La sposa di Lammermoor

di MaryMelody98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Timor che diviene verità ***
Capitolo 2: *** Regnava nel silenzio ***
Capitolo 3: *** Un terribile inganno ***
Capitolo 4: *** Sventurata scelta ***
Capitolo 5: *** Pazzia ***



Capitolo 1
*** Timor che diviene verità ***


Timor che diviene verità


Era appena arrivata l’alba nelle belle valli verdi della Scozia, i raggi del sole incominciavano ad illuminare le grigie ed antiche pietre dei nobili e altisonanti castelli, quello di Ashton non faceva eccezione. La costruzione si ergeva ai piedi di un vasto lago che si estendeva per gran parte della proprietà della famiglia, e faceva da specchio alla costruzione ormai in decadenza; tuttavia a rendere più interessante il grigiore dell’abitazione vi era un giardino abbandonato e non più curato dalla generazione Ashton presente, dove grandi alberi coprivano con le loro grandi fronde la superficie spettrale e affascinante di quell’angolo di mistero e i suoi segreti. La nostra storia prenderà posto in ognuno di questi lati duri e magnifici dell’antica residenza scozzese: amore, passione, drammaticità, calcolo e pazzia vivranno in queste mura nelle righe scritte da qui in seguito,per raccontare la breve vicenda di un ardore soffocato e mai sbocciato.

 
1700, Castello degli Ashton

 
Nel severo cortile del castello i soldati del padrone, Lord Enrico Ashton, e il padrone stesso erano rientrati dalla solita perlustrazione delle terre che si era trasformata in una classica battuta di caccia privata. Non era stata una battuta di caccia normale, come quelle che era solito fare con i suoi amici e confidenti verso ore più tarde del pomeriggio: quell’occasione era diventata una valvola di sfogo per i pensieri tormentosi che opprimevano ogni secondo della sua quotidianità. La famiglia Ashton stava per estinguersi fra le ricchezze di tutta la Scozia, quello che tutti consideravano una volta un astro nascente e che mai sarebbe caduto, stava da lì a poco per precipitare e senza arresto. La superbia di Enrico e i suoi vizi di uomo avevano portato alla decadenza la famiglia, se poteva mai essere considerata una famiglia: lui e la sua giovane sorella Lucia; aveva invano cercato di rimediare al danno, ma non ci era riuscito ed ora l’unica soluzione possibile per salvarsi dal precipizio era il matrimonio, non il suo ma di Lucia. Era sceso da cavallo e man mano senza farsi scorgere si era allontanato da tutti quanti per pensare al da farsi, tutto era perfetto tranne il fatto che Lucia si rifiutava di sposare qualunque uomo.

“Cosa ti turba, amico mio?” chiese dietro di lui Normanno, suo armigero e confidente fidato, che lo aveva seguito e scrutato negli ultimi giorni con preoccupazione.

“Oh, Normanno! La stella della nostra casata va sempre più ad oscurarsi… Ed Edgardo, quel demonio erge la sua fronte alla fortuna più grande… Neanche Lucia acconsente ad aiutarmi, ritira la sua mano di sorella dinanzi alle mie difficoltà!” esclamò con rassegnazione.

Edgardo, il nome del suo nemico da secoli, giovane rampollo della famiglia Ravenswood, a cui la fortuna voltava il suo favore mentre lui. Il solo pronunciare quel nome tanto odiato, ravvivava la sua furia sia nel corpo che nell’anima: “lui destinato alla grandezza ed io alla morte del mio nome” pensava.

“Ma signore come può l’amore entrare nel cuore di una fanciulla la quale tutti i giorni compiange la madre morta sulla tomba?” sbottò una terza voce consunta dal tempo e dallo studio della vita.

Ai due uomini si era unito il vecchio Raimondo Bidebent, precettore di Lucia, che non aveva potuto far a meno di sentire la conversazione mentre era immerso nella giornaliera osservazione mattutina delle rare piante vicino al cortile dove avveniva la conversazione.

“Raimondo, cosa fate qui? Se non sbaglio ascoltare le conversazioni altrui non è simbolo di buona educazione come mi avete insegnato voi. Perché siete sveglio a quest’ora della mattina?”domandò rabbioso Enrico.

“Il mio signore deve scusarmi, ed ha più che ragione.  Stavo esaminando i bei fiori che crescono sul sentiero che porta al cortile, e per sbaglio ho ascoltato ciò che stavate dicendo con il vostro armigero. Non ho saputo frenare la mia lingua al vostro pensiero, scusatemi.”disse il precettore.

Scuse accettate vecchio” rispose Normanno, tale era l’amicizia con il suo padrone”Anche perché sono tutte menzogne quel che dici!”

“Che intendi Normanno?” domandò il Lord con preoccupazione.

“Intendo, Enrico, che la tua Lucia non brucia di dolore, ma di amore!” sbottò l’armigero.

“Ma cosa dici? Non è possibile!”

“Oh, certo che è possibile. L’ho vista con i miei stessi occhi per giorni e giorni. Percorreva la piccola strada vicina al giardino abbandonato con la sua fedele Alisa, ed ecco che un uomo coperto da un mantello corse verso di loro e prese la tua dolce sorella per la vita facendola volteggiare in un abbraccio e lo baciò!”

“E chi è costui? Lo sai?” esclamò Enrico con impazienza.

“Beh, per scoprirlo sono stato ad aspettare nascosto dai cespugli per altri due giorni, loro come di consueto non mancarono all’appuntamento all’alba su quella stessa strada e il misterioso uomo non si faceva scorgere per via del cappuccio del mantello sul capo… Ma ecco che prima di andarsene il secondo giorno, Lucia glielo toglie e vedo il suo volto… “

“E lo hai visto quel bastardo?” ringhiò a quell’attesa.

“Ho solo un sospetto… non ne sono sicuro”

“Chi è?” urlò “ Dimmelo!”stava per scaraventarlo per terra, ma Normanno parlò prima che lo fece.

Il tuo nemico… il tuo peggior nemico” sputò in un sospiro di liberazione

“Edgardo!” gridò con odio e spavento allo stesso tempo.

Con un cenno del capo l’amico marchiò di verità il sospetto più temibile, non poteva crederlo sul serio. Un’Ashton con un Ravenswood, neanche l’Inferno poteva accoppiare due amanti più sbagliati e rendere un crimine più odioso al mondo di tutto ciò.

“No! No! È troppo crudele e doloroso questo sospetto! La mia pelle diventa d’oca al solo pensarci e i capelli diventano bianchi come i tuoi, mio vecchio precettore! Mi sento gelare il cuore e tremare per una sorte tanto crudele! Non può essere mia sorella colei che si macchia di tale scempio in questo modo! La ucciderò, la ucciderò, ed anche se la colpisse un fulmine a svelarsi rea del suo amore dettato dal Diavolo, la sua sorte sarà ben più terribile con me!”.

Gridando, smaniando come un pazzo in collera rientrò nel suo castello pieno di furia più di quanta un uomo potesse contenere nel suo cuore. Si sentivano strepiti ed urla dalle finestre dei suoi appartamenti, e tutti da giù il cortile osservavano i vetri opachi basiti e in silenzio.

Normanno e Bidebent erano rimasti soli e immobili  nello stesso luogo e nella stessa posizione, sembravano delle statue ricavate dalle pietre dell’imponente palazzo ma con una differenza sostanziale. Il vecchio guardava con occhi truci l’armigero, consapevole che dal allora in poi le cose nella residenza non sarebbero state più le stesse. La calma la tranquillità che erano regine nella casa sarebbero state distrutte da un sentimento molto più forte: l’odio che avrebbe contrastato il vero amore di due giovani.
 
 

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Capitolo 2
*** Regnava nel silenzio ***


Regnava nel silenzio
 

Giardino abbandonato degli Ashton
 
Nel profondo della notte due scure figure agitate si muovevano lungo il sentiero che portava nel vecchio ed abbandonato giardino, per poi addentarsi nelle tenebre degli alti alberi di quercia che venivano illuminati dall’’eterea luce della luna. Quelle sagome tremanti ed esitanti appartenevano alle due donne del castello: Lucia e la sua damigella Alisa. Erano giunte all’interno del centro esatto della verde architettura , dove la luna risplendeva più brillante e chiara che in tutti gli altri luoghi; il loro passo affrettato era causato dalla paura di poter essere scoperte in quel luogo tanto oscuro e misterioso, ma Lucia doveva andare, lo avrebbe rivisto soltanto Dio sa quando, e se mai l’avrebbe rivisto in questa vita. Quando la luce della luna poteva mostrare senza vergogna l’atto di un primo e proibito amore compiersi, in realtà bisognava notare tutt’altro che un gesto impuro, ma l’eterna bellezza di una fata forse appartenuta a quel boschetto che si presentava alla sua amica più cara: la notte. Toltasi il cappuccio, Lucia manifestò tutta la sua beltà di fanciulla al fiore degl’anni: incarnato bianco quasi quanto il latte, grandi occhi azzurro cielo, una carnosa bocca rosea, esile figura dalla vita di vespa, le stelle sembravano sfigurare nella loro banale lucentezza.  La giovane Ashton non assomigliava a nessuna altra donna, antenata o vivente, della sua famiglia, poteva dirsi che il Signore avesse finalmente concesso un po’ di grazia dopo tante di quelle sfortunate a cui non era stato fatto dono altro che di capelli rossi ricci e crespi, nei, nasi aquilini ed espressione malvagia. Peccato che quell’iridi di cristallo contornate da lunghe e folte ciglia, fossero impregnate di preoccupazione e ansia, ma anche eccitazione e gioia: Lucia era il risultato di tanti tristi secoli di accumulata bellezza modellata sul suo corpo di spirito celeste.
Fissò a lungo l’astro divenuto sua sorella da quel tempo ormai lontano, numerosi pensieri pervadevano la sua mente senza arrivare però ad uno scopo ben preciso, ma ben presto fu risvegliata da Alisa ed una delle sue solite prediche.

“Signorina vi siete sciolta i capelli, ora dovremmo pettinarli di nuovo al nostro ritorno!” la sgridò invano.

Infatti Lucia aveva sciolto le chiome corvine solo per il suo amato Edgardo, sapeva quanto gli piaceva toccarle e accarezzarle, e anziché imprigionarle nelle quotidiane acconciature aveva deciso di fargliene dono per un’ipotetica ultima volta. Aveva sentito suo fratello gridare e smaniare nei suoi appartamenti, e conosceva anche il perché; non l’aveva fatta convocare o seguire, di questo ne era certa, ma il pericolo poteva essere dietro l’angolo e furba aveva dato appuntamento a Edgardo nel buio della notte invece che allo spuntar dei raggi del sole.

“Oh! Ancor non giunge…” sospirò Lucia mettendosi una mano all’altezza del cuore.

“Incauta! A qual rischio metti la mia vita e il mio cuore… Tuo fratello sa la verità ora, ma tu ti costringi a voler essere scoperta e punita. Quanta follia c’è nei tuoi gesti!” la riprese senza sentimento la damigella.

A quel punto la giovane si voltò verso la sua compagna e disse con trepidazione “Edgardo deve essere avvisato del pericolo che ci segue e tormenta da oggi in poi…”, e poi riprese a guardarsi intorno spaurita finché lo sguardo non si fermò sulla fontana a pochi passi da lei, la Fontana della Sirena.

“Ed ora che cosa è successo? Perché ti guardi intorno accecata dal terrore?”

“Tu non lo sai cara Alisa, ma ogni volta che osservo quella fontana lo spavento mi pervade l’anima. Conosci la storia della gentildonna che proprio in questo luogo venne uccisa da un Ravenswood folle d’amore e il cui corpo venne sepolto dalle acque di quella fonte senza farlo riemergere mai più… l’ho vista! Era qui con me… Ho visto il suo fantasma!”

“Ma cosa stai dicendo? Tu vaneggi!”

“Ascoltami, te ne prego!”

Tremando la giovane prese le mani della donna e la condusse verso la panchina di pietra che se ne stava nascosta tra le mille piante rampicanti che la imprigionavano nella loro morsa. Alisa vide negli occhi della sua amica fedele vero e proprio sbigottimento al ricordo di quella visione, ma mentre formulava le sue riflessioni Lucia incominciò a raccontare la sua disavventura.

“Lo ricordo come se fosse avvenuto ora, la notte alta e scura regnava incontrastata nel silenzio delle verdi valli del nostro castello. Ero venuta qui senza di te per incontrare il mio Edgardo, da sola, per non disturbare il tuo meritato sonno di cui non godevi da giorni e giorni. La luna era coperta da nubi grigie e blu, nessuna stella, nessun rumore che intralciasse lo splendore di un suo singolo raggio che si posò su di essa…”.

Guardava la fontana cupamente, non aveva neanche il coraggio di chiamarla per nome per paura che la spettrale figura apparisse in quel’istante.

La Fontana della Sirena esisteva da tempi remoti, ancor prima che il castello venisse costruito dai suoi avi, inizialmente era soltanto una piccola fonte d’acqua dolce, ma le persone che vivevano lì affermava di aver più volte udito da quella un canto che aleggiava nell’aria, limpido e attraente. Chi si avvicinò al piccolo specchio d’acqua durante quell’estasi, affermò sin dal primo momento che dalla sua oscurità si poteva scrutare una sirena che cantava la sua solitudine  e desiderava ardentemente un compagno con cui passare l’eternità, uomo o donna che sia, ma senza riuscirci. Da quando la donna uccisa dal suo amante folle era caduta in preda a quelle piccole e vitali increspature, il canto cessò e per onorare la trovata felicità della creatura magica, gli uomini le crearono un altare che prese forma di una fontana con sopra la statua di una sirena piangente.

“Ecco che un’ombra cerea si mostrò a me cogliendo la mia attenzione con il suono di un gemito. Ah! Vidi i suoi occhi privi di vita fissarmi, ma ancor più le labbra esangui pronunciarmi metalliche parole “Vieni, vieni!” diceva “Diventa mia compagna di eternità, saremo per sempre felici insieme!” e allungò la mano in modo da accogliere la mia. Si avvicinava e potevo vedere delle gocce d’acqua cadere dai suoi capelli e posarsi tra l’erba; al mio indietreggiare con occhi spalancati due lacrime solcarono le sue gote scheletriche e come era apparsa scomparve risucchiata dall’acqua della fontana! Scioccamente, spaventata e incuriosita mi accostai ai bordi di quell’oscurità, pensavo davvero di aver immaginato tutto quello scempio, ma ciò che vidi confermò la mia visione… Sangue, vero sangue traboccava al posto dell’acqua! Non feci quasi in tempo a spostarmi che una gelido braccio mi stava afferrando la caviglia e mi trascinava nel vortice della morte. Oh Alisa! Quanto orrore ho provato!”

“Lucia, quanto puoi essere cieca? Questo è un presagio della tua sorte, rinuncia a questo tragico amore! Fallo, se non per te, per la tua giovane vita. Non stroncarla al fior fiore della bellezza, piccola mia!” esclamò sconcertata Alisa.

“Io? E come potrei mai?Il mio amor mi è troppo caro, senza Edgardo mi è impossibile vivere … respirare questa stessa aria. È l’unico mio conforto in questa penosa vita”

Lo sguardo di Lucia ora era sognante ed ispirato, nessun fremito sconvolgeva le sue membra, sentiva il suo cuore innamorato battere al sol parlare del suo amato.

“Se solo tu sapessi come mi sento con lui… Ogni notte mi giura la fedeltà eterna al nostro amore e solo allora gli affanni che gravano sulla mia mente scompaiono per incanto. La gioia del nostro scrutarci diventa un pianto di infinita felicità e gratitudine per il Signore che ci ha fatto incontrare, mi pare che il ciel si schiuda sol per me!”

“Lucia desisti da questa pazzia! Da amare lacrime saranno riempiti i tuoi giorni da qui a poco” ripeté la donna cercando di spronarla dai suoi sentimenti.

Intanto una terza ombra nel buio del bosco si approssimava alle due amiche con passo leggero e palpitante di emozione e si faceva scorgere consapevole.

“È arrivato, guarda… Vi lascerò soli adesso, ti attenderò nella tua stanza quando ritornerai. Usa il passaggio dietro il quadro del salone… Fa’ attenzione mi raccomando!”, con queste parole Alisa lasciò il giardino, sparendo silenziosa tra i secolari arbusti.

Avvolto anch’egli da uno scuro mantello, Edgardo s’avanzò verso la sua innamorata che lo contemplava in silenzio e con dolcezza; affrettò gli ultimi passi  per raggiungerla e accarezzare la pelle di velluto che tanto bramava e cingerle la vita per sentire il battito del cuore fuso con il suo. Le aveva preso il viso per accarezzarlo e baciare le sue labbra pure come quelle di una vergine del cielo, lei timidamente aveva alzato gli occhi ma nel vederli si scosse un poco per quella tristezza mista a preoccupazione che vi leggeva.

“Oh, Lucia! Scusami se ti invoco a quest’ora della notte avevo bisogno di vederti e parlarti, amore mio! Ma anche tu mi hai chiamato con fretta per vedermi, e leggo la preoccupazione nei tuoi occhi di cielo. Cos’è che ti turba?”

“Non preoccuparti, dimmi tu per primo che cosa volevi che mi dicessi con tanta furia… Dimmi che non è successo nulla di brutto e doloroso!”

Gli occhi di Edgardo non lasciarono quelli della fanciulla, non voleva farla precipitare in balia di ciò che avrebbe detto e fatta soffrire più di ogni altra cosa.

“Prima che il sol dia vita ad un nuovo giorno, io sarò lontano dalla terra di Scozia”

“Ma che dici!” esclamò impotente la ragazza con gli occhi sbarrati dalla spiacevole notizia.

“Partirò per la Francia nostra amica, lì avrò l’opportunità di trattare le sorti della nostra terra. Athol, mio cugino, colui che mi ha aiutato in tante delle mie sciagure, mi ha dato tale onore. Ma non rammaricarti mia cara, prima di salpare vedrò tuo fratello Enrico, e porgendo la mia destra come segno di amicizia, chiederò la tua mano e sarai mia per sempre”

La giovane era inorridita a tali parole, si era bruscamente allontanata dalla presa di Edgardo voltandogli le spalle in cerca di conforto dal suo male interiore, tuttavia non lo trovò.

“No… No!” mormorò seppur a voce alta “Nascondiamo ancora il nostro amore, Edgardo!”, aveva sentito le mani preoccupate di lui pesargli sulle spalle e ritrarle a quegli accenti sconvolti.

“Ho ben inteso, Lucia? L’uccisore di mio padre, il meschino ladro della mia eredità paterna, non è ancor sazio della sua vendetta? Cosa chiede ancora?... Quel cuore crudele e colpevole non è ha ancora abbastanza... Vuole quindi il mio cuore, il mio sangue?” esclamò pervaso dall’ira più feroce “Lui mi odia ancora!”.

“Ah! No! Non è vero!”

“Mi odia con tutto il suo cuore, posso sentirlo dalle tue parole!”

“Calmati, per l’amore del cielo. Ti prego!” supplicò piangente Lucia aggrappandosi alle spalle dell’uomo.

“Un’inesorabile fiamma mi accende il petto. Anche tu mi odi!”

“Edgardo! Come puoi pensarlo?”

“Mi odi ed ora tremi!”

La scena era una delle più drammatiche, la giovane Ashton per poco non cadeva straziata dalla sorpresa e dal dolore delle grida sommesse di Edgardo, lui riluttante a tanto rancore, non riusciva a guardarla negli occhi perché sapeva che era la verità almeno  in parte. Il giovane riprese nuovamente a parlare, questa volta però più controllato e benevolo al riaffiorare dei ricordi.

“Avevo giurato vendetta eterna al tuo sangue, alla tua stessa famiglia, in nome del mio povero padre. Lo giurai sula sua tomba… Ma quando un giorno ti vidi, ignaro del tuo nome e della tua esistenza mi innamorai di questo viso e di quest’anima d’angelo. L’ira tacque da allora, ma il mio ingiurioso voto non è stato infranto… Potrei compirlo ancora se volessi!”

“Placa la tua ira! Edgardo, Calma il furore che è dentro di te! Non ti basta la pena che soffro ogni giorno per te?... Vuoi anche che muoia di spavento? Cedi, cedi al sentimento della passione che ci lega inesorabilmente, lascia fuggire ogni risentimento… Ogni tuo e mio giuramento che abbiamo fatto, è amore puro…”

Lucia contemplava ora i bei lineamenti del suo innamorato, intralciati dal sudore del suo turbamento e dalla rabbia, illuminati dalla luna piena. Quanto le erano cari quelle sinuose linee del suo volto, così marcate, così perfette. Edgardo aveva un corpo scolpito nella dura pietra della Scozia, alto, magro e slanciato, ma era il suo volto la parte più bella: capelli biondi e riccioluti, occhi blu come il mare, naso aquilino, bocca sinuosa e mascella possente. Era il suo angelo di luce nelle tenebre che la circondavano nella quotidianità della sua vita, e lei il suo: erano due infelici che una volta ricongiuntisi avrebbero riflesso la felicità del Cielo dinanzi a tutti coloro che si dicevano falsamente appagati. Baciandola una seconda volta, ricordò in mezzo tanto stupore il progetto che si era promesso di compiere: farla sua sposa.

“Lucia, mio amore, perdona tanta terrena rabbia nei tuoi confronti!.. Ti ho fatta venire qui da me non solo per darti la notizia della mia partenza, ma per suggellare qualcosa di più tra noi due, qualcosa che già sappiamo fa parte della nostra anima… Sii mia sposa, non abbiamo bisogno di contratti, Dio ci assiste e l’unico luogo sicuro per un amore duraturo, non è una cassaforte per far rimanere integra una firma, ma il cuore. Prendi questo anello, io sono tuo e tu sei mia, e nulla cambierà questo legame sacro”.

Aveva cacciato da una tasca nascosta del mantello una piccola fede d’oro identica ad una che già indossava all’anulare sinistro; la pose nella stessa sua posizione alla mano di Lucia , che carezzevole si lasciava guidare dalla santità di quel gesto d’amore.

Io ti giuro il mio amore eterno, Edgardo. Sono e sarò tua per sempre!”, esclamò queste parole con voce rotta dall’emozione e toccando la croce d’argento che portava al collo in segno di fedeltà alla parola data,  essendo anch’esso un altro dono del suo amato.

Misero fine ai loro giuramenti con un ennesimo bacio di passione, i loro corpi palpitavano sotto al tocco dell’altro, le carezze si facevano più invadenti e languide, Edgardo si ritrasse appena in tempo…

“Sarà meglio separarci, mia sposa. Questa notte non ti farò mia nel corpo, sarebbero troppe emozioni anche per me… Ti aspetterò vergine e pura nella nostra notte di nozze quando festeggeremo con tutti, quando ritornerò sano e salvo!”

“Il mio cuor viaggerà con te, sposo amato!”

“Il mio resterà qui invece, a rincuorarti ogni qual volta che verserai qualcuna delle tue belle lacrime per me!”

“Scrivi una lettera, quante ne potrai scrivere, promettilo! Almeno il saperti vivo mi leverà dal petto un grande macigno e renderà il nostro purgatorio meno doloroso. Io farò lo stesso!”

“Te lo prometto, già sento i tuoi sospiri flebili e i pensieri preoccupati per me, nella lontananza delle nostre anime. Mi mancherà non poter toccare la tua pelle, assaggiare le tue labbra che si dischiudono per me… Devo andare, non posso più tardare anche se il dispiacere mi assale implacabilmente. Addio!”

Si baciarono per un ultima volta prima di separarsi per un periodo interminabile, le lacrime di entrambi bagnarono il loro dolce contatto senza esitazione.
“Addio, Edgardo,mio adorato marito!”

“Rammenta la nostra promessa, ne va della mia vita!”

“E del ciel!”

Pronunciati gli ultimi addii, gli innamorati si ritirarono nel buio delle proprie dimore ignari del tremendo dolore che avrebbero patito per l’assenza dell’uno per l’altro.

 

Angolo autrice:
salve! Spro vivamente che vi piaccia questa storia, perchè a me fa impazzire davvero. Studio canto lirico, ma tuttavia, oltre la musica, amo l'amore che viene espresso tra i due personaggi. Per rendere il tutto più misterioso e appetibile ho voluto ampliare di più alcuni pezzi che sono di mia immaginazione e fantasia. 
Per darvi l'dea dll'aspetto dei personaggi, avevo pensato a Lucia come ad una giovanissima Eva Green (Artemisia di 300-L'alba di un nuovo Impero), mentre Edgardo come Aaron Taylor-Johnson (Vronskij in Ana Karenina del 2013)
Fatemi sapere cosa ne pensate, recensioni positive e non sono comunque gradite...
Godetevi la lettura 
Mary78

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Capitolo 3
*** Un terribile inganno ***


Un terribile inganno

 
Sei mesi dopo
Gabinetto negli appartamenti di Lord Ashton
 
Era una giornata grigia, una delle tante nel territorio della Scozia, tuttavia quella sembrava portare  qualcosa nel’aria, non qualcosa di piacevole: di terribilmente malsano e doloroso. Lo si poteva sentire dal vento, dalle nubi, dal sole che appariva a tratti e scompariva nell’immensità del cielo, dal silenzio padrone in tutto il Castello Ashton, sarebbe accaduta una catastrofe, ma soltanto gli animi più sensibili potevano percepire tutto ciò. Lord Enrico sedeva chino su un foglio sulla grande scrivania di quercia del suo studio dove era solito controllare i suoi affari, in particolar modo quel pezzo di carta attraeva la sua attenzione più di tutti gli altro, lo faceva sentire felice e pieno di soddisfazione. Peccato che quel semplice foglio giallo scritto con ordine, non era che una recente missiva del potente Lord Arturo Bucklaw, antico e assai ricco parente della famiglia Ashton, in cui confermava con il volere di sposare la bella Lucia quel giorno stesso.  Così diceva…
 

Mio caro cugino,
quanta gioia ha riempito il mio cuore nel sapere che io, semplice e terreno uomo, potevo e dovevo, in un certo qual modo, aspirare alla mano dell’angelica Lucia, una donna superiore a tutte le aspettative che avrei mai potuto avere nella vita. Verrò oggi stesso nella tua antica dimora a celebrare senza indugio le mie future nozze, come deciso da noi stessi sei mesi fa; il contratto nuziale sarà stipulato dal mio notaio che lo porterà da te nel momento in cui anch’io sarò lì con te.
Porgi i miei più sentiti saluti e tutto il mio cuore alla mia futura sposa.
A presto
Arturo Bucklaw
 
 
Nella fioca luce di una candela vicina, Enrico ridacchiava di piacere, piacere puro: finalmente tutti i suoi problemi sarebbero cessati con il matrimonio della sua generosa sorella, ma un ultimo tarlo tormentava la sua mente: Lucia avrebbe accettato, si o no? Aveva scritto a Lord Enrico che la giovane era a conoscenza di tutta la trattativa, temeva che altrimenti si sarebbe ritirato senza alcun dubbio. Nonostante tutto Arturo era un uomo di onore, e non avrebbe agito sapendo che la sorella ignorava la situazione, erano anni che non vedeva quel cugino, ma da quanto si ricordava aveva sempre amato Lucia, e questo lo aveva spinto a richiedere per un’ultima volta un matrimonio ad uno scapolo. Sentì dei passi repentini e secchi approssimarsi verso il gabinetto dal corridoio, alzò il capo aspettando, ed ecco che la porta si spalancò trionfalmente mostrando Normanno in tutta la sua altezzosità.

“Tra poco Lucia verrà da te!” esclamò richiudendo la porta accuratamente da dietro le spalle.

 “Ah! L’aspetto con ansia! Già ho accolto molti dei nostri nobili ospiti di questa sera… Arturo stesso ci raggiungerà tra breve... Ma se ella si opponesse anche a cosa fatta? Se avesse il coraggio di rifiutare nonostante tutto? Non può essere così caparbia: è una sciocca ragazzina!”. Pronunciò quelle ultime parole con amarezza, odiava il fatto che il suo destino si trovasse nelle mani e nella coscienza di una mocciosa con meno della metà dei suoi anni.

“Suvvia Enrico! Non ti scoraggiare in questo modo, vedrai che con le lettere di quel bastardo non ricevute, la fiamma che accendeva quel cuore così innocente si è spenta ormai… Non può avere tanta forza di volontà alla sua età!  Sono sei mesi che non ha più sue notizie, crederà al nostro inganno. Poverina… quando saprà che il suo dolce Edgardo è pazzo per un novello amore e l’ha dimenticata una volta per tutte!”, il tono di Normanno ora era beffardo più che mai.

“La senti? Questa è lei… Presto porgimi quella dannata lettera prima che ci scopra! Esci dalla porta qui dietro, e va’ da Arturo per condurlo con tutti gli onori nella mia casa!” sussurrò il Lord agitato.

In tutto questo tempo, i due amici avevano fatto sì che le dolci lettere d’amore fra i due innamorati non potessero giungere l’uno all’altro; quando Edgardo inviava centinaia di missive dal territorio franco, e Lucia eseguiva la stessa procedura, Enrico e Normanno con qualche infernale stratagemma le intercettavano in un modo o nell’altro, per poi bruciale senza lasciarne traccia. Con questa crudele menzogna la vita di Lucia era andata avanti dal’ultimo incontro con il suo amato, struggendosi per la sua sorte e soffrendo tutte le pene inimmaginabili del suo cuore senza alcun conforto, neanche quello di Alisa a cui non aveva avuto il coraggio di raccontarle le promesse scambiate in quell’ultima notte. Con passi leggeri, quasi impercettibili, l’alta porta della stanza si aprì, non con audacia come era accaduto poco prima, ma con timore, il minimo necessario a far passare l’esile figura della fanciulla.

“Eccomi fratello… Mi hai fatta chiamare?”

Quella debole figura femminile che si arrestò appena  poco superata la soglia, era Lucia. Quanto era cambiata in quei sei mesi, nulla era la sua bellezza in quel momento in confronto al fulgore che vi regnava vivo prima della partenza di Edgardo. La pelle bianca era smorta, i capelli lucenti spenti, le labbra esangui, ma ciò che faceva più orrore erano gli occhi spenti e smarriti nel dolore più mortale, e la voce che pareva più un sussurro in confronto al dolce suono melodioso che era stato. Molto era cambiato in lei, lo stesso Enrico lo comprendeva e lo vedeva con gli occhi, ne conosceva anche la causa, ma ciò non aveva fermato i suoi malevoli intrighi, continuava a contribuire all’orrore che lo spaventava in prima persona e la distruzione di un’anima pura.

“Lucia, mia cara sorella! Speravo vederti nella felicità più immensa in questo giorno: oggi si avvereranno tutti i tuoi desideri, la fortuna ti sorride, e nel migliore dei modi! Ma mi guardi e taci!”, temeva quale sarebbe stata la risposta.

“Conosci la causa del mio sguardo,  del mio mutismo, del mio pallore… Ti possa Dio perdonare un così inumano risentimento ed odio!” lo guardava con occhi truci e senza espressività, gli incuteva una paura infantile, forse per un celato rimorso.

“Dolce Lucia, m feci spietato a cagion di quell’indegno che pose le mire dell’Inferno su di te… dopotutto io sono ancora tuo fratello, l’ira non pervade più l’anima mia. Se io ho potuto questo anche tu puoi fare altrettanto: spegni quell’insano amore che ti pervase tempi or sono”.

“Il tempo della pietà e dell’abbandono è tardo ormai, presto giungerà inesorabile la mia fine!” esclamò girando il capo in segno di sdegno.

“ Potrai vivere di nuovo lieta…”

“Lieta! E come puoi dire a me cose simili?”

“Un nobile sposo…”

“Ah!” il dolore del petto si fece lancinante “Un nobile sposo? Io giurai la mia fedeltà ad un altro…”

“Non potevi compiere un atto simile!”

“Enrico!” gridò con voce straziata da tormento, sembrò che il suo sussurro fece tremare le solide pareti di pietra, quanto era tormentata.

“Ora basta!... Questo foglio ti dirà la verità, qual empio amasti per tutto il tempo, quale demone crudele. Leggi!”

Impaziente della sua ostilità, Lord Ashton porse a Lucia la lettera che gli aveva consegnato poco prima Normanno, il colpo fatale per quel fragile cuore: una falsa lettera del giovane Ravenswood con l’ammissione di un tradimento al suo giuramento di sposo. La fanciulla prese la carta tra le mani tremanti, non poteva essere una lettera del suo sposo, non voleva crederlo… ora, in quel momento avrebbe letto la sua cara calligrafia, lo avrebbe sentito di nuovo con sé.

“È sua? Di Edgardo?” domandò senza respiro e tenendo gli occhi fissi e supplichevoli sulle mani.

“Sì, è sua… Coraggio leggila!”la incoraggiò malignamente.

Lucia iniziò a interpretare i singoli caratteri con sempre più smarrimento. Il testo così diceva…


Cara Lucia,
so quanto piacere possano farti queste parole dopo mesi e mesi della mia assenza da te. Tutto purtroppo non è bello come sembra, e questa lettera non fa eccezione a questo pensiero. So quanto ci siamo amati, so quale sentimento tu provi per me… Ma non posso fare a meno di informarti che il mio pensiero è mutato dal nostro ultimo incontro, sin dal momento in cui viaggiai sulle severe navi verso la Francia. Il mio amore per te è cessato per sempre, in realtà è come se non ti avessi mai amato, perché il rimorso non corrode la mia coscienza. Ho deciso di convolare a nozze con una giovane principessa francese , e proprio grazie a questa che devi le mie ultime parole per te. Vivi la tua vita senza indugio, fa che io non ci sia mai stato per te, è ciò che io stesso ho pensato e messo in atto.
Addio per sempre
Edgardo

 
“O mio dio!” furono le uniche che uscirono dalle labbra morte della ragazza prima di far cadere il foglio ai suoi piedi. Il corpo era diventato instabile, si dondolava lentamente rispecchiando fisicamente i pensieri confusi e febbricitanti che le si stavano ponendo nella realizzazione di quel calvario. Rifiutava di credere a quelle parole, ma la calligrafia era la sua, i pensieri no… Lui non poteva averle fatto questo, non dopo le loro promesse. Ma l’aveva pugnalata al cuore come nessun altro…

“Sorella, tu vacilli!”, e l’uomo accorse in suo soccorso prima che potesse svenire eternamente per non risvegliarsi più. La prese per il busto e la trascinò sul divano di velluto rosso vicino alla loro destra, preoccupato per quel che poteva causare la sua meraviglia, avrebbe potuto far davvero saltare tutto il matrimonio. Aveva pensato a rabbia, a smanie, non ad una fredda e lenta morte dell’anima.

“No! No! No! Soffrii per lui, patii le pene dell’Inferno in attesa del suo ritorno a me, al mio amore… E lui ha giurato ad altra la sua anima… No! Edgardo, perché? Perché?” piangeva e si dimenava disperata mentre il fratello invano tentava di controllare i suoi movimenti folli tanto da ferirlo graffiandolo. 

Le grida d’amore si soffocarono in sommessi gemiti e profondi singhiozzi, Lord Ashton sapeva che quello era il momento di agire, il momento in cui avrebbe plasmato i suoi piani nell’inconscio della sua vittima, il momento in cui avrebbe trionfato finalmente sul suo Destino. Ad aiutarlo con la sua perfidia, vi fu anche il caso e la coincidenza: la festa delle imminenti nozze era cominciata, suoi allegri, danze, pettegolezzi e risate allegre ondeggiavano dal piano di sotto al gabinetto. Lucia fu scossa da tanto clamore, non si era nemmeno accorta dell’arrivo di quegli intrusi nella sua dimora, tanto era l’alienazione di cui si era inesorabilmente circondata. Fu scossa dal suono della musica, spaventata da tutta la gioia che lasciavano trasparire quelle note, così diverso dal malinconico lamento della sua anima.

“Cos’è stato?” chiese spaurita.

“Senti la musica suonare la felicità di tale giorno?”

“Ebbene?” domandò ancor più debole.

“Giunge il tuo futuro sposo!” esclamò il fratello trionfante.

“Cosa? Santo cielo!” gli occhi di Lucia erano terribilmente sbarrati.

“Sempre più vicino è a te il talamo!”

“No! Sempre più vicina mi è la tomba!”, a questo punto la giovane aveva avuto la forza di alzarsi e porgersi una mano sul cuore, quasi come se dentro di lei qualcosa fosse stato per rompersi.

“È un momento fatale questo!  Fa’ quello che ti dico, o crederei a questo punto che mi odi! Guglielmo è ormai morto, a lui succederà Maria, è giunta l’ora che io segua un’altra fazione: quella vincitrice! Soltanto può salvarmi dal precipizio in cui cadremo insieme Lucia!”

“Ed io cosa dovrei fare?” chiese disperata.

“Salvarmi! Salvare l’unico tuo fratello, salvare i ricordi sereni che conservi di queste mura… tutto!”

“Ma…”


“Sei costretta ormai!... Ricorda: rifiuta e sarà come se la scura avesse mozzato la mia testa. Il fantasma del mio rancore verrà a tormentarti nel sonno, senza alcuna pietà… Il sangue che macchierà le tue mani, anche se lo toglierai via migliaia di volte, ritornerà e con esso anche il mio fantasma!”. Lord Ashton si era alzato in piedi, tanto era il suo furore dinanzi a tale cocciutaggine, Lucia dallo sgomento si era buttata in ginocchio ai suoi piedi, tremando, piangendo, imprecando lo sguardo di pietra del suo stesso sangue.

“Ti prego!... Ti prego! Se mai sai cos’è l’amore, ho ne hai una vaga immagine, ti prego non farmi fare una cosa del genere! O Signore…” ora si rivolgeva al cielo e agli angeli “se mai vedrai il mio pianto, fai cessare le mie pene, il mio petto non regge più a simili angosce. Dammi la morte, ora!"

Nulla poteva le preghiere della fanciulla per il cuore malsano di colui che la stava uccidendo per davvero, Enrico sembrava più infastidito a quel pianto, a quella disperazione, non sopportava e né aveva il minimo rimorso a darle il colpo di grazia. Non resistendo più alla scena che si presentava ai suoi piedi, si scansò dalla poverina e con fretta lasciò la stanza con il rimbombo della porta che fece tremare le fredde pareti.

Lucia con lenti e gravi movimenti riuscii a trascinarsi fino ad appoggiarsi sui cuscini del divanetto dove si era seduta con suo fratello.

Arturo… Arturo Bucklaw… No! Non posso farlo! È così diverso da lui, non ha nulla di lui! Il carattere, l’aspetto, la passione… E’ un completo sconosciuto, anche se mi ha sempre trattata con rispetto e cura… Ma sposarlo! Come potrei? Dio aiutami! Dimmi cosa fare nella mia terribile penitenza! Posso solo sperare in un ultimo tentativo, un’ultima rivelazione…”

I pensieri della futura sposina furono interrotti dallo scricchiolio della porta mentre si apriva, pensava che fosse il fratello con un probabile ripensamento, ma le aspettative tacquero quando il vecchio precettore Raimondo fu al suo cospetto. Con un ultimo sforzo si alzò e andò verso  Bibedent tendendogli le mani per sostenersi ad un’altra possibile  gioia o dolore.

“Quindi?” chiese allarmata scrollandosi dal viso le lacrime piante.

“Nulla… Anche l’ultimo raggio di speranza tramontò per te, cara Lucia! Credei anch’io al tuo sospetto, a tuo fratello che chiudeva ogni strada per il tuo amore nel territorio franco… Io stesso gli feci recar una lettera da te scritta ma invano… Lui tace e tacerà per sempre a questo punto, è vivo e il suo silenzio parla per la sua infedeltà!”

“Cosa mi consigli allora?”, stimava realmente la sua opinione.

“Di abbandonarti al destino...”

“Ma… il mio giuramento! Che cosa ne sarà!”

“Non preoccuparti bambina, i voti nuziali non benedetti da un ministro di Dio, non valgono né in Cielo né in Terra! Non hanno alcun valore…”

“Sento la ragione sovrastare il cuore, ma questo è così saldo! Non riesco a liberarmene!” sospirò delusa.

“Deh… Devi vincerlo! Arrenditi, sciagure ancora più grandi vi saranno per te se non lo farai. Ti commuovano le mie cure, i tuoi genitori morti, il pericolo di un fratello… Tua madre tremerebbe d’orrore se contrariassi la fortuna della tua famiglia!”

“Ah!” sembrò arderle la testa “Non sono così sciocca di fronte tutto ciò. Hai vinto, mio fratello ha vinto… “

“Quale gioia tu desti in me, hai placato il mio animo… Non preoccuparti del dolore che avrai, il Cielo ti ripagherà nel’altra vita. Vi è un Dio a questo mondo che asciugherà il tuo pianto!”

“Guidami tu, io da sola non ce la faccio. La vita sarà per me un lungo calviaro a partire da ora in poi!”

I due si abbracciarono solennemente, e ritirandosi nella sua camera da letto, Lucia cominciava a vedere immagini di fuoco che l’avrebbe ferita per tutti i suoi giorni. Il loro tocco era gelido, ma sapeva che dopo quella notte si sarebbe fatto sempre più caldo, fino a bruciare il suo corpo nelle fiamme dell’Inferno.
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Sventurata scelta ***


Sventurata scelta


Il grande salone delle feste del Castello Ashton era addobbato di ogni sfarzo per il lieto evento che si sarebbe svolto da lì a poco, tutti erano accorsi da ogni dove per accorrervi. Le voci sulla fortuna di quel matrimonio e della bellezza dei due sposi non avevano pari, anche i nemici più infimi delle due casate per la curiosità della vista erano giunti ponendo l’ascia di guerra. I risultati tanto aspettati da Lord Ashton non avevano tardato ad arrivare, il suo progetto già prima di aver avuto luogo, si stava compiendo. Gli ospiti rimanevano incantati dalla meraviglia ai loro occhi: i dipinti alle pareti degli antenati tanto gloriosi della famiglia come per magia sembravano prendere vita, gustose prelibatezze esotiche si trovavano sparse sul lungo tavolo, fiori di ogni genere ornavano anche gli angoli più remoti della sala. Un brusio pieno di lodi e invidia sempre più crescente popolava tra le figure elegantemente vestite, tra queste ve ne era una che si distingueva non solo per lo sfarzo, ma soprattutto il fine portamento: era Arturo Bucklaw. L’alto giovane indossava un magnifico abito da cerimonia bianco e dorato, con perle, oro e fastosi ricami, sulle sue spalle vi era un morbido e imponente mantello color della senape, però a catturare l’attenzione di tutti non era di certo quello.

Pur essendo un giovane di appena ventotto’anni aveva vissuto, viaggiato e conosciuto, tutto del suo aspetto lo faceva intendere: i capelli neri come le nubi scure nelle tempeste dei mari che aveva solcato, occhi celesti come il cielo sereno che contemplava da vincitore, bocca sinuosa, mascella possente. Si poteva semplicemente affermare che fosse la figura di Lucia impressa in un uomo di onore come lo era Arturo, tutte lo volevano al suo fianco tranne la sventurata giovane che gli era stata promessa.

Da una delle numerose porte secondarie uscì Enrico in tutta la sua altezzosità, anch’egli indossava un abito assai ricco, e dopo tanti anni aveva avuto modo di sfoggiare l’enorme spilla degli Ashton con sopra impresso il suo simbolo d’onore: una rosa avvolta da spine. Arturo, voltandosi, vide il futuro cognato andargli incontro; i due si abbracciarono senza riserve, come se fossero fratelli che da tempo erano stati separati e dopo mille guerre e tormenti si rivedevano esulando di gioia.

“Oh! Enrico…” iniziò Arturo lusingato “ancora per poco la tua stella sarà circondate dalle tenebre, la farò risorgere ancor più luminosa e bella che dal principio. Tu mi porgi la mano, stringi il mio cuor col più dolce degli affetti… Qui, oggi ti vengo amico, fratello e difensore della tua casata e del tuo onor. Ma dov’è la mia dolce sposa? Quanto a lungo devo ancora aspettare per incontrarla?”

Il giovane porse quest’ultime due domande con fretta ed eccitazione che smascherava la sua felicità per ciò che gli aveva concesso: Lucia e il suo amore. Enrico sapeva che Arturo sarebbe rimasto di stucco quando avrebbe visto sua sorella come uno spettro, ma doveva pur rincuorare quell’animo furente che solo un giovane poteva possedere.

“Giungerà, giungerà ben presto da te… Non rallegrarti troppo amico mio, perché se in lei scorgerai un’afflizione dell’anima è causata dal solo dolore per non avere oggi accanto a sè la madre morta”

Gli occhi di Lord Bucklaw si incupirono a quelle parole, ma ciò che fece raggelare il sangue del suo compagno fu più lancinante di quello che immaginava.

“Enrico, sai bene che io non mi ritirerei mai da ciò che ti ho promesso, dal prendere in moglie Lucia, ma devo sapere.” Lord Ashton si irrigidì, aveva compreso di cosa stava parlando dal suo tono.” Corre voce che Edgardo, l’ultimo dei Ravenswood, posò lo sguardo sulla bella figura di Lucia. È vero?”

Senza il minimo sentimento l’altro rispose “Sì, è vero, quel folle ha osato”

“E lei, Lucia, ha ricambiato quello sguardo?” domandò serio.

Enrico stava per rispondere di no, mentendo anche dopo la scena a cui aveva assistito prima di quel falso giubilo, per rassicurare la sua unica fonte di salvezza dal precipizio, ma fortunamente qualcosa accadde. Lo stupore si diffuse in tutto il salone, un silenzio tombale era calato da padrone, tutti gli occhi puntati in direzione di una bianca figura che aveva appena varcato la soglia dell’imponente portone di legno: era Lucia avvolta in un sontuoso abito nuziale.

Man mano il mormorio ricominciò a diffondersi tra gli spettatori che contemplavano ed esaminavano la giovane con piacere immenso. Lucia indossava l’abito da sposa della madre, ancora bianco e candido, con le antiche perle risparmiate dall’insufficienza di denaro ed elaborati pizzi che la circondavano riempiendo il vuoto della sua mente. I capelli erano stati gelosamente raccolti, lasciandole scoperto il viso pallido e smunto, con le guancie scavate; un lungo ed etereo velo la perseguitava ad ogni minimo passo con lo strascico di seta che le appesantiva l’andatura.

Quando tutti ammiravano la futura sposa, Arturo compreso, solo il preoccupato fratello temeva che non sarebbe apparsa bella almeno il necessario. Con dietro la fedele Alisa, la fanciulla scese incerta i tre gradini coperti dal velluto rosso di un tappeto, per poco avrebbe retto a quell’esame, sarebbe crollata improvvisamente se suo fratello non le si fosse avvicinato sospingendola con una mano sulla vita. La avvicinò ad Arturo, sentendo sotto la stoffa i brividi che le percorrevano violenti la schiena.
“Ecco il tuo sposo, sorella…” esclamò con cautela.


La giovane fece per arretrare alla vista del suo sposo, spaventata, inorridita allo sguardo pieno d’amore di lui che estasiato la osservava con tutta la sua tenerezza. Con l’astio ritornato, Enrico accostò le labbra all’orecchio velato di bianco.

“Sciagurata! Vuoi perdere l’unico caro della tua famiglia? Vuoi bruciare nelle fiamme dell’Inferno?”le sussurrò minacciandola.

Con lo sguardo assente e sospirando di fatica, si liberò dalla stretta nemica del suo stesso sangue e accolse la mano di Bucklaw nella sua. Sussultò a quel contatto, la sua pelle fredda come il ghiaccio e quella di lui calda come le braci, tremò, e qualche lacrima di tristezza fu ritirata dalle palpebre violacee.

“Spero mio bene, che accoglierai con tutto l’animo i voti, la fede e la costanza del mio amore per voi, Lucia”

La sposa lo guardava impietosita, vedeva che pur essendo destinata ad un matrimonio combinato la fortuna le aveva sorriso, per così dire. Vedeva sfocati i bei lineamenti dell’uomo, riconosceva che fosse molto bello, ma non lo amava nonostante il grande sentimento per lei si manifestava in ogni sguardo e gesto che Arturo le dedicava.

Enrico lentamente si avvicinò ad un tavolo al suo fianco, su cui vi era un foglio finemente decorato da cui traspariva tutta l’importanza che celavano le parole impresse con l’inchiostro nero: il contratto di matrimonio. Firmandolo per primo, Lord Ashton venne subito seguito dal giovane che pose anch’egli la sua firma sotto la sua, l’unica che mancava era quella della giovane. Lucia sorretta dalle mani della sua damigella e del vecchio Raimondo, avanzava verso lo splendente patibolo dorato ansimando.


Oh cielo… Io vado al sacrificio… il mio nome sarà la mia condanna eterna pensò quando prese fra le deboli dita la bianca piuma d’oca.


Il precettore la osservava timoroso di un crollo di quell’anima pietosa dinanzi a tutti, pregava di resistere, di avere speranza ma invano.

“Coraggio, non  esitare: scrivi!” sussurrò una seconda volta il padrone di casa alla vittima.


Sciagurata me... disse dentro di sé  impregnando l’ultimo spazio vuoto della carta con l’inchiostro  Ho condannato la mia sorte ora!


Suo fratello prese nei polmoni una gran quantità d’aria, la sua salvezza era ormai definitiva e senza sosta; Lucia faceva segno di mancare, si era fatta ancora più pallida, sembrava un cadavere ritornato in vita. Gli applausi e le esclamazioni di gioia si fecero sentire nonostante la tragica vista di quel’angelo bianco, ma nessuno sembrava curarsene; risate, espressioni sorprese e congratulazioni si mischiarono al chiasso che proveniva da dietro la porta, grida umane a stento trattenute. Gli invitati ricaddero presto nel muto silenzio dell’incredulità, apparteneva ad un uomo quella voce quasi demoniaca, chi mai poteva disturbare un così lieto evento? Si pensava.

L’unico strepitio udibile a tutti fu di un gruppo di dame che sdegnate si lasciarono scappare: “Che fragore, chi osa disturbarci in siffatta maniera?”

La porta si aprì e al cospetto dei nobili apparve una figura coperta da un mantello da viaggio e un grande cappello da cui spiccava una piuma bianca che copriva il suo volto. Con furia indicibile dal quel corpo risuonò “Edgardo!”, e la sua voce fu seguita dall’eco di ognuno che pronunciava quel nome maledetto.

Lucia, rimasta immobile al suo posto, osservava quelle care sembianze come se fossero state l’ennesimo scherzo della sua mente, ma vedeva che tutti coloro che erano lì con lei erano rimasti di stucco: lui era tornato, questa volta era vero. Colpita dallo sconvolgimento del suo cuore, la fanciulla cadde svenuta senza alcun segno di vita sul volto, Alisa con altre Dame vennero in suo soccorso cercando disperatamente di farla risvegliare scuotendola leggermente. In quella situazione Enrico si ritirò nei suoi pensieri appoggiandosi al tavolo di legno, volgendo lo sguardo prima a Lucia, poi al suo furioso acerrimo nemico, sconvolto da quell’apparizione.


Chi mi può fermar dal mio furore e dal brandire la mia spada su tale ignobile? Ho sentito un grido disperato dalla misera che portai fino a questo punto. Che cosa ho fatto? Il mio sangue… Io l’ho tradita ed ingannata! Sta tra la vita e la morte!... Ah, sento già il dolore del rimorso riempirmi il petto e il cuore!


Anche Edgardo pensava osservando la scena  dinanzi ai suoi occhi.


Cosa mi frena in un momento tale?... Chi ha fermato il mio spirito arso dalla rabbia?... La guardo, lo spavento e il dolore che le si sono dipinti sul volto  sono la prova del suo rimorso, il rimorso dell’ingiustizia che ha compiuto contro di me! Si trova tra la vita e la morte… ma quando incrocio la visione del suo volto non posso fare almeno di arrendermi all’amore. Nonostante tutto i ti amo ingrata! Sì, ti amo ancora!

Intanto Lucia si era rinvenuta ed alienata vagava nel buio della sua mente, di nuovo.


Speravo che la morte avesse troncato la mia vita, ma nulla… perché Morte non vieni da me ? Perché?... Vivo ancor per subire il mio tormento eterno! Vorrei piangere, ma non posso… Ah! Non ne sono capace perché ho consumato tutte le lacrime che una vita terrena possa piangere!


Durante tutto ciò, il fedele amico e protettore di Enrico, Nomanno, era sgusciato fuori dalla sala senza farsi notare. Aveva fatto chiamare i cavalieri al suo comando in modo che cacciassero via l’intruso, da lui tanto odiato quanto dal suo padrone. Ora, rientrato, aveva fatto accerchiare Edgardo che nemmeno si era accorto del pericolo, tanto era assorto ad ammirare la sposa. Solo la voce dell’uomo lo risvegliò da quella trance.

“Vattene via, sciagurato! Se non farai quanto detto il tuo sangue sarà versato!” alla minaccia i cavalieri puntarono le spade verso l’intruso.

“Morirò allora, ma col mio scorrerà anche altro sangue!” rispose Edgardo sguainando anch’egli la spada.

Preso dalla forza di volontà quando tutti rimanevano di pietra dinanzi alla strage che si sarebbe compiuta tra poco, Raimondo con le sue flebili membra si interpose tra il giovane minacciato e le guardie della famiglia che serviva da lungo tempo.

“Rispettate la potenza di nostro Signore!” esclamò autoritario “In suo nome vi comando di deporre le armi e l’ira! Pace, pace!... Egli odia coloro che compiono il delitto mortale!E ricordate di chi spada ferisce, di spada perisce!”

Alle parole del vecchio, tutti intimoriti riposero l’armi, il silenzio giaceva nuovamente, l’unico rumore che si sentì furono i passi di Enrico che si affrettavano verso la figura di Edgardo con sguardo bieco.

“Allora Ravenswood, cosa ti porta al mio castello? Cosa ti ha fatto avere tanto coraggio da permetterti di varcare la mia soglia?”gli  domandò truce.

“La mia sorte, il mio diritto di marito… sì: Lucia giurò a me la sua fedeltà eterna” rispose con tuta la sua fierezza.

“No! Tu non hai alcun diritto! Questo amore di cui parli non ha alcuna speranza di esistere! Ella è di altri, non tua” tuonò Bidebent senza che nessuno se lo aspettasse.

“Di altri…No! No! Questo non è possibile!”

“Deh… Mira tu stesso”, gli porse il contratto appena firmato .

Lo lesse repentino, sospirando ad ogni frase finchè non fu scosso dalla vista di qualcosa.

“Sono parole scritte di tuo pugno quelle che leggo e mi mostrano la tua firma…” si rivolse a Lucia “Che cosa ti prende? Tremi? Ti confondi? Rispondimi! Son tue cifre queste? ”la voce si era fatta maligna.

“Sì…” ammise la fanciulla chiudendo gli occhi per la vergogna.

“Tieni allora! Riprenditi il pegno del tuo amore, mostruoso angelo! E rendimi il mio!”

Buttò con disprezzo l’anello nuziale che si erano scambiati il giorno del loro addio, nulla più contava quell’oggetto per Edgardo se non poteva avere il suo amore, la sua Lucia che lo aveva meschinamente tradito..

“Lasciami almen un tuo ricor…”


“Rendimelo!” disse non lasciandola finire la sua frase, Lucia pose l’anello che ancora portava al dito nelle mani dell’uomo che tanto aveva amato e che amava ancora in quell’istante. “Hai tradito il cielo e l’amore! Maledetto sia l’istante che di te mi rese amante… Amante della tua stirpe corrotta, traditrice, abominevole! Dovevo fuggire da te non appena ti vidi la prima volta…  Possa Iddio punirti nel più crudele dei modi!...Ah!”.


Gettò l’anello che gli era stato dato e in segno di spregio e lo calpestò con espressione posseduta dal Diavolo.

“Esci! Corri più lontano che puoi Edgardo! Quella tua testa così fiera lo sarà ancor di più quando cadrà staccata dal tuo corpo… Solo in questo modo il tuo oltraggio sarà lavato!”

“Trucidatemi! Fate uno scempio del cuore di un’anima tradita come la mia! Date la dolce vista del mio sangue su questa soglia così addobbata, fatelo per l’empia che osai amai! Calpestando il mio cadavere, lei s’appresserà all’altare più lieta!” gridò facendo cadere la spada e offrendo il petto ai nemici.

Lucia era caduta in ginocchio sentiti quegli accenti così addolorati e pregava, pregava che Edgardo trovasse la ragione, tornasse in sé in quel dolore che aveva colpito entrambi. Teneva le mani intrecciate sul petto, alzò lo sguardo implorante ad Alisa, Raimondo e alle Dame che le avevano prestato soccorso: voleva dirgli di farlo tacere, di fargli smettere il suo atroce supplizio, ma non ne aveva la forza.

“Edgardo”, ora era Alisa a parlare, compresi i pensieri della fanciulla “Allontanati, accetta lo stato delle cose, rispetta lei se dici di averla amata così tanto! A volte un grave tormento apre le porte alla gioia più grande… Pensaci!”

Raimondo sosteneva senza tregua la sua alunna, le altre Dame impietosite da tanto strazio la circondarono, aiutandola a nascondere le lacrime che sgorgarono dai suoi occhi mentre le guardie e tutti gli ospiti incalzarono il suo amore perduto senza dargli via di scampo e di libertà dell’animo.                                                                                                                                                                                                                           



Angolo autrice:
Salve a tutti quelli che leggono la mia storia...Bene, si è giunti ad un punto essenziale della storia: EDGARDO è RITORNATO, ed ora????? Si vedrà... C'è l'introduzione di un nuovo personaggio: Bucklaw, che pensavo davvero come un Ian Somerhalder del passato, Enrico invece come Henry Cavill....Vorrei dei vostri pareri perchè il capitolo non mi convince moltissimo, sopratutto nell'esposizione... Anche se lo trovo molto monotono in realtà ha un grande significato poichè Lucia mostra in questo momento di non essere proprio in sè, e chissà cosa accadrà... Il prossimo capitolo sarà il più importante e significativo... Per non perdere tempo, ho deciso di non continuare la mia storia se almeno in questo capitolo non ci saranno 4 recensioni....
Detto ciò, grazie per la lettura <3 <3 <3                                     
                                                                                                 

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Capitolo 5
*** Pazzia ***


Pazzia

Dopo una lunga contrattazione fatta di sole e violente grida, a Edgardo non rimase che tornare alla disperata quiete e solitudine della sua amata dimora. Non aveva alcuna intenzione di tornare nel lusso dei suoi saloni, delle camere da letto, degli studi: tutti quegli ornamenti sfarzosi gli ricordavano terribilmente del perché era stato sul punto di impazzire e cedere alla follia. Era per la loro ricchezza, per la lotta che ne era derivata rse lui e la sua amata ora sarebbero stati divisi per tutta la vita; neanche la morte avrebbe posto fine a quel supplizio, era sicuro che anche nelle terre del Paradiso, quell’insulso onore ed odio che li aveva circondati, li avrebbe trattenuti su due sponde diverse: troppo vicini per non toccarsi, troppo lontani per farlo. Ora si trovava nell’abbandonata torre di Wolferag, facente parte dei suoi possedimenti. Era il luogo in cui veniva a giocare da bambino, studiare, fare tutto ciò che lo rendeva felice, sperava davvero di ritrovare un po’ di calma nella sua anima con quei gioiosi ricordi, ma invano. Dopo quel crudele tradimento, avrebbe dovuto odiarla e pensare ad ella come la meretrice più ingannevole che avesse mai conosciuto, ma non ci riusciva: pareva che l’amasse ancora di più a quel suo gesto, che la volesse accanto a sé in quel momento più di ogni altro. Ah! Quella maledetta riusciva a perseguitarlo ovunque, eppure aveva un recondito desiderio che fosse così. Quando entrò in quell’edificio malconcio, la polvere lo investì in volto come un’onda, e l’odore del chiuso di tutti quegli anni invase le narici che a malapena potevano inspirare aria. La sola luce della notte illuminava la stanza attraverso i vetri rotti e dismessi delle finestre, ma non sarebbe stata ad ogni modo di alcun aiuto: ricordava ogni minimo particolare di quel piccolo mondo di scoperte e giochi.  Vi erano rimasti intatti soltanto una grande seggiola e un lungo tavolo di legno, questo era l’arredamento che lo circondava, senza nessun camino dove poteva essere acceso del fuoco: era il ritratto della sua vita, prima felice e nuova, ora vuota e senza la possibilità di accendervi una nuova ardente passione per la vita. Spossato dalle numerose angosce, si accasciò senza vita sulla seggiola ancora robusta ed inconsciamente iniziò a pensare…

Quale orribile notte… La più orribile che possa mai avvenire ad un uomo terreno e sognatore come me…

Un fulmine si manifestò all’improvviso nel cielo, illuminando di bianco tutto intorno al giovane e facendo tremare la terra con il suo tumulto. Da quello sfogo si generò un violento temporale…

Si tuona o cielo, sconvolgi l’ordine della realtà in ogni dove del mondo… Ma cos’odo? No, io l’ho sentito… È lo scalpitare di un cavallo che qui s’appresta!...Ecco, è fermo… Ma chi oserà mai sfidare tale tempesta nell’ira più violenta del suo nascere?...

 “Chi è là?” esclamò ad alta voce alzandosi.

La porta si aprì mostrando una cupa figura a lui tanto conosciuta e temuta che primeggiava tra i lampi: Lord Enrico.

“Ashton!... Voi! Quale sfrontatezza!”

“Anche tu venisti sotto il mio tetto, e non fui costretto a vederti?” rispose arcigno.

“Non tremi? Ancora qui si aggira lo spettro del padre mio che pare fremere… Questo luogo, la mia dimora, spira per te soltanto morte… il terreno trema per te! Dovresti palpitare a varcare questa soglia che per te è la discesa verso la tua stessa tomba!” gli intimò.

“Sai, Lucia è stata condotta all’altare e quindi questa sera avrà la sua prima notte di nozze…” disse con fare malefico.

A quella frase il povero giovane non potette che sopprimere un grido di dolore: la sua Lucia con un altro uomo! Qualcuno che le avrebbe tolto le vesti e toccato ogni centimetro del suo corpo, della sua bella pelle diafana! Quel corpo che avrebbe dovuto essere suo, e con esso la sua anima. La fitta al cuore riaperta con colpi di spada dal suo nemico, era divenuta insostenibile, faticava a respirare  e pensare lucidamente.

“Perché sei qui? Che cosa vuoi da me?” domandò truce e dolorante al tempo stesso.

“Hai recato l’offesa più grande alla mia famiglia, ormai la mia spada pende sul tuo collo. Nessun altro ha più diritto di me ad ucciderti… Tu sai chi deve svenarti!”
“So soltanto che promisi a mio padre di portargli il tuo freddo cuore!”

“Tu! Come osi, ragazzino!” esplose Enrico sgomentato da quella risposta così inaspettata.

“Quando?”

“Alle prime luci dell’alba…”

“Dove?”

“Fra le tombe dei Ravenswood, così non avranno il disturbo di seppellirti…”, sorrise beffardo.

“Verrò” fu la risposta gelida e secca di Edgardo che bramava l’unica cosa che gli era rimasta: la vendetta.
 
Intanto, mentre fra i due aveva luogo quella terribile conversazione, al Castello Ashton i festeggiamenti erano stati ripresi più allegri e rumorosi di prima. Il chiacchiericcio degli invitati riempiva di nuovo la stanza da quel silenzio tombale al quale erano stati costretti poco fa, la musica sembrava voler far dimenticare quell’infima tragedia. Il vino nei calici scorreva come acqua di fiume, il ticchettio delle scarpe delle dame che ballavano creava uno stano ed incostante ritmo, tutto sembrava volgere al meglio, come avrebbe dovuto essere. L’intera comitiva voleva ostentare la sua potenza dinanzi al mondo con quella fortunata unione che avrebbe dato ancor più magnificenza al regno di Scozia. Quell’allegria nascondeva tuttavia un fatto ancor più spaventoso, nessuno poteva mai arrivare ad immaginare tanto. Quando i liuti e le chitarre continuarono a suonare, il grande portone dal quale era entrato lo sventurato Edgardo, si aprì di nuovo, portando con sé un’onda di vento che spense quasi tutte le candele presenti, lasciando il salone nella penombra. Questa volta ad uscirne e sconvolgere gli invitati era il vecchio precettore Raimondo, che con affanno ed occhi sgranati entrò sconvolto, sorreggendosi a malapena su una sedia al suo fianco. Il silenzio tanto abietto ricadde di nuovo, ma ancor più spiacevolmente a causa della vista così penosa di un vecchio che, degno di stima, aveva davvero qualcosa da raccontare, qualcosa che andava oltre i limiti umani.

“Cessate… Cessate tale giubilo! Cessatelo!” gridò tormentato con la mano al cuore.

Un nobiluomo dall’aspetto gentile e preoccupato gli si avvicinò per chiedere spiegazioni all’ennesima interruzione dei festeggiamenti, ma con davvero molto timore.

“O cielo!” esclamò vedendo il volto di Bucklaw, “Qual è la causa di tale pallore? Cosa è successo buon Raimondo?”

“Un evento… un terribile evento che nessuno poteva mai immaginare Un’opera del Diavolo stesso!.” Rispose debolmente.

Il terrore pervase tutti di nuovo, e un freddo glaciale prese quei cuori pieni di giubilo. Raimondo, ora sedutosi ma pur continuando sempre a tremare, prese a raccontare lo sventurato evento.

“Condussi la bella Lucia nella stanza nuziale… Oh quanto era bella in quelle vesti bianche e candide come la sua anima: pareva un angelo disceso in cielo. Da lontano si udivano i vostri lieti festeggiamenti, il corridoio era vuoto, e soltanto due guardie erano appostate fuori il balcone. Tenni la sua mano fino a che non raggiungemmo la porta di quella camera; non mi guardò nemmeno, entrò senza emettere neanche un sospiro o una parola. Era la sua prima notte di nozze, era naturale che fosse davvero spaventata no? Ma mi allontanai timoroso, varcai la soglia del lungo corridoio e lo sentii.. UN URLO! Un terribile urlo di morte, un urlo di terrore, ma non proveniva da Lucia… Corsi più che potevo, aprii la porta e lo vidi… Abbia il cielo pietà delle loro anime! Sangue, sangue in ogni dove del letto , per terra… e Lucia sporca di sangue con un coltello in mano. Lo aveva ucciso… Lo sguardo era ancora fisso sulla sua vittima e quando si spostò su di me, era immerso dallo smarrimento più totale e flebile mi domandò “Dov’è il mio sposo? Chi è costui?”. Fuggii da lei… Non lo capite? Ha perso il lume della ragione! E’ diventata pazza!”

Tutti rimasero atterriti, non si riusciva a pronunciare parole adatte a tanta angoscia e mostruosità. La scena era rimasta immobile per alcuni secondi, ma ecco che una risata di gioia di una voce cristallina invase con i suoi sonori echi la cupa stanza . Dal buio dei recessi del corridoio, la luce man mano rischiarò una figura aggraziata avvolta da migliaia di veli bianchi e alla cui altezza del cuore partiva una sontuosa scia di sangue rosso rubino: la sposa.

 Si muoveva quasi danzando, facendo giravolte e canticchiando talvolta una melodia sconosciuta; arrivò così da tutti gli altri che la osservavano con sgomento. In altre circostanze avrebbero detto davvero che era un angelo caduto in terra, ma il pallore del suo volto la faceva assomigliare ad una morta appena uscita dalla bara. Giunse al centro della stanza con quel suo terribile sorriso di gioia nascosto dalle chiome scomposte che la celavano in parte la sua pazzia dagli spettatori. Inclinò la testa e come attratta, osservò il soffitto  e sorrise di beatitudine e cominciò…

“Il dolce suono della sua voce… Eccola. Ah! Quella voce è dentro il mio cuore… Edgardo, mi arrendo al tuo amore! Sono qui solo per te, sono fuggita da ogni tuo nemico, da ogni nostro nemico… Che freddo è mai questo? Mi invade il petto… ma ecco ti avvicini, sei qui vicino a me!”

In un istante la sua espressione felice mutò in spavento, gli occhi sbarrati guardavano un punto indefinito del pavimento di pietra.

“Ahhh!” gridò “Il fantasma di quella donna… ci vuol separare, vuole tenerci lontani per sempre! Vieni qui con me, nascondiamoci… Abbracciami ai piedi del luogo in cui ci prometteremo amore eterno dinanzi a Dio!”

Ora si era seduta, si teneva le mani incrociate sul petto lo sguardo pieno di dolcezza. Allungò una mano e con un movimento simile a quello con cui si coglie un fiore, contemplando quell’oggetto della  sua immaginazione.

“Guarda quante meravigliose rose ci sono attorno… Il rito nuziale si avvicina, non la senti l’armonia degli angeli suonare solo per noi? Oh quanta gioia provo, quanto son fortunata!...Gli incensi ardono, splendono le sacri faci! Ecco il sacerdote, porgimi la mano... Oh il giorno tanto atteso è arrivato… Alfine son tua e tu sei mio! La nostra vita insieme sarà la gioia del mondo!”

Nella sala sopraggiunse allora Enrico, furioso e sgomento al tempo stesso. Aveva saputo dell’accaduto, della tragedia scatenata da quella “pazza”, così l’avevano definita i servitori che aveva incontrato appena entrato nel castello. Lo avevano condotto nel luogo del delitto, e neanche lui poteva credere allo scempio che la sua stessa sorella aveva compiuto. Aveva pensato che lo avesse fatto solo per fargli torto, per rovinarlo per sempre, ma ora la vedeva e capiva che aveva perso davvero il senno. L’odio tuttavia lo pervadeva fin nell’anima, lo provava verso il suo destino, verso quella creatura dall’aspetto tanto angelico che racchiudeva dentro di sé la pura malignità.

“Enrico!” lo chiamò Raimondo che si trovava al suo fianco.

“È vero… Ha davvero fatto tutto ciò?” domandò in un momento di sgomento.

“Sì, è vero”

“Ah! Perfida, quanto la odio… La pagherà cara!”

Stando per prendere la spada dal suo fodero, fece qualche passo a scagliarsi con violenza verso la fanciulla.

“Arrestati! Non vedi il suo stato?” gridò il vecchio trattenendo il suo padrone.

Lucia si girò in direzione del fratello mostrando tutta la sua ritrovata ingenuità.

“Enrico, che fai?” chiese con smarrimento.

“Oh Dio! Che pallore!Che cosa ti è successo?” esclamò con spavento.

“Oh, non mi guardare così fratello… È vero, firmai quel contratto… lui calpestò l’anello, mi maledisse! Oh Dio! Fui tratta in inganno da te, ma sempre ti amai! Te lo giuro, ma a chi mi desti in sposa?Arturo… Non andare, perdonami! La morte mi si appresta, almeno rimani affinché possa spirare accanto a te: il gelo già mi prende il cuor. Spargi con qualcuna delle tue lacrime la terra sotto la quale riposerò, ed io pregherò dal cielo per te!”.

“Portatela altrove, nelle sue stanze… Alisa, Raimondo non so nemmeno più io chi sono…”

Con l’allontanarsi del padrone di casa, anche tutti gli altri ospiti se ne andarono, portando con loro tutta l’allegria di cui erano dotati prima di tale evento. Nel salone rimasero soli Raimondo e Normanno, nemici anche in questa occasione…

“Traditore! Gioisci della tua opera!” esordì con odio Raimondo.

“Di che cosa parli?”disse incredulo l’uomo.

“Sei stato tu a far brillare la prima scintilla dell’incendio di dolore che ha infestato questa casa!”.

“Non avrei mai creduto...”

“Sei reo di questa colpa, il cielo ha già dato il verdetto sulle tue infime azioni… Ora vattene, e trema per il tuo destino!”

Bucklaw andando per la direzione delle camere raggiunse Lucia, mentre Normanno uscì dalla porta opposta, meditando sul terribile corso degli eventi che avevano portato a così tanto dolore.

Nel sentiero vicino il maestoso castello degli Ashton c’era Edgardo che si trascinava a stento tra le lapidi dei suoi antenati. Ora guardava quelle con desiderio di raggiungere tutti quei gloriosi uomini , ora guardava le luci irradiarsi dalle mura di pietra della dimora del suo nemico. Quanto dolore provava nel vedere tutta quella gioia che lo aveva portato alla miseria; sospirava e rivolgeva lo sguardo verso il cielo…

Oh! Tombe degli avi miei raccogliete gli avanzi di una stirpe infelice… La mia ira è cessata, non mi rimane che morire sotto la spada del mio nemico. La vita è un peso per me, nulla più conta se con me non vi è più Lucia… Il castello è pieno di luci, di giubilo… Ingrata donna! Mentre io mi struggo tu passi la notte beata tra le braccia del tuo consorte, io della morte… Il terreno tra poco mi darà una tomba negletta, e nessuna lacrima scorrerà su di quella. Anche tu, donna, ti dimenticherai di me, vieni almeno a riposare accanto a quello che fu il tuo vero consorte. Rispetta le ceneri di chi morì per te!                                                                                                                             
Aveva passato tutte le spoglie dei suoi gloriosi avi, e si era appoggiato sulla pietra dell’ultima, quella a lui più cara: quella di suo padre. Aveva poggiato la fronte sulla superficie fredda, chiuso gli occhi e iniziato a vagare con la mente per un’ultima volta. Si beava di quella tranquillità, aveva tanto sperato di poter vivere quelle ultime ore ricordando le gioie del suo amore, ma tutto ciò durò per poco. Iniziò a sentire il rumore di passi, numerosi passi che spostavano la brecciolina del sentiero. Alzò gli occhi, ed ecco che gli si parò un gruppo di paesani, di contadini che evidentemente si dirigevano al castello; nonostante fosse ancora buio poteva vedere le vesti nere delle donne e le lacrime e il rammarico che aleggiavano tra la gente. Un vecchio gli passò vicino, e lui non comprendendo cosa stesse accadendo, lo prese gentilmente per il braccio. Anche negli occhi di quello delle lacrime era lì lì per sgorgare, e l’angoscia prendergli l’anima…

“Per chi piangete, vecchio? Perché tutto questo dolore ed a un così spropositata?”

“Lucia, Lucia Ashton...” boccheggiò l’uomo “Voi… voi siete Lord Ravenswood! Siete voi colui che lei chiama e desidera… Per lei si avvicina l’ora estrema, povera! D’amore morì… Sentite? La campana già suona la sua morte…”

Edgardo la sentiva, sentiva i tremendi e sonori rintocchi di quella campana, ma non poteva essere che la sua Lucia fosse davvero giunta alla fine della sua vita…

“Il suono mi piomba nel cuore! Voglio, devo rivederla prima che muoia Nessuno potrà impedirmelo!”

Facendo rapidi passi, quasi correndo, Edgardo arrivò all’entrata di quell’ammasso di pietre che lo divideva dalla sua Lucia. Non appena fece un passo all’interno delle mura, vide il vecchio Bibedent uscire dalla porta principale e andargli incontro. Ora soltanto due passi li separavano…

“Lei non è più su questa terra, la sua anima è salita ai cieli!”

Il giovane Ravenswood rimase immobile, con gli occhi fissi in quelli di Raimondo; le mani in fra i capelli stringevano violentemente le ciocche, la testa pulsava a quelle parole. Il cuore batteva, faceva male nel petto, un gelo era penetrato nelle sue ossa. Il silenzio faceva da padrone. Edgardo lentamente si allontanò dando le spalle al precettore, con le lacrime agli occhi si rivolse al cielo e spalancò le braccia…

“Tu, bell’alma celeste ti rivolgi a me, ti sento, mi chiami, con te ascenderò al cielo… Se l’ira, l’ambizione dei mortali ci fece una così lunga guerra,nel regno di Dio ci ritroveremo per l’eternità… Ecco io ti seguo amore mio!”

Estraendo il pugnale da dietro il mantello, si trafisse crudamente il cuore, immergendo la lama fino in fondo . Raimondo lo raggiunse ma era troppo tardi, il corpo dell’amante era già freddo e una sorta di sorriso aleggiava sul suo volto già sbiancato dalla morte.

“Forsennato, che cosa hai fatto? Possa Dio perdonarvi entrambi per gli orrori che commetteste in nome del vostro amore!”




Angolo autrice:
Ciao! Siamo giunti alla fine della mia storia, un finale tragico purtroppo... Spero davvero che sia piaciuta a tutti coloro che hanno letto la mia fan finction. Ho scelto questa storia perchè la pazzia di Lucia ha avuto sin dal primo momento qualcosa che mi ha colpito, e vi invito davvero ad ascoltare la sua "scena della pazzia" che è di una meraviglia unica. Sono contentissima di tutte le visualizzazioni e anche dei commenti positivi, ma ora passiamo ai ringraziamenti...
Per le persone che hanno commentato la mia storia:


-1514


-Elodie90

-RomeoGiulietta98

Per le persone che seguono la mia storia:

-biankolina

-RomeoGiulietta98

 

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