Requiescat in pace

di TastemyMarsBar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 (mini episode) ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Nel silenzio, nel buio del paese, quella fiammella, quella candela accesa nel segreto della sua stanza era l’unica luce che osava competere con la luna.
Mezzanotte. Godric’s Hollow dormiva. Albus no.
Chino sul suo scrittoio addossato alla finestra, fissava la casa su cui affacciava. Guardava senza sosta le persiane viola, serrate, pensava al volto che dietro di esse riposava.
La cera della candela macchiava il foglio, ne bruciava le estremità. La piuma non aveva ancora toccato la pergamena, e forse mai l’avrebbe fatto.
Cosa scrivere? Cosa dire? Come trovare le giuste parole?
Avrebbe rovinato tutto, ma era il momento.
Intinse la punta nell’inchiostro nero e inspirò.
Due parole, cinque lettere. Aveva scritto saggi, articoli, lettere per i Ministri, ma mai aveva dovuto scrivere parole più importanti, delicate, difficili. Da quelle parole dipendeva il suo futuro.
Macchiò il foglio una goccia di china, due, tre. Abbassava la piuma con terrorizzata lentezza, mentre le dita tremavano.
Abbandonò la piuma, abbandonò l’idea. Si alzò a chiudere la finestra e scivolò nel suo letto senza un’altra parola, frustrato da quella codardia.
Prima di dormire però, al nulla, all’aria, al buio, a sé stesso, sussurrò quelle due parole. Le rese vere e se ne marchiò a fuoco il cuore, sapendo di essere ormai condannato.

Ti amo. 


Progetto forse un po' pretenzioso che spero però di riuscire a portare avanti. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
L’intera Godric’s Hollow si era trasformata in un banchetto, musica e grandi fuochi, tavolate e risa, bambini che correvano via dalle madri, a giocare su una delle colline attorno. Albus ricorda la sua prima festa del Babbano, il Luglio del 1891 in cui si erano appena trasferiti nel paesino: la madre aveva deciso di tenere ben nascosti i fantasmi della loro storia, ma non aveva potuto impedire ai due bambini di scorrazzare per le intricate stradine della città, di rotolarsi nell’erba fino a non riconoscere più un lembo di pelle che non fosse coperto di fango. Mentre Aberforth inseguiva una capretta, Albus era tornato al villaggio in tempo per assistere al grande spettacolo organizzato dai giovani del paese: raccontavano la storia di Aengus, il mago che per primo aveva deciso di nascondersi dai Babbani dopo aver visto la sua famiglia uccisa tra atroci sofferenze. Attorno alle loro tombe aveva costruito un paese, che presto era stato popolato. Tanti erano i maghi ormai stanchi della continua caccia, e con il potere delle loro bacchette crearono un angolo a prova di Babbano. Michael e Bae, i Cacciatori di Streghe, erano rappresentati con maschere enormi e mostruose, e reggevano grandi torce di fuoco nero, mentre Aengus era un giovane pallido e bellissimo che li sfidava coraggiosamente e aveva la meglio su di loro. Alla fine della recita, tutti i maghi si strinsero assieme e iniziarono a intonare un canto mano nella mano.

Do never fail
Don’t cry at all
Remember, the enemy
Smiles when you fall

Hide your own life
Hide your own love
Remember, the enemy
Smiles when you fall

Build a small town
build your own wall
Remember, the enemy
Smiles when you fall

There is time, though
to dance and to live
this time is the enemy
who’s going to leave.


Nelle parole, nella musica, nei volti di tutti c’era la genuina paura che una caccia tornasse, c’era la paura di essere di nuovo ricercati, sterminati, c’era un fantasma di lacrime e fuoco. Ma c’era anche la speranza che aveva donato Aengus, c’era la possibilità di un futuro migliore. Possibilità che ora onoravano mangiando e bevendo, e dando fuoco – questo il piccolo Albus non lo dimenticherà mai – a un fantoccio dal viso uguale a quello delle maschere della recita, un fantoccio che bruciando urlava le sue ultime parole d’odio nei confronti dei maghi per poi trasformarsi in un’esplosione di stelle cadenti e farfalle d’artificio.
È il Giugno 1899. Ora, Godric’s Hollow è immersa nei preparativi di quella che sarà una delle migliori rappresentazioni del Babbano mai avvenute: il giovane Albus Silente, prodigio della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, si è offerto di aiutare i paesani con le sue eccezionali abilità di Trasfiguratore e mago.
“Un…due…tre…su!” Cento bacchette tiravano su i tendoni pronti ad ospitare il cibo, altre dieci sistemavano i costumi di scena, una chioma fulva serpeggiava tra i vicoli, andava avanti e indietro controllando che tutti stessero seguendo alla perfezione le sue indicazioni.
 “Albus, qual è il colore migliore per i capelli di Aengus?”
“E se usassimo un Drago per dar fuoco al Babbano? Geniale, no Albus?”
“Banchetti di Veggenti, tutti amano le Veggenti! Albus, senti qui!”
“Albus, che ne pensi?”
“Albus, ho bisogno di aiuto!”
“Albus…”
“Albus!”
“Albus?”

Centinaia di persone lo chiamavano, lo interpellavano, chiedevano il suo parere. No, i draghi proprio no: sono pericolosi! E perché non chiedere a Cornac di fare Aengus? È un Metamorfomagus, decideremo dopo il colore dei capelli. A ogni domanda aveva una risposta, e il suo cervello era fin troppo stanco di rispondere a quelle ovvietà, eppure ne era in un qualche modo soddisfatto: quegli uomini avevano bisogno della sua intelligenza superiore.
“Albus, caro…”
“Non ho tempo ora, signora Bath. Mi dispiace tantissimo, ma la festa non si organizzerà da sola.”
“Solo un momento, tesorino. È qualcosa decisamente più al tuo livello di queste sciocchezze…”
Albus alzò la testa. “Credo che dopotutto la festa possa attendere, del resto manca quasi un mese!”
Smettendo di prestare orecchio alle richieste degli uomini affaccendati attorno a lui, seguì l’anziana donna in casa. Ora che ci pensava, non l’aveva mai vista bene: pur vivendo a due passi da una brillante studiosa di Storia della Magia, aveva sempre preferito rifugiarsi nella sua camera e nei suoi libri, senza osare mai mettere il naso fuori dai suoi confini domestici. Mentre varcava la soglia di casa di Bathilda, gli balenò in mente un pensiero. Forse i recenti avvenimenti potevano aprirgli le porte su un futuro migliore, come promettevano i libri dalle copertine di cuoio che riempivano il salotto della strega: scaffali su scaffali che avevano l’aria di essere stati letti e riletti, consunti e ancora carichi di promesse di rivelazioni.
“Ho ricevuto una lettera” gli annunciò raggiante. “Mio nipote… un ragazzo molto intelligente, il migliore del suo corso a Drumstrang, sarà qui tra pochi giorni. Finalmente una compagnia adeguata per il mio giovanotto!”
 Gli scompigliò i capelli con un gesto affettuoso.
“Un giovane nipote? Non me ne aveva mai parlato, miss Bath!”
“Non sono in ottimi rapporti con sua madre, mia sorella… Il ragazzo però ha insistito per trascorrere del tempo qui, vuole aiutarmi con un trattato sulle influenze storiche in Beda il Bardo e altre fiabe medioevali.”
“Sembra affascinante! Non mi dispiacerebbe partecipare alla vostra ricerca.”
Doveva assolutamente approfittare di tutte le possibilità che Godric’s gli dava, dato che erano così limitate… in quell’esatto momento avrebbe potuto essere sulle spiagge di Napoli con il suo caro Elphias, invece organizzava una stupida festa contadina. La ricerca accademica poteva essere un modo per passare il tempo, e il giovane di Drumstrang poteva essere una compagnia anche più piacevole di quella di Doge. Meno adorante, certo, ma forse più coinvolgente.
“Ne ero certa, mio caro. Devo ammettere di essere stata ispirata proprio da quei tuoi commenti su Baba Raba e la Babbanofilia.”
“Una piaga che riusciremo ad estirpare dalla nostra società, nonostante abbia radici così profonde!” esclamò Albus
“Attento, mio caro. Non fare affermazioni così avventate… oh, ma avremo modo di parlarne! Ora va’, cura i preparativi per la festa, tutto deve essere perfetto per il giorno dei Fuochi.”

 
Ed ecco il primo vero capitolo della mia long, un po' in anticipo visto che ho ricevuto due recensioni più di quante me ne aspettavo! ;)
Ringrazio Insaluber e jeska__ per le recensioni e malechugs per aver aggiunto la mia storia ai preferiti, spero che questo primo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative. 
Dal prossimo capitolo credo che inizierò a pubblicare con scadenza settimanale (probabilmente ogni mercoledì). 
Alla prossima e grazie ancora!

lezLilith

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
Il successo di Albus era sempre stato accompagnato da maldicenze. Già ad Hogwarts ogni voto, ogni stella, ogni premio, significavano voci e risate, dita puntate, e più di tutto quel marchio impresso sulla pelle. Lo pensavano tutti, lo mormoravano tutti, lo sapevano tutti. Uno lo disse. Il ricordo colpì Albus con la forza di un calcio nelle costole. Si fermò e inspirò profondamente, cercando di ricomporsi. Lì nessuno sapeva, lì nessuno doveva sapere…
Era un freddo pomeriggio natalizio ad Hogwarts. Come Albus ed Elphias, rimasti nel castello per condurre indisturbato una ricerca sulla Trasfigurazione dei sapori, pochi altri ragazzi si aggiravano per i corridoi altrimenti vuoti.
“Guarda un po’ chi c’è! Dumb-ledore e il suo schiavetto.”
“Dove correte? Vogliamo solo divertirci un po’!”
“Eddai, vieni qui, frocetto!”
 Frocetto. Faggot. La parola rimbombò per tutta la torre, salendo per le scale e informando il dormitorio Corvonero che le parole erano state dette. Tutto si fermò per un momento, la corsa di Elphias verso il dormitorio Grifondoro, gli occhi di Silente gonfi di paura, la bocca di Harold distorta in un becero sorriso, il suo amico che si spanciava accanto a lui, trovando nella verità un’ilarità estrema. Le guance di Albus si tinsero di rosso ed esitò un attimo di troppo nel rispondere, attimo che gli costò caro.
“e’ vero?!”
Incredulità e senso di colpa impregnavano l’aria. Zachary percepì la tensione e scoppiò in una risata. “è vero!”

È vero.
I suoi polmoni si svuotarono di colpo, lasciandolo prosciugato, con la bocca spalancata e ansimante. Piegato in due, sentiva il corpo intero tremare e il mondo offuscarsi attorno a lui mentre immagini di quei momenti gli si affollavano davanti agli occhi.
“Ma davvero…”
“Silente? Proprio quel Silente?”
“Non mi è mai sembrato proprio un tipo perbene, sai?”
“Ecco come fa ad avere quei voti. Chissà quanti professori…”
Sussurri su sussurri su sussurri, bisbigli, frasi sottili e crudeli pronunciate come se lui fosse lontano. “Sanno di noi, Albus. Ci espelleranno.” Farfugliò Elphias, terrorizzato. “Se si venisse a sapere…
Quando si verrà a sapere… come faremo?”
“Troveremo un modo, Effie. Non stiamo facendo nulla di sbagliato.”
“Non ci credi neanche tu, mentre lo dici. Lo sai bene, siamo colpevoli.”
“Ma colpevoli di quale colpa? Essere ciò che siamo?”
“Siamo, siamo… questo è cosa siamo: dei mostri. Ma sai che ti dico?
Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente…E io non voglio più essere così.”
Elphias si alzò dal divano rosso sul quale i due ragazzi erano seduti, uno dei sedili più appartati del dormitorio Grifondoro, e mentre se ne andava Albus sentì quelle voci crescere, farsi più cattive. Era da solo contro il mondo ora, quell’ultimo anno sarebbe stato il suo campo di battaglia.

Anche i suoni gli giungevano vaghi alle orecchie, solo eco gracchianti del mondo reale. Un bambino piangeva nella casa accanto – il suo pianto era il grido di una mandragora. Un carro gli passava vicino – le sue orecchie erano quelle di una formica rifugiatasi nel suo formicaio appena in tempo per non venire schiacciata, sentiva il ventre della terra vibrare scombussolato. Da qualche parte, lontano, una donna gridava il suo nome – non aveva la forza per girarsi a guardare. I respiri erano sempre più frenetici, nelle vene non scorreva sangue ma paura. La sua testa continuava a ribollire di ricordi. Gli occhi divennero ciechi e tutto fu nulla mentre suo corpo cadeva, molle.
 
 


Chiedo scusa per il ritardo çç 
Grazie a Erodiade, LadyIce9, Insaluber e Jeska__ che seguono la mia long, malechugs 
che l'ha messa tra le preferitem e di nuovo a Insaluber e LadyIce9 per la recensione allo scorso capitolo. 

Alla prossima! :3 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Era Aprile, gli alberi in fiore fuori dalla finestra strappavano ogni voglia di studiare ai ragazzi innamorati, che passavano le loro lunghe ore oziose a giocare all’amore sotto l’ombra degli ampi rami. Il delizioso profumo di ciliegio, così carico di promesse d’Estate, stuzzicava il naso degli studenti annoiati, che, non più presenti alla lezione o anche a sì stessi, inventavano nuove infanzie.
Ad ascoltare le lunghe lezioni del professor Virton erano rimasti i suoi tre Prescelti, come usava chiamarli lui stesso: Silente, Doge e Rhumphee, che intenti a prendere fitti appunti usavano bere ogni parola del loro mentore. Quel giorno però neanche Silente riusciva a seguire, turbato dalla bellezza orientale dei fiori rosa attorno al Lago Nero.

 
Caro mio Pelle di Fata, ti scrivo perché non posso dimenticare, non posso e non voglio dimenticare i tuoi occhi di mare, il tuo dolce sorriso.
Vorrei vederti incoronato di fiori e ciliegie, amore mio.
Vorrei morderle e vederne il succo che ne cola arrossarti la fronte come un Cristo, un’immagine d’amore. Voglio coprire le tue labbra di dolci frutti e dolci baci.
Come è difficile doverti pensare distante, lontano, ferito. Torna da me, torna, mio dolce amore.
                                    devoto tuo A.

Parole scritte e subito cancellate con un gesto della mano. Non dovevano sapere, nessuno doveva sapere! Tra una maschera e un petalo dal profumo di vita, la prigione dove era intrappolato era una gabbia d’oro dalla quale voleva o non voleva fuggire.
“…e cosa potremmo Trasfigurare in un’arma in caso di pericolo sulla base delle Naturali Restrizioni alla Trasfigurazione Bellica? Qualche idea, nessuno? Silente, tu?”
Sentire il proprio nome lo sollevò dal torpore onirico in cui era caduto: non aveva idea di cosa gli fosse stato chiesto. Si guardò attorno confuso: che era successo? Cosa gli stava accadendo?
“Può… può ripetere la domanda, per favore?”
“No, Silente. Molto male! È in punizione. Forse così imparerà a concentrarsi sulla mia lezione, e non su qualcos’altro.”
Nelle mani del professore comparì un foglio che iniziò a leggere ad alta voce. Il profumo dei ciliegi non era abbastanza forte, l’ombra non abbastanza invitante, o forze non era abbastanza il loro sogno: in un istante la classe fu presente a sé, un hic et nunc repentino e letale, l’odore di vendetta sul saccente era ben più soave di quello di dolci carezze.
Caro Pelle di Fata, ti scrivo perché non posso dimenticare. Non posso dimenticare i tuoi occhi di mare… Cos’è quest’indecenza? Non posso tollerare tali orrori in questa classe! Dovrei denunciarti e lavarmene le mani – anzi, credo proprio che lo farò.”
Venti facce si girarono contro il ragazzo, venti espressioni di disgusto, di ira rabbia paura di contagio, ma anche soddisfazione, perché nessuno di loro aveva tutte A, forse nessuno di loro era Caposcuola o avrebbe mai pubblicato sulla Gazzetta Trasformista, ma certo erano
normali.
“Non è niente di male…”sussurrò Albus senza neanche crederci. “Non è niente di male…”
“Che cos’hai detto, invertito?” lo schernì un Tassorosso lentigginoso.
“Perché, parli la sua lingua, Dean?” a parlare questa volta era stato un Grifondoro dai capelli corti e castani, con gli occhiali appoggiati al naso e un ghigno di sfida rivolto a chiunque.
“Non ho fatto niente di male!” Ripeté Albus ad alta voce. Una due  tre, dieci volte lo urlò con il cuore ormai impazzito che sembrava scoppiargli in gola mentre l’intera classe rideva.
“Animale!”
“Bestia!”
“Abominio!”
Le voci si sovrapponevano, pronunciando poche parole ma ben scandite, al punto da divenire una sorta di motto in pochi minuti, durante i queli Albus si sentiva piccolo, sempre più piccolo, come compresso e schiacciato dalla voce unica del loro odio. Poi si sentì scoppiare.
“OBLIVION!”
Dalla sua bacchetta si sprigionò un’ondata argentea che travolse l’intera classe. Paralizzato e tremante, sperava che il suo incantesimo fosse abbastanza potente da cancellare la memoria a tutte le persone attorno a lui. Nemmeno una voce, nemmeno un’immagine, neanche una reminiscenza di riso.
Nessuno doveva sapere.

Il buio iniziò a prendere forma: quanto era passato? Giorni o secondi, anni o minuti? Attorno a lui la luce filtrava da una finestra sconosciuta, illuminando una stanza straniera. Le pareti erano decorate da una pallida carta, il cui motivo argenteo a tratti risplendeva colpito da un raggio, trasformandosi in una magia ottica di arcobaleno. I muri, spogli, ospitavano solo una libreria di legno scuro che Silente guardò affascinato: chi, in tutta Godric’s Hollow – se pure era ancora lì! – possedeva tomi così antichi e belli? Ad Albus parve di tenerli in mano e di poterne odorare la carta antica di inchiostro e polvere. Mentre intuiva a chi quella stanza potesse appartenere, la porta si aprì e un giovane biondo dai tratti norreni entrò nella stanza.

 


Che è successo ai miei amati recensori? :O 
Nevermind, io continuo a pubblicare. Questo capitolo è stato praticamente un totale flashback, ma dal prossimo la storia inizierà a entrare più nel vivo. A presto!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 Capitolo 4
Sentiva il rumore del suo sbattere di ciglia. Buio, palpebra chiusa, palpebra aperta, luce. Buio ancora.
“Dove sono?” soffiò Albus, stordito. “Chi sei?”
 “Il mio nome è Gellert, sono il nipote di Bathilda. E tu devi essere…” 
“Svenuto.” Aprendo nuovamente gli occhi, ancora una volta con fatica, rivolse un sorriso al giovane che gli si era avvicinato. Mentre le sue iridi si abituavano alla luce circostante vide con chiarezza l’uomo simile agli dei che gli sedeva innanzi. Il sorriso che strappò al giovane fermò per un attimo il tempo e annullò lo spazio: non erano più Albus e Gellert a  Godric’s Hollow in quell’afoso lunedì che aveva forse causato il suo svenimento, erano due anime affini legate da promesse di infinito. Gli occhi che lo fissavano non erano gli occhi di uno sconosciuto, non più: erano andati a fondo nei loro spiriti, avevano stretto le loro anime in un eterno sigillo di eternità, e solo un secondo era passato ma erano come cent’anni in cui Albus aveva vissuto il loro amore. Nell’esatto momento in cui comprese l’entità di quel sentimento, la sua eternità, la sua forza distruttrice e sanatrice, così forte da far sbiadire e svanire ogni immagine di precedenti e vane infatuazioni, ne comprese anche l’eterno fardello. Mai ne avrebbe parlato, mai ci avrebbe sperato, perfino confessarlo sottovoce di notte sarebbe stato un pericolo immenso.
Una notte lontana, ad Hogwarts, aveva giurato che non sarebbe dovuto accadere mai più.
Con gli occhi gonfi di lacrime, Albus entrò nel dormitorio Grifondoro.
Non gli importava ciò che vedevano gli altri, non gli importava cosa pensassero: poteva far dimenticare ogni cosa con un semplice gesto, poteva far cambiare loro idea con un sussurro.
Ciò che gli importava erano le
sue parole, i suoi gesti, ciò che importava era potersi amare nonostante tutto, nonostante tutti. Ciò che importava era che fosse per sempre, ma quel giorno si rese conto che non era così.
In silenzio, sopprimendo i singhiozzi che gli stringevano la gola, mettendo a tacere l’urlo che gli riempiva i polmoni e voleva solo poter riempire la sua bocca e risuonare, si gettò sul suo letto.
“Abdensi!”soffiò con voce spezzata. Le pesanti tende del baldacchino si chiusero a formare un muro impenetrabile tra lui e il resto della camera, del dormitorio, della torre, della scuola. Se in quel momento qualcuno lo avesse visto, lui non avrebbe potuto spiegare, non avrebbe saputo spiegare, né sarebbe stato in grado di far dimenticare: la sua mente era impegnata in un solo ricordo, in un’immagine bruciante che avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellare ma allo stesso tempo sapeva di dover ricordare. Sentiva le sue mani ribollire di rabbia, i polmoni pompare affannati, sentiva di voler strappare quella scena, di volerci affondare le mani e tirarla via a brano a brano, perché doveva risiedere in qualche punto del suo corpo, doveva essere qualcosa di materiale: il dolore che gli arrecava era troppo forte, troppo fisico.

Elphias, i suoi capelli castani, un turbine che gli sfrecciava accanto. Il suo odore, di passaggio come una meteora; la sua presenza, che c’era e un momento dopo non c’era più. Correva avanti, lontano da lui.

La ragazza senza nome, i suoi capelli neri come la pece, lunghi fino alla vita. La sua tunica nera impeccabile sotto la quale si supponevano curve femminili. Lui le correva incontro.

Le loro labbra si incontravano e si suggellavano in un bacio, mentre Albus assisteva attonito. Non una parola, un cenno, per Elphias il giovane mago non esisteva: voleva essere altro, e altro era diventato.
Il significato profondo di quelle parole pronunciate settimane prima si abbatté pesante su Silente, la profonda determinazione del vecchio compagno di mistero gli si rivelò davanti agli occhi. Non c’era un per sempre felici e contenti per loro, non era mai stato previsto e mai si sarebbe potuto avverare. Cercando di non dare nell’occhio corse via, via, via. 
Quella notte, ad Hogwarts, aveva giurato che una cosa del genere non sarebbe avvenuta mai più.


Stava accadendo.
Deglutì a vuoto. “Io… dovrei proprio andare.” Sussurrò con la bocca secca. Cercò di alzarsi, ma tutto girava davanti ai suoi occhi e i contorni del mondo erano sempre più confusi. Gli occhi gli si chiusero una seconda volta in un sonno profondo dove la realtà era più vera e più falsa.


Anche per questa settimana ce l'ho fatta *O* al prossimo capitolo! 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 (mini episode) ***


Capitolo 5 (miniepisode)

Tutto attorno a lui era il mare,  un mare impetuoso e feroce che non sembrava volergli dare scampo. I suoi piedi nudi toccavano la roccia scivolosa di uno scoglio sul quale si teneva a stento in equilibrio contro lo sciabordare delle onde. Le sue tasche erano vuote, la bacchetta persa chissà dove, forse sprofondata tra i flutti. Sopra di lui, in alto nel cielo, si addensavano nuvole nere di tempesta. Con l’acqua che gli lambiva le caviglie e gli bagnava i capelli, Albus iniziò a piangere con gli occhi chiusi. Non sentiva le lacrime sulle guance, confuse tra pioggia e mare, ma le sapeva lì. Non sentiva le gambe tremare, confuse tra gli scossoni delle onde, ma le sapeva inaffidabili. Non sentiva il cuore battere all’impazzata, confuso tra i tuoni all’orizzonte, ma lo sapeva incerto. Tutto ciò che poteva fare era resistere, in piedi, al freddo, da solo, contro ciò che imperversava intorno a lui.
Come un Dio irato, la furia del mare si scatenava violenta, cieca, totale, eppure le sue ginocchia non si piegarono, la sua schiena non cedette. Ogni muscolo nel suo corpo bruciava, pregava che giungesse la fine, ma lui era ancora lì. Era ancora lì quando il cielo si calmò e le acque si acquietarono, e quando alzò gli occhi al cielo vide un Alicanto solcare l’azzurro con le sue piume dorate che rifrangevano la luce in mille e mille direzioni. Sorrise alla bellezza di quello spettacolo e solo allora, mentre riacquistava conoscenza per tornare nella realtà, ricordò che gli Alicanti non possono volare.


 

Non lo so, questo è puro delirio. Ho scoperto questi meravigliosi uccelli mitologici e dovevo usarli.  

http://it.wikipedia.org/wiki/Alicanto

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
“Povero ragazzo, che ti è successo? Albus? Albus?
“Ben svegliato, ghiro!”
Lontane, le voci di un giovane e di una vecchia gli parlvano. Doveva essersi riaddormentato, e tutto quel dolore e quel terrore erano stati un terribile, insensato sogno.
Aprì gli occhi a fatica, esausto e ancora in tensione, e lo vide. L’alicanto aveva preso fattezze umane, le sue piume si erano trasformate nei fili d’oro che incorniciavano il volto del ragazzo di fronte a lui, era un segnale. La sua ricerca era finita, davanti a lui era il tesoro, la vena più ricca di tutta la miniera. Non doveva farsi notare però.
“N-non lo faccio di solito. Dormire. Cioè, dormo!” aveva aperto la bocca nella speranza che ne uscisse qualcosa di intelligente, ma non era così. “Non tanto. Non dormo tanto. Di solito mi de- mi definiscono uno sveglio. Più metaforicamente però. Forse. Sono metaforicamente mattiniero.”
Sono metaforicamente mattiniero? Era davvero il meglio che riusciva a dire?
Si stava mettendo in imbarazzo con ogni parola, e la sua voce si abbassò pian piano fino a scomparire in un bisbiglio indefinito.
“Sembra una bella cosa…” accennò Gellert incerto, mentre la mente di Albus non riusciva a concentrarsi su altro che su ciò che aveva appena finito di dire.
Metaforicamente mattiniero.
Non Ti andrebbe di leggere il mio articolo sugli inesplorati usi del sangue di drago?, non Sarebbe fantastico conoscere reciprocamente le nostre culture. Aveva blaterato riguardo alle sue ore di sonno. Avrebbe preferito sprofondare nelle candide lenzuola attorno a lui piuttosto che alzare lo sguardo e capire quanto peso le persone attorno a lui avevano dato alle sue parole, ma non poteva.  Con un lento movimento del collo scrutò la stanza attorno a lui, e mentre cercava di interpretare gli sguardi dei due attorno a lui sentì il campanile del paese suonare in lontananza. Che ore sono? Guardò fuori dalla finestra: il sole era alto, e in lontananza le campane suonavano ancora. Dovevano essere le dodici.
Mezzogiorno! Ho passato un intero giorno a letto!
Il pensiero gli attraversò la mente e in un attimo era nuovamente sui suoi piedi: doveva tornare a casa. Aveva lasciato Abe e Ariana da soli per troppo tempo.
“E’…è stata gentilissima, signora Bath. S-signorina. E… spero di conoscerti meglio, Gellert Grindelwald.”
Pronunciò quell’ultima parola lentamente, come gustando il suono della lingua che schioccava sul palato nelle “d”, della bocca che si apriva a formare le vocali. Lo fissò per un secondo di troppo, abbastanza per lanciare un messaggio eloquente solo per chi volesse capirlo. Sperava con tutto sé stesso che il norreno lo cogliesse, ma sapeva che le stelle gli erano sfavorevoli. Non era il luogo – un piccolo paesino di campagna! – non era il tempo – un secolo di regresso e discriminazioni! – per un sentimento del genere.
Tutti questi pensieri però gli passarono nella mente dopo, mentre correva a casa, lontano da quel sorriso che gli annebbiava la mente.
Prima ancora di aprire la porta di casa, si pentì di essere tornato. Anche attraverso la porta che li separava, poteva sentire il pianto acuto di Ariana, strilli che solo chi varcava il cancello poteva udire. Tutto attorno, Kendra si era premurata di innalzare muri invisibili. Nulla di strano poteva essere visto o udito, ma oltrepassato quel cancello la verità era tutt’altra.
Allungò la mano sulla maniglia, incerto, mentre da dentro sentiva chiaramente la voce di Aberforth.
“Sta’ calma ora, non ti devi agitare. Non ti devi agitare. Non sta succedendo niente, calma.” Il suo tono era duro come mai l’aveva sentito nella bocca del fratello: da quanto tempo durava la crisi questa volta? Una, due ore? La più lunga ne era durate quattro, ed erano state le quattro ore peggiori della vita di Albus, che davanti alla sorella, così piccola e debole, si sentiva impotente. Non c’era incantesimo per aiutarla, non c’erano parole che la guarissero: il suo male non era un germe che poteva Trasfigurare e far andare via.
Il respiro di Ariana era sempre più rumoroso, affannato, la voce del fratello sempre meno calma.
Albus allontanò la mano dalla porta e fece il giro della casa. 


Eccomi con un nuovo capitolo! Ultimamente siete un po' morti, ma spero che Gellert possa fare la sua magia: d'ora in poi la Grindeldore sarà mooolto più on! 
 

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