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di LondonRiver16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pur sempre genitori ***
Capitolo 2: *** Bugie ***
Capitolo 3: *** A volte ritornano ***
Capitolo 4: *** Dalla parte di chi ***
Capitolo 5: *** Uno di famiglia ***
Capitolo 6: *** Déjà vu ***
Capitolo 7: *** Fiducia ***
Capitolo 8: *** Verità scomode ***
Capitolo 9: *** Crea, distruggi, ripeti ***
Capitolo 10: *** Capelli rossi, latte e miele ***
Capitolo 11: *** Voglio che tu stia bene ***
Capitolo 12: *** Il buon orgoglio ***
Capitolo 13: *** Quale giustizia ***
Capitolo 14: *** Diversamente padre, diversamente figlio ***
Capitolo 15: *** L'asfalto brucia ***
Capitolo 16: *** Insieme ***
Capitolo 17: *** Battiti ***
Capitolo 18: *** Un nuovo equilibrio ***
Capitolo 19: *** Crescere ***



Capitolo 1
*** Pur sempre genitori ***


 

 

 

 

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Tommy fece del suo meglio per non fare rumore mentre percorreva di soppiatto il vialetto di casa O’Reilly, avvicinandosi alla porta d’ingresso in punta di piedi. Tenne addirittura i denti stretti e le sopracciglia corrugate dal nervosismo mentre infilava la chiave nella serratura e la faceva scattare quattro volte con lentezza, come se tutte quelle attenzioni potessero aiutarlo a passare inosservato nel silenzio campestre che, a notte fonda, era interrotto soltanto dal frinire dei primi grilli di primavera.

Socchiuse l’uscio, s’introdusse in casa e si richiuse il battente alle spalle con tanta premura che per un attimo credette di avercela fatta e sospirò di sollievo, ma quando la luce del corridoio alle sue spalle si accese, proiettandosi anche sull’entrata, si morse le labbra per soffocare un’imprecazione dell’ultimo momento e si voltò, rassegnato, appena in tempo per assistere direttamente alla predica che si era guadagnato.

Rick era già accanto all’interruttore della luce, con addosso un paio di pantofole da casa e una vestaglia blu notte sopra il pigiama a righe, il che sarebbe stato buffo a vedersi se Tommy non avesse sentito premergli addosso tutta la durezza degli occhi azzurri che aveva imparato a conoscere e che ora riflettevano la rabbia di un uomo rimasto in piedi per ore ad aspettare il figlio che avrebbe dovuto tornare alle cinque del pomeriggio, una volta finite le lezioni.

- Spero tanto che tu abbia una spiegazione convincente questa volta – esordì l’uomo, immobile, non staccandogli gli occhi di dosso.

Tommy si sentì mancare l’aria di fronte alla sua delusione e dovette abbassare gli occhi di fronte a quello sguardo impossibile da sostenere. – Io…

- Tommy!

Se il diciassettenne rialzò di scatto la testa fu solo per seguire la corsa di Julie giù per le scale, anche lei evidentemente in ansia e molto più plateale nel manifestare le proprie paure rispetto a Rick. Infatti la donna, anche lei avvolta nella sua vestaglia di cotone e con i capelli in disordine tipici di chi ha tentato invano di prendere sonno, superò il marito e si precipitò ad abbracciare il ragazzo ancora fermo un passo oltre la porta. Lo strinse forte, come per assicurarsi che fosse ancora tutto intero e ignorando il suo disagio dato dal fatto di essere evidentemente nei guai per essere sparito per più di sette ore, quindi si separò da lui e gli strinse le spalle con le mani, gli occhi scuri puntati nei suoi in cerca di risposte.

- Dove sei stato per tutto questo tempo? Non rispondevi al cellulare, ci siamo messi in contatto la scuola e stavamo per chiamare anche la polizia…

Al contrario di Rick sembrava più turbata che adirata, ma ad ogni modo Tommy sentì il bisogno impellente di guardare altrove. Sapeva perché non l’avevano chiamata, la polizia. Probabilmente per evitare la brutta figura fatta le altre due volte.

- Ero con amici – mormorò guardando a terra, appena udibile.

- Tesoro – lo chiamò la donna, posandogli una mano sulla guancia per fargli alzare il viso, e quando il ragazzo gli offrì di nuovo quei mesti occhi nocciola lei quasi ebbe timore di parlare: - Hai bevuto di nuovo?

A quel punto, sentendosi più vulnerabile che mai, Tommy si svincolò dalla sua presa gentile e andò ad appoggiarsi alla parete per levarsi le scarpe, conscio di avere gli occhi di entrambi i genitori adottivi puntati addosso e stremato per quel continuo controllo esercitato su ciò che faceva.

- Solo un paio di birre – confessò con leggerezza, per poi mentire spudoratamente: - Non capisco perché vi preoccupiate tanto.

- Non lo capisci? – intervenne a quel punto Rick, il tono di voce tanto indignato da attirare l’attenzione del ragazzo. - Non avevamo idea di dove fossi, Thomas! Non ci avverti, non rispondi a nessuna delle nostre chiamate, stai fuori fino a tardi senza permesso, bevi e torni a mezzanotte e dici che non dovremmo preoccuparci? Poteva esserti successo di tutto, siamo morti dalla preoccupazione!

Anche se quelle parole gli costarono una fitta di dolore allo stomaco, Tommy reagì facendo spallucce.

- Sono solo uscito a svagarmi un po’ – si giustificò, tornando dritto sulla schiena. - Non volevo creare problemi.

Ma per quanto sincere fossero le sue parole, quella sera gli occhi di Rick parlavano chiaro. Per quel poco che Tommy poteva dire di aver capito di quell’uomo durante i diversi mesi di convivenza, in quello sguardo severo poteva vedere che quella volta aveva oltrepassato la soglia del perdono facile e privo di conseguenze e che scusarsi come un bravo bambino non sarebbe stato sufficiente per elemosinare un po’ di permessivismo.

- Ne sono sicuro – ribatté infatti l’uomo, asciutto e deciso. - Ma siccome ho la sensazione che tu e io diamo un significato diverso alla parola “problemi” e questa è già la terza volta in un mese che ci fai questo scherzo, abbiamo deciso che resterai in punizione per due settimane.

Tommy fece spaziare lo sguardo su Julie, confuso, ma lo sguardo dispiaciuto di lei non fece una piega. Quindi il ragazzo tornò a posare la propria attenzione sul padre adottivo, inarcando un sopracciglio.

- Che cosa intendi con “punizione”?

- Uscirai solo per andare a scuola e tornerai a casa subito dopo le lezioni, ecco cosa intendo – chiarì Rick senza scomporsi. Era evidente che lui e la moglie avevano avuto il tempo di discuterne mentre aspettavano il suo ritorno e che proprio per quel motivo non ci sarebbe stato modo di fargli cambiare idea. - Niente uscite con Adam, Kevin o Alison e soprattutto niente uscite con questi amici di cui non sappiamo niente.

Al solo pensiero di trascorrere due settimane chiuso in casa qualcosa si ribellò in Tommy e il diciassettenne fece un passo avanti per tentare il tutto per tutto.

- Ma non è per niente giusto, io…

- Niente ma, stavolta non c’è proprio niente da discutere– lo interruppe subito Rick, alzando una mano e chiudendo gli occhi un attimo per rendere noto che non intendeva starlo a sentire. - Voglio che tu ti prenda il tempo di pensare a quanto ci hai fatto stare in pena e a quanto sia opportuno che tu ti dia una regolata a riguardo – concluse, per poi accennare col capo alle scale che portavano al piano di sopra, alla sua sinistra. - E ora fila a letto. Domani hai scuola.

Anche in quel frangente l’uomo appariva così misurato grazie alla sua capacità di tenere a bada lo sdegno dietro una maschera quasi imperturbabile che Tommy si sorprese a serbare ancora più rancore proprio per quel motivo. Mordendosi la lingua per trattenersi dal rispondere a tono, emise un grugnito frustrato e superò sia Julie che Rick a capo chino, obbedendo e salendo le scale di corsa fino alla sua camera.

- Buonanotte – aggiunse Rick con tono perentorio mentre il diciassettenne gli sfrecciava accanto senza disturbarsi a rispondere se non con un brontolio indistinto che avrebbe potuto significare di tutto. Quando il ragazzo era ormai quasi arrivato, la voce del padre gli corse appresso: - Signorino, sarà meglio per te che non ti senta sbattere quella benedetta port-…

SBAM!

Troppo tardi.

 

Non appena si fu chiuso la porta della stanza alle spalle con il botto che aveva voluto nel vano tentativo di far pagare a Rick almeno un briciolo della sua inflessibilità, Tommy corse a gettarsi sul letto per affondare il viso nel cuscino. Fu in quel momento che, senza un motivo valido, ricordi risalenti ad alcuni mesi prima gli invasero la mente, togliendogli il fiato per la loro bellezza, per tutto ciò che nascondevano e per quanto in quel momento la persona a cui teneva di più al mondo gli mancava.

Ricordava i primi giorni nella nuova scuola, a settembre, pochi giorni dopo aver festeggiato il superamento degli esami di riparazione di matematica, chimica e francese. Nonostante faticasse ancora a farsi degli amici, alle sue compagne del corso di letteratura inglese erano bastate qualche ora e un paio di occhiatine sapienti per mettersi a spettegolare allegramente su di lui e a ridacchiare ogni volta che lo guardavano e il ragazzo si voltava verso di loro, disorientato da quel comportamento.

D’altra parte avevano fatto lo stesso con Adam quando il ventunenne era andato a prendere Tommy all’uscita in auto. Le liceali se lo erano letteralmente mangiato con gli occhi quando il moro era uscito dal suo macinino e in occhiali da sole, jeans attillati e camicia blu si era diretto verso l’altro con un gran sorriso stampato in volto.

Ma poi tutte erano ammutolite quando avevano visto Adam non limitarsi ad abbracciare Tommy come avrebbe fatto un amico o un fratello particolarmente affezionato, ma appoggiargli le mani sui fianchi e baciarlo con trasporto sulle labbra.

- Con tanto di lingua! – aveva mormorato qualcuna fra le più impressionate.

Da quel giorno la maggior parte delle ragazze avevano smesso di guardare Tommy come inguaribili affamate di ormoni e, perfettamente conscia della situazione, qualcuna di loro si era anche avvicinata al diciassettenne e aveva instaurato una bella amicizia. Poi erano arrivati i maschi, ma quella era un’altra storia.

Riportando alla mente quanto fosse stato bello, esaltante, eccitante fare coming-out di fronte all’intera scuola grazie a uno degli irresistibili baci con cui Adam lo assaliva ogni volta che trascorrevano qualche giorno lontani, con le sue mani addosso in segno di possessività, il suo sapore in bocca e inondato dal suo profumo di spezie, Tommy si sentì morire dalla nostalgia.

Non poteva credere che non avrebbero potuto vedersi per due settimane per colpa di quello stupidissimo coprifuoco.

Dopo quelle che gli parvero ore sentì un lieve bussare alla porta della camera e Julie chiamarlo a voce bassa, ma invece di rispondere seppellì il volto nel cuscino con più forza e cominciò a singhiozzare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ZAAALVE

Bè, che ne dite? Uno schifino? Qualcosa di più? Qualcosa di meno? Fatevi sentire!

Cosa devo dirvi, io ormai lontana da questi due più di una settimana non ci so proprio stare! Per cui, ecco, stavo rimuginando su un possibile seguito di “Home” e ne è uscita questa ideuccia di qualcosa di breve (una manciata di capitoli, non so dire con precisione quanti al momento).

Ma ovviamente tutto dipende da voi, sappiatemi dire se la cosa può interessarvi o meno, ho bisogno di opinioni! *^*

Intanto vi abbraccio forte e alla prossima!

 

a.



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Capitolo 2
*** Bugie ***


 


Ecco il secondo. Fatevi sentire :)

 

 

 

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Quella sera l’atmosfera che aleggiava al Wreckage era neutra e insapore. In assenza di un tema che rallegrasse la serata, tutto ciò che il locale offriva era un dj set nella norma, privo di sorprese, oltre ai migliori drink che il bartender fosse riuscito a preparare, il che era sempre bastato a renderlo il ritrovo notturno più ambito di tutta Free Avenue. Se Adam se ne stava al bancone con le mani in mano era solo perché avevano aperto da appena una ventina di minuti e gli avventori erano ancora ridotti a una manciata, ognuno di loro già con il bicchiere del primo giro stretto in mano.

Dopo aver preparato e disposto sul bancone i Manhattan Dry, i Golden Daisy e i Knockout che gli erano stati ordinati e aver deposto in cassa monete e banconote aveva lasciato che i clienti, un gruppetto di uomini che se non aveva ancora raggiunto i quaranta portava male i propri trentacinque, si ritirassero nella zona dei tavolini color porpora, stando bene attento a tenere gli occhi fissi sulle bottiglie del ripiano per lasciare che gli sguardi allettati di almeno un paio di membri di quella comitiva del venerdì notte gli scivolassero addosso come un soffio d’aria.

Neanche a dirlo, era dalla sera in cui aveva soccorso Tommy in lacrime sui gradini del suo condominio, l’estate prima, che evitava cortesemente ogni avance da parte degli ospiti del Wreckage. Quel tale Jesse era stato l’ultimo da cui si era lasciato affascinare, dato che poco tempo dopo aveva cominciato a rendersi conto di quanto fosse pressante l’interesse per quell’adolescente che in poche settimane era passato dall’essere un ragazzino indisponente qualunque alla persona che amava di più al mondo. Ma questo certo non significava che quelli che per la maggior parte erano ultratrentenni che flirtavano con lui con l’unico obiettivo di una notte di fuoco insieme avessero altrettanto a cuore il suo voto di fedeltà, perciò doveva stare all’erta.

Con un’ultima occhiata Adam si accertò che quei due marpioni avessero smesso di contemplarlo con la bramosia con cui si fissa un succulento pezzo di carne e si fossero uniti agli amici, quindi decise di tenere occhi e mani impegnati asciugando e lucidando bicchieri in attesa che quella gente si spostasse sulla pista da ballo, se ne andasse o il locale si affollasse abbastanza da consentirgli di ignorarli completamente. Aveva appena preso in mano il terzo calice quando la voce cavernosa di Lionel, il fidato primo buttafuori del Wreckage, attirò la sua attenzione.

- Poco movimento stasera, eh?

Il ventiduenne smise di strofinare e si fermò con il bicchiere e lo straccio a mezz’aria, gli occhi celesti contornati dall’eye-liner nero, da un velo di ombretto dorato e dai brillantini che gli mettevano in risalto la fronte e gli zigomi, dove il fondotinta nascondeva le efelidi, puntati sull’omone di due metri che si era appena appoggiato al bancone.

- Oh, Lee, ciao – lo salutò, tornando a occuparsi del calice con sguardo perso. – Caspita, dev’esserci davvero un mortorio là fuori se vieni a prendere qualcosa da bere prima delle undici.

Il gorilla sorrise, osservando il suo lavoro di lucidatura senza realmente vederlo e riunendo le mani dietro la schiena. – No, niente beveraggi per adesso. In realtà fuori si sta formando una discreta fila.

Adam lo rimproverò con un’occhiata sbigottita per poi ammonirlo con un’espressione a metà fra lo scherzoso e il serio: - E allora che ci fai qui? Fila a lavorare, se Marcus ti trova qui a chiacchierare mentre fuori c’è gente che aspetta ti fa il culo.

- Ah, mi piacerebbe vederlo! Marcus che pretende di fare il culo a me, te lo immagini? – sogghignò Lionel di rimando, facendo ridacchiare sotto i baffi anche il bartender. – Comunque ora torno a lavorare, tranquillo. Ho staccato un minuto solo per portarti un messaggio.

Adam corrugò la fronte e storse la bocca in una smorfia curiosa. – Che messaggio?

- Fuori c’è una persona per te – lo informò il buttafuori, indicando l’entrata nascosta alla sua sinistra con il pollice, al che il ventiduenne aggrottò le sopracciglia.

- Qualcuno che conosco? Be’, perché non è ancora entrato?

- È questo il punto, non posso lasciarlo entrare. Se vuoi parlargli dovrai uscire tu – spiegò Lionel con un sorriso paziente che bastava a smontare l’irruenza del suo aspetto. – Ti do un aiutino, vuoi? È minorenne e una vecchia conoscenza del locale.

Il ragazzo posò il bicchiere sul ripiano con un tonfo poco gentile, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. - Non è possibile che sia Tommy.

- In carne e ossa, invece – confermò l’altro, guardandolo asciugarsi sbrigativamente le mani e gettare lo strofinaccio bagnato accanto al secchio del ghiaccio per poi dirigersi a grandi falcate verso la fine del bancone. Fece appena in tempo a urlargli dietro l’ultimo avviso. - Lo trovi accanto alla porta principale, se è rimasto lì!

Adam raggiunse rapidamente l’accesso del corridoio angusto e disseminato di luci al neon che conduceva all’entrata vera e propria del locale, lo percorse di corsa trascurando gli stivali che gli stringevano dolorosamente i piedi e finalmente sbucò fuori, dove la brezza notturna di aprile lo investì come una piacevole carezza primaverile. Appena uscito si voltò sulla destra, dove iniziava la coda di persone in attesa che Lionel desse loro il permesso di accedere al locale, e sul momento non vide altro che facce più o meno sconosciute che lo fissavano perplesse.

- Tommy? – chiamò allora, mettendosi sulle punte dei piedi per poter guardare oltre le prime file, quindi alzò la voce per farsi sentire oltre i cicalecci di ragazze e ragazzi pronti a tuffarsi a bomba nella movida. - Tommy?

- Sono qui! - rispose una voce familiare, poco distante. - Permesso… permesso, scusate…

Qualche secondo dopo Adam scorse la sua chioma bionda sbucare da dietro la schiena di una delle prime ragazze in attesa, in quarta fila, e sospirando di sollievo afferrò la mano che il ragazzo gli stava tendendo e lo aiutò a farsi largo fra gli avventori del Wreckage, fingendo di non sentire i vari commenti riguardo al fatto che Tommy stesse superando tutti. Solamente quando furono alla sinistra dell’entrata, lontani dalle orecchie dei ragazzi che chiacchieravano, discutevano e ridevano, Adam lasciò la mano del diciassettenne e lo prese per le spalle.

- Che ci fai qui a quest’ora? – domandò, preoccupato, specchiandosi nei suoi occhi nocciola resi enormi dal buio. – Cos’è successo?

- Niente, non è successo niente – ribatté Tommy di getto, e di fronte all’espressione ora confusa di Adam non riuscì a trattenersi dall’abbassare lo sguardo a terra e mordersi le labbra. – Io… avevo bisogno di vederti, tutto qui. È passata quasi una settimana dall’ultima volta, mi mancavi.

Quell’atteggiamento insinuò una scheggia di tenerezza nel cuore del maggiore, che si ritrovò ad abbozzare un sorrisetto rincuorato un attimo prima di sospirare, indulgente.

- Amore, sapevi che devo lavorare stasera – gli ricordò, carezzandogli una guancia per fargli alzare lo sguardo. – Se avevi così tanto bisogno di vedermi avresti potuto avvisarmi ieri pomeriggio, stasera avrei preso ferie e saremmo potuti uscire. Ti sei dimenticato come funziona?

- No, lo so, ma… - deglutì Tommy, infine convincendosi a concedere attenzione a quegli occhi di diamante. - È che ieri… ieri ho litigato con Rick e avevo davvero bisogno di vederti.

Sentendo quelle parole e accorgendosi di quanto il diciassettenne fosse teso, ogni traccia di sorriso fuggì dal volto del più grande e, per quanto si fidasse del padre adottivo di Tommy, una morsa gelida gli ghermì il cuore, come un allarme sempre attivo affinché il passato non venisse dimenticato. Come se dimenticare fosse stato possibile, dopotutto.

- Stai bene? – tornò a interrogarlo, ansioso, suo malgrado correndo a scrutarlo in viso in cerca di segni di maltrattamento, come aveva preso l’abitudine di fare mesi prima. – Tommy, se ti ha fatto qualcosa devi dirmelo.

- No! – negò all’istante il biondo, sorpreso da quell’accusa, e per far sì che il ventiduenne la smettesse di controllarlo in cerca di lividi si voltò un attimo verso la fila di gente che Lionel era tornato per gestire, quindi tornò agli occhi preoccupati di Adam e sospirò pesantemente. – Te lo giuro, Ad, sto bene, non mi ha neanche toccato. Abbiamo solo avuto una discussione e volevo stare un po’ con te.

Adam mise alla prova la sicurezza dei suoi occhi ancora per qualche secondo prima di dichiararsi soddisfatto con un cenno della testa. Dopotutto Tommy non gli aveva mai mentito e non c’erano ragioni che potessero spingerlo a difendere Rick se l’uomo lo avesse davvero picchiato, ma sebbene fossero trascorsi molti mesi dall’ultima volta che Tommy aveva subito degli abusi il ventiduenne non aveva ancora imparato a sedare la propria apprensione nei suoi confronti, non in circostanze del genere.

- D’accordo – annuì, prendendosi un momento per fare mente locale. - Rick e Julie sanno che sei qui, vero?

- Certo, gli ho detto che sarei rimasto da te stanotte – replicò Tommy, nascondendo le menzogne dietro un’espressione dispiaciuta. - Mi dispiace di essere venuto a disturbarti qui, non voglio metterti nei guai.

Innamorato del suo imbarazzo e della sua goffaggine come di ogni singola goccia del suo essere, Adam gli appoggiò due dita sotto il mento per fargli notare il sorriso comprensivo che gli era spuntato sulle labbra e ancora prima che Tommy si riprendesse da quel pizzico di stupore lo baciò con dolcezza, indugiando per qualche secondo col suo labbro superiore fermo fra i suoi prima di separarsi e tornare a sorridergli.

- Tu non disturbi mai. Non preoccuparti, troverò anche il modo di non far incazzare Marcus – lo rasserenò. - Lee non può farti entrare, però io sì, se non ci facciamo notare. Vieni.

Dopo che la sua mano ebbe ritrovato quella di Tommy, Adam lo condusse sul retro del Wreckage, nel piccolo parcheggio desolato a cui aveva accesso solamente chi lavorava nel locale, quindi utilizzò la chiave universale che teneva nella tasca posteriore dei pantaloni per aprire la porta secondaria che si affacciava sul cortile e sgusciare dentro assieme al diciassettenne. Ritrovatosi con lui alla fine del corridoio che delimitava la zona riservata ai dipendenti interna al fabbricato, accese le luci tastando la parete a tentoni e guidò Tommy fino alla seconda porta a sinistra, che si apriva sulla camera adibita a spogliatoio e camerino per il bartender e i suoi colleghi.

La stanza era profondamente anonima con le sue pareti bianche e il pavimento di piastrelle di un bronzo stinto, ma almeno c’era spazio per gli armadietti di tutti, due panche di legno e anche uno specchio e un lavandino in più oltre a quelli del bagno riservato.

- Non posso staccare prima delle due, ma se hai un po’ di pazienza puoi aspettarmi qui e poi andiamo a casa assieme – promise Adam, mentre Tommy abbandonava la soglia e prendeva le misure del vano a piccoli passi timidi. - Oppure posso provare a chiamare Julie e vedere se lei o Rick possono venire a prenderti, che ne dici? Starai scomodo qui, magari preferisci tornare da loro.

- Oh no, voglio aspettarti – dichiarò il ragazzo, girandosi di scatto verso di lui. - Se per te va bene, certo.

- Come preferisci. Se rimani qui non ci sono problemi, devo solo spiegare la cosa a Marcus – lo rassicurò Adam con un’alzata di spalle. Proprio in quel momento il rombo della musica a palla scelta da Lucas, il dj di turno, cominciò a scuotere il pavimento, ricordando al ventiduenne che probabilmente il suo capo aveva già avuto modo di notare che il posto dietro al bancone del bar era vuoto. - Ora è meglio che vada, la gente sarà assetata. Se hai bisogno di qualcosa ci sono dei distributori di bibite e merendine vicino al bagno, qui accanto, e un paio di coperte in quell’armadietto lì. Cerca almeno di riposare se non riesci a dormire, d’accordo? Sarai stanco.

Tommy abbozzò un sorriso spossato e accettò con riconoscenza il bacio delicato con cui il maggiore gli sfiorò la guancia.

- Grazie – mormorò, lasciandolo andare.

Quando il moro fu quasi alla porta, però, lo richiamò e quando ebbe riconquistato l’attenzione dei suoi occhi celesti si perse un momento a rimirare le gambe lunghe del suo ragazzo fasciate dai pantaloni di aderentissima pelle nera, la camicia bianca disseminata di lustrini multicolore e la perfezione angelica del suo viso che il trucco applicato in maniera magistrale metteva in risalto. Quindi sorrise.

- Sei bellissimo stasera – affermò con sincerità, sorridendo del complimento a cui aveva dato voce ancora prima che Adam lo recepisse e facesse lo stesso.

Un solo attimo di esitazione, poi il ventiduenne decise che valeva la pena attardarsi un minuto in più e tornò da lui, appoggiando i palmi sulla panca dove il più giovane si era seduto, ai lati delle sue gambe chiuse, e sorridendo, scaltro e compiaciuto, a pochi centimetri dalle sue labbra.

- Quando compirai ventun’anni voglio portarti al Leather Bar in Wellington Street – confidò in un sussurro, portando l’indice della mano destra a percorrere con la lentezza dello studioso la linea delle sue sopracciglia. - Lascia che sia io a truccarti e avrai tutti quanti ai tuoi piedi, splendore.

Messo alle strette con quell’apprezzamento poco velato, Tommy si lasciò sfuggire una risatina raggiante, ma non priva dello stesso sarcasmo che gli fece brillare gli occhi. - E vuoi farmi credere che tu non moriresti di gelosia?

- Oh, tesoro! – rise Adam, alzando il viso al soffitto prima di chinarsi a sfiorare l’orecchio sinistro del biondo con le labbra. - Mi terrei così attaccato al tuo culetto da favola che sarebbero tutti i tuoi ammiratori a morire d’invidia.

Tommy voltò appena il viso per poterlo guardare negli occhi e alzò un sopracciglio, affascinato e abbastanza avveduto da sapere come replicare senza problemi.

- Culetto da favola, eh? Sbaglio o una volta lo chiamavi “senza speranza”?

- Questo perché non lo avevo ancora assaggiato – annotò Adam, mordendogli la spalla coperta dal fine giubbotto di felpa con abbastanza convinzione da far scoppiare a ridere il più piccolo. - E poi capiscimi, era lo stesso periodo in cui tu mi davi della checca isterica.

A quel punto il sogghigno di Tommy si accentuò, malefico. - Chi ti dice che non usi ancora appellativi del genere quando non mi senti?

- Ah, piccolo sfacciato – lo rimproverò Adam con tono blando, da cantilena, godendosi l’elettricità che era partita dalla sagacia negli occhi di Tommy e ora era passata a scorrergli nelle vene, tentando la sua mente al punto da attirarla lontano dal pensiero del lavoro, quindi prese il mento del ragazzo tra pollice e indice e lo costrinse a guardarlo, fingendosi serio e severo anche di fronte al suo ghigno. - La pagherai. Ora devo andare, ma più tardi ti farò rimpiangere la tua mancanza di rispetto.

- Hai ragione – miagolò Tommy, crogiolandosi nel gioco che stavano costruendo. – Bisogna essere educati con gli anziani.

Non riuscendo a resistere, dopo quell’ultima provocazione Adam lo aggredì con un bacio rapido e violento, mordendogli il labbro inferiore senza lasciargli il tempo di replicare, in una punizione più che apprezzata, e quando i suoi occhi chiari tornarono a specchiarsi in quelli già eccitati dell’altro Tommy si accorse che bruciavano della stessa voglia di consumare in modo appropriato quella passione dalla scintilla facile.

- Tieniti pronto – sussurrò su quelle labbra arrossate, lasciandolo andare suo malgrado.

Tommy ridacchiò e i suoi occhi seguirono il tornare eretto del maggiore. - Sono sempre pronto, tesoro.

Adam rise ancora e lo contemplò ancora per qualche secondo con occhi persi d’amore prima di alzare la mano in segno di saluto e correre via, fuori dalla stanza, per raggiungere il bancone del Wreckage e riprendere a servire drink con la rapidità e la maestria che lo contraddistinguevano.

Solo quando se ne fu andato, Tommy, esausto, si concesse un sospiro di amaro sollievo prima di abbandonarsi con la schiena lungo la panca, le gambe piegate, lo sguardo rivolto al soffitto e il cuore che batteva forte, istigato dal senso di colpa.

 

Quando il suo turno al cocktail bar finì, Adam si precipitò nello spogliatoio per andare a recuperare Tommy. Sulle labbra gli si disegnò un sorriso impietosito quando, affacciandosi alla stanza, il bartender scoprì che il ragazzo si era appisolato sulla panca e dormicchiava raggomitolato in posizione fetale, con un braccio raccolto sotto alla testa, l’altro penzolante nel vuoto e la bocca socchiusa sul filo del respiro quieto e regolare che solo chi gode di un sonno profondo può permettersi.

Fu con un poco di dispiacere, una carezza delicata sulla spalla e un sussurro che il ventiduenne lo risvegliò dai suoi sogni, quindi uscirono assieme nel piazzale e montarono nel suo macinino miracolato. Durante il tragitto verso Bulwarks Lane, la via in cui abitava Adam, Tommy sonnecchiò un altro po’, cullato dal ritmo strascicato delle melodie jazz che la radio trasmetteva a notte fonda, e il maggiore trovò difficile riuscire a smettere di sorridere per tutto il tempo. Dopotutto quell’improvvisata da parte del più piccolo si stava rivelando una manna dal cielo: non si vedevano da quasi una settimana, gli era mancato molto e oltretutto non aveva davvero voglia di passare la notte da solo.

Nel tempo che impiegarono per raggiungere la soglia del suo appartamento Tommy si svegliò completamente.

- Voglio struccarti io – annunciò non appena si fu liberato del giubbotto gettandolo sul tavolo della cucina, per poi voltarsi e ridere dell’espressione stupita e un poco confusa di Adam. – Dai, per favore! Voglio fare una cosa del tipo metà faccia alla volta, così vedrò quanta roba si spalma addosso la diva più vanitosa del Wreckage – concluse con una linguaccia.

- Simpatico come la maionese andata a male. Se pensi che cederò alle tue lusinghe e ti svelerò i miei trucchi alla prima richiesta caschi male, mio caro – commentò Adam con una smorfia che pretendeva di spacciare per offesa, per poi soccombere con uno sbuffo di fronte all’espressione da cucciolo prontamente sfoderata dal più piccolo. – E va bene, ricattatore. Ma stai giocando sporco.

Ignorando il suo broncio, Tommy corse da lui e gli scoccò un bacio sulla guancia per poi sfoggiare un sorriso a trentadue denti. – Grazie!

Adam lo squadrò con finta insofferenza per poi sorridere a sua volta e baciargli la punta del naso in un moto d’affetto. - Non ringraziarmi, servetto. Va’ in bagno, prepara l’occorrente e aspettami, mi levo questi stivali della malora e arrivo.

Tommy mosse un passo indietro e si portò la mano tesa alla fronte. – Sì, coach!

Gli fece l’occhiolino e corse in bagno prima che Adam potesse replicare e il maggiore rise fra sé e sé scuotendo la testa prima di gettarsi a sedere su una delle sedie attorno al tavolo e precipitarsi a liberare i piedi da quelle trappole di cuoio. Solo allora, quando ebbe raggiunto e superato il culmine del sollievo dato dalla liberazione, si ricordò del cellulare ancora spento che si era infilato sbrigativamente in tasca prima di uscire dall’auto. Lo lasciava sempre spento durante il lavoro, ma solo quando era con Tommy dimenticava di riaccenderlo, così lo fece in quel momento, appoggiandolo sulla tavola.

Fu in quell’istante, non appena i suoi occhi si posarono sullo schermo dello smartphone, che quel sorriso malizioso e rilassato scomparve dalle sue labbra, che invece articolarono in silenzio ciò che era scritto sul visore, cercando di darsene una spiegazione.

Diciannove chiamate perse.

Che diavolo…?

Toccò lo schermo due volte per scoprire i mittenti e si sorprese nello scoprire che la lista ne comprendeva solo uno.

Julie O’Reilly.

 

 

 

 

 

 


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Capitolo 3
*** A volte ritornano ***



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Con mille conclusioni negative già corse a oscurare le sue capacità di pensiero, Adam non esitò più di due secondi prima di pigiare lo schermo sul nome di Julie, concedendosi a malapena il tempo necessario a notare che l’ultimo tentativo della donna risaliva alle due in punto, ora in cui aveva lasciato il cocktail bar, prima di far partire la chiamata. Mentre si portava il cellulare all’orecchio si morse le labbra, pregando che la risposta arrivasse in fretta per dissipare almeno la maggior parte di quei dubbi tremendi, per sapere che cos’era successo di tanto grave da spingere Julie a cercare di mettersi in contatto con lui con tanta insistenza, e per sua fortuna una singola vibrazione fu sufficiente perché la voce della donna si sostituisse agli squilli d’attesa.

- Adam! – proruppe dall’altro capo della cornetta, senza nemmeno darsi la pena di esordire con un “pronto”. – Dio sia ringraziato, meno male che mi hai richiamata!

Sentendola chiaramente più preoccupata che mai, il ventiduenne s’irrigidì dalla preoccupazione e replicò all’istante. – Julie, ho visto le chiamate, che diavolo succede? Sembri sconvolta.

- In effetti non saprei trovare un termine più adatto per definirmi, al momento – ammise lei con un sospiro sconsolato, e Adam la immaginò portarsi una mano alla fronte per sostenersi la testa. – Adam, ti prego, ti supplico, dimmi che Tommy è a casa tua e sta bene.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, perplesso. – Sì, certo. Siamo appena arrivati, ma…

Non fece in tempo a finire la frase che la voce sollevata di Julie lo interruppe con un’altra invocazione divina. – Oh, grazie al cielo! Rick! Rick, l’ho trovato, è da Adam!

La voce fuori campo del padre adottivo di Tommy giunse all’orecchio del ventiduenne come da cento chilometri di distanza, bassa e scura come non l’aveva mai sentita. – Fattelo passare.

Poi di nuovo Julie, molto più vicina alla sua dimensione. – Adam, Tommy ha il telefono spento, potresti…?

- Un secondo, aspetta un attimo, non ci sto capendo più niente – la bloccò questa volta il ragazzo, più scombussolato che mai, iniziando a consumare il pavimento della cucina con passi incerti mentre idee infette come virus riguardo a ciò che stava accadendo gli acceleravano il respiro. – Tommy non… non vi aveva detto che sarebbe rimasto da me stanotte? Non gli avete dato il permesso?

- Ti ha detto così, non è vero?

Sentì la donna tirare su col naso dall’altra parte della cornetta e fece per aggiungere qualcosa, ma finì per fermarsi sul ciglio della prima parola perché ebbe la sensazione che la signora O’Reilly stesse facendo del suo meglio per parlare e risultare comprensibile.

- Non ce l’ha il permesso, no – rispose infine con voce strozzata, lasciandosi scappare un singhiozzo che provocò ad Adam una fitta di dolore non ben identificato. Quella donna era sempre stata infinitamente premurosa, materna, meravigliosa sia con lui che con Tommy e l’ultima cosa che meritava era soffrire tanto per quella che almeno a prima vista sembrava una bravata presa troppo alla leggera. – Scusa, Adam, scusami se sto piangendo, ma non riesco davvero a… ero così spaventata, lo eravamo entrambi qui ed è un tale sollievo saperlo al sicuro…

Il ragazzo scosse la testa, afflitto. – Non devi scusarti.

- Abbiamo chiamato tutti, nessuno sapeva niente – continuò la donna, bisognosa di sfogarsi quanto di spiegargli tutto. – E sia tu che Tommy eravate irrintracciabili.

- Spengo il telefono quando lavoro – sentì il bisogno di giustificarsi Adam, chinando il capo e grattandosi la nuca con un certo ingiustificato imbarazzo. – Mi dispiace che siate stati tanto in ansia.

La voce della donna arrivò subito a rassicurarlo con il consueto affetto, seppur guastata dalla stanchezza che la impregnava. - Adam, non c'è bisogno di rammaricarsi. Non potevi saperlo. Non se Tommy ha cominciato a comportarsi anche con te come ultimamente fa con noi, nascondendoci le cose.

Sentendo la tristezza nel tono della donna tirargli la pelle per il dispiacere, Adam si morse il labbro inferiore e chinò lo sguardo a terra con un sospiro, cercando le parole più giuste da dire. Pensò di chiedere a Julie il motivo che aveva indotto lei e Rick a negare al figlio adottivo il permesso di andare a trovarlo e rimanere da lui per la notte, ma giusto un istante prima di aprir bocca rifletté che in quel modo avrebbe ripagato Tommy con la sua stessa moneta, parlando alle sue spalle, facendogli un torto non meno pesante di quello con cui il diciassettenne aveva spiazzato sia lui che gli O'Reilly.

- Senti, Julie, la situazione non è certo piacevole, ma almeno adesso sapete che è qui da me, che sta bene e che non è successo niente d'irreparabile, perciò potete smettere di stare in pensiero - decise infine di dire, facendo del suo meglio per consolare la persona che ancora sentiva tirare su col naso ogni manciata di secondi. - Però adesso avrei davvero bisogno di scambiare due parole con Tommy. Tu e Rick potete capirmi, vero? Prometto di richiamarti presto.

Sentì un brusio, la voce di Julie che spiegava al marito la sua richiesta, poi la donna tornò a parlare nell’apparecchio e Adam percepì nel suo tono la fiducia di una madre, la disponibilità di sempre, la consapevolezza che lui era l’unico a poter avere successo nell’avvicinare Tommy nel momento in cui ogni altro tentativo falliva.

 - Ma certo. Fa' pure.

Il ragazzo sospirò nel microfono del cellulare, abbattuto dal suo sconforto. – A dopo, Julie.

- A dopo.

 

Quando il ventiduenne aprì la porta del bagno le note trasmesse da una stazione radio che mandava in onda classici rock degli anni Settanta, Ottanta e Novanta lo intrattennero per qualche secondo, facendogli capire che Tommy non aveva avuto modo di sentire la conversazione telefonica che aveva appena sostenuto nella stanza accanto. Come annunciato il diciassettenne se ne stava seduto sullo sgabello bianco imbottito che aveva provvidenzialmente spostato di fronte a specchio e lavandino in modo da potervici sedere mentre aspettava il maggiore e allestiva tutto l’arsenale che sarebbe servito per rimuovere il trucco – salviette, una lozione struccante gentile e un paio di creme idratanti che Adam era solito applicare sul viso come completamento del rituale.

- Ce ne hai messo di tempo – commentò Tommy, troppo occupato a giocherellare con una manciata di foglietti di cotone che minacciavano di sfuggirgli di mano per notare l’espressione sul volto del più grande. Se si insospettì fu solo perché il suo ragazzo non gli rispose subito con una delle sue battutine. - Ad?

Nel momento in cui si voltò per scoprire perché non avesse ribattuto, Adam lo aveva già raggiunto e lo fece sussultare sbattendo con malagrazia il cellulare sul ripiano asciutto del lavabo, mettendo a tacere ogni sua possibile protesta con un’occhiata di rimprovero non appena gli occhi di Tommy incontrarono i suoi.

- Quando io e te avremo finito di parlare richiamerai Julie e le dirai che stai bene – gli intimò, la voce che vibrava di una sorta di collera filiale. Ancora faceva fatica a credere che Tommy avesse potuto agire così avventatamente senza pensare a come avrebbe fatto sentire la sua madre adottiva. - Era in lacrime.

- Oh – incassò il più giovane, chinando subito lo sguardo a terra. - Quindi ti ha chiamato.

- Ha tentato di contattarmi una ventina di volte! – sbottò Adam, facendo scivolare lo smartphone fino al bicchiere sul ripiano del lavandino con uno slancio impossibile da trattenere. - Lei e Rick temevano ti fosse successo qualcosa!

Tommy deglutì a fatica, scuotendo appena la testa, gli occhi fissi sui fili di cotone che componevano il tappetino color del mare ai suoi piedi. - Non volevo mentirti.

- Oh, veramente? - Adam fece una smorfia falsamente stupita prima di tornare serio, e il più piccolo si sentì ancora peggio. - Be’, lo hai fatto, perciò adesso ne accetti le conseguenze, la pianti con questa sceneggiata del bambino indifeso, che con me non attacca, e mi fai il favore di guardarmi in faccia mentre cerco di capire cosa ti è saltato in testa – rimarcò, mettendogli indice e medio sotto il mento per obbligarlo a rialzare il capo e guardarlo negli occhi. - Perché mi hai detto che avevi il loro permesso?

- Non volevo ti arrabbiassi.

Adam allargò le braccia, esasperato. - Oh, una mossa magistrale, davvero! E adesso come credi mi senta?

- Mi dispiace – bisbigliò allora il biondo, stringendosi le ginocchia con le dita e una contro l’altra.

- Ti dispiace – ripeté l’altro dall’alto, sul punto di perdere definitivamente la pazienza. - Fantastico, allora a posto così e amici come prima.

- Volevo solo stare un po’ con te.

Adam, che per liberarsi di almeno un minimo di nervosismo aveva mosso qualche passo inquieto verso la cabina della doccia, sentendo quelle parole tornò a voltarsi di scatto verso di lui, reagendo al commento del diciassettenne con un’espressione sconcertata.

- Tommy, seriamente, qual è il tuo problema? Rick e Julie sono sempre molto disponibili riguardo alle tue uscite e se stasera ti hanno detto di no un motivo ci sarà stato. Avresti potuto aspettare domani o che ne so, almeno lasciare un biglietto per dire dove andavi così che non morissero di preoccupazione! – lo sgridò, sgranando gli occhi. - Quelle persone ti vogliono così bene e hanno fatto così tanto per te e tu le ripaghi in questo modo? A cosa stavi pensando?

Tommy lo guardò e aprì la bocca solo per richiuderla un istante dopo, scuotendo ancora la testa, prima di lanciare ad Adam un’occhiata sconfitta, stanca, molto più arrabbiata che dispiaciuta.

- Chiederglielo di nuovo domani non avrebbe cambiato niente – dichiarò, stizzito, per poi scoprire le carte. - Mi hanno proibito di vederti per due settimane.

Quella rivelazione bloccò Adam sul posto, le mani ferme a metà strada tra i fianchi e la faccia, bloccate a metà dell’ennesimo ammonimento che non aveva fatto in tempo a uscirgli dalle labbra prima che la consapevolezza di ciò che le parole di Tommy implicavano gli raggiungesse i neuroni. Rimase a fissare il ragazzo per qualche secondo, a bocca aperta perché era la prima volta in otto mesi di affido che gli O’Reilly sentivano il bisogno di mettere dei freni a Tommy, la prima volta che gli imponevano qualcosa di idealmente simile al concetto di punizione che sia Adam che il diciassettenne avevano maturato nel tempo, la prima volta che tentavano di tenerli separati.

- Che cos’hai combinato? – si decise infine a chiedere, e Tommy alzò la testa di scatto, permaloso.

- Niente di così grave da tenermi lontano da te!

- Tommy, per favore – lo riprese ancora Adam portandosi due dita alla tempia, stufo di sentirsi preso in giro. - Credo di conoscere Julie e Rick, d’accordo? Di sicuro li conosco abbastanza bene da sapere che non esiste che ti vietino di stare con me senza una ragione valida. C’entra qualcosa il litigio con Rick, non è vero? – lo incalzò, per poi rimanere per qualche secondo ad attendere una risposta che non arrivò. Sbuffò, irritato dalla testardaggine dipinta sul viso corrucciato di Tommy per poi cavarsi fuori parole che credeva potessero convincerlo a rompere quel silenzio, così improvviso, strano e sbagliato tra di loro. – Senti, ti sto trattando come un adulto, lo sto chiedendo a te e non ai tuoi. Vuoi davvero che li richiami e mi faccia raccontare cos’è successo? Coraggio, dimmi cos’hai fatto – Percorse di nuovo quei pochi passi che li separavano per arrivare di fronte al ragazzo e mettergli una mano sulla spalla prima di rivolgersi a lui con maggiore gentilezza. - Magari posso aiutarti a mettere a posto le cose. Sono piuttosto bravo in questo, ricordi?

Voleva ricordargli cos’era successo il luglio precedente. Voleva che rivivesse l’esatto momento in cui aveva cominciato ad avere fede in lui e tutto ciò che ne era seguito, voleva che ricordasse com’era stato abbracciarsi, toccarsi per la prima volta, voleva che tornasse indietro nel tempo col cuore e coi pensieri per riscoprire quanto era intenso il loro legame e quanto di se stessi avevano messo l’uno nelle mani dell’altro. E tutto attraverso quella mano sulla spalla e la scintilla d’amore negli occhi color del cielo che Adam teneva fissi nei suoi perché lo sostenessero.

Ma Tommy Joe scosse la testa dopo qualche altro secondo, lasciando andare un sospiro scoraggiato.

- Finirai solo con l’arrabbiarti ancora di più – affermò con innegabile amarezza.

Adam lasciò la sua spalla e incrociò le braccia. - Allora vuoi tenermi all’oscuro?

A quel punto Tommy sbuffò, stressato, ma non abbandonò i suoi occhi.

- No – decretò, il coraggio di affrontare la paura di vederlo allontanarsi che gli baluginava nei grandi occhi scuri. - Ieri pomeriggio, dopo le lezioni, sono uscito con un gruppo di amici. Non ho avvertito Julie e Rick perché all’inizio pensavo di tornare a casa in tempo per la cena, ma poi…

- Va’ avanti – lo incitò Adam con un cenno della testa quando lui si arrestò, e Tommy inghiottì a vuoto perché stava per ammettere di essere ricaduto in una vecchia abitudine proprio con colui che lo aveva aiutato a sbarazzarsi di quel vizio, relegandolo in un passato che non era piacevole ricordare.

- Verso le otto abbiamo trovato un pub dove il tizio al bancone era disposto a chiudere un occhio sul fatto che la maggior parte di noi fosse minorenne – raccontò. - Così, ecco, ho preso qualche cocktail, come tutti, e…

Adam corrugò la fronte e non si fece scrupoli a interromperlo, mentre una sorta di astio a cui non sapeva dare un nome preciso saliva a bruciargli lo stomaco. Sapeva di sconfitta dopo millenni di illusioni e senza dubbio ardeva altrettanto.

- Quantifica qualche cocktail.

Tommy si specchiò nei suoi occhi chiari, le labbra socchiuse per la sorpresa di scoprirvi tanta delusione, quindi si umettò le labbra e si costrinse a rispondere. - Un paio di Mojito. Forse tre, non ricordo, fatto sta che mentre ero al bar non ho sentito il cellulare e quando sono uscito era troppo tardi. Sono arrivato a casa a mezzanotte, così mi hanno messo in punizione.

- E vorrei ben vedere – commentò il maggiore, respirando a fondo e non risparmiandogli tutto il proprio disappunto, ma questa volta il ragazzo non rinunciò a tenere puntati gli occhi traboccanti inquietudine nei suoi, anche se questi continuavano a biasimarlo in silenzio.

- Per favore, non dirgli che ho bevuto superalcolici. Con loro ho parlato solo di birre – lo supplicò, riferendosi ovviamente ai genitori adottivi con un’angoscia che, Adam capì, non derivava dalla paura di un ulteriore castigo, ma dal timore di tradire di nuovo il loro affetto.

Sospirando di cuore e lasciando perdere il tentativo di rimanere fermo sull’approccio severo che gli era venuto spontaneo all’inizio ma che ora non riusciva più a reggere, il più grande tornò di fronte a Tommy, gli si accucciò davanti così che il ragazzo non dovesse alzare la testa per guardarlo in faccia e gli appoggiò i palmi sulle gambe, sopra le ginocchia, poco lontano dalle sue mani, che durante l’intera conversazione erano rimaste lì a stringere, sgualcire e raschiare con le unghie mangiucchiate la stoffa spessa dei jeans.

In un primo momento Tommy cercò di fuggire il suo sguardo, ma non appena Adam aprì bocca si rese conto che il suo tono si era fatto meno esagitato, più disponibile se non addirittura dolce, e smise di scappargli.

Adam gli carezzò distrattamente la coscia, fissando la mano che stava muovendo senza realmente vederla prima di tornare agli occhi mesti del diciassettenne. - Da quando hai ricominciato a bere?

Tommy parve dover mandare giù un boccone di olio di fegato di merluzzo prima di riuscire a rispondere. - Qualche settimana.

- E perché hai ricominciato? – lo sollecitò Adam a quel punto, senza nemmeno accorgersi che era passato a stringergli la coscia. - Cristo, Tommy, ne eri uscito così bene.

Costretto a soccombere alla verità di quell’osservazione sofferta, il biondo tornò a far rifugiare lo sguardo fra le increspature che sul pavimento separavano una piastrella dall’altra, così Adam si affrettò a porre rimedio. Facendo scivolare la mano sinistra a vezzeggiare una delle sue, che aveva visto contrarsi contro le ginocchia, e l’altra verso il suo viso per allungargli una carezza, riconquistò l’attenzione di quella che considerava ancora l’anima più fragile in cui si fosse mai imbattuto.

- Davvero non vuoi dirmi qual è il problema?

Tommy si accigliò di colpo, colto alla sprovvista. - Cosa? Quale problema?

- Mi rifiuto di credere che questo tuo tornare a cercare l’alcol sia nato dal nulla, da un capriccio. Da quando abbiamo provato assieme a smettere sei sempre stato molto bravo a dire di no, anche durante le serate tra amici. Posso capire il tuo voler uscire e distrarti, ma hai davvero bisogno di bere? Non ricordi come ti eri ridotto?

Una smorfia che si divideva fra dolore e disgusto trasformò per un attimo il volto dell’adolescente.

- Sì che me lo ricordo.

- E allora perché? – insistette Adam, pensando fosse meglio battere il ferro finché era caldo. - Cosa ti tormenta questa volta?

Lo stupore negli occhi di Tommy sembrò quasi vero questa volta. Il ragazzino si stava affinando.

- Niente – disse, scuotendo la testa e scrutando il volto del maggiore come per scovarvi i segni della pazzia. - Sono solo uscito con degli amici, mi sono divertito. E sì, per divertirmi ho bevuto qualcosa, e allora? Non capisco perché ne facciate tutti una tragedia, non sono morto.

Adam dovette prendere un respiro immenso per trattenersi dal ribattere in malo modo. Era certo che il ragazzo gli stesse nascondendo qualcosa, in qualche strano modo aveva maturato un istinto infallibile a riguardo, e il fatto che il biondo si fosse intestardito al punto da negare l’evidenza rischiava seriamente di farlo uscire dai gangheri come non faceva da mesi, almeno non con chi amava. Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per mettere a tacere la propria natura impulsiva e continuare a ragionare come un diplomatico di alto livello, senza concedere nulla al proprio temperamento di fuoco.

- Tommy – lo chiamò ancora, limitandosi a stringere un po’ di più la presa sulla sua mano per fargli capire quanto fosse serio. - Quando ti ho conosciuto la scorsa estate bevevi per scordare qual era la situazione a casa, per estraniarti dal mondo, così da poterti dimenticare di esistere almeno per qualche ora. So benissimo come ti sentivi perché ho approfittato anch’io di quel senso di torpore e onnipotenza che può darti l’alcol, prima, durante e dopo i miei sedici anni. Non ho mai creduto che ci fossero altri motivi per cui bevevi e infatti nel momento stesso in cui le cose hanno cominciato ad andare meglio, quando hai lasciato i Callaway e ci siamo messi assieme, hai smesso di cercare d’intrufolarti nei bar o di rubare bottiglie al supermercato. Non è la singola birra o il singolo Mojito che mi preoccupano, amore – sottolineò con esasperata dolcezza nell’estremo tentativo di convincerlo ad aprirgli il cuore come aveva già fatto tante volte. - È il pensiero che a spingerti a bere sia di nuovo un problema che ti stai tenendo dentro e che tu finisca per affogarti nell’alcol pur di non parlarne con nessuno.

A quel punto Tommy reagì d’istinto come Adam non si era permesso di fare. Certo, doveva proteggersi in qualche modo, o un altro paio di minuti di quell’insistenza da parte del maggiore lo avrebbe fatto senza dubbio cedere, come le sue gote già rosse annunciavano.

Liberandosi con uno strattone dalla presa gentile delle mani di Adam, saltò in piedi facendo cadere lo sgabello e parlò a voce alta, non riuscendo però a contenerne il tremore.

- Possibile che siate tutti così duri di comprendonio, che mi trattiate come se dovessi infrangermi in mille pezzi da un momento all’altro? – esclamò, furente, fulminando Adam dall’alto. - Sono uscito, ho bevuto e ho fatto tardi, fine della storia! Non sto nascondendo niente, non mi sto tenendo dentro niente, avevo solo voglia di svagarmi un po’ e stasera volevo vederti perché mi mancavi, ma adesso penso sia stato un errore venire fin qui dato che non la smetti di asfissiarmi con le tue prediche!

Adam sentì un blocco di ghiaccio serrargli il petto nel momento in cui Tommy gli scagliò addosso quell’accusa. Nonostante tutti i suoi tentativi di trattarlo con i guanti, di essere comprensivo, di incoraggiarlo a parlare mettendo da parte per un momento la rabbia per quella che per quanto ne sapeva era la seconda spacconeria commessa in due giorni, il diciassettenne non si era bloccato prima di aver finito di parlare, non si era tappato la bocca con le mani per ritrattare, non aveva detto che gli dispiaceva, non quella volta. E Adam, da parte sua, non aveva né l’intenzione né la forza d’animo necessaria per insistere con le manfrine, non dopo ciò che aveva dovuto sentire uscirgli di bocca.

- Molto bene – sentenziò, gelido, alzandosi di nuovo in piedi.- Se è così che la pensi prendi la giacca, ti riporto a casa.

Immobilizzato da quell’ordine, Tommy esitò fra la collera e il timore. - Non ci voglio andare.

- Be’, l’ufficio reclami è chiuso e dopo quello che mi hai detto penso di avere il diritto di strafottermene di quello che vuoi tu – replicò Adam all’istante, passandolo da parte a parte con un’occhiata glaciale quanto il suo tono di voce e limitandosi ad accennare con il capo alla soglia che dal bagno portava in cucina. - E adesso fuori, veloce, mi strucco e andiamo.

- Ma…

- Ora – scandì Adam, e senza bisogno che alzasse la voce Tommy si sentì morire sotto il peso di quello sguardo che non avrebbe ammesso ulteriori repliche.

Adam vide i suoi occhi farsi lucidi, la sua bocca aprirsi per prendere aria o per rimediare l’audacia necessaria a partorire qualche altra lagnanza che comunque non vide mai la luce, quindi serrò gli occhi con forza, annientato dal dispiacere, quando Tommy gli obbedì senza più obiettare, superandolo con grandi falcate, gli occhi fissi sui propri piedi, e sbattendosi la porta del bagno alle spalle con violenza.

Allontanando dalla propria mente il sospetto di averlo fatto piangere, Adam si voltò verso lo specchio e vide il proprio viso teso per la collera e l’apprensione che gli erano rimaste addosso e che, struccante o meno, lo avrebbero seguito ancora per molte ore.

C’era molto di più di Adam Lambert, il ragazzo irresistibile ma con la testa sulle spalle di Tommy Joe, sotto quella mole di trucco da locale gay. C’era un amico, un fratello il cui aiuto Tommy aveva appena respinto, ferendolo più nel profondo di quanto sembrasse essersi reso conto, ma ad Adam non era questo che importava di più, dato che ancora una volta la sua pena era tutta per quel ragazzino tornato indecifrabile dopo mesi di serenità, tutto sommato, con i dovuti alti e bassi.

Tutto a un tratto gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, che il passato li avesse risucchiati, che lui fosse ancora un barista senza prospettive di alcun tipo e Tommy un moccioso occupato a celare dietro atteggiamenti da tosto uomo di mondo le più misere debolezze della sua anima.

Adam sospirò contro il se stesso nello specchio e afferrò spicciamente una salvietta di cotone e il tubetto di struccante per poi cominciare a ripulirsi, pensando che forse stava esagerando. Ma le sue iridi, ora quasi invisibili, come quando gli capitava di svegliarsi piangendo a notte fonda, non sapevano mentire. Proprio come non lo sapeva fare Tommy, almeno quando parlava con lui.

All’improvviso lo specchio divenne un universo parallelo in cui perdersi. Il suo viso, la cui perfezione fittizia aveva appena guastato con lo struccante, il ritratto confuso dei pensieri logoranti che gli vorticavano in testa. Tommy era nell’altra stanza, forse stava versando qualche lacrima che sapeva avrebbe potuto nascondergli quando fosse uscito dal bagno, così come gli stava nascondendo qualcosa di peggio.

Adam buttò giù a fatica un sorso d’acqua, scosse la testa e chiuse gli occhi prima di affondare la faccia nell’asciugamano, i sensi di colpa che gli mordevano il cuore.

Perché non ti fidi più di me?




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Capitolo 4
*** Dalla parte di chi ***





Ed ecco il quarto capitolo! Devo dire che questa storia mi sta prendendo.

Ringrazio le fanciulle che hanno recensito gli scorsi capitoli, Sunset_Lily, MoonLightAdam, and soon the darkness_ e HeartBreath, apprezzo le vostre parole in una maniera che non riuscirò mai a spiegare, e tutte coloro che hanno inserito la storia fra le seguite, le preferite e le ricordate :)

Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia, v’intrighi, vi faccia dimenticare il mondo per un po’!

Un abbraccio e a presto,

 

a.

 

 



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Nell’ora abbondante che impiegarono per raggiungere Finchley Adam assistette impotente e stupito al costante diminuire della rabbia che solo poche decine di minuti prima lo aveva spinto a rimproverare Tommy e a imporgli di seguirlo in auto con una rigidità che aveva lasciato agli albori della loro relazione. Non sapeva cosa ringraziare, se il rilassamento di nervi e muscoli che gli procurava guidare di notte sulle strade deserte o la malinconia che intravedeva sul volto di Tommy, che sedeva al posto del passeggero come un fantoccio senza vita e abbassava lo sguardo ogni volta che Adam si arrischiava a controllarlo con la coda dell’occhio, o magari il silenzio impenetrabile sorto a dividerli, che perlomeno servì al più grande per riflettere e mettere in ordine i pensieri mentre gli pneumatici della sua vecchia carretta macinavano un chilometro dopo l’altro, un cono di luce artificiale alla volta, sulla statale verso Finchley.

Sebbene in un primo momento Adam avesse avuto la sgradevole sensazione di essere stato catapultato indietro nelle stagioni fino alle prime litigate estive avute con Tommy, ora quel sentore era maturato al punto da permettere anche all’istinto del ragazzo di comprendere che la situazione era diversa e molto probabilmente anche meno spiacevole, se dimostrava di saper giocare bene le proprie carte.

Per prima cosa non stava riaccompagnando Tommy dal genitore violento che Callaway era stato durante la sua carriera di padre adottivo, ma da una coppia che aveva provato di avere a cuore il bene di Tommy in talmente tante occasioni, ormai, che perfino un animo sospettoso come quello di Adam era arrivato a fidarsi ciecamente di loro.

Le buone intenzioni di Rick e Julie non sono in discussione, considerò Adam, svoltando per imboccare l’uscita per la cittadina degli O’Reilly e approfittandone per sfiorare TJ con un altro sguardo discreto.

Ecco cos’altro c’era di diverso rispetto a nove mesi prima. Tommy non era più un estraneo, Adam lo conosceva a fondo e in ogni sua più piccola sfaccettatura – che si trattasse di particolari fisici o caratteriali non faceva differenza.

Conosceva a memoria tutto quello che lo contraddistingueva, da ciò che alcuni avrebbero etichettato come trascurabile ai tratti più incisivi del suo carattere, da quelle che erano le sue abitudini al mattino al modo adorabile che aveva di rannicchiarsi come una scimmietta su sedie e poltrone – proprio come stava facendo in quel momento sul sedile dell’auto. Dalla piega concentrata delle sopracciglia quando lo aiutava a tenere il passo in conversazione francese alla ricetta del suo piatto preferito, dall’adrenalina che gli trasformava il cuore in un tamburo e gli occhi in stelle quando assisteva a un assolo di chitarra all’imbarazzo che gli imporporava le gote ogni volta che lo si costringeva ad ammettere che il solo pensiero di salire sulle montagne russe lo faceva andare nel panico.

Mentre adeguava la velocità ai limiti urbani Adam pensò che sì, Tommy era interamente suo e che con tutto ciò che sapeva di lui non c’era motivo per cui non dovesse riuscire ad aiutarlo a tirarsi fuori dai guai anche quella volta, di qualunque natura fosse il problema che il ragazzo si ostinava a tenere per sé.

Devo solo trovare la via, rifletté, percorrendo ai dieci all’ora il viale di ghiaino per poi fermare la vettura sul ciglio del giardino della quarta casa sulla sinistra e tirare il freno a mano. Come sempre.

Nell’istante in cui lui estrasse la chiave dal quadro, Tommy allungò una mano verso la maniglia della portiera, ma quando sentì le dita di Adam scendere a scaldargli una gamba si bloccò e senza esitare puntò nei suoi occhi lo sguardo testardo dietro al quale si nascondeva il timore di dover rientrare solo per subirsi una lavata di capo come quella della notte precedente. Ormai erano quasi le cinque del mattino.

- Permettimi di aiutarti a metterci una pezza – esordì Adam dopo essersi preso qualche secondo per scegliere le parole più adatte da dire, e tenendo i seri occhi azzurri in quelli di Tommy scosse la testa dispiaciuto. - È ovvio che saranno arrabbiati, è comprensibile, ma se solo mi dicessi il motivo di tutto questo potrei darti una mano a spiegarlo anche a loro.

- Te lo ripeto, non so di cosa stai parlando – replicò Tommy, scandendo bene le parole e fulminandolo prima di tornare a dedicarsi alla maniglia e aggrapparvisi con tanta forza da farsi sbiancare le nocche. – Be’, che ci fai ancora qui? La tua missione da balia l’hai compiuta, adesso puoi anche tornartene a casa.

Uscì dalla macchina accompagnato dallo schianto della portiera, non degnando neanche di striscio lo sdegno incredulo sul volto di Adam.

- Col cazzo – ringhiò il ventiduenne dopo essere rimasto a fissare per un secondo la schiena e la testa china del diciassettenne che andava allontanandosi nel buio del vialetto e prima di precipitarglisi alle calcagna.

Non cercò di fermarlo né a parole né con la forza, si limitò a seguirlo fin sulla porta, affiancandoglisi nel momento in cui Tommy alzò il pugno per bussare con la decisione datagli dalla stessa irritazione che si scontrò duramente con la cocciutaggine di Adam quando i loro sguardi s’incrociarono, rapidi ma incisivi, un secondo prima che la porta d’ingresso gli si aprisse davanti e un cono della luce calda che illuminava il corridoio si riversasse su di loro.

Adam fece appena in tempo a notare gli occhi arrossati dal pianto di Julie prima che la donna si fiondasse a circondare Tommy con le braccia e stringerlo a sé per un tempo che si dilatò nel silenzio interrotto solo dai respiri agitati, evidentemente il minimo indispensabile per rasserenare quel suo cuore di madre mancata che dopo sole poche ore senza un figlio adottivo che ultimamente sembrava averla fatta penare parecchio non capiva più nulla.

Adam si lasciò stringere lo stomaco da quell’immagine per qualche secondo prima di guidarli entrambi dentro casa, come due bambini sorprendentemente docili. Solo quando udì la porta chiudersi sotto la spinta gentile del ventiduenne Julie parve riprendersi.

- Mi farai morire - gemette, dando un’ultima stretta a Tommy prima di tirarsi indietro quel tanto da potergli afferrare le spalle e guardarlo in viso con occhi rattristati, ma in qualche strano modo anche colmi di speranza. - Perché ci fai preoccupare così?

Dinnanzi a quella domanda, che fosse retorica o no, Tommy si affrettò a far precipitare lo sguardo sui propri piedi. Era intristito e probabilmente anche pentito, si trovò a valutare Adam, che se ne rese conto con la stessa velocità di Julie semplicemente studiando gli occhi del suo ragazzo mentre quest’ultimo cercava rifugio dalle accuse che gli venivano rivolte.

Quando fu chiaro che avrebbero potuto aspettare l’alba in attesa che il diciassettenne si decidesse a dire qualcosa, Julie rivolse ad Adam un’occhiata angosciata, supplicandolo in silenzio di venirle in soccorso, ma il ventiduenne non poté fare altro che scrollare le spalle con un sospiro.

- Non vuole dire niente neanche a me.

- Adesso parlerà.

La voce di Rick era arrivata dal fondo del corridoio, quello che girando a destra conduceva alla cucina mentre a sinistra si affacciava sul lungo tavolo della sala da pranzo, e quando gli occhi di tutti si spostarono laggiù i presenti lo videro avvicinarsi a passi lenti, ma con gli occhi fissi sul figlio adottivo.

Il fatto che non avesse mai visto così tanto risentimento accendergli gli occhi azzurri risvegliò i sensi nascosti che avevano permesso ad Adam di sopravvivere alle cinque famiglie adottive che lo avevano vessato negli anni, ma per qualche motivo il ragazzo non ebbe nemmeno bisogno di ricordare al proprio subconscio che quello che aveva davanti non era Cooper né Callaway, sebbene il colore delle iridi dei tre uomini non differisse poi così tanto.

Rick non lo spaventò né lo fece il suo avvicinarsi fino a due passi da Tommy. Forse perché il tempo trascorso con Rick lo aveva persuaso che era un brav’uomo, perché aveva visto che buon padre si stesse dimostrando per Tommy – e anche per lui, grazie a non pochi consigli. O forse perché in vita sua Adam aveva visto abbastanza uomini adirati da capire che la collera che traspariva dai gesti e dagli occhi di Rick non aveva nulla a che fare con il furore folle dei padri che avevano oppresso sia lui che Tommy, ma somigliava di più all’angoscia che Kevin era solito riversare addosso ad Adam anni prima, quando il bartender metteva insieme più guai che passi e il riccio gliela faceva pagare dopo essersi fatto in quattro per ricomporre i pezzi che il più giovane aveva sparso.

- Non è vero, Tommy? – riprese Rick a labbra tirate e voce trattenuta, almeno per il momento, fermo accanto alla moglie e di fronte al ragazzo. - Adesso metterai via quell’aria sostenuta che ti fa sentire tanto superiore e ci darai delle spiegazioni che siano tali per il tuo comportamento, perché sinceramente sono stufo di passare notti insonni a chiedermi dove diavolo sei finito, così come sono stufo di vedere mia moglie piangere per qualcuno che sembra non sentire!

Colpita da quell’ultimo urlo quanto e più dei due ragazzi, Julie alzò una mano a sfiorare il braccio del marito. – Non c’è bisogno di essere così duro.

- C’è bisogno, invece, così forse mi ascolterà – ribatté lui, alzando una mano per interromperla, ma senza mai staccare lo sguardo dal capo chino di Tommy. - Ti abbiamo offeso o ferito in qualche modo? Ti facciamo mancare qualcosa? Diccelo.

Il ragazzo alzò la testa quel poco da poter guardare Rick negli occhi mentre gli rispondeva con voce sottile. - No.

La sincerità di quel monosillabo, sebbene la gratitudine di Tommy continuasse a celarsi dietro un dolore ancora inspiegabile, fu abbastanza chiara da colpire il cuore di tutti i presenti. Perfino Rick si fermò un attimo a scrutare con cura le iridi nocciola del diciassettenne, probabilmente tentando a sua volta di sondarne i segreti, prima di emettere un sospiro che lo lasciò con le spalle un po’ meno rigide.

- Ascolta, posso capire che i limiti che ti abbiamo messo non ti vadano a genio, sono fatti apposta per farti passare la voglia di stare fuori casa fino a notte fonda senza neppure avvertire – riprese, contenendo i toni. - Ma come ti aspetti che torniamo a fidarci di te e ti ridiamo tutta la libertà che vuoi se reagisci continuando a scappare?

- Che ciò che non va riguardi noi o te, Tommy, ce lo devi dire – aggiunse Julie, facendo un passetto in avanti. - Da soli non riusciamo a capirlo, tesoro.

Quella che la donna aveva dipinta in viso somigliava in maniera insostenibile a pura angoscia e mentre Adam non poté che ripetere a se stesso con lo stesso stupore di sempre che miracolo fosse stato per Tommy trovare una madre adottiva così ansiosa di amarlo, il più giovane scelse proprio quel momento per tornare a sfuggire allo sguardo insieme preoccupato e incoraggiante dei genitori, che forse in quel frangente cominciava a risultargli insopportabile.

Parla, TJ.

- Preferisci che continuiamo a fare i carcerieri? – insistette a quel punto Rick, una punta in più di fermezza tornata a trasformargli la voce, non vedendo altra via d’uscita che continuare a spronarlo nel tentativo di convincerlo ad abbandonare quello che sembrava soltanto un silenzio cocciuto. - Preferisci che continui a proibirti di vedere il tuo ragazzo e i tuoi amici, a metterti in punizione come un bambino solo perché sei troppo orgoglioso per parlare?

A quel punto un sibilo raggiunse a fatica le orecchie di tutti.

- Smettila.

Fino all’ultimo Adam dubitò che fosse stata davvero la bocca di Tommy a emetterlo, ma alla fine dovette ammettere che non poteva essere altrimenti, che non si era sbagliato: quella era davvero la voce che aveva imparato ad associare al ragazzo durante i loro primi incontri, quando Tommy viveva ancora sotto il tetto dei Callaway e davanti, dietro e dentro di sé non intravedeva altro che l’oscurità di un’esistenza che prometteva di svolgersi all’insegna della sofferenza fino alla sua conclusione.

Tutti si bloccarono come colti da uno strano stacco temporale, poi Adam vide Rick stringere le palpebre in direzione del più giovane.

- Come, scusa?

Provocato, Tommy alzò la testa di scatto per poterlo guardare a viso aperto e non più di sottecchi e parlò a chiare lettere, la voce che vibrava di una collera che aveva smesso di cercare di soffocare, plausibilmente neppure chiedendosi se stava per dirigerla contro la persona giusta.

- Smettila di dirmi cosa devo e non devo fare, quando posso uscire, chi devo vedere, soprattutto smettila di dirmi a chi dovrei parlare dei cazzi miei!

- Tommy.

Quel richiamo, neppure troppo convinto, era sfuggito dalle labbra di Adam prima che il ventiduenne potesse riflettere su quanto fosse opportuno intervenire in una situazione così delicata, così come gli era scappato quel mezzo passo in avanti che poi era sfumato nel nulla. Voleva con tutte le sue forze trattenere il diciassettenne dal dire cose di cui poi si sarebbe pentito e dal muovere accuse ingiuste contro gli O’Reilly, che senza dubbio non se le meritavano. Ma forse Tommy percepì l’esitazione nel suo accenno di rimprovero, spezzato a metà strada, o forse stava cavalcando l’onda della propria rabbia con troppo nero entusiasmo per rendersi conto che l’altro aveva parlato, fatto sta che non si fermò e continuò a fronteggiare Rick.

- Non ne hai alcun diritto, non sei il mio vero padre – lo sminuì parlando tra i denti, cieco al dolore che d’improvviso si era fatto largo sui visi, sordo al silenzio penetrante come ai propri veri sentimenti, prima di sputare quell’ultima imperdonabile calunnia. - Sei solo l’ultimo della carrellata di stronzi che mi ha rovinato la vita.

Quando il ceffone di Rick colpì Tommy in pieno viso, voltandogli la faccia verso la parete più lontana da Adam, così fulmineo da stupire tutti, così forte, deciso e rumoroso da far crescere l’imbarazzo di essere lì ad assistere, Adam sentì una scarica d’elettricità bruciargli lo stomaco e mozzargli il fiato e Julie si portò una mano alla bocca.

Il ventiduenne sentì il dolore e la vergogna di Tommy attaccarlo all’istante mentre, fermo e teso come tutti, lo guardava portarsi una mano alla guancia colpita, percepirne il calore e arrossire come un bambino redarguito davanti a degli sconosciuti, tirare su col naso e scattare verso le scale senza una parola. Julie lo seguì di un paio di passi e riuscì a prendergli una mano con ferma gentilezza prima che il ragazzo si divincolasse con uno strattone, serrando le palpebre per non vedere gli occhi di nessuno e affogare nell’umiliazione che si sentiva incollata addosso come un velo di sudore, sporco e vischioso. Adam rimase fermo, bloccato, a guardarli lottare per una frazione di secondo, mentre Rick assomigliava sempre di più a un’ombra abbandonata a capo chino lì dove aveva alzato la mano per schiaffeggiare il ragazzo.

- Lasciami! – urlò Tommy in direzione di Julie, guadagnando a fatica i primi tre scalini prima di recuperare equilibrio e forza e correre verso il piano superiore, i tonfi dei piedi sui gradini che non riuscivano a mascherare l’eco del pianto che stava salendogli dal fondo della gola. - Lasciatemi in pace, tutti quanti!

Julie si lasciò scappare un’altra lacrima e Adam fece appena in tempo a inghiottire quell’ammasso di emozioni ostili che la porta della camera di Tommy sbatté con furia, isolandolo dal mondo e lasciando la famiglia a fare i conti con quello che era appena successo.

 

Quando gli venne offerto di occupare la stanza degli ospiti per ciò che rimaneva della notte Adam tentò di convincere gli O’Reilly che non era il caso che si disturbassero, che essendo abituato a trascorrere intere nottate insonni non avrebbe avuto problemi a guidare per tutto il viaggio di ritorno in città e fino al proprio appartamento, ma Julie non volle sentire ragioni, lo zittì consegnandogli un guanciale gonfio di piume e lo condusse nella cameretta sobria ma fornita di tutto l’occorrente la cui porta d’accesso si trovava subito a destra dell’ingresso e che il ventiduenne conosceva già, avendoci trascorso gran parte delle notti in cui aveva dormito in quella casa – giusto il tempo di pazientare che Rick e Julie si addormentassero per poi infilarsi in camera di Tommy e dormire abbracciati nel letto del più piccolo.

Non disse alla coppia del disagio che provava a trattenersi in casa loro dopo ciò a cui aveva assistito, anche perché dubitava che il cristallo dei suoi occhi fosse riuscito a nasconderlo, così come non c’erano riusciti gli occhi umidi di Julie, non disse quanto scomodo e inutile lo avesse fatto sentire vedere Rick rifilare a Tommy quello schiaffo né rivelò niente sul fatto che quella scena gli aveva fatto saltare il cuore in petto e rivivere momenti mai realmente visti, tutte le volte in cui la persona che amava, quel ragazzino, era stato colpito da altra gente con tutt’altri motivi.

Neanche per un secondo pensò di considerare lo sguardo grave e intristito con cui Rick lo supplicò di non correre a consolare Tommy prima di svanire in salotto senza una parola. Certo rispettava quell’uomo e non aveva neanche molto da rimproverargli riguardo a come aveva gestito la situazione con Tommy, dato come si era comportato il diciassettenne, ma non era lui che amava.

Riuscì a rimanere steso a letto a malapena per una trentina di secondi, supino, con lo sguardo fisso al soffitto come un cadavere irrigidito dal gelo interno e ancora abbracciato al cuscino, prima di seguire l'onda di un pensiero martellante, saltare di nuovo in piedi e uscire dalla camera.

L’interno della casa si era fatto silente e immobile tutto d’un tratto, come se l’averlo confinato nella stanza degli ospiti fosse stato il segno da parte di Julie che il coprifuoco era già stato infranto troppe volte per quella notte. Adam sbirciò nel salotto e non vi scorse l’ombra né udì il respiro di nessuno. Trovò una situazione identica raggiungendo la cucina a tentoni, evitando di accendere la luce per il rischio di venire scoperto, neanche fosse un moccioso avventuratosi alla ricerca di dolcetti proibiti.

Aprì il freezer, si lasciò accecare dai suoi neon bianchi come la neve mentre cercava il necessario, quindi lo richiuse e tornò in corridoio per imboccare le scale che portavano al piano superiore, che raggiunse con passi cauti e misurati per la paura di mettere il piede in fallo e ruzzolare di nuovo al piano terra. Fortunatamente la porta della stanza di Tommy era immediatamente in cima alle scale sulla destra.

Adam bussò con tutta la cortesia che aveva e non dovette attendere molto per sentire la brusca risposta di Tommy, appena smorzata dalla presenza del battente fra loro.

- Va’ via!

Il ventiduenne strinse i denti in una smorfia impressionata prima di ritentare a voce con la stessa dolce calma con cui aveva picchiato le nocche contro il legno. - Sono Adam. Posso?

Decidendo di prendere il silenzio che seguì come un assenso, abbassò la maniglia, spinse la porta ed entrò nella camera per poi richiudersi il battente alle spalle fino a udire uno scatto gentile. La stanza era immersa nell’oscurità come il resto della casa, ma Adam non si fece troppi problemi a trovare l’interruttore sulla parete e ad accendere la luce, dato che se poteva capire il bisogno di Tommy di isolarsi dal mondo chiudendo la porta non aveva intenzione di lasciare che approfittasse anche delle tenebre per nascondersi a lui.

Lo scorse sul letto, al posto del cuscino che aveva gettato a terra, con la schiena contro il muro, le ginocchia contro il petto e i diversi strati di coperte che di solito si trovavano ordinatamente adagiate sul materasso stretti a mo’ di mantello attorno al suo corpo, che così raggomitolato e pigiato contro il muro appariva ancora più piccolo. Da quell’ammasso di coltri sbucava solo la testa, con quell’ammasso di capelli biondi e i grandi occhi nocciola, e nonostante l’aria tetra del ragazzo ad Adam sfuggì un mezzo sorriso intenerito.

- Ti ho portato questo – esordì con i suoi occhi puntati addosso, avvicinandoglisi e porgendogli il sacchetto di biete congelate che aveva trovato nel freezer. Tommy lo considerò di sottecchi, come facendo finta di non sapere a cosa gli dovessero servire degli ortaggi immangiabili in quel momento, così Adam ebbe la pazienza di fare spallucce e di giustificarsi, pacato. - È stato piuttosto… potente e ho visto che ti ha aperto un taglietto sul labbro. Non voglio che ti venga un livido.

Tommy si decise ad accettare le biete solo quando Adam fece per sistemargliele sulla guancia da sé. Il maggiore non fece fatica a sopportare che volesse essere toccato il meno possibile in quel momento e rimase a guardare la smorfia con cui il diciassettenne accolse il contatto gelido del sacchetto con la gota colpita, ancora paonazza per il segno delle dita di Rick.

- Alla fine è uguale a tutti gli altri – sospirò il biondo dopo qualche secondo, spostando lo sguardo sulla propria libreria di cd musicali, fissata accanto al letto per ogni evenienza, e Adam fece suo quello spunto di conversazione con la prontezza di un ghepardo, dato che conosceva Tommy abbastanza da sapere che sperare in una seconda occasione sarebbe stato un azzardo.

- Non dire così – lo riprese sottovoce, sedendosi sul letto e poggiandogli una mano su una delle due ginocchia nascoste, fissando gli occhi celesti nei suoi perché vedesse quanto credeva a quello che stava dicendo. - Rick ti vuole un bene dell’anima e lo ha appena dimostrato, considerando quanto hai fatto stare in ansia lui e Julie – Tommy gli lanciò un’occhiataccia, ma Adam non abbassò lo sguardo né tantomeno demorse, una scintilla di responsabilità fraterna nello sguardo deciso. - A dire la verità non so se avrei reagito diversamente se il ragazzo che ho accolto in casa mia e che amo come un figlio da quasi un anno mi avesse urlato addosso quelle parole.

Tommy parve rimpicciolirsi ancora sotto una nota di biasimo così personale, ma poi trovò la boria sufficiente a sollevare la testa e sbuffare. - Ho solo detto la verità.

Ma Adam spense ogni suo ardore scuotendo la testa e accennando un altro sorriso, come avendo a che fare con un marmocchio che crede di avere il mondo nelle proprie mani e di averne capito tutti i segreti con un solo sguardo. - No. Neanche pensi davvero quello che hai detto, figurati se è la verità.

Allungò un braccio e, sapendo che ora Tommy non si sarebbe sottratto volentieri al contatto con la sua pelle, usò il dorso di indice e medio per accarezzargli la guancia colpita, vedendo il ragazzo trattenere un gemito nonostante tutta la delicatezza usata.

Rick non c’ha davvero visto più.

Eppure non ce l’aveva con lui per aver colpito il suo ragazzo, per aver messo a disagio e fatto del male alla persona che si era preso l’incarico di proteggere, e questo gli permise di comprendere quanto anche lui avesse condiviso il bisogno di tirare quella sberla a Tommy. Non solo e semplicemente perché aveva mancato di rispetto a chi gli aveva donato e restituito così tanto, no, ma anche per allontanare la possibilità che in preda alla crisi di rabbia che lo aveva colto si lasciasse scappare altre parole, altri insulti, altre accuse più difficili da perdonare.

- Forse è l’unico schiaffo che tu ti sia mai meritato, sai? – osservò Adam, sempre con un filo di voce, continuando a vezzeggiare la sua pelle liscia e comunque stupenda, anche se rossa e accaldata sotto il sacchetto ghiacciato. - Te l’ha dato da padre, non da aguzzino. A me non è mai capitato che mi picchiassero per una ragione che con il senno di poi avrei considerato tutto sommato valida.

Tommy fece di tutto per sopprimere la scintilla che gli fece brillare gli occhi in modo strano e il brivido che gli percorse la pelle nel sentire quel sussurro, ma senza grandi risultati. Adam parlava così poco e così poco volentieri del proprio passato che ogni accenno ad esso da parte del ventiduenne gli faceva uno strano effetto, come se i loro ruoli nella relazione s’invertissero senza preavviso, per pochi attimi di caos. Tommy fece appena in tempo a riflettere su quanta fatica facesse il ventiduenne ad aprirsi che lo sdegno per ciò che Adam aveva appena detto lo colpì in pieno petto, in ritardo.

- Si può sapere da che parte stai? – domandò, stringendo le palpebre contrariato, e il maggiore sospirò affranto.

- Dalla tua. Stiamo tutti dalla tua parte, Tommy, sempre, e se solo tu ti decidessi a dirmi cosa non va…

Il più piccolo non lo lasciò nemmeno finire, si lasciò cadere sdraiato in posizione fetale sul materasso, la testa abbandonata accanto alla mano che Adam teneva appoggiata sul letto per sostenersi, i surgelati intrappolati fra la sua guancia e le lenzuola, le labbra tremanti sull’orlo di un singulto che gli occhi si rifiutarono di riconoscere, serrandosi con violenza.

- Sono io che non vado.

Il diciassettenne non aggiunse altro e rimase immobile, così Adam si concesse un altro respiro profondo prima di cominciare ad accarezzargli il viso, la testa e i capelli con una lentezza tale che avrebbe potuto indurlo a un sonno ristoratore, se solo al contempo il maggiore non avesse ripreso a insistere.

- Non hai la minima intenzione di parlarmene, vero? Siamo tornati alla scorsa estate e il ragazzo che conosco si è di nuovo chiuso a riccio? Non ti va più di raccontarmi tutto quello che ti passa per la testa? – gli chiese, il cuore che doleva, gonfio di dispiacere nel vederlo prigioniero del carcere che si stava erigendo attorno. - Lo facevi sempre, senza bisogno di chiedertelo, fino a poco tempo fa.

Quel discorso, così breve ma speranzoso e intenso, fu sufficiente a causare il breakdown emotivo del più giovane, che da un momento all’altro si mise a tremare e a scuotere la testa, a mordersi le labbra per lo sforzo di trattenersi.

- Gioia, cosa c’è? – mormorò Adam, preoccupato, chinandosi su di lui dopo che le prime lacrime del più piccolo furono atterrate sulle dita che non smettevano di sfiorarlo. – Oh, per favore, smettila di tenerti tutto dentro, non posso vederti così… perché non provi a spiegarmi?

Ma Tommy non fece altro che continuare a piangere e fare cenno di no con la testa e anche se Adam avrebbe tanto voluto riuscire ad arrabbiarsi, a imporsi, dato che a quell’ora l’unica possibilità rimasta gli sembrava quella, non poté che chinarsi su di lui e stringerlo più forte possibile, facendosi suo malgrado contagiare da quell’affanno di cui non conosceva l’origine.

- Cazzo, Tommy, così mi fai davvero sentire una merda– non si trattenne dal dire, concedendosi di sfogare almeno a parole la propria frustrazione.

Tommy si era sforzato e aveva smesso di tremare, ma non di piangere, e le sue parole, interrotte dai singhiozzi, fecero ancora più male.

- L-lasciami solo, per p-piacere. P-per piacere.

Adam, seppur colpito e dispiaciuto da quel congedo inaspettato, non se la sentì di obbligarlo a fare nient’altro quella notte. Più silenzioso e discreto che mai, sciolse l’abbraccio con cui aveva creduto di poterlo confortare come molte altre volte e si limitò a chinarsi su di lui ancora una volta per baciarlo sulla guancia sana con tutta l’innocenza di questo mondo.

- Cerca di dormire un po’ – gli consigliò, troppo simile a un genitore per non sentirsi in colpa, le parole delle grate di metallo pesanti, faticose da trascinare sul fondo della gola. Gli lasciò un’ultima carezza sul braccio, si alzò dal letto, raggiunse la porta e mise la mano sulla maniglia dopo aver spento la luce, lasciando sulla soglia la dichiarazione che sussurrò soltanto. – Ti amo.

Non aspettò la risposta, uscì e basta. Toccava sempre a lui ricordare a entrambi con quelle due paroline, all’apparenza così facili, quanto fosse importante la loro relazione, dato che Tommy non riusciva a pronunciarle, non ci era mai riuscito. Rifletterci sopra mentre scendeva le scale ricordò ad Adam chi dei due fosse sempre stato la roccia in quel rapporto dalle mille sfumature che lui e TJ condividevano. Stava ancora pensando a tutte le implicazioni del caso quando una luce in fondo al corridoio, verso la cucina, attirò la sua attenzione.

Si trascinò fin lì, vinto dalla curiosità e dal bisogno di non rimanere solo con se stesso dopo essere stato allontanato dal cucciolo che fino a quel giorno non aveva mai rifiutato il suo aiuto né la semplicità della sua vicinanza. La luce non era in cucina né in sala da pranzo, ma sulla veranda affacciata sul giardino sul retro, lì da dove due occhi stanchi lo accolsero assieme a un sorriso altrettanto esausto.

- Una tazza di tè, Adam?





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Capitolo 5
*** Uno di famiglia ***




*riemerge circospetta dalla selva delle analisi statistiche con la mitica fascetta di Rambo*

Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo, la cui prima metà languiva ormai da secoli sul mio pc, dentro un tristissimo file word che stava per cadere in depressione! Ci ho messo un secolo, lo so e chiedo venia! Vedete quanti punti esclamativi vi sto mettendo, vuol dire che sono super-mega-arci-ultra-dispiaciuta che sia passato più di un mese dall’ultimo aggiornamento!

Ma ora sono qui. Basta accampare scuse. Basta punti esclamativi.

Grazie infinite a and soon the darkness_, Sunset_Lily e MoonLightAdam per aver recensito lo scorso capitolo, grazie a Fidia2, che li ha recuperati tutti con le sue recensioni (!!!) e infine grazie a chiunque stia dietro a questa storia, che faccia parte delle 13 che la seguono, delle 5 che la preferiscono, sia l’1 che la ricorda o sia un’anonima imbucata… luv u all.

Detto questo, spero che ciò che segue vi piaccia. Buona lettura :)

 





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- Una tazza di tè, Adam?

Anche se era stata la voce di Julie ad accoglierlo, per Adam non fu una vera e propria sorpresa trovare entrambi i coniugi O'Reilly oltre la soglia della veranda. Nei mesi passati ad aiutarli a preparare pranzi e cene che poi si erano goduti assieme, a conversare con loro come con amici di un'altra generazione e a far la spola fra casa loro e la propria scarrozzando Tommy, il ventiduenne aveva avuto modo di capire quanto fosse forte il legame che condividevano. Dopo tanto pensare Adam era giunto alla conclusione che gli anni insieme e gli sforzi immani in cui entrambi si erano spesi affinché la coppia resistesse anche all'impossibilità di avere i tanto desiderati figli erano ciò che li aveva resi indivisibili. Certamente anche amici, oltre che coniugi, o almeno questa era stata la sua impressione.

Se Julie sedeva sull’angolo del divanetto di vimini, sull’orlo del cuscino color panna i cui cloni erano posizionati su ogni posto disponibile, Rick stava sulla poltrona alla destra di Adam, i gomiti poggiati poco sopra le ginocchia, le dita chiuse a coppa attorno a una tazza fumante, la mano della moglie ancora intenta ad accarezzargli un braccio in segno di supporto. Notando l’arrivo del ragazzo entrambi avevano alzato lo sguardo, ma non avevano rinnegato l’atmosfera di dispiacere del momento ritraendosi. Non si vergognavano dei propri errori né del bisogno di confortarsi l’un l’altro e ne avevano ogni diritto, pensò Adam.

Vedendolo esitare sulla soglia con una mano sullo stipite, Julie allargò appena il proprio sorriso di benvenuto, rendendolo un poco più convinto e accogliente.

- Non stare sulla porta, caro. Entra – lo esortò con un cenno condiscendente della testa. - Non ti mangiamo, sai?

Adam sorrise a sua volta a quelle parole, altrettanto poco convinto, e senza indugiare oltre percorse i pochi metri che lo condussero oltre il tavolino dove, sopra una tovaglietta color lavanda, attendeva un vassoio completo di teiera fumante, un paio di tazze ancora pulite, la zuccheriera, un minuscolo bricco di latte e qualche fettina di limone adagiata su un piattino. Oltre i vetri incorniciati dal legno bianco che teneva la veranda al caldo e al riparo nei mesi più freddi e durante le notti estive, nel buio, Adam riconobbe qualche ombra familiare di alberi e piante che conosceva bene, quindi prese posto accanto a Julie. Senza una parola la donna prese una delle tazze ancora vuote, vi verso del tè e aggiunse il limone senza nemmeno chiedere al ragazzo, di cui conosceva alla perfezione i gusti a riguardo. Niente zucchero, niente latte, abbondanza di limone.

- Grazie – mormorò Adam nell’atto di accettare la tazza, sentendosi stranamente in imbarazzo.

Rick non aveva smesso di fissarlo da quando si era unito a lui e alla moglie, ma fu solo quando gli occhi cerulei del ventiduenne incontrarono i suoi che deglutì, come se bastasse quello sguardo a farlo sentire sotto giudizio. Adam dovette costringersi a non riprendere a scrutare le profondità della propria tisana in attesa che l’uomo si decidesse a dare voce a ciò che lo tormentava. Fu necessario qualche secondo di silenzio arduo da tollerare.

- Se sei arrabbiato con me posso capirlo.

Adam lo considerò ancora per qualche attimo, poi scosse la testa. - Non lo sono.

- Posso crederti? – indagò Rick, alzando un sopracciglio, e il ragazzo poggiò la tazza di tè per avere le mani libere e intrecciare le dita fra loro con un sospiro, lo sguardo che spaziava da Rick a Julie e viceversa.

- Posso essere completamente sincero?

- Te ne prego – annuì Rick, tentando di nascondere l’insicurezza dietro l'immobilità dell’espressione.

Anche Julie si affidò completamente ad Adam, in trepida attesa, e il ragazzo prese un respiro profondo prima di iniziare, cercando di riordinare pensieri e sentimenti.

- Da quando ho ritrovato Tommy la scorsa estate ho sempre creduto che il fatto che condividiamo un pezzo di passato abbastanza violento, un passato che è sempre stato la causa primaria del mio bisogno di difenderlo, mi avrebbe spinto a saltare al collo a chiunque avesse osato toccarlo – cominciò, per poi umettarsi le labbra asciutte e alzare di nuovo lo sguardo sui genitori adottivi della persona che gli stava più cara al mondo. - Conoscete bene quanto me il male che gli è stato fatto e ancora oggi io mi sento responsabile della sua incolumità, nonostante ci siate anche voi a occuparvi di lui. Ma è proprio questo il punto, Rick – affermò, concentrandosi sugli occhi seri di lui. - Tu non gli hai fatto male. Non lo hai colpito gratuitamente come tutti quelli che ti hanno preceduto, lo hai fatto davvero per educarlo, per insegnargli qualcosa, lo hai fatto per lui – spiegò, onesto. – Non ho sentito l’impulso di fermarti e ti do ragione, credo che Tommy se lo sia meritato. L'ho detto anche a lui e sebbene adesso non capisca io credo che un giorno non molto lontano ci riuscirà.

Pensava di essere stato convincente, anche perché aveva parlato col cuore e senza nascondere nulla, come avrebbe fatto con un amico, eppure Rick scosse la testa e abbassò lo sguardo sulle proprie mani, impegnate a torcersi d’inquietudine.

- Sento di avervi mancato di rispetto – rivelò, conscio delle occhiate apprensive della moglie. - Per tutto quello che avete subìto in passato e per tutto quello che tu hai fatto perché Tommy non dovesse più vivere fra persone che lo trattavano come non merita.

- Ma tu non l’hai maltrattato! – s’indignò Adam, agitandosi un poco sul posto, perché gli risultava inconcepibile che quell’uom0 fosse così insicuro delle proprie posizioni. - Posso parlare solo per me stesso, Rick, ma ti prego di credermi quando ti dico che non hai sbagliato, anzi. Vorrei aver avuto un padre come te – aggiunse in ultima istanza.

Rick sorrise d’istinto, un poco rincuorato.

- Sei molto gentile, Adam, grazie.

- Non lo dico tanto per dire. Chiedi pure a Kevin e ti confermerà che avrei avuto bisogno di una persona responsabile che mi tirasse le orecchie ogni tanto. C’è stato lui, certo, ma a quanto pare un solo babysitter non era sufficiente per me – dichiarò, riuscendo a ottenere un sorriso da parte di entrambi. – E forse non lo è neanche per Tommy, sapete, ma non dovete arrendervi.

Julie sorrise grata e commossa di fronte alla sincerità che trapelava dal suo discorso e Rick annuì con posata compostezza, il suo illimitato senso di responsabilità che gli si rifletteva sul viso già un poco segnato dagli anni.

- Hai parlato con Tommy? – domandò Julie dopo una manciata di secondi.

- Ci ho provato. Non era molto in vena – rispose Adam, piegando le labbra di lato in una smorfia contrita, tutta la delusione a cui aveva intenzione di arrendersi. - È evidente che ha un problema, ma a quant0 pare fa attenzione a tenerselo per sé.

Julie sospirò e il suo sguardo dolce e malinconico scivolò verso terra, ferendo Adam quanto Rick. Il più giovane del trio che si era riunito su quelle poltroncine di vimini fece per cavarsi di bocca qualcosa che potesse consolarla, ma la donna fu più svelta a riprendersi da sé.

- Hai compiuto un piccolo miracolo con lui l'estate scorsa – mormorò, accennando un altro dei suoi sorrisi stanchi ma benevoli quando i suoi occhi scuri e quelli celesti di Adam s’incontrarono di nuovo. - Non è che ti ricordi come hai fatto?

Fu la volta del ventiduenne di abbassare lo sguardo sulla propria tazza di tè, che languiva sul tavolino, il vapore che vi si levava appena un po’ meno insistente di qualche minuto prima, e senza sforzarsi si perse dietro ai pensieri che quella frase con cui la signora O’Reilly lo aveva affettuosamente provocato gli avevano ispirato. Già, come aveva fatto? Da luglio non era trascorso molto tempo e nel frattempo ciò che provava per Tommy non era cambiato se non per maturare, perciò non avrebbe dovuto essere troppo difficile capire come andare incontro alle nuove difficoltà del suo ragazzo. Dopotutto restava sempre lo stesso adolescente dalla testa dura a cui si era avvicinato quasi per caso, o forse, al contrario, perché quell’incomprensibile energia che alcuni chiamano destino aveva voluto così.

Ragiona, come hai fatto?

Gli aveva parlato, lo aveva ascoltato, lo aveva praticamente costretto a rivolgergli la parola e a stare con lui abbastanza a lungo da tessere un legame minimo, ma in questo era stato preceduto da altri. La vera domanda era, come aveva fatto a trasformare tutto ciò in qualcosa di più importante? Come aveva fatto a convincere un ragazzino tradito mille volte che valeva la pena fidarsi di uno conosciuto solo qualche giorno prima al punto da aprirgli il cuore e consentirgli di spingerlo verso chi avrebbe potuto salvarlo dai suoi concreti incubi quotidiani?

La risposta colpì Adam dritto al petto e lo costrinse a deglutire per la pesantezza di quella consapevolezza mentre rialzava lo sguardo verso Julie e Rick.

Sono stato il primo a mostrargli le mie debolezze. Senza paura, gli ho aperto la strada perché capisse che molte volte non è colpa nostra e che comunque non c’è nulla di male nell’essere deboli.

- Credo di avere ancora una carta da giocare a riguardo – annunciò agli O’Reilly, che lo fissavano come in attesa di una rivelazione, ma fu ben attento a non svelare tutto ciò che aveva appena riscoperto. Benché fosse stata Julie a far partire quella riflessione, infatti, Adam sentiva che tutto ciò riguardava solamente lui e Tommy. - Forse c'è qualcosa che potrebbe aiutarmi a persuaderlo a parlarne, ma ho bisogno di aiuto. Ho bisogno che gli concediate un po' di libertà.

Se Julie restò in ascolto senza fare una piega, Rick si accigliò. - Che cosa intendi?

Adam si concentrò su di lui, ben consapevole che sarebbe stato l’osso più duro da convincere.

- Vorrei il permesso di portarlo con me per qualche giorno – espose allora. - In un posto speciale.

Rick lo scrutò per qualche secondo, come per testarlo, e Adam ricambiò con una serietà evidente quanto matura, per nulla forzata, per fargli comprendere che non intendeva assolutamente prendersi gioco di lui né della sua autorità in quella che era casa sua e nei confronti di Tommy.

- Scusa, ma non mi sembra il caso – decretò però l’uomo dopo un paio di secondi, destinando a sua volta la tazza al tavolino, temendo di scaldarsi troppo per trattenerla fra le mani. I suoi occhi erano uno specchio d’onestà che ancora una volta il ventiduenne si trovò a stimare. - Mi pento di aver alzato le mani, questo è certo, ma ciò non vuol dire che sia incline a dimenticare o perdonare così facilmente il suo comportamento. Mi dispiace e ti ringrazio della disponibilità, ma non è il momento di regalargli un viaggio – concluse alzandosi in piedi, come a dar a intendere che considerava chiusa la questione.

- Ma non sarebbe un premio! – protestò a viva voce Adam, facendo per seguirlo, ma in quel momento Julie intervenne posando una mano sul ginocchio di quello che al pari di Tommy considerava suo figlio, per chiedergli di rimanere seduto, e l’altra sul braccio teso del marito, rivolgendo a quest’ultimo uno sguardo che sfiorava la supplica.

- Rick, pensaci bene – lo incitò quindi, domandandogli con gli occhi di riflettere su quanto il loro rapporto con il figlio adottivo stesse diventando difficile anche senza che lui s’impuntasse su precetti educativi che non erano davvero delle priorità in quel momento. - Per favore.

- Tommy si è intestardito – si sentì nel giusto ad aggiungere Adam, restando accanto a Julie come la donna gli aveva implicitamente chiesto, ma senza retrocedere di fronte alla durezza degli occhi azzurri di suo marito. - Io penso di sapere come prenderlo, ma stai sicuro che non parlerà finché resta qui, gli serve un cambiamento che gli faccia abbassare la guardia, che lo costringa a farlo.

Ancora una volta Rick lo mise alla prova senza bisogno di proferire una sola parola. Gli scavò dentro con quei suoi occhi chiari che un estraneo al primo incontro avrebbe potuto scambiare per quelli di Adam, esitò finché non seppe di potersi arrendere senza poi soffrire di rimorsi.

- D'accordo – sospirò dopo un’analisi che al ventiduenne parve infinita, per poi pretendere di allontanare da sé l’intera discussione con un semplice movimento della mano. - Portalo dove vuoi, fai ciò che ritieni più giusto. Fai ciò che io non riesco a fare.

- Non è questo che intendevo – intervenne all’istante il ragazzo, questa volta alzandosi in piedi senza che Julie provasse nemmeno a trattenerlo. Non aveva intenzione di lasciare che quell’uomo si accollasse colpe non sue, non dopo tutta la bontà e la pazienza che molte volte aveva dimostrato saper elargire. - Rick, tu sai quanto ti vuole bene Tommy. Credimi, sono davvero convinto che il problema sia esterno alla famiglia.

Solo allora, dopo aver compiuto un paio di passi nella sua direzione e avergli messo una mano sulla spalla per stringergliela, Rick gli concesse un sorriso.

- Finché sarà uno della famiglia a occuparsene, io sarò tranquillo – dichiarò con semplicità.

Accolse con piacere il sorriso con cui Adam ricambiò la sua fiducia, gli batté un paio di colpetti sulla spalla per sottolineare il suo punto di vista, quindi passò a dare un bacio a Julie prima di congedarsi con un cenno della mano e scomparire nel corridoio buio, verso le scale che lo avrebbero portato in camera da letto, lasciando la moglie tranquilla e Adam con l’animo ubriaco di una gioia che impiegò un po’ a decifrare, essendo ancora nuovo alle sensazioni che si provano avendo un padre accanto.

 

Adam rimase ad aspettare Tommy fuori dal suo liceo per ore, seduto dietro al volante della sua auto, che comunque non avrebbe attirato neanche il più disperato dei ladri. Nonostante la notte precedente fossero arrivati a casa O’Reilly poco prima dell’alba, quella mattina il diciassettenne era sgattaiolato fuori senza che nessuno ci facesse caso per evitare qualsiasi discussione attorno al tavolo della colazione. Non appena se ne era accorto Adam era corso davanti alla sua scuola con la macchina, pregando qualsiasi divinità esistente che quel piccolo indemoniato fosse davvero andato a lezione e non fuggito in qualche altro posto, questa volta senza prendere in considerazione la sua opinione.

Farai meglio a essere in classe o questa volta quando ti trovo un calcio in culo non te lo leva nessuno, pensò il ventiduenne, schiumante di rabbia al solo pensiero, girando con furia l’ennesima pagina della rivista che aveva appena riesumato dal baule nel vano tentativo di far passare più velocemente il tempo.

La sensazione di essere sul punto di perdere completamente anche i pochi punti di contatto con Tommy gli stringeva cuore e stomaco in una morsa che lanciava fitte lancinanti ad alternanza e Adam voleva solo che quella tortura smettesse. Era pronto a dare tutto se stesso perché smettesse.

Non me la fai, Tommy. Vincerò io, come sempre. Agitati quanto vuoi, che tu voglia lasciarmelo fare o no ti aiuterò, stronzetto.

L’ansia diminuì un poco quando, circa cinque minuti dopo il suono della campanella che annunciava la fine delle lezioni del mattino, il ventiduenne scorse Tommy avviarsi lungo il marciapiede assieme a un’orda infinita di liceali che alla fine si dispersero con incredibile rapidità, così da permettere al biondo di scorgere l’inconfondibile carretta del suo ragazzo proprio davanti all’edificio dei laboratori di chimica e biologia.

Adam lo vide fermarsi, tentennare sul posto, ma poi, forte dell’accusa già insita nelle occhiate che il maggiore gli stava lanciando, si arrese alle circostanze e raggiunse l’auto con passi lenti e strascicati. Quando finalmente arrivò alla portiera del passeggero, Adam si chinò un poco in avanti per poter continuare a guardare gli occhi scuri che, malgrado recassero i segni di una notte insonne e di una collera ancora non del tutto sopita, non potevano non smuovergli qualcosa in petto ogni volta che li incrociava.

- Sali – ordinò con voce asciutta, senza risparmiargli ogni goccia di irritazione, cosicché si rendesse conto di quanto lo aveva fatto penare nelle ultime ore, e facendo uno sforzo si allungò fino a socchiudere la portiera dal suo lato. - Ti devo parlare.

Tommy non si mosse, anzi, si limitò a continuare a fissarlo con la stessa aria indispettita.

- Non mi piace quella faccia – commentò dopo aver atteso che un gruppo di quattordicenni starnazzanti si fosse allontanato fra mille risatine, e Adam inarcò le sopracciglia con incredulità prima di prendere un respiro profondo e reprimere a forza un acuto che avrebbe finito con l’allarmare ogni essere vivente nel giro di duecento metri.

- Peccato, zuccherino, caso vuole che sia l'unica disponibile – commentò invece con un sorriso falso quanto la sua improvvisa dolcezza, per poi bruciarlo con un’occhiata rovente che prometteva guai se non avesse obbedito all’istante e senza bisogno di ulteriori esortazioni. Ma Tommy sembrava pronto a correre il rischio piuttosto che arrendersi e recepire il messaggio.

- É la tua tipica faccia da predica e credo di essermene già sorbite abbastanza nelle ultime ore – dichiarò, il mento che gli tremava in maniera appena percettibile e non certo per paura.

Di fronte a tanta caparbietà la voce di Adam si ridusse a un tono minaccioso che scandì accuratamente l’ultima chance che era pronto a concedere al diciassettenne.

- Sali in macchina.

Per tutta risposta Tommy rimase a fissarlo per qualche momento di staticità, lasciando trasparire il furore solamente dagli occhi e dal colore delle gote, che gli si imporporarono di colpo per la vergogna e la frustrazione di venire comandato come un bambino anche dal suo ragazzo. Adam stava per aggiungere qualcos’altro che potesse convincerlo ad abbassare del tutto le arie e a dargli ascolto quando improvvisamente il biondo gli voltò le spalle e s’incamminò di nuovo verso la scuola con lunghi passi decisi.

- Dove credi di andare adesso?

Il più grande bestemmiò picchiando i palmi delle mani sul volante e saltò fuori dall’auto, sbattendo la portiera dietro di sé prima di mettersi alle calcagna dell’adolescente, che continuò a ignorarlo e a marciare come se non esistesse, fissando dritto davanti a sé, la borsa dei libri che gli pendeva dalla spalla e ad ogni falcata gli colpiva il fianco con un tonfo.

- Ehi, sto parlando con te! – lo ammonì Adam, ignorando gli sguardi straniti degli studenti che gli camminavano attorno e accelerando il passo dietro a Tommy finché non riuscì a bloccarlo afferrandolo per un braccio. Incurante dei suoi tentativi di opporre resistenza lo costrinse a voltarsi verso di lui per guardarlo in faccia mentre gli rinfacciava ciò che lo aveva fatto rodere durante l’intera mattinata. - Piantala di scappare via, piantala di fare il bambino – gli sibilò a pochi centimetri dal viso contratto dalla rabbia.

Tommy gli concesse la propria attenzione solo per un attimo, poi i suoi occhi corsero alla mano con cui il maggiore gli stava stringendo il braccio per non permettergli di sfuggirgli di nuovo.

- Lasciami andare...

- No – si oppose Adam, e quando l’altro provò a liberarsi con uno strattone perse definitivamente la pazienza, lottò contro di lui per riuscire a impadronirsi anche dell’altro suo avambraccio e lo costrinse a tenerli entrambi davanti al viso, rafforzando la presa mentre i suoi occhi chiari, ora brucianti di collera, trafiggevano quelli nocciola del più piccolo, che non si era mai visto trattare così da lui. - Ora basta, Thomas!

- Non mi chiamare in quel modo, sai quanto lo odio – ringhiò.

- Ti chiamo come meriti di essere chiamato – si sfogò Adam. Se ne pentì un attimo dopo, quando un lampo di dolore balenò nelle iridi di Tommy, al quale il proprio nome per intero avrebbe sempre ricordato tutti i genitori adottivi che lo avevano maltrattato, perché era così che lo avevano sempre chiamato. Il maggiore si morse le labbra con sincera contrizione, ma non cedette riguardo ai suoi scopi, le sue mani non mollarono la presa attorno ai polsi del più giovane né i suoi occhi, ora meno infervorati, si separarono un attimo dai suoi. - Smettila di agitarti, resta qui e ascoltami e ti chiamerò come vuoi essere chiamato. Non mi sembra di chiedere la luna, Tommy.

Lo sentì rilassarsi a quel suono. Il diminutivo che lasciava usare solo a coloro a cui si sentiva legato sapeva di casa, riusciva sempre a tranquillizzarlo nei momenti difficili e in quella particolare occasione ebbe un effetto benefico. Il ragazzo lasciò andare i nervi così come la tensione nello sguardo e abbassò gli occhi a terra per un paio di secondi di tregua prima di tornare a quelli di Adam, che con una fitta allo stomaco scoprì che la malinconia delle ultime ore era tornata a sostituire l’astio in quelle iridi scure. La morsa delle sue dita attorno ai polsi del più piccolo si allentò d’istinto di fronte a quell’amara vittoria.

- Mi stai mettendo in imbarazzo – fremette Tommy dopo un’altra manciata di secondi, e mentre il suo sguardo riprecipitava sui loro piedi Adam si diede un’occhiata attorno per rendersi conto che la discussione aveva calamitato su di loro l’attenzione di una decina di liceali che ora li fissavano con curiosità più o meno maligna.

D’un tratto si rese conto che era colpa sua e gli dispiacque che Tommy avesse da sentirsi ancora peggio per colpa del livello di esasperazione raggiunto dalla sua apprensione. Sospirando con sincero rammarico lasciò cadere la mano sinistra lungo il fianco e fece scivolare la destra dal polso del diciassettenne alle sue dita, che avvolse con rispetto prima di allontanarsi da quel posto portandolo con sé. Non aspettò che Tommy intrecciasse le dita con le sue come facevano spesso passeggiando assieme né fu così egoista o insicuro da credere che prima o poi, se avessero continuato a camminare, lo avrebbe fatto. Avevano appena affrontato una delle litigate più aspre della loro storia e non ne erano ancora venuti fuori.

Adam s’inoltrò nel prato che confinava con il cortile della scuola, laddove non era rimasto più nessuno, e lo condusse a una panchina solitaria che dava le spalle al campo da football che entrambi avevano sempre evitato. Il ventiduenne si sedette senza lasciare la sua mano e dopo qualche secondo Tommy acconsentì di buon grado a sedersi a una trentina di centimetri di distanza. Abbandonò la sua mano, impiegò le dita per cominciare a torturare il legno scheggiato con le unghie, gli occhi mesti fissi sul proprio lavoro, e Adam capì che era ora di mettere le carte in tavola.

- Apri bene le orecchie – esordì, una nota di rabbia che persisteva nel colorargli la voce di nero, e senza pretendere che Tommy smettesse di straziare il ciglio della panchina proseguì. - Ho parlato con Julie e Rick. Anche loro, come me, pensano che tu abbia un problema di cui non vuoi parlare e che da questo derivi il tuo comportamento delle ultime settimane.

Nel sentire quelle parole Tommy fu rapido a puntare gli occhi decisi nei suoi.

- Io non ho nessun prob-...

- Zitto, lo sto facendo per te – lo interruppe però Adam, mettendolo a tacere con un’occhiataccia di fronte alla quale il più giovane non si sentì di replicare alcunché. - Ho parlato con loro, dicevo, e li ho convinti che hai bisogno di una pausa di qualche giorno. Mi hanno dato il permesso di farti saltare qualche giorno di lezione per portarti in un posto che voglio mostrarti – Stanco di litigare e della tensione che si era andata creando fra loro, allungò una carezza sulla guancia del più piccolo per indurlo a tornare a fidarsi di lui e a guardarlo con l’affetto di sempre e per tranquillizzarlo addolcì i toni prima di quell’ultima frase, rivelata al suo orecchio con un bisbiglio che sapeva di complicità. - Solo io e te per un’intera settimana.

Tommy rabbrividì e di colpo si tirò indietro per piantargli addosso gli occhi sgranati, cercando sul suo viso qualche indizio che fosse tutto uno scherzo.

- Dici sul serio? Non mi stai prendendo in giro, vero?

Quando il sorriso di Adam lo rassicurò, Tommy quasi si soffocò con la propria risata e senza esitare gli buttò le braccia al collo.

- Oh, Ad, sarà fantastico!

Con la sensazione di essere stato invaso da una corrente di acqua fresca nel momento in cui quell’impeto di gioia si era fatto strada sul volto del più piccolo, illuminandolo come aveva quasi dimenticato potesse fare, il ventiduenne ricambiò l’abbraccio. Poteva capire il suo entusiasmo, dato che non avevano mai trascorso più di una giornata intera assieme senza che altri si aggiungessero alla compagnia, e pur sapendo che non sarebbe stata solamente una semplice vacanza non volle rovinare quel momento tornando a parlare di argomenti spiacevoli. Dopotutto avevano già discusso abbastanza per quel giorno e dopo ciò che era successo nelle ultime ore erano entrambi troppo stanchi per fare anche un solo passo verso la soluzione.

- Sì, sarà fantastico. Partiremo domani mattina sul presto - Seppur con dispiacere, Adam si prese l’incarico di sciogliere quell’attesissimo abbraccio e ancora una volta fu per il bisogno di guardare l’altro dritto negli occhi. - A patto che prima di partire ti scusi con Rick per quello che hai detto. Penso che anche lui abbia qualcosa da dirti e non voglio che vi separiate prima di aver aggiustato almeno questa cosa.

Tommy reagì a quella richiesta con una smorfia seccata, ma dinnanzi alla risolutezza di Adam non poté che capitolare.

- D’accordo – sospirò infine - Lo farò.

Fiero che avesse impiegato così poco a prendere la decisione più saggia, Adam gli sorrise e gli portò una mano alla guancia.

- Bravo il mio cucciolo – sussurrò un attimo prima di chiudere gli occhi, tendersi verso di lui e premiarlo con un bacio che Tommy si divertì a fargli prolungare fino all’inverosimile. Quando finalmente si separarono Adam attinse dalle guance accaldate, dagli occhi scintillanti e dall’intera figura illuminata dal sole di Tommy tutta la forza e il coraggio che gli sarebbero serviti per superare l’ardua prova in cui stava per imbarcarsi, quindi sorrise con affetto, diede un ultimo bacio veloce sulle labbra raggianti del più piccolo e si alzò dalla panchina.

- Dai, andiamo – lo incitò, accennando con la testa a dove aveva lasciato l’auto. - Ti accompagno a casa e vediamo se riusciamo a mettere insieme una valigia.



 

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Capitolo 6
*** Déjà vu ***


 

 

Allora… grazie a tutte/i voi che seguite la storia, spero di poter avere una vostra opinione prima o poi. Grazie a kissky per il supporto alla storia e a Sunset_Lily per aver lasciato una recensione allo scorso capitolo :*

Ora vi lascio al capitolo e spero possa piacervi :)

 




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Partirono di buon'ora. Nonostante l’alba fosse appena passata il cielo del mattino era innegabilmente terso e prometteva l’arrivo di una sfolgorante giornata di metà aprile. Malgrado sapesse che lui e Tommy avrebbero trascorso buona parte delle ore di sole in auto, Adam non poté che rallegrarsi di un preludio atmosferico tanto generoso e fu con un sorriso soddisfatto che andò a depositare gli ultimi bagagli nel baule mentre il suo ragazzo era occupato con gli ultimi saluti ai genitori.

Il ventiduenne osservò la scena con la coda dell'occhio mentre sistemava le valigie, vergognandosi un poco di quell'intromissione ma ansioso di premurarsi che anche durante quel piccolo passo verso la riconciliazione andasse tutto bene.

Tommy si lasciò abbracciare, baciare le guance e carezzare il viso di buon grado da Julie, che non smise mai di sorridere in segno d'incoraggiamento, e Adam lo vide accettare con triste imbarazzo anche la mano che Rick gli mise sulla spalla mentre gli diceva qualcosa che il moro non riuscì a udire ma che probabilmente erano raccomandazioni, perché il diciassettenne annuì meccanicamente e senza opporre alcuna resistenza.

Mentre Tommy lasciava la famiglia e si apprestava a salire davanti, sul sedile del passeggero, Adam chiuse il baule e andò a sua volta a congedarsi dagli O'Reilly, perlomeno per tentare di rasserenare con un sorriso le loro espressioni tese.

- State tranquilli - li rassicurò entrambi, ricambiando la stretta materna di Julie. - Ve lo riporterò sano e salvo. E forse anche un po' più disponibile, se tutto andrà come spero.

Rick assentì con coscienza. - Fate buon viaggio.

- E state attenti - aggiunse Julie fra il premuroso e l’esigente. - Guida con prudenza!

- Juls - la riprese dolcemente Rick, piegando finalmente le labbra in un sorriso mentre con un braccio circondava la vita della moglie per avvicinarla a sé e smorzare un po' della sua ansia da genitore. - Il ragazzo guida meglio di noi due messi assieme.

- Lo so, ma...

- Vai, Adam - la bloccò allora il marito, facendo un cenno verso la macchina in sosta. - O non la pianterà mai di asfissiarti, credi a me.

Adam rise sinceramente, quindi obbedì. Salutò con la mano e raggiunse l’auto per montarvi e mettere in marcia senza altre esitazioni.

Poco dopo essere partito si accorse che Tommy non aveva ancora alzato lo sguardo e, dato che ormai non vi era dubbio che la situazione fra loro fosse di nuovo tranquilla, il maggiore capì che i pensieri del giovane continuavano a rincorrere Rick e la delusione che Tommy doveva aver intravisto nei suoi occhi poco prima di lasciare casa.

- Va tutto bene? – gli chiese con cautela, non spostando gli occhi dalla strada che gli si apriva davanti.

Non avevano acceso la radio e la velocità raggiunta non era ancora così elevata da dar vita a un rombo tale da impedire una conversazione a toni normali, eppure la prima parola che Tommy pronunciò fece fatica a raggiungere le orecchie del più grande.

- Sì – Il diciassettenne si schiarì la gola e continuò, sempre fissandosi le mani che teneva occupate continuando a giocarci. - Sto solo pensando a quello che mi ha detto Rick ieri. Sai, quando... quando gli ho chiesto scusa.

Adam annuì, ma non aggiunse nulla. Il pomeriggio precedente, dopo aver dato una mano a Tommy con la valigia, era stato costretto a rifiutare l’invito a cena di Julie per poter tornare al proprio appartamento, in città, e preparare a sua volta un bagaglio consono, ma fin dall’inizio sia lui che Tommy erano stati consapevoli del fatto che se il più grande non si era trattenuto a casa O’Reilly anche per quella notte era principalmente per concedere ai membri della famiglia un po’ di spazio per cominciare a riavvicinarsi gli uni agli altri e, soprattutto, per dare a Tommy il tempo sufficiente a rispettare la condizione posta da Adam alla partenza. Essendo profondamente convinto che fosse una faccenda privata fra Tommy e il suo padre adottivo, a dispetto dell’insistenza del diciassettenne il moro non aveva voluto saperne di prendere parte a quel riaccostamento, ma quella mattina, prima di chiamare Tommy, aveva parlato con Rick per assicurarsi che quella conversazione avesse avuto luogo. Non avrebbe mai acconsentito a partire in caso contrario, ma il silenzio che Tommy protrasse in macchina confermò i suoi dubbi riguardo al disagio che il ragazzo continuava a provare ripensandoci.

- Non sarò io a chiederti di parlarmene – chiarì allora Adam, alzando un sopracciglio. Aiutare il più piccolo, in quel momento, non significava fare le cose al posto suo, ma fargli capire che era il suo turno di fare qualche passo avanti, anche a rischio di suonare severo. - È una cosa tua. Sta a te decidere se dirmelo o meno.

Con la coda dell’occhio vide Tommy mordersi con nervosismo il labbro inferiore, ma ancora una volta non intervenne, concentrandosi invece sulla guida. Lo scopo di quel viaggio era aprirsi e parlare, oltre che stare l’uno con l’altro, ed era ora che il più giovane imparasse a rispettare il suo turno.

- Ha detto che gli dispiace per… per lo schiaffo – si convinse infine il ragazzo, non riuscendo a nascondere l’imbarazzo. - Ma che sono stato io il primo a fargli male. Sentire quelle parole gli ha fatto male – specificò, e il suo tono di voce si abbassò di un tono mentre il rammarico per quello che era successo cresceva dentro di lui e gli divorava la coscienza. - Ha detto che credeva che lo avessi accettato, ormai.

Adam aggrottò la fronte, l’asfalto che correva sulle lenti a specchio degli occhiali scuri che aveva appena inforcato per non venire accecato dal sole appena levatosi in cielo, all’orizzonte. - Accettato?

- Come padre – deglutì Tommy.

Nel sentire quelle parole il maggiore si umettò le labbra, cosciente dell’importanza di tutto ciò, e si sentì in dovere di aspettare qualche secondo prima di ribattere. - E tu?

- Gli ho detto la verità – fece Tommy, gettando un’occhiata malinconica fuori dal finestrino. - Che penso stia facendo miracoli con me e che non vedrei nessun’altro al suo posto in questo momento.

Un sorriso spontaneo si dipinse sulle labbra di Adam mentre il suo cuore si riempiva d’insperato orgoglio. Ogni tanto le situazioni della vita e gli sbalzi d’umore che attribuiva all’adolescenza più che al suo carattere gli facevano dimenticare quanto Tommy fosse cresciuto negli ultimi mesi e quanto buon cuore sapesse dimostrare a volte, magari senza nemmeno rendersene conto. Era una delle tante intimità del suo essere che, messe assieme e unite a tutto ciò che Tommy era e gli trasmetteva, gli rendevano impossibile non amarlo.

Gettando un’occhiata veloce al sedile del passeggero, però, Adam si rese conto che il diciassettenne non aveva visto il suo sorriso, perché se ne stava ancora a fissare il panorama che galoppava fuori dal finestrino con occhi mesti, perso nei propri pensieri, così tolse la mano destra dal volante e gliela posò sul ginocchio con gentilezza.

- Ehi – lo chiamò, apprensivo, per attirare su di sé la sua attenzione. - Va tutto bene. Gli hai parlato e lui ha accettato le tue scuse, non è così?

Con un’altra occhiata incontrò i suoi occhi e lo vide annuire, attento.

- Allora va bene. Noi due non ci siamo abituati, ma nelle famiglie normali genitori e figli hanno discussioni e battibecchi di continuo, sai? L’ho sentito al telegiornale – scherzò, riuscendo a strappargli un sorriso che gli risollevò un poco l’animo, quindi, sempre spartendo la propria attenzione fra il ragazzo e la corsia della tangenziale, portò la mano dalla sua gamba al viso, per una carezza fugace ma decisa che potesse distrarlo. - Andrà tutto bene, TJ. Credimi.

Dopo essersi goduto fino in fondo il tocco delle dita del più grande sul viso, l’altro sospirò e si lasciò cadere all’indietro sul sedile, le labbra appena schiuse nel replicare in un sussurro: - Ti credo, Ad.

 

Verso l’ora di pranzo si fermarono a un autogrill ed entrarono di filato nella sezione ristorazione, per poi fermarsi a qualche metro dai tabelloni che annunciavano le offerte del giorno. La sala ristorante, che riuniva gli estimatori del fast food e quelli dei pasti completi, era abbastanza affollata e il vociare creava un rombo indistinto che riecheggiava nello spazio strapieno di tavolini.

Adam, il volto alzato verso i cartelloni e le labbra atteggiate in una smorfia indecisa, fu il primo a prendere la parola.

- Che cosa prendi?

- Cosa prendi tu, vorrai dire – ribatté Tommy, lanciandogli un’occhiata che aveva un che di minaccioso. - Rick e Julie mi hanno dato qualche soldo per il viaggio e mi hanno detto di vietarti di offrire tutto, per cui scordati di farmi recitare la parte della donzella in difficoltà per tutto il tempo.

Divertito, Adam ridacchiò e gli diede un buffetto sulla guancia.

- Scordati tu di impedirmelo, dolcezza, perché non hai nessuna speranza di farmela. Ricordi come sono diventato bravo nel rifiutare i drink con cui la gente del Wreckage vorrebbe comprarsi i miei favori? – lo mise a tacere, sbigottendolo al punto da strappargli un’espressione offesa, come se lo avesse appena ricattato minacciandolo di cominciare ad accettarli, quei drink. - Ecco, allora arrenditi, scegli un tavolino e fa' il bravo mentre vado a procurarci un paio di panini.

Quindi, senza dargli il tempo di riprendersi né ribattere, si allontanò verso il bancone lasciando Tommy con le sue vane proteste sulla punta della lingua e nessuna arma in mano. Quando Adam lo raggiunse a uno dei pochi tavolini disponibili, a metà strada fra una coppia di anziani turisti svizzeri e una famigliola con tre bambini piccoli e assurdamente rumorosi, già nel posare sul ripiano i due piatti con toast farciti e insalata notò che l’altro aveva uno sguardo sognante. Lo lasciò perdere, almeno per i primi due morsi. Poi non poté trattenersi dal fargli un cenno con la mano verso il suo toast ancora intatto.

- Dai, Tommy, mangia. Non obbligarmi a rimproverarti e a far fare una magra figura all’inconcludente madre multipla qua dietro – lo stuzzicò giocosamente, riferendosi agli inutili tentativi della coppietta di far ingoiare qualche boccone anche ai due figli più piccoli, due frugoletti che non dimostravano più di due e quattro anni.

Il più giovane ubbidì meccanicamente e senza entusiasmo, con un mugolio di assenso e un paio di morsetti accondiscendenti, la mente ancora persa a vagare dietro riflessioni che pian piano stavano arrivando in superficie.

- Che cosa strana – ponderò, e Adam increspò le sopracciglia.

- Cosa?

Finalmente Tommy alzò lo sguardo su di lui e fu come se non lo vedesse da ore.

- Adesso, quando sei arrivato coi piatti – spiegò quindi, scuotendo la testa disorientato. - Ho avuto come la sensazione di aver già assistito a questa scena.

Adam fece spallucce. - Hai avuto un déjà vu. Niente di così strano – Accennando un sorriso sagace, tornò ad azzannare il proprio toast e gli lanciò un’occhiata provocatoria. - Dopotutto non è la prima volta che ti cammino incontro reggendo un paio di piatti, dico bene? Qualcuno qui ha l’abitudine di ammalarsi spesso e di farsi servire.

Tommy non si fece problemi a rispondere con una linguaccia.

- Molto simpatico. Come se lo facessi apposta! – si lamentò, per poi tornare all’argomento che in quel momento gli stava più a cuore. - Comunque tutte le volte che mi hai fatto da infermiere non c’entrano, c’era qualcosa di diverso – Alzò gli occhi su di lui, scrutandolo con cura fino a giungere a una conclusione importante, seppur non sufficiente. - Tu eri diverso.

Adam ricambiò l’intensità del suo sguardo per qualche secondo, riflettendo, quindi prese la forchetta e si portò alla bocca qualche foglia d’insalata scondita per prendere tempo.

- Hm, forse so cos’è successo – annunciò infine, un’espressione seria scesa a oscurargli un poco il viso. - Per caso nell’immagine che la tua mente ti propone non solo reggo un piatto, ma ho lineamenti più infantili? E magari anche i capelli rossi?

Sull’onda di quell’indizio, Tommy impiegò poco più di un secondo per capire dove il maggiore volesse andare a parare e a quel punto sgranò gli occhi, irrigidendo gli avambracci sulla tavola di fòrmica bucherellata.

- Mi portavi da mangiare quando eravamo da Cooper? – si decise a domandare infine, un poco titubante e con una vena di timore reverenziale nella voce abbassatasi al livello di un soffio.

Adam non si rimangiò niente, non indietreggiò. Aveva fatto una scelta ancora il giorno prima, a casa O’Reilly, quando aveva deciso che doveva tornare ad aprirsi con Tommy perché era l’unica maniera di spingerlo a fare la stessa cosa ed era ora di dimostrare che sapeva mantenere una promessa fatta a se stesso. Fu così che quando parlò impose alla propria voce di non vacillare, di uscire calma e decisa, perché era assolutamente necessario mantenersi saldo alla consapevolezza che non era lui a doversi vergognare per le trame buie che avevano perseguitato i lunghi anni della sua infanzia.

- Qualche volta, quando capitava che ti mandasse a letto senza cena – rispose, continuando a masticare. - Quando si allontanava o mi lasciava alzare da tavola sgraffignavo qualcosa dalla padella e te lo portavo di sopra, in camera, dato che in realtà non hai mai fatto nulla di così grave da meritare un castigo, a quanto ricordo. È ovvio, come avresti potuto? Eri solo un adorabile affarino di neanche sei anni, anche troppo educato per un bambino di quell’età.

Quelle parole fecero sì che Tommy accennasse un sorriso mesto, ma colmo di riconoscenza.

- Ti esponevi così per me anche solo per una cena?

- Scherzi? – ribatté Adam, alzando di scatto lo sguardo su di lui, la forchetta appena sollevata dal piatto. - Non potevo sopportare l’idea che rimanessi a digiuno. Eri magrolino anche allora e non è che Cooper ci riempisse di cibo a tutte le ore del giorno, sai? Era già tanto se metteva in tavola qualcosa a pranzo e a cena e se mollava qualche biscotto a colazione – raccontò, apparentemente con leggerezza, per poi abbandonare ogni proposito di fare buon viso a cattivo gioco, concedersi un sospiro, passarsi una mano sul viso e rivolgere a Tommy il proprio sguardo più sincero, quello che non aveva remore a mostrare il dolore e la paura che aveva provato dodici anni prima. - La prima volta che ti mise in punizione non ti portai nulla perché avevo il terrore delle conseguenze, col risultato che ti sentii piangere nel tuo letto fino a mezzanotte. Fu terribile, mi sentii un mostro della stessa risma di quello che secondo i servizi sociali avrebbe dovuto essere adatto a occuparsi di noi – confessò, e sentendosi trafitto dagli occhi bene aperti e incredibilmente espressivi del più giovane chinò lo sguardo sul piatto e si prese del tempo per deporvi la forchetta e inghiottire un cumulo di spine al ricordo di quella notte. Aspettò di essersi ripreso, aspettò di essere sicuro di saper reggere, quindi rialzò la testa e sorrise rassicurante a Tommy, concludendo: - Così feci in modo che avessi sempre qualcosa da mettere sotto i denti, perché ti faceva stare più tranquillo.

Una parte di lui si azzardò a pensare di essersela cavata con poco quando Tommy rimase in silenzio per qualche secondo, ma subito dopo il ventiduenne si rese conto che il fatto che stesse riflettendo su ciò che gli aveva appena narrato non voleva certo dire che lo ritenesse sufficiente. Come dargli torto, d’altronde? Adam si era sempre dimostrato così restio e insofferente per quasi ogni cosa riguardante il suo passato che quella doveva apparire a Tommy come un’irripetibile occasione d’oro per scoprire qualcosa.

Qualcosa che, d’altra parte, lo riguarda in prima persona, pensò il maggiore, resistendo alla tentazione di tirarsi indietro come aveva già fatto molte volte quando il diciassettenne perseverò, seppur dimostrando un po’ di pudore nell’insistere su un argomento del genere.

- Come riuscivi a non farti scoprire? – chiese, appoggiandosi al tavolo con i gomiti e stringendo le palpebre.

- Gesù, Tommy, non ci riuscivo! – esclamò allora Adam, seguendo l’istinto nel provare a celare la vergogna dietro un goccio di insofferenza. Torturò un poco il bordo del piatto, quindi si decise a rialzare gli occhi e incontrare quelli angosciati del più piccolo, che senza alcun dubbio aveva colto ogni possibile sfumatura di quella ammissione apparentemente semplice, quindi scosse la testa, abbattuto suo malgrado. – Avevo dieci anni e quell’uomo mi stava col fiato sul collo quasi tutto il tempo per potermi prendere con le mani nel sacco.

Il silenzio fra loro riuscì a fare più vittime di quanto Adam avrebbe mai ammesso prima che Tommy si decidesse a intervenire ancora. All’improvviso erano caduti entrambi in una situazione ardua da sostenere, una pozza di catrame densa nella quale entrambi avevano rischiato di annegare e dalla quale altri li avevano tirati fuori appena in tempo per evitare il peggio. Dei due, da quando si erano ritrovati, era sempre stato Adam a reagire con maggiore rapidità e prontezza, ma quel giorno, all’autogrill, fu Tommy a compiere un passo per percorrere il quale, solo un momento prima, aveva creduto di non avere abbastanza coraggio. Aprì la bocca, restò un attimo immobile, come per pensare a cosa fosse meglio dire. Poi dalle sue labbra uscì una voce adulta che stupì il più grande, una voce adulta che se suonò autentica fu perché era perfettamente conscia di ciò di cui stava parlando.

- Ad – chiamò per avere di nuovo i suoi occhi color del cielo fissi nei propri prima di proseguire, non importava quanto fossero diventati tristi. - Quante ne hai prese per colpa mia?

Suo malgrado, Adam sentì muscoli e nervi tendersi e vecchie cicatrici tornare a bruciare quando quella domanda lo colpì dritto in faccia, senza preavviso, con l’esatto intento di strappargli una reazione sincera e di non permettergli di svicolare. Socchiuse la bocca, si morse le labbra, poi la sua mano destra corse a cercare quella che Tommy teneva appoggiata a lato del proprio piatto per sentirne il calore.

- Non ci pensare – replicò carezzando quella mano. - Ehi – insistette, dandogli una stretta quando si accorse che il ragazzo di fronte a lui aveva abbassato lo sguardo, cosicché tornasse ai suoi occhi e ne notasse la determinazione. - Era una mia scelta, d’accordo? Ero più che disposto a farmi picchiare da quello stronzo se voleva dire farti stare un po’ meglio.

- Un po’ meno peggio, vorrai dire – lo corresse Tommy con una smorfia. - Almeno io ricambiavo? Le volte che finivi tu in punizione?

- Eri troppo piccolo, avevi troppa paura – dichiarò l’altro con un sospiro. - Ed era giusto così. Se lo avessi fatto ti avrei convinto a smettere. Credi che l’avresti passata liscia se Cooper ti avesse visto? A lui non importava nulla di quanti anni avessi, di quanto fossi fragile, di quanto poco potessi capire dell’intera situazione – Giocando con la sua mano, gli fece muovere il polso finché non riuscì a intrecciare le dita con le sue, a unirsi tenacemente a lui prima di terminare, gli occhi di smeraldo ben piantati nei suoi, che invece tradivano tracce di umidità. - Avevo il doppio della tua età. Impedire che ti facesse del male era la mia priorità e non volevo essere ricambiato.

Tommy sorrise, ricacciandosi ogni ipotesi di lacrime in gola.

- Be’ – riprese poi. - Ora non c’è più una differenza di età così grande fra noi.

- Cosa intendi dire, che vorresti sdebitarti ora? E in che modo, di grazia? – fece Adam, lieto del seppur lieve cambio d’argomento, e con uno sguardo che sapeva di malizioso senso protettivo gli allungò una lunga carezza dalla tempia al collo della maglietta. - Mi sa che ci toccherà andare sul piacevole, tesoro, perché resti sempre il più piccolo e non ho nessuna intenzione di lasciare che ti venga fatto del male al posto mio.

Dato che aveva appena riabbassato lo sguardo sul proprio piatto, Adam non notò la rapidità con cui il sorriso si congelò sulle labbra di Tommy un attimo dopo che lui ebbe dato voce a quella frase. Tutto quello che sentì fu il rumore della sua sedia che si spostava un attimo prima di vederlo alzarsi e guardarsi in giro nel locale affollato.

- Scusa – annunciò quando ebbe trovato ciò che cercava, quindi si chinò a recuperare il suo zaino e a dargli un veloce bacio sulla guancia. - Devo andare in bagno un secondo.

- Oh – fece il più grande, preso alla sprovvista. - Certo.

Con sopracciglia increspate lo guardò allontanarsi con una certa fretta verso le porte dei servizi, poi incontrò lo sguardo del marmocchietto di due anni che lo stava fissando dall’altro tavolo e sorrise con gentilezza sia a lui che alla madre che gli si stava affannando attorno da un’ora prima di voltarsi di nuovo. Ebbe appena il tempo di finire la propria insalata e di bere un sorso di limonata prima di sentire il cellulare vibrargli nella tasca per avvisarlo dell’arrivo di un messaggio che il ventiduenne visualizzò subito.

Da: Tommy

Ho un po’ di nausea, mi è passata la fame. Mangia con calma, ti aspetto nel parcheggio.

Adam sospirò, frustrato, continuando a fissare lo schermo del cellulare. Qualcosa era andato storto e, come sembrava essere diventata la norma negli ultimi giorni, non riusciva a capire che cosa non andasse in Tommy.

- Barricati pure in te stesso, TJ – mormorò a nessuno in particolare, rimettendosi in tasca lo smartphone per tornare a occuparsi di ciò che rimaneva del suo pranzo. – I giochi sono appena iniziati.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Fiducia ***




Eccomi qui, fanciulle *e fanciulli? Mah!*, buonasera!

Avevo la piena intenzione e il pienissimo desiderio di aggiornare già stamattina, ma questo simpaticone del mio computer non ha voluto saperne, mannaggia a lui, per cui eccomi qui stasera, con micia ronfante al seguito.

Per questo capitolo ho scelto una canzone, come ai (vecchi) tempi di “Home”. Sarà che questa piccola tradizione di inizio capitolo mi manca. La trovate anche all’interno del capitolo, comunque, e mi sembra adatta al tema: “True Colors” (Cyndi Lauper).

Buona lettura a chiunque stia passando di qui, ci risentiamo in fondo :)

 




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Giunsero a correre in auto a lato dell’oceano verso le sei del pomeriggio. Tommy si era appisolato al posto del passeggero un’oretta dopo la partenza dall’autogrill, evidentemente ancora in debito di sonno da due notti addietro, e da allora se ne stava rincantucciato sul sedile come un gatto nel proprio giaciglio, le braccia abbandonate in grembo, il respiro lento e lieve che aveva permesso ad Adam di rimanere sereno e attento alla guida per tutto il tempo.

Anche se avevano raggiunto il mare, il ventiduenne lasciò dormire il ragazzo ancora per un po’, contento di saperlo al sicuro in un mondo di sogni che, vista l’espressione rilassata di Tommy, non poteva che essere il migliore possibile. Ma quando fu certo che non mancavano più di venti minuti all’arrivo non seppe resistere alla tentazione di allungare il braccio, poggiargli la mano sulla spalla e scuoterlo delicatamente.

- Tommy. Ehi, amore, svegliati.

- Hm? – mugolò il diciassettenne in risposta, muovendo appena le ciglia.

- Guarda fuori dal finestrino, è uno spettacolo – insistette Adam, tornando con entrambe le mani sul volante, ma accennando con la testa verso destra. - Ne vale la pena, te l’assicuro.

Dopo essere rimasto a strofinarsi gli occhi per vari secondi, Tommy obbedì senza avanzare proteste, spinto dalla curiosità, e come Adam si era aspettato rimase a bocca aperta: l’oceano era una tavola cobalto che riluceva dell’ambrata luce solare che andava dirigendosi pian piano verso il tramonto e la spiaggia che correva parallela alla strada era una striscia di sabbia bronzea irresistibilmente placida e deserta.

- Oh – si lasciò sfuggire Tommy, gli occhi che brillavano della stessa scintilla dello specchio d’acqua dal quale non riuscivano a dividersi. - È stupendo.

Ad Adam scappò un sorriso a quella reazione e chinò un poco il capo per vedere meglio un cartello d’indicazioni posto al lato della carreggiata. - Ci sei mai stato prima?

Tommy gli lanciò un’occhiataccia disincantata. – Se so a malapena in che Stato siamo.

- Intendevo in riva al Pacifico.

- Ah – replicò Tommy, adombrandosi un poco. - L'ho visto solo un paio di volte dall'autostrada. Quando Milton mi portò a certe visite specialistiche.

Comprendendo al volo il luogo d’origine del suo improvviso adombrarsi, Adam si premurò di allungargli una carezza sulla gamba e di donargli un sorriso e uno sguardo innamorato che catturarono subito l’interesse del diciassettenne.

- Tranquillo, ci penso io a fartelo conoscere – lo confortò, per poi tornare a concentrarsi sulla guida, dato che era arrivato il momento di abbandonare la strada maestra per svoltare e infilarsi nello scarsissimo traffico che confluiva tutto nel paesello sul mare che in piena estate diventava un’ambitissima metà turistica.

Adam non aggiunse nulla, ma ben presto, non appena arrivarono in vista delle prime case arroccate sulla roccia che scendeva gradatamente verso la strada che stavano percorrendo e quindi verso l’acqua, Tommy cominciò a indagare, gli occhi e la voce ormai privi di qualsiasi traccia di sonno.

- Stiamo in un motel? – chiese, fissando Adam, il quale storse la bocca divertito.

- Hm, no.

- Un bed and breakfast? Una pensione?

Il più grande ridacchiò. - Ritenta e sarai più fortunato.

- Non ti sarai sprecato al punto da prenotare in un albergo vero!

- Oh, ho fatto di peggio – scherzò l’altro, tirandosi addosso l’occhiata sbieca del più piccolo.

- Se finirà che dovrò dormire in una tenda da campeggio giuro che ti ci annego in quell'oceano.

- Ah, TJ, che delusione, non ne indovini una.

- E allora dove?

- Porta pazienza e fidati di me – disse il maggiore per mettere fine a quella sequela di domande, mentre l’auto si lasciava alle spalle il centro nevralgico del minuscolo villaggio portuale, proseguendo sulla strada e nella pineta che s’inerpicava su per una collina appena accennata. - Pochi minuti ancora e potrai risponderti da solo.

Fu un miracolo a cui Adam riuscì a stento a credere, ma Tommy gli diede ascolto senza insistere oltre e rimase in silenzio per i pochi minuti di viaggio che restavano, accontentandosi di studiare il paesaggio fuori dal finestrino invece di tempestarlo di domande come suo solito. Non che ci fosse ancora molto da vedere, comunque. Ora che si erano lasciati il paesello alle spalle, l'unico, vago indizio che restava era la stretta stradina di ghiaino che, tornante su tornante, s'inerpicava sulla collina fittamente ricoperta di pini marittimi dalle chiome un poco spelacchiate, era vero, ma perfette per nascondere ciò che la piccola altura celava.

Adam si divertì a sbirciare l'espressione di Tommy mentre il ragazzo stringeva le palpebre alla ricerca di qualche spunto utile, ma non ebbe il cuore di disilluderlo svelandogli che non avrebbe rivisto l'oceano molto presto. D'altronde sperava che la sorpresa che li attendeva in cima alla collina bastasse a sedare il dispiacere.

Il parcheggio che gli era stato riservato era sul retro, dietro a un'altra importante schiera di pini, e dovettero smontare dall'auto e arrampicarsi su tre ripide rampe di scale di pietra per arrivare alla meta, ma Tommy trattenne le lamentele. E quando arrivarono in cima e vide la casa, per grande gioia di Adam, eruppe in un'esclamazione allibita.

- Qui?!

La casa era un piccolo confetto d’intimità collocato proprio sulla sommità della collina, anche se gli alberi che la circondavano e la conformazione del rilievo potevano indurre a pensare che ci fosse ancora qualche metro da percorrere per arrivare sulla cima vera e propria. Era un’abitazione semplice, da turisti, a un unico piano, con le pareti esterne color giallo paglierino e le imposte delle finestre di un verde foresta e tanto di giardino cinto da uno steccato di legno. Quest’ultimo era stato pitturato con una vernice bianca che il vento marino metteva a dura prova ogni anno, obbligando i proprietari a ripassarla di frequente, ma la salsedine che si insinuava fra le crepe del legno non faceva che aumentare la bellezza del contesto.

Tommy non poteva saperlo, ma poco lontano dal lato est della casetta c’era l’attacco di un sentiero acciottolato che si abbassava cauto per la collina e permetteva di raggiungere uno degli angoli più belli di quella costa dalla sabbia fine in poco più di dieci minuti di cammino. Era un posto al quale Adam si sentiva legato da una buona manciata di ricordi, ma anche oggettivamente non lo si sarebbe potuto definire meglio se non chiamandolo magico, isolato e immerso nella quiete della pineta com’era, nonché talmente vicino all’oceano da essere costantemente cullato dal rumore delle onde che s’infrangevano sulla spiaggia.

- È un appartamento per vacanze – spiegò Adam, avvicinandosi a Tommy dopo aver a sua volta dato un’occhiata al luogo che non vedeva da anni e facendogli scivolare dolcemente una mano sul fianco per potergli parlare da vicino. - Io lo trovo carino, ma se preferisci una stanza in albergo posso...

- Mi prendi in giro? – lo bloccò però il più giovane, voltandosi di scatto verso di lui con un’espressione che denunciava un affronto di immane portata, per poi abbracciarlo di slancio. - Una casa solo per noi, è fantastico!

Adam sorrise a sua volta, ricambiando la stretta col braccio che non reggeva lo zaino che si era portato appresso. - Sono contento che siamo d'accordo – fece, per poi guidarlo gentilmente verso l’entrata, ancora nascosta alla vista dalla staccionata. - E aspetta di vedere l'interno.

Adam fece strada e aprì il cancello, che stridette, poi precedette Tommy lungo il breve percorso di porfido che spezzando a metà il giardino tempestato di rose e ortensie conduceva fino alla porta d’ingresso, proprio in quel momento illuminata dagli ultimi raggi di sole che la giornata avrebbe donato.

- Prenderlo in affitto ti sarà costato una fortuna – osservò Tommy alle sue spalle, un attimo prima che l’altro si fermasse di fronte al battente.

- Non così tanto – replicò il maggiore, alzando un braccio per bussare. - Siamo ancora in bassa stagione e poi conosco la proprietaria.

La proprietaria era Terrie, l’anziana detentrice di diversi appartamenti per vacanzieri in paese e fuori oltre che padrona dell’unico pub del villaggio, ma ad aspettarli nell’appartamento trovarono suo nipote Michael, un ventenne timido ma oltremodo cortese che diede loro il benvenuto, gli mostrò l’appartamento e la crostata di benvenuto che sua nonna aveva preparato loro e consegnò ad Adam le chiavi della casa assieme all’invito di Terrie di farsi vivo al pub, il giorno dopo o uno di quelli a seguire, dato che la donna aveva espresso il vivo desiderio di rivedere lui e di conoscere il suo ragazzo, del quale aveva saputo al momento della prenotazione. Tommy arrossì un poco, ma Adam garantì che non sarebbero mancati e si lasciò aiutare da Michael a portare in casa i bagagli mentre il più piccolo dava un’occhiata in giro, fuori, dentro e tutt’attorno all’appartamento per farsi un’idea di che posticino pacifico fosse.

- Allora, ti piace?

Tommy stava ficcando il naso nell’armadio della camera da letto per scoprire quanto fosse spazioso quando la voce di Adam lo sorprese, spingendolo a voltarsi verso la porta. Il maggiore, che aveva appena congedato Michael con tutti i ringraziamenti del caso e una buona mancia, perse qualche secondo per sistemare le loro due valigie contro la parete e Tommy ebbe tutto il tempo di buttarsi a sedere sulla sponda più vicina del letto matrimoniale che dominava la stanza.

- È una favola – sospirò, per poi unire le mani e rimanere a osservarle con una certa malinconia nello sguardo. - Vorrei solo che fosse semplicemente per noi due. Sai… nient’altro che una vacanza.

Vedendolo di nuovo succube di una tristezza che negli ultimi tempi lo conquistava anche troppo facilmente, Adam abbandonò i loro averi in un angolo per raggiungerlo, sederglisi accanto e passargli una mano sulla schiena col solo intento di incoraggiarlo a concentrarsi su di lui.

- Questo viaggio ha anche altri scopi oltre a quello di farti staccare la spina per un po', lo hai capito – riconobbe quando i suoi occhi chiarissimi ebbero calamitato l’attenzione di quelli nocciola del più piccolo. - Ma è per noi due, okay? E stasera è solo per noi due. Per uscire e divertirci in qualche locale o restare qui, ordinare una pizza per telefono e mangiarcela sul letto col film che preferisci – promise, riuscendo a farlo sorridere, per poi far scivolare una mano sul suo ginocchio e risalire, lento e inesorabile, verso l’interno coscia. - Oppure...

- Oppure?

Tommy ridacchiò e trattenne il fiato, fermandogli la mano prima che arrivasse in punti toccati i quali sarebbe stato difficile tornare indietro. Non gli avrebbe concesso tanto senza prima farsi pregare almeno un po’ e Adam, che conosceva il suo pollo, lo sapeva perfettamente e da tempo lo accettava come parte del gioco.

- Oppure starcene noi due soli su questo letto – propose quindi, alzando le sopracciglia come per sottolineare l’ovvietà della cosa e nel contempo chinandosi su di lui col busto, quel tanto da respirargli sulle labbra e farlo indietreggiare, voglioso di farsi desiderare. - È da un po'che non stiamo in intimità, mi sembra.

- Nove giorni – specificò Tommy, lasciandosi cadere di schiena sul letto e inarcando il collo mentre Adam scendeva a baciarglielo senza risparmiarsi in sensualità. - Da venerdì, quando sono venuto con te a quella noia di spettacolo teatrale.

A quelle parole Adam soffocò una risatina direttamente sulla sua pelle candida, per poi alzare il viso e guardarlo dritto negli occhi, la malizia dipinta in viso. - Perché, c'è qualche possibilità che tu non venga quando sei con me?

- Ah-ah – scandì Tommy, distratto dalla sua voglia irrefrenabile di renderlo partecipe di quel doppio senso più che dal tentativo di farlo ridere in sé, e assecondando il ritmo dei suoi baci gli mise le mani sulla schiena, aggrappandovisi in segno di apprezzamento. - Stiamo raschiando il fondo pensione delle battutacce, signor Lambert.

- Hm – si diede appena la pena di commentare Adam, troppo occupato per potersi separare dalla sua clavicola senza alcun preavviso. - Eppure non mi sembra che il contorno di questo fondo pensione ti sia mai dispiaciuto.

Sicuro delle proprie mosse, cominciò a giocare di lingua sulla linea che divideva il collo e il torace del ragazzo, forzando col mento il bavero della sua maglietta dei Metallica, ma quando iniziò a impegnarsi sul serio in quel succhiotto, nonostante le attenzioni del maggiore fossero già riuscite a strappargli qualche gemito, Tommy gli mise le mani sulle spalle e premette affinché si bloccasse.

- Ad – lo chiamò, cercando di nuovo i suoi occhi, e il ventiduenne glieli offrì senza riserve, facendo leva sulle braccia. - Apprezzo tutto questo. Di più, lo adoro e tu lo sai, ma sono esausto e tutto quello che vorrei fare è mangiare qualcosa, farmi una doccia e mettermi a letto con te.

Più sorpreso che infastidito da quelle parole, Adam rimase a guardarlo un momento in più del previsto per dargli il tempo di cambiare idea, ma poi, notando i segni lampanti della stanchezza sul volto del più piccolo, si arrese, gettandosi accanto a lui sul materasso con un soffio.

- Va bene.

Tommy si sollevò a sua volta sui gomiti, un’espressione rammaricata in viso. - Mi spiace – disse sinceramente. - Ma sono davvero distrutto.

Messo dinnanzi a tutto quel dispiacere per qualcosa di così futile, Adam non riuscì a trattenersi dal sorridere intenerito e con due dita andò a sfiorare la guancia calda del più giovane.

- Tranquillo, cucciolo. La serata è per te, decidi tu. La tua parola è legge e prometto che non la prenderò sul personale.

- Grazie – sorrise a sua volta Tommy, sporgendosi verso di lui quel tanto sufficiente ad allungargli un bacio leggero sulle labbra. – Magari vedrò di ricompensarti sul personale più tardi, a letto. Che ne pensi?

Grato della sua presenza più che di ogni altro espediente avrebbero potuto inventarsi quella sera per scambiarsi favori quando i vestiti sarebbero caduti a terra, Adam tornò a carezzargli la guancia, il naso, la fronte, per poi lasciare che le dita si perdessero fra i suoi capelli biondi e gli occhi nei suoi, così dolci e insieme falsamente sereni.

- Penso che sei così bello. La mia piccola meraviglia – sussurrò, per poi baciarlo a sua volta, indugiando un poco di più sulle sue labbra, prima di allontanarsi e saltare in piedi, carico di un’energia nuova. - Vado a telefonare per la pizza! Frutti di mare?

Ancora stravaccato a letto, Tommy strabuzzò gli occhi a quella domanda. - Hanno la frutti di mare?

Il ventiduenne alzò gli occhi al cielo, ma poi non trattenne una risata e allargò le braccia. - TJ, siamo sull’oceano, vuoi che non abbiano la frutti di mare?

- Oh, giusto – intese Tommy, preso alla sprovvista. - Frutti di mare, certo. Assolutamente sì.

 

Chiuso all'interno del cubicolo della doccia, Tommy si strizzò i capelli bagnati e seppur di malavoglia ruotò la manopola finché il getto d'acqua non si interruppe. L'acqua bollente e il vapore che ormai regnava sovrano nel piccolo bagno piastrellato lo avevano piacevolmente intorpidito e aprire le ante di plastica per raggiungere l'asciugamano e venire quindi pizzicato dall'aria più fredda esterna al vano doccia fu un piccolo trauma che lo fece rabbrividire tutto, giusto un attimo prima che il ragazzo si buttasse il telo di cotone spugnato sulle spalle per allontanare quella sgradevole sensazione di congelamento.

Così avvolto nel cotone, mosse con cautela qualche passo verso il lavandino e allungò un braccio per pulire lo specchio appannato e poter dare un'occhiata al proprio viso arrossato, alla vista del quale si lasciò andare a un sospiro.

Guardarsi in faccia senza arrendersi alla tentazione di distogliere lo sguardo aveva finito col diventare un'impresa negli ultimi tempi. Lo stress di mantenere il segreto che si stava tenendo dentro era diventato troppo, soprattutto da quando Rick e Julie avevano cominciato a insistere e Adam a indagare. La vergogna era troppa perfino per riuscire a guardarsi negli occhi, allo specchio, e resistere per più di due secondi. Non ne poteva più.

Qualcuno mi aiuti, implorò fra sé e sé, tirandosi indietro i capelli con le dita curvate ad artiglio, per poi cadere vittima dei suoi stessi pensieri e sentirsi ancora più schiacciato dai sensi di colpa.

Sapeva che Adam lo avrebbe aiutato, se solo lui si fosse deciso a smetterla con i trucchetti e a dirgli tutto. Sapeva benissimo che il suo ragazzo non aspettava che una sua mossa per correre in suo soccorso, che non c'era altro che desiderasse così ardentemente, ma non poteva. Parlargliene avrebbe significato la fine di tutto, la conclusione e morte di ogni tentativo di rivalsa ma anche lo scontro con pericoli tangibili, e Tommy lo sapeva meglio di chiunque altro. Ma Dio, mentire ad Adam faceva così male che a volte quello era l'unico motivo per cui passava la notte a piangere.

Dopo essersi asciugato alla bell'e meglio corpo e capelli, nudo dalla cintola in su, il diciassettenne mosse un paio di passi verso la porta e la aprì lentamente, la mente che ancora correva dietro pensieri foschi e il volto rabbuiato dal loro riflesso, ma quando si accorse della luce in fondo al corridoio si bloccò appena messo piede fuori dal bagno.

Adam era in cucina e, intento a riempire il lavabo di acqua bollente a cui unì del detersivo per piatti, di spalle com'era, non poteva accorgersi della presenza del più piccolo che rimase a osservarlo in silenzio. La melodia di “True Colors” di Cindy Lauper si diffondeva fra le pareti, colmando l'atmosfera serale, e la splendida voce del moro la seguiva fin nelle note più alte senza troppi intoppi mentre il ragazzo si occupava dei piatti e accennava qualche passo a tempo. Tommy sorrise a quella vista ed ebbe appena il tempo di pensare che nascondersi era l'unico modo per prendere il suo ragazzo alla sprovvista, quando all'improvviso ai toni della radio si sovrapposero quelli della suoneria di Adam.

Tommy dovette ripararsi dietro lo stipite mentre il ventiduenne si girava per recuperare lo smartphone che aveva lasciato sul tavolo, poi la via tornò libera e il più giovane poté riprendere a sbirciare indisturbato. Adam era tornato al lavandino, aveva appoggiato il telefonino lì accanto, accettato la chiamata e messo il vivavoce per poter continuare a occuparsi delle stoviglie sporche mentre rispondeva con voce trillante a chi attendeva all'altro capo del telefono.

- Ciao, Kev.

Subito dopo la voce del migliore amico di Adam uscì chiara e forte dall’apparecchio, anche se un poco distorta dalla linea telefonica e dalle vibrazioni del vivavoce.

- Ehi, romanticone! Un uccellino mi ha detto che hai portato il tuo ragazzo in villeggiatura, ma ho voluto chiamarti di persona per avere la conferma che domani salterai la nostra serata-aperitivo settimanale – esordì, sagace e provocatorio come suo solito. – Nonché, e non dimentichiamocelo, per congratularmi con Tommy. L’interessato si rende conto che è il primo a riuscire nell’incredibile impresa di trascinare Adam Lambert in ferie nell’arco di quasi tre anni? Il fanciullo è da encomio pubblico!

Tommy rimase in silenzio, in ascolto e osservazione dal suo nascondiglio ben piazzato, e immaginò Adam alzare gli occhi al cielo mentre lo vedeva scuotere la testa con una certa esasperazione e cominciare a spostare bicchieri, posate e piatti nel lavandino ormai pieno d’acqua fumante.

- Mantenere una certa riservatezza sembra essere diventato un reato in questo secolo – commentò subito dopo il moro, fingendo un fastidio maggiore di quello che provava in realtà, al che Kevin scoppiò in una delle sue risate cristalline e disinibite.

- Su, non fare il difficile. Di cosa si tratta, un anniversario con annessi e connessi? Una scopa-vacanza per spassarvela un po’ in santa pace? Nuove posizioni da sperimentare, eh?

A quelle allusioni Adam smise di strofinare per lanciare un’occhiata esterrefatta al telefono che lo osservava impassibile da lì accanto, nascondendo il volto dell’accusato. – Kevin Nathan Wyler!

- Che c’è?

Il ventiduenne ridacchiò della sua tranquillità, rituffò le braccia nel lavello immergendosi fino ai gomiti e scosse ancora la testa. - Continua così e sarò costretto a mandarti tua madre perché ti lavi la bocca con una delle sue famose saponette schiumogene, signorinello.

Kevin sbuffò senza ritegno, con così tanta convinzione che perfino Tommy poté udirlo chiaramente.

- Senti, signorinello, sono in astinenza, perciò abbi pietà e raccontami qualcosa che mi faccia tornare a vedere la vita come l’irresistibile e brillante avventura di sempre.

- Per questo sarà meglio che ti trovi una puttana di quelle brave, a lungo termine e con un tenace bagaglio di pazienza da investire sul logorroico terminale che sei, io al massimo posso provare a distrarti.

- Meglio di un pugno in un occhio – accettò l’altro, e Tommy lo immaginò fare spallucce prima che il suo ragazzo facesse prontamente cambiare strada alla conversazione.

- Non indovinerai mai dove sono.

- A un raduno di drag queen represse.

- Hm, quasi – accettò Adam con un mugolio seguito da un risolino sapiente. - Il posto potrebbe essere quello giusto, ma temo che la stagione sia decisamente quella sbagliata per certe attività.

Sapeva di aver stuzzicato Kevin nei punti giusti, infatti rise più forte quando il ventinovenne ribatté con la voce più alta di un tono e una buona dose di sincera concitazione.

- Che cosa? Ma dove diavolo hai portato quel povero ragazzo? Ha visto te, lo so, ma rimane molto impressionabile, sai? Ancora non ti sei presentato a prenderlo a casa con un paio di tacchi da dodici, immagino, per cui non può sapere a cosa va incontro, e devi metterti in testa che sei tu il responsabile di…

- Calmati, paparino, qui non c’è assolutamente niente che possa sconvolgerlo – lo bloccò l’altro quando le sue fisime cominciarono ad annoiarlo, ma Kevin, dato che era Kevin, non demorse.

- Questo lo dici tu dall’alto della tua esperienza di fanatico del…

- Heavenly Coast ti dice niente, isterica?

Ecco, l’aveva detto. E come si era aspettato, non appena ebbe pronunciato quel nome il suo migliore amico tacque e un’ombra, la stessa, precipitò su entrambi nello stesso istante, sedando risa e voglia di scherzare e riportando la serietà sui loro volti. Quando la voce di Kevin riemerse dal vuoto in cui era sprofondata non fu solo l’amico a parlare, ma anche una buona parte dell’addetto alle scartoffie e agli incontri più ingrati dell’ufficio “Assistenza Sociale Minori” della città dove sia Adam che Tommy erano cresciuti.

- È successo qualcosa che non so?

- Perché, dovrebbe? Ti ho solo detto che siamo vicini alla spiaggia – si ritrasse Adam, come aveva sempre fatto quando arrivava il momento di parlare con Kevin senza più veli, ma il ventottenne, abituato alle sue tattiche, lo bruciò prima che il ragazzo tornasse a chiudersi in se stesso.

- Ad, non prendermi per il culo. Quella non è una spiaggia qualsiasi, lo sappiamo bene tutti e due.

A quel punto Adam mollò piatti e tutto e si appoggiò al lavello.

- D’accordo – sospirò, e Tommy riconobbe con chiarezza la vena di tristezza che si era insinuata nelle pieghe della sua voce, perché era la stessa di quando il ragazzo gli aveva aperto il cuore, le rarissime volte in cui aveva parlato degli sfregi, fisici e psicologici, lasciatigli dai suoi diversi padri adottivi. - Ho deciso di raccontargli cosa successe, Kev. Ha bisogno di saperlo. Ci sono stati dei problemi a casa, problemi di cui non mi sento di parlarti senza il permesso di Tommy, e ho convinto Rick e Julie a fidarsi di me per tentare di rimettere tutto a posto prima che qualcosa si spezzi – Fece una pausa, forse si morse le labbra, ma poi trovò la forza di proseguire. - Credo che sapere un po’ di verità scomode sul mio conto potrebbe aiutarlo ad aprirsi e a uscire da qualsiasi guaio se lo sia ingoiato.

Un’altra pausa, più sofferta, questa volta per iniziativa di Kevin, prima che qualcosa ne uscisse.

- Ad, pensi che anche lui…

- No, non lo penso – lo bloccò subito il moro, e Tommy percepì la gravità della sua indignazione anche senza guardarlo in faccia. - Non lo penso perché ho fiducia in lui, ma la verità è che non lo so, Kev. Lui non mi parla più come faceva fino a un mese fa, perciò non posso sapere niente con certezza, capisci? Per questo l’ho voluto portare qui, per riguadagnarmi un po’ della fiducia che, non so perché, ho perso.

- Buona idea – concordò il suo migliore amico in tono rassicurante. - Fai del tuo meglio, okay? È importante che si confidi.

- Lo so. Sai, vorrei solo che tornasse a farlo come una volta, senza problemi.

- Non disperare. Se gli è successo qualcosa è probabile che ci vorrà del tempo.

Adam si prese qualche secondo, tenne gli occhi lontani dal telefono e giocherellò distrattamente con un cucchiaio gocciolante.

- Ho fiducia in Tommy, Kev – annunciò poi, speranzoso nella sua preoccupazione. - So per esperienza che sono i problemi a cercare lui, non il contrario. E so che è abbastanza forte da tirarsene fuori se gli viene data una mano.

Tommy sentì quelle parole appoggiarglisi sulla pelle e andare oltre, e forse fu per quel motivo che il cuore cominciò a battergli più forte e le ciglia a solleticargli fino a fargli bruciare gli occhi per la commozione.

Oh, Ad.

Non volle affidarsi a un nascondiglio così precario neanche un secondo di più per il timore che un movimento avventato dato dall’emozione, o magari addirittura un singhiozzo, lo tradisse, perciò scivolò cautamente verso la porta della camera da letto, che aveva lasciato aperta. Era già sulla soglia quando l’ultimo scambio di battute fra Adam e il suo migliore amico lo raggiungessero.

- Ti auguro buona fortuna – disse Kevin. - E ricorda che ci sono, se hai bisogno.

Adam dovette sorridere. - Grazie, bel fusto.

- Goditi la notte. E dai un abbraccio a Tommy da parte mia.

- Sarà fatto, ma tu trovati un ragazzo prima che torni in città o le prendi.

Kevin rise ancora una volta, le ombre del passato ormai lontane dal suo cielo limpido.

- Ciao, rottame, stammi bene.

Tommy si richiuse la porta alle spalle obbligandosi a fare piano, vi appoggiò la schiena e strinse forte le palpebre per trattenere le lacrime. Che cosa stava facendo passare ad Adam? Che cosa pensava gli fosse successo? Quanto lo stava facendo soffrire tutta quella storia? Ma soprattutto, quanto poteva durare quella tensione fra loro prima che uno dei due mandasse tutto all’aria?

















Angolino dell’autrice

In questo capitolo ho fatto un piccolo esperimento, provando a partire *nella seconda parte* dal punto di vista di Tommy per poi passare a quello di Adam e quindi tornare a quello di Tommy alla fine. Niente, sicuramente ve ne sarete accorte anche da sole, ma volevo sottolinearlo perché molte volte mi dispiace di non dare più spazio, per l’appunto, a Tommy.

 

A parte questo, ci tengo a ringraziare Glambertommy, and soon the darkness_ e Geo7bello per aver recensito lo scorso capitolo, è sempre un piacere sentire le opinioni di chi legge… non mi stancherò mai di dirvelo, LASCIATEMI UN SEGNO, oh voi che leggete!

Detto ciò, grazie anche a chi segue, grazie a chi c’è.

 

Ci sentiamo presto :)

 

a.




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Capitolo 8
*** Verità scomode ***





Grazie infinite, un bacio e una fettona di torta agli amaretti e cioccolato a Eclipse Of Flame, and soon the darkness_ e Glambertommy per le recensioni lasciate allo scorso capitolo. E grazie anche a chiunque segue questa storia. Sapete che vi voglio bene, raggi di sole :*

La canzone del capitolo è Perfect (Pink)

Buona lettura ^-^

 




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Il mattino seguente i due ragazzi indugiarono a letto fino a tardi e se Adam, già sveglio verso le otto, trascorse tutto il resto del tempo a leggere e guardare una serie televisiva, Tommy ebbe l’assoluto bisogno di usufruire di quelle ore dormendo della grossa, a riprova che la stanchezza da smaltire era ancora ingente.

Adam non ebbe il cuore di svegliarlo, dato che per una volta non avevano limiti di tempo né coprifuochi da rispettare, perciò fra la sveglia tarda, il tempo di mettere qualcosa nello stomaco e quello necessario a prepararsi per uscire, arrivarono a farsi le quattro del pomeriggio prima che si avviassero in direzione della spiaggia che Adam smaniava di mostrare a Tommy.

Quando ebbero finito di trottare giù dal sentiero acciottolato e raggiunsero il litorale entrambi si tolsero i sandali e Adam prese il più piccolo per mano prima di guidarlo nella direzione opposta al paesello, la sabbia calda che a ogni passo gli massaggiava le piante dei piedi e gli si insinuava fra le dita, lo sciabordio delle onde marine a dirigere la cadenza imprecisa dei loro passi. Passeggiarono a lungo e senza fretta sotto il sole pomeridiano di quella giornata splendida, contemplando l’oceano e scambiandosi sguardi intensi, silenziosi, che inevitabilmente sfociarono in sorrisi più o meno impacciati, più o meno intralciati dall’affetto.

Infine, dopo una mezz’ora, giunsero nel luogo esatto che Adam aveva ben chiaro in mente e dove quasi nulla era cambiato. Non che ci fosse molto che potesse cambiare in una spiaggia tutelata e tanto magnifica come quella di Heavenly Coast, certo, ma Adam non poté trattenersi dal pensare che tutto era rimasto esattamente come quattro anni prima quando vide che il tronco d’albero impallidito dal tempo, dal sale e dalle intemperie se ne stava ancora lì, parallelo alla tavola d’acqua ma abbastanza lontano da scongiurare il pericolo che la marea se lo portasse via, lì in attesa che qualcuno lo raggiungesse per un po’ di compagnia mentre lo sguardo vagava all’orizzonte.

Fu con nonchalance che Adam portò Tommy verso l’albero caduto, morto e modellato dall’incessante vento del mare, ma per qualche ragione quando si sedettero sulla sabbia e appoggiarono la schiena al legno l’atmosfera fra loro cambiò e si fece leggermente più tesa, anche se nessuno dei due aveva ancora aperto bocca.

Avevano smesso di guardarsi. Adam era così concentrato sui centottanta gradi di blu che aveva davanti, mentre Tommy finse di distrarsi un poco appropriandosi di grossi pugni di fine sabbia chiara per poi lasciarla cadere di nuovo, con cura e sfrenata indolenza. Ci volle qualche secondo in più del previsto perché si decidesse a rompere il silenzio, voltando il viso verso il suo ragazzo.

- Come conosci questo posto? Ci sei stato con Kevin? – domandò, fingendo noncuranza.

Il suo era un tentativo convinto di spacciarla per un’ipotesi come un’altra agli occhi di Adam, ma non appena l’ebbe pronunciata il maggiore lasciò il mare per sbugiardarlo con lo sguardo di chi la sa lunga.

- Sì e no – rispose in tutta sincerità. - Hai sentito la nostra telefonata di ieri sera, vero?

Per tutta risposta il diciassettenne abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore, a disagio al pensiero di aggiungere ulteriori menzogne a quello che ultimamente stava diventando un rapporto fragile. – Diciamo pure che l’ho origliata.

Si aspettava un rimprovero, o almeno qualche parola di disapprovazione, che però non arrivarono.

- Non importa – sospirò invece Adam, tornando al Pacifico con occhi un po’ meno assorti. – In realtà sono contento che sia stato tu a introdurre l’argomento, perché è proprio per parlarti di questo che ti ho portato qui – ammise.

Più che notare l’espressione interrogativa di Tommy, la indovinò. Non poteva girarsi ad accertarsene, perché temeva che il contatto con quegli occhi così belli, quegli occhi di cui da mesi era perdutamente innamorato, sarebbe bastato ad arrestare ogni suo coraggioso proposito di aprirgli l’anima. Così andò avanti, imperterrito per quanto lento, affidandosi alla forza donatagli dall’oceano, deglutendo ogni qualvolta sentì di essere sul punto di perdere la voce.

- Vedi, non te l'ho mai raccontato perché ancora oggi se ripenso a ciò che ho fatto mi vergogno da morire, ma nemmeno i miei primi mesi da cittadino libero furono idilliaci.

Sapeva di avere la piena attenzione di Tommy, sapeva di averlo incuriosito a morte, perciò resistette alla tentazione di guardarlo. L'oceano, il suo appoggio doveva essere quel pezzo di oceano che a suo tempo aveva fatto da testimone al suo cambiamento.

- Lo sai, alla fine del gennaio di quattro anni fa lasciai i Powell per poter finalmente cominciare a vivere la mia vita in pace e indipendenza, come desideravo da non so più quanto tempo. Kevin mi aiutò a trovare un posto dove stare, un appartamento che dividevo con altri quattro ragazzi che a loro volta lavoravano o andavano al college. Poi mise una buona parola per me con un suo amico, cosicché ottenni anche un lavoro con cui pagarmi l'affitto e le spese. Di bassa lega, certo, ero ancora un liceale, ma pur sempre un impiego che mi avrebbe consentito di tirare avanti bene fino al diploma.

- Ti avrebbe consentito? - s'intromise a quel punto Tommy, cingendosi le ginocchia con le braccia e aggrottando la fronte, già rapito dal racconto. - Che cosa successe?

- Venni licenziato - ribatté Adam, questa volta chinando lo sguardo sul palmo sinistro, che iniziò a torturare con l'unghia del pollice destro. - La verità è che non volevo saperne, né di lavorare né di studiare. Ero stufo di fare il bravo bambino, di obbedire, e ora che non avevo nemmeno più un despota che mi costringesse a esserlo con botte e insulti non avevo più motivo per trattenermi - confessò nell'onestà più spregiudicata. - E, come se non bastasse, avevo cominciato a frequentare qualcuno che ben presto supportò tutte le mie idee di ribellione e mi esortò fino al punto di farmi licenziare.

Tommy rabbrividì involontariamente e dalle labbra gli uscì solo un mormorio. - Chi?

- Brutte compagnie.

- Quanto brutte? - insistette il più giovane, trepidante, e questa volta Adam voltò il viso verso il suo con uno scatto, gli occhi persi in un imbarazzo mai veramente messo a tacere.

- Droghe. Di tutti i tipi - ammise, cercando invano di rimanere saldo, ma di fronte all'espressione allibita del diciassettenne non poté che nascondersi da un giudizio che sentiva bruciare come carboni ardenti sulla pelle, serrando le palpebre e scuotendo la testa, mentre la voce, alla fine, riusciva a morirgli in gola. - Nemmeno io... nemmeno io so di quale né di quanta merda mi sono fatto in quei mesi, TJ.

Quella frase fece sgranare gli occhi al più piccolo ancora di più delle precedenti, se possibile. Il ragazzo si era immobilizzato, cosicché ora solamente i capelli biondi che gli ricadevano sul lato destro del viso, quelli più lunghi, si agitavano sospinti dalla brezza. Solo da poco si era arreso alla certezza che non si trattasse solo di uno scherzo di dubbio gusto.

- Andasti avanti per mesi? - sottolineò, incredulo. - Perché Kevin non ti diede una mano a uscirne?

- Non gli permettevo di avvicinarsi a me più di quanto non ritenessi di poter sopportare senza abbandonare il mondo al quale ormai ero sottomesso - raccontò Adam. - La mia dipendenza regnava sovrana, Tommy, era lei a governare la mia vita. Quello che era iniziato come un gioco, un modo come un altro per evadere, si trasformò in una caccia senza fine alla dose successiva, quella che mi avrebbe tenuto in vita per qualche ora prima di farmi ricadere in crisi d’astinenza.

Il ventiduenne fece una pausa, ma stavolta Tommy tacque e a lui non restò che spronarsi, obbligarsi a proseguire da solo.

Lo sto facendo per lui, si ripeté. Ne vale la pena, lo sto facendo per lui.

- Kevin mi trovò altri due lavori, ma riuscii a farmi cacciare da entrambi i responsabili in poche settimane. Non avevo più soldi e non avevo mai pagato la mia parte, così i miei coinquilini furono costretti a spedirmi in strada.

- Ma tu lo dissi a Kevin, non è vero? O ad Alison, o…

Ma di fronte alla sue speranze Adam si limitò a scuotere la testa e a rimanere in silenzio per qualche secondo, così da rendere il più giovane ben consapevole di quanto considerava grave quella scelta.

- Non dissi niente a nessuno – riprese solo dopo un po’, quindi accennò col capo al tratto di spiaggia immacolato e silente che avevano davanti. – Venni qui in vacanza, invece, mi rifugiai qui con della gente più fatta di me e l’intenzione di diventare tale e quale a loro, di perdermici completamente nella droga, quel mondo che mi permetteva di nascondermi a tutto il resto e mi faceva sentire così al sicuro.

Il suo tono di voce si era ormai fatto così sottile che il diciassettenne fece fatica a udirlo. Proprio in quell’attimo Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia e solo in quel momento Tommy si rese conto di quanto si fossero fatti malinconici i suoi occhi chiari. Durante tutto il tempo trascorso a raccontare non aveva fatto altro che lasciar affogare gli occhi nel mare il più possibile, forse per difendersi dalla sua stessa fragilità, e se ora aveva deciso di svelarsi era perché si era appena ricordato di non essere lui il centro delle proprie angosce.

- Kevin venne a recuperarmi dopo un paio di giorni, il tempo di scoprire dov’ero andato a finire, e non sai le urla – aggiunse con un mezzo sorriso, tentando di alleggerire un poco il discorso. – Proprio qui, vicino a questo tronco. Mi trascinò via dagli altri solo di qualche metro, per allontanarmi da pasticche e siringhe, prima di cominciare a imprecare come non l’ho più sentito fare e a minacciarmi di ridurmi le ossa in briciole se solo avessi avuto l’ardire di farlo preoccupare in quel modo un’altra volta. Più in avanti mi avrebbe confessato che l’unico motivo per cui non mi tirò un ceffone fu che conosceva la mia storia e quello che avevo passato prima di approdare qui – aggiunse, pensieroso.

- E poi? – lo incitò allora Tommy, bramoso di conoscere il pezzo mancante, e Adam sorrise ancora.

- Poi mi riportò in città, a casa sua. Divenni il suo coinquilino, disse che farmi vivere con lui era l’unico modo che aveva per tenermi sotto controllo, accertarsi che andassi a scuola e che lavorassi per pagare la mia parte. Quando mi diplomai c’erano solo lui e Alison, sai? Ma erano più che abbastanza e fu un grande traguardo per me. Poi vennero vari lavoretti, la breve storia con Kev, i corsi per bartender, il Wreckage… e poi tu – concluse, carezzandogli la guancia, ma Tommy non rispose a quel gesto d’affetto, come se all’improvviso cominciasse a capire che quel racconto a cuore aperto non era stato un semplice regalo.

- Perché mi stai dicendo tutto questo?

Adam non ebbe il minimo dubbio a riguardo. Erano giorni che non pensava ad altro.

- Perché quando sono venuto in questo posto sperduto mi stavo nascondendo, TJ. Stavo scappando dalle difficoltà invece di affrontarle, cosa che magari avrei potuto cominciare a fare chiedendo aiuto a quei pochi che mi erano vicini invece di pretendere di cavarmela da solo fin dal primo giorno. Ecco perché ho pensato fosse il posto giusto per te.

Capendo all’istante quello che non riuscì a non considerare una specie di tranello, Tommy deglutì e fu rapido a distogliere lo sguardo, ma Adam si dimostrò più pronto di lui e gli afferrò una mano con forza, non per fargli del male ma per impedirgli di fuggire ancora.

- Da cosa stai scappando? – lo interrogò quindi, diretto come non si era permesso di essere nell’ultimo quarto d’ora, senza più nascondere la propria ansia. - Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta ti risulta così difficile parlarmene?

Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare l’essenza di tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.

- Perché stavolta riguarda te.

Adam s’irrigidì di colpo a quella rivelazione inaspettata e senza nemmeno rendersene conto gli lasciò la mano, mentre il viso gli s’incupiva senza che lui vi potesse porre rimedio.

- Non mi ami più? – domandò di getto.

- Non è questo – rispose Tommy senza il minimo tentennamento, così Adam perseverò.

- Ti piace qualcun altro?

Questa volta Tommy alzò il capo di scatto, offeso. - Ci sei solo tu!

- Allora spiegati – lo incitò il più grande, un tremito d’irritazione nella voce. - In che senso riguarda me? Perché sinceramente non vedo come il tuo comportamento degli ultimi tempi possa essere legato a qualcosa che ho fatto o detto, perciò spiegami!

Si accorse di aver alzato il tono di voce fino a urlare solamente una volta che ebbe terminato e a quel punto era troppo tardi per tirarsi indietro e impedire che lo sguardo che Tommy teneva fisso su di lui s’indurisse fino a celare ogni traccia d’amore per lasciare in superficie solo lo sdegno.

- Ti trovi più a tuo agio adesso, eh? Non sei bravo a raccontare i cazzi tuoi, ma quando si tratta dei miei sei un maestro nel prendertela con me, nel convincermi che la cosa giusta da fare è parlare, vero?

- Che stai dicendo? – replicò Adam, stizzito.

- Sto dicendo che è da prima che ci mettessimo insieme che sono io a dovermi aprire, a dover raccontare tutte le mie sfighe e i miei incubi e lasciare che tu mi consoli, mentre tu sei sempre e solo quello che ascolta e mi dice che è tutto passato, che mi proteggerà, che andrà tutto bene. Ed è magnifico, amo questo tuo bisogno di difendermi, ma… – continuò Tommy, imperterrito, e a quel punto si concesse un sospiro. – Una relazione non è solo questo, Ad. Una relazione comporta che si tratti l’altro come un proprio pari, che si parli da pari a pari.

Il ventiduenne strinse le palpebre, cercando di andare a fondo della questione solo con le proprie forze. - E noi lo facciamo.

- No, non lo facciamo! – esclamò allora Tommy, esasperato. – Quando mai mi parli dei tuoi incubi, Adam? Quando di quello che è successo a te durante i tuoi personalissimi anni di merda? Quando mai mi dici perché sei triste, così che possa essere io, almeno per una volta, a consolare te e non il contrario? Quando mai mi dici cosa senti oltre all’amore che dici sempre di provare per me?

Per Adam sentire quelle parole fu come ricevere una scossa e reagì ritirandosi un poco col busto.

- Io ti amo – scandì, stupefatto dall’accusa che credeva essergli stata rivolta.

- Lo so! – proruppe il diciassettenne prima che potesse aggiungere altro. – Vorrei solo… vorrei solo che non venissi da me solo quando senti che sono io ad aver bisogno di un appoggio, ma anche quando sei tu ad averne bisogno. Ci sono giorni in cui perfino i tuoi occhi sono spenti, Ad – aggiunse con più calma, per quanta tristezza pervadesse quel discorso. – E tu te ne rimani sempre zitto. Perché devo sempre essere io a superare la paura e a parlarti di quello che mi tormenta? Perché non fai lo stesso sforzo? Perché non mi parli dei tuoi problemi?

Adam incassò quelle parole come colpi di mitragliatrice diretti alla sua fragile autostima, fissando l’attenzione su un piccolo cumulo di sabbia e deglutendo tutti i timori che durante l’intero discorso di Tommy non avevano fatto altro che arrampicarglisi su per la gola, quindi reagì nell’unico modo che conosceva per tenersi al sicuro: fuggendo dalla parte di se stesso che più lo terrorizzava.

- Sai cosa penso, TJ? – mormorò, stentando a mantenere un comportamento e un tono di voce controllato, ma Tommy non abbassò lo sguardo. Al contrario di lui, quella volta non scappò, non scelse di mentire né a se stesso né al compagno che stava al suo fianco da quasi un anno. – Penso che portarti qui sia stato un errore. Penso che Rick avesse ragione quando mi ha detto che per il tuo comportamento non andavi premiato con un viaggio, semmai punito, visto che a quanto pare dietro al tuo ritorno all’alcol non c’è nient’altro che l’arroganza di un ragazzino che crede di poter fare quello che gli pare senza rendere conto a nessuno.

Tommy lo interruppe senza paura. – Ancora una volta stai solo evitando il discorso per non…

- Be’, io ti ho raccontato quello che sono stato e più di così non posso fare. Ma visto che ti senti superiore, visto che la cosa riguarda me – lo sovrastò però la voce di Adam, e con uno scatto il ventiduenne si mise in piedi, deciso a non dargli altra corda, stufo anche solo di stargli così vicino.

La pelle gli prudeva e non sapeva chi avrebbe picchiato più volentieri, se Tommy perché aveva fatto riemergere dal buio la sua debolezza più grande o se stesso perché vi stava soccombendo. Una volta in piedi lo guardò dall’alto, quel ragazzino ancora accartocciato attorno alle proprie ginocchia ma con gli occhi responsabili di un adulto, e proprio perché spronato dalla gracilità delle proprie posizioni non esitò a sputargli in faccia tutta la propria rabbia.

- Da questo momento ti arrangi, Tommy. Puoi considerarti libero. Vai a farti fottere, fai quello che vuoi, a me non interessa più.

Non bastò lo sguardo del diciassettenne, che da fermo si tramutò in tradito in un secondo, né le sue labbra che si schiusero per lo stupore, né lo spasmo delle dita di Tommy a fargli rimangiare ciò che gli era appena uscito di bocca. Quelle parole gli avevano assestato una pugnalata al cuore, così come sicuramente l’avevano inferta a Tommy, che da un istante al successivo si ritrovò solo. Solo.

Adam non si diede il tempo di pensare. Gambe e mani gli tremavano, gli occhi gli si erano inumiditi per la collera, non controllava più le espressioni del viso e avvertiva il bisogno insopprimibile di mettersi a correre per sfogare almeno in parte la frustrazione, ma vittima dell’orgoglio si limitò a voltarsi nella direzione da cui erano arrivati e a mettersi a camminare spedito verso casa. L’ira nei confronti di Tommy lo accecava, ma a quanto pare era anche responsabile di aver reso più acuto il suo udito, perché aveva già percorso cinquanta metri prima che il grido del diciassettenne, invaso da indubbi accenni di pianto, gli perforasse i timpani.

- Sei solo un vigliacco! Un vigliacco ipocrita! Vaffanculo, non ti cercherò mai più! Mai più!

Adam non si voltò, non si fermò, l’unico sfogo che si concesse mentre continuava a marciare fu serrare le palpebre con tanta forza che una lacrima scese a corrergli lungo la gota.

E tutto questo a causa del tuo orgoglio, codardo, non fece altro che bisbigliargli all’orecchio la sua coscienza durante la fuga. Tutto a causa del tuo fottutissimo orgoglio, stronzo.





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Capitolo 9
*** Crea, distruggi, ripeti ***





Hola, chicas! Qué tal, todo bien?

Per prima cosa ringrazio dal profondo del mio cuoricino le meravigliose recensitrici dello scorso capitolo, ovvero: and soon the darkness_, kissky, Sunset_Lily ed Eclipse Of Flame ^o^

E un grazie anche a chiunque stia seguendo questa storia e le sue vicissitudini ^-^

La canzone di questo capitolo è una cover di My Life Would Suck Without You (Kelly Clarkson – in questo caso cantata da David Choi) Volevo una voce maschile, eheh.

Questo capitolo è lungherrimo, siete avvertite u_u

Buona lettura!

 



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Adam percorse a ritroso tutta la strada che avevano fatto posseduto da una collera e una violenza tali da cancellare ogni sensazione di amore leggero avvertita durante la passeggiata con Tommy. L’oceano, le onde, il sole e la spiaggia erano gli stessi che avevano contribuito a creare quell’atmosfera magica di appena un’ora prima, eppure quella che era iniziata come una giornata meravigliosa aveva finito per diventare da dimenticare e per il ventiduenne l’aspetto peggiore della situazione era non sentirsi in potere di fare nulla per aggiustare l’equilibrio appena infrantosi sotto i suoi occhi.

D’altronde, pensò, era lo stesso equilibrio che da qualche tempo si era fatto fragile seguendo il continuo incresparsi della relazione che condivideva con Tommy, dei suoi alti e bassi, della tendenza del più giovane della coppia ad allontanarlo sempre di più nonostante i continui sforzi dell’altro di stargli vicino, sorreggerlo, dare tutto se stesso in quel rapporto. O questo, almeno, era il punto di vista che Adam si incaponì ancora di più a sostenere mentre, bruciato dal sole, lasciava il lido per inerpicarsi a grandi falcate su per il sentiero e attraverso la pineta che ricopriva la collina.

Avrebbe tanto voluto riuscire a non pensare a Tommy, al modo in cui aveva bloccato il suo tentativo di andargli incontro per saperne di più su ciò che lo affliggeva, alle sue stupide pretese da immaturo, così da trovare un po’ di pace, cosicché la testa smettesse di ronzargli, ma la rabbia esplosa durante la lite e cresciuta mentre camminava da solo era ancora troppa per poter essere sedata e lo pervadeva tutto, non lasciandogli scampo. Nell’intimità del suo essere non riusciva a smettere di bestemmiare e se solamente ogni tanto permetteva a mezza parola di sfuggirgli dai denti, ogni singola goccia di veleno nei confronti del diciassettenne e della sua boria non mancava di inquinargli ancora di più il cuore, gonfiandolo di astio che non sapeva quando né come avrebbe sfogato. Era fuori di sé e marciare sbattendo furiosamente i piedi su un sentiero di porfido non si stava dimostrando una soluzione efficace.

Fu solo quando arrivò in vista delle pareti gialle dell’appartamento preso in affitto che si rese conto di quello che aveva fatto e si arrestò sul posto, gli occhi fissi nel vuoto.

Lo aveva lasciato lì. Aveva davvero lasciato su una spiaggia immensa un diciassettenne che non solo non era mai stato in quei posti, ma che innanzitutto era sotto la sua responsabilità. Strinse i pugni fino a farsi male e alzò gli occhi al cielo come in cerca di una scappatoia, ma certo non poteva sperare di mettere a tacere la propria coscienza e i sensi di colpa che gli stavano nascendo in cuore all’idea della fiducia accordatagli dagli O’Reilly semplicemente standosene lì a pregare che Tommy riuscisse ad arrangiarsi. Di scatto si voltò e tornò indietro, abbandonando la visione dell’appartamento per rimettersi a trottare giù per il sentiero. Poteva essere arrabbiato quanto voleva con Tommy, ma questo non toglieva che era responsabile della sua sicurezza, che i suoi genitori glielo avevano affidato senza temere, che anche se il loro rapporto era in crisi aveva il dovere di recuperarlo, fargli fare le valigie, rimetterlo in macchina e ricondurlo a Finchley. Magari senza rivolgergli la parola, però doveva riportarlo a casa prima di avere il diritto di sfogarsi prendendo a pugni il primo muro disponibile.

Inevitabilmente si trovò a ripercorrere per la terza volta lo stesso tratto di spiaggia. Dopo una mezz’ora, quando si ritrovò a pochi metri dal tronco d’albero biancastro che aveva fatto da sfondo alle dosi più forti che si fosse mai iniettato in vena e subito dopo alla paternale più implacabile con cui Kevin lo avesse mai torchiato, non fu troppo stupito nel trovarvi un posto deserto. Aveva immaginato che Tommy, furente almeno quanto lui, non se ne sarebbe stato lì fermo ad aspettare, ma avrebbe a sua volta sentito la necessità di allontanarsi, camminare, magari urlare per sfogare la frustrazione della litigata. Pur non comprendendo le sue ragioni, Adam conosceva bene il suo temperamento e perciò non fu con ansia che cominciò a perlustrare la spiaggia, a procedere fin molto oltre il punto in cui si erano fermati a parlare.

Una volta arrivato in fondo, però, fino a dove pareti di roccia impossibili da scalare si sostituivano al manto di fini granelli di sabbia, non trovandolo si accigliò. Allora tornò nuovamente indietro, solo per scoprire che la panchina naturale alla quale avevano appoggiato la schiena era ancora vacante, quindi si mise a correre nella direzione opposta, fino all’inizio della pineta e oltre, finché anche su quel lato la spiaggia terminò sotto i suoi occhi e il ventiduenne fu costretto a bloccarsi di fronte a un impenetrabile intrico di cespugli spinosi che sembravano estendersi per chilometri, almeno fino al villaggio. Di Tommy non c’era traccia.

Ma fu solo quando, ormai senza fiato per la corsa, riuscì a guadagnare di nuovo la cima della collina e il suo continuo chiamare a voce alta il nome del diciassettenne si rivelò inutile che il giovane cominciò a preoccuparsi sul serio.

Dov’era finito quel ragazzino? Aveva perlustrato ogni angolo di quella fottutissima spiaggia e della pineta senza alcun risultato, dove poteva essersi cacciato? Possibile che fosse scappato con altri obiettivi, che gli fosse successo qualcosa?

Adam si mosse prima che quelle domande gli facessero scoppiare il cuore e la testa. Abbandonata l’insulsa speranza che Tommy potesse rispondere al trentesimo richiamo, corse in casa, prese le chiavi della macchina e corse all’autovettura per poi mettersi a guidare a una velocità proibitiva sulla strada tutta tornanti che conduceva in paese. Quel poco di prudenza alla guida che ancora aveva la pazienza di dimostrare era tutta incentrata sul desiderio di scorgere Tommy sul ciglio della strada da un momento all’altro, dietro una curva, dietro un pino, e mettere fine a quell’ansia che a ogni minuto che passava si faceva più ingombrante e difficile da tenere a bada. Si sarebbe fermato inchiodando, lo avrebbe raggiunto, afferrato per le spalle e costretto a seguirlo, con le buone o con le cattive, e durante il viaggio di ritorno a casa gliene avrebbe cantate di tutti i colori per averlo fatto angosciare tanto. Ma il destino non gli venne incontro e l’auto arrivò in paese senza che il giovane incontrasse nessuno lungo la via.

Ormai incapace di pensare lucidamente, si affidò all’istinto, che per fortuna lo guidò fino alla strada principale che divideva in due il villaggio. Lì, incastrato fra due piccole casette color pastello da marinaio, a pochi metri dalla banchina su cui si scagliavano le onde dell’oceano, c’erano il pub stile irlandese dove Adam ricordava di aver trascorso qualche pomeriggio assieme a Kevin, durante quel piccolo stacco che si erano concessi prima di tornare alla vita reale quattro anni prima, e il minuscolo parcheggio riservato ai clienti.

Giunto lì, Adam era ormai in condizioni pietose per l’ansia. Tra un tentativo e il successivo si erano ormai fatte le otto e mezza di sera e durante il breve viaggio dall’appartamento al villaggio i pensieri riguardo a ciò che poteva essere capitato a Tommy non avevano fatto altro che incupirsi sempre di più, rendendo sempre più arduo il compito di concentrarsi sulla guida.

Quando, una volta saltato giù dall’auto, si precipitò dentro il pub di paese gestito da Terrie, il giovane era impolverato, sporco, sudato e stravolto, ma troppo preso dal batticuore per farci caso. Sbatté la porta d’entrata, trasformando l’altrimenti dolce scampanellio che annunciava ogni ingresso in un fracasso poco apprezzabile, troppo preso dalla propria inquietudine per fare attenzione ai particolari dettati dalle buone maniere, cosicché le persone che stavano lavorando dietro al bancone, così come i pochi clienti avanti con l’età riuniti attorno a un paio di tavolini con birre e mazzi di carte, si voltarono di scatto verso di lui per scrutare con espressioni più o meno incuriosite il forestiero appena arrivato.

- Buonasera!

La voce trillante era di Terrie, inconfondibile. Lei, con i suoi quasi settant’anni e una miopia incalzante, era solita accogliere ogni nuovo venuto con un saluto affabile e un sorriso e se Adam lo ricordava bene era perché, per quanto poco l’avesse frequentata, la sua personalità dinamica e aperta alla vita aveva sbalordito fin dal primo incontro il piccolo tossicodipendente che era stato.

Sbucando da dietro il bancone e avvicinandosi per distinguere meglio i tratti del suo viso, la donna lo riconobbe all’istante e allargò il sorriso e le braccia meditando un abbraccio.

- Oh, Adam, finalmente! Che gioia rivederti! – gorgheggiò, trotterellandogli incontro. Solo un attimo dopo si accorse che era senza fiato, che in volto era bianco come un lenzuolo, che sicuramente non aveva corso a perdifiato fin lì per una semplice visita di cortesia. – Ma, caro… che ti è successo?

Ad Adam bruciavano i polmoni. Non capiva perché, non aveva corso più di venti metri dal parcheggio a lì, ma d’altronde era da quando aveva cominciato a rendersi conto che non aveva la minima idea di dove fosse Tommy che il suo cuore aveva cominciato a battere all’impazzata, come se avesse sentito che c’era bisogno che più sangue affluisse ai muscoli, che il corpo doveva essere pronto a qualunque sforzo fosse stato necessario per recuperare quello sconsiderato del suo ragazzo. Deglutì, rinunciando all’aria per un secondo, così da ritrovare quel filo di voce indispensabile a rispondere a Terrie, che ora lo fissava stralunata attraverso i tondi occhialetti da vista.

- Avete visto un ragazzo biondo? – boccheggiò finalmente, lanciando un’occhiata agli avventori del locale prima di tornare agli occhi scuri della donna. - Più basso di me, magro… ha diciassette anni, è… è il mio ragazzo.

Dopo un piccolo sussulto di sorpresa Terrie scosse la testa, dispiaciuta, scambiandosi un’occhiata con gli altri presenti e ricavandone solo cenni negativi. - No, qui non…

- Oh, Dio!

Quelle tre parole erano state sufficienti perché Adam sentisse che tutto il mondo gli stava definitivamente precipitando addosso. La consapevolezza di non avere in mano nessun indizio per ritrovare Tommy, di non avere più nulla sotto controllo lo colpì a tradimento dritto allo stomaco, spezzandogli le gambe e facendolo crollare in ginocchio, il capo chino e gli occhi che bruciavano. Com’era arrivato a quel punto? Come aveva potuto essere così stupido da permettere che le cose degenerassero fino a quel punto?

Non trascorsero più di tre secondi, durante i quali non fece altro che scuotere la testa rassegnato, prima che il calore di una mano sulla spalla gli facesse alzare lo sguardo e incontrare il sorriso incoraggiante dell’anziana Terrie.

- Per prima cosa siediti e riprendi fiato – lo incoraggiò in tono basso e gentile, come per contrastare il suo. Insistette con quelle sue braccia fini, ma da donna che aveva lavorato una vita, finché il giovane non acconsentì a rialzarsi e a lasciarsi guidare fino al primo tavolino libero, laddove la donna lo invitò ad accomodarsi. - Mikey, sii gentile, porta ad Adam un bicchier d’acqua.

- Subito – annuì il nipote da dietro il bancone, provvedendo con una rapidità e una disponibilità tanto disarmanti che Adam cominciò quasi a sentirsi in imbarazzo.

- Ecco – annuì invece Terrie, perfettamente a suo agio mentre insisteva affinché Adam bevesse, come se stesse trattando con uno dei suoi innumerevoli nipotini. – Ora va già un po’ meglio, no?

- Sì... grazie – assentì il ventiduenne, posando il bicchiere svuotato sul ripiano di legno del tavolo per poi frizionarsi il viso con le mani, come per portare via almeno un po’ di fatica e angoscia. – Sì… perdonami se sono entrato così, Terrie, perdonami quello sfogo, ti prego… è che sono così preoccupato.

 A quelle parole lei reagì scuotendo fieramente la testa e facendo un cenno insofferente con la mano a mezz’aria, comprensiva al punto da apparire quasi infastidita dal suo preoccuparsi per quisquilie del genere.

- Starai scherzando, spero. Mille volte meglio un ventenne disperato che un ubriacone di mezz’età che viene a spaccarmi le bottiglie sul bancone! – esclamò, per poi tornare a chinarsi su Adam e posargli il palmo della mano sulla guancia, così da attirare su di sé il suo sguardo demoralizzato. – Ma ora spiegami bene cos’è successo, con calma, senza fretta. Che per quanto ne so la fretta peggiora solo le situazioni, ragazzo mio! – predicò, dandogli un buffetto affettuoso.

Adam annuì, un mezzo sorriso sorto a incrinare le sue insicurezze, quindi sospirò.

- Tommy… il mio ragazzo… - riprese, chiudendo gli occhi un attimo per riordinare le idee. - È scappato, non lo trovo più.

A quella rivelazione sia Terrie che suo nipote Michael aggrottarono le sopracciglia, mostrando ad Adam quanto le espressioni dei loro visi fossero in grado di annientare gli anni di differenza e rendere lapalissiano il legame parentale che li univa.

- Come sarebbe a dire che è scappato? – indagò subito Terrie, già un po’ più allarmata, e Adam non poté fare a meno di chinare lo sguardo sulle proprie scarpe piene di sabbia, sentendosi improvvisamente colpevole.

- Abbiamo litigato – ammise quindi, deglutendo. - Questo pomeriggio, in spiaggia. Abbiamo discusso, ci siamo urlati addosso e io… io l’ho lasciato lì – raccontò, per poi decidersi a incrociare di nuovo lo sguardo attento della proprietaria del pub. - Si è trattato solo di poco più di un’ora, perché poi mi sono pentito di averlo lasciato solo e sono tornato indietro, ma a quel punto non era più lì. È dalle sei che lo cerco e non ne ho ancora trovato traccia.

- Almeno conosce il posto? – intervenne a quel punto Michael.

- No – rispose Adam, scuotendo la testa e diventando, se possibile, ancora più cereo in volto. - Ed è anche arrabbiato, per cui non so in che guai potrebbe ficcarsi – meditò, per poi perdere la pazienza con se stesso e battersi una mano sulla gamba con rabbia. - Dio, sono stato un tale coglione! Se gli succede qualcosa, io…

In quel momento Terrie si dimostrò la più decisa. Una volta afferratagli la mano, sia per bloccare i suoi inutili scoppi di collera che per dargli una stretta che lo rassicurasse, lo ammonì con il tono di chi non ammette di venire smentito.

- Non devi dire così, assolutamente. Adesso mettiamo insieme tutte le nostre conoscenze e battiamo ogni buco dei dintorni, d’accordo? Vedrai che lo troveremo subito e che starà bene, ma per prima cosa è fondamentale che tu stia tranquillo.

Adam spalancò gli occhi, senza parole di fronte a tanta prontezza.

- Grazie… - mormorò, pieno di riconoscenza, ma a quel punto Terrie si era già voltata per rivolgersi direttamente al nipote, che attendeva istruzioni come da un sergente.

- Michael, datti da fare e mobilita i tuoi amici – ordinò la signora. - Io e Adam proviamo in direzione della riserva, voi pensate al paese e alla spiaggia.

Il ventenne annuì con coscienza, correndo subito al telefono dietro il bancone. - D’accordo, nonna.

- Cellulari accesi! – esclamò la donna, già pronta sulla porta dopo essersi velocemente infilata un giubbotto di cotone leggero ed essersi trascinata dietro Adam, che ancora faceva fatica a credere di essere incappato in una persona tanto disponibile quanto caparbia. – Il primo che ha notizie abbia la decenza di avvertire gli altri!

 

Dato che oramai fuori si era fatto buio, prima di dirigersi verso la riserva che costituiva la seconda bellezza naturale della località Terrie passò dal retro per procurare un paio di potenti torce elettriche, una delle quali venne affidata ad Adam. Ai brividi dovuti ai primi spifferi della sera si aggiunsero quelli che colpirono Adam al pensiero che Tommy fosse fuori solo, nel buio e senza nient’altro con cui coprirsi oltre alla maglietta dalle maniche corte e ai pantaloni lunghi fino al ginocchio che aveva indossato quel pomeriggio prima di uscire di casa. Se davvero non si trovava all’interno del paese, allora la probabilità che stesse pagando le conseguenze dell’avanzare della notte era troppo elevata per poterla ignorare.

Incitato da quel pensiero, il ventiduenne affrettò il passo e si affiancò a Terrie, la quale, nonostante l’età, avanzava rapida lungo le stradine strette della parte vecchia del paese, imboccando abilmente scorciatoie che doveva conoscere da quando era bambina e che ormai erano come mappe stampate nella sua mente acuta.

Si stavano indirizzando  verso il limite del paese e, sebbene la fine delle case fosse ormai visibile e le voci che si rincorrevano alle loro spalle costituissero la prova che Michael e i suoi amici si erano già messi al lavoro, Adam era più teso che mai. Se non avesse saputo perfettamente che Terrie non era nelle condizioni di farlo e che la sua guida gli sarebbe stata indispensabile, avrebbe ripreso a correre per raggiungere più rapidamente la riserva e urlare il nome di Tommy fino a consumarsi, fino a quando non lo avesse ritrovato. Il terrore che potesse essergli capitato qualcosa non era solo un macigno che gli pesava nel petto, ancorandolo a terra e mozzandogli il respiro, ma altresì una pressa che sembrava circondarlo da ogni lato e schiacciarlo, calpestarlo di più a ogni metro che percorreva, riducendo in pezzi la sua fiducia nelle parole di Terrie.

Vedrai che lo troveremo subito e che starà bene.

Ma chi poteva dirlo?

Avevano appena superato l’ultima abitazione, pur essendo ancora lontani dal cartello che segnava l’inizio della riserva naturale si erano inoltrati nell’oscurità più profonda e Adam si stava mordendo il labbro inferiore con troppa foga quando la voce di Terrie, premurosa ma tagliente come suo solito, attirò la sua attenzione.

- Senti, non è per farmi gli affari tuoi, ma…

Percependo il suo fiato corto, Adam si ripromise di rallentare ma continuò a camminare come se il bisogno di raggiungere l’unico luogo ancora inesplorato fungesse da calamita, quindi voltò il viso verso di lei.

- Cosa?

- Non so spiegarmi questa fuga, Adam. Non vi siete messi le mani addosso, vero? – domandò di getto la donna, senza ripensamenti, il profilo illuminato dal riflesso della torcia sul terreno sabbioso del sentiero su cui teneva gli occhi fissi per non rischiare che si perdessero.

Non c’era pudore nella sua voce, Terrie non sembrava nemmeno conoscere il significato della parola vergogna, e d’altronde Adam sospettava che quella fosse una delle caratteristiche che gli rendevano impossibile non sentirsi ispirato dalla sua personalità dirompente.

Dopo aver preso un respiro profondo, il ragazzo scosse la testa. - No, niente del genere.

- Un’incomprensione? – insistette allora lei, deviando leggermente a sinistra.

- Più o meno. In realtà…

- In realtà?

- Credo che ci siamo lasciati – bofonchiò Adam, gli occhi che fuggivano altrove.

Temeva di non essere ancora pronto a sostenere una conversazione del genere, sapeva che se solo si fosse permesso di interrogarsi troppo a fondo sulla questione della sua improvvisa separazione da Tommy sarebbe crollato per tutto ciò che quell’avvenimento avrebbe implicato: non vederlo più, venire dimenticato, rimanere solo. Proprio a causa di questo suo vivere nella paura delle conseguenze la risatina di Terrie lo scosse come un fulmine, facendogli voltare la testa di scatto verso la donna, in viso un’espressione sbigottita.

Impossibile. Se la stava davvero ridacchiando.

- Oh, caro, perdonami – lo pregò la donna quando ebbe riprese fiato, e sembrava davvero dispiaciuta di essersi lasciata andare in quel modo di fronte a lui dopo che le era stata svelata una situazione tanto delicata. - È che non sembri affatto sicuro di quello che dici.

Appena ripresosi dallo stupore, Adam scosse la testa nell’accorgersi che la donna non aveva tutti i torti.

- Forse perché non lo sono – confessò senza entusiasmo, seguendo meccanicamente le curve del sentiero. - È che è successo tutto così velocemente. Dal nulla ci siamo messi ad alzare la voce, siamo andati entrambi su tutte le furie e… o forse io sono andato su tutte le furie e un attimo dopo me ne stavo andando con lui che mi urlava dietro che non mi avrebbe cercato mai più. È stato orribile.

Ancora una volta, dopo quel frammento di confessione, Terrie lo prese in contropiede.

- Adam, respira.

- Eh?

- Respira – ribadì lei, fermandosi così di colpo che per un pelo il ventiduenne non le finì addosso, e girandosi per fronteggiarlo con quegli occhi fiammeggianti, l’emblema della matriarca in grado di risolvere ogni cruccio e zittire ogni capriccio. - Per l’amor di Dio, ragazzo, non te ne rendi conto? Non fate quarant’anni in due! Alla vostra età è più che normale darsi addosso con foga, con tutti quegli ormoni che vi schizzano qua e là per il corpo, e da che mondo è mondo mantenere in piedi una relazione stabile e a lungo termine è faticoso. Perché è quello che avete avuto fino a oggi, giusto? Una relazione lunga e senza scappatelle di sorta, ci scommetto.

Adam non aveva idea di come avesse fatto la donna a dedurre così tanto partendo solo dai pochi indizi che lui le aveva fornito riguardo alla sua storia con Tommy, ma si limitò ad annuire, bramoso di continuare ad ascoltare quelle parole che, per qualche inspiegabile motivo, riuscivano così bene nell’intento di rincuorarlo.

- Sì…

- A vent’anni si è meno stabili che mai anche da soli, figuriamoci in due – riprese la donna con la stessa enfasi trascinante. - Ma questo non vuol dire che questa sia la fine della vostra storia. Potete ancora parlare, sai? Fare pace.

Adam rimase a fissarla ancora per un paio di secondi, rapito, poi il ricordo della lite di qualche ora prima si impossessò di lui al punto da farlo ingobbire un poco, mentre l’amaro che aveva sentito sulla lingua quando Tommy gli aveva urlato addosso tornava a ripresentarsi alla bocca dello stomaco.

- Non lo so – scosse la testa, nuovamente intristito. - Gli ho detto delle cose tremende, cose che non gli avevo mai detto prima. E lui ha fatto lo stesso.

Ancora prima che potesse risentire l’eco di quelle parole, udì il sospiro spazientito dell’anziana e i suoi occhi celesti tornarono a incrociare quelli fermi e volitivi di lei.

- Senti, Adam – perseverò. - Non starò qui a dirti come rimediare, perché quello spetta a te e Tommy, ma lasciati spiegare una cosa – La torcia ora puntata ai loro piedi, alzò il braccio per mettere una mano sulla spalla di quel ragazzone alto trenta centimetri buoni più di lei e sfoggiò un sorriso materno capace di risollevare l’intero globo. - Alla vostra età, e perdonami se insisto su questo punto, si pensa di avere tutto il mondo sulle spalle. Ma quello che spesso voi giovani dimenticate è che avete anche tutte le energie necessarie per affrontare un tale peso – Improvvisamente gli afferrò la mano libera con forza, come a voler riportare in superficie quel vigore. – Energie sufficienti a creare e coltivare qualcosa di splendido come può essere un amore, energie sufficienti a distruggerlo… - Con indice e medio gli diede un colpetto sotto il mento, impedendogli di fuggire distogliendo ancora lo sguardo. - … ed energie sufficienti a ricominciare dalle ceneri di ciò che si è distrutto – concluse, risoluta.

Dopo averla fissata negli occhi per un paio di secondi, Adam si lasciò contagiare dal suo ottimismo e le labbra gli si piegarono in un sorriso appena accennato, ma sincero.

- Dovrei venire a trovarti più spesso, Terrie – decretò semplicemente, non trovando altro da aggiungere e ringraziandola con un cenno del capo, di modo che lei rise soddisfatta.

- Su questo non c’è dubbio! – affermò.

Subito dopo Adam scoprì che erano arrivati: a due passi da loro, se alzava la torcia, poteva vedere l’enorme cartellone che avvisava gli eventuali visitatori che stavano per inoltrarsi in una zona protetta, con le sue specie in via d’estinzione e i suoi divieti da rispettare. Uno dei quali era, neanche a dirlo, entrare nella riserva dopo il calare della sera.

- E ora diamoci da fare – annunciò in quel momento Terrie, interrompendo la sua lettura per precederlo oltre il confine del parco naturale. - Il tuo ragazzo è in questa riserva, mi ci gioco gli stivali da pioggia.

Trascorsero il quarto d’ora successivo a sgolarsi gridando il nome del diciassettenne, avanzando nella vasta riserva a una ventina di metri di distanza l’uno dall’altra, ma proseguendo nella stessa direzione per non rischiare di perdere di vista l’uno la luce della torcia dell’altra. Terrie era l’unica a conoscere pressoché a memoria tutti i sentieri che si snodavano all’interno dell’area, zigzagando fra piante mediterranee e buche che nascondevano sapientemente le tane degli animali, perciò ad Adam non restò che affidarsi a lei, alla sua conoscenza del posto e al suo senso dell’orientamento, e pensò solo a non smettere mai di chiamare Tommy.

La gola cominciava a bruciargli, ma il ventiduenne, incitato dal buio che si faceva sempre più fitto e dall’aria sempre più fredda, non aveva la minima intenzione di arrendersi. Con le gote che bruciavano e le mani che tremavano per la fatica, fece per urlare quel nome per quella che pensò essere la millesima volta, ma proprio in quel momento sentì una mano stringergli il braccio e trasalì, sgomento, prima di voltarsi e accorgersi che si trattava di Terrie e che la donna si stava premendo un dito sulle labbra per ingiungergli di fare silenzio.

- Zitto un attimo – bisbigliò, in allerta, gli occhi che guizzavano ovunque attorno a loro. – Mi è parso di sentire qualcosa.

Adam tacque e rimase immobile, trattenendo il respiro, e dopo pochi secondi lo sentì anche lui: un rantolo sordo, un gemito che in un primo momento gli fece accapponare la pelle all’idea che potessero essere andati incontro a un animale selvatico di quelli che scorrazzavano liberi per la riserva, ma poi capì che non poteva essere un animale. Un animale non avrebbe mai potuto gemere una richiesta d’aiuto.

- Tommy! – urlò allora a squarciagola, muovendo un paio di passi in avanti e trascinandosi dietro anche Terrie. – Tommy, dove sei?!

Non ci furono risposte chiare, ma se l’era aspettato. Tutto ciò che chiedeva era che quei deboli gemiti di dolore continuassero a intervallarsi al silenzio più completo della notte, così da dargli il tempo di intercettarli, seguirli, raggiungere la loro origine, e grazie a chissà quale creatura superiore lo fecero.

Se avesse capito subito da che punto arrivavano si sarebbe messo a correre, solo lui e la torcia, lasciando indietro Terrie per tornare a prenderla sulla via del ritorno, ma non fu ciò che accadde. Sebbene l’impazienza lo corrodesse da dentro, Adam fu obbligato ad avere la pazienza di muoversi pochi passi alla volta in quella che supponeva – supponeva e basta, perché l’assenza di luce e di punti di riferimento rendeva impossibile essere certi di qualsiasi cosa – essere la direzione giusta.

Gli sembrava fosse passata un’ora, e non solamente cinque minuti, quando finalmente entrò nel suo campo visivo.

Seduto sulla sabbia con la schiena malamente appoggiata a un tronco secco e tranciato a metà molto tempo addietro, Tommy apparve nel fascio di luce della sua torcia, che lo accecò e lo rese ancora più pallido di quanto sarebbe apparso alla luce del sole.

- Tommy! – esclamò Adam, atterrito ed enormemente sollevato allo stesso tempo, correndogli incontro.

Il ragazzo teneva una gamba lunga distesa di fronte a sé e si stava stringendo la destra piegata al petto, tremante, il che faceva pensare che dovesse essere passato del tempo dall’ultima volta che si era mosso di lì, abbastanza da fargli diventare le labbra blu per il freddo.

Adam si buttò in ginocchio accanto a lui e in una frazione di secondo perlustrò il suo intero corpo, scoprendo così i molteplici strappi sui jeans e i graffi su stinchi e polpacci, nonché un livido grande come una prugna e altrettanto bluastro all’altezza della caviglia destra.

- Cristo santo, che ti sei fatto? – proruppe allora, cercando i suoi occhi e notando solo allora che anche senza che la luce della torcia gli venisse puntata addosso rimanevano semichiusi, come le labbra che continuavano a emettere quella serie senza fine di piagnucolii.

Adam sbiancò per il panico che lo pervase, ma ancora prima che potesse pensare al peggio Terrie gli si affiancò e gli porse una borraccia spuntata da chissà dove. Il ventiduenne non si era neanche accorto che la donna aveva con sé uno zainetto da escursione.

- Dagli un po’ d’acqua – gli intimò, vedendo che Adam fissava il contenitore senza reagire. – Coraggio, è disidratato!

Scosso da quel rimprovero, Adam si riprese e obbedì all’istante. Mordendosi le labbra per trattenere l’agitazione, stappò la fiaschetta e l’avvicinò alle labbra di Tommy, aiutandolo a reclinare la testa all’indietro senza perdere l’equilibrio.

- Così, bravo – lo supportò Terrie, sovrintendendo all’intera operazione. – Bene così.

La provvidenziale borraccia conteneva acqua e zucchero, cosicché ben presto Adam poté vedere Tommy schiudere le palpebre lentamente sotto i suoi occhi e una risatina di sollievo gli solleticò le labbra tremanti, minacciando di farlo piangere. Dio, quanto aveva temuto per quelle iridi nocciola che ora vagavano, ancora perse ma sempre più vigili, dal suo volto a quello della donna accanto a lui.

- S-sto bene – farfugliò Tommy quando fu rinvenuto dal tutto, aggrappandosi al braccio di Terrie e agitandosi sul posto, come suo solito. - Sto bene… ah!

Un movimento poco prudente della gamba che aveva riportato la contusione fu sufficiente per fargli stringere palpebre e denti in un’espressione di dolore che sfociò in un singhiozzo e per fargli reclinare la testa all’indietro per l’improvvisa fitta di dolore. A quel punto Terrie, che aveva sul volto l’espressione di chi aveva visto abbastanza, si rialzò in piedi e si rivolse ad Adam con fare serio e determinato.

- Sbrighiamoci a portarlo al caldo. Poi potremo anche pensare a far vedere quella caviglia a qualcuno che se ne intende – stabilì, e Adam annuì con lo stesso fervore che aveva visto in Michael un’ora prima, ormai conscio della fiducia che quella donna senza ombra di dubbio meritava.

- Coraggio – esalò il ragazzo, chinandosi per sollevare Tommy, ma al minimo contatto con le sue mani il più piccolo si scostò con stizza. Anche non avendo la luce della pila elettrica puntata direttamente su di lui ad Adam non sfuggì l’occhiata di puro astio che gli lanciò.

- Non mi toccare – lo avvertì, la voce che vibrava di rancore oltre che di freddo, ma per quanto gli dispiacesse che avesse da soffrire Adam non si risparmiò dal lanciargli un’occhiata seccata.

- Be’, da solo che cosa pensi di fare?

- Quello che qualcuno mi ha detto di fare – lo bruciò Tommy, trattenendo a stento un urlo mentre con stupida ostinazione si appoggiava con una mano alla cima del tronco amputato e con uno sforzo immane si metteva in piedi da solo. - Mi arrangio, stronzo.

- Ehi ehi, signorino, il linguaggio! – intervenne a quel punto Terrie, tornando indietro di un paio di passi per sgridare Tommy, che diventò bordò sotto il cenno di ammonimento del suo indice. – Un po’ di rispetto per chi ha penato tanto per venire a recuperarti. E facci il favore, fatti aiutare di buon grado prima che arrivino un paio di cinghiali a peggiorare la situazione.

Probabilmente distratto da riflessioni varie riguardanti la possibile pericolosità dei cinghiali, Tommy non si accorse che Adam gli si era riavvicinato di soppiatto, cosicché quando il maggiore lo afferrò da dietro, riuscendo a sollevarlo in modo da avere un braccio incastrato sotto le sue ascelle e uno sotto l’incavo della ginocchia, lui se ne accorse troppo tardi per potersi opporre.

- Ehi! Mettimi giù! Ti ho detto che faccio da solo! – protestò a gran voce, ma Adam lo zittì senza riserve.

- Arriviamo a morire tutti prima che tu riesca a fare dieci metri in queste condizioni, perciò muto – gli impose con un ringhio, incamminandosi dietro Terrie e il cono di luce che, da quel punto di vista, sembrava emanare direttamente dal palmo della sua mano. - Razza d’incosciente – riprese dopo aver percorso pochi metri, fissando dritto davanti a sé. Ora che aveva ritrovato il ragazzo, ora che poteva stringerlo fra le braccia ed essere sicuro che stava relativamente bene, l’esigenza di vendicarsi per tutto quello che gli aveva fatto passare nelle ultime ore gli spinse le parole su per la gola con prepotenza. - Cosa ti è saltato in mente, eh? Avrebbe potuto succederti di tutto.

- Non sono stato io il primo a fare l’idiota.

Deciso a ignorare il suo sibilo ostile, Adam continuò a camminare, alzando una gamba oltremisura per scavalcare il cespuglio inaridito che a un certo punto gli sbarrò la strada.

- Pensavo avessi passato la fase del ragazzino nevrotico, ma a quanto pare mi sbagliavo – disse tra i denti, rafforzando la presa attorno al suo corpo col preciso intento di fargli sentire la minaccia che premeva, ma Tommy non si lasciò assoggettare così facilmente e rincarò senza timore.

- E io pensavo avessi passato la fase del rompicazzo, ma a quanto pare mi sbagliav-…

- Adesso basta, bambini, silenzio! – esplose a quel punto Terrie, bloccandosi sul sentiero e voltandosi verso di loro con uno scatto. Alla luce tiepida della prima modalità sulla quale Adam aveva impostato la propria torcia prima di incastrarsela nella cintura, lo sguardo della proprietaria del pub parve ardere di fuoco vivo e agli occhi di Adam e Tommy il dito che la donna sventolò nella loro direzione non apparve meno minaccioso. - Piantatela di insultarvi a vicenda o mi fermo qui in mezzo al nulla e prendo a sculaccioni tutti e due, intesi? Perché se tutto quello che avete da dirvi sono ingiurie e provocazioni, allora non voglio sentire una parola di più!

Dopo quella crisi di nervi che prometteva tempesta, Adam e Tommy fecero bene attenzione a tacere finché non furono di nuovo alle porte del villaggio. Una volta arrivati lì, Terrie li condusse a casa del genero, il padre di Michael nonché l’unico medico del paese, che rassicurò Tommy sul fatto che la sua caviglia sarebbe guarita in breve tempo, non essendo stata vittima di nulla più di una brutta botta i cui segni sarebbero spariti con qualche giorno di attesa e una buona pomata. Solamente quando l’uomo li lasciò e assieme a Terrie si spostò nella stanza attigua per procurargli l’unguento in questione e dell’antisettico per disinfettargli i tagli riportati sulle gambe come premio per aver camminato in mezzo ai rovi, finalmente i due ragazzi rimasero soli e il silenzio divenne graffiante.

Tommy era stato fatto stendere su una specie di lettino ambulatoriale e sorprendentemente, almeno per una volta, se ne stava fermo come gli era stato detto. Invece Adam, che comunque non lo aveva lasciato nemmeno per un attimo, sedeva sull’unica poltrona sfondata presente, a una distanza di due metri dal letto, le braccia incrociate e gli occhi divampanti fissi sul più piccolo, che solo da poco aveva smesso di tremare e che solo quando fu certo che nessuno li poteva sentire voltò il viso verso di lui.

Non si era ancora ripreso del tutto dalla scampagnata fuori orario, eppure Adam non riusciva a provare compassione per lui, non dopo quello che gli aveva fatto. Era stato ed era tuttora preoccupato a morte per quelle che avrebbero potuto essere le conseguenze di quella sortita notturna per la salute di Tommy, ma una cosa di cui era certo era che non provava compassione.

- Fammi indovinare – esordì a quel punto Tommy, sfidando con gli occhi la sua severità. - L’unico motivo per cui non mi tirerai un ceffone è che conosci la mia storia e quello che ho passato prima di approdare qui.

Adam sentì la rabbia ribollirgli nello stomaco a quella battuta e non poté impedirsi di essere vittima di uno scatto rabbioso che per un pelo non lo portò a scattare in piedi, come in procinto di aggredire il più giovane.

- Fossi in te non farei tanto il coglione o una sberla ti arriva sul serio – lo avvertì senza nemmeno una punta d’ironia, ma Tommy non si spaventò. O non lo diede a vedere.

- Fossi in te farei lo stesso – replicò invece, il respiro appena accelerato, gli occhi fissi sul ventiduenne e completamente privi dell’amore che li avevano fatti brillare fino al primo pomeriggio. - Smettila di credere di essere l’unico autorizzato a incazzarsi.

 

Dopo che si fu profuso in ringraziamenti a beneficio di Terrie e del dottore, dalle mani del quale prese il balsamo che Tommy avrebbe dovuto applicare sulla caviglia due volte al giorno, Adam portò il diciassettenne fino alla macchina, ignorando la rigidità con cui il ragazzo accolse il tocco delle sue mani e le sue braccia sotto al suo corpo, quindi guidò fino all’appartamento in cima alla collina senza proferire parola. Una volta arrivati al parcheggio, stufo di dover far violenza sia a se stesso che a Tommy insistendo per prenderlo in braccio, lo precedette in casa e lasciò che si arrangiasse, come desiderava. Il diciassettenne conquistò la porta dopo venti minuti e Adam lo sentì gemere per il dolore alla caviglia mentre si trascinava in corridoio per raggiungere la camera da letto.

Quando il maggiore uscì dal bagno e raggiunse la soglia della stanza, ancora illuminata dal lampadario a muro che aveva acceso appena arrivato, lo trovò già sotto le coperte, accoccolato sulla propria parte del letto con la schiena rivolta verso di lui. Dopo una rapida occhiata data alla stanza, Adam dedusse che si era tenuto addosso i propri vestiti e dal leggero sussultare del corpo sotto le coperte capì che non era stato soltanto a causa della fatica che gli sarebbe costata levarseli di dosso.

- Fai finta per farmi pena o stai davvero congelando? – domandò, sforzandosi di dare alla voce un tono neutro.

Dopotutto Tommy stava male, non aveva il diritto di approfittare della sua momentanea debolezza per rifarsi su di lui. Ma al risuonare delle sue parole nella stanza il più giovane allontanò coltri e lenzuola con uno scatto insofferente, si trascinò fino al ciglio del materasso e si mise seduto, le punte dei piedi che sfioravano appena il tiepido pavimento di parquet.

- Vado a cercarmi una borsa dell'acqua calda – mugugnò, facendo per alzarsi, ma Adam si affrettò a fermarlo.

- Niente affatto – sentenziò, raggiungendolo e riportandolo sdraiato sul materasso, per poi avvertirlo con un’occhiata intransigente di cosa sarebbe successo se avesse provato a obiettare. - Non ti lascerò fare neanche un passo in più oggi, non se ne parla.

L’espressione di Tommy impiegò meno di un secondo per passare dal disorientato al letale.

- E secondo Sua Signoria come...

Allora, ancora prima di lasciarlo finire, Adam si infilò nel letto accanto a lui, circondò con le braccia quel busto che mai prima era stato così teso sotto il suo tocco e lo strinse al proprio corpo bollente, strofinando con vigore le braccia di Tommy finché il ragazzo non smise di rabbrividire dal freddo. Non chiedeva che lo accettasse accanto a lui, voleva solamente che smettesse di tremare come un pulcino bagnato, perché altrimenti non avrebbe mai potuto togliersi dalla testa il bastardissimo dubbio che quello che era successo fosse stata tutta colpa sua.

La voce di Tommy lo colse impreparato dopo mille anni. Ferma, testarda, eppure ancora foriera di così tanta insicurezza.

- E magari dovrei anche ringraziarti? – stridette, rigido nel suo abbraccio forzato.

- Puoi anche startene zitto, per quanto mi riguarda – ribatté il più grande, gelido. - Anche se voglio evitare che tu muoia di freddo non significa che ti abbia perdonato tutto questo casino.

- Bene – replicò Tommy con altrettanta avversione. - Perché neanch'io ti ho perdonato.

Per qualche motivo quelle poche parole riuscirono ad avere su Adam un effetto molto più corrosivo di tutti i discorsi offensivi che lui e Tommy si erano tirati addosso quella sera, come se tirare in ballo l’impossibilità di perdonare avesse penetrato il velo di carta zucchero con cui il maggiore si era difeso fino a quel momento. Ferito nell’orgoglio e al cuore, si ritirò immediatamente dal corpo del diciassettenne col quale ventiquattr’ore prima aveva solo desiderato di poter fare l’amore e si mise seduto al lato del materasso, proprio come Tommy aveva fatto poco prima, ma perdendo tempo a frizionarsi gli occhi brucianti di stanchezza con pollice e indice, a stento nascondendo il proprio disagio. Davvero, non sapeva più cosa inventarsi per reggere quella situazione.

- Mestruato di un ragazzino – sussurrò, ormai incapace di trattenersi, e ciò bastò affinché Tommy saltasse a sedere a sua volta, il volto rosso di una collera mai veramente sopita.

- Sei solo uno stronzo ipocrita!

- Ma vaffanculo, Tommy!

Adam si voltò di scatto verso di lui e a stento, questa volta, riuscì a trattenere l’impulso di alzare il braccio e colpirlo con uno schiaffo in pieno viso. Il più piccolo se ne accorse, senza dubbio lesse i suoi occhi e i movimenti d’insofferenza con cui il braccio del ventiduenne venne tenuto forzatamente a posto, quindi portò il busto in avanti, sfidandolo apertamente.

- Vacci tu, visto che sei sempre stato tanto bravo con i culi altrui.

Adam avrebbe fatto di tutto per evitarlo, ma non ci riuscì, rimase a bocca aperta, immobile e inerme di fronte a quell’ultima accusa infondata. Fissò Tommy a lungo, non riuscendo a credere che avesse riportato in superficie un periodo così tormentato della sua vita solo per il piacere subdolo di poter rispondere a tono, ma infine dovette capitolare. L’aveva detto davvero e i suoi occhi lo confermavano, non si sarebbe rimangiato nulla.

Quando Adam si rimise in piedi le gambe vacillarono un poco sotto il suo peso. Non era certo stata quell’ultima frase a demolirlo, ma tutte le sconfitte subite in quella lunghissima e distruttiva giornata, e sinceramente il ragazzo non capiva come avesse fatto a rimanere tutto intero fino a quel momento.

- Me ne vado – esalò, gli occhi ora stanchissimi ancora fissi in quelli avvelenati di Tommy, la voce ridotta a un soffio esausto. - Prima di perdere la pazienza.

Si allontanò dal letto, pian piano raggiunse la porta. Udì il frusciare delle coperte e comprese che Tommy vi era tornato sotto, al riparo, ma ciò che fece male fu il commento acido con cui l’adolescente pretese di avere l’ultima parola in quella discussione.

- Alleluia.

Colpito al cuore, Adam si bloccò sulla soglia e lì indugiò un po’, qualche secondo, con le dita impegnate a marchiare lo stipite di legno della porta prima di voltarsi di nuovo verso il letto, deciso ad andare fino in fondo.

- Solo un'ultima cosa – volle dirgli, rivolgendosi al fagotto di trapunte sotto il quale Tommy era tornato a raccogliersi in posizione fetale, la nuca bionda diretta verso la porta e, Adam ci avrebbe scommesso la vita, gli occhi aperti fissi sul vetro della porta-finestra. - Voglio essere sicuro che tu ti renda conto dello spavento che mi hai fatto prendere. Non m'importa come la pensi, mi hai fatto morire, e sappi una cosa – continuò il maggiore, la voce e le labbra che tremavano senza che lui potesse farci niente.

Non voleva piangere, no. Non piangeva davanti a Tommy da quando… Aveva mai pianto davanti a Tommy?

- Fammi un altro scherzo del genere e non mi tratterrò – si costrinse ad andare avanti, permettendosi di tirare su col naso una volta sola, mentre il più giovane rimaneva immobile sotto le coltri che lo proteggevano così bene dal dolore, dall’amarezza, da tutta la delusione. - Ho creduto ti fosse successo qualcosa d'irreparabile, ho creduto di averti perso. Fammi un altro scherzo del genere e fanculo i traumi, fanculo tutto, ti prendo a botte, ci siamo capiti?

Prese fiato dopo quella frase, una boccata immensa di ossigeno, mentre Tommy, sotto le coperte, contraeva ogni muscolo come se lo avesse colpito sul serio. La voce gli si era incrinata nel dirlo, dopo mesi che non faceva che ripetere a se stesso e al mondo intero che avrebbe sempre e solo protetto quel ragazzo che altri avevano già picchiato infinite volte, ma non aveva la minima intenzione di ritirare ciò che aveva appena detto.

- Perché non puoi, davvero non puoi permetterti di farmi preoccupare fino a questo punto, ragazzino. Ti amo troppo...

La voce gli s’intrappolò sul fondo della gola, s’incastrò e minacciò di non uscire più. Poi, alla fine, bastò inghiottire un po’ di quel dolore per poter riprendere, il corpo ormai scosso da singhiozzi che stava facendo di tutto per tenere per sé, le guance bagnate di lacrime che il diciassettenne non aveva mai visto e a cui quella volta stava voltando le spalle. Un po’ per il suo comportamento, un po’ perché gli avvenimenti della giornata sarebbero bastati ad annientare nel corpo e nello spirito tre uomini, Adam dovette chiamare a sé tutte le proprie forze per concludere ciò che con tanto coraggio aveva iniziato.

- Ti amo troppo per sopportare tutto questo una seconda volta senza perdere la testa, okay? – dichiarò, mordendosi a sangue il labbro inferiore. - Mettilo in conto prima di lanciarti a capofitto nella prossima stronzata.

Chissà cosa si aspettava Tommy dopo quel discorso a cuore aperto. Qualsiasi cosa, forse, meno l’improvviso spegnersi della luce e il violento sbattere della porta che lo fece sussultare e fu come lo sparo d’inizio che diede il via al suo, di pianto. Lacrime silenziose e incessanti che non gli diedero pace per ore, nelle tenebre della notte, finché la fatica accumulata non ebbe la meglio sulla tristezza, facendolo scivolare lentamente in un sonno agitato.

 

Il mattino seguente Adam si svegliò all’alba. In realtà non si può dire che avesse realmente dormito, ossessionato da pensieri talmente bui che il suo cuore se ne era visto soffocare, ma verso le quattro e mezza del mattino era caduto in una sorta di leggero dormiveglia che almeno per un’ora e mezza aveva reso i suoi contatti con il mondo esterno labili come un sogno tessuto male, prima che i primissimi raggi del sole che entrarono dalla finestra e colpirono il divano lo svegliassero definitivamente, condannandolo ad alzarsi.

Senza pensare, lasciò l’appartamento e scese in paese. Fece una visita al bar e al panificio, ne approfittò per ringraziare chiunque avesse partecipato alle ricerche della notte passata oltre a coloro che con tanto candore e tanta cortesia si attardarono a chiedergli se il suo ragazzo stesse bene, quindi tornò all’auto e in collina.

Tommy era seduto sulla veranda appena fuori dalla porta-finestra della camera da letto, quella cosparsa di edera. Era seduto su un lato della piccola panchina in legno, quasi come se avesse voluto riservargli un posto al cinema, e aveva addosso un paio di pantaloni corti e una canottiera azzurra puliti, mentre i capelli bagnati dovevano profumare del suo shampoo orientale. Mentre Adam percorreva il giardino per raggiungerlo, il più piccolo non distolse gli occhi dalla sua figura nemmeno per un secondo e lo stesso, d’istinto, fece il più grande.

Adam si fermò a due passi da lui, la mano destra impegnata a reggere due cappuccini take-away, la sinistra che stringeva un sacchetto caldo e colpevole di emanare nell’aria un’irresistibile fragranza di croissant e cioccolato fuso, lo sguardo neutro. Quello di Tommy, notò, non era più cattivo. Durante la notte il veleno si era addolcito e ora in quelle iridi nocciola dalla magica dolcezza non restava che un’immensa malinconia.

- Sembra una colazione per due – commentò il diciassettenne quando il silenzio fra loro, interrotto solamente dal cinguettare degli uccelli che abitavano i pini attorno alla casa, si fece pressante, e Adam annuì meccanicamente, porgendogli i cappuccini affinché prendesse il suo.

- Ne ho abbastanza di essere in rotta con te.

- La situazione comincia a pesare, in effetti – concordò il più piccolo, accettando il contenitore di plastica prendendolo per la striscia di cartone, così da non ustionarsi, e abbassando lo sguardo a terra.

Per tutta risposta Adam andò a sedersi vicino a lui e sospirò, ma fu tutto meno che liberatorio. Erano solo all’inizio. La crisi era stata troppo brutale, feroce, la rappacificazione non avrebbe richiesto sforzi minori.

- Pace provvisoria? – suggerì, aprendo il sacchetto di croissant e adagiandolo sul tavolino per poi portare gli occhi limpidi a incrociare quelli ancora un poco spauriti di Tommy, che si umettò le labbra.

- Hm?

Adam respirò a fondo, capendo alla perfezione le paure del diciassettenne, perché erano anche le sue. Potevano uscirne? Non lo sapeva, non ne aveva idea. Ma l’unico aspetto di quella faccenda di cui era certo era che l’unica possibilità che avevano di riuscirci consisteva nello smettere di respingersi a vicenda.

- Parliamo? – propose, più serio che mai, congiungendo le mani in grembo e alzando le sopracciglia.

Tommy, che aveva cominciato a sorbire il cappuccino a sorsi piccoli e inesorabilmente lenti, lo tolse dalla bocca e se lo appoggiò su un ginocchio, prendendo tempo giocherellando con la fascia di cartone. Adam lo lasciò fare senza mettergli fretta. Poi, dopo una manciata di secondi, anche il più piccolo trovò il coraggio di affrontare quegli occhi color del cielo e annuì, sospirando.

- Parliamo.

 











Angolino dell’autrice

Okay, il capitolo è veramente, veramente eterno.

Forse avrei dovuto spezzarlo, ma ho voluto arrivare fino a questo punto perché ne avevo abbastanza di farvi soffrire all’idea di questi due ragazzuoli inca***ti l’uno con l’altro, ecco u_u *vogliatemi bene, pliz* *coscienza: ammetti che eri tu a non sopportare più questa situazione >_>* *sono fragile, lo ammetto ç_ç*

Spero che siate ancora tutte vive dopo queste 17 pagine, spero non mi vogliate male per questa cosa infinita, spero che il capitolo vi sia piaciuto almeno un pochino… e spero vi sia rimasta la forza di lasciarmi una recensioncina *occhi da cucciolo mode on*

Baci e alla prossima, bellezze glam!

Vostra affezionata,

 

a.




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Capitolo 10
*** Capelli rossi, latte e miele ***





Ringrazio chiunque segua e le meraviglie che hanno recensito lo scorso capitolo, cioè Eclipse of Flame, Sunset_Lily, kissky e and soon the darkness_ ^-^

 

La parte in corsivo corrisponde ai flashback.

 La canzone del capitolo è Luka (Suzanne Vega)

Buona lettura :)

 




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Da quel momento in poi, dopo che Tommy ebbe compiuto quel piccolo ma fondamentale passo verso di lui, Adam trovò meno irrealizzabile la prospettiva di una lunga chiacchierata, anche se avvertiva la bocca ancora arida.

Si era sempre sentito a suo agio a parlare con il suo ragazzo e anche quando gli argomenti non erano stati dei più piacevoli aveva dimostrato di saper condurre la conversazione in porto con una discreta abilità, eppure avvertiva che quella volta sarebbero entrati in gioco fattori tanto potenti da sfidare il suo autocontrollo. Non che progettasse di alzare la voce con Tommy, questo no, ma aveva la sensazione che nessuno dei due sarebbe uscito indenne da quel groviglio di malintesi senza che anche lui trovasse il coraggio di spogliarsi completamente di ogni pretesa, imbarazzo, preconcetto. Quella volta, come aveva detto Tommy, sarebbe stato il suo turno di ammettere che aveva anche lui, effettivamente, bisogno di un appoggio.

Passarono pochi secondi dal breve consenso dato da Tommy prima che il ventiduenne esordisse a voce bassa, con le dita delle mani intrecciate fra loro e le labbra asciutte, nonostante se le fosse inumidite non più di due secondi prima.

- Ho riflettuto…

- No, aspetta – lo interruppe però il più giovane, attirando così il suo sguardo stupito. Il diciassettenne si morse le labbra e tacque qualche secondo, ma Adam non intervenne e attese invece che i suoi occhi scuri tornassero ai propri e che il ragazzo sciorinasse rapidamente tutto quello che aveva da dire. - Prima che inizi a parlare voglio chiederti scusa per ieri. Per essere scappato, per averti fatto dannare tanto… e per averti dato del rompicazzo.

Ad Adam scappò un sorrisetto genuino a quella conclusione buttata lì come un cerino acceso fra la legna, in trepida attesa di vedere se avrebbe potuto divamparne un incendio o se invece il tutto si sarebbe risolto con un nulla di fatto, poi alzò le spalle con sincera noncuranza.

- Probabilmente qualche volta lo sono davvero.

- Forse – ribatté Tommy. - Ma certo anch’io non me la cavo male a fare il ragazzino nevrotico.

Questa volta al risolino del maggiore si aggiunse il suo, al quale seguì un attimo di silenzio più dolce dei precedenti, ma ancora parzialmente teso, a cui Adam mise fine senza preavviso raccogliendo il cappuccino di Tommy dalle sue ginocchia e ricongiungendolo all’altro sul tavolino prima di circondare il diciassettenne con le braccia e stringerlo forte a sé, chiudendo gli occhi per non godere d’altro che della sua presenza e del profumo di pulito che emanava. Tommy, da parte sua, dopo un primissimo momento di stasi dovuta alla sorpresa, si rilassò, allacciò le mani dietro la schiena di Adam e si perse nel calore di quell’abbraccio, premendo la fronte sul petto del maggiore e riscoprendo con piacere quanto gli fosse mancata anche la più innocente delle effusioni.

Rimasero in quella posizione per una decina di secondi, senza dire nulla né muoversi ma riuscendo ugualmente a comunicare all’altro più di quanto qualsiasi richiesta di perdono e riconciliazione avrebbe potuto esprimere, e infine fu Tommy a ritrarsi appena, consentendo ad Adam di allontanare le braccia dal suo corpo.

- Adesso parla tu – lo incoraggiò il più piccolo, strofinandosi l’occhio destro con le dita e accennando un sorriso affettuoso per nascondere quel timido accenno di lacrime. - Non t’interrompo più, giuro.

Adam aggrottò le sopracciglia e gli mise una mano sulla spalla, perplesso. – Va tutto bene?

- Sì, non preoccuparti. Mi sono solo… emozionato un po’ – ribadì Tommy, tornando a sorridere, gli occhi rossi ma asciutti. – Dai, voglio ascoltarti.

Adam sorrise a sua volta, rincuorato, e gli carezzò il braccio con affetto prima di tornare con le mani in grembo e al suo discorso originale.

- Dicevo… stanotte ho riflettuto – riprese, sempre rivolgendo lo sguardo serio a Tommy, che ricambiò con attenzione. - E ho concluso che la nostra lite di ieri è dovuta al fatto che eravamo tutti e due troppo impegnati a difenderci per capire la posizione dell’altro. Io mi stavo difendendo perché quello che mi hai detto è talmente vero che mi manda nel panico – ammise, gli occhi fermi in quelli dell’altro, certo di non voler scappare questa volta. - Mentre tu lo stavi facendo perché un problema ce l’hai davvero e non si tratta solo della mia tendenza a nascondermi.

Tommy si ritrasse appena a quell’allusione, strappandosi dalle labbra un sorriso che avrebbe voluto spacciare per credibile nonostante i suoi occhi fossero corsi a rifugiarsi a terra.

- Non ti è bastata la questione del “la nostra non è una relazione alla pari”? Era sincera, sai? Potresti prenderla come l’unica ragione di tutto – tentò di sdrammatizzare, ma Adam gli impedì di fingere oltre sfiorandogli il viso con le dita.

- Non prendermi in giro – lo ammonì in tono morbido. - Se il problema fosse davvero solo quello, perché saresti venuto a cercarmi subito dopo aver litigato con Rick? E perché avresti accettato di venire in vacanza con me con tanto entusiasmo? Sembravi davvero sollevato quando te l’ho detto, sai? Sinceramente sollevato di poter passare un po’ di tempo da solo con me.

- Lo ero – deglutì Tommy, non fuggendo il suo sguardo, e Adam sorrise, orgoglioso del suo coraggio.

- In più, quello che ho in mente è proprio un modo diretto per cominciare a costruire quel famoso rapporto alla pari.

- Sarebbe? – indagò il più giovane, corrugando la fronte.

- Dirci tutto, finalmente. A vicenda – sparò Adam, più determinato che mai. - So che hai un problema, so di non essermi sbagliato a riguardo. Ma ho capito che anche tu hai la tua buona parte di ragione quando dici che tendo a chiudermi in me stesso, solo che magari lo faccio involontariamente, senza accorgermene. Credo sia un meccanismo di difesa che mi ha permesso di resistere negli anni, quando... quando non avevo troppe persone con cui parlare di quello che mi tormentava e quello era l'unico modo di sopravvivere – spiegò, lottando perché il nodo all’altezza della gola non gli impedisse di continuare a parlare o di concentrarsi sugli occhi spalancati del suo ragazzo. - Ti prego di perdonarmi… per averti tenuto lontano.

Dopo un attimo d’incredulità, Tommy annuì deglutendo. - Anch'io. Non voglio più farlo.

A quel punto la mano di Adam andò a posarsi poco sopra il suo ginocchio, in una carezza delicata.

- Senti – riprese, gentile e forte della rinnovata complicità fra loro due. - Dal tempo che hai impiegato ad ammettere che qualcosa non va ho capito che non deve essere niente di facile da affrontare.

- Non lo è – ammise Tommy, mordendosi il labbro inferiore. - Non per me.

- Allora ti propongo questo scambio.

- Del tipo?

- Del tipo che potrai chiedermi tutto ciò che vuoi – replicò subito il più grande, senza esitare. – Mi assumo fin da adesso la responsabilità di rispondere con la massima sincerità, non importa quali saranno le domande e quanto tempo ci vorrà per dirti tutto. In più intendo impegnarmi affinché questa diventi la regola fra noi. Ti ho accompagnato in questo viaggio con l’intenzione di aprirmi per primo, per darti il buon esempio, ma evidentemente ci sono aspetti del mio passato parlando dei quali non riesco a fingere, mi distruggono – Si prese una pausa, fu obbligato a farlo per procurarsi una benefica boccata d’ossigeno, poi riuscì a riprendere con la stessa energia. - Ma non importa, li sbatterò sulla tavola. Perché non voglio più nasconderti niente, davvero niente, Tommy, così forse ti convincerò a fare lo stesso.

Quando ebbe finito di parlare un sorriso raggiante illuminò il volto del più piccolo.

- Sarebbe così bello se parlassimo di più.

- Lo sarà, ma in cambio ti devo chiedere di smetterla di fuggire da tutto e da tutti pur di non dire a nessuno ciò che ti sta succedendo, qualunque cosa sia – ripeté Adam. - E di parlarmene, TJ. Presto.

Posto dinnanzi alla sua serietà e sapendo che non erano motivi egoistici a spingerlo a rivolgerglisi con tanta fermezza, il diciassettenne accennò a un sì con la testa, cavandosi di bocca un sussurro.

- Farò del mio meglio.

- Bene – assentì a sua volta Adam, fiero, per poi piantarsi i palmi delle mani sulle ginocchia, come in procinto di spiccare una corsa. – Allora a te i dadi. Sono qui, chiedimi tutto quello che vuoi.

Nonostante il maggiore gli avesse già annunciato la sua intenzione di non mettere più alcun paletto alle loro conversazioni, quella proposta e l’improvvisa apertura alle novità che denotava riuscirono a spiazzare Tommy e a lasciarlo un attimo senza parole. All’improvviso si sentiva dalla parte del torto, come se stesse forzando Adam a sostenere un esame per il quale non si era ancora dichiarato pronto, ma poi notò la risolutezza che splendeva negli occhi chiari del ventiduenne, la sua sincera voglia di andargli incontro, e smise di provare timore per quelle che sarebbero state le conseguenze. Stavano finalmente permettendo a elementi più profondi del loro essere di divenire parte integrante della loro relazione, stavano maturando l’uno con l’appoggio dell’altro, non c’era nulla di cui avere paura.

- Non pretendo che mi racconti tutto il tuo mondo oggi, non avrebbe senso – ponderò ad alta voce, in poco più di un borbottio. - Vorrei solo sapere a cosa pensi quando ti vedo triste e assente e cosa posso fare per aiutarti e avvicinarmi di nuovo a te quando ti capita di sentirti… inadeguato.

Adam sorrise, intenerito quanto colpito dalla sua capacità di comprenderlo così a fondo.

- Inadeguato. Be’, è la parola giusta – Tacque qualche secondo e per la prima volta da quando era arrivato mostrò qualche interesse per il proprio cappuccino, sorbendone un paio di sorsi prima di prendere il sacchetto dei croissant e porgerlo a Tommy. - Hai già messo la pomata stamattina?

Quella domanda confuse il più giovane ancora più del fatto che Adam fosse passato dall’approvare la sua scelta di termini a offrirgli delle brioches al cioccolato delle quali al momento non avrebbe potuto interessargli di meno.

- Cosa? Ah… no, non ancora – bofonchiò in risposta, disorientato.

- Mangia qualcosa mentre vado a prenderla – lo incitò allora il maggiore, prima di alzarsi e scomparire in casa attraverso la porta-finestra.

Il diciassettenne obbedì e prese un morso del primo cornetto che gli capitò in mano, sapendo bene quanto potesse risultare deleterio contraddire Adam quando si trattava di fargli buttar giù del cibo, ma allo stesso tempo un moto di stizza gli nacque nello stomaco. Stava già escogitando delle tattiche per evitare di rispondergli, dopo neanche cinque minuti da quando gli aveva promesso che non si sarebbe più tirato indietro?

La pomata era stata lasciata su uno dei due comodini ai lati del letto, perciò passarono solo pochi secondi prima che Adam tornasse con il tubetto in mano e si risedesse accanto a lui sulla panchina. In quel momento l’espressione che Tommy gli vide in volto lo rincuorò: le pieghe sul viso del suo ragazzo non avevano nulla a che fare con l’austerità e la concentrazione con cui Adam era solito farsi scudo dalle domande non desiderate, ma anzi, l’assenza di tensione ne metteva in risalto la tranquillità.

Tommy si rilassò immediatamente, mezzo croissant ancora in mano, ritrovando immediatamente la fiducia nella sua promessa, una sensazione confortante che si rafforzò quando Adam rialzò lo sguardo dal tubetto ormai aperto e gli rivolse un altro sorriso.

- Mi dai la caviglia?

- Oh, certo.

Tommy appoggiò il piede destro sulla panca, ma Adam lo prese con la mano libera e con infinito tatto lo esortò a stendere del tutto la gamba, così da appoggiare il polpaccio sulle sue ginocchia. Allora il più giovane ricambiò il sorriso, grato, e lasciò che le dita calde del ventiduenne gli spalmassero l’unguento sul grosso livido che ancora imperava sulla caviglia, mentre con l’altra mano gli teneva fermo il piede.

- Ti fa male? – gli chiese, apprensivo.

- Hm, no, non molto. Non schiacciare, però.

Il ventiduenne annuì, compreso, e per qualche secondo, anche oltre il necessario per far sì che il preparato penetrasse, non fece altro che continuare quel leggerissimo massaggio con tocchi che Tommy dovette costringersi a non considerare erotici mordendosi con forza l’interno della guancia. Sapeva che Adam voleva solo coccolarlo un po’, farlo stare bene senza andare oltre quelle attenzioni squisite, eppure quel modo che aveva di toccarlo non poteva che dare fuoco ai suoi desideri più reconditi.

- In merito alla tua domanda di prima, a che cosa penso quando mi vedi triste o assente… – riprese di punto in bianco il maggiore, senza smettere di vezzeggiargli la caviglia, e Tommy alzò di scatto lo sguardo per incontrare i suoi occhi. Erano ancora limpidi, o almeno così sembrava, fatta salva la nota di malinconia sorta ad adombrarne un poco l’eterna luce. – Spesso penso ai miei genitori.

Seppur inconsciamente, Tommy trattenne il fiato e sgranò gli occhi. – Davvero te li ricordi?

Adam sorrise, sentendo un calore familiare alla bocca dello stomaco. - Come se li avessi sempre avuti davanti. Tu no?

- Ricordo che mamma aveva i capelli lunghi e biondi e le braccia morbide – meditò allora Tommy, masticando e poi inghiottendo l’ultimo pezzetto di brioche. – E che profumava di buono.

- Ora so da chi hai preso – ridacchiò il maggiore, compiaciuto.

- Ma nient’altro.

- Io invece somiglio a mio padre. Per la corporatura, il colore di occhi e capelli… le lentiggini! – raccontò a sua volta Adam, riappoggiando a terra il piede del diciassettenne e adoperandosi per richiudere il tubetto, pensieroso. - E credo che anche le labbra siano le sue.

Fu il turno di Tommy di sogghignare con fare saccente, guadagnandosi un occhiolino da parte del maggiore. - Dev’essere stato un bell’uomo.

- Mamma invece era più piccola di statura. Occhi e capelli castano scuro, lunghi, un po’ come Julie. Me la ricordo bellissima – concluse poi il ventiduenne, ritornando a un tono di voce più nostalgico di quanto avrebbe voluto. - Ecco, spesso penso a loro e a come sarebbe stato se avessi fatto meno capricci quel mattino, davanti a scuola, o se papà non si fosse fermato al tabacchino accanto per comprare il giornale. Mi chiedo se quei cinque minuti sarebbero bastati a far sì che quel tizio in macchina li evitasse e la loro vita continuasse come sempre – Nel silenzio che era andato creandosi fra lui e Tommy, sospirò e si diede un attimo di tempo prima di tornare ai suoi occhi, specchi di tanta sensibilità. - Mi chiedo che tipo di genitori sarebbero stati con un terremoto come me, se severi o tolleranti. Mi chiedo se io sarei stato diverso, crescendo come ha l’opportunità di fare la maggior parte della gente in questa parte di mondo. Se avrei avuto dei fratelli.

Tommy si limitò a contemplare quel viso che tanto lo faceva sospirare, ne studiò lo sconforto e le linee di tristezza che lo avevano invecchiato di colpo, quindi azzardò un intervento, anche se sottovoce.

- Probabilmente non ci saremmo mai incontrati.

Quella tesi strappò ad Adam un sorriso tirato. - Chi può dirlo? So di suonare sdolcinato, ma… forse l’unico che sia mai davvero riuscito a consolarmi pienamente della loro perdita sei stato tu, TJ. Tu e tutto quello che abbiamo avuto in questi mesi.

Vide una nota di soddisfazione mista a riconoscenza colorare le gote di Tommy e volle ricambiare con un sorriso che potesse essere chiamato tale, ma proprio in quel momento le parole che il ragazzo gli aveva rivolto poco prima, chiedendogli di fare chiarezza, gli riecheggiarono in testa, condannandolo a ripiombare nella tristezza.

Vorrei solo sapere a cosa pensi quando ti vedo triste e assente.

D’istinto, senza che Tommy gli staccasse gli occhi di dosso, la sua mano destra andò a cercare la cicatrice peggiore nonché la più evidente che si portava dietro, l’unica sulla quale erano saltate fuori domande piene di stupore a ogni visita medica si fosse mai sottoposto dopo i tredici anni, l’unica che la quasi totalità delle persone con cui era stato a letto non aveva mancato di fargli notare. Non ebbe bisogno di cercarla, ne conosceva la posizione a memoria, era esattamente a metà strada fra la scapola destra e il rispettivo fianco. Le sue dita si soffermarono a percorrerne la lunghezza, delicatamente, come in un movimento automatico, appreso negli anni. Anche attraverso la stoffa della maglietta era impossibile non rendersi conto che in quel punto la pelle era diversa, più liscia, un poco sopraelevata rispetto al resto, per tutti quegli otto centimetri virgola due d’indelebili memorie.

- Ogni tanto, invece, penso a questa e all'uomo che me l'ha fatta.

Le parole gli vennero soffiate fuori dalle labbra e presero i toni di una voce che non era la sua, una voce che sembrava arrivare dalle viscere del mondo. Sentendosi, Adam alzò lo sguardo su Tommy, temendo di averlo spaventato, ma quando non vide altro che empatia nei suoi occhi si sentì incoraggiato a continuare, per quanto qualcosa dentro di lui avesse iniziato a torcersi dolorosamente.

- Non riesco a farne a meno. Tutti i tutori che ho avuto hanno lasciato il loro segno su di me, in un modo o nell’altro, ma questo... è a causa di quest’uomo se ho cominciato a pensare di uccidermi – confessò, serrando gli occhi con forza, ma solo per un attimo.

Tommy mosse una mano verso di lui, improvvisamente angosciato. - Ad...

Ma il più grande bloccò la sua frase sul nascere. - Andiamo sulla spiaggia, ti va? – Lo sguardo stupito del diciassettenne lo mise sulle spine, così si affrettò a rassicurarlo riguardo alle proprie intenzioni. - Voglio parlartene a fondo, dirti tutto, davvero. Ti chiedo solo di venire con me in spiaggia. Lì sarà più… più facile per me.

Di fronte a quelle condizioni, Tommy non trovò motivo alcuno di opporsi. Lasciando gli abbondanti resti della loro colazione sul tavolino della veranda, si allontanarono dalla casa dopo aver chiuso porte e finestre e ripercorsero il sentiero lastricato fino a raggiungere la costa. Questa volta non camminarono tanto da raggiungere il tronco bianco, ma si accontentarono di muovere qualche passo in più verso l’oceano e di sedersi l’uno accanto all’altro a meno di una decina di metri dall’acqua, che era ancora calma come il giorno prima.

Per tutto il tempo che impiegarono a sistemarsi lì, Tommy non fece altro che rispettare i tempi così come ogni minima scelta del più grande. Sapeva bene cosa voleva dire svelare ad altri la parte più fragile di se stessi, era stato costretto a farlo molte volte, e il fatto che ora Adam stesse per farlo con qualcuno a cui teneva veramente non sarebbe stato sufficiente ad annientare l’imbarazzo né il senso di inadeguatezza. Quelli non se ne sarebbero mai andati. Ma parlare, oh, parlarne gli avrebbe portato benefici che sicuramente ricordava appena, tanto tempo era passato da quando si era confidato con Kevin.

- Arrivai da Sanders poco dopo aver compiuto undici anni – iniziò Adam dopo interminabili minuti di silenzio passati a osservare il rinfrangersi delle onde a pochi passi da loro.

Sedeva con le piante dei piedi posate a terra e gli avambracci appoggiati sulle ginocchia piegate, così da poter reggere una mano con l’altra. Non guardava Tommy, ma non per un solo secondo il più piccolo gliene fece una colpa.

- All’inizio non successe nulla. Sai com’è, no? Per i primi giorni te ne rimani zitto, quieto, fai anche troppa attenzione a non fare nemmeno un passo falso nel tentativo di farti voler bene – Lasciò che Tommy annuisse con la consapevolezza acquisita durante il suo lungo percorso di figlio adottivo prima di proseguire. – Ma dopo la prima settimana di adattamento cominciai a frequentare la scuola del quartiere, com’era giusto, a portare a casa voti di tutti i tipi, alti, bassi e nella media, e dopo un po’ mi guadagnai anche un paio di annotazioni sul diario, o come si chiamavano. Capita a tutti, prima o poi. E con voti bassi e ritardi arrivarono le lamentele dei professori e fu allora che si svelò anche il vero volto di Sanders… a quello stronzo non fregava niente di quanto m’impegnavo per essere il miglior figlio possibile, così come mi ero ripromesso di fare nell’esatto momento in cui avevo saputo che sarei stato adottato, dopo Cooper e mesi di casa-famiglia, anche a un’età raggiunta la quale non sei più così piccolo da far venire a tutti la voglia di prenderti con loro. Ricordo che avevo sperato con tutto il cuore che fosse la volta buona, di aver giurato che avrei messo tutto me stesso nel tentativo di renderla la volta buona. Ma con quel figlio di puttana non c’era niente da fare e io lo capii troppo tardi.

Tommy rimase zitto ancora per un po’, lasciando che quelle parole si adagiassero, sedimentassero. Poi, la voce sfociata in un tono adulto e maturo, si azzardò a incentivarlo affinché continuasse.

- Che ti faceva?

Adam prese fiato come se avesse dovuto immergersi anche fisicamente nella distesa cobalto in cui stava lasciando annegare lo sguardo.

- Cominciò… cominciò dal nulla – spiegò, per poi capitolare di colpo, seppellire il volto fra le mani e cominciare a scuotere la testa. - Dio, mi vergogno al solo pensiero di raccontarti certe cose!

- No, Ad – replicò allora Tommy, dimostrandosi caparbio al posto suo e mettendogli una mano sulla spalla per darle una stretta che potesse spronarlo. - Ricorda quello che mi dici sempre, okay? Non sei tu a doverti vergognare, ma chi ti ha trattato come non meritavi. E poi, a dirla fra noi, è vero che parlarne aiuta – aggiunse, e, quando gli occhi color del cielo di Adam tornarono ad avere fiducia nei suoi, sorrise con semplicità disarmante. - È vero che dopo ti senti molto più leggero, che i pensieri scorrono meglio e che anche tu cominci a vivere meglio senza un peso del genere. Vedrai.

Adam respirò a fondo di nuovo, chiudendo la bocca e deglutendo ogni impulso allo scoraggiamento. Non ci aveva ancora veramente provato, considerava suo compito fare uno sforzo. Non lo doveva solamente a Tommy, ma anche a se stesso.

- D’accordo. D’accordo – rantolò, chiudendo un attimo gli occhi per ritrovare la calma e lasciando, per la prima volta in un tempo che non era in grado di quantificare, che alle immagini del passato la sua mente associasse le parole che avrebbero consentito a Tommy di capire tutto, tutto quello che George Sanders gli aveva fatto. - Quel giorno ero… ero tornato da scuola in ritardo.

 

Mentre saliva alla velocità della luce l’ultima rampa di scale per raggiungere il pianerottolo del secondo piano, Adam pensò che aveva fatto bene a scendere dalla corriera una fermata prima del previsto per poter percorrere a piedi l’ultimo pezzo di strada, correndo così forte che lo zaino pieno di libri non aveva fatto altro che rimbalzargli scompostamente sulla schiena per tutto il tempo. Quella vecchia carretta di mezzo pubblico andava come una lumaca e l’ultima cosa che il ragazzino voleva era trattenersi fuori casa oltre l’orario previsto per il rientro. Viveva con la famiglia Sanders da meno di un mese ed era ancora molto scrupoloso nel seguire le nuove regole che gli erano state date.

Arrivò davanti all’ingresso con il fiatone e il viso punteggiato di lentiggini rosso e accaldato. Dopo aver ingoiato qualche generosa boccata d’aria per riprendersi, si avvicinò al battente e fece per suonare il campanello, ma poi si accorse che la porta era appena accostata, così la spinse ed entrò in casa stando attento a che l’uscio non sbattesse.

Ritrovatosi all’inizio dello stretto corridoio d’entrata, non fece un passo in più del necessario senza prima togliersi le scarpe e riporle sul tappetino sotto l’attaccapanni, come gli era stato insegnato, tendendo nel frattempo le orecchie. Dall’attigua cucina provenivano rumori di piatti e pentole che sbattevano, ma non per un solo momento il bambino pensò si trattasse della signora Sanders, dato che aveva visto quella donna solamente durante le visite che avevano preceduto l’adozione, poi più nulla. Da quando si era trasferito in quella casa, l’unico a occuparsi di lui era stato il suo nuovo padre adottivo, George Sanders.

Dopo aver intravisto di sfuggita la propria figura e i capelli rossi nello specchio di fronte all’appendiabiti, Adam si affacciò, ancora trafelato, sulla soglia della cucina. Il suo nuovo tutore, un uomo magro che amava correre nella città semideserta alle cinque del mattino, indossava ancora i pantaloni di tessuto fine, la camicia azzurrina e la cravatta rossa che portava in ufficio, ma gli volgeva le spalle, tutto intento a controllare una pentola sul fuoco, e quel bollire placido di sugo al pomodoro e basilico doveva avergli impedito di sentire il suo arrivo.

Incerto su che fare e non ancora abbastanza in confidenza con quell’uomo per inventarsi altro, Adam si limitò a fare un passetto verso la tavola e a tentare il solito approccio timido che si tirava appresso da quando, assieme allo stato di figlio, gli era stata data una stanza tutta sua in quell’appartamento.

- Ciao…

La sua voce, anche se stremata dall’immane corsa, fu sufficiente perché Sanders si voltasse di scatto verso di lui, gli occhi scuri spalancati. Non era un bell’uomo, o almeno così credeva Adam. Era troppo magro, anche se la presenza dei muscoli guadagnati con la corsa ovviavano un poco al problema, ma a parte ciò aveva un viso spigoloso e si tingeva i capelli di un’improbabile tonalità scura per rimediare ai primi accenni dell’età che avanzava.

- Adam! – esclamò non appena registrò la presenza del bambino a non più di tre metri da sé. – Ti aspettavo mezz’ora fa!

Quel tono di voce collerico immobilizzò l’undicenne sul posto, ma non gli fece tremare la voce. Aveva fatto tutto il possibile per arrivare a casa in tempo, non aveva nulla di cui pentirsi.

- Lo so, ma…

- Sai quanto mi sono preoccupato?!

Quell’ulteriore rimprovero lo obbligò a chinare lo sguardo sui propri piedi con rammarico.

- Mi dispiace, ma non è stata colpa mia – mormorò, cercando di dare visibilità alle proprie ragioni senza per questo provocare un nuovo accesso d’ira.

Fino a quel giorno il padre adottivo non gli aveva mai urlato contro, quella era la prima volta, e quando dopo pochi secondi si azzardò a rialzare la testa per incrociare di nuovo il suo sguardo, Adam arrivò a rattristarsi per la frustrazione che vide negli occhi scuri che stava pian piano imparando a conoscere. Sanders lo fissò ancora per qualche secondo, come per marchiarlo con la propria delusione, quindi sospirò e accennò con la testa verso sinistra.

- Va’ in camera tua a posare la cartella, poi prendi i tuoi libri e scendi. Farai i compiti qui mentre preparo la cena – stabilì con un’ impazienza che Adam attribuì alla recente arrabbiatura.

- Va bene – annuì quindi, e senza obiettare minimamente corse in salotto e su per le scale che portavano alla zona notte per poter obbedire il più in fretta possibile.

In quel modo, forse, il suo tutore si sarebbe calmato prima e avrebbe ricominciato a rivolgergli quei sorrisetti strani che faceva lui, uno dei pochi segnali d’affetto che gli aveva concesso in quelle settimane. Dopotutto gli aveva fatto intendere che fosse tutto finito, tutto di nuovo a posto, che anche per lui si fosse trattato solo di un’incomprensione di poco conto.

Dopo che entrambi ebbero finito di cenare in religioso silenzio, Adam si umettò le labbra nervosamente, ancora una volta ansioso di fare una buona impressione.

- Ti aiuto a sparecchiare? – propose, diligente.

- No – rifiutò però George Sanders, gli occhi ancora chini sul proprio piatto, i gomiti sulla tavola e le dita delle mani intrecciate fra loro, come se stesse riflettendo. - Adesso va’ di là a guardare un po’ di televisione, qui ci penso io.

Adam rimase sorpreso da quella decisione, ma ovviamente obbedì senza discutere.

- D’accordo.

Era passata una mezz’ora quando il ragazzo si sentì chiamare di nuovo dalla cucina, lasciò il divano e i cartoni animati proiettati sullo schermo del televisore e si presentò di nuovo, solerte, sulla soglia della stanza. Sanders aveva sparecchiato, tolto la tovaglia e lavato i piatti, che gocciolavano inerti su uno straccio accanto al lavandino, e ora se ne stava accanto alla tavola, le mani appoggiate ai due lati dello schienale di una delle sedie di legno e gli occhi puntati sul ragazzino appena arrivato e luccicanti per un motivo che l’undicenne mancò di comprendere. Nonostante si fosse allentato la cravatta, l’uomo indossava ancora i suoi impeccabili abiti da ufficio.

- Adam – tornò a chiamarlo, vedendolo intento a scrutarlo con quello che forse gli era parso scarso rispetto. - Oggi sei tornato a casa in ritardo.

Adam schiuse le labbra nel sentirlo riportare a galla un argomento che considerava chiuso, ma poi annuì debolmente, perché l’uomo attendeva. Anche Sanders assentì, rivolgendo lo sguardo pensieroso e indecifrabile alla superficie pulita della tavola prima di tornare agli occhi celesti del figlio adottivo.

- Vieni qui – gli ingiunse poi. La sua voce era bassa, ma non c’era dubbio che fosse stato un ordine, così Adam non poté che raggiungerlo, seppur a passi lenti, fino a fermarsi di fronte all’uomo, che subito si accucciò per ritrovarsi alla sua altezza e mise le mani sulle spalle di quel ragazzino dall’espressione seria, premurandosi di guardarlo dritto negli occhi nel tornare a rivolgerglisi. - Quando sei arrivato da me ti ho dato delle regole, non è vero?

Adam fece subito di sì con la testa, compito, ripetendo ciò che gli era stato detto.

- Perché senza regole non si può vivere bene.

- Giusto – aveva concordato Sanders, parzialmente soddisfatto. - Te le ricordi?

- Non devo rispondere male o arrivare a casa dopo l’orario permesso. Devo impegnarmi per andare bene a scuola e obbedire, fare quello che mi dici tu.

- Bravo – tornò ad approvare l’uomo, per poi stringergli un poco di più la spalla sinistra e continuare, incorruttibile. - E visto che sei un ragazzo intelligente capirai anche che, siccome oggi hai disobbedito a una di queste regole, è mio compito punirti affinché questo non accada più.

Quelle parole furono abbastanza incisive e foriere di cattivi ricordi da gettare Adam nello sconforto più totale, e subito i suoi occhi divennero lo specchio di quel colpo accusato interiormente. Ma fu quando il ragazzino notò il frustino di cuoio che attendeva sulla sedia, semi-nascosto dal tavolo, che una paura incontrollabile lo irrigidì tutto e si fece largo in quelle chiarissime iridi innocenti, accompagnata da un forte senso d’ingiustizia che lo spinse a ribattere.

- Ma… mi dispiace di essere arrivato in ritardo, lo giuro!

- Hai già detto che ti dispiace, Adam, ma questo non toglie che tu ti sia comportato male – replicò l’uomo, immobile, a malapena alzando un sopracciglio, ma il bambino non si diede per vinto.

- Ma… il professore di ginnastica ci ha dato il permesso di andare a cambiarci quando la campanella era già suonata e per questo ho perso l’autobus e ho dovuto aspettare quello dopo! – insistette nel giustificarsi, impossibilitato a credere che tutto ciò si stesse ripetendo. Dopo tre famiglie adottive, dopo essere sopravvissuto a John Cooper non voleva credere che tutto ciò stesse per accadere di nuovo. – Te lo giuro, non è stata colpa mia, è stata colpa…

Le parole gli morirono in gola quando l’uomo tornò a ergersi in tutta la sua altezza e si impadronì del frustino con uno scatto impaziente, fulminandolo dall’alto. Adam ebbe la sensazione di deglutire un mattone.

- Per favore, no – implorò con voce sottile, facendo un passo indietro nel tentativo di sottrarsi a quella trappola e cominciando a scuotere freneticamente la testa, gli occhi spalancati dal terrore. – Non è stata colpa mia, non succederà mai più...

Sordo alle sue suppliche, Sanders indicò il punto d’incontro tra il muro che dava sulla strada e quello che separava la cucina dal salotto.

- Va’ nell’angolo – ordinò con voce asciutta, e Adam sentì un moto di repulsione sconvolgergli lo stomaco e fargli salire il senso di nausea fino in bocca.

- No! – urlò.

Provò a fuggire, ma non fece in tempo a voltarsi che le dita della mano dell’uomo gli artigliarono il braccio per costringerlo a girarsi di nuovo verso di lui e a ricevere il ceffone rabbioso con cui la mano che reggeva il frustino lo colpì, strappandogli un gemito.

- Non discutere con me, ragazzino! Nell’angolo, faccia al muro!

Dal nulla Adam si ritrovò spinto con forza contro la parete e dovette appoggiarvisi con i palmi delle mani per non finire a terra. Le gambe gli tremavano convulsamente mentre tentava di tenersi in piedi, e le pressioni di Sanders non aiutavano.

- Arrotolati i pantaloni fino alle ginocchia.

Le labbra e il mento gli sussultavano, minacciando l’arrivo dei singhiozzi. Avrebbe dato di tutto per riuscire a trattenersi dal piangere, ma l’orrore suscitatogli dell’intera situazione lo sovrastava e, quando trovò il coraggio di tornare a voltare il viso verso il padre adottivo, le prime lacrime cominciarono a bagnare la gota sulla quale spiccava rovente l’impronta della mano dell’uomo.

- Ti prego, non farlo… - tornò a scongiurarlo, scuotendo la testa.

Seccato da quell’ulteriore perdita di tempo, Sanders coprì i pochi passi che lo separavano dal bambino e afferrandolo di nuovo per un braccio lo costrinse a rimanere girato faccia al muro.

- Appoggiati alla parete e non muoverti – gli intimò quindi, asciutto, quando Adam ebbe finito di fissarsi i lembi dei calzoni all’altezza delle ginocchia e lui fu sicuro che non avrebbe più tentato di rovinargli i piani. Quando il bambino ebbe obbedito, il frustino parve cominciare a bruciargli tra le mani e Sanders lo impugnò meglio, facendolo scricchiolare. - Quanto durerà dipende da te.

Quella prima volta Adam ricevette quattro frustate impietose sui polpacci, ognuna separata dalla successiva da cinque secondi di attesa che, lo imparò più tardi, erano stati pensati apposta perché arrivasse ad avvertire il culmine del dolore prima di riceverne un’altra. Alla seconda scoppiò a piangere, ma l’intensità dei colpi non diminuì, non finché Sanders non si dichiarò soddisfatto.

- Bene – decretò, tirandosi indietro. - Ora prendi il tuo latte e andiamo in soggiorno, stasera danno un film che ti piacerà.

Solo quando l’uomo lo costrinse a voltarsi di nuovo verso l’interno della cucina Adam ebbe modo di accorgersi che accanto al fornello era appoggiato un bicchiere colmo di latte. Sembrava fumare ancora, ma forse era perché lo stava osservando esterrefatto attraverso occhi velati di lacrime.

Al bambino venne allora in mente la prima sera in quella casa, quando, spaurito, aveva chiesto al nuovo tutore se potesse avere un bicchiere di latte caldo col miele. Da quella volta, Sanders si era premurato di prepararglielo ogni sera prima che venisse l’ora di andare a letto, ma, neanche a dirlo, quel giorno quella visione fece solo rabbrividire Adam, che scosse la testa e, continuando a tirare su col naso, chinò lo sguardo fino a scorgere con sgomento le gocce di sangue che dai polpacci erano scese fino a impregnargli i calzetti. Quella visione lo turbò profondamente: nelle altre famiglie era stato picchiato spesso, da Cooper era successo più spesso di quanto potesse ricordare, ma nessuno lo aveva mai fatto sanguinare in quel modo.

- D-devo toglierlo… – balbettò allora, sconvolto. - Devo togliere il sangue…

Fece per avviarsi verso il salotto, per raggiungere il bagno al piano di sopra, ma senza alcun preavviso Sanders tornò ad afferrarlo per un braccio e lo trascinò invece verso il ripiano, ignorando i suoi lamenti.

- Ho detto, - rimarcò tra i denti, scandendo bene le parole che seguirono, - prendi il tuo latte.

Con mani tremanti, Adam dovette obbedire, perché l’uomo lo teneva col viso a un palmo dal bicchiere, ma ciò non bastò e di nuovo venne scosso senza riguardo. Uno schizzo di latte cadde a terra, macchiando il pavimento.

- È alla temperatura giusta? Allora? – insistette l’uomo.

Sebbene gli venisse da vomitare, il bambino si portò l’orlo del bicchiere alle labbra e assaggiò un sorso infinitesimale di quel latte addolcito al punto giusto, quindi annuì, le lacrime che continuavano a solcargli il visino senza dargli tregua.

- Bene.

Sanders lo trascinò in soggiorno e lo fece sedere accanto a lui sul divano, negandogli il permesso di andare in camera sua finché il bicchiere non fu completamente vuoto. Ci volle quasi un’ora, un’ora passata spalla a spalla con l’uomo che l’aveva appena umiliato, un’ora durante la quale Adam non smise di tremare un solo secondo.

 

Erano passati quasi due anni da quel giorno terribile e settimana dopo settimana, mese dopo mese, i trattamenti a cui Sanders lo sottoponeva si erano moltiplicati in maniera esponenziale. Se per il suo tutore si trattava di interventi educativi, per Adam non erano altro che punizioni feroci che lo lasciavano debilitato per giorni, ma malgrado ciò non era in grado di sottrarvisi: il padre adottivo lo teneva sotto controllo costantemente, aveva annullato ogni suo contatto con gli assistenti sociali e alimentava la voce che il ragazzo non aveva amici perché era un tipo solitario, si era perfino fatto amico i professori della scuola frequentata da Adam perché i suoi crimini godessero di una copertura completa. E dopotutto all’epoca Adam non aveva che tredici anni.

Un giorno di febbraio tornò a casa da scuola in anticipo, a mezzogiorno invece che dopo le cinque del pomeriggio. Si cucinò qualcosa per pranzo, lavò le poche stoviglie usate e rimise tutto a posto con cura maniacale, quindi andò in camera sua e si mise a letto in attesa del peggio. Si appisolò e non si svegliò fino a pomeriggio inoltrato, quando sentì una chiave girare nella serratura della porta d’entrata e la sua spina dorsale venne percorsa da un brivido d’avvertimento che lo mise sull’attenti.

Un paio di minuti appena e Sanders passò sul corridoio, per poi fermarsi davanti alla porta della sua stanza quando notò che non era vuota.

- Sei già qui? – commentò stranito, vedendolo sdraiato sul letto. - Ah, già. Ora hai un paio di giorni di vacanza, giusto?

Adam, che già paventava quello che sarebbe seguito, rispose in un soffio. – Sì.

- Hai ricevuto la pagella?

- È sulla scrivania – rispose il ragazzino con voce piatta, per poi chiudere gli occhi e aspettare il verdetto.

Non credeva affatto di essersela cavata male in quel semestre, ma ormai da tempo sapeva che le sue aspettative non coincidevano affatto con quelle del padre adottivo. Infatti non trascorsero più di dieci secondi prima che il tono piccato dell’uomo gli ferisse le orecchie.

- A malapena la sufficienza in trigonometria e fisica applicata?

Adam riaprì gli occhi, ma li tenne fissi sul soffitto. Non aveva scelto lui di inserire quegli insegnamenti nel suo piano di studi, ma farlo notare a Sanders sarebbe stato solo un modo rapido di darsi fuoco da solo.

- Sono materie difficili – si limitò allora a considerare in un sussurro, e quando uno schianto gli arrivò alle orecchie dovette stringere i denti per non sobbalzare dallo spavento. Sanders aveva mollato una manata implacabile allo stipite della porta.

- Non difficili quanto quello che mi obblighi a fare – dichiarò, la voce che già vibrava dei toni della collera.

Ci fu qualche secondo di silenzio, nient’altro che i suoi passi che si allontanavano per il corridoio, ma Adam non osò sperare in nessun miracolo. Senza dubbio Sanders era solo andato a recuperare ciò che gli sarebbe servito per dare concretezza alle sue sporche idee, e il tredicenne non ebbe neanche il tempo di riflettere su che cosa avrebbe potuto tirare fuori quella volta che quella voce, tanto temuta, tornò ad apostrofarlo duramente dalla soglia della camera.

- Scendi da lì. Ti voglio a terra, in ginocchio, seduto sui talloni. Scendi dal letto!

Adam non oppose resistenza. Da tempo aveva smesso di perdere tempo in quel modo, da quando aveva scoperto che in quel caso ne avrebbe solo ricavato un dolore maggiore e mortificazioni peggiori. Fece come gli era stato detto, senza parlare, morendo dentro senza lasciare che nulla trasparisse all’esterno.

- Via la maglia – comandò Sanders, e anche questa volta il tredicenne non emise un fiato né ebbe bisogno di farselo ripetere. Quando il maglioncino blu e la canottiera che aveva indossato quel giorno a scuola scivolarono a terra, davanti alle sue ginocchia, il suo tutore gli ficcò tra le braccia il guanciale che il ragazzino usava durante la notte. - Mordi il cuscino coi denti. Se sento un singolo suono uscirti di bocca userò la cinghia sottile. E se quelli del piano di sotto mi faranno altre domande strane sai chi sarà a pagarne le conseguenze – aggiunse in ultima battuta, fulminandolo con lo sguardo.

Senza dargli neppure il tempo di annuire, si posizionò dietro di lui e Adam, sentendo distintamente il fruscio di una delle sue cinture da tribunale, si affrettò a mettersi in bocca il cuscino e a conficcarci i denti con forza, aspettando il primo colpo.

A conferma del fatto che Sanders aveva una predilezione per l’educazione scolastica, la punizione fu abbastanza severa da non terminare prima che Adam ebbe contato mentalmente quattordici sferzate, ognuna delle quali gli strappò grida e lacrime che annegò nel guanciale, serrando gli occhi a ogni nuovo colpo che infieriva sulla carne già lacerata.

Più tardi si sarebbe disinfettato da solo, ora che aveva imparato come fare. Più tardi, nel buio della notte, avrebbe pianto liberamente fino a consumarsi l’anima per quel dolore straziante che gli avrebbe arroventato la schiena per giorni.

In quel periodo, come nel giorno in cui aveva ricevuto la prima punizione da Sanders, credeva ancora che la colpa fosse sua. Che fosse lui quello che sbagliava, quello che non faceva abbastanza per cambiare, quello che in qualche modo forse meritava addirittura quei castighi, punizioni che magari non l’avrebbero aiutato direttamente a migliorare, ma che sicuramente, come non faceva che ripetergli il suo tutore, gli sarebbero servite da incentivo per essere più educato, più attento alle regole, più studioso.

Solo qualche mese più tardi, dopo aver pensato all’idea del suicidio con tanta serietà da decidere di comprare quantità industriali di sonniferi, il ragazzo sarebbe arrivato alla conclusione che non era affatto così, che i suoi difetti non erano nemmeno lontanamente paragonabili alla malattia mentale di Sanders, che non aveva fatto nulla per meritare di essere vittima di quegli orrori e che, se voleva sopravvivere, l’unica soluzione rimasta era ribellarsi.

 

Era la fine di novembre e già la prima neve scendeva placida al di là del vetro della finestra sulla quale sempre più spesso Adam lasciava vagare lo sguardo, mentre fingeva di studiare incessantemente affinché Sanders non dubitasse del suo impegno. Adam avrebbe compiuto quattordici anni a gennaio e si sentiva stanchissimo. Avrebbe compiuto quattordici anni a gennaio e la vita che era forzato a condurre gli aveva già risucchiato tutte le energie.

- Adam, sei in camera?

La voce di Sanders lo sorprese alle spalle, ma il ragazzo non si voltò. Contrasse le dita sul bordo del tavolo, invece, arricciando una pagina del libro di storia moderna, e tenne lo sguardo fisso sulla caduta incessante dei fiocchi di neve, immaginando il tutore fermarsi sulla soglia dietro di lui e slacciarsi i polsini della camicia con la solita nonchalance.

- Noi due dobbiamo parlare, Adam.

Il tredicenne ebbe un fremito di rabbia udendo quel ben conosciuto motto. - Che c'è?

- C'è che sono stato a colloquio dai tuoi professori e ho appreso che sei ancora carente nelle materie scientifiche – rispose Sanders, ignorando deliberatamente il disprezzo che era trapelato dalla voce del ragazzo. - Sono deluso, non è un buon segno.

- Oh, certo che no – sibilò Adam, girandosi di scatto verso di lui per mostrargli gli avambracci, ancora striati di rosso dalla punizione di due giorni prima. I suoi occhi erano due carboni ardenti color del ghiaccio. - Per te gli unici segni buoni sono questi.

Questa volta l’uomo non passò sopra al suo tono insolente, ma parve accontentarsi di gettare un’occhiata fredda alla pelle ferita e di osservare la propria immagine riflessa in quelle iridi quasi trasparenti per qualche secondo prima di tornare a dare le spalle alla stanza.

- Vedi di impegnarti di più nello studio.

La paternale era stata pianificata per terminare lì e perché Adam continuasse a rimanere sottomesso a quella tensione costante, nulla di più, ma quel giorno, per la prima volta da quando era stato adottato da un uomo che era arrivato a ingaggiare una prostituta solo perché giocasse il ruolo di sua moglie e convincesse l’assistente sociale ad affidargli un orfano qualsiasi da plasmare, il ragazzo scelse di non chinare il capo.

- E se non volessi farlo? – disse tra i denti, abbastanza forte da fermare il primo passo di Sanders. - Se non avessi più voglia di obbedirti come un cane solo per poi farmi dire che non ho fatto abbastanza e prenderle da te?

L’uomo tornò a folgorarlo con un‘occhiata che prometteva di tutto e le sue parole bruciarono come fuoco sui tagli freschi di Adam. - Trattieni la lingua e torna ai tuoi libri. Non è mia intenzione castigarti oggi, ma se continui così sarò costretto a farlo.

A sentire quelle parole Adam scoppiò in una risata tetra, di genuina disperazione.

- Oh, sarai costretto! Certo, come no – commentò con un sarcasmo che corrose lui per primo. - Come se non sapessi che godi come un maiale ogni volta che prendi in mano quel cazzo di frustino.

Ci fu un lampo negli occhi scuri di Sanders, e uno scatto minimo della testa. Adam, che non aveva mai osato rivolgerglisi in quel modo prima, rimase con muscoli e nervi tesi come le corde vocali di un tenore al momento dell’acuto, ad attendere la tempesta che sapeva di essersi appena tirato addosso.

- L'hai voluto tu, ragazzo – vibrò la voce bassa del padre adottivo.

Scattò verso di lui e in un istante, ancora prima che Adam potesse registrare la sua velocità, gli fu addosso. Il tredicenne cercò di svicolare alla sua presa in ogni modo, per guadagnare la porta, ma Sanders gli circondò il busto con le braccia e lo serrò in una morsa, lottando per tenere fermo il diavolo che il ragazzo aveva in corpo.

- Lasciami andare, pezzo di merda! – gridò Adam, dimenandosi con tutte le energie che aveva, cercando di menare calci ora che le braccia erano bloccate. - Sei solo un maniaco, uno schifoso invasato! Ti fai le seghe dopo avermi picchiato, bastardo figlio di puttana, ti ho sentito! Ti sento da quando avevo undici anni, lurido stronzo!

Per tutta risposta l’uomo rafforzò quella stretta letale.

- Questa volta… non la passi liscia – ansimò, e Adam sentì un braccio lasciarlo andare, sicuro della resistenza dell’altro, per andare a cercare qualcosa nella tasca dei pantaloni di Sanders. - Sta’ fermo, demonio…

Udì un clic deciso. Lo scatto di un coltellino a lama mobile e, solo un istante dopo, le dita di George Sanders gli sollevarono la maglietta, scoprendo la schiena nuda.

- No! Lasciami! No! – urlò a pieni polmoni, facendo di tutto per sottrarsi, ma il braccio del suo tutore era una tenaglia e ben presto il ragazzo sentì il lato tagliente della lama gelida lambirgli la pelle, esattamente a metà strada tra la scapola destra e il fianco.

- É ora che impari un po’ di vera disciplina – sentenziò semplicemente Sanders, la voce e il tocco di uno squilibrato. - E a rivolgerti a chi ti dà da mangiare con il rispetto che gli devi.

Adam sarebbe svenuto pochi secondi dopo l’attimo in cui il coltello gli squarciò la pelle, sopraffatto dal dolore straziante, per poi riprendere coscienza solo per brevi momenti durante la corsa in auto verso l’ospedale, dove Sanders aveva deciso di portarlo dopo essersi reso conto che forse aveva esagerato, visto che la ferita del tredicenne non voleva smettere di sanguinare. Poi c’erano stati i tocchi rapidi delle infermiere, le voci concitate di un paio di medici, il ricovero, le intimidazioni di Sanders in ogni secondo di veglia. Dolore, dolore, solo dolore.

Un chiodo sporgente in bagno, a un metro da terra? Dice sul serio? Ovvio, bastano due gocce d’acqua per terra e ci si finisce addosso! Povero ragazzo! Questi appartamenti in affitto!

Adam doveva rimanere zitto quando Sanders parlava con le infermiere e i degenti curiosi, prodigandosi in lacrime agli occhi.

Quando il medico firmò il permesso che avrebbe consentito il suo ritorno a casa, Adam avrebbe voluto urlare. Ma non poteva, il maniaco lo avrebbe ucciso. Così annuì in silenzio, ringraziò con un filo di voce, prese la sua borsa e camminò con Sanders fino alla macchina, i punti della cicatrice che a ogni passo tiravano fino a persuaderlo che prima di due giorni avrebbero ceduto.

Così tornarono a casa, in St. Patrick Road. Adam attese il giorno successivo con addosso la fame irrequieta del lupo.

E al mattino, finalmente, mentre il maniaco era al lavoro, scassinò la porta e corse, corse senza badare ai punti che tiravano, corse senza fermarsi finché non raggiunse il portone della casa-famiglia che aveva lasciato quasi tre anni prima.

 

Quando Adam tacque, i suoi singhiozzi, se possibile, s’accentuarono ancor di più. Aveva cominciato a lasciarsi andare, a piangere, nel momento in cui si era presentato il bisogno di raccontare della prima sevizia subita per mano di George Sanders e da quel momento non aveva più smesso di passarsi le mani sugli occhi, di asciugarsi le guance arrossate con i palmi delle mani, di tirare su col naso, ma una volta che la storia fu conclusa quel pianto, fino a quel momento abbastanza dignitoso, sfociò in quello di un bambino, con rantoli e versi su cui scoprì di non avere nessun controllo.

Solo con una persona si era mai aperto fino a quel punto, e a quel tempo Kevin aveva passato notti intere a cullarlo e a ripetergli che non era colpa sua, che era una persona meravigliosa, che sarebbe riuscito a rifarsi di tutto. E ora stava tremando come un cucciolo fradicio sotto la pioggia di fronte agli occhi turbati di Tommy, che non l’aveva mai interrotto.

Adam non sapeva cosa fare. Sapeva di apparire uno schifo in quel momento, un rifiuto umano, nient’altro che orrore e autocommiserazione, nell’angoscia del momento credette che quella visione avrebbe finito per allontanare per sempre Tommy. Che cosa gli stava offrendo in quel momento, tutto sommato? Per quale motivo il più piccolo avrebbe dovuto desiderare di restare accanto a un ragazzino tremolante?

Per questo quando sentì il diciassettenne tirarlo con decisione per un braccio e non arrendersi finché lui non si decise a sprofondare nel suo abbraccio, ad accostare il viso al suo petto e a esaurire lì tutte le lacrime che gli restavano da versare, quasi non ci credette. Si morse le labbra e si sentì colmare di gratitudine quando una mano di Tommy si perse fra i suoi capelli scuri mentre l’altra gli accarezzava dolcemente la schiena.

- Ad, sei… - mormorò il più giovane, per poi ammutolire e scuotere la testa, come se stesse cercando parole più adatte per esprimersi. - Sei così forte. So che è passato molto tempo e che ora non importa più, ma… sono così fiero di te per esserti ribellato e aver avuto il coraggio di scappare. E devi esserlo anche tu, mi hai capito? È questo ciò che devi portare via da questa storia – Gli fece alzare il viso, lo guardò negli occhi. Erano rossi di pianto, distrutti, ma Tommy vi oppose la fiducia del suo sorriso più leale, quella che gli aveva insegnato il più grande. - L’orgoglio di aver preso in mano la tua vita ed esserti messo in salvo da solo. L’orgoglio di essere sopravvissuto a quell’inferno e di essere ancora qui a raccontarlo.

Basito, Adam dischiuse le labbra e contemplò a lungo la sua sicurezza con gli occhi che brillavano, poi, vedendo che Tommy aspettava una risposta, annuì con riconoscenza, facendo allargare il sorriso sul volto del più giovane.

- Ci sdraiamo un po’ qui? – propose allora Tommy, e l’altro si umettò le labbra prima di fare cenno di sì come un bambino impacciato.

Quindi rimasero lì, sotto il sole, per minuti, o forse ore. Il tempo sufficiente perché il respiro di Adam si calmasse, ritrovando un po’ di serenità nel ritmo delle onde.

 











CIAO, ZAMPETTE DI LUNA (?)

Sbuco qui per scusarmi di tutta questa sofferenza… ho una mente malata, lo so T_T

E dato che sono anche pedante vi ricordo che se volete fare un saltino in questa pagina facebook siete le benvenute. È la pagina autrice dove posto tutto quello che riguarda le storie: aggiornamenti, anticipazioni di immagini, canzoni e piccole parti dei capitoli.

Spero che questo vi sia piaciuto e di poter leggere la vostra opinione *please, come on… ho una torta da dividere u_u*

Un abbraccio e a presto ^-^

 

a.




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Capitolo 11
*** Voglio che tu stia bene ***





Grazie a Eclipse of Flame e a and soon the darkness_ per le recensioni lasciate allo scorso capitolo, siete state gentilissime :)

La canzone di questo è Not While I’m Around (versione Glee)

Enjoy ^-^

 





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Implicitamente, senza bisogno di concordare il tutto a parole, Tommy e Adam decisero di godersi il resto di quella giornata di confessioni senza imporsi limiti né tabelle di marcia, cosicché finirono per trascorrerla quasi interamente sullo stesso magnifico tratto di spiaggia. Quando fu ora di pranzo fecero un salto in paese per procurarsi qualche panino imbottito e salutare Terrie al pub, ma poi tornarono senza esitazioni a crogiolarsi sulla sabbia, decisi a evitare qualsiasi altro contatto umano per almeno ventiquattr’ore.

Dato che, malgrado l’esperienza, ciò di cui si era liberato Adam si era rivelato duro da digerire per entrambi, non parlarono né risero molto, ma in cambio non mancarono i sorrisi, le carezze, la dolcezza degli abbracci in quel silenzio delicato che donarono l’uno all’altro in segno di rispetto e comprensione. Tutti e due, d’altronde, avrebbero ricordato quella giornata in riva all’oceano come una delle più romantiche passate assieme.

Il fantasma di ciò contro cui avevano combattuto quella mattina sembrava essere ormai scomparso quando, a buio calato, entrambi si ritrovarono avvolti dall’atmosfera di vellutata serenità della sera, quando la stanchezza comincia a farsi sentire abbastanza da far pesare le palpebre. Erano tornati a casa solo da poche ore, per l’esattezza quando gli stomaci avevano cominciato a brontolare, e insieme avevano cucinato qualcosa di semplice e veloce e svuotato una vaschetta di gelato alla menta e cioccolato prima che Tommy si separasse dal più grande per andare a farsi una doccia.

Quando infine il ragazzo uscì dal bagno, ad onore di Terrie bisogna dire avvolto nell’accappatoio più soffice che la sua pelle avesse mai toccato, vide che in cucina le luci erano spente e si diresse quindi in camera da letto, sulla soglia della quale si fermò ad ammirare la semplicità della scena che gli si parò davanti.

Adam se ne stava sdraiato sul proprio lato del letto a pancia in giù, ancora completamente vestito, i piedi nudi abbandonati oltre il materasso, e si sorreggeva con i gomiti per poter tenere il busto rialzato e sfogliare la rivista di cui stava leggendo solo poche righe per pagina, probabilmente alla ricerca delle ricette. Le ricette lo appassionavano, anche se poi si decideva a provare solo quelle che richiedevano gli ingredienti più basilari.

Tommy chinò il capo di lato e sentì le labbra piegarglisi in una smorfia di tenerezza mentre osservava il suo ragazzo senza che lui lo sapesse. Appariva tranquillo, la crisi di pianto e d’insicurezza sorta assieme ai ricordi era stata vinta ore prima e ora il ventiduenne era tornato l’Adam di sempre, il ragazzo fiducioso, trasparente, forte, pronto a sorridere, ma allo stesso tempo, guardandolo, Tommy non poté ignorare quel senso d’inadeguatezza datogli dall’incertezza che aveva visto rinascere nel più grande solo poche ore addietro.

Adam non si era mai mostrato così fragile prima d’allora, non ai suoi occhi. Non solo non gli aveva mai confessato quali e quante torture aveva subito dal suo quarto padre adottivo, ma non aveva mai nemmeno pianto in sua presenza.

Tommy si morse il labbro inferiore, cercando di trovare una risposta all’interrogativo che lo rodeva da quando aveva lasciato Adam solo in cucina e si era infilato con gratitudine sotto il getto d’acqua calda della doccia. Quel cambio di atteggiamento da parte del maggiore, quella svolta fondamentale che era stata anche un’inestimabile prova di fiducia nei suoi confronti avrebbe cambiato il loro rapporto? Toccava a lui, a Tommy, fare la prossima mossa, dimostrare che aveva compreso tutte le implicazioni di quel cambio di rotta ed era pronto a fare altrettanto? Ma soprattutto, quell’avvenimento andava oltre il confessare all’altro i propri segreti più reconditi o era solo la sua immaginazione a farglielo pensare?

Forzatosi ad abbandonare quello stato di contemplazione, Tommy mosse qualche passo nella stanza fino ad arrivare alla sinistra di Adam, fermo di fronte all’altro lato del letto, e sospirò a fondo per essere certo che l’altro lo notasse.

- Ad? – chiamò quindi, eccezionalmente nervoso ora che aveva spezzato la pace per riportare a galla il dovere.

Il ventiduenne girò la trentesima pagina senza staccare gli occhi dalle foto dei modelli D&G, ma accennò un sorriso per rassicurarlo sul fatto che gli stesse prestando ascolto. - Dimmi.

Non sapendo se considerare il fatto che gli occhi del ragazzo fossero rivolti altrove mentre parlava un vantaggio o meno in quella situazione, Tommy si torse dolorosamente le mani prima di portare a termine quella che si rivelò una delle frasi più faticose delle ultime settimane a cui dare voce.

- Per te sarebbe un problema… sarebbe un problema se aspettassi domani per dirti… per dirti quella cosa?

Solo allora Adam si voltò verso di lui per guardarlo negli occhi, sul viso un’espressione indecifrabile, e parlò con una minima inflessione severa nella voce.

- No, se quella che mi stai facendo è una promessa.

Tommy si umettò le labbra, scoprendosi agitato come durante un’interrogazione, ma riuscì ad annuire con tutta la decisione che sentiva. - È una promessa. Domani.

Quella manciata di parole fu sufficiente a che Adam gli sorridesse in un modo che riuscì ad annientare ogni sua paura e al tempo stesso a farlo sciogliere, prima di tornare a occuparsi della sua rivista senza indagare oltre, tranquillo riguardo alla sincerità del diciassettenne.

- Allora non c’è nessun problema, gioia.

Nel silenzio che seguì, una calma che Adam percepì come assolutamente naturale, Tommy si sentì scomodo come mai prima. Camminò per la stanza con indolenza, per poi ritrovarsi nel punto da cui era partito, senza essere sicuro di come porre a rimedio a quel senso di manchevolezza che lo aveva sorpreso sotto la doccia, mischiato ai pensieri più vari, e che si era insinuato in lui fino a fargli credere che dopo quello che era successo, dopo quello che Adam gli aveva rivelato, confidarsi con lui non sarebbe stato sufficiente a riappianare la situazione.

Qualcosa era cambiato. Adam era cambiato, ai suoi occhi, e ciò aveva fatto riemergere in Tommy dubbi e desideri dei quali avevano sempre parlato troppo poco in qualità di coppia.

Sentiva di dover fare qualcosa, di dover essere il primo a muoversi, ma non era più sicuro di niente, né di come avrebbe reagito Adam, né di come avrebbe reagito lui, anche se il cuore, che gli stava battendo forte in petto, mandava segnali difficili da equivocare. Alla fine smise di farsi domande solo quando si arrese a seguire l’istinto e senza pensarci troppo tornò a rivolgersi alla figura distesa e ignara di Adam.

- Non torni sul divano stanotte, vero?

Da dove diavolo gli era uscita una voce così supplicante? Avrebbe voluto esordire con qualcosa di simile alla noncuranza, invece gli era uscita la vocina di un ragazzino disperato, anche se il moro non sembrò farci caso, preso com’era da un oroscopo di almeno due mesi prima.

- Se posso, no – rispose Adam, finendo di leggere l’influsso astrale di febbraio sulla sfera lavorativa di ogni acquario con ascendente ariete prima di lanciare a Tommy uno sguardo di scherno. - Dormo con te, ma ovviamente solo con il tuo permesso.

Tommy sorrise senza veli e attese che gli occhi dell’altro tornassero per l’ennesima volta alle pagine lucide della rivista prima di mettersi a quattro zampe sul materasso e avanzare fino a lui, per chinarsi sulla sua testa e sussurrargli all’orecchio: - Veramente stavo pensando che potremmo tenerci la dormita come piano di riserva.

Da quella posizione poté scorgere gli zigomi di Adam tirarsi in un sorriso che il più grande non riuscì a trattenere, ma stranamente non lo sentì ribattere con una delle sue battute sagaci, anzi, il ventiduenne si limitò a raggiungere pagina quarantadue, dove si discuteva di barboncini e moda canina.

- Che cos’hai in mente? – chiese, soltanto una nota di curiosità e divertimento nella voce, cosicché Tommy fece del suo meglio per riscaldare un po’ la situazione, piegandosi a baciarlo sulla nuca, appena sotto l’attaccatura dei capelli, per poi passare a un lato del collo, appena sotto la mandibola.

- Solo un po’ di sano svago – mugolò, stucchevolmente lamentoso, facendosi largo verso la sua bocca, al che Adam reclinò un poco il capo nella sua direzione e chiudendo gli occhi schiuse le labbra per accogliere quelle del più piccolo.

- Sono stanco – mormorò però un attimo dopo, non appena l’insistenza della lingua di Tommy gli ebbe fatto capire dove il più giovane volesse andare a parare, e quando con tempestività disarmante la mano destra del diciassettenne gli superò il fianco per insinuarsi fra il suo corpo e il materasso e raggiungere l’inguine, gliela afferrò con decisione per bloccarlo prima di guardarlo con occhi sgranati, per quanto brillanti di ammirazione. - E tu sei un piccolo depravato!

Ma Tommy non si lasciò scoraggiare da quell’accenno di rimprovero e, lasciando il polso inerte nella stretta decisa di Adam, tornò a concentrarsi sul lavoro di labbra, questa volta scegliendo come vittima di lingua e denti l’orecchio più vicino alla sua faccia, incoraggiato dal mancato scostarsi del ventiduenne.

- Sono un depravato se ho voglia di passare un po’ di tempo con il mio ragazzo? Per una volta che abbiamo giorni interi a disposizione… per non parlare di questo letto – cercò di invogliarlo, abbassando la voce con fare intrigante e mordendogli il lobo con studiata indolenza, mentre il suo respiro caldo stuzzicava le terminazioni nervose interne all’orecchio di Adam. - Non sappiamo neanche quanta gente ci abbia fatto sesso.

A quel punto Adam si lasciò andare a una risatina sincera che fece sorridere Tommy direttamente sulla sua pelle.

- Confermo quello che ho detto prima – intervenne però, alzando il braccio sinistro per prendergli il viso tra le dita, dargli un rapido bacio sulla bocca e allontanarlo dalla zona erogena dell’orecchio spingendolo indietro sul materasso inaspettatamente, l’accappatoio appena scostato dal petto. - Sei un pervertito.

Il groppo in gola che Tommy sentì in quel momento gli fece capire che il comportamento dell’altro lo aveva offeso, ma si riprese subito, troppo voglioso di procedere lungo quella via che non sapeva neanche perché aveva imboccato. C’era desiderio nel suo corpo come ce n’era nell’aria che lo circondava, quella sera, ma non si esauriva tutto lì. A muoverlo, a farlo insistere era anche la consapevolezza che non sarebbe riuscito a riposare quella notte se prima non avesse fatto del suo meglio per coinvolgere di nuovo Adam in quella parte della loro relazione che significava essere amanti – una parte della loro vita che da troppi giorni avevano dimenticato di considerare, presi com’erano da tutt’altre faccende.

Solo, non capiva perché il maggiore fosse così recalcitrante, dato che non gli aveva ancora palesato i particolari di ciò che aveva in mente di fare quella notte. Quelli sì che avrebbero potuto sconvolgerlo, ma Tommy intendeva precedere con ordine e con la giusta lentezza e fu nel tentativo di prestare fede a quella direttiva che provò con un altro tipo di approccio, cominciando a massaggiare con il palmo della mano destra la schiena del ventiduenne.

- Dai, Ad, perché non vuoi rilassarti? – lo incitò sottovoce. - Ne hai tutti i diritti, dopo oggi.

Lentamente, sollecitato dal mugolio con cui il maggiore reagì al suo tocco, mentre i suoi occhi rimanevano fissi sugli articoli e le immagini del giornaletto, Tommy fece scendere lentamente la mano lungo la sua colonna vertebrale, stando bene attento a non dedicare al punto in cui sapeva esserci la cicatrice un’attenzione particolare, ma arrivando senza intoppi alla zona lombare. Da lì, seguendo il vortice dei suoi pensieri veloci, le sue dita scostarono la stoffa della maglietta blu del maggiore e s’incastrarono sotto il bordo dei suoi jeans, carezzando la linea di pelle esposta di Adam con calma prima di cominciare a tirare i pantaloni verso il basso.

Lo fece senza preavviso, è vero, ma essenzialmente convinto che ormai anche l’altro avesse capito dove volesse arrivare e lo avesse accettato. Ma evidentemente Adam non era dello stesso parere, perché non appena sentì la pelle venire scoperta in fretta torse un braccio per ghermire il polso del più piccolo con molta più forza di poco prima, strappandogli addirittura un debole gemito a cui non diede peso, impegnato com’era a mettersi su un fianco per allontanarsi e a fulminare Tommy con un’occhiata che lo fece sentire minuscolo, mentre i pantaloni di Adam tornavano al loro posto.

- Che stai facendo? – lo interrogò, la voce dura quanto lo sguardo, e Tommy pregò che non fosse in grado di avvertire il sussultare che lo scuoteva da dentro, quella vibrazione che palesava la paura di averlo deluso, ferito, costretto a mostrarsi in tutta la sua debolezza quando era ben lungi dall’essere pronto.

La voce, a quel punto, gli uscì simile a un soffio intriso di quel timore che, ne era certo, trovava una corrispondenza pressoché perfetta nei suoi occhi, trafitti da quelli di ghiaccio di Adam.

- Pensavo solo che…

- Pensavi male – lo interruppe subito il maggiore, acido, allontanando il suo braccio con uno scatto e trascinandosi in fretta fino all’orlo del letto, come un animale braccato, per poi portarsi una mano alla fronte e respirare a fondo, a occhi chiusi, come nel tentativo di calmarsi.

Tommy non avrebbe saputo spiegare il perché, ma quel suo modo di allontanarsi, o forse il fare dominante con cui il maggiore lo aveva appena trattato gli fece nascere in petto uno sprazzo di rabbia che non fu in grado di tenere a bada prima di riversare tutto su Adam, senza riflettere. D’altronde, avrebbe pensato più tardi, quella questione sarebbe rispuntata in una delle loro discussioni, prima o poi.

- Sei davvero convinto che potremo andare avanti all’infinito con te sempre sopra e io sempre sotto? Ci sono volte in cui magari non mi va di prenderlo, sai – esclamò, saltando a sedere, tutto un nervo, rendendosi conto di quello che aveva appena detto solo quando fu troppo tardi, quando mordersi le labbra a sangue fu totalmente inutile.

Adam si voltò verso di lui per lanciargli un’occhiata sbigottita e Tommy pensò che avesse assolutamente ragione, non era quello il modo né il momento di tirare in ballo un aspetto così delicato del loro rapporto. Non con quelle parole, non con quell’atteggiamento, non con così poco rispetto per la situazione di merda in cui il maggiore si trovava. Il senso di colpa che lo investì assieme allo sguardo incredulo di Adam fu sufficiente a farlo arrossire fino alla punta dei capelli e desiderare che qualcuno mettesse fine al disagio di quel momento tirandogli una sberla.

- Scusa – farfugliò un attimo dopo, lo sguardo pesantemente relegato a terra. – Non era quello che volevo dire, io… è stato inappropriato, non avrei dovuto… non volevo dire che…

- No, scusami tu – lo bloccò però Adam, traendolo in salvo con quel sospiro. - Suppongo… suppongo tu abbia ragione, dopotutto.

Quel breve discorso di ammissione diede a Tommy il coraggio di tornare a guardarlo con stupore, ma a quel punto erano stati gli occhi di Adam a fuggire dall’altra parte della stanza, così il diciassettenne sospirò e si prese qualche secondo per calmare le acque che gli si agitavano dentro.

Come aveva potuto essere così scorretto? Dopo quello che Adam aveva affrontato, si sarebbe meritato almeno un po’ di delicatezza e cercare di rimediare alla sua tristezza imponendogli di abbandonarsi a lui in quel luogo e in quel momento - per quella che poi, con tutte le probabilità, si sarebbe rivelata una pessima prima performance da attivo per Tommy – era stata un’idea da demente. No, peggio, avrebbero dovuto rinchiuderlo. Si era lasciato trasportare dal desiderio di fare sesso unito alla voglia d’imporsi su una persona che in quel frangente non avrebbe potuto dimostrarsi più fragile emotivamente, la persona più importante della sua vita. Almeno aveva avuto la prontezza di riflessi sufficiente a scusarsi subito.

Ma anche Adam si era scusato. Doveva forse considerarla un’apertura al discorso?

Senza esitare oltre, Tommy mise da parte ogni dilemma e piano, trattenendo l’impazienza, raggiunse il ventiduenne per poterglisi sedere accanto. Mentre si appoggiava le nocche delle mani chiuse a pugno sulle ginocchia, si lasciò consolare un poco dal fatto che Adam non si fosse scostato quando la gamba di Tommy aveva sfiorato la sua, appoggiandocisi con naturalezza.

Teneva lo sguardo basso, era vero, ma non sembrava arrabbiato né intento a elaborare qualche frase astiosa, a conferma delle sue parole di poco prima. Solo imbarazzato. Tremendamente e stranamente imbarazzato.

- Senti, dimmi la verità, okay? – esordì Tommy dopo qualche secondo, la voce tornata nei limiti della normalità. - È a causa di Kevin? È perché l’ultimo che hai… accettato è stato Kevin e non te la senti di farlo con un altro? Con me?

Una tale insinuazione bastò perché Adam alzasse la testa di scatto e cercasse i suoi occhi.

- No! – protestò, per poi stringere i denti e le mani a pugno, come se parlare in quel momento gli costasse una fatica immensa. - Voglio dire, sì, lui è stato il primo e l’ultimo che ho lasciato essere attivo durante i nostri rapporti, ma non è per una sorta di attaccamento a lui che non voglio te. Io adesso non voglio altri che te, TJ.

Il diciassettenne scosse la testa, non riuscendo suo malgrado a capire pienamente cosa l’altro stesse provando a comunicargli.

- E allora…

- Il fatto è che oggi non è la giornata giusta, dolcezza – lo fermò ancora una volta Adam, questa volta rivolgendogli un sorriso forzato che non avrebbe rassicurato nemmeno un bambino. - Attivo o passivo non c’entrano in questo momento, d’accordo? Il centro della questione, TJ, è oggi. Tutto quello che ho ricordato oggi, quello che ti ho raccontato nei dettagli, dettagli che mi fanno ancora male a ripensarci, l’ha resa una giornata pesante. Sbagliata per fare l’amore.

Tommy sentì un vuoto all’altezza della cassa toracica rendendosi conto che era tutto vero: Adam si stava davvero lasciando prendere così tanto dal suo passato da non riuscire a reagire. Non avevano importanza i sorrisi, le rassicurazioni di Tommy, le sue attenzioni, la premura, l’intera giornata spesa assieme, giunta la sera lui non era ancora riuscito a distogliere la mente da quel maniaco di Sanders e da tutto quello che gli aveva fatto patire.

Tommy faticava a crederci, perché aveva una fiducia estrema nella forza di Adam, e quello scetticismo dovette riflettersi nei suoi occhi, perché il maggiore si sentì in bisogno di tornare a chiedere scusa.

- Perdonami, ma non ci riesco – sbuffò, scuotendo la testa amareggiato. - Ti prego di capirmi. Non posso farci niente, non è colpa mia.

Quelle ultime parole di resa, unite a una consapevolezza che negli ultimi secondi era cresciuta e si era fatta robusta in Tommy, diedero al minore il coraggio necessario a reagire, per una volta lasciando perdere il fatto che Adam avrebbe potuto non essere d’accordo con lui. Perché non lo stava facendo per ferirlo, ma per il suo bene. Perché questa volta era sicuro di essere lui quello dalla parte della ragione e il più grande quello dalla parte del torto, anche se non voleva ammetterlo.

- Esatto, non lo è – ribadì, serio, guadagnandosi un’occhiata interrogativa da parte di Adam.

Ma il giovane non gli diede il tempo di fare domande, questa volta. Senza aggiungere altro, si limitò a inginocchiarsi sul pavimento e a muoversi di conseguenza. Se in un primo momento Adam si chiese che cosa diavolo gli fosse saltato in mente, un attimo dopo, quando il volto di Tommy gli si parò davanti e le sue mani gli si appoggiarono sulle ginocchia nel tentativo di allargarle di più, tutto divenne cristallino e Adam impallidì.

Non gli aveva mai chiesto di fare una cosa del genere. Era un suo problema e di nessun’altro, ma questo non toglieva che non glielo avrebbe mai fatto fare. Gli sarebbe sembrato di trattarlo come una puttana, come lo aveva sempre trattato Gabriel Woodstone in cambio di qualche superalcolico, soldi e vestiti di marca.

- Tommy – lo avvertì, ma il ragazzo non fece caso a lui. Le sue mani pallide, con quelle dita da musicista, si fecero strada fino alla patta dei jeans del più grande, al che ad Adam non restò che agguantargli con forza i polsi per sbarrargli la strada. Quando Tommy incontrò i suoi occhi e lo fulminò per quel gesto che ancora una volta sottolineava la supremazia del maggiore, Adam non ebbe problemi a gelarlo con un’occhiata che non ammetteva repliche. - No, Tommy.

Ma Tommy lottò e riuscì a liberarsi. La presa di Adam non era poi così potente, così decisa come gli era sembrata all’inizio. A quanto pareva il maggiore era ancora abbastanza sicuro di riuscire a fermarlo senza dover necessariamente mettere in campo tutte le proprie energie.

I polsi di Tommy sgusciarono via dalla sua presa e in un attimo le sue mani raggiunsero la cerniera dei pantaloni, pollice e indice s’impadronirono della lampo e l’aprirono in mezzo secondo. Quel breve suono bastò affinché Adam si sentisse abbastanza in pericolo da convincersi a tornare alla carica, a riappropriarsi dei polsi del più piccolo con rinnovato vigore, tanto da tirarsi addosso un’occhiataccia cocciuta e offesa.

Ormai la battaglia veniva alimentata da fuoco e fiamme da parte di tutti e due.

- Voglio che tu stia bene – ringhiò il più piccolo.

- Ho detto di no – s’intestardì Adam, rafforzando la presa fino a fargli male. In quel momento non importava, era guerra aperta senza esclusione di colpi. - Non stasera.

- E io ho detto che voglio. Farti. Stare. Bene – scandì Tommy, svincolandosi con uno strappo violento delle braccia che lo lasciò ansimante per lo sforzo e meravigliò Adam al punto che il ventiduenne perse di vista ogni pensiero riguardante il bloccare il più giovane.

Solo pochi secondi dopo lo lasciò posare le mani sulle sue cosce e stringerle energicamente a mo’ di avvertimento. Quella morsa rigorosa, unita agli occhi fiammeggianti che Tommy teneva fissi sui suoi, lo stupì ancora e gli impedì di opporre ulteriore resistenza o impedirsi di ascoltarlo, cosicché il diciassettenne smise di trattenersi per paura di ferirlo ancora.

- Se c’è qualcosa che quella vita di merda mi ha insegnato è di non permettere a niente e a nessuno di manipolarmi, e lo stesso deve valere per te – gli disse con un tono inflessibile che il maggiore non aveva mai sentito provenire dalle sue labbra. - Non lasciare che ti manovrino. Non lasciare che ti blocchino dal vivere fino in fondo ogni cosa bella che la tua vita può darti, ora che sei libero – Tacque, concesse ad Adam il tempo di assimilare ciò che aveva detto, poi lasciò andare quell’espressione intransigente che non riusciva più a reggere e si concesse un sospiro prima di tornare agli occhi di Adam con una scintilla di supplica che non avrebbe mai ammesso di avere appiccicata addosso come un marchio. - Me lo dici sempre quando sono in crisi.

Adam deglutì e perse un turno nel ciclo di respirazione, improvvisamente travolto da tutto ciò che aveva spinto Tommy a quell’approccio imprevisto, un approccio che all’inizio gli era apparso spiacevole, poi antipatico, poi inadeguato, ma che ora si stava dimostrando l’emblema di un dono che il più piccolo disperava di fargli. Non desiderava altro che farlo stare bene, farlo sentire al sicuro, metterlo a proprio agio nonostante sapesse che l’eco delle memorie gli stava ancora rimbombando in testa e nel sangue, farlo sentire di nuovo simile al se stesso che aveva fatto fatica a costruire, a qualsiasi costo, ma con lui. Con lui, con la persona che – non doveva dimenticarlo mai - amava.

Era vero, pensò Adam. Era vero che quando Tommy affrontava un periodo o anche solo un momento di crisi, le prime parole che gli rivolgeva dopo aver capito il motivo di tutto ciò erano “Coraggio, ce la farai. Ce l’hai già fatta, hai iniziato a vivere. Sei libero, quindi vivi ogni minima gioia come se dovesse essere la leva creata per risollevare il tuo mondo”.

Tommy si fermò lì con le parole, ma bastarono i suoi occhi a completare il discorso, a dire ad Adam anche ciò che lui non aveva più la forza di comunicargli.

Ora tocca a te crederci veramente.

Adam aveva capito tutto. Non si trattava del sesso, di attivo o passivo, non si trattava del desiderio di Tommy di sottometterlo. Dio, no. Si trattava solo d’amore. L’amore incommensurabile che Tommy provava nei suoi confronti e che lo spingeva a essere così imprevedibile e generoso nei suoi confronti.

Adam si umettò le labbra, le strinse tra loro, un pizzico d’indecisione che ancora gli impregnava la voce, mentre tornava a concentrarsi sugli occhi nocciola del suo ragazzo, fermi poco sopra le sue ginocchia. Le sue dita gli sfiorarono il volto pallido in una carezza leggera alla quale accompagnò un sorriso incerto.

- Vuoi farmi stare bene? È questo che vuoi? – domandò in un bisbiglio, sfiorandogli le labbra appena schiuse con il pollice e annegando in tutto l’amore che vide in quegli occhi. - Sei davvero così meraviglioso, hm?

- Non voglio altro – soffiò Tommy di rimando, prendendogli la mano per portarsela alle labbra e baciarla con una devozione quasi malsana, a occhi chiusi. – Credi di poter sopportare che sia io a prendermi cura di te, per una volta? – Non sentendo alcuna risposta, alzò di nuovo il viso verso il suo e increspò appena le sopracciglia in un’espressione interrogativa che Adam trovò semplicemente irresistibile. – Ad?

La salivazione azzerata, la bocca asciutta come un banco di sabbia, il moro annuì meccanicamente, rendendosi conto solo in quell’istante di quanto l’atteggiamento di Tommy e le poche parole che si erano scambiati a mezza voce negli ultimi minuti avessero contribuito a risvegliare la sua eccitazione.

Solo allora, lentamente, Tommy si arrischiò ad appoggiare le mani sull’interno delle sue ginocchia e ad allargarle leggermente, scivolando con le dita verso il suo interno coscia finché il maggiore non si ritrovò con le gambe divaricate. Adam trattenne il fiato quando, dopo aver incastrato le spalle fra le sue ginocchia, il diciassettenne riportò le dita sulla cerniera dei suoi jeans e in un attimo li slacciò del tutto, liberandolo anche dalla costrizione del bottone.

Tommy lo guardò un’ultima volta negli occhi prima di insinuare le dita oltre l’elastico dei suoi boxer, come a chiedergli ancora una volta il permesso di andare oltre, e Adam rispose con un lamento e reclinando la testa all’indietro, la bocca socchiusa in un muto gemito di piacere a quel contatto.

Sentì le mani tiepide di Tommy armeggiare ancora con i suoi jeans, con la sua biancheria, e la sua eccitazione aumentare con impietose ondate di sangue rovente che gli fecero stringere denti e palpebre quando infine venne liberato da ogni costrizione e sentì quelle dita toccarlo nelle sue parti più sensibili. Poi il respiro che fuoriusciva dalla bocca del ragazzo cominciò a farsi più vicino. Questa volta trattenne il fiato così rumorosamente da vergognarsene.

- Tommy Joe…

- Sssh. Puoi aggrapparti ai miei capelli, se vuoi – lo zittì però il più giovane, sorridendogli con quella sua irresistibile malizia. - Ma guai a te se vieni troppo presto.

Adam fece per replicare, ma un attimo dopo entrambe le mani di Tommy si spostarono alla base del suo membro, tagliandogli la voce.

E quando la bocca del ragazzo avvolse in pieno la sua eccitazione, finalmente Adam si lasciò alle spalle tutto lo stress e la tensione della giornata appena trascorsa e si lasciò invadere da quell’insopportabile, magnifico, straziante calore.



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Capitolo 12
*** Il buon orgoglio ***


 

 

 

Grazie infinite a Sunset_Lily, and soon the darkness_, kissky, Eclipse of Flame e pansy_laugh per aver recensito lo scorso capitolo :*

Eeee, last but not least, a chiunque segua questa mia silly little story

La canzone di questo capitolo è Strong (One Direction) *incolpate o date il merito alla mia amica, che mi ha trascinato al loro concerto… e così facendo mi ha fatta divertire un mondo! A morte i pregiudizi*

Avvisi finiti, buona lettura ^-^

 

 

 

 


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Il giorno dopo, quando si svegliò, Adam evitò di aprire subito gli occhi. Rimase invece a bearsi nelle sensazioni che lo pervasero lievi come nebbia mentre riprendeva coscienza di se stesso e del mondo attorno a lui, lente ma inarrestabili, sempre più concrete man mano che il suo respiro abbandonava il ritmo attenuato del sonno.

Al tatto sentiva il materasso sotto di sé, le lenzuola morbide che invece gli coprivano fino all’ombelico il corpo altrimenti nudo. Era sdraiato su un fianco, la posizione anelante a quella di un feto e addosso a sé, contro il torace e parte delle gambe, sentiva il calore inconfondibile di un altro corpo, la schiena di Tommy, che gli si era raggomitolato contro durante il sonno o forse ancora prima di addormentarsi. Lo sentiva vicino anche perché il ripetersi leggero del suo respiro lo stava cullando in quella dimensione indefinita fra sonno e veglia e perché il suo odore familiare gli riempiva le narici ogni volta che inspirava. Quando infine socchiuse le palpebre, trovò conferma alle proprie deduzioni: la stanza era semibuia a causa delle tende tirate lungo la porta-finestra, ma la figura di Tommy rannicchiata addosso a lui era chiara, colpita dai pochi raggi di sole che riuscivano a scampare al velo di protezione, e i capelli che si arrampicavano sul cuscino e solleticavano il naso di Adam apparivano più biondi che mai con quella strana luce.

Adam sorrise intenerito a quella vista e al ricordo di ciò che era successo la notte precedente e che alla fine li aveva stancati così tanto da farli addormentare prima di poter dire qualsiasi cosa, l’uno nelle braccia dell’altro. Dopo tanto tempo che non stavano assieme in modo talmente intenso da abbandonarsi completamente l’uno all’altro, Adam era contento che quella notte avessero ritrovato l’essenza della propria intimità, ma soprattutto che a dare il via a quel connubio di emozioni – che lo aveva trascinato con sé al punto di permettergli di mettere da parte il fantasma ridestato di Sanders – fosse stato Tommy.

Tommy che lo aveva ascoltato, consolato, scosso da una delle trance più dolorose a cui si fosse lasciato andare negli ultimi tempi, amato fino a non poterne più nonostante l’iniziale resistenza del più grande. Tommy che era cresciuto e maturato così tanto e gliene aveva dato prova.

Mentre lasciava che il ricordo di ciò che avevano avuto solo poche ore prima gli allietasse il risveglio, Adam portò la mano sinistra ad accarezzare il fianco di Tommy laddove la stoffa fine del lenzuolo incontrava la sua pelle pallida e, vedendo che non si muoveva, percorse con tocco leggero il suo intero profilo, riuscendo ad arrampicarsi lungo la linea della spalla e cominciare a massaggiargli la guancia col pollice prima che il ragazzo iniziasse a mugolare, dimostrando che le attenzioni del maggiore stavano pian piano raggiungendo lo scopo desiderato.

Il sorriso di Adam si accentuò quando sentì l’altro mugugnare una debole e incomprensibile protesta che si disperse in uno sbadiglio esagerato.

- Buongiorno, micetto – cantilenò, spostandogli un ciuffo di capelli da davanti al viso per poter allungarsi a baciargli la tempia. – Sognato qualcosa di bello?

- Hmm… ma che buongiorno e buongiorno, è troppo presto anche per chiamarla alba – brontolò Tommy, serrando le palpebre come se la luce nella stanza fosse stata accecante. - Torna a dormire.

Stuzzicato dal dubbio, Adam lo lasciò un attimo a crogiolarsi nel proprio cantuccio caldo per allungarsi oltre il diciassettenne, afferrare la sveglia e voltarla verso di sé, così da rendersi conto dell’ora e alzare le sopracciglia, sbalordito.

- Alla faccia dell’alba, è quasi mezzogiorno! Dai, poltrone, in piedi – esclamò, tornando a punzecchiare Tommy sul fianco, uno dei suoi punti più sensibili, ma il ragazzo allontanò le sue dita con una manata insofferente e un piagnucolio che suonò tremendamente infantile, per poi afferrare il lenzuolo alla cieca e tirarselo su fino alle spalle.

- Piantala… il giorno non è ancora vicino* - recitò, pescando naturalmente da una delle ultime lezioni di letteratura inglese che aveva studiato.

- Se dormi troppo ti verrà mal di testa – considerò Adam, senza nascondere il sorriso che si era ritrovato in volto al momento del risveglio.

- Era l'usignolo, e non l'allodola, quello che ti ha ferito col suo canto l'orecchio trepidante* - insistette però la voce smorzata del più piccolo, voltandosi lentamente verso l’altro per poterlo guardare attraverso le palpebre appena dischiuse e fargli notare il suo sorriso furbo, e questa volta Adam non ebbe difficoltà a riconoscere la citazione e a replicare di conseguenza, orgoglioso della propria memoria.

- Era l'allodola, messaggera del mattino, non l'usignolo* - Fiero di averlo fatto ridacchiare, gli prese il viso fra le mani e lo baciò dolcemente sulla bocca, facendo scivolare il labbro inferiore del ragazzo fra i suoi e indugiando sul sapore amaro del mattino prima di separarsi e tornare ai suoi occhi assonnati. – Allora, preferisci che prepari la colazione o il pranzo?

Ma tutto ciò che Tommy gli concesse in risposta fu un altro lamento indistinto.

- Credi, amor mio, era l'usignolo* - s’impuntò, strascicando la voce, per poi infilargli una gamba tra le sue e allacciargli le braccia al collo, costringendolo ad affondare di nuovo nel cuscino assieme a lui. – Torna a dormire con me, ti prego… non essere crudele.

Ma Adam lo prese per gli avambracci e si liberò gentilmente dalla sua presa, portandosi i palmi delle sue mani alle labbra.

- Tommy, io sto morendo di fame e tu devi mangiare qualcosa. Colazione o pranzo, fa’ la tua scelta.

- Voglio un brunch dolce – pretese allora il più giovane, avvicinando il viso al suo per sorridergli con astuzia. - E per quello non mi serve neanche andare in cucina.

Poggiandogli le mani appena sotto gli zigomi per trattenerlo, lo baciò con lenta passione e aggiungendo un sapiente gioco di lingua che Adam sapeva di avergli insegnato e che ripropose al maggiore un assaggio della smania di possederlo che Tommy gli aveva incollato addosso la notte prima. Se riuscì a separarsi da lui dopo aver risposto a quel bacio solo per il tempo strettamente necessario per porvisi a capo fu solo perché era passato troppo poco tempo da quando aveva dato tutto se stesso per accontentare il proprio desiderio e quello del suo ragazzo.

- È tutto squisito, ma un uomo non vive di solo amore – dichiarò, sorridendo con quel fare che lo faceva sembrare un insegnante, e senza dare a Tommy il tempo di trattenerlo oltre sgusciò via dal suo abbraccio svogliato, si alzò in piedi e cominciò a perlustrare la stanza alla ricerca del paio di boxer che la sera prima il più piccolo gli aveva sfilato senza tanti complimenti.

Lamentandosi dell’improvviso vuoto lasciato dal suo corpo sul materasso, Tommy si rotolò un po’ fra le coperte, gemendo per la delusione.

- Chi ha detto questa colossale stronzata? – bofonchiò poi, spalmandosi sul letto a braccia e gambe aperte come un bambino, e a quel punto, mentre saltellava in giro per recuperare una maglietta e un paio di pantaloni, Adam non seppe trattenersi dall’assestargli una sonora pacca sul sedere e ridacchiare del suo strillo e di come il ragazzo si raggomitolò subito su se stesso in cerca di protezione.

- Sicuramente non tu, visto che sei pelle e ossa – commentò solo a quel punto il più grande, allacciandosi un paio di pantaloni corti color kaki.

A quell’affermazione il volto di Tommy risbucò immediatamente dall’involto di coperte in cui si era rifugiato, un’espressione offesa, infantile, ma anche in qualche strana maniera assassina sul volto arrossato. – Con questo intendi forse insinuare che non rientro nei tuoi canoni estetici?

A quel punto Adam si bloccò e, in piedi davanti al letto, incrociò le braccia, impossibilitato a resistere a uno slancio di teatralità, ma nascondendo il tutto dietro un’ineccepibile maschera di serietà.

- Be’, dato che me lo chiedi così, a cuore aperto, ti dirò come stanno le cose e la verità è… - Si fermò, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, fingendo un’immensa amarezza. - Che mi fai schifo. Infatti, se ricordo bene, la scorsa notte mi hai fatto un pompino da urlo, ho insistito per farti una sega e per finire in bellezza abbiamo fatto l’amore per due volte, per due volte ti ho fatto venire e Dio, ho avuto due orgasmi che mi hanno lasciato praticamente cieco! Quindi, date queste premesse, devo dire che hai perfettamente ragione, non posso più permettermi di nascondere i miei veri sentimenti per te: mi fai cagare. Che ci fai ancora nel mio letto?

Solo in quel momento, appena ripresosi dalla sorpresa di sentirsi indirizzare un discorso che almeno a primo avviso gli era sembrato serio e dalle risatine compiaciute che ne erano seguite nel momento in cui Adam aveva cominciato a elencargli tutti i sollazzi della notte precedente, Tommy trovò la forza di afferrare il primo cuscino che gli capitò sottomano per tirarglielo dritto in faccia senza risparmiarsi, il viso ancora illuminato dalle risate.

- Quanto sei stronzo!

Liberatosi del guanciale e scoppiato a ridere a sua volta, Adam tornò a chinarsi su di lui per baciarlo sulle labbra con una galanteria squisita, incapace di circuire il bisogno di confortarlo per ogni minimo sgambetto.

- Voglio solo dire che vorrei tanto facessi almeno tre pasti al giorno, tesoro – gli mormorò sul mento, per poi salire piano con le labbra e posargli sul naso un bacio a stampo che fece sorridere il diciassettenne. - Perché sono costantemente preoccupato che non mangi abbastanza. Non è normale per un diciassettenne nutrirsi come un passerotto, sai?

A quel punto il sorriso gentile dell’adolescente si trasformò in un sogghigno e le sue mani corsero a stringersi attorno al sedere di Adam senza alcun tatto, riuscendo a prendere il più grande abbastanza alla sprovvista da farlo sussultare.

- Sei tu che mangi abbastanza per tutti e due, ciccione – insinuò Tommy, gli occhi brillanti d’aspettativa per una replica che il ventiduenne non fece tardare, dimostrandosi lesto a impadronirsi dei suoi polsi e a costringerli sul materasso.

- Piccolo sfacciato – disse tra i denti, non perdendo tempo a nascondere la nota di concitazione che gli permeava la voce, e con un colpo di reni costrinse anche il bacino del più piccolo sul letto, teso contro il suo. I suoi occhi color del cielo saettarono su quelli scuri di Tommy, trovandoli vibranti d’eccitazione. – Hai bisogno di una lezione. Vuoi una lezione?

Senza attendere una risposta, scese a mordere la porzione di pelle bianca appena sotto la clavicola sinistra del ragazzo e lui reagì lanciando un urletto deliziato al soffitto.

- Hai iniziato tu! – lo implorò di smettere, soffocando dalle risate e condannando Adam allo stesso destino. Nonostante fosse chiaro che la situazione lo intrigava, quella mattina sembrava essere votata alla delicatezza, infatti Tommy, le braccia ancora bloccate ai lati della testa, si sporse il più possibile verso il più grande per impadronirsi del suo labbro inferiore e succhiarlo finché il collo non gli fece troppo male e dovette lasciarsi ricadere sul materasso, un sorriso adorabile e specchio della felicità che gli illuminava il viso, rendendolo semplicemente radioso. - Allora, cosa devo fare per avere questo brunch? Pentole d’oro da cercare? Draghi da uccidere? Potrei morire per qualcuno dei tuoi pancakes.

Udendo quelle parole Adam sentì tutta la frenesia tramutarsi in un’ondata di calore che sapeva di affetto e riconoscenza e che gli invase lo stomaco. Fu mosso da quel sentimento che si chinò ancora una volta su Tommy, questa volta per premere le labbra sulla sua fronte e rimanervi un attimo più a lungo del dovuto.

- Hai già fatto più che abbastanza – disse poi, e dal sorriso dell’altro seppe che aveva capito che si riferiva al giorno prima. Quindi si alzò, pescò una maglietta pulita dalla valigia e se la infilò in fretta, spinto dalla fame. – Sonnecchia pure un altro po’, d’accordo? Ti chiamo quando è pronto.

Adam trascorse quasi un’intera mezz’ora tra i fornelli e il frigorifero dopo essersi concesso una doccia veloce per rimuovere il sudore, gli odori, i resti della sera prima dal proprio corpo finalmente rilassato e carico. Mentre cucinava, sbocconcellava qualcosa qua e là per placare i morsi della fame e apparecchiava, non smise un attimo di pensare a ciò che Tommy avrebbe preferito trovare in tavola, perciò finì per impilare una quindicina di pancakes su un piatto e procurarsi del succo d’arancia e del miele d’acacia da intervallare allo sciroppo d’acero. Però, quando infine si riaffacciò alla camera da letto, pronto a risvegliare Tommy con un’altra serie di baci, trovò il letto vuoto e sfatto.

Il ragazzo era seduto in veranda. Come il giorno prima, Adam lo trovò vestito con abiti puliti e seduto sulla piccola panchina di legno con i gomiti appoggiati appena sopra le ginocchia, le dita intrecciate fra loro e lo sguardo basso, perso a fissare il tavolino che aveva davanti senza realmente vederlo. Non c’era bisogno di un’immaginazione eccelsa per capire che la promessa suggellata il giorno prima gli era tornata alla mente.

- Ho i pancakes, ancora caldi – esordì allora Adam, attirando l’attenzione del più piccolo sul proprio sorriso, e Tommy ricambiò velocemente prima di sospirare e tornare a torturarsi il palmo della mano sinistra con le unghie.

- Mi sono ricordato che dobbiamo parlare.

- Prima mangiamo qualcosa – lo sviò Adam, e quando lo sguardo stupito del ragazzo tornò a concentrarsi su di lui il suo sorriso affettuoso si allargò fino a diventare quello di un migliore amico, con solo una punta di supplica. – Dai, c’è anche il caffè.

A quel punto Tommy si sciolse abbastanza da non poter rifiutare di seguirlo fino in cucina, ricambiando le premure del suo ragazzo durante il breve tragitto, quando Adam gli sfiorò un paio di volte le dita come in procinto di prenderlo per mano, se solo il più piccolo avesse dimostrato di averne bisogno. Quelle piccole cure erano sempre in grado di tirargli su il morale nella loro semplicità, così quando si accomodarono a tavola uno di fronte all’altro si sorprese a essere abbastanza tranquillo. Sebbene quella situazione assomigliasse in maniera imbarazzante a una delle prime volte in cui Adam lo aveva costretto ad affrontare le ombre della propria vita, si sentiva immensamente più a sicuro e a proprio agio a sedersi con il ventiduenne con la prospettiva di fare la stessa cosa, per quanto forte fosse la paura che in quel momento gli stava mangiando il fegato. Per quella che doveva essere la milionesima volta, Tommy si ritrovò a ringraziare un dio in cui non credeva per aver dato ascolto all’istinto che gli aveva detto di baciare le labbra di Adam quella notte di luglio dell’estate prima.

Mangiò in abbondanza, quasi quanto Adam, e non perse neppure tempo a protestare quando l’altro aggiunse una quantità esorbitante di sciroppo d’acero alla sua terza porzione di pancakes, sapendo che il suo unico scopo era prendersi cura di lui al meglio delle sue possibilità, per farlo sentire amato soprattutto in quel momento difficile. Come se a Tommy avesse potuto sorgere alcun dubbio dopo il sesso pazzesco della notte precedente.

- Ho un problema – ammise all’improvviso, spezzando il silenzio e appoggiando sulla tavola la tazza di caffè che aveva tenuto premuta contro le labbra per interminabili secondi. Al sentire quelle parole Adam lasciò perdere il cartone del succo d’arancia e appoggiò le mani davanti a sé, guardandolo negli occhi con tanta serietà che Tommy deglutì nervosamente. - E riguarda davvero te, ma non sei tu.

Adam alzò un sopracciglio, l’unica reazione che si permise di far trasparire nello scoprire che a scatenare la lite di due giorni prima era stato un semplice malinteso, unito a tutta la tensione accumulata negli ultimi tempi. Per quel che riguardava l’ansia che poteva vedere nelle iridi del diciassettenne, invece, si strappò un sorriso per convincerlo che stava percorrendo la strada giusta.

- Un motivo in più per parlarmene.

Ma il giovane scosse la testa, portandosi le mani alle tempie come se avesse voluto mettere a tacere qualche voce causa di tremende emicranie. - Me ne vergogno così tanto.

- Questa frase non mi è nuova – osservò Adam con un sorriso pacato, grato che quegli occhi tornassero ai suoi con facilità, fiduciosi quanto curiosi di ricordare il momento preciso, ma il maggiore si limitò all’essenziale. Quella situazione ingestibile non poteva protrarsi oltre, nessuno dei due avrebbe retto. - Fidati di me, Tommy. Come hai fatto fin dall'inizio.

- Mi fido di te più di quanto mi fidi di me stesso – replicò il più piccolo, sbigottito da quell’osservazione. - Ho solo paura... una paura enorme di deluderti.

- Ma così non possiamo andare avanti.

- Lo so – Il ragazzo strinse i denti e la tazza, abbassando lo sguardo per poi rialzarlo di colpo, disperando di riaggrapparsi a quello del più grande malgrado ciò che gli stava scivolando fuori di bocca. - Prometti di non prendermi a sberle?

- Se non hai ucciso nessuno non hai nulla da temere.

- Promesso?

- Promesso, amore.

- E promettimi che non mi lascerai.

- TJ, ora basta – concluse Adam, inflessibile. - Di’ quello che devi dire perché è la cosa giusta da fare, senza pensarci sopra un attimo di più. Tesoro mio – si addolcì un momento dopo, vedendo come Tommy si era irrigidito di fronte a tanta fermezza, e allungò una mano fino a carezzargli la guancia, fargli alzare il mento sotto la lieve pressione del suo indice e riavere quegli occhi scuri fissi su di sé. - Non ti sei già dannato abbastanza?

Quelle poche parole parvero risultare più incisive di tutti i discorsi precedenti. La consapevolezza di essere al limite, di non essere davvero più in grado di sopportare quel peso da solo sembrò farsi improvvisamente largo sul viso di Tommy e la sua mente realizzò quali avrebbero potuto essere le conseguenze negative della salvaguardia di quel segreto, quindi infine il ragazzo deglutì un mattone e assentì coscienzioso.

- Hai ragione, così non possiamo più andare avanti – s’arrese finalmente, in appena un sussurro. – Ti dico tutto.

 

Era l’undici marzo, un martedì qualunque che Tommy avrebbe dovuto trascorrere barcamenandosi fra lezioni di geografia, scienze della natura, francese, storia degli Stati Uniti d’America e tecnica del disegno, ma il semplice fatto che quella mattina Adam avesse trovato il tempo di raggiungere casa O’Reilly in tempo per accompagnarlo a scuola in auto bastava a renderlo uno splendido inizio di giornata ai suoi occhi. Quando la vecchia carretta del ventiduenne parcheggiò a pochi metri dall’ingresso del liceo, però, accanto a una ventina di altre vetture che appartenevano a professori e studenti, il diciassettenne seduto al posto del passeggero sospirò di rassegnazione perché l’ora di separarsi arrivava sempre troppo presto quando c’era la scuola di mezzo.

- Eccoci, in tempo per la campanella – annunciò Adam, spegnendo il motore e voltandosi verso di lui, la presenza degli occhiali da sole che in qualche modo rendeva ancora più abbagliante il suo sorriso furbo. - Non mi merito un bacio per essere il migliore autista di Finchley?

Tommy reagì a quelle parole allacciandogli le braccia al collo con naturalezza e brontolando mentre appoggiava la fronte a quella del suo ragazzo e strofinava il naso al suo.

- Ti meriteresti molto di più, se solo non ci fossero duecento persone qua attorno.

- Pazienza, vorrà dire che mi annoterò il tuo debito da qualche parte per il primo momento utile – ribatté Adam, impadronendosi delle sue labbra per dargli un bacio che il più piccolo avrebbe desiderato durasse per minuti interi e non solo la manciata di secondi che l’altro gli concesse prima di tornare a guardarlo e a sorridere allegro. - Buona giornata, amore.

- Anche a te – soffiò Tommy, rassegnato, e aveva già aperto la portiera quando si ricordò di aggiungere: - Ci vediamo all'uscita?

- Vorrei tanto, ma oggi non posso – rispose Adam, togliendosi gli occhiali da sole per mostrare gli stupendi occhi celesti afflitti da una piega di dispiacere. - Questo pomeriggio devo aiutare Jodie col rinnovamento del locale.

- Oh – esalò Tommy, deluso. - Peccato.

- Facciamo domani, d'accordo? Mi faccio perdonare portandoti a mangiare fuori.

- Indiano?

- E indiano sia – accettò il ventiduenne, allungandosi per lasciargli un rapido bacio a stampo sulla guancia prima di dargli un colpetto affettuoso sulla coscia. - Adesso vai o ti sgrideranno a causa mia.

Tommy ridacchiò, ma non tergiversò oltre per non far arrabbiare sul serio la professoressa di geografia. - Allora ciao.

- Ciao, dolcezza.

- A domani – lo salutò, un attimo prima di saltare giù dall’auto e richiudere la portiera. - Puntuale!

 

A quel punto del racconto Tommy fece una pausa, ma Adam non si sognò neppure di chiedergli cosa lo avesse spinto a raccontargli qualcosa che lui stesso conosceva bene, avendolo vissuto. Che fosse stato per introdurre e spiegare meglio un avvenimento a cui quel breve scambio di effusioni mattiniere era seguito o solo per permettere al diciassettenne di abituarsi all’idea di confessargli qualcosa che aveva tenuto segreto tanto a lungo, Adam era sicuro ci fosse un motivo valido e aveva la piena intenzione di rispettare Tommy e i suoi tempi.

Il ragazzo, tra l’altro, sembrava già in discreta difficoltà, cambiava la direzione del proprio sguardo ogni volta che poteva e si concedeva respiri profondi ogni due per tre. Adam, ben lungi dall’interromperlo o spronarlo ulteriormente, ma semplicemente in attesa di fronte a lui nel cucinino di quell’appartamento per vacanze, lo prese come un segno che il racconto stava per farsi serio e preoccupante.

- La giornata andò bene – riprese Tommy dopo quello che parve un secolo, in poco più di un soffio stremato. - Fu all'uscita che scoppiò il casino.

 

Alle quattro e mezza del pomeriggio di quello stesso undici marzo il tanto agognato trillo dell’ultima campanella della giornata fece sospirare di sollievo tutti e ventuno i compagni di corso di Tommy, che però si attardò più di tutti gli altri nell’aula per chiedere all’insegnante di tecnica del disegno se avesse finalmente corretto le tre tavole consegnate un mese prima e, una volta ottenutele, per riordinare il proprio materiale grafico nell’armadio in fondo alla classe, caricarsi lo zaino praticamente vuoto sulla spalla destra e avviarsi per i corridoi con tutta la calma di questo mondo. Sapeva di aver ormai perso il primo autobus disponibile e gli sarebbe comunque toccato aspettare minimo un quarto d’ora alla fermata prima che ne arrivasse un altro diretto al suo quartiere, perciò non c’era motivo di affrettarsi come avevano fatto tutti i suoi colleghi.

Tommy sbuffò e si coprì la bocca con una mano per attutire uno sbadiglio. Aveva scorto dei voti discreti in fondo alle tavole che il professore gli aveva restituito, ma non era affatto un amante del disegno tecnico e quel corso lo stufava più di tutti quelli che non gli andavano a genio perché a renderlo particolarmente duro c’era l’assenza di una compagnia amichevole. Il martedì pomeriggio quel genio di Susie seguiva il corso avanzato di matematica, mentre Olive aveva scelto economia domestica e Dan entrava e usciva dalle sue sfortunate lezioni di arabo livello base senza farsi grandi problemi, come faceva con il resto della sua carriera scolastica. Tommy si era ritrovato solo a tecnica del disegno per colpa sua, perché aveva ritardato con l’iscrizione e a quel punto i posti rimasti erano pochissimi, ma certo quella consapevolezza non rendeva le lezioni del professor Connors meno pesanti.

Stava perdendosi dietro a pensieri che riguardavano la possibilità che l’insegnante lo promuovesse con una C a fine anno e passando davanti ai laboratori di chimica quando sentì quella voce chiamarlo, assordante all’interno del liceo ormai vuoto. Era eccitata, sogghignante, piena di aspettative e odiosamente familiare.

- Ehi, Ratliff! Tommy Joe! – aggiunse in tono canzonatorio, e qualcuno dei suoi sembrò trovare quel diminutivo profanato abbastanza spassoso da sghignazzare.

Tommy alzò gli occhi al cielo e bisbigliò un’imprecazione convinta, ma fermò i propri passi e si voltò. Non sarebbe mai scappato davanti a quei bulli, non per una questione di principio ma perché accettare le sfide piuttosto che fuggire faceva parte del suo carattere orgoglioso, perché negli anni aveva affrontato – e superato, si sarebbe premurato di aggiungere Adam se avesse potuto insinuarsi fra i suoi pensieri – prove molto più dure di qualche spinta violenta contro gli armadietti e prese in giro sul proprio look, prove che avevano compreso gli abusi di quattro uomini dai gusti e dalle perversioni appartenenti alle tipologie più diverse. E, in ultima istanza, perché tanto non c’era scampo. Se si fosse messo a correre, anche se avesse mollato lì lo zaino, per quanto agile e leggero fosse qualcuno di quegli idioti sarebbe comunque riuscito a raggiungerlo, placcarlo e farlo rovinare a terra faccia in avanti. Meglio evitare lividi inutili, giusto?

A pochi metri da lui, in avvicinamento lungo il corridoio, gli si presentò davanti la combriccola che si aspettava, la cui formazione ormai conosceva a memoria. Anzi no, notò Tommy dopo una rapida occhiata, c’era una faccia nuova nonostante il numero dei ragazzi fosse sempre pari a sei. Evidentemente uno dei vecchi compari aveva tradito la fiducia del capo – facendo la spia con qualche altra gang, saltando un allenamento di football o provandoci con la sua ragazza - e Shane aveva dovuto sobbarcarsi la fatica di trovare un altro decerebrato fidato che lo sostituisse degnamente. Per forza.

Ce n’erano cinque senza volto e senza nome, non perché Tommy non li avesse tutti stampati in mente con precisione svizzera, ma perché erano talmente insulsi da non meritare che qualcuno li considerasse o si ricordasse di loro, men che meno quando se ne stavano con quei ghigni stampati in faccia e le mani che prudevano dalla voglia di picchiare qualche povero disgraziato con l’unica colpa di essersi trovato sulla loro strada. Il sesto era Shane, Shane Lawson. In questo caso il cognome era la parte più importante, vista l’influenza di suo padre nella politica cittadina. Il giovane Shane, diciott’anni da compiere in un paio di settimane, pareva aver risucchiato tutta la bellezza della giovane madre e i difetti di carattere della linea paterna della famiglia: non molto più alto di Tommy, ma un biondo naturale con occhi di un verde limpido che non avrebbe potuto essere più ingannevole, qualche muscolo che gli derivava dalla presenza costante nella squadra di football della scuola, vanesio fino all’inverosimile e con quel ghigno perenne a sfregiargli il viso avvenente. E, particolare che lui stesso teneva a sottolineare, castigatore supremo di tutti coloro che non riteneva degni di frequentare il suo stesso liceo, i suoi stessi corridoi, il suo stesso bagno. Era Shane che aveva urlato il nome di Tommy per farlo fermare, sicuro di sé vista l’assenza di professori e la lontananza del preside, fu Shane ad avanzare verso la vittima per fermarsi a due metri da lui, i compagni ai lati pronti a dargli man forte, a scattare in caso Tommy avesse fatto la malcapitata scelta di tentare la fuga.

La preda, Tommy, rimase fermo sul posto. Indietreggiare lo avrebbe reso ancora più debole agli occhi di quei giovani sciacalli, avrebbe significato morte certa ancora prima che l’attacco iniziasse. Stringere i pugni lungo i fianchi, invece, si prestava a diverse interpretazioni e Tommy scelse quella che lo vedeva come tenace, resistente come in realtà non si sentiva affatto.

- Shane... amichetti di Shane – salutò sarcasticamente, cercando di mantenere la voce ferma, riunendoli tutti in una sola occhiata di disprezzo. - Che volete?

- Ehi, quanta mancanza di educazione – esclamò Shane, fingendosi offeso per raccogliere le risate dei propri adepti prima di tornare a rivolgere il proprio ghigno di figlio di papà verso Tommy, che rimase immobile. - Va bene che sei orfano, ma gli sfigati che ti hanno adottato non ti hanno insegnato niente su come si trattano le persone civili?

A quel punto Tommy sentì un moto di repulsione rivoltargli lo stomaco, ma si ficcò le unghie nei palmi delle mani, strinse i denti e si costrinse a rispondere senza ringhiare, senza avere scatti di alcun tipo. L’ultima cosa che desiderava era aizzare quella mandria di cretini dai muscoli abbastanza sviluppati da ridurlo in cenere, voleva solo trovare il modo di farli stancare di lui, di fargli venir voglia di proseguire la loro assurda ronda così da potersene tornare a casa senza segni sospetti addosso. Qualche volta in passato ci era riuscito, cavandosela con una manata che lo aveva fatto finire a terra, a osservare dal basso la loro trionfale uscita di scena.

- Che vuoi? – ripeté, questa volta fissando gli occhi cristallini di Shane, e solo a quel punto il ragazzo accorciò le distanze con un altro passo verso di lui.

- Oh, solo sapere come credevi di farla franca.

Per qualche motivo, sebbene ancora non ne conoscesse il significato, quelle parole mandarono una scarica di brividi a scuotere la spina dorsale di Tommy. Forse fu il tono di voce di Shane, così mellifluo e allusivo, allenato fino allo sfinimento all’unico scopo di mettere la preda all’angolo. Fatto sta che il giovane non si diede il tempo di rifletterci sopra, dato che sentiva di non averne molto prima che la situazione precipitasse, e impiegò invece i pochi millesimi di secondo a disposizione per gettarsi sul piano più promettente.

- Che lingua parli? – replicò, fingendosi indifferente alle provocazioni, ma quando voltandosi si trovò di fronte due degli scagnozzi che gli sbarravano la strada seppe che avrebbe venduto l’anima al diavolo perché la sua espressione intimidita passasse per insofferente. - Lasciatemi passare, ho fretta.

- Oh, certo, lasciatelo andare, ha fretta, deve correre dal suo ragazzo a farselo mettere in culo o stanotte dovrà trovarsi un manico di scopa per sfogare la foia – svelò solo a quel punto Shane, alzando la voce come un vero intrattenitore di folle, suscitando risate più tonanti e feroci della prima volta.

Tommy sentì le guance e le mani cominciare a bruciare come fuoco e il muscolo dello zigomo destro smettere di obbedirgli, preso da un tremore improvviso quanto incontrollabile, ma ebbe lo stesso la prontezza di girarsi di nuovo verso il capo della banda e fulminarlo con uno sguardo che trasudava puro odio, misto al panico che aveva cominciato a far scorrere più adrenalina che sangue nelle sue vene. Shane, d’altronde, non sembrò preoccuparsi e ne aveva tutte le ragioni. Con i suoi a fargli da spalla, da scudo, da mano complice, avanzò ancora verso la preda designata, bloccata dai due gorilla alle sue spalle, paralizzata dalla paura, l’afferrò per la maglietta e la strattonò, portando il viso cinereo del ragazzo a dieci centimetri dal proprio prima di cominciare a sputare veleno.

- Pensavi fossi così scemo da non notarvi? Due checche grosse come il mondo che si slinguazzano all'entrata di scuola, davanti a tutti? Quanta merda. Non so neanche dirti quanto mi fate schifo. Come ti sei permesso, per mesi, davanti alla mia scuola? – sibilò, gli occhi fissi in quelli dell’altro. - Ma pagherai per questa merda, finocchio. Pagherà, non è vero, ragazzi? – Gli altri cinque esultarono a quella richiesta e Tommy vide il sorrisetto compiaciuto di Shane allargarsi e il suo respiro accorciarsi in preda all’euforia. - Pagherà per sé e per quello che se lo scopa.

Tommy deglutì a fatica, quegli occhi verdi brillanti di eccitazione che parevano ardere di fuoco vivo che si godevano ogni stilla del suo terrore non gli davano tregua, ma il momento peggiore arrivò quando sentì i ragazzi alle sue spalle obbedire al cenno del capo, sottrarlo alla sua presa e bloccargli entrambe le braccia dietro la schiena per immobilizzarlo mentre Shane si scavava nella tasca della giacca con la mano destra. Quando ne riemerse con un coltellino intarsiato in oro bianco, il diciassettenne sentì la gola seccarsi di colpo mentre ogni goccia di sangue gli defluiva dal volto.

- N- no – balbettò, il cuore a mille e gli occhi spalancati fissi sulla lama, i muscoli di pietra. – No, aspetta...

- Tenetelo fermo – ordinò però Shane, più aizzato che rabbonito dalle preghiere del ragazzo, colmando la brevissima distanza che li separava per potergli soffiare l’essenza del proprio potere sulla faccia, la punta affilata dell’arma già appoggiata un centimetro sotto le sue labbra. - Poi mi dici se ti piace di più questo o farti inculare a sangue dalla tua puttana, frocio di merda.

 

Solo allora Tommy smise di parlare e per parecchi secondi non si azzardò nemmeno a riprendere fiato. Quando infine dovette farlo fu rumoroso, forse risultò addirittura fragoroso nel silenzio assoluto che era calato nella cucina dell’appartamento, come se l’attenzione di tutto l’universo si fosse concentrata sul suo racconto. In realtà l’unico ad ascoltarlo era stato Adam, Adam che stava stringendo i pugni fino a farsi male per trattenere la rabbia e sfogarla su chi se lo meritava, Adam che si ostinava a fissare le unghie dell’altro che grattavano il tavolo e i suoi occhi bassi nella testarda speranza che si rialzassero a cercare i propri.

- Aveva un coltello e me lo teneva puntato contro la faccia – riprese la voce roca di Tommy dopo secoli. - Io ho avuto paura, stavo... stavo per pisciarmi addosso.

Il ventiduenne inghiottì bile e risentimento, ma i suoi occhi celesti rimasero fermi sulle palpebre calate del più piccolo. - Continua.

- Allora gli ho detto l'unica cosa che avrebbe potuto fermarlo, gli ho detto… - S’interruppe, prese un respiro profondo e deglutì, in preda all’ansia. Infine si convinse a fare il passo che sapeva Adam stava aspettando, tornando a far rispecchiare l’inquietudine e il profondo dispiacere delle sue iridi nocciola negli occhi del più grande, occhi pieni di tutto, prima di riprendere, umettandosi le labbra aride: - Gli ho detto che non è vero che sono gay. E che... che mi ha visto con te perché ho perso una scommessa con degli amici.

Quelle parole colpirono nel segno, come Tommy si era aspettato, ma non fecero così male. Forse perché Adam capì fin dal primo momento, senza nemmeno sentire il bisogno di accertarsene chiedendoglielo, che Tommy non era mai stato sincero nell’atto di pronunciarle, che era stato costretto a difendersi in quel modo dalle circostanze, o forse perché in quel momento era troppo infuriato con chi si era rivelato la causa della tremenda crisi delle ultime settimane. Ad ogni modo tutto quello che riuscì a cavarsi di bocca fu un sospiro, e una mano corse alla nuca in segno di esasperazione.

- Se ci ha creduto è ancora più idiota di quello che pensavo – commentò quindi, alzando le sopracciglia in direzione di Tommy, che alzò le spalle.

- Ci ha creduto, o ha fatto finta. Fatto sta che ha messo via il coltello e mi ha detto che avrei dovuto provare che fosse la verità – spiegò, deglutendo di nuovo.

- E come avresti dovuto dimostrarlo? – tenne duro Adam, continuando a guardarlo.

Non era arrabbiato con lui e avrebbe davvero voluto farglielo capire immediatamente, senza altri indugi, perché potesse tranquillizzarsi almeno su quel fronte, ma c’era qualcosa che glielo impediva ed era l’ira che lo consumava dentro alla semplice idea che un arrogante e vanaglorioso bulletto se la fosse presa con il suo ragazzo, osando maltrattarlo al punto da minacciarlo con un coltello. Quel bulletto di merda, insignificante figlio di puttana a cui Tommy aveva evitato di dare un nome mentre raccontava, ma la cui identità Adam si sarebbe premurato di scoprire al più presto.

Tommy Joe, comunque, che avesse compreso o no che il rancore del maggiore non era diretto contro di lui, sembrava ormai talmente rapito dall’esigenza di buttare fuori tutto in una volta sola che continuò a parlare senza farsi troppi problemi, debitamente incoraggiato dal suo ragazzo.

- Provando la mia mascolinità, secondo lui. Uscendo a ubriacarmi con lui e gli altri – rispose finalmente. - Disse che se non fossi riuscito a convincerlo avrebbe fatto giustizia prendendosela con tutti e due, sia me che te. Ha detto che sa come rintracciare chiunque e farlo rimpiangere di essere uno… uno scherzo della natura.

Adam dubitava fortemente che fosse stato quello l’epiteto usato dallo stronzetto, ma non ritenne opportuno né tantomeno utile insistere su quel punto quando era finalmente riuscito a spingere Tommy verso il centro nevralgico della questione.

- È quindi questa l'origine di tutti i problemi? – chiese, ancora una volta cercando di tenere a bada il fuoco che gli bruciava dentro, perché non era Tommy quello contro il quale aveva intenzione di sfogarsi. I suoi occhi nei propri erano stanchi, ma dolcissimi, e questo aiutò il maggiore a rivolgerglisi solo con l’infinito affetto che provava per lui in quel momento. - I ritardi, il ritorno all'alcol, il nervosismo, le preoccupazioni date a Rick e Julie, il tuo comportamento con me... tutto a causa di questi bulli?

- Sì – esalò Tommy, ora completamente privo di esitazioni. - Mi dispiace, Ad, sul serio, io...

- Lo so – annuì il più grande, pronunciando quelle semplicissime due parole sottovoce nella speranza che ciò lo confortasse, e la trovata parve funzionare, perché il diciassettenne gli rivolse un’occhiata stupita prima di inumidirsi ancora le labbra e andare più a fondo nel problema.

- Mi avevano già picchiato e fatto scherzi nei corridoi in passato, non ero l’unico e non era mai stato un problema gestirli. Si erano sempre accontentati di poco prima di togliersi di torno – spiegò. - Ma quella volta e tutte le successive in cui sono stato al gioco, li ho seguiti e ho bevuto tutto quello che mi hanno dato, l’ho fatto perché ero spaventato a morte che potessero prendersela anche con te.

Quelle parole meravigliarono Adam al punto da fargli sbarrare gli occhi e farlo indietreggiare un poco, quindi sulle labbra gli nacque un sorriso che Tommy non notò finché il ventiduenne non riprese la parola, dandosi da fare per restituire un po’ di intimità al silenzio fra loro.

- Dire che nessuno è mai stato così generoso e protettivo nei miei confronti sarebbe riduttivo. Esporti in questo modo e passare quello che hai passato per proteggere me – ponderò, per poi scuotere la testa quando Tommy lo guardò allibito dalla gioia del suo sorriso. – Sul serio, amore, come hai potuto credere anche solo per un secondo che tutto questo potesse farmi venir voglia di lasciarti? Mi viene voglia di spaccare il mondo, prima di tutto la faccia di quegli stronzi, ma credo di essermi appena innamorato per la seconda volta – Deciso a non darla vinta alla sua incredulità, gli afferrò entrambe le mani con decisione, non permettendogli di distogliere lo sguardo dai suoi occhi. – Ti sei sacrificato per me, ti rendi conto? Come potrei avercela con te per questo?

Tommy non scappò, ma prese un respiro esagerato prima di replicare con un filo di voce, serio e ancora teso.

- Pur di tirarmene fuori ho rinnegato me stesso. Gli ho detto che non sono...

- Frocio – terminò Adam senza esitare, né prima di pronunciare quella parola né dopo, quando il turbamento di Tommy cominciò a pesare. - Loro ti avranno chiamato così, scommetto. E tu avrai risposto usando lo stesso termine, per non tradirti usando un termine più delicato, più femmineo come gay. Mi sbaglio? – perseverò allora, determinato a tirarlo fuori da quella palude d’incertezza. - Ma mi dici come avresti potuto evitarlo? Quelli erano una banda, ti attaccavano e tu eri solo. Non voglio neanche pensare a cosa avrebbero potuto farti.

Tommy deglutì, una scintilla di fede negli occhi, finalmente, e come ogni anima in via di guarigione diede fondo a ogni dubbio per mettere alla prova la convinzione di Adam assieme alla propria.

- Resta il fatto che ho tradito ciò che sono.

- Ma puoi perdonarti quando vuoi – ribatté il più grande, saldo.

- Ho tradito te - proseguì Tommy, e solo in quel momento Adam si rese conto che aveva gli occhi pieni di lacrime. - Ho detto che non sei il mio ragazzo.

Intenerito dalla sincerità del suo rammarico, Adam sorrise con dolcezza, stringendogli le mani con affetto. - Lo sono ancora?

- Oh, Ad…

- Se tu mi giuri che, dovesse succedere di nuovo qualcosa del genere, verrai dritto filato a dirmelo, io ti perdono – giurò, più sincero che mai, allungando una carezza decisa al braccio del diciassettenne così da non permettergli di distrarsi. - Io ti perdono.

Tommy aprì la bocca per parlare, ma la prima volta non ne uscì alcun suono. Dovette accettare la necessità di sfogarsi attraverso il pianto e lasciare che qualche lacrima gli scivolasse lungo le guance prima di riuscire a mettere insieme le poche parole che gli servivano. - Io… io sono fiero di essere ciò che sono.

- E allora perdonati anche tu e va' avanti! – lo esortò Adam, entusiasta di quell’indispensabile passo avanti, e senza più trattenersi si alzò per raggiungerlo, accucciarsi davanti alla sedia sulla quale stava seduto e prendergli il viso tra le mani. Le due iridi color del cielo non abbandonarono un secondo gli occhi di Tommy mentre le parole fluivano direttamente dal cuore di Adam a quello del più piccolo, colpendolo in pieno e rinnovandone la voglia di vivere, e d’altra parte il più giovane si nutrì di quel discorso come di acqua fresca dopo settimane di arsura. - Ricordati questo, tesoro: chi sei rimane sempre, sempre, sempre più importante di ciò che fai. Perché di errori, stronzate e cose di cui poi ci si pente se ne fanno ogni giorno, ma nulla di tutto ciò potrà mai toglierci ciò che sentiamo di essere, hai capito? Sta a noi ritrovare la forza di continuare a proteggere chi siamo, mettendo una pietra sopra il passato e guardando avanti, sempre. Ricordi? È più o meno quello che mi hai detto anche tu ieri. È bello che ci rimbalziamo i consigli, no? – lo distrasse infine, scompigliandogli i capelli e aspettando di vedere uno dei suoi sorrisi prima di tornare a carezzargli gli zigomi con i pollici, nella voce il fremito di un vigore rinnovato, incrollabile. - La prossima volta sarai più forte.

Il sorriso che Tommy gli donò a quel punto, finalmente onesto e pronto al prossimo passo, gli diede nuove energie così come la sua domanda trasformò i suoi piani di rivalsa campati per aria in certezze senza difetti.

- E spaccherò la faccia a quegli stronzi?

Adam rifletté, sorrise e si mise di nuovo in piedi per potersi chinare a baciarlo sulle labbra con lenta dedizione.

- Magari la prossima volta sì – sussurrò una volta separatosi dalla bocca del più piccolo, ed ergendosi completamente lo circondò con le braccia per poterlo attirare a sé, facendogli appoggiare un lato del viso al proprio stomaco per poter crogiolarsi nell’illusione di poterlo proteggere, sempre e comunque, mentre siglava con parole di fuoco il suo trepidante desiderio di vendetta. - Ma questa volta sono miei.

 

 

 

 

 

 


 

 

* Dalla tragedia di Shakespeare “Romeo e Giulietta”.



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Capitolo 13
*** Quale giustizia ***





Hola, pulzelle!

Siccome oggi pomeriggio partirò e non potrò più accedere al computer fino a mercoledì, ho fatto un piccolo sondaggio sulla pagina autore di facebook (la solita che trovate qui) per sapere se preferivate avere un capitolo più corto oggi o aspettare per poi ritrovarvi il solito capitolo eterno. Ringrazio chiunque abbia lasciato il suo “voto”, a quanto pare questa volta ha vinto quello che chiamerò “il partito del capitolo corto, ma presto” ^^

Perciò eccomi qui!

 

Grazie infinite a Sunset_Lily e pansy_laugh per avermi fatto sapere cosa ne pensano dello scorso capitolo, e a tutte voi che seguite la storia ^-^

La canzone di questo capitolo è Hero (Superchick)

Spero vi piaccia :)

 





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Adam avrebbe venduto se stesso per trovare la forza di resistere all’accesso di rabbia che si impossessò di lui nel momento in cui il motivo del profondo disagio di Tommy fu chiaro, ma il bisogno di risolvere quella miserabile questione divenne preponderante in lui ancora prima che potesse rendersene conto. E ancora prima di poter chiedere scusa a Tommy per la sua incapacità di regalargli altri quattro meritatissimi giorni di serenità sulla sponda dell’oceano e lontano da tutto, per la sua incapacità di fingersi tranquillo mentre i colpevoli di un crimine troppo vicino rimanevano impuniti, lui e il suo ragazzo si ritrovarono in viaggio verso casa con tutti i bagagli.

Adam aveva dato a Terrie meno informazioni possibili al momento della riconsegna delle chiavi dell’appartamento, parlando di un problema familiare non troppo grave ma che esigeva comunque la loro presenza a casa, per non turbarla. Tommy, da parte sua, aveva compreso le ragioni del maggiore senza che quest’ultimo dovesse spiegargliele a fondo e per questo Adam si sentì pieno di riconoscenza nei suoi confronti. Quella situazione si era protratta troppo a lungo per poter far finta che non esistesse anche solo per pochi giorni in più, andava affrontata di petto il prima possibile o sarebbero usciti pazzi. Gli unici problemi consistevano nel fatto che ancora non avevano alleati, vista la diligenza con cui Tommy aveva mantenuto il proprio segreto, nell’estrema esitazione del più piccolo quando si trattava di affrontare un discorso che anche solo di per sé avrebbe potuto rivelarsi, almeno a suo dire, rischioso per Adam e, ultimo ma non meno importante, lo scarso autocontrollo che il ventiduenne poté vantare dal momento in cui una voce dentro la sua testa cominciò a fomentare il suo desiderio di vendetta.

Da un momento all’altro diventò visibilmente più nervoso, irascibile con tutti coloro che incontrarono sulla strada che da Heavenly Coast li ricondusse nella loro città natale. Il benzinaio, il commesso dell’autogrill in cui si fermarono e l’impiegato del casello autostradale furono quelli che la pagarono più dura in quanto ad assalti verbali da parte del ventiduenne, mentre Tommy, che per tutto il tempo si vide trattare con lo stesso sconfinato affetto di sempre da parte del suo compagno, cominciò a preoccuparsi sempre di più di ciò in cui quel comportamento avrebbe potuto sfociare.

Il diciassettenne comprese che il maggiore stava seguendo un proprio piano preciso solo quando, dopo ore di viaggio, passati dall’autostrada alla statale e arrivati in vista del cartello che annunciava l’uscita per Finchley, Adam evitò quell’ultima possibilità di raggiungere i sobborghi e tirò dritto verso la città.

- Vorrei che dormissi da me stanotte. E anche, se non ti chiedo troppo, che evitassi di avvertire Rick e Julie del nostro ritorno, almeno fino a domani – annunciò a quel punto, capendo che la deviazione inaspettata aveva spaesato Tommy. Aspettò un secondo, lasciando che la musica bassa della radio si sostituisse alla sua voce prima di voltare il capo verso il ragazzo e sorridergli, affaticato ma apprensivo. – Pensi di poterlo fare? Un’ultima bugia per me?

- Certo – replicò Tommy con aria perplessa, accigliandosi un poco. – Non è proprio una bugia se non gli dico niente. E poi non c’è niente di male, no? Immagino che domani mi riporterai a casa.

- Sì, ovvio – annuì Adam, tornando con gli occhi sulla strada. - È solo che voglio che le cose vadano in un certo modo e perché funzioni ho bisogno di tenerti con me fino a domani mattina. Solo perché i tuoi evitino di assalirti con le domande stasera, come sono sicuro farebbero se ti riportassi da loro ora.

Tommy fece spallucce, la sensazione di non centrare il fulcro della questione che persisteva nel fargli aggrottare la fronte. – Però in realtà cosa cambia? Magari le domande me le faranno domani, ma mi toccheranno comunque. So già che loro avranno molto da chiedere e io molto da raccontargli, non è un problema così grande ora che sono riuscito a dirlo a te, no?

Nella sua voce c’era una punta di timore, un’esitazione che lui stesso non avrebbe saputo classificare, ma che Adam ignorò deliberatamente, rimanendo concentrato sulla guida e ostentando un’espressione pacata che Tommy sapeva non appartenergli affatto in quel frangente.

- Parole sante, ma non sono le loro domande a preoccuparmi – rispose, e inconsapevolmente le sue mani strinsero il volante con più energia. – Voglio solo evitare che capiscano le mie intenzioni e tentino di fermarmi stasera. Riportarti da loro domani andrà benissimo, sarà troppo tardi per bloccarmi.

Tommy non avrebbe saputo dire se fosse stata colpa di quelle parole o dell’enfasi che le permeò quando Adam le pronunciò, fatto sta che sentì dei brividi freddi corrergli lungo la schiena e non poté esimersi dal fissare il proprio ragazzo più a lungo di quanto avrebbe fatto se davvero fosse stato convinto che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Suo malgrado, cominciava a capire cosa volesse fare Adam e non poteva che esserne spaventato.

- Nulla di male comunque, giusto? – lo interrogò allora, leccandosi le labbra. – Non farai niente di sconsiderato, vero? Promettimelo.

- Amore, sta’ tranquillo – ribatté Adam, mascherando ogni emozione, fatto sta che il suo sguardo sempre serio, immobile e fisso sulla carreggiata completamente sgombra portò Tommy a pensare che non gli stesse dicendo tutto. – Farò solo ciò che ritengo giusto.

- Perché ho paura che si tratti di una cazzata? – buttò lì a quel punto Tommy, allarmato. – Perché non lo dici guardandomi negli occhi, eh, Ad?

Conosceva il proprio ragazzo e i comportamenti che gli venivano più naturali e ciò includeva guardarlo dritto negli occhi il più frequentemente possibile ogni qualvolta si ritrovavano ad affrontare questioni di una certa rilevanza, ma quella volta pareva proprio che il maggiore fosse troppo preso dal proprio rancore perché un semplice rimbrotto funzionasse. Riuscì a farlo voltare verso di lui, certo, ma solo per farsi fulminare con un’occhiataccia a metà fra lo scocciato e il sarcastico.

- Magari perché sto guidando? Senti, TJ, sono al volante da ore e davvero non credo che potrei sentirmi più stanco. Ne parliamo domani, d’accordo? Adesso voglio solo arrivare a casa e buttarmi a letto – decretò, per poi aggiungere, sfiorandogli una gamba e strappandosi un sorriso spossato: - Col mio ragazzo.

A quel punto Tommy non poté che sorridere debolmente a sua volta e tacere. Continuava a sentirsi inquieto a causa dell’atteggiamento e dei discorsi che Adam aveva messo in piedi e sostenuto nelle ultime ore, ma d’altra parte non poteva negare che la partenza affrettata dal sito vacanziero e il lungo viaggio in auto avessero indebolito entrambi al punto da non fargli desiderare altro che il letto spazioso dell’appartamento del più grande, le sue lenzuola morbide, il corpo caldo e rassicurante del ventiduenne accanto al suo e una buona dose di sonno ristoratore. Per questo e perché non aveva davvero voglia né energie sufficienti per litigare, Tommy lasciò cadere la discussione, si limitò ad annuire e reclinò la testa all’indietro, abbandonandola sul poggiatesta e chiudendo le palpebre per rilassarsi.

Già avvolto dal calore soffuso del dormiveglia, decise che almeno per qualche ora avrebbe potuto permettersi di non pensare a niente. Dopotutto non c’era maniera migliore di tenere d’occhio Adam e assicurarsi che non facesse pazzie che standogli il più vicino possibile.

 

Come promesso, la notte fu dedicata al solo recupero delle forze. La mattina dopo, ad ogni modo, Adam svegliò Tommy di buon’ora e lo esortò a prepararsi per tornare a casa, cosicché per le sei e mezza del mattino si trovavano già in viaggio verso Finchley.

Nonostante sentisse che dormire un po’ di più non avrebbe potuto fargli che bene, Tommy si ritrovò a combattere strenuamente contro l’invitante comodità del sedile dell’auto sul quale aveva sonnecchiato spesso, principalmente perché gli era bastato guardare negli occhi Adam, quella mattina, per capire che non aveva cambiato idea in merito al piano da attuare. Anzi, se possibile il maggiore sembrava essersi fatto addirittura più persuaso, più lanciato in direzione del proprio obiettivo, e glielo dimostrò senza mezze misure poco dopo aver superato con l’auto il cartello stradale che dava il benvenuto nella cittadina di Finchley. La sua voce uscì gelida come Tommy ricordava di averla sentita raramente e quella frase suonò come uno sparo d’avvertimento nell’abitacolo dell’automobile.

- Bene, adesso dimmi i nomi di quei figli di puttana.

Il diciassettenne si voltò di scatto verso di lui e dovette lasciar passare un paio di secondi prima di riuscire a chiudere la bocca e umettarsi le labbra, preparandosi ad affrontare quella che, lo aveva già inteso la sera precedente, non sarebbe stata una conversazione piacevole né leggera.

- In realtà ci ho pensato sopra, Ad, e non credo che quello che hai in mente tu sia…

- Dimmi i nomi e basta, Tommy – lo interruppe però il ventiduenne, senza nemmeno concedergli il tempo di completare la frase, e ancora una volta Tommy vide le sue dita sudate contrarsi in uno spasmo attorno alla gomma del volante. - So bene come vanno queste cose e ormai dovresti averlo capito anche tu, se non risolverò la faccenda a modo mio quei piccoli stronzi non avranno mai ciò che si meritano. Il preside o chi per lui si limiterà a tirargli le orecchie, a dirgli di non farlo più e poi li lascerà liberi di fare il cazzo che vogliono con te come con qualsiasi altro ragazzino – Strinse le palpebre senza che ciò avesse nulla a che fare con la strada che stavano percorrendo, e Tommy sentì una fitta di dispiacere al petto nel vedere come tutto quell’odio stesse riuscendo a fare breccia nel suo essere fino a consumarlo. - Intendo insegnargli le buone maniere prima che tutti i professori li mettano sotto la propria tutela di fottuti conservatori, o col cazzo che ci sarà mai un po’ di giustizia anche per te.

- Ci sono anche un paio di professori gay dichiarati nella mia scuola, sai – intervenne allora il più giovane, leggermente piccato. - E comunque in questo modo non risolverai niente, anzi, finirai solo col peggiorare le cose.

Ma ancora una volta i suoi rimproveri, i suoi tentativi di fargli cambiare idea non sortirono alcun effetto e Adam insistette, cocciuto.

- I nomi, Tommy – Quando l’altro incrociò le braccia e tacque, lo perforò con uno sguardo irritato, ma non si diede per vinto. - D’accordo, fa’ come vuoi. Se non me li dici tu li chiederò a Olive o a Susie, sono sicuro che loro ne sanno molto più di me di questa storia.

Messo di fronte a una prospettiva che somigliava in tutto per tutto a una minaccia velata, l’adolescente si arrese con un sospiro sofferto. Adam poteva anche non aver scambiato più di un paio di parole con le sue migliori amiche né sapere molto su di loro, ma conosceva lui abbastanza da sapere che con Olive e Susie condivideva tutto, ogni segreto e soprattutto ogni avvenimento che concernesse il territorio scolastico, e Tommy sapeva altrettanto bene che le sue amiche si erano preoccupate per lui abbastanza da dimostrarsi felicissime di aiutare chiunque si fosse mosso contro gli aguzzini del loro “raggio di sole”, come lo chiamavano affettuosamente. Gli avrebbero detto tutto senza nemmeno farsi pregare, ne era certo.

- Shane – si vide allora costretto a confessare, tenendo gli occhi bassi per evitare di vedere la sorpresa invadere il volto di Adam quando avesse sentito il nome di uno dei protagonisti della scena politica della periferia. Tommy lo aveva sentito discutere assieme a Rick su quanto fossero vergognose le istanze omofobe di quel repubblicano di vecchio stampo, in salotto e con un bicchierino di vecchissimo cognac in mano. - Il capo del gruppo, quello che mi ha minacciato, si chiama Shane Lawson.

- Lawson – ringhiò infatti Adam, saltando alle conclusioni con facilità disarmante. - Perfetto. Vediamo se Shane avrà ancora voglia di sbandierare al mondo la sua omofobia una volta che avrò finito con lui.

Scioccato dalla vena aggressiva che aveva sentito colmargli la voce, Tommy sgranò gli occhi. - Ad, è un liceale!

- Non me ne potrebbe fottere di meno di quanti anni ha o di quanto tutti pensino che sia intoccabile per il semplice fatto che il suo paparino se la sguazza ai piani alti.

- Finirai nella merda fino al collo se vai a cercarlo!

- Allora fai conto che ci sia già finito – lo zittì Adam, frenando di colpo per fermare la macchina.

La discussione aveva coinvolto Tommy al punto da non permettergli di prestare attenzione alla strada percorsa, ma a quel punto gli bastò una semplice occhiata fuori dal finestrino per capire che Adam lo aveva portato a destinazione: la facciata azzurro pastello della residenza degli O’Reilly lo guardava immobile nella penombra del mattino, riscaldata appena dalla luce accesa dietro a una finestra del secondo piano, quella che corrispondeva alla camera da letto dei due coniugi. Tommy fece appena in tempo a immaginare Julie che camminava lentamente lungo il corridoio prima che il pensiero allarmante di lui che la raggiungeva per una colazione di rappacificazione lasciando andare via Adam da solo lo facesse raggelare. Riuscì appena a voltare di nuovo il viso verso il proprio ragazzo prima che quest’ultimo glielo afferrasse con la mano destra, senza fargli male ma con fermezza, ignorando la sua espressione preoccupata e concentrandosi invece sui suoi occhi grandi e ancora lucidi di sonno. Quando parlò, il diciassettenne si stupì della rapidità con cui l’affetto era andato a sostituirsi al tono irremovibile di poco prima.

- Non esiste che gliela faccia passare liscia dopo quello che ti ha fatto, d’accordo? Non esiste che qualcuno possa approfittarsi di te, costringerti a fare ciò che non vuoi o a essere ciò che non sei senza poi dover fare i conti con il sottoscritto – fremette Adam, chiudendo gli occhi e appoggiando la propria fronte alla sua, come a volersi assicurare ancora una volta che l’opera di quei bulletti arroganti non gli avesse portato via niente del suo TJ. - Hai capito perché lo faccio? Riesci a capirmi?

Sottraendosi piano a quel contatto così intimo, Tommy scosse la testa con espressione addolorata.

- So che vuoi farlo per me, ma questo non la rende la cosa giusta da fare.

Spaesato, Adam lasciò andare il suo viso e rimase a fissarlo qualche secondo ancora, come scavando nei suoi occhi alla ricerca di ciò che li separava dall’essere d’accordo, ma alla fine il risentimento che covava dentro dal giorno prima ebbe la meglio e l’espressione del maggiore ridivenne inflessibile prima che il suo braccio si allungasse oltre Tommy per aprirgli la portiera in un invito esplicito a togliersi di torno.

- Scendi – comandò infatti, freddo. - Devo arrivare a scuola prima dell’inizio delle lezioni.

Ma Tommy non si mosse, rigido sul sedile, né distolse lo sguardo dagli occhi che ormai non lo guardavano più, di nuovo concentrati sull’asfalto che bramavano di lasciarsi alle spalle in una corsa folle. Se non mi muovo, lui non ci andrà, pensò Tommy. Non lo farebbe davanti a me, non correrebbe mai il rischio di coinvolgermi in qualcosa che riconosce come potenzialmente pericoloso.

- Ad, ti prego, ragiona… - riprovò con un tono che sfiorava la supplica, ma a quel punto Adam, che a quanto pare aveva già superato la soglia ultima di sopportazione, gli sganciò la cintura con un pugno e lo spinse fuori dalla macchina con una violenza tale che Tommy pensò che un attimo dopo sarebbe caduto faccia a terra sul marciapiede. Invece il maggiore si dimostrò abbastanza protettivo da non mollare il suo polso finché non fu certo della capacità del giovane di mantenere l’equilibrio una volta sceso, e solo allora lo lasciò a caracollare davanti a casa per partire in quarta senza alcun preavviso.

- Ad, no! – urlò Tommy, ma quando si voltò per rincorrerlo la macchina stava già svoltando alla fine della strada, in direzione del liceo.

Tommy si morse le labbra a sangue e fendette l’aria col braccio per la frustrazione, ma poi, determinato a non perdere neppure un secondo di tempo prezioso, si precipitò verso la porta di casa, appuntandosi in mente di far pagare al proprio ragazzo i modi bruschi e la sconsideratezza più tardi, dopo essersi assicurato che schivasse guai di cui sembrava ignorare la portata. Trovando la porta d’ingresso aperta com’erano soliti lasciarla gli O’Reilly quando si trovavano in casa, il ragazzo si lanciò per il corridoio fino a raggiungere la soglia della cucina, oltre la quale fece appena in tempo a scorgere Rick, il suo giornale e la sua tazza di caffè e Julie impegnata a togliere un paio di toast caldi dal tostapane. Inutile dire che entrambi si presero un colpo vedendolo apparire a quel modo, per di più rosso in viso e con gli occhi sbarrati.

- Tommy! – esclamò Julie, che si riprese per prima dallo spavento, andandogli incontro con in mano un mestolo sporco di uova strapazzate. - Come mai sei già qui? Ti aspettavamo per la fine della settimana.

- Dov’è Adam? – intervenne a quel punto Rick, alzatosi in piedi per lanciargli un’occhiata confusa che stava già sfociando nell’inquieto. - È successo qualcosa?

- No! Cioè, sì! Si tratta di Adam – biascicò il giovane, angosciato, per poi concentrare lo sguardo implorante sul padre adottivo. - Dobbiamo sbrigarci, penso stia andando a cacciarsi in un casino.



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Capitolo 14
*** Diversamente padre, diversamente figlio ***


 

 

 

Grazie a Angelindisguise, anderson_criss ed Eclipse of Flame per le recensioni lasciate allo scorso capitolo e grazie a chi segue :)

La canzone del capitolo è My Father’s Eyes (Eric Clapton)

Buona lettura, fatemi sapere che ne pensate :)

 

 

 

 


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Adam arrivò in vista della scuola ai settanta all’ora. Sebbene lo schermo del cellulare gli assicurasse che mancavano quasi venti minuti al suono della campanella che avrebbe messo in salvo la sua preda, in quel momento far impazzire il contachilometri e stringere i denti erano il massimo dello sfogo di emozioni, rabbia e follia che il ragazzo potesse permettersi. Casa O’Reilly e il liceo di Finchley non distavano più di due chilometri l’una dall’altro e lui li aveva percorsi a una velocità proibitiva, eppure quel breve tragitto era bastato a trasformare la vivibilità dell’abitacolo della macchina in quella del cesso soffocante di un treno merci agli occhi di chi la stava guidando.

Adam sapeva di non poter aspettare un minuto di più prima di uscire da quel buco, diventato ormai decisamente troppo piccolo per contenere l’ira che era montata in lui al punto da non fargli più sentire salde né la mano sulla leva delle marce né le piante dei piedi sui pedali. Stava tremando tutto. Doveva uscire da lì e far inghiottire i denti alla merda che si era permessa di avvicinare Tommy, giudicarlo, deriderlo, minacciarlo, farlo bere, ferirlo, allontanarlo da lui. Sentì un fiotto di sangue bollente salirgli alla testa e dargli le vertigini al solo pensiero, e probabilmente quel nuovo accesso di rabbia ebbe un ruolo nel fargli fermare l’auto così bruscamente.

La frenata fu talmente violenta che gli pneumatici stridettero come gessetti su una lavagna, ma Adam non badò affatto alle occhiate esterrefatte degli innumerevoli liceali che riuniti lì attorno attendevano il momento di entrare in classe, invece scese e si diresse a grandi passi verso l’entrata vera e propria dei giardinetti della scuola, gli occhi fiammeggianti fissi sui cancelli spalancati, dimenticando di aver lasciato l’auto in mezzo al passaggio un secondo dopo essersi sbattuto la portiera alle spalle.

Giunto un metro oltre l’inferriata, si bloccò sul posto e si mise a setacciare l’intero piazzale con lo sguardo, pur non avendo idea di che faccia stesse cercando. C’erano vari gruppetti di ragazzi, ma ne sapeva davvero troppo poco e aveva troppo poco tempo per poter permettersi di affidarsi al caso, soprattutto perché la voglia di spaccare la faccia a chiunque, in quel preciso momento, non sembrava avere la benché minima intenzione di scemare.

Mordendosi le labbra per trattenersi dallo scoppiare, si avvicinò imperterrito al più vicino capannello di studenti, non indietreggiando dal proprio proposito neppure quando si accorse che erano solo quattro ragazzine sui quindici anni che sussultarono e rimasero paralizzate vedendo la sua espressione omicida.

- Sto cercando Shane Lawson – dichiarò senza preamboli, senza neppure sforzarsi di calmare il tremito nella voce mentre si rivolgeva direttamente ai loro occhi intimoriti. – Vi sarei infinitamente grato se mi diceste dove si nasconde quello stronzo figlio di troia, così che possa spaccare il culo alla persona giusta.

Le studentesse rimasero a fissarlo a bocca aperta per qualche secondo, come se stessero tentando di elaborare ciò che avevano appena sentito, ma poi quella che sembrava essere la meno timida del crocchio alzò il braccio destro e puntò l’indice in direzione del punto in cui due delle pareti di mattoni rossicci che inquadravano il cortile della scuola si incontravano in un angolo di novanta gradi abbastanza affollato dove, notò Adam, alcuni ragazzi ne stavano coprendo altri impegnati a rollare sigarette.

- Molto gentile – si congedò allora il ventiduenne, e dimentico delle ragazzine, gli occhi ridotti a fessure già puntati sulla meta, le superò per riprendere a marciare verso l’angolo.

Teneva i pugni stretti lungo i fianchi con tanta forza da sentire dolore, non riusciva più a controllare i muscoli facciali e aveva la sensazione che gli occhi gli fossero diventati due braci ardenti, almeno a giudicare dal modo e dalla rapidità con cui ogni studente che si trovasse sulla sua traiettoria si scansava, parandosi di lato per rimanere a osservare a occhi sgranati la sua avanzata, anche se Adam faticava a notarli. Ormai era arrivato a pochi metri dal punto indicatogli dalla ragazzina e, sebbene avesse individuato il gruppo di coloro che avevano attaccato Tommy in squadra, in quel momento la sua rabbia era diretta contro uno solo di quella combriccola. Doveva essere certo che il maggior responsabile di ciò che Tommy aveva subito nelle ultime settimane, nonché cocco di uno dei politici più platealmente omofobi dello Stato, fosse punito a dovere, delle restanti cagne in calore che passavano la loro vita a leccare il leader si sarebbe occupato più avanti.

- Lawson! – ruggì allora, continuando a camminare verso di loro e tenendo gli occhi spalancati per non perdersi le loro reazioni. - Fatti vedere, bastardo! Shane Lawson!

Molti studenti spostarono gli sguardi stralunati su di lui quando il suo grido riecheggiò nel cortile, e fra questi c’erano anche cinque della banda dell’angolo, ma solo il sesto, che quando quell’urlo lo colse stava dando le spalle allo spiazzo nel miglior tentativo possibile di celare la sua scatoletta di tabacco a occhi indiscreti, si voltò completamente per cercare il proprietario della voce, affrettandosi a riporre il piccolo contenitore metallico nella tasca dei jeans sbragati mentre socchiudeva le palpebre per scannerizzare Adam come il ventiduenne fece con lui in quel secondo che impiegò a raggiungere l’altro.

Si fermò a un metro da lui, senza scansare il suo sguardo interrogativo, ma anzi, cercandolo e aggredendolo. La scheda che ne uscì fu banale, per niente sorprendente: Shane Lawson era di un biondo accecante, come un attore di serie tv per bambini, occhi chiari, con tutta l’aria del tipico sportivo a livello liceale inseguito dalle ochette amanti dei vincenti. Il suo aspetto avrebbe potuto addirittura essere definito piacente se fosse stato facile passare sopra alla faccia da schiaffi e alla subdola presunzione che gli si leggeva in viso. E se Adam non avesse avuto idea di quello che aveva fatto a TJ.

- Sei tu Shane Lawson? – si premurò di appurare.

Il ragazzino lo esaminò da capo a piedi per poi tornare ai suoi occhi, incrociare le braccia e alzare un sopracciglio con fare sprezzante. Era evidente che si sentiva a proprio agio e al sicuro, spalleggiato com’era dai suoi cinque scagnozzi in allerta. - In persona, e tu chi cazzo saresti?

Il suono della sua voce non fece che aizzare ancora di più lo spirito collerico che aveva cominciato a imperversare dentro Adam non appena aveva realizzato che c’era un colpevole preciso per il cambiamento di Tommy. Quella era la voce con cui lo aveva deriso, la voce che aveva ordinato i drink per Tommy e quella che aveva costretto il diciassettenne a ingollarli per provare la sua mascolinità. Ricordare quella frase in particolare strappò ad Adam un sogghigno nervoso, devastante, segno che stava perdendo completamente il controllo di se stesso. Non vi era alcun dubbio che la virilità di Tommy fosse almeno mille volte superiore a quella del povero, piccolo Shane, che si accontentava di crogiolarsi in un rapporto di finto predominio fra amichetti e di sbattere in faccia il suo status alle proprie vittime, sicuramente guadagnandoci tutto il piacere di una vita. Tutto ciò faceva morire Adam dal ridere. E fu con quello stesso ghigno critico stampato in volto che il ventiduenne coprì con un passo anche la minima distanza che aveva lasciato fra se stesso e il bullo, trovandosi i suoi occhi slavati all’altezza del naso.

- Il mio nome non ti interessa, ma tu conosci quello del mio ragazzo – sibilò. - Thomas Ratliff ti dice niente?

A quel punto, sorprendendolo poco, Shane scoppiò in una risata marcia e voltò il viso verso destra, cercando con gli occhi l’approvazione dei suoi compari, che ben addestrati com’erano non ebbero alcun problema a ridere assieme a lui quasi in contemporanea. Attorno a loro, invece, era tutto silenzio, e se solo non fosse stato così concentrato sulla propria rabbia Adam si sarebbe reso conto che ormai almeno metà degli studenti presenti in cortile avevano gli occhi fissi su di loro e prestavano attenzione in religioso silenzio, in attesa dello scoppio.

- Oh sì, mi dice molto – esclamò a quel punto Shane, raggiante, battendo una mano sulla schiena di uno dei suoi cuccioli di gorilla. - La conosciamo tutti quella checca, non è vero, ragazzi? Ehi!

Shane urlò nel momento stesso in cui Adam lo afferrò per la parte anteriore della maglietta e senza troppi sforzi lo sollevò da terra, ma quel grido si trasformò in un lamento per niente mascolino quando il ventiduenne si fece largo con uno spintone fra i suoi compari impietriti e lo sbatté senza alcun scrupolo con la schiena contro il muro di mattoni, reagendo con una risatina alla paura che vide nei suoi occhi quando il ragazzo li riaprì.

- Oh, bene, chi è che si comporta da checca adesso? Mi sa che ti toccherà rivedere i ruoli, Shaney, perché posso dire di avere una certa esperienza e credimi, questo tuo bel gemito è la cosa meno virile che abbia mai sentito in vita mia.

- Che cazzo vuoi da me, frocio?! – si riprese però il ragazzo con rapidità invidiabile, e il terrore che Adam aveva visto nei suoi occhi un attimo prima diventò astio mentre il giovane cominciava ad agitarsi nella sua morsa d’acciaio. - Lasciami andare, troia schifosa!

Il ventiduenne ridacchiò di fronte a quella pretesa, quindi rafforzò la presa attorno al costoso benché all’apparenza comune capo di abbigliamento di Shane e avvicinò il volto al suo finché non fu certo che il proprio respiro gli arrivasse dritto in faccia. Il ragazzino tentò di sottrarsi, tirando indietro la testa, ma quando la nuca incontrò il muro scoprì di non avere altra scelta che soccombere, quindi serrò gli occhi come un bambino che le prova tutte per sfuggire ai mostri sotto il letto.

- Magari ti piacerebbe se lo fossi, eh? Così potresti sfogare tutta la tua sessualità repressa e dare la colpa a me, non credi? Ma siccome non puoi te la prendi con gli altri ragazzini – riprese invece Adam, sentendo le vene delle braccia sul punto di scoppiargli, tanto elevata era la velocità con cui il cuore aveva cominciato a pompargli il sangue in corpo al pensiero insistente, martellante che quel bulletto fosse la causa primaria del malessere dell’unica persona che amava più di se stesso. Avvicinò le labbra a quelle dischiuse e tremanti di Shane e strinse i denti, sentendo emozioni contrarie a quelle lo pervadevano quando accostava la bocca a quella di Tommy far rabbrividire ogni fibra del suo essere, quindi perseverò con un bisbiglio ostile: - Perché tu e i tuoi compagnetti non impiegate il vostro tempo a succhiarvelo a vicenda invece di dare fastidio a Tommy, eh? È molto più piacevole, magari lo sai. Ma probabilmente no – rifletté infine, tirando a sé Shane con uno strattone che lo fece sobbalzare di spavento e non facendosi problemi a premere le labbra contro il suo orecchio. Lo sentì tremare come qualcuno sul punto di pisciarsi nei pantaloni, e la cosa non fece che istigarlo ancora di più in direzione della propria vendetta: fargli provare quello che aveva fatto soffrire a Tommy, o andarci vicino, era proprio ciò che Adam voleva fin dall’inizio. La sua voce si ridusse a un soffio che avrebbe atterrito chiunque in quel cortile si fosse trovato al posto di Shane Lawson. - Perché sei ancora un verginello figlio di puttana che si fa le seghe quando mammina non guarda, pensando a quanto è forte e figo prendersela con quelli più deboli di te.

A quel punto Shane riuscì a riaprire la bocca e, in qualche modo, a tirarsi fuori qualche parola in forma di singhiozzo. - Lasciami andare…

- Lasciarti andare? Così presto, senza essermi chiarito con te? Oh, no. Sarebbe alquanto scortese da parte mia, non credi anche tu? – Insensibile ai lamenti del diciottenne, Adam lo staccò dalla parete solo per spingervelo di nuovo contro un attimo dopo, per ricordargli che poteva provocargli dolore quando voleva e rincarare la dose, scandendo le parole come se stesse parlando con un demente, il bastardo che si premurò di fissare dritto negli occhi: - Guardami. Guardami negli occhi, Lawson! Tu da oggi il mio ragazzo non solo non lo tocchi più con un dito, ma non lo avvicini neppure, mi hai sentito? Non ti devi azzardare a sfiorarlo neppure con lo sguardo, o ti giuro sulla mia vita che ti spacco questo bel musetto da ragazzina e questo tuo culo ammosciacazzi, intesi? Intesi, stronzetto figlio di puttana?!

Boccheggiante, Shane serrò di nuovo le palpebre e annuì freneticamente. - S-sì…

- Bene – fremette Adam, lasciando la sola mano sinistra a stringere la maglia del ragazzo per poter alzare in aria la destra stretta a pugno. - E che questo ti faccia da promemoria.

Alzò il pugno ancora più in alto, deciso a prendere la rincorsa migliore che potesse avere e a mollare a quel ragazzino il cazzotto più impietoso che avesse mai dato a qualcuno, vide Shane tornare a chiudere gli occhi con forza per prepararsi all’urto e sentì il proprio arto sferzare l’aria in direzione della faccia del diciottenne. Si preparò all’impatto, a lasciar andare la maglia di Shane in modo che rovinasse a terra, ma proprio all’ultimo momento si sentì trattenere.

- Adam, no!

Qualcuno alle sue spalle gli afferrò il braccio, per prima cosa, bloccandolo così che non potesse sferrare il pugno, quindi sentì un braccio muscoloso attorniargli il torace da dietro, da sopra la spalla, per tirarlo indietro di qualche passo. Senza domandarsi chi fosse, senza fermarsi a riflettere, Adam pensò solo a tentare di divincolarsi da quell’abbraccio forzato e costrittivo con tutte le proprie energie accresciute dall’adrenalina, ma chi si stava occupando di tenerlo fermo era saldo e non demorse neppure quando il ventiduenne cominciò a sferrare gomitate pur di liberarsi.

- Cristo… piantala di agitarti, sta’ fermo! Calmati, per l’amor di Dio! – esclamò a quel punto l’uomo, e solo in quel momento Adam riconobbe la voce di Rick.

Ma la consapevolezza di avere dietro di sé una persona che conosceva e non uno degli insegnanti del liceo, per qualche motivo sconosciuto, spinse Adam a provare ancora e con più forza a raggiungere Shane, lanciandosi verso di lui, che intanto era stato tirato in un angolo da due dei suoi compagni e rimaneva immobile a fissarlo con occhi brucianti di rancore nato dalla vergogna. Adam non riusciva neppure a concepire l’idea di lasciarlo andare senza colpirlo neppure una volta, perciò scoppiò a urlare mentre tendeva i nervi fra le braccia del padre adottivo di Tommy.

- Lasciamelo fare, Dio, lascia solo che gli metta le mani addosso!

- Smettila, Adam, ora basta! – abbaiò Rick dietro di lui, furioso come il ventiduenne non l’aveva mai sentito, quindi lo costrinse a voltarsi, gli lanciò un’occhiata di avvertimento che riuscì a far avvizzire almeno una parte del suo ardore, quindi gli attorniò le spalle e gli strinse il braccio fino a fargli male, guidandolo a grandi passi verso l’uscita senza aggiungere altro, ma sicuramente pronto a reagire in caso Adam si fosse intestardito e avesse deciso di tornare alla carica. Quando il ragazzo si azzardò anche solo a girarsi ancora una volta verso Shane, infatti, Rick si dimostrò rapido e sorprendentemente deciso nel costringerlo a guardare dritto davanti a sé con uno strattone, sibilando un avvertimento che solo lui poté udire: - Smettila. Vieni via.

Rick sarà stato alto appena un paio di centimetri più di lui, eppure Adam non fece fatica a comprendere che era abbastanza arrabbiato da sottometterlo con facilità, quindi almeno per il momento decise di smettere di ribellarsi e seguì il suo passo deciso verso i cancelli. Ormai tutti gli sguardi degli studenti presenti erano convogliati su di lui, ma Adam e Rick furono forse gli unici a non voltarsi verso Shane quando la sua minaccia riecheggiò nel piazzale, raggiungendo le orecchie di tutti.

- So chi sei! Conosco la gente giusta! Non finisce così, succhiacazzi!

- Guai a te se gli rispondi – ringhiò Rick, accelerando il passo, quando si accorse che Adam aveva stretto di nuovo i pugni, e il ragazzo si morse la lingua con forza per riuscire a obbedire.

In quell’istante il trillo della campanella d’inizio giornata scolastica li distrasse tutti per un attimo, strappandoli alla lotta che avevano ingaggiato fino a quel momento e suonando come il gong finale della rissa che Adam aveva scatenato contro Shane. Probabilmente grato del fatto che tutti gli studenti fossero ora obbligati a entrare nel liceo e non potessero invece rimanere e fissarli ancora a lungo, Rick trascinò il ventiduenne fin fuori, ma ignorò la sua auto abbandonata davanti ai cancelli e lo portò oltre, fin nel parcheggio vero e proprio, dove Adam poté subito riconoscere l’Audi di Rick in mezzo a tutte le altre automobili.

L’uomo non lo lasciò andare finché non ebbero raggiunto un lato della macchina. Fu così che Adam si accorse della presenza di Tommy su uno dei sedili posteriori della vettura, per l’esattezza quello più vicino al fianco dove si trovava lui, ed ebbe modo di sentirsi dispiaciuto della preoccupazione che fece in tempo a riconoscere nei suoi occhi un attimo prima che le urla di Rick tornassero a pretendere la sua attenzione.

- Che ti è preso, eh? Sei uscito di testa?! Oh, non ci pensare neppure! – lo redarguì l’uomo, afferrandolo per una spalla e costringendolo ad affrontarlo quando il ventiduenne si portò una mano alla nuca e si voltò per fare qualche passo nella direzione opposta, per scaricare i nervi, per tentare di recuperare almeno in parte il controllo, per fuggire, per respirare. Quando Rick lo obbligò a stargli di fronte, Adam lo guardò col capo chinato, gli occhi ancora adombrati dalla rabbia che aveva appena tentato di sfogare nel più diretto dei modi, ma il padre adottivo di Tommy non si lasciò sopraffare, anzi, gli puntò contro l’indice in segno di ammonimento. - Non provare neanche a voltarmi le spalle e ad andartene come se niente fosse, ragazzo, non dopo quello che ho dovuto vedere. Ti rendi conto che eri a tanto così da prendere a cazzotti un minorenne?!

Innervosito ancora di più dal fatto che lo stesse sgridando come un bambino, Adam puntò i propri occhi celesti in quelli di un azzurro acceso di Rick e non si fece più alcun problema a rispondere a tono, alzando la testa.

- Minorenne o no non fa differenza, non sai quello che quel bastardo e i suoi amici hanno fatto a Tommy!

- Questa è un’altra questione – replicò però l’uomo dopo aver messo da parte l’informazione in meno di un secondo. - Ma qualsiasi cosa gli abbiano fatto, ti sembra saggio agire come hai fatto tu, andare a farsi vendetta da solo? Se non ti avessi fermato avresti potuto finire in carcere, riesci a capirlo o devo farti uno schema?

- Non chiederò scusa per aver tentato di assicurargli protezione almeno in futuro – si difese Adam, parlando tra i denti e senza nessuna remora. - Lo rifarei anche adesso e questa volta andrei fino in fondo, perché il permessivismo nei confronti di coglioni come quello è ciò che ci ha portati a questo punto, è ciò per cui le cose sono andate così male ultimamente! Dio, Rick, pensavo mi avessi affidato Tommy questa settimana perché cercassi di risolvere le cose!

Si rese conto di essere stato sfrontato un attimo dopo aver chiuso la bocca, ma ciò che più lo colpì fu la rapidità con cui lo sguardo che il padre adottivo di Tommy gli teneva puntato contro cambiò, passando dal furore della discussione a un gelo che fece sentire il giovane improvvisamente scomodo.

- Be’, forse ho commesso un errore.

Assieme a quelle parole Adam fu quasi sicuro di sentire il rumore di qualcosa che gli si spezzava dentro, come se il dolore legato all’improvviso mancare della fiducia di Rick nei suoi confronti fosse un qualcosa di fisico e non solamente un ammasso di parole ed emozioni contrastanti. D’altra parte l’uomo non gli diede il tempo di elaborare ciò che era appena successo né di ribattere, si limitò invece ad aprirgli la portiera del posto del passeggero, quello davanti a Tommy. Tommy che aveva sentito tutto e chissà come doveva sentirsi adesso. Con un’occhiata veloce, Adam si rese conto che lo stava ancora guardando con la stessa espressione angosciata.

- Monta in auto – gli ordinò a quel punto Rick, accennando con la testa al sedile, e il ventiduenne tentennò, non solo perché andare via con loro avrebbe significato lasciare la sua auto davanti all’ingresso della scuola, ma perché le occhiate che l’uomo gli stava lanciando erano tutt’altro che rassicuranti. - Adesso, Adam, non farmi discutere in mezzo alla strada!

A quel punto, ancora una volta e sebbene andasse contro la sua volontà, ad Adam non restò che fare come gli veniva detto. Non fu solo la preghiera silenziosa che si poteva leggere negli occhi attenti di Tommy a farlo capitolare, ma anche l’inconscia speranza di non lacerare anche ciò che era restato del buon rapporto con Rick. Perché sembrava così strano, eppure aveva la sensazione che fossero bastati dieci minuti a ridurli entrambi ai ferri corti l’uno con l’altro, perché anche dopo tutti i buoni trascorsi che avevano avuto l’ultima discussione, breve ma intensa, li aveva lasciati entrambi scottati.

Rick fece sbattere la portiera non appena il ragazzo si fu arreso a prendere posto in macchina e trattò la propria allo stesso modo quando risalì in auto al posto dell’autista e la mise in moto per poi partire seccamente. Il viaggio fu muto, imbarazzante e torse budella e cuore di tutti i presenti, ma per fortuna la casa era vicina e quando la vettura venne parcheggiata nel vialetto, Rick spense il motore e rimase immobile, le mani che stringevano ancora il volante come se si trattasse di un giocattolo antistress, lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé.

- Tommy, precedici in casa e di’ a Julie di seguirti in soggiorno – comandò dopo un attesa di un paio di secondi. - Noi vi raggiungeremo in pochi minuti.

Pur non potendo vederlo, Adam immaginò chiaramente come quelle parole spinsero Tommy a irrigidirsi e a rimanere fermo sul posto, in silenzio per un altro paio di secondi prima che il coraggio di ribattere venisse fuori. Erano state pochissime le occasioni in cui non aveva portato rispetto a Rick e ancora meno quelle in cui non gli aveva obbedito, principalmente perché non gli era mai stato difficile comprendere e condividere le decisioni del padre adottivo, che nella maggior parte delle occasioni ne discuteva con lui in precedenza, ma quella volta si sorprese ad avvertire una sorta di timore alla bocca dello stomaco e non riuscì a muoversi dal sedile dell’auto, le unghie piantate nella stoffa della federa.

- Non devi prendertela con Adam. Cercava solo di difendermi… ti prego, non prendertela con lui.

Il ventiduenne chiuse gli occhi sentendo un’angoscia che ben conosceva modellare il tono della voce di Tommy a suo piacimento. Quella che il più piccolo stava lasciando trasparire per lui in quel frangente era la stessa inquietudine che lo aveva reso succube quando aveva creduto che Adam lo avrebbe picchiato per essere fuggito da casa sua e aver raggiunto Gabriel Woodstone per l’ultima volta, la stessa di quando aveva saputo che una nuova famiglia adottiva lo avrebbe accolto a sedici anni e che avrebbe potuto essere foriera di altri abusi, la stessa di quando, solo tre giorni prima, Adam aveva promesso di prenderlo a botte in caso lo avesse fatto preoccupare tanto come quel giorno a Heavenly Coast. Non c’era nulla da fare, quel ragazzo avrebbe sempre temuto come la peste che qualcuno alzasse le mani su di lui o su chi gli stava più a cuore, ma fortunatamente Adam sembrava non essere l’unico ad averlo capito.

- Tommy – sospirò Rick, voltandosi finalmente verso il figlio adottivo per rivolgergli il suo sguardo più paziente e comprensivo. - Di cos’hai paura esattamente, che mi metta a picchiarlo? Non ti rendi conto che sarei a terra in due secondi? – gli fece notare, alludendo alla stazza di Adam, ma Tommy si limitò a deglutire e a continuare a fissarlo in attesa di una promessa che Rick si premurò di concedergli senza ulteriori giri di parole: - Non lo sfioro neanche il tuo ragazzo, d’accordo? Sai che non lo farei mai, in nessun caso. Ho solo bisogno di chiarirmi con lui e sono certo che tu puoi capirmi. Per favore, va’ in casa.

Solo allora Tommy rilasciò una parte della tensione in un sospiro, lanciò un ultimo sguardo alla nuca di Adam, quindi annuì e uscì dall’auto, chiudendo piano la portiera prima d’incamminarsi verso l’ingresso della casa color pastello con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e la schiena un po’ curva sotto il sole delle otto del mattino, senza più voltarsi a controllare. Il diciassettenne era appena sparito oltre la porta d’entrata quando Rick si decise a spezzare di nuovo quell’insopportabile silenzio, sospirando pesantemente e portando le dita della mano destra a massaggiarsi le tempie.

- Tu non hai idea di quanto il tuo comportamento di oggi mi abbia deluso – asserì un attimo dopo, la voce pesante di frustrazione, e Adam chinò il capo.

- Mi dispiace – mormorò, ed era la pura verità. Poteva anche essere pronto a tornare da Shane e a prenderlo a cazzotti, ma Rick aveva fatto tanto sia per lui che per Tommy, aveva dato a entrambi una famiglia e si faceva voler bene costantemente, perciò il rammarico di Adam per averlo contrariato non avrebbe potuto essere più sincero.

- Non vedo come avresti potuto reagire in maniera più stupida! – rincarò a quel punto l’uomo, sfogando parte del nervosismo sbattendo le mani sul volante, ma Adam rimase immobile anche quando i suoi magnetici occhi azzurri tornarono a fissarlo in attesa di una spiegazione che fosse tale. – Da che ti conosco ti sei sempre dimostrato un ragazzo avveduto ed educato, perché hai corso il rischio di buttarti via in quel modo? È qualcosa che mi fa imbestialire, Adam, e la cosa peggiore è che non riesco a spiegarmelo!

Adam continuò a tenere gli occhi fissi sulle ginocchia, sentendo un profondo disagio ora che la collera nuda e cruda era evaporata quasi del tutto, ma strinse la stoffa dei pantaloni che indossava senza darsi pensiero delle pieghe.

- Volevo giustizia per Tommy – affermò, cercando di tirare fuori più di un filo di voce, e a quel punto Rick s’infervorò di nuovo.

- Tommy avrà giustizia! Qualsiasi cosa gli abbiano fatto, ti giuro che l’avrà perché me ne assicurerò personalmente, ma questo non toglie che colpendo quel ragazzo saresti entrato nel torto anche tu e questo sì che ci avrebbe impedito di avere giustizia! – sbottò, facendolo imbarazzare più che mai.

Adam non aveva mai avuto accanto una figura maschile che avesse l’età adatta a fargli da padre e si comportasse come tale, biasimandolo o punendolo quando lo meritava invece che a prescindere dal suo comportamento, come avevano fatto tutti i suoi padri adottivi. O forse una volta lo aveva avuto, prima della morte del suo vero padre, ma non poteva ricordarlo. Aveva dovuto sempre imparare tutto da solo, darsi delle regole e una morale, e infatti ci era voluto del tempo perché il giovane si abituasse al mondo e al suo modo di girare una volta compiuti i diciott’anni, e comunque l’aiuto di Kevin e Alison era stato fondamentale. Ora invece Rick sembrava comportarsi come il genitore responsabile che gli era sempre mancato e lui vi era talmente poco abituato da non sapere davvero come ribattere ad accuse che ad ogni colpo gli sembravano più sensate, mentre a ogni secondo che passava il suo comportamento di poco prima perdeva una buona manciata di motivi di essere ritenuto corretto. A un certo punto credette addirittura che Rick sapesse leggergli nel pensiero, perché continuò il discorso con più calma, cogliendo nel segno ma evitando di alzare la voce, conscio del disagio del giovane.

- Non sono tuo padre, Adam, lo so – riprese con quello che aveva tutte le caratteristiche di un sospiro rammaricato, e il ventiduenne fu così stupito che trattenne il respiro. – Ma se mi sento in diritto e in dovere di rimproverarti è perché è da quando ti conosco che ti considero tale e quale a un figlio. Ti voglio bene e so quanto ve ne volete tu e Tommy, ma questo non toglie che sono soprattutto il suo tutore, perciò ti devo avvertire – Fece una pausa, e che fosse nata per essere ad effetto o no, funzionò: Adam si voltò per poterlo guardare negli occhi, occhi seri che, per quanto affetto celassero nei suoi confronti, non lasciavano scampo. - Se lascerai che cose come questa succedano di nuovo, non so quanto sarò propenso a lasciare che tu e Tommy continuiate a frequentarvi. Sei il suo modello di riferimento e fino a oggi sono sempre stato fiero di questo, ma se diventassi un cattivo esempio da seguire non esiterei ad allontanarlo da te.

Sconcertato, Adam sbarrò gli occhi e prese a inciampare nelle parole senza nemmeno rendersene conto, realmente spaventato dalla prospettiva. - Rick, io…

- Non voglio sentire promesse né tantomeno proteste, Adam – lo interruppe però l’uomo, per poi appoggiarsi alla maniglia della portiera, aprirla e infilare una gamba fuori, facendogli capire che considerava la questione chiusa. Prima di uscire, gli rivolse solo un’ultima occhiata e un ultimo monito severo: - Cerca solo di comportarti in modo da non offendere la tua intelligenza né la stima di Tommy nei tuoi confronti d’ora in poi.

Rick uscì evitando di sbattere la portiera in malo modo e seguì i passi di Tommy verso casa. Adam rimase in auto ancora un attimo, invece, prendendosi il tempo di reclinare il capo all’indietro contro il poggiatesta, chiudere gli occhi e respirare a fondo finché non sentì che aveva rimediato alla carenza di ossigeno degli ultimi minuti. Riconosceva di star reagendo come un marmocchio permaloso, ma il fatto che Rick gli avesse appena fatto la paternale lo indispettiva non poco. D’altra parte sapeva che il padre adottivo di Tommy aveva ragione, glielo diceva quella parte responsabile del suo essere a cui negli ultimi anni aveva quasi sempre dato ascolto: se non fosse finito nei guai per il modo in cui aveva assalito Shane Lawson sarebbe stato un miracolo, e doveva ringraziare Rick e Tommy, che l’aveva avvertito, se poteva aggrapparsi alla speranza di non finire al fresco per aggressione a un liceale.

Forse essere una famiglia vuol dire anche questo, realizzò un attimo prima di uscire dall’autovettura.

Casa O’Reilly era magnifica e tiepida sotto le luci di quel mattino d’aprile, e Tommy stava per confessare finalmente tutto ai suoi. Era più grande, era il suo ragazzo, era molto meno indifeso e aveva molti meno problemi di lui in quel momento, perciò mise da parte i drammi personali e raggiunse a sua volta la porta di casa, pronto a calarsi nel ruolo dell’appoggio che era sempre stato per Tommy.

 

Quando Adam si fermò sulla soglia del salotto, provò un indefinito moto di affetto nell’accorgersi che, nonostante l’arrabbiatura e lo sconforto nei suoi confronti, Rick aveva trattenuto chiunque dall’iniziare la conversazione in sua attesa, proprio come se lo ritenesse ancora indispensabile. Salutare Julie con la brutta copia di un sorriso e superare la poltrona sulla quale si era seduto il capofamiglia per raggiungere Tommy e sedersi accanto a lui sul divano biposto mise un poco in imbarazzo il ventiduenne, che non riusciva a smettere di pensare alla durezza delle parole di Rick, ma nell’attimo in cui il diciassettenne cercò i suoi occhi per farsi coraggio, Adam gli diede tutto il sostegno che poté. Scivolando accanto a lui, gli sfiorò la mano e annuì con decisione, incitandolo a prendere la parola.

A quel punto il ragazzo chinò lo sguardo e così rimase per abbastanza tempo da far credere al più grande che avrebbe dovuto aiutarlo a tirare fuori la verità. Ma, proprio quando Adam stava per aprire bocca e cominciare a raccontare al posto suo, Tommy respirò profondamente nel silenzio assoluto gelosamente conservato da Rick, Julie e dai loro sguardi attenti rivolti al figlio adottivo, alzò il capo, guardò i genitori che aveva accettato nella propria vita, percepì per l’ultima volta il peso di tutta la loro preoccupazione pesargli sulle spalle e solo allora si decise a ripetere, pian piano e con le dovute pause, tutto ciò che aveva confessato al proprio ragazzo solo il giorno prima.

Non impiegò molto a dire tutto ciò che Adam sapeva già, ma nessuno dei presenti osò interromperlo nonostante la rigidità degli occhi azzurri di Rick e l’orrore in quelli scuri di Julie paressero aumentare smisuratamente a ogni frase che gli toccava sentire. Quando infine Tommy tornò a fissarsi le dita in continuo movimento e tacque, con più nulla da aggiungere, un silenzio tombale si riappropriò del soggiorno per almeno una manciata di secondi prima che l’unica donna presente si alzasse dal bracciolo della poltrona del marito per correre a stringere il figlio adottivo in un abbraccio al quale Tommy si abbandonò completamente e senza alcuna remora, aggrappandosi alla donna e seppellendo il volto nella sua spalla giusto una frazione di secondo prima di scoppiare in singhiozzi, sopraffatto dal bagaglio di emozioni che si era tenuto dentro per troppo a lungo.

- Oh, Tommy – sussurrò la donna fra i capelli biondi del ragazzo, carezzandogli dolcemente la schiena e lanciando un’occhiata afflitta al marito mentre Adam si appoggiava alla gamba del diciassettenne e gli premeva un bacio sulla tempia per cercare di tranquillizzarlo.

- V-va tutto bene – dichiarò però Tommy a mezza voce dopo essersi sfogato nel pianto per meno di un minuto, riemergendo dalla stretta rassicurante della donna e asciugandosi rapidamente gli occhi prima di alzare il viso verso di lei e accennare un sorriso a beneficio suo e di Rick. - Adesso che vi ho raccontato tutto mi sento molto meglio.

A sua volta sull’orlo delle lacrime, Julie ricambiò quel sorriso incerto, si accucciò davanti a lui per posargli le mani sulle guance calde e lo baciò in fronte in uno slancio di amore materno che, non c’era alcun dubbio, Adam avrebbe sempre invidiato e per il quale avrebbe sempre reso grazie, tanto era felice che Tommy avesse accanto dei genitori tanto dediti.

- È vergognoso che tu abbia patito tutto questo e così a lungo, è… è disgustoso – commentò la donna un attimo dopo, dando una stretta di conforto alla mano di Tommy prima di voltarsi verso il suo consorte con uno sguardo che ora brillava dalla determinazione. - Dobbiamo fare qualcosa, Rick.

Senza bisogno di riflettere oltre, Rick fu subito in piedi. Può darsi che avesse ricevuto la notizia reagendo in un modo che avrebbe potuto apparire più freddo di quello della moglie, ma certamente non si poteva dire che avesse incassato il colpo senza rimanere trafitto dalla gravità dei fatti, e la risolutezza con cui si mosse ne era una prova.

- Senza dubbio. Chiamerò la scuola immediatamente perché prendano provvedimenti nei confronti di quei ragazzi, e sarà meglio per loro che siano provvedimenti severi – sentenziò, per poi rivolgere al diciassettenne un’occhiata apprensiva, piena di indulgenza. – Ti chiedo scusa se non abbiamo fatto di più per capire ciò che ti stava succedendo, Tommy, dev’essere stato terribile per te.

- No – fece però il ragazzo, deglutendo e scuotendo la testa. – No, voi non avete colpa, avete fatto di tutto per venirmi incontro, sono io che…

- Sssh, è finita – intervenne Julie, sollevandolo da ogni ulteriore obbligo di scuse e tornando ad accarezzargli il volto con delicatezza. – Non c’è più niente di cui preoccuparsi adesso, d’accordo, tesoro? È tutto finito.

Tommy annuì, grato, sorridendole ancora con la solita debolezza. – Vi dirò i nomi di tutti quanti, così potrete dirli al preside.

- Bravo – approvò Julie, per poi appoggiarsi alle ginocchia e rimettersi in piedi, asciugarsi in fretta gli occhi e piantarsi le mani sui fianchi nella migliore interpretazione della guerriera che era sempre stata. - Ma adesso riprendiamoci, d’accordo? Per il momento basta pensare a cose spiacevoli. Ci siamo chiariti, siamo di nuovo tutti insieme ed è meraviglioso, dobbiamo festeggiare. Adam, caro, resti a pranzo con noi, vero?

Il ventiduenne aprì la bocca e fece per rispondere, ma Rick lo anticipò.

- No, adesso Adam va a casa.

Tutti si voltarono verso l’uomo, meravigliati da quell’uscita, ma i suoi occhi chiari erano puntati su Adam e il ragazzo non ebbe alcuna difficoltà a riconoscervi la stessa intransigenza che gli era stata riservata pochi minuti prima, in auto, durante la strigliata che il giovane sentiva ancora bruciare addosso come un marchio. Chinò lo sguardo, nuovamente coperto di disagio e con uno strano calore che gli saliva alle guance, e cercando di limitare al massimo l’imbarazzo inghiottì per trattenersi dal replicare e si affrettò a rimettersi in piedi.

- Sì, io… devo portare a casa la valigia, mettere a posto… è meglio che vada – improvvisò, affrettandosi a lasciare due baci leggeri rispettivamente sulla guancia di Tommy e su quella di Julie prima di accennare un saluto con la mano in direzione di Rick e raggiungere il corridoio a grandi passi, ormai voglioso di tirarsi fuori da quella situazione ma soprattutto di sottrarsi alle occhiate di rimprovero del padre adottivo di Tommy, per quanto sapesse che Julie sarebbe rimasta confusa dal suo comportamento, non avendo ancora idea di cosa fosse successo a scuola.

- Nel caso la scuola mi dia un appuntamento per domani, ti farò sapere in giornata – lo trattenne però la voce di Rick prima che potesse andarsene, e girandosi Adam vide che i suoi occhi, fissi su di lui, erano tornati neutri. - Immagino vorrai accompagnare me e Tommy.

Quell’offerta lo sorprese abbastanza da renderlo incapace di replicare con prontezza. Rick lo aveva appena invitato con un rigore mai visto prima a togliersi dalle scatole, lasciando intendere che era meglio non si facesse vedere più per un po’ di tempo, ma era disposto a incontrarlo di nuovo già il giorno seguente? Addirittura a chiedergli se gli avrebbe fatto piacere affiancarlo nell’incontro durante il quale finalmente anche il preside del liceo di Tommy avrebbe saputo degli atti di bullismo nei confronti del ragazzo e avrebbe quindi assegnato le dovute punizioni ai colpevoli? Che gioco stava giocando? Lo faceva solo per il figlio?

Adam non lo capì nell’immediato, ma si costrinse ad annuire con decisione di fronte a Rick, che era rimasto a scrutarlo in attesa di una risposta.

- Sì, certo… ci terrei davvero – farfugliò, esitante come chi crede che le proprie parole potrebbero essere usate contro di lui, ma a quel punto Rick si limitò ad assentire, almeno moderatamente soddisfatto.

- Bene. Ora puoi andare.

- Certo… ciao a tutti – si congedò il ventiduenne, alzando un’ultima volta la mano per includere tutti nel saluto ed evitando di soffermarsi sugli occhi di Tommy e Julie abbastanza a lungo da impappinarsi, quindi con le orecchie che gli scottavano per la vergogna volse le spalle al salotto e con pochi passi raggiunse la porta d’entrata e uscì, chiudendosela alle spalle.

L’aria all’esterno gli sembrò immensamente più fresca di quella che aveva respirato nel soggiorno e il giovane ne approfittò per ingoiarne grosse boccate e chiudendo gli occhi mentre cercava di riprendersi dal modo in cui Rick lo aveva, forse in fondo giustamente, trattato. Non aveva altri termini di paragone per valutare la sua sgridata oltre alle volte in cui Kevin gli aveva tirato le orecchie, ma mentre s’incamminava in direzione del liceo per recuperare la propria auto pensò che almeno camminare per qualche decina di minuti lo avrebbe potuto aiutare a riflettere su ciò che l’uomo che non era suo padre, ma che senza dubbio si era appena approcciato a lui come tale, gli aveva fatto notare.

Aveva appena lasciato il vialetto dove Rick aveva parcheggiato la macchina per imboccare il marciapiede quando un rumore alle sue spalle lo trattenne.

- Ad.

Sentendo la voce a lui più familiare in assoluto chiamarlo, il ventiduenne si voltò di nuovo verso casa O’Reilly mentre il calore dato dal sollievo gli invadeva il petto. Sorrise vedendo la figura vestita di scuro di Tommy che lo aspettava appena fuori dalla porta d’entrata, le mani affondate nelle tasche, l’aspetto adorabile di un bambino esausto e in disordine.

Amore, pensò Adam, e, dopo aver controllato che nessuno li stesse spiando dalla finestra del salotto, lo raggiunse.

 

 

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Capitolo 15
*** L'asfalto brucia ***





Grazie infinite a anderson_criss, Eclipse of Flame, and soon the darkness_ e Sunset_Lily per le recensioni allo scorso capitolo, grazie a chi mette “mi piace”, grazie a chi segue in qualunque modo e tempo <3

La canzone del capitolo è Smooth Criminal (versione Glee)

Buona lettura :)

 





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Mentre si avviava per raggiungere Tommy davanti alla porta di casa, Adam si sarebbe aspettato di tutto - un abbraccio, un bacio, un sorriso o magari una battutina acida su quanto si fosse comportato da cretino, tutto sommato -, ma non ciò che effettivamente gli arrivò non appena si ritrovò davanti al suo ragazzo. Ebbe a malapena il tempo di rendersi conto che l’espressione severa del ragazzino non si sarebbe trasformata in un sorriso prima di ritrovarsi a dover tentare di tutto per ripararsi dalle manate che Tommy cominciò a rifilargli ovunque potesse, dai fianchi al torace, dalle braccia alle spalle, a denti stretti e con una violenza di cui il più grande non lo credeva nemmeno capace.

- Auch… auch! Tommy, smettila! Mi stai facendo male sul serio!

Il maggiore gli volse la schiena, tentando di proteggersi come meglio poteva dagli schiaffi, ma Tommy non si placò affatto.

- È proprio quello… - sibilò invece, mollandogli l’ultima sberla sulla schiena. - … che voglio!

Quando si rese conto che la gragnuola di colpi era terminata, Adam tornò a fronteggiare il ragazzo e gli puntò contro uno sguardo confuso quanto ferito. - Perché?!

- Perché non dovevi farlo! – scoppiò l’altro, rosso in viso e col fiato corto per lo sforzo di picchiarlo abbastanza forte e abbastanza a lungo da fargli male, e per la prima volta da quando Rick lo aveva prelevato Adam capì che l’uomo non era il solo che aveva fatto andare di matto col suo comportamento. - Non dovevi trattarmi in quel modo e non dovevi andare a cercare Shane da solo! Non capisci che se non ti ho detto niente per così tanto tempo era proprio per proteggerti e per impedirti di fare stronzate? E non appena puoi ti metti nei casini! Perché cazzo non hai pensato alle conseguenze?

Quell’ultimo urlo fu talmente incisivo e il fremito in fondo alla voce di Tommy così doloroso per Adam, che il ventiduenne trasalì e chinò un attimo lo sguardo a terra, mordendosi il labbro. Non solo non si era reso conto di avergli mancato di rispetto nell’urgenza di correre a cercare Lawson per fargliela pagare, ma non credeva nemmeno di averlo fatto preoccupare tanto come invece denunciavano i suoi occhi ardenti.

- Immagino di dover essere grato a te e a Rick per avermi fermato… - tentò di rimediare, con cautela, ma Tommy lo bloccò subito, le ciglia orlate di lacrime che sarebbero risultate invisibili se non fosse stato per l’estrema vicinanza di Adam e il favore della luce del sole.

- Non parlo solo delle conseguenze legali! Shane vorrà vendicarsi! Lo ha detto fin dall’inizio di tutta questa merda, che se avessi rivelato quello che mi faceva a qualcuno si sarebbe vendicato anche su di te! È per questo che avresti dovuto trattenerti, aspettare e lasciare almeno che ci pensasse la scuola! Ora verrà a cercarti! – gridò il diciassettenne, atterrito, e dopo essere rimasto a fissare per un altro paio di secondi il proprio ragazzo, il quale per un momento non seppe come replicare di fronte a tanto sconvolgimento emotivo, si portò una mano alla faccia per seppellirvela e prese a scuotere la testa, scoraggiato a morte.

Solo allora Adam riuscì a riflettere abbastanza lucidamente da capire per che cosa si stava disperando, così si arrischiò a muovere un passo avanti e si assicurò che al giovane fosse passato del tutto il bisogno di malmenarlo. Quindi lo circondò con le braccia e lo attirò a sé con la delicatezza che avrebbe riservato a un bambino di porcellana, fino a stringere il suo corpo al proprio e ritrovarsi metà del suo viso bollente premuto contro il petto. Ne sentiva la temperatura da influenza attraverso la stoffa fine della maglietta, ma sapeva che si trattava solo d’agitazione, nonché di un principio di pianto.

- Tommy, calmati – gli mormorò all’orecchio, stringendogli una spalla per strapparlo all’angoscia anche solo per un istante, così che gli prestasse ascolto. - Che cosa vuoi che possa farmi un ragazzino? Quello non mi conosce neppure, non frequento il liceo e non sono per niente indifeso come lo sei tu fra quelle quattro mura. Anche se, basandomi sulle sberle che mi sono beccato un attimo fa, sarei pronto a giurare che hai un destro niente male – concluse con una smorfia, e sentendolo ridacchiare sciolse l’abbraccio per potergli parlare guardandolo negli occhi. - Non preoccuparti per me, dolcezza. Non mi accadrà niente.

Dopo essersi passato rapidamente i palmi delle mani sugli occhi per portare via quei pochi residui di sale che non aveva lasciato cadere in forma di lacrime, Tommy gli lanciò un’altra occhiataccia inflessibile. - Però promettimi di stare attento e di non fare altre cazzate. E di chiamarmi quando arrivi a casa!

- Va bene, papà – sghignazzò Adam, allungandogli un buffetto sulla guancia. - Tutto purché mi perdoni.

Continuò a sorridere, ma lo sguardo che lo trapassò fu implacabile.

- Non te lo meriteresti.

- Sei serio? – tenne duro il più grande, prendendogli il viso tra le mani e accarezzandogli gli zigomi con i pollici finché non riuscì a farlo rilassare.

- D’accordo, scuse accettate – si arrese infine Tommy, sconfitto da tutte quelle premure. – In fondo immagino che dovrei anche ringraziarti per essere corso a prendere le mie parti in quel modo. Penso sempre che sia stata una stronzata – si affrettò a specificare quando rivide quel familiare sorrisetto compiaciuto farsi largo sul volto di Adam, però alla fine non si trattenne dal posargli le mani sul petto e sospirare, mentre le labbra gli si piegavano spontaneamente per rispondere a quelle dell’altro. - Ma è stato anche dolce da parte tua.

- Bene, allora direi che ognuno di noi ha un debito da saldare – sentenziò Adam, crogiolandosi nel suo perdono e servendosene per avvicinare il viso a quello del più piccolo e unire senza alcun preavviso le labbra alle sue, aspettando che il ragazzo si riprendesse dalla sorpresa e le schiudesse, lasciandolo libero di approfondire il bacio.

Solo allora Adam cominciò a tentarlo con la lingua, prima sulla parte interna delle labbra, lentamente, come sapeva piacere a Tommy. Si lasciò scappare un mugolio quando le dita del ragazzo si curvarono ad artiglio, graffiandogli appena la pelle del torace, ma non interruppe quel contatto così intimo finché non ebbe più fiato. Solo allora, ansimante, si separò dalla bocca del diciassettenne e sorrise vedendolo boccheggiare, la fronte che subito andò ad appoggiarsi alla sua guancia sinistra.

- Adesso tocca a te – bisbigliò Adam, già di per sé soddisfatto, muovendo il viso per strusciarsi contro la pelle del più giovane perché non si aspettava altro che due coccole, ma ancora una volta la risposta di Tommy lo stupì.

Sarà stato a causa del colpo al cuore che gli aveva fatto prendere o forse del fatto che nelle ultime ore lo aveva sentito particolarmente lontano, ma la sua reazione fu quella di chi aveva raggiunto il limite della gelosia, della preoccupazione, del terrore di perdere chi gli permetteva di respirare, come se Tommy volesse far evaporare ogni singola goccia di timore che sentiva in corpo attraverso il tentativo – simbolico, più che altro, nonché totalmente superfluo se visto da un occhio esteriore – di riappropriarsi di Adam. O meglio, come se volesse designare Adam una sua proprietà, un qualcosa che non doveva essere segnato da labbra altrui, toccato da mani che non fossero le sue, gettato in pasto alla crudeltà di quella vasta parte di mondo che il ragazzino disperava invano di poter controllare.

Quanta paura Adam lesse nei suoi gesti mentre si lasciava condurre dietro l’angolo di casa, lontano dalla strada così come dalle finestre, e quanta fermezza quando il giovane lo costrinse con le spalle al muro, bloccandogli le braccia alla parete per poi chinarsi sul suo collo, premergli le labbra aperte su una piccola porzione di pelle e cominciare a succhiare con decisione, senza nemmeno avvisarlo. Ad Adam mancò il fiato e sentì una scintilla di piacere salirgli fino all’ombelico quando Tommy succhiò più forte un secondo prima di riprendere fiato e ricominciare, insistendo sul succhiotto ancora per diversi secondi prima di prendergli quello stesso lembo di pelle tra i denti e mordicchiare insistentemente il punto dove presto sarebbe apparso il livido. Preso alla sprovvista, Adam serrò gli occhi, gemette più forte inarcando il collo e si sorprese a respirare a fatica quando infine Tommy passò a confortare la pelle appena torturata con piccoli baci umidi, gentili, che fecero riscoprire al più grande la morbidezza delle sue labbra.

Quando i loro occhi si ritrovarono, Adam era incredulo mentre Tommy non avrebbe potuto apparire più serio, sicuramente più in pace con se stesso rispetto a prima. Non gli lasciò neppure il tempo indispensabile a riprendersi quel tanto da spiccicare parola, ricordandosi improvvisamente della promessa appena fatta a Rick: cinque minuti per chiarirsi con Adam e salutarlo, non di più. Ed era certo fossero già abbondantemente passati sopra le loro teste.

- Ci vediamo domani, okay? – disse, inumidendosi le labbra provate prima di prendergli il viso tra le mani. – Scrivimi ogni fottuta ora per dirmi che stai bene o giuro che m’incazzo sul serio.

Temendo che Rick sarebbe stato costretto ad andare a chiamarlo se solo si fosse trattenuto un attimo di più, sgusciò via senza aggiungere altro, correndo verso la porta di casa e lasciando Adam ancora immobile e basito col suo morso d’amore sempre più visibile su un lato del collo, abbastanza in alto da rendere impossibile a chiunque non notarlo.

Solo una volta raggiunta la propria auto il ventiduenne avrebbe capito che Tommy aveva reagito in quel modo per sfogare il bisogno di tenerlo al sicuro, stretto a sé anche ora che la presunta minaccia di Shane incombeva. Ma in quel primo momento di spaesamento, fermo in piedi contro una delle pareti esterne di casa O’Reilly, nascosto dietro un cespuglio come un adolescente in cerca di spazio, Adam percepì solo il piacere e l’orgoglio derivanti dal fatto che Tommy avesse voluto lasciargli un marchio di appartenenza. Quel ragazzino non solo non era mai riuscito a dirgli “ti amo” a voce, ma spesso era anche così distante che gesti come quello – anche se portati a termine in fretta, di nascosto, dietro una pianta a casa dei suoi – assumevano un valore non quantificabile.

Solo un paio di ore dopo, una volta tornato al silenzio del suo appartamento da single in città e aver gettato il borsone sul letto con la promessa di disfarlo prima di andare a dormire, Adam trovò il tempo e la calma necessari a riflettere più a fondo sulla discussione avuta con Rick, sulle sue parole quanto su quello che era stato il suo atteggiamento con lui, il figlio adottivo non ufficiale, quello su cui in sostanza non aveva nessun potere.

Seduto sul divano biposto che gli O’Reilly gli avevano regalato per il compleanno su consiglio di Tommy, il ventiduenne realizzò che gli avvertimenti di Rick erano serviti proprio come sostituti del diritto di imporre una decisione, un diritto che il tribunale aveva dato a Rick per quanto riguardava Tommy nominandolo suo tutore fino alla maggiore età, ma che nel caso di Adam mancava. Minacciarlo velatamente di non permettergli più di vedere Tommy era l’unico modo che l’uomo aveva trovato di castigarlo e di assicurarsi che si tenesse lontano dai guai, visto che per quanto lo considerasse un figlio non aveva il potere di metterlo in punizione e chiuderlo in casa.

Non intende veramente proibirmi di vedere Tommy, ma solo assicurarsi che non faccia qualche altra cazzata, comprese. E che diavolo, sa benissimo che nel mio caso non esiste miglior deterrente che mettere in mezzo la mia relazione con Tommy.

Dando un’occhiata all’ora e rendendosi conto che presto i liceali sarebbero usciti dalle aule, comprese un altro aspetto ancora della chiacchierata con Rick: quanta fiducia gli era costata lasciarlo andare via con la consapevolezza che avrebbe potuto correre a rovinare tutto, a distruggere ogni tentativo di ottenere giustizia per Tommy, semplicemente tornando a cercare Shane non appena compiuto un passo fuori dalla porta?

Solo quando se ne fu reso conto provò un sollievo tale all’idea di avere qualcuno su cui contare come su di un padre, qualcuno che lo chiamasse figlio nel proprio cuore e continuasse ad avere fede in lui anche dopo una delusione, che le lacrime gli annebbiarono la vista.

 

Quella stessa sera Rick lo chiamò per comunicargli che aveva parlato con la scuola e che la segreteria gli aveva fissato un appuntamento col rettore e con l’insegnante coordinatore di Tommy per il mattino seguente, prima delle lezioni. La voce dell’uomo rimase assolutamente normale per tutta la breve durata della telefonata e Adam lo prese come un indizio a favore della propria teoria: se non avesse combinato nient’altro, come promesso, Rick non avrebbe avuto altro da rimproverargli e con il passare del tempo sarebbe tornato a trattarlo con la solita confidenza, mettendo da parte il passato come premio per i suoi sforzi.

Il giorno dopo Adam si presentò puntuale nel parcheggio ancora vuoto del liceo e lì rimase a camminare nervosamente per una decina di minuti in attesa dei suoi accompagnatori. Quando però riconobbe due figure familiari svoltare l’angolo in fondo alla strada e dirigersi verso il liceo, s’impose di calmarsi e di accoglierli entrambi con un sorriso. Era sicuro che a Tommy non servisse alcun incentivo per sentirsi ancora più nervoso quel giorno, anzi, il diciassettenne sembrò apprezzare particolarmente il pensiero di Adam di circondargli le spalle con un braccio e rivolgergli un altro sorriso rassicurante prima che entrambi si avviassero assieme a Rick lungo i corridoi deserti della scuola, in direzione dell’ufficio del preside.

Sostenere il colloquio fu più semplice del previsto, anche se per iniziare a parlare Tommy ebbe bisogno che Adam, seduto accanto a lui, gli prendesse la mano da dietro la schiena e gliela stringesse per fargli coraggio. Per la terza volta Tommy raccontò tutto ciò che gli era stato fatto dai compagni di scuola e per la terza volta ricevette pieno ascolto, anche se il suo professore e il direttore scolastico si limitarono ad annuire, scuotere la testa e sospirare, per poi esprimere tutto il rammarico che provavano per quanto successo. Tommy fece semplicemente di sì con la testa, lo sguardo basso e le gote un poco arrossate dall’imbarazzo, ma Adam si sedette sul ciglio della sedia quando per i due uomini arrivò il momento di decidere che tipo di provvedimenti prendere. Il ventiduenne era determinato quanto Rick a non lasciare che i colpevoli se la cavassero facilmente, ma alla fine non ci fu alcun motivo per discutere, dato che la decisione del rettore si rivelò soddisfacente per entrambe le parti: Shane Lawson, Ennis Tolman, Blair Seabrook, Jeremy Audley, Ralph O’Connor, Martin Clark e i rispettivi genitori sarebbero stati convocati in separata sede per mettere a parte le famiglie di ciò che i loro figli avevano fatto, e in seguito a ciò ogni colpevole sarebbe stato sospeso dalle attività didattiche per due settimane e da quelle ricreative fino alla fine dell’anno scolastico. Per recuperare le materie in tempo per il diploma avrebbero dovuto trascorrere l’intero mese di maggio a scuola fino a sera tardi e il raggiungimento della sufficienza in condotta sarebbe stata possibile solo se si fossero comportati in maniera irreprensibile da quel giorno in avanti.

- Sfido qualunque college decente ad accettarli con un curriculum del genere – concluse il rettore, guardando negli occhi ognuno dei suoi ospiti. – Questa scuola segue una politica di tolleranza zero per quanto riguarda il bullismo e ti sono grato, Thomas, per aver avuto il coraggio di raccontare tutto.

- Io ringrazio voi per avermi ascoltato – bofonchiò allora il ragazzo, ancora un poco intimidito, ma sentendosi più leggero.

Dopo i dovuti saluti, Adam e Tommy lasciarono l’ufficio per rispettare la volontà dell’insegnante di Tommy di parlare con Rick da solo per qualche minuto. Mentre aspettavano passeggiando su e giù per i corridoi spopolati – la prima lezione della mattina era appena iniziata – entrambi rimasero in silenzio e mano nella mano, ma quando finalmente anche il signor O’Reilly uscì, il maggiore dei due lo raggiunse e gli si rivolse prima di perdere per strada il coraggio.

- Rick – lo chiamò, e quando quegli occhi azzurri lo raggiunsero deglutì, ancora un poco in soggezione dal giorno precedente. – Posso… credi che Tommy potrebbe uscire con me oggi, dopo le lezioni?

L’aveva buttata lì mettendo insieme le parole il più velocemente possibile, come un bambino impaurito, ma non avrebbe potuto farne a meno né ricavarne niente di meglio. Quell’uomo era ancora formalmente in collera con lui, dopotutto, e dopo le sfumature del loro rapporto venute a galla il giorno prima Adam si chiedeva se già quella proposta non avesse significato osare troppo. Ci rifletté sopra per qualche secondo, il tempo che Rick impiegò a decidere e durante il quale il ventiduenne sentì lo sguardo apprensivo di Tommy incendiargli la nuca.

Ma alla fine la severità dell’uomo capitolò.

- D’accordo, permesso accordato – sospirò, evidentemente abbattuto dalla supplica che aveva letto negli occhi di entrambi, per poi raccomandare: - A patto che lo riporti a casa per le nove. Domani ha scuola.

- Certo – annuì convinto Adam, un sorriso splendente da un orecchio all’altro.

Rick si limitò a fare un cenno col capo e ad ammiccare in direzione di Tommy prima di sparire, quasi sicuramente diretto al lavoro, ma il diciassettenne non attese più di cinque secondi prima di precipitarsi addosso ad Adam, scoppiando a ridere.

- Sei matto!

- Perché?

- E me lo chiedi? Dopo l’incazzatura che gli hai fatto prendere ieri te ne vieni fuori così, come se non fosse successo nulla!

Anche se si sarebbe volentieri tolto il cappello a sua volta di fronte alla disponibilità e al buon cuore di Rick, Adam fece spallucce come se il modo di ragionare di quell’uomo non avesse più alcun segreto per lui. – So cosa si aspetta da me e non è farti restare in clausura. Non è quella la mia punizione.

Il ragazzo si accorse dallo sguardo di Tommy che il più piccolo avrebbe tanto voluto indagare sul significato nascosto di quella frase, ma infine decise di rispettare la fragilità della situazione e andare oltre, per la precisione puntando a quella che era appena diventata un’allettante idea di doposcuola.

- Allora, che si fa dopo le quattro e mezza? – cinguettò, improvvisamente di buonumore, allacciando le braccia al collo dell’altro in un moto d’interesse, e Adam sorrise.

- Pensavo che per prima cosa potremmo strafogarci di gelato, poi… hm… proiezione del pomeriggio al cinema qua vicino? Non so che film diano, ma hanno una penombra assolutamente perfetta per pomiciare – considerò, posando le mani sui fianchi del più piccolo e capendo dal suo modo di sorridere furbescamente che su quel punto non avrebbe potuto trovarsi più d’accordo. - E poi ti porto a mangiare una pizza.

- Tutto questo in un solo pomeriggio? – commentò Tommy, colpito.

- Ovvio che sì. Dopotutto abbiamo due motivi per festeggiare.

- Mi è sfuggito qualcosa?

- Celebriamo il ritorno alla normalità – annunciò allora Adam con tutta la calma di questo mondo, per poi tenere l’altro sulle spine finché non riuscì più a trattenersi dal rivelargli la novità di cui era venuto a conoscenza solo quella mattina, appena sveglio. - Oltre al rinnovo del mio contratto di lavoro al Wreckage e al conseguente sostanzioso aumento del mio stipendio!

- Che cosa? – esclamò allora il diciassettenne, facendolo ridere di gusto. - Sul serio? Dai, non ne sapevo niente!

- Quello passato non era esattamente un periodo di prova, ma il capo mi aveva avvertito che avrebbe tenuto il mio stipendio bloccato per i primi quindici mesi di lavoro – spiegò il ventiduenne, elettrizzato quanto lui. - Ora che ho dimostrato le mie capacità, però, il salario è finalmente libero di lievitare.

 - Ad, è fantastico! Congratulazioni! Devi dirlo anche a Rick e Julie!

- Lo farò, ma volevo che tu fossi il primo – annuì il ragazzo. - Perché sai cosa mi rende più felice riguardo a quei soldi in più? – Tommy si affrettò a negare col capo, curioso, e Adam gli portò una mano alla guancia. - Il fatto che potrò usarli per venirti a trovare più spesso possibile a qualunque college sceglierai, l’anno prossimo.

Le labbra di Tommy si allargarono in un sorriso gigantesco che si chiuse in una risatina astuta. - O per farmi un fottio di regali.

- Oh, bene, significa che la mia presenza non ti basta per essere felice?

- Tu e il tuo corpo mi bastate per tutto – dichiarò il più giovane, avvicinando il volto al collo di Adam per leccargli con la rapidità del ladro il succhiotto ormai viola infieritogli il giorno prima, al che Adam si sentì rabbrividire.

- Ohohoh – lo fermò, afferrandolo per le spalle per farlo voltare e dargli una pacca sul sedere. - Fila in classe, signorino, prima di farmi eccitare e costringermi a prenderti nello sgabuzzino dei bidelli.

- Hm, che mente fervida ha il mio ragazzo – considerò Tommy con fare malizioso, e Adam scoppiò a ridere, dandogli una spinta più decisa.

- Vattene, depravato! Penserò più tardi ai tuoi bollenti spiriti.

- A dopo, allora. Porterò avanti l’orologio! – ribatté Tommy, e ridendo e salutandolo con la mano intraprese di corsa le scale che lo avrebbero portato in classe.

Non gli aveva raccomandato di nuovo di chiamarlo o di mandargli un messaggio ogni ora, si rese conto Adam. Era senza dubbio più tranquillo ora che la sua storia era stata raccontata tante volte da togliere di mezzo gran parte dell’imbarazzo, più sereno ora che sapeva che i suoi aguzzini sarebbero stati puniti e non avrebbero più potuto dargli fastidio. Era di nuovo lui, pensò Adam, semplicemente l’unico ragazzo che avrebbe mai amato fino a quello che era pronto a chiamare punto di non ritorno. Semplicemente Tommy Joe.

 

I due ragazzi trascorsero assieme un pomeriggio splendido e soprattutto Adam si sentì inebriato per tutto il tempo dalla sensazione che quell’uscita non fosse poi così diversa dai loro primi appuntamenti, quando entrambi erano ancora così irresistibilmente attratti l’uno dall’altro ed entusiasti della nuova avventura intrapresa insieme da non riuscire a smettere di sorridere. Tommy era davvero tornato a essere la persona di cui Adam si era innamorato a luglio e l’atmosfera tra loro era di nuovo leggera, il loro tempo disseminato di momenti speciali, ognuno emozionante nella propria genuinità. Erano tornati a essere una coppia che avanzava unita, non solo due individui che si rincorrevano l’un l’altro.

Quella sera, dopo aver riaccompagnato Tommy con dieci minuti di anticipo sul coprifuoco, Adam spinse sull’acceleratore anche oltre il consentito per riuscire ad arrivare a casa in tempo per potersi dare una lavata, vestirsi e truccarsi adeguatamente per il lavoro. Quella mattina, infatti, quando Marcus aveva chiamato per confermare la sua assunzione a tempo indeterminato e parlare dell’aumento di stipendio, Adam ne aveva approfittato per cancellare i giorni di ferie in avanzo e informarlo che avrebbe potuto tornare al lavoro già la sera stessa.

Ad ogni modo, per quanta fretta avesse, appena ebbe parcheggiato davanti al condominio si prese un minuto per controllare lo schermo del cellulare e rispondere al primo di quella che immaginava sarebbe stata una lunga serie di messaggi serali da parte di TJ.

Da: Tommy

Arrivato? Tutto bene?

A: Tommy

Arrivato a casuccia tutto intero e con poca voglia di dedicarmi ai drink. Ma mi farò forza pensando al biondo mozzafiato che costringerò ad accompagnarmi a teatro domani sera ;) Ci sentiamo dopo la doccia, gioia. Je t’aime :*

Si sistemò chiavi e telefonino in tasca, certo che presto il dispositivo sarebbe tornato a vibrare, quindi scese dall’auto e si avviò verso l’ingresso con le mani nelle tasche, la sua figura nient’altro che un’ombra illuminata a scatti dalla luce malaticcia emanata dai lampioni.

Era già buio e lui non si rese conto che non era solo sul marciapiede. C’erano appena venti passi dalla macchina al portone e lui riuscì a percorrerne meno della metà prima che quell’urlo rimbombasse nella via, facendogli saltare il cuore.

- Lambert!

Si voltò di scatto, ma ormai la trappola era già scattata. Non riuscì a vedere altro che l’ombra di un oggetto nero, lungo e fine, che gli piombò addosso e gli centrò la mandibola con violenza tale da scaraventarlo a terra. Per un attimo credette che lo avessero accecato, perché tutto divenne nero e la botta improvvisa alla schiena gli fece svuotare completamente i polmoni mentre una risata secca riecheggiava sopra, a destra, tutt’attorno a lui, ma poi la vista tornò prima dell’uso dei muscoli.

Erano in due e lo sovrastavano, uno alto e allampanato, l’altro poco più basso e con qualche muscolo in più, ed entrambi brandivano quelle che sembravano due sbarre di ferro piegate alle estremità. Adam fece appena in tempo a scorgere i loro volti, a registrare taglio di capelli e zigomi, a costringere se stesso a memorizzare le scintille di rabbia di quegli occhi stretti e fissi su di lui, perché aveva visto così tanti servizi di aggressioni al telegiornale da sapere a menadito quanto fosse importante conoscere le fattezze degli assalitori.

Uno di loro, il muscoloso, fece un segno all’altro, che cominciò a tirare calci al ventre del ragazzo mentre con la sbarra prendeva di mira le gambe, e Adam urlò, strillò per il dolore fulmineo e lancinante. Sentiva strepitare anche loro, le loro parole spezzavano le sue stesse suppliche, ma non capiva il senso di ciò che abbaiavano, di ciò che suonava come un insulto continuo. Allora più che mai l’asfalto gli bruciò la pelle scoperta, aprendogli altre ferite sul corpo e tagli nei vestiti.

Si trascinò per terra, cercò di scappare, di chiedere aiuto. Il suo sbaglio più grande fu allontanare le braccia dalla testa.

Una fitta straziante alla tempia fu il primo avviso e Adam sentì chiaramente la gomma fredda della suola della scarpa aderirgli alla testa, calciarla via verso la spalla. Urlò ancora e ancora prima che la voce gli morisse in un lamento senza speranza, per un’ultima volta non riconobbe i versi che gli uscirono dalla gola.

A quel calcio ne seguì immediatamente un altro, ma questa volta il ragazzo non emise un singolo suono. Sentì solo metà del dolore, perché tutto quello che seguì venne ingoiato dal buio, dal silenzio, dal limbo cedevole dell’incoscienza, e da quel momento in poi il suo corpo diventò niente più di un burattino indifeso, sballottato, estraniato da tutto ciò che solo un istante prima era vita.



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Capitolo 16
*** Insieme ***





Grazie infinite a kissky, anderson_criss, Eclipse of Flame e Sunset_Lily per aver recensito lo scorso capitolo e a tutte coloro che nonostante il mio sadismo dell’ultimo capitolo stanno ancora seguendo, preferendo, ricordando, leggendo lo sviluppo di questa storia <3

La canzone di questo capitolo è L’essenziale (Marco Mengoni)

Buona lettura, e fatemi sapere cosa ne pensate :)

 





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A quell’ora della notte, che precedeva di poco il momento in cui tutta la famiglia aveva l’abitudine di coricarsi, casa O’Reilly rappresentava tutta la serenità di cui Tommy si era visto privare per una vita intera. O almeno al ragazzo piaceva pensarla così.

La televisione veniva completamente ignorata quando in casa c’era più di una persona, poiché a tutti veniva spontaneo dare la priorità alla compagnia di almeno un membro della famiglia che comunque, a causa degli orari della scuola, del lavoro e dei rispettivi passatempi, si vedeva troppo poco. A Julie piaceva tenere la radio accesa mentre si cucinava e ne abbassava appena il volume quando si cenava tutti assieme, così che diventasse un piacevole sottofondo senza impedire la conversazione, ma anche quella piccola artefice di suoni veniva spenta verso le nove, massimo le dieci della sera. Ora erano quasi le undici e ognuno dei membri della famiglia stava impiegando quella che si aspettava sarebbe stata l’ultima ora di veglia facendo ciò che più gli sarebbe mancato il giorno dopo al momento di tornare al proprio dovere, lavorativo o scolastico che fosse.

Erano tutti seduti attorno alla tavola oltremodo spaziosa della sala da pranzo, ma mentre Julie si stava rilassando mettendo in ordine un cofanetto di ninnoli e Rick voltava placidamente le pagine di quello che doveva essere il terzo quotidiano sportivo della giornata, Tommy tamburellava nervosamente le dita sullo schermo del proprio smartphone. Aveva passato l’ultima mezz’ora a controllarlo sempre più spesso e l’assenza di risultati stava peggiorando il suo umore al punto che per Julie fu impossibile non accorgersene.

- Non capisco... che palle! – sbottò a un certo punto il ragazzo, picchiando il palmo della mano sul tavolo senza fare troppo scalpore.

La donna, seduta dall’altro lato del tavolo, sorrise comprensiva senza smettere di appaiare orecchini. - Cosa c'è, Tommy?

- Ad non mi risponde più ai messaggi – bofonchiò TJ in risposta, appoggiando il mento all’altezza del cellulare e fissandolo impensierito. Per tenerlo d’occhio quasi si perse l’occhiataccia di Rick, un irresistibile connubio di stupore, fastidio e un pizzico di gelosia.

- Avete passato assieme tutto il pomeriggio e vi siete salutati sulla porta non più di due ore fa, cos'hai da dirgli ancora? Lascialo respirare – lo riprese blandamente.

Tommy si limitò a tornare a osservare il monitor nero del telefonino, troppo in ansia per dare peso alle parole di circostanza del padre adottivo, ma Julie invece rise amabilmente, lasciò la propria sedia e fece il giro attorno a quella del marito per raggiungere la sua schiena, mettergli le mani sulle spalle e massaggiarle mentre si chinava per parlargli all’orecchio.

- Fai tanto il superiore, ma sono convinta che se quando avevamo vent'anni ci fossero stati i cellulari sarei stata io quella a chiedere un po' di respiro – commentò, per poi fare l’occhiolino a Tommy quando lo vide sorridere nella sua direzione, mentre Rick non poté che replicare borbottando una lamentela incomprensibile.

Julie lasciò il marito con un bacio sulla guancia per consolarlo della presa in giro, poi andò dal figlio adottivo e rimase per un paio di secondi a contemplare con lui quel cellulare immobile che lo preoccupava tanto. Conosceva i pensieri che lo affliggevano, ma, come aveva sentito dire ad Adam quella stessa mattina quando i ragazzi non si era accorti di essersi appostati accanto alla finestra aperta del bagno, non aveva senso vivere nella paura delle minacce, men che meno se queste erano state mosse da un liceale arrogante ferito nell’orgoglio. Forse a Tommy sarebbe servito del tempo per accettare la cosa e conviverci, ma intanto il compito di Julie era assicurarsi che non accumulasse ancora più stress tentando di combattere i demoni dentro la sua testa, così attirò l’attenzione del ragazzo posandogli una mano sulla testa e sorrise ai suoi occhi stanchi.

- Non ti angosciare, tesoro, starà andando al lavoro. Ma ora metti via il cellulare e va’ a dormire, d'accordo? Domani mattina leggerai la sua risposta e potrete riprendere la vostra chat romantica lì dove l’avevate interrotta.

Tommy sbuffò in una risatina alla sua interpretazione, ma le diede ragione, si mise in tasca il telefono e si alzò per dare la buonanotte a entrambi i genitori prima di intraprendere il corridoio in direzione delle scale. Certo non avrebbe mai detto a Julie che una volta al sicuro sotto le coperte avrebbe ricominciato a controllare la casella dei nuovi messaggi ogni tre secondi, perché sapeva quanto la donna potesse essere insistente quando si trattava di assicurarsi che godesse di abbastanza ore di sonno, ma c’erano poche cose che aveva imparato ad apprezzare tanto quanto le premure di una madre.

Aveva appena salito il primo scalino quando il telefono appoggiato sul tavolino in fondo al corridoio emise uno squillo assordante nel silenzio, facendolo sobbalzare per lo spavento. Era inusuale che qualcuno chiamasse dopo le dieci di sera, ma prima che Tommy potesse anche solo pensare di bloccare i propri passi e andare a rispondere, la voce squillante della madre adottiva lo dissuase.

- Vado io! Uff, la gente che telefona a questi orari!

Tommy sorrise nella direzione da cui udì provenire la voce, scuotendo la testa con affetto al pensiero di quanto quella donna riuscisse ad essere attiva e pronta a ogni ora del giorno e della notte, quindi riprese a salire lentamente le scale mentre l’avvertimento di Rick lo faceva sogghignare.

- Se è l'ospedale e chiamano per me, digli che sono passato a miglior vita! Almeno fino a dopodomani non voglio più saperne di vecchiette che credono di aver contratto l’ebola mangiando yogurt alla banana.

- Pronto? Oh ciao, Allie, come…

Tommy sentì il primo impulso a fermarsi quando il nome della sorella di Adam gli arrivò alle orecchie, ma in un nanosecondo si rese conto di essere troppo spossato per trattenersi al piano di sotto fino a quando Julie avesse smesso di ciarlare con lei e gliel’avesse passata per un po’ di sane chiacchiere fra cognati, così continuò ad affrontare gli scalini.

Era ormai in cima alla rampa di scale quando sentì la voce di Julie spegnersi prima ancora di completare la frase e d’istinto si bloccò a metà strada fra l’ultimo scalino e il primo piano per rimanere in ascolto. C’era qualcosa, nel silenzio protratto da Julie, che non gli permetteva di muoversi, di continuare tranquillo sulla sua strada verso il letto.

- Che... che cosa? – esalò la donna dopo tempo immemorabile, e Tommy trattenne il respiro come se sapesse di essere sul punto di essere gettato in acque gelide. Ciò che era rimasto della voce di Julie, una supplica che gli tolse il pavimento da sotto i piedi, lo sorprese con gli occhi serrati. Non ricordava nemmeno di aver chiuso le palpebre. - Ma no, non è possibile, lui... lui era qui, qui da noi fino a due ore fa…

Tommy sentì qualcosa di molto simile alla lama di un coltello squarciargli il petto e mozzargli il respiro mentre i suoi occhi si spalancavano sul vuoto assoluto, le pupille enormi nel buio. Quel silenzio terribile era un vetro infranto solo dal battere forsennato del suo cuore, che minacciava di uscirgli dalla gola da un istante all’altro.

Ad.

Senza pensare più a nulla, si precipitò di nuovo giù dalle scale e percorse il corridoio in una corsa sconsiderata per arrivare fino al telefono. Aveva il fiatone quando il braccio di Rick gli sbarrò la strada, premendoglisi contro il torace un secondo prima che si schiantasse su Julie. La donna era ancora impegnata a sostenere le battute della telefonata, aveva le labbra socchiuse ed era sbiancata di colpo, ma il ragazzo, pallido come un cencio a sua volta, non riuscì a trattenersi dallo sfogare almeno una minima parte dell’ansia che ormai gli era salita fino alle tempie assieme al battito frenetico del cuore.

- Cos'è successo? Cos’è successo?!

Rick gli strinse una spalla e gli fece segno di fare silenzio, ma Tommy dovette mordersi il labbro inferiore a sangue per riuscire a contenersi. Suo padre adottivo gli stava davvero chiedendo di rimanere calmo quando era palese che era accaduto qualcosa di grave, di stare zitto quando il silenzio tra di loro non era che un infame sobillatore di pensieri di morte, tutti inderogabilmente legati ad Adam?

- Va bene. Sì, va… va bene, ho capito, ma… – continuò Julie, voltandosi di profilo e stringendo la cornetta fino a farsi scolorire le nocche. Tommy si sentì svenire all’idea che non volesse guardarlo negli occhi nel tentativo di tenergli nascosto qualcosa che già sapeva e che avrebbe potuto farlo crollare definitivamente. – Oddio, Allie, ti prego, non fare così, ti prego...

Qualcosa scattò dentro Tommy Joe, come il detonatore di una bomba a orologeria, e un attimo dopo il ragazzo esplose in un urlo che scosse le fondamenta della casa: - Cosa gli è successo?!

Vedendolo boccheggiare come sull’orlo di un attacco d’asma e tenere gli occhi sgranati e lucidi di lacrime fissi su di lei, Julie deglutì e con lo sguardo scongiurò il marito di darle una mano, sentendosi più impotente che mai. Tommy stava perdendo se stesso dietro un intrico di tragedie che ancora non poteva nemmeno associare alla realtà e lei stava tentando di gestire un’altra persona preda di una crisi all’altro capo della cornetta, per non mettere in conto l’ansia che la devastava in prima persona.

Rick capì senza bisogno di parole, avvolse le spalle del diciassettenne con un braccio e insistette nel tirarlo con sé finché il ragazzo non lo seguì in salotto inciampando nei propri passi. Rick era un medico, doveva trattare spesso con parenti da consolare, rassicurare, ammansire, ma questa volta quello che stava tentando di tenere alla larga da una crisi di panico fatta e finita non era uno sconosciuto, era suo figlio. E quella le cui condizioni Julie stava disperatamente tentando di scoprire al telefono con Alison non era una faccia qualsiasi che si sarebbe facilmente perduta in una folla, era Adam. L’unica differenza tra lui e Tommy era quella manciata di anni in più che certo non lo rendevano, almeno agli occhi di Rick, qualcosa di più di un ragazzo appena affacciatosi alla vita adulta. Un altro figlio adottato, anche se non ufficialmente.

Quando l’uomo si fermò sulla soglia del soggiorno aveva la mascella tesa e teneva gli occhi puntati verso le tenebre oltre la finestra, in attesa, ma Tommy, troppo occupato a tenere i propri fissi sulla parete dietro la quale Julie stava ancora facendo del proprio meglio per calmare i singhiozzi di Alison, non lo guardava. Ansimando, mordendosi le labbra e ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di inondargli le guance, era a malapena conscio di come la presa rigida della mano di Rick sulla sua spalla fosse la sua ultima ancora all’equilibrio mentale.

- Sì, d’accordo. Sì, Allie, ho capito. Cerca di restare calma, mi senti? Per favore, tesoro, per favore, trova un posto dove sederti, respira profondamente e calmati. Saremo lì il prima possibile, te lo prometto. Ora chiudo, d’accordo? Stiamo arrivando.

Il rumore della cornetta che veniva riagganciata, poi l’eco dei passi rapidi di Julie, che percorse i loro stessi metri per ritrovarsi davanti a quelle due paia d’occhi pieni d’urgenza che non aspettavano altro che lei. Perfino un cieco si sarebbe accorto di quanto fosse sconvolta, con le braccia strette attorno al busto e la bocca ridotta a un filo che tremò nel momento in cui fu obbligata ad aprirsi per parlare.

- Un passante ha trovato Adam sotto casa sua. Era… era ferito e privo di sensi – disse, facendo vagare lo sguardo impaurito dagli occhi del marito a quelli del figlio. - L'hanno portato al pronto soccorso a sirene spiegate. Non so altro.

Tommy capì semplicemente scrutando quegli occhi scuri che c’era effettivamente di più di quello che aveva detto, ma se da una parte stava dando tutto se stesso per riuscire a insistere, dall’altra Rick si dimostrò molto più veloce di lui a reagire.

- Tommy, le scarpe – gli si rivolse, guardandolo in una maniera che avrebbe potuto apparire severa, mentre in realtà la sua austerità era solo un modo di sfogare l’inquietudine che gli si era aggrappata al cuore nel sentire la moglie riferire le parole di Alison. - Coraggio, figliolo, più in fretta ti prepari, prima possiamo raggiungere l’ospedale.

Il diciassettenne non trovò argomentazioni valide per controbattere, così obbedì, correndo via dopo aver annuito a fatica. Aveva la gola come ostruita da una pietra talmente dura da ingoiare che sentiva di non poter dar voce a una singola parola senza dar di stomaco. Si ritrovò sul corridoio e fece finta di dirigersi verso la stanza degli ospiti, dove tenevano la scarpiera, ma all’ultimo momento si nascose dietro la parete dell’ingresso e fece sbattere la porta della stanza degli ospiti per indurre i genitori a credere di aver guadagnato un insperato momento di solitudine. Compresse il corpo contro il muro, vi appoggiò la schiena e i palmi delle mani e rimase in ascolto, le orecchie tese. Il primo rumore che gli ferì i timpani fu lo scoppiare in lacrime di Julie, che comunque tentò di farsi capire attraverso i singhiozzi.

- L-la testa… Quell’uomo ha detto ad Allie che aveva una ferita sulla testa… - Ci fu una pausa, l’arrivo di un gemito particolarmente acuto e un improvviso strusciare di vesti dal quale Tommy capì che il marito l’aveva stretta fra le braccia nel tentativo di calmare il pianto. - Oddio, Rick…

- No, non fare così. Coraggio – La voce di Rick, solitamente forte e decisa, era ridotta a un mormorio, ma il ragazzo intento a origliare preferì pensare che fosse per nascondere le proprie parole a lui, che avrebbe dovuto essere nella stanza attigua, che non perché il dolore lo aveva già debilitato fino a quel punto. - Dobbiamo essere forti per Tommy adesso, qualunque cosa succeda, okay? Non piangere, su. Ancora non sappiamo niente di certo, quell’uomo non è un medico e quella che ha visto potrebbe benissimo essere una ferita superficiale – fece del suo meglio per rincuorarla.

- E se non lo fosse? E le sirene spiegate, allora? – insistette la donna, a corto di speranza, e Tommy la immaginò rifugiarsi nella stretta rassicurante del marito. - Cosa facciamo? Come glielo diciamo se…?

- Lascia fare a me – intervenne Rick, interrompendola con fermezza prima che potesse aggiungere qualcosa che non era ancora pronto nemmeno a contemplare come lontana ipotesi. - Ma si sistemerà tutto. Andrà tutto bene, stai tranquilla. Tranquilla, Juls, è forte, starà bene. Tranquilla, amore…

Sentendo la voce dell’uomo abbassarsi fin oltre la portata delle sue orecchie, Tommy inghiottì il timore di venire scoperto e si arrischiò a sporgersi appena oltre la parete per sbirciare ciò che il suo udito non poteva trasmettergli. Ciò che vide lo riempì di sofferenza, perché nemmeno la discussione che aveva ascoltato di nascosto aveva potuto prepararlo alla significatività molto più profonda dei gesti.

La figura alta di Rick nascondeva quasi del tutto quella più esile e sussultante di Julie, la stava abbracciando con più forza possibile per contenerne il tremito. Avevano tutti e due gli occhi chiusi, persi l’uno nell’atto di ritrovare l’altra così intensamente che Tommy pensò di non averli mai visti in un momento così intimo. Aveva vissuto qualcosa di molto simile, però, quello sì. Lo aveva vissuto il giorno in cui Adam lo aveva stretto a sé la prima volta, quando il più grande lo aveva accolto in casa nonostante non dovesse niente a quel bambino sperduto presentatosi alla sua porta in piena notte, lo aveva cinto con le braccia e gli aveva donato il suo calore per ore, limitandosi a ripetere il mantra che avrebbe cambiato la vita di entrambi.

Andrà tutto bene, Tommy Joe. Andrà tutto bene, vedrai.

 

Durante la corsa verso il Saint Clare Hospital, Tommy si sorprese a pregare per quella che era sicuro fosse la prima volta in tutta la sua vita. Ricordava bene di essersi rivolto a qualsiasi divinità esistente con rabbia e disperazione in ogni momento di estremo panico e dolore della sua vita, ma questa volta era diverso. Poteva essere ancora molto giovane e avere molti motivi per non credere nell’esistenza di un dio capace di intervenire sulle vite degli uomini, ma non era più il ragazzino che le sevizie protratte negli anni avevano reso scontroso, schivo, sempre e comunque adirato e pronto a scattare contro chiunque lo contraddicesse. Adam lo aveva aiutato a cambiare, lui e solamente lui gli aveva teso la mano. E per questo fu con fede viva che Tommy strinse i denti per non piangere, sul sedile posteriore dell’auto di Rick, e per tutto il tempo che impiegarono a raggiungere la città non fece altro che muovere le labbra in una tremante supplica al cielo.

Una volta arrivati in ospedale impiegarono un quarto d’ora solo per trovare Alison. Il personale l’aveva accompagnata in una saletta d’attesa deserta non appena la ragazza aveva detto di chi era parente e da quel momento in poi, fatto salvo telefonare a casa O’Reilly per informarli dell’accaduto, lei non doveva aver fatto altro che piangere, avvinghiata alla sedia dove la trovarono a mangiarsi le unghie.

Non appena li vide varcare la soglia, si alzò con un lamento e corse loro incontro, rifugiandosi fra le braccia spalancate di Julie. Lei la strinse forte a sé, cullandola come una bambina. Aveva gli occhi rossi di pianto, notò Tommy, ed era forse la prima volta che vedeva i suoi lunghi capelli color miele in disordine. La vide artigliare il retro della maglia di Julie in quella stretta disperata e scuotere la testa sulla spalla della donna come se rifiutare con quel movimento continuo tutto quello che stava succedendo fosse sufficiente a cancellarlo, ma ciò che più lo colpì, mettendolo ancora più in ansia di quanto già non fosse, fu quel pianto. Non era il pianto di chi si sentiva triste, solo, abbandonato, ferito, angosciato, addirittura condannato dalla vita stessa, no. Alison piangeva come se le avessero appena mozzato via una gamba, gemendo, gridando a scatti. Lo scarno racconto del testimone che aveva chiamato il 911 per Adam doveva averla perseguitata fino a quel momento, sola in quella sala d’attesa mal illuminata con nient’altro in mente che l’immagine della testa del fratello che sanguinava.

Con l’aiuto di Rick, Julie riuscì a farla sedere e a farle bere qualche sorso del tè caldo che Tommy si premurò di andarle a prendere al distributore automatico in corridoio. Sentendosi vagare in un limbo dove non gli era consentito sapere dov’era il terreno sul quale aveva posato i piedi fino a poco prima né scorgere un angolo di cielo, il ragazzo si mise quindi da una parte, a osservare i migliori tentativi degli O’Reilly di calmare la crisi di panico di Alison. Se la ragazza era scoppiata alle pochissime notizie riguardanti le condizioni del fratello adottivo, tremava convulsamente e non riusciva a mettere insieme una frase senza balbettare, il diciassettenne si sentiva come un pezzo di ghiaccio in attesa della fiammata che, lo sapeva, lo avrebbe steso.

Gli era stato fatto intendere che lo stato di Adam era grave e ciò lo rendeva più teso di quanto sarebbe stato se si fosse trovato sull’orlo di un burrone, con le punte dei piedi già oltre il precipizio. Ma allo stesso tempo non sapeva nulla di concreto e il terrore che gli stringeva le viscere gli impediva di avanzare qualsiasi ipotesi. Era una sensazione soffocante, come se l’arrivo di quella telefonata avesse fatto sì che l’aria attorno a lui si ispessisse, rendendo difficile l’accesso prima dato per scontato ai suoi polmoni.

Tutti i suoi sensi erano all’erta, come quelli di un animale braccato, e quando seguì il consiglio di Julie di mettersi seduto accanto a loro gli altri ebbero l’impressione che stesse per vomitare. Ma Tommy rimase immobile, lo sguardo fisso sul poster di una campagna anti AIDS appiccicato sulla parete di fronte alla sua sedia. Nel momento in cui Alison, che aveva ripreso a respirare normalmente nonostante le lacrime continuassero a inondarle il viso, li mise a parte del poco che sapeva, il ragazzo ebbe l’impressione di ingoiare un mattone di pece.

- Mi hanno… mi hanno detto solo che è in sala operatoria e… e che non appena uscirà verranno a dirmelo.

Gli stanno aprendo la testa. Quell’immagine colpì Tommy come uno sparo, e poco importava che si trattasse solo di una fantasia, di un’ipotesi che neppure tutta la sua determinazione a non pensare a niente era riuscita a tenere alla larga.

Il ragazzo si limitò a stringersi convulsamente le ginocchia con le mani, piantandosi le unghie nella carne perché il poco dolore che poteva provocarsi facesse del suo meglio per distrarre la sua mente e il panico che si andava diffondendo nel suo sangue al ritmo accelerato del suo battito cardiaco. Per il resto rimase a fissare il nulla per un tempo che gli parve infinito, mentre i ricordi del pomeriggio trascorso assieme ad Adam gli si riversavano in testa e lo torturavano senza alcuna misericordia, riempiendogli gli occhi di lacrime che si affrettò a scacciare sotto gli sguardi preoccupati dei genitori adottivi.

Passò un’ora, poi due, senza che nessuno comparisse alla porta di quella stanzetta opprimente o una voce si facesse sentire. Dopo la terza Rick – l’uomo più paziente con cui Tommy avesse mai avuto a che fare – aggiunse al suo continuo camminare su e giù per la camera un mormorio senza tregua che risultò essere un misto di bestemmie e di commenti sempre meno educati sui colleghi che si stavano occupando del caso e sul poco rispetto che portavano ai familiari dei pazienti. Dovrebbero informarci, diceva, e Tommy si trovò più che d’accordo nel proprio mutismo. Erano tre ore che sudavano, in preda all’ansia, erano tre ore che il suo cervello e i suoi sentimenti gli lanciavano pugnalate su pugnalate al cuore al pensiero di ciò che poteva essere accaduto ad Adam in tutto quel tempo. Dopo tre fottute ore avrebbero almeno potuto degnarsi di andare a dirgli se fosse vivo o no, cazzo.

Dopo quel pensiero smise di respirare. Seppellì il volto tra le mani, tirò un unico, lungo singhiozzo e poi tacque, immobile. Non voleva più pensare. Non poteva pensare o quella cosa lo avrebbe ucciso ancora prima che qualcuno gli dicesse la verità sulla sorte del suo ragazzo. Avrebbe trascorso tutto il tempo che restava da aspettare sbattendo la testa contro il muro, se solo non fosse stato sicuro che Rick lo avrebbe costretto a smettere, perché improvvisamente sentiva un gran bisogno di provocarsi quel dolore che per anni aveva fuggito, il dolore fisico che improvvisamente pareva essere diventato l’unico amico, l’unico in grado di strapparlo da quello molto più devastante che lo andava annientando dentro.

Adam, non morire. Non morire, non morire, non morire, non morire. Non puoi morire. Non esiste che tu muoia. La morte non esiste. Adam non può morire. Starà bene, benissimo. Ora lo stanno curando e poi starà bene. Entrerà in questa fottutissima saletta di merda e sarà lì, sorridente, e starà benissimo, mi dirà che è stato tutto uno scherzo e starà bene. Starà bene e andremo a casa e io ti amo, Adam, non puoi morire, Ad, non puoi lasciarmi qui da solo di nuovo, cazzo, stronzo, non puoi davvero farmi questo…

Fu Julie la prima a rendersi conto che c’era qualcosa che non andava col suo respiro, che aveva accelerato davvero troppo, e Rick a intervenire per cercare di calmare quell’ennesimo attacco di panico, ma fu solo quando Alison lo convinse a sdraiarsi sulle sedie che Tommy ricominciò a concepire l’ossigeno compresso nella stanza come una meta raggiungibile. Si adagiò sulle sedie e posò il capo in grembo alla ragazza, e se entro qualche minuto smise di ansimare al soffitto fu solo grazie alla premura con cui la sorella di Adam gli accarezzò il viso e i capelli e alla voce soffice con cui fece del suo meglio per rassicurarlo e farlo pensare ad altro che non fossero il sangue, le ferite, le ambulanze, gli ospedali, il fetore di morte che pareva impregnare le pareti stesse di quel posto.

Tommy accettò di chiudere gli occhi quando le dita lisce di Allie gli sfiorarono le palpebre, invitandolo a rilassarsi come lei stava riuscendo a fare semplicemente concentrandosi su quel lento massaggio. Un sospiro scappò dalle labbra del ragazzo non appena si accorse di quanto fosse accogliente quel buio appena rischiarato dalle luci al neon sul soffitto, e di quanto il suo corpo fosse esausto. Malgrado l’ora non sarebbe mai riuscito a dormire, questo no, ma fu immensamente grato ad Alison per avergli ricavato quel cantuccio sicuro in cui rifugiarsi dai suoi nuovi incubi.

Quando udì dei passi percorrere il corridoio e fermarsi proprio in corrispondenza della sala, aprì di scatto gli occhi e si mise a sedere con un balzo che gli oscurò la vista per qualche secondo. Non appena la ebbe riacquistata controllò l’orologio a muro per quella che doveva essere la milionesima volta. Erano trascorse poco più di quattro ore dal loro arrivo e finalmente sulla soglia era comparsa una figura in camice bianco.

Il dottore, un quarantenne moro con il volto scavato e due occhiali dalle lenti talmente grandi che gli mangiavano la faccia, si presentò con due occhi stanchi, ma almeno diede l’impressione di provare davvero il dispiace di circostanza con cui si presentò ai quattro che gli corsero incontro.

Rick e Alison furono i primi a raggiungerlo, mentre Julie e Tommy rimasero alle loro spalle. Il diciassettenne sentì la donna farsi vicina e carezzargli la schiena come in un tentativo di fargli forza, ma il suo intero essere era troppo concentrato sul medico per ricambiare in qualsiasi modo.

- I parenti di Adam Lambert? – domandò, e quando Rick annuì, nervoso, lui fece lo stesso prima di dare la notizia che tutti stavano aspettando col fiato sospeso. - È uscito dalla sala operatoria. Ce l’ha fatta.

Rick e Tommy lasciarono andare l’aria trattenuta in un sospiro, Alison soffocò un singhiozzo di sollievo nelle mani raccolte a coppa e Julie proruppe in un mormorio: - Oh Dio, grazie.

- Le sue condizioni sono stabili ora – continuò il dottore, guardandoli negli occhi a turno, senza sfuggire a nessuno di quegli sguardi sfiniti e turbati. Certamente sapeva di non essersi risparmiato quella notte, in chirurgia, e con la consapevolezza di aver fatto del proprio meglio non aveva nulla da nascondere. – Ma il battito del cuore, così come il respiro, è troppo lento. Non sufficiente a mantenerlo cosciente.

A quelle parole Tommy si guardò in giro, confuso. Tutti gli altri apparivano più spaventati o demoralizzati di solo un attimo prima, quando avevano saputo che Adam era vivo, e lui non capiva il perché.

- Cosa vuol dire? – chiese a nessuno in particolare, cercando un appoggio.

Julie gli mise una mano sulla spalla e si umettò le labbra, ma fu Rick a voltarsi per rispondergli con un filo di voce, misurando ogni parola come se fosse stata un masso da scagliargli addosso, ma non fuggendo gli occhi che la paura aveva reso enormi: - Vuol dire che è entrato in coma, Tommy.

Il ragazzo sentì il freddo morderlo alle caviglie, ancorargli i piedi al pavimento di piastrelle plastificate e risalire il suo corpo alla velocità della luce, congelandolo di colpo. Sentì i brividi di due giorni di febbre scuoterlo da dentro. Coma. Coma significava che Adam non sarebbe comparso sulla soglia in pochi minuti, che non gli avrebbe parlato, che non sarebbero tornati a casa a ridere di tutta quella pazzia. Coma significava che non avrebbe aperto gli occhi quella notte. Coma significava che doveva affrontare la realtà e la realtà era che niente stava andando bene.

Doveva aver assunto l’aspetto di un cadavere, ma non se ne rese conto finché Alison e Julie non si misero ai suoi lati, come per sorreggerlo, e lo guardarono preoccupate in quegli occhi persi in un altro universo. Davvero l’aria gli era sembrata densa, fino a pochi minuti prima? Ora non riusciva a farne arrivare nemmeno un goccio alle sacche polmonari, o quella era la sensazione.

- Tommy. TJ – Sentì la voce di Allie che lo chiamava e si girò piano verso di lei, ancora parzialmente sotto shock quando le sue mani fresche e morbide gli si posarono sulle guance. Allie aveva degli occhi scuri davvero dolci, anche col mascara colato assieme alle lacrime. – Guarirà, d’accordo? Si risveglierà presto. Non dobbiamo lasciarci andare. Dobbiamo farlo per lui, okay? Per Ad.

Tommy rimase a specchiarsi per qualche secondo in quegli occhi, in cui riconobbe il suo stesso bisogno di scoppiare a piangere ma l’orgoglio di resistere, quindi fece un cenno di assenso con la testa e cercò gli occhi del medico.

- Si… si può vederlo?

Suonava così strano fare una domanda del genere parlando di Adam. Era una persona, non un oggetto, un animale o un pezzo d’arte antica, eppure aveva la sensazione che lo avrebbero lasciato guardarlo solo attraverso un vetro. Come si era allenato a fare nelle ultime ore con l’aiuto di Alison, allontanò velocemente quel pensiero. Non glielo avrebbe permesso.

- Certamente. Seguitemi – si limitò a dire il dottore prima d’incamminarsi per i corridoi con tutti e quattro alle calcagna.

Quando fu sicuro di aver assunto un passo consono a ognuno di loro, prese a fornire informazioni aggiuntive che Tommy bevve come una spugna, avido di sapere tutto ciò che avrebbe potuto aiutarlo a comprendere appieno la situazione, come se in quel modo avesse potuto prestare soccorso ad Adam in prima persona. Camminare, scoprì, era utile a non pensare alla terribile notizia che gli era appena stata data, ma anche stare a sentire il modo in cui quell’uomo usava il gergo medico lo distraeva, anche se le sue parole suonavano poco rassicuranti.

- Quando è stato portato qui era privo di sensi. È stata riscontrata la presenza di diverse ferite, ma ciò su cui c’era la maggiore urgenza di operare erano un trauma addominale che ha causato un’emorragia interna e un trauma cranico. Abbiamo proceduto ad asportare la milza per interrompere la perdita di sangue e a intervenire sul trauma cranico per rimediare alla contusione interna al lobo frontale. La splenectomia è stata portata a termine con successo, ma il trauma cranico… abbiamo fatto il possibile, ma non è stato sufficiente e il paziente è entrato in coma. Ora è stato ricoverato in terapia intensiva traumatologica. L’assistenza in questo ospedale è ottima e l’orario di visite per voi non ha limiti. Inoltre farò in modo che il nostro servizio di supporto psicologico si metta in contatto con voi in giornata.

Capendo quanto sentir parlare di Adam come di un numero senza volto aumentasse la sofferenza di Tommy, Rick si affrettò a chiedere l’unico chiarimento a cui l’intera famiglia non aveva smesso di pensare un solo secondo da quando avevano ricevuto la notizia.

- Secondo la sua esperienza, dottore, quando crede si sveglierà?

Proprio allora l’uomo si fermò nel bel mezzo di un corridoio.

Tre piani in ascensore, porte di un verde cauto e irreale ovunque, il bagno in fondo a destra. Tommy aveva la sensazione che quel luogo gli sarebbe diventato fastidiosamente familiare nel giro di pochissimo tempo, ma quando il medico riaprì la bocca per parlare dimenticò la nausea e si concentrò sulle sue parole, che per quanto potessero essere deludenti non si sarebbe perso per niente al mondo. Dopotutto ora dottori e infermieri erano il suo unico mezzo di comunicazione col mondo dov’era stato relegato Adam, e lui aveva la necessità imprescindibile di capirci il più possibile.

- Domani. Fra tre ore. Fra un mese, sei, un anno. Proprio ora. O mai – concluse il medico, con cautela ma un’onestà implacabile che schiaffeggiò ferocemente Tommy, per poi scuotere la testa con sincero rammarico. – Non sarò mai in grado di dirvelo con certezza. Il coma è il segno che il cervello di Adam ha subito dei danni, ma sono lesioni invisibili agli strumenti, perciò non possiamo comprenderne l’entità né operare più a fondo di così e quindi non siamo in grado di fare alcuna previsione. Il consiglio che mi sento di darvi è di accontentarvi, per il momento, di saperlo vivo e in condizioni stabili. Tenete conto che un risveglio rapido è molto probabile fino alla quinta settimana di coma, perciò dategli tempo. So che è un momento difficile, ma non disperate.

Rick sospirò, ma annuì e ancora una volta Tommy sentì la sua mano pesare sulla spalla. - D’accordo. Faremo del nostro meglio.

- Passerò ogni pomeriggio per un controllo. Intanto vi faccio i miei migliori auguri – si congedò allora il dottore, che in seguito avrebbero scoperto rispondere al nome di Larson, stringendo la mano a tutti loro con una professionalità spiccata ma benevola che ispirava fiducia. Si era appena incamminato lungo il corridoio dopo aver indicato loro la porta della stanza numero 182 quando si voltò un ultima volta. - Scusatemi, un ultimo suggerimento: tenete in grande considerazione il servizio di supporto psicologico. Parlando per esperienza, in casi come i vostri spesso si rivela un aiuto fondamentale.

Nessuno pareva in vena di preoccuparsi degli analisti in quel frangente, ma Julie si sforzò di assentire e fare una smorfia che avrebbe voluto nascere come un sorriso per mostrare che avevano recepito l’informazione.

- Grazie dell’interessamento, dottore.

Una volta che il medico li ebbe lasciati soli sul corridoio ben illuminato ma deserto e anche l’eco dei suoi passi fu stata inghiottita dallo scampanellio smorzato delle porte di un ascensore che si chiudevano, l’intera famiglia rimase lì impalata a fissare la porta dietro alla quale c’era Adam, la porta dietro alla quale la persona che li aveva fatti incontrare e uniti giaceva in coma.

Tommy non avrebbe saputo dire per quanto tempo tutti evitarono di muovere il primo passo – d’altra parte sembrarono pochi secondi come ore intere -, ma non avrebbe mai dimenticato che infine fu Julie a farsi avanti, tendendo la mano per afferrare la maniglia della porta.

- Coraggio, ragazzi – sussurrò.

Spinse la porta ed entrò, subito seguita da Alison. Rick invece dovette posare la mano sulla schiena di Tommy e condurlo gentilmente fin oltre la soglia per farlo spostare dal corridoio.

Non solo il ragazzo non si sentiva pronto a fare i conti con ciò che avrebbe visto, ma dubitava che lo sarebbe mai stato. Finché il coma di Adam restava una parola nella sua mente poteva lottare fino allo stremo con le unghie e coi i denti per far finta che fosse tutto un incubo e che si sarebbe svegliato presto, boccheggiante, sudato, avvinghiato alle lenzuola del suo letto. Una volta entrato nella stanza 182, invece, si sarebbe scontrato con una realtà che lo avrebbe preso a cazzotti.

Rick lo lasciò un metro dopo l’ingresso per proseguire da solo, per lasciare che si prendesse il suo tempo. Sulla propria destra Tommy vide un’altra parete, la porta di un bagno privato e attrezzato per malati e invalidi, ma a quel punto s’impose di smetterla di tirare per le lunghe quell’attesa straziante e seguì la famiglia nel piccolo slargo che costituiva la camera vera e propria.

I suoi passi si bloccarono di nuovo quando il letto d’ospedale comparve davanti a lui, e quella vista gli straziò il cuore. Adam vi era stato deposto sopra - da altri – e giaceva immobile, a occhi chiusi, con le braccia lungo i fianchi e il busto tenuto leggermente sollevato dalla piega forzata del materasso. Lo avevano vestito con una tunica bianca che doveva arrivare poco sopra le ginocchia, ma la fine non si intravedeva perché il lenzuolo gli era stato tirato fino all’addome assieme a una coperta rigida e leggera.

Tommy deglutì, spostando finalmente lo sguardo sulla poca pelle scoperta del suo ragazzo. Due flebo erano state inserite nell’incavo del gomito del braccio sinistro, mentre attorno al polso c’era uno spesso nastro nero che sembrava segargli la pelle, ma era collegato a un macchinario che prometteva allarmi assordanti in caso di alterazione della frequenza del battito. Diversi fili gli sporgevano dalle maniche, andando a collegarsi al petto per un’estremità e a un ingombrante strumento metallico provvisto di monitor per l’altra: sullo schermo il ritmo regolare del cuore del ventiduenne veniva interpretato da un’infinita linea verde fosforescente in continua evoluzione.

Ma la parte peggiore per Tommy fu alzare gli occhi sul volto che amava. Oltre alla ferita sulla tempia, che aveva reso necessaria una fasciatura attorno alla testa, aveva riportato lividi, contusioni, tagli cui i medici avevano posto rimedio con cerotti e cuciture, ma per il resto sembrava dormire placidamente, indisturbato da tutte le persone che lo attorniavano. Il suo avrebbe potuto sembrare il sonno di chi si sarebbe svegliato entro qualche minuto se quel viso rilassato non fosse apparso così pallido sotto la delicatezza delle poche luci al neon che Rick aveva voluto accendere. Ma in verità no, Adam stava vagando in un’altra dimensione ed era lontano anni luce.

Non è qui, si rese conto Tommy con un groppo in gola, combattendo contro le lacrime.

Sentì qualcosa che si rompeva dentro. Adam era come morto, non gli avrebbe risposto e non avrebbe aperto gli occhi, e lo scandire dei battiti regolari del suo cuore che dava il monitor non era una consolazione. Frantumato, spezzato in due, diviso da quella che ormai aveva capito da tempo essere l’anima gemella che era sempre stata con lui anche senza che lo sapessero, Tommy cominciò a tremare. Con la mano sinistra si tenne stretto al fianco della maglietta e la destra corse alla bocca aperta mentre i singhiozzi iniziavano a scuoterlo tutto, gli occhi fissi su Adam si annebbiarono per le lacrime che gli rigarono il volto senza che il ragazzo riuscisse a opporre ancora resistenza.

- N-non è p-possibile, n-non… n-non può essere, non a lui… – arrivò a balbettare prima che Julie corresse a sostenerlo, abbracciandolo, cosicché che il ragazzo potesse aggrapparsi a lei come aveva fatto Alison quattro ore prima, e scoppiare definitivamente. - N-non è vero, ditemi che non è v-vero…

- Coraggio – bisbigliò la donna, stringendogli forte la nuca e carezzandogli la schiena, gli occhi fissi in quelli del marito, che era rimasto in piedi alle spalle di Tommy e ora li osservava a braccia incrociate, tentando di sconfiggere i propri demoni personali senza mostrarli al mondo come potevano permettersi di fare i più giovani. - Coraggio, tesoro. Vieni – perseverò Julie, sfiorando un’ultima volta i capelli di Tommy prima di prenderlo per mano e guidarlo gentilmente fino alla sinistra del letto.

Il diciassettenne esitò, intimorito per un motivo che non avrebbe saputo spiegare, ma durò solo un attimo. Rifiutando il dolore al petto, seguì i passi prudenti della madre adottiva e accettò di sedersi accanto a lei su un paio delle sedie di plastica grigiastra messe a disposizione. Ancora non riusciva a riportare lo sguardo sulla figura addormentata del ventiduenne, men che meno sul suo viso, ma dopo avergli concesso pochi secondi di tregua Julie tornò a spronarlo prendendogli le mani tra le proprie e cercando l’attenzione dei suoi occhi gonfi di pianto.

- Adam è ancora qui, d’accordo? – lo incoraggiò, e Tommy si meravigliò di quanto in fretta sembrava fosse riuscita a fare tesoro dei propositi di speranza di Rick per condividerli con lui e Allie. - È vivo, è questo l’importante. Ora dobbiamo solo avere pazienza, aspettare, dargli il tempo di rimettersi. Poi tornerà da noi.

Gli occhi scuri di Tommy corsero di nuovo al pavimento quando quelle parole lo colpirono, e il ragazzo tirò su col naso, si morse le labbra e scosse la testa. - Non lo pensi davvero.

Ma evidentemente Julie non aveva la minima intenzione di cederlo allo scoramento, così come non aveva intenzione di lasciarlo fare a nessun altro membro della famiglia. La morsa nella quale Tommy si sentì serrare le mani in quel momento, infatti, fu molto simile ai pizzicotti che si era dato fino a poco prima per distrarsi dal pensiero di Adam in sala operatoria, quasi dolorosa, e il movimento secco con cui la donna gli alzò il mento perché continuasse a guardarla negli occhi fu probabilmente la sua più alta manifestazione di autorità nei confronti del figlio sin da quando lo aveva adottato.

- Sì che lo penso – dichiarò, ferma. - Tu e questo ragazzo siete le persone più resistenti che abbia mai incontrato in vita mia. Siete così giovani ed entrambi avete già dovuto far fronte a sofferenze indicibili, eppure siete qui, siete sopravvissuti, cresciuti e diventati due persone meravigliose. Con tutto l’amore che provate l’uno per l’altro, non ho dubbi che supererete anche questa.

Vedendolo con le labbra socchiuse, incapace di dire alcunché nonostante volesse replicare in qualche modo, portò le sue mani al materasso per premerle su quella abbandonata di Adam. Il contatto improvviso con la pelle del ragazzo fece sussultare il più giovane, ma si trattò solo di un istante prima che il diciassettenne si rendesse conto che gli era mancato, gli era mancato così tanto che dubitava sarebbe riuscito a separarsene di nuovo.

Le parole di Julie, a quel punto, lo raggiunsero come da un luogo lontano mille miglia e rimbombarono nella sua testa come un’eco di montagna, incisive quanto impossibili da ignorare.

- Ma insieme, Tommy. Devi restargli vicino, neanche pensare di arrenderti per primo, perché è Adam ad avere bisogno di te adesso. Ce la farà, ma solo se gli starai accanto, come tu ce l’hai fatta solo quando è arrivato lui.

Quell’ultima osservazione bastò a far sì che il ragazzo rialzasse di scatto lo sguardo su di lei, basito. Julie non aveva mai nemmeno accennato a quella che era stata la sua vita prima dell’arrivo a casa sua e di Rick senza che Tommy denunciasse per primo il bisogno di confidarsi con lei o facesse almeno la prima mossa in quella direzione, mentre in quella occasione pareva non aver paura di mostrargli tutta la propria compassione, come se fosse stata convinta che la pietà potesse aiutare.

Per molto tempo Tommy era stato portato a odiare la pietà altrui, catalogandola come inutile e foriera di una sofferenza forse maggiore dei ricordi stessi, ma quel giorno si sorprese a rivalutare quel sentimento direttamente negli occhi castani di Julie. Non era la compassione di una sconosciuta quella che stava ricevendo, ma quella di una madre. E se quel sentimento che aveva sempre denigrato poteva davvero nascere dall’affetto, allora non aveva ragione di vergognarsi investendone Adam.

Improvvisamente non ebbe più bisogno dell’incentivo della madre adottiva e stringere la mano di Adam divenne una questione d’istinto primario. Tommy rimase parecchi secondi a carezzare il dorso delle sue dita con il pollice, assorto, come se lo stesse riscoprendo un centimetro alla volta, poi afferrò a due mani il coraggio e tornò a quel viso così pallido, perso in chissà quale limbo, ma pur sempre il suo. Ancora il suo viso, ancora il suo Adam.

- Sono qui. Non aver paura – soffiò, chinandosi fino a pigiare le labbra sul dorso ricoperto di lentiggini della mano assopita di Adam. - Sono qui, non me ne vado.

Perché se poteva dargli affetto e compassione, allora poteva davvero guarire l’ostacolo fisico che li separava e far sì che ridiventassero una cosa sola. Poteva davvero stringere quella mano assopita fino a trasmettere ad Adam tutta la forza che aveva, quella che si erano sempre rimbalzati l’uno con l’altro nei momenti di difficoltà, quella forza di cui si dimenticava sempre troppo facilmente ma che era la base del loro legame.

La forza che gli serviva per guarire e svegliarsi, così che potessero tornare a combattere l’uno al fianco dell’altro come avevano sempre fatto.

Insieme. Insieme ce la faremo, Ad, si ripeté Tommy, rafforzando la presa sulla sua mano e serrando gli occhi prima di prendere un respiro profondo. Col cazzo che ti lascio andare via.




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Capitolo 17
*** Battiti ***





Grazie alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, a chi ha commentato parte dei capitoli andati e a chi segue, preferisce e ricorda. Il vostro supporto è fantastico e mi sprona a continuare a scrivere, perciò grazie infinite. Ovviamente se volete lasciare un commento siete più che benvenute :)

Ora vi lascio alla lettura.

La canzone del capitolo è Cast No Shadow (Oasis)

 




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L’intera famiglia trascorse tutto ciò che rimaneva della notte e gran parte della mattinata a vegliare su Adam, lasciando la stanza a turno e comunque solamente quando il bisogno di usare i servizi, bere un sorso d’acqua, mangiare un boccone o prendere una boccata d’aria diventavano insopportabili. Tommy non riuscì a chiudere occhio per parecchie ore di seguito, le iridi spente ma concentrate sulla figura di Adam quasi a sfidarne l’immobilità, eppure si allontanò dalla sedia accanto al letto del ventiduenne una o due volte al massimo. L’unica volta in cui l’arrivo di qualcuno lo sorprese assopito, con le braccia incrociate e la testa che penzolava in avanti, fu quando alle dieci di mattina un agente della polizia bussò alla porta per interrogare i presenti con domande riguardanti i sospettati dell’aggressione ai danni di Adam. Le forze dell’ordine avevano appena cominciato a indagare, ma a quanto pareva l’agente Thompson dava grande risalto alle opinioni di chi era sentimentalmente vicino alla vittima, per questo ascoltò con grande pazienza tutti quanti, sia le dichiarazioni neutre di Alison, Julie e Rick, sia l’accusa diretta che Tommy mosse verso Shane Lawson senza lasciarsi scoraggiare dagli scrupoli dei genitori adottivi. Era stato lui o sicuramente qualcuno che si era messo d’accordo con lui a ridurre il suo ragazzo in quello stato, ne era più che certo. Dopo tutte le volte in cui aveva dovuto ingoiare le minacce di Shane assieme all’alcol che era stato forzato a bere, Tommy avrebbe potuto puntare tutto ciò che aveva sulla sua colpevolezza tenendosi la Bibbia stretta al petto e dormire tranquillo la notte.

Il poliziotto se n’era andato da una mezz’ora quando la consulente psicologica con cui il dottor Larson gli aveva tanto raccomandato di parlare spezzò il silenzio che aveva invaso la camera e si schierò a favore di quella che nelle ultime ore era diventata anche l’opinione martellante di Julie: dovevano tornare a casa e alle loro vite di sempre. A dire della dottoressa che parlò con loro con aria paziente e la voce rasoterra, era assolutamente necessario alla loro salute mentale, e nonostante Tommy fosse fermamente convinto del contrario non ebbe altra scelta che accettare la decisione approvata dagli O’Reilly, vale a dire organizzare dei turni grazie ai quali ognuno di loro avrebbe potuto portare avanti le proprie attività quotidiane e Adam non avrebbe mai corso il rischio di rimanere solo, né di giorno né di notte. Quando fu chiaro che gli adulti avevano smesso di ascoltare le sue richieste di poter rimanere lì ogni singolo minuto non trascorso a scuola, il diciassettenne perse la pazienza, si alzò dalla sedia con uno stridio che nessuno si diede la pena di rimproverare e raggiunse il corridoio a grandi falcate, sbattendo la porta e senza voltarsi, finché non trovò una rientranza in cui rifugiarsi a fare ciò a cui nessuno aveva ancora pensato.

Le lacrime erano tornate a solcargli il viso e le dita della mano che recuperò il cellulare dalla tasca ebbero uno spasmo al momento di comporre il numero da chiamare.

- Kevin? Tommy. Scusa l’ora, ma… – rantolò una volta che una voce ebbe accettato la chiamata. – Dovresti… dovresti venire al Saint Clare Hospital. Sì, noi… Ad è stato aggredito. Ed è… è in coma, Kev.

 

Dopo che chiunque ebbe dato il proprio contributo per convincerlo ad abbandonare il posto a lato del letto di Adam, Tommy tornò a casa con i genitori e promise a se stesso che nulla e nessuno lo avrebbe trattenuto dal fare tutto ciò che era in suo potere per aiutare il suo ragazzo. Non avrebbe sicuramente potuto fare più di stargli semplicemente vicino, ne era cosciente, ma ciò non toglieva che non si sarebbe comunque lasciato allontanare dalla sua priorità.

Così, esattamente dal mattino seguente, tutto cambiò. Cominciò a trascorrere a scuola solo le ore indispensabili a non far calare i propri voti sotto la sufficienza e a non essere bocciato a causa delle troppe assenze. Dopo essere stati messi a parte della situazione, effettivamente, gli insegnanti si dimostrarono molto disponibili nei suoi confronti, ma Rick si mantenne irremovibile su almeno un punto: era il suo ultimo anno di liceo e aveva già portato avanti tutte le pratiche per la richiesta della borsa di studio in diversi college, non poteva permettersi di essere bocciato a causa di poche ore in più passate a vegliare su chi comunque non sarebbe mai stato lasciato senza assistenza. Ma appena uscito da scuola l’unico suo pensiero era correre da Adam, e presto cominciò ad accorgersi che la sensazione di vuoto che provava nel petto quando stava lontano dalla sua stanza d’ospedale si faceva più pressante ad ogni ora che passava. Pochi giorni e si sarebbe reso conto del fatto che non era lo stare fisicamente vicino ad Adam a mancargli, ma la presenza stessa, vera, vitale del ragazzo che amava accanto a sé, della sua voce, delle sue battute, del modo che aveva di coccolarlo, stuzzicarlo, prendersi cura di lui.

Malgrado tutte le insistenze di Julie affinché rallentasse i propri ritmi e si prendesse del tempo per respirare e adattarsi a quel cambio di vita, passava a casa meno di mezz’ora al giorno, giusto il tempo di mollare la cartella, farsi una doccia e cambiarsi prima di precipitarsi a prendere la corriera che lo avrebbe condotto in città. Portava con sé i libri sui quali avrebbe dovuto studiare, ma era raro che trovasse la concentrazione necessaria ad aprirne uno e a spingersi oltre la prima pagina quando non era sui mezzi pubblici. Dimenticò di avere un letto dagli O’Reilly e si trasferì invece su quella sedia di plastica dura, odiosa, ma che gli permetteva di non staccare un attimo gli occhi dal viso del ventiduenne, di allungare una mano e sfiorarlo ogni volta che voleva, come sul punto di baciarlo. Quante volte lo avrebbe fatto se solo non ci fosse stato quello stupido respiratore artificiale a separarlo dalle sue labbra.

 

Era il sesto giorno di coma di Adam. O meglio, la sesta notte. Erano ormai passate le dieci di sera e Alison stava rispettando il suo turno, seduta al tavolino in fondo alla stanza con una rivista d’enigmistica, ma come al solito non era sola: seduto al capezzale di Adam, Tommy passava le ore sfogliando un libro sui nomi che si trascinava dietro da giorni, condividendo le scoperte che più lo affascinavano col ragazzo addormentato, statico su quel letto semovente che tutti cominciavano a detestare. Gli avevano detto che parlare ad Adam faceva bene a entrambi, che mantenere vivo un certo livello di comunicazione era una buona terapia. Gli avevano detto che sentire una voce familiare avrebbe potuto non solo tenerlo aggrappato alla vita, ma aiutarlo a riemergere dal limbo impenetrabile in cui era caduto, e Tommy era anche disposto a fingersi sereno per farlo sentire di nuovo a casa.

- Oh, ho trovato il nome di Kevin – attaccò a un certo punto, fermandosi su una pagina. - Senti qua: significa “gentile e amorevole”. Direi che gli calza, no?

Alison alzò la testa, gli rivolse lo sguardo e gli sorrise, stanca ma fiera della sua forza di volontà. A sua volta Tommy si sforzò di sorriderle, stringendo più forte la mano di Adam prima di tornare al libro, solo un blocco di pagine indietro.

- Adam corrisponde a “della terra rossa”. Magari si riferisce ai tuoi capelli.

Immaginando la sua risata e ricordandosi che non poteva più sentirla, non riuscì a fingere e si lasciò scappare una smorfia, sentendo la tristezza minacciare di straripare dalla stretta gabbia in cui la rinchiudeva quando si dedicava completamente ad Adam e allo scopo di svegliarlo da quel suo sonno innaturale, di farlo tornare a vedere la luce. Quindi si rimise a sfogliare, instancabile, ma bastarono pochi salti di pagine perché si bloccasse, gli occhi fissi sulla carta e sulle sue macchie d’inchiostro. Se avesse potuto vedere quegli occhi nel momento in cui si alzarono a cercare invano il rassicurante color del cielo dei suoi, Adam vi avrebbe riconosciuto lo splendore delle lacrime e senza dubbio si sarebbe precipitato a stringerlo nel calore di un abbraccio, per consolarlo finché non fosse stato sicuro che ogni traccia di amarezza aveva lasciato Tommy.

Il ragazzo tacque, perché Alison era lì con lui nella stanza, ma le dita della mano destra continuarono a strusciare contro la pagina che tanto lo aveva colpito, mentre quelle della mano sinistra iniziarono a muovere quelle di Adam a un ritmo regolare, sempre uguale, infinitamente rincuorante.

Non doveva essere trascorso nemmeno un minuto quando Alison si alzò dalla sedia mettendosi a posto la gonna del vestito leggero.

- Vado un attimo in bagno – disse. - Hai bisogno di qualcosa alle macchinette?

Tommy scosse la testa e lasciò che la ragazza si avviasse in direzione della porta, ma prima che scomparisse dietro l’angolo della parete ci ripensò: - Allie?

- Sì?

Tommy esitò. - Se arrivasse Julie per il cambio del turno, le chiederesti se può lasciarmi qualche minuto da solo con Ad? So che è obbligatorio ci sia anche un adulto durante le visite, ma…

- Nessun problema – lo rassicurò lei con un sorriso comprensivo. - Sicuro di non voler nulla, neanche una bibita?

Il ragazzo riuscì quasi a far sembrare la propria smorfia un sorriso quando tornò a negare con il capo. - Non riuscirei a inghiottire niente, ma grazie lo stesso.

Alison lo lasciò solo con Adam dopo avergli rivolto un cenno della testa, ma il giovane aspettò di udire lo schiocco della porta che si chiudeva alle spalle della ragazza per tornare alle palpebre chiuse di Adam.

- Sai cosa vuol dire Thomas, invece? – continuò allora, inumidendosi le labbra con un nervosismo che non avrebbe mai saputo spiegare prima di bisbigliare: - Fratello devoto.

Dare fiato a quell’osservazione che appariva decisa dal fato e banale allo stesso tempo per qualche motivo fu come ricevere un colpo nello stomaco e Tommy dovette fermarsi per riprendere aria, abbassare lo sguardo, recuperare il coraggio di parlare ad Adam sebbene non riuscisse a pensare che fosse molto diverso dal rivolgersi a un morto. Ma era pur sempre uno dei pochi momenti d’intimità che gli venivano concessi con lui e tale pensiero spinse il diciassettenne a rialzare il capo con la ferma intenzione di non sprecarlo.

- Dicono che tu possa sentirmi. Allie ne è davvero convinta. Be’, se mi senti ho… ho una cosa importante da dirti. Una cosa che non ti ho mai detto, una cosa… una cosa che so ti è sempre pesato non sentirmi dire, eppure non ti sei mai lamentato perché non volevi farmi pressione, lo so. L’ho sempre saputo, in effetti, e sappi che mi vergogno molto di aver trovato solo adesso il coraggio di dirtelo a chiare lettere.

Gli venne da pensare a quante volte Adam gli aveva rivolto le stesse parole che ora lui si apprestava a pronunciare, con quanta sincerità e trasporto gliele aveva dedicate. Erano anche tutte le volte in cui lui aveva risposto in una forma diversa o adducendo un sorriso, svicolando puntualmente di fronte a uno dei più grossi ostacoli emotivi si fosse mai trovato a fronteggiare. Gli occhi gli si riempirono di lacrime al pensiero di ciò che avrebbe dato perché fosse Adam a potergli rispondere quella volta, anche se sofferente in quel maledetto letto d’ospedale, durante il suo sesto giorno di coma. Il pianto cominciò a sgorgare dalle sue ciglia senza vergogna, ma in silenzio, quando il ragazzo serrò con forza le palpebre, trincerandosi fuori dal mondo con una cecità indotta che ormai gli era familiare prima di alzarsi per premere le labbra contro la tempia tiepida di Adam, quella non coperta dalla fasciatura.

- Ti amo con tutto me stesso, Adam Mitchel Lambert – gli confessò all’orecchio mentre gli affondava le dita tra i capelli in carezze intense, al limite. - Ti supplico, non lasciarmi.

 

Julie stava passeggiando lungo il corridoio del terzo piano con in mano un bicchiere di carta colmo di caffè fumante quando una sensazione inspiegabile le disse di affacciarsi alla stanza di Adam per sbirciare ciò che stava succedendo. Si assentò dallo spazio neutro costituito dalla corsia per quasi un minuto prima di tornare alla soglia e sporgersi in direzione di Rick e dell’amica, che conversavano a mezza voce seduti sulle sedie di plastica dedicate all’attesa. Se Alison era lì perché si era occupata del turno della sera, il marito l’aveva accompagnata in città per il turno della notte, per recuperare il figlio adottivo e convincerlo di quanto avesse bisogno di una dormita di otto ore nel suo letto, per la prima volta in un’intera settimana.

- Rick, Allie, venite a vedere – li chiamò la donna a bassa voce, e quando ebbe la loro attenzione si premette l’indice sulle labbra. - Senza far rumore.

Rientrò nella camera lentamente e attese che gli altri due la raggiungessero a passi misurati affinché vedessero ciò che aveva colpito e affondato la sua emotività, già duramente messa alla prova in quelle giornate d’incertezza: Tommy aveva avvicinato la propria sedia al letto di Adam il più possibile per poter circondare col braccio sinistro la vita del ventiduenne e posargli la testa sul ventre; poi si era addormentato, e aveva l’aria di chi non si sarebbe fatto svegliare nemmeno da una nave ammiraglia in vena di sparare cannonate. D’altronde non lo si poteva biasimare, era una settimana che non riusciva ad abbandonarsi a più di tre ore di sonno per notte.

- Oh – esalò Alison non appena si trovò di fronte il quadretto. - Come sono belli.

- Guarda quant'è tenero, povero tesoro – sospirò Julie, aggrappandosi al braccio del marito. - Sopportare questa situazione è dieci volte più difficile per lui che per noi.

Senza spostare lo sguardo dall’abbraccio nel quale sia Tommy che Adam dormivano placidamente, Rick prese un respiro profondo.

- É una prova dura, ma deve continuare ad avere fiducia nella forza di Adam. Tutti noi dobbiamo farlo.

- Ad è una roccia – affermò Alison, e solo in quel momento Julie si rese conto che aveva di nuovo il viso bagnato di lacrime. - Ne ha passate di tutti i colori e ne è sempre uscito alla grande, ce la farà anche stavolta, io lo so.

- Ma certo, cara. Andrà tutto bene, vedrai – corse a rincuorarla Julie, affrettandosi a ricondurla in corridoio prima di tornare a pungolare la stasi di Rick, che non si era mosso di un millimetro col semplice scopo di stamparsi in testa l’immagine della calma che intravedeva sul viso di Tommy, quella quiete senza pensieri che da troppo tempo non vedeva distendere i tratti del figlio. - Pensi che dovremmo svegliarlo? – chiese Julie, scrupolosa, appena appena udibile. - Avevamo organizzato il turno di stanotte così che potesse tornare a casa con te, riposare e recuperare un po’ degli arretrati con lo studio domani, no?

Gli occhi di Rick contemplarono la pace dipinta sul viso di Tommy ancora per qualche secondo prima che la sua mente si decidesse a elaborare una risposta.

- No, lasciamolo stare. Parlerò con Kevin e gli dirò di spedircelo a casa con una corriera quando si sveglia, visto che penso non ci sarà verso di tirarlo via da lì prima dell’inizio del suo turno, domani mattina – dichiarò, per poi prendere sottobraccio la moglie e tornare in corridoio. - Forse non come un re, ma almeno riuscirà a dormire un poco. Dio solo sa quanto ne ha bisogno.

 

Quando Adam, dieci anni e mezzo, spinse la porta appena accostata della cameretta e si affacciò sulla soglia, al piccolo Tommy, a cui mancavano appena un paio di mesi per compiere sei anni, sembrarono passati secoli dall'ultima volta che lo aveva visto. Non poteva capire che erano appena le nove di sera, che erano trascorse poche decine di minuti da quando lo stesso Adam gli aveva portato di nascosto qualcosa da mangiare dopo che la cena gli era stata negata e ancora meno tempo da quando Adam, tornando al piano di sotto col piatto vuoto, era stato visto e bloccato dal padre adottivo. Al più piccolo sembrava di aver aspettato per sempre che il bambino dai capelli rossi tornasse a fargli compagnia.

Adam, da parte sua, diede una rapida occhiata all'interno della stanzetta spoglia che condivideva con l'altro e solo dopo, credendo che dormisse, avanzò a tentoni, zoppicando un poco nell'oscurità fino al proprio letto, quello vuoto sulla destra.

Strinse i denti per il bruciore quando fu il momento di infilarsi fra le coperte, ma infine riuscì a mettersi prono senza che alcun rumore, o quasi, lo tradisse.

- Mf... ah.

Non arrivò a contare dieci secondi prima che la voce del fratellino adottivo, flebile nella notte, interrompesse i suoi sforzi di respirare normalmente.

- Adam? Dormi?

- No - rantolò il bambino, stremato. - Che vuoi?

- Ti ha fatto male?

Era praticamente uno squittio, avrebbe quasi potuto confondersi col cigolio di una porta che scorre su cardini mal oliati. Adam si aggrappò alle lenzuola e le stritolò per soffocare il bisogno di urlare e tramutarlo in un soffio che gli fece tremare un poco le labbra: - Sì.

Udì un tramestio di coperte anche dall'altra parte della camera. Il lettino di Tommy era appena un giaciglio, un ammasso di coltri ammonticchiate fra le quali il bimbo era stato messo a dormire in attesa che Cooper si decidesse a trascinarsi fino ai grandi magazzini per comprare un materasso vero, sempre che avesse l'intenzione di farlo.

- Tanto? - insistette Tommy, e il più grande si morse il labbro inferiore.

- Abbastanza.

Un attimo di silenzio, giusto il tempo sufficiente a elaborare dubbi, timori, rispetto.

- Adam?

- Hm?

- Posso venire lì con te?

Adam sapeva che per Tommy la questione non si riduceva alla possibilità di dormire comodi in quello che, effettivamente, era l’unico oggetto nella stanza catalogabile come letto. Era in quella casa da appena dieci giorni ed era già la terza volta che il maggiore  arrivava a sera in quelle condizioni, facendogli sperimentare indirettamente la violenza di Cooper. Adam sapeva che quella situazione lo intimoriva e innervosiva, perché lo scricciolo non c'era abituato, anche se fino a quel momento il più grande era riuscito a evitare che Cooper gli mettesse le mani addosso, e sapeva che aveva bisogno di qualcuno, una figura di riferimento a cui aggrapparsi.

Fu per questa ragione che, sebbene si sentisse un disastro tremolante, se ne fregò e scostò le coperte in un esplicito invito a raggiungerlo.

Udendo quel ragnetto scattare verso di lui, sollevato ed entusiasta allo stesso tempo, Adam si affrettò a passarsi i palmi delle mani su occhi e guance per cancellare ogni traccia delle lacrime versate prima che Tommy lo raggiungesse, prendesse posto accanto a lui nel letto e si lasciasse sistemare addosso lenzuola e coperta. Il rossore delle gote non fu un problema col manto delle tenebre a coprirlo.

Il piccolino si sistemò su un fianco, le spalle rivolte al più grande di sua spontanea volontà, e Adam si ritrovò a ringraziare il cielo per quel dono inaspettato.

- Ti farà ancora male domani? - domandò Tommy dopo una manciata di secondi, ma la risposta di Adam tardò, perché gli servì qualche attimo per capire che il bimbo non si stava riferendo a Cooper, ma ai lividi che si era appena procurato.

- Non lo so. Credo di sì - sussurrò allora. - Ha usato la ciabatta.

E non ha smesso per dieci minuti interi, avrebbe voluto aggiungere, ma per qualche motivo si trattenne. Tommy era già abbastanza spaventato e lui decisamente troppo provato per sforzarsi oltre lo stretto necessario.

Fortunatamente quella vocina familiare tornò a reclamare attenzione prima che i pensieri a riguardo diventassero soffocanti.

- Perché volevo chiederti se domani giochi con me ai pirati.

Allontanando la mente dall'intensità delle fitte che lo mettevano alla prova a intervalli regolari, il ragazzino dai capelli rossi annuì. - É una buona idea.

- Adam?

- Che c'è ancora?

- É stata colpa mia, vero? - Quando il corpicino di Tommy fu scosso da un fremito, Adam ne sentì l'eco sul proprio, dato che il braccino dell'altro era a contatto col suo. - Doveva picchiare me.

Quella considerazione fece irrigidire Adam e questa volta dovette essere Tommy a sentirlo, perché rimase fermo, in attesa.

- No - decretò, quasi severo, alzando una mano a stringergli il braccio a mo' di protezione. - Nessuno ti deve toccare, capito? Tu sei piccolo. Se Cooper vuole picchiare qualcuno, allora devo essere io. Sempre. Io sono il fratello maggiore.

A quel discorso serio e compreso Tommy oppose un sorriso traboccante gioia ed entusiasmo e fece in modo di mostrarlo ad Adam voltando il visino verso il suo.

- Siamo fratelli? Per davvero?

- Certo, cosa credevi? - ribatté il più grande, costringendosi a ricambiare quel sorriso inerme prima di spingere la testa di Tommy di nuovo sul cuscino. - Adesso dormi, però. Domani scappiamo ai giardinetti e organizziamo il miglior assalto pirata di tutta la storia dei bucanieri.

- Hm-hm - concordò il più piccolo, tornando a dargli le spalle e chiudendo finalmente gli occhi. - Domani però non farti picchiare.

A quel punto Adam dovette deglutire cemento per non far trasparire la paura provocata da quella frase. L'aveva giurato, era il fratello maggiore di quello scricciolo. L'aveva giurato e perciò non si sarebbe tirato indietro, lo avrebbe difeso a qualunque costo.

- No - bisbigliò appena, sistemandosi a sua volta per la notte. - Domani non mi tocca, tranquillo.

- Ti voglio bene, fratellone – disse allora Tommy con la genuinità che solo a quell’età benedice tutti indistintamente.

- Anch'io, Tommy. Anch’io – ricambiò il più grande. Gli sistemò meglio le coperte e le schiacciò bene ai bordi di quel corpo minuscolo, fragile, così che non fosse vittima di nemmeno uno spiffero. - E magari un giorno ce ne andremo da qui.

 

Nessuno se ne accorse quella notte, la prima notte in cui Tommy si unì ad Adam e al suo sonno invulnerabile. Ma dopo quella notte, dopo che le braccia del ragazzo furono rimaste per ore a cingere il suo corpo, una guancia ebbe indugiato sul suo ventre, il suo fiato leggero gli ebbe scaldato la pelle sotto l’anonima tunica dell’ospedale e le memorie di tempi andati ebbero solleticato il suo mondo sotto forma di sogno, qualcosa nel suo stato cambiò senza alcuna ragione riscontrabile dai tabulati medici.

Senza che nessuno avesse gli occhi aperti per rendersene conto, Adam socchiuse le labbra, le ciglia si mossero in un singolo battito, le dita furono vittime di uno spasmo, anche se immediatamente sedato. E sebbene il ragazzo continuasse a godere di un respiro regolare, di un sonno impassibile, il suo battito cardiaco accelerò fino a imitare in tutto e per tutto il palpito del giovane cuore che per l’intera notte non aveva fatto altro che respirargli addosso, pregando per lui nelle tenebre, attraversando il suo universo onirico, sospirando per il suo ritorno.



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Capitolo 18
*** Un nuovo equilibrio ***





Grazie a chi recensisce e a chi segue. Sono noiosa nei ringraziamenti, lo so, ma vi amo tutte <3

Buona lettura, e ricordate che mi farebbe piacere sentire le vostre adorabili vocine nelle recensioni anche in caso vogliano sparare insulti!

Tanto amore,


a.


P.S. Ah, dimenticavo! Se siete curiose, questo fanciullo è il nostro KEVIN <3






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 “And I don't believe in the existence of angels

But looking at you I wonder if that's true

But if I did I would summon them together

And ask them to watch over you”

(Into My Arms, Nick Cave)

 

 

 


Il mondo attorno e oltre Adam tornò a lui lentamente. La sua coscienza riprese a schiudersi timidamente al tocco della sua mente che si risvegliava, la realtà gli si riaffacciò un brandello alla volta, senza alcuna fretta, dopo quella notte trascorsa col calore del corpo di Tommy così vicino all’unico che il suo potesse vantare, quello indotto dalle macchine.

Cominciò con un unico frammento. Una piccola, insignificante macchia di colore che da sola riuscì a lacerare l’oscurità impenetrabile nella quale il coma lo aveva segregato, dando così il via a tutto: una pioggia di scintille che dal nulla, dopo tanto attendere, gli scoppiò davanti agli occhi, sotto alle palpebre, finché finalmente quei due macigni non acconsentirono ad alzarsi di qualche millimetro.

Vide che era mattina, forse addirittura prima delle nove. Attraverso la fessura degli occhi semi-aperti poteva scorgere una finestra schermata da tapparelle alla sua destra, veneziane che lasciavano entrare spiragli di luce in quella che aveva tutto l’aspetto di una camera d’ospedale e li proiettava sul pavimento di fòrmica pressata. Il suo corpo ancora addormentato occupava l’unico letto presente e, da quel che poteva vedere, era provvisto di un camicione da malato e del collegamento con diversi tubicini che, terminando ognuno in un ago, gli erano stati infilati sottopelle e lì erano rimasti, molto probabilmente per occuparsi della sua nutrizione via flebo.

Provò a muovere mani e piedi, ma le prime furono le uniche a rispondergli con quello che somigliava a un movimento voluto. Quando provò a girare lentamente il capo verso sinistra fu come se avesse lasciato cadere un cerino acceso direttamente all’interno della testa, ma un secondo dopo, quando l’improvvisa fitta di dolore fu scemata e i suoi occhi accettarono di riaprirsi, quella sofferenza venne subito messa da parte. C’era qualcuno nella stanza assieme a lui, qualcuno che conosceva. Qualcuno era lì a provargli che quella era effettivamente la realtà, che era tornato in un mondo dove poteva riconoscere le persone, che non era più solo in mezzo a tutto quel buio, impossibilitato a muoversi, a parlare, a opporre resistenza in qualsiasi modo gli potesse venire in mente.

Kevin era in piedi di spalle a poco più di due metri da lui, intento ad analizzare con occhio ignorante un macchinario spento. Il suo migliore amico era di nuovo accanto a lui e Adam si sentì morire di sollievo nel sapere che era tornato, appena tornato tra i vivi.

Non curandosi del fatto che le labbra fossero così secche da spaccarglisi all’istante, aprì la bocca per parlare. Avrebbe tanto voluto esordire con un “ehi, bel fusto, pensi di girarti o devo continuare ad ammirare il panorama?”, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe arrivato nemmeno a metà frase prima di perdere completamente la voce in un accesso di tosse, quindi si accontentò del primo mugolio che gli uscì di bocca.

- Kev…

Il ventottenne trasalì così forte che Adam temette di vederlo scivolare e cadere a terra ancora prima che i loro occhi s’incrociassero. Fece un salto, questo è certo, e si voltò di scatto verso il letto con una mano sul petto e gli occhi fuori dalle orbite.

- Adam!

Corse da lui, aggrappandosi alle sponde del materasso, e per un paio di secondi non poté combinare altro che rimanere impietrito a fissarlo, le labbra socchiuse in un continuo tentativo di dare adito a una fila di parole che suonasse come qualcosa di più di un tramestio di balbettii. Fu in quel momento, quando Kevin era ancora preda alla confusione legata alla primissima incredulità, che Adam si sorprese a sorridere. In realtà il suo fu più un tirare stanco delle labbra, debilitato com’era, ma non c’erano dubbi che dentro il ragazzo se la stesse ridendo. Dio, non avrebbe saputo spiegare perché, ma il verde cupo degli occhi di Kevin gli era mancato così tanto e se ne rendeva conto solo ora che li aveva a poche decine di centimetri dal viso.

Era ancora intento ad affondare in quegli occhi, a contemplarli come la prova fino ad allora più vivida del suo ritorno a casa, quando all’improvviso li vide inumidirsi di lacrime, mentre la mano di Kevin saliva verso la sua guancia per carezzarla con tocco ruvido, come se il più grande avesse voluto accertarsi della sua effettiva presenza lì. – Come ti senti? Da quanto tempo sei sveglio?

Il ventiduenne sorrise ancora prima di prendere un respiro profondo. – Il tempo sufficiente per… - Un nodo in gola gli impedì di proseguire e dovette interrompersi per tossire via l’ostacolo, respirare ancora e ricominciare con voce roca, la nuca abbandonata sul cuscino. - Per farti una panoramica al culo. Palestrato del cazzo.

La sua voce premuta contro le pareti del respiratore artificiale suonava smorzata, contraffatta e appiccicata a forza su quel complimento distorto, ma riuscì lo stesso a far sorridere il riccio e quei suoi occhi lucidi. – Se non altro sei ancora in te.

- In merito al come mi sento, invece, temo che l’unica buona notizia sia che sono sveglio, visto quanto sei entusiasta – esalò Adam, tornando a chiudere gli occhi mentre il dolore alla tempia e sotto il costato si faceva martellante. – Cazzo, un attimo fa non faceva così male.

- Chiamo l’assistenza – decise allora Kevin, sbrigandosi ad allungare un braccio verso la parete, così da poter pigiare il pulsante rosso immediatamente a lato della testata del letto. Il bottone si illuminò un attimo dopo e il ventottenne tornò all’amico, questa volta dando retta all’istinto e prendendogli la mano. - Non preoccuparti. Dev’essere perché in questi giorni non hanno potuto darti troppi anestetici a causa del coma, rimedieranno in un secondo.

Coma.

Quella parola riecheggiò per un momento nella mente di Adam, subito prima che la ferita lo riportasse all’urgenza immediata del dolore. Quindi era quello il nome che doveva dare a tutto quel buio, all’oscurità in cui gli era parso di navigare per dieci vite intere ma che si era annullata completamente nel momento in cui aveva riaperto le palpebre. Coma. Pian piano avrebbe iniziato a ricordare ciò che era successo prima che le tenebre calassero su di lui, ne aveva la sensazione ed era fiducioso a proposito, ma non in quel momento, non mentre aspettava che un goccio di morfina gli restituisse la gioia di essere sopravvissuto.

- Quanto ci sono rimasto? – domandò per provare a distrarsi nell’attesa. – In coma, quanto ci sono rimasto?

- Questo sarebbe stato il settimo giorno – rispose Kevin con prontezza, stringendogli la mano con più energia per donargli conforto. – Oggi è il 2 maggio, venerdì.

- E come sono messo? – seguitò Adam, sempre ad occhi serrati. – Sappi che se non risponderai entro tre secondi mi preoccuperò a morte. E che voglio saperlo da te, non dai medici. Non mi fido dei medici da quando non si accorsero che quel figlio di puttana di Sanders…

- Lo so. E so che non puoi superare questa cosa adesso – lo interruppe Kevin in un soffio, carezzandogli la testa. – Ma ti fidi di me, giusto? E io ti dico che ti stanno curando bene. Sei stato ferito all’addome e alla testa, ma sei in via di guarigione e ti riprenderai completamente. Il coma era il problema più grande, ma ti sei svegliato e ora devi solo dare al tuo corpo il tempo di recuperare. Mi credi, Adam, non è vero?

- Ti credo, ti credo – ansimò il più giovane. – Vorrei solo che qualcuno si muovesse a darmi un antidolorifico, perché questa cosa mi sta spaccando la testa.

Proprio in quel momento un capannello formato da tre persone, infermieri di entrambi i sessi, entrò di corsa nella stanza e si raggruppò attorno a lui. Esprimendo con un sorriso e qualche frase d’incoraggiamento la propria soddisfazione per il fatto che il paziente si fosse ripreso, una di loro si premurò di controllare i tabulati dei macchinari mentre l’unico maschio si affrettava ad aggiungere un poco di analgesico alla sacca collegata alla flebo nel braccio del ventiduenne e l’altra ragazza cominciava a occuparsi degli esami medici di base.

- Dovrebbe uscire mentre lo visitiamo – disse l’infermiere, allontanando Kevin dal letto con ferma gentilezza per condurlo verso la porta. - Ci vorrà solo una decina di minuti, un quarto d’ora al massimo.

A quel punto Adam, che era già stato accerchiato dalle due infermiere e dalle loro premure, sentì una necessità premergli sul fondo della gola, quasi unita al cuore che aveva iniziato a martellargli forte in petto, e malgrado il calmante che gli avevano somministrato si stesse rivelando abbastanza potente da annebbiargli la vista, si sporse un poco verso destra per ritrovare la figura del ventottenne prima che l’uomo in divisa bianca lo conducesse oltre l’angolo.

- Aspettate… aspettate solo un attimo, per favore… Kevin…

Batté le palpebre una volta e subito se lo ritrovò accanto. - Sono qui, dimmi.

- Tommy… Tommy sta bene? – rantolò, e rivedere un sorriso allargarsi sul volto del ventottenne lo riempì di sollievo.

- A parte il colpo al cuore che gli verrà quando gli dirò che sei di nuovo qui? Sta bene, Ad, e starà alla grande quando saprà che ti sei svegliato – Detto ciò si chinò a baciarlo sulla testa, sovrastato dall’emozione, quindi lo rassicurò con una stretta al braccio e indietreggiò verso la porta per fare spazio ai medici, un sorriso tremolante ma semplicemente radioso che gli illuminava il volto mentre alzava il cellulare in aria. – Vado a chiamarlo e torno, d’accordo? Intanto non molestare le signorine!

Ad Adam scappò un sorriso per la battuta, che nella sua piccolezza gli permise di rilassarsi abbastanza da consentire alla troupe di infermieri di procedere con ogni misurazione e fargli tutti i test di cui avevano bisogno. Chiuse gli occhi per un secondo, respirò profondamente e li lasciò fare, obbedendo a ogni loro richiesta al meglio delle proprie possibilità, concentrandosi sull’immagine che aveva ripreso a farla da padrone nella sua testa, che era anche l’unica che gli permise di stare tranquillo durante l’intera durata della visita malgrado il disagio che aveva sempre provato dinnanzi a qualsiasi medico dopo i tredici anni.

Tommy, fa’ presto.

 

Una mezz’ora dopo si ritrovarono nella stessa situazione che aveva sorpreso entrambi al risveglio del più giovane, Adam a letto e Kevin seduto lì accanto a intrattenerlo con le ultime novità e a controllare che non accusasse ricadute o sintomi da denunciare al dottor Larson. Il medico se n’era andato da poco, subito dopo aver controllato che gli infermieri avessero portato a termine il proprio lavoro, aver visitato sommariamente Adam, prescritto altri esami da svolgere nell’arco di pochi giorni e aver sparso un po’ ovunque le sue felicitazioni per il ritorno del ragazzo dal mondo delle ombre.

Ora ad Adam non restava che attendere l’arrivo della famiglia O’Reilly, che prontamente avvisata da Kevin si era messa subito in marcia verso la città e l’ospedale, e certo non si aspettava che quell’assurda attesa potesse venir resa più leggera dalla presenza del ventottenne. Dopotutto, nonostante sentisse la stanchezza ancorarlo al materasso, rivedere Tommy era appena diventata la sua priorità, e non avrebbe mai chiesto al suo migliore amico di distrarlo dal pensiero della persona che regnava nel suo cuore. Eppure fu allora che, ancora una volta, Kevin riuscì a stupirlo.

- Ho fatto i compiti, sai? – annunciò dopo pochi minuti da quando erano rimasti soli, rivolgendogli un sorrisetto saccente.

Adam aggrottò le sopracciglia, confuso. - Cosa?

- Ho fatto i compiti – ribadì allora il più grande, a stento trattenendo una risatina. - Mi sono trovato un ragazzo.

- Cosa? – ripeté Adam con una faccia scioccata. - Mi stai prendendo in giro?

Colpito, Kevin assunse un‘espressione fintamente offesa, portandosi una mano aperta al petto e spalancando la bocca. - Oh, tante grazie per la considerazione! Se credi di essere l’unico che riesce a rimorchiare faresti meglio a rivedere i tuoi canoni, bellezza, perché non sono esattamente malvisto sulla piazza, anzi.

Il ventiduenne alzò gli occhi al cielo. - Non volevo dire che…

- Dai, scemo, scherzavo! – lo interruppe però il maggiore con una risata, prima di cominciare a torturarsi le unghie, forse senza accorgersene nemmeno. - Ci siamo incontrati lunedì. Visto che eri al mare con il tuo bello e quindi non disponibile per il solito aperitivo, sono andato a un concerto. Da solo, era la cantante ad attirarmi. La voce della cantante – si premurò di specificare quando intercettò l’occhiata storta di Adam. Poi si prese una pausa e sospirò. - E lì l’ho visto. Era solo, aveva notato che lo stavo guardando e non sembrava essere infastidito dalla cosa, quindi mi sono avvicinato. Abbiamo iniziato a parlare, bevuto qualcosa assieme, cantato assieme. E poi… ricordi quella canzone che parla di afferrare uno e baciarlo?

Adam alzò le sopracciglia fino all’inverosimile a quell’imboccata. Per qualche strano motivo non riusciva a smettere di sorridere, come contagiato dall’eccitazione che sentiva fremere sotto la falsa pacatezza delle parole di Kevin. - E lui lo ha fatto con te?

- In realtà l’ho fatto io con lui – confessò Kevin rialzando lo sguardo, e quando il più giovane spalancò la bocca per la sorpresa e scoppiò a ridere, sbigottito, lui diede in una risatina e scosse la testa, lo sguardo al soffitto e gli occhi lucidi di felicità, come se l’emozione preponderante in lui fosse ancora la meraviglia per essere stato l’interprete di quel gesto. - Oddio, Ad, è stato… non so cos’è stato a spingermi a farlo, so solo che non me ne sono ancora pentito. Finora per una cosa o per l’altra ci siamo visti tutti i giorni, per pranzo, cena o l’uno a casa dell’altro ed è surreale, lo so, ma stiamo bene. Non c’è molto imbarazzo e credo sia semplicemente perché nessuno di noi due ha la sensazione che quello che stiamo facendo sia sbagliato, pur conoscendoci da così poco. Non so come spiegartelo, non provavo una cosa del genere da anni, da… da quando non avevo occhi che per te, in effetti.

Adam scosse la testa, comprensivo. – Non serve che me lo spieghi – In effetti non aveva difficoltà a comprendere come si sentiva l’amico, dato che da come lo aveva descritto quel sentimento era del tutto simile a ciò che lui provava per Tommy. - Be’, mi dirai come si chiama il fortunato o devo far avviare un’indagine?

Quando Kevin sfoggiò quel sorriso, Adam dovette mordersi la lingua per trattenersi dal dargli della bambolina innamorata.

- Drew. Voglio dire, Andrew, si chiama Andrew – rispose il ragazzo, serrando gli occhi per la vergogna e portandosi una mano alla nuca quando si rese conto che si era trovato a un passo dal tartagliare come una ragazzina infatuata del compagno di banco. - Cristo, non credevo sarebbe stato così imbarazzante parlarne con il mio migliore amico. Come lo dico a mia madre?

- Con l’aiuto del tuo ragazzo – lo confortò il ventiduenne con un sorriso sincero, nascondendo ogni traccia di malizia. - Lo voglio conoscere, sia chiaro. Al più presto. Non ho intenzione di lasciarti andare in giro con ragazzacci che non abbiano ricevuto la mia approvazione, soprattutto se si tratta di una cosa seria.

Kevin rise e annuì, accennando un inchino. - Ma è ovvio, sire. Comunque anche lui sarà contento di vederti sveglio, ha assorbito tutta la mia ansia in questi giorni – gli confidò a mezza voce, lo sguardo che velocemente correva verso il pavimento per poi tornare agli occhi di Adam cambiato, con una vena di tristezza che neppure la vivacità datagli dalla sua nuova fiamma fu in grado di celare. - È stato tremendo, Ad. Sentire Tommy al telefono, sentire che non riusciva a finire la frase, venire a sapere cosa ti era capitato, correre qui e vederti in questo letto, immobile… tremendo.

Vedendo che le mani avevano cominciato a tremargli, in un primo momento il ventiduenne si spaventò. Non ricordava di aver mai visto Kevin così scosso. Turbato e schifato quando Adam gli aveva raccontato ogni macabro particolare del proprio passato, certo, furioso quando lo aveva deluso buttandosi sulle droghe pesanti, senza dubbio, ma mai sull’orlo del pianto come lo vide in quel momento. E sebbene sapesse di essere lui il malato, sebbene capisse quando dovesse essere stato terribile sentirsi dire dai medici che una delle persone a cui teneva di più avrebbe potuto morire o rimanere in stato vegetativo per tutta la vita, scosse la testa per bloccare il suo pianto sul nascere. Non sapeva se avrebbe retto a una visione del genere, Kevin che piangeva per lui come mai lo aveva visto fare, e non voleva nemmeno scoprire quanto male si sarebbe sentito se ciò fosse accaduto proprio in quel momento, quando era completamente inerme.

- Oh no, dai, Kev – cercò di risollevarlo con voce morbida. – Va tutto bene adesso. Dai, abbracciami – lo incoraggiò, e quando il ventottenne obbedì, ghermendolo con la disperazione di chi temeva ancora di vederselo scivolare via dalle dita, gli carezzò la schiena. - Va tutto bene, tutto bene.

Sentì Kevin stringere nel pugno chiuso la stoffa della sua tunica grossolana con così tanta energia che fino all’ultimo attese di udire il rumore del tessuto che si strappava.

- Non sai quanta paura ho avuto di non vederti riaprire gli occhi. Sei mio fratello, cazzo…

Sentì un singhiozzo scuotere il torace pressato contro il suo e serrò gli occhi con violenza per impedirsi di piangere a sua volta, o sarebbe stata la fine.

- Sono qui – si limitò a sussurrargli all’orecchio in risposta. Non ebbe neppure il tempo di accorgersi che quel poco sembrava essere bastato per calmare il maggiore che si ritrovò i suoi due occhi infuocati fissi nei propri.

- Non avrò pace finché non troveranno chi ti ha fatto questo. Lo giuro, Ad, non avrò pace finché non vedrò quei figli di puttana dietro le sbarre.

Adam annuì, quindi sorrise e gli carezzò una spalla, ancora troppo spossato per provare della rabbia vera. Dopotutto aveva fiducia di poter ottenere giustizia e l’ultima cosa che voleva era che chi gli stava accanto e gli donava il suo affetto avesse da rodersi il fegato per colpe che avrebbero finito per essere punite presto o tardi, in un modo o nell’altro. Ciò che Kevin non sapeva, perché Adam non ne aveva ancora parlato, era che ricordava le corporature, le mani, tratti dei volti delle due persone che l’avevano aggredito, prove che a un esame di riconoscimento non avrebbero concesso ai colpevoli alcuna possibilità di scampo. Ma la priorità, ora, era calmare il suo migliore amico.

- D’accordo, ma vedi di non agitarti troppo. Se Drew è davvero così fantastico non vorrai farlo scappare, dico bene? – lo provocò affettuosamente prima di posargli le mani sulle spalle e guardarlo dritto negli occhi. – Per la miseria, hai gli occhi che brillano ogni volta che pronunci o senti il suo nome, sei senza speranza.

La risata gioiosa di Kevin non si era ancora esaurita quando una voce femminile dai toni gentili richiamò l’attenzione di entrambi.

- Scusate – Un’infermiera dai capelli castani sorrise loro dal principio del breve corridoio che conduceva alla porta. - È arrivata la famiglia e…

In quello stesso istante il rumore della porta che si spalancava alle sue spalle le mangiò il resto delle parole, facendola voltare appena in tempo per scorgere il ragazzino che la superò di corsa. Tommy si arrestò ai piedi del letto per un tempo a malapena sufficiente a che Adam socchiudesse le labbra sull’orlo di un mormorio, trafitto al cuore da quegli occhi scuri gonfi di lacrime, poi fu solo un attimo prima che il diciassettenne raggiungesse il lato del letto e lo travolgesse in un abbraccio da togliere il fiato anche a un individuo sano.

In mezzo a tutto quel parapiglia, mentre non poteva fare a meno di stringersi al petto la persona che dopo tanto tempo aveva dimostrato di saperlo sconvolgere ancora con un’entrata in scena, Adam fece fatica anche solo a notare lo scambio di sguardi fra Kevin e l’assistente medico.

- Un visitatore alla volta – ricordò la ragazza, quasi come se si stesse scusando per l’esistenza stessa di quella regola.

A quel punto il ventottenne annuì coscienzioso prima di lasciare la sedia e rivolgere uno sguardo colmo d’affetto all’abbraccio inscindibile che si stava consumando silenziosamente sotto i suoi occhi. Prima di vedere l’amico uscire dietro all’infermiera, Adam sentì il suo palmo bollente premere sul dorso della propria mano, quella che teneva stretta la maglia di Tommy in cima alla sua schiena, e consapevole del peso di quella benedizione chiuse gli occhi e baciò la tempia tremante del suo ragazzo. Nessuno dei due aveva ancora detto una parola.

Per qualche ragione fu lo scatto del battente che si richiudeva, lasciandoli soli, a spronare il più grande a cacciarsi fuori di gola le prime parole.

- Tommy, amore, attento agli aghi…

Per tutta risposta Tommy allentò la presa attorno al suo busto, ma di poco, e con una mano gli cinse invece la nuca, passando le dita fra i suoi capelli in un movimento che anche da solo sembrava dargli sicurezza.

- Sei vivo – soffiò, incerto, caracollando fra le parole come un balbuziente. – Grazie a Dio o a chiunque sia, sei vivo.

- Sì, sono vivo – assentì allora Adam con la voce fioca con la quale ormai aveva familiarizzato, sfiorandogli la testa. - E tutto grazie al mio fratellino.

Solo allora Tommy acconsentì a sciogliere l’abbraccio, indietreggiando di un passo e tenendo gli occhi fissi sui propri piedi mentre scuoteva il capo, in imbarazzo.

- Che dici, sono stati i dottori. È merito loro.

- No – lo corresse subito il ventiduenne, poggiandogli due dita sotto il mento e insistendo affinché il giovane portasse lo sguardo all’altezza del suo prima di concludere la frase in un bisbiglio: - È merito del mio fratello devoto.

Solo per un attimo il diciassettenne apparve confuso, come se fare quel collegamento richiedesse più lucidità di quella di cui era provvisto al momento, poi un lampo attraversò i suoi occhi tersi, le sue labbra si schiusero senza che ne uscisse più di un respiro e Adam ebbe la certezza che aveva ricordato. Compiaciuto, gli sorrise dolcemente, ruotando la mano così da potergli accarezzare la gota con il pollice.

- Credevi non potessi sentirti, eh? Dubito che sarei riuscito a svegliarmi senza il suono della tua voce – ammise senza alcuna vergogna, quindi fece in modo di abbassare ancora di più il tono di voce, trasformandolo in qualcosa che sorprendentemente, a dispetto delle sue condizioni di salute, riuscì a suonare addirittura suadente. – Perciò grazie di avermi asfissiato con le tue chiacchiere, micetto. Non sarei qui se non fossi così insopportabilmente logorroico.

Come il maggiore aveva previsto accadesse, Tommy abbandonò immediatamente la malinconia per assumere un’espressione indignata e aprì la bocca per ribattere a tono, ma Adam non gliene diede il tempo. Sforzandosi sicuramente più di quanto medico e infermieri avrebbero approvato e meno di quanto lui stesso avrebbe desiderato per raggiungere un risultato ottimale, fece scivolare la mano sulla nuca del biondo e lo tirò a sé, sporgendosi al contempo il più possibile verso il ciglio del materasso con la fermissima intenzione di ignorare il tirare di fili e tubicini.

Le loro labbra collisero prima che Tommy potesse anche solo rendersi conto che stavano per riunirsi, tanta era stata la rapidità di Adam, ma ciò contribuì a smorzare almeno in parte lo svantaggio fisico del ventiduenne. Il maggiore riuscì infatti a imporsi in quel bacio come in quasi tutti quelli che i due si erano scambiati, ponendosene a capo, modellando le intemperanze di Tommy a quelle che sapeva essere le esigenze di entrambi, regolando il ritmo e rendendolo comune. Era ciò di cui si era sempre occupato Adam, dopotutto, donare salvezza, protezione e sicurezza a Tommy e stabilità a ogni minima parte della loro relazione.

E d’un tratto i sorrisi a cui diedero vita l’uno sulle labbra dell’altro e le lacrime che li bagnarono smisero di avere importanza, smisero di avere importanza le dita affondate con possessività nella pelle dell’altro. Con quel bacio di ricongiungimento si ripresero ciò che il mondo aveva rubato loro senza badare ad altro, riassaporando ogni minima sfumatura della bocca e del respiro corto dell’altro, trovando così un nuovo equilibrio. Si sarebbero fatti bastare quel primo bacio successivo alla morte, quell’attimo rubato al gelo dell’ospedale per iniziare a scrivere una nuova vita assieme.



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Capitolo 19
*** Crescere ***




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“You saw my pain

Washed out in the rain

And broken glass

Saw the blood run from my veins

But you saw no fault, no cracks in my heart

And you knelt beside

My hope torn apart

But the ghosts that we knew will flicker from view
And we'll live a long life”

(Ghosts that we knew, Mumford & Sons)

 


Stava ormai calando il tramonto sulla prima giornata che Adam trascorse lontano dal pericolo di morte quando un uomo in divisa bussò alla porta della sua camera. L’agente Thompson si premurò di fargli sapere che aveva ricevuto il permesso di recarsi a trovarlo dal capo infermiere e da quelli che credeva essere i genitori del paziente prima di presentarsi lì, e in aggiunta a ciò ebbe il tatto di domandargli quali fossero le sue condizioni e se si sentisse abbastanza in forma da fare due chiacchiere prima di passare agli argomenti seri e chiedergli di raccontare tutto ciò che ricordava della sera in cui era stato assalito. Adam, da parte sua, lo accontentò senza troppi intoppi e fu grato del fatto che l’uomo evitò di interromperlo, aspettando invece di essere certo che avesse finito per palesare i propri dubbi.

- Hai detto di ricordare i loro volti, almeno in parte – osservò l’agente di polizia una volta che il ragazzo ebbe taciuto, e il giovane annuì. Solo allora l’uomo estrasse dalla propria borsa a tracolla un plico di fogli e glieli porse. - Allora puoi dirmi se qualcuno di questi ti stuzzica la memoria?

Adam si portò le foto formato A4 in grembo e le studiò lentamente una a una, voltando ogni pagina solo dopo aver studiato per bene la figura proposta. Erano per la maggioranza volti giovani, presumibilmente appartenenti a coloro che la polizia aveva individuato come possibili responsabili, ma il ventiduenne non trovò nulla che potesse aiutarlo e continuò a scuotere alla testa, affranto, almeno finché non scoprì l’ottava foto. Allora si bloccò e la scintilla del ricordo gli fece socchiudere le labbra. Sebbene appena un attimo prima fosse stato certo di non ricordare abbastanza da saper ricostruire un volto, gli bastò ritrovarsi davanti quell’espressione e la piega naturalmente triste delle sopracciglia perché ogni dubbio venisse abbattuto.

- Questo è uno di loro. Il più alto dei due. Anche il più indeciso – affermò, tendendo la foto all’agente Thompson. Gli bastò scartare un altro paio di fogli per venire fulminato da un altro viso, dalla forma più armonica e al contempo virile del primo, il viso di un bel ragazzo. Il bel ragazzo che gli aveva puntato addosso quegli slavati occhi verdi pregni di rabbia, il bel ragazzo che gli aveva rifilato il calcio fatale alla tempia e infierito sul suo corpo privo di vita a terra. - Ed ecco l’altro. Questo picchiava più forte.                   

L’uomo in divisa recuperò anche il resto degli identikit, tenendo i due prescelti separati dal resto per poterli considerare con sguardo critico. - Ne sei assolutamente sicuro?

Adam fece cenno di sì senza alcun indugio. - Al cento per cento.

- Ora che hai visto i loro volti per intero, confermi di non averli mai visti prima dell’aggressione? – continuò l’agente, serio, e anche questa volta il ragazzo assentì.

- Le loro facce non mi dicono niente.

Allora l’agente Thompson annuì, compreso, lo ringraziò per la collaborazione e salutando con un cenno del braccio si diresse verso l’uscita.

- Aspetti! – lo fermò però la voce di Adam, e nel momento in cui gli occhi incavati dell’uomo tornarono su di lui si sentì in imbarazzo per la richiesta che stava per fare. Aveva un’importanza a livello personale, ma non aveva idea se fosse rispettosa o meno della prassi della polizia. - Non so, magari non è autorizzato a dirmelo, ma… potrei almeno sapere i loro nomi?

Il poliziotto rimase a fissarlo per un paio di secondi, sul ciglio di un rifiuto, poi chinò un attimo lo sguardo sulle fotografie dei due giovani responsabili, sospirò e tornò agli occhi lucidi di convalescenza di Adam.

- Cole ed Elias Lawson – rispose.

Mentre l’uomo usciva non osservato, il ventiduenne si voltò di scatto verso Tommy per sentire da lui ciò che avrebbe cancellato ogni perplessità in merito a quei due nomi.

Tommy ricambiò il suo sguardo incredulo con una smorfia di disgusto: - I fratelli maggiori di Shane.

 

Nonostante si fosse svegliato senza accusare complicazioni e gli esami del sangue così come quelli fatti per controllare lo stato delle lesioni ad addome e corteccia cerebrale avessero dato esito negativo, Adam dovette attendere qualche altro giorno prima che il dottore gli desse il permesso di alzarsi dal letto. Malgrado il suo corpo desse continui segni di miglioramento, infatti, era ancora debilitato a causa dell’immobilità forzata e ben presto il ragazzo comprese che saltare anche una singola sessione di fisioterapia lo avrebbe fatto dannare per un giorno intero, per quanto erano importanti a livello di recupero motorio.

Al mattino del quarto giorno dal risveglio, mentre finalmente faceva colazione con qualcosa di simile al cibo vero e Tommy gli allungava quello che si erano ormai abituati a chiamare scherzosamente un Long Island di antibiotici, l’infermiere che avevano scoperto chiamarsi Seth entrò con una sedia a rotelle e un sorrisetto soddisfatto stampato in faccia.

- Indovinate chi è autorizzato a fare una gitarella in giardino oggi.

Il ventiduenne vide gli occhi di Tommy illuminarsi a quella prospettiva - ed era comprensibile dato che negli ultimi tempi era rimasto al chiuso quasi quanto lui – e personalmente si sentì invadere dal sollievo. Il paesaggio fuori dalle finestre lo stava tentando con una giornata meravigliosa e lui non vedeva l’ora di lasciare quella gabbia dorata della sua stanza pregna di disinfettante, fosse stato anche solo per un’oretta di svago e libertà di riempire i polmoni con aria non filtrata.

Quando attraversò le porte automatiche dell’ingresso, seduto sulla carrozzella spinta dall’infermiere e seguita da Tommy, sospirò di piacere nel sentire la carezza della brezza fra i capelli e il calore benefico del sole sulla pelle del viso e delle mani, le uniche parti del corpo che la tuta da ginnastica che gli avevano dato al posto della meno pratica tunica lasciava scoperte. Si era dimenticato cosa volesse dire respirare all’aperto e fu grato a Seth quando l’infermiere acconsentì a farlo alzare dalla carrozzella perché potesse sdraiarsi nel bel mezzo del prato, lì dove non c’era nessun altro, lì dove lui e il suo ragazzo avrebbero potuto passare del tempo all’aria aperta, per lasciare che il sole scottasse loro il viso e le loro conversazioni non rimbalzassero su pareti troppo bianche, sterilizzate all’estremo, troppo simili a quelle di un obitorio. Avevano entrambi un bisogno disperato di lasciare quella camera d’ospedale e tornare a vivere sotto il cielo.

Erano lì sdraiati l’uno accanto all’altro da meno di cinque minuti e Seth se n’era andato portandosi appresso la sedia rotelle con la promessa di tornare dopo un’ora, quando Adam, le dita delle mani intrecciate dietro la nuca per fargli da cuscino, voltò la testa verso sinistra di appena qualche centimetro per poter guardare il suo ragazzo attraverso le palpebre socchiuse a causa della forte luce diretta.

Il diciassettenne indossava un paio di jeans grigio scuro e una canottiera di un viola a malapena distinguibile dal nero con delle scritte bianche, teneva le gambe piegate e le mani in grembo. Con gli occhi chiusi per il sole, sembrava un bambolotto di porcellana con un taglio di capelli alternativo, una sovrabbondanza di orecchini e solo un accenno di peluria sotto il mento. Ma più di tutto ciò, era il modo confidente in cui si poneva nei confronti del resto del mondo a far capire ad Adam quanto fosse realmente cresciuto negli ultimi tempi, con tutte le nuove sfide che in un modo o nell’altro, alla fine, era riuscito a superare.

Quando il maggiore dei due aprì la bocca per parlare, emise appena un mormorio.

- Tommy?

Il giovane non si mosse di un millimetro né aprì gli occhi, tutto intento a godersi il tepore della splendida giornata di maggio che lo baciava in fronte: - Hm?

- Voglio che tu sappia una cosa – deglutì Adam. - Quello che mi è successo ha cambiato come vedo le cose. Risvegliarsi è stato come vivere un miracolo.

Finalmente il più piccolo dischiuse gli occhi nella sua direzione e gli rivolse un sorriso sincero, per quanto ancora un po’ triste al ricordo dei giorni passati a parlare da solo. - Non dirlo a me.

- Ma l’aggressione, il coma… queste cose mi hanno fatto capire che quando si sente la necessità di dire qualcosa non bisogna tirarsi indietro. Mai. Perché quella che si ha davanti potrebbe essere l’ultima occasione che si ha per togliersi quel macigno dal petto.

Sentendolo parlare con così tanta serietà e soppesando le parole come se da esse dipendesse gran parte del futuro, Tommy si fece attento e fece leva sui gomiti per sollevarsi un poco e guardarlo dritto in faccia.

- Se hai qualcosa da dirmi parla, non farti problemi.

- In realtà credo sia tu quello che ha bisogno di dire qualcosa. Di dirlo anche ora che sono cosciente, intendo – ribatté Adam, alzando un sopracciglio. - Magari anche solo per rassicurarmi del fatto che non fosse solo un sogno.

Tommy subì quella che in un primo momento gli sembrò una critica con un’espressione attonita, poi abbassò lo sguardo e inghiottì a vuoto. Con l’aria parve riuscire a ingoiare tutto ciò che lo teneva lontano dall’ammissione della sua colpa, però, e Adam lo vide trincerarsi un attimo nel rifugio del suo essere prima che il ragazzo tornasse a fare pieno affidamento sui suoi profondi occhi celesti.

- D’accordo – acconsentì allora in un soffio che sapeva già d’intimità, scrutandolo con timore per la durata di quello che fu un tremendo secondo per Adam, immediatamente prima di inumidirsi le labbra e confessare tutto ad alta voce, col suo ragazzo vigile e in ascolto accanto a sé. Nove mesi dopo aver sentito quel sentimento incastrarlo per la prima volta. - Io… ti amo.

Un sorriso lucente si allargò all’istante sul volto del più grande, che sentì come un incendio di felicità divampargli nello stomaco. Non c’erano dubbi che fosse onesto.

- Lo hai sussurrato.

- Cosa?

- Lo hai detto a bassa voce.

- Io… sì. Sì, è vero – riconobbe Tommy, increspando le sopracciglia con aria perplessa. - Ha importanza?

La piega di gioia sul viso del maggiore si fece indulgente. - Sai cosa diceva Gandhi a riguardo?

- Proprio no. Mi spiace.

Il ventiduenne scosse appena la testa per fargli capire che non ce n’era motivo. - Raccontava di un pensatore che un giorno fece una domanda ai propri discepoli, chiedendo se qualcuno di loro sapesse spiegargli perché, quando si è arrabbiati, si grida contro gli altri. Poiché nessuno dei discepoli seppe dargli la risposta giusta, il pensatore spiegò che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto ed è per coprire questa distanza e farsi ascoltare che si tende a gridare. Quanto più arrabbiati si è, tanto più forte si dovrà gridare per sentirsi l’uno con l’altro. D’altra parte, aggiunse il pensatore – continuò Adam, chinando il busto per avvicinarsi al viso del più piccolo e a quei suoi occhi brillanti, rapiti dalla storia. - Che succede quando due persone sono innamorate? Queste persone non gridano affatto, anzi, parlano soavemente, disse. E perché? – aggiunse, contento di vederlo sorridere come un bambino ammaliato, mentre una sua mano gli scivolava sul fianco e la distanza fra le loro labbra veniva annullata quasi del tutto, solo un centimetro o due a separare i loro respiri lievi, pronti a nutrirsi l’uno dell’altro. - Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte i loro cuori sono talmente vicini che neanche parlano, sussurrano appena. E quando l’amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I cuori si intendono.

La bocca del più grande raggiunse quella di Tommy senza sforzo, ormai naturalmente protesa verso di essa. Si scambiarono un bacio dolce e libero come l’aria che li circondava, soffice come l’erba, semplice come il trascorrere lento della manciata di secondi durante i quali trattennero il respiro prima di separarsi. Ma il premio più prezioso per Adam fu vedere quanto si fosse fatto splendente lo sguardo del più piccolo quando infine lo lasciò andare.

- È bellissima, Ad – sussurrò.

Adam si beò del suo sorriso innamorato ancora per un po’, poi gli diede un buffetto sulla guancia e tornò a stravaccarsi sul prato nella stessa posizione di pochi minuti prima.

- Lo so. Perfetta per irretire e sedurre ingenui fanciulli malati di romanticismo.

La manata sulla spalla, una delle parti sane che Tommy aveva compreso poter picchiare senza dover temere alcuna conseguenza per il recupero di Adam, lo colpì subito prima di quel sibilo di divertita esasperazione.

- Sei un imbecille.

Allora il ragazzo tornò a girarsi verso di lui per rubargli un bacio a stampo e sogghignare ai suoi danni. - Ma mi ami.

Tommy gli lanciò un’occhiataccia degna di una madre con le mani piantate sui fianchi, ma come quello di ogni madre il suo risentimento fu destinato a sciogliersi presto dinnanzi a quegli occhi.

- Sì – ammise, nuovamente tenero, nuovamente sottovoce. Poi, quando seppe che il più grande aveva smesso di aspettarsi una risposta, si sdraiò di nuovo vicino a lui, mettendosi sul fianco, e chiudendo gli occhi gli avvolse la vita con le braccia esattamente come quella notte, quando aveva creduto di essere sul punto di perderlo per sempre, incastrò una gamba fra le sue e adagiò la guancia destra sul suo petto, godendo della sua sorpresa senza commentarla. Invece, con solo una punta di sarcasmo, disse: - E se lo lasci dire, signor Lambert: questa è la sua fortuna più grande.

Per tutta risposta Adam ridacchiò e lo strinse ancora di più a sé, mettendogli un braccio attorno al collo. Ma durante tutta l’ora successiva, tempo che passarono perlopiù in silenzio a beneficiare dell’abbraccio del sole e di quello dell’altro, nonché per ancora molto tempo dopo, non riuscì a smettere di pensare a quelle parole e a quanta verità celassero dietro la propria semplicità.

Tommy aveva ragione. Tutto ciò che teneva Adam in piedi e gli faceva vedere la vita come degna di essere vissuta, tutto ciò che Adam aveva era la sua relazione con la persona che solo un anno prima aveva catalogato come un bambinetto spocchioso, viziato figlio di papà. E l’amore che per grazia divina avevano scoperto l’uno nell’altro, che gli aveva dato la spinta giusta per scoprire quanto si stesse sbagliando e quanto si sarebbe perso se solo non si fosse dimostrato abbastanza cocciuto e insistente nei suoi confronti.

Sì, doveva ammetterlo. Ritrovare Tommy e innamorarsi di lui aveva decisamente salvato entrambi dal baratro, decine di volte. Ma non era quello il tempo di pensare a cosa ciò significasse.

Per il momento aveva solo l’intenzione di godersi quell’ennesimo, immeritato miracolo in cui la sorte lo aveva fatto inciampare.

 

◊◊◊

 

Sette anni dopo

18 marzo

 

◊◊◊

 

Lo spettacolo del tramonto in quell’angolo isolato di mondo era appena iniziato, eppure la luce aveva già assunto una sfumatura così magica da togliere il fiato. La campagna sfoggiava una melodia continui di steli d’erba che frusciavano, grilli che frinivano, fronde d’alberi che si muovevano lente e sinuose sopra le teste dei pochi amanti della natura che s’inoltravano su quel sentiero a quell’ora, a pochi giorni dall’inizio ufficiale della primavera, quando il freddo sapeva ancora farsi pungente nelle ore ai margini della giornata. E il sole a quell’ora, per la miseria, al limite delle sue possibilità, tingeva tutti i pascoli incolti attorno di un arancio tanto intenso da scaldare corpo e cuore.

Continuando a camminare lungo lo stretto passaggio fra i cespugli a passo sostenuto, temendo di essere in ritardo, Adam si permise di gettare un’occhiata preoccupata verso il basso, solo per fare una smorfia quando vide ciò che temeva. Aveva indossato delle comuni scarpe da ginnastica, sapendo che il viottolo avrebbe potuto recare ancora tracce di umidità risalenti alle piogge della settimana prima, ma a quanto pare aveva sbagliato i propri calcoli o marciato con troppa decisione per evitare che anche i risvolti dei suoi pantaloni di tessuto nero s’inzaccherassero di fango. D’altronde non aveva avuto tempo di passare a casa e cambiarsi, dopo il lavoro. Dopotutto non era colpa sua se i tempi si erano rivelati così ristretti.

Con un sospiro di rassegnazione, il ragazzo lasciò perdere gli abiti e velocizzò il passo quanto più era possibile senza mettersi a correre. Gli era sembrato di sentire le prime avvisaglie di voci conosciute, ma non era il caso di rischiare di macchiare anche la giacca rubino. Alla fine dei conti aveva fatto in modo che la persona a cui avrebbe dedicato la sorpresa del giorno venisse accompagnata dalla sua coppietta iperattiva preferita anche per mettere una pezza al suo eventuale ritardo, perciò, continuò a ripetersi per trattenersi dall’accelerare quando finalmente scorse l’angolo dietro al quale lo attendeva tutto, doveva restare calmo.

Tommy è in buone mani, dovette ripetersi mentalmente. Non importa se ritardi di qualche minuto, non lo lasceranno andare da nessuna parte. Cristo santo, TJ, oggi è uno dei giorni più importanti della nostra vita e tu ancora non lo sai. Probabilmente vuoi solo andartene a casa, cenare e lavorare un’ora o due al computer prima di venire a letto per due coccole.

Sì, perché con infinita pazienza aveva aspettato che il suo ragazzo crescesse. Per evitare qualsiasi tipo di senso di colpa e che Rick, Julie o Alison provassero l’istinto di ucciderlo per la sconsideratezza delle sue parole, speranze, preghiere, aveva aspettato che diventasse grande, che avesse sia l’età per andarsene di casa che per bersi una birra con gli amici senza dover nascondersi dai controlli sui minorenni, che finisse il college e trovasse un lavoro che gli piacesse e lo completasse, cosicché si sentisse sicuro sia a livello personale che economico anche senza di lui.

Ora Tommy aveva ventiquattro anni e mezzo, ormai da tempo si era laureato in Servizio Sociale e da due anni viveva con lui e lavorava stabilmente alle dipendenze dello stesso Ministero che ogni mese elargiva a Kevin il suo stipendio: seguendo i propri sogni e con l’obiettivo di fare del bene a ragazzini umiliati dal destino e dagli uomini com’erano stati lui e Adam, solo di un’altra generazione, era diventato assistente sociale. Uno costantemente presente e attento, come quelli che erano mancati a lui e al suo ragazzo; uno coi controcazzi, era solito aggiungere il migliore amico del maggiore.

Ma la cosa più importante, il piccolo imprescindibile particolare che aveva incoraggiato Adam a mettere da parte ogni dubbio e organizzare quella giornata era un altro: Tommy lo amava ancora come lo amava lui, forse più che mai ora che le cose fra di loro avevano finalmente trovato la propria stabilità. Sì, era stato tutto il loro amore in comune a portarlo sul ciglio di quella follia, e la sensazione che un sentimento tanto potente avrebbe potuto trasformarsi, mutare come aveva già fatto in quegli anni trascorsi assieme, ma mai scomparire del tutto.

Adam si sentiva vecchio a pensarla così. A volte inseguire riflessioni tanto profonde e rendersi conto di padroneggiare consapevolezze così ingenti ancora prima dei trent’anni lo spaventava, ma era pronto a sopportare questo e altro se ciò avesse significato poter continuare a ringraziare il cielo ogni notte, prima di dormire, per ciò che lui e Tommy avevano.

- Dai, ragazzi, che razza di scherzo è questo? Devo andare a casa, ho un sacco di lavoro in arretrato!

La voce del biondo e il suo tono esasperato lo fecero sorridere non appena voltò l’angolo e li vide, tutti e tre i suoi compari, in fondo al prato, vicino allo steccato ai piedi del quale Adam ricordava di essersi seduto molte volte per riposare e ristorarsi con dell’acqua e qualche tramezzino. La visione di Tommy, anche se di spalle, fu abbastanza perché il suo cuore decidesse che era ora di pompare più sangue nel corpo, ma accorgersi della posa sicura di Kevin davanti al ragazzo e scorgere l’occhiolino di Drew lo fece sentire subito meglio, gli disegnò un sorriso compiaciuto in faccia e lo spinse a continuare il proprio cammino nella loro direzione mentre il più grande di tutti si prendeva la responsabilità di continuare a distrarre il più giovane della combriccola.

Adam ebbe la sensazione che non si sarebbe mai più sentito tanto riconoscente nei confronti dei propri amici, e si godette ogni singola parola della discussione che seguì mentre lui si avvicinava senza far rumore.

- Piantala di impanicarti – fece Kevin, in piedi di fronte a Tommy, incrociando le braccia e lanciandogli un’occhiata di brioso rimprovero. – Te l’ho già detto, ho comunicato al tuo portatile che stasera lo accenderai un po’ più tardi e lui mi ha promesso che non sarebbe andato in iperventilazione per la nostalgia.

Adam non poteva vederlo, ma non ebbe il minimo dubbio su quella che fu l’espressione di Tommy. Lo immaginò alzare gli occhi al cielo, spazientito, e dovette trattenersi dal ridacchiare.

- Senti, Kevin, non hai la minima idea della valanga di documenti che devo studiarmi prima della fine della settimana. E domani ho nove visite di controllo di cui occuparmi, non so neanche come le farò stare tutte in una sola giornata!

In quel momento – e Adam ringraziò il cielo per ciò – intervenne il suo compagno. Per quanto Kevin sapesse essere convincente, era Drew a ottenere sempre i punteggi migliori quando si trattava di calmare adulti scocciati.

- Non pensarci e basta per il momento, okay? – cercò di rasserenarlo, posandogli una mano sulla spalla. Senza dubbio per evitare che potesse accorgersi dei passi che li stavano raggiungendo e voltarsi proprio ora che Adam era così vicino al traguardo. - Prendi un respiro e rilassati un attimo. Ti assicuro che fra poco penserai sia valsa la pena pazientare.

Tommy sbuffò sonoramente in risposta, incrociando a sua volta le braccia e imbastendo un broncio che aveva il potere di rimandare tutti indietro nel tempo a quando lo avevano conosciuto come un ragazzino.

- Posso almeno sapere cosa stiamo aspettando? Che cos’è, una rimpatriata? Aspettare venerdì per una pizza era troppo banale?

- Più che banale impossibile visti i tuoi ritmi, scappi al lavoro anche di sabato mattina.

Tommy fece in tempo a indovinare la nascita di un ghigno sulle facce di Drew e Kevin una frazione di secondo prima di voltare la testa di scatto e ritrovarsi davanti l’unico pezzo mancante della banda, in immancabile completo da bar di tendenza e sorriso smagliante, anche se, notò, un po’ incerto. Teneva le mani nelle tasche, il furbo, e non sapeva nascondere la soddisfazione che gli dava essere riuscito a tenere in piedi quel modesto teatrino fino al momento giusto.

- Ad! – esclamò il biondo non appena lo vide, e subito lo stupore si tramutò in uno sguardo di biasimo che il più grande aveva imparato a conoscere fin troppo bene durante i mesi di convivenza. – Dimmi perché all’improvviso mi viene da pensare che la colpa di tutto questo sia tua.

Alle sue spalle Drew non poté trattenersi dal ridere, ma Adam si permise solo un sorrisetto sprezzante, astuto, mentre con finta indifferenza alzava le spalle: - E va bene, lo ammetto, sono colpevole: il rapimento è stata un’idea mia.

- Lui la mente diabolica, noi il braccio esecutore – aggiunse Kevin a due passi di distanza, mettendo una mano sul fianco di Drew per attirarlo a sé, e Tommy fulminò anche i due più grandi e il loro maledetto sghignazzare alle sue spalle.

- Una definizione calzante, visto che mi avete praticamente portato via di peso dal parcheggio – commentò, per poi tornare al proprio ragazzo con un sospiro. - Adesso posso sapere perché?

In quel momento Adam sorrise genuinamente, il segnale con cui mise da parte le cavolate per passare alle questioni serie, poi si guardò attorno in quell’angolo di paradiso. Proprio in quell’istante uno stormo di passerotti si levò in volo dalla chioma di un albero che ondeggiava sereno a pochi metri da loro e scomparì nel cielo in un frullo d’ali e pigolii.

- Ricordi che posto è questo?

Tommy fece spallucce, come se importasse poco, ma sia lui che il maggiore sapevano quanto entrambi trovassero piacevoli le loro gite in quel luogo, lontano dai dissapori della città.

- Ci siamo venuti a passeggiare diverse volte.

- Vero. Ma la primissima volta è stata il giorno prima che partissi per il college – gli ricordò Adam con voce lieve, accostandosi a lui quel tanto che gli consentì di allungare le braccia e prendergli entrambe le mani. - Mi sentii così fiero quando mi facesti tutto quel discorso su quanto fosse vitale per te finire a fare un mestiere che ti consentisse di aiutare gli altri.

Colpito da quello stralcio di memoria, Tommy prima socchiuse le labbra, poi le incurvò in un sorriso dolce e nostalgico.

- Come Kevin ha aiutato te. Come tu hai aiutato me – disse, completando così la frase che sia lui che Adam ricordavano a memoria. Quel giorno era stato talmente perfetto.

Contento che fossero in due a rammentare tutto così bene, Adam annuì, quindi chinò il capo e prese un respiro profondo. C’era davvero, stava per farlo. E per quanto fosse stramaledettamente sicuro di ciò che stava per dire, ciò non toglieva che la paura di sbagliare, deludere e incasinare tutto fosse appena salita, rapida come un’iniezione di adrenalina, ad accorciargli il respiro e a rendere tutto cento volte più difficile di quanto lo era stata ogni prova davanti ai conoscenti, allo specchio, alla figlia dei suoi migliori amici. Sì, perché si vergognava a dirlo ma aveva fatto anche questo: tentare di imbastire alla bell’e meglio uno dei discorsi più importanti che avrebbe mai rivolto alla persona che amava davanti alla piccola Lily Aubrey, che dal basso dei suoi dodici mesi di vita non aveva potuto che biascicare un versetto entusiasta mentre sbocconcellava il suo biscotto Plasmon. Serata elettrizzante come babysitter.

Ma non era il momento di pensare con quanta fatica si fosse allenato a quel momento, all’idea di compiere davvero quel passo. Era il momento di prendere un secondo respiro profondo e di parlare prima che Kevin gli desse una gomitata fra le costole per farlo muovere da quell’imbarazzantissima posizione di stallo.

- Ho chiesto… uff.

Terzo respiro. Sonora alzata di sopracciglia da parte di Kevin. Tanto coraggio e il giuramento di mollargli un pugno sul muso più tardi, quando tutta quella tortura fosse finita. Dopotutto lui non aveva mai fatto niente del genere, stronzetto supponente.

- Ho chiesto a questi due buzzurri di sequestrarti e sono qui per chiederti qualcosa che non riesco davvero più a tenere per me senza che faccia male. Un male fisico. Ma prima ci tengo a dirti che col senno di poi avrei anche potuto chiedertelo quando avevi diciassette anni, perché per quanto mi riguarda le cose non sono cambiate. Sei ancora il mio raggio di sole, la persona che amo di più al mondo e l’unica con cui vorrò sempre condividere tutto. Il meraviglioso, meraviglioso ragazzo che mi fa sognare e mi tiene i piedi ancorati alla terra allo stesso tempo. Quello che mi fa ringraziare Dio ogni mattina, quando mi sveglio e ti vedo lì che dormi accanto a me.

Gli occhi di Tommy, fissi nei suoi, diventarono enormi e le sue labbra tremarono su quel bellissimo sorriso. - Ad…

Anche il ventinovenne sorrise. Per quanto il panico del momento lo facesse sentire tutt’altro che a proprio agio, la priorità era Tommy. Tommy e quel suo sorriso disarmante.

- Anche quando avevi solo diciassettenne anni – proseguì il più grande, - avrei seriamente potuto farti questa stessa richiesta. Mettermi in ginocchio davanti a te e chiederti se volessi seguirmi davanti a un giudice, se avresti lasciato che ti prendessi per mano, ti infilassi un anello all’anulare, ti baciassi davanti a tutti quelli che conosciamo e ti giurassi fedeltà per dire al mondo che sì, finalmente sarei riuscito a portarti all’altare e che sì, finalmente, finalmente non sarebbe più esistito niente in grado di tenermi lontano da te. Perché da quell’aggressione sarei guarito e mi sarei ripreso presto – confessò, fremendo. - Ma da te no, TJ. Potrei morire d’amore per te, ma dubito che perfino in quel caso riuscirei a liberarmi di ciò che mi esplode dentro ogni volta che ti guardo.

Solo a quel punto, quando smise un attimo di parlare, il più grande si rese conto dell’imbarazzo che aveva imporporato le gote di Tommy come non accadeva più tanto spesso. Quel piccolo, fondamentale segno di apprezzamento ai lati delle sue labbra schiuse per l’incredulità gli riempì il cuore di gioia e Adam smise di trattenersi, prese il più giovane per i fianchi e lo sollevò. Inutile dire che l’accenno di rossore sul viso di Tommy si fece bollente.

- Ad, cosa stai…?

Ma il ragazzo non lo ascoltò e lo lasciò andare solo una volta averlo messo a sedere sopra lo steccato. Gli sistemò le mani sul legno, così che si reggesse da solo, poi tornò a dedicargli tutto l’interesse dei suoi straordinari occhi color acquamarina.

- Sto cercando di dire che aspettare che diventassi abbastanza adulto da non far sembrare sconveniente la mia proposta è stata un’autentica tortura, ma pur sempre una tortura che sarei disposto a sopportare infinite altre volte se sapessi che il sacrificio mi porterà a un tuo sì. Che già allora avrei potuto chiederti di restare con me per tutta la vita e che se non l’ho fatto è solo perché prima avevo bisogno… entrambi avevamo bisogno di vedere se eravamo capaci di crescere insieme – spiegò, sopportando a stento di non riuscire a comprendere cosa nascondesse la confusione che intravedeva negli occhi di Tommy. Sapeva solo che non doveva, non poteva smettere di parlare. - Be’, ne siamo capaci. Se ne sono già andati quasi otto anni dal giorno in cui ho capito di amarti come non avevo mai amato nessun altro e sette da quando ho saputo con certezza che non voglio né vorrò mai un altro accanto a me.

Tommy aprì la bocca, come per ribattere, ma lui fu più veloce. In un secondo si ritrovò inginocchiato a terra, col forte bisogno di deglutire l’aridità che aveva in bocca ogni paio di secondi e in mano la scatolina di velluto blu cobalto che non ricordava nemmeno di aver estratto dalla tasca interna della giacca. Un attimo dopo essersi accorto di quanto stesse sudando serrò gli occhi, imbarazzato come non mai, e fece per tendere il braccio.

- Thomas Joseph Ratliff. Io…

Tartagliò per quelli che gli parvero minuti interi ma che per il resto del mondo furono solo un attimo, una frazione di secondo prima che il ventinovenne sentisse due palmi freschi posarglisi appena sotto le mandibole e insistere gentilmente perché alzasse il volto. Quando lo fece e tornò a guardare verso l’alto, Adam vide che Tommy si era chinato per poterlo raggiungere e sorrideva quanto e più di prima. Dio, non avrebbe nemmeno saputo descrivere quanto il suo amore apparisse felice in quel momento.

- Lo sai, vero, che se continui a essere così adorabile corri il rischio che ti sposi sul serio? – lo prese in giro il giovane.

In qualche modo le risate di Kevin e Drew arrivarono al subconscio di Adam, ma il ragazzo non riuscì a reagire. Era rimasto imbambolato lì, con il volto e il cuore fra le mani di Tommy, e l’astuccetto morbido con quelle che aveva scelto come loro fedi di nozze a mezz’aria, abbandonato fra dita che non avevano più idea di come muoversi. In realtà il suo intero corpo non sapeva più che passi fare, sbalordito dalle parole di Tommy. Alla fine toccò al ventiquattrenne, che pareva comunque abbastanza divertito dalla sua goffaggine, prendergli la mano e aprire da sé il piccolo scrigno.

Quando i suoi occhi scuri tornarono a quelli di Adam, però, gran parte dell’ilarità se n’era andata. Restava un sorriso, il più cedevole di sempre, e un accenno di commozione che presto avrebbe contagiato anche il più grande e quindi avuto la meglio sull’autocontrollo di entrambi i ragazzi.

- Lo voglio, Ad – dichiarò infine Tommy, senza lasciare i suoi occhi mentre indossava al dito l’anello più stretto. Adam trattenne il fiato, sapendo che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma Tommy continuò senza dargli il tempo di elaborare niente: - Voglio svegliarmi accanto a te - Gli prese la mano sinistra, l’alzò e gli infilò la sua fede all’anulare. - Per tutta la vita.

Di fronte al sorriso di quelle labbra che conosceva a memoria ma non lo avrebbero stancato tanto presto, Adam aprì la bocca per rispondere, ma improvvisamente ogni sua capacità di comunicare era svanita. Era quasi certo di essere sul punto di balbettare qualcosa – qualunque cosa -, quando alla fine l’urlo d’incoraggiamento di Kevin, subito seguito dalle grida di giubilo e dagli applausi suoi e di Drew, sovrastarono ogni suo miserabile tentativo di riavere indietro la propria dignità.

- Ti decidi a baciarlo o no?

Tommy li guardò e scoppiò in una risata incantevole un secondo prima che Adam si rimettesse in piedi, gli prendesse il volto arrossato fra le mani e lo baciasse con tanto impeto da farli cadere entrambi a terra dall’altra parte dello steccato, uno sopra l’altro. Adam protesse la testa di Tommy dall’urto con le mani e affogò il suo grido fra le proprie labbra, morendo nelle sue, scoprendole così calde. Lo sentì fremere, mormorare qualcosa d’incomprensibile nel bel mezzo del bacio, ma non smise. Fosse stato per lui, non avrebbe mai smesso, tanto era quello che doveva all’altro.

Si rendeva conto che aveva appena accettato di sposarlo? Gli venne da ridere al solo pensiero, troppo felice anche solo per pensare a qualcosa o a qualcuno che non fosse Tommy. Non esisteva più niente oltre al ragazzo che amava, dopotutto. All’improvviso tutto riguardava loro. Ogni minima cosa, discorso o gesto avesse valore lo acquisiva per entrambi, insieme, per la coppia che erano e di cui presero ufficialmente la forma in quel tardo pomeriggio, bagnati da quel sole in cerca di riposo i cui ultimi raggi non li abbandonarono prima che il loro bacio avesse fine.

Allora Adam si separò a malincuore da quelle labbra, aprì gli occhi e vide il volto di Tommy che sorrideva nella neonata penombra. E si sorprese a considerare che era sempre stato così e così sarebbe sempre stato.

Lui e Tommy, uniti nella luce della felicità e nell’ombra delle ingiustizie che ogni vita alterna senza regole, un solo cuore che teneva in vita entrambi e due respiri affannati sull’onda del primo come dell’ultimo bacio.

 



FINE

 









Ecco. Non avrei potuto, fisicamente, accettare nulla che non fosse un lieto fine. Ma vorrei sentire la vostra opinione :)

Ringrazio dal profondo del cuore tutte le anime belle che hanno seguito questa storia, in un modo o nell’altro. Sapete quanto mi hanno fatto e mi fanno piacere le recensioni: libertà di parola. Ma ringrazio anche coloro che hanno assistito in silenzio allo svolgersi di questa storia, perché in un modo o nell’altro tutte ne avete fatto parte. Un grazie ENORME, gioie <3

Ah, visto che sono qui vi aggiorno su cosa vorrei combinare con questa storia, vale a dire fare sia un prequel che un breve sequel. Il tutto rimane in forse finché non vedo se riesco a metterli insieme. Quindi, se pensate vi farebbe piacere leggere queste cosette una volta che saranno pronte, date un’occhiata qua sotto: vi pubblico il link alla pagina dove comunico ogni aggiornamento, nuova storia e frivolezze varie. A presto, dunque, alla prossima follia che mi salterà in testa. Se vorrete accompagnarmi, ovviamente.

Vi abbraccio ;)

 

a.

 

Facebook: LondonRiver16








 

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