Rush in love

di sic58
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer

 

1.

Pov Bella

Ci sono momenti nella nostra vita in cui l'amore sconfigge tutto: lo sfinimento, l’insonnia, tutto, perfino la forza di gravità. E poi ci sono quei momenti in cui sembra che l'amore non ci porti nulla se non dolore.

Di solito succede quando l’amore che provi, all’improvviso, smette di essere ricambiato o, quando, ti ritrovi ad essere tradito da quell’amore a cui hai creduto fortemente per tanto tempo. Peggio ancora, succede, quando entrambe le cose ti sbattono al muro e ti impediscono ogni movimento.

È proprio in quei momenti che inconsapevolmente mettiamo in un ripostiglio il cuore e questo avviene all’improvviso, non c’è mai un momento preciso. Non c’è ne rendiamo nemmeno conto.

In realtà ci sembra di essere come al solito, un pò più tranquilli, ma comunque gli stessi di sempre.

O almeno, è così che è capitato a me.

Avevo appuntamenti, davo baci, andavo avanti con la mia vita.

Facevo quello che tutti si aspettano: inseguivo i miei obiettivi, facevo le mie esperienze, cercavo un pò di felicità.

E intanto non mi accorgevo di essermi persa.

Ho smesso di piangere la notte.

Ho smesso di fare discorsi seri.

Ho smesso di dire alle mie amiche: “dai, vieni qui. Dimmi cosa c’è che non va” e ho iniziato a dire “tranquilla, tanto ti passa”.

Tra un pò di buon sesso e tanti giochi ho improvvisamente scelto di giocare. E lo facevo semplicemente perché ero convinta che fosse questo quello che mi andava di fare.

Poi, un giorno, mi sono svegliata e guardandomi allo specchio ho capito che era tutta una recita, che fingere di sentire ancora qualcosa non serviva a nulla.

Era tutta una messinscena la mia, una stupida farsa per non ammettere a me stessa che dentro di me c’era solo il vuoto.

Una farsa per non dire alle mie amiche che avevo un buco in testa e uno in pancia.

Una farsa per non dire agli altri che toccavo gli oggetti ma non li sentivo.

Una farsa per non ammettere che dietro ogni mio abbraccio c’era la volontà di voler essere altrove.

Una farsa per proteggermi da tutto, per evitare accuratamente qualsiasi cosa che potesse creare scompiglio o lacrime.

Era tutto una fottuta farsa.

E avrei continuato a non dirlo, a non ammetterlo a me stessa se, una sera, all’improvviso non fossi scoppiata a piangere, apparentemente senza motivo, e avessi iniziato a dire che mi mancavo.

Mi mancavo da morire e, assurdamente, mi mancava più di ogni altra cosa al mondo la me capace di soffrire.

 

Il Blue Moon non era un posto come gli altri. Il Blue Moon era il luogo che, quattro anni prima, mi aveva accolta dandomi un lavoro per riuscire a vivere dignitosamente e, soprattutto, per riuscire a pagare la retta del college senza gravare sulle spalle dei miei genitori. Era uno tra i locali più belli dell’intera Seattle, la città dove adesso abitavo.

La mia città natale era Portland, nell’Oregon, ed era lì che ero nata a cresciuta fino a quando, dopo il liceo avevo deciso di trasferirmi a Seattle per frequentare lì il college ed era proprio tra i muri del college che avevo conosciuto i miei attuali amici ed era lì che avevo conosciuto Jake, il mio ragazzo con il quale stavamo insieme da due anni.

All’inizio lo consideravo solo un amico, ma poi, con il tempo, i sentimenti verso di lui si erano fatti più forti e alla fine avevo ceduto alla sua corte spietata e ci eravamo messi insieme. Stavamo bene, eravamo più o meno felici nonostante alcuni alti e bassi, ma dentro di me sapevo che mancava ancora qualcosa, o forse mancava qualcosa in me in quanto sapevo di non amare Jake al massimo delle mie possibilità, per lo meno non come avevo amato un tempo.

Mi dicevo, però, che era normale che fosse così. Succedeva quando un vecchio amore lasciava brutte cicatrici dentro e allora poi veniva difficile aprirsi nuovamente del tutto ad un’altra persona.

Seduta comodamente sulla poltrona di fronte alla cassa del locale approfittai di quel momento di tregua per immergermi nel mondo dei libri. La lettura era sempre stata la mia passione fin da bambina e, crescendo, le cose non erano affatto cambiate. Adoravo i classici, i gialli, le storie sovrannaturali, qualunque cosa purchè riuscisse a trasportarmi in un mondo nuovo che niente aveva a che fare con la realtà che vivevo tutti i giorni.

“Ancora quel libro?” disse una voce che avrei riconosciuto fra mille “possibile che non ti abbia ancora stufato dopo tutte le centinaia di volte che l’hai letto?” continuò.

Quando sentii queste parole avevo gli occhi bassi e una mano in bocca a stuzzicare le mie labbra con le dite, come ero solita fare quando leggevo qualcosa che attirava particolarmente la mia attenzione, e subito alzai lo sguardo verso la direzione in cui avevo sentito parlare e un mezzo sorrisino buffo mi increspò le labbra.

“Cime Tempestose è un classico” mi lasciai scappare in risposta “i classici non possono stufare mai e poi mai” conclusi sicura di me.

Lui mi guardò e mi sorrise scrollando le spalle consapevole che su quell’argomento non l’avrebbe mai avuta vinta, poi si avvicinò e subito affondò le sue labbra sulle mie in un bacio veloce, ma amorevole.

“Oggi sei più bella del solito, lo sai?” mi domandò retorico.

Se c’era una cosa che lui non mi faceva mai mancare erano proprio i complimenti e questo non faceva altro che farmi spuntare sempre un sorriso ebete sulle labbra. La verità era che io non ero mai stata abituata ai complimenti. Nessuno che mi diceva “sei bellissima” o “il tuo sorriso è incantevole”. No, niente di tutto questo. Forse perché l’ultima e unica volta in cui mi ero innamorata davvero era stato tra i banchi di scuola e a quell’età i ragazzi pensano ad altro che a fare i romantici con le proprie donne.

“Jake, smettila” gli risposi abbassando lo sguardo.

“Credi che prima o poi riuscirò a farti un complimento senza che tu arrossisca?” mi chiese sorridendomi.

Il problema era proprio quello: non essendo abituata a riceverli, i complimenti mi imbarazzavano sempre.

“Un giorno, forse” gli risposi colmando di nuovo le distanze e baciandolo in modo da distrarlo e cambiare così argomento.

Quando ci staccammo lo osservai per bene e mi accorsi subito che era raggiante come poche volte l’avevo visto.

“Sprizzi felicità da tutti i pori” gli feci notare consapevole già di conoscere il motivo di quel buon’umore.

“Ovvio” mi rispose subito come se non vedesse l’ora di tirare fuori quell’argomento “questa settimana andremo a vedere dal vivo quei pazzi piloti correre” mi spiegò “ma tu ci pensi? Non ti senti raggiante solo per questo?” continuò.

Quella stessa settimana si sarebbe corsa a Monterey una gara del motomondiale sul circuito di Laguna Seca e Jake, grande tifoso delle due ruote, aveva convinto me e altri amici ad andare a vedere la corsa dal vivo.

La cosa, sinceramente, non mi faceva impazzire più di tanto, ma avevo cercato di non darlo a vedere perché lui sembrava davvero così felice che non mi sentivo di fare da guastafeste.

Andare a vedere quella corsa mi avrebbe sicuramente condotto faccia a faccia con il mio peggiore incubo, ma Jake non lo avrebbe mai saputo, lui quella parte della mia vita la conosceva solo di sfuggita.

“Si Jake, certo che sono felice” gli risposi “non vedo l’ora” mentii.

Non che le corse non mi piacessero, anzi, io le adoravo. Ero stata quasi costretta a seguire quelle competizioni sulle due ruote da quando ero davvero piccola e alla fine mi ero appassionata tantissimo anche io a quello sport, solo che avrei preferito continuare a guardarlo da casa davanti ad una televisione.

“Sai qual è l’unica pecca in tutto questo?” mi domandò smorzando leggermente il suo stesso entusiasmo.

“Quale?” gli domandai curiosa.

“Che non abbiamo i pass per riuscire ad avvicinarci ai piloti per autografi e foto” mi spiegò.

Abbassai lo sguardo colpita da quelle sue parole, ma tornai a guardarlo quasi subito in modo da non fargli capire il mio cambio d’umore.

“Lo so” riuscii solamente a dire.

“Tu non puoi capire cosa darei per averli” tornò a dirmi “arrivare lì, guardarli correre così da vicino e restare comunque a bocca asciutta non potendo nemmeno scambiare una parola con loro” mi spiegò.

Ci fu un attimo di silenzio, poi mi decisi a porgere quella dannata domanda di cui avevo una disperata paura di ricevere la risposta.

“Ci tieni così tanto ad averli?”

“Cosa?” mi chiese non capendo.

“I pass”.

“Ovvio, ma è praticamente impossibile riuscire ad averli. Non conosciamo nessuno e anche ammesso che vogliamo comprarli è troppo tardi per riuscire a trovarne qualcuno” mi rivelò.

In effetti avevamo deciso all’ultimo di prendere i biglietti per la corsa, motivo per cui ci erano costati anche parecchio, ma per i pass era davvero difficile trovarne qualcuno ad una settimana dalla gara.

“Mi dispiace” gli dissi solamente.

Lui mi guardò e mi sorrise.

“Fa nulla” provò a sdrammatizzare “magari in un’altra occasione” aggiunse avvicinandosi e dandomi un bacio sulla fronte.

Lo guardai e non mi fu difficile capire che cercava di non dare a vedere il fatto che gli dispiacesse per quella storia e mi bastò guardare quell’espressione per decidere di mandare a puttane gli ultimi quattro anni della mia vita.

“Vado fuori a fare una telefonata” gli dissi “ti dispiace restare qui nel frattempo e rispondere al telefono nel caso suonasse?” gli domandai poi.

“Tranquilla, amore. Ci penso io”.

Anche Jake, da circa tre anni a questa parte aveva trovato lavoro lì al Blue Moon e così, oltre che vederci fuori ci vedevamo anche nel posto di lavoro e dovevo ammettere che era bello averlo lì perché riuscivo a sentirmi a casa anche in quel locale.

Gli sorrisi e afferrai il cellulare dirigendomi verso l’uscita del locale e quando arrivai fuori cercai un numero in rubrica. Non appena lo trovai feci partire la chiamata mettendolo ad un orecchio. Mentre il numero prese a squillare io mi guardai attorno, senza nemmeno riuscire a capire il motivo per cui lo stessi facendo.

La verità era che non avrei mai creduto di arrivare a fare una chiamata del genere, ma mi sentivo quasi in dovere di farlo. Forse, ero l’unica che avrebbe potuto realizzare il sogno di Jake e io glielo dovevo in nome a tutte le cose che lui aveva fatto per me da quando ci eravamo conosciuti fino ad ora.

Al quarto squillo sentii qualcuno rispondere dall’altro lato.

“Ciao bellissima” mi disse una voce “sono felice di sentirti” continuò.

“Ciao orso, è un piacere anche per me” gli risposi sincera “come te la passi?” gli domandai poi.

Emmett faceva parte di quella schiera di amici che mi ero lasciata a Portland dopo la mia partenza per il college, ma con il quale avevo mantenuto, nel corso degli anni, un ottimo rapporto. Ero andata a trovarli qualche volta e spesso e volentieri venivano loro a trovare me, loro che erano inclini più di me a mettersi in aereo e partire. Non che io non lo facessi per paura o roba simile, ma l’idea di tornare con frequenza nella mia vecchia città non mi allettava per nulla.

“Tutto alla grande. Te, invece?” mi chiese.

“Anche io” gli risposi “comunque ti ho chiamato per chiederti un favore” gli dissi consapevole che prima sarei arrivata al dunque meglio sarebbe stato per tutti.

“Spara. Che ti serve?”

“I pass per la gara di Laguna Seca” sganciai la bomba senza girarci attorno.

“Che?” mi domandò sconvolto.

“Dai Emmett, non farmelo ripetere. Hai capito”.

Ci fu un attimo di silenzio, quel che bastò perché Emmett diventasse improvvisamente serio.

“Mi stai dicendo che hai intenzione di andare a vedere la gara?” mi domandò.

“Esattamente. Io e altri amici abbiamo già preso i biglietti”.

“Bella?” mi chiamò.

“Che c’è?”

“Non è che c’è sotto qualcosa?” mi chiese.

“No Emmett, non c’è sotto niente. Ho chiamato te e non Alice proprio perché non volevo che lei si facesse strani film mentali in testa” gli spiegai “non credevo che per te fosse lo stesso” continuai.

“Quindi vuoi vedere la gara e basta?”

“Esattamente”.

“Non vai lì per lui?”
“Ovvio che no”.

“E allora perché ti servono i pass?” mi chiese curioso.
“Perché voglio regalarli a Jake” gli spiegai sincera.

A quel punto Emmett scoppiò a ridere e io alzai gli occhi al cielo come se lui potesse vedermi.

“Trovi tutto questo divertente?” gli domandai.

“No scusa” iniziò a dire “è solo che tu mi stai dicendo che vuoi dei pass per far conoscere il tuo ex fidanzato con quello attuale. Fidati, ma suona un po’ ridicolo” continuai.

“Si dia il caso che il mio ex fidanzato è diventato un personaggio pubblico, quindi nulla di tutto questo è ridicolo” provai a fargli notare.

Ci fu un attimo di silenzio come se Emmett stesse riflettendo sulle mie parole e poco dopo riprese a parlare.

“Ok, ok, hai ragione” mi rispose “comunque sia Laguna Seca è in programma la prossima settimana giusto?” mi domandò.

“No, la prossima settimana si gira a Brno. Laguna Seca è questo week-end” gli spiegai.

“Beh allora abbiamo un piccolissimo problema” mi rivelò.

“E quale sarebbe?”

“Io, Rose, Jasper ed Alice siamo in vacanza in Spagna fino agli inizi della prossima settimana”.

“Il che significa che non puoi farmi avere questi pass?”

“Potrei, ma non ti arriverebbero mai in tempo”.

“Cazzo” mi lasciai scappare.

“Però, puoi sempre chiamare Vic e chiedere a lei di farteli avere tramite James. Lui non avrà problemi” mi spiegò “se non vuoi chiamarla lo faccio io” aggiunse.

“No, tranquillo. Ci penso io. Ti ringrazio”.

“Di nulla. Mi dispiace non esserti stato utile io personalmente”.

“Ma va, tu sei sempre utile” gli rivelai “non per nulla ti adoro” continuai.

“Ti adoro anche io”.

“Divertitevi in Spagna e salutami gli altri” gli dissi “ma evita di dire loro del motivo di questa conversazione soprattutto ad Alice” conclusi.

“Tranquilla. Sarò muto come un pesce”.

“Ti voglio bene, Emmett”.

“Te ne voglio anche io” mi rispose prima che io chiudessi la chiamata.

Con il cellulare ancora in mano valutai la possibilità di chiamare davvero Vic. Di certo lei avrebbe potuto aiutarmi. In fondo James era pur sempre il migliore amico di lui e avere dei pass era pane quotidiano per il biondo. Eppure qualcosa dentro di me mi frenava, era come se il fatto che Emmett non avesse potuto aiutarmi era una sorta di segnale a fermarmi, a non andare oltre perché non ci sarebbe stato nulla di buono in quello che volevo fare.

Stavo quasi per lasciar stare quando alla mente mi tornò la faccia sorridente di Jake quando era venuto a dirmi della possibilità di andare a Monterey a vedere la corsa e nel ricordare quell’espressione compresi che dovevo fare qualcosa.

Dovevo chiamare Vic.

Dovevo fare questo regalo a Jake anche se farlo avrebbe comportato rivedere lui.

 

 

 

 

Spoiler:

“C’è Cullen, oddio” urlò Jake euforico come lo avevo visto poche volte.

Su una cosa non c’erano dubbi: il mio ragazzo era un tifoso sfegatato di Edward. L’aveva iniziato a seguire fin dalla Moto3 e non lo aveva mai abbandonato. Diciamo che negli ultimi quattro anni Jake era stato sempre dietro a quel pilota esordiente di cui non conosceva nulla se non la passione per le moto e io, ironia del destino, mi ero ritrovata quotidianamente a dover parlare dell’unica persona di cui avrei fatto volentieri a meno di nominare.

“Dio quanto è bello” commentò Jessica ammaliata.

“Ha una tuta che lo fascia per intero e un casco in testa” le feci notare quasi infastidita per farle capire che conciato in quel modo era difficile notare la sua bellezza.

“Lo so” mi rispose lei “ma quello lì è bello sempre. E poi non vedi come gli dona bene la veste di pilota?” mi domandò.

Scossi la testa decidendo di non risponderle, del resto serviva a poco. Per quanto fastidio mi desse ero ormai abituata agli apprezzamenti che le ragazze in generale facevano su di lui: in fondo era pur sempre un personaggio pubblico.

 

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

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Capitolo 2
*** 2. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer

 

2.

Pov Bella

Dopo un’ora e mezza d’aereo, finalmente stavamo sorvolando i cieli della California. A detta delle hostess mancavano dieci minuti all’atterraggio nell’aeroporto di Monterey, una cittadina situata tra Los Angeles e San Francisco e affacciata sull’Oceano Pacifico.


Mi sporsi dal finestrino godendomi il panorama da quell’altezza e sorrisi quasi senza accorgermene. In 20 anni non avevo viaggiato molto. Le uniche volte in cui mi ero ritrovata a prendere l’aereo era stato quando mi ero trasferita a Seattle e poi quelle poche volte in cui mi ero decisa a tornare a casa, a Portland per rivedere la mia famiglia.

Pur atterrando a Monterey era ovvio che la destinazione vera e propria di quel viaggio fosse Laguna Seca, uno dei circuiti automobilistici e motociclistici degli Stati Uniti.

Proprio guardando il paesaggio sotto di me mi resi conto che il pilota aveva appena iniziato le manovre di atterraggio.

Mezz’ora dopo io e gli altri eravamo fuori dall’aeroporto alla ricerca di un taxi che ci portasse in hotel. Non ci mettemmo molto a trovarlo e in pochi minuti ci immergemmo nel traffico della città e arrivammo in albergo circa dieci minuti dopo.

Io, Jane e Jessica prendemmo una tripla, mentre i ragazzi dovettero accontentarsi di una quadrupla. Era già pomeriggio inoltrato quando ci sistemammo nelle nostre stanza e decidemmo di farci la doccia e uscire subito dopo per andare a mangiare qualcosa da qualche parte.

Mi infilai sotto la doccia prima delle altre visto che, a differenza delle mie amiche, io ci mettevo molto di più a prepararmi.

Tre ore dopo tutti fummo pronti e, approfittando della calda serata dei primi di Luglio, ci incamminammo a piedi nel più vicino pub.

La serata passò velocemente e nel pieno del divertimento. Tutti erano raggianti dell’esperienza che avremmo affrontato, tutti meno che io, ma cercai di non darlo a vedere. E quando a serata inoltrata tornammo in albergo ci ripromettemmo di metterci subito a letto in modo da essere pronti la mattina seguente per iniziare il nostro “tour” nel circuito considerando che il giorno seguente, come tutti i sabato di gara, si svolgevano le prove libere al mattino e le ufficiali nel pomeriggio e avremmo, quindi assistito alla FP3 e alla FP4, per poi passare alla Q1 e Q2 che avrebbero stabilito i posti in classifica per la gara del giorno seguente.

Mi misi a letto di buon grado e non ci misi molto a riuscire a prendere sonno.

 

Eravamo, come sempre accadeva nel fine settimana, in una delle tante piste americane. Questa volta si trattava di un circuito vicino casa, quindi ero salita anche io in macchina con i ragazzi per andare a dare il mio appoggio.

Edward partecipava ai campionati americani di motociclismo e quell’anno era particolarmente importante per lui in quanto si sarebbe giocato l’ingresso in una competizione di maggiore successo: il motomondiale e nello specifico la Moto3.

Se tutto sarebbe proceduto al meglio, nel giro di qualche anno lui si sarebbe facilmente ritrovato a gareggiare nella classe regina, il MotoGp. Per farlo, ovviamente, servivano vittorie e grandi risultati, ma Edward aveva tutte le carte in regola per raggiungere i suoi obiettivi, ma soprattutto per fare del suo sogno una realtà.

La gara odierna, purtroppo, non l’aveva visto salire sul gradino più alto del podio, ma solo nello scalino appena più basso.. Era arrivato secondo dopo una lotta all’ultima curva con un altro ragazzo di diciassette anni come lui.

Si era chiuso nel paddock del suo piccolo team e aveva iniziato ad urlare e buttare tutto all’aria. Era chiaro come la pressione di quell’anno lo colpisse in modo particolare e io non sapevo davvero cosa fare. Ero la sua ragazza e Dio solo sapeva quanto lo amavo, ma quando si trattava di corse, Edward diventava un’altra persona e io non sapevo mai come gestirlo.

“Si può sapere che ti prende?” gli domandai entrando lì dentro e costringendolo a guardarmi negli occhi.

“Niente, cosa vuoi che mi prenda?” mi rispose lui retorico senza prestarmi nessuna attenzione.

“Non hai mai reagito così. È solo una gara, una fottuttissima gara. Non puoi fare così ogni volta che non arrivi primo”.

“Le cose cambiano, ma tu che ne sai, eh? Niente, tu non sai un cazzo di niente” mi urlò arrabbiato.

Era chiaro che mi stesse usando come valvola si sfogo e potevo pure accettarlo, ma i modi di fare che stava iniziando ad avere nei miei confronti negli ultimi tempi, beh quelli proprio non potevo sopportarli.

Mi diede le spalle pronto ad uscire da lì dentro, ma io non gliene diedi il tempo perché lo afferrai per il polso bloccandolo e costringendolo nuovamente a guardarmi.

“Il campionato va storto e allora mi butti fuori dalla tua vita? È così che funziona?” gli domandai guardandolo intensamente negli occhi.

Avevo bisogno di risposte e dovevo averle subito.

“Questa è la mia vita” mi rispose occhi negli occhi “questa” aggiunse urlando e indicando con lo sguardo il paddock intorno a noi.

“Questa non è la tua vita” gli risposi urlando quasi quanto lui “è solo il modo in cui speri, un giorno, di guadagnarti da vivere” continuai abbassando il tono di voce.

Restammo in silenzio per qualche attimo mentre lui si sistemavo la tuta da corsa. Dopo qualche secondo si avvicinò a me e fissandomi intensamente negli occhi prese a parlare.

“Sta a sentire. Non voglio continuare a correre per questi campionatini per dilettanti. Io voglio arrivare più in alto, io voglio diventare un professionista e per farlo ho bisogno, quest’anno,  di vincere questo cazzo di campionato. E sai che c’è? Che per vincere devo concentrarmi, il che significa che non posso pensare a noi” mi disse più serio che mai “perciò, che ti stia bene o meno, adesso la mia vita è solo questo” concluse finendo di allacciarsi la tuta.

Restai in silenzio per un attimo colpita e del tutto affondata da quelle sue parole. Lui continuò a guardarmi negli occhi e credo non ebbe grossi problemi a notare che ero in procinto di piangere e che, con molta probabilità, se non lo avevo ancora fatto era solo per non dargliela vinta, solo per mostrarmi forte più di quanto in realtà non fossi.

Con quelle parole, con quel tono mi aveva completamente sconvolta. Non pensavo saremmo mai arrivati a quel punto.

“Se è così” presi a dire prima di fare una nuova pausa impaurita nel continuare “se è così io che cosa sono? Che cosa diavolo sono io per te, Edward?” conclusi senza distogliere lo sguardo da lui.

Lui non mi rispose subito. Abbassò gli occhi per qualche istante come se volesse trovare le parole adatte, poi, però, riprese a guardarmi.

“Una distrazione” mi rispose occhi negli occhi prima di allontanarsi da me per afferrare il casco che aveva appoggiato sulla sedia pochi istanti prima “adesso scusami, ma...” riprese a dire senza completare la frase, ma indicando solamente la pista là fuori come a dirmi che il lavoro lo stava chiamando.

Mi lasciò lì e, senza curarsi di me, delle mie lacrime, della mia disperazione uscì fuori, salì sulla moto e dopo aver dato gas iniziò a percorrere la stessa pista che qualche ora prima gli era costata il secondo posto.

Era finita. Una storia di due anni finita perché, improvvisamente, io ero diventata una distrazione o, forse, perchè con la mia presenza costante nella sua vita, a lungo andare, avrei rischiato di tappargli le ali.

 

Mi svegliai di soprassalto portandomi in posizione seduta sul letto. L’avevo sognato di nuovo.

Dopo tre anni, quel sogno era tornato a tormentarmi.

Per il primo anno, dopo la nostra rottura, sognavo quel momento tutte le notte trasformando le mie dormite in incubi. Poi, con l’andar del tempo avevo preso a fare quel sogno sempre meno, fino a che non era sparito del tutto, ma eccolo che adesso era tornato.

Mi resi conto di essere sudata e non mi stupii più di tanto visto che, nonostante fossero passati degli anni, quella scena aveva su di me sempre lo stesso effetto.

Quello non era un sogno, quello era successo davvero…quello era stato il momento in cui i miei progetti futuri con lui erano crollati, il momento in cui l’amore mi aveva tradito, il momento in cui lui mi aveva lasciata dando spazio al suo di futuro.

Non potevo fargliene una colpa se per me il futuro equivaleva a noi insieme, mentre per lui tutto ciò che il futuro rappresentava era una moto, parecchi circuiti e tanti titoli mondiali.

La cosa che, a distanza di anni, mi faceva sorridere era che, almeno, le mie sofferenze non erano state vane in quanto lui era riuscito davvero a realizzare i suoi sogni.

Quell’anno terminò e vinse il campionato americano e fu ingaggiato da un team che lo portò dritto al motomondiale. In sella ad una Moto3 iniziò i suoi primi passi nel mondo dei grandi, ma terminò il suo primo anno al 10° posto nella classifica mondiale con 83 punti saltando quattro gare a causa di infortuni. L’anno successivo fu quello della svolta, invece. Cambiò team salendo su una KTM e guadagnò durante la stagione dodici pole position, dieci vittorie e due terzi posti vincendo il titolo con 310 punti.

La stagione successiva segnò il suo passaggio ad una classe superiore, la Moto2 e in sella ad una Suter del team Repsol si portò a casa il secondo titolo mondiale con una gara d’anticipo e guadagnandosi un posto su una moto ufficiale del team Yamaha nella classe regina, la MotoGp.

Quell’anno vista la giovane età e dovendosi confrontare con piloti di più alta esperienza non partì favorito, ma dimostrò subito la sua tenacia e il suo talento. Arrivò a podio in tutte le gare della stagione, meno una che lo vide uscire a quattro giri dalla fine a causa di una caduta, e già al secondo Gp dell’anno vinse diventando il pilota più giovane a vincere una gara nella classe regina. Si laureò campione del mondo con tre gare d’anticipo venendo eletto il miglior rookie dell’anno.

Anche quest’anno era nuovamente in cima alla classifica iridata dopo aver disputato solo cinque gare, di cui due lo avevano visto al secondo posto, mentre le altre tre lo avevano decretato vincitore. Laguna Seca era il sesto Gp dell’anno e io ero lì, a Monterey, a guardarlo di presenza.

Nonostante avessi cercato di allontanarmi da lui, ero comunque rimasta dietro la tv a vivere la sua carriera, la sua ascesa nel mondo che tanto aveva sognato: quello fatto di moto, paddock, circuiti e corse. Sapevo tutto di quello che aveva fatto negli ultimi quattro anni e anche non volendo ammetterlo a me stessa sapevo di essere, forse, la sua più grande fan.

E come non poteva essere così? Io c’ero quando era salito sulla prima Minimoto quando era un bambino, c’ero a tutte le corse che aveva fatto prima di passare alle moto grandi e c’ero quando aveva realizzato che da grande era il pilota il mestiere che desiderava fare.

Scacciai via quei pensieri e controllai l’orologio. Erano le sei del mattino così mi alzai andando a farmi una doccia cercando di non svegliare le ragazze.

Un’ora dopo ero già pronta e mi sedetti sul letto ad aspettare che le altre si finissero di sistemare visto che erano state svegliate qualche minuto prima dalla sveglia.

Alle otto in punto uscimmo dalla camera e raggiungemmo la sala da pranzo al piano inferiore dove trovammo già i ragazzi. Consumammo la colazione offerta dall’hotel e, nel frattempo, non potei fare a meno che notare l’euforia di Jake che sprizzava felicità da tutti i pori.

Mi resi subito conto che era il momento giusto per dire loro dei pass che Vic mi aveva fatto avere.

“Devo dirvi una cosa” esordì approfittando di un attimo di silenzio.

“Spara” mi disse Paul ridendo curioso di sapere cosa avessi da dire.

Presi la borsa e afferrai la busta che la mia vecchia amica mi aveva spedito per posta qualche giorno prima.

“Questi sono vostri” gli dissi appoggiando la busta sul tavolo.

Jake curioso la afferrò e vide il contenuto fece un sorriso che man mano si allargò sempre di più.


“Non ci credo” mi disse guardandomi negli occhi.

“Dovresti crederci, invece” gli risposi.

“Si può sapere che diavolo c’è lì dentro?” intervenne Embry curioso afferrando la busta dalle mani dell’amico.

Jake nel frattempo si alzò e mi prese in braccio facendomi girare come fossi in una giostra.

“Io ti amo” prese a dire mentre gli occhi di tutti si puntarono su di noi “ti amo” ripeté nuovamente.

“Ci stanno guardando tutti, scemo” gli feci notare.

“E che guardino” commentò solamente lui.

Stavo per rispondergli quando sentii Embry, Paul e Alec lanciare un urlo e qualche istante dopo anche le ragazze fecero lo stesso: era chiaro che avessero capito cosa c’era dentro la busta.

“Bella tu sei…” provò a dire Paul “sei…non trovo neppure la parola giusta” continuò “sei semplicemente una grande” concluse alzandosi e buttandosi addosso a me così come tutti gli altri.

Quando finalmente ci decidemmo a darci un contegno prendemmo ognuno le rispettive posizioni al tavolo.

“Si può sapere come hai fatto ad averli?” mi chiese Jane sorridendomi.

“Ho un amico a Portland che conosce un po’ il giro e tramite amici di amici è riuscito a farmeli avere” mentii spudoratamente.

Nessuno di loro sapeva di Edward e sicuramente avrebbero continuato a non saperne nulla. Era meglio così, per tutti.

“Ma li avrai pagati una fortuna” commentò Jessica.

“Non molto, a dire il vero” continuai con le bugie “questo amico ha fatto in modo che spendessi pochissimo” conclusi.

Avevo chiesto a Vic di non dire a James che quei biglietti servissero a me. Non volevo che lei mentisse al suo ragazzo, semplicemente non volevo che lui lo sapesse altrimenti avrebbe finito per correre da Edward e rivelargli tutto visto che quei due un segreto l’uno con l’altro non sapevano tenerselo.

“Vedremo i piloti, i paddock, le moto. Cazzo, non ci credo” prese a dire Jack più a se stesso che a noi.

Lo guardai e scoppiai a ridere e gli altri mi seguirono a ruota.

“Durano tutto il week-end” iniziai a spiegare riferendomi appunto ai pass “e fanno parte di un pacchetto che ha offerto il team Yamaha per questo Gp. In sostanza con questi possiamo muoverci più o meno dove vogliamo. Possiamo vedere i paddock, la zona adiacente i box e possiamo avvicinarci ai Tir delle scuderie dove i piloti, i meccanici e i giornalisti circolano liberamente. E ovviamente sono validi per incontrare i piloti e fare foto e autografi” spiegai ricordandomi ciò che Vic mi aveva detto al telefono.

“Cazzo, cazzo, cazzo” prese a dire Paul “ma che aspettiamo? Andiamo dai” concluse alzandosi dal tavolo.

Lo seguimmo a ruota e un quarto d’ora dopo essere entrati in taxi giungemmo la nostra destinazione ritrovandoci all’ingresso del meraviglioso circuito di Laguna Seca.


Entrammo e osservammo tutto come fosse la prima volta ed in effetti lo era, era davvero la prima volta e lo era per tutti.

In passato mi ero ritrovata ad entrare in qualche circuito dove si correva, ma erano piccoli e decisamente non maestosi e organizzati come quello che avevamo di fronte.

Grazie ai pass riuscimmo subito a entrare nel vivo della giornata. Una gentilissima signora del team Yamaha, il team per il quale avevamo i pass, accompagnò noi e tutti quelli che possedevano i pass nel bellissimo “Tuck ospitalità” del Team. Era meraviglioso: climatizzato e con ampi spazi per sedersi dove c’erano Tv che trasmettevano le immagini dal circuito nonché le tabelle dei tempi. Ci venne consegnato perfino il programma del week-end: prove libere, prove ufficiali, warp up e partenza delle gare.

La signorina prima di allontanarsi ci diede anche le informazioni di base per muoverci all’interno del paddock senza creare problemi a nessuno.

“Cazzo guardate lì” disse Paul a noi altri “c’è Scott” continuò.

Guardammo in quella direzione è Alexis Scott, pilota nel team Honda, si muoveva sopra uno scooter per spostarsi da un posto all’altro con maggiore agilità e dietro di lui c’erano anche altri piloti che, da lontano, non riuscimmo ad individuare bene.

“Per quanto mi riguarda la cosa più bella è il costante rombo dei motori in pista che si sente in sottofondo” mi lasciai scappare mentre tutti i miei amici si voltarono a guardarmi sconvolti.

Non avevo mai ammesso di amare quello sport e fingevo di guardarlo solo per far contenti loro, quindi le miei parole erano risultare piuttosto strane.

Scrollai le spalle per la gaffe fatta sperando che non dicessero nulla e, alla fine, mi andò bene perché mi sorrisero e tornarono tutti a concentrarsi su ciò che ci circondava.

Iniziammo un giro d’orientamento e ci accorgemmo ben presto che erano tantissime le cose da vedere, ma la cosa più strabiliante fu quando ci avvicinammo vicino all’ingresso del box Yamaha. Da lontano vidi da un lato il box del team satellite e dall’altro lato quello del team ufficiale e proprio in quel momento i piloti si infilarono i caschi e solo quando ci avvicinammo un po’ di più ringraziai il fatto che li avessero già messi, almeno non sarei stata costretta a vederlo in volto.

Nonostante questo era impossibile non riconoscerlo grazie alla tuta e, comunque fosse, ero certa l’avrei riconosciuto lo stesso anche in mezzo a centinaia di altre persone.

Era lì, di fronte la sua moto pronto per cominciare le prove di quella giornata. Parlava animatamente con alcuni ingegneri, mentre alcuni meccanici erano al lavoro per gli ultimi ritocchi nelle varie moto. Lui era completamente applicato a parlare con un foglio in mano con sopra stampato il circuito e cercava di spiegare all’uomo di fronte a lui qualcosa che, vista la distanza, mi era assolutamente impossibile comprendere.

“C’è Cullen, oddio” urlò Jake euforico come lo avevo visto poche volte.

Su una cosa non c’erano dubbi: il mio ragazzo era un tifoso sfegatato di Edward. L’aveva iniziato a seguire fin dalla Moto3 e non lo aveva mai abbandonato. Diciamo che negli ultimi quattro anni Jake era stato sempre dietro a quel pilota esordiente di cui non conosceva nulla se non la passione per le moto e io, ironia del destino, mi ero ritrovata quotidianamente a dover parlare dell’unica persona di cui avrei fatto volentieri a meno di nominare.

“Dio quanto è bello” commentò Jessica ammaliata.

“Ha una tuta che lo fascia per intero e un casco in testa” le feci notare quasi infastidita per farle capire che conciato in quel modo era difficile notare la sua bellezza.

“Lo so” mi rispose lei “ma quello lì è bello sempre. E poi non vedi come gli dona bene la veste di pilota?” mi domandò.

Scossi la testa decidendo di non risponderle, del resto serviva a poco. Per quanto fastidio mi desse ero ormai abituata agli apprezzamenti che le ragazze in generale facevano su di lui: in fondo era pur sempre un personaggio pubblico.

“Guarda un po’ che mostro di moto” mi disse Jake mettendomi un braccio intorno al collo.

Mi scansai immediatamente senza riuscire a capire perché lo avessi fatto, poi per non destare troppi sospetti gli sorrisi.

“In effetti è meravigliosa” commentai.

E lo era, lo era davvero. Quell’anno, a differenza degli anni passati, avevano deciso di creare due moto Yamaha ufficiali non perfettamente uguali come succedeva di solito. Una era rimasta con i colori blu e bianca, come da tradizione, l’altra, invece, oltre ad avere i colori bianco e blu aveva anche il nero.

La prima era toccata al secondo pilota, mentre la seconda era di Edward e il numero 23 sul cupolino ne era la prova.


Era bella, stupenda. Aggressiva e irruenta come il pilota che la cavalcava. Lui, invece, aveva sostituito la classica tuta blu e bianca con una blu e gialla e un casco di vari colori.

Lanciai uno sguardo dentro il paddock e non mi fu difficile individuare James seduto a parlottare con due uomini del team e poco distante Vic che tranquillamente beveva del caffè da un bicchiere. Mi scappò un leggero sorriso nel vederla sempre la stessa, sempre insieme al ragazzo del quale si era innamorata a quattordici anni e dal quale non si era più separata.

Anche se l’invidia non faceva parte del mio carattere, per un attimo un pizzico la provai, ma era invidia buona, genuina. Era l’invidia di una ragazza che aveva perso l’amore e che non poteva non farsi stringere il cuore alla vista di un amore che, invece, era durato nel tempo.

I miei pensieri vennero interrotti dal suono della sirena, segno quindi che le prove stavano per iniziare. I meccanici accesero le moto ed i piloti, in fretta, salirono su di esse e partirono. Edward e qualche altro pilota rimasero fermi ancora qualche istante a controllare le ultime cose, poi lui salì in moto e partì abbassandosi la visiera e sollevandosi dalla moto per sistemarsi meglio la tuta. Qualche istante dopo non lo vidi più.

Io e gli altri restammo vicino ai paddock ad assistere alle prove libere controllando i tempi sul giro, stando attenti ai commenti dei tecnici sparsi per tutti i box e notando con non poca sorpresa come fosse facile raggiungere e superare la soglia dei 300 km orari.

In poco tempo si fece l’ora di pranzo e così ci spostammo a mangiare dei panini che avevamo comprato quella stessa mattina e sistemato dentro gli zaini, poi andammo a visitare le tribune e alla fine tornammo nel paddock per vivere la tensione delle qualifiche ufficiali dal box mentre i ragazzi approfittarono di quei momenti anche per fare delle foto con le ombrelline senza ovviamente far mancare i loro commenti.

Le qualifiche furono cariche di adrenalina e segnarono un vero e proprio grande show. Ben quattro piloti si contesero la pole fino all’ultimo secondo arrivando tutti ad un decimo l’uno dall’altro, ma alla fine fu proprio Edward ad aggiudicarsi la pole position di quella gara, la quarta di quella stagione.

Nel pomeriggio, al termine delle prove, le persone senza i pass cominciarono a lasciare i prati e gli spalti dell’autodromo, mentre il paddock continuava ancora a vivere tra piloti, tecnici, staff e ovviamente tutti quelli che, come noi, avevano avuto la fortuna di avere i pass e quindi di poter restare in mezzo a quella gente.

Ci fecero spostare presso “l’aerea ospitalità” per l’incontro con i piloti e fu in quel preciso istante che cominciò a venirmi una fifa incredibile. Si erano mostrati tutti moto gentili e disponibili nel farci fare foto e autografi, ma la mia paura era che in mezzo a tutti loro arrivasse lui.

Al momento c’erano tutti tranne i due piloti ufficiali Yamaha, quindi Edward e il suo compagno di team, e quando ci avvisarono che anche loro sarebbero arrivati a breve io compresi che non potevo più restare lì.

“Vado a cercare un bagno” dissi a Jake.

“Un bagno?” mi domandò stranito “proprio adesso? Sta arrivano Cullen” mi spiegò “Edward Cullen, hai presente?” continuò.

“Lo so, ma la mia vescica non credo sia disposta ad aspettare che lui arrivi. Se me lo perdo oggi ci sarà comunque la gara di domani” provai a dire.

“Come vuoi” mi rispose solamente baciandomi a fior di labbra.

“Non pensare che noi veniamo con te” mi disse Jane.

“Io Edward Cullen non me lo perdo” continuò Jessica che aveva fatto di lui il suo personale idolo in tutti i sensi.

“Tranquille, faccio da me” risposi già sicura che mi avrebbero detto in quel modo.

Sorrisi loro e mi allontanai senza sapere bene dove andare. Camminai per qualche minuto senza una meta precisa sperando che il tempo passasse in fretta e che, quando mi decidessi a tornare, i politi fossero già andati via. Era ridicolo quello che stavo facendo. Avevo fatto in modo di avere i pass e adesso scappavo per non vedere quel ragazzo.

La verità era che avevo una fottuta paura non tanto di ritrovarmelo di fronte, quanto di specchiare i miei occhi in quegli azzurri che erano i suoi e di accorgermi che quei quattro anni non erano serviti a nulla perché era ancora lui che mi portavo dentro.

Senza nemmeno accorgermene, e forse per ironia del destino, mi ritrovai esattamente davanti al Tir di Edward. La sua faccia stampata sulle pareti del grande camion e il numero 23, il suo numero, disegnato praticamente da tutte le parti non lasciava spazio a fraintendimenti.

Di sicuro lui doveva essersi già spostato “nell’aria ospitalità”, quindi probabilmente quello che avevo di fronte era un posto parecchio sicuro. Mi soffermai davanti al Tir e guardai la foto che lo ritraeva disegnata a caratteri cubitali e, stranamente, mi scappò un sorriso perché in quell’immagine vedevo esattamente l’Edward di cui mi ero innamorata anni prima. In quella foto c’era una vitalità senza eguali e quel sorriso sghembo che mi faceva impazzire. La cosa più bella, comunque, era vedere quel sorriso riflesso nei suoi occhi e, questo, mi era davvero mancato di vederlo durante tutte le sue interviste, come se non fosse più capace di farlo.

Distolsi lo sguardo e mi voltai per allontanarmi, ma non appena diedi le spalle al camion per tornare a camminare vidi l’ultima cosa che mi sarei aspettata di vedere.

Edward, con indosso un paio di jeans e una maglietta del suo team, segno che si fosse già tolto la tuta, era di fronte a me e mi guardava come se avesse visto un fantasma: era chiaro che non si aspettava di vedermi.

Lo vidi osservarmi sconvolto, finchè il suo sguardo si trasformò in un debole sorriso come se fosse felice di vedermi lì, davanti a lui.


Cazzo, cazzo e cazzo. Ero nei guai. Che diavolo avrei fatto adesso?

“Bella?” domandò ancora sorpreso in un sussurro appena udibile.

Avrei tanto voluto scappare, correre via, ma sapevo di non poterlo fare. Io non ero mai stata una codarda e mai avrei voluto diventarlo.

“Ciao Edward” riuscii solamente a dirgli accorgendomi che le parole mi stavano morendo in gola.

Forse, solo quando sentì me pronunciare quelle parole si rese conto che ero vera e fece per avvicinarsi a me, ma più lui si avvicinava più io tendevo ad allontanarmi finchè non mi ritrovai con le spalle al camion accorgendomi che non potevo scappare, non potevo andare da nessuna parta.

Quanto a lui, invece…beh, lui si avvicinò sempre di più finchè non me lo ritrovai ad una spanna dal viso.

Cazzo ero decisamente in trappola.

 

 

 

 

Spoiler:

“Tu stai con un altro?” mi domandò sconvolto.

“Si”.

“Da quanto?”

“Due anni, più o meno” gli risposi.

Lui cambiò espressione e una maschera di rabbia gli ricoprì il volto, ma cercò di non darlo a vedere.

“E lo ami?”

“Non credo siano affari tu”.

“Lo ami?” mi ripetè.

“Edward…” tentai di dire.

“Cazzo” urlò “ti ho chiesto se lo ami” mi disse ancora una volta sempre con un tono di voce abbastanza alto.

“Io…” stavo per dire, ma mi interruppe.

“No” rispose lui al mio posto “no che non lo ami perché altrimenti non mi avresti baciato, non in quel modo” mi rivelò sicuro di sé.

“Quello è stato un errore”.

“Ah si?” mi disse avvicinandosi nuovamente a me “è stato un errore?” ripetè malizioso usando le mie parole.

“Devo andare” gli dissi voltandogli le spalle.

Non mi diede il tempo di fare un passo che me lo ritrovai con il viso sul mio collo e il suo respiro che veloce e forte si infrangeva sulla mia pelle.

“Dimmi che lo ami come hai amato me e ti lascio andare” mi disse.

“Avevamo 17 anni, l’hai detto tu”.

“E che significa?”

“Che forse credevamo che fosse vero amore, ma non lo era”.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

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Capitolo 3
*** 3. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer


 

3.

Pov Bella

Da qualche istante ero praticamente con le spalle al “muro”, in questo caso al Tir Yamaha e di fronte a me, inesorabile, c’era Edward che si avvicinava finchè non me lo ritrovai praticamente quasi addosso.

Potevo facilmente percepire il suo respiro sulla mia pelle e la sensazione che il mio corpo stava provando non mi piaceva per nulla perché era chiaro che nessuna minuscola parte di me stava ubbidendo alla mia testa. Ogni cosa in me sembrava governata di vita propria e solo in quel momento mi resi conto che stavo faticando non poco a tenere a freno le mani e la bocca visto che l’impulso era quello di mettergli le braccia intorno al collo ed eliminare quella distanza che c’era con un bacio.

Non sapevo perché stava succedendo tutto questo anche perché di una cosa credevo di essere certa: io non amavo più Edward Cullen.

Forse, tutto questo, era dovuto all’attrazione fisica che da sempre l’uno aveva provato verso l’altra, un’attrazione che non eravamo mai riusciti a controllare. Era questa che comandava su di noi, era sempre stato così.
Dovevo assolutamente dire qualcosa perché quel silenzio associato a quella vicinanza non prometteva nulla di buono.

“Complimenti per la pole di poco fa” tentai di dirgli, ma la mia voce sembrò uscire più rauca del solito e non riuscii a non arrossire per questo.

La voce rauca? Ma scherzavamo? Cazzo, la voce rauca mi veniva fuori solo quando ero eccitata e diavolo io non potevo esserlo, non in quel momento e soprattutto con lui di fronte.

“Che ci fai qui?” mi domandò ignorando le mie parole.

La sua di voce era decisamente più tranquilla della mia, ma lui era stato da sempre in grado di controllarsi un po’ di più, almeno inizialmente.

“Sono venuta a vedere la corsa” gli risposi.

“La corsa o me?” mi domandò malizioso.

Avvampai per quell’insinuazione e sperai che il mio cervello elaborasse una risposta al più presto.

“Ti sopravvaluti un po’ troppo” riuscii a dirgli.

“Tu dici?”

“Decisamente”.

“Quindi?”

“Quindi cosa?”

“Perché sei qui?”

“Per la corsa, te l’ho detto”.

“Perché adesso?” mi domandò e compresi perfettamente che quella conversazione stava prendendo una piega contorta.

Il suo “perché adesso” era un diminutivo di “perché adesso dopo quattro anni”.

Abbassai lo sguardo senza riuscire a dire nulla e lui afferrò il mio viso con l’indice e mi costrinse ad alzare la testa e guardarlo negli occhi.

“Perché non prima?” continuò.

Cercai di abbassare nuovamente la testa, ma lui non me lo permise.

“Sono venuta per la corsa, non per te” precisai.

“Io corro” mi fece notare come se la cosa fosse ovvia.

“Sono venuta perché mi piace questo sport, non per te” spiegai cercando di correggermi.

“Chi ti ha dato i pass?”

“Chi ti dice che qualcuno me li abbia dati?”

“Non saresti qui se così non fosse”.

“Non importa chi è stato”.

“Se non sei qui per me perché farseli dare?”

“Perché i miei amici volevano vedere voi piloti e fare delle foto”.

“Ah si?” continuò lui, ma percepii perfettamente che anche il suo tono stava cambiando.

Anche lui come me stava iniziando a perdere il controllo di se stesso.

“Devo andare” dissi solamente.

“No” mi rispose deciso.
“Edward” tentai di dire.

“Vieni con me” mi disse.

“No” fui io stavolta a rispondere con decisione.

Stavo aspettando una sua qualunque risposta, ma, invece che quella, senza nemmeno accorgermene mi ritrovai sotto la sua presa ferrea e subito e con decisione le sue labbra si posarono sulle mie. Il suo corpo spostò il mio leggermente indietro facendo aderire perfettamente la mia schiena al camion, poi mi strinse di più iniziando ad approfondire il bacio.

Io restai un attimo sorpresa e quando mentalmente mi stavo riprendendo decidendo di scostarlo da me, il mio corpo reagii decisamente in tutt’altro modo e mi ritrovai praticamente a stringerlo a me e ricambiare quel bacio con la stessa intensità con cui lo stava facendo lui.


Non sapevo esattamente quanto durò il tutto, ma quando lui si staccò da me quasi mi sentii mancare l’aria perché era chiaro come il sole che lo volevo ancora lì, con le sue labbra tra le sue, con le sue mani tra i miei capelli, con il suo respiro che si confondeva con il mio.

“Vieni con me” mi ripeté con più decisione dopo avermi guardata negli occhi.

Avrei tanto voluto dirgli di no, che non volevo, ma in fondo, in fondo non era vero.

“Non…” provai a dire “non…non posso” mi lasciai scappare solamente.

Lui tornò a guardarmi e dal suo sguardo compresi che non si sarebbe arreso, non stavolta. Era decisamente lo sguardo che mi aveva fatto innamorare di lui quello che stava indossando in quel momento.

“Vieni con me” ripetè per la terza volta nel giro di pochi istanti prima di sorridermi debolmente.

A quel punto l’unica cosa che riuscii a fare fu abbassare lo sguardo e quando sentii la sua mano afferrare la mia l’unica cosa che riuscii a fare fu stringergliela talmente forte che ebbi paura gliela potessi stritolare e questo bastò a lui per fargli capire che l’avrei seguito dovunque.

Sempre mano nella mano mi condusse alle scale che portavano all’ingresso del Tir e quando lui aprì la porta mi fece entrare richiudendosela alle spalle, poi diede un giro di chiave e si voltò a guardarmi mentre io non potei fare a meno che guardarmi in giro.

Sembrava di essere in una sorta di camion gigante in cui tutto ciò che mi circondava mi ricordava del suo lavoro e del team per il quale lavorava. Era chiaro che dentro quei grossi camion lui e gli altri del team passavano molto tempo e sicuramente le varie tute da corsa sparse qua e là dimostravano che poteva anche essere il luogo dove facevano i vari cambi.

“È bello qui” riuscii a dire solamente per alleggerire la tensione.

Lui mi guardò e solo in quell’istante mi resi conto che eravamo ancora mano nella mano e lui approfittò di questo per tirarmi a sé.

“Sei bella tu” mi corresse e io lo guardai stranita, ma sorridendo.

Edward non faceva i complimenti, non me li aveva mai fatti. Lui era uno molto più dai gesti che dalle parole nonostante cercassi sempre di fargli capire che quando erano vere, anche le parole erano importanti.

“Che fine ha fatto il vecchio Edward?” domandai e lui sorrise debolmente comprendendo il motivo per cui avessi detto quelle parole.

“Sono passati quattro anni” mi rispose.

“Lo so”.

“E tu sei andata via” mi disse avvicinando il suo volto ancora di più al mio.

“Sei stato tu a mandarmi via” gli ricordai.

“Non ti ho mandata via”.

“Ah no?”

“Avanti Bella, sei stata tu che ti sei messa su un aereo e te ne sei andata a studiare a Seattle” mi disse alzando leggermente la voce, ma restando sempre con il volto ad un passo dal mio.

“Vorresti dire che adesso la colpa è mia?” domandi incredula.

“Volevo solo che mi lasciassi un po’ di spazio, non che mettessi km e km di distanza tra me e te” mi rivelò “se fossi rimasta avremmo trovato una soluzione come sempre” continuò.

“Mi hai detto che ero una distrazione per te”.

“E lo eri”.

“Edward, lasciami” gli dissi indicando la presa che aveva su di me “devo andare. I miei amici mi aspettano” continuai.

“Lo eri perché ti amavo” mi rivelò ignorando le mie parole.

“Ma amavi di più le moto, le corse” mi lasciai scappare.

“Non dire cazzate”.

“Non sono cazzate”.

“Avevo 17 anni”.

“Anche io”.

“Te ne sei andata, ma non era finita” mi rivelò.

“A me sembra di si, invece” gli risposi.

“No, non era finita” mi ribadì attirandomi il mio corpo al suo con un solo colpo “e non è finita neanche adesso” aggiunse prima di tornare a baciarmi come solo lui sapeva fare.

E Dio solo sapeva quanto avrei voluto staccarmi da lui, ma quanto allo stesso tempo non ci riuscivo. Lui era sempre stato una calamita per me e, a quanto pareva, lo era ancora.

Senza che me ne rendessi conto mi sollevò da terra e mi mise a cavalcioni su di lui continuando a baciarmi.


Mi stavo già beando di quello che sarebbe successo dopo finchè un cellulare iniziò a squillare e non riconoscendo la suoneria compresi che si trattava di quello di Edward.

Mi staccai e lui fece altrettanto mettendomi di nuovo a terra, poi afferrò il telefono che era appoggiato su un divanetto. Lesse il mittente della chiamata e subito rispose.

“Fratello che vuoi?” domandò non appena rispose e io compresi che con ogni probabilità si trattava di James perché era così che quei due erano soliti chiamarsi un tempo “no, non vengo” continuò “cazzo ho detto che non vengo. Inventa una cazzata, dì la verità, non mi interessa” aggiunse “cazzo sono con Bella quindi no, non verrò a fare delle cazzo di fotografie o dei fottuti autografi in questo momento” disse alzando il tono di voce.

Abbassai lo sguardo non sapendo cosa fare e, nel frattempo, mi guardai attorno notando un sacco di foto sparse qua e là che ritraevano Edward in veste di pilota in vari momenti degli ultimi quattro anni.

“Minchia, ma certo che sei un cazzone. No quella Bella, un’altra” disse sfottendo l’amico mentre io me la risi sotto i baffi pensando al biondo “senti devo staccare adesso” aggiunse “ma ti sembra il momento per salutarla? Ma che cazzo hai al posto del cervello, eh? Inventa una balla e non rompermi i coglioni al momento” concluse chiudendo la conversazione.

Proprio in quell’instante tornai a guardarlo e lui fece lo stesso.

“Era James” mi disse.

“L’ho immaginato” gli risposi “comunque vai, il dovere ti chiama” aggiunsi.

“Il dovere mi chiama qui, con te” mi spiegò senza troppi giri di parole.

“È sbagliato quello che stavamo per fare”.

“Io credo che non ci sia niente di più giusto”.

“Edward, siamo sinceri. Io e te non ci sappiamo mai fermare quando siamo insieme, ma le cose non sono più come una volta”.

“Possono tornare come erano prima”.

“Sono passati quattro anni. Siamo cambiati entrambi”.

“Quindi tu non mi vuoi più, giusto?” mi chiese “è questo che vuoi dirmi?” continuò.

“Io sto con un altro” gli rivelai senza più riuscire a trattenermi.

Avevo tradito Jake più di una volta in quella giornata. L’avevo tradito con il pensiero, con quei baci e l’avevo tradito anche per il fatto che stavo finendo a letto con Edward, anche se, alla fine, non era successo.

“Tu stai con un altro?” mi domandò sconvolto.

“Si”.

“Da quanto?”

“Due anni, più o meno” gli risposi.

Lui cambiò espressione e una maschera di rabbia gli ricoprì il volto, ma cercò di non darlo a vedere.

“E lo ami?”

“Non credo siano affari tu”.

“Lo ami?” mi ripetè.

“Edward…” tentai di dire.

“Cazzo” urlò “ti ho chiesto se lo ami” mi disse ancora una volta sempre con un tono di voce abbastanza alto.

“Io…” stavo per dire, ma mi interruppe.

“No” rispose lui al mio posto “no che non lo ami perché altrimenti non mi avresti baciato, non in quel modo” mi rivelò sicuro di sé.

“Quello è stato un errore”.

“Ah si?” mi disse avvicinandosi nuovamente a me “è stato un errore?” ripetè malizioso usando le mie parole.

“Devo andare” gli dissi voltandogli le spalle.

Non mi diede il tempo di fare un passo che me lo ritrovai con il viso sul mio collo e il suo respiro che veloce e forte si infrangeva sulla mia pelle.

“Dimmi che lo ami come hai amato me e ti lascio andare” mi disse.

“Avevamo 17 anni, l’hai detto tu”.

“E che significa?”

“Che forse credevamo che fosse vero amore, ma non lo era”.

“Ah si?” mi domandò malizioso “e se non lo era perché ancora riesco a farti venire i brividi solo sfiorandoti, eh?” mi chiese poggiando un delicato bacio sul mio collo.

“Smettila, ti prego”.

“Tu dimmi che lo ami come hai amato me e io smetto di fare qualunque cosa”.

“Edward, tu…” tentai di dire conscia che non avrei mai potuto dire quelle parole.

La verità era che non avevo mai amato nessuno come avevo amato quello stronzo che mi stava stringendo a sé e, forse, non avrei mai amato nemmeno in futuro con quella stessa intensità.

“Ti voglio, Bella” mi soffiò al collo prima di avvicinarsi e baciarmelo.

A quel punto, tra le sue parole e quel bacio delicato non riuscii più a trattenermi e mi voltai di scattò buttandolo praticamente sul divanetto e salendogli sopra prendendo a baciarlo con la stessa passione che avevo sempre provato verso di lui.


Lo stavo baciando fregandone altamente che nella mia vita c’era Jake adesso, fregandomene che quattro anni prima quello stronzo mi aveva definito la sua “distrazione”, fregandomene che avevo passato gli ultimi quattro anni a cercare di dimenticarlo e a soffrire in silenzio.

La verità era che da quando Edward non faceva più parte della mia vita io avevo smesso di sentire ogni cosa. Vivevo, ma non sentivo e mi mancava disperatamente la me capace di sentire qualcosa. Beh, in quel momento, mentre baciavo Edward, in quel preciso momento io stavo sentendo ogni singola emozione invadermi la pelle e mi resi conto che non c’era sensazione più bella di quella.

Ci baciammo con ancora più passione e senza pensare al dopo, né alle conseguenze infilai la mia lingua nella sua bocca. Non si fece trovare impreparato a quel contatto e con tutta l’avidità che possedeva ricambiò quel bacio. Le nostre lingue sembravano selvagge di incontrarsi e io avevo, ormai, perso ogni facoltà razionale.

Sapevo che era sbagliato, ma in quel momento non me fregò nulla. Avrei pensato dopo al resto. Per adesso mi sarei goduta il momento.

Edward invertì le posizioni e così io, con la mano libera percorsi il profilo della sua schiena e percepii chiaramente la sua eccitazione. La sentivo perfettamente a contatto con il mio ventre visto che il corpo di lui ed il mio erano attaccati, sembravano quasi incollati con la colla più potente. Ci staccammo per un momento da quel bacio e vidi il suo volto pieno di goduria, specchio probabilmente del mio.

In pochi secondi gli sbottonai i jeans aprendo la zip dei pantaloni e senza pudore li abbassai leggermente, passando poi alle mutande. Nel frattempo lui mi abbassò la mini di jeans facendo cadere le mutandine, poi si posizionò meglio su di me e dopo avermi dato un bacio più lungo degli altri entrò dentro di me prima lentamente, poi sempre più forte. Si fermò solo per qualche breve istante, giusto il tempo di sbottonarmi la camicia e sollevarmi il reggiseno, mentre io lo liberai della sua maglietta.

Insieme a lui anche io mi muovevo ritmicamente avanti e indietro a ritmo delle sue spinte e ansimavo dall’eccitazione. Non avrei voluto che si fermasse mai e lui continuò fino al punto in cui mi uscii fuori un gemito più forte e venni.

Alzò la testa quel tanto che gli bastava per guardarmi e mi sorrise sghembo soddisfatto del suo lavoro, ma non si fermò. Non aveva intenzione di farlo. Rallentò le spinte concentrandosi sulle mie labbra che riprese a baciare con avidità, tra giochi di lingue e morsi, ma poi riprese bramoso come solo lui sapeva fare.

I gemiti di lui si confondevano con quelli miei e in poco tempo le spinte si fecero più forti fin quando sentii dentro di me un liquido caldo, un liquido misto al mio. Era appena venuto dentro di me e non c’era cosa che amavo di più di questo, era sempre stato così. Riuscivo a sentirlo mio in tutti i modi in cui una persona può esserlo.

Solo quando lui uscì da dentro di me mi resi davvero conto di quello che fosse appena successo. Io ed Edward avevamo fatto l’amore.

Lui si posizionò accanto a me e mi attirò a sé, baciandomi una tempia.

Restammo in silenzio per qualche attimo e non mi fu difficile notare il suo sguardo puntato sul mio, uno sguardo indagatore come se volesse leggere nei miei occhi qualcosa che al momento mi sfuggiva.

Quante volte avevo sognato quegli occhi, belli come il Paradiso, magnetici come calamite. Tante volte, troppe e adesso quegli occhi mi stavano fissando con intensità e in quel momento faticai per tenere la bocca chiusa e non dire qualcosa di cui poi mi sarei pentita.

Quasi senza accorgermene mi voltai a controllare l’orologio che c’era su un mobiletto lì vicino e mi resi conto che era passata più di un’ora da quando mi ero allontanata dai ragazzi con la scusa di andare in bagno.

“Cazzo è tardissimo” dissi “a quest’ora gli altri mi avranno dato per dispersa” continuai facendo per alzarmi, ma Edward non me lo permise stringendomi di più a sé.

“Resta”.

“Edward davvero, devo andare. Ho detto loro che dovevo andare in bagno. è passata più di un’ora” tentai di spiegargli.

“Il tuo posto è qui” mi rivelò “con me” aggiunse.

Lo guardai e avrei voluto saltargli addosso per quello che aveva appena detto, ma non potevo, non era giusto.

“Abbiamo avuto il nostro tempo e l’abbiamo sprecato”.

“Eravamo dei ragazzini”.

“E adesso credi che siamo così tanto più maturi?” gli domandai “guardaci? Io ho un fidanzato e sono venuta a letto con te e tu? Tu saresti dovuto essere lì fuori a fare foto e autografi ai tuoi fan e, invece, sei qui con me mandando a puttane il tuo lavoro. Molto maturo da parte di entrambi, ammettiamolo” tentai di dire.

“Smettila con queste cazzate” mi rispose “siamo stati quattro anni lontani e poi ci siamo visti e nel tempo di uno sguardo guarda dove siamo finiti. Questo vorrà pur dire qualcosa”.

“Si, che siamo degli stupidi”.

“O forse che nessuno dei due ha dimenticato quello che eravamo”.

“Cazzo Edward, smettila” gli urlai allontanandomi da lui e alzandomi dal letto per vestirmi “mi hai lasciata perché ero una distrazione per te e io ho dovuto fare a meno di te per tutto questo tempo. Adesso non puoi fare finta che questi anni non siano esistiti” gli urlai.

“Non è questo che voglio”.

“E cosa vuoi allora?”

“Non voglio dover più pagare l’errore fatto a diciassette anni”.

“E allora perché non sei venuto da me? Sapevi dove vivevo, potevi prendere un aereo e venirmele a dire queste cose”.

“Avrei dovuto farlo, hai ragione”.

“Ma non l’hai fatto”.

“Credevo che, alla fine, sarei riuscito a dimenticarti davvero”.

“Era questo che volevi?”

“Tu sei sempre stata la mia debolezza”.

“Ah si?”

“La felicità è sempre una debolezza, soprattutto per chi fa il mio lavoro”.
“Che vuoi dire?”

“Che non avere legami affettivi come il nostro può aiutare in quello che faccio”.

“Vuoi dire che se non hai una ragazza che si preoccupa non importa se vai a sbattere contro un muro o ti sfracelli a 300 km orari sull’asfalto?”

“Più o meno”.

“Sei assurdo”.

“È per questo che non sono venuto. Perché quando ho raggiunto il mio sogno e tu non c’eri ho capito di aver fatto una cazzata, ma ho capito anche che forse ti era già dimenticata di me e che la vita che avrei potuto darti da quel momento in poi non era quella che meritavi”.

“Avrei dovuto deciderlo io questo”.

“Puoi deciderlo ora”.

“Ora è tardi”.

“Non ti farò uscire da qui dentro, lo sai, vero?” mi domandò retorico.

“E cosa hai intenzione di farmi? Rapirmi?” domandai quando fui totalmente vestita.

“Un giorno, dammi un giorno” mi disse.

“Che?”

“Stai con me un giorno intero e poi deciderai cosa è meglio per te”.

“Che vuoi dire?”

“Che capirai se vuoi stare con me o se preferisci continuare la tua vita con lo stronzo che ha preso il mio posto”.

“Lo stronzo, come lo chiami tu, non lo conosci neppure”.

“Mi basta sapere che si è preso ciò che era mio”.

Ci fu un attimo di silenzio, poi mi decisi a parlare.

“Edward, io devo andare”.

“No” mi urlò bloccandomi per un polso “un solo giorno, ti prego” mi disse “me lo devi” aggiunse.

“Io non ti devo niente”.

“Lo devi al nostro amore” mi spiegò “a quello che siamo stati” continuò.

“Anche se volessi non posso farlo”.

“Perché?”

“Che scusa invento a Jake? E agli altri?” domandai “che Edward Cullen oltre che essere il campione del mondo di motociclismo è il mio ex fidanzato, che sono appena stata a letto con lui e che voglio passare una giornata intera insieme a lui in memoria dei tempi andati?” lo presi in giro.

“Hai appena detto che vuoi”.

“Che?” domandai non capendo.

“Hai detto che vuoi passare una giornata insieme, quindi qualunque scusa inventerai andrà bene”.

Mi resi conto solo in quel momento di aver detto avvero quelle parole, ma preferii non ribadire per evitare ulteriori danni da parte mia visto che ne avevo fatti parecchi nel giro di quell’ora nella quale lo avevo rivisto.

“Non conosco nessuno qui. Non ho nessuna scusa plausibile da rifilare loro per essere credibile”.

“Conosci me”.

“Jake non sa di te e comunque sia non credo che acconsentirebbe a questa folle idea”.

“Bene” mi disse solamente.

“Bene” ribadì io sorprendendomi quando vidi lui afferrare nuovamente il cellulare.

Compose un numero e si portò il telefono all’orecchio.

“Chi chiami?” domandai.

Lui non mi degnò di risposta e così mi misi in attesa di capirci qualcosa e non ci volle molto per capire chi stava chiamando.

“Vic mi serve un favore” disse non appena la mia vecchia amica gli rispose al telefono “si, sono con Bella e noto con piacere che James un pacco di cazzi suoi, come al solito, non se li sa fare” continuò “certo, come no. Comunque sia, mi serve un favore” aggiunse “devi venire subito qui al Tir. Dovrai fingere di passare tutta l’intera giornata con Bella visto che è parecchio tempo che non vi vedete” le spiegò “ma che cazzo no, devi far finta. Bella resta con me, ma serve una scusa da rifilare a quel cazzone del suo fidanzato” aggiunse mentre io gli lanciai un’occhiataccia “ok, muoviti gentilmente” concluse prima di chiudere.

A quel punto mi guardò e sorrise.

“Tutto risolto”.

“Che significa?”

“Adesso viene Vic e insieme andrete da quello stron…” stava per dire, ma visto lo sguardo che gli lanciai cambiò espressione “andrete da Jake e dagli altri tuoi amici e gli dirai che tu e Vic vi siete incontrate qui, che non vi vedete da un po’ e che volete passare del tempo insieme. Se lui fa storie ti inventerai che Vic ha un qualunque problema di cuore e che gli serve l’appoggio di un’amica, poi darai a lui il benservito e torni da me. Mi concedi questa giornata e stasera deciderai cosa fare” mi spiegò breve e coinciso.

Aveva pensato proprio a tutto.

“E se dico di no?”

“Non dirai di no”.

“Perché?”

“Perché vuoi stare con me allo stesso modo in cui io voglio stare con te”.

“Se questa storia finirà male tu non ci perderai nulla, io si, invece” gli spiegai riferendomi chiaramente a Jake.

“Ti sbagli. Se finirà male io perdo te” mi rispose “di nuovo” aggiunse poco dopo.

Sorrisi nel sentirgli pronunciare quelle parole e compresi che era decisamente diverso dall’Edward che conoscevo.

“Stento a riconoscerti, lo sai?”

“Perché?”

“Perché in passato non avresti detto così apertamente queste cose”.

“In passato non sapevo cosa significasse vivere senza avere te al mio fianco”.

“Edward…” tentai di dire, ma lui si alzò dal letto e si avvicinò a me.

“Niente Edward” mi disse “mi sei mancata” aggiunse.

Abbassai lo sguardo consapevole che guardandolo negli occhi avrei finito per sciogliermi anche io, ma lui con l’indice mi alzò lo sguardo per costringermi a guardarlo.

“Ok, ok” mi arresi mettendo le mani avanti “colpita e affondata” dissi “mi sei mancato anche tu” conclusi prima che lui si avvicinasse per baciarmi a fior di labbra.

Fino a due ore prima credevo di avere una certezza e cioè quella di non essere più innamorata di Edward.

Adesso, due ore più tardi, non c’era più nessuna certezza dentro di me, men che meno quella.

Io, nonostante tutto e tutti, nonostante perfino lui stesso e la sua cazzutaggine, ero ancora troppo innamorata di quell’idiota di pilota.

 

 

 

 

Spoiler:

Quando anche gli altri fecero l’autografo, io mi avvicinai ancora di più a lui e per non destare sospetti gli diedi un foglio di carta.

“Anche tu vuoi l’autografo?” mi domandò lui divertito dalla scena.

Ma era scemo o cosa? Gli sembrava il modo di comportarsi.

“Perché non dovrei?” chiesi con fare retorico.

Lui uscii leggermente le labbra con fare sensuale, ma strafottente indossando un sorrisino sghembo da prendere a schiaffi, poi abbassò la testa tornando serio non appena io lo fulminai con lo sguardo.

“Perché te l’ho appena fatto l’autografo” mi disse a voce bassa e con fare malizioso quando si avvicinò per prendere il foglio e la penna che gli stavo porgendo.

Ok, era ufficiale: quel ragazzo era un’idiota.

Gli lanciai un altro sguardo furente e lui, per tutta risposta, mi sorrise gagliardo. 

“Addosso per giunta” aggiunse sempre a voce bassa riferendosi chiaramente al fatto che avessimo fatto l’amore poco prima “a nome?” mi domandò poi a voce più alta con lo sguardo basso verso il foglio.

“Bella” gli risposi.

Lui alzò la testa proprio in quel momento e mi guardò sorridendomi sghembo.

“Concordo” mi rispose solamente come a volermi fare un complimento prima di abbassare nuovamente la testa e iniziare a scrivere.

Quando terminò mi passò il foglietto e la penna e io li infilai in borsa senza nemmeno controllare cosa avesse scritto, poi mi voltai verso Jake che era talmente preso, così come gli altri, dalla presenza di Edward che non si era accorto praticamente di nulla.

“La foto non la facciamo?” mi domandò Edward con espressione cordiale, mentre io mi voltai fulminandolo.

Quando aveva intenzione di togliersi dai piedi? Per quanto ancora aveva deciso che doveva farmi stare in una situazione di imbarazzo?

“Certo” rispose Paul al mio posto “ve ne faccio una io” aggiunse afferrando nuovamente la macchina fotografica.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

Vi lascio inoltre anche il link della pagina facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è a nome dell’altra storia che ho in corso proprio per non crearne una nuova sola per questa storia. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta, in modo che chi non segue l’altra potrà comunque tenersi informato con questa. Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts

 

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Capitolo 4
*** 4. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer


 

4.

Pov Bella

Cinque minuti più tardi Vic si era presentata davvero sul Tir insieme a James e ovviamente l’accoglienza che entrambi mi avevano riservato quasi mi aveva messo i lacrimoni agli occhi. Era sempre bello vedere i vecchi amici, ma era ancora più bello vedere loro. Con Vic in quegli anni mi ero sempre mantenuta in contatto e ci eravamo viste un paio di volte, con James invece i rapporti si erano raffreddati parecchio. Non che io lo avessi voluto, ma era l’unica cosa possibile da fare considerato che il biondo ed Edward erano davvero troppo amici perché io potessi continuare ad avere un rapporto con lui.

Ogni tanto lo sentivo telefonicamente, più che altro quando chiamavo Vic o quando lei chiamava me, ma non scendevamo mai nei dettagli delle rispettive vite. Eppure non appena mi aveva vista aveva praticamente spintonato la sua ragazza per riuscire a salutarmi lui per primo e mi era bastato guardarlo negli occhi prima che mi stringesse in un abbraccio per capire che quei quattro anni di lontananza, in fondo, non era nulla se paragonati a tutti gli anni che avevamo trascorso insieme fin da quando eravamo bambini.

Alla fine, comunque, Edward aveva spiegato in poche e semplici parole il fine del discorso ed era per questo motivo che io e la mia amica eravamo uscite da quel Tir e ci eravamo dirette “nell’aria ospitalità” dove avevamo trovato Jake e gli altri che si guardavano in giro preoccupati.

Dei piloti non c’era più traccia ed erano rimaste poche persone in giro, in quanto quasi tutti erano andati via per far ritorno al circuito solo il giorno dopo per assistere alla gara.

Quando il mio fidanzato insieme agli altri mi aveva visto mi era corso incontro urlando dietro ogni cosa. Era arrabbiato, ma più che arrabbiato era chiaro fosse preoccupato.

Del resto ero stata via per un’ora e mezza senza dare notizie di me e, per giunta, avendo messo il silenzioso al telefono non l’avevo sentito squillare e, quindi, non avevo neppure risposto alle chiamate che tutti mi avevano fatto.

“Jake, basta. Datti una calmata” provai a dire dopo la sua ennesima sfuriata “ti ho già detto che ho incontrato Vic e ci siamo fermate a parlare. Ho perso la concezione del tempo” mentii spudoratamente.

Avevo già presentato i due pochi minuti prima affermando che la rossa fosse una mia amica di vecchia data e, almeno su questo, non avevo detto nessuna bugia.

“È vero” mi diede manforte la mia amica “non ci vedevamo da un bel po’ e avevamo un sacco di cose da dirci” continuò.

“Ho capito, ma una telefonata potevi farla” mi rimproverò “sei sparita. Poteva essersi successo la qualunque” aggiunse.

Sbuffai alzando gli occhi al cielo e spiegandogli per l’ennesima volta che me l’ero completamente tolto dalla mente.

Quando sembrò calmarsi mi decisi a sganciare la bomba.

“Ascolta, è un problema se passo il pomeriggio con Vic e ci rivediamo stasera in hotel?” chiesi a lui.

“Che?” mi domandò stranito.

“Senti, Jake giusto?” domandò la mia amica e quando lui annuii riprese a parlare “ho appena rotto con il mio fidanzato che mi ha praticamente mollata qui senza curarsi di nulla” mentii senza far trasparire nessuna emozione “e chiamalo destino o coincidenza mi sono ritrovata Bella sulla mia strada, quindi abbi pazienza” continuò “lasciamela solo per un paio d’ore. Ho bisogno della mia amica” concluse cambiando completamente sguardo.

Sembrava un cane bastonato abbandonato sul ciglio di una strada. Da quando aveva imparato a mentire così bene?

Guardai Jake e lo vidi addolcire lo sguardo, segno che le bugie di Vic avevano fatto effetto e mi sentii ancora più in colpa per questo.

“Avanti amico” iniziò a dire Embry “che vuoi che siano un paio d’ore” gli disse cadendo anche lui nella subdola trappola di Vic.

“Ok, ok” prese a dire il mio fidanzato “è giusto che tu vada. Non si tradisce mai un’amicizia” aggiunse sorridendomi appena “quanto a te mi dispiace, a volte noi uomini sappiamo essere davvero crudeli” concluse riferendosi alla mia amica e al racconto che aveva detto circa la rottura della sua storia d’amore.

Vic lo guardò scrollando le spalle, ma mantenendo la recita, mente io fui costretta ad abbassare lo sguardo colpita da ciò che Jake aveva appena detto, ma subito cercai di tornare a guardarlo per non rischiare di far capire a lui che qualcosa non andava.


Ero io quella crudele, quella che non solo lo aveva appena tradito, ma che gli stava anche mentendo pur di sgattaiolare via in compagnia dell’ex fidanzato. Esistevano al mondo persone più subdole di me?

“Ti ringrazio” prese a dire Vic, mentre Jake cambiò improvvisamente espressione.

“No” disse solamente.

“No?” domandai stranita.

“No, non può essere lui” prese a dire fissando un punto dietro di noi “quello non può essere Edward Cullen. Ci avevo perso le speranze per oggi” continuò.

Tutti ci voltammo guardando nella direzione indicataci da Jake e non fu difficile a nessuno individuare cosa stava succedendo.

Edward era in compagnia di James ed era praticamente circondato da un gruppo di persone che erano ancora presenti “nell’aria ospitalità” insieme a noi. Iniziò a fare foto e a firmare autografi, mentre io lanciai uno sguardo d’intesa a Vic come a dirgli “sta fuori come un balcone” riferendomi chiaramente al mio ex fidanzato.

Cazzo non poteva presentarsi adesso, non dopo quello che era successo. Con che coraggio avrei guardato lui e poi Jake dopo che eravamo finiti a letto insieme?

Era un gesto subdolo quello che aveva appena fatto, davvero subdolo.

Non ebbi il tempo di realizzare nulla perché subito Jake e gli altri si buttarono intorno alla mischia delle persone per fare le foto anche loro, mentre io non sapevo cosa fare.

“Bella cambia espressione” mi disse Vic avvicinandosi a me.

“Perché?”

“Perché sembri un’anima in pena” mi spiegò.

“Secondo te è normale che è venuto qui?”

“Sta facendo il suo lavoro” tentò di giustificarlo lei.

“Se voleva fare il suo lavoro sarebbe venuto prima, non adesso che non c’è più nessuno”.

“Credi davvero che dopo che gli hai detto che hai un altro non sarebbe venuto a constatare di persona chi è il lui che ha preso il suo posto?” mi domandò retorica.

“Io lo odio” riuscii solamente a dire sbuffando.

“Il che significa che lo ami due volte” mi rispose.

“E diavolo Vic, non ti ci mettere pure tu” gli dissi alzando le mani come stufata.

E lo ero, ero davvero stufa di tutta quella dannata situazione. Lo ero perché era tutto sbagliato, ma continuavo a perseverare in quello sbaglio. Ero una fottuta idiota, ecco cos’ero.

Mi voltai nuovamente a guardare la scena e mi resi conto che le altre persone si erano spostate entrando nei box probabilmente per prendere ciò che avevano lasciato lì in modo da potersene già andare. Jake e gli altri miei amici, invece, avevano appena catturato l’attenzione di Edward.

“Ti conviene avvicinarti. Sembri poco credibile se resti qui” mi rivelò James che si era avvicinato a noi.

Quando era successo? Fino a pochi istanti prima era accanto all’amico e adesso era qui.

“Se tu vieni qui a parlare con noi finirò per essere poco credibile comunque” gli feci notare mentre Vic lo fulminò con lo sguardo.

Lasciai perdere e mi avvicinai agli altri. Jake in quel preciso momento stava prendendo una foto di Edward dallo zaino e afferrando una penna la passò al diretto interessato.

“Mi chiamo Jake” disse solamente in modo che Edward sapesse a chi indirizzare l’autografo.

A quel punto il mio ex, individuando in quel nome lo stesso che mi aveva sentito nominare poco prima, alzò lo sguardo puntandolo verso il mio fidanzato e lo fissò per qualche istante con espressione indecifrabile, poi però afferrò la penna e scrisse una breve dedica prima di lasciare incisa la sua firma.

Quando anche gli altri fecero l’autografo, io mi avvicinai ancora di più a lui e per non destare sospetti gli diedi un foglio di carta.

“Anche tu vuoi l’autografo?” mi domandò lui divertito dalla scena.

Ma era scemo o cosa? Gli sembrava il modo di comportarsi.

“Perché non dovrei?” chiesi con fare retorico.

Lui uscii leggermente le labbra con fare sensuale, ma strafottente indossando un sorrisino sghembo da prendere a schiaffi, poi abbassò la testa tornando serio non appena io lo fulminai con lo sguardo.


“Perché te l’ho appena fatto l’autografo” mi disse a voce bassa e con fare malizioso quando si avvicinò per prendere il foglio e la penna che gli stavo porgendo.

Ok, era ufficiale: quel ragazzo era un’idiota.

Gli lanciai un altro sguardo furente e lui, per tutta risposta, mi sorrise gagliardo. 

“Addosso per giunta” aggiunse sempre a voce bassa riferendosi chiaramente al fatto che avessimo fatto l’amore poco prima “a nome?” mi domandò poi a voce più alta con lo sguardo basso verso il foglio.

“Bella” gli risposi.

Lui alzò la testa proprio in quel momento e mi guardò sorridendomi sghembo.

“Concordo” mi rispose solamente come a volermi fare un complimento prima di abbassare nuovamente la testa e iniziare a scrivere.

Quando terminò mi passò il foglietto e la penna e io li infilai in borsa senza nemmeno controllare cosa avesse scritto, poi mi voltai verso Jake che era talmente preso, così come gli altri, dalla presenza di Edward che non si era accorto praticamente di nulla.

“La foto non la facciamo?” mi domandò Edward con espressione cordiale, mentre io mi voltai fulminandolo.

Quando aveva intenzione di togliersi dai piedi? Per quanto ancora aveva deciso che doveva farmi stare in una situazione di imbarazzo?

“Certo” rispose Paul al mio posto “ve ne faccio una io” aggiunse afferrando nuovamente la macchina fotografica.

Edward si avvicinò a me e mi sorrise, poi mi mise un braccio intorno alla vita attirandomi a sé e prima che Paul schiacciasse il tasto per scattare la foto sentii la mano di Edward farsi spazio sul mio fianco. In sostanza mi stava facendo una sorta di grattino cercando di mantenere una naturalezza disarmante e io rabbrividì a quel contatto.

Del resto succedeva sempre anche in passato tutte le volte che lui mi toccava o sfiorava solamente.

A vederlo da fuori saremmo sembrati due persone comuni che si stavano concedendo una foto, ma per chi conosceva la situazione era chiaro che ci fosse molto di più sotto.

Adesso stava davvero esagerando e ringraziai il cielo che Jake, al momento, fosse troppo in mezzo alle nuvole per accorgersi razionalmente di quello che stava succedendo.

Dopo la foto Edward non si mosse restando nella stessa posizione e fui io, stavolta, a interrompere quel contatto che mi stava facendo già venire i brividi alla schiena e dandogli un’impercettibile gomitata mi scansai da lui.

“Posso vedere come è venuta?” domandò lui con fare cordiale.

“Ma certo” gli rispose Paul raggiante.

Edward Cullen gli stava dando modo di parlare con lui e loro non avrebbero certamente rifiutato.

“Dai, faccio io” disse Jessica prendendo la digitale dalle mani di Paul e avvicinandosi a lui per mostrargliela.

Lui la guardò divertito essendosi già accorto dell’ascendente che aveva su di lei, poi si voltò a guardarmi e mi sorrise divertito.

“Sei venuto benissimo” continuò la castana mostrandogli la foto.

“Ne ho viste di meglio” fu l’unica risposta che diede lui guardando me.

Era chiaro che si riferisse ad altre foto che avevamo fatto insieme in passato e io davvero sperai solo che andasse via da lì. Non bisognava sfidare troppo la sorte perché se continuava così avrebbe finito per farci scoprire.

Lui si stava divertendo, ma io no, per nulla. Io avrei solo voluto prenderlo a sberle fino a fargli diventare la faccia uno scarabocchio.

“Beh, adesso vi lascio. Ho delle cose da fare” disse alla fine tornando serio e lanciando uno sguardo a James che subito di avvicinò a lui.

“Tu non fai nessuna foto?” domandò Jane con fare innocente verso Vic.

O cazzo. Lo sapevo che avremmo finito per farci scoprire.

“Già fatto. Ho beccato lui poco fa all’uscita del suo Tir e ne ho approfittato” rispose la mia amica con assoluta tranquillità.

Era diventata una bugiarda da far paura. Non me la ricordavo affatto così.

“Già, mi ricordo” commentò solamente Edward mentre James se la rise sotto i baffi.

Erano due idioti e questo, in quattro anni, sicuramente non era cambiato.

I ragazzi gli fecero un saluto allucinantemente caloroso, specialmente Jessica che, per salutarlo, gli si buttò quasi letteralmente addosso.

Quando stavano per andare via, però, qualcuno richiamò l’attenzione di lui.

“Edward?”

Ci voltammo tutti verso la voce e notai che proveniva da una ragazza che, visto l’abbigliamento, non poteva che essere una di quelle ragazze che di domenica faceva l’ombrellina. Accanto a lei c’era, invece, una ragazza vestita normalmente anche se la camicia che indossava aveva una scolla decisamente vertiginosa resa ancora più evidente dalla grossa taglia di seno che possedeva.

“Ehy Heidi” gli disse lui quando la vide.

Era chiaro che si conoscessero e visto il lavoro che faceva lei non c’erano dubbi in merito.

“La mia amica voleva un autografo, ma non sono riuscita a procurarle i pass” iniziò a spiegare “adesso che i controlli sono minori vista l’ora sono riuscita a farla entrare qui nei paddock senza problemi” continuò “non è che glielo faresti comunque?” domandò alla fine.

Lui le sorrise gentilmente e si avvicinò alle due.

“Come ti chiami?” domandò alla ragazza.

“Gisele” gli rispose lei con tono provocante.

Già sentendo solo il tono il sangue mi salii al cervello.

“Dove lo facciamo questo autografo?” domandò poi lui afferrando il pennarello che la ragazza gli aveva appena dato.

“Qui” disse parandogli in faccia il suo seno.

Era chiaro che voleva semplicemente che lui mettesse le mani tra le sue bocce e, per un attimo, ebbi l’istinto di correre da lei e prenderla a pedate.

Edward la guardò divertito, poi senza farsi nessun problema prese il pennarello e mise la sua firma nel seno siliconato destro.

“Grazie” gli disse lei “sei il migliore” continuò.

Lanciai uno sguardo furente in direzione di James e fortunatamente lui comprese il mio malumore perché si avvicinò all’amico.

“Dobbiamo andare adesso” lo informò.

“Andiamo” gli rispose il mio ex sorridendo alle due prima di voltarsi per andare via.

Prima si sparire, però, mi lanciò uno sguardo che ben poco lasciava all’immaginazione e io abbassai la testa imbarazzata.

Quando entrambi scomparvero Jake si avvicinò nuovamente a me ed era decisamente raggiante, così come gli altri.

“Non vedo l’ora sia domani” iniziò a dire Jessica ridendo e muovendo la testa a destra e sinistra.


“Eh che cazzo Jessica, sembra che non hai mai visto un ragazzo figo in tutta la tua vita” le dissi in tono serio “asciugati la bava, sembri un cagna in calore” aggiunsi accorgendomi solo dopo di aver pronunciato quelle parole.

Le volevo bene e tanto anche, ma quando faceva così la detestavo. O forse, semplicemente, detestavo il fatto che mostrasse apertamente tutto quell’interesse nei confronti di Edward. Che poi era anche naturale che fosse così. Per lei Edward era un idolo, mentre per me era diverso. Io semplicemente lo vedevo come un normale essere umano e non come un personaggio pubblico inaccessibile per noi comuni mortali. In effetti sbagliavo perché, Edward, non era più un di noi, lui era uno che vedi in tv e pensi “uno così non lo conoscerò mai”.

La vidi guardarmi sconvolta e solo quando notai lo sguardo degli altri compresi di aver davvero esagerato. Questo succedeva quando permettevo alla mia assurda ed immotivata gelosia nei confronti di Edward Cullen di uscire fuori.

“Ma che problemi hai, si può sapere?” mi domandò lei infastidita dal mio atteggiamento e aveva anche ragione.

“Nessuno” le risposi “scusa” aggiunsi abbassando il capo.

Lei lasciò perdere allontanandosi per raggiungere i box per prendere lo zaino che avevamo lasciato lì ad inizio giornata.

“Noi andiamo” mi disse Embry “tu resti con la tua amica, giusto?” mi domandò poi.

Io annuii semplicemente e loro, dopo un breve saluto, raggiunsero Jessica.

“Mi spieghi che ti è preso?” mi domandò Jake che era rimasto lì con me.

“Niente. È solo che è sfiancante sentirla sempre sbavare dietro a quel tipo” gli risposi riferendomi chiaramente a Edward.

“Tu non sbavi dietro a nessuno della tv?” mi domandò retorico.

“Ma che c’entra? È diverso” gli risposi.

“Ah si? E che c’è di diverso?”

“Edward è…” stavo per dire, ma Vic fece un colpo di tosse riportandomi alla realtà.

Che diavolo stavo facendo? Volevo praticamente avvisarlo che conoscevo quel loro idolo praticamente da sempre?

“È cosa?” mi chiese.

“È uno spocchioso pilota che sa di essere bello e se la tira” risposi inventandomi la prima cosa credibile che mi venne in mente.

“Perdonala se lei non è razionale come lo sei tu” mi prese in giro lui.

“Ok, ho sbagliato” gli dissi “scusati nuovamente da parte mia” aggiunsi “io adesso devo andare. Ci vediamo stasera in hotel” conclusi.

“Mi raccomando” mi rispose solamente sorridendomi, poi mi baciò a fior di labbra e dopo aver salutato Vic si premurò a raggiungere gli altri.

Si era appena raccomandato per qualcosa che avevo già fatto. Era una sorta di “comportati bene” e io avevo già dimostrato di non saperlo fare, non in presenza di Edward almeno.

Non fece neppure cinque passi che si voltò nuovamente verso di me.

“Victoria?” chiamò lui la mia amica “sei sicura che io e te non ci siamo mai visti?” domandò.

Oh cazzo. Non potevo crederci.

“Ovvio che no” gli rispose lei sicura si sé.

“Boh” disse lui “allora sarà che mi ricordi qualcuno” concluse prima di voltarsi e raggiungere gli altri.

Possibile che l’avesse notata in tv? Beh, in effetti le possibilità c’erano visto che anche io l’avevo vista inquadrata di sfuggita durante le veloci riprese dei giornalisti nei box. Fortuna era che Jake ci aveva creduto. Scacciai via quei pensieri e mi concentrai sulla mia amica che mi guardava storta.

“Sei scema o cosa?” mi chiese Vic quando restammo sole.

“Mi sono corretta”.

“Grazie a me” mi rispose “e comunque mi riferivo alla reazione che hai avuto con la tua amica” mi spiegò.

“Non fa altro che fare commenti su Edward. E io oggi sono tesa come una corda di violino” provai a giustificarmi.

“Tu sei gelosa marcia, invece”.

“Assolutamente”.

“Per questo l’hai fulminato con lo sguardo quando ha fatto il suo autografo a quella lì? Hai praticamente costretto con lo sguardo James a intervenire”.

“Ma secondo te sono cosa che si fanno quelle lì?”

“Noi non le facciamo, ma altra gente, come quella ragazza, si”.

“E c’è ne sono parecchie come quella lì?”

“Qualcuna” mi rivelò “ogni tanto” continuò.

Restai in silenzio per qualche attimo colpita da quelle parole e senza aggiungere nulla ci dirigemmo nuovamente verso il Tir dove avremmo trovato Edward.

“Non sarei mai dovuta venire qui” mi lasciai scappare mentre camminavamo.

“Perché?”

“Guarda come è finita”.

“Io non ci vedo nulla di strano in quello che è successo”.

“Ho tradito il mio ragazzo con il mio ex e sono saltata addosso a Edward nonostante quello che ho passato per causa sua in questi quattro anni” iniziai a dirle “ti sembra normale tutto questo?” domandai poi con fare retorico.

“La verità è che tu non l’hai dimenticato”.

“Lo so”.

“E lui non ha dimenticato te”.

“Lo so” ripetei nuovamente.

Adesso sapevo che era così, ma non riuscivo ancora a capacitarmi di questo. In quei quattro anni non avevo fatto altro che convincermi che lui fosse andato avanti e che non gliene importasse più nulla di me.

“Era normale che sarebbe finita così” continuò lei.

“È sbagliato”.

“L’amore non è mai sbagliato”.

“Non è amore il nostro. È attrazione fisica”.

“Seeee, continua a crederci”.

Io non risposi e restammo in silenzio finchè non raggiungemmo la nostra destinazione. E solo quando mi ci trovai di fronte mi resi conto che non eravamo al Tir Yamaha di poco prima, ma che, superando tutti i camion di ogni team, eravamo arrivati in prossimità di un gruppo di motorhome di diversa forma e colore.

“Dove andiamo?” le chiesi.

“Da Edward”.

“Si questo l’ho capito. Pensavo la nostra direzione fosse il Tir”.

“A quest’ora si sono già spostati. Sono nel motorhome” mi spiegò indicandomene uno a pochi metri da noi.

Era enorme e lungo almeno 15 metri, nero e con dei disegni giallo-verdi. Guardandolo compresi subito che, tra i tanti, quello che stavo osservando fosse esattamente quello di Edward visto che riprendeva fedelmente i suoi colori preferiti: il nero e il giallo fluo.


Anche se poteva non sembrarlo, Edward era sempre stato uno attento ai dettagli, specialmente in queste cose.

“Quindi non andate in hotel durante i week-end di gara?” chiesi curiosa.

“Edward non vuole, preferisce il motorhome”.

“Perché?”

“Dice che gli alberghi sono scomodi e poi tutte le mattine dovresti svegliarti presto e…” stava per dire.

“E a lui piace dormire” conclusi la frase al suo posto.

Lo conoscevo troppo bene per non saperlo e lei mi guardò e mi sorrise confermandomi chiaramente la cosa.

“E immagino che sia James a guidarlo, giusto?” domandai.

In fondo il biondo qualcosa doveva pur farla.

“Esatto. È lui che si occupa di tutto”.

“Anche dell’ordine lì sopra?” domandai sorpresa.

“Specialmente di quello”.

“Allora, conoscendolo, ci sarà lo schifo lì sopra” risposi convinta.

“Ti sbagli” mi rivelò “tenere in perfetto ordine tutto e soprattutto fare in modo che tutto sia sempre funzionante è il suo lavoro” mi spiegò.

“E bravo James” mi lasciai scappare “chi se lo aspettava da lui” conclusi sorridendo e facendo ridere anche lei.

Ci avvicinammo al motorhome e prima di salire, lei si voltò verso di me.

“Io non so cosa succederà tra voi, ma conosco Edward e una cosa la so per certo” iniziò a dirmi.

“Cosa?”

“Non ti lascerà andare, non questa volta”.

“Non…” provai a dire, ma lei mi interruppe.

“L’ha fatto in passato e tu gli hai reso le cose semplici, ma non è più l’Edward di prima” mi spiegò “adesso sa cosa significa convivere con la tua assenza e non credo sia disposto a farlo ancora” continuò.

“Mi ha lasciata perché i suoi sogni erano più importanti del nostro amore”.

“Ti ha lasciata perché, ingenuamente, ti ha sempre data per scontata e non si è mai posto il problema che tu, che la tua presenza facesse parte dei suoi sogni tanto quanto il desiderio di diventare un pilota. Adesso lo sa, però”.

Restai colpita da quelle parole, ma cercai di non darlo a vedere.

“Adesso potrebbe essere tardi”.

“Non credo”.

“Perché?”

“Perché sei qui, perché ti è bastato vederlo per mettere via la rabbia nei suoi confronti, perché ti è bastato averlo intorno a te per finire per farci l’amore, perché hai mentito al tuo ragazzo pur di passare del tempo con lui, ma soprattutto perché, anche se non lo ammetterai a me, tu lo ami ancora e a te stessa non puoi mentire” mi rivelò senza darmi il tempo di risponderle perché subito aprì la porta infilandosi dentro e facendo entrare anche me.

Vic conosceva Edward, conosceva me e conosceva la nostra storia e, forse, non si sbagliava poi così tanto.

Forse, non era tardi e, forse, non dovevo prendere nessuna decisione pensando alle scelte che lui aveva preso in passato. In fondo avevamo solo 17 anni.

Forse la vita ci stava semplicemente offrendo una seconda possibilità.

 

 

 

 

Spoiler:

Da un lato c’erano tre foto unite tra di loro che immortalavano me e lui in tre pose differenti.

Per farle ci eravamo rinchiusi dentro una macchinetta per fare le foto e avevamo iniziato ad assumere facce buffe per rendere il tutto più divertente. Se non ricordavo male risalivano a qualche mese prima della nostra rottura e guardandole mi tornarono alla mente le altre tre che avevo tenuto io. Le avevamo divise proprio per averne una copia entrambi, anche se le tre che erano toccate a me erano diverse da queste.

Possibile che dopo tutto questo le tenesse ancora? E che soprattutto le avesse messe lì portandosele dietro in ogni luogo in cui era stato?

Avevo passato gli ultimi quattro anni della mia vita cercando di tenere lui lontano da me, dalla mia testa e troppo presa da quello che stavo passando io a causa sua non mi ero mai curata di fermarmi a pensare a quello che, invece, poteva aver passato lui. Ero sempre stata così convinta che la sua scelta di allontanarmi fosse stata ponderata e sicura che non avevo mai minimamente preso in considerazione il fatto che le sue parole potevano essere state dettate da un momento si frustrazione e stress dovuti alla pesante pressione che si era ritrovato ad affrontare tutta in una volta e, per giunta, a soli 17 anni.

“Hai finito di curiosare?” mi domandò una voce alle mie spalle.

Mi voltai e vidi Edward sorridermi di fronte a me.

“Io…” tentai di dire per giustificarmi, ma alla fine non aggiunsi nulla non sapendo in effetti cosa dire esattamente.

“Credo che quello sia stato uno degli ultimi momenti nella nostra storia in cui siamo stati felici” mi rivelò ignorando le mie parole e riferendosi chiaramente alle foto che stavo guardando.

“Dopo di allora è stato un lento declino” concordai con lui “gli ultimi mesi tra noi sono stati i peggiori di sempre. Avevamo perfino smesso di capirci solo con uno sguardo come avevamo sempre fatto” continuai.

“È stata colpa mia”.

“Si, lo è stata” confermai conscia comunque che anche io avevo delle colpe che, forse, non avrei mai ammesso ad alta voce.
“Grazie ah, molto diplomatica davvero” mi prese in giro lui “potresti anche fingere che non sia così” continuò beffardo.

“È la verità, Edward. Sei stato tu che, improvvisamente sei cambiato, tu che hai mandato tutto a puttane un giorno dopo l’altro”.

“Lo so” mi rivelò.

“E credi che ammetterlo cambierà le cose?” gli chiesi.

“Qualunque cosa io possa dire o fare non cambierà questi quattro anni” mi disse “comunque sia non possiamo parlarne strada facendo?” mi chiese.

“Strada facendo per dove?”

“Ti avevo chiesto un’ora ed è passata. Andiamo a fare un giro”.

“Hai finito il tuo lavoro?”

“Andiamo”.

“Ti ho chiesto se hai finito”.

“Demetri e gli altri meccanici devono sistemare ancora un piccolo dettaglio alla moto, ma il mio lavoro è finito” concluse.

“Bene”.

Mi alzai dal lettino in cui mi ero seduta per guardare le foto e lo seguii accorgendomi solo in un secondo momento che mi aveva preso per mano.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

Vi lascio inoltre anche il link della pagina facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è a nome dell’altra storia che ho in corso proprio per non crearne una nuova sola per questa storia. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta, in modo che chi non segue l’altra potrà comunque tenersi informato con questa. Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts

 

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Capitolo 5
*** 5. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer


 

5.

Pov Bella

Una volta raggiunto l’ingresso del motorhome mi guardai attorno accorgendomi che era tutto decisamente al di sopra delle mie aspettative. A vederlo da fuori sembrava un’enorme autobus dall’aspetto aggressivo, ma allegro. Dentro, invece, era bellissimo. Elegante e maestoso e c’erano praticamente tutte le forme di comodità esistenti. Era una vera e propria casa concentrata in un lungo corridoio quanto poteva esserlo quell’autobus, camper o qualunque cosa fosse.

Una casa con le ruote, anche se quella che stavo osservando in quel momento più che una casa sembrava una piccola villetta con le ruote.


I ragazzi si trovavano nella zona cucina. C’era un tavolino e alle due estremità c’erano posizionati due specie di divanetti in pelle fissi. Edward era seduto e, in quel momento, dava le spalle sia a me che a Vic e proprio di fronte a lui davanti ad un pc c’era un uomo che non conoscevo personalmente, ma che avevo visto qualche volta in tv intervistato da qualche giornalista durante le giornate di gara. James, invece, era spaparanzato su una poltrona e trangugiava una quantità sproporzionata di patatine.

Quando ci sentirono arrivare Edward si voltò verso di noi e non appena mi vide le sue labbra si curvarono in uno dei sorrisi che più amavo. Vic fece un leggero saluto e andò a sedersi sulle gambe di James iniziando a sgranocchiare anche lei le patatine.

Io restai lì leggermente imbarazzata, ma subito Edward fece in modo di mettermi a mio agio. Mi fece cenno di avvicinarmi facendomi posto vicino a lui, poi mi sorrise nuovamente.

“Lui è Demetri” mi disse presentandomi l’uomo “il mio ingegnere preferito e grande amico” aggiunse poi.

Io mi avvicinai e gli diedi la mano.

“Io sono Bella” presi a dire sorridendogli.

“Quella Bella?” domandò quello stranito a Edward.

“Quella Bella” confermò il mio ex ragazzo.

Demetri mi guardò e mi sorrise, stringendomi più forte la mano.

Era chiaro che Edward gli avesse parlato di me, altrimenti non si spiegava quella reazione da parte del biondo.

“È un piacere conoscerti” mi rivelò.

“Anche per me” risposi “ma pensavo foste voi quelli famosi, non io” mi lasciai scappare riferendomi chiaramente al loro scambio di battute.

“Lui forse, io no di certo” mi rispose il biondo.

“Beh, sicuramente sei più famoso di me. Ti ho visto qualche volta in tv” gli spiegai “Bewley, giusto?” domandai poi per capire se mi ricordavo il cognome giusto.

“Caspita, sei informata” mi disse mentre Edward mi guardò sorpreso.

“Che c’è?” gli domandai sorridendogli “seguo volentieri il motomondiale in tv” spiegai poi.

Era chiaro che le mie informazioni fossero quelle di un’accanita tifosa di quello sport quale io fossi. Non mi perdevo una prova, una gara, un’intervista. Nulla di nulla.

Ci fu un attimo di silenzio e io mi accomodai proprio di fianco a Edward e mi accorsi che sul tavolo c’erano un sacco di carte con dei numeri e degli appunti tecnici che, per me, sembravano appartenere decisamente a un’altra lingua.

“Quindi” tornò a dirmi Demetri guardandomi “ti dicevo che sei molto più famosa tu che io” continuò.

“Non vedo come mai”.

“Beh diciamo che a questo qui è capitato spesso di parlare di te” mi rivelò e io mi voltai a guardare Edward dovendo ammettere che la cosa mi faceva piacere.

“Ok, magari se evitate di fare finta che io non sia qui con voi sarebbe meglio” disse lui leggermente infastidito che Demetri mi avesse rivelato quel particolare.

Edward stava sempre sulle sue per quanto riguardava la sua vita privata e soprattutto non amava che venissero sbandierate ai quattro venti le sue conversazione private, soprattutto se queste lo mettevano all’angolo come era appena successo.

Alzai le mani in segno di resa e Demetri scoppiò a ridere.

“Avanti, adesso non fare il timido” lo prese in giro.

“E tu non fare il cazzone” continuò l’altro.

Io e il biondo ci guardammo e scoppiammo a ridere, mentre Edward fece finta di mettere il broncio.

Mi voltai verso James e Vic per capire il motivo del loro silenzio e mi accorsi che erano spariti dalla nostra vista, molto probabilmente andando a rifugiare nel reparto notte o robe simili. Del resto quello era un vizio che avevano sempre avuto. Un attimo prima erano insieme a noi e l’attimo dopo scappavano per nascondersi da qualche parte e giocare a fare gli amanti.

Quando le risate si placarono tornammo tutti seri e dopo che Demetri informò Edward che avrebbero dovuto riparlare del fatto che io fossi lì dentro, tornò a concentrarsi sul pc, mentre Edward mi fece cenno di alzarmi per andare via.

“Dove stai andando?” lo rimproverò quasi il biondo.

“A fare un giro” rispose Edward con fare ovvio.

“Sei scemo o cosa? Abbiamo da sistemare altre cose per la gara di domani e tu vai a farti un giro?” gli urlò notando la serietà con cui l’altro gli si era rivolto a lui.

“Ti ho già spiegato dove sta il problema. Sei tu adesso che devi risolvermelo” gli specificò Edward.

“E tu devi restare qui per capire se tutto va bene” continuò quello “cazzo, mi meraviglio di te. Puntiglioso come sei sempre adesso te ne vai?” domandò stranito.

Era chiaro che Demetri stesse facendo il suo lavoro. In quanto ingegnere il suo compito era quello di trasferire l’azione dei supporti elettronici sulle moto. Ovviamente ogni pilota guidava le moto a modo proprio ed ovviamente ognuno faceva le proprie richieste per riuscire a creare una moto che fosse il più consona possibile al proprio stile di guida. Ogni pilota dava i suoi accorgimenti e spiegava i problemi, poi ingegneri e meccanici si occupavano di sistemare tutto in modo che, nel momento della gara, il pilota avesse tra le mani una moto che fosse al massimo delle sue prestazioni.

“Demetri…” tentò di dire lui.

“Edward ti è chiaro che domani hai una gara? Ti è chiaro che Laguna Seca è un circuito difficile? Ti è chiaro che sei arrivato in pole e quello dietro di te è a solo un decimo? Non lo so, fai un po’ te” gli disse infastidito dal suo atteggiamento.

Io nel frattempo mi ero alzata e adesso mi trovavo in piedi esattamente accanto a lui.

Proprio in quell’istante Edward realizzò cosa le parole del suo ingegnere significassero e, dapprima abbassò lo sguardo chiaramente in difficoltà, poi quasi a rallentatore lo alzò puntando i suoi occhi nei miei.


Lo guardai e mi bastò una frazione di secondo per capire tutto. Non si sarebbe mosso da lì perché le moto erano il suo lavoro, perché erano la sua passione, perché erano la sua vita.

“Ok, ok” dissi solamente “ho capito” aggiunsi più a me stessa che a me.

Mi voltai e mi girai pronta ad uscire da lì dentro.

“Bella aspetta” mi urlò alzandosi.

Non badai affatto alle sue parole e continuai a camminare, ma ebbi giusto il tempo di scendere dal motorhome e fare due passi sulla strada prima che una mano non mi bloccasse per un polso. Non mi serviva voltarmi per capire chi fosse perché era chiaro che si trattava di lui, ma lo feci ugualmente perché la voglia di guardarlo era troppo forte.

“Edward, lascia stare” gli dissi soltanto “è il tuo lavoro e stai solo perdendo tempo qui con me” aggiunsi poi.

“No che non sto perdendo tempo” mi informò sicuro di sé.

“Dai, il tuo sguardo è stato chiarissimo. È cristallino che tu voglia restare qui a fare quello che stavi facendo” presi a dire “e va bene così, in fondo io non dovrei neppure essere qui” continuai.

“Ma ci sei”.

“Ho fatto un errore”.

“Sarebbe un errore solo perché per un attimo ho valutato la possibilità di restare qui a finire il mio lavoro?”

“No, è un errore perché tutto questo ti ha portato a mettermi in secondo piano già una volta e non voglio che succeda ancora”.

“E quindi cos’è che vuoi?” mi domandò guardandomi intensamente negli occhi.

“Voglio che mi lasci andare” gli risposi e chiaramente non mi riferivo solo alla presa ferrea che aveva la sua mano sul mio polso.

“Vuoi che mandi al diavolo Demetri, ci infiliamo in macchina e andiamo via adesso?” mi chiese “vuoi questo, eh?” continuò “perché se è questo quello che vuoi potrei pure farlo” aggiunse.

Le sue ultime parole mi spiazzarono perché glielo si leggeva negli occhi che era sincero e abbassai lo sguardo imbarazzata.

Che cosa diavolo pretendevo? Che mandasse a monte il suo lavoro solo per me? E perché mai, poi? Solo perché mi aveva chiesto di trascorrere una giornata insieme? Che diritto avevo io di chiedergli questo?

“Torna dentro Edward. è quello il tuo posto” gli risposi.

“È anche il tuo”.

Abbassai la testa non sapendo davvero cosa dire. In passato l’unica cosa che mi ripetevo sempre e che ripetevo sempre a lui era che il mio posto, qualunque esso fosse, era accanto a lui. E adesso? Adesso lui mi stava ripetendo la stessa cosa, solo che erano cambiate tante cose e io non potevo mandare a puttane la mia vita in questo modo.

“Un’ora, dammi solo un’ora” mi disse quando si rese conto che non ero intenzionata a parlare.

“Un’ora?” gli chiesi sorpresa.

“Si, solo una e poi andremo via. A lavoro finito o meno, non mi interessa” mi rivelò.

Restai in silenzio un attimo, poi ripresi a parlare.

“Perché sei così cocciuto?” gli chiesi.

“Perché ci sono cose a cui non posso più rinunciare”.

“Le moto, ovviamente” gli risposi con ovvietà.

Era chiaro come il sole che si riferisse alle sue amate due ruote.

“Le moto, si” mi confermò “le moto e te” aggiunse poi lasciando la presa dal mio polso e afferrandomi la mano.

Intrecciò le sue dita alle mie e poi mi fece cenno con la testa di salire mentre con la mano libera usò l’indice per indicarmi il numero uno, come a ricordarmi che avrebbe perso solo un’ora.

Abbassai lo sguardo chiarendogli il fatto che mi avesse convinta e lui mi sorrise sghembo e si avvicinò baciandomi una tempia con esuberanza, poi salimmo nuovamente sul motorhome.

Demetri non fece domande, ma continuò con il suo lavoro, mentre Edward tornò a sedersi vicino a lui e cominciarono a confabulare di dati e meccanismi di cui sembravo non capire nulla.

Nel frattempo, dopo che Edward mi invitò a fare come se fossi a casa mia, mi preparai un caffè versandone un po’ anche a loro e poi mi fumai una sigaretta dando un po’ un’occhiata in giro.

Non appena mi avvicinai a quello che doveva essere il suo letto trovai attaccate alla parete, con delle puntine, un sacco di foto dei week-end di gara e lo si capiva chiaramente dagli abbigliamenti usati dai soggetti delle foto. Edward era presente nella maggior parte di esse e guardandole bene conobbi un sacco di volti conosciuto o meno. C’erano foto con i suoi, con Emmett, Alice, Jasper, Rose, c’è ne erano un sacco con James e qualcuna con Vic. C’erano foto con lui e il resto del team e altre con qualche collega pilota. Foto in locali o in strada, in pista o in casa e poi, quando pensavo di aver visto già tutto, ci fu qualcosa che attirò particolarmente la mia attenzione.

Da un lato c’erano tre foto unite tra di loro che immortalavano me e lui in tre pose differenti.


Per farle ci eravamo rinchiusi dentro una macchinetta per fare le foto e avevamo iniziato ad assumere facce buffe per rendere il tutto più divertente. Se non ricordavo male risalivano a qualche mese prima della nostra rottura e guardandole mi tornarono alla mente le altre tre che avevo tenuto io. Le avevamo divise proprio per averne una copia entrambi, anche se le tre che erano toccate a me erano diverse da queste.

Possibile che dopo tutto questo le tenesse ancora? E che soprattutto le avesse messe lì portandosele dietro in ogni luogo in cui era stato?

Avevo passato gli ultimi quattro anni della mia vita cercando di tenere lui lontano da me, dalla mia testa e troppo presa da quello che stavo passando io a causa sua non mi ero mai curata di fermarmi a pensare a quello che, invece, poteva aver passato lui. Ero sempre stata così convinta che la sua scelta di allontanarmi fosse stata ponderata e sicura che non avevo mai minimamente preso in considerazione il fatto che le sue parole potevano essere state dettate da un momento si frustrazione e stress dovuti alla pesante pressione che si era ritrovato ad affrontare tutta in una volta e, per giunta, a soli 17 anni.

“Hai finito di curiosare?” mi domandò una voce alle mie spalle.

Mi voltai e vidi Edward sorridermi di fronte a me.

“Io…” tentai di dire per giustificarmi, ma alla fine non aggiunsi nulla non sapendo in effetti cosa dire esattamente.

“Credo che quello sia stato uno degli ultimi momenti nella nostra storia in cui siamo stati felici” mi rivelò ignorando le mie parole e riferendosi chiaramente alle foto che stavo guardando.

“Dopo di allora è stato un lento declino” concordai con lui “gli ultimi mesi tra noi sono stati i peggiori di sempre. Avevamo perfino smesso di capirci solo con uno sguardo come avevamo sempre fatto” continuai.

“È stata colpa mia”.

“Si, lo è stata” confermai conscia comunque che anche io avevo delle colpe che, forse, non avrei mai ammesso ad alta voce.
“Grazie ah, molto diplomatica davvero” mi prese in giro lui “potresti anche fingere che non sia così” continuò beffardo.

“È la verità, Edward. Sei stato tu che, improvvisamente sei cambiato, tu che hai mandato tutto a puttane un giorno dopo l’altro”.

“Lo so” mi rivelò.

“E credi che ammetterlo cambierà le cose?” gli chiesi.

“Qualunque cosa io possa dire o fare non cambierà questi quattro anni” mi disse “comunque sia non possiamo parlarne strada facendo?” mi chiese.

“Strada facendo per dove?”

“Ti avevo chiesto un’ora ed è passata. Andiamo a fare un giro”.

“Hai finito il tuo lavoro?”

“Andiamo”.

“Ti ho chiesto se hai finito”.

“Demetri e gli altri meccanici devono sistemare ancora un piccolo dettaglio alla moto, ma il mio lavoro è finito” concluse.

“Bene”.

Mi alzai dal lettino in cui mi ero seduta per guardare le foto e lo seguii accorgendomi solo in un secondo momento che mi aveva preso per mano.

Tornando dove eravamo poco prima vidi Demetri che stava chiudendo il pc, pronto per uscire da lì.

“Le chiavi” disse a Edward lanciandogliele “mi raccomando non fare nottata e non bere soprattutto. Mettiti a letto in orario e dormi. Domani sarà una lunga giornata” si raccomandò lui.

“Ok, papà” gli rispose lui sorridendo, mentre anche io feci lo stesso “ci vediamo” concluse.

Era ovvio che si fosse raccomando quelle cose. Il giorno dopo aveva una gara da affrontare e doveva essere nel pieno delle sue facoltà mentali e fisiche.

Io salutai Demetri e lui fece altrettanto, poi io ed Edward uscimmo da lì dentro dirigendoci verso i posteggi delle macchine.

“Dove andiamo?”

“Cerchiamo l’auto di Demetri in mezzo a queste” mi rivelò lui alzando il telecomando che c’era nelle chiavi che il biondo gli aveva lanciato pochi istanti prima e premendolo.

A pochi metri da noi le frecce di una BMW nera lampeggiarono per un attimo e noi riuscimmo ad individuare facilmente la nostra destinazione.


Quando salimmo in macchina lui accese lo stereo, mise in moto, fece retromarcia per uscire dal posteggio e poi si immerse nella strada.

“Quindi questa macchina è di Demetri?” domandai.

“Esattamente. Io sono venuto con il motorhome e sarebbe stato piuttosto scomodo andare a fare un giro con quello, non trovi?”

“Oltre che scomodo direi che avremmo dato piuttosto nell’occhio”.

“Cos’è, hai paura di farti vedere con me?” mi domandò girandosi per un attimo a guardarmi.

“Guarda la strada” gli risposi solamente evitando di rispondere a quella domanda.

Ci fu un attimo di silenzio, poi visto che nessuno dei due si decideva a parlare presi coraggio e lo feci io.

“Allora, questa giornata insieme a cosa dovrebbe servire?” chiesi.

“Innanzitutto io ti ho chiesto un giorno intero che sappiamo tutti essere composto da 24 ore” iniziò a precisare “sono le sette del pomeriggio e fra tipo 5 o 6 ore devo riaccompagnarti dal tuo boy” continuò soffermandosi con fare ironico e dispregiativo sull’ultima parola “quindi, a meno che la matematica non sia diventata un’opinione credo che dovremmo rivederci a parte oggi” concluse.

Lo guardai e sorrisi scuotendo la testa.

“Giusto, il tuo ragionamento non fa una piega” gli risposi prendendolo in giro.

“Quindi il prossimo appuntamento quando sarà?”

“Non ci sarà nessun prossimo appuntamento” gli risposi “non doveva esserci neppure questo di oggi” aggiunsi.

Edward restò in silenzio per qualche istante, poi riprese a parlare.

“Mi spieghi perché devi ostinarti a ripetere che quello che stiamo facendo sia un errore?” mi domandò infastidito.

“Tu come lo chiami tradire il proprio ragazzo?”

“Quindi ruota tutto intorno a questo? Al fatto che sei venuta a letto con me e hai tradito quella sottospecie di umanoide che è il tuo ragazzo?”

“Ti sembra roba di poco conto?” gli chiesi cercando di ignorare gli appellativi che usava per indicare Jake.

“Vuoi la verità?” mi domandò retorico “la storia dell’errore mi sembra una scusa per non ammettere che pur avendo accanto un ragazzo sei comunque stata con me, ti sei fatta toccare e baciare. Mi hai permesso che ti facessi mia. E tutto questo perché che tu lo ammetta o no io e te non sappiamo fare a meno l’uno dell’altra”.

Mi aveva appena colpita e affondata con le sue parole, ma non potevo permettermi di farglielo capire.

“Disse quello che mi ha lasciata e ha continuato la sua vita come se nulla fosse”.

“Per quanto ancora credi che mi rinfaccerai la cosa?”

“Fin quando non capirai quanto cazzo ho sofferto”.

“E tu credi che, invece, per me sia stato facile? Credi che solo perché sono riuscito a diventare quello che volevo, io non abbia sofferto comunque? Credi che fosse una bella sensazione infilarmi tra le gambe di tante ragazze diverse e vederci sempre e comunque te?” mi domandò disturbato dal fatto che io non avessi preso minimamente in considerazione il suo punto di vista.

“Potresti per lo meno tenermi all’oscuro della tua vita sessuale di questi quattro anni, gentilmente?” gli domandai infastidita di dover pensare o curarmi di quel dettaglio.

“Cos’è sei gelosa?” mi prese in giro lui.

“Assolutamente no”.

“Assolutamente si” continuò lui.

“Tu sei pazzo”.

“Avanti, ammettilo che sei ancora gelosa di me” mi disse “ti ho vista prima mentre quella ragazza mi ha chiesto di autografargli il seno” aggiunse.

Quando gli sentii pronunciare quelle parole il sangue mi salì al cervello ricordando quell’episodio.

“Ah perché quello era un seno?” chiesi retorica “mi sembravano piuttosto due palle di silicone” continuai.

“Come volevasi dimostrare” disse solamente più a se stesso che a me scuotendo la testa con fare divertito.

“Che vorresti dire con questo?” gli domanda voltandomi a guardarlo.

“Niente” mi rispose “che sei ancora completamente pazza di me” continuò con fare ovvio.

“Sei troppo sicuro di te” gli feci notare.

Lui fermò la macchina all’istante e si voltò a guardarmi con sguardo quasi furente.

“Io sono troppo sicuro di me?” mi domandò alzando la voce “si lo sono, ma non quando si tratta di te perché se lo fossi stato davvero, se avessi davvero creduto che questi anni non avessero cambiato nulla per noi non sarei corso da te a riprendermi quello che ho sempre voluto?” mi chiese serio come poche volte lo avevo visto.

“Non lo so” riuscii a dirgli “giuro che non lo so” aggiunsi.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Edward ingranò la marcia e riprese a parlare.

“Credo che prima di riuscire a parlare di qualunque cosa, noi dobbiamo chiarire in merito alla nostra rottura e a questi quattro anni” iniziò a dirmi “altrimenti non ha senso fare nulla” continuò.

“Bene”.

“Bene?” mi chiese “solo bene?” continuò.

“Si” gli risposi come se fosse ovvio “ti ascolto. Sei tu che devi delle spiegazioni a me, non il contrario” conclusi.

“Giusto, ma credo che qualcuna tu me la debba comunque”.

“Cioè?”

“Hai fatto le valigie e sei sparita senza nemmeno venirmi a salutare”.

“Ok, ho capito. Comincia a parlare, poi parlo io” gli dissi.

Ci fu un attimo di silenzio, poi lui riprese a parlare.

“Quel giorno, quando ti ho detto che tutta la mia vita era il mondo delle corse e che tu eri una distrazione e basta non ero sincero, non del tutto” iniziò a dire “ero arrabbiato e furioso con me stesso perché non avevo vinto e cercavo di attribuire la colpa a qualcuno e ingenuamente me la sono presa con te che eri l’unica certezza che ho sempre avuto nella vita. La verità è che io ti ho sempre data per scontato, sempre. Tu c’eri, c’eri sempre, c’eri e basta. Non ricordo neppure più la prima volta che ti ho vista perché tu ci sei sempre stata nella mia vita, da quando sono nato mi ricordo di te. Era facile prendersela con te, attribuire a te le colpe ed era semplice perché una parte di me era convinto che fosse davvero così, una parte di me ti considerava davvero una distrazione perché, per me, era sempre difficile staccarmi da te per correre da una parte all’altra per quelle dannate corse di campionato. E così iniziavo a farmi strane paranoie, iniziavo a chiedermi come sarebbe stato quando non si sarebbe più trattato di campionati, ma di mondiali, quando sarei stato costretto a girare il mondo per mesi interi senza avere te accanto. Quando ti ho detto che le moto erano la mia vita era vero, è sempre stato così ed è ancora così perché io riesco ad essere me stesso solo quando sono in sella, perché correre è l’unica cosa che so fare bene” continuò “ma le moto non sono tutto, le gare non sono tutto, ci sei anche tu, ci sei sempre stata tu e questi quattro anni mi hanno fatto capire che senza di te riesco a vivere nonostante tutto, ma quando ti ho rivista ho capito che non voglio, non voglio essere felice se non ho te accanto” concluse.

Restai colpita da quelle parole e comincia a riflettere su tante cose che in passato non avevo mai preso in considerazione.

“Sembravi così convinto, però” gli rivelai consapevole che le mie difese stavano cadendo.

“In qualche modo lo ero perché avrei fatto qualunque cosa per riuscire a raggiungere il mio sogno, ma avevo 17 anni e a 17 anni non sai mai davvero quello che vuoi. Sarò sincero, mi sei mancata sempre, ma i primi due anni non è stata così difficile come credevo perché ero talmente tanto impegnato a farmi strada in questo mondo che non avevo molto tempo per pensare alla mia vita privata. Quando poi sono arrivati i primi successi ho capito che la mia carriera era tutta in ascesa e che i miei sogni si stavano realizzando, ma ho capito anche che quando questi sarebbero divenuti realtà era te che volevo al mio fianco, era con te che volevo condividerli”.

Ci fu un attimo di silenzio e solo dopo qualche istante io mi decisi a parlare.

“Perché me lo dici adesso? Perché non prima?”

“Te l’ho spiegato ore fa. Essere felice può essere una debolezza in questo lavoro e poi c’è dell’altro” mi rivelò.

“Cioè?”

“I tuoi”.

“I miei cosa?” chiesi curiosa.

“Quando ho vinto il primo titolo in Moto3 ho cominciato a pensare di venirti a cercare e alla conquista del titolo in Moto2 ne ero convinto. Sapevo che qui titoli volevo condividerli con te, che volevo condividere con te la mia felicità, ma i tuoi sono venuti a parlarmi”.

“Che diavolo dici?” gli domandai.

Mamma e papà che andavano da lui? Mi sembrava assurdo, ma soprattutto io non ne sapevo nulla.

“Me li sono ritrovati sulla porta di casa, insieme” mi spiegò puntualizzando sul fatto che si fossero presentati insieme nonostante il loro divorzio “e mi dissero di lasciarti perdere. Mi dissero che stavi studiando e che avevi un sacco di progetti per il futuro e io non ero nessuno per sconvolgerti la vita. La verità era che erano spaventati perché il mio lavoro per quanto eccitante è dannatamente pericoloso e non volevano che tu vivessi costantemente con la paura. Mi dissero che eri felice e che avevi ritrovato il tuo equilibrio e che, se davvero ti amavo era meglio che ti lasciassi andare” mi rivelò e io rimasi spiazzata da quelle parole.

Non potevo crederci che i miei avevano davvero fatto una cosa del genere. Loro avevano sempre adorato Edward, sempre. Eppure erano andati da lui a dirgli quelle cose e, forse, se non lo avessero fatto io e lui ci saremmo ritrovati tanto tempo prima.

“Non sei venuto a Seattle per quello che ti dissero loro?”

“No, sono venuto comunque”.

“Cosa?”

“Vic non voleva dirmi nulla, diceva che te lo aveva promesso. I ragazzi facevano finta di non ascoltarmi dicendo che dovevo sbrigarmela da solo, ma alla fine riuscii a convincere Alice a dirmi esattamente quale fosse la facoltà che frequentavi e così sono arrivato a Seattle”.

Non avevo dubbi che a cedere, alla fine, fosse stato il folletto. Era il sogno della sua vita che io e suo fratello tornassimo nuovamente insieme.

“Sei arrivato in città, ma non certamente da me” gli dissi quando mi accorsi che aveva appena posteggiato.

Di fronte a noi la spiaggia si mostrava meravigliosa e sarebbe bastato scendere delle scale per riuscire ad arrivare ad un passo dal mare. Dio quanto amavo il mare, non c’era cosa che amassi di più. Era, in assoluto, il mio posto preferito.

“Sono venuto al college, ma mi sono limitato a guardarti da lontano. Eri seduta sull’erba insieme alle due ragazze che ho visto prima” iniziò a dirmi riferendosi chiaramente a Jane e Jessica “parlavate tranquillamente e tu ridevi come non avevi fatto negli ultimi mesi con me. Sono venuti poi altri tuoi compagni di corso, si sono seduti con voi e avete preso a ridere e scherzare ancora di più. Mi sei sembrata felice e così ho girato i tacchi e sono andato via. I nostri mondi, ormai, erano completamente agli antipodi e io non volevo sconvolgere nulla”.

Non riuscivo a credere a quello che mi aveva appena raccontato, non ci riuscivo. Come aveva potuto arrivare ad un passo da me e tornarsene a casa senza essersi neppure avvicinato?

Una rabbia incontrollabile si impadronii di me e subito scesi dalla macchina portandomi alla balaustra che dava sulla spiaggia e in quel momento una lacrima solitaria mi solcò le guance.

Un istante dopo sentii la sua presenza dietro di me e mi voltai immediatamente per guardarlo.

“Ho spento tutto come se avessi un interruttore dentro. Ho iniziato a non sentire più nulla perché la tua assenza faceva troppo male. È per questo che mi hai vista felice. Era tutta apparenza, era semplicemente la maschera che mostravo al mondo” gli rivelai assumendo uno sguardo che ben poco lasciava all’immaginazione, ma soprattutto cercando di contenere la fuoriuscita delle lacrime.


“Non me ne sono reso conto o, forse, sono venuto lì già sapendo che non ti avrei comunque avvicinata” mi rispose sincero appoggiando le mani sulla balaustra e bloccando così il mio corpo per non permettermi di scappare.

In quel momento, sinceramente, era l’ultima cosa che avrei voluto fare.

Restai in silenzio e lui riprese a parlare.

“Io lo vedo lo sguardo di mia madre e mio padre quando li saluto per partire per una corsa, vedo Alice seguirmi dai paddock con le dita incrociate, vedo Emmett saltare dalla sedia non appena nota una minima sbavatura nell’andamento della moto. James mi segue dappertutto e Vic ultimamente fa lo stesso e, ogni volta, che mi allontano per le prove o per la gara non dicono mai niente. Mi abbracciano e basta e io salgo lì sopra sapendo che quello potrebbe essere l’ultimo abbraccio che ricevo. Io so tutte queste cose ed è per questo che il ragionamento che mi hanno fatto i tuoi non fa una piega, è per questo che le loro parole mi hanno condizionato sulle mie scelte di vita con te” mi rivelò.

Riuscivo a percepire la sincerità delle sue parole e, una parte di me, sapeva anche che aveva ragione. Forse era stato meglio così perché io mi conoscevo, ma l’altra parte di me avrebbe solo voluto essere con lui nonostante tutto.

“Beh questo è un problema ancora attuale. Cioè, tu continui a fare il tuo lavoro e questo continua a farti rischiare la vita ogni giorno. Non è cambiato nulla oggi dal giorno in cui sono venuti i miei a parlare con te” gli ricordai.

“Lo so, ma adesso sei qui, adesso ti sto guardando, ti sto toccando e io non voglio che tu te ne vada indipendentemente da tutto e tutti”.

Ci fu un attimo di silenzio in cui restai piuttosto colpita dall’intensità delle sue parole e dalla convinzione con le quali li aveva pronunciate.

“È tutto uno schifo” mi lasciai scappare abbassando lo sguardo.

“Non te ne saresti mai dovuta andare”.

“Sarei dovuta rimare a Portland a fare cosa? A vedere te realizzare i tuoi sogni mentre mi piangevo addosso perché i miei erano naufragati?”

“Avremmo potuto risolvere le cose”.

“Ci credi davvero?” gli domandai.

“Non lo so”.

“Non avremmo risolto nulla perché, come tu stesso hai detto, la mia importanza nella tua vita l’hai vista dopo. Io, invece, ho sempre saputo il ruolo che tu avevi nella mia” gli spiegai non riuscendo più a trattenere le lacrime.

Non appena lui se ne accorse cambiò decisamente espressione. Aveva sempre odiato vedermi piangere.

“Cazzo” disse solamente “sono stato un’idiota e so che non è una giustificazione, ma avevo 17 anni. A quest’età come si fa a prendere tutte le decisioni giuste?” mi domandò mentre con una mano cercò di asciugarmi le lacrime.

“Ammettiamolo” dissi “sei un uomo” continuai cercando di sdrammatizzare.

“E con questo?” continuò lui stando al gioco.

“Voi non ci azzeccate mai alla prima” conclusi.

Lui mi sorrise e io feci lo stesso e lui approfittò di quel momento per avvicinare il mio viso al suo con il chiaro intento di baciarmi, ma io abbassai la testa non permettendoglielo. Lo sentii fare un respiro più forte, poi riprese a parlare.

“Bella ti prego, non allontanarmi” mi disse.

“Vorrei non doverlo fare” gli feci notare.

“Non farlo allora”.

“Non abbiamo più 17 anni. Siamo andati avanti, siamo diversi e apparteniamo a due mondi che sono agli antipodi”.

“E allora? Dovremmo rinunciare a questo, a noi due solo perché le cose potrebbero non essere semplici?” mi domandò seriamente incuriosito.

Ci fu un attimo di silenzio, nel quale io non sapevo davvero cosa dire e, quindi, fu lui a tornare a parlare.

“È per lui? È per quel ragazzo con cui stai?” mi chiese.

Per la prima volta rivolgendosi a Jake non avevo visto in lui nessun segno di disprezzo. Mi stava facendo una semplice domanda, tutto qui.

“Lui mi ama” gli rivelai.

“Avresti dovuto rispondermi che tu ami lui, non il contrario”.

“Non è…” tentai di dire.

“Tu non lo ami”.

“Non dire sciocchezze”.

“Allora dimmelo. Guardami negli occhi e dimmi che sei innamorata di lui” mi disse “fallo e io getterò la spugna” continuò.

Ci fu un attimo di silenzio e io compresi che non avrei mai potuto guardarlo negli occhi e riuscire a dirgli che amavo un altro, non potevo perché sarebbe stata una bugia troppo colossale.

“Lui è una certezza, tu, invece…” cominciai a dire “tu adesso sei convinto di voler stare con me, ma domani potresti cambiare idea. L’unica certezza che hai sempre avuto nella vita sono state le moto, le corse. È sempre esistito solo questo e io non voglio essere una seconda scelta, io non voglio essere messa sul bilanciere insieme a queste cose” conclusi.

“Stiamo parlando di me e di te, cosa c’entrano le moto?”

“C’entrano perché fanno parte di te”.

“Anche tu, se per questo. Comunque sia, fammi capire. Vorresti delle garanzie?” mi chiese.

“Vorrei…” cercai di dire, ma mi bloccai non sapendo che altro aggiungere.

“Bella, io ti amo e questa, per quanto mi riguarda, è l’unica garanzia che conta” mi rivelò guardandomi intensamente negli occhi.

“Che hai detto?” gli domandai per essere sicura di aver sentito bene.

“Che ti amo” mi rispose “non ho mai smesso di farlo” continuò.

Rimasi spiazzata non aspettandomi che mi dicesse quelle cose. Non che da tutto il discorso che avesse fatto non mi era chiaro quel dettaglio, ma sentirselo dire era diverso. E quello che scaturirono in me quelle parole non aveva nulla a che vedere con quello che mi succedeva quando era Jake a dirmele.

Non era possibile fare nessun tipo di paragone. Edward, beh Edward era Edward.

Era sempre stato così anche in passato. Tutte le volte in cui lui mi guardava negli occhi e mi diceva di amarmi era sempre come fosse la prima volta. Il suo era il “ti amo” più bello del mondo e, a quanto pareva, per me continuava ad essere ancora così nonostante tutto quello che era successo.

Lui mi guardò e comprese che ero rimasta piacevolmente sorpresa da quella sua rivelazione e approfittò di quel momento per accorciare le distanze tra i nostri volti e unire le nostre labbra in un veloce, ma comunque amorevole bacio.


Quando ci staccammo lui mi sorrise e io non potei far altro che ricambiare quel sorriso.

“Non dico che sarà facile, ma se lo vogliamo tutto è possibile” mi rivelò.

“Tu lo vuoi?” gli chiesi per essere certa della sua risposta.

“Se non lo volessi non sarei qui con te adesso” mi rivelò “la domanda è se lo vuoi tu” aggiunse.

Abbassai lo sguardo per un attimo senza riuscire a dirgli nulla. Se avessi detto di si sarebbe cambiato tutto e non sapevo se ero pronta a questo. Senza ulteriori indugi mi voltai nuovamente e mi misi a fissare il mare.

“È bellissimo qui” gli dissi.

Sentii Edward sorridere tra se, probabilmente per la reazione che avevo appena avuto, e poi si mise a fianco a me e osservò la scena davanti a noi.

“Si, in effetti lo è” mi rispose “andiamo dai” aggiunse.

E io sorrisi debolmente perché anche in questo non era cambiato. Lui non aveva mai fretta, mai. Lui aspettava, rispettava i miei tempi e mi dava lo spazio che mi serviva. In questo caso, però, c’era una carta a suo favore: gli era bastato guardarmi per capire come stavano le cose e adesso era pienamente convinto dei suoi fatti, lui aveva già capito i miei tormenti interiori e sapeva perfettamente come giostrarseli. Edward, semplicemente, mi conosceva meglio di chiunque altro e questo era un dato di fatto che nessuno avrebbe mai potuto cambiare, neppure il tempo e la distanza.

“Andiamo dove?” gli domandai sorpresa.

“Scendiamo in spiaggia” mi spiegò “non eri tu quella che amava disperatamente il mare?” mi domandò retorico.

Gli sorrisi e poi lasciai che lui mi prendesse per mano e nel frattempo restammo in silenzio. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma mi convinsi mentalmente che ormai il danno era fatto quindi non mi restava che godermi quella serata e, a tutto il resto, ci avrei pensato quando il sole di un altro giorno sarebbe spuntato alto nel cielo. 

 

 

 

 

 

Spoiler:

“Bella perché?” mi domandò “perché hai mandato all’aria tutto per me?” mi chiese ancora.

Lo guardai restando in silenzio per un po’, poi mi decisi a parlare.

“Perché sentivo il bisogno di allontanarmi da te per tornare ad essere felice e per farlo dovevo allontanare del tutto la mia vecchia vita, progetti futuri compresi” gli spiegai sincera.

“Quindi io sarei il figlio di puttana che ti ha lasciata e che ha portato avanti i tuoi sogni mentre tu sei rimasta ferma a pulire tavoli e portare ordinazioni?”

“Edward…” tentai di dire.

“No, Edward un cazzo. Io non posso averti fatto questo” mi rivelò “non lo accetto” continuò.

Abbassai gli occhi per una frazione di secondo e poi li rialzai con decisione.

“Non è stata colpa tua” gli dissi.

“Si che lo è stata”.

“È stata una mia decisione”.

“Cazzo Bella, non stiamo parlando di cazzate, stiamo parlando di quello che amavi fare”.

“Lo so”.

“E allora? Perché hai scelto me piuttosto che quello?” mi domandò.

Lo scegliere lui era riferito al fatto che scegliendo di dimenticare lui avevo inconsapevolmente scelto di abbandonare i miei progetti.

“Perché amavo te di più” dissi sincera.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

Vi lascio inoltre anche il link della pagina facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è a nome dell’altra storia che ho in corso proprio per non crearne una nuova sola per questa storia. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta, in modo che chi non segue l’altra potrà comunque tenersi informato con questa. Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts

 

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Capitolo 6
*** 6. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer


 

6.

Pov Bella

Vista l’ora, prima di scendere in spiaggia, Edward aveva proposto di prendere delle pizze e qualche birra in modo da riuscire a mangiare per conto nostro senza che nessuno ci interrompesse. Per non creare scompiglio nel piccolo locale a qualche metro dalla spiaggia ero andata io a prendere le cose da mangiare.

Se i clienti, i proprietari o chissà cos’altri avrebbero visto Edward saremmo rimasti lì dentro a fare foto e autografi per ore e poi non mi andava di farmi vedere in sua compagnia perché quello era l’ultimo posto in cui mi sarei dovuta trovare. Farsi vedere in giro con uno famoso non era l’idea migliore per mantenere l’anonimato e soprattutto era l’occasione perfetta per far scoprire a Jake le mie numerose bugie.

Così, con i cartoni delle pizze in mano e la busta delle birre dall’altra ero tornata da Edward che mi aspettava alla balaustra di fronte la spiaggia e poi, insieme a lui, eravamo scesi sedendoci sulla sabbia ad un passo dal mare.

Il panorama che si scagliava attorno a noi era meraviglioso. La sabbia era fine e pulita e il mare sembrava una tavola piatta. La cosa più bella, comunque, era il sole che si rifletteva sull’acqua e, visto che stava tramontando, tinteggiava di arancione non solo il cielo, ma pure il mare.


Per una come me che amava tutto questo, l’immagine che mi si parava davanti era una delle più meravigliose esistenti in natura.

Sedendoci avevamo divorato velocemente la nostra pizza godendoci quei momenti di completa solitudine visto che la spiaggia sembrava solo nostra visto che non c’era nessuno attorno. Eravamo soli, completamente e inesorabilmente soli.

E così, un discorso tira l’altro, ci eravamo ritrovati a parlare degli ultimi quattro anni e di quello che avevamo fatto lontani l’uno dall’altra.

“Quindi praticamente è stato tutto in salita, no?” gli chiesi riferendomi chiaramente al suo successo.

“Se la guardi con una prospettiva esterna sicuramente sembra tutto facile, ma diciamo che non tutto è sempre andato alla grande. Dietro il mondo che ti fanno vedere in tv c’è altro”.

“Non avevo dubbi su questo” gli risposi sincera “immagino tutte le pressioni che hai subito e il resto” continuai.

“Il problema sostanziale è che sapevo di dover sempre fare il meglio. Correre qui non è come farlo ai campionati americani a cui partecipavo anni fa. Qui vogliono dei risultati e se non ne arrivano gli sponsor non ci mettono molto a dirigersi altrove, per non parlare poi che i team non si fanno nessun problema a toglierti una moto da sotto il culo se non porti a casa vittorie e tutto il resto. In questo mondo hai gli applausi e le lodi se vinci, se sei costante, ma alle prime difficoltà tutti ti puntano il dito contro”.

“C’è l’hai fatta, però. Insomma tutto il mondo dello sport parla di te. Sei arrivato alla MotoGp e hai vinto un titolo l’anno dell’esordio e quest'anno, almeno per il momento, sei il primo nella classifica iridata. E come se questo non bastasse sei praticamente sempre protagonista di ogni gara anche quando non arrivi sul gradino più alto del podio”.

“Si è vero” mi rispose “comunque sia la mia vita pressappoco la conosci visto che, a quanto pare, hai seguito tutto il mio percorso” mi spiegò chiaramente allusivo.

Era chiaro che mi avesse appena fatto una provocazione per capire io cosa gli avessi risposto.

“Si, l’ho fatto. In fondo, anche se dicevo a tutti di non parlarmi di te e che non ne volevo sapere, sei sempre stato nella mia testa ed era naturale che seguissi la tua carriera” gli spiegai sincera sperando che non ne approfittasse per cacciare fuori qualche battutina della sue.

Lui sorrise solamente, poi diede un sorso alla birra e tornò a guardarmi intensamente.

“Non mi hai ancora detto, invece, cosa hai fatto tu in questi anni” prese a dirmi.

“Nulla di megalattico come te” mi lasciai scappare.

“Quindi?” mi ignorò esortandomi a parlare.

“Quindi ho frequentato il college e nel frattempo mi sono trovato lavoro in un locale dove lavoro ancora adesso” gli spiegai breve e coincisa.

“E…” mi disse per farmi continuare.

“E basta Edward. Solo questo” risposi sincera.

Edward mi guardò come fossi un’aliena poi tornò a parlare.

“Quindi tu mi stai dicendo che fai la cameriera? La barista, la cassiera o roba del genere?” mi domandò sconvolto.

“Esattamente”.

“Stai scherzando, vero?”

Lo guardai e alzai un sopracciglio infastidita.

“Ti sembro una che scherza?” gli domandai retorica “e non guardarmi con quella faccia” continuai “non tutti hanno la fortuna di guadagnarsi da vivere seguendo i proprio sogni o facendo quello gli piace e non tutti possono vantare un lavoro come il tuo” conclusi.

“Non è questo il punto. Non sto denigrando quello che fai, lo sai” mi rivelò.

In effetti sapevo perfettamente dove volesse andare a parare, ma fare finta di niente poteva aiutarmi a guadagnare tempo.

“E cosa stai facendo allora?” gli chiesi.

“Che fine hanno fatto i tuoi progetti? Li hai mandati al diavolo per lavorare in un fottuto locale?” mi domandò quasi arrabbiato.

“Non mi va di parlarne”.

“Non ti va di parlarne? Invece ne parliamo eccome e adesso”.

“Senti Edward, cos’è che vuoi che ti dica? Ho fatto il college e quando ho finito non sono riuscita in quello che volevo, così mi sono accontenta di continuare a lavorare in quel locale” gli spiegai.

“Vorresti dirmi che tutte le aziende di designer di Seattle ti hanno rifiutata?” mi domandò sorpresa.

Era ovvio che non credesse alle mie parole.

“Esatto” mentii.

Lui mi guardò intensamente negli occhi e poi si avvicinò ancora di più a me.

“Credo che mi hai rifilato abbastanza cazzate per il momento. Adesso dimmi la verità” mi disse.

Cazzo, possibile che ancora adesso non riuscissi a mentire davanti a lui? Possibile che fosse ancora in grado di leggermi dentro con tanta facilità?

“Non possiamo parlarne in un altro momento?”

“No, non possiamo”.

Lo guardai e compresi che non aveva nessuna intenzione di arrendersi.

“Ok, hai vinto” gli dissi abbassando le mani in segno di resa “non ho mandato il curriculum da nessuna parte, quindi nessuno poteva assumermi” conclusi.

“Perché?”

“Perché non mi andava”.

“Occuparti di design era il sogno della tua vita. È quello che progettavi fin da piccola. Non ci credo che hai mandato all’aria la tua vita così”.

Abbassai lo sguardo colpita da quelle parole e solo in quel momento lui comprese ogni cosa.

Si avvicinò ancora di più e mi sollevò il viso con l’indice.

“È stata colpa mia?” mi chiese con fare dolce e protettivo.
“No” gli risposi, ma la troppa velocità con cui lo feci manifestò chiaramente che era una bugia.

“Bella perché?” mi domandò “perché hai mandato all’aria tutto per me?” mi chiese ancora.

Lo guardai restando in silenzio per un po’, poi mi decisi a parlare.

“Perché sentivo il bisogno di allontanarmi da te per tornare ad essere felice e per farlo dovevo allontanare del tutto la mia vecchia vita, progetti futuri compresi” gli spiegai sincera.

“Quindi io sarei il figlio di puttana che ti ha lasciata e che ha portato avanti i tuoi sogni mentre tu sei rimasta ferma a pulire tavoli e portare ordinazioni?”

“Edward…” tentai di dire.

“No, Edward un cazzo. Io non posso averti fatto questo” mi rivelò “non lo accetto” continuò.

Abbassai gli occhi per una frazione di secondo e poi li rialzai con decisione.


“Non è stata colpa tua” gli dissi.

“Si che lo è stata”.

“È stata una mia decisione”.

“Cazzo Bella, non stiamo parlando di cazzate, stiamo parlando di quello che amavi fare”.

“Lo so”.

“E allora? Perché hai scelto me piuttosto che quello?” mi domandò.

Lo scegliere lui era riferito al fatto che scegliendo di dimenticare lui avevo inconsapevolmente scelto di abbandonare i miei progetti.

“Perché amavo te di più” dissi sincera.

Era vero, era dannatamente vero. L’amore che nutrivo per Edward era più forte di ogni cosa, perfino dei miei sogni e pur di far sparire quell’amore ero stata pronta a rinunciare a tutto il resto.

“Cazzo” disse imprecando più contro se stesso che contro di me.

Senza nemmeno rendermene conto afferrai la sua mano e la accarezzai facendo poi intrecciare le nostre dita pronta a giocare con essa. Sapevo che questo riusciva a tranquillizzarlo e infatti ci riuscii.

“E quel cazzone del tuo fidanzato non ha fatto niente per farti cambiare idea?” mi domandò.

“Non parlare di lui così”.

“Parlo di lui come cazzo voglio” continuò e io compresi che non avrei cavato un ragno dal buco continuando a battere su quel tasto.

“Comunque sia lui non ne aveva idea”.

“Di cosa non aveva idea?”

“Che fare la designer fosse quello che volevo fare nella vita”.

“Non ne aveva idea?” mi domandò alzando la voce “mi prendi per il culo?” continuò “frequenti il college per studiare questo, ti laurei in questo e gli serviva che andassi da lui a dirgli che il tuo sogno era occuparti di design?” mi domandò sconvolto.

In effetti il suo atteggiamento non faceva una piega, ma io non sapevo cosa dire. Con Jake non avevamo mai parlato del perché avessi scelto quella facoltà, men che meno di quello che io volevo fare nella vita.

“Non importa più, ormai” gli dissi.

“Queste sono cazzate” mi disse “e sei ancora in tempo per realizzare ogni progetto” mi spiegò.
“No, va bene così”.

“Non dire stronzate”.

“Non sono stronzate” mi rispose “adesso a te ci penso io” continuò addolcendosi ed era chiaro che quelle parole racchiudessero molto altro.

Lo guardai e sorrisi.

“Parli come se fossi il mio ragazzo”.

“Perché non lo sono?” mi domandò malizioso alzando un sopracciglio.

“Beh, a dire il vero il mio ragazzo me lo ricordavo più moro, con gli occhi cioccolato…” stavo per dire.

“Si, e la faccia da budino” concluse usando la mia ultima parola per fare la sua battuta.

“Io adoro il budino” mi lasciai scappare stando al gioco.

Era meglio così, almeno avevamo alleggerito la tensione.

“Si, mi ricordo, ma c’è una cosa che adori di più”.

“Ah si?” gli domandai curiosa “e cosa sarebbe?” chiesi.

“Me” mi rispose sicuro di sé e io lo guardai e scoppiai a ridere.

Anche lui si unì alla mia risata e per un attimo ci dimenticammo di ogni cosa. C’eravamo solo noi due e le nostre risate che risuonavano all’unisono nell’aria.

Quando tornammo seri ci ritrovammo l’uno troppo vicino dall’altra e presa dall’imbarazzo e dalla paura di quello che sarebbe potuto succedere abbassai gli occhi e mi ritrovai a fissare l’orologio sul mio polso. Segnava l’una di notte.

Possibile che fosse passato così tanto tempo? Sembrava che fossimo arrivati lì solo qualche minuto prima e, invece, eravamo lì da ore.

“Cazzo Edward” gli dissi “è l’una” continuai mostrandogli l’orologio.

“E allora?” mi domandò senza trovare un nesso logico alla mia preoccupazione.

“Demetri ti ha detto di metterti a letto presto. Domani hai una gara” gli spiegai.

“Demetri è il mio ingegnere. Ciò che faccio al di fuori delle moto non è affar suo” mi spiegò.

“Credo che lo dicesse per te, per essere al meglio domani”.

“Lo so”.

“E allora?”

“E allora niente. Non ho ancora intenzione di accompagnarti da nessuna parte” mi rivelò.

Restai in silenzio per un po’ poi ripresi a parlare.

“Normalmente a che ora vai a letto quando hai una gara?” chiesi curiosa.

“Dipende”.

“Da cosa?”

“Da quello che faccio”.

“Ma pressappoco?”

“Le undici, mezzanotte. Di solito non più tardi”.

“E allora direi che hai sforato il coprifuoco stasera” gli rivelai sorridendo.

“Beh noi due siamo campioni in fatto di sforare coprifuochi” mi ricordò ricambiando il mio sorriso.

In effetti aveva ragione. In passato tutte le volte che uscivo con lui finivo sempre per tornare a casa più tardi del dovuto e mamma si arrabbiava un sacco perché diceva che non riusciva a dormire finchè io non rientravo dentro le mura domestiche. E così finivamo per litigare e lei, puntualmente, rimproverava Edward la mattina successiva. Lui le faceva quattro moine e lei si dimenticava subito tutto e tornava a sorridere come sempre. Mamma era sempre stata “innamorata” di Edward, lo adorava in un modo inspiegabile e la cosa era del tutto ricambiata.

“Ci divertivamo, però” gli risposi ricordando il passato.

“Noi ci divertivamo sempre” mi disse.

Aveva dannatamente ragione.

“Come siamo potuti finire così?” mi lasciai scappare.

“Credo perché avevamo 17 anni e le situazioni di quel periodo ci sono sfuggite di mano”.

“Credi che adesso sarebbe diverso?”

“Cosa?” mi domandò “riprovare a stare insieme?” continuò.

“Si”.

“Credo che continuerebbe ad essere difficile, ma possiamo farcela. Noi insieme possiamo farcela sempre”.

Lo guardai e gli sorrisi senza aggiungere altro e in quel momento lui mi sorrise e si alzò.

“Andiamo” mi disse.

“Dove?”

“A farci il bagno”.

“Che?” gli domandai sconvolta “sei scemo o cosa?” continuai.

“E dai che vuoi che sia?” mi chiese.

“È la stessa frase che hai detto anni fa prima che tu e James vi buttaste da una scogliere in pieno Dicembre” gli dissi “ti devo ricordare cosa successe dopo?” continuai.
“Siamo entrambi rimasti a letto con la febbre per due settimane. Io mi sono preso anche la bronchite” mi rispose “mi ricordo perfettamente” concluse divertito.

Lo guardai e scoppiai a ridere di gusto. Sembrava un bambino che aveva appena raccontato una delle sue marachelle.

Nel frattempo mi prese per mano facendomi alzare con il chiaro intento di spingermi verso l’acqua.

“Edward non fare l’idiota” gli dissi ridendo.

“E su, dai” mi rispose lui.

“Sarà gelata”.

“Gelata?” mi chiese “devo ricordarti che siamo a Luglio?” mi domandò come se stesse parlando con una bambina.

“Devo ricordarti che è l’una di notte e che non abbiamo neppure un asciugamano?” gli domandai retorica iniziando la mia frase usando le sue stesse parole “ci metteremo una vita ad asciugare e tu rischi di farti venire qualcosa e non essere al tuo massimo domani” gli spiegai.

“Giusto, hai ragione” mi rispose solamente prima di lasciare la presa sulla mia mano e togliersi la maglietta.

“Che diavolo fai?” gli domandai.

“Mi tolgo i vestiti e dovresti farlo anche tu” mi rispose “a meno che non vuoi che lo faccia io” continuò.

“Edward…” dissi a mo di rimprovero.

“Che c’è?” mi rispose come se non avesse detto nulla di male “non vedrei nulla che non abbia già visto ed ammirato” continuò.

Sorrisi solamente senza riuscire a trovare nulla da dirgli e in pochi istanti lui restò solo in box.

Dio quanto era bello. Ogni linea del suo corpo era semplicemente perfetta. I suoi pettorali scolpiti, la tartaruga molto più pronunciata di quanto ricordassi, le gambe lunghe e toniche. Era l’incarnazione della perfezione. Il David di Michelangelo, come spesso amavo chiamarlo in passato.

“Allora?” mi domandò esortandomi a darmi una mossa.

Non ebbi il tempo di dire nulla che lui mi diede le spalle e si buttò in acqua senza curarsi di nient’altro, mentre io mi avvicinai di qualche passo guardandolo come fosse un alieno.

“Tu sei completamente fuori” mi lasciai scappare.

“L’hai sempre saputo questo” mi rispose “e adesso smettila di essere razionale e buttati” continuò “l’hai già fatto in passato” concluse sorridendomi sghembo e io compresi perfettamente cosa volesse dirmi.

Proprio al suono di quelle parole la mia mente tornò indietro nel tempo, indietro di parecchi anni a quando una sola notte era bastata per cambiare per sempre il nostro rapporto e le nostre vite.

 

Era estate e, come ogni anno, io ed Edward eravamo partiti. Lo facevamo tutti gli anni, era una specie di tradizione. Dedicavamo una settimana delle nostre vacanze estive solo a noi due allontanandoci da ogni tipo di problema. Tutto e tutti restavano a Portland, mentre noi ci dirigevamo in macchina in una qualunque località che contasse almeno cinquecento chilometri da quella che era casa nostra.

A quel tempo non stavamo insieme. Eravamo semplicemente due grandi amici che se la spassavano a stare insieme fregandocene dell’invidia di tutti quelli che ci guardavano, di tutti quelli che con ignoranza non riuscivano a spiegarsi cosa avessero da condividere due persone così diverse tra loro come lo eravamo io e lui. 

In effetti era vero, completamente e inesorabilmente vero. Io ed Edward eravamo due poli opposti: il nord e il sud, l’est e l’ovest. A lui piacevano gli hot dog strapieni, le salse piccanti, il cibo indiano e messicano, il sushi, il gelato al cioccolato, i locali affollati, le scopate per divertimento, l’alcool, le feste, i capelli sempre in disordine. Edward era ritardatario, egocentrico, irresponsabile, solare, estroverso, disordinato. Io, invece, ero l’esatto opposto. A me piaceva solo e soltanto la pizza, il cibo tradizionale che non fosse crudo o che non avesse in mezzo una quantità sproporzionata di salse e spezie varie, il gelato pistacchio e cocco, la tranquillità e i locali poco frequentati. Ero quella sempre puntuale, quella responsabile che contava fino a dieci prima di fare una cosa, quella introversa che faceva fatica a fare amicizie nuove e soprattutto ero la ragazza più ordinata del pianeta.

Che cosa avevamo in comune io e lui? Niente che non fosse la nostra amicizia. Ciò che la gente non capiva era che stando insieme regalavamo un po’ del nostro mondo all’altro e così io ero diventata un po’ come lui e lui un po’ come me.

Eravamo diversi, ma uguali. Perfetti nella nostra imperfezione.

Quell’anno eravamo andati in una località di mare a circa quattrocento chilometri da Portland. Avevamo affittato una camera d’albergo e ci eravamo dedicati al divertimento più assoluto.

L’ultima sera, però, ci eravamo ritrovati a partecipare ad una feste organizzata in spiaggia e avevamo iniziato ad alzare di parecchio il gomito, talmente tanto che nessuno dei due si reggeva molto bene in piede. Se c’era una cosa che avrei capito in seguito a quella sera era che era vero che  l’alcool oscura, per un po’, le facoltà mentali della gente e spesso fa uscire quello che teniamo chiuso dentro il nostro inconscio.

Quella sera successe proprio questo.

Finita la festa in spiaggia io ed Edward restammo seduti sulla sabbia a guardare il mare per molto tempo, fino a che, per lo meno, non restammo da soli. E tra un bicchiere di chissà quale miscuglio e un altro ci ritrovammo sempre meno lucidi finchè lui non scorse poco distanti da noi dei pedalò ormeggiati alla riva. Si alzò trascinandomi per una mano e ne liberò uno portandolo in acqua.

“Andiamo” mi disse solamente.

“Non possiamo” riuscii a rispondergli in un barlume di lucidità.

“Si che possiamo”.

“Se qualcuno ci scopre…”

“Non lo stiamo mica rubando. Andiamo a fare un giro e torniamo” mi spiegò “non se ne accorgerà nessuno” concluse.

“Siamo ubriachi”.

“Giusto un po’” mi rispose facendo un ridicolo segno con le mani allontanando il pollice dall’indice davvero poco per indicare il nostro grado di ubriachezza.

Non aggiunsi nulla notando che si stava togliendo i vestiti restando praticamente in box e invitando anche me a fare lo stesso.

“Non ho nessuna intenzione di togliermi i vestiti” gli dissi.

“Allora te li tolgo io”.

“Non…” tentai di dire.

“Possibile che anche da ubriaca devo convincerti a lasciarti andare?” mi domandò alzando un sopracciglio “avanti, smetti di essere razionale” aggiunse “per me” concluse poi guardandomi intensamente negli occhi.

Dopo che mi dedicò uno dei suoi migliori sorrisi compresi che non avrei potuto e voluto dirgli di no, quindi mi decisi ad ascoltarlo e toltomi il vestitino che indossavo restai in intimo, poi salii sul pedalò insieme a lui.

Quello che successe quelle sera, su quel pedalò, sarebbe rimasto inciso dentro di me a fuoco, lui sarebbe rimasto inciso dentro di me.

In mezzo all’acqua ci bastò sfiorarci le mani per qualche breve istante perché l’alcool spegnesse ogni barlume di lucidità che ci fosse rimasta.

Lo sfiorarsi delle nostre mani si trasformò in un sfiorare i nostri corpi e questo ci provocò brividi talmente forti che finimmo per baciarci.

Ciò che successe dopo lo chiusi per sempre in uno dei cassetti più importanti del mio cuore consapevole che non avrei mai più potuto scordarlo.

Quella sera mi fece sua, quella sera semplicemente Edward Cullen mi fece diventare donna.

 

Lo guardai già immerso nell’acqua e sorrisi come una bambina a cui avevano appena regalato le sue caramelle preferite. Sorrisi perché guardandolo ogni pezzo del puzzle tornò al suo posto, sorrisi perché finalmente mi sentivo di nuovo a casa.

Ci sono posti che li trovi a caso, dove scopri l'amore, o dove semplicemente camminando su quelle strade ti senti a casa, ti senti familiare e parte dell'ambiente, dell'aria che si respira e io mi sentivo così, io mi sentivo a casa solo quando stavo con Edward.

Era sempre stato lui la mia casa, il mio porto sicuro, la mia isola felice.

“Che c’è?” mi domandò incuriosito notando che lo stavo fissando.

“Niente” gli risposi “ricordi” precisai poi con il chiaro intento di non volergli mentire.

Lui sentendomi pronunciare quelle parole mi guardò e sorrise ancora di più.

“Vieni qui” mi urlò e non appena io mi avvicinai di qualche passò riprese a parlare “costruiamone degli altri” aggiunse qualche attimo più tardi riferendosi chiaramente ai ricordi.

Lo guardai e il suo sorriso era talmente bello che non riuscii a resistere. Mi tolsi quello che indossavo restando in intimo e subito mi fiondai per raggiungerlo.

Non appena fui completamente bagnata dall’acqua un brivido di freddo mi percorse tutta la spina dorsale e subito mi buttai praticamente addosso alla sua spalla.


“Diavolo, è freddissima” mi lasciai scappare ridendo.

“Giusto un po’” mi rispose lui spostando le mie mani.

Le tolse dalla sua spalla e se le portò dietro al collo, poi portò le sue nei miei fianchi e mi attirò a sé guardandomi come se mi vedesse per la prima volta.

“Che c’è?” gli domandai curiosa.
“C’è che ti voglio nella mia vita” mi rispose solamente prima di eliminare le distanze e baciarmi.

Fu un bacio che di casto non aveva assolutamente nulla e prima che potessi accorgermi di qualunque cosa sentii lui prendermi in braccio per riportarmi sulla sabbia e dopo avermi fatta sdraiare avvicinò il suo viso al mio.

“Ho voglia del tuo sapore” mi disse fissandomi “ho voglia di te” aggiunse poi.

Lo guardai sorridendo e non riuscendo a dire nessuna parola gli feci capire che era lo stesso per me tirando il suo viso verso di me e baciandolo con tutto il sentimento che avevo dentro.

Cinque minuti dopo me lo ritrovai dentro di me che spingeva facendomi ansimare di piacere.

Stava succedendo di nuovo in quella giornata e seppur era sbagliato, mentre lo sentivo muoversi insieme a me, dentro di me non potei che sorridere affondando nuovamente le mie labbra sulle sue.

Era vero, era tremendamente sbagliato quello che stavamo facendo, ma, al contempo, in quel momento nulla mi sembrava più giusto.

 

 

 

 

 

Spoiler:

“Mi dispiace” riuscii solo a dire “non avevo idea fosse così difficile. L’ho sempre considerato uno tra i circuiti più spettacolari” aggiunsi.

“Lo è” mi rispose calmandosi leggermente “lo è eccome se non devi affrontarlo in ultima fila e vuoi arrivare primo” continuò.

Abbassai la testa non riuscendo a dire nulla. Era chiaro che non sarei riuscita a farlo calmare. Rischiavo solo di peggiorare le cose. In fondo si trattava del suo lavoro, della cosa a cui teneva di più in assoluto, della cosa in cui voleva spiccare sempre e comunque.

Edward e le moto…era sempre stato così.

Lo sentii avvicinarsi a me e prima che potessi fare qualunque cosa sentii il suo indice fare pressione sul mio mento per fare in modo che alzassi il capo.

“Mi dispiace, Bella” mi disse con fare dispiaciuto “non dovevo prendermela con te” aggiunse con una chiara espressione nel volto.

Glielo leggevo negli occhi che non avrebbe voluto comportarsi così e gli leggevo negli occhi il suo bisogno che io comprendessi che era dispiaciuto davvero.

“Tranquillo” riuscii solamente a dirgli.

“No, non lo sono” mi rivelò “sei qui e dovrei solo dimostrarti che ti voglio nella mia vita e, invece, guardami? Alla prima occasione scapoccio di testa e ti faccio una sfuriata senza che tu c’entri nulla” mi spiegò.

Abbassai lo testa non riuscendo più a guardarlo negli occhi.

“Che c’è?” mi domandò notando il mio atteggiamento.

“Niente” gli risposi.

“Che c’è?” mi ripetè facendomi capire che non potevo mentirgli.

“Non credo che tu lo voglia sapere davvero”.

“Lo voglio, invece”.

“Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo” gli dissi con sincerità “a quando, dopo una gara non brillante, mi hai sbattuto fuori dalla tua vita” continuai convinta delle mie parole.

Era sbagliato tutto quello che stavamo facendo e se ancora avevo avuto qualche dubbio, adesso, dopo quello che era successo non ne avevo più.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

Vi lascio inoltre anche il link della pagina facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è a nome dell’altra storia che ho in corso proprio per non crearne una nuova sola per questa storia. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta, in modo che chi non segue l’altra potrà comunque tenersi informato con questa. Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts

 

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Capitolo 7
*** 7. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer


 

7.

Pov Bella

Il suono ripetuto di un cellulare mi rubò dalle braccia di Morfeo per riportarmi alla cruda realtà. Aprii piano gli occhi per abituarmi alla luce solare che mi sbatteva in faccia con impressionante vigore e, facendolo, mi resi conto che mi trovavo ancora in spiaggia, anzi ci trovavamo ancora in spiaggia.

Appollaiata comodamente al petto di Edward mi ero addormentata chissà quante ore prima ed eravamo entrambi in intimo coperti solamente dai nostri vestiti che, la notte prima, ci eravamo appoggiati addosso senza indossarli.

“Edward” lo chiamai, ma notando che non rispondeva iniziai a scuoterlo senza troppa pressione “Edward” continuai e, a quel punto, lo sentii mugugnare.

“Sto dormendo” si lamentò mentre il suo cellulare continuava a squillare.

“Se mi rispondi significa che non stai più dormendo” gli feci notare sorridendo scuotendo la testa.

Non era cambiato per nulla. Aveva sempre amato dormire e, ogni volta, per svegliarlo serviva una quantità di pazienza davvero elevata. Tra l’altro non potevo neppure correre il rischio di essere troppo irruenta, altrimenti avrebbe finito per aprire gli occhi e restare nervoso tutto il giorno. Succedeva sempre quando veniva svegliato in malo modo.

“Solo altri cinque minuti” continuò a lagnarsi dopo un altro mugugno.

Mi avvicinai ai suoi jeans che, in modo piuttosto strambo, gli coprivano parte delle gambe e afferrai il cellulare dalla tasca notando che era James.

“Edward è James” lo informai avvicinando il cellulare a lui in modo che si accorgesse che stesse squillando “svegliati avanti, non fare il bambino” continuai.

Lui mugugnò per la terza volta, poi aprì un solo occhio e mi guardò di sottecchi, mentre io ne approfittai per accettare la chiamata portandogli il cellulare dritto all’orecchio.

Edward non ebbe nemmeno il tempo di dire mezza parola che il biondo gli urlò contro e anche se non ero riuscita a sentire chiaramente cosa gli stesse dicendo era chiaro che lo stesse rimproverando.

“Cazzo, non urlare” riuscii a dire Edward aprendo entrambi gli occhi con un’espressione parecchio infastidita “cosa?” urlò poco dopo controllando l’orologio che aveva al polso “cazzo, cazzo e cazzo” continuò e solo in quel momento realizzai cosa stava succedendo.

Gettai l’occhio sul mio cellulare e mi resi conto che erano le otto di mattina e che fra non molto Edward avrebbe dovuto disputare una gara. Ci eravamo addormentati come degli incoscienti.

“Sono ancora con Bella” prese a dire lui scansandomi e mettendosi seduto afferrando la maglietta poco distante da lui e mettendosela facendo attenzione a non far cadere il telefono “no, siamo alla solita spiaggia” continuò “cazzo, inventati una scusa. Sarò lì appena posso” aggiunse “ma porco diavolo James, non ho la facoltà del teletrasporto. Dammi il tempo di mettermi in macchina ed arrivare. Comincia a preparare tutto e spara cazzate quante ne vuoi basta che nessuno sappia che non sono ancora lì” concluse chiudendo la conversazione e alzandosi.

In nel frattempo mi ero già rivestita e lui prontamente afferrò i jeans e se li mise passando poi ad infilarsi le scarpe.

“Non era propriamente…” tentò di dirmi guardandomi.

“Lo capisco Edward, muoviamoci” gli dissi solamente.

Non serviva che si scusasse per la fretta e il poco tatto che aveva mostrato adesso, riuscivo a capire i suoi motivi e non potevo certamente dargli torto.

Nemmeno cinque minuti dopo eravamo già in macchina e lui stava sfrecciando per le strade di Monterey.

“In che hotel alloggi?” mi chiese agitato.

Lo guardai mente cercava di controllare lo scorrere del tempo cercando mentalmente di capire se c’è l’avesse fatta oppure no ad arrivare in tempo.

La gara sarebbe stata quello stesso pomeriggio alle due, ma di mattina, come sempre, avrebbero dovuto scendere in pista nel warm up e di solito lo facevano presto perché poi avrebbero dovuto cominciare con le gare di Moto3 e Moto2.

“Lascia stare l’hotel” gli risposi “andiamo al circuito” conclusi.

Lui mi guardò sorpreso, ma non aggiunse nulla comprendendo che risparmiarsi la tappa all’hotel per accompagnare me gli avrebbe fatto risparmiare tempo prezioso.

Afferrai il cellulare e trovai un sacco di chiamate da parte di Jessica e Jane e mi accorsi solo in quel momento di avere il silenzioso, motivo per cui non avevo sentito il cellulare squillare per nulla. Composi il numero di Jane e dopo due squilli lei rispose.

“Dove diavolo ti sei cacciata si può sapere?” mi domandò preoccupata.

“C’è stato un problema con Vic e sono rimasta a dormire in hotel con lei” mentii spudoratamente.

“Avresti comunque potuto avvisare”.

“Lo so, ma è successo un casino con il suo ragazzo stanotte. Non ne ho avuto il tempo” provai ad improvvisare.

“E adesso dove sei?” mi chiese.

“Ancora in hotel da lei”.

“In hotel da lei?” mi domandò sorpresa “cavolo Bella, i ragazzi ci aspettano già giù. Vogliono arrivare puntuali per l’inizio del warm up. Quanto tempo perdi ancora?” mi chiese.

“Un po’. Voi cominciare ad andare. Ci vediamo al circuito”.

“Ma…” tentò di dire.

“Verrò con Vic e non appena sono lì vi chiamo e ci incontriamo”.

“Jake lo sa?”

“No, non ho fatto in tempo a chiamarlo. Avvisalo tu” gli dissi consapevole che se avessi chiamato lui mi sarei fatta beccare.

“Non credo che sarà contento di questa cosa”.

“Lo so, ma vedrai che capirà”.

“Forse se lo chiami tu è meglio”.

“Vorrei, ma non posso. Ho la batteria quasi scarica e preferisco risparmiarla per dopo, altrimenti finiamo che non riusciamo nemmeno a beccarci con tutta quella confusione”.

“Si, ma…”

“Jane devo staccare” aggiunsi consapevole di non riuscire più a mentire “a dopo” conclusi chiudendo la telefonata prima che lei potesse rispondermi.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Edward, seppur nervoso, mi lanciò uno sguardo di sottecchi.

“Che c’è?” gli chiesi vista la sua espressione.

“Niente” mi rispose “è solo che non mi ricordavo fossi così brava a mentire” mi spiegò mentre io abbassai la testa colpita da quelle parole.

In effetti non era mia abitudine dire bugie. Io non mentivo, io ero sempre sincera, ma in quella situazione mi ero ritrovata a doverlo fare per forza di cose. Jake non sapeva nulla di Edward, né tantomeno conosceva così bene il mio passato da poter riuscire a capire tutta quella situazione.

Edward aumentò risoluto la velocità arrivando a toccare i 190 chilometri orari e io ringraziai mentalmente il fatto che non ci fosse traffico altrimenti chissà cosa sarebbe successo.

“Quando comincia il warm up?” gli chiesi controllando l’orologio.

“Fra mezz’ora devo essere nel paddock. Non ci arriverò mai” sbraitò “cazzo” si lasciò scappare poi.

“Ehy, ci arriverai vedrai”.

Lui non mi rispose, ma aumentò ancora di più la velocità fino a che non raggiungemmo nuovamente i posteggi dove, il pomeriggio prima, avevamo trovato la macchina.

“Corri” gli dissi solamente “ci penso io alla macchina” aggiunsi.

Lui frenò di botto e si voltò a guardarmi.

“Grazie” mi rispose dandomi un veloce e frettoloso bacio a stampo.

Scese dalla macchina e io passai dal lato guidatori cercando un posteggio. Non appena lo trovai posizionai accuratamente la macchina e poi scesi chiudendola. Mi diressi a passo spedito verso il motorhome di Edward e subito mi avvicinai trovando perfino la portiera aperta. Entrai senza nemmeno chiedere il permesso e appoggiai le chiavi della macchina al tavolino e solo quando alzai gli occhi vidi lo sguardo di James puntato addosso, mentre Vic stava armeggiando ai fornelli per preparare un caffè.

“Non guardarmi in quel modo” dissi a James mentre sentii il rumore dell’acqua scorrere.

Segno probabilmente che fosse andato a farsi una doccia.

“Non guardarmi in quel modo?” ripetè lui alzando la voce “hai idea di quello che avete combinato? Cazzo se non avessi iniziato a chiamare come un forsennato ogni due minuti avreste continuato a dormire placidamente sdraiati su una fottuta spiaggia” mi urlò.


“Ci siamo addormentati. Non era intenzionale” provai a spiegargli.

Riuscivo a capire le sue intenzioni e il motivo per cui avesse alzato la voce. Sapevo che non c’e l’aveva con me, né con Edward. Era solo preoccupato per la situazione che si sarebbe potuta venire a creare.

James continuò a guardarmi torvo e a quel punto mi lasciai andare sul divanetto di fronte al lavandino.

“Mi dispiace” riuscii a dire.

Lui mi guardò ancora e subito il suo sguardo si addolcì e si avvicinò a me sedendomi a fianco.

“No, scusa tu” mi disse “è solo che, per un momento, ho pensato che non avrebbe risposto. Per un attimo ho pensato che non si sarebbe presentato in tempo” continuò.

“Stiamo parlando di Edward Cullen, non dimenticarlo” gli feci notare, mentre Vic si voltò a guardarci e sorrise.

Lui senza pensarci due volte mi abbracciò senza dire nulla, poi quando si staccò mi sorrise raggiante.

“Sono felice che tu sia qui” mi rivelò.

“Io…” tentai di dire.

“Sappiamo entrambi che è questo il tuo posto” continuò “è sempre stato questo” aggiunse.

“A fare caffè a due idioti come te e il tuo amico?” tentai di dire mettendola sul ridere.

“Beh, in effetti anche per questo” mi rispose “il caffè come lo prepari tu non lo fa nessuno” continuò.

“Grazie, ah” si lamentò Vic avvicinandosi con delle tazze in mano e porgendocele.

Era chiaro che la battuta di James non le fosse stata gradita.

“E su, amore” tentò di dire lui “ammetti che fare il caffè non è il tuo forte” continuò.

“James Nomadi stai rischiando grosso oggi” lo prese in giro lei alzando leggermente il tono di voce e fingendosi arrabbiata.

Mi faceva sempre ridere quando quei due tentavano di litigare. Erano tentativi vani, non ci riuscivano mai sul serio.

Li guardai e cominciai a ridere e proprio in quel momento Edward comparve davanti ai nostri occhi. Indossava un paio di pantaloni da tuta neri e una canotta bianca. Era chiaro che doveva ancora infilarsi la tuta.

Si avvicinò a noi e subito mi rubò la tazza dalle mani bevendo un po’ di caffè. Non appena lo fece assunse un’espressione schifata e me lo restituì.

“Questi si chiamano attentati alla vita altrui” si lamentò verso Vic.

“Non fare lo stronzo” le rispose lei.

“Io ti amo, lo sai Vic, ma cazzo smettila di preparare caffè” continuò lui mentre la rossa gli diede una manata sulla spalla che fece parecchio rumore “ahia” si lamentò infatti lui.

“Così impari” gli disse lei, mentre io me la risi sotto i baffi.

Se possibile il legame tra loro due si era intensificato ancora di più. Vic aveva sempre adorato Edward e lo stesso era per lui. Tra loro era stato amore a prima vista e quando lui aveva scoperto che lei si era innamorata di James c’aveva messo il suo zampino perché quello scapestrato del suo amico mettesse la testa apposto e si dichiarasse finalmente all’unica ragazza che gli era piaciuta praticamente da sempre.

Quando tutti tornammo a darci un contegno, Edward controllò l’orologio sul polso e si rese conto che era tardissimo.

Proprio in quel momento, però, sentimmo qualcuno arrivare e non appena ci voltammo in direzione del portellone del motorhome notammo la testa di un ragazzo che non conoscevo assolutamente.

“Cazzo ancora così stai?” si lamentò quello vedendo Edward.

“Sto andando a mettermi la tuta” gli rispose.

“Faresti bene a muoverti e venire al paddock il prima possibile. Abbiamo un problema”.

“Di che diavolo parli?” domandò James.

Il ragazzo si accorse solo in quel momento della mia presenza e, probabilmente non riconoscendo in me nessuna figura familiare, come invece poteva esserlo Vic tornò a guardare Edward.

“Muoviti” disse soltanto per tagliare corto prima di sparire.

“Che diavolo succede?” domandò Edward a James.

“Non ne ho la più pallida idea” gli rispose “vado a controllare, tu vai a vestirti” aggiunse prima di allontanarsi dal motorhome.

Edward mi si avvicinò e mi sorrise.

“Devo andare” mi spiegò.

“Lo so”.

“Dopo il warm up sarò tutto tuo” mi disse.

“Vai adesso” gli risposi solamente.

Avrei dovuto dirgli che ero io a non sapere se, dopo il warm up, sarei potuta essere sua, ma preferii non dire nulla. Volevo che uscisse e salisse in sella alla moto nella più assoluta tranquillità.

La verità era che il giorno prima ci eravamo costruiti una bolla intorno a noi, ma oggi quella bolla sarebbe scoppiata perché quello che ci eravamo concessi di fare era sbagliato, terribilmente sbagliato.

Lui mi sorrise e mi attirò a sé baciandomi comprendendo chiaramente dal mio sguardo che quello che sarebbe successo di lì a qualche ora nessuno l’avrebbe saputo. Edward sapeva che avevo una vita e sapeva anche che sarei dovuta tornare a vivere quella.

Il bacio fu passionale, ma allo stesso tempo dolce. Lui mi voleva, questo era chiaro come il sole.

Quando si staccò mi voltò le spalle per uscire di lì e dirigersi al Tir Yamaha dove si sarebbe cambiato indossando la tuta.

“Edward?” lo richiamai.

Lui si voltò senza dirmi nulla e io ripresi a parlare.

“Fa attenzione” riuscii a dirgli solamente mentre lui mi sorrise sghembo e poi tornò a darmi le spalle per uscire da lì dentro.

Non appena restai sola con Vic mi resi conto dal suo sguardo che avrebbe voluto sapere tutto, ma in quel momento non avevo molta voglia di chiacchierare e lei comprese tutto dal mio sguardo.

“Ok, ne parliamo dopo” mi disse solamente “adesso se vuoi puoi farti una doccia. Posso prestarti dei vestiti tanto la taglia è la stessa” mi propose.

Non me lo feci ripetere due volte e mi diressi in bagno a togliermi di dosso la stanchezza che mi sentivo dentro le ossa. Sperai, allo stesso tempo, che l’acqua riuscisse a togliermi via anche gli errori commessi e quel senso di inadeguatezza che mi stava contorcendo lo stomaco, ma era tutto inutile. Quando uscii dalla doccia i sensi di colpa c’erano ancora, più forti che mai.

Mi infilai i vestiti che Vic mi aveva dato e mi diressi nuovamente di là giusto in tempo per sentire il mio cellulare squillare. Mi avvicinai e notai che era Jake. Cazzo.

Senza pensarsi troppo accettai la chiamata.

“Jake” dissi solamente.

“Si può sapere che fine hai fatto?” mi chiese.

“Ho chiesto a Jane di avvisarti”.

“L’ha fatto, infatti, ma questo non cambia nulla. Doveva essere una vacanza per noi e, invece, è da ieri che sei con la tua amica senza curarti minimamente di me” mi rimproverò.

“Non ti ho lasciato certo da solo. Ci sono i ragazzi”.

“Dovevi esserci tu”.

“Lo so, ma si tratta di Vic. Non potevo lasciarla da sola in un momento del genere”.

“Però potevi lasciare solo me, giusto?” si lamentò.

“Senti Jake, smettila. E non prendiamoci in giro. Siamo venuti qui perché volevi vedere la gara, non perché volessi fare una vacanza con me. Il tuo intento era vedere il tuo idolo più da vicino, sentire il rombo dei motori a pochi metri di distanza, punto. Se avessi voluto passare una vacanza con me non saremmo certo venuti qui” urlai in preda alla rabbia.

Me la stavo prendendo con lui per qualcosa di inesistente. Ero arrabbiata con me stessa e non potendomela prendere con me lo stavo facendo con lui. Era lui che doveva avercela con me e, invece, sembrava quasi il contrario. Ero un’ipocrita.

“Non vorrai mica litigare per telefono, vero?” mi domandò retorico ignorando le mie parole.

“Non me ne frega nulla” mi lasciai scappare “e tanto per la cronaca io qui non voleva neppure venirci” aggiunsi alla fine pentendomi subito di quelle parole.

Vic mi lanciò uno sguardo sorpreso, mentre Jake restò in silenzio per qualche istante.

“Questo hai evitato di dirmelo, però” mi disse quando riuscì a connettere cervello e bocca.

“Sprizzavi felicità da tutti i pori. Non volevo certo fare la guastafeste” gli risposi “comunque lascia perdere. Non è il momento di affrontare questa conversazione” continuai.

Ci fu un attimo di silenzio, poi lui riprese a parlare.

“Dove sei, Bella?”

“In hotel da Vic” mentii.

“Noi siamo già al circuito, siamo nel prato. I pass sono rimasti nella tua borsa da ieri. Non possiamo entrare nel paddock” mi spiegò.

Mi ricordai solo in quel momento che, dopo averli presentati all’ingresso, Jake me li aveva infilati nuovamente nella mia borsa.

“Guardate il warm up da lì. Non appena arrivo vi chiamo” gli risposi senza scompormi più di tanto.

Almeno non correvo il rischio di ritrovarmeli tra i piedi fino a quando non sarei riuscita a parlare con Edward e fargli capire che lo sbaglio fatto non doveva più ripetersi.

“Ma…” tentò di dire.
“Ieri è stata una giornata massacrante e stamattina è iniziata male, non ti ci mettere pure tu” tentai di dire mantenendo fede alla bugia che avevo rifilato a Jane qualche ora prima. 

“È successo qualcosa?”

“Una discussione con il ragazzo di Vic. Poi ti racconto. Adesso devo andare perché ho la batteria a terra. Non voglio che il telefono si spenga”.

Non gli diedi neppure il tempo di rispondere che chiusi la telefonata ritrovandomi gli occhi della mia amica puntati addosso.

“Non dire nulla. Sono una stronza, lo so già. Non serve che tu me lo ricordi” mi lasciai scappare.

“Volevo dire un’altra cosa”.

“Qualunque cosa tu volessi dire, non farlo”.

“Ma…”

“Niente ma, andiamo al paddock. Devo parlare con Edward” aggiunsi controllando l’orologio e accorgendomi che sicuramente i venti minuti di warm up doveva essere già finiti.

“Per dirgli cosa?” mi chiese.

“Che siamo stati dei folli e che la mia vita non è qui e il mio posto non è accanto a lui”.

“E accanto a chi? Accanto al moro che fingi di amare?” mi domandò scettica.

Alzai gli occhi al cielo e poi mi voltai leggermente scuotendo la testa leggermente infastidita.


“Non ti ci mettere pure tu”.

“Siete stati degli sciocchi quattro anni fa, non continuate ad esserlo adesso”.

“Degli sciocchi? È stato lui ad esserlo. Lui mi ha lasciata” precisai.

“Si lo so, ma tu? Che cosa hai fatto tu? Hai preso un aereo e te ne sei andata via senza parlarne con lui, senza capire cosa vi stava succedendo. Non hai lottato, ti sei semplicemente arresa”.

Sapevo che aveva ragione e, ad oggi, sapevo che se le cose erano andate in quel modo la colpa era anche un po’ mia, anche se forse non l’avrei mai ammesso a voce alta.

“Si, mi sono arresa comprendendo che c’era qualcosa che lui amava più di me”.

“Scusa?” mi chiese curiosa.

“Le moto, Vic. Le moto e tutto quello che ci circonda” comincia a dire indicando il posto “è questo che ha sempre amato, più di me probabilmente” continuai.

“Bella tu sei una persona, la moto è un oggetto. Non puoi metterti a paragone con essa” mi fece notare.

“Se pensi davvero questo significa che non hai capito niente di Edward. Per lui la moto non è un oggetto, non è un semplice pezzo di ferro. Per lui quello che tu chiami oggetto ha un’anima perché, secondo lui, una cosa così bella come una moto non può non averne. Edward considera la moto una persona, la sua persona e questa è una realtà con la quale ho sempre dovuto fare i conti” gli rivelai sincera ammettendo, forse, per la prima volta a voce alta quel dato di fatto.

“È assurdo tutto questo” mi rispose.

“No, non è assurdo. È Edward Cullen”.

Lei mi guardò senza aggiungere nulla e così insieme ci dirigemmo verso il paddock. In meno di cinque minuti fummo proprio dentro il box Yamaha e vidi che, mentre il secondo pilota del team era già rientrato Edward ancora no.

Ci avvicinammo entrando e mentre Vic si diresse verso James, io rimasi leggermente in disparte sentendo il rumore di una moto che si avvicinava. Di sicuro doveva essere Edward.

“Dove diavolo è la sicurezza oggi?” si lamentò una voce dietro di me “non so chi l’ha fatta entrare, ma lei decisamente non può stare qui” continuò quando io mi voltai per guardarlo.

Era chiaro che si riferisse a me e che con me stesse parlando. Stavo per rispondergli, quando vidi Edward proprio dietro l’uomo scendere dalla moto.

Si alzò la visiera e si avvicinò.

“Lei sta con me” disse all’uomo.

Quello mi guardò e poi si passò una mano tra i capelli.

“Non ne avevo idea” gli rispose “non l’avevo mai vista prima” continuò.

“Fa nulla” risposi io al posto di Edward.

Il mio ex ragazzo, a quel punto, si tolse il casco e mi guardò sorridendomi.

“Lui è Eleazar Denali, il direttore tecnico della Yamaha” mi spiegò presentandomelo anche se io l’avevo già visto altre volte in tv.

L’uomo mi sorrise e io feci lo stesso, poi tornò a guardare Edward.

“Allora?” gli domandò il mio ex in attesa di chissà che tipo di risposta.

Forse c’entrava qualcosa quel problema di cui il ragazzo di prima aveva accennato.

“Hanno accolto il reclamo” gli rispose quello “ci fanno partire dall’ultima fila” aggiunse.

James si avvicinò subito, mentre io guardavo tutti loro non capendoci nulla. Che stava succedendo?

“Che cazzo significa che ci fanno partire gli ultimi?” urlò Edward parecchio incazzato “mi prendi per il culo?” continuò sempre più arrabbiato.

Eleazar cercò di spiegargli la situazione, ma io mi allontanai avvicinandomi a Vic sentendomi decisamente di troppo tra loro che parlavano.

Non tolsi gli occhi di dosso a Edward e non mi fu difficile capire che era parecchio agitato e arrabbiato. Di solito era sempre meglio non farlo incazzare perché lui riusciva a trasformarsi e diventare tutta un’altra persona.

Quando il direttore tecnico si allontanò per andare a comunicare la notizia ad un giornalista posto al di fuori del box, Edward e James si avvicinarono a noi.

“Che succede?” chiese Vic preoccupata.

“Succede che è tutta una porcata” spiegò James.

“Edward?” lo chiamai per incitarlo a parlare.

“Volturi e la Honda sono andati a reclamare con i giudici di gara accusando i tecnici Yamaha. Hanno detto che nella notte, qualcuno dei nostri è entrato in pista per pulire la mia casella di partenza” mi spiegò agitato.

Caius Volturi non era altro che il primo pilota in casa Honda ed era l’acerrimo rivale di Edward. L’anno prima convinto di vincere il titolo non aveva fatto i conti con l’arrivo di quel nuovo talento e così si era visto sfumare da sotto gli occhi la possibilità di laurearsi campione del mondo. E quest’anno lago della bilancia sembrava pendere verso Edward anche se era decisamente presto per dirlo visto che si erano corse solo cinque gare, di qui tre vinte da Edward. 

“Che diavolo significa?” domandò Vic per capirci qualcosa con più precisione.

“L’asfalto ieri alla partenza era un po’ sporco, allora Felix è andato con lo scooter a pulire la casella dove devo partire” continuò a spiegare “ma cazzo, è una cosa che veramente non fa nessuna differenza” concluse.

“In sintesi loro l’hanno visto e considerato che nel regolamento c’è scritto che non si può pulire o modificare la griglia di partenza sono andati a fare reclamo” spiegò breve e coinciso James.

“Il che significa che la tua pole di ieri non ha valore e dovrai occupare l’ultimo posto sulla griglia di partenza?” domandai.

“Esattamente”.

“Ma hai detto che non fa nessuna differenza quello che è stato fatto” provai a dire “si è trattato solo di un’ingenuità” continuai.

“Si, un'ingenuità che rischi di costarci molto cara” mi fece notare James.

Ci fu un momento di silenzio, poi Edward lanciò il casco sulla sedia dove di solito si sedeva e dal suo sguardo compresi che non aveva affatto delle buone intenzioni.

Ci diede le spalle e si voltò dirigendosi fuori. James lo seguì e a ruota anche io e Vic poco dietro di loro.

Facemmo pochi passi, giusto quelli che ci permisero di raggiungere il box Honda e non appena fummo lì Edward si guardò intorno.

Non mi fu difficile capire chi stesse cercando.

“Credi davvero che questa stronzata ti permetterà di farmi stare buono per una gara?” urlò in direzione proprio di Volturi.

Caius si voltò e con fare altezzoso si avvicinò a Edward.

La loro rivalità era risaputa anche dai giornali, che non facevano che parlare di questo. La verità era, e lo scoprivo adesso meglio che mai, che quei due non solo non si sopportavano in pista, ma nemmeno fuori, nel privato.

Non appena gli fu vicino lo guardò con superbia e poi fece un sorrisino da prendere a sberle.


“Ho solo rispettato il regolamento. Non è colpa mia se non sai vincere rispettandole le regole” tentò di dire il biondo.

“Di quali regole stai parlando, sentiamo?”

“Lo sai benissimo”.

Caius si era sempre lamentato in merito alla guida forte e aggressiva di Edward, una guida spesso al limite. E in effetti era vero, così come era vero che, nella maggior parte dei casi, Edward si prendeva un sacco di rischi facendo delle entrate assurde, ma la verità era che non era questo a dare fastidio. Ciò che infastidiva Caius era che il mio ex ragazzo fosse in grado di dare spettacolo e soprattutto fosse sempre al centro dell’attenzione sia nel caso della vittoria sia nel caso di una sconfitta. Proprio nel momento in cui Caius era convinto di diventare il protagonista indiscusso della MotoGp era arrivato questo “pischello” di appena 20 anni e aveva ribaltato tutta la situazione.

“Sai che c’è?” gli domandò retorico Edward “giocare sporco solo alla sesta gara è da stupidi e lo è ancora di più farmi girare il cazzo nemmeno a metà stagione” continuò “ci vediamo all’ultima gara quando i miei mondiali vinti in MotoGp diventeranno due” concluse voltandogli le spalle con fare altezzoso.

“Fossi in te non ne sarei così sicuro” gli rispose l’altro “ho seri dubbi che riuscirai a fare una doppietta quest’anno” continuò.

Edward si fermò senza, però, voltarsi verso di lui.

“Fossi in te, invece, penserei a concentrarmi per la gara. I 18 piloti che ci separano non mi impediranno di arrivarti dietro al culo e superarti” concluse facendo segno a noi di allontanarci.

Caius non aggiunse nulla consapevoli entrambi che litigare non avrebbe giovato a nulla, specialmente prima della gara e con tutti i giornalisti pronti a riprendere qualunque piccolo screzio tra loro. In fondo, quella gente, viveva anche di questo.

Senza aggiungere nulla ci dirigemmo verso il box Yamaha e non appena arrivammo Eleazar guardò malissimo Edward, come a rimproverarlo dell’uscita che aveva appena fatto, ma lui non lo degnò neppure di uno sguardo.

Era chiarissimo che fosse parecchio arrabbiato e non potevo certo dargli torto.

Stavo per dire qualcosa, ma prima di farlo mi fece cenno di seguirlo e da soli ci dirigemmo nuovamente verso l’uscita.

“Dove stai andando? Abbiamo delle cose da ricontrollare” gli disse Demetri, mentre Eleazar gli lanciò un’occhiata che lasciava ben poco all’immaginazione.

“Torno fra dieci minuti”.

“Edward…” tentò di dire Demetri.

“Cazzo, ho detto che sto tornando” urlò spazientito.

Aveva i nervi tesi e gli sarebbe bastato un nonnulla per scoppiare.

“Gentilmente fatti una camomilla prima di tornare” ci scherzò su Vic pentendosi immediatamente della sua frase non appena vide lo sguardo gelido di Edward.

Lui lasciò comunque correre e insieme ci dirigemmo verso il Tir e non appena salimmo trovai un casino della malora. Poco prima, quando era andato lì per infilarsi la tuta aveva creato il caos più assoluto, ma evitai di dire qualcosa.

“Andrà bene” gli dissi soltanto sperando di tranquillizzarlo.

“Che cazzo ne sai te se andrà bene? Cos’è che conosci di questo fottuto circuito è? Il famoso cavatappi? Che altro?” cominciò a domandare.

Era completamente accecato dalla rabbia e nervoso fino al midollo. Mi sembrava quasi di rivivere il nostro ultimo incontro di quattro anni prima, in cui non molto gentilmente mi aveva mandato al diavolo sputtanando completamente la nostra storia.

“Io…” tentai di dire.

“Il cavatappi è una variante spettacolare posta in cima ad una collina e a guardarla dalla tv sembra facilissimo percorrerla. Hai idea, invece, che devi rallentare e percorrerla a massimo 60, 70 chilometri orari visto che poi si snoda su un dosso molto ripido? E la curva prima del cavatappi? C’è un dislivello dove le moto tendono a staccarsi dall’asfalto e dopo il cavatappi ci sono due veloci cambi di direzione che si percorrono a non più di 135 chilometri orari cosa assai difficile visto che portano ad una discesa ripida che precede la curva molto lenta prima del rettilineo. E il rettilineo al traguardo? Vogliamo parlare anche di questo? È così corto che sembra una passeggiata affrontarlo, peccato però che ci siano due lievi cambi di direzione che devi affrontare a 270 chilometri orari” mi spiegò in modo specifico “hai idea che Laguna Seca è uno dei circuiti più difficili per fare dei sorpassi? Ci sono pochissimi punti adatti e io di sorpassi ne devo fare minimo 18 se voglio arrivare a prendere quel fottuto stronzo” concluse passandosi una mano tra i capelli.

Ci fu un attimo di silenzio in cui cercai di capire cosa dire per non farlo arrabbiare ancora di più.

“Mi dispiace” riuscii solo a dire “non avevo idea fosse così difficile. L’ho sempre considerato uno tra i circuiti più spettacolari” aggiunsi.

“Lo è” mi rispose calmandosi leggermente “lo è eccome se non devi affrontarlo in ultima fila e vuoi arrivare primo” continuò.

Abbassai la testa non riuscendo a dire nulla. Era chiaro che non sarei riuscita a farlo calmare. Rischiavo solo di peggiorare le cose. In fondo si trattava del suo lavoro, della cosa a cui teneva di più in assoluto, della cosa in cui voleva spiccare sempre e comunque.

Edward e le moto…era sempre stato così.

Lo sentii avvicinarsi a me e prima che potessi fare qualunque cosa sentii il suo indice fare pressione sul mio mento per fare in modo che alzassi il capo.

“Mi dispiace, Bella” mi disse con fare dispiaciuto “non dovevo prendermela con te” aggiunse con una chiara espressione nel volto.

Glielo leggevo negli occhi che non avrebbe voluto comportarsi così e gli leggevo negli occhi il suo bisogno che io comprendessi che era dispiaciuto davvero.

“Tranquillo” riuscii solamente a dirgli.

“No, non lo sono” mi rivelò “sei qui e dovrei solo dimostrarti che ti voglio nella mia vita e, invece, guardami? Alla prima occasione scapoccio di testa e ti faccio una sfuriata senza che tu c’entri nulla” mi spiegò.

Abbassai lo testa non riuscendo più a guardarlo negli occhi.

“Che c’è?” mi domandò notando il mio atteggiamento.

“Niente” gli risposi.

“Che c’è?” mi ripetè facendomi capire che non potevo mentirgli.

“Non credo che tu lo voglia sapere davvero”.

“Lo voglio, invece”.

“Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo” gli dissi con sincerità “a quando, dopo una gara non brillante, mi hai sbattuto fuori dalla tua vita” continuai convinta delle mie parole.

Era sbagliato tutto quello che stavamo facendo e se ancora avevo avuto qualche dubbio, adesso, dopo quello che era successo non ne avevo più.

“Ma non è quello che voglio fare adesso” mi rispose.

“E cosa vuoi fare adesso?”

“Adesso ti voglio con me”.

“Fino a quando?” gli domandai “fino a che non scenderai in pista fra qualche ora e male che vada non arriverai primo e allora te la prenderai con me per averti distratto in questi due giorni?” continuai a chiedere “fino ad allora?” conclusi.

“Cazzo Bella, possibile che non lo capisci? È stato un errore quello, il più grande che abbia commesso. Non puoi farmela pagare per sempre” mi disse alzando il tono di voce.

“Non te la sto facendo pagare”.

“Si, invece. Mi hai rinfacciato questa cosa cento volte da ieri”.

“Hai ragione” mi lasciai scappare infastidita dalle sue parole “quindi è meglio se la finiamo qui altrimenti chissà per quanto ancora te la rinfaccerò” continuai.

“Non possiamo invece dimenticare quello che è stato e cominciare da capo di nuovo?”

“No, non possiamo”.

“Perché?”

“Perché non puoi darmi quello che voglio. Non potevi darmelo quattro anni fa e non puoi darmelo adesso” gli rivelai.

In fondo, c’era della verità in quelle parole. Lui non avrebbe mai potuto darmi niente in più di quello che mi aveva già dato. Era tanto, lo sapevo, ma non abbastanza.

Lui mi guardò sfinito e prese a scuotere il capo.

“Cosa cazzo è che vuoi, eh?” mi domandò snervato dalla situazione che si era venuta a creare sul lavoro e anche dalle mie parole.

“Voglio essere l’unica”.

“Sei l’unica”.

“Si, l’unica dopo tutto questo” gli risposi facendo cenno con le mani a ciò che c’era intorno a noi.

“Tu non capisci, adesso come allora” mi rivelò “e forse è questo il vero motivo per cui abbiamo rotto” continuò.

“Cos’è che non capisco?” domandai.

“Io e tutti quelli come me siamo una razza strana e tu non lo capisci. Tu non riesci a capire cosa la moto significhi per me, non capisci che correre è l’unica cosa che so fare bene nella vita, non capisci che senza la moto io non riesco ad essere me stesso, non capisci che lei è parte di me, che è una firma indelebile della mia anima” iniziò a dirmi “e tutto questo tuo non capire non riesce a farti comprendere una cosa fondamentale e cioè che per quanto io ami tutto questo non lo amerò abbastanza quanto amo te, non riesci a comprendere che non è vero che io ho realizzato i miei sogni perché in quelli c’eri anche tu e adesso tu non ci sei, tu nella mia vita non ci sei” concluse.

Restai colpita da quelle parole e per un momento mi venne voglia di corrergli incontro ed abbracciarlo, baciarlo e non lasciarlo più andare via.

“Vuoi essere l’unica e io non mi capacito come tu non riesca a capire che lo sei, non capisco come tu possa essere gelosa di una moto”.

“Perché?” gli domandai alzando la voce “perché la moto è sempre stata tutta la tua vita e tu puoi continuare a dire che io sono l’unica, puoi continuare a dire che mi ami, puoi continuare a dire quello che vuoi, ma non cambia il fatto che mi ha gettato via perché, secondo te, la mia presenza ti impediva di dare il massimo in sella a quelle due ruote. Quindi perdonami se non riesco ad accettare il fatto che in quattro anni non ti sei mai fatto vivo pur dicendo di amarmi e perdonami se non riesco ad accettare il fatto che nella tua vita mi hai sempre messo al secondo posto perché al primo c’era sempre stata lei” conclusi riferendomi alla moto quando avevo usato quel lei.

“Mi stai facendo davvero la morale, eh?” mi domandò alzando anche lui il tono di voce “con che diritto eh? Io ti ho lasciata, ok, ma tu? Che hai fatto tu? Sei partita senza dirmi una parola, mandandomi un fottuto saluto con mia sorella e sei andata avanti con la tua vita impedendo a tutti di parlarmi di te. Ti sei persino trovata un ragazzo, uno che ha fatto di te tutto quello che, fino a poco prima, mi era concesso solo a me di fare. Voglio dire, non credo che tu te la sia passata così male senza di me visto che hai trovato il tempo di buttarti sotto le lenzuola con il primo pinco pallino che hai incontrato sulla tua strada” mi sputò in faccia con durezza.

Lo guardai e senza nemmeno rendermene conto gli mollai un ceffone di quelli che non solo fanno rumore, ma che fanno pure male.

Mi guardò sorpreso da quel gesto e si passò una mano sulla guancia, ora arrossata, poi mi trucidò con lo sguardo, mentre io feci altrettanto con lui. Mi aveva appena dato della persona facile, ma soprattutto aveva minimizzato ai minimi termini tutto il dolore e la sofferenza che avevo provato a causa della nostra rottura, di chiunque fosse la colpa a quel punto.

“Certe cose non cambiano mai” mi disse “le tue cinquine lasciano sempre il segno” continuò riferendosi al fatto che di solito riuscivo sempre a fargli male.

Non mi era capitato spesso di mollargli qualche schiaffo. Le rare volte in cui era successo, era capitato verso la fine della nostra storia quando lui se ne usciva spesso con frasi o atteggiamenti che avrebbero fatto smuovere la pazienza perfino ad un angelo sceso in terra.

“Non solo le mie cinquine” mi lasciai scappare.

“Che vuoi dire?” mi chiese.

“Continua a non cambiare il fatto che non riusciamo più a farci del bene noi due” gli rivelai sincera “gira che ti rigira finiamo sempre per ferirci l’un l’altro” conclusi.

“E quindi? Visto che è difficile molliamo?”

“Non è difficile, è impossibile”.

“Impossibile non è niente”.

“Tutto quello che è successo ieri e oggi è stato uno sbaglio”.

Lui ghignò e poi mi rispose.


“Dovresti dirlo ai tuoi occhi, non sembrano d’accordo”.

“Smettila” gli urlai.

“Di fare cosa?” mi domandò “di leggerti dentro?” continuò.

Ci fu un attimo di silenzio, poi mi allontanai da lui dandogli le spalle.

“Devo andare via. Il mio fidanzato si starà chiedendo che fine ho fatto” gli dissi.

“Non sembrava ti interessasse del tuo fidanzato mentre facevi l’amore con me”.

“È stato bello vederti, Edward” continuai ignorando le sue parole.

Non avevo più molta voglia di litigare. Dovevamo smetterla e dovevamo farlo adesso.

“Non posso dire lo stesso” mi rispose.

Sentire quelle parole mi ferii profondamente, ma non lo diedi a vedere.

“In bocca al lupo per la gara” gli dissi “sono sicura che farai un buon piazzamento, nonostante tutto” continuai facendo qualche passo per uscire dal Tir.

Lo sentii arrivarmi dietro e bloccarmi il polso costringendomi a voltarmi per guardarlo negli occhi.

“Se esci da qui dentro è finita” mi disse sicuro di sé.

“È già finita tempo fa”.

“Esci e farò finta che tu non sia mai esistita” continuò ignorando le mie parole.

“Edward…” tentai di dire perdendomi nel suo sguardo ferito, arrabbiato, ma fiero.

“Edward un cazzo” mi rispose “se mi lasci indietro oggi, sappi che mi avrai lasciato indietro sempre. Se te ne vai è finita tra noi, finita per sempre” aggiunse stringendo la presa sul mio polso.

Stavo per dire qualcosa, ma non ne ebbi il tempo perché lui mi sorpassò per poi lasciarmi libera. Si avvicinò all’uscita del Tir e aprì il portellone.

“Rifletti su quello che vuoi, rifletti su chi vuoi nella tua vita. Se quando la gara sarà finita non ti troverò nei box capirò cosa hai deciso e se non ci sarai smetterai di esistere per me” mi spiegò sicuro delle sue parole.

“Vuole essere una minaccia?” gli domandai cercando di prendere tempo.

Non volevo che se ne andasse in quel modo, ma soprattutto non volevo che fosse così drastico.

“No, vuole essere semplicemente una promessa” mi rispose “e sai benissimo che ho sempre mantenuto le mie promesse” concluse sparendo dalla mia vista senza darmi il tempo di rispondere.

Mi aveva lasciata lì, in balia delle sue parole e nella confusione più totale.

La paura cominciò a percorrermi lungo tutta la spina dorsale e per un momento mi sentii mancare la vista.

Il buio davanti a me.

Era questo che mi aspettava se avessi lasciato andare Edward ancora una volta?

 

 

 

 

Spoiler:

“Quante ancora ne hai intenzione di fumare?” mi domandò una voce da dietro che avrei riconosciuto perfettamente.

“Tutte quelle di cui ho bisogno” gli risposi ritrovandomelo praticamente di fianco.

Prese il suo pacchetto di sigarette e ne accese una anche lui, poi tornò a guardarmi.

“Che succede, Bella?” mi domandò.

“Niente” gli risposi “che dovrebbe succedere, James?” gli chiesi retorica.

“Sei qui a fumare come una pazza, ti stai sforzando di non piangere e hai i nervi a fior di pelle”.

“Ti sbagli”.

“No, ti conosco”.

“Non più”.

“Non sei cambiata così tanto come credi”.

Non gli risposi e continuai a fumare la mia sigaretta e così lui riprese a parlare.

“È solo un’amica” mi disse all’improvviso.

“Chi?” gli domandai.

“Tanya. Lei ed Edward sono solo amici”.

“Si, di letto”.

“Anche, qualche volta” mi rispose.

James era sempre così. Lui non sapeva e non voleva mentire. Era come i bambini che si facevano scappare la verità sempre, anche nei momenti meno opportuni. Anche quando si trattava di dire una bugia a fin di bene, lui evitava di farlo.

“Grazie ah, sei consolante”.

“E tu sei gelosa”.

“No, non lo sono”.

“Si, invece. Ed è assurdo visto che tu sei andata avanti con la tua vita, visto che dentro questo locale c’è il ragazzo con cui stai da due anni”.

“Lui mi ha lasciato. Ho fatto quello che avrebbero fatto tutti: sono andata avanti”.

“Lui ti ha lasciato e tu sei scappata senza nemmeno salutare”.

“Adesso sarebbe mia la colpa di tutto questo schifo?”

“No, per come la vedo io la colpa è di entrambi”.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

Vi lascio inoltre anche il link della pagina facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è a nome dell’altra storia che ho in corso proprio per non crearne una nuova sola per questa storia. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta, in modo che chi non segue l’altra potrà comunque tenersi informato con questa. Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts

 

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Capitolo 8
*** 8. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer


 

8.

Pov Bella

La mattinata era passata abbastanza in fretta e io alla fine avevo preso la mia decisione. Avevo salutato James e Vic ed ero tornata alla mia vita, a quella che avevo fino al giorno prima. Ero semplicemente tornata da Jake.

Per quanto bello fosse stato, quello che avevo vissuto in quei due giorni era semplicemente una parentesi che doveva chiudersi con la stessa facilità con la quale si era aperta.

Mi sentivo profondamente in colpa nei confronti di Jake e mi rendevo conto che non avrei mai dovuto permettere che succedesse quello che, invece, era successo. Ero stata una sciocca che si era curata di voler rivivere il suo passato senza pensare al presente, men che meno alle persone che facevano parte di questo presente.

“Amore, va tutto bene?” mi domandò Jake avvicinandosi a me.

“Si, ero solo un po’ sovrappensiero” gli risposi regalandogli un sorriso.

Mi ero scusata con lui per la discussione avuta al telefono poche ore prima e le cose sembravano essere tornate normali.

Ci stavamo godendo quella corsa direttamente dal paddock e mi decisi a scacciare via quei pensieri per dedicarmi solo ed esclusivamente alla gara che stavamo vedendo che, tra l’altro, aveva dello spettacolare viste le prodezze che Edward stava mettendo in atto.

“C’è poco da fare” commentò Jake verso i ragazzi “quel pazzo di Cullen è un mito” continuò sorridendo.

“Un vero talento” aggiunse Paul senza distogliere gli occhi dalla pista.

In effetti non avevano torti proprio per nulla. Edward, fin dalla partenza, si era lanciato in una rimonta rabbiosa prendendo a sorpassare le altre moto come fossero birilli. Risalì posizioni su posizioni e si fece largo con la furia addosso usando le buone o le cattive. Dopo appena sei giri, infatti, tra lui e Caius c’erano solo due moto.

Approfittando di uno sbaglio di Scott si inserì dall’interno e superò pure lui portandosi in terza posizione. Era già in una posizione da podio, ma era chiaro che non gli bastasse. Quella corsa non era solo una gara per vincere, per dimostrare chi era il più forte, ma era anche il suo modo per far capire a Caius che ci voleva ben altro che quel genere di gioco sporco per tenerlo lontano a bada. E in fondo avevo anche dei dubbi che uno come Edward potesse essere tenuto a bada. Lui era uno spirito libero, uno selvaggio. Nessuno sarebbe mai riuscito ad addomesticarlo, men che meno a domarlo.

Finito il sorpasso tornò a correre mangiando decimi ad ogni giro e tre giri dopo, infatti, raggiunse Davis, il pilota al secondo posto, e si posizionò proprio dietro il cupolino di lui non spostandosi da lì per nulla. Gli restò con il fiato sul collo per quattro interi giri, poi tentò uno dei suoi sorpassi al limite e riuscì a passare recuperando terreno.

Restavano quattordici giri e lui aveva parecchio terreno da recuperare su Caius visto che a livello di tempistica, il Volturi, era avanti di un secondo e mezzo che in termini motociclistici sono davvero parecchi. Edward si mise d’impegno e cercò di stirare al massimo la moto e dieci giri più tardi riuscii a raggiungere il suo obiettivo. Aveva la prima moto davanti e lo immaginai sorridere sotto il casco pensando tra sé: “te l’avevo detto che ti sarei arrivato al culo”. Sorrisi impercettibilmente di quel pensiero e tornai a concentrarmi sulla gara.

Edward aspettò un giro senza fare nessuna manovra, ma restandogli incollato, un giro che permise a Caius di leggere nella lavagna di partenza che aveva Edward praticamente a 0 dietro di lui. Mancavano tre giri ed era chiaro che nessuno dei due fosse intenzionato a darla vinta all’altro. Edward aspettò la prima curva a destra e trovando un passaggio libero si infilò riuscendo a passare Caius, ma questo prontamente sul finire della curva riuscì a riportarsi nuovamente in prima posizione. Da quel momento in poi cominciarono una serie di bagarre in cui se le diedero di santa ragione. Prima passava uno, poi l’altro, poi ancora quello prima e via dicendo.

“Secondo me c’è la fa” commentò Jake riferendosi chiaramente a Edward.

“Ma non sarà facile” aggiunse Alec.

“Scommettiamo?” propose Jake.

Spesso succedeva che quando guardavano le corse o le partite di calcio finissero per fare qualche assurda scommessa. Era il loro modo per divertirsi.

“Non scommetto più quando si tratta di Edward” spiegò Paul che qualche scommessa l’aveva persa non credendo fino in fondo alle pazzie del mio ex ragazzo.

Lo guardammo e scoppiammo a ridere tutti quanti, poi quando tornammo seri ci concentrammo nuovamente sulla gara. Manca un solo giro e tutto sarebbe potuto succedere e di fatti due curve più tardi Edward staccò forte in staccata e si infilò in uno spazio lasciato libero dalla traiettoria di Volturi costringendolo a uscire largo dalla curva per non cadere, né rischiare di toccare l’altra moto.


“Cazzo che sorpasso” disse Alec accorgendosi della pericolosità della manovra fatta da Edward.

“Era l’unico punto, ormai, in cui aveva la possibilità di sorpassare. Anche se ovviamente è stata una manovra azzardata” spiegò Jake guardando con occhio tecnico la cosa.

“Si, ma ne deve avere di fegato per fare una cosa del genere” commentò Jessica “gli è passato a tanto così” continuò.

“Quando hanno spiegato la paura Edward non era in classe” mi lasciai scappare io ripensando a quanto davvero in lui non ci fosse la ben che minima traccia del sentimento della paura.

Solo dopo mi accorsi di aver detto troppo. Li guardai scrollando le spalle e loro non dissero nulla annuendo per concordare con me. Era evidente anche solo guardando lui correre quanto davvero la paura non facesse parte del suo dna.

Proprio lui diede ancora più gas e non appena vide le strisce del traguardo aumentò ancora di più la velocità tanto che la ruota davanti si sollevò leggermente. Dietro di lui Caius dovette comprendere che non c’era più spazio per sorpassi e che Edward aveva appena guadagnato quel metro di distanza che non gli avrebbe permesso nemmeno un sorpasso nel rettilineo.

Qualche decimo di secondo dopo passarono entrambi sotto il traguardo ed Edward gioì della vittoria con le braccia prima di fare una delle sue solite impennate a fine gara. Caius dietro di lui, invece, restò impassibile alzando solamente un braccio insegno di saluto verso la gente negli spalti.

Era stata decisamente una bella gara, su questo non c’erano dubbi e io immaginai la contentezza che doveva avere in quel momento Edward accorgendosi di aver vinto quella gara, quella che, forse, era più una sfida personale contro Caius che una vera e propria vittoria nei confronti del mondiale.

Noi restammo lì nel paddock assistendo alle interviste da parte dei giornalisti ai primi tre e, poco dopo, alla celebrazione del podio nella quale vennero consegnate le coppe e venne poi suonato l’inno americano. Era una gara importante quella anche perché era un gran premio di casa e lui l’aveva vinta.

Per un po’ nessuno dei tre “podisti” si vide in giro, segno che fossero ancora impegnati con le interviste e noi, così come tanti altri, approfittammo dei pass per incontrare i restanti piloti che, una volta, cambiatisi si concessero ai fan.

Una mezz’ora dopo vedemmo da lontano comparire i tre e mentre Edward e il terzo arrivato avevano un sorriso raggiante sul volto, lo stesso non poteva dirsi di Caius che era parecchio arrabbiato. Tutti e tre andarono ai box e dalla distanza in cui mi trovavo non mi fu difficile puntare gli occhi sul box Yamaha.

Vidi Edward entrare lì e guardarsi attorno, poi dopo i complimenti di tutti, si diresse verso James chiedendogli qualcosa. Il biondo gli rispose scuotendo in senso di diniego la testa e, a quel punto, l’espressione di Edward cambiò radicalmente. Nel suo viso vidi scomparire improvvisamente il sorriso raggiante di poco prima. Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa e, dopo un urlo disumano da parte di Jessica non appena si accorse che a pochi metri c’era Edward, lui guardò proprio nella nostra direzione e non appena mi vide si bloccò. Mi resi subito conto che stava cercando me e che, con ogni probabilità, aveva chiesto a James dove fossi e vista la risposta dell’amico avesse cambiato espressione. Uscii leggermente dal boxe per guardare meglio verso di noi e non appena mi vide mano nella mano con Jake assunse un’espressione agghiacciante, seppur i suoi occhi fossero coperti dagli occhiali da sole.

“Sta guardando verso di noi” prese a dire Jessica “sta guardando verso di noi” ripetè nuovamente completamente raggiante.

“Se continui ad urlare come un’oca mi sembra ovvio che attiri la sua attenzione su di noi” la rimproverò Paul scocciato di quel suo atteggiamento.

Jessica era la persona migliore del mondo, ma a volte faceva saltare i nervi, faceva perfino vergognarsi di esserle amica, esattamente come in quel momento.

“Tu non capisci Paul, non capisci” continuò lei agitandosi e ignorando stranamente la definizione che lui aveva usato su di lei “con ogni probabilità non vedrò mai più dal vivo quello lì. Io lo amo” aggiunse mentre tutti scoppiammo a ridere, perfino io.

Era chiaro che il suo “io lo amo” non fosse una dichiarazione di amore vero, ma quell’amore che puoi provare per un personaggio pubblico a cui ti senti particolarmente legata, che senti affine a te o semplicemente quel sentimento unico che senti verso il tuo idolo. Beh, in qualche modo, Edward Cullen era l’idolo di Jessica.

Oddiooooooo” iniziò ad urlare “si sta avvicinandooooo” continuò.

“Vi prego fatela smettere” si lamentò Jake “spegnetela” aggiunse mentre noi ancora ridevamo.

Ancora con il sorriso sulle labbra mi voltai verso la direzione dove era Edward e mi resi conto che effettivamente si stava avvinando a dove eravamo noi, o per meglio a dove erano tutti quelli che attendevano impazienti un autografo dagli unici tre piloti che non si erano ancora presentati lì e cioè quelli che erano arrivati sul podio.

Lui indossò il migliore dei suoi sorrisi e cominciò a fare autografi a chiunque e fotografie varie mostrandosi cordiale, gentile e disponibile con tutti, specialmente con le ragazze che sembravano pendere dalle sue labbra e che lo facevano non solo perché fosse il miglior pilota del momento, né solo perché fosse famoso, ma anche e soprattutto perché era bello, dannatamente bello.

Indossava ancora la tuta con cui aveva corso e più si avvicinava a noi più potevo vedere le coperture alle ginocchia leggermente rovinate a causa delle pieghe in pista.

Non so se lo fece apposta, oppure no, fatto sta però che ci lasciò gli ultimi e quando la folla, costretta dagli addetti alla sicurezza, cominciò a smaltirsi lui arrivò proprio di fronte a noi e con un sorriso a trentadue denti, del tutto forzato per chi come me lo conosceva bene, firmò nuovamente degli autografi per tutti.

Fece una foto di gruppo con i ragazzi e le ragazze, foto che scattai io e poi Jessica insistette perché gliene facessi una da sola con lui. Edward non si tirò indietro e così scattai quell’altra foto, mentre lui, per tutto il tempo, non mi degnò minimamente di uno sguardo. Non che avessi dei dubbi in merito, del resto conoscendolo sapevo che era quello l’atteggiamento che avrebbe tenuto su.

“Edward?” lo chiamò Jake all’improvviso.

“Si” gli rispose lui con un pizzico di fastidio.

Ero certa che non fosse dovuto al fatto che l’avessero chiamato, ma semplicemente che fosse stato proprio il mio ragazzo a farlo.

“Perché hai decido di correre?” gli domandò curioso.

Era una domanda che si era sempre posto. Spesso mi chiedeva cosa spingesse un ragazzo fin da piccolo a decidere che il pericolo non fosse nulla in paragone alla sensazione di correre sopra una due ruote.

Edward lo guardò attentamente, non rispondendo subito. Per un attimo ebbi la sensazione che mi avesse lanciato uno sguardo, ma poi tornò subito a guardare Jake.

“Perché fin da bambino ho sempre amato l’adrenalina” gli rispose chiaramente con sincerità “i brividi che ti da sono indescrivibili ed è qualcosa a cui diventa impossibile dire basta” concluse.

Jake lo guardò e gli sorrise sincero.

“Grazie per avermi risposto” gli disse.

Qualcuno della sicurezza fece cenno a lui e agli altri due piloti che era tempo di allontanarsi. Era chiaro che la domenica di gara, rispetto al sabato, fosse il momento più gremito di persone e seppur ci fossero i pass era chiaro che i piloti non potessero restare molto tempo lì.

Edward insieme agli altri due voltò le spalle per dirigersi ognuno ai propri box, ma all’improvviso si voltò nuovamente verso di noi.

Hey” disse rivolgendosi al mio ragazzo.

Non sapevo se si ricordasse il nome, ma a prescindere da tutto non avrebbe potuto chiamarlo per nome perché per il mondo lui non poteva conoscerlo.

Jake alzò nuovamente lo sguardo verso di lui e sorrise felice di capire che il suo idolo si stesse rivolgendo a lui.

“Dimmi” gli disse.

Edward si voltò a guardare me per una frazione di secondo, poi tornò a guardare lui e riprese a parlare.

“Il mondo fa schifo” gli rivelò “ma un po’ meno se lo vivi di traverso” concluse riferendosi chiaramente alle pieghe in pista e quindi al motivo per cui avesse deciso di correre.

Jake non ebbe il tempo di dire nulla perché Edward si voltò nuovamente e si diresse verso i box, mentre io abbassai lo sguardo colpita da quelle parole.

Sapevo che, in qualche modo, quella scoccata l’aveva lanciata a me. Il suo sguardo era eloquente. Con molta probabilità voleva ribadirmi quello che mi diceva sempre quando eravamo ragazzi e cioè che, nella vita qualunque cosa o persona avrebbe potuto deluderlo, ma una moto mai ed era per questo che quella restava l’unico punto fermo della sua vita.

Era il suo modo per dirmi che, nuovamente, qualcuno lo aveva deluso, in questo caso io, ma che comunque sia gli restava quello sport, quel lavoro e quell’amore incondizionato per le moto che non gli avrebbe mai voltato la faccia.

Mi era perfettamente chiara la sua delusione nel aver appreso la mia decisione, quella stessa decisione che adesso mi vedeva mano nella mano con il mio ex fidanzato e decisamente lontana da lui. In fondo, però, poteva davvero darmi delle colpe? Non aveva forse scelto lui di lasciarmi, anni addietro?

Provai a scacciare via quei pensieri e mi voltai verso Jake che guardava ancora totalmente affascinato Edward allontanarsi.

“Che c’è?” gli domandai.

“Ha ragione, ha fottutamente ragione” mi rivelò mentre gli altri guardarono nel piccolo display le foto scattate direttamente nella macchina fotografica.

“In cosa esattamente?” chiesi per capire dove volesse andare a parare.

“Il mondo fa schifo davvero e lui ha trovato il modo di accerchiare tutto il brutto che c’è nella vita. Ha fatto di questo sport la sua vita” mi spiegò con un’espressione strana in volto.

Non avevo mai visto la cosa sotto quella prospettiva, ma dovevo ammettere che il mio ragazzo avesse ragione.

“E perché la cosa ti turba così tanto?”

“Perché lui sa cosa vuole dalla vita, sa come affrontarlo questo mondo. Guarda me, invece. Io ho 23 anni e lavoro in un fottutissimo locale portando le ordinazioni in tavola” prese a dirmi “e il peggio non è questo, il peggio è che non so che farne della mia vita” mi rivelò sincero.

Lo guardai e provai ancora più forte il senso di colpa verso di lui. Era lì, di fronte a me che si spogliava di tutte le mie paure mentre io, invece, mi ero appena spogliata, ma con un altro e nel senso letterale del termine. Mi facevo decisamente schifo da sola.

“Credi che sia questo il momento per affrontare un problema esistenziale?”

“Per me, forse, non è mai il momento. È questo il vero problema”.

“Senti Jake” gli dissi prendendogli il volto tra le mani “tu sei una delle persone migliori che conosco e riuscirai a capire quello che vuoi nella vita. Lo capirai e allora spaccherai tutto per ottenere quello che vuoi” gli rivelai “è tutto chiaro?” conclusi porgendogli quella domanda.

Lui mi guardò sorridendomi per qualche istante.

“Tutto cristallino” mi rispose “e questo è uno dei tanti motivi per cui ti amo” aggiunse prima di colmare le distanze e baciarmi a fior di labbra.

Stavo per staccarmi, ma lui mi attirò a sé e io fui costretta ad approfondire il bacio.


Notai perfettamente che aveva intenzione di continuare ad approfondire, ma io mi staccai e gli lanciai un’occhiataccia come a fargli capire che c’era tanta gente e mi vergognavo di fare questi gesti in pubblico. Lui parve crederci e mi sorrise passandomi un braccio intorno alla vita, mentre io improvvisamente mi sentii osservata. Mi voltai verso il box Yamaha e mi resi conto che Edward stava guardando esattamente nella mia direzione e la sua espressione lasciava poco spazio all’immaginazione circa quello che la scena appena vista gli aveva suscitato. Era arrabbiato, si vedeva molto chiaramente.

Abbassai lo sguardo e mi voltai per concentrarmi sui miei amici voltandogli le spalle e ripromettendomi che non mi sarei più voltato a guardarlo. Non avrei potuto reggere.

Restammo lì per qualche minuto a parlottare guardando le foto tutti insieme, poi ci decidemmo che era tempo di andare via. Avevamo avuto da quell’esperienza tutto ciò che potevamo prendere. Di più non pretendevamo.

Ci voltammo per uscire dal paddock e pur non volendolo i miei occhi si puntarono nel box Yamaha, ma, a quanto pareva, Edward aveva completamente smesso di dare importanza a me e adesso parlava sorridendo con Eleazar e una ragazza bionda che non riuscivo a capire chi fosse visto che mi dava le spalle.

Uscimmo da lì e non riuscii ad incontrare nemmeno per un secondo lo sguardo del mio ex che, con ogni probabilità, non si era neppure accorto che stessi andando via.

Mano nella mano con Jake uscimmo da lì e una volta raggiunta l’uscita dal circuito di girammo guardandolo per l’ultima volta, poi chiedemmo ad un ragazzo lì vicino di farci una foto tutti insieme, l’ultima probabilmente in quel posto.

Dopo averla scattata decidemmo di tornare in albergo. Non c’era più nulla che potessimo fare lì, nient’altro che potessimo vedere.

Durante il tragitto verso l’hotel mi soffermai a guardare di soppiatto Jake evitando di farmi vedere e, per un instante, mi sentii morire. Fino a due giorni prima potevo affermare a voce alta di essere una persona perbene, una ragazza seria, rispettosa verso gli altri e con sani valori. E, invece, adesso? Adesso avevo perfino paura di guardarmi allo specchio.

Io ero una persona composta, non facevo certe cose e soprattutto non tradivo. Quelle come me non tradivano mai, quelle come me avevano valori che erano incastrati nella testa come se fossero tessere di puzzle dove ogni singolo pezzo ha il suo incastro. Niente, per me, era mai stato sottotono, niente era superficiale o scontato: non le amiche, non la famiglia, non gli amori che avevo voluto, cercato, difeso e sopportato.

Io ero quella che amava regalare sogni alle persone che amava, anche a costo di rimarne priva io, ma soprattutto io ero quella che donava la propria anima alle persone che amava perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.

Che fine aveva fatto quella persona? Quella persona che ero prima di arrivare a Monterey e farmi sconvolgere nuovamente l’esistenza da Edward Cullen?

Abbandonai quei pensieri e mi concentrai sulla strada facendo un sospiro di sollievo quando vidi l’insegna dell’hotel lampeggiare davanti ai miei occhi. Eravamo arrivati e io volevo solo buttarmi sotto la doccia e provare a cancellare quegli ultimi due giorni.

Qualche ora dopo…

Avevo passato il resto del pomeriggio in camera insieme alle ragazze con l’intento di prepararci visto che avevamo deciso di trascorrere l’ultima sera a Monterey a divertirci in un locale.

Per questo motivo ci eravamo sistemati ed eravamo usciti andando a mangiare in un pub poco distante dall’hotel. Ci eravamo divertiti parecchio tra scherzi, risate e qualche bicchierino che ci aveva reso più che brilli direi allegri. La cosa positiva di quella fantastica serata era che ero riuscita a mettere da parte i problemi e i sensi di colpa che mi affliggevano a causa di Edward.

All’uscita dal pub erano già l’una della mattina, ma nessuno di noi aveva intenzione di andare a letto e così, complice una battuta di Paul, ci eravamo diretti in un locale molto carino che avevamo visto al nostro arrivo. C’era un bar e una grande sala con parecchie biliardi.


Era il gioco preferito di Paul e anche a me piaceva parecchio, così eravamo entrati dentro accorgendoci che, stranamente, c’erano solo un gruppo di tre ragazzi appena diciottenni che si stavano divertendo a giocare.

Ci prendemmo da bere e poi occupammo una carambola dividendoci in due squadre: io, Jake e Alec da una parte e Paul, Embry, Jessica e Jane dall’altra.

I migliori a giocare eravamo io, Jake, Paul ed Embry, per questo ci eravamo divisi così in modo da bilanciare le due squadre.

Cominciammo a giocare tra risate, scherzi e qualche birra di troppo.

“Cazzo Bella, non si può giocare con te” commentò Paul alzando la voce quando mandai l’ennesima palla in buca “chi diavolo ti ha insegnato a giocare così?” domandò poi retorico sorridendomi.

Cercai di ricambiare quel sorriso, ma sentii come una stretta al cuore ripensando proprio al momento in cui avevo imparato a giocare molti anni prima. Avevo quattordici anni ed ero una schiappa in quel dannato gioco, ma Edward si era messo d’impegno e mi aveva insegnato. Mi scappò un debole sorriso pensando proprio a quei momenti, ma soprattutto pensando che Edward mi aveva insegnato molto altro..lui mi aveva semplicemente insegnato a vivere. Tutto quello che sapevo l’avevo imparato da lui, dalle cose più futili a quelle più importanti.

Feci la linguaccia a Paul e mandai un’altra palla in buca, poi lasciai il posto al tiro di Alec e mi diressi verso il bancone a prendere da bere. Ordinai una birra e quando stavo per tornare dai miei amici sentii delle risate provenire da fuori. Mi voltai verso quella direzione e vidi l’ultima cosa che avrei pensato di vedere. Dalla porta d’ingresso del locale stava entrando James in compagnia di un ragazzo che avevo visto qualche volta in tv, ma di cui non ricordavo il nome, due ragazze bionde e Benjamin Malek, il compagno di team di Edward mano nella mano con Tia, la sua storica fidanzata. Dietro di loro, a ridersela come dei pazzi, c’erano Edward insieme ad una bionda che gli stava incollata come una cozza. Erano loro due quelli che ridevano più degli altri ed era chiaro che fossero tutti un brilli.

Potevo definire quella una casualità o una dannata punizione? Doveva essere la seconda opzione perché era assurdo che tra tutti i locali di Monterey ci trovassimo nello stesso posto e nello stesso giorno. O forse semplicemente erano venuti lì perché, possibilmente, sapevano che era un locale poco affollato e volevano un po’ di quiete per dedicarsi solo a loro stessi e al divertimento tra amici.

Mi domandai solo come mai Vic non fosse lì con loro, ma non scacciai subito quel pensiero quando notai che James, vedendomi, si stava avvicinando per salutarmi. Gli lanciai un’occhiataccia per fargli capire che non ero sola e c’erano i miei amici e lui lo comprese subito perché fece finta di nulla.

Mi decisi a tornare dai ragazzi e, per farlo, fui costretta a passare proprio di fronte a Edward che ancora ridendo con quella bionda si rese conto della mia presenza solo in quel momento. Per un attimo, guardandomi, il suo sorriso sparì dalla sua bocca, ma fu questione di pochi attimi perché subito riprese a ridere sguaiatamente con quella ragazza che già non sopportavo e io, con il fumo che mi usciva da ogni lato, mi diressi verso i miei amici che solo in quel momento si accorsero di chi fossero entrati nel locale.

Il sorriso comparve nel volto di ognuno di loro, ma non ebbero tempo di fare nulla perché i tre ragazzi che c’erano nel locale già al nostro arrivo si catapultarono verso Edward e Benjamin per farsi fare l’autografo e i due gentilmente lo fecero senza fare storie.

“Oddio, io vado” commentò Jessica ridendo euforica.

“Non credi che hai già avuto abbastanza autografi e foto?” le domandai “lasciali stare in pace. Sono tra amici e non credo sia venuti qui per fare autografi, ma solo per divertirsi. Lasciamoli respirare. In fondo sono ragazzi come noi” conclusi.

“Si, ma…” tentò di dire Alec.

Lanciai uno sguardo a Jane per chiederle in intervenire anche lei e difatti la bionda prese a parlare.

“Ragazzi, Bella ha ragione” prese a dire “abbiamo i loro autografi e abbiamo le foto con loro. è il caso di lasciarli divertire tra loro. Rischiamo di essere asfissianti” concluse mostrandosi chiaramente comprensiva nei confronti di quei ragazzi che prima che essere personaggi pubblici erano chiaramente ragazzi che volevano divertirsi con gli amici.

“Ok, è vero. Torniamo a giocare” disse Jake puntando la stecca sul tavolo della carambola e mandando un’altra palla in buca.

Jessica sbuffò sonoramente e incurante di ciò che avevamo detto ci girò le spalle e si diresse verso il bancone del bar con la scusa di prendere da bere, ma era evidente che fosse andata lì per attirare l’attenzione di Edward e degli altri. Gli andò però molto male perché dopo aver firmato gli autografi ai tre ragazzi tutti loro si presero da bere e poi si diressero verso una carambola con l’intenzione di iniziare a giocare.

Continuavano a ridere come pazzi e anche piuttosto rumorosamente, il che attirò l’attenzione sia mia che dei ragazzi.

Qualche minuto dopo cominciarono a giocare e la bionda che era con Edward fu la prima a lanciare la palla, ma nel farlo fece saltare la palla a terra non colpendo per un pelo i piedi di James.

“Diavolo Tanya, ma sei una frana” commentò proprio il biondo “non sai fare un cazzo” continuò.

La bionda partì a ridere di gusto e poi riprese a parlare.

Ops, scusa” commentò con fare ingenuo “non sono molto brava con le palle” aggiunse.

“Con questo genere di palle sicuramente si” la prese in giro maliziosamente il ragazzo di cui non ricordavo il nome.

Garrett, smettila” lo rimproverò una delle altre bionde dandogli una pacca sulla spalla “sarà anche vero, ma stiamo sempre parlando di mia sorella” continuò prendendola in giro anche lei.

“Siete degli stronzi” rispose quella che doveva chiamarsi Tanya.

“Magari stronzi, ma bugiardi sicuramente no” continuò James “e lo sappiamo che te la cavi bene con un'altra tipologia di palle” aggiunse maliziosamente mentre io abbassai lo sguardo cercando di soffocare una risata.

James era sempre il solito, non sarebbe cambiato mai. Le sue battute a sfondo sessuale non potevano mancare mai.

“Ok, ho capito” disse lei “il bersaglio stasera sono io” continuò “quindi prego, fate pure” concluse ridendo.

Era chiaro che stessero scherzando ed era per questo che lei non sembrava se la stesse prendendo.

“Non sei il bersaglio di nessuno” commentò Benjamin “vero, Edward?” aggiunse chiedendo l’intervento del mio ex.

“No, no, proprio per nulla” rispose infatti lui “stiamo solo commentando le tue doti da gatta in calore” la prese in giro.

“Sei scemo o cosa?” gli domandò retorica lei.

“E su, Tanya, che lo sappiamo tutti come ci dai dentro con Edward” prese a dire quello che doveva chiamarsi Garrett “sicuramente con le sue di palle ci sai proprio fare” continuò.

“Edward?” lo chiamò lei per chiedere il suo soccorso.

“Dai, non hanno torto. Non che mi dispiaccia, ma…” tentò di dire lui.

Era chiaro come fossero parecchio ubriachi tutti, altrimenti non si spiegava il motivo per cui parlassero di quel genere di cose urlando.

“Ma si dai, raccontiamo a tutti delle nostre attività sotto le lenzuola” commentò lei rivolta a lui e io dovetti abbassare lo sguardo ferita da quelle parole.

Non che non avessi già capito che tra quei due ci fosse un’attività sessuale, ma sentirselo dire così apertamente faceva male.

In fondo, però, che diritto avevo io di essere gelosa? Io che da due anni a questa parte stavo con un ragazzo con cui certamente non mi guardavo semplicemente negli occhi.

“Beh veramente non solo sotto le lenzuola” fece notare Edward ridendo più forte prima di bere un sorso della birra che aveva in mano.

Non una birra normale, ma una Corona rigorosamente sale e limone come piaceva a lui. Era la sua birra da sempre, la adorava.

“Andate a fanculo” si lamentò lei mettendo un finto broncio.

Tutti la guardarono e scoppiarono a ridere, mentre lei continuò a lanciare sguardi fuoco verso tutti gli altri.

Girai intorno al tavolo per dare le spalle a quella scena di loro tutti insieme e mi concentrai sulla partita che stavamo facendo con gli altri. Preferivo non ascoltare altro altrimenti rischiavo di impazzire.

Continuammo a giocare facendo finta di nulla, ma specialmente ignorando le risate che continuavano a provenire da quel tavolo.

Quando fu il mio turno mandai altre due palle in buca e poi, cedendo il posto a Jake, spinta da non so qualche forza mi ritrovai a girarmi nuovamente verso di loro e ciò che vidi mi spezzò completamente il cuore. Tanya era appoggiata al tavolo della carambola ed Edward era proprio dietro di lei, con i loro corpi appiccicati mentre cercava di spiegargli come si teneva la stecca e come bisognava sistemare le braccia per fare un buon tiro.

Solo pochi anni fa era a me che lo insegnava e adesso tutto era cambiato, adesso c’erano altre persone, altre donne a cui dedicava le sue attenzioni e io non riuscivo a credere che tutto fosse cambiato così tanto. Con che diritto faceva con le altre quello che aveva fatto con me? Ma soprattutto con quale diritto io me la stavo prendendo così tanto?

Continuai a guardare nella loro direzione con uno sguardo indecifrabile in volto e in quel momento sentii gli occhi di James posarsi sulla mia figura, ma io distolsi lo sguardo per non fargli notare che stavo guardando verso di loro. qualche istante dopo un urlo sempre in quella direzione ci fece voltare tutti: Tanya doveva aver mandato una palla in buca perché aveva preso a gridare ridendo ed era saltata addosso a Edward, mettendosi a cavalcioni su di lui sbaciucchiandogli una guancia mentre lui se la rideva come un bambino.

Non riuscii più a vedere altro e mi voltai conscia che sarebbe bastato un niente per scoppiare a piangere. Misi un’altra palla in buca, poi appoggiai la stecca al muro e presi il mio pacchetto di Marlboro dalla borsa.

“Vado a fumarmi una sigaretta” dissi ai ragazzi “prende Jake il mio posto” aggiunsi.

Ma…” tentò di dire Paul che voleva battersi con me.

“Torno tra poco” gli dissi non permettendogli di finire la frase.

Uscii fuori di tutta fretta e subito mi accesi una sigaretta.


Aspirai a pieni polmoni il fumo e poi lo sputai nuovamente fuori. Feci lo stesso altre volte finchè la sigaretta non terminò così ne accesi un’altra e un’alta e un’altra ancora. Di solito quel vizio mi aiutava sempre quando ero nervosa, ma in quel momento sembrava come se nemmeno questo riuscisse ad essere salutare per la mia precaria sanità mentale.

Presi un’altra sigaretta, l’ennesima da quando ero uscita fuori e la accesi nuovamente.

“Quante ancora ne hai intenzione di fumare?” mi domandò una voce da dietro che avrei riconosciuto perfettamente.

“Tutte quelle di cui ho bisogno” gli risposi ritrovandomelo praticamente di fianco.

Prese il suo pacchetto di sigarette e ne accese una anche lui, poi tornò a guardarmi.

“Che succede, Bella?” mi domandò.

“Niente” gli risposi “che dovrebbe succedere, James?” gli chiesi retorica.

“Sei qui a fumare come una pazza, ti stai sforzando di non piangere e hai i nervi a fior di pelle”.

“Ti sbagli”.

“No, ti conosco”.

“Non più”.

“Non sei cambiata così tanto come credi”.

Non gli risposi e continuai a fumare la mia sigaretta e così lui riprese a parlare.

“È solo un’amica” mi disse all’improvviso.

“Chi?” gli domandai.

Tanya. Lei ed Edward sono solo amici”.

“Si, di letto”.

“Anche, qualche volta” mi rispose.

James era sempre così. Lui non sapeva e non voleva mentire. Era come i bambini che si facevano scappare la verità sempre, anche nei momenti meno opportuni. Anche quando si trattava di dire una bugia a fin di bene, lui evitava di farlo.

“Grazie ah, sei consolante”.

“E tu sei gelosa”.

“No, non lo sono”.

“Si, invece. Ed è assurdo visto che tu sei andata avanti con la tua vita, visto che dentro questo locale c’è il ragazzo con cui stai da due anni”.

“Lui mi ha lasciato. Ho fatto quello che avrebbero fatto tutti: sono andata avanti”.

“Lui ti ha lasciato e tu sei scappata senza nemmeno salutare”.

“Adesso sarebbe mia la colpa di tutto questo schifo?”

“No, per come la vedo io la colpa è di entrambi”.

“Mi consola pensare che una parte della colpa la dai anche a lui” mi lasciai scappare.

Di solito Edward era intoccabile per lui, anche se quell’idiota sbagliava in modo palese, James trovava sempre il modo di schierarsi dalla sua parte, di difenderlo.

“Smettila di fare così”.

“Così come?”

“Se prendertela con me ti fa sentire meglio fallo pure, ma siete voi che avete fatto in modo di arrivare a questa assurda situazione”

Ci fu un attimo di silenzio, poi mi decisi a parlare cambiando totalmente discorso.

“Cosa ha detto oggi quando, dopo la gara, non mi ha vista ai box?” gli domandai.

“Non appena è arrivato la prima cosa che ha fatto è chiedere di te. Quando gli ho fatto capire che non c’eri, che te ne eri andata non ha detto una parola. Si è solo tolto dalla faccia quel sorriso smagliante che aveva a causa della vittoria” mi spiegò.

“E si è subito consolato con la bionda di turno”.

“Mentre tu sei subito tornata dal tuo fidanzatino”.

“Non ti ci mettere pure tu, James” lo rimproverai per il modo in cui aveva definito Jake.

“Sai che c’è? C’è  che siete due idioti e dovresti credermi visto che a dirlo sono io che sono l’idiota più idiota del pianeta”.

“La nostra storia è finita tempo fa. Questi due giorni sono stati un errore”.

“Parla per te, Bella” mi rispose “perché per lui non lo sono stati per nulla” continuai.

“I capelli non se li è certo strappati quando oggi me ne sono andata”.

“E non se li strapperà di certo e se lo farà sicuramente non te lo farà capire” mi spiegò “ti ha fatto una promessa e lui mantiene sempre la sua parola” continuò.

“E che la mantenga allora”.

“Siete due fottuti orgogliosi e avete rovinato tutto proprio per questo”.

“Probabilmente”.

Lui non mi rispose e continuò a fumarsi la sua sigaretta, mentre io, dal canto mio, non avevo intenzione di aggiungere nient’altro.

“Lo sai meglio di me che la vostra storia non è finita”.

“Ma io credo di si, invece”.

“E allora perché ti è bastato vederlo per mandare a puttane quello che hai costruito con il tuo fidanzato?” mi domandò “tu non sei quel genere di persona che tradisce quelli che gli vogliono bene” continuò.

Aveva ragione, aveva fottutamente ragione.

“Forse non sono la persona che credi”.

“Non penso proprio” mi rispose “direi piuttosto che si trattava di Edward e quando si tratta di lui tu non riesci ad essere razionale” aggiunse.

“Non è più così”.

“Non è più così?” mi domandò alzando leggermente il tono di voce “sei marcia di gelosia solo perché probabilmente hai sentito qualche stupida battuta che abbiamo fatto prima su Edward e Tanya, sei marcia di gelosia solo perché hai visto lei abbracciare lui. Questo ti sembra essere razionale?” aggiunse retorico.

“Non lo stava abbracciando, ma gli è letteralmente saltata addosso e tanto per la cronaca è tutta la sera che gli sta attaccata come una cozza” mi lasciai scappare.

James mi guardò e scoppiò a ridere fragorosamente.

“Come volevasi dimostrare” mi rispose.

Evitai di rispondergli, tanto ormai era evidente che avessi palesato la mia dannata gelosia.

“Perché Bella?” mi domandò “perché?” ripetè.

“Perché cosa?”

“Perché te ne sei andata oggi? Perché sei tornata da Jake?”

“Cosa avrei dovuto fare, eh? Mandare a puttane la mia vita solo perché me l’ha chiesto lui? Solo perché all’improvviso si è accorto che mi vuole nella sua vita?”

“Quindi è per questo?” mi domandò “lo fai per punirlo? Lo fai perché ha aspettato quattro anni per dirtelo?” continuò.

Abbassai lo sguardo non riuscendo a dire nulla e lui interpretò a modo suo quelle mie parole.

“Cazzo, non ci credo. Non puoi farlo per questo, non puoi mandare a puttane tutto solo per punirlo”.

“Non è per questo”.

“E allora?”

“Ho paura” gli rivelai “paura di fare l’ennesimo buco nell’acqua” continuai.

“Di che diavolo parli?”

“Abbiamo avuto una possibilità, ma l’abbiamo sprecata. Perché oggi dovrebbe essere diverso da allora quando i presupposti sono sempre gli stessi?”

“E perché oggi dovrebbe essere uguale ad allora?”

“La fai facile te” mi lasciai scappare.

“La faccio facile?” mi urlò “sono cresciuto con te, con lui e vi ho visto volervi bene, innamoravi, litigare, scornarvi, ma mai, mai siete riusciti a stare l’uno lontano dall’altro e poi all’improvviso vi siete dati all’idiozia più pura. Lui ti ha mandata al diavolo e tu gli hai servito tutto in un piatto d’argento e poi avete un’altra opportunità e che fate? La sprecate come degli imbecilli. Quindi sai che ti dico, continuate pure” prese a dire “continua a logorarti il fegato vedendolo con un’altra e lui continuerà a fare l’indifferente solo per l’orgoglio di mantenere quella stupida promessa che ti ha fatto. Siete dei fottuti cazzoni” concluse.

Restai in silenzio non potendo ammettere che lui avesse dannatamente ragione.

“Non mi ha degnata di uno sguardo da quando siete qui” gli feci notare.

“Si, ed è esattamente quello che continuerà a fare perché è un coglione peggio di quanto lo sia tu”.

“Grazie ah”.

“Prego. È sempre un piacere dirti la verità”.

Stavo per rispondergli, ma non ne ebbi la possibilità perché una delle bionde che c’era dentro comparve alle nostre spalle tra una risata e l’altra.

“Ah, sei vivo ancora” commentò rivolgendosi a James “pensavamo di no visto che sei uscito a fumare e non sei più rientrato” continuò, mentre dietro di lei vidi l’ultima cosa che volevo vedere.

Quella Tanya era proprio dietro la bionda in compagnia di Edward che le cingeva la vita con la sua mano mentre se la ridevano di brutto, mentre io, invece, ebbi la tentazione di ucciderla con le mie stesse mani. Non potevo sopportare di vedere lui toccare un’altra donna, soprattutto dopo quello che era successo tra noi.

E la cosa peggiore era che lui sembrava completamente indifferente, come se io non fossi lì davanti a lui, come se io non fossi nulla. Dannato lui e quel suo fottuto carattere di orgoglioso del cazzo.

“E bravo James” commentò proprio Tanya “quando il gatto non c'è i topi ballano” aggiunse riferendosi chiaramente al fatto che Vic non fosse presente.

Stava forse alludendo al fatto che James ci stesse provando con me? Ma come diavolo si permetteva?

Mi avvicinai a lei con fare spavaldo e quando arrivai ad un palmo dalla sua faccia presi a parlare.

“Qui non vedo né gatti né tantomeno topi” le dissi “al massimo bionde ossigenate che sghignazzano come galline” mi lasciai scappare senza rendermi davvero conto di quello che stavo dicendo.

Io non ero così, io non facevo scenate specialmente quando non avevo nemmeno il diritto per farle.

James se la rise di brutto vista la mia battuta e anche a Edward scappò una risata anche se, pur di non darmi sazio, cercò di non darlo a vedere.

“Senti ragazzina, ma chi ti credi di essere?” mi domandò la bionda in un momento di lucidità visto lo stato in cui si trovava.

Era evidente che fosse completamente sbronza.

Stavo per risponderle, ma James, vedendo la mia espressione furiosa, pensò bene di intervenire.

“Lei è Bella, una nostra vecchia amica” spiegò alle due “loro, invece, sono Tanya e Irina Denali, le figlie del direttore tecnico della Yamaha” aggiunse rivolgendosi poi a me.

Adesso che le guardavo bene era chiara la somiglianza con Eleazar, si vedeva chiaramente che fossero le sue figlie, ma questo non cambiava il fatto che quella Tanya l'avrei volentieri presa a pugni.

“Vi conoscete da parecchio?” domandò quella che doveva essere Irina.

“Da sempre” le rispose James.

“Diavolo, dovresti entrare con noi a prendere qualcosa da bere” mi propose “così puoi raccontarci qualche aneddoto di questi due” aggiunse ridendo di un sorriso raggiante che rischiava di essere contagioso.


“Mi ha appena dato della bionda ossigenata e della gallina e tu la inviti a bere con noi?” le domandò Tanya sconvolta.

“Sorellina, siamo tutti ubriachi stasera e decisamente fuori giri. Non credo volesse offenderti”.

In effetti che ero un brilla era vero, ma sicuramente non ero ubriaca quanto loro e quello che avevo detto lo pensavo davvero. Eccome se la volevo offendere, anzi avrei voluto investirla con la macchina e poi passarle sopra con un tir.

“Ti ringrazio, ma non posso” dissi a Irina “ci sono i miei amici dentro e stavamo andando via. Abbiamo un aereo da prendere domattina” aggiunsi mentre sia Edward che Tanya si accesero una sigaretta.

“Come vuoi” mi rispose “è un peccato” continuò prima di darmi le spalle per entrare dentro tirandosi dietro anche James.

“Ci sentiamo, ok?” mi disse il biondo prima di entrare dentro insieme a lei.

“Si certo, salutami Vic” gli risposi “a proposito, come mai non c'è?” domandai.

“Non le andava di uscire stasera” mi rispose facendomi l'occhiolino prima di entrare dentro.

Restai fuori a finire la mia sigaretta ed Edward e Tanya fecero lo stesso, non avendo nessuna intenzione di buttare la sigaretta per seguire gli altri due all'interno del locale.

La bionda si avvinghiò ad Edward peggio di una cozza e lui non sembrò disdegnare la cosa. Era evidente che fosse il suo modo per farmela pagare, ma non gliel'avrei data vinta e così feci finta di nulla.

Ad un certo punto lei prese a ridere sguaiatamente e poi sempre guardando Edward prese a parlare.

“E così tu e lei vi conoscete” gli disse riferendosi chiaramente a me.

Tanya, smettila” la rimproverò lui chiaramente infastidito che il discorso fosse caduto su di me.

A quanto pareva non voleva darmi neppure quella misera attenzione, niente di niente.

“Ed eravate amici?” domandò stavolta rivolgendosi a me “no, perché guardandovi adesso non sembrerebbe proprio” aggiunse.

Era anche ubriaca, ma certe cose sembravano non sfuggirle.

“Finiscila” continuò Edward più scocciato che mai.

“Cosa eravate?” mi chiese staccandosi da lui e avvicinandosi a me “cos’è stato lui per te?” aggiunse.

Guardai per un attimo lui e notando la sua indifferenza le parole mi uscirono senza riuscire a controllarle.

“È stato l’errore più grande della mia vita” mi lasciai scappare mentre quelle parole arrivarono al segno meglio di quanto potessi credere.

Puntò, per la prima volta in quella serata, i suoi grandi e magnetici occhi azzurri nei miei e, per la prima volta da quando lo conoscevo, gli vidi uno sguardo ferito addosso e quasi mi pentii di aver detto quelle parole, mentre la bionda si zittì improvvisamente forse accorgendosi che aveva completamente toppato facendomi quella domanda.

Non riuscendo più a guardarlo feci per andarmene gettando la sigaretta a terra, ma stranamente mi sentii afferrare per un braccio e fui costretta a girarmi perdendomi nel suo sguardo.

“Guardarmi negli occhi e ripetilo” mi disse serio, ma ferito allo stesso tempo.

“Lasciami” gli risposi indicando la sua presa sul mio polso.

“Ti ho detto di guardarmi e ripetere quello che hai detto” mi ripetè “voglio che tu me lo dica in faccia che sono stato un errore” aggiunse.

Lo guardai e provai a farmi uscire nuovamente quelle parole dalla bocca, ma non ci riuscii. Mentire guardandolo negli occhi era praticamente impossibile. Ci sarei riuscita con chiunque probabilmente, ma non con lui.

Stavo per dire qualcosa, ma non ne ebbi il tempo perché prima che riuscii ad aprire bocca sentii le risate dei miei amici farsi sempre più vicini fino a quando la porta del locale si aprì.

“Abbiamo vinto” commentò Jake non appena fu fuori rivolgendosi a me.

In quello stesso istante Edward lasciò la presa dal mio braccio e nessuno parve accorgersi di quel gesto.

“Come sempre” mi lasciai scappare io cercando di non mostrarmi turbata per ciò che era successo.

I ragazzi mi guardarono con sguardo interrogativo visto che mi trovavo fuori da sola con Edward e Tanya e così mi decisi a parlare.

“Gli ho prestato l’accendino” dissi riferendomi a quei due sperando che nessuno dei due dicesse nulla.

Tanya era troppo ubriaca e stranita da quello che era successo tra me ed Edward per dire qualcosa e lui era decisamente troppo ferito ed arrabbiato per aprire bocca, motivo per cui i ragazzi mi credettero senza troppi problemi considerando anche che erano parecchio ubriachi.

“Torniamo in hotel?” domandai rivolgendomi verso tutti “sono stanca” aggiunsi.

I ragazzi annuirono e dopo aver salutato Edward, pur non conoscendolo, ci allontanammo mentre Jessica non smise un attimo di togliergli gli occhi di dosso e questo contribuì a far aumentare il mio nervosismo. Non avevo mai detestato Jessica come negli ultimi due giorni.

Ci dirigemmo verso l’hotel e io cercai di non voltarmi indietro pur sentendo degli occhi puntati addosso, sicuramente quelli di Edward.

Se potevo avere qualche dubbio che avrebbe mantenuto la sua parola e che avrebbe vissuto la sua vita facendo finta che io non fossi mai esistita, adesso, dopo le mie parole, non ne avevo più.

L’avevo perso, perso per sempre. 

 

 

 

 

Spoiler:

Scoppiammo entrambi a ridere e per un momento l’atmosfera parve distendersi e mi sentii come avvolta da una nube di serenità. Stavo bene, dannatamente bene e sapevo che era tutto merito di lui. Che io lo avessi ammesso o meno era stato chiaro da sempre che Edward era la mia isola felice, lui era il mio posto nel mondo o, forse, semplicemente lui era il mio mondo.

Stava per dire qualcosa, ma non ne ebbe il tempo perché sentimmo suonare alla porta.

“Chi è?” chiesi.

“Amore, sono io” mi rispose l’inconfondibile voce di Jake.

Cazzo, ero nei guai. Non poteva essere vero, doveva per forza trattarsi di un incubo.

Feci cenno a Edward di stare zitto, poi ripresi a parlare.

“Un attimo Jake” gli urlai per farmi sentire “arrivo” aggiunsi prendendo Edward e spintonandolo verso la mia stanza.

“Quanta fretta di portarmi in camera” ci scherzò lui come se la cosa non fosse tragica “avevo intenzione di parlare, ma se proprio vuoi venire a letto con me non ci sono problemi” continuò malizioso.

“Ti sembra il momento di scherzare?” gli domandai retorica “sta fermo qui e non muoverti. Se è possibile evita anche di respirare” continuai facendo per tornare di là.

Non riuscii a fare pochi passi che lui mi bloccò attirandomi nuovamente a sé.

“Per quale motivo me ne dovrei stare buono qui dentro?” mi domandò alzando un sopracciglio.

“Edward finiscila” gli risposi provando a divincolarmi.

“Potresti sempre presentarci” ci scherzò su.

“Non è divertente”.

“Oh, si che lo è, invece. Dovresti guardare la tua faccia”.

“Non mi stai aiutando facendo così”.

“Non ho mai detto di volerlo fare”.

Stavo per rispondergli, ma la voce di Jake arrivò di nuovo forte e chiara.

“Hai intenzione di lasciarmi qui fuori tutta la sera?” mi domandò quello retorico.

“Arrivo” gli urlai “lasciami andare, non fare il bambino” aggiunsi poi rivolgendomi a Edward.

Lui si portò l’indice sul mento come a riflettere sulla cosa.

“Beh, cosa si guadagno io a starmene buono qui mentre tu vai di là da quello lì?” mi domandò con una delle sue solite espressione maliziose.

“Mi faresti un favore”.

“Non mi basta”.

“Oddio Edward, smettila” lo rimproverai “sembri un bambino” gli ribadì nuovamente riuscendo a scrollarmi dalla sua presa.

Stavo per allontanarmi, ma nuovamente lui mi catturò a sé.

Smettil...” tentai di ribadire, ma non ne ebbi il tempo perché mi ritrovai la bocca tappata dalla sua.

[...]

 “Bella che succede?” sentii urlare da Jake che ancora aspettava che gli aprisse la porta.

Fu in quel preciso istante che mi staccai da Edward e lo guardai alzando un sopracciglio.

“Non guardarmi così” mi disse lui ridendo soddisfatto “non sono mai stato uno che fa niente per niente” aggiunse con espressione sghemba.

Era chiaro che quel bacio fosse stato il suo “guadagno” nel restare chiuso lì dentro ed in silenzio.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

Vi lascio inoltre anche il link della pagina facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è a nome dell’altra storia che ho in corso proprio per non crearne una nuova sola per questa storia. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta, in modo che chi non segue l’altra potrà comunque tenersi informato con questa. Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts

 

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Capitolo 9
*** 9. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer


 

9.

Pov Bella

Scesi dalla macchina controllando l’orologio. Erano le nove della sera e io ero stanchissima dopo aver passato una giornata davvero frenetica al locale. Per fortuna il mio turno era finito e avevo volentieri ceduto il mio posto agli altri miei colleghi che si sarebbero sorbiti una lunga serata di lavoro visto che, anche durante la settimana, c’era un sacco di gente che frequentava il “Blue Moon” visto e considerato che era anche un pub, quindi molta gente, soprattutto ragazzi venivano a tarda serata per bere.

Ero davvero sfinita, ma la colpa era un po’ anche mia visto che negli ultimi giorni mi ero quasi auto costretta a distruggermi di lavoro pur di tenere lontani i pensieri. Edward era e doveva restare un tabù. Non mi era neppure concesso ricordare l’iniziale del suo nome ed era con questi pensieri che avevo trascorso quell’ultima settimana e mezza.

Ovviamente non avevo potuto evitare di guardare le prove e la gara nel circuito di Brno, nella Repubblica Ceca, nel fine settimana perché, per quanto volessi tenerlo lontano da me, era chiaro che non riuscissi a staccarmi del tutto da lui. Non si era guadagnato la pole position in quel circuito, ma comunque la prima fila partendo dalla terza casella. Il giorno dopo, comunque, aveva lottato in un testa a testa con Caius e alla fine era riuscito a scamparlo vincendo la quarta gara della stagione.

Questo fine settimana, invece, si correva nuovamente in America, in Texas per la precisione nel bellissimo circuito di Austin ed era una gara importante perché quel week-end della stagione avrebbe chiuso, insieme al prossimo, la prima metà della stagione.

Scacciai via quei pensieri e mi diressi verso l’ingresso del palazzo dove ormai vivevo da circa tre mesi. Avevo affittato un appartamento che condividevo con una ragazza con la quale ero diventata molto amica. Angela era una ragazza solare, ma riservata e a volte perfino timida, ma aveva un gran cuore ed avevamo legato subito avendo tantissime cose in comune, specialmente l’amore per la lettura.

Presi l’ascensore e quando arrivai al mio piano mi diressi verso l’appartamento afferrando le chiavi dalla borsa. Aprii e subito richiusi la porta alle mie spalle.

“Angela sono tornata” urlai per farmi sentire “mi sono fermata al ristorante messicano qui sotto e ho preso della roba. Muoviti altrimenti si fredda” aggiunsi dirigendomi direttamente in cucina e appoggiando i sacchetti sul bancone.

La cucina di casa era posizionata in uno spazio aperto con il salone, motivo per cui quando alzai lo sguardo verso il divano restai pietrificata da quello che vidi e la borsa che non avevo ancora posato mi cadde dalle mani.

Proprio di fronte a me, comodamente seduto a guardare la tv c’era l’ultima persona che mi aspettavo di vedere: Edward Cullen.

Che diavolo ci faceva lui lì?

“Angela non c’è” mi informò voltandosi a guardarmi “è uscita con un certo…” tentò di fare mente locale “boh, non mi ricordo il nome” aggiunse come se fosse normale che lui si trovasse lì.

Solo in quel momento mi ricordai che era mercoledì sera e di solito in quel giorno della settimana Angela usciva sempre a cena fuori con Ben, il suo fidanzato.

“Ben” dissi “si chiama Ben. è il suo ragazzo” gli spiegai “che diavolo ci fai tu qui?” domandai poi cercando di riprendermi.

Edward come se nulla fosse spense la tv e si avvicinò alla cucina sedendosi in uno degli sgabelli in modo che fossimo più vicini.

“Sono venuto per…” stava cercando di dire.

“Oddio se sei qui significa che Angela ti ha visto” presi a dire accorgendomi solo in quel momento dell’ovvietà “cazzo, cazzo, cazzo” imprecai tra me e me.

“Ok, fammi capire” prese a dire “io sono qui e tu imprechi sul fatto che Angela mi abbia visto?” mi domandò quasi deluso “si, mi ha visto e sinceramente non penso di avere la lebbra, né tanto meno di essere così impresentabile da non potermi fare vedere da qualcuno” aggiunse quasi infastidito.

Raccolsi la borsa da terra e presi una birra dal frigo iniziando a berla come una forsennata. Mi sentivo pazza, ma soprattutto credevo di essere finita dentro un sogno. Edward non poteva essere qui.

“Dai, ammettiamolo, non sei reale” dissi a me stessa “non puoi essere reale. Edward non sarebbe mai venuto qui, non dopo quello che ci siamo detti l’ultima volta” aggiunsi continuando a bere.

Alzai lo sguardo per guardare lui e lo trovai che se la rideva di gusto. Si stava praticamente prendendo gioco di me. Era assurdo.

Afferrò il pacchetto di sigarette che aveva in tasca e me le lanciò.

“Credo te ne serva una” mi disse nel frattempo.

Lo afferrai e ne presi una accendendola e cominciando a ispirare il fumo e più ispiravo più mi rendevo conto che era tutto vero e che lui era davvero lì.

“Ho bisogno di sedermi” spiegai buttandomi a peso morto sullo sgabello “lì c’è il frigo prenditi quello che vuoi e smettila di ridere gentilmente” conclusi.

Tra noi funziona così. La nostra non era mai stata quel genere di relazione tradizionale che la maggior parte delle persone avevano. Noi eravamo un caso a parte.

Edward continuò a ridere, ma non si alzò, anzi avvicinò il suo sgabello al mio ritrovandoci praticamente a pochi centimetri di distanza.

“Perché sei qui?” gli domandai sperando che non si avvicinasse troppo “pensavo che non ti avrei più rivisto” aggiunsi.

“Hai smesso di guardare la tv?” domandò scherzosamente.

“Non in quel senso, idiota” gli risposi lasciandomi andare anche io ad un sorriso.

“Pensavo anche io che non ti avrei più vista, non dopo la promessa che ti ho fatto” mi rivelò tornando serio.

“Sbaglio o è la prima volta che non mantieni la tua parola? Hai detto che, se quel giorno me ne fossi andata, sarebbe stato come se non fossi mai esistita per te”.

“No, non sbagli. È solo che non posso fingere che tu non sia mai esistita”.

“Perché sei qui?” gli ripetei ancora una volta.

“Perché ti rivoglio con me, a qualunque costo” mi rispose prendendo la mia mano nella sua.

“Edward…” tentai di dire, ma lui non me lo permise.

“No, fammi parlare” mi disse zittendomi “per quattro anni siamo stati lontani e tutto sommato sono riuscito a fare una vita pressoché normale, ma l’ultima settimana è stata un inferno per me. I due giorni che abbiamo passato insieme mi hanno fatto capire che oggi non puoi non fare parte della mia vita perché io non la voglio una vita di cui tu non fai parte ed è per questo che me ne sono infischiato di quello che ti ho promesso, non mi importa niente: voglio solo che tu mi voglia nella tua vita” continuò guardandomi intensamente negli occhi.

“Ne abbiamo già parlato Edward”.

“No non ne abbiamo già parlato” mi rispose scuotendo la testa “non me ne frega un cazzo di quello che ci siamo detti. Io lo so che non sarà facile tra di noi, ma non mi importa. Le cose facili non mi sono mai piaciute e nemmeno a te, lo sai meglio di me” continuò.

Ci fu un attimo di silenzio e io preferii restare zitta per paura di quello che avrei potuto dire, poi alla fine mi decisi ad aprire la bocca, ma cambiai totalmente argomento.

“Chi tra tutti i ragazzi ti ha dato l’indirizzo di casa mia?” domandai.

Lui mi guardò stranito che gli avessi chiesto qualcosa che non c’entrava nulla con quello che mi aveva appena detto, ma poi scosse la testa e sorrise consapevole che anche questo faceva parte di me. Io giravo e rigiravo un discorso senza usare nessun senso logico.

“È anche per questo che ti amo” mi rivelò “comunque sia è stata Vic” aggiunse come se non avesse detto niente di importante qualche secondo prima.

Evitai di dare peso alle sue prime parole e mi concentrai solo sulla mia amica.

“Non avrebbe dovuto farlo”.

“Non avrebbe voluto”.

“Ma l’ha fatto”.

“So essere molto persuasivo se voglio”.

“Cosa le hai detto?” gli domandai conscia che dovesse aver per forza detto qualcosa di importante per farselo rivelare.

“Niente in più o in meno di quello che sto dicendo a te” mi rispose.

“Si, ma…”

“Ma cosa?” mi chiese “anche lei è convinta che quella che abbiamo avuto è una seconda possibilità che ci viene offerta e che non possiamo sprecarla” mi spiegò.

“E ad Angela? Cosa hai detto a lei?” domandai ignorando le sue parole.

“Prima o dopo che gli venisse quasi uno svenimento?” mi domandò scherzando.

Lo guardai e sorrisi pensando alla possibile reazione di Angela nel ritrovarsi alla porta di casa una persona che guardi in tv e pensi che non ci avrai mai nulla a che fare, soprattutto se quella stessa persona è quella di cui il tuo ragazzo ti parla costantemente come se fosse l’eroe del mondo intero.

“Gli sarà preso un colpo” ci scherzai su.

“Più o meno. Comunque le ho detto che cercavo te e che ero il fratello di una tua vecchia amica di Portland” mi raccontò “la cosa strana è che mi ha fatto entrare senza fare ulteriori domande” aggiunse.

“Beh, Angela è fatta così. è molto discreta” gli spiegai “e quanto pensi che ci abbia creduto?” domandai alla fine.

“Non lo so, ma alla fine non ho detto una bugia. Alice è davvero la tua migliore amica, non me lo sono inventato”.

“Certo che sei un paraculo tu, eh”.

“Che vuoi farci?” mi domandò quasi a prendermi in giro “certe cose non cambiano mai”.

Scoppiammo entrambi a ridere e per un momento l’atmosfera parve distendersi e mi sentii come avvolta da una nube di serenità. Stavo bene, dannatamente bene e sapevo che era tutto merito di lui. Che io lo avessi ammesso o meno era stato chiaro da sempre che Edward era la mia isola felice, lui era il mio posto nel mondo o, forse, semplicemente lui era il mio mondo.

Stava per dire qualcosa, ma non ne ebbe il tempo perché sentimmo suonare alla porta.

“Chi è?” chiesi.

“Amore, sono io” mi rispose l’inconfondibile voce di Jake.

Cazzo, ero nei guai. Non poteva essere vero, doveva per forza trattarsi di un incubo.

Feci cenno a Edward di stare zitto, poi ripresi a parlare.

“Un attimo Jake” gli urlai per farmi sentire “arrivo” aggiunsi prendendo Edward e spintonandolo verso la mia stanza.

“Quanta fretta di portarmi in camera” ci scherzò lui come se la cosa non fosse tragica “avevo intenzione di parlare, ma se proprio vuoi venire a letto con me non ci sono problemi” continuò malizioso.

“Ti sembra il momento di scherzare?” gli domandai retorica “sta fermo qui e non muoverti. Se è possibile evita anche di respirare” continuai facendo per tornare di là.

Non riuscii a fare pochi passi che lui mi bloccò attirandomi nuovamente a sé.

“Per quale motivo me ne dovrei stare buono qui dentro?” mi domandò alzando un sopracciglio.

“Edward finiscila” gli risposi provando a divincolarmi.

“Potresti sempre presentarci” ci scherzò su.

“Non è divertente”.

“Oh, si che lo è, invece. Dovresti guardare la tua faccia”.

“Non mi stai aiutando facendo così”.

“Non ho mai detto di volerlo fare”.

Stavo per rispondergli, ma la voce di Jake arrivò di nuovo forte e chiara.

“Hai intenzione di lasciarmi qui fuori tutta la sera?” mi domandò quello retorico.

“Arrivo” gli urlai “lasciami andare, non fare il bambino” aggiunsi poi rivolgendomi a Edward.

Lui si portò l’indice sul mento come a riflettere sulla cosa.

“Beh, cosa si guadagno io a starmene buono qui mentre tu vai di là da quello lì?” mi domandò con una delle sue solite espressione maliziose.

“Mi faresti un favore”.

“Non mi basta”.

“Oddio Edward, smettila” lo rimproverai “sembri un bambino” gli ribadì nuovamente riuscendo a scrollarmi dalla sua presa.

Stavo per allontanarmi, ma nuovamente lui mi catturò a sé.

Smettil…” tentai di ribadire, ma non ne ebbi il tempo perché mi ritrovai la bocca tappata dalla sua.

Mi stava baciando nel suo solito modo semplice, ma coinvolgente, quel modo che usava tutte le volte che io gli urlavo contro e lui, prontamente, mi zittiva in quel modo. Mi stava baciando in attesa che anche io ci mettessi del mio perché, probabilmente, non era sicuro di star facendo la cosa giusta, o quantomeno qualcosa che avrei condiviso.

Provai a cercare dentro di me quel barlume di ragione che mi facesse allontanare da lui, ma non trovai assolutamente nulla. Fu per questo che praticamente mi ritrovai a buttarmi addosso a lui posizionando le mie mani dietro il suo collo e tirandolo ancora di più a me per i capelli. Lui ovviamente non si tirò indietro e notando la mia reazione approfondì il bacio con un mezzo sorrisetto compiaciuto.

“Bella che succede?” sentii urlare da Jake che ancora aspettava che gli aprisse la porta.

Fu in quel preciso istante che mi staccai da Edward e lo guardai alzando un sopracciglio.

“Non guardarmi così” mi disse lui ridendo soddisfatto “non sono mai stato uno che fa niente per niente” aggiunse con espressione sghemba.

Era chiaro che quel bacio fosse stato il suo “guadagno” nel restare chiuso lì dentro ed in silenzio.

Lo guardai e scossi la testa consapevole che non sarebbe mai cambiato, poi gli chiusi la porta in faccia e mi diressi velocemente verso l’ingresso. Aprii la porta e mi ritrovai il mio ragazzo proprio davanti agli occhi.

“Finalmente. Credevo mi avresti lasciato qui fuori” mi disse spazientito entrando dentro.

“Scusa, ma…” tentai di rispondergli.

“Perché ci hai messo tanto ad aprire?”

“Stavo andando a fare la doccia ed ero praticamente nuda. Mi sono rivestita prima di aprirti la porta” provai a mentire.

“Beh non mi sarebbe dispiaciuto se ti fossi presentata nuda” mi rispose malizioso.

“Idiota” gli dissi ridendo.

“Allora, che si fa?” mi domandò “quali sono i programmi per la serata?” continuò.

“Nessun programma, Jake. Ho mal di testa e sono stanchissima per via del lavoro. Stavo andando a fare la doccia e poi mi sarei messa a letto”.

“Così presto?”

“Non mi reggo in piedi”.

Jake si guardò attorno e vide i sacchetti del ristorante messicano che erano appoggiati al bancone.

“E quelli?” mi chiese.

“Ero passata al ristorante qui sotto per prendere qualcosa da mangiare, ma mi ero tolta dalla testa che oggi è mercoledì e che, quindi, Angela avrebbe mangiato fuori con Ben come al solito” gli risposi.

“Possiamo mangiare noi quella roba, allora”.

“Ti fa schifo il messicano” gli feci notare “e comunque sia io non ho fame. Ho solo voglia di buttarmi a letto”.

“E io ti ci butterei volentieri” mi disse malizioso.

Riuscivo a capire che dietro quella sua battuta c’era dell’altro. Da quando eravamo tornati dalla corsa non ci eravamo spinti oltre dei baci o delle coccole. Non eravamo più andati a letto insieme e la cosa sembrava cominciare a pesargli. Non sapevo perché lo scansavo quando provava a passare la soglia, ma quando lo faceva non riuscivo a non immaginare Edward al suo posto e così lo scacciavo via.

“Non stasera Jake, davvero”.

“Mi stai praticamente cacciando via, giusto?” mi domandò retorico.

“No, non ti sto cacciando via. È solo che non mi sento bene. Ho solo bisogno di dormire un po’. Se vuoi restare, puoi farlo, ma io mi metto a letto” gli dissi sperando che alla fine non accettasse la cosa.

Non potevo non dirglielo, altrimenti avrei rischiato che potesse anche scoprire che c’era qualcosa che non quadrava. In fondo non era la prima volta che io me ne stavo a letto e lui restava lì in casa mia.

“No tranquilla amore, si vede che non ti senti bene. Ti lascio da sola. Ne approfitto per passare da Paul, magari trascorro la serata tra una partita di play e l’altra” mi rispose mentre io tirai un sospiro di sollievo.

“Divertiti, allora” gli dissi.

Lui mi sorrise e poi si diresse nuovamente verso la porta, ma prima di farlo vide il pacchetto di sigarette sul bancone della cucina e si avvicinò.

“Ti dispiace se te ne frego una?” mi domandò retorico “ho dimenticato di andarle a comprare. Adesso vado” aggiunse.

Gli sorrisi e ringraziai mentalmente il fatto che sia io che Edward fumassimo Marlboro rosse altrimenti davvero avrei rischiato grosso visto che le sigarette sul bancone erano di Edward. Le avevo posate io poco prima quando me ne aveva data una.

Jake nel frattempo se ne accese una, conservandone un’altra nel taschino del giubbotto, poi fece una faccia leggermente schifata.

“Non capisco come fai a fumare questa roba” si lamentò “sono fortissime” aggiunse.

“E le tue leggerissime” precisai.

In realtà non è che le Merit fossero proprio leggere, ma a confronto delle mie sembravano tali. 

“Si certo, come no” mi rispose “adesso vado. Ci sentiamo domattina” concluse.

“A domani”.

Si avvicinò e mi baciò a fior di labbra, poi uscì di casa e io aspettai che entrasse nell’ascensore prima di chiudere la porta alle mie spalle.

“Puoi uscire” urlai per farmi sentire da Edward.

Qualche secondo dopo lo vidi comparire in cucina con sguardo soddisfatto e compresi subito che avesse quell’espressione per il bacio di poco prima.

“Hai mangiato?” gli chiesi.

“No”.

“Hai fame?”

“Cos’hai qui dentro?” mi domandò indicandomi i sacchetti.

“Cibo messicano. Ci andavi pazzo”.

“Ci vado pazzo” mi corresse “a te, invece, faceva schifo” aggiunse.

“Beh, adesso non più così tanto”.

“Fammi capire: hai iniziato a mangiare tutte quelle schifose salse piccanti? Non era così che li definivi?” mi prese in giro.

“Lo sapevo che lo avresti detto”.

“E la cosa ti stupisce?”

“No, per nulla. In fondo nessuno ti conosce meglio di me” mi lasciai scappare.

Lui mi sorrise, poi si sedette nello sgabello.

“Avanti, vediamo che hai comprato” mi disse indicandomi i sacchetti.

Uscii dalle buste tutto quello che c’era e lo misi in tavola iniziando a mangiarlo insieme a lui. Ci fu un attimo di silenzio, poi non sapendo come introdurre una qualunque conversazione tirai fuori la prima cosa che mi venne in mente.

“Jake ti ha fregato due sigarette” gli feci notare indicandogli il suo pacchetto a pochi centimetri da lui.

“Jake mi ha fregato la donna, che è diverso” mi corresse “chi se ne frega di due fottute sigarette” aggiunse.

Lo guardai comprendendo che il discorso era caduto proprio dove non volevo che cadesse, ma in fondo non potevamo non parlare di quello. Non potevamo continuare a fingere che tutto questo fosse normale.

“In realtà non è proprio vero. Quando mi sono messa con lui noi non stavamo più insieme”.

Sentendo quelle parole lui alzò gli occhi dal piatto e mi guardò alzando un sopracciglio.

“Sai perfettamente cosa intendo, non fare finta di non capire”.

“Non faccio finta di nulla” gli feci notare “pensavi che ti avrei aspettato per sempre?” continuai.

“No, ma…”

“Ma cosa? Che altro dovevo fare? Sono andata avanti con la mia vita” gli dissi “lo hai fatto anche tu. Li so leggere i giornali” aggiunsi riferendomi a tutte le relazioni che gli avevano attribuito in quegli anni.

“Non ho mai avuto nessuna relazione importante. Nulla che durasse più di qualche mese”.

“Non importa”.

“Importa invece” mi rispose “io mi sono solo divertito con qualche ragazza, tu, invece, ti sei messa con uno e l’hai fatta diventare una cosa seria” aggiunse stizzito.

Abbassai lo sguardo e ripresi a mangiare senza aggiungere nulla consapevole che tanto non sarebbe servito.

“Non pensavo saresti venuto” dissi tentando di cambiare discorso.

“Non lo pensavo neanche io, non dopo quello che ti ho detto”.

“Ma sei qui” gli risposi “non pensavo che riuscissi ad avere la meglio sul tuo orgoglio” aggiunsi.

“L’orgoglio è importante, ma a volte ti fa perdere di vista le cose importanti e rischia di mandare a puttane quello di cui non puoi fare a meno”.

“Sono contenta che finalmente tu l’abbia capito. è quello che ho cercato di farti capire sempre”.

Lui mi sorrise, poi prese a guardarmi intensamente e non so cosa lesse in me, ma quando riprese a parlare il suo tono di voce era cambiato.

“Non hai intenzione di darmi un’altra possibilità, non è vero?”

Quelle parole furono peggio di una pugnalata al cuore, ma cercai di non darlo a vedere.

“È complicato, Edward”.

“Cosa c’è di complicato?”

“Tutta questa storia. Noi due, Jake, i nostri mondi diversi, il nostro passato”.

“Nessuna delle cose che hai nominato non può essere risolta”.

“Io…” tentai di dire, ma lui mi interruppe.

“Lo so, Bella. Tu vuoi delle certezze perché hai paura a lasciare quello che ti sei costruita senza di me. Ed è questo il problema”.

“Quale?”

“Io non ho certezze da darti. Non so quanto e se durerà, ma se non ci proviamo non lo sapremo mai. Un motivo, però, ci vede essere se dopo tutti questi anni ci vogliamo ancora così tanto”.

“Non ho mai detto di volerti ancora” tentai di dire.

“Non serve che tu lo dica. Lo vedo e lo sento”.

“Quando l’hai sentito?”

“Quando mi tocchi, quando mi baci e ancora di più quando abbiamo fatto l’amore”.

“È tutto così strano”.

“Forse si, forse lo è, ma bisogna capire solo cosa vuoi tu perché io lo so”.

“Non è così facile”.

Ci fu un attimo di silenzio in cui lui pensò bene di fissarmi intensamente per qualche istante, poi riprese a parlare.

“Stare con te è difficile perché tu sei una persona complicata, esigente, diversa e la cosa più assurda è che tu lo sai, ma non ti interessa completamente. Tu non vuoi un rapporto piatto e inutile, tu vuoi un rapporto in cui ci sia confronto, conflitto anche. Tu sei quella che quando ti arrabbi ti metti ad urlare finchè non ti finisce la voce, sei quella che mi mandava al diavolo anche cento volte e in modi diversi e poi non ti scusavi neppure perché sapevi che non serviva. Sei semplicemente quella che ha capito che bisogna vivere per come si vuole senza facilitare niente a nessuno. Io lo so che sei così e per questo so quanto sia difficile starti accanto, ma voglio farlo comunque” prese a dire “lui le sa queste cose? Lui ti conosce così bene come ti conosco io? A lui basta guardarti qualche secondo per capire cosa ti passa per la testa, cosa ti preoccupa?” continuò guardandomi intensamente negli occhi.

“Edward…” tentai di dire, ma lui mi interruppe.

“No, nessuno ti conosce meglio di me, né ti conoscerà mai così. E lui è solo il mio surrogato. Lo so io e soprattutto lo sai tu”.

“Smettila” urlai sentendogli dire quelle cose “finiscila” aggiunsi.

Lui mi guardò e poi scosse la testa.

“Ti fa male la verità, non è vero?” mi domandò.

“Tu non sai nulla” gli risposi “nulla” continuai alzandomi dallo sgabello e passandomi una mano tra i capelli con espressione frustata. 

Edward restò in silenzio senza dire nulla, poi si alzò e mi venne vicino bloccando il mio corpo tra il suo e il bancone della cucina.

“Tu non capisci” gli dissi prima che lui riuscisse a dire qualcosa “nonostante tutti i problemi che avevamo negli ultimi tempi io non avrei mai rinunciato a te, al nostro amore” tentai di spiegargli.

Edward mi sorrise debolmente, poi mi accarezzò dolcemente una guancia.

“Metti da parte il passato per un po’” mi spiegò “pensa solo ad adesso e a quello che ti sto dicendo ora” continuò “sono venuto qui fregandomene di quello che ti avevo detto e l’ho fatto perché questi quattro anni sono serviti a farmi capire che sei tu la persona che voglio vicino a me quando i miei sogni si realizzeranno e sei tu quella che voglio vicino a me se questi stessi sogni dovrebbero rivoltarsi contro di me. Io voglio te e tutti i problemi che vedi intorno a noi sono risolvibili. Non sarà una passeggiata, lo sappiamo entrambi, ma stare insieme è quello che abbiamo sempre voluto, fin da bambini, ricordi?” prese a dirmi con assoluta convinzione sorridendomi pronunciando quelle ultime parole.

Avevo capito subito a cosa si riferisse e subito un ricordo si impadronì di me.

 

Avevamo entrambi dieci anni e passavamo un sacco di tempo insieme, tutto quello che ci era concesso. Stare in compagnia degli altri era bello, ma pure a quella età io ed Edward sentivamo la necessità di trascorrere del tempo da soli, del tempo solo per noi. E così, all’improvviso, scomparivamo dal radar degli altri e ci nascondevamo per essere lasciati in pace.

Succedeva spesso, un po’ troppo spesso e per questo gli altri, specialmente Alice si infuriavano un sacco. Lei era quella che voleva sempre avere tutto sotto controllo, fin da piccolissima, e il fatto che io e suo fratello c’è la svignavamo di nascosto mentre giocavamo tutti insieme non gli andava giù per nulla. Con il tempo mi resi conto che questo suo sbuffare non era dovuto solo al fatto ci isolavamo dal resto della compagnia, ma anche e soprattutto perché lei era tremendamente gelosa del fratello e lo voleva sempre avere intorno.

“Rispondi alla mia domanda” mi disse lui quando ci fermammo nascondendoci dietro un albero.

“No” gli risposi io “credi che ci troveranno se restiamo qui?” domandai poi ignorando le sue parole.

“Non credo che Alice e Rose abbiamo intenzione di correre così tanto fino ad arrivare qui”.

“Ma Vic potrebbe convincerle”.

“Vic farà quello che farà James”.

“Non è vero”.

“Lui gli piace” mi spiegò sicuro di sé.

“Ha solo dieci anni”.

“E allora?” mi rimbeccò lui retorico “adesso mi rispondi?” mi domandò poi spazientito.

Edward era sempre stato così. Era un bambino energico, solare, ribelle, ma soprattutto voleva sempre avere tutto sotto controllo. Lui dettava le regole e gli altri ubbidivano. Era così che funzionava e non riusciva a darsi pace per il fatto che con me i suoi giochetti non funzionassero. Io lo sfidavo continuamente e, forse, era proprio questo strano legame che avevamo creato che ci rendeva così uniti. Indispensabili l’uno all’altra.

“No” gli risposi nuovamente.

“No non vuoi rispondermi o no non vuoi essere la mia fidanzata?” si impuntò lui.

“Edward Cullen ho solo dieci anni. Ho tutta una vita davanti” gli feci notare assumendo un’espressione da donna adulta, anche se mi risultava difficile non scoppiare a ridere.

“E che significa questo?”

“Siamo solo dei bambini” gli risposi “e poi si può sapere perché vuoi essere il mio fidanzato?” continuai riferendomi chiaramente alla domanda che mi aveva posto poco prima mentre correvamo per fuggire dagli altri.

“Perché così posso baciarti quando mi pare” mi rispose lui sorridendomi.

Lo guardai e non potei non ricambiare quel fantastico sorriso che mi aveva rifilato e così mi alzai sulla punta di piedi per arrivare alla sua altezza e alzai il viso per baciarlo. Lui comprese subito il mio gesto, si avvicinò sorridendomi e abbassò la testa per permettere alle nostre labbra si sfiorarsi mente mi teneva le mani ferme lungo il busto.

Fu un gesto semplice e naturale, qualcosa che durò pochissimi secondi perché non appena le nostre labbra si sfiorarono ci staccammo entrambi tornando a guardarci e a sorriderci.

Come se nulla fosse ci sedemmo sulla ghiaia e appoggiammo la schiena al tronco dell’albero e riprendemmo a parlare come se nulla fosse successo.

Eravamo solo due bambini che non ne sapevano nulla dell’amore, ma forse, proprio per questo, ci amavamo ancora di più del resto delle persone. Ci amavamo come possono amarsi i bambini, di un amore puro, vero, reale, un amore che nemmeno lo schifo del mondo poteva corrompere.

 

Tornai con la mente nel presente e notai che Edward mi stava ancora fissando in attesa di una mia risposta.

“Quanto vorrei che fosse così semplice” mi lasciai scappare.

“Le cose semplici non ci sono mai piaciute”.

“Forse, in questo caso, potrebbero iniziare a piacermi” gli rivelai convinta.

Lui mi guardò per qualche istante e poi dal mio sguardo comprese tutto perché si staccò allontanandosi di qualche passo.

Lo guardavo come si guarda qualcosa che si sa già che ci mancherà. Troppo bello per durare, per essere vero, troppo bello per diventare un’abitudine. Lo guardavo con gli occhi di un bagnante che alla fine dell’estate si sofferma a guardare il mare, quando le giornate sono ancora limpide, ma si sa che presto le nuvole prenderanno il sopravvento insieme alla noia e alla malinconia. Lo guardavo come una ragazzina che guarda i diciotto anni quando ancora ne ha quattordici sapendo, o comunque sperando, che raggiunto quel traguardo un po’ le cose sarebbero cambiate. Lo guardavo così e in quel momento le lacrime presero a inumidirmi gli occhi con il chiaro intento di bagnarmi le guance. Lo guardavo, forse, come facevo quando avevo quindici anni quando si divincolava tra una ragazza e l’altra e a me lui sembrava troppo bello per essere mio, troppo bello per amarmi, troppo bello per restarmi accanto nel modo in cui avrei voluto.

“Tu hai già deciso” mi disse “hai deciso che non ci meritiamo una seconda possibilità, non è vero?” mi domandò con quel briciolo di speranza che gli restava.

“Abbiamo avuto quattro anni per darci una seconda possibilità. Adesso non possiamo più averla”.

“Perché? Perché stai con un altro?”

“Tu non capisci, Edward” tentai di dire.

“Non capisco? Che cazzo non capisco, eh?” mi urlò arrabbiato “che cazzo c’è da capire?” continuò.

“Io non posso fargli questo. Jake non se lo merita. Mi è stato accanto senza chiedere nulla per tanto tempo e io a modo mio lo…” tentai di dire.

“No Bella, mi dispiace, ma non lascerò che tu lo dica perché questo non è amore e non ci si avvicina neppure di un poco. Questa è gratitudine. Tu sei grata a lui per averti aiutato, per aver provato a ricucire le ferite che io ti ho causato, ma sai che c’è? A quanto pare non c’è riuscito così bene e, forse, sono io l’unico che può rimediare. Solo io posso guarire quello che ho infettato” mi rivelò sincero come poche volte lo era stato e sinceramente non potevo dargli torto.

Aveva detto solo e soltanto la verità.

“Comunque sia io non ci riesco”.

“A fare cosa?”

“A fidarmi di te ancora. Lo vorrei tanto, ma qualcosa dentro di me, me lo impedisce” gli spiegai.

Edward prese una sigaretta e in religioso silenzio se la accese senza dire nulla, poi qualche istante più tardi riprese a parlare.

“Me ne andrò Bella” mi disse e a sentire pronunciare quelle parole il mio cuore sembrò spezzarsi di nuovo “ma prima che lo faccia devi guardarmi negli occhi e dirmi che una vita accanto a me non la vuoi, ma soprattutto che non provi più nulla” prese a dirmi “guardami e dimmi che non mi ami più perché se è così la mia presenza qui è del tutto fuori luogo” concluse avvicinandosi a me in modo che io non potessi divincolarmi.

Mi stava costringendo a guardarlo negli occhi e io non sapevo davvero cosa fare, motivo per cui me ne rimasi zitta.

“Sto aspettando che tu lo dica” mi informò.

Ci fu ancora silenzio e io non sembravo per nulla intenzionata a parlare. Non potevo mentirgli e soprattutto non potevo farlo guardandolo negli occhi.

“Bella…” mi richiamò lui.

Lo guardai ancora per qualche secondo, poi scoppiai.

“Smettila, Edward” gli urlai divincolandomi dalla sua presa “credi davvero che se non ti amassi mi farei così tanti problemi? Credi che se non ti amassi ci sarebbe confusione nella mia testa?” aggiunsi sfinita da quella conversazione “si, ti amo, ti amo come non ho mai amato in vita mia e l’unica cosa che vorrei è stare con te, ma non posso. Non posso correre rischi, non più” aggiunsi trattenendo a stento le lacrime.

Lui mi guardò soddisfatto che gli avessi confessato i miei sentimenti, poi riprese a parlare.

“Non puoi o non vuoi?” mi chiese “perché sarebbe diverso” aggiunse.

Rimasi in silenzio, poi mi avvicinai allo sgabello e mi lasciai cadere.

“Entrambi forse” mentii sperando che mi credesse e dovette farlo visto che cambiò radicalmente espressione.

“Bene” mi disse “è meglio che io vada” aggiunse prendendo le sigarette dal bancone e posandole nella tasca “ho già avuto le risposte che cercavo” continuò voltandomi le spalle.

Mi alzai di botto e lo afferrai per un polso.

“Edward…” lo chiamai facendolo girare nuovamente verso di me.

“Mi ami, ma non vuoi stare con me” mi disse “è chiaro che vogliamo cose diverse” aggiunse “almeno adesso andrò avanti senza avere rimpianti” mi rivelò riferendosi chiaramente al fatto che ci avesse provato fino alla fine di stare insieme.

“Mi dispiace” riuscii solamente a dirgli abbassando lo sguardo.

“Solo una cosa, prima che vado” prese a dire.

“Cosa?”

“Quella sera al locale a Monterey hai detto che ero stato l’errore più grande della tua vita. Lo pensi davvero?” mi domandò.

Sapevo di averlo ferito con quelle parole ed era giusto essere sincera adesso.
“Si, lo sei stato” gli risposi.

“Bene” aggiunse lui visibilmente ferito.
“Lo sei stato” ripetei “ma sei stato un errore che, tornando indietro, rifarei altre centinaia di volte” aggiunsi “perché oltre a questo sei stato il mio primo amore, il mio vero amore, il mio porto sicuro, la mia isola felice, il mio posto nel mondo. Tu sei stato la mia persona” gli rivelai sincera.

Lui mi guardò e mi bastò fissare quegli occhi per qualche istante prima che interrompessi le distanze e lo stringessi a me più forte che potei. Lui ricambiò subito la stretta e in quell’abbraccio mi sentii finalmente a casa come non mi succedeva da troppo tempo.

“Vorrei non doverti mandare via” gli dissi mentre lui mi stringeva ancora a sé “ma non ci riesco Edward, non me la posso permettere più la speranza di noi due insieme perché se le cose dovessero andare male io non c’è la farei a superarlo, non adesso” conclusi mentre calde lacrime scesero bagnandomi le guance e finendo dritte sulla maglietta di lui.

Edward se ne accorse e mi abbracciò ancora di più, poi mi diede un leggero bacio sulla testa.

“Mi dispiace Bella, mi dispiace davvero tanto” mi disse “non avrei mai voluto farti tutto il male che ti ho fatto” aggiunse “mi dispiace” ripetè nuovamente con fare sincero.

“Lo so” gli risposi stringendolo ancora un po’.

Qualche istante dopo ci staccammo e lui si avvicinò baciandomi a fiori di labbra e io, io semplicemente glielo lasciai fare.

Quando, qualche secondo dopo, si staccò mi sentii vuota e sola, come se con quel bacio si fosse portato via tutto quello che mi era rimasto dentro.

Mi voltò le spalle e si diresse verso la porta, ma prima di uscire lo richiamai.

“Edward?”

“Si”.

“In bocca al lupo per la corsa di domenica” gli dissi.

Lui mi guardò e mi sorrise.

“Crepi” mi rispose prima di voltarsi nuovamente ed uscire dalla porta.

Non gli diedi il tempo di chiuderla che mi scaraventai fuori giusto il tempo di vederlo entrare nell’ascensore e quando le portiere si chiusero compresi che se ne era andato e ciò che era peggio era che io stessa l’avevo mandato via, io che non ero stata forte abbastanza per sfidare la vita e lottare per quell’amore che sentivo ancora scorrere nelle mie vene con un’intensità assoluta.

 

 

 

 

 

Spoiler:

“Posso entrare?” le domandai bussando alla porta che lei aveva lasciato semiaperta.

“Certo” mi disse soltanto “scusami, non volevo disturbarvi” aggiunse poi con tono di voce più basso.

“Non ci hai disturbati. Stavamo solo guardando un film” le spiegai sincera.

Lei non mi rispose, si limitò solo a sorridermi.

“Se vai da Ben perché di là c’è Edward non farlo. È un vecchio amico che mi è venuto a trovare, tutto qui” tentai di dire.

“Resto da Ben perché stasera ha la casa libera, non perché il tuo vecchio amico è qui” mi spiegò lei marcando un po’ sulle parole che io stessa avevo utilizzato.

Angela…” tentai di dire non sapendo bene cosa dire in realtà.

“È lui, non è vero?” mi chiese con tatto facendo un cenno con la testa quasi come a confermarsi da sola quello che mi aveva appena chiesto.

Non era il tipo da fare domande troppo personali, ma forse aveva capito che c’era qualcosa che le stavo nascondendo, qualcosa di importante e nonostante non ci conoscessimo da tantissimo tempo ci volevamo bene e lei si stava solo preoccupando per me.

“Lui chi?”

“Edward è il tuo lui, non è così? Quello che ti ha lasciata e che ti ha spinto a venire a studiare qui a Seattle?” mi domandò “mi sto sbagliando?” aggiunse poco dopo.

Come diavolo aveva fatto a capirlo?

Lui…” tentai di dire.

“Ho trovato una foto vostra tempo fa” mi rivelò non facendomi finire di parlare.

“Cosa?” chiesi non capendo.

“Ti ricordi quando ti ho chiesto di prestarmi Via col Vento?” prese a dire e quando io annuii lei continuò “mi hai detto di prenderlo io stessa dalla mensola che avevi in camera tua. Quando ho preso il libro per sbaglio ho fatto cadere la copia di Cime Tempestose e da lì è caduta una foto in cui c’eravate tu ed Edward. Eravate seduti al tavolo di un locale e ridevate a chiunque vi avesse fatto quella foto. Ho notato che le vostre mani erano intrecciate e mi sono ricordata della storia del tuo ex di cui non vuoi mai parlare. Ho fatto due più due e poi lui è apparso qui” mi raccontò quasi mortificata per aver invaso involontariamente la mia privacy.

Restai stupita da quello che mi aveva appena raccontato, ma non tanto perché aveva scoperto della foto quanto per il fatto che non avesse minimamente accennato alla cosa in tutto quel tempo.

“È una storia complicata” tentai di dire non avendo intenzione di mentirle.

“Sicuramente lo sarà, altrimenti non avresti fatto tante storie prima di deciderti ad andare a quella corsa con Jake e gli altri”.

“Avevo paura di rivederlo”.
“Ma l’hai rivisto e adesso lui è di là. Edward Cullen è nel salone della nostra casa” mi fece notare quasi eccitata dall’idea.

“Vedi perché è così difficile parlare di lui? Edward non è solo il mio ex fidanzato, lui è anche un personaggio pubblico e non è facile dire al mondo che per me è solo il ragazzino che mi visto crescere o l’adolescente che mi ha fatto perdere la testa”.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

Vi lascio inoltre anche il link della pagina facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è stata creata proprio per aggiornarvi sulle storie di mia invenzione e vi aggiornerò spesso e volentieri di ogni cosa. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta, in modo che chi non segue le altre potrà comunque tenersi informato con questa. Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts

 

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Capitolo 10
*** 10. ***


La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer

Eccomi tornata. Volevo scusarmi per l’enorme ritardo, ma sono stata davvero incasinata e non sono riuscita a postare prima di adesso. Tra il lavoro, la casa, la famiglia non ho avuto tregua. Sono stata fuori casa per un po’, poi ho partorito e poi è arrivata l’estate e ho avuto quasi un mese ospiti a casa. Credetemi non avevo tempo neppure per grattarmi la testa, senza contare che i gemelli (sono nati per tutti coloro che me l’hanno chiesto e purtroppo non hanno ricevuta risposta) mi tengono impegnatissima, senza contare poi che ne ho un altro di quasi due anni che definirlo una peste è poco. Perdonatemiiiii…spero di essere più frequenti negli aggiornamenti da adesso in poi. Adesso vi lascio al capitolo. Buona lettura…

 


 

10.

Pov Bella

Ero rimasta davanti al portone di casa per qualche istante dopo che l’ascensore si era chiuso, poi spinta da non so quale forza dentro di me socchiusi la porta di casa per non rischiare di rimanere fuori e a velocità sproporzionata mi diressi verso le scale scendendole a due a due.

L’ascensore avrebbe certamente fatto prima di me, quindi dovevo sbrigarmi. Quando finalmente raggiunsi il pianerottolo d’ingresso del palazzo mi resi conto che l’ascensore non era ancora arrivato così mi posizionai proprio di fronte ad esso e quando questo si riaprì mi ritrovai Edward davanti che mi fissava con espressione stupita. Non si aspettava di vedermi lì e nemmeno io visto che non sapevo neppure il motivo per cui mi ero fiondata lì sotto.

“Che ci fai…” tentò di dire, ma io non gli permisi di aggiungere altro.

“Resta con me ancora un po’” riuscii a dire senza nessuna cognizione di causa.

Con molta probabilità mi avrebbe mandato a quel paese, ma, invece, mi sorrise sghembo e mi attirò dentro l’ascensore impostando nuovamente il numero del piano dove c’era il mio appartamento. Restammo in silenzio senza dirci nulla, limitandoci solo a guardarci come se non lo facessimo da anni e anni. Quando le porte si aprirono nuovamente ci fiondammo dentro casa e io richiusi la porta alle mie spalle.

C’era ancora silenzio e nessuno sembrava sentire il bisogno di dire niente, forse perché ci bastava essere lì insieme a dispetto di tutto e tutti.

Poco prima avevamo finito la cena prima di affrontare quel discorso che ci aveva condotto poi a separarci, ma restavano tutti i piatti sul bancone.

“Tu lavi io asciugo” mi disse lui accorgendosi che bisognava comunque dare una sistemata.

“Come ai vecchi tempi” gli risposi conscia che facevamo così quando ci ritrovavamo a mangiare insieme a casa dell’uno o dell’altra.

Ci mettemmo all’opera mantenendo il silenzio, ma poi non resistetti più e mi decisi a parlare.

“Di solito dovevo pregarti per convincerti a darmi una mano con i piatti” gli feci notare.

“Era prima”.

“Prima di cosa?” chiesi curiosa.

“Prima di passare molto tempo in un motorhome dove non c’è mamma che mi prepara da mangiare o che mi lava i piatti”.

Era chiaro che si riferisse al fatto che viaggiando per il suo folle lavoro non trascorreva sempre del tempo in hotel o ristoranti e quindi doveva darsi da fare da solo.

“Pensavo che del motorhome se ne occupasse James. Vic mi aveva detto così”.

“Infatti è vero, ma non mi piace starmene fermo a non fare nulla”.

“Non è una novità. Non ti è mai piaciuto startene con le mani in mano”.

“No, in effetti no” mi rispose.

Ci fu un attimo di silenzio, poi io ripresi a parlare.

“James come occupazione sulla sua carta d’identità potrebbe farsi scrivere migliore amico di Edward Cullen” lo presi in giro “in fondo non è questo il suo lavoro?” continuai.

“Perché non lo dici a lui invece che a me?” mi domandò ridendo alzando un sopracciglio e avvicinandosi a me ritrovandoci praticamente l’uno di fronte all’altro.

“Perché lui, a quest’ora, mi avrebbe tolto dalla circolazione” ci scherzai su ed entrambi prendemmo a ridere mentre io tornai a dargli le spalle per finire di lavare i piatti.

Gli ero grata del fatto che non avesse detto nulla e che si stesse comportando come se nulla fosse. Mi conosceva bene e sapeva perfettamente che nemmeno io mi spiegavo il motivo del mio comportamento, non mi spiegavo perché fossi corsa a prenderlo, ma forse in quel momento non gli importava neppure saperlo. Sembrava seriamente felice di essere lì, con me, anche se stavamo parlando di sciocchezze.

“Sai cosa non capisco?” mi chiese.

“Cosa?”

“Perché tu, andando via, abbia allontanato anche lui. Credo non se lo spieghi neppure lui” mi rivelò.

“Non volevo metterlo tra due fuochi. So quanto entrambi contante l’uno per l’altro e mi sentivo un peso ad essere amica sua sapendo che c’eri comunque tu”.

“Conosci James esattamente da quando lo conosco io, dovresti saperlo che ti adora”.

“Anche io adoro lui, ma era difficile restare in contatto con lui. Mi ricordava troppo te, credo”.

“Ti vuole bene” mi rispose ignorando le mie ultime parole.

“Gliene voglio anche io”.

Ci fu un attimo di silenzio, poi entrambi tornammo a ridere e scherzare rinvangando vecchi episodi della nostra infanzia e adolescenza. Quando terminammo di sistemare la cucina ci buttammo entrambi sul divano del salone con il chiaro intento di goderci un bel film in tv.

“Allora che cosa proponi?” mi domandò.

“Non saprei. Adesso vediamo” gli risposi.

Feci un po’ di zapping con il telecomando cambiando canali su canali visto che non c’era nulla che attirava la mia attenzione.
Aspetta, aspetta, torna indietro” mi disse.

Lo feci e quando alzai gli occhi alla tv compresi il motivo di quella richiesta. Stavano trasmettendo un film sulle moto e lui aveva già gli occhi a cuoricino nel vedere una moto sfrecciare sulle strade di una vecchia città in mezzo al deserto.

“Non ti piacerà” gli feci notare avendo già visto quel film.

“Non dire stronzate” mi rispose.

“L’ho già visto ed è completamente surreale quindi ti garantisco che non ti piacerà” continuai.

“Cos’altro proponi?”

“Non lo so”.

“Bene, allora guarderemo questo” mi disse convinto spaparanzandosi sul divano “com’è che si intitola?” mi chiese poi.

“Torque” gli risposi “se non erro” aggiunsi poi essendo sicura solo al 90 %.

Lui non aggiunse nulla e cominciò a concentrarsi sulla tv e io, avendo già visto quel film compresi che era iniziato da meno di cinque minuti.

“Prendo qualcosa da bere nel frattempo” gli dissi “cosa vuoi?” domandai.

“Una birra” mi rispose “se c’è l’hai preferirai una…” tentò di dire, ma lo interruppi comprendendo che si stesse riferendo ad una Corona.

“C’è l’ho” gli dissi guardandolo alzando un sopracciglio, mentre lui se la rise sotto i baffi contento che mi ricordassi della cosa.

Mi avvicinai al bancone e presi due Corona dal frigo bagnando il collo con il sale e mettendo una fettina di limone dentro, poi tornai da Edward che non appena vide che avevo messo il sale il limone mi sorrise sornione.

Ricordavo perfettamente che la amava in quel modo e anche io, se per questo. La Corona era una delle poche cose che piaceva ad entrambi.

Gliela passai e lui subito affondò il limone dentro e ne bevve un sorso, poi si voltò a guardarmi.

“Ghiacciata esattamente come piace a me” commentò “comunque sia devo farti provare la Michelada. Sono sicuro che ti farebbe schifo” mi disse.

“La che?” domandai non capendo e ignorando il fatto che avesse detto di volermi fare assaggiare qualcosa che sapeva già che mi avrebbe fatto schifo.

“La Michelada. È un cocktail messicano che si prepara con la corona” mi spiegò.

“E tu come fai a conoscerlo?”

“L’ho bevuto in Messico”.

“Sei stato in Messico?”

“Due anni fa circa, con alcuni ragazzi del mio vecchio team di Moto2, sono andato a vedere una corsa di Formula 1 all’autodromo Hermanos Rodrìguez in Messico” mi raccontò.

“C’è un posto in cui non sei stato?” gli chiesi curiosa.

“Qualcuno, forse, ma più o meno ho visto tutti gli angoli del pianeta”.

Lo guardai e sorrisi, quasi invidiandolo per qualche istante.

“E quindi cos’è sta Michelada?” domandai tornando all’argomento principale della nostra conversazione.

“Lo fanno nei pub messicani con il nome completo di Michelada preparada. In sostanza mettono del sale ai bordi di un boccale di vetro poi sul fondo mettono un dito di tequila, il succo di un limone, un pizzico di sale ed uno di pepe, qualche goccia di tabasco e qualcuna di salsa perrins, qualche cubetto di ghiaccia e poi finiscono di riempire il boccale con della Corona ghiacciata. Mescolano il tutto ed esce fuori un cocktail…” tentò di raccontarmi.

“Da fare rivoltare lo stomaco” conclusi io al suo posto.

“Con i fiocchi stavo per dire” mi corresse sorridendo “ma non avevo dubbi che l’avresti detto. Tu e le cose messicane proprio non andate d’accordo” aggiunse.

“Il fatto che ho iniziato a mangiare cibo messicano non significa che io sia diventata forte di stomaco”.

“Ma finiscila, è tutto buonissimo”.

“Non credo che sia molto credibile detto da uno che mangia ogni cosa schifosa che esiste sulla faccia del pianeta” lo rimbeccai facendogli una linguaccia.

Edward stava per rispondermi, ma non ne ebbe il tempo perché la sua attenzione venne attirata dal rombo di un paio di moto che comparvero nel film che si era ostinato a voler guardare per forza.

“Cazzo quella è una Triumph Daytona” commentò guardando una per una tutte le moto presenti “e quella una Honda VTR 1000 Sp-2. Era un po’ che non ne vedevo una” aggiunse poi indicando una tra le tante due ruote che erano a raccolta nel film.

“Hai intenzione di nominarle tutte?” domandai alzando un sopracciglio “sembrano tutte uguali” aggiunsi.

“Tutte uguali? Tu sei fuori” mi disse “quella è un’Honda CBR 1000R” iniziando ad indicarle con il dito “quella una Kawasaki Ninja e l’altra ancora un’Aprilia RSV 1000” iniziò a spiegarmi “poi ci sono…” stava per continuare indicando le ultime due moto, ma non lo feci finire.

“Una Yamaha R1 e una Yamaha R6” gli dissi riconoscendole.
Non hai detto che sembravano tutte uguali?” mi domandò retorico confermando che non mi fossi sbagliata.

“Si, l’ho detto ed è vero, ma non posso sbagliare sulle Yamaha. Devo ricordarti di quanto tu mi abbia fatto la testa come un pallone quando hai comprato la tua prima moto pur non avendo neppure gli anni giusto per guidarla?” gli chiesi ridendo.

Mi aveva fatto uscire fuori di testa visto che non parlava di altro se non di quella moto che voleva assolutamente comprare e ovviamente la scelta cadeva su quelle due tipologie di moto tra l’altro marcate dalla stessa casa costruttrice, la stessa per cui oggi faceva il pilota professionista.

Lui mi guardò e scoppiò a ridere di gusto e alla fine anche io mi lasciai andare alle risate e proprio in quel momento la porta di casa si aprì e Angela fece il suo ingresso in salone restando per nulla sorpresa dal fatto che Edward fosse ancora qui. Io e lui smettemmo di ridere subito, ma lei si scusò con lo sguardo, poi prese a parlare.

“Non volevo disturbare” disse solamente “sono solo venuta a prendere un cambio per domani” spiegò imbarazzata probabilmente dalla presenza di lui “resto a dormire da Ben stanotte” aggiunse rivolgendosi a me facendo per dirigersi di là.

Io ed Edward ci guardammo per qualche istante, poi io scrollai le spalle.

“Scusami un attimo” gli dissi “vado a parlare con lei” aggiunsi alzandomi dal divano e dirigendomi nella camera della mia coinquilina.

Non sapevo neppure cosa avrei dovuto dirgli e la paura che lei avesse capito come stavano davvero le cose si impadronii immediatamente di me.

“Posso entrare?” le domandai bussando alla porta che lei aveva lasciato semiaperta.

“Certo” mi disse soltanto “scusami, non volevo disturbarvi” aggiunse poi con tono di voce più basso.

“Non ci hai disturbati. Stavamo solo guardando un film” le spiegai sincera.

Lei non mi rispose, si limitò solo a sorridermi.

“Se vai da Ben perché di là c’è Edward non farlo. È un vecchio amico che mi è venuto a trovare, tutto qui” tentai di dire.

“Resto da Ben perché stasera ha la casa libera, non perché il tuo vecchio amico è qui” mi spiegò lei marcando un po’ sulle parole che io stessa avevo utilizzato.

“Angela…” tentai di dire non sapendo bene cosa dire in realtà.

“È lui, non è vero?” mi chiese con tatto facendo un cenno con la testa quasi come a confermarsi da sola quello che mi aveva appena chiesto.

Non era il tipo da fare domande troppo personali, ma forse aveva capito che c’era qualcosa che le stavo nascondendo, qualcosa di importante e nonostante non ci conoscessimo da tantissimo tempo ci volevamo bene e lei si stava solo preoccupando per me.

“Lui chi?”

“Edward è il tuo lui, non è così? Quello che ti ha lasciata e che ti ha spinto a venire a studiare qui a Seattle?” mi domandò “mi sto sbagliando?” aggiunse poco dopo.

Come diavolo aveva fatto a capirlo?

“Lui…” tentai di dire.

“Ho trovato una foto vostra tempo fa” mi rivelò non facendomi finire di parlare.

“Cosa?” chiesi non capendo.

“Ti ricordi quando ti ho chiesto di prestarmi Via col Vento?” prese a dire e quando io annuii lei continuò “mi hai detto di prenderlo io stessa dalla mensola che avevi in camera tua. Quando ho preso il libro per sbaglio ho fatto cadere la copia di Cime Tempestose e da lì è caduta una foto in cui c’eravate tu ed Edward. Eravate seduti al tavolo di un locale e ridevate a chiunque vi avesse fatto quella foto. Ho notato che le vostre mani erano intrecciate e mi sono ricordata della storia del tuo ex di cui non vuoi mai parlare. Ho fatto due più due e poi lui è apparso qui” mi raccontò quasi mortificata per aver invaso involontariamente la mia privacy.

Restai stupita da quello che mi aveva appena raccontato, ma non tanto perché aveva scoperto della foto quanto per il fatto che non avesse minimamente accennato alla cosa in tutto quel tempo.

“È una storia complicata” tentai di dire non avendo intenzione di mentirle.

“Sicuramente lo sarà, altrimenti non avresti fatto tante storie prima di deciderti ad andare a quella corsa con Jake e gli altri”.

“Avevo paura di rivederlo”.
Ma l’hai rivisto e adesso lui è di là. Edward Cullen è nel salone della nostra casa” mi fece notare quasi eccitata dall’idea.

“Vedi perché è così difficile parlare di lui? Edward non è solo il mio ex fidanzato, lui è anche un personaggio pubblico e non è facile dire al mondo che per me è solo il ragazzino che mi visto crescere o l’adolescente che mi ha fatto perdere la testa”.

“Lo capisco, Bella, di certo non sarà facile”.

“Non lo è infatti” gli risposi.

Ci fu un attimo di silenzio e nel frattempo lei mise nella borsa tutto quello che gli occorreva.

“Non me lo stai chiedendo, però” gli dissi.

“Cosa?”

“Come mai lui si è presentato qui”.

Angela era una discreta, questo era vero, ma a chiunque sarebbe sorto il dubbio o la curiosità.

“Avrà avuto le sue buone ragioni per farlo. Sono fatti vostri Bella, io non c’entro” mi spiegò e io riuscii solamente a sorridere.

“Come fai ad essere sempre così dannatamente perfetta?”

“Non lo so, solo che non faccio agli altri quello che non voglio sia fatto a me. Non mi sembra il caso di mettermi a curiosare su questa storia. Se e quando vorrai farlo mi dirai tu stessa quello che c’è da sapere.”

“Grazie Angela, sei un vero tesoro” gli dissi.

Lei mi guardò e mi sorrise, poi mi fece cenno di tornare di là visto che lei aveva finito.

“Bella?” mi chiamò prima che raggiungessimo di nuovo il salone.

“Si?”

“Visto che sono un vero tesoro” prese a dire ripetendo le mie parole “non è che mi faresti fare il suo autografo sul pallone da basket che ho comprato a Ben per il suo compleanno?” mi chiese.

“La firma di un pilota di moto su un pallone di basket?” gli domandai curiosa.

Di solito non funzionava così.

“Beh il basket e le moto sono la sua passione, quindi faccio l’uno e l’altro” mi spiegò “tranquilla che al massimo gli dirò che me l’hai fatto autografare tu quando sei andata a vedere la corsa” continuò.

La guardai e scoppia a ridere, poi le baciai una guancia.

“Non credo ci saranno problemi. Avrai la tua palla autografata” gli dissi.

“Grazie mille” mi rispose lei sorridendo mentre eravamo già arrivate in salone.

“Non dovresti dire grazie a me?” domandò Edward quando ci vide rivolgendosi proprio ad Angela.

“Scusa?”

“Io ti autografo il pallone e tu ringrazi lei? È assurdo” si lamentò lui scherzosamente.

“Ma tu non stavi vedendo il film?” lo rimproverai io.

“Infatti” mi rispose “ma le mie orecchie funzionano ancora bene e il corridoio e il salone non hanno porte che impediscano di sentire” mi spiegò senza troppi giri di parole.

Era evidente che avesse sentito solo la parte di conversazione inerente l’autografo e ringraziai che fosse così. Non avevo detto nulla di particolare ad Angela, ma non mi andava comunque che lui ci ascoltasse. Erano cose da donna.

“Beh se dici così significa che è un si?” gli domandò Angela sorridendo.

“Per cosa? Per l’autografo?” chiese lui.

“Esattamente”.

“Beh faccio autografi a completi sconosciuti e non dovrei farlo a te che mi hai fatto entrare in casa tua lasciandomi addirittura da solo? Avrei potuto essere un maniaco, lo sai?” ci scherzò su lui.

“Sei Edward Cullen” gli rispose lei come se quel nome la dicesse lunga sulla persona che lui fosse nella vita.

“Un nome una garanzia” commentai io per prenderlo in giro, ma non feci in tempo di aggiungere altro perché mi arrivò un cuscino dritto in faccia “stronzo” commentai mentre lui prese a ridersela sotto i baffi.

“Così impari” mi rispose lui mentre io presi quello stesso cuscino che mi aveva lanciato e lo tirai verso di lui che, però, riuscii a spostarsi “hai sempre perso a questo gioco con me, dovresti saperlo che ho i riflessi troppo pronti” continuò come se nulla fosse.

Sembravamo due vecchi amici che si ritrovano, due amici che avevano un passato comune, ma in realtà noi avevamo ben altro in comune.

“Bene, io vi lascio scornarvi. C’è Ben sotto che mi aspetta” spiegò Angela ridendo per il nostro siparietto “è stato un piacere conoscerti e grazie per l’autografo che devi ancora firmare” aggiunse lei prima di voltarci le spalle per uscire “ah Bella, il pallone è nella borsa blu ai piedi del mio letto” mi spiegò per indicarmi dove lo avrei trovato.

Non ebbi il tempo di aggiungere nulla perché lei uscì veloce come era entrata, mentre io mi buttai nuovamente sul divano insieme a Edward.

“È tutto apposto?” mi chiese subito dopo.

Era chiaro si riferisse alla chiacchierata che avevo fatto con Angela.

“Diciamo di si”.

“Diciamo?”

“Beh a quanto pare lei sapeva di noi e non me l’aveva mai detto”.

“In che senso?”

“Ha trovato nella mia camera una nostra vecchia foto e ha capito che il mio ex non eri altro che tu”.

“E l’ha capito da una foto?”

“Eravamo mano nella mano” gli spiegai “è la foto che ci ha scattato Jasper quando siamo andati a quel nuovo pub che avevano aperto vicino casa di Vic. Ti ricordi?” continuai.
La serata si, ma non ricordo che avevamo fatto delle foto”.

“Eri mezzo ubriaco” lo informai “ti sarà sfuggito” continuai ridendo.

“Che stronza che sei”.

“Ho solo detto la verità”.

Ci fu un attimo di silenzio, poi lui riprese a parlare.

“Quindi hai ancora le nostro foto”

“Che razza di domanda idiota è?”

“Non era una domanda, infatti, solo una costatazione”.

“Scusa, ma perché mai non dovrei avere più le nostro foto?”

“Non lo so, ti immaginavo a bruciarle mentre mi maledicevi”.

“Tu sei idiota”.

“Avanti su, ammettilo che hai fatto un pupazzo vudù con la mia faccia iniziando a puntellarlo con gli spilli”.

Lo guardai e scoppiai a ridere.

“Chi te le fa venire in mente queste idiozie?” commentai ridendo.

“Io al posto tuo l’avrei fatto” continuò lui chiaramente scherzando.

“O magari invece posso prendere uno spillo e puntellare te adesso, invece che un semplice pupazzo” tentai di dire giocosamente.

“O magari invece possiamo semplicemente finire di vedere questo film che ha dell’inverosimile” commentò facendo finta che io avrei davvero fatto quello che avevo detto.

“Te l’ho detto che non ti sarebbe piaciuto” commentai fiera di me stessa.

Lo conoscevo e non avevo dubbi sul suo pensiero in merito. Il film era ambientato nel deserto americano e raccontava la storia di un ragazzo tornato a casa dopo essere stato lontano per sei mesi ed aver lasciato tutti senza sue notizie, compresa la sua fidanzata. Sulla testa del ragazzo incombeva una falsa accusa per spaccio di droga ed aveva sulle sue traccia sia l’FBI sia la banda di un uomo che, in realtà, era il vero responsabile del losco traffico. La fidanzata inizialmente sembrava non volerne sapere di lui, l’uomo della droga gli stava alle calcagne e un altro ragazzo con la sua banda di amici motociclisti lo voleva morto per vendicare la morte del fratello in quando lo credeva, ingiustamente, l’omicida. La situazione per il protagonista è altamente spinosa, ma lui grazie all’aiuto dei suoi due amici e della ritrovata fidanzata riescono a risolvere ogni cosa restando coinvolti in una lotta senza quartiere a 100 miglia all’ora per salvare la pelle.

Edward non mi rispose, ma continuò a guardare il film senza aggiungere altro.

“Questa frase l’hanno copiata da Fast and Furious” commentò sentendo il protagonista dire una delle frasi più celebri dell’ancora più celebre saga di corse e battaglie di auto “è chiaramente una frase di Toretto” aggiunse riferendosi a uno dei protagonisti proprio di quel film.

La frase in questione era: Vivo la mia vita un quarto di miglia alla volta.

“Credo sia un omaggio proprio a Fast and Furious” gli risposi.

Lui non aggiunse nulla e continuammo a guardare il film, ma pochi minuti dopo lui interruppe nuovamente il silenzio.

“Hai visto la scritta latina sulla giacca del protagonista?” mi domandò.

A dire il vero non ci avevo fatto caso, così aspettai che lo inquadrassero e compresi ciò che Edward volesse dirmi.

Sulla giacca rossa faceva bella mostra di sé la scritta bianca “Carpe Diem”.

“Cogli l’attimo” tradussi a voce alta.

“Esattamente” mi rispose.
E allora?”

“Dovremmo prendere esempio”.

“Il nostro attimo è finito da un pezzo” gli risposi conscia di non voler tornare a parlare di noi.

Si stava così bene così che avevo paura ad intavolare una qualunque conversazione che avrebbe potuto far scaldare gli animi come poco prima.

“Il nostro attimo è esattamente quello che scegliamo. L’attimo è adesso, non domani, non fra una settimana, non fra un anno”.

“Dove vuoi arrivare?”

“Tu pensi troppo a quello che sarà dopo, non riesci a goderti quello che hai adesso, quello che potresti avere adesso. Il giorno migliore è oggi, non ieri, non domani” mi spiegò.

Lo guardai e gli sorrisi senza riuscire ad aggiungere nulla. Sapevo perfettamente che aveva ragione, ma forse non lo avrei mai ammesso a voce alta. Mi avvicinai di più a lui e appoggiai la mia testa sulla sua spalla stringendomi a lui. Edward mi lasciò fare senza dire nulla e in silenzio riprendemmo a guardare il film, anche se mancava davvero poco alla conclusione.

Non appena i titoli di coda apparvero la bolla che avevo creato intorno a noi parve esplodere. Avrei tanto voluto restare in quella posizione ancora per un po’, ma non mi era concesso.

“Allora?” gli chiesi “ti è piaciuto o avevo ragione io?” continuai curiosa dopo aver spento la tv.

“La trama potrebbe anche non essere male, ma è fatto malissimo. Effetti speciali che sembravano fatti dai bambini, scene scanzonate e al limite del surreale, per non parlare dell’ultima scena che oltre ad essere paradossale è anche girata in modo pessimo” commentò in modo molto critico.

Di solito non si metteva ad analizzare così bene un film, ma in quel caso si trattava della sua materia quindi era ovvio che ci mettesse più attenzione.

“Te l’avevo detto io” gli risposi.

“Una cosa però mi è piaciuta”.

“Cosa?” chiesi.

“La ragazza era davvero carina” mi rivelò sorridendomi sghembo.

“Se ti piacciono le bionde” commentai infastidita “e comunque sia anche lui era davvero bello” aggiunsi.

Il protagonista era carino si, ma nulla di che. Avevo solo ingigantito un po’ la cosa per riuscire a rispondergli a tono e non mi spiegavo neppure il perché di quella mia reazione.

“Si è vero” mi rispose dandomi ragione “ma nulla a che vedere con lei. Aveva curve da far paura” aggiunse riferendosi sempre all’attrice senza farsi scomporre minimamente da quello che avevo detto io.

“Pensavo che le uniche curve che guardassi sono quelle della strada” gli dissi infastidita.

“Ci sono anche altre curve che è bene ammirare”.

“Sarà”.

“Quella lì poi, vestita in quel modo faceva…” tentò di dire.

“Ok, ho capito. Non serve che continui” aggiunsi decisamente sull’orlo della gelosia più assoluta.

Ero ridicola, semplicemente ridicola e lui, in tutta risposta prese a ridermi in faccia.

“Cosa c’è di divertente?” gli domandai.

“Tu che sei gelosa, ma ti sforzi di non esserlo o comunque di non apparire tale è davvero divertente”.

“Io non sono gelosa” gli risposi colpita e affondata.

“Certo, l’importante è crederci” mi rispose “e comunque sia preferisco ancora le more” continuai.

“Beh non si direbbe visto che ti scopi una bionda niente male” aggiunsi e solo dopo mi resi conto di averlo detto a voce alta.

Lui mi guardò e alzò un sopracciglio.

“Ti riferisci a Tanya?”

“Non si chiamava così?” domandai retorica.

“Siamo solo amici”.

“Da quando si va a letto con gli amici?”

“Ti stai davvero arrabbiando per questo?”

“No, non lo sto facendo” tentai di dire cercando di darmi una calmata.

“Si, invece”.

“Ti ho detto di no”.

Lui rimase in silenzio per qualche secondo, poi si voltò e puntò i suoi occhi nei miei.

“Quindi tu puoi avere un ragazzo che può decidere di scoparti tutte le volte che vuole e io non dovrei avere nessuna?” mi domandò retorico “è così che funziona?” aggiunse.

“Non volevo dire questo”.

“E allora cosa?”

Abbassai lo sguardo non volendo aggiungere altro.

“Niente, lascia stare”.

“No, non lascio stare” mi rispose sicuro di sé.

Lo guardai e compresi che fino a quando non avrei parlato non si sarebbe arreso.

“È solo che mi da noia pensare a te che ti scopi altre ragazze” gli rivelai sincera.

Lui cambiò totalmente espressione e si passò una mano tra i capelli come faceva tutte le volte che era nervoso.

“Ti da noia?” mi urlò quasi “hai idea, invece, di quanto faccia incazzare me sapere che c’è qualcuno nella tua vita che ti tocca come solo io potevo fare? Eri la mia donna, la mia” continuò sempre con lo stesso tono.

“Hai detto bene: ero”.

Come al solito non riuscivamo a stare insieme per troppo tempo senza finire per litigare. Succedeva sempre. Questa era la costante del nostro rapporto.

“Sei tu che vuoi questo”.

“Io lo voglio adesso. Tu l’hai voluto prima” gli feci notare.

“Quindi mi stai punendo?”

“Senti, basta” gli dissi “ho sbagliato non dovevo dire nulla su Tanya o su chiunque altro tu ti sia portato a letto. Mi dispiace” gli rivelai chiaramente mentendo.

“A me no, invece. A me non dispiace quello che ho detto perché è la verità”.

“E quindi?”

“E quindi un cazzo”.

Si alzò dal divano e si accese una sigaretta prendendo a camminare avanti e indietro per il salone.

“Non potresti semplicemente tentare di mettere da parte il passato e darci una possibilità?” mi domandò “la ragazza del film l’ha fatto” tentò di dire non sapendo più dove aggrapparsi.

Lo guardai e mi venne da sorridere per l’esempio che aveva appena fatto.

“La ragazza del film non è reale”.

“Noi invece si e tu stai mandando a puttane qualcosa che, in fondo, vogliamo entrambi solo perché hai paura”.

“Stiamo affrontando nuovamente il discorso di prima?”

“No, non lo stiamo facendo o forse si, non lo so” mi rispose “comunque sia è vero, tu hai paura e io non posso fare nulla per togliertela, non adesso. Le tue paure possono andare via solo con il tempo, solo stando con me” aggiunse.

Rimasi in silenzio senza aggiungere nulla per qualche istante, poi tornai a guardarlo.

“Torni a sederti qui con me?” gli domandai indicando il divano.

Lui non se lo fece ripetere due volte e quando lo ebbi di nuovo accanto ripresi a parlare.

“Ammettiamolo Edward, noi siamo troppo diversi per stare insieme. Abbiamo in comune solo la cocciutaggine e l’orgoglio ed entrambi amiamo bere Corona e fumare Marlboro. Per il resto niente ci lega”.

“Le senti le cazzate che stai dicendo?” mi domandò.

“Facciamo un gioco, ti va?”

“Un gioco?” mi domandò stranito “cazzo Bella, non abbiamo più dieci anni” continuai.

“Ti va o no?”

“Che gioco, sentiamo?” mi chiese comprendendo che non avrei ceduto.

“Io dico una cosa che mi piace e poi ne dici una tu finchè non riusciamo a trovare una cosa che piace ad entrambi” proposi.

Era stupido, ma era l’unico modo che avevo per fargli capire cosa pensavo.

“È ridicolo”.

“Proviamo”.

“Cosa vuoi dimostrare con questo?”

“Che non ci accomuna niente”.

“Gli opposti si attraggono e per noi è sempre stato così”.

Lo guardai e compresi che aveva poca voglia di assecondarmi, così decisi di iniziare comunque.

“A me piacciono le fragole”.

“Smettila”.

“Mi piacciono le fragole” ripetei.

Lui mi guardò e vedendo il mio sguardo decise di arrendersi e sbuffò prima di cominciare a parlare.

“A me le ciliegie”.

“La musica melodica”.

“L’house”.

“Il pianoforte”.

“La batteria”. 

“La macchina”.

“La moto”.

“I libri”.

“I film”.

“Il giorno”.

“La notte” mi rispose “per quanto ancora dobbiamo continuare?” mi domandò.

Finchè non troviamo una cosa che ci accomuna”.

“Vuoi davvero continuare questo gioco stupido?” mi chiese.

“Si”.

“Bene. Allora la prossima la dico io” mi disse con sguardo un po’ troppo furbo, ma cercai di non farci caso.

“Ok, vai”.

“Tu”.

“Che?”

“Mi piaci tu” mi disse “avanti, rispondi a questa altrimenti fine del gioco” continuò.

Lo guardai e sbuffai, me l’aveva fatta.

“Sei un’idiota” gli dissi non potendo aggiungere altro.

Era ovvio che a quel “tu” avrei dovuto rispondere allo stesso modo perché era chiaro come il sole che così come io piacessi a lui, lui piacesse a me.

“No, non lo sono. Volevi giocare e abbiamo giocato” prese a dirmi “e a quanto pare abbiamo trovato quello che ci accomuna. Entrambi vogliamo l’altro”.

“Non vale questo”.

“Oh si che vale. Tu non hai specificato cosa si poteva o non poteva dire. E tanto per la cronaca saremmo anche diversi, ma cose in comune ne abbiamo tante”.

“Per esempio?”

“Bella non starò qui ad elencare cose che già conosci e non me ne frega nulla se a te piacciono le fragole e a me le ciliegie, se ti piace il giorno e a me la notte. Nessuna storia è mai andata avanti di queste sciocchezze”.

“Lo so”.

“E allora perché dobbiamo fare gli stupidi?”

“Perché volevo solo stare qui con te a parlare di tutto tranne del fatto che non riesco a fare quello che vorrei fare”.

“E cosa vorresti fare?”

“Lo sai”.

“No, non lo so”.

“Ti stringerei a me e non ti farei mai più andare via”.

“E perché non lo fai?”
Perché non posso”.

“Quindi non vuoi stare con me, ma allo stesso tempo non vuoi lasciarmi andare” mi fece notare.

Annuii senza riuscire ad aggiungere altro e così fui lui a parlare nuovamente.

“E quindi che dobbiamo fare? Quali sono le tue intenzioni?” mi chiese “perché mi hai chiesto di restare qui con te ancora un po’?” mi domandò.

Io continuai a mantenere il silenzio senza sapere cosa dire e lui mi studiò guardandomi attentamente negli occhi, poi arrivò alla soluzione perché scosse la testa incredulo.

“Volevi che restassi perché speravi che io combinassi un qualche casino dei miei decidendo così per te. Mi sbaglio?” mi domandò, ma vedendo che non rispondevo tornò a parlare “mi sbaglio?” ripetè alzando la voce.

“Tu fai così Edward, tu rovini le cose. Prova a pensarci. Ogni vola che c’è un problema tu hai sempre perso il controllo e lo fai anche quando si tratta di noi”.

“E se, invece, stavolta non lo avessi fatto? Se non ci fosse stato nessun problema?” mi domandò retorico “mi dispiace Bella, ma questa volta non ti faciliterò il lavoro. Se c’è qualcosa che devi capire dovrei capirla da sola” concluse distogliendo lo sguardo da me.

Ci fu un attimo di silenzio nel quale io restai colpita dalle sue parole, non sembrava più nemmeno l’Edward che avevo conosciuto. Quegli anni, probabilmente non lo avevano cambiato, ma certamente lo avevano reso una persona decisamente più matura.

“E quindi adesso te ne andrai?” gli chiesi sperando che mi dicesse che non l’avrebbe fatto.

“Tu vuoi che me ne vada?” mi domandò voltandosi nuovamente a guardarmi.

“No”.

“E cosa vorresti?”

“Restare per un po’ qui con te, tra le tue braccia” gli rivelai sincera.

Pensavo che mi avrebbe mandato al diavolo, invece, fece esattamente quello che non mi aspettavo che facesse. Allargò il braccio facendomi segno di avvicinarmi e io appoggiai la mia testa nel suo petto, mentre lui mi avvolse con il suo braccio e mi strinse a sé.

Non dicemmo più una parola. Ci fu solo e soltanto silenzio. L’unico rumore che si sentiva erano i nostri cuori che battevano all’unisono.

Non so per quanto tempo restammo in quella posizione, stretti l’uno tra le braccia dell’altra, ma prima che me ne potessi accorgere mi addormentai sprofondando nel mondo dei sogni dove Morfeo mi avvolse con il suo manto.

 

 

 

 

 

Spoiler:

“Sembra come se tu stai cercando un motivo per non stare con me e se continui a cercarlo lo troverai. Forse, ad un certo punto, bisogna lasciarsi andare e seguire quello che dice il cuore” mi disse “invece, tu dici che non vorresti lasciarmi andare, ma che devi farlo. Perché?” mi chiese.

“Perché ho paura che i problemi che avevamo, quelli che sono nati quando le moto sono cominciate a diventare anche un lavoro per te possano ripresentarsi anche oggi e non so se ho la forza di affrontarli. E non posso stare con te anche perché ci sono delle cose che non riesco a perdonarti”.

“Quali cose?”

“Che negli ultimi quattro anni non sei stato all’altezza delle mie aspettative” gli risposi conscia che quella frase potesse essere non compresa o mal interpretata.

“Che vuoi dire?” mi domandò dando conferma alle mie paure.

Dovevo essere chiara anche se ammettere quelle cose a voce altra mi avrebbe fatto male.

“Che io ti vedevo bussare alla porta del campus quando ero al college dicendomi che mi amavi e non potevi né volevi starmi lontano. Mi svegliavo tutte le mattine pensando che sarebbe successo e ci ho impiegato quasi un anno intero a capire che non sarebbe mai successo. Non posso perdonarti la delusione che provavo tutte le sere quando mi mettevo a letto e tu non eri venuto, non posso perdonarti la speranza che avevo poi la mattina successiva quando mi dicevo che quello era il giorno giusto per vederti comparire” gli rivelai mentre lui iniziò a guardarmi con sguardo decisamente ferito.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

Vi lascio inoltre anche il link della pagina facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è stata creata proprio per aggiornarvi sulle storie di mia invenzione e vi aggiornerò spesso e volentieri di ogni cosa. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta, in modo che chi non segue le altre potrà comunque tenersi informato con questa. Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts

 

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