Pablo…” Soffiò, staccandosi da lui ma rimanendo con la fronte poggiata alla sua. “- Amore mio, mi hai reso l’uomo più felice del mondo!” mormorò lui, asciugandole le lacrime che continuavano a scenderle sulle guance con i pollici, per poi sfiorare ancora quelle labbra tanto morbide che lo facevano letteralmente sragionare. “- E tu la donna più felice dell’Universo intero, vinco io Galindo!” Aggiunse lei con un ghigno furbo, per poi baciarlo di nuovo. “- Dovremmo pensare alla data…” I due ripresero a camminare piano, mano nella mano, accompagnati sempre dal lieve fruscio delle onde e la donna subito realizzò che occorreva senza dubbio fissare un giorno perfetto per il loro matrimonio, seppure ancora non riuscisse a credere al fatto che avrebbe, di lì a poco, convolato a nozze. “- Il prima possibile, che ci importa del resto? Dipendesse da me ti sposerai anche stanotte stessa, principessa mia!” Sorrise l’uomo, per nulla preoccupato del fatto che ci volesse del tempo per organizzare un matrimonio. “- Hai ragione… anch’io ti sposerei subito e al diavolo tutto!” Sussurrò lei, voltandosi per osservarlo:era così calmo, pacato, e  innamorato pazzo di lei… Angie pensò che non le importava nulla dello sfarzo che, un tempo, avrebbe tanto agognato: ci sarebbe stato Pablo all’altare ad attenderla e si sarebbe sposata anche in jeans pur di coronare presto il suo sogno d’amore… quanto era cambiata da quando lo aveva conosciuto? E pensare che era la stessa donna che stava per truffare un vecchio solo per soldi ed ora… ora era tutto diverso, il denaro era l’ultimo dei suoi pensieri, quello primario era solo e sempre Pablo e ciò che provava per lui. “- Ma ciò non significa che prima non daremo una cerimonia per il fidanzamento, sei d’accordo?” Le chiese d’un tratto Galindo, fermandosi e guardandola negli occhi come per attendere la risposta entusiasta che sapeva sarebbe arrivata di lì a poco. “- Certo che sono d’accordo, mio futuro maritino!” Sorrise la donna euforica all’idea, attirandolo a sé per abbracciarlo con foga. “- $ei felice, Angie?” Quella domanda, quel tono improvvisamente serio la fecero subito riflettere… era felice? Sì, lo era come mai in vita sua e non vedeva l’ora di diventare la signora Galindo, anche se il solo pensiero le faceva uno strano effetto, ansia mista a felicità… stava vivendo, finalmente la serenità accanto a quell’uomo, quella che la vita le aveva sempre sottratto. “- Come non lo sono mai stata, Pablo… e tu? Tu sei felice di questa decisione?” Gli chiese, sperando che anche per lui fosse lo stesso seppure, in cuor suo, sapeva che fosse così. “- Se sono felice, amore mio? Non credo ci sia una parola che indichi come mi senta accanto a te…” Le sussurrò, prendendole le mani dolcemente. “- Sono al settimo cielo, Angie. Sei il raggio di luce che pensavo di non poter più avere, forse di non doverlo meritare… e poi all’improvviso, sei arrivata e tutto è diventato chiaro, ha ripreso senso…” Quelle parole, miste ad un filo di malinconia, fecero rabbrividire Angie… allora era sul serio così importante nella vita di Pablo? “- Tu sei un uomo straordinario e meriti tutta la gioia di questo mondo, basta sentire il peso di colpe che non hai mai avuto. Ti prometto che ci sarò per sempre al tuo fianco. Ti amo.” La voce di Angie, quelle emozioni, quella notte… era tutto così perfetto che persino Pablo, il quale di solito si nascondeva in una soffitta per piangere, sentì gli occhi pizzicargli e una lacrima sfuggì al suo controllo, venendo prima seguita dagli occhi verdi della donna e poi catturata da lei stessa in un caldo bacio sulla guancia. “- Che fai ora, piangi anche tu? Guarda che la sentimentale sono io, eh!” Sorrise ironica Angie, restando con la fronte appoggiata a quella di Galindo. “- Sei la cosa più bella che potesse capitarmi, mia futura sposa.” Sentenziò l’uomo, colpendo anche sé stesso per quelle parole, per poi sfiorare ancora e ancora quelle labbra. Non voleva pensieri inutili, forse davvero meritava la serenità anche lui e decise che, accanto ad Angie, voleva concedersela, almeno quella sera i problemi dovevano rimanere una nebbia lontana e indefinita. Si baciarono in quella riviera ormai solitaria per tutta la notte, con la candida luna che continuava a sorvegliarli con i suoi pallidi raggi, riflessi sull’Oceano alle loro spalle.
 
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Ok, è ufficiale: questo è il mio capitolo preferito! *___* Leonetta e Pangie… e anche la parte della conversazione tra Leon e Angie, all’inizio, mi piace! Sta volta lascio a voi gli scler… emh, i commenti e vi saluto. Dedico questo capitolo a tutti i fans delle coppie protagoniste che seguono con affetto la storia! :3 Grazie infinite a tutti e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 25
*** Scoperte scottanti. ***


“- Il bustino non mi convince e questa gonna così ampia… no, sembrerei io la torta o… o una bomboniera, forse!” Angie, in piedi sulla pedana al centro dell’atelier di abiti da sposa più celebre di Buenos Aires, si rimirava nervosamente allo specchio mentre le sue accompagnatrici la fissavano ed erano tutte più euforiche della sposa stessa la quale, per l’ansia delle imminenti nozze, non riusciva nemmeno a godersi appieno il momento. Violetta si era fatta accompagnare da Ludmilla che si era subito offerta di prendere parte a quella che era una vera e propria “spedizione di guerra” come l’aveva definita lei stessa, considerandosi l’esperta di moda che al gruppo avrebbe fatto comodo. Francesca e Camilla invece, con cui nelle ultime settimane la La Fontaine aveva legato molto, dovendo sia studiare che lavorare, purtroppo non avevano potuto esserci pur essendo eccitatissime all’idea di poter vedere all’interno quell’enorme e celebre negozio da sogno. A completare il divanetto che assisteva la sposa c’erano Olga che non faceva altro che piangere da quando aveva messo piede nella boutique, Violetta che non la smetteva di guardarsi intorno sognante e Marcela, la quale, avendo stretto amicizia con Matias, dopo quella cena di lavoro e altre visite a casa Galindo, era rimasta un’ottima amica della futura sposa e volentieri aveva accettato, sotto insistenza di Angie stessa, di accompagnarla in quel giorno così importante per lei. La scelta dell’abito da sposa era un dettaglio fondamentale e la Saramego, il giorno della sua festa di fidanzamento, era ancora senza vestito per il suo matrimonio che sarebbe stato dopo esattamente due settimane. “- Questo abito è molto ricercato però, signorina… lei mi ha richiesto qualcosa da sogno e più da sogno di così dubito di poter trovare dell’altro…” Una commessa del negozio, in un elegante tallieur blu notte con una targhetta dorata con inciso il suo nome, Carmen, sistemò un lungo velo sul capo di Angie che sbuffò sonoramente, per nulla soddisfatta di quel quinto vestito che provava, continuando a protestare: “- Da sogno… ma questo è da incubo, piuttosto!” Sbottò ancora, stizzita e palesemente stressata, per poi girarsi verso le altre per accettare giudizi sinceri. “- Ma quanto sei bella! Sei incantevole, una principessa!” Olga, ovviamente, riprese a piangere più forte, facendo ruotare gli occhi al cielo al resto della strana combriccola. “- Non ti ci vedo proprio con quello, Angie! Rischieresti di rotolare per tutta la navata inciampando in quella gonna orribile!” Sentenziò Violetta, già pronta a correre lei stessa verso gli stand ricchi di capi d’alta moda per proporre un altro abito alla donna… e, con quella scusa, avrebbe potuto curiosare tra quelle meraviglie di vestiti sognando il suo. “- E’ proprio brutto, diciamola tutta!” Il commento di Ludmilla era stato il medesimo per tutti i vestiti con cui la Saramego era uscita dal camerino quindi nessuna se ne sorprese. “- Non è che ci si potrebbe aggiungere un fiocco, che ne so… magari leopardato? Forse renderebbe meglio con qualche dettaglio chic del genere!” Con quella richiesta, la Ferro indispettì tutti, soprattutto la sposa che ruotò gli occhi al cielo ancora una volta, stizzita e scioccata allo stesso tempo. “- NON CI PENSO NEMMENO!” Esclamò nervosamente Angie, ormai distrutta e stanca da quella vera e propria sfilata di moda improvvisata. “- Dai non abbatterti, trovare l’abito non dev’essere così difficile! L’importante è trovare il marito, suppongo… e tu su quello sei già sistemata!” Il commento di Marcela allentò un po’ la tensione e tutte, Olga compresa che fino a qualche secondo prima continuava a frignare, scoppiarono in una fragorosa risata. “- D’accordo, provo l’ultimo… giuro che dopo però mi arrendo! Vuol dire che arriverò all’altare in jeans e t-shirt!” Sorrise, più rilassata, la Saramego, scendendo dalla piccola pedana. “- Perché non va lei stessa in deposito tra gli abiti? Magari sarà il vestito a trovare lei!” Suggerì la commessa con aria astuta, facendo subito annuire la donna, mentre Violetta scattò prontamente in piedi ma la dipendente, tornando piuttosto seria, fece cenno alla giovane di risedersi, lasciandola delusa. “- Mi dispiace, una sola persona puo’ venire con me. Di sotto lo spazio è poco, molti di quei vestiti valgono un capitale e un solo danno ad uno di essi mi costerebbe il posto! Già non potrei far scendere neppure la sposa ma, considerando quanto è in crisi, farò un’eccezione...” A quelle parole dal tono cortese della donna, Violetta capì e accettò la situazione senza lamentarsi troppo… era il giorno dedicato ad Angie e non aveva intenzione di rovinarglielo per la sua solita irrefrenabile curiosità. La donna, rivolgendo un’ultima occhiata all’affollato divanetto, si andò a cambiare di nuovo e, liberatasi dall’ingombrante abito, si incamminò seguendo la commessa verso una scalinata che portava al deposito del negozio. Una volta al piano di sotto, le due passarono di fronte a svariate porte, alcune aperte, altre socchiuse che erano parte integrante della sartoria dell’atelier che si trovava proprio in quella zona più riservata della boutique e un via vai di sarte correva da una parte all’altra, alcune rivolgendo occhiate irritate alla collega in compagnia di Angie che continuava, in confusione da quel movimento lì sotto, a guardarsi intorno. “- Non si preoccupi, anche se è vietato entrare qui con le clienti non dovrebbe comportare conseguenze troppo gravi…” Come se quella frase fosse stata ascoltata da qualcuno, una donna, probabilmente una superiore di quella semplice commessa, la richiamò prontamente e la Saramego rimase da sola a curiosare tra i vari stand stracolmi di abiti fino a quando, uno non ammucchiato lì con gli altri, l’unico esposto in un angolo di quello che sembrava essere un enorme corridoio, attirò la sua attenzione, facendola avvicinare a passo lento ad esso. Non era il vestito in sé ad averla sorpresa, questi era semplicissimo, un bustino senza troppi fronzoli e gonna liscia dallo stile lineare e non troppo gonfia, quanto a sconvolgerla, fu il velo appoggiato sul capo del manichino: una minuscola coroncina di fiori, piccolissime roselline finte ma alquanto realistiche, ognuna di un colore diverso di quelli dell’arcobaleno, la lasciarono a bocca aperta… quel simbolo era… il simbolo di Clara! In tutti i sogni lei era vestita con quei colori, sapeva della leggenda che raccontava a Leon su quel simbolo nel cielo, quanto fosse significativa per il giovane, conosceva quanto la stessa donna amasse profondamente quegli enormi archi di colori… poteva essere un segno? Sfiorò lievemente la stoffa di leggero chiffon e sentì come una scossa attraversarle il braccio, come se, tra lei e quell’abito, vi fosse un collegamento, una connessione e ne rimase sconvolta…
“- Vedo che avevo ragione, è stato il vestito a trovare lei!” Alle sue spalle, facendola sobbalzare letteralmente tanto da farla indietreggiare, apparve la commessa, alquanto sorridente per quanto la cliente fosse rimasta colpita da quell’abito. “- Già…” Balbettò, ancora scossa, la Saramego, voltandosi finalmente verso l’altra che prese a sbottonare il retro dell’abito al manichino per farlo poi provare alla futura sposa. “- Andiamo di sopra così lo potrà misurare… mi chiedo cosa ci facesse però questo vestito qui… di solito l’esposizione nel deposito non è prevista! C’è persino il velo, che buffo! Spero non sia già prenotato e destinato alla sartoria!” Sentenziò la signorina, riuscendo, finalmente, a imbracciare vestito e velo per dirigersi di nuovo verso la scalinata che portava al piano superiore dell’atelier, seguita da Angie che non disse una parola, rimasta fin troppo sconvolta da quell’evento così strano, neppure quando si ritrovò a provare il vestito nel camerino. “- Come mai è diventata così taciturna? L’emozione di aver scelto l’abito l’ha ammutolita?” Scherzò Carmen appuntando i bottoncini del bustino alle spalle della bionda che prese a specchiarsi, soddisfatta da quella scelta ma tuttavia sorpresa. “- Carmen, credo che quella semplice coroncina mi abbia indirizzato verso l’abito… ed ora che lo indosso, finalmente, mi sono resa conto di quanto mi piaccia anche il vestito stesso… non è strano?” La voce della futura sposa era pensierosa e, quando l’altra le fissò anche il velo con tanto di roselline colorate, la donna sentì ancora, inspiegabilmente, quel brivido percorrerle rapido la schiena. “- Beh, non è poi così strano… sembra quasi un segno, sa?!” Sorrise l’altra, aprendo la porta per farla uscire da quella piccola camera per mostrare alle sue accompagnatrici il vestito, a quanto pare già scelto dalla Saramego che arrivò di nuovo pedana di fronte alle amiche, lasciando le quattro sorprese, Violetta in particolare: la coroncina arcobaleno… anche la giovane subito ricollegò quei colori a Clara e rimase a bocca aperta, lanciando uno sguardo commosso ad Angie che la capì al volo, sorridendo. “- E’ fantastico, sul serio!” Sorrise Marcela, mentre Olga era scoppiata di nuovo a piangere come una fontana e Ludmilla, per la prima volta, sembrava aver perso le parole per avere qualcosa da obiettare. “- E’ questo... è questo l’abito con cui voglio andare all’altare.” Mormorò emozionata Angie: quel vestito non era in quel corridoio per caso, ne era certa. Le roselline arcobaleno, quelle linee classiche e lo stile elegante e sobrio che, in fondo, le piacevano parecchio… improvvisamente sentì la testa girarle e gli occhi farsi lucidi… in quel momento, forse, realizzò davvero che stesse per sposarsi, che avrebbe vissuto per sempre con l’uomo che amava davvero, che tutto, di lì in poi, sarebbe cambiato in meglio.
 
 
“- E’ mai possibile che ti sia ridotto all’ultimo secondo per comprare un regalo a Pablo e Angie? Che disastro!” Il pomeriggio era arrivato rapidamente e i caldi raggi del sole illuminavano le strade del centro di Buenos Aires, affollatissime di vetrine dai mille colori e persone che, in fretta e furia, correvano sui marciapiedi, tutte indaffarate a parlare al cellulare o cariche di buste personalizzate dai più costosi negozi della zona. “- Che vuoi che ne sappia che anche per i fidanzamenti si facciano regali ai futuri sposi come per le nozze?”Sentenziò Leon, con le mani in tasca rilassato come se nulla fosse. Quando la ragazza era rientrata dall’atelier e gli aveva chiesto cosa avesse comprato per suo padre e la Saramego, lui era rimasto di sasso, scioccato dal fatto che lei ci avesse pensato e lui no, tanto che Violetta lo aveva quasi costretto ad andare subito a risolvere quella questione. “- E comunque quel centrotavola non è di certo chissà che, sai?!” Ridacchiò Galindo, per poi schioccarle un bacio sulla guancia, tentando di placare le ire della ragazza all’offesa ricevuta. “- Ehi! Come osi? Ci ho messo giorni a crearlo! E poi io almeno ad un regalino ci ho pensato a differenza tua!” Sbottò Violetta, fingendosi offesa e incrociando le braccia al petto, fermandosi di colpo mentre lui continuò a proseguire di qualche passo, rendendosi conto solo dopo che lei si fosse bloccata nel bel mezzo della strada. “- Stavo scherzando, amore mio!” Mormorò lui con un sorriso furbetto, girandosi finalmente e riavvicinandosi alla ragazza, accorciando sempre di più la distanza tra loro con incedere lento e sicuro. “- Non tentare di ammansirmi! Quel centrotavola è meraviglioso e tu non avresti di certo saputo fare di meglio!” Esclamò la castana, allacciandogli però le braccia al collo e sorridendo al giovane che annuì piano, facendole l’occhiolino. “- Tutto ciò che fai tu è meraviglioso, anche se hai usato la vaschetta vuota del mio povero Frodo!” Rise, facendola improvvisamente accigliare… “- Chi sarebbe il povero Frodo?” Esclamò lei,ghignando curiosa. “- Un piccolo Carassius Auratus che da quando Jackie iniziò a ‘prendersene cura’ al posto mio, decise che preferiva il paradiso dei pesci rossi a lei…”. A quella frase la giovane iniziò a sghignazzare divertita, staccandosi anche da quella stretta, con le lacrime agli occhi per quelle parole. “- Sei pazzo!” Esclamò poi, avviandosi verso un negozio di articoli da regalo e cominciando a studiarlo sin dall’esposizione esterna, per non mostrare le sue gote arrossate per le troppe risate al giovane il quale, però, prontamente le cinse con le forti braccia l’esile vita, osservandosi nella vetrina con lei e facendo sfiorare il suo mento sulla testa di lei che rabbrividì a quel gesto così dolce. “- Leon…” Balbettò, voltandosi e incrociando gli occhi verdi e profondi del giovane, fissi ancora sul loro riflesso. “- Hai ragione a dire che sono pazzo, perché io sono impazzito per te. Mi hai fatto perdere il senno, Violetta La Fontaine e non so come recuperarlo… anche se, in realtà, non voglio… in effetti sto bene così!” Quella frase sussurrata contro il suo orecchio la fece arrossire violentemente e un brivido percorse la sua schiena in maniera dirompente. Leon stava bene con lei, era felice e anche lei lo era e tanto: quasi le sembrava di vivere un sogno da cui però non si sarebbe mai voluta svegliare, di quelli così belli che, quando suona la sveglia, si tenta di riaddormentarsi per recuperare il filo e, puntualmente, non ci si riesce più. Violetta non aveva bisogno di provare a riprendere quel lavoro onirico, era tutto più semplice: stava con il ragazzo che amava per davvero e, anche se comunque, a volte, avesse l’istinto di pizzicarsi un braccio per verificare che fosse tutto reale, iniziava a sentirsi viva come mai prima d’allora. Con Leon stava vivendo le sue prime esperienze, con lui si sentiva bene e il solo pensiero di poterlo perdere le provocava una fitta alla base del cuore… non sapeva spiegarsi il perché di quella riflessione dolorosa, eppure, nel suo piccolo, sapeva che nella vita le delusioni non mancavano mai: bastava pensare alla sua esistenza, a suo padre ad esempio che aveva sofferto tanto per la morte di sua madre e anche Pablo aveva avuto uno stesso triste e simile destino… no, non voleva pensarci… scacciò via quel pensiero di colpo ma fu come se il giovane le avesse letto quell’improvvisa tristezza negli occhi, tanto che le prese le mani, guardandola attentamente come se riuscisse a percepire quella malinconia da un qualunque suo gesto, anche il più piccolo. “- Cosa c’è? Non piace neppure a te quando sono così smielato? Non mi si addice, lo so…” Ironizzò lui, riuscendo ad ottenere un piccolo sorriso dalla giovane che, istintivamente, lo attirò a sé per abbracciarlo. “- Promettimi che non mi lascerai mai, Leon.” sussurrò, mentre lui, un po’ sorpreso da quel gesto, la strinse tra le sue forti braccia e cominciò ad accarezzarle la schiena.
“- Ma come ti salta in mente una cosa del genere?” Sorrise piano lui, scioccandole un bacio sulla sommità del capo, sentendo il volto di lei premere sul suo petto. “- Non lo so… per fortuna restare tra le tue braccia mi fa sentire bene, sento che tutte le mie paure scompaiono, ed è grazie a te…” Balbettò, un po’ in imbarazzo per quelle parole sincere la giovane, facendo sogghignare lui che colse anche quel rossore sulle gote di lei. “- Sono perfetto, lo so!” Si pavoneggiò con quel suo solito sorriso furbo il ragazzo, spostandole poi, dolcemente, una ciocca castana dietro l’orecchio. “- Sì, sì lo sappiamo! Smettila Galindo… sarai anche perfetto ma sappi che sei altrettanto irritante!” Lo provocò la La Fontaine, ruotando gli occhi al cielo, divertita. “- Stavo per dire che anche tu lo sei ma ora non so se te lo meriti!” Borbottò lui, continuando a ridacchiare sotto ai baffi. “- Ah, dunque non lo merito? Sei proprio malvagio, Leon!” Esclamò la castana fingendosi piccata, allacciandogli però le braccia al collo non riuscendo a resistere al desiderio, nonostante il suo pungente sarcasmo, di baciarlo… in fondo sapeva che lo facesse apposta per provocarla, sapeva che l’amasse con tutto sé stesso e che per lei fosse radicalmente cambiato in meglio o forse, fosse tornato ad essere quello che, in fondo, era sempre stato. Leon, punzecchiandola, era riuscito nel suo intento di farla sorridere e non mancò di sottolinearlo. “- Hai visto? Alla fine tutti i cattivi pensieri sono andati via grazie a me che ti metto sempre di buon umore dandoti fastidio! 1 a 0, La Fontaine!” Sentenziò soddisfatto il ragazzo, prendendole il volto tra le mani e accorciando le distanze per un rapido ma appassionato bacio che non le diede il diritto di replica. “- Il regalo, Leon!” Dopo essersi staccati e essere rimasti fronte contro fronte a specchiarsi per un tempo interminabile l’uno nello sguardo dell’altra, quelle parole di lei riscossero anche Galindo che, con tutta calma, si voltò di nuovo verso la vetrina di fronte alla quale erano fermi ormai da un bel po’. “- Non posso ancora credere che mio padre si sposi…” Sussurrò quasi Leon, dopo qualche minuto di silenzio in cui aveva studiato l’esposizione del negozio. “- E sei felice, non è così?” La domanda della giovane fece sorridere istintivamente lui che subito si apprestò ad annuire con convinzione. “- Certo, adoro Angie lo sai, e credo che sia l’unica donna che, dopo la morte di mia madre, possa rendere felice mio padre. Lei e nessun’altra.” Sospirò profondamente, per poi aggiungere: “- …E poi se lui è finalmente rinato è grazie a quella meraviglia di donna che è la mia istitutrice… sai, vederlo star finalmente bene fa stare bene anche me…” Sentenziò con un mezzo sorriso imbarazzato, finalmente sereno nel vedere Pablo ricominciare a vivere grazie a quella stupenda persona che era Angie. “- E’ molto bello ciò che hai detto… sarete una famiglia stupenda.” “- E tu, come mia fidanzata, ne farai parte!” Sorrise lui senza darle opzione di replica. “- Ne sarò felice…” Esclamò euforica Violetta, intrecciando la sua mano con quella di Leon: le loro dita combaciavano alla perfezione e quel gesto riuscì ad infondere ancor più gioia a Galindo che si voltò di poco per sorriderle. “- Ti amo, Vilu.” Mormorò piano, come se avesse quasi paura di urlare, cosa non da lui, troppo forte quel sentimento così vivo che sentiva per lei. “- Ti amo anch’io, Leon…” Disse, con grande decisione, anche la ragazza, perdendosi per un secondo negli occhi verdi di lui per poi ritornare a fissare la vetrina con la testa poggiata sulla forte spalla del fidanzato e il cuore stracolmo di gioia.
 
 
“- Sei meravigliosa…” Angie, in uno splendido abito lungo di un rosso acceso, era seduta al fianco di Pablo, finalmente un po’ in disparte dalla festa che era cominciata già da un bel po’: signori eleganti accompagnati dalle proprie consorti e figli affollavano il giardino di villa Galindo e un ricco buffet era stato allestito a bordo piscina. “- E’ la trentaquattresima volta che me lo ripeti…” Sorrise la Saramego, un po’ tesa per tutti quegli invitati che, per la maggior parte, nemmeno conosceva o aveva visto solo un paio di volte al Country. “- E ti dispiace che te lo dica così spesso? Beh, non posso farne a meno!” Sorrise il moro, carezzandole piano una guancia dolcemente, sentendo subito al contatto quanto il suo viso fosse caldo per il nervosismo di quella serata così importante. “- Sta’ tranquilla, andrà tutto bene! C’è la torta e poi sarà tutto finito!” Ridacchiò Pablo, cogliendo la sua ansia per quella festa che, fino a quando non ci si era trovata dentro, l’allettava al solo pensiero. In fondo al cuore di Angie, però, non c’era solo quello… era come se, dalla notte precedente, ci fosse dell’altro, una sorta di sensazione negativa che l’attanagliava ma a cui non voleva dare ascolto: non aveva chiuso occhio e aveva continuato a rigirarsi convinta che si trattasse dello stress per l’imminente matrimonio, eppure sentiva che non fosse solamente una tensione relativa ai preparativi o al fidanzamento. Già all’atelier, la mattina, era stata fortunata a trovare l’abito perché con quella strana ansia che l’angustiava non sapeva davvero se ce l’avesse fatta a far finta che non ci fosse nulla che non andasse, eppure, la cosa che la faceva star peggio era che quando lei aveva un brutto presagio, di norma, quello si avverava. “- Smettila di farti condizionare o non vivrai mai serena!” Si ripeté in mente, sperando di darsi ascolto ma, nel momento in cui stava per tranquillizzarsi, l’ultimo sogno su Clara, quello che preannunciava grandi ostacoli, si impossessò ancora una volta della sua testa. “- COME POSSO ESSERE TRANQUILLA?” Urlò d’un tratto, facendo letteralmente sobbalzare Galindo che la fissò un po’ sconvolto. “- Come?!” Chiese, pacato come al solito, mentre la bionda prese a mordersi il labbro inferiore con nervosismo, resasi conto di aver strillato quella domanda a sé stessa come se il povero Pablo c’entrasse qualcosa… “- Nulla, zitto e baciami!”  A quelle parole, scioccando ancor di più l’uomo, lo attirò a sé per la cravatta blu notte, poggiò le labbra su quelle di lui con prepotenza, facendo poi salire una mano fino al suo volto, per poi affondare le dita tra i capelli corvini di lui che, senza capirci molto, si limitò a ricambiare con altrettanta passione.
“- Emh, emh…” Leon, in un elegante abito grigio, si schiarì la voce per attirare la loro attenzione, facendo subito sghignazzare Violetta che, sottobraccio con il giovane, reggeva un grosso pacco con una coccarda bianca al centro del coperchio. “- Ci potreste dedicare un minuto d’attenzione, please?” Continuò Galindo junior, sotto lo sguardo imbarazzato dei due futuri sposi. “- Anche due…” Ironizzò la Saramego, sicuramente meno violacea del suo compagno. “- Questo è il nostro regalo… sperando che vi piaccia.” Sorrise Violetta, appoggiando la grande scatola sul tavolo di fronte a loro che presero a fissarla stupiti. “- Che bello, grazie!” Sorrise Pablo, scrutando attentamente il pacchetto da cui pendeva un biglietto rosso. “- Papà, non dire subito ‘che bello…’: potresti pentirtene!” il sarcasmo di Leon fece sghignazzare sotto ai baffi la donna e Violetta, prontamente, gli diede una forte gomitata che non sembrò però scalfirlo minimamente. “- Era troppo imbarazzante per darvelo davanti agli altri invitati… per questo abbiamo atteso che foste un po’ in pace, da soli…” Sentenziò con una vena di malizia il ragazzo e, mentre Angie prese il foglietto cominciando a leggerlo, Galindo senior, conoscendo il figlio, cominciò a preoccuparti per il motivo secondo il quale potesse essere vergognoso ricevere quel regalo di fronte agli altri invitati…
 
“- Per una felice vita insieme, tantissimi auguri e un mare di felicità! Violetta e Leon.”
 
 il nome del giovane era scritto in basso, con una penna di un altro colore, segno che fosse stato palesemente aggiunto dopo. “- Io queste cose smielate non le ho scritte, sia ben chiaro! La mia firma è stata solo segno di partecipazione al cadeau!” Sbottò il ragazzo, incrociando le braccia al petto con aria di superiorità. “- Tu non hai partecipato a un bel nulla! Vi spiego com’è andata…” Iniziò Violetta, con un sorriso furbo. “- Siamo andati a comprare il vostro regalo ma… diciamo che il mio, quello esterno, si è fuso con il suo… quello interno. Detto questo… piano che è fragile.” A quelle parole i due futuri sposi rimasero ancor più perplessi ma, troppo curiosi, cominciarono a stracciare la carta da regalo per scartare il dono. “Oh cavoli, che… originale!” Rise Angie, tirando fuori con cautela l’enorme boccia di vetro dipinta con alcuni piccoli ghirigori di un delicato verde pistacchio e del lilla chiaro: all’interno dell’oggetto vi era un fondale fatto di sassolini e conchiglie e, mentre a galla c’erano alcune candele basse e tonde bianche, al di sotto, nuotavano due piccoli pesci rossi. “- E’ un acquario centrotavola… l’ho fatto io e lui ha pensato solo agli ospitini!” Sorrise Violetta, mentre i due osservavano, entusiasti, il regalo. “- Ehi la mia idea di renderla la loro casa è stata più che geniale!” Sbottò Leon, piccato. “- Questa vasca ha qualcosa di familiare, eh papino?” Aggiunse poi, facendo arrossire di colpo la sua fidanzata che, alla gomitata precedente, preferì in quel caso un assestato calcio in uno stinco. “- Frodo…” Balbettò, soffocando una risata, Galindo senior. “- Ah, l’antenato di questi due tesorucci! E quando lo raggiungeranno nel paradiso dei pesci rossi, potete sempre usare questo… ‘coso’ come centrotavola, suppongo.” Spiegò ancora il giovane, facendo scoppiare a ridere i suoi interlocutori. “- Grazie, siete stati davvero dolcissimi.” Esclamò la Saramego, aggirando il tavolo che li separava per andare ad abbracciare i due, cosa che fece anche Pablo, piuttosto meno disinvolto della donna. “- Ti voglio bene, anche se tra noi non ci sono vincoli di parentela sei sempre stata come una mamma, una sorella, una zia per me, e voglio che tu sia tanto felice…” Quelle parole strozzate in un singhiozzo di Violetta, commossero anche la bionda che tenne stretta a sé la castana, la quale cominciò a piangere, poggiata contro il petto della donna. “- Tesoro mio, anch’io ti voglio bene…” Soffiò tra i suoi capelli Angie, prima di depositarle un tenero bacio tra essi, sulla sommità del capo. Pablo si avvicinò ancor di più a Leon e gli circondò le spalle con un braccio: si scambiarono uno sguardo dolce ed eloquente e non ebbero bisogno di parole per dirsi ciò che volevano. “- Auguri, papà.” Si limitò a balbettare, dopo un po’ e con vistoso imbarazzato il giovane, sempre a disagio con i grandi discorsi, a maggior ragione se sentiti. “- Grazie, figliolo… sapere che anche tu mi appoggi in questa scelta mi rende ancora più felice e convinto di fare ciò che accadrà, di portare Angie all’altare… grazie di cuore.” Balbettò, altrettanto in imbarazzo, Galindo senior, per poi, forse senza pensarci troppo, attirare a sé il figlio e abbracciarlo forte, abbraccio al quale il ragazzo rispose con altrettanto entusiasmo: era davvero contento per suo padre, per quella loro vita che, finalmente, sarebbe cambiata in meglio e tutto grazie all’istitutrice e alla giovane La Fontaine che gliel’avevano stravolta positivamente.
“- Matias, Marcela! Che bello, almeno per la torta ce l’avete fatta a venire!” La voce allegra di Angie fece allontanare i Galindo che, prontamente, si avvicinarono alla bionda e a Violetta, già stretta tra le braccia del padre. “- Papà così mi stritoli però…” Protestò ridendo la ragazza, mentre l’uomo aveva preso a straparlare, sempre emozionato nel vederla. “- La mia bambina, com’è bella! Devo dirti una cosa, una bella notizia, finalmente!” A quelle parole anche la Saramego si apprestò ad indirizzare la sua attenzione su quel discorso. “- Jade è partita! E’ andata a vivere in Asia con il suo nuovo fidanzato, un ricco cinese che si chiama Liu… e siccome la mia situazione economica è nettamente migliorata, finalmente potrai tornare a stare con me, che ne dici?”. Violetta sgranò gli occhi, sconvolta: non sapeva dire se fosse felice oppure no, era piuttosto… confusa. Era al settimo cielo per suo padre, ora si notava quanto stesse meglio e lei voleva davvero andare a casa con lui, senza quell’arpia di sua zia tra i piedi… e allora qual era il problema? Si era talmente abituata a vivere con Leon che non voleva più lasciarlo? In fondo quella villa enorme non era la sua ed era giusto che tornasse alla sua dimora… il suo fidanzato sarebbe comunque rimasto tale, pur non vivendo sotto lo stesso tetto. E poi c’era Marcela… suo padre non aveva mai guardato una donna in quel modo dopo la morte di sua madre e, ad essere sincera, le faceva uno strano effetto ma non in negativo, anzi… erano sempre vicini, insieme… e sentiva che, nel periodo in cui aveva vissuto dai Galindo, si fosse persa qualcosa.
“- Ehi… se tornassi con tuo padre tra noi non cambierebbe nulla, casa mia per te sarà sempre aperta… ma forse sarebbe giusto così, per lui...” Mentre tutti si avviarono verso il tavolo per il taglio della torta, Leon trattenne leggermente per un polso Violetta che si voltò di colpo. “- Già… hai ragione.” Sorrise, riflettendoci ancora un po’ su. “- Lui è la tua famiglia, per quanto io vorrei che tu restassi qui con me per sempre, sono felice che si sia sistemato, tanto da farti ritornare a vivere con lui.” Soffiò ancora il giovane, per poi schioccarle un dolce bacio sulla fronte. “- Sei meraviglioso, lo sai?” Sussurrò lei, perdendosi in quei grandi occhi verdi che la scrutavano con amore. “-Tu di più…” Mormorò Leon, per poi prenderle dolcemente la mano e incamminandosi, accanto a lei, verso quella conclusione di una giornata meravigliosa… peccato che ancora non fosse finita perché, se fosse terminata lì, sarebbe potuta essere stata da incorniciare.
I futuri sposi, alle spalle dell’enorme torta ricoperta di panna e glassa, chiacchieravano allegramente tra loro e, arrivato il momento del brindisi, sollevarono i calici per poi avvicinarli… ma qualcosa, riuscì a rovinare quel magico momento: facendosi spazio tra la folla una donna bionda di loro conoscenza, camminava a passo fiero e testa alta verso Pablo e Angie che, sconvolti, rimasero con i bicchieri a mezz’aria, troppo scioccati anche solo per spiccicare una parola… cosa ci faceva lei, lì?
“- Buonasera, signori. Immagino che non vi sareste mai aspettati di vedermi qui, vero? Potevate anche invitarmi, che maleducati!” Ghignò con aria malefica mentre tutti i presenti cominciarono a mormorare tra loro, fino a quando si zittirono, permettendo alla donna di continuare. “- Ma che bella coppia felice, tanti auguri!” Sorrise falsamente Jackie, estraendo, però, dalla sua borsa, una busta gialla e scuotendola leggermente davanti agli occhi confusi di Galindo e della Saramego, paurosamente sbiancati entrambi. “- Per fortuna però non vi siete ancora sposati… perché, sai Pablito… penso ci sia qualcosa che tu debba sapere prima di commettere un errore imperdonabile, convolando a nozze con una donna che, in realtà, tu non conosci affatto.” Quella voce era così maligna e quasi divertita… l’istitutrice sentì le gambe tremarle paurosamente e si ancorò con entrambe le mani al tavolo, venendo prontamente sostenuta per la vita dal futuro sposo che capì subito che di lì a poco sarebbe potuta svenire o sentirsi male. “- Jackie, tutta questa pantomina non la capisco! Io conosco perfettamente Angie, quindi non so di cosa tu stia parlando!” Sentenziò Galindo, sfidandola con lo sguardo, continuando a stringere la donna, la quale continuava a tenere lo sguardo basso, con un braccio, attirandola a sé per il bacino. “- Tu credi di conoscerla, è diverso caro Pablo… ma per fortuna ci sono io che ci tengo davvero a te e che sono qui, in tuo soccorso, pronta a mostrarti delle notizie interessanti su chi è veramente Angeles Saramego, o forse, dovrei dire… la truffatrice, Angeles Saramego!” Un altro ghigno increspò le labbra sottili della Saenz, compiaciuta delle sue stesse parole. Un inquietante silenzio era calato sul giardino: nessuno osava fiatare, tutti pendevano dalla bocca di Jackie che, con non curanza, sbatté davanti alla torta la busta che teneva tra le mani. Angie impallidì paurosamente ancor più di prima, Galindo allentò la prese su di lei e la fissò, a bocca aperta… Leon faceva passare i suoi occhi da Violetta, accanto a lui, alla sua istitutrice, con sguardo preoccupato e incredulo: la tempesta, purtroppo, era solo cominciata.
 
 
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Ahi, ahi, ahi! Prepariamoci al peggio! Come molti avevano capito il nido sarebbe tornato da un momento all’altro e allora eccola qui… anche se non ci era affatto mancata! >.< Preparatevi a capitoli di depressione totale… poveri noi! D: Primo blocco che mi rendo conto sia un po’ noioso ma ci servirà… quella semplice coroncina potrebbe salvarci tutti! xD E quando dico tutti, intendo tutti, tutti! u.u Il pezzo centrale Leonettoso è aw, tanti scleri e anche l’inizio Pangioso dell’ultimo… peccato per il finale! :’( Fatemi sapere che ve ne pare di questo venticinque… attendo pareri! xD Alla prossima e grazie ancora a coloro che mi seguono… grazie, grazie, GRAZIE! Ciao! :)

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Capitolo 26
*** Addii dolorosi. ***


Il silenzio pesante continuava a rendere ancor più tesa l’atmosfera calata sul giardino del retro di villa Galindo, le parole di Jackie risuonavano quasi come un eco nella mente degli invitati ma, in particolar modo, in quella di Pablo che, immobile, tentò di apparire tranquillo per quanto dentro di sé sentisse il cuore pulsargli forte, quasi come se volesse saltargli fuori dal petto. Non voleva crederci, non poteva essere vero… Angie, la sua Angie, era una truffatrice?
“- Non ti azzardare a fare accuse così gravi, smettila per favore!” Sbottò l’uomo, sperando che l’altra fosse solo andata fuori di testa per la gelosia… in cuor suo però, conoscendo bene la Saenz, sapeva che per quelle rivelazioni ci dovesse per forza essere un fondo di verità: purtroppo, se Jackie parlava con tanta sicurezza, doveva avere qualcosa che dimostrasse quelle sue dichiarazioni, così pesanti quanto sconvolgenti.
“- Avevo supposto che non mi avresti creduto, ti conosco bene… tu sei sempre buono, agisci con le migliori intenzioni e pensi che tutti siano come te, ma purtroppo non è sempre così e ormai dovresti saperlo. Ho tutte le prove che la incastrano qui dentro…” La Saenz riuscì, con quella sola frase, a far stare peggio Galindo e, allo stesso tempo, la diretta interessata, la Saramego, che scosse il capo con sguardo assente e fisso sull’altra donna. La ex dell’uomo fece qualche altro passo fiero fino al tavolo e si arpionò ad esso con entrambe le mani, chinandosi per scrutare meglio negli occhi i due fidanzati, per poi far ricadere il suo sguardo malvagio sulla busta da lei stessa gettata in avanti, indice che volesse informare per bene Pablo riguardo a come stessero realmente le cose. A quel punto, l’uomo, con mano tremante e una forte fitta allo stomaco, afferrò piano quell’oggetto di carta spessa e, lanciando ancora un’occhiata sia alla donna che amava che all’altra, decise di aprirla. Le lettere erano quasi sfuggenti e vorticanti sotto agli occhi di Galindo che prese a leggere sommariamente quello che aveva tutta l’aria di essere un rapporto investigativo su Angie e alcune parole presero a vorticargli ritmicamente nella mente: “Truffa”, “Denunce”, “Soldi”… non sapeva dire come si sentisse… a dire la verità non si sentiva più in alcun modo: era come se la terra gli fosse venuta a mancare da sotto ai piedi, come se il mondo, in quell’istante, fosse finito… il suo mondo era finito con quella scioccante scoperta.
 “- Io… io non volevo… non a te, non più...” Balbettò, d’un tratto, la Saramego con un filo di voce, facendolo voltare verso di lei con aria spenta, vuota. “- Te lo avevo detto! Sono riuscita a salvarti da un matrimonio con una truffatrice con ben due denuncie alle spalle! Perché è quello che sei, Angeles Saramego: una sporca criminale.” Sentenziò, con gli occhi ridotti a due fessure, Jackie, posando poi il suo sguardo falsamente compassionevole sul padrone della villa che aveva ripreso a fissare quei documenti, senza però riuscire a concentrarsi su altro se non sul pensiero che la sua Angie lo avesse tradito e ingannato a tal punto… ci era quasi riuscita con altri due malcapitati prima di lui, tra i quali un certo Caldez e, sempre a detta di quelle scartoffie, non era mai arrivata ad ottenere alcuna eredità… lui era solo l’ennesima vittima? Lo aveva sin dal principio voluto raggirare? Scosse il capo affranto, ritornando a specchiarsi in quegli occhi verdi che lo guardavano ancora, ormai lucidi, e sbattendo quella busta maledetta sul tavolo, si allontanò verso la villa, sotto lo sguardo attonito di tutti. “- PABLO, ASPETTA!” L’urlo strozzato in un singhiozzo di Angie non ebbe alcun effetto, non lo fermò e, sbattendo con foga la porta d’accesso al retro della casa, su cui dava quella parte di girardino, corse fino al salotto, poi le scale… c’era solo un posto in cui poteva e voleva stare più che mai, in quel momento.  Ancora gradini da scalare come fossero una delle cime più elevate al mondo, e poi, finalmente, la soffitta si aprì dinnanzi ai suoi occhi, ormai umidi di lacrime… pensava fosse tutto un dannato incubo, invece era la realtà… senza neppure chiudere la porta alle sue spalle si ritrovò inginocchiato al centro della camera in cui erano ammassati tutti gli effetti personali di Clara: non avrebbe dovuto tradirla, mai avrebbe dovuto anche solo pensare che un’altra donna potesse prendere il suo posto… pensò di meritarsi quel dolore, come lo pensava da sempre, come se ogni colpa gli fosse cucita addosso senza pietà. Quella volta però, era diverso: si sentiva lui, l’idiota caduto nella trappola tesagli dalla bella bionda, lui e solo lui meritava di soffrire per quell’amore costruito sulle menzogne della Saramego. Lui l’amava davvero e scoprire che lei, invece, era stata al suo gioco solo per soldi gli faceva venire i brividi… una fitta allo stomaco lo fece quasi sobbalzare e solo allora si rese conto di essere letteralmente disteso sul pavimento freddo della mansarda, piangendo disperatamente, senza riuscire a smettere neppure per un istante.
 
 
Intanto, in giardino, Jackie fermò di colpo la Saramego che aveva tentato di seguire Galindo, con forza, bloccandole il polso fino a farle male. “- Non ci provare nemmeno. Game Over, tesoruccio…” Le aveva sussurrato malvagiamente all’orecchio, catapultandosi poi lei, nella villa.
“- Cosa diavolo ha fatto a mio padre?” Leon, come una furia, si stava avvicinando ad ampie falcato al tavolo pronto a scagliarsi contro Angie, furioso e quasi con le lacrime agli occhi, riuscendo a ricacciarle dentro con non poche difficoltà. “- Leon, lei non voleva! Te lo giuro!” Violetta, tentando di fermarlo, subito gli corse dietro strattonandolo per la mano verso di sé mentre la Saramego, ormai in lacrime, fuggì verso la casa anche lei, non volendo piangere di fronte a tutti… era finita: doveva fare le valige, Pablo non le avrebbe mai perdonato quel passato nascosto, la credeva ancora una criminale che voleva raggirare anche lui solo per ottenere il suo patrimonio… come poteva dargli torto? Quanto era stata stupida a volergli occultare il suo essere truffatrice con cui aveva vissuto anni addietro?
“- Come non voleva? Aspetta… tu eri d’accordo con lei… tu sei arrivata qui con Angie, non essendo neppure sua figlia! Volevi fregare me e lei mio padre… avete detto solo bugie sin dall’inizio…” A quelle parole, Matias, scosso almeno quanto la sua bambina, fece per avvicinarsi, sapendo quanto invece le due fossero in buona fede ma venne subito tirato per un braccio dalla Parodi che, lanciandogli un’occhiata eloquente, gli fece capire che i ragazzi avessero bisogno di chiarirsi da soli e che la sua presenza avrebbe solo peggiorato le cose. La Fontaine incassò il colpo e, con  lo sguardo basso, decise che avrebbe solo rimandato di un po’ il suo intervento per calmare quel ragazzino sbruffone che, per i suoi gusti, stava alzando troppo i toni con la sua piccolina.
“- Leon, fammi parlare… io ti amo, non puoi pensare sul serio una cosa del genere…” Violetta, con le lacrime agli occhi, fece qualche passo verso il giovane che aveva preso a camminare anche lui diretto all’interno della casa mentre la maggior parte degli invitati stava venendo liquidata da Roberto, anche lui scosso e nervoso quanto gli altri. “- Mi ami, dici? E sei venuta qui con una truffatrice? Volevi fregarmi i soldi anche tu, no?” Quelle accuse così forti fecero fermare la giovane di colpo al centro della cucina, sala raggiunta seguendo Leon che, non sapendo cosa fare, si bloccò con le spalle contro il lavello e prese a fissarla con la stessa aria vuota che aveva all’inizio, quando lei si era trasferita in quell’enorme villa. “- Sì, io all’inizio avevo una folle idea ma l’ho abbandonata subito e sai perché? Perché mi sono perdutamente innamorata di te… ma… ma Angie… lei voleva cambiare vita, credimi! Ama davvero tuo padre e…” “- Una folle idea? E che tipo di idea?” Sbottò, senza neppure darle il tempo di finire la frase, Leon. “- E va bene, è ora che tu sappia tutta la verità.” La giovane, con decisione, si avvicinò di qualche passo a Galindo che rimase sorpreso da quella frase… cos’altro doveva sapere quella sera? “- Non avevo mai vissuto in una casa così… mi piaceva questa vita e volevo conquistarti per continuare a stare qui, in questo lusso… la mia famiglia è povera e mi sono lasciata accecare dalle ricchezze, volevo aiutare mio padre… ma poi davvero ti ho conosciuto e ti ho amato, senza rendermene nemmeno conto. Leon, credimi. Ti prego.” A quella rivelazione il ragazzo sgranò gli occhi sconvolto e confuso… cosa voleva fare? Era quasi peggio di quanto immaginava! Lui pensava solo che sapesse di Angie, non voleva credere, per quanto avesse detto cose alquanto dure, che anche lei fosse davvero d’accordo con la donna… i suoi erano vaghi dubbi sui quali sperava di sbagliarsi ma, a quel punto, non riuscì a fare altro che scuotere il capo, sentendo una forte delusione mista a rabbia montargli dentro. Non aveva mai amato tanto in vita sua ma in quel momento si sentì sopraffatto solo da odio, tanto odio per quello che Violetta gli aveva fatto. “- Dunque ti sei avvicinata a me per soldi, proprio come Angie ha fatto con mio padre…” Quella frase, quasi un sussurro come avesse paura di pronunciarla… si sentì ancora peggio ma fu interrotto dalla vocina flebile di Violetta. “- Mi dispiace… ma come ti ho detto, poi ti ho amato davvero, per favore ascoltami! Ho lasciato perdere tutto dopo il tuo compleanno, praticamente subito…”. Il suo compleanno… lo ricordava bene! Lui, in quella data, aveva fatto quella stupida scommessa con Diego e Federico da cui era nato il suo amore, quello vero, quello per cui aveva perso il sonno e la sua vita sregolata costruita su un mare di sofferenze. “- E perché quando si è scoperto del mio piano con i ragazzi per conquistarti tu non mi hai parlato anche del tuo? Avresti potuto approfittarne per dirmelo, no? Violetta stavamo insieme per davvero, ricordi? Quando hai saputo della scommessa potevi anche raccontarmi… tutto questo!” Il tono di Leon era rabbioso, quasi aggressivo e la ragazza, tremante, abbassò gli occhi, non sapendo proprio cosa dire: aveva sbagliato, come anche Angie a non parlare del suo passato a Pablo… ma cosa poteva farci se inizialmente si era avvicinata a lui solo per interesse? Lei a quella vita non era abituata, l’aveva stregata e se in quel momento ne aveva parlato con lui era perché voleva essere sincera completamente, sperando che lui apprezzasse, ignorando il fatto che in quella maniera avesse peggiorato ancor di più la situazione. “- Ti prego, non buttiamo tutto all’aria così, per favore…” In un tremito, la voce di Violetta inondò le orecchie del giovane che ghignò amaramente, quasi dispiaciuto di non poter fare altrimenti. Già, dispiaciuto e tanto. Amava quella ragazza come non aveva mai amato nessuno ma non c’era nulla, in quei momenti, che giocasse a suo favore… soffriva persino al pensiero di trattarla così ma, per quanto volesse credere alla sua innocenza e a quella di Angie, non poteva… aveva prove che incastravano entrambe, a cui si era aggiunta quella confessione della La Fontaine e, per quanto si odiasse, non riusciva a fare altrimenti. “- A questo punto immagino che anche il sogno su mia madre sia stata una sciocchezza per intenerirmi, no? Che idiota sono stato a crederti…” Leon, per quanto l’amasse, era fin troppo furioso per evitare di infierire e si sentiva distrutto dal fatto che la giovane, in tempi passati, avesse usato la scusa, convito ormai che solo tale potesse essere, che Clara approvasse quella relazione per dargli il colpo di grazia finale e averlo in suo potere. “- Io me ne vado, al Club ci aspettavano, erano tutti lì per noi, pensa un po’… quando torno voglio che tu e la tua socia abbiate già fatto le valige per andare fuori da questa casa, mi sono spiegato?” Quel tono freddo, glaciale… quella voglia di evadere come quando tutto aveva avuto inizio… l’aveva cacciate, se Pablo non avresse avuto la forza per farlo subito, ci aveva pensato lui. “- No, non è così… per favore! Aspetta! Leon, perdonami!” Balbettò, senza sapere di preciso per cosa si stesse scusando, mentre lui si avvicinò di nuovo alla porta dalla quale erano entrati per poi sbatterla con forza. Violetta sentì gli occhi pizzicarle ancora e non trattenne più le lacrime che, a quel punto, presero a scendere rapide sulle sue guancie pallide. Senza pensarci due volte corse verso il giardino, proprio da dove era uscito Leon, sperando, inconsciamente di raggiungerlo,  ma lui si era già volatilizzato nel nulla. Non seppe dire per quanto pianse ma era certa che restò fuori per un bel po’, disperata, senza avere la forza di rientrare… Leon la odiava, la credeva una bugiarda per aver detto troppo tardi la verità sulle sue stupide intenzioni iniziali… eppure lei lo amava tanto, così tanto che aveva paura di perderlo e, alla fine, tutte le sue brutte sensazioni si erano avverate… non poteva credere di dover andar via da quella villa, da lui, soprattutto… come avrebbe fatto a stare senza il suo amore? Arrivò con il fiato corto al gazebo sullo stagno, dove aveva i più bei ricordi legati al giovane Galindo: la prima volta che lo aveva abbracciato, che aveva iniziato sul serio a guardarlo con occhi diversi era proprio  lì e quel ricordo le parve così lontano che un’ennesima fitta le trapassò il cuore, facendo sì che si arpionasse con entrambe le mani alla ringhiera del parapetto per non svenire: non poteva finire così, non per un qualcosa che non era mai esistito se non nel passato… Angie non era più una truffatrice e lei, per quanto avesse sbagliato all’inizio, non aveva mai più mentito al ragazzo, amandolo con tutto il suo cuore…  cosa sarebbe stato ora di loro? Cosa sarebbe stato del suo amore incondizionato verso quel giovane che, probabilmente da quel momento in poi, non avrebbe provato altro che odio e risentimento nei suoi confronti? Il fatto che non sapesse trovare una risposta a quelle due domande, in quella situazione, era l’ultimo dei suoi pensieri eppure riusciva comunque a farla stare peggio di quanto non stesse già.
 
 
Nemmeno si era accorto che qualcuno avesse osato varcare la soglia della soffitta, la sua soffitta, quella della sua Clara, fino a quando una mano gli si posò piano sulla spalla. “- Pablo, ci sono qui io, calmati.” La voce di Jackie lo fece sussultare e la riconobbe al volo, riuscendo finalmente a scuoterlo almeno un po’: era steso al suolo da chissà quanto e non riusciva in alcun modo a reagire. “- Jackie che ci fai qui? Nessuno deve vedermi stare così male… lasciami solo.” Un lungo singhiozzo seguì a quella frase, facendo sì che lei assumesse una falsa espressione da vittima: era la colpevole ma fare l’innocentina le veniva alla perfezione, tanto che Galindo, preoccupato per quella faccia di lei, subito si mise a sedere, le spalle contro una parete e le gambe stese di fronte a sé, ancora smosso dai sussulti che il suo pianto gli provocava, non riuscendo a fermarsi.
“- Cos’hai?” Domandò, paradossalmente lui alla bionda, abbassando poi gli occhi che sentiva annebbiati per le lacrime che non poteva placare: si sentiva così ferito, deluso da Angie… ma si odiava perché non riuscisse nemmeno ad immaginare di dimenticare quella maledetta truffatrice che gli aveva rubato il cuore. La Saenz lo fissava cupa ma, in cuor suo, felice: il suo piano di mandare via quella istitutrice da strapazzo dalla villa stava andando a meraviglia e presto avrebbe avuto il cognome Galindo, ne era sicura… conosceva Pablo come le sue tasche: quando era vulnerabile ancora per la morte della sua adorata Clara, riusciva a manipolarlo meglio a suo piacimento, facendo anche l’interesse di Gregorio che lo voleva rovinare a tutti i costi… e lei, standogli accanto, avrebbe comunque ottenuto ciò che voleva; fare sempre da spia a Casal, sposarlo e ottenere soldi, se non da lui, sicuramente dal suo socio, nel caso l’avesse mandato completamente sul lastrico. Non le era mai importato di Galindo né di quel moccioso di suo figlio, ma appena lui si era avvicinato ad Angie era andata sul serio in escandescenze: nessuna si opponeva ai suoi piani o a quelli di Casal a cui faceva da tramite, nessuna se non lei sarebbe divenuta la signora di quella casa. “- Mi dispiace per tutto quello che ti è successo e in parte mi sento colpevole… però io volevo aiutarti, credimi! Pablo…” Un profondo sospiro interruppe quella messa in scena della Saenz che, lentamente, si trascino sulle ginocchia fino ad affiancare l’uomo e, piano, gli sollevò il viso con una mano, fissandolo intensamente con aria falsamente rammaricata. “- Lo so, lo hai fatto per… farmi capire chi fosse realmente Angie.” A nominare solamente la Saramego, Galindo sentì una fitta allo stomaco ed era certo che se non fosse stato seduto, l’avrebbe fatto perdere le forza e cadere sulle ginocchia: era come avere una ferita aperta e fin troppo fresca che lo faceva stare ancora malissimo e non sapeva proprio come fare per placare quel dolore… gli era già successo e pensò che forse, in qualche modo, fosse proprio destinato a soffrire per amore. “- Esatto, nonostante tu mi abbia ferita, lasciandomi per lei, io ci tengo davvero a te e non volevo ti rovinassi la vita con quella… mi aveva sempre fatto sospettare di sé e per questo ho indagato un po’ sul suo conto… e alla fine ho scoperto tutto. Dovevi sapere, per quanto ti avrebbe fatto male.” La voce falsamente dispiaciuta della Saenz riecheggiava nella soffitta come un rimbombo equivalente a quello nella testa di Pablo che, fragile com’era in quegli istanti, non poté fare alto che crederle… forse era stato davvero troppo crudele con Jackie e lei, nonostante tutto, l’aveva aiutato… forse lei davvero meritava di ottenere il suo amore... già, l’amore. Quanto era forte quello che, nonostante tutto, sentiva per quella che di lì a poco, sarebbe dovuta divenire sua moglie? “- Devo parlarle.” Sussurrò quasi, ignorando il resto della parole della donna che continuavano a stordirlo… gli era bastato catturare la ripetizione, per la terza volta, del termine: “Truffatrice” relativo ad Angie per scattare in piedi e fissare l’uscita da quella stanza con aria vuota. “- Pablo, soffrirai ancora… lasciala andare via e basta.”. Ancora una volta Galindo non l’ascoltò nemmeno e, a passo lento, si avviò verso la porta. “- Non posso… prima devo sapere.” Mormorò, con la voce rotta dall’ennesimo singhiozzo... sapere. Cosa voleva davvero sapere da lei? Non ne aveva un’idea di preciso. Quelle carte tanto ufficiali non potevano mentire, Angie invece lo aveva fatto e non poteva ancora crederci. “- Pablo…” Lo richiamò ancora Jackie, alzandosi a sua volta e facendo qualche passo verso il centro della soffitta… ma fu tutto inutile: l’uomo, asciugandosi gli occhi alla meglio con la manica della giacca, era già sulle scale che portavano al corridoio che dava sulle camere, pronto a voler affrontare, per l’ultima volta, la donna che amava e che avrebbe dovuto imparare a dimenticare.
 
 
Angie era stata per un tempo indefinito distesa a piangere sul letto della sua camera, di quella che, sicuramente, di lì a poco avrebbe dovuto lasciare. Non riusciva a credere a quello che era accaduto... si sentiva una stupida, ma come aveva potuto nascondere a Pablo una cosa tanto importante del suo passato? Sì, che le piacesse o no, lei era stata una truffatrice e il fatto che non lo fosse più per sua scelta, non significava che quel suo essere oscuro non avesse comunque fatto parte di lei. Come biasimare Galindo se, dopo aver scoperto tutto in quel modo, l’avesse odiata per sempre? Lui era ricco e lei, con quel “curriculum” e quella fedina penale non proprio pulita, avrebbe dato tutta l’impressione di volere solo fare soldi con quel matrimonio… seppure sapesse bene che non fosse così. Quanto avrebbe voluto parlargli, spiegare quanto in realtà lo amasse davvero… e invece non aveva il coraggio, la forza. Sì, le mancava la forza per quanto di solito ne avesse in abbondanza… ma quella volta non era così, e non riuscì a fare altro che piangere, dandosi mentalmente della codarda e bugiarda. Se solo avesse parlato prima! Se solo avesse detto a Pablo chi era stata in passato, forse lui l’avrebbe anche accettata, capita… ma tacendo, ormai, aveva dato soltanto l’impressione all’uomo che fosse un’altra sua vittima, come Caldez o l’altro ricco a cui aveva tentato di portar via tutto il patrimonio. Si mise a sedere sul letto e si ritrovò a osservarsi nello specchio di fronte a sé: aveva gli occhi gonfi ed era pallida come un lenzuolo, sul suo volto due righe nere le segnavano le guance, segno che il mascara le era colato mischiandosi alle lacrime. Non sapeva cosa fare… parlargli forse sarebbe comunque stato inutile, quello avrebbe dovuto farlo a tempo debito… si alzò, si calò sotto al letto e estrasse la sua valigia… quante cose erano cambiate dal suo arrivo in quella villa? Tante, sia per lei che per i proprietari della casa… eppure ora, a causa sua, tutto sarebbe ritornato come prima di riempire quel bagaglio per trasferirsi dai Galindo con Violetta. Paradossalmente non incolpava più di tanto la Saenz, per quanto la odiasse: lei aveva detto a Pablo la verità, né più, né meno… la vera colpevole si sentiva lei stessa e non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato. Di spalle alla porta, prese a piegare alcuni suoi abiti sparsi per la stanza e a buttarli nella valigia alla meno peggio, quando, una voce che ben conosceva la fece sobbalzare e sentì il cuore accelerare i suoi battiti. “- Perché?”. Una domanda, un mormorio che la sconvolse… non aveva bisogno di voltarsi per sapere da chi provenisse ma lo fece comunque, ritrovandosi ad incrociare il volto cupo di Pablo. “- Non volevo, credimi. Non a te, non a voi…” Bisbigliò la bionda, abbassando gli occhi sul pavimento, non riuscendo a sostenere lo sguardo freddo del moro che, a quelle parole, fece qualche passo insicuro verso di lei. “- Perché mi hai usato così, giocando con la mia sofferenza, sul ricordo di Clara, sulla scusa dei sogni… ANGIE, DIMMI… PERCHE’?” Le parole uscirono sempre con maggiore rabbia a Galindo che urlò le ultime ricominciando a piangere, disperatamente. “- Ti giuro che non ti ho mai ingannato, io ti amo davvero, Pablo! Ho sognato davvero Clara e…” “- BASTA! SMETTILA!”. Angie fu bruscamente interrotta dal moro che, furioso, si portò le mani alla testa per poi incamminarsi verso la finestra della camera per prendere a guardare fuori: il retro del giardino, fino a poco tempo prima affollato di ospiti, ora era vuoto, tranne che per Olga, intenta a sistemare e a sparecchiare i tavoli ancora zeppi di dolci e champagne. “- Smettila, per favore.” Sussurrò ancora, senza neppure voltarsi per guardarla, sentendo ancora le lacrime scorrergli sul volto. “- Dovevo parlartene, ma con che coraggio l’avrei potuto fare? Pablo mi vergogno di quella che ero e poi con te sarebbe stato diverso, completamente diverso… sul serio.” Le parole della Saramego si fecero sempre più vicine alle sue orecchie… si stava avvicinando a lui a passo titubante e fece per posargli lievemente una mano sulla spalla. “- Non mi toccare.” Sbottò glacialmente l’uomo, voltandosi di colpo e facendole fare un mezzo salto all’indietro. “- E in che modo sarebbe stato diverso? Perché stavolta eri ad un passo dal riuscirci rispetto alle volte passate? Stavolta puntavi al matrimonio, no? So tutto, Angie. In quei documenti del commissariato c’è scritto tutto… mi sento così… così stupido!” A quelle parole, Pablo si allontanò da lei superandola e si andò a sedere sul letto, le mani di nuovo alla testa che sentiva fargli sempre più male. “- Come ho potuto credere che avessi sognato davvero Clara? Come ho potuto tradirla così?” L’uomo iniziò a mormorare tante domande e la Saramego iniziò a piangere silenziosamente, limitandosi a singhiozzare frequentemente… già, Clara. Ecco l’ostacolo che aveva preannunciato, era riuscita ad essere lei stessa l’ostacolo per quella relazione non avendo parlato a Pablo di quel suo essere stata una truffatrice. “- Non puoi credere davvero che io… io abbia usato il ricordo di tua moglie per avvicinarmi a te, NON PUOI!” Finalmente, la donna, cominciò a parlare a voce più alta, ferita da quelle parole di Galindo. “- E a cosa posso credere di quello che esce dalla tua bella bocca? A questo punto non credo più a nulla di ciò che mi hai detto, sin dall’inizio… chi mi assicura che non mi abbia mentito su tutto, dal principio?” Chiese, con tono glaciale, il bruno, lasciandola di sasso… beh, non poteva dargli torto per quanto sapeva che quello ne avesse lei, e tanto. “- Mi dispiace.” Non riuscì a dire altro e l’uomo neppure alzò gli occhi dalle sue scarpe… non ce la faceva, era troppo dolore da sopportare e lui aveva già sofferto tanto nella sua vita… inoltre si sentiva un idiota anche nei confronti di Jackie che davvero lo aveva amato e l’aveva lasciata subito per Angie, eppure, nonostante tutto lei si era prodigata tanto per aiutarlo a capire chi fosse in realtà quell’altra donna. “- Dispiace di più a me, credimi… ma non posso fare altro che chiederti di andar via.” Il tono di Pablo ora era quasi dispiaciuto ma tentò con tutte le sue forze di farlo apparire sicuro e più freddo, per quanto l’ennesimo singhiozzo lo tradisse palesemente. “- Entro stanotte stessa saremo fuori di qui… è giusto così.” Angie si sentì male al solo dover sussurrare quella frase, staccandosi con la schiena dal davanzale della finestra e andando a continuare di preparare i bagagli mentre Pablo, lanciandole una furtiva occhiata, si alzò per uscire di lì prima di cambiare idea, cosa che la mente gli gridava di non poter fare, mettendo a tacere il cuore che gli strillava l’esatto opposto. La Saramego, dal canto suo, sentiva più o meno la stessa cosa: quella frase detta poco prima era dettata dalla ragione, sapeva che dovesse lasciare quella villa, avendo ferito profondamente l’uomo che amava e il pensiero la faceva stare anche peggio… eppure il suo cuore diceva dell’altro: sapeva che andare via era sbagliato, che lei non fosse colpevole di nulla per quella volta e la implorava di ascoltarlo… però tentò di zittirlo continuando freneticamente a mettere via le sue cose e quelle di Violetta... Già, Vilu. Chissà dov’era finita, se anche Leon se la fosse presa con lei e il pensiero che fosse sempre e solo a causa sua le stringeva il cuore come in una morsa. A causa di quella improvvisa riflessione riuscì a sentirsi ancor peggio e si lasciò cadere a peso morto sul materasso accanto al suo trolley spalancato. Era finita, Jackie aveva ragione: Game Over. Aveva perso l’uomo che amava come non aveva mai amato nessuno in tutta la sua vita, aveva perso quello a cui teneva di più, quel diamante raro che era riuscita ad incontrare e che di lì a poco avrebbe sposato… e tutto a causa della sua mancanza di coraggio nel parlare prima che venisse fuori tutto in quella maniera assurda… ma era tardi per i se e per i ma e, seppur con il cuore a pezzi e le lacrime che ancora le scorrevano sul viso, Angie si rialzò e continuò a preparare le valigie per lasciare villa Galindo, per dire addio alla nuova vita meravigliosa che si era costruita, per dire addio a Pablo, il suo unico grande amore.
 
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Sto piangendo come una disperata ma dettagli… ç_ç Amo e odio questo capitolo… stranamente sono quasi (quasi, eh! xD) soddisfatta di come sia venuto, ma mi mette una tristezza assurda… maledetta Jackie! >.< Poveri i nostri Leonetta e Pangie! Però in effetti sia Vilu con Leon che Angie con Pablito avrebbero dovuto parlare prima! :’( Il danno è fatto, ed ora? Come continuerà la storia? Alla prossima e come sempre grazie a tutti coloro che seguono con affetto la storia! :3 Ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 27
*** Un pericolo che incombe. ***


Era passata un’ intera settimana da quando Angie e Violetta avevano lasciato la casa dei Galindo ed un grande vuoto e silenzio era rimasto ad incombere sull’abitazione, esattamente come quando tutto aveva avuto inizio, come quando padre e figlio ancora non avevano conosciuto quei due raggi di sole che, in poco tempo, erano entrati nelle loro vite per illuminargliele. Pablo se ne stava da solo seduto al grande tavolo della colazione, Olga lo serviva senza, stranamente, proferire parola, mentre di tutti gli altri non c’era nemmeno l’ombra. Leon, da quando aveva litigato con la La Fontaine, non faceva altro che rincasare alle prime luci dell’alba proprio come prima di essersi messo insieme alla ragazza eppure, a differenza di un tempo, l’uomo aveva tentato in tutti i modi di fermarlo, nonostante anche lui non si trovasse nel migliore degli stati. Purtroppo però non c’era stato nulla da fare… niente riusciva a porre un freno al giovane figlio e alle sue scorribande notturne con gli amici. Senza Violetta, evidentemente, il ragazzo sentiva di aver perso tutto ciò che gli dava la forza per continuare ad andare avanti, per provare ad essere una persona migliore: Leon Galindo non aveva più un’ancora a cui appigliarsi per proseguire il suo cammino, Leon Galindo, il vero Leon Galindo, era finito la sera in cui aveva scoperto quelli che credeva gli inganni della sua amata Violetta e della donna che stimava e di cui si fidava ciecamente, Angie.
“- Buongiorno.” Ecco un altro dei  motivi per cui il ragazzo preferiva starsene da solo sigillato in camera o al Club: in un elegante abito nero e la sua irritante vocina falsamente gentile, Jackie Saenz si apprestò a prendere posto al tavolo alla sinistra di Pablo. “- Ciao.” Salutò amaramente l’uomo, non sollevando neppure gli occhi dal suo caffè fumante. “- Ancora quello sguardo triste? Pablo, dimenticala!” Un colpo all’anima fece sobbalzare l’uomo al solo sentire quell’ultima parola: dimenticare? E come avrebbe mai potuto farlo se quella, dopo la morte di Clara, era stata l’unica donna che avesse realmente mai amato? La Saenz dovette accorgersi di quella reazione al suo consiglio quasi severo, così addolcì il tono della voce e indossò di nuovo quella maschera di falsità che la caratterizzava. “- Pablo…” Mormorò, posando una mano su quella di Galindo che sollevò finalmente gli occhi a quel contatto. “- Lo dico per te. Ti ha mentito, ti voleva rubare tutto… non puoi soffrire per una così! Non ti ha mai amato davvero,mai! Lo capisci?” Fu come se stesse sprofondando in un baratro. Quelle parole lo fecero realizzare che la sua amata Saramego, evidentemente, non aveva provato quel sentimento così forte verso di lui e la cosa lo portò ad alzarsi di scatto, con lo sguardo di nuovo basso sulla sua tazza, sorpreso per non esserci arrivato da solo… eppure gli sembrava che fosse molto innamorata, che ci tenesse tanto anche a Leon… “- Calmati.” Sussurrò, avvicinandosi al suo orecchio, Jackie, accarezzandogli poi una guancia piano, mentre lui fu costretto a osservare quegli occhi scuri quanto i suoi che gli si pararono contro con forza. “- Io…” Tentò di balbettare l’uomo ma fu interrotto quasi subito: ”- Sssh, non voglio che tu stia male…” Mormorò poi la bionda, posandogli un indice sulle labbra. “- C’è solo un modo per toglierti dalla testa quella truffatrice da quattro soldi…” Quella frase la Saenz la pronunciò con aria disgustata al solo dover citare Angie, e Pablo nemmeno se ne accorse, fin troppo confuso da quella situazione. “- E sarebbe?” biascicò l’uomo, ormai convinto anche lui che forse, togliere la Saramego dai suoi pensieri e dal suo cuore, sarebbe stata la soluzione più adatta, per quanto duro e difficile sarebbe potuto essere. Jackie lo fissava con un ghigno astuto: ora lo aveva in pugno, ora Gregorio avrebbe potuto sul serio continuare a sapere tutto su Galindo fino, probabilmente, a portarlo alla rovina, e lei, secondo il piano, comunque avrebbe ottenuto molto denaro dall’uomo con cui era in combutta… inoltre, ancora per un po’ avrebbe vissuto una vita ricca accanto a Pablo e la cosa non le dispiaceva affatto: dopo aver subito quel trattamento dal bruno, tradita e poi cacciata, era forse ancor più sicura di essere dalla parte di Casal e quasi godeva del fatto che di lì a qualche mese, i due alleati avrebbero riuscito a mandare sul lastrico sempre di più l’imprenditore.
“- Stare con me, non credi?” Sorrise con aria maliziosa la donna, lasciando un po’ sconcertato il moro che si accigliò confuso… già, era perplesso: quando aveva lasciato la Saenz era perché non l’amava più… in fondo, però, sapeva che lei era l’unica ad essere stata sincera e che l’aveva aiutato a capire chi realmente fosse Angie… poteva l’amore dipendere solo dalla testa e non dal cuore? Poteva scegliere di stare con la sua ex ancora una volta solo per allontanare il pensiero dell’istitutrice dalla sua mente? Non lo sapeva, ma doveva evidentemente provarci. “- Pablo io voglio stare con te, ma non lo capisci?” Ad un centimetro dalle sue labbra, la bionda soffiò quella frase piano, riprendendo ad accarezzare una guancia all’uomo che realizzò sul serio che la donna avesse voluto salvarlo con la vicenda della Saramego e che meritasse addirittura di essere al suo fianco ancora una volta… “- Jackie io…” Provò a mormorare Galindo ma lei, ancora una volta, riuscì a zittirlo: “- Sposiamoci il prima possibile. Sai che è la cosa giusta da fare per entrambi… ti amo e ti ho sempre amato e non voglio perderti ancora, Pablo… sei troppo importante per me.” Mentre la donna sussurrava piano quelle parole così falsamente romantiche, fermo sull’uscio apparve Leon, aria distrutta e passo tanto felpato che nessuno dei due si accorse della sua presenza. Irriconoscibile. Leon Galindo era diventato irriconoscibile e stava peggio di quando non aveva ancora conosciuto Violetta: occhi gonfi e iniettati di sangue, viso pallido e smunto e equilibrio poco stabile, dovuto alla sbornia della notte precedente.
Pablo, ancora in piedi, studiava il viso della Saenz che recitava alla perfezione il suo ruolo, senza far percepire nulla di strano da esso… nemmeno per un secondo si pentì di quella proposta fatta all’uomo che, stranito, annuì confusamente… voleva davvero convolare a nozze con Jackie? Sapeva bene di non amarla ma forse, avrebbe potuto imparare a farlo, forse in quel modo avrebbe dimenticato sul serio Angie e avrebbe finalmente consolidato un rapporto con la Saenz che, secondo lui, aveva agito per il bene, aiutandolo nonostante lui l’avesse trattata in quel modo. “- Ah, che bello! Sono così felice!” La bionda, senza neppure dare il tempo a Galindo di pronunciare un chiaro e fatidico “sì”, gli buttò le braccia al collo e si fiondò con la testa sul suo petto, mentre lui, fermo come un palo, continuava a pensare se quella fosse davvero la decisione più giusta per provare a ricominciare dopo quella cocente delusione.
“- Ma che bravi, congratulazioni…” una voce incolore, accompagnata da un ironico e lentissimo applauso, interruppe i due futuri sposi che si staccarono di colpo, voltandosi verso l’entrata alla sala da pranzo. “- Leon… pensavo dormissi.” Pablo non sapeva proprio cosa dire e balbettò, tesissimo e ancora perplesso, quella frase striminzita, puntando gli occhi neri sul giovane. “- Credimi, papà, piuttosto che assistere a questa scena lo avrei preferito di gran lunga…” Il tono del giovane era già ridotto ad un sibilo stizzito e ad intromettersi nella conversazione fu la Saenz che, ancheggiando verso il ragazzo, il quale non si smosse di un centimetro, ghignava nella sua direzione. “- Mi dispiace che tu non mi accetti in casa… beh, spero che un giorno potremmo avere un buon rapporto, quantomeno civile.” Sussurrò, con fasulla dolcezza, la donna, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo che rise ironicamente e si scrollò l’arto di Jackie da dosso con stizza. “- Non ti accetterò né ora né mai e nemmeno in un’altra vita potremmo avere un buon rapporto o quantomeno civile io e te, quindi inizia a metterti l’anima in pace. Io ti odio.” Soffiò, specchiandosi negli occhi neri della donna, Leon, per poi continuare: “- …Mi disgusti, Jacqueline. Tu non ami mio padre e se vuoi sposartelo è solo per soldi… non capisco come dopo mia madre e Angie tu possa tornare con una così…” Se inizialmente il discorso del ragazzo era indirizzato alla futura matrigna, poi passò, anche con lo sguardo, a rivolgersi al padre che scosse il capo perplesso, mentre la Saenz, alquanto stizzita, sorpassò il figlio di Pablo per salire di sopra, fingendosi tranquilla, per quanto dentro ardesse di rabbia per quell’affronto da parte di quel moccioso insopportabile.
“- Hai davvero esagerato, ne sei consapevole?” La voce di Galindo senior era severa e a passo lento si avvicinò al ragazzo, che reclinò il capo con un sorriso beffardo. “- Io ho esagerato o tu che rimpiazzi l’amore vero ad un matrimonio privo di ogni sentimento?” Evidentemente le parole del giovane dovettero colpire il padre che si limitò a fulminarlo con lo sguardo, senza aggiungere nulla. “- Tu vuoi solo dimenticarti di Angie, papà… ma così lo farai nella maniera più terribile e poi non potrai più tornare indietro: presto o tardi te ne pentirai amaramente.”. Pablo fissava il ragazzo e al solo sentire il nome della Saramego si stizzì istantaneamente. “- Non voglio più sentire il nome di quella truffatrice in casa mia…” Sibilò l’uomo, fissando gli occhi smeraldo del giovane che alzò un sopracciglio assumendo una buffa espressione, piccata quanto sarcastica, per poi tornare subito serio. “- Nessuno ha più ragione di te, papà… io lo so e ti capisco, credimi… però tu amavi lei e non Jackie. La vita è la tua, fanne quello che vuoi… ma sappi che io dopo averti visto innamorato davvero di Angie e conoscendo quella lì, non approverò mai e poi mai questa tua scelta.” E con quelle parole, Leon si avviò verso la cucina, la cui porta dava direttamente accesso al retro del giardino: basta, non ne poteva più… doveva scappare da quella casa. Gli occhi gli pizzicavano e, al nominare la Saramego anche il pensiero di Violetta si era fatto largo nella sua mente… in fondo suo padre non aveva tutti i torti, bisognava dimenticare e se lui aveva deciso, discutibilmente, di andare avanti con Jackie lui non poteva fare altro che rifugiarsi ancora una volta, nella sua seconda casa, il Country Club.
 
 
La discoteca del Country era aperta per le usuali pulizie della domenica mattina e Luca, Francesca e Camilla erano tutti indaffarati a sistemare il locale: il Cauviglia era intento a fare la spola tra il retro e la sala, armato di ceste stracolme di frutta per preparare i cocktail, aiutato dalla sua ragazza, mentre l’italiana si era dedicata a lavare il pavimento, continuando a parlare al cellulare con Federico. “- Sì, Fede! Ho capito che stai arrivando ma non posso raggiungerti in piscina, te l’avrò detto almeno duecento volte! Devo lavorare!” La vocina melodiosa della mora fu interrotta dallo sbattere della porta che fece voltare tutti verso l’ingresso del locale: Leon, un’aria beffarda che da qualche tempo a quella parte aveva ripreso a caratterizzarlo, si avvicinò allo sgabello del bancone e prese a fissare Luca con aria quasi di sfida. “- Dammi una vodka, Cauviglia.” A quelle parole i tre baristi si lanciarono una rapida occhiata eloquente e persino Francesca si avvicinò agli altri con aria perplessa, chiudendo di fretta e furia la chiamata al cellulare, lasciando il fidanzato dall’altro capo del telefono alquanto sconvolto. “- Leon, sono le 11 del mattino, non pensi che…?” Tentò di iniziare l’italiano, ma l’altro tirò un forte pugno sul tavolo di fronte a sé. “- Io non penso nulla, Luca e nemmeno tu devi farlo! Io esigo una vodka, ORA! Chiaro?!” Strepitò stizzito Galindo, facendo sgranare gli occhi ai ragazzi. Tutti da quella famosa festa di fidanzamento, erano venuti a conoscenza della faccenda che riguardava il passato di Angie e Leon, in preda ai fumi dell’alcool, aveva anche rivelato il folle piano della sua amata Violetta per vivere alla villa come sua fidanzata, solo per i soldi… erano giorni che non si parlava d’altro e il ragazzo, ignorando quei brusii sul suo conto o su quello di suo padre, si recava costantemente al circolo, soprattutto di notte, per poter divertirsi come ai vecchi tempi, nonostante Federico e Diego, ormai cambiati, avessero più volte tentato di fermarlo, venendo però trattati in malo modo da un fin troppo irascibile Galindo junior. Quel giorno però, era la prima volta che Leon chiedeva di bere un qualcosa di così forte di prima mattina e subito i giovani intuirono che fosse accaduto qualcosa di grave. “- Non farmi arrabbiare. Luchino che questa mattina mi è iniziata anche peggio di ieri, e del giorno prima e quello prima ancora…” Quelle parole colpirono i tre e Cauviglia, contro voglia, prese una bottiglia dalle mensole alle sue spalle e cominciò a riempire un bicchiere. “- LASCIALA QUI!” Esclamò Leon, quando il moro fece per rimettere a posto la bevanda. “- Salve… LEON MA CHE DIAMINE…?!” Federico, seguito da Diego e Ludmilla, era andato a chiamare Francesca da vicino per trascinarsela in piscina dopo che la ragazza gli aveva chiuso la chiamata di fretta, mentre gli altri due avevano visto arrivare Galindo e subito erano andati a cercarlo per provare a dare un freno a tutto quello sballo eccessivo. “- Posa questa roba!” Sentenziò categorico con severità Dominguez, correndo verso il bancone e strappando la bottiglia da esso, restituendola a Luca. “- Amico no! Non ci siamo proprio!” Sentenziò Bianchi, avvicinandosi a Francesca e cingendole la vita con un braccio. “- Gliel’abbiamo detto ma non ci ascolta!” Commentò la Torres, incrociando le braccia al petto, stizzita. “- Ehi… so che stai passando un brutto periodo ma diamine, non ti devi abbattere così! Non te lo consentirò, sappilo!” La Ferro, dandogli una pacca sulla spalla, si inclinò verso di lui, solleticandogli un braccio con i suoi boccoli dorati. “- Non è un brutto periodo… è un dannato incubo… e giuro che se mio padre osa sposare quell’arpia, io me ne vado di casa. O io o lei.” In quel momento tutti gli amici capirono e subito alla parola “arpia” venne sostituito nelle loro menti il nome della Saenz, ex di Galindo senior. “- Leon questo non c’entra! Tu devi reagire!” Sbottò Diego, sedendosi accanto a lui, scuotendolo per un braccio, mentre la fidanzata si accomodò sulle sue gambe. “- E che motivo ne ho? Basta, sono stanco di essere quello forte, quello che subisce solamente… basta. Ho perso Angie, una delle poche persone di cui mi fidavo, mio padre per dimenticarla è tornato con quell’ approfittatrice e Violetta… lei è quella che mi ha deluso di più, vi lascio immaginare.” Dicendo quel nome, una marea di ricordi belli e anche più dolorosi affollarono la sua mente… allo stesso tempo però si rese conto di quanto, nonostante tutto, gli mancasse… no. Lei gli aveva mentito esattamente quanto aveva fatto Angie con suo padre… Violetta voleva conquistarlo seguendo un suo piano e forse non si era mai davvero innamorata di lui. Il pensiero gli fece dare un secondo pugno al bancone che raggelò il sangue dei presenti, facendoli sobbalzare. “- Alzati da questo sgabello e vieni con noi in piscina, forza!” Federico staccandosi dalla fidanzata si avvicinò all’amico e lo tirò per un braccio, beccandosi una gomitata nello stomaco, per fortuna non troppo forte e non arrivata di proposito ma solo perché l’amico tentò di divincolarsi dalla presa. “- Lasciatemi in pace! Voglio restare qui, sono io il proprietario e faccio quello che diamine mi pare della mia vita, chiaro?!” I tre amici si guardarono tra di loro mentre i gestori del locale rimasero un po’ in disparte, avendo molto meno confidenza con Galindo e solo Francesca si avvicinò a Bianchi, cercando di capire se non si fosse fatto troppo male. “- No! Galindo stavolta no, muoviti! ALZATI!” La voce prepotente di Diego lo fece leggermente voltare verso di lui ma continuò a non smuoversi di un millimetro. “- Tu sei uno che combatte, non puoi ridurti così! Non è questa la soluzione! Sei forse un maledetto codardo?” Leon sgranò gli occhi a quell’affronto e, finalmente, scattò in piedi furioso, spintonando violentemente Diego che, soddisfatto, ghignò continuando a punzecchiarlo. “- Come mi hai chiamato?!” Strepitò il figlio del proprietario del Country, fissando gli occhi verdi dell’amico essere attraversati da un lampo di soddisfazione nel vederlo reagire. “- Oh, era ora di dessi una mossa, rammollito!” Ludmilla tentò di far tacere il suo ragazzo mentre Federico aveva capito al volo il piano di Dominguez: fare uscire da lì Leon equivaleva a farlo riprendere a vivere o almeno a tentare di aiutarlo a farlo. “- Ok che siamo amici ma se non la smetti un pugno sul naso non te lo toglie nessuno, chiaro?!” Leon continuò a spingerlo all’indietro e il moro non oppose alcuna resistenza anzi, allargò le braccia in segno di resa, fino a quando si ritrovarono fuori alla discoteca, seguiti di corsa anche dalla Ferro e da Bianchi. “- L’ho fatto proprio perché siamo amici… ora muoviti e vieni in piscina… la vita è bella, amico! Troppo bella per essere sprecata a bere ad un bancone di un bar!” A quelle parole, il castano si rese conto di essere giunto fuori dal locale e gli amici lo osservavano con attenzione… Dannato Diego! Riusciva sempre in quello che voleva! “- Tanto non riuscirete a risollevarmi il morale…” Borbottò, quasi offeso, Leon, incrociando le braccia al petto come un bambino, con aria stizzita per essere caduto nella “trappola” dello spagnolo. “- Lo vedremo.” Sbottò Federico, accettando la sfida appena lanciata dal’amico. Mentre i ragazzi erano pronti ad avviarsi verso la grande vasca del Country, Lara si parò verso di loro con un sorrisetto irritante e soddisfatto e subito Ludmilla le si avvicinò minacciosamente… quando la Gonzales aveva quell’espressione non prometteva niente di buono ma la Ferro così nervosa non era da meno: avrebbe potuto strappare i capelli dalla testa in un secondo se gliene avesse dato motivo. “- Buongiorno!” Esclamò divertita, puntando subito i suoi occhi scuri su Leon che nemmeno la guardava in volto. “- Che vuoi?” Sbottò Ludmilla, ancheggiando di un altro paio di passi per avvicinarla prontamente. “- Calma, biondina!” Sentenziò con tono fermo Lara, rivolgendosi poi al ragazzo di cui era innamorata: “- Leon mi dispiace un sacco per quello che ti ha fatto Violetta, e pensare che vi amavate tanto… beh, peccato, evidentemente non eravate fatti per stare insieme.”  A quelle parole Ludmilla fece per spintonarla ma Diego fu più rapido e la tirò per un polso verso di sé, tentando di placare le ire della sua fidanzata. “- D’altronde, un amore nato letteralmente per scommessa… come pensavi avrebbe potuto funzionare? Ho saputo delle voci sulla La Fontaine… hai capito che furbetta la bambolina tutta merletti e rosa bambolina?! E l’istitutrice, sembrava così angelica e poi… una criminale, ah!” “- BASTA! Sta’ zitta!” Urlò esasperata la Ferro, riuscendo a liberarsi dalla presa di Dominguez e puntandole minacciosamente un indice contro. “- Tu non sai nulla, quindi taci!” Sbottò in un sibilo la ragazza, diventando paonazza per la rabbia che la portò a sentire il sangue ribollirle nelle vene. “- Ludmilla, lascia stare.” La voce glaciale di Galindo la fece voltare verso l’amico che, alle sue spalle, sembrava in uno stato di trance. “- Andate in piscina, ora vi raggiungo.” Ordinò loro con ancora freddezza Leon, facendo sì che gli amici eseguissero titubanti quel comando, lanciando ancora un’ultima occhiata a Lara e allontanandosi dai due. “- Perché sei qui, Lara?” La domanda fece ridacchiare ancora la castana che fece un paio di passi in avanti sino ad arrivare ad una spanna da lui. “- Perché hai bisogno di me dopo questa cocente delusione… eppure da quando è successo tutto, mi hai sempre ignorata e non capisco il perché…” Quella frase la giovane la disse posando una mano sul petto del ragazzo, all’altezza del cuore, facendogli fare un balzo all’indietro per allontanarla da sé quanto più rapidamente fosse possibile. “- E non hai pensato che se ti ho del tutto ignorata è perché non ho bisogno di te?”. Lara cambiò rapidamente espressione: nonostante il salto di Galindo al contatto con lei, aveva comunque un ghigno astuto dipinto sul volto, sorrisino che, in quell’istante, sparì di colpo. “- Non mentire a te stesso.” Sussurrò, portandosi le braccia sui fianchi e cominciando, nervosamente, a tamburellare con un piede sulla corta erbetta sotto di loro. “- Non sono mai stato così sincero. Io non dimentico il tuo subdolo piano contro Violetta, e il fatto che ora non stia più con lei non cambia le cose tra noi o quello che sei stata capace di architettare per dividerci.” La voce di Leon era pacata e, con poche parole, era riuscito a lasciare sconvolta la ragazza che sgranò gli occhi sorpresa da tale trattamento, o meglio… affronto. “- Sono stato con altre ragazze, con Andrea ad esempio… preferisco chiunque a te dopo ciò che mi hai fatto passare quando ero felice… se non mi credi, chiedilo a lei… siete amiche, no?” E, così dicendo, scansò la Gonzales e se ne andò via, mentre lei, voltandosi nella sua direzione, lo fissò allontanarsi: era proprio finita, in fondo lui non era mai stato suo e, a quel punto, preferiva farsi da parte… se non l’aveva perdonata per quello che aveva fatto in passato perché continuare per farsi odiare ancora di più da lui? Non poté fare altro che tornarsene a casa… un potente mal di testa si era impossessato di lei… quella storia, iniziata solo da parte sua, finiva lì… perché nella sua mente lo aveva deciso lei che terminasse.
 
 
“- Non potete essere sul serio ancora lì, ragazze mie, forza!” Matias era appena rientrato a casa e subito si rivolse ad Angie e Vilu, entrambe sedute con aria assente sul sofà nel salottino. Il frigo in quei giorni era spesso vuoto e, per una volta, non per mancanza di denaro ma perché nessuno si degnava di andare a fare la spesa… quel lunedì sera dunque, nonostante fosse rientrato molto tardi dai cantieri, ci aveva pensato proprio il padrone di casa a passare al supermercato e rimase stupito nel trovare le due ancora ferme lì, immobili. “- Insomma, vi ho lasciato così stamattina presto e vi ritrovo nella medesima posizione! Farete le ragnatele se non vi muovete dal divano!” Sbuffò per la fatica delle buste che trasportava, il biondo, avvicinandosi al tavolo della cucina per depositarvele in cima. Nessuna risposta, come da quando erano tornate a vivere in casa La Fontaine, periodo durante il quale erano riuscite a sento a parlare. Matias non ce la faceva proprio a vedere in quello stato… di solito erano piene di vita, allegre, solari e ora? Vuote, ecco il termine perfetto per definire la sua bambina e la sua migliore amica in quei giorni… e la vicenda era troppo dolorosa anche per lui che in tutti i modi provava a tirargli su il morale, in vano. “- Se ordinassi delle pizze invece di cucinare vi farei scollare da lì con un bel sorriso? Ah, tra l’altro, preparatevi che tra pochissimo sarà qui Marcela a cena e non sarebbe carino farvi trovare in versione soprammobili…”. Ancora nessuna risposta, tranne un lieve suono di passi felpati verso la stanza in cui si trovava. “- Oh! Forme di vita! Finalmente!” Ironizzò l’uomo, mentre Violetta, in piedi sotto l’uscio, lo guardò con aria sconsolata sistemare delle bottiglie in frigorifero. “- Prendo un bicchiere di latte e vado a letto… non sono in vena di cene, perdonami e scusati con la Parodi da parte mia.” Matias, a quelle parole, la fissò sconcertato e disperato: non sapere cosa fare per alleviare le pene della sua piccola era ancor peggio e vedere quel faccino pallido lo faceva rabbrividire. Poteva quello che lui pensava essere un amore adolescenziale distruggerla a tal punto? Forse era davvero una cosa seria e d’altronde chi meglio di lui poteva saperlo? Esmeralda l’aveva conosciuto da ragazzino e l’aveva amata con tutto sé stesso… l’età, nelle questioni di cuore, c’entrava realmente poco.
“- Cosa posso fare per aiutarti a star meglio, tesoro? Me lo dici?” La voce del biondo era ridotta ad un imbarazzato mormorio ricco di tenerezza, mentre la ragazza era intenta a versare la sua bibita in un bicchiere. “- Nulla, papà, devo dimenticare e posso farlo solamente da sola.” Matias la guardò con dolcezza e amarezza… eppure decise che era meglio lasciarle i propri spazi, seppur volesse starle accanto sapeva che sarebbe stata lei, nel momento in cui si sarebbe stata pronta, a chiedergli sostegno ancor maggiore di quanto non gliene desse già. “- D’accordo. Buonanotte, piccolina mia.” Si limitò a dire il biondo, per poi avvicinarla e schioccarle un tenero bacio sulla fronte. “- Buonanotte, papà.” Sussurrò la giovane, posando il bicchiere nel lavello per poi dirigersi verso il corridoio che portava alla camera da letto: da quando lei e Angie erano tornate dormivano insieme nel letto matrimoniale della stanza di Jade, giusto per sentirsi più vicine nel loro dolore e consolarsi a vicenda.
La porta di casa suonò e Angie, ancora sul sofà, si alzò lentamente quanto distrattamente per andare ad aprirla. Marcela, in uno splendido tallieur blu l’abbracciò, felice di rivederla, lasciandola un po’ sorpresa per tutto quell’entusiasmo: anche la Parodi era venuta a conoscenza degli ultimi fatti accaduti ai Galindo ed era terribilmente dispiaciuta per l’accaduto: Matias le aveva spiegato tutto, anche il fatto che la Saramego non volesse più essere la truffatrice che era stata e la mora gli aveva creduto, avendo sempre visto una brava donna nell’istitutrice di Leon. D’altronde, in quei mesi, erano diventate anche amiche frequentando lo stesso ambiente quando lei era la fidanzata di Pablo, quindi non se la sentiva proprio di guardarla in maniera diversa dopo quella scoperta sul suo passato non proprio pulito. “- Sono contenta di rivederti.” Sorrise la Parodi, staccandosi finalmente da quella morsa con cui aveva salutato la bionda. “- Strano, pensavo che mi volessi giudicare anche tu come tutti… e ne avresti avuto tutte le ragioni.” La voce di Angie era incolore e Marcela subito lo colse, incassando quella frase così malinconica dell’altra con dispiacere. “- No, lei ha parlato con me… voleva una spiegazione dopo quello accaduto alla festa e io, conoscendoti meglio di chiunque altro, gliel’ho data.” Matias, sorridente, arrivò sotto l’arco della porta che divideva la cucina dal salotto e si poggiò distrattamente allo stipite con aria furba. “- Ah… quindi tu ti… fidi di me…?” Balbettò la Saramego, un po’ in imbarazzo per la situazione. “- Mi sei sempre stata simpatica e ti ho visto innamorata sul serio di Pablo… quindi sì, ti credo e mi fido. Credo davvero che non avessi mai avuto cattive intenzioni con lui.” Un timido sorriso si fece largo sul viso di Angie che decise, senza pensarci troppo, di abbracciare la mora, lasciandola stupita ma felice. “- Grazie.” Balbettò, per poi voltarsi verso La Fontaine che ghignò soddisfatto: solo in quel momento nella mente della bionda balenò il pensiero che tra il suo migliore amico e quella donna stesse nascendo qualcosa di forte… se l’aveva invitata a cena doveva avere i suoi buoni motivi e sinceramente era felice per lui, meritava, dopo tanto patire, un po’ di felicità. “- Non me ne vogliate però vado a dormire anch’io, non sono molto in forma in questo periodo e non sarei di compagnia… buona serata.” La Saramego, sciogliendo la stretta con la Parodi, e superando Matias salutò i due senza fare altre domande ma avviandosi verso la stanza da letto con passo lento e malinconico.
“- Hai visto come sta? E Violetta è andata a dormire ancor prima che arrivassi! Sono messe proprio male e vorrei tanto fare qualcosa per aiutarle! Ma cosa?!” L’uomo attese che la porta della camera di Angie sbattesse per poi avvicinarsi a Marcela e sussurrare quelle parole amareggiate. “- Sono qui per questo, no? Qualcosa ci inventeremo, vedrai!” Ammiccò la bruna, poggiandogli una mano sulla spalla ad incoraggiarlo. Matias improvvisamente si ricordò di aver già accennato alla donna il perché di quell’invito: risollevare il morale all’amica e alla sua bambina era il suo obiettivo fondamentale… ma dopo quella sera, la faccenda sembrava una missione ancor più impossibile: il sorriso rincuorante del suo capo, però, con cui aveva stretto una fortissima amicizia ormai da un po’, lo rincuorò e sentì il cuore battergli forte come non gli accadeva da parecchio, precisamente dall’ultima volta che era stato con lei, ad esempio al fidanzamento di Angie e Pablo… cosa gli stava accadendo? “- Andiamo, ma premetto che non ho cucinato nulla!” Ridacchiò il biondo, passandosi nervosamente una mano nel ciuffo dorato e incantandosi a fissare il viso della donna che gli faceva perdere il controllo... “- Non guardare me, La Fontaine! Io sono una frana ai fornelli! Chiedilo a Emilia se non mi credi!” Ribatté la mora, sorridendo imbarazzata… in fondo anche a lei la vicinanza con Matias non dispiaceva affatto, anzi: dopo aver passato più tempo del dovuto con l’uomo lo guardava sempre maggiormente con occhi diversi… lui era buono, sensibile, dolce… che si stesse innamorando? Che la glaciale Marcela Parodi stesse cedendo al così contorto sentimento in cui il cuore regnava sovrano? “- E vabbé vuol dire che telefonerò la mia rosticceria di fiducia!” Sentenziò l’uomo, facendola sghignazzare allegramente… quella cena, in fondo, aveva una missione: far riappacificare Pablo e Angie e Leon e Violetta e entrambi sapevano bene che si sarebbero alzati da tavola solo avendo pensato ad una possibile soluzione per aiutare quei quattro a ritornare insieme.
 
 
Quel posto Violetta lo conosceva bene, molto bene… come avrebbe potuto dimenticare quel gazebo sotto il quale, per la prima volta in assoluto, aveva trovato il coraggio di abbracciare Leon? Una marea di belli e poi tristi ricordi si fecero largo nella sua mente… quanto tempo, prima di lasciare la villa, aveva perso a versare lacrime amare affacciata a quella ringhiera che dava sul piccolo laghetto artificiale? Molto, troppo.
 “- Che diavolo ci fai in casa mia? Vattene via!” Una voce, la sua voce. Violetta si voltò di colpo e alle sue spalle vide materializzarsi il suo unico vero amore, che avanzava piano verso di lei, come se fosse appena arrivato.”- Non lo so come ci sono finita qui… ma ora me ne vado, non ti preoccupare.” Balbettò lei, confusa anch’essa del fatto che si fosse ritrovata in quella villa all’improvviso, senza capire in che modo vi fosse arrivata, senza riuscire a mettere a fuoco il fatto che stesse solo sognando. “- Leon! Smettila una buona volta di attaccarla, lasciala in pace…” Una voce severa ma pacata proveniente proprio dal fondo del gazebo li fece tacere e voltare di colpo verso quella figura angelica: Clara, l’aria tuttavia tranquilla e il solito abito arcobaleno dai colori molto più sfocati del solito, era di fronte a loro e, se a Violetta era già capitato di sognarla quindi fu come se la conoscesse, il ragazzo rimase immobile, come pietrificato da quella visione. Da quando era piccolo mai, nemmeno una notte, Leon aveva sognato quindi rivisto sua madre e la cosa lo aveva lasciato stupefatto. “- Mamma…” Balbettò, serrando i pugni per provare a non piangere ma sentendo gli occhi pizzicargli fastidiosamente. “- Tesoro mio, quanto sei cresciuto…” Sorrise la donna, facendo alcuni passi in avanti titubante, fino ad arrivare a una spanna da lui per carezzargli piano una guancia… la sua mano era gelida e Galindo rabbrividì a quel contatto, come se una folata di brezza gli avesse appena sfiorato il viso. Violetta li fissava come ipnotizzata e un sorriso amaro le si disegnò sul volto… l’espressione dei due diceva tutto: si mancavano da morire e si amavano alla stessa maniera e la cosa metteva davvero molta tristezza… Lei, dal canto suo, la madre non poteva neppure ricordarla quindi nemmeno riusciva a sognarla, essendo venuta a mancare quando ancora era in fasce… quanto le sarebbe piaciuto rivederla, anche solo per un attimo, abbracciarla e sentirsi stretta e protetta tra le sue braccia…
“- Sono qui per parlarvi di qualcosa di molto importante… solo che manca una persona…” A quelle parole, come se l’avesse chiamata, Angie arrivò correndo dal ponticello in legno e si fermò con il fiatone, quasi sapesse di essere in ritardo per qualcosa, seppur non sapesse cosa. “- Bene, ora ci siamo tutti.” sorrise Clara fissando con aria enigmatica la Saramego che prese ad osservare, alla sua destra e alla sua sinistra, sia Leon che Violetta fissarla con aria perplessa… era lei dunque la persona che mancava all’appello? “- Ah no, se c’è anche l’altra truffatrice io me ne vado!” Strepitò prontamente Galindo seppur malinconicamente… in fondo lì c’era la sua mamma, la donna che non poteva vedere né con cui poteva parlare da 15 anni… ma comunque urlò con stizza quelle parole, facendo abbassare gli occhi alla Saramego e accigliare Clara. “- Tu non vai da nessuna parte, figliolo!” Sentenziò con tono solenne la donna, facendo sì che, dal nulla, il piccolo ponticello che dava accesso al gazebo venisse bloccato da un cancello d’orato che si sollevò dal pavimento fino al cielo, alto e maestoso, venendo sigillato da almeno tre catenacci dello stesso materiale. “- Se sono qui è perché devo dirvi qualcosa di molto importante… e dovete essere uniti, almeno voi tre.” A quelle parole Leon sbuffò sonoramente, continuando a voltarsi per fissare la via di fuga sbarrata, ormai rassegnato. “- Tu sai già Leon, ma loro due no… purtroppo, pare che il mio amato marito presto sposerà quella… tizia, Jackie.” Annunciò con aria triste Clara, mentre i colori del suo abito si affievolivano ancor di più rispecchiando il suo stato d’animo. A quella rivelazione Violetta sgranò gli occhi scioccata, mentre Angie sentì la terra mancarle sotto ai piedi… come si sposavano? Come poteva Pablo fare una cosa del genere? “- Sì, tesoro è così… purtroppo io non posso interferire con l’andamento del destino, ma voi sì.” Sentenziò in un sussurro la madre di Leon rivolgendosi alla Saramego e, con quelle parole, riscosse un po’ il figlio che le captò con attenzione e si voltò prima verso le due e poi di nuovo verso la mamma. “- Io con loro non voglio più avere nulla a che fare!” Gridò stizzito, facendo pizzicare gli occhi dalle lacrime a Violetta, mentre Angie riabbassò, ferita, lo sguardo sul pavimento. “- Leon, anche tu ci devi aiutare… Jackie non è ciò che sembra.” Sibilò, sibillina, la figura eterea, facendo accigliare i tre. “- E’ una strega che pensa solo ai soldi, questo lo sappiamo già!” Sbottò ancora il figlio della donna, facendole scuotere lentamente il capo. “- C’è di più, molto di più sotto.” Sentenziò, facendo sì che i suoi interlocutori prendessero a fissarsi confusi: per un nanosecondo Violetta incrociò quegli occhi verdi di Leon e sentì tremarle il cuore… anche lui, perdendosi in quelli nocciola della giovane, credé di impazzire ma si contenne e il suo sguardo passò presto sulla madre, ancora immobile a osservarli, pronta a continuare il suo discorso di avvertimento. “- Che cosa nasconde?” Domandò Angie, perplessa. “- Questo non ve lo posso dire… ma state attenti, molto attenti a quella donna… unite le vostre forze, lottate, siate felici… solo insieme potete esserlo...” Esclamò con un mezzo sorriso Clara, sottolineando quelle ultime quattro parole. “- Devo andare… e ricordate: Jackie Saenz non è ciò che sembra! Smascheratela, per la vostra pace e… la mia.” Sentenziò, sentendo che stesse iniziando a dissolversi piano, fino a scomparire quasi del tutto. “- Mamma, aspetta non lasciarmi così… MAMMA!” L’urlo disperato di Leon risuonò come un eco nelle orecchie sia di Clara che di Angie e Violetta. “- Ti voglio bene, figlio mio e te ne vorrò per sempre…” Un filo di voce si espanse sul gazebo e scese quasi come una brezza leggera sui presenti e, tutti e tre, dopo un’altra rapida occhiata, furono catapultati di nuovo nel mondo della realtà.
 
 
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Hola! 27, il capitolo che mi ha fatto scervellare di più ed uno dei più lunghi! Almeno spero vi piaccia! xD Pablo, credendo Jackie sincera, pensa che sposandola potrà dimenticare Angie… e Leon, furioso, si rifugia al Club… meno male che gli amici lo aiutano! Intanto Lara si becca un ennesimo rifiuto dal giovane e decide di arrendsi con lui… olé! :D Ma andiamo a Mati e le nostre due protagoniste… sono tanto tristi anche loro, tesori! :( Marcela è la dolcezza! :3 Come aiuteranno i Maticela, Angie e Vilu? E poi c’è il sogno dei tre… come si comporteranno ora Leon e le due protagoniste? Clara, cripticamente, ha fatto capire ai tre che Jackie nasconde altro… Gregory che vuol condurre Pablito alla rovina! D: Siamo quasi alla fine della storia ma ancora tutto deve accadere! Tenetevi pronti che ci attendono capitoli ricchi d’azione… ;) Alla prossima e grazie a tutti coloro che seguono la storia con affetto, grazie infinite! :) Ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 28
*** Aprire gli occhi. ***


Non poteva crederci, non ci riusciva proprio: Leon, seduto al bancone del bar, sorvegliato da Diego accomodato al suo fianco che lo fissava, era in silenzio e pensava a quelle tre settimane trascorse con stizza… come poteva il matrimonio di suo padre e Jackie essere così vicino? Sbatté un pugno sul tavolo facendo sobbalzare sia Dominguez che Luca, intento a lucidare dei bicchieri da cocktail. Inoltre, come se non bastassero i pensieri, quel sogno, nonostante fosse passato del tempo, era rimasto vivido nella sua mente e ogni notte sperava di poter rivedere sua madre e… sì, in cuor suo, seppur non lo avesse ammesso neppure sotto tortura, voleva rivedere anche Violetta. Quella notte che sembrava ormai un ricordo lontano era stato tutto così vero, così reale… e le parole di Clara erano impresse nella sua mente come forgiate con il fuoco: Jackie nascondeva qualcosa e la mamma aveva riferito a lui, alla Saramego e alla La Fontaine di ritornare uniti per impedire quel matrimonio… già, ed quella era proprio la parte più difficile. Inoltre non aveva del tutto escluso che quel sogno potesse dire qualcosa di importante ma, allo stesso tempo, pensava anche che potesse essere frutto di un accumulo di stress alquanto forte in quel periodo… sì, alla fine di tanti elucubrazioni mentali aveva optato per quella spiegazione: aveva visto sia sua madre, sia Violetta che Angie e, forse il suo inconscio, gli stava semplicemente dicendo che quelle tre persone fossero quelle che più gli mancassero, le tre che volesse sentirle accanto a sé per provare a superare quei momenti così difficili.
“- Amico, tutto bene? Non hai detto una parola da quando siamo entrati!” Diego lo riscosse dai suoi pensieri e lo fece sobbalzare dallo sgabello su cui era seduto. “- Luca dammene un altro!” Sbottò Leon, senza neanche rispondere allo spagnolo, mentre il moro accanto a lui si affrettò a sottolineare: “- Due analcolici, come prima.” Rivolgendosi a Cauviglia che subito lasciò sul piano di lavoro ciò che stava pulendo e si apprestò a soddisfare l’ordine dei due clienti. “- Sei peggio di mio padre…” Sibilò stizzito il castano, afferrando il bicchiere senza neanche aspettare che il barista lo appoggiasse davanti a lui. “- E tu stai peggiorando. Non ti sei mai ripreso in questo periodo e non mi piace per niente vederti così! Ti pare normale che debba controllarti per evitare che faccia qualche sciocchezza?” Chiese Diego, sorseggiando piano il suo cocktail e fissandolo, senza però farsi notare troppo. “- Non è colpa mia! Nessuno ti ha chiesto di farmi da balia, Dominguez.” Sbottò Galindo, buttando giù quella bibita di un rosso acceso in un solo sorso. “- Diamine se non ti controllassi saresti già sbronzo! Si puo’ sapere perché non reagisci? Abbiamo provato di tutto!” Leon fissò con un ghigno amaro l’amico e Diego, senza che l’altro dicesse una sola parola, captò al volo uno dei suoi problemi. “- Ti manca tanto, eh?”. Dannato Dominguez che lo capiva come nessun’altro! Sì, non poteva dire il contrario… per quanto l’avesse deluso Violetta gli mancava e anche tanto… ma no, non poteva di certo ammetterlo. “- No.” Sbottò infatti con decisione, facendo sollevare un sopracciglio all’altro che prese ad osservarlo ancor più intensamente, inarcandolo e assumendo una buffa espressione corrucciata. “- Certo, come no! E pretendi che ti creda? Sei diventato anche bugiardo, ora?” Ridacchiò Diego, convintissimo della sua tesi… Leon non rispose, tanto sapeva che nulla l’avrebbe fatta pensare in maniera differente allo spagnolo che, tra l’altro, aveva colpito nel segno.
D’un tratto, la porta si aprì di colpo facendone filtrare un’abbondante quantità di raggi del sole che infastidirono i due ragazzi, unici clienti seduti al bancone dell’intero locale.  Un’ombra di un uomo che Luca non aveva mai visto prima in quel luogo, all’improvviso, si avvicinò ai due giovani con aria di chi sapeva già cosa dovesse fare: parlare a Leon Galindo. Matias era stato in un posto come Country solo alla cena in cui, per la prima volta, aveva conosciuto il figlio di Pablo, quando l’aveva sorpreso a baciarsi con la sua Violetta… eppure i patti con Marcela erano chiari: lei parlava con il moro collega ai cantieri, provando a farlo ragionare e a lui toccava incontrare il figlio dell’uomo… non sapeva quanto avrebbe potuto aiutare Angie e Vilu quel piano così banale ma in fondo ci sperava e tentare non avrebbe di certo fatto male. “- Leon… devo parlarti… ti ricordi di me?” Matias gli si avvicinò con aria decisa, seppur temeva che il ragazzo l’avrebbe mandato subito a quel paese. Galindo lo fissò sotto lo sguardo sorpreso di Dominguez che si preoccupò: in che guaio si era messo il suo amico? Chi era adesso quel tizio che cercava l’altro?
“- Che vuoi? Lui non ha fatto nulla di male!” Sbottò infatti lo spagnolo, scattando in piedi e spintonando prontamente La Fontaine, che allargò le braccia come a far capire le sue buone intenzioni, di certo pacifiche. “- Sta’ fermo, Diego. Tu non sia chi è quest’uomo…” Sibilò Leon, facendo sì che l’amico rimanesse certo della sua idea sull’identità losca di quel tipo. “- Chiunque sia deve lasciarti in pace! Che hai combinato Leon? Possibile che dobbiamo proprio iniziare a pedinarti, adesso?” Sbottò urlando Dominguez, quando, finalmente, La Fontaine riuscì a parare il primo pugno che il ragazzo stava per sferrare e Leon lo tirò per l’altro polso di nuovo a sedere. “- Ma cosa hai capito? E’… il padre di Violetta.” Sentenziò il figlio di Pablo, con un filo di arroganza per nascondere la sua malinconia nel dover pronunciare quel nome. A quella rivelazione Diego sgranò gli occhi e si portò una mano davanti alla bocca, scioccato. “- Mi… mi dispiace, signore io… io non sapevo e…” Leon però, per evitare che facesse altri danni, gli lanciò un’occhiata inceneritrice che l’amico carpì al volo e che lo fece zittire di colpo. “- Io vado… e mi scusi ancora.” Sussurrò, quasi impaurito il ragazzo, cedendo il posto al biondo che, già nervoso di suo, con quella accoglienza, era rimasto ancor più sconvolto. “- Devo parlarti, è importante.” Esclamò Matias rivolgendosi a Leon che neppure lo guardava in faccia, avendo ripreso a fissare dritto di fronte a sé. “- Tu non hai idea di come stiano male Violetta e Angie. Leon, loro sono brave persone, io le conosco meglio di chiunque altro e credimi, anche se hanno commesso degli errori in passato, si sono innamorate come mai prima di te e tuo padre… non vi avrebbero mai e poi mai fatto del male.” Matias prese un grande respiro, sedendosi accanto a Galindo, per poi continuare: “- Mia figlia ti ama e non puo’ stare senza di te: sente la tua mancanza e non poter farci nulla per aiutarla mi sta uccidendo, credimi.” A quelle parole Galindo finalmente prese a fissare l’uomo con aria seria e imperturbabile, seppure il cuore cominciò a battergli forsennatamente… non poteva che sentirsi preoccupatissimo per la dolce Violetta, la ragazza che, nonostante tutto, non poteva negare di amare ancora. “- …Si sta spegnendo lentamente: non mangia più se non qualcosa sotto mia insistenza, non ha più la vitalità di prima… per favore, io non posso vederla così e so che solo tu mi puoi aiutare a renderla di nuovo felice.” Leon sorrise amaramente: non era un sorriso malinconico quanto più un ghigno di dolore. “- Signor La Fontaine, pensa che per me sia una passeggiata dopo tutto ciò che ho passato, andare avanti? Mi guardi!” A quelle parole il ragazzo aprì le braccia sconsolato, per fargli intendere ancor meglio che neppure lui se la stesse passando alla grande: gli dispiaceva e molto per Violetta, anche per Angie, ma cosa avrebbe dovuto fare dopo aver scoperto che gli avevano mentito per tutto quel tempo? Era troppo orgoglioso per mostrarsi debole di fronte al padre della ragazza ma, forse, in cuor suo stava davvero cominciando a capire di averla trattata troppo male… eppure anche lui, lontano da lei, stava soffrendo molto… e se quel sogno fosse stato molto più reale di quanto pensasse? No. Scosse distrattamente il capo mentre il biondo aveva abbassato gli occhi sul bancone con aria afflitta. “- Non metto in dubbio che anche tu stia passando un brutto periodo e proprio per questo ti invito a pensare almeno all’ipotesi di parlare e chiarire con mia figlia… per favore… riflettici: stareste bene entrambi.” E, a quelle parole, l’uomo fece per alzarsi, dopo alcuni secondi di silenzio calati tra lui e il giovane… aveva colpito nel segno e, ormai, dopo anche l’incontro nel mondo onirico con Clara, il ragazzo stava realmente per cedere… per quanto ancora avrebbe potuto fingere di andare aventi come se nulla fosse senza Violetta, l’unica ragazza che fosse davvero riuscita ad innamorarlo? Poco, in fondo al cuore ne era più che certo: sua madre, Diego, ora anche Matias… erano tutti dalla sua parte o… da quella di Violetta? Da quella di entrambi, evidentemente: solo insieme potevano superare ogni tipo di ostacolo e soli non erano più nulla. Leon seguì con lo sguardo La Fontaine allontanarsi a passo lento verso l’uscita e Dominguez, quasi impaurito da lui, si avvicinò subito all’amico con fare circospetto: “- Cosa voleva?” Diego non stava più nella pelle, doveva sapere cosa Galindo e il padre di Violetta si fossero confidati. Il ragazzo sospirò profondamente senza sapere cosa dire, troppo preso dalla marea di pensieri che in quei momenti affollavano la sua mente. “- Voleva parlarti di Violetta, no? Che ti ha detto?” Il moro, intese prontamente di quale argomento avrebbero potuto conversare i due e non staccò neppure per un secondo gli occhi da Leon che, finalmente, sembrò scuotersi da quello stato di trance in cui era caduto. “- Che la figlia sta male, che dovremmo almeno parlare…” Riassunse seccato Galindo, facendo aggrottare la fronte a Diego, che poi sorrise allegramente. “- Beh, La Fontaine senior non ha tutti i torti!” Esclamò il moro soddisfatto, mentre Leon riprese a riflettere su lui e Violetta: era così confuso, forse anche più di prima… il solo pensiero che lei stesse soffrendo aveva peggiorato la situazione ed era seriamente tentato dall’affrontarla. Inoltre, ci si aggiungeva il fatto che non riusciva più a sentirla così lontana, seppure lei lo avesse profondamente ferito… e allora cosa fare? Doveva pensare, voleva restare un po’ da solo così, si apprestò a salutare Diego, lasciandolo perplesso, per andare a fare un giro in moto: niente lo calmava come la brezza sul volto, il paesaggio che sfrecciava veloce, il non avere una meta precisa… sì, gli avrebbe decisamente fatto bene e solo così, evidentemente, sperava di aver potuto prendere la decisione giusta.
 
 
“- Pablo, finalmente sei arrivato! Vieni, entra.” Marcela, con una banalissima scusa riguardante dei progetti di lavoro, aveva fatto arrivare di corsa Galindo al cantiere principale il quale, ancora confuso e trafelato, era fermo sotto l’uscio della porta del piccolo e ordinatissimo ufficio della collega. “- E’ successo qualcosa?” Il moro, finalmente, si avvicinò alla scrivania della donna e si sedette proprio di fronte a lei, sorpreso per quell’improvvisa telefonata. Perché la Parodi voleva vederlo da vicino? Erano giorni che, non volendo uscire di casa, le passava via mail ogni dettaglio delle piante architettate per il centro commerciale in costruzione… e allora come mai quella volta lo aveva personalmente chiamato per parlarci a quattr’occhi? “- No, tranquillo… volevo sapere come stai, è da un po’ che non ti vedo…” Quella frase, volutamente ambigua e che lasciava fuori volutamente il motivo di quella che sarebbe stata l’imminente conversazione, colpì subito Pablo che ricordava perfettamente da quale serata non aveva più rivisto la mora: il suo fidanzamento con Angie, andato poi a monte. “- Già, è un bel po’.” Si limitò a rispondere lui, posando poi lo sguardo sulla valigetta nera che aveva appoggiato sulla scrivania. “- Allora, questi progetti? Cosa c’è che non va?” Si apprestò subito a cambiare discorso l’uomo, per non apparire affranto da quel triste ricordo riguardante la Saramego. “- Ah, certo, ora li controllo anch’io…” Mormorò la donna, tendendo il braccio per afferrare il contenuto di una cartellina rigida che l’altro stava estraendo dalla sua ventiquattrore. La donna diede una rapida occhiata a quei grandi fogli, sempre precisi e perfetti e poi, provò a ritornare a quel discorso tanto duro da affrontare: la parte “Angie”. Di norma la Parodi era una persona discreta e quasi la imbarazzava conversare su quel tema spinoso… ma lo aveva promesso a Matias e, anche a costo di far infuriare e ferire Pablo, doveva farlo: per un secondo gli tornò in mente la cena con il biondo di qualche sera prima… quanto era preoccupato per la situazione della figlia e della Saramego! Dovevano aiutarle, in fondo loro erano davvero innocenti e amavano da impazzire i due Galindo… perché non tentare allora il tutto per tutto per far sì che quei quattro ritornassero ad essere felici? “- Ottime idee devo dire, come al solito… e a proposito di idee… so che hai avuto l’idea di sposarti con Jackie.” Bingo. Se c’era un’arte in cui Marcela si destreggiava da gran maestra era quella oratoria… quante volte aveva dovuto placare gli operai da sola, facendogli capire le cose come stessero? A quante riunioni in cui, da unica donna persino odiata a causa dei danni causati da suo padre, aveva dovuto farsi valere? Tante, infinite. Pablo a quella frase si accigliò e annuì, pensieroso. “- Sì. ormai manca poco alle nozze, Jackie ha voluto fare tutto così in fretta che quasi non me ne rendo conto.” Sentenziò il futuro sposo, passandosi nervosamente una mano nel ciuffo corvino, gesto teso che prontamente fu colto dall’acuta osservatrice che era la sua interlocutrice. “- E tu sei molto agitato, no? Beh, si nota!” Sorrise sibillina la bruna, sporgendosi verso di lui con aria indagatrice, lasciandolo di sasso… ok, era amico storico della donna, la conosceva da un pezzo, eppure un discorso del genere, che stava prendendo una piega così inaspettata sin da subito, non se lo aspettava proprio… che l’avesse voluto vedere solo per parlare di quel tipo di argomento? “- Sto per sposarmi, non dovrei essere agitato?” Ironizzò quasi stizzito l’uomo, riponendo ordinatamente i fogli che la donna aveva appena guardato. “- Se fossi più convinto di quello che andrai a fare, forse, lo saresti leggermente di meno. Tu più che nervoso per i preparativi matrimonio, come accade di norma, mi sembri nervoso per la scelta di sposarti o meglio, per quella della sposa… che è molto diverso.” Sentenziò con tono quasi profetico la Parodi, lasciandolo ancor più sbigottito. Basta. Ci mancava solo Marcela e quell’ambigua conversazione a farlo star peggio di quanto non stesse già di suo… sì, lui stava sposando la Saenz per dimenticare Angie, lo sapeva, ne era consapevole e non voleva sentirselo dire… così faceva ancor più male. “- Tu non mi hai fatto venire fino a qui per le piante, vero?” Senza ulteriori giri di parole, Galindo fece quella domanda alla bruna, convinto già di sapere la risposta. “- Pablo ci conosciamo da anni… ti leggo in faccia che non ami Jackie. Ti ho visto innamorato di Angie e credimi, non fare qualcosa di cui potresti pentirti per tutta la vita! Diamine, ma perché?! Ti rendi almeno conto che rovineresti la tua esistenza e quella di tuo figlio? Riflettici per un secondo!” L’uomo, furioso, puntò gli occhi neri in quelli azzurri della donna che non abbassavano la guardia neppure per un istante, sostenendo con forza i suoi. “- La devo dimenticare, Marcela. Che altro potrei fare? Mi ha mentito, è una truffatrice che voleva rovinarmi… pensi che per me sia stato facile? Io non ho sofferto ancora una volta per amore, secondo te?” La Parodi annuì mestamente, abbassando il volto sulla scrivania ordinata per poi risollevarlo e ritornando a fissare nuovamente l’uomo. “- Non metto in dubbio che tu abbia sofferto ma credimi, l’unica colpa di Angie è stata quella di non parlarti prima del suo passato. Ho parlato con Matias: sua figlia e la sua migliore amica stanno malissimo… non avrebbero mai e poi mai fatto del male a te o a Leon, vi amavano…” Marcela si interruppe prendendo un profondo respiro per poi continuare solo dopo pochi secondi di silenzio: “- …e se soffrono così è perché vi amano ancora.” Pablo sospirò rumorosamente a quelle parole… già, anche lui la amava ancora ed era proprio per quel motivo che aveva preso la pessima, perché sapeva essere tale, decisione di sposarsi per cancellarla dal suo cuore. “- Devo andare.” Sentenziò in un sussurro, alzandosi di scatto e afferrando la valigetta dalla scrivania. “- Pablo…” Lo richiamò la Parodi, scattando anche lei in piedi e facendo sì che lui fosse di nuovo costretto a guardare quegli occhi severi nei suoi confronti… Marcela era così, se qualcosa non le andava bene lo faceva intendere già con lo sguardo e questo lui lo sapeva bene… infatti, quell’azzurro, in quel momento, riusciva ad inquietarlo alquanto. Aveva ragione, la donna aveva capito tutto e di certo non poteva darle torto… ma ormai era tardi per i ripensamenti, avrebbe sposato Jackie e forse, con il tempo, avrebbe imparato persino ad amarla. “- Non è troppo tardi per cambiare idea.” Quasi se l’avesse letto nel pensiero, la Parodi sussurrò quella frase con sicurezza, sperando che in lui si smuovesse qualcosa nel sentire quelle parole… ma tanto Galindo già sapeva bene di stare per commettere un errore, eppure continuava ad avere la consapevolezza di non poter fare altrimenti.
“- Buona giornata.” Salutò con aria imbarazzata da quella conversazione, il moro, quando ormai si ritrovò sull’uscio dell’ufficio. Marcela con un cenno del capo ricambiò al saluto e si lasciò cadere a peso morto sulla sua poltrona: quanto poteva essere testardo Pablo Galindo? Era sempre stato così, da quando era un ragazzino ed era evidente che mai e poi mai sarebbe cambiato. La donna sbuffò sonoramente: le dispiaceva un sacco per lui se non avesse capito quello che lei intendeva  o peggio, se avesse fatto finta di non averlo inteso, ipotesi molto più probabile… si sarebbe rovinato la vita per sempre, irrimediabilmente. Inoltre il suo pensiero volò alla povera Angie, più innamorata che mai e, sì, anche a Matias. Dalla fredda reazione di Pablo, evidentemente, il loro desiderio di farlo desistere non aveva funzionato e immaginava già come ci sarebbe rimasto male il biondo… e sì, soffriva al pensiero che lui fosse rimasto deluso da lei. Perché diamine le importava tanto di quell’uomo? Perché il pensiero di La Fontaine non faceva altro che tormentarla, giorno e notte? Scosse energicamente la chioma corvina, sperando di rinsavire e si alzò piano, avvicinandosi alla piccola finestra che dava sul cantiere in costruzione: tutto sembrava proseguire bene, gli operai facevano come al solito avanti e indietro carichi di attrezzi e c’erano i soliti addetti a dirigere i lavori, sotto un sole al tramonto che, nonostante tutto, sembrava essere alquanto cocente.
“- Salve, Parodi!” Una voce fin troppo familiare e squillante la fece sobbalzare e si voltò di colpo verso la porta dove il biondo La Fontaine era appoggiato allo stipite con aria disinteressata. “- Matias!” Sorrise istintivamente lei, rendendosi conto solo dopo qualche secondo che, evidentemente, quella sua espressione dovesse essere inappropriata al momento, al suo ruolo… a tutto. La donna tornò subito seria e aggirò la scrivania, come per diminuire quella distanza tra loro, poggiandosi al bordo anteriore della stessa con aria distratta. “- Hai parlato con Galindo?” Chiese prontamente l’uomo, facendola annuire mestamente. “- Sì, ma sapevo che sarebbe andata male… quel testardo non cambia idea! E’ distrutto e sono sicura che se si sposa con Jaqueline è solo per dimenticare Angie!” Sbottò Marcela stizzita e dispiaciuta, cominciando ad andare aventi e indietro per la stanza. “- Dai, almeno ci hai provato!” Esclamò l’uomo, con un mezzo sorriso rammaricato. “- Con Leon com’è andata? Spero meglio di come è andata a me!” Sentenziò la mora, continuando a camminare, evitando accuratamente gli occhi azzurri di Matias. “- Sembrava colpito. Forse perché non si sarebbe mai aspettato una mia visita o perché davvero l’ho fatto riflettere, non lo so… però almeno abbiamo tentato… e non ti ringrazierò mai abbastanza per questo.” Matias pronunciò con un filo di voce quelle ultime parole, mentre Marcela, colpita da quello che le aveva appena detto, si bloccò di colpo di fronte a lui, incrociando quello sguardo rassicurante che pensò l’avrebbe fatta impazzire: le succedeva sempre quando si trovava davanti a lui, tuttavia, ancora non riusciva a controllare quella sorta di imbarazzo, di sensazione di leggerezza che provava in compagnia di La Fontaine… ci era già passata, veniva da un amore finito malissimo a causa di tradimenti subiti e, se da una parte avrebbe evitato volentieri di ricadere nella trappola dell’amore, dall’altra non poteva che provare quel sentimento così forte alla sola vista del biondo. Matias era diverso dal suo ex marito, completamente diverso: il biondo era così dolce, sensibile e adorava la sua Emilia… insomma, un uomo perfetto, forse con i suoi difetti ma perfetto, per lei. “- Mi dispiace non aver potuto fare molto per rendermi utile…” Soffiò la donna tristemente, riabbassando lo sguardo e sentendo i passi di lui farsi sempre più vicini, tanto da rimbombarle nelle orecchie insieme al battito del suo cuore che si fece accelerato nel notare che lui stesse accorciando le distanze tra loro. “- Però so che lo hai fatto con il cuore.” Mormorò l’uomo, facendosi finalmente coraggio e sollevandole il mento con un dito: era dispiaciuta sul serio e lui se ne accorse subito, sorridendo per la grande importanza che la mora aveva dato al favore chiestole… dietro a quell’enorme freddezza di donna a capo di un’intera impresa i cui collaboratori e operai erano tutti uomini, aveva già capito da tempo che vi fosse di più. Marcela provava ad indossare una maschera di durezza che, però, al suo fianco, era miseramente crollata, frantumandosi in mille pezzettini… era dolce, intelligente, sensibile e lui, a poco a poco, l’aveva conosciuta e aveva completamente perso la testa, come in passato l’aveva smarrita solo per Esmeralda, la madre di sua figlia. “- Hai fatto tanto per me, Marcela, credimi… molto più di quanto tu non possa immaginare…” Soffiò Matias, ad un centimetro dal suo volto, prendendo ad accarezzarle una guancia delicatamente. La donna sentì il volto andare a fuoco per l’emozione ed era sicura di aver assunto la tonalità di un pomodoro ma evidente quel rossore all’uomo doveva piacere molto, tanto che sorrise ancora, incantandola nuovamente. Non ebbe il tempo di aggiungere altro perché, lentamente e quasi titubante, il biondo poggiò le labbra su quelle di lei, continuando a tenerle il viso, facendo sì che un brivido li percorresse entrambi, dalla testa ai piedi, quasi come se avessero preso la scossa. Si baciarono per molto tempo, prima quasi delicatamente poi con sempre maggiore trasporto, facendo diventare quel gesto inizialmente quasi timoroso sempre più passionale e profondo. “- Ti amo, Marcela. Non so da quanto ho cominciato a sentire qualcosa di così forte per te ma io… io ti amo e non posso farci nulla.”  La donna, sorridendo a quella frase così tenera, rimase con la fronte contro quella di lui e gli poggiò piano un indice sulle labbra. “- Infatti non devi farci nulla…” Sussurrò la bruna, prendendo a solleticargli una guancia con le dita. “- Ti amo anch’io, La Fontaine… e non VOGLIO farci nulla.” Sentenziò categorica la Parodi, per poi baciarlo ancora una volta. Forse il loro tentativo con i Galindo non era poi servito a molto ma, evidentemente, per entrambi era stato il passo fondamentale per avvicinarsi definitivamente e per far sbocciare completamente il loro amore.
 
 
Leon, dal Country, era partito nel primo pomeriggio eppure, senza neanche rendersene conto, si era fatta ora di cena in un batter d’occhio. Il pensiero della conversazione avuta con Matias gli aveva tormentato la mente per tutto il tempo del viaggio… già, perché di un vero e proprio viaggio si era trattato: il ragazzo, dal Club che si trovava decisamente in periferia, si era ritrovato  a sfrecciare sulla costa, zona che amava e che gli riportava alla mente ricordi lontanissimi… spesso, quando era il compleanno di sua madre, il padre portava lì a cena tutta la famiglia, dove c’erano i ristoranti più belli e esclusivi di tutta Buenos Aires. Che bei tempi quando i Galindo erano così felici, così uniti, quando la mamma era ancora con loro… ed ora? Nel momento in cui avevano recuperato un barlume di speranza e felicità con Angie e Violetta, si era sgretolato di nuovo tutto, come neve ai primi raggi di sole primaverili, lasciando solo freddo e vuoto tutto intorno.
Ecco, quello era il termine per definire il suo stato in quel momento: vuoto. Un senso di svuotamento si era impossessato di lui e lo rendeva perennemente nervoso e agitato senza un apparente motivo. Non rendendosene neppure conto, il giovane parcheggiò l’enorme e potente motocicletta e prese a camminare a piedi lungo il parapetto che dava sull’Oceano, leggermente mosso per un fastidioso venticello che scompigliava anche i suoi capelli, non appena si tolse l’ingombrante casco dalla testa. Le onde che si infrangevano sugli scogli, la luna alta nel cielo ma coperta da alcuni nuvoloni grigi… stare in quel luogo che così tanto rispecchiava la sua anima in quel momento non poteva che farlo stare peggio, così decise di poggiarsi con la schiena alla ringhiera per dare le spalle a quel panorama così malinconico, fissando distrattamente l’orologio che aveva al polso: le 20 e 30… per quanto tempo aveva vagato senza meta? Evidentemente tanto e neppure si era schiarito le idee come sperava... Come aveva detto Matias, forse, avrebbe almeno potuto parlare a Violetta, eppure non se la sentiva di affrontarla, anche per come l’aveva trattata l’ultima volta… in fondo, a patto che quel sogno fosse stato reale come sembrava, anche sua madre lo aveva supplicato di essere unito alla giovane e a Angie per affrontare quell’ostacolo così insormontabile… cosa doveva fare? Non lo sapeva, era troppo confuso e una fitta allo stomaco lo portò a fare una smorfia di dolore: provò ad auto convincersi che quella fosse soltanto fame e, di conseguenza, decise di attraversare per andare a mangiare qualcosa da una rosticceria appena accanto al “Galán”, il ristorante più famoso di tutta la città in cui era solito andare con la sua famiglia da piccolo.  Il marciapiede era affollatissimo di turisti e gente della zona che faceva avanti e indietro tra i tavoli esterni dei locali mentre altri preferivano accomodarsi all’interno, considerata l’incertezza del tempo, al mattino soleggiato, alla sera, in cui il cielo era diventato minacciosamente nuvoloso. Leon non poté non fermarsi di fronte alla grande vetrata che dava sulla sala principale, già affollata di clienti intenti a chiacchierare allegramente tra loro. Galindo sorrise mestamente, riconoscendo subito il tavolo abituale a cui sedeva spesso da bambino con la madre e il padre, proprio quello accanto alla vasca delle aragoste che si divertiva ad osservare incantato e che, dalla parte opposta, dava proprio su un’enorme finestra laterale che affacciava sul viottolo tra il “Galán” e la piccola pizzeria verso la quale ora era diretto… sì, loro erano così: adoravano starsene in disparte ed erano davvero felici tutti e tre insieme. Leon con molta fatica, ricacciò in dentro alcune lacrime che, era sicuro, di lì a poco gli avrebbero inumidito le guancie e fece per proseguire nel suo cammino quando qualcosa, o meglio, la visione di qualcuno, lo bloccò sul posto: che ci faceva quella donna lì? Jackie, in un elegante abito nero al ginocchio, stava prendendo posto proprio in quel luogo della sala più nascosto e, un uomo non troppo giovane e dall’aria alquanto arcigna e severa, le spostò la sedia per farla accomodare… non poteva credere ai suoi occhi… Gregorio Casal? Per quale arcano motivo la futura sposa di suo padre era a cena come se nulla fosse con il peggior nemico dei Galindo che il giovane aveva visto solo su qualche quotidiano? Era forse il suo amante? Impossibile, era sicuramente ricco ma fuori da qualunque tipo di canone di bellezza o di attrattiva… prontamente scartò quell’ipotesi dalla sua mente: la Saenz non avrebbe tradito suo padre perché interessata solo esteriormente da un altro… e poi anche Pablo era ricco, dunque perché andare fuori a mangiare con un uomo che non fosse lui? Strano, molto strano. Un pensiero si impossessò prontamente della mente del giovane ed era ancora una volta, quel sogno, quello in cui sua madre, gli aveva fatto capire che Jackie non era ciò che sembrava… cosa nascondeva? Forse quel messaggio di Clara era molto di più di uno stupido lavoro onirico come aveva ipotizzato lui, forse davvero doveva scoprire cosa ci fosse sotto a tutta quella situazione ma, per farlo, doveva ricordare che su una cosa in particolare la donna era stata precisa: per affrontare quel mistero, doveva riappacificarsi prima con Violetta ed Angie e, finalmente, Leon aveva capito da dove cominciare per capire cosa celasse l’odiosa Jacqueline e sapeva di dover affrettare i tempi, ormai brevi considerato l’incombente matrimonio di suo padre: quello sarebbe stato l’ultimo rintocco dell’orologio, la condanna per lui e Pablo e avrebbe tentato il tutto per tutto pur di evitare quel disastro.
 
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Siamo agli sgoccioli, ci aspetta un finale da brividi e super movimentato, tenetevi forte! Nota principale di questo ventotto: Leon scopre che Jackie, come aveva detto la madre, ha un segreto! E forse, finalmente, Galindo ha accettato di doversi riavvicinare a Vilu e Angie per scoprire di cosa si tratterà mai… :3 E poi… ci sarà solo questo o Casal e la Saenz nascondono dell’altro? Lo scopriremo presto! ;) Dunque, dunque.. ah, sì! Bacio Matirela, coppia che amo da sempre ma che in particolar modo ultimamente mi fa sclerare un sacco… ejtoptoeop :3 Devo dire che mi piacciono i confronti Leon vs Matias e Pablo vs Marcela! Voi che ne pensate? :) Qualcuno che desse ai Galindo una svegliata ci voleva proprio! u.u Vi è piaciuto questo capitolo? :) Grazie a tutti, alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 29
*** L'ultima carta da giocare. ***


Il cielo era nuvoloso e, d’improvviso, un lampo squarciò il buio, con la sua luce improvvisa quanto abbagliante. Pablo prese a correre sempre più velocemente, attraversando il giardino che prontamente riconobbe come quello della sua villa. La scalinata biforcuta che portava all’ingresso sembrava un monte insormontabile e dannatamente scivoloso per le gocce che, prima lievi e poi sempre più fitte, avevano preso a cadere sul luogo. “- Roberto! Olga! Qualcuno apra questa porta!” Galindo raggiunse il varco d’accesso alla casa ma non ottenne alcuna risposta, per quanto urlasse e avesse iniziato a prendere a pugni quel legno resistente e finemente levigato… non aveva scelta, la porta era sbarrata, non aveva chiavi ed era certo che anche quella sul retro fosse nella stessa situazione: doveva restarsene lì, sotto il temporale a congelare per quel vento fastidioso che si era alzato sempre più forte. D’un tratto, voltò lo sguardo sulla zona del giardino alla sua destra e si ricordò del gazebo… ma certo! Lì avrebbe potuto ripararsi in attesa che la bufera fosse terminata, che sciocco era stato a non pensarci prima! Scese i gradini velocemente ma con cautela dal lato opposto da cui era salito e corse verso il ponticello che lo avrebbe portato al luogo sotto il quale voleva giungere e, in poco tempo, bagnato dalla testa ai piedi, arrivò proprio davanti alle assi di legno che lo separavano dal rifugio. L’uomo si piegò sulle ginocchia con il fiato corto e, solo dopo qualche secondo, alzò gli occhi, distrutto: ci mancò davvero poco che non svenisse a quella vista angelica che gli si parò davanti… la donna che mai aveva dimenticato, la sua amata Clara era lì, di fronte a lui, eppure non sembrava affatto felice, anzi: la bionda teneva le braccia incrociate al petto e batteva nervosamente un piede a terra, senza smettere di fissarlo. “- C... Clara?” Balbettò l’uomo con un grande sorriso stampato in volto, percorrendo piano il ponte con il cuore che aveva preso a battergli ancor di più che per la corsa. “- Pablo.” Sussurrò la moglie, non riuscendo a non  sciogliersi anch’ella in un dolce sorriso nel sentirlo parlare, nonostante sembrasse alquanto nervosa con lui. “- Non sai quanto mi sia mancata amore mio! Io… io non posso credere che tu sia qui, davanti a me e…!” Commosso, l’uomo le si avvicinò a passo rapido e la strinse in un forte abbraccio, che dovette ammettere fu alquanto particolare: era come stringere dell’aria fredda e lei, cogliendo il suo essere sconvolto, riuscì a staccarsi da quella stretta e a carezzargli lieve il volto, con un sorriso amaro dipinto sul volto. “- Anche tu mi manchi, Pablo, anche tu.” Sussurrò mestamente la bionda, tornando poi al suo posto, in fondo al gazebo, a passo lento. “- Se sei qui è perché devo parlarti… per quel che posso devo salvare te e nostro figlio… e sappi che stai per fare l’errore più grande della tua vita.” Galindo si accigliò prontamente a quelle parole e per il tono solenne e severo che aveva ripreso la donna. “- Che vuoi dire?” Sussurrò lui, quasi intimorito. “- Lo sai bene, non fare il finto tonto con me! Non capisco perché abbia bisogno di dimenticare Angie sposando quella arpia! Anzi, non capisco proprio perché tu abbia bisogno di dimenticare la Saramego, in generale!” La voce di Clara era leggermente stizzita e un tuono squarciò il silenzio. “- Mi voleva imbrogliare e la cosa che mi fa più male è che ha giocato con i miei sentimenti, addirittura inventandosi la scusa di averti sognata!” Anche Galindo ora teneva un tono risentito e la donna, ruotando gli occhi al cielo, lo avvicinò di nuovo in silenzio, facendo risuonare nell’aria solo il leggero strusciare della sua ampia e sottile veste sul suolo.”- Sei sempre il solito testardo… è vero che mi ha sognata, ti pare che quell’angelo di ragazza ti avrebbe mentito su una cosa del genere? Bito, così mi deludi! Piuttosto, pensa a non fidarti di Jackie...”. “Bito”… un ghigno divertito non poté fare a meno di disegnarsi sul volto del moro… da quanto tempo non sentiva quel nomignolo? Quanto gli era mancato quel soprannome proveniente dalla sua dolce voce? “- La prima parola di Leon…” Soffiò triste, riferendosi appunto a quel buffo appellativo. “- Già… se non ti avessi chiamato sempre Pablito probabilmente non l’avrebbe mai sentita…” Ora anche la donna aveva assunto un’aria divertita, eppure altrettanto malinconica e prese a fissare le assi sotto ai suoi piedi, vagando tra i mille ricordi che erano scaturiti da quella semplice parolina. “- Pablo…  Angie non ti ha mai mentito e credimi, non lo farebbe mai. Ti ama, davvero! E tu ami lei… non devi sentirti in colpa per questo…” A quelle parole Clara sospirò profondamente e sembrò rattristarsi, nota che l’uomo subito colse. “- Io non voglio perderti.” Ebbe la forza di balbettare, facendo qualche passo titubante in avanti e sentendo gli occhi iniziare a pizzicargli terribilmente. “- Tu mi hai già persa, amore mio… purtroppo mi hai già persa. Ma sarò sempre con te e con Leon, sempre.” Quel tono triste, quell’espressione che tentava di incutere tranquillità ma che, in realtà, celava tanta malinconia… Pablo non resisté più e sentì le lacrime cominciare a bagnargli le guance, sempre più numerose, miste al bagnato delle gocce di pioggia che fino a qualche istante prima lo avevano inzuppato. “- Clara… io… io ti amerò per il resto della mia vita, te lo giuro.” Soffiò con voce strozzata dal pianto mentre la donna, sorridendogli dolcemente, annuì con fare comprensivo. “- Ed io amerò per sempre te, tesoro mio. Ma tu devi andare avanti e so che ami anche Angie… se io sono stata strappata da te a causa di un destino fin troppo crudele, lei puoi e devi recuperarla… non fare sciocchezze, per il tuo bene e quello di Leon.” Sentenziò la donna, con aria preoccupata per entrambi. “- Non potevo mettermi in contatto con te per provare a farti cambiare idea su quel matrimonio, tu sei il diretto interessato… beh, ora però manca troppo poco e forse ho infranto le regole… adesso non so cosa mi capiterà, eppure non mi importa: dovevo vederti e parlarti. Non fare che questo sacrificio vada a vuoto.” La voce della donna era ormai tremante, realmente timorosa delle conseguenze che quell’incontro con il marito avrebbe potuto avere… solo vedendo Pablo e Leon felici, finalmente, dopo 15 anni, anche lei avrebbe trovato il riposo eterno e sereno, non essendo più bloccata in quella sorta di limbo in cui era prigioniera da troppo tempo… ma dopo aver infranto il regolamento cosa le sarebbe successo? “- Devi andare… è già mattino.” Il tono calmo di Clara tornò deciso e sentì il suo corpo iniziare a smaterializzarsi sempre più. “- No, ti prego amore mio non andartene…” La supplica di Pablo la intenerì ancor di più e lo vide cadere sulle ginocchia sopra le assi che facevano da pavimentazione al gazebo. “- Ti amo, e lo farò per sempre: oltre la vita, oltre il tempo, oltre tutto. Ma tu fa’ la scelta giusta.” E, con quelle parole, l’uomo la vide sparire nel nulla e, un peso come un macigno sul cuore unito a fitte di dolore allo stomaco, lo costrinsero a risvegliarsi.
 
La stanza era caldissima, afosa e svegliarsi di soprassalto, in un bagno di sudore, di certo non era una bella sensazione: Pablo sobbalzò letteralmente dal sonno e si portò prontamente in posiziona seduta, al centro del letto. Non riusciva a credere a quel sogno così particolare: Clara, la sua Clara, lo aveva supplicato di non sposare Jackie… ma mentre vi rifletteva su, improvvisamente, un forte bussare alla porta lo riportò con la mente nella stanza. “- Signore, si sbrighi! Oggi è il grande giorno, purtroppo…” Con tono per nulla entusiasta, Olga gli ricordò cosa sarebbe accaduto in quella data… ecco, era giunta la mattina delle nozze eppure lui non aveva proprio intenzione di correre all’altare: no, non amava affatto la Saenz, lo sapeva e lo riconosceva… eppure cos’altro poteva fare per dimenticare l’unica donna che avesse davvero amato, dopo la morte di sua moglie? Angie era il suo tormento, il suo pensiero fisso giorno e notte ma non riusciva proprio a concepire perché gli avesse mentito sul suo passato… che volesse davvero rovinarlo? Scosse il capo, confuso… si era arrovellato sin troppe volte il cervello con quelle domande e si sentiva esausto. Clara era stata molto chiara sulla Saramego: era lei che meritava il suo amore, lei che, sì, era stata una truffatrice ma che, forse per paura di perderlo, aveva taciuto sul suo vissuto… solamente quella donna, avrebbe potuto, in quella casa, occupare il ruolo che era stato suo. No, non poteva aver davvero parlato con la sua defunta moglie, non era più, purtroppo, umanamente possibile nonostante lo avesse voluto poter fare ogni giorno, con tutto sé stesso. Improvvisamente, la sua freddezza ritornò prepotente a comandare la sua mente e subito collegò quel lavoro onirico proprio al fatto che la donna gli mancasse tanto e che, forse, fosse riuscita a sognarla dopo 15 anni dalla sua scomparsa, solo perché quello era il giorno del suo secondo matrimonio… eppure, quanto poteva quello essere differente dal primo? Pablo Galindo era razionale, lo era sempre stato e non poteva davvero considerare che un sogno cambiasse la sua decisione. A quel pensiero sollevò quasi casualmente lo sguardo e notò come un raggio di sole colpisse il grande lampadario di cristallo, facendone scaturire un fascio di luce arcobaleno da uno dei pendenti del prezioso oggetto… non era possibile, doveva essere un caso. Si alzò e si avvicinò all’armadio, davanti al quale era appeso, su una gruccia, il suo abito da sposo: sobrio e elegante, di una bella tonalità di blu scuro, in contrasto con la candida camicia bianca che sbucava da sotto alla giacca. Pablo sospirò profondamente alla vista di quegli indumenti e sfiorò piano il telo di plastica trasparente che li ricopriva… doveva rassegnarsi, tra qualche ora sarebbe stato il marito di Jacqueline Saenz e il suo cuore, forse, sarebbe riuscito a dimenticare la dolce Angie. Si voltò, dando le spalle al guardaroba e notò come quell’arcobaleno fosse ancora lì, tracciando una vera e propria linea che divideva in due la stanza. L’uomo la fissò, incredulo… doveva riconoscere, per quanto fosse illogico, che era davvero un bello spettacolo, alquanto particolare… e, improvvisamente, si ricordò del suo primo bacio con la Saramego: sì, era nato tutto da uno strano fenomeno sull’acqua… un arcobaleno scaturito dal nulla, proprio come quello che stava fissando in quell’istante. A passi lenti, l’uomo percorse il tragitto che quei sette colori segnavano e si ritrovò fermo di fronte alla sua scrivania, ordinatissima come d’altronde lo era ogni angolo della camera… quello che vide lì, aveva sul serio dell’incredibile, anche più di tutto il resto accaduto tra quella notte e quei minuti: una coroncina di fiori che non aveva mai visto per casa, né tanto meno nella sua stanza, circondava una scatolina di velluto blu che conosceva fin troppo bene… come ci era finito lì l’anello con cui, molto tempo prima, aveva chiesto ad Angie di sposarlo? Lei lo aveva portato con sé andando via dalla villa e allora come ci era arrivato nella sua camera? Galindo, sconvolto, si voltò verso la porta da cui, in quell’istante, entrò Olga con un grande vassoio ricco di ogni leccornia per il primo pranzo della giornata. “- Signore, visto che non pensavo sarebbe sceso in tempo per la colazione, le ho portato qualcosa qui…” Pablo, ancora scosso, le fece cenno con il capo di entrare e, si fece da parte per permettere alla cuoca di posizionare il cibo proprio sullo scrittoio… la prima cosa che l’uomo notò era come l’arcobaleno fosse sparito di colpo dal pavimento mentre Olga, di spalle alla stanza, si affrettava a riaccostare la porta che aveva spalancato goffamente, avendo le mani occupate dal vassoio. “- La vedo pallido, signore! Va tutto bene?” La mora, appoggiando in fretta la colazione sulla scrivania, si voltò per un nanosecondo verso Pablo che deglutì rumorosamente, ancora troppo scosso da quegli eventi sovrannaturali che stavano accadendo, e si apprestò ad annuire.
 “- Oh, non posso crederci!” La donna, con tono malinconico, subito si accorse della coroncina di fiori accanto a dei libri sullo scrittoio e la prese, stringendola a sé con affetto. “- Tu…? Olga ce l’hai messa tu quella, qui sopra?” Balbettò Galindo, facendo scuotere con foga il capo alla bruna. “- Santo cielo, no! Era ancora nella stanza degli ospiti, insieme all’abito da sposa della signorina Saramego!” La governante, che conosceva bene quel delicato oggetto così colorato e particolare, avendo assistito in prima persona alla scelta dell’elegante vestito dell’istitutrice, lo riposizionò dov’era, sotto lo sguardo sconvolto di Pablo. “- Come? Era di Angie?” Domandò, ormai pallido come un cencio, il padrone di casa. “- Sì, signore. Era parte del suo abito ma poi… beh, poi è successo quello che è successo ed è rimasto tutto in quella che era la sua camera… davvero non so come la coroncina sia finita qui, che strano!” Si chiedeva, curiosa e perplessa, Olga. “- L’anello! Dov’è finito? C’era una scatolina blu qui al centro… un secondo fa era qui e… e ora dov’è?” Pablo, pensando di stare per impazzire, indicò il posto esatto in cui prima si trovavano le roselline e la scatola del gioiello regalato alla donna che amava e che, come per magia, era sparito… che se lo fosse solo immaginato? Impossibile! C’era, ne era sicuro! “- No, signore! Già quando ho posato il vassoio c’era solo la coroncina sulla scrivania! Penso che lei sia un po’ stressato!” Sbottò un po’ preoccupata, la donna, mentre il suo capo prese a camminare avanti e indietro, come un’anima in pena. “- Ma ti dico che c’era, io l’ho vista! E c’era un arcobaleno, sul parquet e… era quasi un percorso che mi portava sin qui! Possibile che non te ne sia accorta?” Olga, quasi intimorita dalle dichiarazioni dell’uomo, scosse il capo nervosamente: di strano lei non aveva trovato altro che quella coroncina in quella stanza e non capiva proprio a cosa si riferisse Pablo. “- Si riposi, signore. I matrimoni rendono molto nervosi! Lo dicono tutti coloro che ci sono passati! Se poi riguardano un’arpia come la signorina Jacqueline… dovrà essere anche peggio!” Sentenziò solenne lei, cominciando a rifare il letto del padrone e sottolineando quel nome della futura signora Galindo con disprezzo. “- Olga, io devo… parlare con Jackie. E’ in camera sua, vero?” La voce dell’uomo era quasi meccanica, istintiva… non sapeva di preciso cosa gli fosse accaduto, cosa volesse fare: non amava la sua fidanzata eppure era stata l’unica donna sincera con lui… e Clara, allora? Cosa nascondeva la Saenz secondo le parole della moglie? Non lo sapeva, non sapeva più cosa fosse davvero accaduto, cosa no, cosa valesse davvero la pena considerare… potevano quei segni non scalfire il suo cuore? Poteva anteporre il dimenticare la Saramego, il suo orgoglio, a quello per cui davvero valeva lottare, come i suoi reali sentimenti? No, non ne poteva più di quella situazione, ora basta: era tutto collegato e se dopo il sogno riusciva ancora ad essere il solito freddo e scettico Pablo di sempre, ora non poteva più, non quando quell’arcobaleno, quell’anello e quella coroncina avevano dato l’ennesimo segno che stesse per fare l’errore più grande della sua esistenza… doveva parlare a Jackie e, per quanto gli dispiacesse, doveva annullare tutto finché era ancora in tempo.
 
 
Leon era in giardino nei pressi della fontana, da solo, e osservava già sfrecciare molte auto attraverso il vialone principale… non poteva credere che quel maledetto giorno fosse già arrivato, eppure doveva accettarlo: tra solo qualche ora, Jackie sarebbe diventata la sua matrigna e niente sarebbe stato più come prima.
 
“- … Ma state attenti, molto attenti a quella donna… unite le vostre forze, lottate, siate felici… solo insieme potete esserlo.”
 
Le parole della madre, di quel sogno, ritornarono prepotenti nella sua mente come uno tsunami e, improvvisamente, si sentì dannatamente vuoto. Solo il cielo sapeva, in quel momento, quanto avrebbe voluto qualcuno accanto a sé su quella panchina… ma chi voleva prendere in giro? Non voleva qualcuno, lui voleva lei, voleva Violetta. La sua assenza era sempre più pesante e non avrebbe potuto resistere a lungo distante dalla ragazza che ancora amava con tutto il suo cuore. Matias poi, quel giorno al Club, gli aveva fatto capire che, in fondo, avrebbe anche potuto solo parlare con lei, spiegarsi… e forse, se non avesse fatto tanto leva sul suo orgoglio, avrebbero anche potuto chiarire.
“- Unite le vostre forze…” Si ripeté mentalmente il ragazzo, abbassando gli occhi sulle sue scarpe nere, elegantissime. Jackie non era ciò che sembrava. Jackie aveva cenato con Gregorio Casal e non sapeva ancora il perché, eppure era molto strano e sospetto…
“- Lottate, siate felici.” Balbettò sottovoce Leon, ripercorrendo quel sogno così contorto, eppure tanto realistico… e se la madre volesse davvero aiutarli a non far commettere un errore a Pablo? Basta, era troppo. Il giovane scattò in piedi e decise che c’era una sola cosa da fare: tentare di sventare, con un ultimo disperato tentativo, quel maledetto matrimonio… se la Saenz nascondeva qualcosa l’avrebbe scoperta ma da solo non avrebbe mai potuto farcela.
“- Solo insieme potremmo esserlo.”. Una delle ultime frasi ascoltate, nel suo lavoro onirico, provenire dalla bocca della madre, lo fece subito partire in quarta verso l’unica cosa che poteva fare: mettere da parte l’orgoglio, provare a parlare ad Angie e Violetta, salvare la sua vita e quella di suo padre, dalla rovina e, soprattutto: scoprire cosa diamine nascondesse Jacqueline Saenz.
Non seppe dire di preciso quanto poco tempo ci mise ma si fiondò come un fulmine al garage della villa e subito sollevò un telone protettivo dalla sua preziosa moto… doveva trovarle, dovevano salvare i Galindo, tutti e tre insieme, come voleva Clara… ma come trovava la casa dei La Fontaine? Si ricordò che, tempo addietro, Violetta gli avesse parlato della sua abitazione, raccontandogli che si trovasse poco fuori da uno dei quartieri più malfamati di Buenos Aires, nella zona periferica della città. Mise il casco, lo allacciò saldamente e, dopo solo pochi secondi, si ritrovò a sfrecciare a tutta velocità verso l’uscita della villa, diretto dalla sua amata, dalla sua Violetta.
 
 
Jackie era nella sua stanza a prepararsi, circondata da almeno tre domestiche, tra le quali non figurava per sua volontà Olga, e  aveva già indosso l’abito che si era scelta personalmente nella migliore atelier di Buenos Aires. “- Sono meravigliosa!” Disse tra sé e sé, rimirandosi per l’ennesima volta di fronte alla specchiera, alla quale era seduta mentre un parrucchiere ancora le acconciava i capelli in uno chignon sormontato da un diadema di brillanti. La porta, d’improvviso, si spalancò e tutti i presenti si voltarono verso essa con aria sbigottita: “- Jackie devo parlarti, ora.” La donna si inviperì per quell’improvvisata del futuro marito e subito scattò in piedi, stizzita. “- Amore mio, non sai che non avresti dovuto vedere l’abito? Porta sfortuna!” Strepitò con voce gracchiante, tentando di mantenere la calma… cosa poteva ora andare storto, tanto da far irrompere Galindo, ancora in pigiama, lì dentro? “- Non posso aspettare, devo dirti una cosa importante, adesso.” Pablo, ignorando le proteste della donna, mandò tutti fuori dalla stanza con un cenno del capo e si avvicinò alla bionda solo quando il coiffeur si richiuse la porta alle spalle. “- Non sono uno schianto?” Prima che l’uomo potesse dire qualunque cosa, la Saenz fece un giro su sé stessa facendo gonfiare la gonna, già di per sé ampissima, del vestito, e l’uomo fu costretto a deglutire rumorosamente… come diamine poteva iniziare un discorso del genere in quella situazione? “- Sì, sei… molto bella ma per quello che devo dirti è meglio che tu ti sieda.” Ecco, seppur non nel migliore dei modi finalmente aveva iniziato quel discorso così complesso, e la bionda, fissandolo con aria tesa, prese posto sul letto, di fronte a lui, rimasto invece in piedi. “- Jackie io, non so come dirtelo però… non posso farlo. Io non posso sposarti. Per quanto mi dispiaccia, non ci riesco… e piuttosto che lasciarti sull’altare ho preferito fermare tutto subito, parlandotene.” A quella frase, la donna sgranò gli occhi, scioccata… la scaricava? Un’altra volta? La mattina delle sue nozze? No, non poteva! Ok che non lo amasse ma aveva un patto con Casal da rispettare… lei era la sua spia interna per portare alla rovina Galindo… eppure, ora, diventava proprio una questione di principio, esattamente come quando la tonta dell’istitutrice glielo aveva portato via. “- Non puoi farmi questo Pablo, non a me, l’unica persona che è stata sincera con te fino in fondo!” Mentre l’uomo provava a giustificare la sua scelta di annullare quel matrimonio, improvvisamente, a Jackie venne in mente un’idea geniale per costringere Galindo a portarsela all’altare. “- Jackie io non… non posso, perdonami.” Il moro fece per allontanarsi ma l’ennesimo piano subdolo della Saenz, lo costrinse a fermarsi. “- No, tu devi, invece. Ed essendo io sincera con te, penso che sia arrivato il momento di dirtelo…” Nel sentire quelle parole, l’uomo si voltò di nuovo verso la bionda con aria perplessa… doveva? Cosa doveva dirgli di tanto importante? Era forse quello che nascondeva secondo Clara? Era così confuso che non riuscì a dire nulla e lasciò parlare Jackie che si alzò e gli si avvicinò piano, fissandolo dritto negli occhi, fingendo un’aria colpevole e quasi dispiaciuta. “- Pablo, io… io sono incinta.” Buio. Panico. La fine. L’uomo non riusciva a pensare né tantomeno a parlare… come era possibile? Padre, lui? Padre di un bambino nato senza alcun amore? Come diamine aveva potuto? Si sentì tremare la terra sotto ai piedi e pensò di svenire da un momento all’altro… perché? Perché la sorte si divertiva ad accanirsi contro di lui? Dopo tanto tempo aveva preso una giusta decisione, quella di lasciar finalmente perdere quelle nozze sconclusionate e senza alcun sentimento e con quella confessione della Saenz tutto crollava miseramente… era finita, era condannato ad una vita di tristezza accanto ad una donna per cui non provava nulla, solo per il bene di quell’esserino in arrivo. “- Non lo so da molto, anzi è davvero poco tempo… ti prego, ora come ora dobbiamo sposarci. Se non vuoi farlo per me, almeno fallo per questo bambino innocente.” A quelle parole, la donna si trascinò la mano di Pablo sul suo ventre piatto e continuò a fissarlo. “- Sei incinta?” Ripeté, incredulo, il bruno, ancora sotto shock per la notizia. Lei annuì con un mezzo sorriso, continuando a specchiarsi negli occhi scuri dell’uomo, ormai fermi sulla sua pancia. “- In questo… in questo caso… cambia tutto.” Balbettò Pablo, allontanandosi da Jackie con qualche passo a ritroso, per poi abbassare lo sguardo sul pavimento. La bionda asserì ancora con il capo: “- Ci tengo a te, non voglio perderti e ora con un figlio nostro, beh… sarà tutto diverso, tutto.” Già, tutto sarebbe cambiato e l’uomo non sapeva più cosa dire: il suo pensiero volò subito a Leon… come l’avrebbe presa una notizia del genere? Male, molto male senza dubbio. E Angie? Ora sul serio non poteva fare altro che dimenticarla e, a costo di soffrire come troppo, si sarebbe costretto a farlo, non avendo altra scelta. “- Vatti a preparare… il giudice di pace sarà già arrivato.” Sussurrò Jackie, avvicinandolo di nuovo e carezzandogli il viso con un sorriso che aveva tutta l’aria di essere un ghigno malefico. “- Già… a dopo.” Balbettò ancora tesissimo l’uomo, facendo retrofronte e incamminandosi di nuovo verso la porta per andare via da quell’incubo che ancora non era neppure iniziato.
 
 
Il campanello suonò ripetutamente e una scocciata quanto apatica Angie si avvicinò alla porta per andare ad aprire… chi diamine poteva essere a quell’ora se c’erano già tutti a casa La Fontaine? Violetta era sul divano a fissare con aria vuota lo schermo della tv che trasmetteva un noiosissimo documentario, mentre Matias e Marcela erano in cucina a chiacchierare del più e del meno, evitando accuratamente di toccare l’argomento del matrimonio di Galindo a cui la Parodi aveva confessato al biondo di essere stata invitata, ma di aver voluto per sua volontà non andare. “- Leon…” La voce scioccata della Saramego risuonò in tutto il salotto e Violetta, perplessa, sembrò come uscire da quello stato di trance in cui era caduta, per scattare in piedi e avviarsi accanto alla bionda a passo lento e titubante. “- Ciao..” Il saluto mesto del giovane non lasciava presagire nulla di buono e il suo elegantissimo abito subito fece collegare alle due il sogno di Clara… il matrimonio di Pablo e Jackie doveva essere proprio quel giorno e qualche parola sconnessa e criptica della Parodi, quella mattina, gliene aveva già dato conferma in precedenza. “- Entra, vieni…” La donna subito si fece da parte e il giovane avanzò ad ampie falcate, sotto lo sguardo rapito della La Fontaine, incapace di parlare… non poteva credere che Leon fosse lì, che lo avesse rivisto dopo quella notte, in sogno, in cui c’era anche Clara… era bellissimo e non poté fare a meno di notare quanto fosse diverso, cresciuto, seppure fosse passato più o meno un mese dall’ultima volta che era stata alla villa. I tre si accomodarono sul sofà, il ragazzo al centro tra le due con lo sguardo basso sulle sue scarpe, non sapendo proprio da dove iniziare quel discorso che, mentalmente, si era ripetuto mille volte, anche durante il percorso che portava a casa La Fontaine. “- Si sposa oggi, non è così?” Angie non fece in tempo a farlo cominciare che subito gli chiese quasi istintivamente quell’informazione, facendolo annuire, sorpreso che lei sapesse di quell’evento. “- Ce lo aveva accennato la Parodi e…” A quelle parole, la Saramego si bloccò: non aveva parlato nemmeno a Violetta di quel sogno così particolare in cui era stata la stessa Clara ad annunciare le nozze di Galindo senior, e rivelarlo di fronte a Leon, dopo tutto ciò che era accaduto, sarebbe stato anche peggio. “- E…?” chiese il giovane, ricollegando subito il fatto che nel sogno, la madre avesse rivelato per prima il fatto che Pablo si stesse per sposare. “- Niente, lascia perdere.” Sentenziò la bionda ma, inaspettatamente, fu la silenziosa, fino a quell’istante, Violetta a rivelare dove avesse saputo di quel matrimonio per la prima volta o almeno ci provò, sentendosi ancora troppo sorpresa del fatto che Leon fosse giunto lì… che volesse chiedere scusa? Che ci fosse ancora un’opportunità per loro? Ci sperava, ci aveva sperato per tutto il tempo in cui era stata lontana da quella villa anche se, nonostante tutto, un po’ ferita dal ragazzo si sentisse: “- Prendimi per matta ma io lo sapevo già da tempo, e comunque se ti raccontassi come l’ho scoperto non mi crederesti, come non mi credevi l’ultima volta che abbiamo parlato, no?” L’istitutrice e Galindo, istintivamente, si voltarono verso la ragazza che teneva gli occhi bassi e aveva sussurrato quella frase con sicurezza ma quasi con nervosismo… aveva sofferto tanto, in fondo Leon non si era fidato di lei e la cosa la faceva ancora star male.  “- Violetta, se sono qui è per chiederti, anzi chiedervi scusa… ho sbagliato a condannarvi così duramente, sono mortificato, sul serio… avrei dovuto credervi sin da subito ma ora voglio rimediare.” La ragazza, voltandosi e alzando il capo per guardarlo mentre parlava e leggere nel suo volto quanta verità vi fosse in quelle parole, fu costretta a specchiarsi in quegli occhi verdi e profondi e strinse i pugni per tentare di non cedere subito all’amore che provava per Leon: in fondo, anche se non avesse avuto tutti i torti, lui l’aveva trattata malissimo e non se lo meritava. “- Jackie nasconde qualcosa…” Soffiò Angie, mordendosi nervosamente il labbro come per volersi subito tappare la bocca… anche quell’informazione era qualcosa che aveva scoperto in sogno e forse non poteva essere vero, seppure il pensiero che fosse un dato reale la tormentava: d’altronde lei era quella che aveva visto più volte la defunta signora Galindo… quando mai Clara aveva detto qualcosa che poi non si fosse avverato? Nonostante le lacrime che aveva versato per Pablo, anche se lui non l’avesse di nuovo accettata come sua fidanzata, sentiva il bisogno di volerlo salvare da quello che più che un matrimonio, era una vera e propria condanna a morte. “- E tu come lo sai?” In coro, i due giovani si voltarono verso la bionda che sgranò gli occhi: poteva mai essere che, quel sogno così realistico, fosse stato lo stesso per tutti e tre?  “- Io… io…” La donna balbettava e, ancora una volta Violetta, come se anche lei avesse avuto la stessa sensazione di Angie, riprese a parlare, rievocando le parole della stessa Clara, di quella notte, parole che tutti e tre avevano ascoltato… aprì  il diario alla pagina della mattina in cui si era svegliata con quel discorso della donna in testa e cominciò a leggere le frasi che ricordava in maniera cristallina e che era riuscita persino ad annotarsi: “- State attenti, molto attenti a quella donna… unite le vostre forze, lottate, siate felici… solo insieme potete esserlo.”. Leon e Angie si fissarono, ancor più scioccati e incapaci di dire qualunque cosa. “- Non è possibile…” Balbettò dopo un minuto abbondante la Saramego, portandosi una ciocca di capelli distrattamente dietro all’orecchio. “- Anche tu…. voi…?” Galindo era confuso, mentre le due annuirono simultaneamente, confermando la sua tesi: tutti e tre avevano fatto lo stesso sogno. Quanta casualità poteva esserci nel fatto che avessero fatto lo stesso lavoro onirico, la stessa notte, che davvero si fossero incontrati al gazebo, che realmente avessero parlato con Clara? Nessuna. “- Tua madre… lei ci ha chiesto di…” Ma Violetta, visibilmente bloccata e con gli occhi lucidi, lasciò continuare la sua frase alla bionda istitutrice: “- …Ci ha chiesto di combattere insieme, di fare il possibile per impedire queste nozze… altrimenti neppure lei potrà essere felice se non lo sarete voi.” La sua voce si inclinò in un tono malinconico ma un fuoco di determinazione brillava nei suoi grandi occhi smeraldo... forse, se avessero agito in fretta potevano ancora farcela, se si fossero sbrigati avrebbero potuto scoprire quel segreto di Jackie e fermare quelle nozze. “- Muoviamoci, allora!”. Leon, pronunciando quelle parole, scattò in piedi, facendo sì che anche Angie lo imitasse di tutta fretta… Violetta, intanto, era rimasta sconvolta e ancora fissava il suo diario, aperto sulla sua gonna rosa, con quelle frasi che sia lei che gli altri due avevano sentito, chiedendosi ancora come fosse possibile tutto ciò. “- Vilu, andiamo!” Il richiamo dell’istitutrice la face finalmente riscuotere da quelle sue riflessioni e anche lei si decise ad alzarsi dal sofà per affiancare Angie e Leon.
 “- MATIAS! NOI USCIAMO!” Con un urlo, la donna avvertì anche il padrone di casa che, non essendo accortosi di nulla, apparve solo in quel momento sull’uscio della cucina e, nel vedere Leon lì, sorrise allegramente. “- Dove andate?” Chiese Marcela, apparsa alle spalle dell’uomo e cingendogli la vita con un braccio affettuosamente. “- Con un po’ di fortuna, a fermare un matrimonio!” Sentenziò Galindo, avviandosi verso la porta d’ingresso, sotto lo sguardo soddisfatto di Matias e della bruna. “- Vi raggiungiamo lì, allora! Buona fortuna!” Esclamò soddisfatta la Parodi, già pregustando la vittoria di Angie sull’odiosa Saenz, scena che non voleva perdersi per nessun motivo al mondo.
“- Cosa facciamo una volta lì? Come potremmo smascherare Jackie?” Appena fuori dal giardino dei La Fontaine era parcheggiata la grossa moto di Leon. “- Se riuscissimo ad arrivare alla villa prima del “sì”, sono certo che la mamma ci aiuterà in qualche modo a farci capire dove cercare!” Sentenziò il ragazzo, passando dei caschi alle due che si affrettarono ad indossarli per poi salire in sella alle spalle di lui, Violetta al centro e Angie in coda a tutti. “-Siamo anche in troppi e non dovremmo… vabbé, non correre, però! ” Lo redarguì la bionda, mentre Galindo scaldava il motore, facendolo rombare quasi minacciosamente. “- Prof, per questa volta facciamo un’eccezione… tenetevi forte, signorine!” Esclamò il giovane poi, partendo subito a tutta velocità sulla strada che li avrebbe ricondotti alla grande casa.
 
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Capitolone movimentato! Mancano due capitoli e l’epilogo… quindi qui accade di tutto e di più! :) Jackie… qualcuno elimini la Saenz! >.< Andiamo con ordine… Pablo sogna Clara e, se inizialmente resta ancora freddo, con tutti quei segni sovrannaturali nella sua camera, FINALMENTE, realizza che deve annullare le nozze ma… il nido si finge incinta! Perfida! >.< E così Galindo senior si sente in dovere di dover sposare la bionda, ma nooo! D: *Abbraccia Pablito* Intanto Leon, mandato al diavolo l’orgoglio sentendo troppo la mancanza di Vilu e rimuginando sul sogno e sulle parole di sua madre, corre da Angie e dalla La Fontaine, si scusa e ora i tre sono diretti alla villa per scoprire il mistero di Jackie… Come continuerà la storia? Al prossimo capitolo e grazie a tutti coloro che mi seguono! Ciao! :)

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Capitolo 30
*** Questo matrimonio non s'ha da fare! ***


“- Cosa ci fa lui qui?” Pablo, nervoso come mai in vita sua, era ai piedi del piccolo ma elegante altare allestito all’esterno della villa e prontamente notò un viso poco amichevole sedersi in prima fila, accanto ad alcuni suoi illustri colleghi di lavoro. Roberto, intento a calmare la sua ansia, testimone di nozze qual era, tentò di  rassicurarlo ma fu inutile quando, lo stesso Gregorio Casal, si fece largo tra alcuni invitati e si avvicinò al padrone della villa con aria stranamente soddisfatta: “- Buongiorno, Galindo. Da quanto tempo non ci vediamo!” Il tono dell’uomo era pacato ma Pablo non smetteva di guardarlo in cagnesco mentre Lisandro, confuso dalla presenza di quel nemico giurato dello sposo, preferì starsene in silenzio. “- E non avremmo dovuto vederci nemmeno oggi, in effetti. Che cosa sei venuto a fare?” Sbottò il moro, mentre l’altro  subito ghignò divertito dal nervosismo del rivale. “- Ma ti pare che io non avrei presenziato alle nozze del mio migliore amico? Che maleducato sarei stato!” Rise sguaiatamente Casal, ironizzando sul suo odio nei confronti dell’altro. “- E poi, sai… io non ho mai bisogno di inviti, Pablito! Sono il più grande imprenditore di Buenos Aires e suppongo che, a tuo discapito, lo sappia!” Sentenziò ancora sarcasticamente Gregorio, sorridendo malignamente e alludendo al suo impero costruito a scapito del nemico giurato. “- Ciao, Pablo!” Per fortuna, Marcela Parodi, arrivò insieme a Matias e subito si avvicinò ai due per salutare l’amico. “- Ehi, pensavo non saresti venuta!” Sorrise lo sposo, tentando di apparire sereno, quando la donna, ignorandolo quasi del tutto, prese a fissare con disprezzo Casal che con un cenno del capo, la salutò. “- Ma guarda un po’ chi c’è! La figlia di quell’inetto di Sebastian Parodi che mi ha snobbato per ritornare in affari con il qui presente futuro marito di Jacqueline! Che piacere!”. Marcela tentò di mantenere la calma a quella prima provocazione ma Gregorio non esitò a seguire con altre battute irritanti, mettendo a dura prova la forza di volontà della mora, rivolgendosi, ad un certo punto, solamente a lei. “- Ah, e cosa vedono i miei occhi! Ti sei forse fidanzata con questo pezzente dei cantieri? Le voci girano così velocemente, eppure io non volevo crederci, fino alla fine… ma ora… beh, ne ho la conferma a quanto pare…” A quella frase così pungente la Parodi non riuscì a ragionare più e, istintivamente, afferrò per il colletto della camicia il nemico, con uno stizzito quanto rapido gesto che lasciò di sasso sia La Fontaine che Pablo e Roberto, intenti a parlottare tra loro del più e del meno, tentando di ignorare Casal. “- Tu sei l’ultima persona al mondo che può giudicare gli altri, quindi fallo di nuovo con me o le persone che amo e giuro che ti faccio ingoiare il papillon!”. La donna, furiosa, venne tirata indietro da Matias per un braccio, che le poggiò poi una mano sulla spalla per calmarla. “- Marcela, lascia stare. Non ne vale la pena…” Anche Galindo provò a placare le sue ire e lei, fissando prima l’amico e poi La Fontaine, lasciò finalmente la presa sul rivale e si andò a sedere lontano dal gruppo, cosa che fece anche Casal, andandosi però ad accomodare nuovamente in prima fila con aria soddisfattissima. “- Dov’è finito Leon?” Chiese d’un tratto Pablo, guardandosi intorno e adocchiando vari membri del Club con le famiglie, tra cui i Ferro e Ludmilla, Francisca Lopez e suo figlio Diego Dominguez che parlottavano con Andres Calixto e Libi Dahan, la figlia del governatore israeliano, i Bianchi… e il figlio dove si era cacciato? Di lui non vi era neppure l’ombra all’orizzonte. “- Vedrai che arriverà.” Lo rasserenò Lisandro, cominciando a guardare freneticamente l’orologio… ormai mancava poco, troppo poco a quel matrimonio a cui nessuno in quella casa era favorevole e il timore implicito di Galindo era uno solo: probabilmente, Leon, da quel giorno, avrebbe seriamente cominciato a fargli la guerra e come primo attacco avrebbe evitato di presentarsi alle nozze. “- La sposa sta arrivando, signore!” Olga, in alta uniforme da governante, come strettamente voluto da Jackie, andò ad annunciare al padrone che la bionda era pronta e che la cerimonia stava per avere inizio. “- D’accordo, tutti seduti, si comincia!!!” Strillò poi agli invitati, alcuni dei quali storsero il naso per cotanta poca grazia nell’annuncio. La marcia nuziale partì prontamente e tutti si voltarono verso la sposa, preceduta da Emilia, la figlia di Marcela arrivata con il suo papà al matrimonio che faceva da damigella gettando manciate di petali bianchi davanti a sé. Pablo per un attimo si sentì rapito da quella visione e solo dopo si rese conto del perché: a percorrere quel tappeto blu notte non era quella che sarebbe divenuta da lì a poco la sua seconda moglie, no… non c’era quel pomposo quanto costoso abito ma uno decisamente più semplice e sobrio ma che fasciava divinamente un corpo che non era lo stesso davanti a sé, Non c’era neppure quel diadema di diamanti, per niente… al suo posto quella coroncina di fiori colorati, quella trovata quel mattino sul suo comodino. Insomma, non c’era Jackie Saenz: Pablo vedeva avanzare Angie Saramego e solo il suo cuore sapeva quanto avrebbe voluto che fosse stato possibile che quella visione fosse veritiera, seppur sapesse quanto impossibile potesse essere... Jackie aspettava un bambino, un figlio suo e doveva farsi forza e accettare ciò che di dovere avrebbe dovuto fare, sposarla.
“- Sei nervoso?” Quando la bionda, finalmente, gli arrivò accanto, ancora sentì la voce dolce dell’istitutrice rivolgergli quella domanda e ne vide il volto angelico… cosa gli stava accadendo? “- Un po’…” Balbettò in panico di fronte al sorriso dolce della Saramego e solo quando le prese una mano per aiutarla ad avanzare verso l’altare, si rese conto di quanto avesse sbagliato: Jackie sollevò gli occhi verso di lui ancora una volta e gli ghignava soddisfatta da sotto al velo, stringendogli il braccio come ancorata a lui. Pablo ne era sicuro: stava per finire tutto proprio dal momento in cui, il giudice di pace avesse preso la parola.
 
 
“- Venite, presto! Da questa parte!” Non sapevano perché ma, per evitare gli invitati al matrimonio e tutti i domestici della villa, Leon, Violetta e Angie si erano avventurati subito all’interno casa, scansando accuratamente ogni passante o cameriere che si apprestava a correre verso il giardino sul retro, nel quale era stato allestito un altare ed erano disposte delle sedie per la cerimonia, a bordo piscina.
“- Scusate mi dite da dove potremmo iniziare a cercare informazioni su Jackie?” La Saramego, seguendo sulle scale i due ragazzi, li vide improvvisamente prima scomparire nella prima stanza aperta che avessero incontrato sul loro cammino e, raggiunti i due, appiattirsi di colpo contro una parete. “- Shh…” La zittì Violetta, portandosi un indice alle labbra per farla tacere. La vocina irritante della Saenz si faceva sempre più vicina, probabilmente stava imboccando la gradinata per andare al piano di sotto. “- Cavolo, sta per cominciare la cerimonia… non abbiamo molto tempo! Dobbiamo sbrigarci!” Sbottò sottovoce Leon, guardandosi intorno e rendendosi contro solo in quel momento di essere finito nella camera dal letto del padre. Quando il borbottio di Jackie fu sempre più lontano, i tre si sporsero di poco fuori dalla porta che dava sull’intero corridoio del piano superiore, finalmente silenzioso. “- Via libera! Raggiungiamo la stanza dell’arpia e proviamo a cercare lì… sperando di trovare qualcosa di utile per interrompere le nozze. Quella camera è sempre stata fin troppo segreta a noi altri… non ha mai permesso a nessuno di entrarvi… è sospetto, no?” Spiegò Galindo, avviandosi per primo fuori dalla camera da letto di Pablo per poi essere seguito dalle altre due che riuscirono a mantenere lo stesso passo felpato del ragazzo.
La stanza di Jackie era di norma ordinatissima ma ovviamente quel giorno era tutto sottosopra per le ore impiegate dalla donna a prepararsi alle nozze e, cercare qualcosa lì dentro, riuscendo nel proprio intento, sarebbe stato come trovare un ago in un pagliaio… calcolando inoltre che i tre non sapessero neppure cosa dover scovare per smascherarla da chissà quale intrigo, rendeva ancora più complicato il tutto. “- Ok signorine, ho dimenticato di dirvi un dettaglio sul nido di cornacchie… qualche tempo fa l’ho vista in un ristorante con…” Leon, che aveva subito preso a cercare un qualsiasi dettaglio che avrebbe potuto essergli utile, si bloccò, ricordando bene quella sera in cui aveva notato la donna a cena con Casal. “- Con chi?” Chiese Angie di colpo, prendendo a frugare nei cassetti del comodino della Saenz. “- Con il peggior incubo di mio padre, Gregorio Casal.” A quella rivelazione Violetta e la Saramego si voltarono di colpo verso Galindo che faceva passare, confuso, il suo sguardo dalla ragazza alla donna. “- Cosa? E come mai era con quell’uomo?” Domandò la La Fontaine, mentre la bionda prese a riflettere sempre più sconvolta da ciò che Leon aveva rivelato. “- Non ne ho idea, ma di sicuro c’entra qualcosa con quello che stiamo cercando!” Sentenziò il giovane, riprendendo prontamente a frugare tra i libri della fidanzata del padre. “- E se fosse più semplice di quanto pensassimo? Se Jackie e Gregorio fossero d’accordo?” Angie, di nuovo in piedi nell’enorme cabina armadio della rivale, cominciò a buttare all’aria tutti quei vestiti ordinatamente posti all’interno, fino a quando, in un ripiano inferiore, non trovò un cofanetto di latta dipinto di un tenue color cipria, stranamente fin troppo leggero. “- Venite qui, presto!” L’urlo dell’istitutrice fece correre i due giovani all’interno del guardaroba dove appunto si trovava lei e prontamente la donna gli mostrò quell’oggetto, sigillato da un piccolo lucchetto. “- Carino, ma io non uso trucchi, sono bello di mio…” Ironizzò Leon, aggrottando le sopracciglia confuso. “- Non vi sembra strano che sia così leggero? E il fatto che ci sia chiuso così bene non vi fa pensare che possa contenere qualcosa di più importante di qualche eye liner, mascara o gioiello?” Sentenziò con tono serissimo Angie, facendo sì che, come se si fossero letti nel pensiero, tutti e tre si fiondassero fuori da quella cabina per cercare il modo di aprire quell’affare. “- Dammi quelle forcine! Non abbiamo molto tempo, trovare la chiave sarebbe impossibile!” Esclamò d’un tratto Violetta, sedendosi con il portagioie in grembo sul letto della Saenz, ordinando a Leon, ancora in piedi vicino alla scrivania, di portargli quei fermagli tanto usati da Jackie e ancora in bella mostra davanti allo specchio. Il ragazzo, prontamente, eseguì il comando di Violetta e insieme ad Angie prese posto accanto a lei che subito iniziò ad armeggiare con il lucchetto e, dopo alcuni minuti, riuscì ad aprire quell’affare. “- Caspita, meglio di Diabolik!” Esclamò sarcastico Leon, osservandola divertito per un nanosecondo e prendendo subito poi a fissare all’interno beauty. “- Ci sono abituata… ho forzato tante di quelle scatole portagioielli di zia Jade!” Spiegò lei, beccandosi un’occhiata sconvolta da Angie e un ghigno da Galindo. “- Come mai Jackie tiene dei documenti sottochiave?” Angie, prendendo il bauletto, cominciò a tirarvi fuori una carta di identità, un passaporto e altre carte strettamente personali. “- Perché non… non è una Saenz! Guarda!” Strillò Violetta, indicando la patente di guida della donna su cui figurava un cognome tutt’altro che sconosciuto. “- Casal? Jackie è una Casal?” Domandò la bionda, cominciando a osservare con attenzione quei fogli. “- E’ una  parente di Gregorio, allora! Quindi… vuole imbrogliare papà per chissà quale assurdo scopo di quell’uomo senza scrupoli!” Sbottò Leon, raccogliendo le prove della colpevolezza di Jackie sparse sul letto e riponendole nel portagioie per poi afferrarlo, intenzionato a correre di sotto. “- E Pablo deve saperlo prima che sia troppo tardi!” Sentenziò la Saramego, scattando in piedi subito dopo di lui, facendo sì che lo facesse anche Violetta.
 
 
“- Ma prima di proseguire con la vera e propria celebrazione, dobbiamo porre la domanda di rito…” Il giudice di pace prese una pausa di qualche secondo e Marcela e Matias, sapendo di Violetta, Angie e Leon in missione per impedire quel matrimonio, si voltarono verso l’uscita sul retro alla villa, sperando di vederli arrivare prima che fosse troppo tardi. Pablo era in panico, sudava freddo e sentiva che la salivazione gli si fosse totalmente azzerata e doveva essere anche alquanto pallido, considerato che Roberto, di tanto in tanto, lo fissava, evidentemente con la preoccupazione che sarebbe potuto stramazzare al suolo, svenuto, da un momento all’altro. “- Non sarebbe poi tanto male…” Pensò addirittura Galindo, sperando quasi di cadere tramortito a terra… almeno così avrebbe evitato quel momento così drammatico eppure inevitabile per lui… chissà dov’era il suo amato Leon in quel momento! La cerimonia era iniziata senza di lui, eppure il padre non poteva fare a meno di pensarlo, sicuramente disperato e solo a causa sua. Stava male, malissimo ma mai come in quel momento, non aveva davvero altra scelta e il celebrante, continuando con la formula, spezzò con forza il fluire dei suoi pensieri: “- …Se qualcuno ha qualcosa in contrario a questa unione, parli ora o taccia per sempre.” La voce solenne del giudice fu seguita da un abbondante minuto di silenzio, durante il quale i presenti iniziarono a fissarsi tra loro, come se quasi si aspettassero quell’interruzione… tutti tranne Gregorio che, sorridente come mai, alzò un sopracciglio quasi infastidito dal fatto che quella cerimonia, per quanto gli riguardava, si stesse prolungando anche troppo. “- Benissimo, allora proseguiamo con…” “- NOI CI OPPONIAMO!” Un urlo, un urlo proveniente da tre voci all’unisono interruppe il proseguimento del matrimonio e tutti, ma proprio tutti, si voltarono verso l’ingresso del retro della villa. Pablo fu quello più scioccato e, tra invitati elegantissimi e sconvolti, sul tappeto avanzò Angie con Leon e  Violetta che la seguivano, lasciando che fosse lei a spiegare il tutto. “- Cosa stai dicendo? Non provare a rovinare il MIO matrimonio, truffatrice che non sei altro!” Jackie, scattando in piedi come una furia, andò incontro alla rivale con aria furiosa, ma la Saramego non demorse, anzi, prese a ghignare: “- Tu rovinasti il mio fidanzamento, ricordi? Siamo pari, tesoruccio!” Sbottò, per poi spostarla alla sua sinistra con un gesto stizzito della mano per raggiungere l’altare e, di conseguenza, Pablo, che la fissava quasi incantato e grato per averlo salvato, seppur sapeva che fosse stato un codardo anche solo a pensare di scamparla: doveva sposare la Saenz, era incinta di lui e il solo desiderare con tutto sé stesso la Saramego lo faceva sentire in colpa. “- Questa donna non è quella che credi… io ho sbagliato e non pretendo che tu mi perdoni… ma suppongo che tu abbia il diritto di sapere chi stai per sposare!” A quelle parole, Angie allungò all’uomo il portagioie, ormai aperto, e Galindo, sempre più sconvolto, iniziò a osservare quei documenti, impossibilitato nel dire qualunque cosa. “- Che assurdità! Questa donna sta mentendo! Si proceda con la celebrazione!” Gregorio, in panico, si alzò in piedi ma Leon con un braccio subito lo spinse di nuovo sulla sedia, lasciandolo nervoso e stupito mentre Violetta prese a fare da ostacolo alla Saenz che già stava adocchiando le possibili via di fuga. “- Il fatto che io stia dicendo il vero la infastidisce tanto, Gregorio?” Angie subito lo spiazzò con quella domanda, tanto da far impallidire lo spietato Casal. “- Jackie… tu sei… sei una Casal? Come è possibile? Perché?” La voce di Pablo era sconvolta e un gridolino altrettanto scioccato si levò tra gli invitati, venendo seguito da un brusio indefinito che si faceva sempre più forte. “- Pablo, amore io… io ti posso spiegare!” La sposa, anche lei divenuta bianca quanto il vestito che indossava, pensava di continuare a incastrare l’uomo con la scusa dell’essere incinta ma Gregorio si intromise ancora, tutto fiero del suo piano, ad un passo dall’essere realizzato. “- E allora? Avresti annullato tutto perché la tua fidanzatina ha lo stesso cognome del tuo acerrimo rivale? Che patetico sei!” Esclamò divertito l’uomo, riuscendo, nonostante Leon lo trattenesse, a scattare in piedi di nuovo. “- Non si tratta solo del cognome! Papà, tramano qualcosa! Li ho visti io stesso a cena qualche settimana fa in un ristorante e sono sicuro che qualcuno del posto potrà testimoniare che fossero insieme a tavolino come due amici di vecchia data o… a questo punto… come due parenti!” Il figlio di Pablo, facendo qualche passo in avanti, non esitò a raccontare ciò che aveva visto e, affermando il fatto che, ormai i due potessero essere imparentati in qualche modo, non poteva essere più un caso. Un silenzio assordante era calato sul giardino e tutti attendevano quasi una reazione di Galindo che sarebbe anche arrivata, se solo tre uomini, di cui due in uniforme da poliziotti, non avessero fatto irruzione sul tappeto blu, serissimi e con aria indagatrice verso tutti i presenti. “- Il signor Gregorio Casal?” Il moro senza la divisa, avvicinò l’imprenditore e lo squadrò con aria di disprezzo, mandando in secondo piano la questione di quella strana scoperta nel bel mezzo di un matrimonio. “- Sono io ovviamente! Lei chi è, mi perdoni?” Sbuffò l’uomo, stizzendo e non poco il suo interlocutore. “- Mi presento: Emilio Marotti, ispettore capo della polizia di Buenos Aires… e lei è in arresto!” Gregorio, sconvolto, si portò una mano alla fronte e contrasse la mascella… quale dei tanti movimenti illegali che aveva compiuto in tutta la sua vita era venuto alla luce? “- Come? Ma come è…?” Balbettò a disagio, sentendo le prime gocce di sudore imperlargli la fronte per il nervosismo, seppure tentasse di apparire calmo e innocente. “- Lei è indagato e se ne starà dentro per un bel po’ di anni!” Sbottò Marotti, avvicinandosi con aria minacciosa a Casal che indietreggiò, confuso. “- E’ coinvolto in un intricato caso… ha combinato parecchi disastri con le sue imprese: ha sfruttato come schiavi i suoi operai minacciando il loro licenziamento in caso di rifiuto a quei ritmi, nulla era in sicurezza nei suoi cantieri secondo le perizie ma lei, per la fame di denaro, ha ignorato il tutto insabbiando prove che, ahimè, ora abbiamo trovato grazie agli stessi suoi lavoratori i quali, stanchi di subire le sue angherie, si sono decisi a parlare anche a costo di ritrovarsi in mezzo ad una strada!” Strillò Marotti, puntandogli un indice contro il mento, ormai serrato e terrorizzato.
“- Io... io non ne sapevo niente! E’ stata lei, arrestate lei!” Urlò di colpo, indicando Jackie che sgranò gli occhi scioccata, portandosi una mano al cuore per la paura. “- No! Lui e solamente lui voleva rovinare Pablo Galindo e lo avrebbe fatto con ogni mezzo! Anche utilizzando me, sua cugina, obbligandomi ad infiltrarmi con un matrimonio fasullo alla villa, fingendo di essere incinta pur di far sì che quest’uomo mi sposasse!” Strepitò, ormai alle strette, la donna, indicando un ormai sconvolto Pablo e facendo sì che tutti rimanessero a bocca aperta… era la cugina? Jaqueline Casal era la cugina di Gregorio? Matrimonio fasullo con il cognome Saenz? Aveva mentito su una sua ipotetica gravidanza? Quanti segreti avevano quei due?
“- Benissimo, dunque la signorina è complice del signore! Allora deve venire anche lei con noi! Ragazzi, ammanettateli e portateli via!” Ordinò l’ispettore, indicando i due criminali con un gesto quasi annoiato della mano e poi rivolgendosi a Galindo. “- Questi documenti li predo io, mi perdoni per l’interruzione… anche se credo che le abbia fatto un grande favore!” Esclamò Marotti, facendo annuire Pablo, il quale era sempre più confuso… non era facile scoprire, sull’altare, che Jackie avesse sempre fatto un gioco sporco con lui, che non l’avesse evidentemente mai amato, che era in combutta con Gregorio e che, alla fine, non fosse neppure incinta e lo stesse per obbligare ad un matrimonio senza amore, per giunta anche annullabile, considerando che “Saenz” non fosse neppure il suo cognome reale... Beh, il termine truffatrice, per lei era persino riduttivo. “- Ti aveva detto di essere incinta?” Leon, scioccato, si avvicinò al padre dandogli una pacca sulla spalla per poi prenderlo sottobraccio per paura che svenisse e vide l’uomo annuire mestamente, sedendosi in prima fila dove prima c’era Gregorio, il quale si sentiva ancora borbottare in lontananza, insieme alla cugina. “- Stamattina sono andato da lei e… non volevo più sposarla, non ce l’avrei fatta, non l’ho mai amata… però mi ha detto di quel bambino che portava da così poco in grembo e… e ho capito che avrei dovuto rassegnarmi a lei per il bene di quel piccolo.” Sussurrò quasi con un filo di voce l’uomo, mentre accanto a lui si erano sedute anche Violetta e Angie e il resto degli invitati stava lentamente dirigendosi al buffet, chiacchierando fittamente tra loro su quanto accaduto. “- Quella strega! Non posso credere a quello che ha fatto e stava ancora tentando di fare! E Gregorio poi!” Sbottò il figlio, alzandosi stizzito e cominciando a fare avanti e indietro davanti alla prima fila di sedie, ormai occupate dalle sue due complici nello smascherare la Casal, e dal padre.  “- Calmati Leon, l’importante è che sia tutto finito…” Lo rincuorò timidamente Violetta mentre verso di loro, arrivarono Diego, Ludmilla, Federico e Francesca per rincuorare l’amico in quella balorda situazione. “- Leon… se hai bisogno di parlare noi… beh, siamo qui.” La Ferro, come al solito, prese la parola per tutti ma il ragazzo, troppo sconvolto, scosse il capo e si allontanò sotto lo sguardo attonito dei presenti per quel gesto così particolare. Solo in quel momento si era reso conto di essere stato, per tutto quel tempo, a contatto con la ragazza che amava, come se nulla fosse accaduto, come se la loro separazione non avesse mai avuto luogo, come se non vi fossero stati motivi per portarlo a prendere quella decisione così forte, quella di lasciarla andare nonostante a lei ci tenesse tanto: alla fine ce l’avevano fatta a realizzare il volere della madre, a smascherare Jackie… eppure il pensiero che con Violetta ancora la situazione fosse dubbiosa lo faceva stare male… sarebbero riusciti a tornare insieme dopo tutto ciò che era accaduto tra loro? Non lo sapeva e il pensiero lo faceva soffrire troppo, tanto da portarlo a fuggire via da tutto e tutti, sperando però, in fondo al cuore, che lei lo avesse seguito e stupendo sé stesso di quella assurda convinzione.
“- Lo conosco e penso che forse voglia stare da solo.” Borbottò Federico stringendosi alla fidanzata, facendo scuotere il capo a Diego con aria di dissenso. “- Non so… io penso che abbia bisogno di Violetta, ora più che mai.” Sentenziò con tono solenne Dominguez, facendo annuire anche la Cauviglia e Ludmilla  con decisione. “- Raggiungilo e stagli accanto… dovete chiarirvi come si deve, no?” Le disse quest’ultima, con il tono di chi sapesse che la risposta a quella domanda fosse ovviamente affermativa. La La Fontaine annuì e, alzandosi, di fretta, si affrettò a seguire il ragazzo che si stava già facendo spazio tra la folla per dirigersi chissà dove. “- Io devo andare in commissariato…” Sentenziò Pablo, ancora con la testa tra le mani sconvolto per l’accaduto. “- Se… se vuoi ti accompagno…” Balbettò tesissima Angie: era da tanto che non si trovava accanto all’uomo che amava e le dispiaceva quasi di avergli dovuto rivelare quel piano così contorto di Jackie… o meglio, le dispiaceva vederlo in quello stato così sconvolto, in fondo lei gli aveva salvato la vita. La Casal era sempre stata la prima truffatrice, quella che aveva provato ad imbrogliarlo… e gli aveva dato il colpo di grazia, in extremis, fingendosi incinta di lui solo per portare a termine il suo piano, proprio quando l’uomo, esasperato da quella situazione, aveva provato a lasciarla. “- No, non ti preoccupare. Devo andarci da solo.” Sussurrò quasi il moro, mettendosi in piedi facendosi leva con le braccia sulle ginocchia e avviandosi, piano, verso la facciata principale della casa… Angie sentì di aver realizzato le volontà di Clara e per quello era felice ma, allo stesso tempo, sentiva che il volere della defunta moglie di Galindo non fosse del tutto compiuto… Pablo e Leon dovevano essere felici e, seppure si fossero sbarazzati dei due Casal, tutto sembravano fuorché sereni… il tempo avrebbe mai curato quella ferita così profonda? E soprattutto, lei che tanto amava quell’uomo… sarebbe riuscita, prima o poi, a farsi amare ancora da lui come una volta?
 
 
“- Sapevo che ti avrei trovato qui.” Violetta, ferma all’ingresso del gazebo, praticamente ancora sul piccolo ponte in legno, fissava con aria imperturbabile Leon che nel sentirla parlare, si voltò di colpo per osservarla: era meravigliosa… in tutto quel caos quasi non si era reso conto di quanto gli fosse mancata anche solo la voce della sua Vilu… ed ora era lì, e lo fissava, forse sperando in una sua parola per cercare quel chiarimento che mancava da tanto tempo, da troppo. “- Questo ormai è il nostro posto, no?” Azzardò Leon, pentendosi quasi subito di ciò che aveva detto… dopo aver sventato il piano di Jackie aveva recuperato tutto il suo solito orgoglio e si sentiva quasi un idiota per le parole appena pronunciate. Sua madre però era stata chiara:  sarebbe riuscito a sbarazzarsi di quell’arpia di Jackie solo con l’aiuto della giovane e di Angie… e lui era stato dannatamente bene con loro, come sempre, come quando vivevano alla villa ed era ritornato dopo un lungo periodo di sofferenze, ad essere felice. “- Sì, è il nostro posto.” Sussurrò quasi la La Fontaine, abbassando gli occhi sulle sue scarpe e facendo qualche passo titubante in avanti. “- Speravo che saresti venuta.” Senza neppure voltarsi, restando affacciato al parapetto che dava sul lago, Leon pronunciò quelle parole quasi con timore e senza avere neppure il coraggio di guardarla in faccia come sapeva che avrebbe dovuto fare. “- E infatti sono qui e penso che ti debba delle scuse.” A quella frase, il giovane si voltò finalmente con le spalle alla ringhiera e prese ad osservarla con aria quasi dispiaciuta… in fondo, nel trattarla in quella maniera, neppure lui era stato gentile, anzi: l’aveva lasciata senza permetterle di spiegare, senza ascoltarla eppure, in quei momenti, non era stato capace di pensare ad altro se non al fatto che lei fosse una bugiarda, una truffatrice come Angie. “- Anche io te ne dovevo ma te le ho già fatte a casa tua…” Sottolineò il giovane, passandosi nervosamente una mano nel ciuffo dorato. Erano a disagio, non sapevano cosa dire ed era quasi come se ci fosse un muro invisibile tra loro, una parete che, con il loro amore però, avrebbero potuto abbattere, mettendo da parte l’orgoglio e affrontandosi a viso aperto sui loro sentimenti. “- Sono felice che alla fine tuo padre sia scampato agli artigli del nido di cornacchie!” Sorrise la castana, spezzando finalmente un imbarazzante silenzio calato su di loro. “- Già, ed è anche grazie a te e Angie…” Sentenziò lui, con il tono di chi non ammettesse repliche a riguardo.  “- Solo insieme possiamo essere felici, no?”. La voce di Violetta era una melodiosa nenia che il ragazzo sentì arrivare tanto prepotente quanto dolcemente alle sue orecchie. “- Intendo dire, solo insieme avremmo potuto smascherare Jackie… lo aveva detto anche Clara.” Si affrettò a spiegare la giovane, arrossendo vistosamente nella zona delle guancie. Leon finalmente fece qualche passo in avanti e un ghignetto furbo gli si disegnò sul viso… lo aveva detto e, per quanto si fosse corretta, sapeva che era ciò che pensava: insieme. La loro felicità sarebbe giunta solo stando insieme. “- E tu che ne pensi?” Chiese Galindo, curioso di sapere come vedesse quella situazione, di capire se la loro storia potesse riprendere da dove l’avevano lasciata, senza che nulla, però, potesse più separarli. “- Di cosa?” Balbettò Violetta, ormai paonazza fino alla punta delle orecchie, notando quanto il giovane le si stesse avvicinando e accorgendosi che il cuore aveva preso a batterle forte, quasi le volesse schizzare via dal petto, quasi come se fosse la prima volta che si trovasse così vicina a lui. “- Del fatto che solo insieme possiamo essere felici…” Spiegò, in maniera elementare il ragazzo, sollevando un braccio e non riuscendo a non fermarsi di fronte a quel volto così dolce: le carezzò piano una guancia lasciandola di sasso e sperando che lei non se la prendesse. La castana socchiuse gli occhi beandosi di quel gesto e reclinando il capo verso la provenienza di quella tenera effusione: quanto le erano mancati quei piccoli gesti, quelli di cui Leon, prima di conoscerla, ignorava del tutto l’esistenza? Tantissimo, le erano mancati come l’aria. “- Penso che sia… penso che sia vero.” Balbettò in un sussurro lei, sentendo il respiro di Galindo farsi sempre più caldo e vicino all’altezza delle sue labbra. “- E… e tu?” Ebbe la forza di dire ancora, mentre lui continuava a tenerle il viso con una mano. A quella domanda, Leon non poté fare altro che risponderle nel modo che gli parve più naturale e comprensibile al mondo: accosto prima la sua fronte a quella di lei per perdersi in quegli occhi nocciola che tanto gli erano mancati, e poi si lasciò andare ad un bacio delicato che, a poco a poco, divenne sempre più passionale, sempre più coinvolgente, tanto che lei gli allacciò le braccia al collo e si lasciò trasportare da quelle sensazioni magiche che tanto le erano mancate. Si staccarono quasi senza fiato, restando a fissarsi con un sorriso dolce stampato sul viso. “- Mi sei mancata Vilu, non immagini quanto… perdonami.” La voce calda del castano era un mormorio che fece rabbrividire la giovane istintivamente, un po’ per quel tono, per il bacio, per quelle parole… per tutto. “- Ti amo, Leon. Ti amo tanto…” Sussurrò la ragazza, prima di coinvolgerlo in un secondo bacio, ancor più appassionato del primo, durante il quale lui prese a farle scivolare le mani lungo ogni centimetro della sua schiena e lei si divertì a giocare con i suoi folti capelli dorati. “- Ti amo anch’io, principessa… sento che solo con te posso stare bene e non permetterò a nulla, mai più, di allontanarti da me.” Sentenziò il ragazzo, staccandosi dalla bocca di Violetta e stringendola in un forte quanto lungo abbraccio. Era tornata la pace tra loro, erano riusciti a chiarire le loro divergenze, a rendersi conto che la vita dell’uno dipendesse dall’esistenza dell’altro ed entrambi, in fondo al cuore, erano sicuri che dal cielo anche Clara avesse ritrovato un frammento di serenità grazie alla loro, ora e per sempre, ritrovata.
 
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Movimentatissimo penultimo capitolo! La scena Leonetta finale… sto ancora sclerando! :3 Ora riusciranno a chiarire anche i Pangie? Lo scopriremo nel finale! Ed ecco che viene fuori l’inganno dei Casal! I due sono cugini… non ve lo aspettavate, eh? :P L’ultimo capitolo è lunedì, ma poi ci sarà anche l’epilogo… Grazie come sempre a tutti e alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 31
*** Amore e traguardi. ***


“- Per me un frullato alla pesca, grazie!” Angie annotò quell’ennesima ordinazione sul suo taccuino e si diresse dietro al bancone con aria affranta, pronta a ripetere quel gesto per l’ennesima volta… era come se il mondo, in quel bar, fosse limitato a quei soli pochi movimenti: servire, pulire, lavare, incassare e da capo. Era da appena una settimana che aveva finalmente trovato un lavoretto, da quando il matrimonio di Pablo e Jackie era saltato e lei si sentiva un po’ meglio… eppure, evitando di darlo a vedere, soffriva e anche molto. Il sorriso solare che sempre l’aveva caratterizzata era sparito dal suo volto e sentiva che mai e poi mai sarebbe riuscita a recuperare l’amore di Galindo senior come avrebbe voluto.
Si voltò distrattamente verso il calendario e notò che giorno fosse, quasi come se potesse esserne dimenticata: primo luglio del duemilaquattordici e… no, non poteva passarle di mente. Violetta le aveva parlato tanto di quello che sarebbe accaduto quella mattina e lei ne era tanto orgogliosa quanto agitata: Leon, finalmente, era stato ammesso agli esami di maturità e in quella data avrebbe dato l’orale per riuscire a diplomarsi. Angie non poteva essere più fiera del suo allievo che, seppure negli ultimi tempi, quelli più impegnativi, avesse proseguito a studiare da solo per il susseguirsi della serie d’eventi accaduti, alla fine, era riuscito a raggiungere la sua meta o meglio, c’era quasi.
“- Bambolina, i frullati vanno al tavolo cinque, sbrigati!” Rafa Palmer, il suo datore di lavoro, la richiamò, seppur garbatamente, a continuare a servire gli ordini ma la donna, fin troppo nervosa e con la testa altrove, stava già slacciandosi il grembiule che portava alla vita su una divisa ben poco sobria, di un blu elettrico che non passava di certo inosservato, il quale comunque riusciva a far risaltare magnificamente tutta la sua bellezza. “- Devo andare… mi… mi sento poco bene.” La Saramego, aggirando il bancone, si ritrovò davanti al suo capo che la  squadrò prima dalla testa ai piedi, estasiato, per poi accigliarsi nervoso. “- Cos’hai, piccola? Se vuoi ci penso io a farti sentire subito meglio…” Sentenziò maliziosamente il bruno, posandole prontamente una mano sulla fronte che poi fece scivolare giù sino alla guancia, sfiorandogliela lievemente con la punta delle dita, gesto che per poco non fece aggrovigliare le budella alla bionda per il disgusto: Palmer era fatto così, ormai purtroppo lo conosceva bene, seppur da poco tempo. “- No, mi rimetterò presto ma, per favore… mi serve il giorno libero.” L’uomo la osservò ancora con attenzione soffermandosi sulle sue curve perfette, e poi, finalmente, decise di non opporsi più di tanto, palese che fosse interessato all’avvenente bionda, ultima arrivata nel suo locale come cameriera.  “- D’accordo, ma domani fai il turno doppio!” Sbottò distrattamente, guardandola allontanarsi di fretta verso l’uscita, senza staccarle lo sguardo di dosso neppure per un attimo. “- Doppio? Ma…” Provò a ribattere la Sarmaego, voltandosi di nuovo verso il bruno che si affrettò a farle l’occhiolino. “- Nel senso che dopo il turno, verrai a cena con me!” Spiegò continuando ad ammiccare, sotto lo sguardo sconvolto di Angie, Palmer. “- Piuttosto apro io il locale e resto fino alla chiusura… ciao Rafa!” E, con quelle parole, la donna fuggì via senza permettere all’uomo alcuna replica… si, forse di lì a poco avrebbe perso quel lavoretto ma al momento le importava solo una cosa: raggiungere Leon al liceo e sapere come si sentisse prima dell’esame. Lei gli avrebbe dato coraggio, lo avrebbe sostenuto insieme a Violetta che era già lì e, forse, anche insieme a… Pablo. Il pensiero di poterlo rivedere le attanagliava l’anima, eppure sapeva che, evidentemente per loro non c’erano più speranze… si era comportata male con Galindo occultandogli la verità sul suo passato e non riusciva nemmeno a dargli tutti i torti. Ogni fibra del suo cuore però gli continuava a gridare che lo amava, lo amava ancora con tutta sé stessa, come non aveva mai amato prima in tutta la sua esistenza e, almeno un ultimo tentativo sentiva che doveva farlo… lei non si arrendeva mai senza combattere, non l’aveva mai fatto e non intendeva iniziare proprio in quel momento, per una causa a cui teneva anche troppo.
Svoltò l’angolo appena fuori al “Palmer’s bar” e si ritrovò catapultata su un marciapiede alquanto affollato: la scuola di Leon era nella zona alta di Buenos Aires e l’avrebbe raggiunta in breve tempo proseguendo per quella via, sperando di arrivare in tempo per fare sentire il suo appoggio al giovane allievo.
 
 
“- Leon, calma! Tra poco ti chiameranno, stai sereno!” Violetta era seduta su una cattedra fuori dal corridoio che dava sulle classi del piano terra del liceo più importante di Buenos Aires. Tutte una lunga sfilza di porte erano chiuse ma lo sguardo di Galindo era fisso sulla prima, dalla quale non proveniva neppure un suono alle loro orecchie. “- Non ce la farò mai…” Sibilò sottovoce lui, sperando di non essere sentito e continuando ad andare avanti e indietro come un’anima in pena in attesa della sua condanna. “- Tu che non ce la fai? Ma smettila, Galindo! Sta volta non hai scelta, o passi o passi!” La voce divertita di Federico si fece sempre più vicina, risuonando insieme ai suoi passi nel corridoio con un rimbombo potente, e in poco tempo, il ragazzo avanzò fino ad arrivare accanto alla La Fontaine, insieme a Francesca, Diego e Ludmilla che subito sorrisero allegramente al giovane sotto esame e alla sua fidanzata. “- Ehi! Vi avevo detto che non volevo che venisse nessuno! Sono troppo nervoso per sopportarvi!” Sbottò acidamente Leon, avvicinandosi alla scrivania dove gli amici erano riuniti, prendendo a fissarli con aria stizzita. “- Sì, sì… volevi solo la tua Vilu, lo sapevamo e ti abbiamo ignorato di proposito!” Rise la Ferro, dando una pacca sulla spalla alla ragazza che rispose con un sorriso. “- In realtà siamo qui per coprire ogni via di fuga, così non potrai scappare. Ecco, l’ho detto.” Diego, rimasto in silenzio fino a quel momento, fece qualche passo avanti fino ad avvicinare Leon che, finalmente, si sciolse un po’ in un ghigno divertito a quella battuta del solito e ironico Dominguez. “- Lo vedi? La nostra presenza aiuta sempre! Mi sento offeso del fatto che non volessi tuo fratello qui con te!” Sorrise il giovane spagnolo, dandogli un piccolo pugno sul braccio con fare affettuoso per richiamare l’attenzione del tesissimo amico. “- Dai, ci siamo passati tutti! E’ anche ora che superi quest’ostacolo!” Lo rincuorò ancora il bruno, facendogli l’occhiolino con un mezzo sorrisetto stampato sul volto e scuotendolo per una spalla. “- E se va bene, perché così sarà, stasera tutti a festeggiare!” Si apprestò a mettere in chiaro poi, facendo esultare anche Federico, rimasto più dietro, accomodatosi accanto alla Cauviglia la quale subito sottolineò: “- Sì, ovvio! E poi non dimenticate che dobbiamo ancora festeggiare la laurea di Luca! Finalmente abbiamo un filosofo a tutti gli effetti in famiglia!” Sorrise la mora, tutta orgogliosa del suo fratellone, rimasto al bar del Country con Camilla. “- E forse, se si decidono a chiamarlo, tra poco si unirà al gruppo un ragazzo maturo…” Sentenziò Violetta, scendendo con un balzo dalla cattedra e raggiungendo Leon, ancora in compagnia di Diego che ormai, faceva avanti e indietro insieme a lui. “- Vieni con me, devo parlarti un attimo, prima che tu vada...” La voce melodiosa della La Fontaine riecheggiò in quell’ambiente e lo spagnolo, con un ghigno furbo, subito tornò a sedersi accanto a Ludmilla, osservando i due fidanzati andare a fermarsi davanti ad un finestrone luminoso che dava sul cortile esterno dell’istituto, da cui proveniva una calda luce solare.
“- Tu ce la farai, capito? Non provare a fare scena muta, non ci provare! Hai passato gli scritti con ottimi voti ed ora riuscirai anche a dare un orale magnifico, forza!”  Il tono di Violetta ora era quasi severo ma prese le mani del ragazzo teneramente, con aria serissima, fissandolo con una grande dolcezza e intensità dritto negli occhi. “- Ti amo… adoro quando mi incoraggi così. Sei la mia forza, Vilu e sempre lo sarai.” Soffiò lui contro la sua bocca, accostando la fronte a quella della giovane e specchiandosi nel nocciola del suo sguardo. “- Sempre, Leon, sempre.” Sorrise la giovane, prima che lui le sfiorasse piano quelle labbra così delicate e tanto dolci che, in tutto quel tempo in cui erano stati distanti, gli erano mancate come l’aria che respirava. Fu un bacio breve perché furono costretti a staccarsi da una voce proveniente dall’aula nella quale il ragazzo avrebbe dovuto fare l’esame.
“- Leon Galindo!” Un uomo alto, dalla folta chioma riccia e corvina, che indossava una camicia verde pisello la quale non passava inosservata, per poco non inciampò sui suoi stessi piedi per annunciare poi, con tono solenne, il nome del prossimo esaminato. Il professor Roberto Benvenuto era il presidente di commissione e, da quanto ne sapeva il figlio di Pablo, era tanto imbranato quanto severo su ciò che riguardava le sue materie, quelle scientifiche. “- In bocca al lupo, amore mio!” Sussurrò Violetta, lasciandogli le mani e facendo sì che lui si avvicinasse alla porta, sotto la quale Beto lo fissava con aria interrogativa, quasi come se già sapesse chi fosse quel giovane e, evidentemente, avesse saputo dei suoi “successi” scolastici.
“- UN ATTIMO!” Una voce di uomo, interruppe il ragazzo prima che entrasse nella classe: Pablo era fuori la scuola da un bel po’ ma, quasi più in ansia di Leon stesso, non aveva voluto metterci piede per non far perdere sicurezza al ragazzo, mostrandosi così teso com’era. “- Papà, che ci fai qui? Non avevi detto che…?” Sorrise il ragazzo, mentre l’uomo lo stritolò in un abbraccio da cui il figlio tentò di divincolarsi, in imbarazzo. “- Ero… beh, io… volevo vederti prima dell’esame.” Sentenziò l’uomo, in ansia come mai. Erano giorni che quasi non dormiva per la maturità di Leon e temeva che, come l’anno precedente, venisse irrimediabilmente bocciato proprio all’esame di diploma. “- Tranquillo, stavolta ce la devo fare. Ho studiato con la migliore istitutrice del mondo per quasi tutto l’anno e non puo’ andare male.” Leon quasi ci si metteva d’impegno a ricordare al padre che se fosse arrivato sin lì il merito era gran parte anche di Angie e sperava quasi di smuovere qualcosa nel moro, tanto da ripetergli con ogni scusa quel nome ogni volta ne avesse l’occasione. “- Ora vai e buona fortuna,” Sorrise l’uomo, osservandolo camminare di nuovo verso la porta e chiudersela alle spalle, preceduto dall’insegnante.
“- Leon è già entrato?” Una voce, quella voce… Pablo si girò di colpo e subito rimase incantato dalla visione celestiale davanti ai suoi occhi: Angie si rivolse a Violetta che annuì di fretta, mordendosi nervosamente un labbro per la tensione. La Saramego, evidentemente stanca per la gran corsa e ancora con il fiatone, nemmeno fece caso a Galindo senior che invece, quasi imbambolato di fronte alla classe in cui era entrato il figlio, la fissava estasiato: come era possibile che la donna fosse diventata anche più bella di quanto la ricordasse? Scosse il capo come per realizzare che, dopo quel periodo nel quale, scoperto l’inganno di Jackie, avesse voluto restare da solo, ora non poteva più sopportarlo e avere a pochi metri di distanza la donna che amava con tutta l’anima gliene fece prendere atto. Angie alzò lo sguardo e, finalmente, si accorse che davanti a lei ci fosse l’uomo che ancora le faceva battere il cuore ma, sentendosi tuttavia in imbarazzo e in colpa per avergli nascosto del suo essere stata una truffatrice, si limitò a salutarlo da lontano, con un cenno della mano a cui lui rispose con un del capo, ancora con gli occhi fissi nei suoi. “- Io vado fuori, non riesco a stare qui, mi viene ansia!” Ridacchiò rivolgendosi a Violetta che annuì, condividendo il pensiero, eppure non avendo intenzione di muoversi: doveva essere la prima a sapere tutto dal fidanzato non appena fosse uscito dall’aula e per farlo doveva restare esattamente dov’era.
Mentre Angie si avviava fuori, senza sapere perché di preciso Pablo sentì l’impulso di seguirla e, senza neppure pensarci, si ritrovò a passare davanti ai ragazzi che attendevano Leon all’inizio del corridoio, e a seguirla a passo svelto per non perderla di vista: doveva parlarle, seppure non sapesse ancora come avrebbe fatto di preciso… però sentiva che era arrivato il momento.
“- Hai capito Galindo senior!” Scherzò prontamente Federico, seguendo con lo sguardo il moro fuggire verso il cortile. “- Mica scemo, eh! Buon gusto il paparino di Galindino!” Sentenziò Diego, beccandosi uno scappellotto abbastanza forte da Ludmilla, tanto che gli lasciò un segno rosso dietro al collo per poi voltarsi piccata dal lato opposto al suo con il naso all’insù, evidentemente stizzita. “- Dite che Leon ce la farà?” La La Fontaine, ancora gli occhi fissi sulla porta della classe del giovane, fece quella domanda quasi di getto, seppure sapesse che il suo ragazzo fosse abbastanza preparato e in grado di affrontare quell’ostacolo. “- Non ha molte chance. Ce la deve fare per forza.” Sentenziò seria Francesca, facendo annuire anche gli altri amici che, ormai, erano diventati tutti tesi come delle corde di violino.
 
 
Angie era seduta sugli scalini fuori dall’ingresso principale e osservava con aria assorta l’orizzonte: il cancello esterno era semichiuso e un piccolo gruppetto formato da circa tre o quattro ragazzi stava uscendo proprio in quell’istante dal cortile, festeggiando e saltellando intorno ad uno di loro al centro, evidentemente colui che aveva appena fatto un buon esame di diploma. Chissà come stava andando Leon… non era neppure riuscita ad augurargli buona fortuna essendo arrivata troppo tardi, eppure ormai lo conosceva ed era sicura che avrebbe dato il meglio di sé per raggiungere quel traguardo, per rendere felice e orgoglioso le persone che lo amavano, soprattutto suo padre. Già, Pablo… lo aveva visto e, senza neppure il coraggio di avvicinarlo era fuggita via, mettendo ancor più distanza tra loro. Quando si era ritrovata con lui in quel corridoio era stato come se una parete di vetro li avesse divisi, un muro di paura, orgoglio… e faceva male, molto male che fosse tutto finito così, che un amore grande come il loro si fosse sgretolato come neve al sole. “- Sei qui…” Mai e poi mai si sarebbe immaginata quello che era accaduto: Galindo senior, teso ma con un bel sorriso stampato sul viso, l’aveva raggiunta e, piano, si sedette sul gradino accanto a lei, in silenzio. Se avesse potuto, Pablo avrebbe fermato il tempo in quel preciso istante: solo stando accanto ad Angie, seppur non proferendo parola, era felice come lo era stato sempre troppe poche volte in vita sua. La Saramego si voltò il giusto per riuscire a specchiarsi negli occhi neri dell’uomo e sentì la stessa bellissima emozione di quando lo aveva fatto in passato, ovvero una serenità inspiegabile accanto a lui che sperava di non perdere mai più. “- Scommetto che sei nervoso per Leon.” La donna, senza mezzi termini, esclamò quella frase con una naturalezza tale da colpire il moro che abbassò lo sguardo, ridacchiando. “- Certo che mi conosci bene, eh?!” Balbettò in imbarazzo, risollevando gli occhi e perdendosi nuovamente in quelli verdi di lei che sorrise debolmente. “- Già. Pablo, io...” Voleva parlargli, voleva dirgli che le dispiaceva, che era stata una stupida a mentirgli sul suo passato che mai e poi mai, in alcun modo, avrebbe voluto ferirlo. “- Aspetta, fa’ parlare me.” Sentenziò lui, appoggiando, tremante, una mano su quella della donna che sentì il cuore accelerare di cento battiti al solo contatto con l’uomo. “- Prima di tutto devo ringraziarti per avermi salvato da quelle nozze… so che tu, Leon e Vilu avete fatto di tutto per trovare qualcosa che incastrasse Jackie e ci siete riusciti… quando mio figlio mi ha raccontato di quell’ultimo sogno che vi ha riuniti, inizialmente non ci ho creduto.” Angie sentì avvampare… possibile che l’uomo, ancora una volta, se la sarebbe presa con lei a causa di quei lavori onirici riguardanti Clara? “- Poi però mi sono dovuto ricredere, per quanto potesse sembrare surreale.” Pablo, con quelle parole, tentò di concludere la frase precedente e la Saramego, sempre più confusa, continuava ad ascoltarlo, pendendo dalle sue labbra. “- La notte prima del matrimonio l’ho vista anch’io e ho continuato a pensare che fosse tutto paradossale anche al risveglio, fino a quando… fino a quando non è riuscita a mandarmi anche dei segni, e da lì non ho più potuto credere altro se non che si trattasse sul serio di lei, di mia moglie.” Pablo riabbassò lo sguardo, prendendo un profondo sospiro, per poi proseguire: le spiegò tutto, dell’arcobaleno nella camera, della coroncina… e la donna lo ascoltava con attenzione sempre maggiore, fino a quando lui le parlò della scatolina dell’anello, poi scomparsa nel nulla insieme all’oggetto prezioso. “- Questo io non l’ho mai tolto dal dito, neppure quando ero a casa di Mati… com’è possibile che…?” Angie, sollevando la mano che il bruno non le teneva stretta come l’altra, mostrò ancora il gioiello in bella mostra al suo anulare, splendente come quando l’aveva ricevuto. “- Lo so, non ricordavo infatti che me lo avessi restituito. Tu mi credi, vero? Credi che io abbia trovato quella scatolina con l’anello in camera mia quel giorno? I sogni, l’arcobaleno sull’acqua quando ci baciammo per la prima volta, ricordi? E’ tutto merito suo! Tu non… non mi reputi un... un pazzo, vero?” A quelle parole la Saramego non poté far altro che sorridere… quante volte Pablo le aveva chiesto se lo reputasse folle, ad esempio per il suo legame con la soffitta o con la vicenda dell’1:15? “- Non ti ho mai reputato matto, perché dovrei iniziare a farlo ora?” Per tutta risposta, la donna con quella domanda ottenne che anch’esso iniziasse a ridacchiare a sua volta. “- Pablo io non so come, però Clara ci ha voluto sempre aiutare, sin dall’inizio, da quando ho messo piede in questa casa mi è apparsa per dirmi di salvare te e Leon. Ci sono passata anch’io in prima persona, è ovvio che ti creda e poi… e poi non ti ho mai raccontato di una volta che mi preannunciò un ostacolo e poco tempo dopo, al nostro fidanzamento, Jackie ti raccontò tutto di me, di quella che ero in passato…” A quel ricordo la donna si incupì e abbassò lo sguardo, serissima, come se con quelle parole riuscisse a rivivere quel momento anche in quello stesso istante. “- Però sai cosa ti dico di quell’ostacolo? Beh sì, è stata la tua ex a raccontare tutto ma, in effetti, il problema vero e proprio sono stata io e non sai quanto sia stata male per averti mentito e poi perso così…” La voce della bionda si strozzò in un singhiozzo che riuscì a stento a trattenere e decise di mettersi in piedi, con l’intenzione di rientrare nella scuola per evitare lo sguardo di Pablo, sentendo i suoi occhi farsi sempre più lucidi, sapendo che, di lì a poco, sarebbe scoppiata a piangere. “- Angie…” La voce dell’uomo la bloccò sull’ultimo gradino e, nel voltarsi, notò come lui l’avesse quasi raggiunta così che decise di attenderlo fino a che non fosse stato accanto a lei. “- Non mi importa… io non posso stare senza di te e credimi, ci ho provato e mi sono sentito morire ogni giorno di più… tu mi hai mentito ma lo hai fatto per paura e la paura non è un qualcosa di cui vergognarsi...” Galindo, arrivatole ormai di fronte, le asciugò con i pollici alcune lacrime che avevano preso a scivolarle sul viso e poi continuò: “- Come non hai nulla di cui vergognarti dell’essere stata una truffatrice, perché hai voluto cambiare vita e diventare una donna nuova, migliore… e questo puo’ solo farti onore.” Quel sussurro, quel tono dolce e quelle parole così belle dette mentre le teneva il volto tra le mani e i suoi occhi erano incatenati ai suoi… Angie credé di svenire al solo sentire l’uomo che amava così preso da lei, così vicino… “- Perdonami, ti prego.” Balbettò la Saramego, non sapendo neppure da dove avesse trovato la forza per parlare. “- L’ho già fatto da tempo. Hai cambiato la mia vita, mi hai reso un uomo migliore e mi hai fatto capire che stavo perdendo Leon con il mio comportamento erroneo. Avevo bisogno di una persona come te accanto, che mi aprisse gli occhi… e ne avrò sempre la necessità perché non sono affatto perfetto, e lo so bene. Ti amo, Angie…” Quel sussurro, quella dichiarazione così speciale, quell’amore che leggeva sul suo viso, tutto per lei…  la donna non riuscì davvero a dire altro ma Pablo, fece qualcosa che sognava di fare ormai da tanto tempo: in un secondo che sembrò eterno ad entrambi, fece combaciare le sue labbra con quelle di Angie che, se prima rimase sconvolta dal gesto, subito riuscì a chiudere gli occhi per lasciarsi travolgere da quell’enorme turbinio di emozioni. Era come se baciasse Galindo per la prima volta e, prontamente, gli gettò le esili braccia al collo, sentendo che quel bacio da dolce e delicato, stesse diventando sempre più passionale. Sentivano di essere finalmente completi, l’uno era la metà perfetta dell’altro e si staccarono solo quando rimasero senza un filo di fiato. “- Sei un angelo, Angeles Saramego, il mio angelo caduto dal cielo.” Pablo, ancora con la fronte appoggiata a quella della bionda, sarebbe rimasto per un tempo infinito a specchiarsi in quegli occhi limpidi e luminosi che aveva sempre amato, dal primo istante che l’aveva incrociati. “- Non ho fatto nulla di speciale…” Mormorò umilmente lei, mordendosi il labbro inferiore, restando ad un millimetro dal volto  di lui. “- Ci sei sempre stata, Angie, sempre.” “- E sempre ci sarò. Se tu vorrai, ovviamente…”. A quelle parole, l’uomo le sfiorò piano una guancia con le dita, desideroso di accarezzare ancora e ancora quella pelle tanto delicata e morbida. “- Sarei un folle a non volerlo!” Rise, mentre lei, accigliandosi, gli puntò un indice al petto. “- E abbiamo già appurato che tu non lo sia, dunque lo prendo per un sì!” Scherzò la bionda, con uno splendido sorriso che stordì l’uomo come una padellata in pieno cranio. “- Ti amo da impazzire…” Angie, improvvisamente, tornò seria e soffiò quelle parole con una dolcezza tale che Pablo pensò di svenire istantaneamente: quella volta fu la donna ad accorciare le distanze, stampandogli prima dei baci a fior di labbra per poi riprendere con un altro, appassionato anche più del primo.
Sul portone principale, un movimento rapido del braccio di Leon fece indietreggiare gli amici che, alla vista di quella scena, rimasero a bocca aperta. Lui neppure sapeva che l’istitutrice fosse lì e ne rimase felicemente sorpreso, e inizialmente i ragazzi presero a ghignare divertiti mentre le fidanzate fissavano Pablo e Angie con aria sognante, mentre il giovane Galindo prontamente li invitò ancora a tacere e a non disturbarli, venendo però ignorato da Diego e Federico che, non appena i due si staccarono da quell’ennesimo bacio, presero a fischiare e ad applaudire soddisfatti. “- Complimenti, Galindo senior!” Esultò Bianchi, beccandosi una pacca sulla spalla da Dominguez. “- Dovevamo tacere ma era impossibile! Auguri e figli maschi!” Sentenziò lo spagnolo, che si apprestò ad aggiungere, divertito: “- …E cercate di non mettere in cantiere il primo già qui fuori!”. Violetta sorrise in direzione dell’istitutrice e del padre del fidanzato e applaudì anche lei soddisfatta, stringendosi a Leon che non poté far altro che esultare a sua volta. “- Non… non è come sembra!” Pablo, divenuto ormai rosso quanto un peperone, tentò di giustificarsi, beccandosi un coro di disapprovazione e incredulità da parte dei ragazzi. “- Com’è andato l’esame?” Angie, sperando di togliere l’uomo e sé stessa da quell’imbarazzo, subito cambiò discorso, avvicinandosi ai giovani lentamente insieme a Galindo senior che, ancora paonazzo, teneva lo sguardo basso sul pavimento ma stringeva una mano alla donna. “- Non poteva andare diversamente…” Quella frase così criptica del figlio di Pablo, detta con aria rammaricata, fece sbiancare sia l’istitutrice che il padre il quale, sentendo quelle parole, si apprestò a risollevare gli occhi e a fissare il ragazzo. “- In che senso?” Domandò titubante la Saramego, sperando di aver capito male. “- Nel senso che… mi hanno fatto i complimenti e intendevo che non sarebbe potuta andare diversamente avendo avuto una prof come te, Saramego!”. Il sorriso di Leon subito fece sì che anche il moro e la donna gli corressero incontro per abbracciarlo, euforici per quel traguardo finalmente raggiunto. “- Sono fiero di te, ragazzo mio! Congratulazioni!” il padre, finalmente ripresosi dal senso di vergogna provato qualche secondo prima, non la smetteva di stritolarlo a sé, fino a quando fu lo stesso giovane ad allontanarsi. “- Papà, io mi sono appena diplomato! Lasciami respirare!” Ridacchiò Leon ironicamente, venendo però poi stritolato da Angie che si era persino commossa per le parole dette poco prima dal giovane, riguardanti i suoi insegnamenti. “- Che bello! Sono così felice per te!” La bionda, a differenza dell’uomo, abbracciò più rapidamente il giovane perché gli amici iniziarono poi a salutarlo per andare via. “- Ci vediamo stasera al Club! Bisognerà festeggiare!” Esclamò Federico, dandogli una pacca sulla spalla per poi stringersi di nuovo a Francesca che annuì soddisfatta. “- Ciao Vilu, a stasera!” Salutò la Cauviglia, facendo annuire l’altra. “- Andiamo anche noi, ho un trattamento alla SPA e l’ho rinviato solo per te, amico!” Borbottò Ludmilla, facendo ruotare gli occhi al cielo al fidanzato. “- Capirai, lo ha spostato solo di qualche ora…” Spiegò, beccandosi un altro scalpellotto dalla bionda, già il secondo della giornata. “- Ahi, ma… ma è la verità!” Ridacchiò ancora lo spagnolo, prendendo a correre giù per le scale, seguito dalla Ferro che ancora inveiva contro di lui per aver rivelato quel piccolo segreto. “- Che amici che mi tocca avere!” Sbraitò divertito Galindo junior, stringendo per la vita Violetta che gli poggiò la testa sulla spalla, soddisfattissima del suo amore.
“- Quindi ora… verrai di nuovo a vivere con noi Angie, vero papà?” Quella domanda spiazzò Pablo e la stessa bionda, mentre la La Fontaine fissava curiosa e soddisfatta nella direzione della coppia ritrovatasi dopo tanto tempo. “- Beh, ecco… se vorrà noi ne saremmo molto felici.” Il bruno, ancora una volta in imbarazzo, fece quella proposta alla donna che, con un sorriso, annuì. Certo che voleva! Lui era l’uomo della sua vita, l’unico per la quale il suo cuore avesse mai battuto e non vedeva l’ora di diventare sua moglie. “- Certo che voglio! Sarebbe fantastico!” Esclamò la Saramego, mentre il fidanzato la cinse la vita con un braccio, al settimo cielo: non era molto abituato a vivere momenti di serenità, non ricordava quasi come  ci si sentisse ad essere felici, eppure Angie riusciva sempre a fargli ritrovare quella gioia perduta da tempo. “- Andiamo tutti a mangiare qualcosa, forza! Vi porto in un ristorante bellissimo!” Sorrise Pablo, dopo aver consultato l’orologio e aver notato che ormai fosse ora di pranzo. “- Ma io sono vestita in questo stato orribile!” Protestò la Saramego, scendendo piano le scale accanto all’uomo, seguiti dai due ragazzi che risero a quell’obiezione. “- Ma sei meravigliosa sempre e comunque… amore mio!” Pablo sussurrò quelle due ultime parole al suo orecchio, facendola rabbrividire per l’emozione, tanto che, bloccandosi su uno degli ultimi gradini, la donna si voltò e gli schioccò un dolce bacio sulla guancia, lasciandolo di sasso ma contento.
“- Sono così felice! Penso che sia il giorno più bello della mia vita!” Sorrise Leon, intrecciando le dita con quelle della sua Violetta, che annuì allegramente. “- Finalmente sei riuscito a diplomarti, è un gran traguardo devi essere fiero di te stesso.” Sottolineò la giovane, facendogli scuotere il capo in segno di disapprovazione. “- Nah, non intendevo solo l’esame… quello è il minimo! Papà ed Angie sono tornati insieme e poi… beh, e poi ho te, la cosa più bella che mi sia mai capitata, ed è questo che conta davvero.” Quella frase quasi sussurrata per poco non fece svenire la ragazza che sentì la terra tremarle sotto i piedi e si ancorò al braccio di lui con la mano libera, sperando di non cadere al suolo, priva di sensi per la gioia di quel momento. “- Sono stato troppo sdolcinato?” Sbottò lui, voltandosi verso di lei, una volta terminata la gradinata e fermandosi a fissarla con aria attenta. “- Un po’! Però mi piaci sdolcinato, sai? Dovresti esserlo più spesso!” Ironizzò Violetta, perdendosi in quegli occhi verdi e profondi come l’Oceano. “- Nah! Resterò il solito, mi riesce meglio… ma se ho qualche sprazzo di romanticismo lo dedicherò sempre e solo alla mia amata principessa!” Sorrise con aria furba il giovane, attirandola a sé per la vita e facendo combaciare le loro labbra in un delicato bacio. “- Ti amo tanto…” Violetta, dopo che si staccarono, non riuscì a dire altro, era come se specchiarsi in quello sguardo limpido le facesse perdere ogni barlume di lucidità e non potesse neppure parlare, aggiungere di più… lo amava, lo amava con ogni fibra del suo essere. Sapeva che non sarebbe mai e poi mai stato il principe azzurro perfetto… ma in fondo non voleva neppure qualcuno di quel genere: lei amava Leon  Galindo con gli innumerevoli difetti e i pochi, ma fondamentali, pregi che aveva… lo amava con il suo sarcasmo, le sue battutine pungenti, la sua testardaggine… ma anche con la sua dolcezza celata da un sorriso astuto e il sentimento forte che provava per lei.  “- Non sai quanto ami sentirtelo dire, piccola mia…” Soffiò Leon, fissando ancora la bocca di lei, prima di coinvolgerla in un secondo e più passionale bacio.
Il sole dell’una era cocente e i suoi raggi splendevano su Buenos Aires, su quel cortile, su Leon e Violetta e sui, da poco riavvicinati, Pablo e Angie che già in auto ripresero a coccolarsi teneramente, attendendo i ragazzi per partire alla volta del ristorante, senza volerli interrompere e disturbare. Quello era l’inizio di una nuova vita per i Galindo, un’esistenza finalmente felice insieme alla Saramego e alla giovane La Fontaine, una serenità ritrovata grazie alla loro voglia di andare avanti, al loro amore e… sì, anche ad una donna, la quale non sarebbe mai potuta andare via senza vedere i suoi amori sereni e che, in fondo, c’era e ci sarebbe sempre stata per proteggere tutti loro.
 
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The end! *Piange commossa* Piaciuto questo finale? *___* Pangie e Leonetta con accenni Fedencesca e Diemilla… belli loro! *___* Lascio a voi i commenti, vi dico solo che ci attende un commovente epilogo… prepariamo i fazzoletti, io vi avverto… :’) E tenetevi pronti anche a sclerare… *___* Grazie a tutti sul serio, siete stati gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 32
*** Epilogo - Tre anni dopo. ***


Tre anni. Tre lunghi anni  erano già trascorsi e finalmente la pace, quella che non pensava più di poter ottenere, era arrivata anche per lei. Clara era adagiata su una nuvola soffice come una montagna di zucchero filato, la quale, nonostante la sua massa delicata, riusciva facilmente a sostenere il suo peso ormai aureo, inconsistente. La donna, nonostante avesse influito troppo nel riuscire a salvare le persone che amava entrando prepotentemente nei loro sogni o inviando loro inequivocabili segnali, aveva ottenuto comunque la tanto agognata serenità eterna… in fondo se aveva infranto le regole lo aveva fatto per amore, nient’altro che per quello e le sue buone intenzioni alla fine erano state comprese e accettate. Non soffriva più ormai, non soffrivano Pablo e il suo Leon e non poteva desiderare di meglio per loro. La signora Galindo era felice e, da quella postazione, riusciva a guardare, attraverso uno squarcio tra le nubi che formavano un cerchio perfetto, il mondo sotto di lei, quel mondo che le mancava dannatamente ma che, ormai, sapeva essere in ottime mani: Il suo mondo erano il marito e il figlio i quali, sporgendosi di poco in avanti, riusciva a vedere benissimo nel giardino della villa in cui per anni aveva vissuto, ora di nuovo popolata e allegra. Pablo, il suo unico grande amore, aveva ritrovato la felicità e non era affatto gelosa o arrabbiata, anzi, al contrario! Era stata Clara stessa a volere che l’uomo fosse di nuovo quello di un tempo anche se non più insieme a lei ma con quella donna altrettanto perfetta per lui... Angie era una persona magnifica, solare, luminosa, sincera… e c’era un motivo se, proprio su quella ex truffatrice, fosse ricaduta la scelta della defunta signora Galindo di volerla accanto al marito per tutta la vita… già, proprio così: per sempre. La Saramego e l’uomo si erano sposati da circa due anni e la loro unione era stata motivo di gioia per tutti i loro amici, dagli ormai anche loro coniugi, Matias e Marcela La Fontaine, passando per Roberto e Olga ma, in primis per Leon e Violetta. Ci aveva messo anni Clara a decidere su chi far ricadere la sua scelta: sì, aveva la possibilità di aiutare i suoi cari rimasti sulla terra e voleva giocarsela bene, con ogni mezzo, fino a raggiungere il suo obiettivo… non tanto per lei, bloccata in quella sorta di limbo fino a quando i Galindo non fossero stati davvero felici… ma soprattutto per loro. Era stato tutto programmato da lei, nei minimi dettagli, sin dal principio: Angie ci aveva solo messo la buona volontà di voler cambiare la sua esistenza e non era cosa da poco. Iniziò tutto quel mattino, quando fece sì che la donna fosse la prima ad uscire, dopo una furiosa lite con Jade La Fontaine e trovasse quel quotidiano con l’annuncio di lavoro come istitutrice. Il fatto che, esteticamente le somigliasse tanto, poi, non era di certo un caso! Clara voleva che Pablo fosse rapito da quella donna già per il suo aspetto, così simile a quello della moglie ed era certa che sarebbe rimasto colpito da quella bionda dal sorriso così solare, contagioso e poi… poi lei avrebbe di sicuro portato Violetta in quell’enorme casa e così, con un solo colpo, avrebbe salvato sia l’uomo che il suo amato figlio, il quale viveva, all’epoca, ancora nella sua esistenza fatta di perdizione e di eccessi. Anche la ragazzina aveva un cuore puro, seppure inizialmente fosse partita con le peggiori intenzioni… ma lo aveva fatto anche perché ammaliata da quel lusso di cui, fino a poco tempo prima, ignorava l’esistenza e, evidentemente, per voler aiutare suo padre con quelle ricchezze. Leon era cambiato, lo aveva fatto per lei e non l’avrebbe mai potuta ringraziare abbastanza quanto avrebbe voluto ma, in fondo, era certa che la giovane lo sapesse. Quanti segnali aveva mandato alle due ospiti alla villa? I sogni, arcobaleni venuti fuori dal nulla, addirittura il fatto che Angie fosse attirata, al maneggio, da Athena, il suo cavallo, non era casuale ma tutto studiato per far sì che suo marito ne rimanesse sempre più colpito… e poi si era concentrata anche sullo stesso Pablo il quale, solo alla fine, aveva realizzato ed accettato che quell’anello, la mattina del suo matrimonio con Jackie, fosse apparso e poi sparito nel nulla proprio per volere della moglie. Sì, lui era molto razionale ed anche per questo, oltre al fatto che fosse tra i più coinvolti nella vicenda, non si era mai spinta tanto per contattarlo… ancora non riusciva a credere che, nonostante avesse rischiato di sposarsi con quell’arpia di Jackie Saenz, ora fosse finalmente il marito di Angie.
Clara lanciò un’altra occhiata attraverso le nuvole e rimase incantata e sorridente a osservare ciò che accadeva di sotto…
 
 
“- Papà passa a me, dai!” Leon correva come un forsennato proprio nel giardino che dava sulla facciata principale della villa mentre Pablo, con un pallone da calcio praticamente incollato al piede sinistro, si destreggiava in più o meno complessi palleggi, sulla corta erbetta di una delle aiuole principali e più maestose della casa. “- Non calpestate i fiori! Ma io dico, con tanto spazio a disposizione, non potreste giocare da un’altra parte? E poi i nostri ospiti staranno per arrivare, quindi andate a cambiarvi!” Angie, gridando con stizza quella frase, apparve con un cipiglio indispettito sul portone principale della casa, un bambino in braccio e seguita da Violetta che scuoteva il capo con rassegnazione. “- Lasciali perdere, i maschi sono eterni bambini!” Il tono serissimo e sconsolato della La Fontaine fece scoppiare in una fragorosa risata la donna che, con l’arto libero, le circondò le spalle ruotando gli occhi al cielo. “- In effetti non hai tutti i torti…” Esclamò la bionda, mentre la ragazza si voltò verso il bambino che era ancorato con le braccine al collo della madre. “- E tu, Lucas, non crescere mai… o diventerai come loro!” Sentenziò poi la giovane, rivolgendosi al piccolo che, ignorandola, indicò il padre e il fratellastro facendo intuire alla madre di volerli raggiungere per unirsi a loro. “- E va bene, andiamo tutti e tre da quei folli…” Sorrise dolcemente la donna, mettendo giù il piccolo che camminava appena e prendendogli la manina per scendere con cautela i gradoni della scalinata biforcuta che portava alla zona in cui si trovavano Pablo e Leon.  “- Tutti e quattro vorrai dire!” La corresse Violetta che la seguiva sorridente. Angie si fissò per un secondo la pancia, ormai decisamente grande essendo al settimo mese di gravidanza e sorrise a sua volta, sfiorandosela dolcemente. “- Giusto, la famiglia si allarga!” Sussurrò allegramente, notando che il marito, con il fiatone, le fosse ormai arrivato di fronte, avendo ceduto la palla al figlio. “- Amore mio, c’è qualcosa che non va? Non dirmi che dobbiamo correre in ospedale? Vado a prendere la macchina e…” Ma la donna, scuotendo il capo, riuscì a zittirlo, afferrandolo per le spalle. “- Sto meravigliosamente bene, calmati una buona volta! Sembra che debba partorire tu per quanto sei nervoso!” Sbottò Angie, ruotando gli occhi al cielo, mentre l’uomo, prontamente, aveva preso in braccio il secondogenito e aveva iniziato a giocarci allegramente. Solo il cielo sapeva quanto fosse felice di avere quella donna al suo fianco, di quanto avesse esultato nel sapere di aspettare quel bambino da lei ed ora di averne un altro, o meglio, un’altra, in arrivo. La sua vita era cambiata radicalmente e lo doveva alla Saramego e a tutto ciò che aveva fatto e continuava a fare per lui. Il rapporto con Leon era tornato quello di quando era un bambino, spensierato e più sereno ma quello, oltre che a sua moglie, lo doveva anche a Violetta. Quella ragazza era riuscita a rendere suo figlio il bravo ragazzo che a stento, in quel periodo nero trascorso anni addietro, riusciva a riconoscere, a ricordare… e pensare che ora già stesse pensando e progettando un futuro matrimonio con la giovane! Era cresciuto, Leon. Era maturo e cambiato, seppur ancora conservasse quella sua solita, incancellabile vena ironica che lo caratterizzava da sempre. “- Anche tu sei nervosa! Stai sbraitando da un’ora per quattro fiorellini schiacciati!” Rise il giovane, riferendosi alle urla di qualche istante prima ad opera della matrigna, che doveva ammettere, amasse con tutto il cuore. “- Sono i gerani piantati da Olga e sapete quanto ci tenga! Quando tornerà dal viaggio di nozze con Roberto e li troverà distrutti ci farà fuori: uno ad uno!” Spiegò la bionda, sedendosi sulla panca più vicina, nei pressi della grande fontana. “- Vuoi mettere dei banali gerani con l’assistere alla classe dei Galindo? Ci chiamano i Maradona & Messi del Country Club, biondina!” Spiegò il ragazzo, prendendo il fratellino dalle braccia del padre e mettendolo a terra per farlo provare a camminare, tenendogli entrambe le manine strette alle sue, grandi e forti, alle quali il piccolo si ancorava, abbastanza incerto e barcollante. “- E quando il piccoletto imparerà a correre come me, allora avremmo un attacco degno della nazionale Argentina!” Esclamò soddisfatto, facendo scoppiare a ridere la fidanzata, mentre il piccolo lo fissò perplesso ma sorridente, con i suoi grandi occhioni verdi e furbi, in contrasto con la sua chioma corvina. “- Ma chi ti dice che Lucas sia una promessa del calcio?” Lo prese in giro la ragazza, mentre Leon, fingendosi offeso, prese di nuovo il fratellino in braccio e la fissò con un sopracciglio inarcato, assumendo una buffa  espressione corrucciata. “- Perché noi Galindo abbiamo il gene del campione nel sangue, dunque anche lui lo è già… solo che ancora non lo sa!” Spiegò con tono ovvio Leon, andando a sedersi tra Angie e la giovane. “- Meno male che ora nascerà una femminuccia, così la smetterai con questi discorsi sportivi!” Lo riprese Violetta, appoggiando però la testa sulla sua spalla, gesto dolce che lui apprezzò, tanto che sorrise istintivamente e teneramente nel sentirla così vicina a sé. “- Che vuoi dire? Guarda che anche Clara sarà una campionessa, che ti credi? Magari non di calcio… ma lo sarà di certo, da buona Galindina qual è!”. Tutti, suo padre compreso, si voltarono verso di lui nel sentire quel nome, pronunciato con tale sicurezza e naturalezza dal ragazzo: non avevano ancora idea di come chiamare la bambina e quella frase del fratello maggiore, che sembrava aver già deciso per tutti, li lasciò sorpresi. Sia la Saramego che Pablo, però, avevano entrambi pensato a quella opportunità e infatti furono felicissimi di sapere che anche il giovane fosse d’accordo e che avesse preso l’iniziativa nell’annunciarlo.
“- Clara… mi piace moltissimo.” Sorrise Violetta, accarezzando lievemente un braccio al ragazzo, facendolo annuire con soddisfazione. “- Direi che è perfetto.” Mormorò la futura mamma emozionata, consapevole come gli altri membri della famiglia del fatto che, se fossero tutti uniti, era anche merito della defunta moglie di Pablo, per quanto assurdo e impossibile potesse sembrare. Quanto poteva essere sottile la linea che divideva la vita e la morte? C’era un confine tra la terra e l’aldilà così poco netto da poter essere, seppur non palesemente, sorpassato? Clara aveva dato la prova che, seppur la risposta a tutte quelle domande rimanesse tuttavia un mistero per molti, lei con la forza dell’amore, era riuscita a superare qualunque barriera, seppure fosse impensabile.
“- Sarà stupendo quando nascerà la nostra piccola Clara…” Pablo, al settimo cielo, era quasi commosso nell’aver compreso che anche Leon fosse felicissimo di quella sorellina in arrivo… e non solo di quello! La loro vita era di nuovo serena, lui aveva Violetta, voleva un mondo di bene ad Angie e poi c’era Lucas, ora la piccola… insomma, era sicuro che il ragazzo fosse gioioso quanto lui e saperlo in quello stato di grazia lo rendeva  ancor più contento.
“- Scusate il ritardo! I gemelli oggi si sono messi d’impegno a fare i capricci!” Sul vialetto principale della villa, un sorridente Matias La Fontaine si sbracciava salutando la famiglia Galindo, circondato dalla sua:  Marcela era al suo fianco e teneva per la mano Emilia, la bambina avuta dal suo primo matrimonio, mentre in braccio stringeva uno dei due bambini di un anno appena, identico al fratellino che, invece, era sorretto dal papà. “- Che bello ci siete tutti!” Sorrise Pablo, andandogli incontro seguito dagli altri. “- Gabriel e Nicolas! I miei bellissimi fratellini combina guai!” Saltellò allegramente Violetta, venendo imitata da Lucas che le girava intorno piano, ancora con andatura poco sicura di sé. I piccoli erano la fotocopia del padre: caschetto biondo chiarissimo, aria furba e occhi chiarissimi quanto vivaci, di un azzurro intenso e profondo.
“- Dovevamo essere qui per ora di pranzo ma ormai ci conviene direttamente cenare insieme, no?” Scoppiò a ridere Matias, facendo annuire la Saramego. “- Sì, abbiamo molto da organizzare per queste nozze e sicuramente il pomeriggio lo passeremo tutto tra carte, penne e liste interminabili!” Ridacchiò Leon, stringendo le spalle a Violetta che, con in braccio uno dei fratellini sottratto subito al padre, si lasciò cullare da quella stretta così dolce e calda. “- Benissimo, allora entriamo, venite…” Sorrise il padrone di casa, facendo strada agli ospiti. “- Papà, io e Vilu vi raggiungiamo dopo, restiamo ancora un po’ qui…” Esclamò Leon, mentre la giovane riconsegnava il bimbo alla sua mamma. “- D’accordo ma fate presto che dobbiamo iniziare a scrivere le partecipazioni!” Spiegò Galindo senior, avviandosi con gli altri adulti verso la scalinata principale che portava alla casa. Violetta, a passo lento, tornò a sedersi sulla panca in pietra e venne subito affiancata dal ragazzo che amava, il quale le sorrise dolcemente e le cinse le spalle con un braccio. “- Riesci a credere che tra poco più un mese diventerai mia moglie?” A quella domanda la giovane istintivamente sorrise a sua volta, appoggiando il capo sul petto del ragazzo, facendosi cullare dal battito del suo cuore, la melodia più dolce del mondo. “- Già, ormai manca sempre meno… ed io sono nervosissima eppure così felice...” La giovane socchiuse gli occhi e ispirò a pieni polmoni il profumo muschiato del suo fidanzato, ormai più che ufficiale… ricordava ancora quando le aveva proposto di sposarla, così semplicemente eppure così diretto e sincero come solo lui sapeva essere: niente romanticismi eccessivi, non gli si addicevano, eppure quella sera, davanti alla fontana, aveva tirato fuori quello scatolino che, unito a quelle parole, l’avevano lasciata di sasso.
 
“- So che siamo giovani ma io non posso fare a meno di volerti già al mio fianco, per sempre… sarò un pazzo e se mi dirai di no lo capirei anche ma…”
Aveva preso un profondo respiro prima di proseguire, Violetta lo ricordava bene tante erano l’emozione e l’estrema attenzione con le quali lo stava ascoltando e osservando…
“- …Ma voglio che tu diventi mia moglie, Violetta La Fontaine. Mi vuoi sposare?”.
 
Le lacrime di gioia, i baci che ne seguirono, quella notte magica… la giovane aveva impresso ogni minimo dettaglio di quei momenti nella sua mente, nell’ anima e non aveva esitato neppure un attimo ad accettare di sposare Leon… sì era molto giovane… sì, Matias stava per morire di crepacuore quando lo aveva saputo e… sì, aveva anche un pochino di paura e ansia per quella che sarebbe stata la sua nuova vita… ma, in fondo, non era solo sua, era loro vita, insieme, e il fatto che avrebbe avuto accanto un uomo, perché tale era diventato, come Leon, la tranquillizzava.
“- Anch’io sono felice, non immagini quanto…” Mormorò sottovoce Leon, ispirando il profumo di vaniglia proveniente dai capelli castani della sua amata. “- E no sei neanche un po’ teso?” A quelle parole, curiosa, la giovane alzò il viso e si ritrovò a specchiarsi in quelli verdi e sicuri di lui che scosse il capo piano, con naturalezza. “- Perché dovrei? Ora inizia tutto, ora iniziamo ufficialmente noi due, insieme… e l’unica cosa che riesco a provare è gioia, come fino a qualche anno fa non pensavo di riuscire a sentire… ed è grazie a te, amore mio.” Violetta si accoccolò di nuovo sul suo petto e il ragazzo la strinse ancor di più a sé, immaginando già come sarebbe stato bello potersi svegliare ogni mattina e averla accanto, vederla riposare così,come in quell’istante abbracciata a lui, nel loro letto. Immaginava una casa grande, con un giardino, un cane, e soprattutto almeno tre bambini, tutti splendidi come la sua futura sposa. “- Mi fa un certo effetto vederti giocare con Lucas, Emilia o con i gemelli, sai? Sarai una mamma meravigliosa…” Sorrise sornione Leon, depositandole un bacio sulla sommità del capo. “- E tu un papà meraviglioso… sei già un fratello maggiore splendido, figuriamoci quando avremo noi dei figli quanto sarai eccezionale!” Esclamò la giovane, sollevando di nuovo il volto e facendo sì che lui si accigliasse, serio: “- Non mi ci vedrai mai a cambiare pannolini, però. E’ bene che tu lo sappia sin da ora!” Scherzò Galindo junior, per poi accorciare le distanze con un tenero e delicato bacio: assaporare quelle labbra per lui era sempre come se fosse la prima volta… e dire che in quegli anni ne avevano passate così tante e chissà ancora quante ne avrebbero dovute superare… stavolta, però, lo avrebbero fatto da marito e moglie e il pensiero che sarebbero stati sempre insieme riusciva a rasserenarli.
“- Non la scamperai nemmeno tu, signorino! Imparerai anche a cambiare pannolini se necessario!” Sbottò la La Fontaine, fingendosi offesa e incrociando le braccia al petto. “- E va bene! Ma solo in casi di estrema necessità!” Tentò di placarla lui, facendola finalmente sorridere soddisfatta. “- Ti amo Leon Galindo e ti amerò per sempre!” Sentenziò euforica lei, prendendogli il viso tra le mani e coinvolgendolo in un ennesimo bacio, più appassionato del precedente. “- Perché mi sono offerto per ipotetici e schifosi cambi di pannolini?” Scherzò ancora il giovane, non appena si furono staccati solo per mancanza di fiato, rimanendo con la fronte contro quella di lei e specchiandosi in quei dolci occhi castani. “- No, perché sei perfetto nella tua imperfezione!” Sorrise Violetta, facendogli l’occhiolino e appoggiandosi di nuovo con la testa nell’incavo della sua possente spalla. “- Che vorresti dire, amore? Io sono perfetto!” Scoppiò a ridere lui, accarezzandole piano una guancia, solleticandogliela piano. “- No che non lo sei! E meno male! Saresti noioso se lo fossi!” Concluse la giovane, perdendosi ancora in quello sguardo caratterizzato dal verde smeraldo che tanto amava. “- Obiezione vostro onore!” Si lagnò lui, con tono offeso quanto solenne. “- Respinta… ma per un altro bacio potrei anche accoglierla…” Soffiò la ragazza con aria furba, sporgendosi verso la bocca del giovane che ghignò soddisfatto. “- Sta diventando troppo maliziosa signorina, ma sappia che al sottoscritto non dispiace affatto, eh!” Esclamò soddisfatto Leon, per poi baciarla di nuovo, sempre con più trasporto.
Il sole stava calando e tutto intorno era di un intenso arancio che rendeva l’atmosfera ancora più magica… i bambini delle due famiglie, usciti dalla villa capitanati da Emilia, la più grande del gruppo, giocavano felici, inseguendosi e rotolandosi nel prato, i genitori erano già in casa presissimi dai preparativi mentre i due fidanzati erano lì, di fronte alla fontana che si godevano il tramonto l’uno stretto all’altra, il tramonto della loro vita infantile che terminava per lasciare spazio a due persone adulte, a due futuri sposi, alla nuova futura famiglia Galindo che stava per nascere.
 
 
“- Clara, non piangere, ora staranno bene e lo sai…” Una voce profonda la richiamò dall’alto e lei, con il viso in lacrime per la gioia, si sollevò di nuovo in piedi con aria malinconica ma felice: Leon sarebbe stato sereno e non poteva chiedere di meglio per il suo, seppur ormai grande, bambino. Violetta era straordinaria e anche per questo aveva scelto Angie: lei avrebbe fatto sì che la La Fontaine conoscesse suo figlio ed era certa che si sarebbero riusciti ad avvicinare, che la ragazza lo avrebbe riportato a quello che era un tempo, ripescando in lui quell’anima buona che era stata coperta da un velo nero di disperazione.
“- Sono tanto contenta… sì sto piangendo ma è perché sono serena, ora. Sento che li ho lasciati in ottime mani.” Concluse la donna, asciugandosi piano il volto, con un gesto rapido della mano destra. Il varco da cui li aveva spiati venne coperto da altre nuvole e si richiuse, lasciandola a fissare quello strato soffice che, fino a qualche istante prima, le aveva lasciato vedere la sua vecchia vita e quella nuova che aspettava quella casa. Sorrise Clara. Non voleva più piangere, sorrise al pensiero che tutto si fosse sistemato, che chi doveva pagare lo avesse fatto, come Jackie e Gregorio che ancora marcivano in galera e ci sarebbero rimasti per un bel po’, soprattutto l’uomo che tanto odiava suo marito. Sorrise anche perché sapeva che sia Leon che Pablo erano circondati di affetti: il ragazzo aveva i suoi amici del Club, Diego e Ludmilla, Federico e Francesca, Luca e Camilla, Andres e Libi… e poi ora, entrambi i suoi uomini, avrebbero avuto anche una nuova famiglia su cui poter contare, in cui l’amore non sarebbe mai mancato a nessuno. Quanto si era commossa quando Leon aveva annunciato che la secondogenita di Pablo e Angie si sarebbe chiamata come lei… Clara. Un'altra lacrima le percorse la guancia eterea e si incamminò piano sulla superficie delle nuvole che creavano un tappeto delicato e candido, ombreggiato solo dal tenue rossore del tramonto.
“- Non vi abbandonerò mai, amori miei. Vi proteggerò e vi sarò sempre accanto, in ogni momento. Ci sono stata, ci sono e ci sarò per sempre al vostro fianco, al fianco delle persone che amate e con le quali sono certa che sarete felici. E’ una promessa.” La donna sospirò tra sé e sé, fermandosi per poi ricominciare a percorrere quel percorso senza una vera e propria meta precisa, seguendo solo il cuore e i caldi raggi del sole che l’avvolgevano piano, riscaldandola appena e illuminandole la via.
 
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E’ finita! Sono in lacrime! *Afferra l’ennesimo fazzoletto*. Fa sempre un certo effetto concludere una storia… uno ci si affeziona così tanto e poi… e poi arriva il momento di mettere la parola “completa” ad essa ed è tutto così… commovente! :’)
 Leonetta futuri sposi, Pangie sposati e con due figli, Maticela sposati e con i gemellini… e poi c’è Clara, forse la nostra vera protagonista che mi ha fatto piangere, che dolce che è! :’(
Voglio passare ora ai ringraziamenti… grazie a tutti coloro che hanno seguito la storia, a coloro che hanno recensito o che semplicemente l’hanno letta o inserita tra le preferite, seguite o ricordate.  
Voglio ringraziare coloro che mi hanno sostenuta sin dal primo capitolo, in particolare: _Trilly_, syontai, ChibiRoby, shinebright, Simonuccia_98_ , _Francy99_ e Rio50… con voi in particolare ho condiviso scleri, risate e sì, pure qualche lacrimuccia di commozione… quindi… GRAZIE DI VERO CUORE! :3
Ringrazio anche: Francesca Jackson, smeraldo01, jortini4ever, xlodosmile, leonettapersemre, Ary_6400, Puffetta99, Anne Hepburn, Leonetta99, francy_1209, Naif, DWHO, Pocha_96, Cucciolapuffosa, DaniLeonetta… e se mi son dimenticato qualcuno chiedo umilmente perdono! xD
Insomma, grazie a tutti, ci tenevo davvero a dirvelo di cuore e… alla prossima storia! :3
Ciao! :)
DulceVoz. :)

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