Perché non resti con me?

di Flox12
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi manchi ***
Capitolo 2: *** Che diavolo sta succedendo? ***
Capitolo 3: *** Dove mi trovo? ***
Capitolo 4: *** Maledetto Inghilterra! ***
Capitolo 5: *** E se fosse solo un incubo? ***
Capitolo 6: *** Che intenzioni ha? ***
Capitolo 7: *** Voglio... Morire senza soffrire. ***
Capitolo 8: *** Dimmi la verità ***
Capitolo 9: *** Ti odio ***



Capitolo 1
*** Mi manchi ***


«Non riesco a dormire.
Mi giro e mi rigiro nel letto ma non ci riesco.
Non riesco ad addormentarmi.
Mi manca.
Odio ammetterlo, ma mi manca tanto
.
»


Dopo aver pianto tutta la notte, finalmente riesco a prendere sonno. 
L'alba è arrivata e i primi raggi di sole filtrano dalla finestra, situata accanto al mio letto. La luce è fastidiosa.
Mi stropiccio gli occhi e mi nascondo sotto le lenzuola, nella speranza di fare ancora qualche oretta di sonno.
Non ci riesco, così mi metto seduto e scendo dal letto.
Mi infilo velocemente i vestiti ed esco dalla stanza.
Sono ancora mezzo assonnato e d'improvviso sento una botta e vengo spinto per terra. «Maledizione! Guarda dove cammini!» Urlo, ancora con il sedere dolorante per la botta.
Sono finito, un'altra volta, addosso ad uno dei servitori di Spagna. Mi guarda male, sembra aver intenzione di picchiarmi, dopo avermi insultato mi afferra per il colletto della maglia e mi solleva con gran facilità. Non peso molto, essendo solo un bambino. Mi ha detto qualcosa in spagnolo, non lo capisco ma è arrabbiato, molto arrabbiato. Io mi dimeno e lo riempio di insulti. Quel vecchio per farmi stare zitto mi ha tirato uno schiaffo in pieno viso. Mi brucia la faccia, sento lo zigomo gonfiarsi e un occhio per il dolore si chiude. Cerco di trattenere le lacrime, ma il dolore è troppo forte. Per non guardarlo nei suoi occhi malvagi, abbasso lo sguardo e con un occhio, quello che non mi fa male, noto per terra dei cocci. Perfetto, penso tra me e me. Ho combinato altri guai.
Dai resti di quel vaso, posso capire che era molto antico e valeva molto. Sussulto e sollevo lo sguardo non appena sento di nuovo la sua mano che colpisce la mia guancia destra. Sta urlando, probabilmente mi sta dicendo di guardarlo e di scusarmi per quello che ho fatto. Istintivamente porto la mano sulla zona colpita e lo guardo male, cerco di trattenermi, ma gli faccio la linguaccia.
Nonostante le lacrime che sto versando, non ho perso la faccia tosta di provocare le persone. Dovrei pensare alle conseguenze delle mie azioni, ma sono troppo arrabbiato.
Lascia la presa dal colletto della mia maglia e mi lascia cadere per terra. Nascondo il viso tra le mani, pronto a ricevere altre botte. Tremo e piango, ma nulla. Forse se n'è andato, penso. Tremante, sollevo lo sguardo e noto che si sta allontanando.
I cocci sono ancora sul pavimento, forse spera che li raccolga. Illuso.
Mi alzo, cerco di smetterla di piangere, ma il dolore sul mio viso si fa sempre più forte. Se solo quel bastardo spagnolo ci fosse stato, quel maledetto servo non mi avrebbe picchiato.
Tiro su col naso e con l'aiuto della manica della mia maglia, cerco di asciugare le lacrime dal mio viso, ma la guancia brucia, brucia tanto. L'occhio non vuole aprirsi e lo sento lacrimare.
Delle cameriere mi chiamano con fare scocciato, mi limito ad ignorarle. Che mi picchino, non m'importa molto a dir la verità. Tanto, peggio di così non può andare.
Una volta uscito, mi avvio verso i campi. Sono stanco, così mi siedo sotto un albero. Non so con esattezza che ora sia, ma dal mio stomaco che brontola e il sole che batte alto nel cielo, direi che forse è ora di pranzo. Non entro dentro, oggi ho fatto solo guai, non ho aiutato e quindi non posso mangiare. Non importa, dopo andrò a sgraffignare qualcosa dalla cucina. Mi accuccio per terra, vicino alla base del tronco. Questa notte ha piovuto, ecco un altro motivo per cui non sono riuscito a dormire. Vicino a me c'è ancora una pozzanghera, il sole non l'ha ancora prosciugata. Sollevo la testa e mi specchio. Rimango sorpreso vedendo il mio riflesso. Ho ancora l'occhio chiuso, la guancia arrossata, gonfia e due occhiaie.
Stringo le labbra e cerco di non piangere. Mi accascio al suolo, rannicchiato su un fianco, chiudo gli occhi.
Mi addormento. Non so quante ore siano passate, ma sento qualcosa di umido sulla mia faccia. Apro lentamente gli occhi e sussulto. Un micio mi sta leccando la guancia rossa. Lo spingo via e questo scappa. Mi massaggio il viso. Ora riesco a tenere tutti e due gli occhi aperti, ma spesso chiudo l'occhio che sta sotto la guancia dolorante.
Mi alzo e sento lo stomaco brontolare. Dopo aver sbadigliato, mi avvio verso uno dei campi di pomodori.

Involontariamente mi scappa un sorriso nel vedere quanto siano belli rossi. Ne prendo un bel po'. Mi sdraio a pancia in su e guardo il cielo. Mi sento solo. Odio ammetterlo ma il bastardo mi manca. Sospiro e guardo le nuvole camminare lente nel cielo. Ogni volta che addento un pomodoro, sorrido, anche se la guancia continua a bruciare, ma il mio stomaco è soddisfatto. «Spagna, perché non ti muovi a tornare? Quei maledetti mi trattano male. Sono solo un bambino, ho bisogno di qualcuno che mi difenda e che non mi faccia sentire solo. Mi manchi.» Stringo gli occhi e scoppio in un silenzioso pianto. Mi giro su un fianco, stringo le mani tra di loro e le porto all'altezza del cuore. Sto tremando. Di solito non faccio mai così, perché ora faccio così? Mi metto seduto e velocemente asciugo gli occhi, cercando di smettere di piangere. «Bastardo.» Da quando Antonio è in giro per mare, sono sempre più preoccupato. Inghilterra, anche lui è per mare. Quei due non vanno d'accordo da quel che ho sentito. Mi alzo e dopo una lunga camminata rientro alla villa. Stranamente nessuno dice niente, non mi guardano nemmeno male. Verso sera mi vengono anche a chiamare per la cena. Sono sorpreso ma arrivo a tavola. Li sento bisbigliare, mi infastidiscono ma continuo a mangiare. Quando finalmente il mio stomaco è pieno, scendo giù dalla sedia e mi avvio verso la mia stanza. Apro la porta e sto per entrare, quando d'un tratto sento due uomini parlare tra di loro. Assottiglio lo sguardo e mi avvicino, non riesco a farmi i fatti miei. Senza farmi notare, mi nascondo dietro un mobile e ascolto la loro conversazione. Non capisco molto di quel che dicono, ma la lingua spagnola è simile all'italiano, quindi cerco di arrivarci. Nominano Inghilterra. Parlano con ira e preoccupazione. Sento nominare anche Spagna. Non voglio credere a quel che ho sentito. Lo spagnolo, è stato catturato ed è prigioniero di Inghilterra. 

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Capitolo 2
*** Che diavolo sta succedendo? ***


Il mio cuore batte forte, gli occhi si dilatano e stringo i pugni per la rabbia. Perché nessuno mi ha avvisato? Perché tutti me lo tenevano nascosto?
Mi sposto da dietro al mobile e mi faccio finalmente vedere da quei due. Li guardo con gli occhi pieni di rabbia, sto lacrimando e singhiozzo, sento un groppo alla gola e cerco di fare uscire qualche parola dalla mia bocca, anche se è difficile. Loro mi ignorano.
«Perché me lo avete tenuto nascosto?! Io... Avevo il diritto di saperlo!» Urlo, attirando così, finalmente l'attenzione dei due uomini. Dal loro sguardo percepisco che sono sorpresi dalla mia reazione. Non si immaginavano che io li stessi ascoltando di nascosto.
Probabilmente dopo mi puniranno. In questo momento non penso alle conseguenze delle mie azioni. Sono troppo arrabbiato! Tutti quanti, in questa fottuta casa, sanno quanto Spagna tenga a me. Anche io tengo a lui, a modo mio, ma ci tengo. Gli voglio bene, come un figlio può voler bene a suo padre. Il più delle volte non gli dimostro l'affetto che merita. Ma non lo faccio con cattiveria, o forse sì?
Vedo uno di loro avanzare verso di me, mi sta parlando. Continuo a singhiozzare e non capisco quel che dice, non capirei neanche normalmente, ma diciamo che alcune parole, quelle simili all'italiano, le capisco.
Lo sento avanzare, quando è più vicino, scatto indietro e mi volto. Corro, fino a quando raggiungo camera mia.
Entro dentro, il mio viso è ancora nascosto nei palmi delle mie mani. Tremo e le lacrime non vogliono smettere di bagnarmi il viso. Che reazione esagerata e infantile, penso. Non credevo di tenere a lui così tanto. Mi siedo per terra, la schiena è poggiata contro la fredda porta. Le ginocchia sono contro il mio petto e sono avvolte tra le mie braccia. La testa è poggiata su di esse e mentre piango fisso il vuoto.
Mi manca, mi manca moltissimo. Vorrei che fosse qui con me, mi abbracciasse e mi dicesse qualcosa di stupido per farmi calmare. Ma la causa del mio pianto è lui. Non avrei dovuto affezionarmi.
La mattina è giunta e mi sveglio nel mio letto. Come ci sono finito a letto? L'ultimo ricordo che ho, è che ero contro la porta a piangere...
Mi metto a sedere di scatto e cerco di fare chiarezza su quello che è successo ieri notte.
Spagna è davvero stato catturato dal quel fottuto sopracciglione, oppure è stato solo un brutto sogno? In cuor mio spero sia solo stato uno dei miei incubi.
Scendo giù dal letto ed esco dalla stanza per andare a fare colazione. Entro in cucina e con grande sorpresa trovo una tazza di latte sul tavolo. Strano, di solito quando Spagna non c'è, tutti mi trattano male o mi ignorano.
Mi siedo a tavola e bevo il latte in silenzio. Una cameriera mi sta guardando di nascosto. Io però sono riuscito a vederla. Non è brutta, è una bella ragazza ed è giovane, la sua età si aggira intorno ai vent'anni. Probabilmente quel bastardo se l'è portata a letto più di una volta. Maledetto.
Mi da fastidio essere osservato, soprattutto quando sto mangiando. «Cazzo hai da guardare?» Le dico con fare scocciato. Con mia grande sorpresa, si avvicina e mi sorride, è un sorriso triste però, come se sapesse l'accaduto di ieri. Spero che quei due non abbiano spifferato in giro che ho pianto come una femminuccia o del fatto che sono stato picchiato, di nuovo, anche se il mio viso mostra ancora il rossore per quegli schiaffi. La sento sospirare e mi parla, io cerco di ignorarla, anche perché non capisco molto la sua lingua. D'improvviso mi sento sollevare dalla sedia e mi stringe a lei. Sussulto e la guardo, cercando di sciogliere l'abbraccio. «Lasciami, maledetta!» Le dico con fare scocciato e infastidito. Mi bacia sulla guancia e mi lascia scendere. Non la guardo, tengo lo sguardo basso e mi sento in imbarazzo. Inizio ad intuire che probabilmente sia stata lei a mettermi a letto la scorsa notte, quindi ha visto le mie lacrime.
Solo ora mi torna in mente di Spagna. Mi viene da piangere, ma cerco di trattenermi. Quella mi sta ancora guardando, il suo sguardo è triste, come sentisse quello che sto provando. Che sia telepatica? No, la mia faccia dimostra chiaramente quello che sto provando. Quindi, prima di far vedere a tutti quanto abbia la lacrima facile, giro i tacchi e mi allontano.
Non so come mai, ma raggiungo la stanza di Antonio. Senza farmi vedere da nessuno entro. Credo che sia la stanza più luminosa dell'intera casa. Luminosa e solare come lui.
Timoroso, mi avvicino al suo letto e ci salgo. Mi sdraio a pancia in giù, il viso contro il cuscino ed annuso il suo odore. L'odore di quel bastardo.
Provo sollievo, sembra più vicino a me di quel che sembra. Cullato dal suo odore, mi addormento.
Mi sveglio, a fianco al cuscino, noto qualcosa. Qualcosa che prima non c'era. Una lettera. Forse è sempre stata lì, non dovrei aprirla, lo so benissimo.
Ma al diavolo, io la apro lo stesso. Che schifo, la carta sembra sporca di pomodoro ed ha un odore sgradevolissimo. Forse sarà del sugo andato a male? No, quello è sangue. 

«...Ma-?»

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Capitolo 3
*** Dove mi trovo? ***


Sangue. Ma di chi è questo sangue?
Osservo l'inchiostro nero sulla carta, ci sono molte macchie rosse ed è sudicia. Stropiccio gli occhi ed in seguito li socchiudo, cercando di mettere a fuoco le parole. «Ma che diavolo c'è scritto? Io non capisco l'arabo. Fanculo!» 
Dopo circa mezz'ora, intuisco che la lettera è scritta in... italiano. Un italiano molto storpiato. Ma che merda è? Non capisco quasi niente e a dir la verità non sono ancora bravo a leggere. 
Capisco poco o niente di quel che c'è scritto. Se solo la mia testolina intuisse che l'ha scritta quell'inglese, facendosi passare per Spagna... Ma non ci arrivo, non sono ancora mentalmente maturo da fare quei ragionamenti.
Ignoro la cosa. Stropiccio la lettera e la getto per terra. Torno con la testa contro il cuscino e chiudo gli occhi, cercando di dimenticare il sangue su quella lettera. Un dubbio continua a tormentare la mia mente. Di chi è quel sangue? Che fosse di Spagna? Io non lo sapevo, ma era realmente il suo sangue.
[...]
Passano due giorni.
Sta facendo buio. Finita la cena, mi alzo da tavola. Non mi va di andare a dormire. Non ancora, non voglio fare di nuovo qualche incubo. Mi aggiro quindi per i lunghi corridoi. Arrivo di fronte alla cantina. Spagna non vuole mai che entro lì dentro, dice che sono troppo piccolo e che è pericoloso. Me ne sbatto, ora che lui non c'è, posso approfittarne e fare quello che voglio. Prima di entrare dentro, mi controllo alle mie spalle se c'è qualcuno che mi stia seguendo. Non c'è nessuno e così entro. Non si vede quasi nulla, la stanza è illuminata da una debole luce, proveniente da una candela. Ma chi ha acceso quella candela? Nessuno entra mai qua dentro a parte quel bastardo. Che ci siano i fantasmi? Tremo al solo ma pensiero ma cerco di non pensarci.
Ora ho l'occasione di entrare dentro là dentro e devo approfittarne. Mi sorprendo di quanto sia in ordine e di quanta roba ci sia al suo interno: armi, libri ordinati in una libreria, un tavolo in legno con poggiato qualcosa, ma non riesco a vedere cosa ci sia sopra. Mi arrampico sulla sedia ed osservo cosa c'è su quella che ha l'aria di essere una scrivania. Ci sono molte lettere, manoscritti e quello che può sembrare un diario. Prendo il diario tra le mani e mi siedo comodo sulla sedia. Lo sfoglio e noto che è la stessa scrittura di Antonio. Che l'abbia scritto lui? Non scrive molto bene, ma alcune parole, nonostante siano scritte in spagnolo riesco a capirle. Ridacchio tra me e me, non vedo l'ora di scoprire tutti i suoi segreti e i suoi pensieri. 
D'improvviso sento qualcuno alle mie spalle, mi volto di scatto ma questo mi immobilizza e mi poggia qualcosa sul viso, sopra la bocca. Sembra stoffa bagnata. L'odore è forte e mi manda la testa in confusione. Sento i muscoli indebolirsi e le palpebre chiudersi. Mi dimeno ma non serve a nulla. «E-ehi! ...Cazzo fai?» Prima che perda del tutto i sensi, lo vedo. 
Vedo i suoi occhi, nonostante quel poco di luce presente in stanza riesco a vedere i suoi occhi neri! Quegli occhi difficilmente si scordano. Sono gli occhi di quell'uomo che qualche giorno fa mi picchiò perché gli andai addosso e feci cadere a terra quel costoso vaso. 
Sono confuso. Cosa vuole farmi? Capisco che quel bastardo mi odi, chi non mi odia? Ma perché l'ha fatto? 
Quando mi sveglio, sento il respiro pesante. Mi fa male la testa e non so dove mi trovo. Ho paura, ma non voglio piangere.
Devo cercare di non piangere, nonostante stia tremando di paura.

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Capitolo 4
*** Maledetto Inghilterra! ***


Non conosco il luogo in cui ora mi trovo, ma è tutt'altro che accogliente. C'è puzza, il mio naso si storce e sul mio viso compare una smorfia di disgusto.
Non c'è luce a parte quella della luna che si intravede da un'alta e stretta fessura nella parete. Le pareti sono rocciose, il pavimento è freddo e sudicio. Non vedo bene cosa ci sia per terra ma di sicuro non è niente di gradevole.
Mi metto a sedere, non riesco a stare in piedi, mi gira la testa. All'improvviso, il mio sguardo si punta verso destra, sento dei passi. Tento di allontanarmi, di scappare ma una catena blocca il mio polso al muro. Cado a terra, il terreno è ruvido e scheggiato e cadendo mi sbuccio le ginocchia. Bruciano, fa male. Ma cerco di non piangere e con una mano mi tappo la bocca, sperando così di essere ignorato e che chiunque si stesse avvicinando cambi direzione.
Il mio cuore batte forte, forse fin troppo. Sto tremando e gli occhi sono spalancati verso dove provengono i passi. Finalmente i miei occhi si puntano contro una figura. Tiene qualcosa in mano, una candela. La luce improvvisa mi fa chiudere gli occhi ma sento una risata provenire dalla sua bocca. Apro debolmente gli occhi e lo guardo, cercando di capire di chi si tratti. Sembra un pirata, è un pirata! Quello è Inghilterra.
«Quanto sei stupido, marmocchio! Perché non sei venuto subito, sei forse stupido?! Non hai letto la lettera che ti ho fatto mandare!?» Queste parole escono dalla bocca dell'inglese, seguite da una risata che sembra tutt'altro che normale. Sembra uno psicopatico, un malato.
Inizio a tremare ancora di più, i miei occhi cercano di non scontrare i suoi occhi verdi ma lui continua a fissarmi con un sorriso da pazzo sulle labbra.
Non riesco a dire nulla, sono terrorizzato. Vorrei ordinargli di lasciarmi andare, riempirlo di insulti ma quel viso mi mette i brividi. Sono troppo preso dalla sua risata per pensare a cos'abbia appena detto. Lo sento avvicinare sempre di più a me, fino a quando non vedo i suoi occhi a pochi centimetri dal mio viso.
Si è abbassato per raggiungere la mia altezza, tiene la candela vicino al suo viso. Da vicino mette più paura. Ha smesso di ridere, ora è serio, troppo serio, mi guarda male e mi carezza il viso con il dorso della sua mano, è fredda ed è coperta da un guanto.
Sono paralizzato, è come se i suoi occhi mi avessero ipnotizzato, sembra un serpente. «Perché non rispondi? Hai paura, piccolo?» Parla di nuovo, con tono calmo e divertito. Io deglutisco e scosto il viso dalla sua mano. Cerco di guardarlo male, ma la mia espressione in confronto alla sua fa ridere e pare ridicola, tanto che lo sento sogghignare. «Cazzo ti ridi? Bastardo.» Gli dico, non so come ci riesco ma ho detto quella frase con tono di sfida. Gli faccio anche la linguaccia.
Sento la sua mano salire ed infilarsi tra i miei capelli, stranamente non mi fa male. Mi guarda con sguardo divertito, come se fossi una bambola. Un brivido mi percorre la schiena nel sentirmi carezzare i capelli. Scuoto la testa e mi libera la presa, rimango in silenzio e punto lo sguardo verso il basso, in direzione dei suoi stivali neri, anch'essi sporchi di sangue, come la lettera. Lui mi guarda e torna a carezzarmi il viso con aria divertita «Ti piacciono le mie scarpe? Peccato che siano sporche di sangue. Il sangue di quel figlio di puttana. Lo spagnolo, il tuo boss.» Parla con tono di voce fin troppo innocente. Finalmente il suo messaggio passa dalle orecchie al cervello. Alzo subito lo sguardo e lo fisso in silenzio. Sono senza parole, non so cosa dire. Sento gli occhi lucidi, ma non piango, non ancora. «Cosa... Cosa gli hai fatto?» Dico con un filo di voce sottilissima, sento un nodo alla gola e cerco di deglutire. «Lo scoprirai domani, se sopravvive. Ora dormi, Romanito.» Replica lui, scoppiando infine in una grossa e fastidiosa risata. Mi passa un dito sulle labbra e poi si alza. Si allontana ed io rimango immobile a fissare la sua figura che si allontana e la luce della candela sparire. Resto così solo, al freddo e con la sola luce della luna piena.

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Capitolo 5
*** E se fosse solo un incubo? ***


Dopo ore di solitudine, finalmente riesco ad addormentarmi. 
Tremo, sia per il freddo che la paura. Il mio sonno è tormentato da incubi: in questi incubi compare Spagna, lo sento urlare, lo cerco ma non lo trovo, sono disperato e quando finalmente riesco a trovarlo, gli corro incontro ma, Inghilterra mi prende in braccio e mi tiene fermo, mentre continuo a sentire le sue urla che mi fracassano i timpani.
Mi sveglio di soprassalto e mi rendo conto che era solo un incubo, sono sudato e respiro a fatica. Quelle urla non erano solo nel sogno, qualcuno sta urlando e credo di riconoscere quella voce. Oh sì, la conosco eccome, per mia sfortuna. Sono grida di dolore, il dolore di Spagna.
Il battito del mio cuore aumenta e sento il mio corpo tremare, tendo l'orecchio in direzione di quei suoni disperati. Perché sta urlando?! Cosa gli stanno facendo quei maledetti?! «N-no! Bastardi! N-non fategli del male...» 
Stringo i denti e con degli strattoni cerco di liberare il polso dalla catena, ma è tutto inutile. Non posso fare altro che sentire le sue urla. Mi rannicchio contro la parete e mi tappo le orecchie con le mani, scoppiando in un pianto disperato. Sta soffrendo e io non posso fare niente! Mi sento così impotente. Di colpo sento le urla interrompersi. Che succede ora? ...Che sia morto? 
Scuoto la testa e cerco di convincermi che è ancora vivo. Non può averlo ucciso. 
Non dormo, non ci riesco. Non dopo aver sentito quelle urla strazianti. Attendo l'alba fingendo di dormire. I miei occhi lentamente si aprono e il luogo in cui mi trovo è più luminoso grazie alla luce del sole. Lo preferivo al buio, sembrava più "gradevole". Credo sia una specie di cella o grotta. Nonostante sia giorno, fa sempre freddo, ma l'umidità è diminuita. 
Inghilterra mi sta osservando, l'ho notato sollevando lo sguardo. Rimango fermo ma lui si avvicina, si siede vicino a me e mi prende con forza, facendomi sedere sulle sue gambe. Rimango immobile, sono spaventato. Che ha intenzione di fare?
Mi stringe a sé, mi carezza il viso, i capelli e il corpo. Solleva da per terra una tazza con del liquido bianco. «Bevi.» Mi ordina. Scuoto la testa e serro le labbra. Non ho intenzione di bere niente. Ma lui mi stringe le guance con una mano e contro la mia volontà mi fa bere del... latte? Sì, è latte tiepido ed è buono. 
Sono sorpreso e non riesco a capire. A che gioco sta giocando? Quando mi lascia le guance, ho finito di bere. «... Perché?» Chiedo soltanto.
Sento le sue labbra sulla mia fronte, mi ha appena dato un bacio. Lo allontano con una mano, ma lui blocca il mio polso. Lo sento sogghignare. «Piaciuto il concerto di ieri notte? Oggi se ti comporti bene, ti faccio vedere quel pezzente.» L'inglese non fa in tempo a finire la frase che gli tiro una testata sul mento. Peccato lui l'abbia schivata. 
Ora che l'osservo bene, sul suo labbro inferiore c'è uno spacco, ieri non mi sembra di averlo visto. Non che me ne freghi qualcosa. Ha capito che gli sto guardando le labbra e si porta un dito su di esse, indicandomele. «Non è niente, in confronto a quello che gli ho fatto io.» Dice semplicemente. Cerco di scappare dalla sua presa ma è troppo forte. Sto lacrimando e stringo le labbra, tremando. Si alza e mi stringe tra le sue braccia, sembra mi stia cullando. Ma che vuole? Io non riesco a capirlo, dannazione! 
Con una piccola chiave, mi libera da quella catena. Mi fa male il polso ed è tutto rosso. 
Sta camminando, mi tiene in braccio e io tengo lo sguardo basso. Dopo poco vedo arrivare un uomo. Fa più paura di Inghilterra ed è bruttissimo. Mi lega un pezzo di stoffa davanti alla bocca per non farmi parlare o nel mio caso urlare. Mi dimeno, ma l'inglese mi tiene fermo, subito dopo anche i miei occhi vengono coperti. Sento una corda legarsi attorno alle mie caviglie e polsi. 
Perfetto... Ora non ho speranze di scappare. Sto anche piangendo, sento le labbra di Inghilterra posarsi sul mio viso, mi dà un bacio sulla guancia e lecca via le lacrime. Ma continuo a piangere ed agitarmi tra le sue braccia. Fino a quando non vengo scaraventato brutalmente per terra e perdo i sensi.
Non so per quanto tempo ho "dormito", ma delle urla mi fanno riprendere conoscenza. Sono le urla di Spagna, urla il mio nome, sembra disperato, come se stessi per morire. 
Non riesco a vedere nulla, giro il viso a destra e a sinistra ma i miei occhi sono ancora coperti da quel tessuto. Sento solo il respiro di qualcuno sul mio collo. Il respiro è di Inghilterra e da quel che il mio corpo percepisce, mi sta tenendo in braccio.

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Non ho ancora scritto nulla di personale, tranne ora. Prima di pubblicare il sesto capitolo (che ho già scritto). Ci tenevo a sapere da coloro che seguono questa fan fiction delle cose, tanto per gasarmi un po'(?).
Allora, vi piace? Accetto qualunque critica, sia positiva che negativa. Ma non andate pesanti con le offese, è la primissima fan fiction che scrivo e l'avevo già in mente da un po', ma non credevo uscissero fuori così tanti capitoli. E pensare che inizialmente volevo farla corta, corta. Ma fatemi sapere, vi lascia abbastanza in suspance tra un capitolo e l'altro? Gradite questa cosa o no?
Spero che andando avanti con i capitoli non debba cambiare il raiting alla storia, cercherò di non renderla troppo violenta e di mantenere quello arancione. Be' gente, fatemi sapere (se avete voglia), almeno mi date qualche stimolo per continuarla! :D

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Capitolo 6
*** Che intenzioni ha? ***


Sono stretto contro il petto di Inghilterra. Sento la sua lingua umida premuta sul mio collo e le urla di Spagna. Gli ordina di lasciarmi andare, cosa che ovviamente il biondo non fa. Mi stringe maggiormente a sé e mi riempie il viso di baci. 
Io sono paralizzato dalla paura, ho paura che mi faccia del male. Sì, forse dovrei pensare a quanto abbia sofferto Spagna fino ad ora, ma sono un codardo e penso solo a me stesso.
«Smettila! Lascialo stare, pezzo di merda! Tu non hai il diritto di toccarlo!» Quelle urla da parte di Spagna mi fanno tornare alla realtà. Inizio a dimenarmi, ma non serve a molto. Sento la sua mano infilarsi sotto la mia maglia, mi sta accarezzando la pancia e il petto. Questo non fa che aumentare le urla e la rabbia dell'iberico. Non posso parlare, stringo solo il fazzoletto tra i denti. 
«Perché dovrei lasciarlo andare? Guardalo, è così piccolo e indifeso. Il mio nuovo bambolotto. Se fai il bravo non lo torturerò molto.» Dice l'inglese, rivolto ad Antonio, prima di infilarmi una mano tra i capelli e tirarli con forza. Cerco di soffocare le urla come posso e non riuscendo ad opporre resistenza, stendo il collo  contro la sua spalla, cercando di non piangere.
Le urla disperate di Antonio mi risuonano nel cervello. Possibile che tenga così tanto a me da urlare così, oppure urla per sé stesso?
L'Inglese ride, la reazione di Spagna lo soddisfa, era proprio quel che si aspettava. Ha scoperto il suo punto debole e cerca di farlo soffrire di più tramite me. Se lui mi vede soffrire, sta peggio, ed è così che intende sfruttarmi. Ecco a cosa gli servo...
«Romano, sei adorabile. Così indifeso, così carino. Ora capisco come mai quello tiene così tanto a te.» L'inglese sta ignorando volutamente lo spagnolo. Si comporta come se ci fossimo solo io e lui. Mi tira ancora i capelli e urlo più forte, anche se la bocca è coperta. Sento le sue mani slegare il nodo e mi leva quella merda da davanti alla bocca. «...Spagn-» Non faccio in tempo a nominarlo, che riprende ad urlare contro Inghilterra, lo insulta e gli ordina di lasciarmi andare.
Arthur ignora le sue urla e mi solleva, trascinandomi per un braccio contro qualcosa. Mi poggia la schiena contro quello che sembra un albero, ma è freddo, sembra metallo. Avvolge una corda attorno al mio petto, le mani sono anch'esse legate dietro la mia schiena. Mi leva la benda dagli occhi, finalmente vedo la "luce". Cerco di mettere a fuoco la vista e davanti a me, qualche metro più lontano. C'è Spagna, ed è messo peggio di quel che immaginavo.
Incatenato al muro, mezzo nudo. Il suo corpo è coperto da: grossi tagli, lividi, sangue e sporcizia, sulla sua pelle ci sono anche delle bruciature. 
Inghilterra, invece, è vicino a me e ci guarda entrambi, non riesce a trattenere delle risate sadiche. Provo di nuovo a parlare, ma sento un forte dolore allo stomaco. L'inglese si è permesso di tirarmi un pugno in piena pancia. Non cerco di trattenere le urla, non ci provo nemmeno, tanto so che fallirei, quindi urlo. 
«Inglese di merda! Lascialo stare! Lui non centra niente con noi! Ti supplico, è solo un bambino!» Lo spagnolo sembra supplicarlo per davvero. Ha le lacrime agli occhi, come me. 
«Tu, supplichi me? Cosa ti succede? Allora c'ho azzeccato che questo moccioso fosse il tuo punto debole... Questo è solo l'inizio delle sue torture.» Concluse l'inglese, in modo fin troppo serio. Non una risata o un ghigno da parte sua. 
Tengo lo sguardo basso e tossisco, mi fa male la pancia. Vorrei che fosse solo un brutto sogno, vorrei svegliarmi ed essere nel mio letto. Vorrei essere a casa con Spagna. In questo momento vorrei trovare il coraggio di scusarmi con lui per tutte le volte che l'ho trattato male.
I miei pensieri si interrompono non appena vedo Inghilterra indaffarato frugare nella sua tasca. 
Che intenzioni ha?

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Capitolo 7
*** Voglio... Morire senza soffrire. ***


Restiamo in silenzio.
Nessuno parla, fino a quando l'inglese non tira fuori dalla tasca un dado a sei facce. Lo guardo perplesso e curioso, che ci deve fare con quel dado? 
Spagna continua ad agitarsi, dà forti strattoni e per poco si spezza un braccio. Nei suoi occhi vedo la disperazione. Che sia un gioco che fanno i pirati? Dalla reazione dello spagnolo sembra un gioco tutt'altro che gradevole.
«Non farlo Inghilterra! Ti scongiuro! ...Pensa, pensa alla tua colonia! ... America! I-io non gli farei mai del male! Sono solo dei bambini! Loro non centrano nulla con noi!» Urla Spagna, ed è vero. Per quanto l'iberico odi il britannico, non farebbe mai del male alla sua colonia preferita: America.
Guardo il biondo con aria curiosa, non so che abbia intenzione di fare, ma sto tremando. Lui ride ed inizia a spiegarmi a cosa gli serve quel dado che comprende numeri da uno a sei. «Adesso ti spiego a cosa serve questo dado. Noi lupi di mare, quando abbiamo due prigionieri, ci divertiamo a fare questa cosa per scegliere chi torturare. Lanciamo il dado, se esce un numero pari, facciamo qualche tortura al prigioniero che sembra più giovane. Se invece esce un numero dispari, ci divertiamo con l'altro. Bello, eh?»
Scuoto la testa e lascio uscire le lacrime dai miei occhi. Non voglio essere torturato, ma non voglio neanche che faccia del male a Spagna. 
Arthur, dopo aver lanciato verso l'alto il dado e poi averlo ripreso al volo tra le mani un paio di volte, lo lascia scivolare sul pavimento, si ferma e restiamo in assoluto silenzio, torturati dall'angoscia di scoprire il numero uscito. 
«Due!» Dice, sorridente l'inglese, seguito dalle grida di Spagna, dovrebbe essere contento di non essere uscito lui, invece sembra ancora più disperato. Le torture spettano a me, abbasso la testa e piango, cerco di liberarmi, ma non ci riesco.
«No! Non permetterti di toccare il mio Romano!» Grida Spagna, incazzato come non mai. Non sembra più in sé...
Inghilterra mi afferra il mento tra le dita e mi costringe a guardarlo negli occhi, ma non reggendo il suo sguardo, abbasso gli occhi sulla sua bocca, su cui c'è un sorriso poco rassicurante. «T-ti prego.. Non farmi del male!» Ho paura ed è tutto quello che riesco a dire, ovviamente lui non mi ascolta. Allunga la mano verso il basso, sul pavimento c'è un coccio di vetro, lo prende in mano, precedentemente quel pezzo di vetro doveva essere una bottiglia.
Quell'affare è appuntito ed immagino il dolore che mi farà. Mi strappa via la parte superiore della maglia e poi torna a guardare Spagna «Ora sai cosa ci starebbe bene scritto su questo bel corpicino? "England".» continua a ghignare. Io spalanco gli occhi, lo guardo terrorizzato. Lo so benissimo che se scrive una cosa del genere sul mio corpo, con un oggetto così tagliente, quei segni sulla mia pelle rimarranno per sempre. Non voglio rimanere marchiato a vita. L'umilizione è tanta, tantissima e non credo reggerò il dolore senza piangere o urlare. L'inglese mi lega di nuovo quello straccio davanti alla bocca, forse per non farmi urlare troppo forte.
Le grida di Spagna, a quanto pare sono inutili.
Sento la parte più appuntita entrare  nella pelle del mio petto, sto sanguinando e comincio ad urlare per il dolore, credo che sverrò. Tengo gli occhi puntati verso la sua mano, disperato alzo il viso e lo guardo con le lacrime agli occhi. Non gli faccio pena? Non prova neanche un po' di pietà per un bambino? 
Spagna è impazzito del tutto, sembra un matto, urla e piange. Lo supplica di lasciarmi stare, di non tagliarmi o torturarmi, di non scrivere sul mio corpo, di non rovinarmi. 
Preferiva uscisse un numero dispari ed essere torturato lui stesso, piuttosto che vedere soffrire me?  
Con un movimento lento della mano, l'inglese trascina il pezzo di vetro verso il basso, lasciandomi un segno verticale e profondo ad un lato del petto, iniziando a scrivere la prima lettera. Sgrano gli occhi e stringo la stoffa tra i denti, per evitare di urlare troppo forte, ma lo spagnolo urla più forte di me, come se stesse soffrendo il doppio, anzi, il quadruplo di me. 
Tutto d'un tratto, un uomo entra dentro la cella. A causa delle urla non lo abbiamo sentito arrivare. 
Ma ora è lì, vicino ad Antonio, e mi guarda con un sorriso divertito sul viso. Io sono troppo sconvolto per guardarlo, vorrei morire ora, senza soffrire. 

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Capitolo 8
*** Dimmi la verità ***


La faccia di Spagna è sbiancata, osserva l'uomo vicino a sé come se avesse visto un fantasma, resta in silenzio. Il silenzio regna in quel luogo ora, fino a quando Inghilterra non si alza e guarda male l'uomo «Avevo detto chiaramente di non voler essere disturbato.» L'uomo resta in silenzio ma porge una lettera all'inglese. Inghilterra inarca un sopracciglio e allunga il braccio verso di lui, apre la lettera e la legge.
Non parliamo, io e Spagna ci guardiamo, cerco di smettere di piangere, ma il dolore è forte, fortissimo, sono un bambino debole. 
Il biondo si infila la lettera in tasca e poi guarda Spagna, gli si avvicina e gli carezza una guancia, che poi schiaffeggia con forza, mostrando un sorriso inquietante. Lo spagnolo lo guarda male e stringe i denti, non dice nient'altro. 
Io guardo l'uomo, ancora vicino a Spagna, mi vengono i brividi capendo chi è in realtà. Il servo che mi picchiò e poi.. Poi mi ha anche rapito!  Ed è per colpa sua se ora mi trovo in questa situazione! Cerco di parlare, ma la bocca è coperta quindi escono suoni incomprensibili.
Arthur scoppia a ridere e si allontana, guarda sia me che Antonio. «Siete sorpresi? L'ho mandato io, lavora per me e gli ho chiesto di infiltrarsi a casa dello spagnolo. Ti ha consegnato quella lettera che ho scritto, facendomi passare per lui. Ma tu sei così stupido da non essere venuto con le buone, quindi è stato costretto a rapirti e portarti qui da me.» Parla l'inglese, guardandomi.
Spagna rimane a bocca aperta, non sa cosa dire. Si fidava abbastanza di lui, al contrario di me. Io non mi sono mai fidato di lui. Io non mi fido di nessuno. 
L'uomo sorride divertito ed incrocia le braccia al petto, mentre Inghilterra si allontana ed improvvisamente ed esce dalla cella. Chissà che deve fare di così importante da smettere di torturarmi. Piango in silenzio, per ora mi sento salvo.
Sollevo di poco lo sguardo e sento che Spagna e quell'uomo stanno parlando. Parlano in spagnolo, a bassissima voce e molto velocemente. Gli occhi di Antonio sembrano infuocati dalla rabbia, è anche confuso ma non perde la calma e parla senza timore che quell'uomo possa fargli del male. Chissà che si stanno dicendo, d'un tratto si voltano verso di me e mi osservano. Il leggero sorriso comparso sulle labbra dello spagnolo mi rassicura, che diavolo gli può aver detto per farlo sorridere? 
L'uomo si avvicina a me e slega lo straccio dalla mia bocca, finalmente riesco a respirare. Lo osservo in silenzio e dopo poco l'uomo esce dalla cella, si allontana, mentre io e Spagna ci lanciamo occhiate silenziose. «Che cosa vi siete detti?»  Domando un po' timoroso, ma lui ci mette un po' a rispondermi, come se stesse cercando di inventare qualcosa, come se mi stesse mentendo, cosa che ovviamente fa, non sono mica stupido, capisco quando quel bastardo mi mente. Sembra stia per parlare, ma si morde il labbro inferiore ed abbassa lo sguardo. Forse ha paura di dirmi la verità oppure non sa che bugia inventarsi.

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Capitolo 9
*** Ti odio ***


Lo osservo, aspettando una risposta, anche se a dir la verità non sono sicuro di volerla sentire.
Siamo solo noi due, nessun'altro è presente nella cella, ma forse ha paura che qualcuno sia nascosto ed ascolti i nostri discorsi. Forse teme di dirmi la verità, non vuole dirmi che presto moriremo entrambi oppure che, ovviamente le torture che ci aspettano saranno terribili. 
Abbasso lo sguardo sul mio petto, brucia, la ferita continua a sanguinare ma cerco di essere forte e di non sembrare troppo infantile, non voglio piangere di fronte a lui, ma sopratutto non voglio che si senta in colpa, anche se la colpa di questa situazione è sua. Se non andasse in giro per mare a fare nuove conquiste, a quest'ora saremmo a casa tranquilli, spensierati e felici. Invece no. Siamo in questa maledetta cella, legati come salami ed entrambi feriti ed affamati. Spero che ci portino qualcosa da mangiare, perché ho davvero fame. Da come è ridotto Spagna, dubito che gli abbiano mai servito da mangiare.
«Romano...» Appena lo sento parlare, sollevo lo sguardo verso di lui, che si sia deciso a dirmi cosa diavolo gli ha detto l'uomo da poco uscito? Deglutisco pesantemente e lo guardo con gli occhi sgranati, lucidi e rossi per il pianto di poco fa, anzi, anche ora sto piangendo, ma sono troppo concentrato a guardarlo per rendermene conto. «... Non posso dirti nulla, scusa.» Tutto qua? Io devo saperlo! Non mi importa se siano cose belle o brutte, io devo conoscere la verità! Deve smetterla di trattarmi come un bambino scemo! Sì, sono un bambino! Ma in situazioni come questa dovrebbe trattarmi come un adulto!
Ora che siamo soli, vorrei parlargli, vorrei che la smettesse di pensare che io sia inutile, magari potremmo trovare entrambi un modo per fuggire di qua e tornare a casa. Attendo che dica altro, ma c'è silenzio da parte di entrambi, forse aspetta che io dica qualcosa, ma onestamente non so proprio cosa dire, avrei voluto che fosse lui a parlare, vorrei che mi avesse detto cosa gli ha detto quel servo, che poi si è rivelato una spia mandata da quel fottuto inglese. Ma niente, mi tiene all'oscuro di tutto, come sempre... 
«Ti odio.» Gli dico apatico, l'ho ferito. Questa cosa lo ha ferito più delle torture di Arthur, si vede, lo capisco dalla sua espressione di dolore. Vorrebbe dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma vedo le sue labbra curve verso il basso, strette tra loro e tremano, come tutto il suo corpo, i suoi occhi si chiudono e il suo viso dopo poco è pieno di lacrime, dalla sua bocca escono singhiozzi che tenta di soffocare. Non mi guarda, tiene lo sguardo basso e scuote la testa.
Gli ho spezzato il cuore, ne sono consapevole. Solleva di poco lo sguardo e mi guarda, cerca di trattenere i singhiozzi ma non ci riesce. «Lo so... Lo so benissimo che mi odi... Mi dispiace, non avrei mai voluto che ti trovassi anche tu in questa situazio-» Sussurra, non gli lascio nemmeno concludere la frase, che comincio a parlare ad alta voce, forse sto urlando, ma sono incazzato e non riesco a trattenermi. «Sei un bastardo! Io non ti odio per questo! Non è colpa tua, lo so benissimo! Smettila di preoccparti tanto per me!» Ho il fiatone, cerco inutilmente di sembrare grande e non piangere, tentativo inutile, dopo poco ecco che piango di nuovo. Non distolgo lo sguardo dal suo, lo guardo con decisione e rabbia, nonostante gli occhi non smettano di lacrimare.
«Allora perché dici di odiarmi?» Chiede con tono di voce triste e dispiaciuto.
Prendo un respiro profondo e tento di calmarmi, abbasso lo sguardo e chiudo gli occhi. «Mi tieni sempre all'oscuro di tutto, mi fai sentire stupido, inutile e cretino... Lo so che vuoi proteggermi, ma non mi dici mai nulla. Io voglio sapere tutto, ora che siamo da soli, rispondi alle mie domande. Se mi vuoi bene, fallo.» Rialzo lo sguardo su di lui e noto che per fortuna ha smesso di piangere, sembra essere più felice ora, forse perché gli ho detto che non lo odio per questa situazione. Come potrei odiarlo? Anche volendo non ci riesco, lui è tutto per me, credo che prima di morire glielo dirò.
Accenna un sorriso triste, forse spera che sorridendo io mi tranquillizzi e pensi che effettivamente vada tutto bene, ma vedere quel triste sorriso sulle sue labbra, labbra secche e viola per via dei lividi non aiuta di certo. «Va bene, risponderò a tutte le domande che mi farai, sarò sincero, te lo prometto.»  Capisco che le sue parole sono sincere, la sua voce mi rassicura, mi fido di lui. Credo sia l'unico di cui mi fidi davvero.
Finalmente ho l'opportunità di chiedergli tutto quello che voglio, ho talmente tante cose da chiedergli che non so da dove iniziare. Rimango in silenzio, sono curioso ma voglio anche dirgli tutto quello che penso su di lui o della situazione in cui ci troviamo, voglio trovare il coraggio di dirgli tutto, voglio che anche lui sappia tutta la verità. Tengo gli occhi chiusi e dico quello che penso, senza pensarci troppo. Se ci penso troppo rischio di non dirgli nulla e io in questo momento voglio parlargli senza timore, quando ci ricapiterà di restare ancora soli? Apro piano gli occhi e lo guardo, quei bellissimi occhi verdi che tanto mi piacciono, peccato che sembrino spenti e tristi.
Mi mordo il labbro ed inizio a parlare senza pensare troppo a quello che dico «Perché non resti con me? Perché non mi porti insieme a te? Perché mi abbandoni ogni volta? Cosa c'è per mare di così prezioso da farti partire lontano e perché mi lasci da solo? Preferisco che tu sia accanto a me, non voglio restare in quel posto da solo, tu non sai come mi trattano i tuoi servitori. Proteggimi. Ho bisogno di essere protetto. Sono solo un bambino. 
Non credevo che questa distanza potesse farmi soffrire così. Quando la notte faccio gli incubi, tu non ci sei. Voglio che mi consoli e stringi forte a te. Voglio sentire la tua voce nella mia testa. Non urla di dolore. Ma questo non è un brutto sogno, sta accadendo realmente. Inghilterra non ha pietà. Tortura entrambi. Quel demonio di un pirata. Quanto vorrei tornare a casa con te. Ci riusciremo, vero Spagna?» Parlo tutto d'un fiato, forse ho detto qualcosa che non dovrei dire, perché da lui non c'è un iniziale risposta. Forse non ha ben capito cosa gli ho detto. I suoi occhi sembrano brillare, sono lucidi, non sa cosa dire, tenta più volte di parlare ma non ci riesce, finalmente riesce a dire qualcosa, ma non è quello che esattamente mi aspettavo «Sì, ti farò tornare a casa. ...Te lo prometto, Romanito.» Ecco quello che dice, ma perché ha detto "Ti farò" invece di dire "Torneremo"? Sto giusto per chiederglielo, fino a quando non si sente la fastidiosa risata di Inghilterra,  sta anche battendo le mani. Che diavolo ha da applaudire!? Da quanto tempo è lì!? Che nervi! Questa cosa doveva rimanere segreta invece ora la sa anche quel fottuto bastardo. 
 

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