So stay with me tonight

di _Lis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***



Capitolo 1
*** I ***


... So stay with me tonight.
Don't go, I can't do this on my own.




La mia stanza era inondata dalla musica che proveniva dalle casse dello stereo sulla scrivania.
"I've been waiting for a good day, I've been holding back long enough, I've been hurting to tell you some things." Dice Jordan, il cantante dei New Found Glory.
Ho comprato da poco il loro nuovo cd ma ancora non ho avuto il tempo di ascoltarlo tutto.
Non so come, da sopra il volume della canzone sento la suoneria del mio Nokia scassato.
Tom S, leggo sul dispaly.
Rimango per un momento stupita, non mi aveva mai chiamata prima. Ho il suo numero solo per le poche volte che Oliver aveva usato il cellulare di suo fratello per mandarmi un messaggio quando lui aveva finito il credito.
Abbasso il volume dello stereo praticamente al minimo e rispondo.
"Ehi!"
"Jen?" Non è Oliver, è proprio Tom. La sua voce mi sembra distante. O forse c'è solo la linea disturbata.
"Tom? È successo qualcosa?" Chiedo.
Per qualche secondo non ricevo nessuna risposta. In sottofondo riesco a sentire diverse sirene.
"Si... Si tratta di Oliver." Dice con poco più di un sussurro.
Lo sento schiarisi la voce "Ha avuto un incidente."
"Un incidente?" Chiedo spegnendo del tutto la musica. "Sta bene?"
Spero di aver capito male.
"Lo stanno portando in ospedale in ambulanza." Dice evitando di rispndere alla mia domanda. "I miei stanno andando con lui, non mi hanno fatto salire."
"Sei riuscito a vederlo? Sai qualcosa?" Cerco di ottenere più inforazioni possibili, ma credo che lui non me le possa dare.
"Io... Beh... N-non lo so come sta." Sento la sua voce spazzarsi e poi tace.
Sono certa che stia piangendo.
"Dove sei? Ti vengo a prendere in macchina e andiamo anche noi in ospedale." Dico.
"Sono... Mmm..." Lo immagino guardarsi attorno per darmi qualche indicazione. O semplicemente sta combattendo contro le lacrime. "Sono all'inizio della salita da casa nostra, ti aspetto qui."
Mette giù.
Lascio cadere il cellulare sul letto, nascondo il visto tra le mani e sospiro profondamente. Provo ad elaborare la notizia senza lasciarmi sopraffare dal panico.
Sicuramente sta bene. Avrà solo un braccio rotto, o una gamba ingessata al massimo...
Prendo una felpa dall'armadio e vado al piano di sotto.
Il rumore dei miei piedi mentre scendono i gradini rimbomba nella mia testa che mi sembra così leggera e piena allo stesso tempo.
Passo danvanti al salotto dove i miei stanno guardando la tv.
Mia madre si è addormentata, la testa sulla spalla di mio papà.
Resto per un istante a guardarli, ipnotizzata, quando mio padre sposta lo sguardo e mi vede.
"Esci?" Mi chiede con un sorriso curioso.
Annuisco.
"Non fare tardi." Si raccomanda tornando a concentrarsi sul programma in televisione.
"D'accordo." Dico cercando di sembrare il più normale possibile, ma tanto lui non mi sta più ascoltando.
Prendo le chiavi della macchina, metto la gicca ed esco.
L'aria è parecchio fredda di sera nello Yorkshire.
Attraverso il vialetto ignorando il vento che mi soffia in faccia e tra i capelli ed entro nella berlina grigia di mia mamma. Solo in quel momento mi accorgo di tremare.
Stringo le mani attorno al volante per fermarle e comincio a respirare lentamente aspettando di calmarmi, poi metto in moto.


Alle nove passate le strade sono praticamente deserte, non c'è molta vita notturna qua, quindi raggiungo Tom in pochi minuti. Eccolo la, seduto sull'orlo del marciapiede, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani a sorreggerli la testa.
Non sta piangedo, ma ha gli occhi gonfi e arrossati, mi fa star male vederlo così. Forse perchè somiglia così tanto a suo fratello maggiore.
Accosto e gli faccio segno di salire.
Vorrei dirgli qualcosa di rassicurante mentre si siede alla mia sinistra, sul sedile del passeggero, ma non saprei da dove cominciare, così decido di stare zitta.
Lo guardo meglio, in effeti non sono poi così simili, hanno lo stesso taglio di capelli, un caschetto nero con una luga frangia sulla fronte, e la stessa figura magra e slanciata, ma per il resto sono compleatamente diversi.
Sono tesa, mi sento in dovere di rompere questo silenzio così denso da soffocarmi.
"Io l'ho visto." Dice Tom all'iprovviso in tono piatto.
"L'ho visto a terra in mezzo alla strada. Immobile, pallido." I suoi occhi blu non mi guardano nemmeno per un attimo. "Attorno alla sua testa c'era una pozza di sangue. Io... Io non credevo fosse nemmeno possibile perderne così tanto..."
È visibilmente sotto shock, si vede dal suo pallore e dalle goccioline di sudore formatesigli sulla fornte.
"Quando io, mamma e papà siamo arrivati c'erano già due poliziotti che facevano domande all'uomo che lo ha investito e un'ambulanza." Continua. "Lui stava li..." Dice scuotendo la testa. "Stava li fermo sulle strisce pedonali e poi... Poi c'era tutto quel sangue che gli sporcava i capelli, i vestiti... Io..."
Si volta e per la prima volta mi guarda negli occhi. "Io ho paura Jen."
Le mie deboli convinzioni sullo stato di Oliver mi crollano davanti.
È certamente ben più grave di un osso rotto.
"Anche io." Mi sento rispondere.
Non l'ho detto apposta ma è la verità.
Anche io ho paura adesso.
Poi d'istinto lo abbraccio forte.
Non siamo mai stati molto intimi, non ci siamo scambiati più di qualche parola quando ci incrociavamo in casa sua, ma questo momento non è imbarazzante, per niente.


Lascio l'auto nel parcheggio di fronte all'ospedale e, assieme a Tom, raggiungo lo stabile.
Quando la porta di vetro si apre e ci lascia entrare, quello che vedo è soltanto un atrio vuoto illuminato da una luce troppo bianca.
Infondo alla stanza, seduta dietro a un bancone, c'è una donna sulla quarantina che indossa un camice da infermiera.
Ci dirigiamo verso di lei in cerca di qualche informazione su come trovare Oliver.
Tiene gli occhi bassi su chissà quali documenti.
"Buona sera." Richiamo la sua attenzione.
Alza lo sguardo e ci accoglie con un'espressione spaesata.
"Buona sera." Risponde lei mentre guarda con diffidenza i capelli troppo lunghi di Tom e il mio piercing al naso. "Posso aiutarvi?"
"Si, stiamo cercando mio fratello." Dice Tom, che sembra essersi un pò ripreso. "Oliver Sykes."
"Sykes..." Mormora la donna digitando al computer.
"È stato portato qui poco fa." Aggiungo, pensando che magari le avrebbe fatto trovare qualcosa più in fretta.
"Si, eccolo. Ma..." Lancia un'occhiata a Tom. "Sei sicuro di essere suo fratello? Non posso dare informazioni a..."
"Si!" La interrompe bruscamente.
L'infermiera spalanca gli occhi e indietreggia sulla sedia.
"Si, lo sono." Ripete con più calma.
"Ok, beh... È appena uscito dalla sala rianimazione. Ora si trova al 3° piano, stanza 11."
"Rianimazione" Mi ripeto in testa.
Ha rischiato di morire? Stava morendo?
"Grazie." Dice Tom e va verso gli ascensori.
"Jen?" Mi chiama, chiamando l'ascensore.
Cancello dalla mente quell'idea e lo raggiungo.
La porta di metallo si apre e Tom entra, io lo seguo.
Guardo i tasti luminosi sul muro.
"Che piano ha detto?" Chiedo.
Ho di nuovo la testa così leggera che è quasi come se non fosse la mia.
"Terzo." Risponde Tom. "Tutto ok?"
Anche la mano che preme il numero 3 non mi sembra mia, nemmeno il braccio a cui è attaccata.
"Rianimazione" sento di nuovo.
"Stava morendo." Sussurro poi guardando le mie vecchie vans sgualcite.
Lui non dice niente. Cosa dovrebbe dire?
Poi la porta si riapre e noi entriamo in un corridoio che odora di disinfettante al limone.
"Odio gli ospedali." Commenta lui, nuovamente pallido. "Ci sono stato troppo volte."
Faccio un resoconto veloce di quello che so sul suo passato e quello di Oliver, non posso biasimarlo se questo luogo gli fa tornare in mente brutti momenti.
"Beh stare in ospedale non è mai piacevole..." Scrollo le spalle.
"Già." Annuisce con la mente altrove.


Ci troviamo davanti ad una porta chiusa. I miei occhi indugiano sul numero 11 in caratteri neri sbiaditi accanto alla maniglia. m
Sento il battito del cuore accelerare, lo sento pulsare nelle tempie. Non credo di riuscire ad entrare.
"Va tu." Dico. "Io... Io arrivo tra poco."
Sento Tom aprire la porta e richiuderla alle sue spalle mentre raggiungo la sala d'attesa alla fine del corridoio.
Mi lascio cadere su una seda di plastica rossa. Probabilmente le mie gambe non avrebbe retto ancora per molto, sto tremando di nuovo.
Devo calmarmi.
Chiudo gli occhi e prendo un respiro.
Il ronzio dei neon mi fa cadere sotto una sorta di ipnosi e per un secondo riesco a distrarmi.
Mi ritrovo a galleggiare in uno stato di dormi-veglia per un tempo che non riesco a quantificare, fino a che non sento un rumore di passi.
Riapro le palpebre e vedo Carol, la mamma di Oliver. 
Gli somiglia molto, ha anche lei i capelli scuri e nel suo viso rivedo molti tratti del figlio.
Faccio per alzarmi, voglio chiedergli come sta Oliver.
Dietro di lei vedo comparire un uomo in camice bianco e con una cartellina in mano. Probabilmente il medico che lo ha rianimato poco fa.
L'idea mi mette ancora i brividi. Cerco con tutte le forse di non pensarci.
Mi risiedo e faccio finta di niente, giocherellando con il fili di stoffa che sbucano dallo strappo sul ginocchio dei miei jeans.
Parlano a bassa voce, Carol ha l'aria tremendamente stanca mentre ascolta le parole del dottore.
Capto solo qualche parola, tendo le orecchie e mi concentro per sentire meglio.
"Stando a quanto riferitoci dalla polizia, suo figlio ha attraversato all'improvviso e l'automobilista non ha avuto nemmeno il tempo di rallentare." Afferma l'uomo.
Immagino il corpo di Oliver che rimbalza contro il cofano dell'auto.
Capisco che non sta per dare una buona notizia.
Spero non mi vedano.
Faccio il possibile per mimetizzarmi con la sedia e il muro della stanza.
"È stabile..." Continua. "Ma non so quando si risveglierà."
Quando si risveglierà? Cosa significa? Sono troppo terrorizzata per trovare la risposta, così ovvia e semplice.
Il dottore fa un passo verso Carol e io devo tendere ancora di più le orecchie per sentire.
"Dati i precedenti del ragazzo, io... Noi pensiamo che Oliver non sia stato solo sfortunato o poco prudente."
Mi viene in mente che forse quello non è un medico qualsiasi.
"Pensiamo che possa averlo fatto di proposito."
Sicuramente non è un medico qualsiasi, è lo psicologo di Oliver.
Va nel suo studio una volta alla settimana da sempre che io sappia. Non lo avevo mai incontrato, a lui non piace molto parlarne. Anche se credevo che ormai ci andasse quasi più per abitudine che per necessità.
Scatto in piedi senza farlo apposta.
"No!" 
Si voltano verso di me stupiti, rendendosi conto solo adesso di non essere soli.
"Jennifer?" Carol più che stupita sembra distrutta.
Mi chiedo per un momento come devo sembrare io, col trucco addosso da questa mattina, i capelli spettinati dal vento e l'espressione di chi ha appena scoperto che il proprio ragazzo è in coma.
"I-io lo avrei saputo se avesse voluto..." Non riesco nemmeno a pensarla quella parola, figuriamoci pronunciarla.
Abbasso lo sguardo scuotendo la testa.
"Forse non avresti dovuto saperlo così" Comincia il medico. "Ma ho paura che sia l'ipotesi più plausibile."
"Lui stava bene." Ho gli occhi appannati, sto per piangere. "Era felice."
"Jennifer, non sai quanto vorrei che tu abbia ragione ma non è così semplice." Dice stanca Carol.
Mi sento mancare l'aria e gli occhi mi pizzicano per l'impasto di eyeliner e mascara che le mie lacrime hanno creato scendendo lungo le mie guance.
Continuo a piangere mentre Carol mi viene in contro per abbracciarmi. Affondo il viso nella sua spalla.
"Io lo avrei saputo." Dico.
"Nessuno può sapere cosa è successo davvero." Mi sussurra, lisciandomi i capelli per confortarmi.
"Andiamo a prendere qualcosa di caldo." Mi dice sforzandosi di sorridere.
È il colmo che lei debba consolare me. Lei è sua madre dovrebbe essere a pezzi.
"Quando starai meglio Ian ti riaccompagnerà a casa, non è prudente che guidi nelle tue condizioni."
La guardo con la vista ancora annebbiata dal pianto e realizzo che dev'essere davvero una mamma stupenda.


"Io non so se sono pronta a vederlo." Ammetto in un bisbiglio prendendo un sorso del te della caffetteria dell'ospedale.
Riuscirò mai a rivederlo? Questa paura si intrufola repentina nella mia mente.
"Non fartene una colpa. Non è facile."
Annuisco, soffiando un pò sul mio bicchiere.
Sto meglio rispetto a poco fa ma mi sento ancora una vera schifezza. L'unica cosa che voglio adesso è tornare a casa, addormentarmi e svegliarmi domani mattina scoprendo che tutto questo è solo un terribile incubo.


 
Continua...















 

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Capitolo 2
*** II ***


Apro gli occhi all'improvviso e il mondo d'ovatta in cui mi sono rifugiata fino ad ora svanisce.
Guardo la sveglia. Sono lieta di vedere che sono già le sei, non riuscirei a riaddormentarmi.
Prendo il telefono dal comodino. Nessun messaggio, nessuna chiamata.
Se fosse successo qualcosa, spero, mi avrebbero avvertito.
Mi trascino a fatica verso il bagno e faccio una doccia, sperando mi aiuti a svegliarmi e a ripulirmi almeno un po' dalla tristezza che mi pesa addosso da ieri sera.


Mi vesto, mi costringo a mangiare qualcosa ed esco di casa col mio zaino di scuola in spalla.
Ho i capelli ancora un po' umidi, di certo non mi farà bene col freddo che c'è.
Cerco di concentrarmi sulle parole della canzone che sta riproducendo il mio mp3. Non la riconosco e no ricordo nemmeno di averla scaricata ma mi piace.
Raggiungo l'entrata del liceo di Stocksbridge, il cortile è pieno di ragazzi e ragazze. Solitamente, accanto alla facciata destra dell'edificio, appoggiato al muro con aria assente, mentre fuma una sigaretta coi suoi amici, trovo Oliver.
Oggi, ovviamente non c'è.
Sospiro e mi obbligo a non piangere.
Raggiungo a passo lento e indeciso i due ragazzi.
Matt Nicholls, il migliore amico di Oliver, e Lee Malia, che vede gli altri due quasi come modelli da imitare. Ronzandogli sempre attorno, alla fine, è riuscito a conquistare la loro amicizia.
Sono due ragazzi simpatici, sono contenta che siano amici di Oliver e miei.
“Ciao.” Dico attirando la loro attenzione.
“Ehi Jen!” Mi sorride timido Lee, da sotto il suo ciuffo biondo.
Matt mi saluta con un cenno della testa, portando l'accendino alla bocca per accendersi una sigaretta.
È lui ad accorgersi che non non siamo al completo.
“Ehi, ma...” Si guarda un momento intorno. “Oliver dove è finito? Te ne sai qualcosa?” Mi chiede. “Non lo sento da ieri pomeriggio.”
Mi sento sbiancare, e ho la conferma dal fatto che i due ragazzi mi stanno guardando con aria preoccupata.
“È successo qualcosa?” Domanda Lee.
È più basso e piccolo rispetto a Matt, mi è sempre apparso così tenero e odio dovergli dare la brutta notizia.
“Ieri sera è stato investito da una macchina.” Dico sentendo la bocca farsi secca. “Ora è in ospedale.”
“Ma è tutto ok, no?” Chiede ancora.
Mordo il labbro inferiore e scuoto lentamente la testa. Si aspettano che aggiunga qualcosa, immagino, che spieghi cosa è successo. Ma come posso, farlo se anche io so così poco?
“È in coma.” Dico, forse un po' troppo bruscamente.
Preferisco non aggiungere la possibile causa dell'incidente.
“Stai... Stai scherzando, vero?” Chiede Matt sforzando un accenno di risata.
Quanto vorrei che fosse tutto uno scherzo, Matt...
Scuoto di nuovo la testa.
Getta la sigaretta ancora nuova a terra. “Cazzo...” Si passa le mani sul viso e poi sulla testa, fino a intrecciarle dietro la nuca.
Già, cazzo è la parola migliore per descrivere la situazione.
“Da quello che ho capito, la macchina l'ha preso in pieno.” Non voglio che la mia voce lasci trasparire emozione. “Siamo fortunati che sia ancora vivo.”
“S-sei riuscita a vederlo?” Mi chiede Lee.
Ha gli occhi lucidi, sta cercando di non piangere.
Scuoto la testa. “Ho accompagnato Tom, ma io non me la sentivo di entrare.”
“Vieni con noi dopo scuola, allora.” Matt mi fa passare un braccio sulle spalle.
Lo guardo, poi sposto lo sguardo verso Lee.
Annuisco con un accenno di sorriso. Mi sento un po' meno sola, adesso.


L'orologio appeso al muro bianco segna le cinque e un quarto del pomeriggio, il rumore delle sue lancette e i ronzii dei macchinari a cui è collegato Oliver sono gli ulnici rumori che si sentono nella stanza.
Non ero pronta a vederlo così, ma sono entrata comunque.
Non ero pronta a vedere il suo viso pallido e coperto di lividi, i punti che gli hanno messo sul sopracciglio destro, la flebo inserita nel braccio, il suo corpo inerme e apparentemente privo di vita.
La sua espressione però è serena, se mi sforzo di non pensare a tutti gli antidolorifici con i quali lo stanno imbottendo, posso anche riuscire a convincermi che stia solo riposando.
Matt è seduto ai piedi del letto e fissa l'amico senza dire niente.
Lee invece è sulla sedia con gli occhi rossi e umidi.
Io non riesco ad avvicinarmi di più, resto in piedi sulla soglia della porta. Ho le braccia strette attorno al petto e mi gira la testa. Non posso e non voglio pensare che tutto questo sia vero.
“Jen, sei sicura di non volerti sedere?” Chiede Lee, offrendomi il suo posto. “Sembri sul punto di svenire...”
Anche Matt si volta a guardarmi. Si alza dal letto e mi viene incontro per abbracciarmi.
Mi irrigidisco, non lo aveva mai fatto.
“So che è difficile.” Sussurra, in modo che Lee non possa sentire. “Ci sto male anche io, credimi.”
Ho sempre pensato che tra noi ci fosse una specie di rivalità, essendo la ragazza del suo migliore amico, ma capisco di essermi sempre sbagliata.
“Credi che si sveglierà prima o poi?” Chiedo in un singhiozzo, stringendo le braccia sulla sua schiena.
“Certo.” Fa un passo indietro per guardarmi negli occhi. “Non pensare il contrario nemmeno per un momento ok?”
“Ok.”
“Lee, vieni andiamo a prendere qualcosa da bere.” Dice oltrepassandomi e uscendo dalla stanza.
L'altro ragazzo si alza e lo segue.
Resto sola, in questa stanza troppo grande e troppo silenziosa. Mi manca l'aria.
Sfioro con le dita il bordo del materasso mentre raggiungo la sedia.
Gli sposto la frangia dalla fronte.
Ha sempre odiato quando gli sistemavo i capelli...
Il mio subconscio si aspetta di vederlo scrollare la testa, stizzito, e rispettinarsi.
Col dorso della mano scendo sulla sua guancia fredda e i miei occhi si riempono di lacrime.
“Per favore...” Sussurro, sperando mi senta. “Apri gli occhi.”
Asciugo una lacrima che mi scivola fino al mento. “Per favore, Oli...”

 
Continua...
(Aggiornerò il prima possibile, promesso!)

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Capitolo 3
*** III ***


È già passata una settimana dalla sera dell'incidente.
Dal pomeriggio che sono venuta in ospedale con Lee e Matt, vengo a trovare Oliver tutti i giorni.
Ormai la situazione mi è fin troppo familiare, così come la stanza, l'infermiera che fa il turno di pomeriggio e l'aspetto asettico di tutto l'impianto.
Saluto con un cenno della mano Teresa, che con la sua solita uniforme bianca mi risponde con un sorriso, ed entro nella camera difronte a me.
“Buongiorno!” Lo saluto normalmente.
I dottori ci hanno detto una parte del suo cervello riesce a percepire i suoni e le voci, anche se non è ancora in grado di reagire agli impulsi esterni.
Noto che i lividi sul viso stanno pian piano scomparendo, lasciando una leggera ombra violacea. Anche i punti di sutura ormai sembrano non servire più a molto, dato che i tagli che aveva sparsi su tutto il corpo stanno lasciando posto a delle piccole e sottili cicatrici.
Ma la ferita più grave, quella che vorrei più di tutte guarisse, non si vede dall'esterno.
“Mi sembri in forma oggi, sai?” Commento, andando ad aprire la finestra per far cambiare l'aria.
Impedisco alle lacrime di iniziare a scendere, stringendo forte le labbra. 
Oggi non voglio piangere.
Mi volto di nuovo verso il letto.
Fa ancora un certo effetto vederlo attaccato a flebo e macchinari, ma cerco di mandare giù anche questo.
Mi lascio cadere sulla sedia accanto a lui e prendo la sua mano tra le mie.
Col pollice gli disegno dei piccoli cerchi sul droso, sotto le nocche.
Ha la pelle così chiara e sottile che sembra quasi non esserci, posso vedere perfettamente il percorso delle sue vene lungo il polso.
“Sai” Rompo il silenzio. “Oggi Matt non è potuto venire perchè aveva un appuntamento con una ragazza.” Racconto. “Si sentiva in colpa, ma gli ho detto che tu avresti capito. Ho fatto bene no?”
So che lui non può rispondermi, e non sono nemmeno così sicura che posso sul serio sentirmi, ne tanto meno capirmi, ma parlargli è l'unica cosa che mi viene da fare.
“E suppongo che Lee si trovi in imbarazzo a venire qui solo con me.” Dico più rivolta a me stessa.
Guardo il suo viso, ancora più magro e pallido, faccio davvero fatica a ricacciare indietro il magone che mi si sta formando in gola.
“Anche se le lezioni non si fermano solo perchè tu non ci sei, credo che per oggi posso anche far finta di niente e lasciare i compiti di algebra per più tardi...” Dico, sbattendo più volte le palpebre per riuscire a vedere attraverso le lacrime che si stanno facendo strada.
Avevo promesso che non avrei pianto...
“Ti va di sentire un po' di musica?” Sento che la mia voce è ormai incrinata.
Tiro fuori dallo zaino il mio mp3, metto una cuffietta nel suo orecchio e l'altra nel mio.
Clicco riproduzione casuale.
Leggo il titolo scorrere sul display “I miss you – Blink 182”.
Sorrido. “Lo so che non ti piacciono ma sei il mio ragazzo, no? Devi fingere che ti piacciano le cose che piacciono a me.”
Lo immagino rubarmi il lettore di mano e dirmi che ascolto della musica “da ragazzina”. Io gli avrei risposto che, avendo 17 anni, effettivamente sono una ragazzina e che quindi la mia musica andava bene. Lui mi avrebbe ignorato e avrebbe cercato le canzoni che mi aveva scaricato.
“Immagino che nemmeno la mia musica di merda ti faccia svegliare, vero?” Dico trai singhiozzi.
Mi piego in avanti e appoggio la fronte sulla sua mano, sempre tenendola tra le mie dita.
Tiro su col naso. “Oli... Svegliati...”
Sento una leggera pressione attorno alla mia mano, ma solo il tempo di rendermene conto. Abbastanza debole e abbastanza rapida da convincermi che forse è stata solo la mia immaginazione.
Scatto in piedi, con gli occhi aperti.
Ho il battito accelerato e non so cosa pensare.
Vuoi così tanto che si svegli da avere le allucinazioni. Jen, sei ridicola...
Mi risiedo e mi sistemo i capelli dietro le orecchie facendo un respiro profondo.
Calma, non è stato niente.
Una parte di me però spera che Oliver si sia davvero mosso.
La porta della stanza si apre e mi volto a vedere chi sta entrando.
È Carol.
“Ciao Jenny.” Mi sorride stanca. “Come va?”
Non da peso alla mia espressione triste, non si è mai troppo felici quando si ha una persona cara in coma.
“Mmm bene.” Dico ancora un po' sotto shock.
Decido di non dirle niente, per non darle false speranze, poi mi alzo e raccolgo lo zaino.
“Vai già via?” Mi domanda stupita, solitamente resto fino a sera.
“Resterei, ma ho un sacco di compiti...”
“Capisco. Beh... Grazie per essere venuta, so che a Oliver avrebbe fatto piacere.”
“Già.” Sospiro.


Sto per entrare in macchina, posteggiata proprio davanti all'ospedale, quando vedo il dottore che ha in cura Oliver uscire da un'auto dall'aria costosa.
Lo raggiungo e per fortuna mi riconosce subito.
Ci credo, dopo la scenata dell'altra sera...
“Buongiorno” Mi dice. “Te sei..?”
“Si sono io” Lo interrompo. “Volevo dirle una cosa urgente.”
“Dimmi”
“Prima... Mmm...” Non voglio sembrare pazza. “È possibile che Oliver mi abbia stretto la mano?”
“Certo, è un ottimo segno.” Sorride. “Vuol dire che il trauma sta iniziando a... Guarire. Detto in termini semplici.” Vede la mia espressione felice e speranzosa. “Stavo giusto andando a visitarlo, se torni domani ti saprò dire qualcosa di più specifico.”
“Certo.” Annuisco.
“Grazie ancora!” Gli grido mentre lui si sta già allontanando.
Sento un sorriso allargarsi sulla mia bocca. Uno di quei sorrisi che non riesci facilmente a mandare via.
Continua...

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Capitolo 4
*** IV ***


Era già da un po' che a scuola stava girando la classica influenza di stagione e naturalmente non mi ha risparmiata.
È già in quarto giorno che sto a letto, impossibilitata ad uscire, scossa da brividi e sudori freddi a causa della febbre alta.
La cosa che mi scoccia più di tutte è non essere più riuscita a incontrare il dottore di Oliver.
In quattro giorni possono succedere un sacco di cose.
Mi alzo dal letto per andare a prendere un sorso d'acqua, ma appena il mio sedere si solleva dal materasso la testa mi comincia a girare e non sono per niente sicura di potermi reggere sulle gambe.
Forse la mia sete può anche aspettare.
Mi risiedo.
Il mio cellulare vibra da sopra il comodino, accanto alla rivista che mia mamma mi ha portato ieri per passare il tempo mentre lei è a lavorare. È un'insegnante nella scuola elementare della nostra città, quindi solitamente non rientra prima delle quattro del pomeriggio. Anche mio papà, facendo il dentista, non è in casa per quasi tutto il giorno.
Prendo il telefonino e cerco di mettere fuoco i caratteri sullo schermo. Ho la vista un po' appannata sempre a causa della febbre e vedo un po' sfocato.
È un messaggio di Tom.
“Ehi Jen, come stai? Il dottore dice che Oliver sta migliorando di giorno in giorno e che potrebbe svegliarsi da un momento all'altro.”
Non mi sembra vero, tanto che rileggo il messaggio un paio di volte per essere sicura di aver letto bene.
Sbatto più volte le palpebre per rimandare indietro le lacrime di gioia e digito: “Ciao! Veramente? Oddio ma è una notizia bellissima! Grazie per avermelo detto! Ah, comunque la febbre mi si sta abbassando, spero di poter venire presto a trovarlo.”
Mi butto sul letto e chiudo gli occhi. Sento un sorriso nascere sulle mie labbra.
Voglio essere li quando si sveglierà.
E con questo pensiero mi addormento.


La febbre è passata e quindi mi tocca tornare a scuola dopo circa una settima di assenza.
Mi ha accompagnato mio papà mentre andava in studio e sono in anticipo quindi Matt e Lee non sono ancora arrivati.
Chissà se loro hanno saputo dei miglioramenti di Oliver?
Gli aspetto nel solito posto mentre decido di rileggere gli ultimi messaggi che mi ha mandato Oliver.
Per quanto mi sforzi di essere obbiettiva non riesco a pensare che possa davvero essersi buttato di proposito contro la macchina. Forse non ha avuto la vita più felice o più facile del mondo ma sono abbastanza sicura che lui stesse bene.
So cosa è successo prima che noi due ci incontrassimo e mi piace pensare che un po' sia anche merito mio se le cose sono cambiate.
Sento una botta leggera sulla spalla e sobbalzo dallo spavento.
È solo Matt, ma persa com'ero nei miei ragionamenti mi ha spaventato da morire.
Lui scoppia a ridere ma poi mi chiede scusa.
C'è anche Lee con lui, abitando più o meno vicini arrivano sempre assieme.
“Avete saputo?” Chiedo.
Matt si porta una sigaretta alla bocca e la accnde. “Saputo che cosa?”
“Tom mi ha detto che Oliver potrebbe svegliarsi in qualsiasi momento.”
L'espressione di Lee è impagabile, lo vedo letteralmente illuminarsi.
Matt invece, per quanto bene possa volere al suo migliore amico, non si scompone.
“Se sapessi come fare, potrei iniziare a pregare.” Dice e poi mi sorride.


Negli ultimi giorni sono riuscita a passare in ospedale solo un paio di volte.
I prof ci hanno riempito di compiti e lezioni da studiare per i test che avremmo fatto prima della chiusura della scuola per le vacanze natalizie.
Comunque le condizioni di Oliver non sono cambiate: l'unica cosa che possiamo fare è aspettare.


Ultimamente Tom si sedeva con noi a pranzo, ma è da un paio di giorni che non si vede a scuola.
Anche lui vuole essere d con Oliver nel momento in cui si sveglierà e passa il novanta per cento nel suo tempo in ospedale.
Matt sta dicendo che ha deciso di farsi un nuovo tatuaggio ma io non lo sto ascoltando più di tanto, a differenza di Lee.
Do l'ultimo morso al mio sandwich quando dalla tasca dei miei jeans sento una vibrazione.
“Shh mi sta chiamando Tom!” Faccio a due ragazzi segno di stare zitti.
“Tom?” Chiede Matt.
“Tom Sykes...” Gli spiega Lee dandogli una gomitata.
“Ehi Tom?” Dico con un tono un po' teso.
“Si è svegliato.” Annuncia.
Non capisco. Perchè il suo tono non mi sembra contento?
“Non è una bella notizia?”
Matt e Lee, seduti difronte a me, si sporgono sul tavolo per fare attenzione alla telefonata.
“Si, ma...”
“Ma?” Insisto iniziando a preoccuparmi.
Mi passano per la mente mille cose.
“Ma non ricorda quasi più niente.”
Il mondo mi crolla addosso tutto in un istante.
Oliver è vivo, ma non è lui. C'è solo l'involucro.
Stringo le labbra e abbasso lo sguardo verso il vassoio del pranzo.
Osservo le briciole di pane cadute sul tavolo e dimentico come si faccia a respirare normalmente.
“Jen?” Chiede Tom. “Ci sei?”
Niente, non ce la faccio a rispondere.
Matt mi strappa il telefono di mano e io lo lascio fare.
Lo sento parlare ma non mi arrivano le parole che dice.
Una lacrima mi scivola su una guancia e poi cade sul tavolo, seguita da un'altra e poi un'altra ancora.
Sento una sedia strisciare contro il pavimento. Non alzo ancora lo sguardo. Odio piangere e odio che qualcuno mi veda farlo.
Matt fa il giro del tavolo e mi appoggia piano una mano sulla spalla.
“Tutto bene?” Mi chiede piano.
Scuoto la testa.
“Dai vieni, ti accompagno a sciacquarti la faccia.”
Mi prende la mano e mi fa alzare.
“Lee, prendi il suo zaino?”
Usciamo dalla mensa gremita di studenti.
Tengo stretta la mano di Matt, e Lee mi cammina accanto.
Percorriamo il corridoio vuoto, i nostri passi fanno eco. Nessuno dice niente.
Mi sento come in trans. Mi muovo ma non sono io a dare l'input alle mie gambe.
Lee apre la porta del bagno dei ragazzi. Non mi preoccupo, nessuno usa mai il bagno di quel piano perchè è sempre stato guasto.
Raggiungo il lavandino e cerco di non guardarmi allo specchio. Devo avere un aspetto schifoso, perchè è così che mi sento. Uno schifo.
Metto le mani a conchetta sotto getto d'acqua fredda e mi bagno il viso.
“Come cazzo è possibile?” Sbotta Matt tirando un pugno alla parete.
Io mi accascio a terra e mi siedo.
“È... è come se non esistesse più... è resettato.”
La voce di Lee è bassa e si sente appena, ma ciò che dice fa comunque male almeno quanto una sberla.
Si siede accanto a me.
Lo fisso un istante. Gli occhi bassi e l'espressione arrendevole.
Decido di abbracciarlo. Lui si lascia stringere e sento che le mie lacrime gli stanno già bagnando la felpa.
“Scusami.” Dico ridendo tra le lacrime. “Ti sto inzuppando.”
Matt si accovaccia davanti a noi. “Tom ha detto che sarebbe meglio aspettare ad andarlo a trovare. Per non creargli troppa confusione in testa, sapete...”
Non ci avevo pensato.
“Credo che allora sia meglio aspettare che ci dicano loro quando andare a trovarlo” Dico tristemente e vedo Lee annuire.
“Io non ci posso credere.” Scuote la testa.
“Già” La voce di Matt è insicura.
Non voglio vederlo piangere. So quanto possa pesargli, in alcune cose siamo simili.
Distolgo lo sguardo proprio mentre il suono della campanella ci dice che è ora di tornare in classe.
Ci alziamo e usciamo dal bagno.
Matt e Lee si dirigono verso la loro classe, che è dal lato opposto alla mia.
Non voglio restare sola coi miei pensieri, voglio qualcuno con cui parlare. O anche stare in silenzio, non importa, è che loro capiscono cosa sto passando.
Sfioro la spalla di Matt e lui si volta verso di me.
Ha gli occhi un po' rossi, ma non ci faccio troppo caso.
“Dopo scuola venite da me? Non mi va di rimanere da sola...”
Lui annuisce sorridendo e lo stesso fa anche Lee.
“A dopo, allora.” Dice il più alto dei due.
Si voltano e si allontanano.
Ho bisogno di loro... Più di quanto mi piaccia ammettere.

 
Continua...


 

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Capitolo 5
*** V ***


Oliver, o quel che ne resta, si è svegliato già da un po' di giorni ormai e noi cerchiamo di comportarci il più normale possibile. Andiamo a scuola tutte le mattine e spesso stiamo assieme anche dopo le lezioni per appoggiarci e confortarci a vicenda. A volte si riesce perfino a fare una risata.
È la notte che è difficile da far passare. Da sola, nel buio della mia stanza non riesco a non pensare ad Oliver, ai messaggi che ci scambiavamo prima di addormentarci, alle telefonate fatte sussurrando per non svegliare i mie nella stanza accanto, alle rare volte che mio padre aveva permesso che lui restasse a dormire da noi...


È inutile, anche sta sera non riuscirò ad addormentarmi.
Guardo l'ora dal cellulare: 22:15.
Ce ne vuole ancora prima che sorga il sole...
Da quando abbiamo saputo della memoria di Oliver ho visto l'alba almeno quattro volte, non riuscendo a chiudere occhio per tutta la notte.
La prof di storia ieri ha perfino chiamato i miei per sapere se avessi qualche problema, era già la terza volta che mi addormentavo in classe.
Tiro su le coperte fino al mento e fisso il soffitto.
Accettare il fatto che Oliver fosse in coma era più facile. Sapere che è vivo ma che non è più lui è impossibile.
Sento bussare la porta e poi un cigolio mi dice che qualcuno sta entrando.
“Jenny?”
È mia mamma.
“Neanche oggi riesci a dormire?”
Scuoto la testa, ma al buio non può vedermi. “No...”
Sento il materasso abbassarsi un po', si sta sedendo.
“Ti va di parlare un po'?” Mi chiede.
Accento la lampada sul comodino.
Guardo mia madre osservarmi con occhi apprensivi.
È una bella donna anche in pigiama, coi capelli legati e senza trucco.
Molti dicono che io sono la sua fotocopia. In effetti abbiamo molti tratti in comune, gli occhi scuri e grandi, il naso un po' a patata ma piccino, le labbra piene. Lei però è alta, e coi capelli biondo cenere, anche se alcuni stanno diventando bianchi.
“Ti manca molto.”
Non è una domanda, ma le rispondo comunque. “Da morire, mamma. Quando penso a tutto quello che è successo, credo possa esplodermi il cuore.”
Mi accarezza una guancia, asciugando una lacrima.
“È... È come se fosse morto, capisci?” Lo avevo pensato un sacco di volte ma questa è la prima volta che lo dico ad alta voce.
“Tesoro...” Mi abbraccia. “So che è una cosa orribile, ma l'unica cosa che può aiutarti è il tempo.”
Faccio no con la testa.
Non è vero, non finirà mai... Come posso smettere di star male?
“Forse non passerà mai del tutto, ma starai meglio.”
“Ma io lo rivoglio indietro.” Dico singhiozzando, premendo il viso contro la sua spalla. “Non è giusto.”
Posa la sua mano sulla mia testa e mi carezza i capelli.
“Hai fatto bene a tingerli sai? Ti stanno bene.” Cambia discorso.
“Davvero?” Tiro su col naso e mi metto dritta. “Ti piacciono?”
Non me lo aveva mai detto. Pensavo non gli piacesse come mi vesto e mi pettino.
Infondo il mio ciuffo, le mie ciocche blu, i miei jeans stretti e strappati e le magliette di band che nessuno conosce, non sarebbero l'orgoglio di ogni madre.
“Si” Mi sorride.
Mi asciugo gli occhi con la manica del pigiama e scopro che è riuscita a strapparmi un sorriso.
“Domani non ci dobbiamo alzare presto, ti va di vedere un film?” Propone.
“Va bene però aspetta, prima prendo un fazzoletto.”


Le immagini sullo schermo della tv si fanno sempre meno nitide e le voci dei personaggi sono sempre più lontane.
Sdraiata sol divano del mio salotto con la testa poggiata sulle gambe di mia madre, piano piano, finalmente mi addormento.




È lunedì mattina e sono più attiva di quanto non lo sia stata per il resto della settimana.
Ieri mi sono svegliata e trovai mia mamma addormentata sul sofà, accanto a me. La tv era ancora accesa, sullo schermo c'era il menù del DVD, immagino che nessuna di noi abbia visto la fine del film. Erano quasi le nove del mattino, il che significava che avevo dormito molto più del solito.
I miei mi hanno dedicato praticamente tutta la domenica per tenermi occupata, a cena abbiamo perfino ordinato cinese. Così quasi per tutta la giornata sono riuscita a non pensare ad Oliver.
Arrivata a scuola però la verità mi viene sbattuta violentemente in faccia. Vedere Lee e Matt la da soli mi fa ripensare a tutto quanto.
“Che si dice?” Chiedo raggiungendoli.
“Siamo di buon umore oggi?” Mi sorride Matt tenendo la sigaretta tra le labbra.
“Circa”
“Comunque stavamo dicendo che è da un po' che Tom non ci si fila molto.” Mi spiega Lee.
“Eppure è a scuola, lo vedo spesso...” Aggiunge l'altro.
Piego la testa di lato e rifletto un secondo. Hanno ragione.
“Gli avete parlato da quando...?”
“No.” Mi interrompe Matt.
“Eccolo.” Lee fa un cenno con la testa verso il centro del cortile.
Lo raggiungo più o meno a passo svelto e gli tiro leggermente una bretella dello zaino.
Si volta e mi sembra sorpreso. Anzi,in imbarazzo.
Ha due grandi occhiaie sotto gli occhi, non posso biasimarlo. Oliver è il mio ragazzo ma è anche suo fratello.
Dovrei dire “era”?
Scaccio via il pensiero.
“Ciao Tom!” Provo a sorridere. “Come sta Oliver?”
Lui alza le spalle e guarda altrove.
“C'è qualcosa che non va?” Chiedo. “Ci uhmm... Ci stai evitando?”
“N-no.” Si morde il labbro inferiore.
“Tom, che succede?”
“Jen...” Si avvicina. “Mia madre non vuole che voi veniate in ospedale.” Sussurra.
“Cosa?!” Sbotto.
Mi posa una mano sulla spalla e mi dice di non gridare.
“Non è colpa mia, ho provato a farle cambiare idea ma...” Scuote la testa. “Crede che voi” Lancia un'occhiata a Matt e Lee che ci stanno osservando. “Abbiate una brutta influenza su mio fratello.”
“Così vuole semplicemente fingere che non esistiamo?” Dico ad lata voce. “Tanto Oliver non ricorda una cazzo, giusto? Reimpostiamolo come più le piace, grande!”
Piango. Sono arrabbiata, mi sento impotente e tutto ciò che vorrei fare e riabbracciare una persona che non sa più chi sono.
“E te non fai niente? Lasci che faccia quello che le pare?” Punto un dito al centro del suo petto.
“Cosa potrei fare? È mia mamma...” Mi prende le mani e mi parla piano come per farmi calmare.
“Beh, potresti dire a tuo fratello la verità, magari!” Dico allontanandomi dalla sua presa.
“Che succede?” Chiede Matt.
Mi volto e vedo lui e Lee.
Intorno a noi alcuni alunni si sono fermati a vedere cosa sta succedendo.
“Digli che succede, Tom.” Dico sarcastica.
“Io... Devo andare”
Detto questo si volta e si affretta ad entrare a scuola.
Sto tremando di rabbia e sono scossa dalle lacrime.
Matt mi viene incontro e mi abbraccia, cercando di calmarmi.
“Stai tranquilla.”
“Forse è meglio andare da un'altra parte...” Ci dice Lee riferendosi al resto degli studenti che ci sta fissando.
Mentre ci allontaniamo Matt si volta “Show finito,spiacenti!”


Non siamo entrati a scuola quella mattina.
Siamo andati nel parco dove vanno sempre i ragazzi quando saltano le lezioni. Oliver sarà venuto qua un sacco di volte, non era proprio un alunno modello.
“Non ci posso credere...” Dice Lee tirando un cacio a una pietra, quando finisco di raccontare.
“Nemmeno io.” Matt scuote la testa.
“Gli avrei tirato un pugno, giuro!” Infilo le mani nella tasca della giacca.
“Jen, non è colpa sua.” Mi fa notare Matt. “Cosa può farci?”
“Non lo so... Qualcosa!” Sbuffo.
Ci sediamo tutti e tre su una panchina difronte al laghetto dove due signore anziane stanno tirando dei pezzi di pane secco alle poche anatre rimaste.
“Dobbiamo inventarci qualcosa, non può tagliarci fuori così..” Rimugina Matt, sistemandosi il berretto.
“Non possiamo mica andare a trovarlo di nascosto mentre sua madre è a lavorare...” Dice Lee sovrappensiero.
Io e Matt ci scambiamo un'occhiata.
“Amico, sei un genio!” Dice Matt schioccandogli un bacio in fronte.

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Capitolo 6
*** VI ***


È da tanto che nessuno di noi mette più piede in ospedale. L'ultima volta che sono stata qui ero felice perchè pensavo che Oliver mi avesse stretto la mano. Ero piena di speranza, sapevo che si sarebbe svegliato e avevo ragione. Certo non avevo immaginato che perdesse la memoria e sua madre ci impedisse di vederlo. Nessuno lo immaginava.
Pensavo fosse contenta che suo figlio uscisse con me. Credevo di piacerle...
“Mi sembra si questa...” Lee indica una porta a metà del corridoio.
Annuisco tesa.
Come facciamo ad entrare in quella stanza come se niente fosse? Voglio dire, Oliver non ha la minima idea di chi siamo. Cosa dovremmo dirgli?
Adesso l'idea di venire qui fregandocene di Carol non mi sembra più tanto buona.
Per fortuna, Matt sembra più sicuro di quello che stiamo facendo e tira giù la maniglia.
Non mi sento più il battito cardiaco, o forse il cuore batte così forte da sembrare fermo, mi gira la testa e temo di svenire.
La porta si spalanca e, in quel momento, Oliver che si sveglia e la sua perdita di memoria mi sembrano solo una bugia.
Tutto in quella stanza mi appare uguale a poche settimane fa, quando lui ancora era in coma.
La sedia è ancora alla sinistra del letto, proprio di fronte alla porta, l'orologio è ancora appeso al muro a scandire i secondi e la finestra è come sempre socchiusa per non fargli prendere troppo freddo.
Oliver sta dormendo, proprio come l'ultima volta che l'ho visto.
Non è più collegato a tutte quelle macchine che mangiavano e respiravano per lui.
I lividi sono guariti del tutto ormai e da lontano pare non esserci più traccia dei punti che gli avevano dato sul viso. Probabilmente avrà ancora le fasciature dove le costole gli si sono incrinate e il gesso alla gamba sinistra, ma da sotto le coperte non si riesce a vedere.
“Sta dormendo” sussurra Lee “Forse dovremo tornare un'altra volta.”
“Non possiamo tornare un'altra volta, Lee. Non sappiamo quando potremmo tornare.” Ribatte Matt non proprio a bassa voce, ma comunque piano. “Vero Jen?”
Annuisco, ma non sto davvero ascoltando, riesco solo a pensare a quanto vorrei abbracciare Oliver.
“Ecco. Quindi rimaniamo qui è aspettiamo finché non si sveglia da solo.” Conclude appoggiandosi al muro bianco. Si sistema in berretto, incrocia le braccia al petto e chiude gli occhi.
Chissà a cosa sta pensando? Non può essere davvero così indifferente, è... Era... No! È pur sempre il suo migliore amico...
Lee continua a guardarlo poco convinto ma non ribatte. Si infila le mani in tasca e fissa un punto a caso davanti a se.
Visto che nessuno mi sembra interessato, prendo posto sulla sedia.
Cerco di non fissare il viso di Oliver, fa troppo male.
Ecco perchè Matt fa così... Lui è nella mia stessa situazione ma non vuole mostrarsi debole.
Lee invece sembra sul punto di piangere.
Vorrei dirgli qualcosa o andare da lui per dargli una pacca sulla spalla o un abbraccio. Non so, mi sembra così indifeso a volte.
Apro la bocca, ancora indecisa sul cosa dire, ma la voce che sento rimbombare nella stanza mezza vuota non è la mia.
“Voi chi siete?”
È la voce di Oliver. È da così tanto che non la sento che stento quasi a riconoscerla. Sembra calma e tranquilla. Ho paura di guardare i suoi occhi e non riconoscerlo più, ma mi volto.
Si sta alzando un po' a fatica. Come pensavo è ancora dolorante.
“Oliver!” Esclama Matt. “Aspetta, ti do una mano!” Corre verso di lui e lo aiuta a sistemarsi.
Lui si irrigidisce leggermente al contatto ma lascia che Matt lo metta a sedere.
“G-grazie...” Dice con aria circospetta.
Si sposta il ciuffo di capelli da sopra gli occhi. È ancora più lungo di prima e le sue dita sono così sottili. Lo guardo meglio e noto che ha le guance scavate e le borse sotto i suoi occhi sono molto evidenti.
Forse la notte non riesce a dormire...
È dimagrito molto, mi sembra quasi che si possa spezzare da un momento all'altro.
“Chi siete?” Ripete spostando lo sguardo da Lee, che è ancora sulla porta, poi a Matt che invece si è seduto sul materasso, e infine su di me, pietrificata sulla sedia.
“Sono Matt” Dice indicandosi. “Sono il tuo migliore amico da quando avevamo dodici anni... Davvero non te lo ricordi?”
Oliver lo guarda fisso negli occhi per un paio di secondi poi scuote la testa con aria affranta.
Matti abbasso lo sguardo deluso.
“Anche tu sei mio amico?” Chiede a Lee.
Solo ora mi accorgo di quanto sia debole la sua voce, è poco più di un sussurro. È così debole che sembra si stanchi solo che a respirare.
Lee fa qualche passo in avanti e annuisce.
“Come ti chiami?” Gli chiede poi.
“Lee”
“Ok” Oliver annuisce come se fosse uno studente che sente per la prima volta una nozione di scienze, come se stesse cercando di immagazzinare l'informazione.
“E tu?” Si gira verso di me.
Non riesco a sostenere il il suo sguardo.
“Io sono Jennifer” Dico guardandomi le punte delle scarpe.
“È la tua ragazza” Precisa Matt.
“Davvero?” Chiede.
“Si” Annuisco. “Ero la tua ragazza”
Mi accorgo di aver usato un passato e la cosa mi fa paura.
“Eri?”
Anche Oliver se ne è accorto.
Annuisco e torno a guardarlo in faccia. Il suo viso è un mix di emozioni: confusione, dolore, curiosità.
“Non so se posso essere la ragazza di una persona che non mi conosce più...” La mia voce si spezza alla fine della frase, ma riesco a non piangere.
Lo osservo rimuginare sulle mie parole.
“Mi sembra logico” Ammette.
Sento il mio cuore spezzarsi in mille piccolissimi pezzi.
Vedo che vorrebbe chiedermi qualcosa ma,chissà perchè, non lo fa.
Sorride amaramente e avvicina la sua mano al mio viso. Si ferma prima di sfiorarmi, un po' insicuro, quasi come se avesse paura che possa succedere qualcosa, poi mi sistema una ciocca di capelli dietro alle orecchie.
“Vorrei poterlo ricordare...” Ammette.
Lo guardo negli occhi. È davvero lui. Da qualche parte, nascosto sotto il trauma dell'incidente, sotto l'amnesia, c'è ancora il vecchio Oliver. Posso vederlo nelle sfumature verdi nelle sue iridi, è li che cerca di riemergere.
Dopo pochi attimi si volta verso Matt e Lee.
“E vorrei ricordare anche voi. Vorrei ricordarmi tutto, ma non so come fare...” Abbassa lo sguardo sul lenzuolo stropicciato.
“Ti aiuteremo noi.” Dice Matt posandogli una mano sulla spalla.
Oliver guarda la mano di Matt e gli sorride.
“Però devi promettermi una cosa” Aggiunge con tono urgente.
Oliver riflette se fidarsi di quello sconosciuto che dice di essere il suo migliore amico.
“Certo.” Annuisce.
“Non fidarti ciecamente di quello che dice tua madre” Dice Matt a bassa voce.
In quel momento la porta si apre e Carol entra in stanza.
Io e i tre ragazzi tratteniamo il respiro per qualche secondo.
“M-mamma, sono venuti a trovarmi degli amici.” Dice Oliver felice.
Una cosa è creta, avrà anche perso la memoria ma non ha perso l'abilità nel mentire.
“L-lo.. Lo vedo...” Sembra calma ma io, come Matt e Lee, so benissimo quanto possa essere furiosa.
“Noi ora andiamo” Dice Matt alzandosi.
Anche io mi metto in piedi, ma il mio polso è stretto nella presa debole di Oliver.
“Torna presto, va bene?” Mi chiede a bassa voce, quasi come se mi stesse chiedendo un favore.
“Io... Uhm... Ok” Sto facendo una promessa che forse non potrò mantenere, ma non so che altro dire.


Sto rileggendo per la millesima volta la stessa pagina di storia, non riesco a concentrarmi sulla lezione. Sono successe così tante cose per poter pensare alla dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti.
Ripenso a quando Oliver mi ha accarezzato i capelli e rabbrividisco.
Mi manca un sacco...
Chiudo il libro e mi butto sul letto a pancia in giù, affondo la testa nel cuscino. Vorrei mettermi a gridare, sto per scoppiare. Questa situazione mi sta distruggendo mentalmente.
Sulla scrivania, il cellulare comincia a vibrare.
Lo ignoro, non ho voglia di parlare con nessuno.
Dopo pochi secondo smette di squillare ma poi ricomincia.
Mi arrendo!
Sbuffo e vado a rispondere.
È un numero fisso, non so chi sia.
“Pronto?”
“Jen, sono Tom. Ti sto chiamando da un telefono dell'ospedale. Mia madre è furiosa.”
“Immaginavo.”
Ce l'ho ancora con lui per non aver fatto niente per fermare sua mamma e per non averci detto niente al riguardo.
“Dice che chiederà una settimana di permesso dal lavoro per poter stare qui con Oli.” Dice sussurrando.
Dev'essere certamente fuori dalla stanza, ma è possibile che Carol salti fuori da un momento all'altro.
Chiudo gli occhi e butto la testa all'indietro. “Merda!”
“Comunque continua a chiedere di voi, quindi vi lascerà venire ma credo che non abbia intenzione di lasciarvi da soli con lui. Non so di cosa abbia paura...” Spiega.
“Non lo so neanche io...” La testa mi fa un male tremendo, sono davvero stanca. “Vabbè comunque grazie per avermelo detto, ora devo and...”
“No aspetta!” Mi interrompe.
“Dimmi” Dico scocciata. Ripenso a questa mattina e alla scenata che ho fatto in cortile.
“Mi dispiace aver assecondato mia madre...” Mi sembra sincero. “Vorrei farmi perdonare...”
“Non importa, lascia stare. “
“No davvero, se posso fare qualcosa dimmelo...” Continua. “Io posso stare da solo con lui, se vuoi che gli dica qualcosa o...”
“Va bene, Tom. Se mi viene in mente qualcosa ti faccio sapere.” Lo interrompo prima che mi faccia scoppiare il cervello. “Grazie.” Metto giù.
Decido che lasciarmi alle spalle questa giornata sia la cosa migliore e mi metto a dormire.


 

Continua (spero presto) ...

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Capitolo 7
*** VII ***


Non riesco proprio a riaddormentarmi, continuo a ripensare a Oliver, al momento in cui le sue dita hanno sfiorato il mio viso, a quando ho rincontrato il suo sguardo dopo tanto tempo, alla sua voce.
Mi rigiro per l'ennesima volta tra le lenzuola.
Ho caldo, eppure fa freddo. Mi sembra come se le coperte mi impediscano di respirare come vorrei, così le getto di lato.
Prendo il cellulare e mando un messaggio a Tom.
“Sei sveglio?”
Non so perchè proprio a lui, dato che un po' sono ancora arrabbiata. Forse dentro di me spero che sia ancora in ospedale con Oliver.
“Si perchè?” Mi chiede.
“Così... Io non riesco a dormire. Sei da tuo fratello?”
Spero dica di si, vorrei almeno dirgli che lo saluto, gusto per fargli sapere che penso sempre a lui, che voglio davvero che ricordi chi è e com'era prima dell'incidente, voglio che sappia che io gli sono vicina anche se lui non sa più chi sono.
“No... Sta notte stava mio papà. Vado da lui domani dopo scuola.”
“Oh ok... Comunque scusa per oggi, non è colpa tua... Credo...” Premo il tasto invio.
Aspetto un po', poi quando inizio a credere che si sia addormentato ecco che il mio cellulare vibra due volte.
Apro il primo messaggio. “Non fa niente...”
Poi leggo anche il secondo. “Comunque Oliver quando nostra mamma è andata via mi ha confidato che ti trova carina”
Sorrido allo schermo mentre il cuore mi galoppa nel petto. 
Perchè me lo ha raccontato?
 
“Davvero?”
Dopo tutto, anche se ha perso la memoria, resta sempre il solito Oliver. Se gli piacevo prima, potrei piacergli di nuovo.
“Si, mi continuava a fare domande ma io non so molto su di te... Non sono stato molto d'aiuto ahah.”
Ora è certo che sta notte non dormirò.


Da quando Tom, ieri sera, mi ha detto che sarebbe andato a dormire non ho fatto altro che fantasticare sul fatto che Oliver volesse rivedermi.
Una parte di me spera che nel suo subconscio sia ancora innamorato di me, ma il mio lato logico mi sta tormentando dicendomi che forse vuole solo sapere qualcosa in più sul suo passato.
Vada come deve andare...
Spengo la macchina e scendo, ritrovandomi nel parcheggio riservato a chi è in visita all'ospedale.
Percorro automaticamente la strada che mi porta fino alla stanza di Oliver e busso.
Non sento nessuna risposta così entro.
Non c'è nessuno tranne Oliver, che sta dormendo.
Anzi no, è sveglio ma non ha sentito bussare perchè ha le cuffiette nelle orecchie e gli occhi bassi verso il suo cellulare.
Deve averglielo ridato Tom.
Non so bene cosa fare, tutto d'un tratto l'idea di stare sola con lui mi mette in imbarazzo.
Stingo le dita attorno alla bretella del mio zaino. Per un momento prendo in considerazione di far finta di niente e tornare più tardi con Matt e Lee, ma poi Oliver alza a testa e mi vede.
Si scosta i capelli dagli occhi e mi sorride, poi posa le cuffiette e mette il lettore mp3 sul comodino.
É bello rivedere il suo sorriso, non lo hai mai mostrato abbastanza spesso. Eppure è così bello vederlo così...
“Ciao” Dico non sapendo dove posare lo sguardo.
“Non credevo venissi anche oggi” Dice sorpreso. “Non che mi dia fastidio...”
“Mmm... Tuo fratello mi ha detto che ti avrebbe fatto piacere...” Arrossisco.
“Oh” Lo vedo voltarsi, come per trovare una scusa per non guardarmi.
Forse anche lui non è del tutto a suo agio.
“Emm... Come va?” Chiedo per cambiare discorso.
“Non posso ancora camminare e mi stanco anche a non far niente e, se escludiamo che ricordo appena il mio nome, bene” Dice sarcasticamente, poi si butta sul cuscino.
“È solo per adesso” Mi siedo sulla sedia accanto al suo letto. “Vedrai che tra poco tornerai alla vita di tutti i giorni..”
“Alla vita che non ricordo.” Precisa lui chiudendo gli occhi.
Guardo il suo petto alzarsi e abbassarsi.
“Ma la ricorderai, te lo prometto.” Gli sfioro una mano.
Vorrei davvero credere alle mie parole.
Riapre le palpebre ma non mi guarda, i suoi occhi si fissano su un punto davanti a lui.
“Sai” Sospira. “Prima stavo rileggendo qualche messaggio che ho trovato sul telefono e, anche se non ricordavo perchè o quando li ho scritti, mi sembravano cose che avrei potuto dire...”
“Ed è una buona cosa, no?" Chiedo cercando di seguire il filo.
“Si” Lo vedo cercare le parole giuste. “È che anche se mi sembra di capire qualcosa su chi ero, penso che non potrò mai tornare come prima.”
"Si ma... Puoi...” Cavolo, non so cosa dire per fargli capire che non è la fine del mondo e non riesco a pensare a niente di sensato perchè mi sto impegnando a non pensare che ha perfettamente ragione. “Si può sempre ricominciare daccapo”
“E se non volessi farlo?”
È proprio Oliver quel ragazzo, non ci sono dubbi. Ha sempre avuto la tendenza rendere le cose tragiche, ma forse questa volta ha ragione.
“Lo farai comunque, perchè è quello che bisogna fare in questi casi.” Deglutisco a fatica, mandando indietro le lacrime. “Si ci rialza e si va avanti.”
Osservo la sua reazione ma lui resta zitto, non dice niente, non mi guarda.
“Ti...” Sento una lacrima scivolarmi sulla guancia. “Ti aiuterò io.”
Deve aver sentito la mia voce spezzarsi perchè d'un tratto si volta verso di me.
Abbasso subito la testa e lascio che i capelli mi ricadano sulla fronte, non voglio che mi veda così.
“Ehi...” Sento le sue dita posarsi sotto il mio mento e mi costringono a guardarlo.“Non piangere”
Scuoto piano la testa.
“Che c'è?” Mi chiede.
Abbasso lo sguardo. “Mi manchi un sacco.” Sussurro, scoppiando definitivamente in lacrime.
Mi prende il viso tra le mani e fissa i suoi occhi nei miei.
“Devo averti voluto molto bene.” Sussurra, parlando più a se stesso che a me.
Annuisco, tirando su col naso.
“Non volevo che tu mi vedessi così..”
“Non importa” Col pollice raccoglie una lacrima a metà del suo percorso. “Sei perfetta comunque”
Forse è solo frutto della mia immaginazione, ma lo vedo avvicinarsi a me. Il suo viso è troppo vicino perchè si tratti di un caso.
Da qui riesco a sentire il solito profumo dei suo capelli, il suo respiro che si mescolo al mio. Mi è mancato tutto questo. Mi è mancato lui.
Vorrei stringerlo ma sono pietrificata. Resto immobile su questa scomodissima sedia mentre lui, da quello che ho capito, sta per baciarmi.
“Ehm...”
Ci voltiamo entrambi all'improvviso. Tom è sul ciglio della porta che si schiarisce la gola per attirare la nostra attenzione.
“Credo di aver interrotto qualcosa...” Dice, so che sta per scoppiare a ridere.
Nessuno risponde.
Mi sento avvampare per l'imbarazzo, ma per lo meno ho smesso di piangere.


Resto ancora per un po' li con loro.
Ascolto Tom raccontare di alcuni Natali passati a casa dei nonni e di altri ricordi di quando erano bambini. Gli racconta degli anni che hanno vissuto in Australia e di quando poi si sono ritrasferiti qui.
È stupendo il modo in cui Oliver ascolta affascinato suo fratello e il modo in cui reagisce ai piccoli dettagli.
“Io uhm... Torno subito... Devo andare in bagno...” Annuncia Tom alzandosi dal bordo del letto.
“Non sapevo che avessi vissuto in Australia” Dico quando la porta della stanza si chiude lasciando Tom fuori.
“Nemmeno io!” Ride Oliver.
Per fortuna il malumore di prima sembra essergli passato, così rido anche io.
L'orologio appeso al muro mi dice che sono le sei passate.
“Mi sa che devo andare...” Raccolgo lo zaino coi libri di scuola dal pavimento.
“Di già?” Sembra dispiaciuto.
“Si, devo aiutare mia mamma con la cena ed è già tardi..”
Vedere la sue espressione delusa mi spezza letteralmente il cuore.
“Ma torno domani, appena dopo scuola.” Aggiungo. “Ok?”
Lui annuisce.
Mi alzo dalla sedia e mi fermo davanti alla porta. Tentenno qualche istante prima di aprirla.
“Jenny?”
Il cuore mi sobbalza nel petto. Solo lui usava quel soprannome.
Mi volto.
“Posso... Uhm... Posso chiederti un favore?”
“Certo” Annuisco.
 “Domani, mi racconteresti come ci siamo messi insieme?”
Sorrido e probabilmente arrossisco un po'. “Va bene, a domani”


 
Continua...

(Scusate il ritardo e se i capitoli non sono molto lunghi... Faccio del mio meglio, giuro!)

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Capitolo 8
*** VIII ***


 Sono un po' nervosa.
Non so se dovrei raccontare ad Oliver la verità su come ci siamo conosciuti. Non so se tocchi proprio a me raccontargli alcune cose del suo passato, non credo di essere la persona adatta.
Infondo, il nostro non è stato un incontro come tanti altri. Poche cose nella nostra relazione erano ordinarie, ma questo non vuol dire che il sentimento che ci legava, e che forse ci lega ancora, non fosse forte. Anzi, proprio tutte le nostre difficoltà hanno reso tutto più speciale.
La supplente di storia sta continuando a parlare e io sto perdendo il filo del discorso.
Appoggio la testa al mio banco infondo alla classe, e socchiudo gli occhi tornando indietro nel tempo.


All' improvviso un rumore metallico mi fa sobbalzare.
“Signorina Davis?” Sento una voce in lontananza.
Riapro gli occhi. Ho la vista appannata.
“È bello sapere che la mia lezione le interessava così tanto...” Dice sarcastica la professoressa. “Sarà contenta di sapere che l'ora di storia è finita.”
Sbatto le palpebre e la vedo alzarsi dalla cattedra per uscire dalla classe.
Mi stropiccio gli occhi, raccolgo il mio zaino ed esco in corridoio.
Sono le dodici, dobbiamo scendere in mensa.
Mi appoggio con la schiena al muro aspettando che Matt e Lee mi raggiungano qui come al solito per poi andare a pranzo.
“Ehi stramba!” È la voce di Eric, un mio compagno di classe.
Cerco di ignorarlo. Mi tormenta da praticamente un anno. Eravamo molto amici ma poi, da quando iniziai ad uscire con Oliver e gli altri, le cose sono cambiate.
La maggior parte del tempo si limita a lanciarci occhiate cariche d'odio, solo quando mi trova da sola cerca in qualsiasi modo di mettermi a disagio.
“Ehi!” Me lo trovo davanti ma non lo voglio guardare in faccia.
È molto più alto di me, ha gli occhi scuri e i capelli biondi che spuntano da sotto un beanie grigio. Sarebbe un bel ragazzo se non si divertisse a fare il bullo.
Accanto alle sue scarpe vedo quelle di qualcun altro ma non so chi possa essere e non mi importa, da un momento all'altro arriveranno i ragazzi e andremo via.
“Non è che il tuo ragazzo ti ha dato qualcuna delle sue pastiglie?” Ride. “ È per questo che dormivi in classe?”
Scuoto la testa rassegnata e stufa.
“A proposito, ho sentito che è di nuovo in ospedale.” Continua.
Serro la mascella e mi sforzo di non ascoltarlo.
“Scommetto che è stato un altro incidente, vero?” Dice ridendo.
“Tu non sai proprio niente, capito?” Sbotto, facendo un passo in avanti.
“Tutto ok?” Dice Matt da dietro le spalle di Eric.
Lui si volta e lo guarda stupito.
“Si, è tutto apposto” Dico raggiungendo i due ragazzi.
“Sicura?” Chiede ancora Matt.
Annuisco e inizio a spingerli via, che Matt faccia una scenata in corridoio.
Non ho certo bisogni di altra cattiva pubblicità.
“Ma chi diavolo era?” Domanda Lee a bassa voce.
“Nessuno” Scuoto la testa. “Cioè, era mio amico una volta...”
“Tuo amico? A me non sembrava!” Esclama Matt mentre scendiamo le scale.
“Si beh, credo se la sia presa quando ho iniziato a passare più tempo con voi e...” Alzo le spalle. “Non è sempre stato così...”
“Ok, comunque sia è un problema.” Continua lui.
“Si ma non mi importa, posso gestirlo. Ora ci sono cose più importanti a cui pensare.” Dico arrendendomi alla realtà.
“Va bene ma se ti dovesse dare fastidio chiamaci la prossima volta, ok?”
Annuisco.


“Ciao Oliver!” Sorrido entrando nella stanza.
“Ciao! Sei venuta!” Mi accoglie lui allegro.
“Si, te lo avevo promesso no?”
“Molti fanno promesse che non mantengono però... Come mia mamma, aveva detto che avrebbe passato più tempo qui...”
“Beh, lei ha un lavoro e io non sono quel tipo di persona.” Mi lascio cadere sulla sedia accanto al suo letto.
“Buono a sapersi, comunque non mi sembravi un bugiarda.” Sorride.
“Meglio così. Come va?” Chiedo.
“Se uso le stampelle riesco ad andare in bagno da solo, faccio progressi!” Ride.
“Dai, guarda che è già un passo avanti.” Rido anche io. “Quindi le costole vanno meglio se riesci ad alzarti dal letto.”
“Già, se voglio posso anche fare un giro qui intorno, non è il massimo ma è un inizio.” Alza le spalle.
“Quindi se chiedo all'infermiera una sedia a rotelle, possiamo uscire?”
“Penso di si.” Lui annuisce.
“Ok, allora aspetta che vado a chiamarla.”
Esco dalla stanza e poco più in la vedo una delle infermiere che vedo sempre in questo reparto.
“Salve!”
“Ciao, hai bisogno di qualcosa?” Mi chiede gentile.
“Si, mi servirebbe una sedia a rotelle... Vorrei portare Oliver a prendere una boccata d'aria.” Spiego.
“Oliver?” Sembra non ricordarsi.
“Sykes.” Spiego. “Stanza 11.”
“Oh si certo, te la porto subito!” Esclama allontanandosi.
Resto li in piedi e mi guardo attorno.
Il corridoio e praticamente vuoto, ci sono pochi parenti o amici in visita. Non dev'essere bello passare tutto il tempo qui da soli, in una camera d'ospedale.
“Eccola qui” L'infermiera è tornata e sta spingendo davanti a se la carrozzella che le avevo chiesto.
“Grazie mille.” Dico afferrando le impugnature dietro la sedia.
“Non farlo stancare troppo eh” Si raccomanda. “Sta meglio ma ha ancora bisogno di stare a riposo.”
“Certo, lo terrò presente.” Annuisco e mi dirigo di nuovo verso la camera di Oliver.
“Eccomi! Sei pronto?” Chiedo entrando.
“Eccome, non ho ancora messo piede all'aperto!”
“Davvero? Allora è un grande avvenimento questo!” Rido. “Ce la fai a sederti?”
Avvicino la sedia al letto.
“Si... Credo di si” Dice iniziando a scendere.
Le costole gli danno ancora qualche problema quando si muove troppo e la gamba ingessata non gli facilita le cose.
Si lascia sfuggire un piccolo lamento quando finalmente riesce a sistemarsi sulla sedia a rotelle.
“Tutto bene?” Chiedo preoccupata.
“Si si tranquilla” Mi assicura. “Andiamo?”
“Agli ordini!”


“Mi avevi promesso anche un'altra cosa, ricordi?” Dice Oliver una volta usciti dall'ascensore.
“Si certo che mi ricordo, ma almeno aspetta che troviamo un punto dove fermarci ok?”
“Va bene” Si ammutolisce.
“Metti la giacca, fuori fa freddo...” Gli dico.
Lui ubbidisce.
“Grazie” Dice.
“Grazie?”
“Si... Per aver deciso di prenderti cura di me...”
È una buona cosa che in questo momento lo stia spingendo, è più facile parlare senza doversi guardare in faccia.
“Non mi pesa, sai? Sono contenta di poter essere utile. Restare con le mani in mano in una situazione del genere mi ucciderebbe.” Spiego.
“Capisco...” Annuisce. “Credo...”
Restiamo un po' di minuti in silenzio mentre continuo a spingere la carrozzella lungo il vialetto del giardino dell'ospedale.
“Va bene se ci mettiamo li?” Chiedo indicando un muretto basso dove posso sedermi.
“Ok”
Metto il freno alla sedia a rotelle e poi mi siedo di fronte a lui.
“Allora...” Faccio dondolare le gambe. “Vuoi che ti racconti come mi hai conosciuta?”
Lui annuisce. “Però non tralasciare niente, ok? Mi interessa davvero.”
“Va bene..”
Prendo un respiro profondo e comincio.
“Era l'anno scorso, io ero al terzo anno e tu al quarto. Io sapevo già chi eri, diciamo che poche persone a scuola non avevano mai sentito parlare di te...”
Mi fermo e lo osservo, la sua espressione non tradisce emozioni.
“Sai, uhmm... Pochi mesi prima che ci incontrassimo un ragazzo ti aveva trovato svenuto in bagno con un flacone di pastiglie mezzo vuoto. Non so che tipo di pastiglie fossero... Quasi nessuno lo sa.”
Non so se sto facendo bene a dirgli queste cose.
Lui resta impassibile, così vado avanti.
“Da quel giorno, tutti a scuola sanno chi sia Oliver Sykes, anche se in molti non sanno nemmeno che faccia abbia. Nemmeno io lo sapevo, finché un giorno per caso non ti ho sentito parlare con Matt. Da quel giorno, non prendermi per pazza, ho iniziato ad osservarti mentre in corridoio mi passavi accanto senza nemmeno notarmi e mentre stavi in cortile con gli altri. Mi piaceva il gesto con cui portavi la sigaretta alle labbra, mi trasmetteva tranquillità.”
“Fumavo?” Chiede interrompendomi.
Davvero questa è la cosa che lo stupisce di più?
“Uhmm si... E anche tanto. Ti dicevo sempre che avresti dovuto smettere.”
Lo vedo annuire immagazzinando le informazioni, così continuo il mio racconto.
“Comunque, mi piaceva guardarti e mi piacevi tu.” Dico sorridendo. “Ogni giorno desideravo di poterti parlare, poterti conoscere. Eri diventato la mia ossessione.” Rido. “Penserai che io sia strana ora.”
“No, credo che sia una cosa... Uhmm... Carina?” Dice.
“Non te lo avevo mai raccontato.” Stringo le labbra. Ora non voglio pensare che quello che ho davanti è un nuovo Oliver. No, voglio pensare che lui sia sempre il mio Oliver, deve solo ricordarselo.
“Beh, me lo stai raccontando ora.” Mi poggia una mano sul ginocchio. “Continua, voglio sapere come ti ho incontrato.”
“Ok. Era Aprile, ma il freddo dell'inverno sembrava non voler andarsene. Ricordo bene quella mattina, non mi sentivo molto bene così chiesi al signor Berry, il prof di scienze, se potessi uscire per andare in bagno. Mi girava la testa e avevo seriamente paura di vomitare, ma probabilmente ero solo in ansia per il compito di geometria del pomeriggio. Quando arrivai in bagno, dopo una passeggiata in corridoio, già stavo meglio così decidi di andare a prendere una boccata d'aria sul terrazzato, e ti ho trovato li, eri seduto sul muretto mi davi le spalle e avevi le gambe a ciondoloni nel vuoto.”
“Mi volevo bu..?”
Lo interrompo scuotendo la testa, prima che possa finire la domanda.
“È quello che ho pensato anche io subito, e mi hai fatto spaventare un sacco, lo ammetto, ma in realtà eri solo li seduto a non fare niente.” Sorrido.
“All'inizio non sapevo cosa fare. Non volevo chiamare un insegnante, sarebbe stato peggio, così senza farmi sentire mi sono avvicinata a te, mi sono seduta sul cornicione al tuo fianco e poi ti ho salutato. Tu mi hai guardato malissimo e mi hai chiesto chi fossi. Sei stato un po' brusco, e subito ci restai un po' male, ma dentro di me sentivo che quella era solo una facciata, e avevo ragione. Così mi presentai e dopo dopo avermi chiesto come mai fossi li...”
“Ti dissi di scendere perché saresti potuta cadere.” Dice lui guardandosi le mani posate sulle ginocchia.
“Si... Esatto...” Lo guardo sorpresa. “Ma... Come fai a saperlo?”
“Non lo so” Alza le spalle.
“Ricordi qualcos'altro?” Chiedo emozionata.
“No... O almeno non credo. A volte mi capita di pensare o sognare cose che credo siano i miei ricordi, ma sono così confusi...” Spiega rassegnato.
“Non importa, tranquillo.” Lo vorrei abbracciare, ma forse non è il caso.
“Va pure avanti” Mi dice.
“Ok... Appunto, tu mi dissi di scendere dal cornicione ma io non ho voluto darti retta e ti dissi che se volevi davvero che io scendessi saresti dovuto scendere prima tu così, dopo avermi guardato male, hai fatto mezzo giro su te stesso e sei sei saltato giù tornado sul terrazzo. “Contenta? Ora scendi da li” Mi dissi porgendomi una mano per aiutarmi.”
Lo vedo sorridere.
“Che c'è?” Gli chiedo.
Lui scuote la testa. “Niente, è solo che mi piace questa storia.”
“Già, anche a me.”
“E poi da li come è successo che di mettessimo insieme?” Mi chiede.
“Credo che te lo saprai la prossima volta perchè si è fatto tardi e se non sbaglio tra poco il dottore ti deve visitare no? E poi l'infermiera mi ha detto di non farti stancare troppo...”
“Ma non so stanco...” Protesta.
“Non fare i capricci, su!” Rido.


Lo aiuto a rimettersi a letto e mi assicuro che sia tutto apposto sistemandogli le lenzuola e i cuscini.
“Non devi fare tutto questo per me sai?” Mi dice osservando ogni mio movimento.
“Hai ragione, non devo. Però voglio.” Sorrido.
“Un giorno mi dovrai spiegare anche perchè ho questi tatuaggi” Ride indicandosi dappertutto.
“Quello lo devi chiedere a Matt, la maggior parte li hai fatti con lui!”
Sospiro. Mi manca vederlo a scuola che sbuffa per l'interrogazione andata male, o a casa mia seduto sul mio letto mentre mi guarda fare i compiti.
Lo abbraccio.
Sento le sue mani sulla mia schiena.
“Ci vediamo domani.” Mi sussurra all'orecchio.




 
Continua...

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Capitolo 9
*** IX ***


“Domani esco!” Esclama Oliver appena varco la soglia della porta.
“Davvero?”
Non credevo lo facessero uscire così presto.
“Si, non vedo l'ora!”
Il suo sorriso rende la stanza più luminosa.
“Che bella notizia!” Lo abbraccio stretto.
Sento le sue braccia stringersi attorno alla mia schiena e la sua testa appoggiarsi alla mia spalla.
Per un attimo dimentico di trovarmi in un ospedale, dimentico ciò che è successo ad Oliver e mi sembra di tornare alla normalità, alle giornate passate insieme, alle risate, ai piccoli litigi che si concludevano sempre con un bacio per fare la pace.
“Ma riesci a camminare?” Chiedo tornando al presente e sciolgo l'abbraccio.
“Un po'.” Alza le spalle. “Comunque posso sempre usare le stampelle e, se proprio sono stanco, hanno anche detto che mi lasceranno una sedia a rotelle quindi...”
Annuisco e mi siedo sull'orlo del letto.
“E poi, siamo nel ventunesimo secolo, esistono le macchine!” Ride.
Che bello vederlo così.
“Almeno credo, non sono stato incosciente per così tanto, no?” Chiede scherzando.
Anche io scoppio a ridere “Si, si. Siamo ancora nel 2002.”
“Meno male!” Dice prendendomi una mano. “Posso chiederti una cosa?”
“Certo, dimmi”
“Ricordi quando ti ho detto che a volte mi sembra di ricordare qualcosa solo che è tutto molto confuso e..?”
“Si, mi ricordo” Lo interrompo.
“Ecco, sta notte ho sognato qualcosa, ma non sono sicuro che sia qualcosa di vero. Forse era solo... Solo un sogno.” Mi spiega facendosi più cupo.
“Vuoi raccontarmelo?” Chiedo scrutando il suo viso, ora rivolto verso le lenzuola.
“Non lo ricordo bene.” Sbuffa, sprofondando nel cuscino. “Posso provarci però.”
“Ok, ti ascolto.” Mi siedo un po' più comoda, senza lasciare la sua mano.
“Ero a scuola, in corridoio, c'era tanta gente che camminava in fretta, c'era confusione...” Chiude gli occhi. “Io ti stavo cercando, credo, ma non riuscivo a trovarti. Poi sentii la tua voce, “Non sono affari tuoi” dicesti, così mi voltai ed eccoti. Eri mezza nascosta da un ragazzo alto e biondo, non so chi sia...”
“Eric.” Lo informo. “Eravamo amici... Prima...”
Oliver mi fissa e rimugina sull'informazione, poi riprende.
“Ok” Annuisce. “Beh lui, Eric, sembrava arrabbiato e continuava a chiederti qualcosa...” Mentre parla sembra molto confuso, eppure molto concentrato. “Continuava a farti una domanda, alla quale tu non volevi rispondere. Provasti ad andare via ma lui non voleva lasciarti andare, ti teneva per una mano.”
Entrambi posiamo gli occhi sulle nostre mani, strette l'una all'altra.
“Io non potevo lasciare che ti trattasse in quel modo, così vi raggiunsi e vi chiesi se fosse tutto ok ma il ragazzo mi ruggì contro di farmi gli affari miei. Ricordo di aver detto che erano affari miei se si trattava di te e cercai di prenderti la mano che lui ti teneva.”
Lo ascolto attentamente, anche se so benissimo cosa successe: Eric era infastidito dal fatto che uscissi spesso con Oliver, era geloso, per questo era furioso sia con me che con lui.
“... ma lui mi diede una spinta dicendomi che non dovevo toccarti, io gli restituii il colpo dicendo che doveva lasciarti in pace e...” Si scurì in volto “E poi non ricordo più niente...”
Vedo la confusione comparire sul suo viso quando mi vede sorridere.
“Che c'è?” Chiede. “Perchè ridi?”
“Beh, non puoi ricordare altro perchè non eri più presente.” Spiego, aumentando ancora di più il caos nella sua testa. “A quel punto Eric ti diede un pugno e tu persi i sensi così ti portarono in infermeria.”
“Oh...” Sussurrò soddisfatto, come se l'ultimo pezzo di un puzzle fosse andato a posto. “E poi cosa è successo?”
“Niente di che, quando ti ripresi vi chiamarono entrambi dal preside che vi fece una ramanzina...”
“No...” Scuote la testa. “Intendevo tra noi due”
“Per un paio di giorni evitai sia te che Eric, poi una mattina prima delle lezioni ti trovai in cortile, da solo, e pensai di doverti ringraziare per aver preso le mie parti.”
Oliver continua a guardarmi, vuole sapere di più.
“Non sapevo bene cosa dirti ma ti raggiunsi lo stesso. Ti stavi girando una sigaretta, eri concentrato e non ti accorgesti di me...” Distolsi lo sguardo da Oliver per un secondo. “Mi è sempre piaciuto il modo il cui lavoravi le cartine con le dita, eri così assorto, così... Bello.” Sto arrossendo lo so, non mi importa.
Lo sento ridere, poi la sua mano mi solleva il mento e io incontro di nuovo i suoi occhi.
Noto che oggi hanno una tonalità tendente al verde, dev'essere merito del sole che filtra dalla finestra.
“Anche tu sei bella.” Dice serio.
“Grazie” Sorrido.
Sento che sto iniziando a perdermi tra i dettagli del suo volto, il suo naso sottile, il suo sguardo che nasconde sempre una nota malinconica... Io lo amo ancora così tanto...
Mi schiarisco la gola per tornare alla mia storia “Dove eravamo rimasti?”
La sua mano lascia il mio viso e mi sorride. “Stavi per ringraziarmi.”
“Si, giusto...” Sistemai i capelli dietro le orecchie e continuo il mio racconto.


Non si era ancora accorto di me quando dissi la prima parola che mi venne in mente: grazie.
Finalmente alzò lo sguardo, mostrando un'espressione interrogativa e un bel livido sullo zigomo.
“Grazie” Ripetei con un sorriso timido. "Per quello che hai fatto l'altro giorno"
Lui scosse le spalle con noncuranza. “Non fa niente”
“No, davvero” Feci un passo verso di lui. “Non eri obbligato a farlo.”
Fissai i miei occhi nei suoi per pochi istanti prima che lui distogliesse lo sguardo e si voltasse di spalle.
“Oliver?”
Lì per lì pensai che non volesse avere più a che fare con me, infondo ero solo una ragazzina che aveva una fissa per lui e lui era abbastanza gentile da lasciare che ogni tanto uscissi con lui e i suoi amici senza sbuffare.
L'idea di essere di troppo mi colpì come un ceffone e per poco non mi fece piangere.
“Scusa, io... Io non ti darò più fastidio da oggi.” Sussurrai.
Mi voltai e feci qualche passo convinta che quelle fossero le ultime parole che gli avrei mai rivolto, ma poi lui mi afferrò una mano e mi fermò.
“Aspetta, perchè credi di darmi fastidio?”
Mi girai per guardarlo.
“Io...” Scossi la testa. Non sapevo il motivo esatto, però ne ero certa.
“Come ti è venuto in mente? Io tengo tanto a te, credevo lo sapessi è... è per questo che ho preso un pugno in faccia l'altro giorno, perchè ci tengo troppo.”
“Non lo sapevo" Abbassai lo sguardo imbarazzata. "Io credevo non volessi più parlarmi perchè...”
Non potei mai finire quella frase perchè lui mi tirò a se e, finalmente, mi baciò sulle labbra.



“Questa sarebbe la... Storia del nostro primo bacio?”
Stringo le spalle e sorrido. “Direi di si.”
“Wow, pensavo che una ragzza come te mi avrebbe baciato solo da ubriaca.” Rise.
“Non essere stupido!” Risi anche io. “Sei un ragazzo stupendo” Gli do un piccolo colpo sulla spalla.
“Davvero?” Mi chiede in conferma.
“Si” Annuisco. “Davvero”


 
Continua...

Scusate se ho aggiornato dopo tantissimo tempo e se il capitolo non è molto lungo :(



 

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