Due Mortali di Leannel (/viewuser.php?uid=837)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Porta ***
Capitolo 3: *** Elfi ***
Capitolo 4: *** Stelle ***
Capitolo 5: *** Leggere ***
Capitolo 6: *** Mortale ***
Capitolo 7: *** Notte ***
Capitolo 1 *** Parte Prima ***
Introduzione
Nuova
ficcina, ma questa volta nel vero senso della parola. Molti di voi mi
saranno grati. Comunque ammeto che anche per me è un sollievo
pazzesco smettere per un po' di parlare dei trip mentali di elfi
complessi (e complessati) per parlare di qualcosa di un po'
precostruito.
La
storia narra di due personaggi esistit davvero, che saranno più
o menoconosciuti ai lettori del libro, meno ai coloro che hanno visto
il film.
Uno
è Arathorn, il padre di Aragorn, per intenderci; è un
gran bel ragazzo. La storia della cicatrice sul viso mi è
piaciuta molto. Sarebbe fico se gli orchi lo chiamassero, che so io,
scarface (lo sfegiato).
L'altro
è fengel. Non è un personaggio conosciuto. Il fatto è
che dovevo trovare un contempraneo di Arathorn, e questa della vita
più lunga è una bega bestiale.
Ho
dovuto calcolare tutte le date...
Uno
stress unico. E ancora non ho la certezza che i miei calcoli siano
esatti...
AIUTOOOOOOOOO!!
spero
da morire che vi piaccia e che la leggiate e recensite!!
Per
finirla sarò un po' lenta perchè con la scuola e tutto
il resto ci metterò un po'...
ne
sto preparando una a 4 mani (nel vero senso della parola) con una mia
amica. Sempre una cosa tranquilla, che forse vi piacerà. Su
Eowyn, la sua preferita. Poi abbiamo progettato di farne una su
Boromir e Faramir, i miei preferiti.
Leggete
la mia fic e recensitela!!
Grazie
moltissime
Leannel
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Arathorn
dall'alta postura elegante del suo cavallo giunse alle porte di
Imladris la mattina presto, quando il sole non era ancora sorto. Alle
sue spalle, Fengel, un bel ragazzo biondo, sulla ventina, dava ben
pochi segni di vita. In effetti, Arathorn pensò, doveva essere
stata molto dura per un ragazzino come luipertire dal Mark pochi
giorni prima, recarsi a Nord, tra le montagne e poi a Gran Burrone.
Faceva quasi tenerezza, sotto quell'oceano di capelli biondo grano.
Arathorn lo aveva osservato a lungo, la notte precedente, in quella
locanda scura. Aveva osservato i suoi occhi stanchi, di un verde
acceso. Non gli era comprensibile come degli occhi di un colore così
straordinario potessero brillare di una luce tanto stanca. Non
triste, ma stanca. Aveva i capelli arruffati ed era chiaro che
nessuno li aveva tagliati da tempo. Era davvero difficile pensarlo il
futuro sovreno del mark. Era un terzogenito. Arathorn non aveva mai
seguito la storia dinastica di nessuna famiglia, nemmeno delle sua, e
non aveva idea di cosa fosse accaduto ai due fratelli maggiori. Ma
doveva essere accaduto qualcosa di serio. D'altronde Arathorn non si
recava in Gondor da anni a quella parte. L'aria di quella città
lo rendeva triste. Gli ricordava quello che era successo in un tempo
non troppo remoto. Era una maledizione vivere tanto a lungo. Certe
ferite non si rimarginano che col tempo. Ai discendenti della sua
famiglia il tempo non era concesso. Sfiorò la cicatrice sulla
sua guancia destra. Rise pensando a quando quella ferita mise in
discussione l'utilizzo del suo occhio sinistro. Ma adesso dall'occhio
sinistro vedeva bene, bene come mai aveva visto. A volte gli faceva
un po' male, di notte. Ma Gandalf aveva detto di metterci
quell'unguento dall'odore pessimo. E Arathorn lo faceva,
regolarmente, tutte le notti. Era sempre stato tra i suoi difetti,
ascoltare troppo i consigli degli altri. Non era un uomo di
iniziativa. Cosa alquanto negativa per un condottiero, quale avrebbe
dovuto essere. In un certo senso se la figurava quasi la storia del
giovane Fengel. I suoi fratelli erano morti quando non era che un
ragazzino. Suo padre riponeva in lui tutte le poche speranze che gli
erano rimaste. E lui non era, o perlomeno, non si riteneva capace di
soddisfarle. Forse, Fengel era un ragazzo a cui piacevano le ragazze
bionde e i prati pieni di fiori bianchi. Forse non avrebbe mai
accettato il suo ruolo di sovrano. E avrebbe condotto male il suo
popolo. E sarebbe morto intornro ai quaranta, in una guerra inutile.
Sorrise. Si chiedeva cos'avesse pensato il ragazzo vedendo il suo
viso, corrotto, disordinato, eppure bellissimo. Non doveva proprio
sembrare uno degli antichi re. In realtà, quando gli avevano
detto 'Sei della stirpe dei re' lui aveva risposto ridendo. Era un
inetto, ecco tutto. Amava le belle ragazze e la battaglia. Portava i
capelli lunghi e disordinati. Forse tutto ciò che gli restava
di loro erano i suoi occhi. Aveva dei begli occhi, così almeno
avevano sempre detto tutti. Il ragazzino dalla folta chioma bionda
cadde da cavallo. Sembrava essersi addormentato. Il forte contatto
col terreno lo svegliò, però. Arathorn si fermò
e legò le briglie del suo animale ad un albero. Tranquillizzò
il cavallo del ragazzo. Non che ce ne fosse bisogno. I cavalli
rohirrim erano delle bestie incredibili. Il suo padrone era caduto e
lui lo stava solamente carezzando col muso. Ma Fengel era così
stanco da non accorgersene neppure.
“Siamo
arrivati” Arathorn sorrise.
“Davvero?
Io ho un gran mal di testa”
“Vi
avevo detto di non bere ieri notte”
“Non
darmi del voi.”
“D'accordo
Fengel. Ma siamo arrivati.”
Arathorn
prese le briglie di entrambi li animali e le trasse a se.
“In
ogni caso è meglio se per oggi non salite più su un
cavallo”
Fengel
lo guardò storto. Arathorn fece finte di niente.
Con
un braccio aiutò il ragazzo a sollevarsi. Con l'altro portava
le briglie degli animali.
“Quanto
manca?”
“Solo
pochi passi, non temete” Fengel cominciò a pensare che
Arathorn lo facesse apposta.
Probabilmente
aveva ragione.
Due
elfi, armati, con armature lucenti, gli vennero in contro. Arathorn
pensò che forse li avevano scambiati per qualche stanco
viandante in cerca di dimora.
“Voi
siete i due mortali?” disse il più alto dei due elfi
“Direi
che non ci sono dubbi sul fatto che lo siamo.”
Fengel
mormorò qualche parola incomprensibile.
“Dice
che state cercando noi” disse Arathorn.
Fengel
cercò in tute le sue tasche e ne trasse una lettera piuttosto
malridotta, ma di una fine carta bianco panna. La porse ai due elfi,
che cambiarono immediatamente espressione.
Si
eressero per poi piegarsi in un inchino solenne. Arathorn si sentì
preso in giro.
“Portate
dentro i cavalli” disse con tono duro.
“E
la giovane maestà?” disse l'altro Elfo.
“A
lui penso io”
“Voi
non pensate a nulla” disse una voce dalla soglia scura “Questo
non voleva essere un insulto, maestà”
Arathorn
osservò attentamente l'uomo che gli veniva incontro.
Innanzitutto, senza nessun dubbio era un'elfo. Aveva occhi di
cristallo nero e lunghissimi capelli color della pece. La sua pelle
era bianca, come solo un elfo poteva avere. I suoi biti erano
anch'essi di pelle nera, per lo più molto fine, o molto nuova.
Doveva essere un'elfo di alto rango.
Arathorn
aveva un ulteriore certezza. Si trattava di n guerriero. In primo
luogo portava una spada forgiata con non sapeva quale materiale e
finemente decorata, seppur in maniera sobria. Doveva essere molto
abile. In secondo luogo aveva occhi che potevano appartenere
unicamente ad un guerriero.
Arathorn
sorrise. Quell'elfo non gli piaceva affatto. Non che avesse qualcosa
contro gli elfi. Ma quello sembrava uno di quei maledetti
esibizionisti. Inoltre aveva l'impressione di averlo già visto
da qualche parte.
“Lasciate
che porti il ragazzo in una stanza. Pensavo che non fosse
raccomandabile bere in viaggio” disse l'elfo
“Pensavate
bene” rispose Arathorn “Ma il ragazzino non aveva nessuna
voglia di dirigersi in un posto tanto lontano e soprattutto... non è
importante”
Fengel
lanciò un'occhiata interrogativa Arathorn. L'uomo rise.
Probabilmente Fengel non aveva idea di chi lo stesse portando, né
di dove lo avrebbe portato. O più semplicemente con
quell'occhiata voleva affermare di non aver mai dette quelle parole.
Ad ogni modo Arathorn rise.
“Seguitemi”
disse l'elfo scuro, dagli occhi penetranti.
Arathorn,
nonostante non nutrisse nessuna simpatia nei suoi confronti, fece
cenno di si col capo e lo seguì.
Arathorn
mise così per la prima volta piede nelle case di Elrond. Era
una sensazione strana. Un profumo fresco di fiori lo pervase. C'era
un'aura di tranquillità ad avvolgerlo. E per un sitante, forse
per la prima volta nella sua vita, si sentì tranquillo. Per la
prima volta non si sentì completamente fuori posto. Ma fu un
istante. L'istante successivo, Arathorn, tornò alla sua
costante apatia.
“Non
eravate mai stato in una casa di elfi?” chiese L'elfo scuro
“Non
come ospite” rispose. L'elfo lo guardò in maniera molto
strana. Arathorn rise. “Stavo scherzando” disse. “Perchè,
voi siete mai stato nella dimora di una grande dinastia di mortali
decaduti?” disse ancora, ironico.
“Decisamnte
più a lungo di voi” Arathorn ebbe l'istinto di ridere.
Ma gli occhi dell'elfo non ridevano affatto.
“Che
farete al mio amico?”
“Quel
ragazzino non è amico di voi più di quanto lo sia di
me”
“Non
c'era nessun bisogno di questa vostra ironia” rispose Arathorn.
Parlando con quell'elfo aveva sempre l'impressione di sbagliare. Si
guardò attorno. L'elfo tardava a rispondere. Pensò che
non lo avesse sentito. Poi che non gli volesse rispondere. Si guardò
attorno, comunque. Era davvero molto bello. Era tutto molto elegante
e fine e tuto il resto. Se i suoi antenati vivevano nello stesso
lusso, Arathorn ringraziò di essere nato quando la stirpe era
già decaduta. Il pavimento semrava di un bel marmo bianco,
costuito con del marmo verde. Alle pareti era ogni genere di arazzi.
Arathorn si disse che se suo padre avesse disposto di tutta quella
mercanzia forse avrebbe riacquistato parte del suo potere. Era quasi
ironico. Ovunque andasse, gli uomini più importanti della
Terra di Mezzo lo Riconoscevano e talvolta si inchinavano dinnanzia
lui. Eppure, la sua importanza non aveva nessun valore. Da sempre le
Terre del Nord erano le più attaccate, e mai nessuno era
venuto in loro soccorso.
Forse
tutti li stavano prendendo in giro da centinaia di anni e non se ne
erano mai accorti.
“Si,
avete ragione” disse la voce dura dell'elfo.
Arathorn,
si voltò e lo fissò nei suoi impenetrabili occhi neri.
Non aveva idea di cosa stesse pensando. Sorrise.
“Che
ci fa uno come voi con uno come me” disse
“Voi
siete ospite di Elrond”
“Lo
chiamate per nome?”
“Non
è mio signore”
“Da
dove venite?”
“Io
sono originario di queste parti. Poi, qualche tempo fa sono stato a
Minas Tirith. Poi sono stato al Nord, per qualche tempo. Adesso abito
poco più a est di qui. Quattro o cinque giorni, con uno di
quei cavalli”
“Al
Nord? Io sono del Nord? Non vi ho mai incontrato”
“Sono
stato al Nord, ma è stato qualche tempo fa.”
“Suppongo
che questo significhi:'Squallido mortale, io conoscevo tuo nonno e
anche il suo predecessore'”
“Cosa
intendete?”
“Voi
elfi tentate sempre di tenervi tutto per voi, con la scusa che ne
farete un buon uso. Non vi interessa a chi o come lo prendete”
L'elfo
fissò Arathorn stupefatto.
“Tel'ha
detto tuo padre?”
“No,
mio padre è uno stupido. Lui non capisce”
“Suppongo
allora che ti dia fastidio, trovarti qui”
“In
un certo senso no. Questo è quello che mi da più
fastidio”
L'elfo
rise. Rimase in silenzio qualche istante ancora
“Vostro
padre non dava mai del voi” disse
“Allora
lo conoscete davvero?”
“Gli
elfi non dicono menzogne. Supponevo che questo lo sapeste”
Arathorn
trovò il discorso dell'elfo quasi paradossale.
“Pensavo
che quelli fossero gli uomini di Gondor”
L'elfo
lo fissò un istante
“E'
da molto tempo che non andate a Sud”
“Si,
è vero.” ora fu Arathorn a prendere tempo “Cosa
c'entra il ragazzino?” “Ragazzino.
Quel ragazzino avrà si e no trent'anni meno di voi. Non mi
sembra carino trattarlo con tanta superiorità”
“E'
normale che voi non percepiate la differenza di età come me.
In ogni caso che ci fa lui qui?”
“Lo
avete visto, no?”
Arathorn
fece cenno di si col capo. A dire il vero non aveva idea di dove
l'elfo volesse arrivare. Ma l'elfo non rispose. Si voltò verso
di lui, lo guardò negli occhi, poi per un istante sembrò
stupirsi, infine sorrise. Sembrava non spiegarsi la risposta di
Arathorn. Scusate ma penso sia meglio accompagnarvi alle vostre
stanze.
Arathorn
rispose di si.
Attraverso
un discreto numero di larghi corridoi, ornati di tutto ciò che
di bellissimo Arathorn potesse immaginare, l'elfo lo condusse alla
sua stanza. Con un inchino lieve lo lasciò. Così.
Sembrava che non avessero nemmeno parlato. Gli elfi erano bravissimi
a farlo sentire una nullità. In combattimento avrebbe davvero
voluto sapere chi avrebbe vinto tra l'elfo, lui ed il ragazzino
biondo. Il ragazzino. Avrebbe dovuto trovarlo, in qualche modo.
La
stanza era bella almeno quanto il resto del palazzo. Certo, non era
adorna come nei corridoi e nelle sale grandi, ma era molto bella lo
stesso. C'era un bel giardino. Arathorn annusò l'aria
profumata della primavera in quei luoghi bellissimi. Si disse che se
avesse avuto tempo sarebbe uscito col ragazzino biondo e avrebbero
passeggiato a lungo. Si sofermò davanti allo specchio. Le
cicatrice bruciava leggermente. Non gli andava di mettere
l'unguento. Non lo fece. Bevve un bicchiere di quella bevanda dolce
e densa che avevano lasciato sulla scrivania in legno bianco. Si
sdraiò e ai addormentò. Era maledettamente teso.
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Capitolo 2 *** Porta ***
Fengel
si svegliò tra le lenzuola bianche di un letto sconosciuto.
Maledizione,
pensò, sono stato di nuovo con una che non rivedrò mai
più?
Si
alzò a sedere. Dalle fronte cadde sulle ginocchia una pezzuola
bagnata. Si voltò a destra, versoi piedi del letto e vomitò.
Ora gli era tornato tutto in mente. Passare dal caldo umido del Mark
el freddo senza tregua del nord. Non gli aveva fatto affatto bene
ricevere quella lettera. Molte novità, diceva. Ma cosa se ne
faceva uno come lui delle novità? Le aveva sempre detestate,
le novità. La prima novità che gli veniva in mente era
quando quel cavaliere era arrivato sotto il portone del palazzo
d'oro e aveva detto con gli occhi fissi sul terreno
“Mi
dispiace vossignoria..” In quel momento qualunque ragazzo di
quindici anni avrebbe capito. Anche lui del resto aveva capito.
Folcred e Fastred erano morti. E il vecchio Folc e il vecchio Fastr
sembravano essere nati per regnare.Quindi era rimasto da solo. Suo
padre lo guardava storto. Sua madre era morta. Così presto
aveva cominciato ad allontanarsi da palazzo il più spesso
possibile e ed a restare in giro il più a lungo possibile.
Ma,
come spesso accadeva, non aveva nessuna voglia di pensare. Era
maledettamente giovane. Tutto ciò che gli rimaneva da sperare
era che suo padre vivesse molto a lungo. Oppure di morire. Il mondo
non avrebbe sentito la sua mancanza.
“Dovete
bere qule bicchiere che avete accanto” disse una voce di donna.
Fengel
si voltò, ma non la vide chiaramente. Sembrava avvolta da
un'aura luminosa.
“Cosa
c'è un quel bicchiere?” chiese. Non gli interessava
affatto.
“Vi
farà passare il mal di testa.” rispose la voce.
Fengel
la vide. Era davvero molto bella. Aveva lunghi capelli biondi e un
sorriso dolce. Appena vide il suo viso, Fengel ebbe la certezza che
era stata quell'elfo a scrivere la sua lettera. La sua pelle
profumava leggermente di pesca. Ma non uno di quegli odori forti che
poi non andavano più via dal naso. Un odore fresco.
“Chi
siete?”
“Questo
non importa. Bevete”
Fengel
bevve.
“Dov'è
il mio compagno?” la bevanda aveva un sapore orribile.
“Voi
non lo conoscete neppure.. Cosa v'importa?”
“In
primo luogo è l'unico mortale in tutto gran burrone. In
secondo, mi ha portato sulle sue spalle e questo basta perchè
io mi fidi di lui” era un ragazzino dalle espressioni estreme.
Per poco non aveva sputato tutta la bevanda, di quel colore verde
scuro.
“Ragazzino?
Svegliatevi! Svegliati Fen!”
Fengel
si alzò di scatto. Dalla sua fronte dalle ginocchia cadde una
pezzuola bagnata. Con gesto veloce e repentino della mano sinistra,
colpì una coppetta ripiena di un maleodorante liquido verde
scuro. Questa cadde a terra e si ruppe. Fengel si guardò
attorno. Probabilmente aveva sognato. Era difficile immaginare
quell'ambiente fin nei minimi particolari come lui aveva fatto.
“Che
ci fai qui?”
“Hai
dormito per oltre cinque ore. I signori di questa gente hanno deciso
di parlarci subito.”
Fengel
si alzò in piedi.
“Voi
siete della stirpe dei Re, vero?” chiese.
Arathorn
rimase un istante perplesso. Non avrebbe mai immaginato che quel
ragazzo avesse studiato la sua discendenza tanto da sapere che prmai
da centinaia di anni i nomi dei Re avevano come prefisso la
particella Ar, invece di quella Tar.
“Perchè
mi fai questa domanda?” rispose
“Non
lo so. Ho sognato mio fratello che mi raccontava una storia su
Tar-Pharazon, l'ho visto in faccia e ti assolmigliava molto. A parte”
gesticolò con le mani sul viso. “a parte la cicatrice”
“Capisco”
forse il ragazzino non si ricordava la storia. Non era certo un
complimento essere paragonato a Tar-Pharazon. Se non altro era stato
un uomo molto ricco.
Fengel
comprese che quella risposta era un si. In effetti non era vera, la
storia di suo fratello e di Pharazon. Era stata un'impressione. Per
qualche secondo aveva immaginato Arathorn, il suo bel viso segnato
dalla battaglia, i suoi occhi grigi, i suoi capelli neri, sovrastati
da una bella corona lucente. Così Arathorn avrebbe pensato che
era itelligente. Che mossa stupida, accidenti. Però aveva
sognato davvero che suo fratello Folcred lo chiamava e diceva 'Il Re
è tornato'. Folcred. Sarebbe diventato lui Re, se fosse
vissuto. Era estremamente retto e tutto il resto. Fastred era un
guerriero eccezionale. Quando gli avevano detto che era morto non ci
aveva creduto. Doveva essere davvero in gamba quell'orco che l'aveva
fatto fuori. Gli avrebbe quasi dato una medaglia, a quell'orco se
l'avesse incontrato. Ammazzare Fastred non doveva davvero essere
stata una cosa da poco.
Adesso
si sentiva uno stupido vecchio. Non faceva che pensare al passato. A
dire il vero avrebbe preferito che fosse andato suo padre, in
guerra, che lui avesse vinto o perso, che fosse morto o rimasto in
vita. Suo padre non gli era mai piaciuto più di tanto.
Arathorn
lo fissò con occhi interrogativi. Quel ragazzino pensava un
sacco e parlava poco. Forse era un po' affrettata come conclusione.
In realtà quella era la prima volta che lo vedeva sobrio.
Fissò
di nuovo i suoi occhi verdi. Erano davvero bellissimi. Sorrise.
Voleva conoscere quel ragazzo. Era davvero un sacco di tempo, pensò,
che gli uomini della sua razza non si frequentavano con quelli che
abitavano tanto a Sud.
Chissà
cosa gli avrebbero dettogli elfi. Non ne aveva proprio idea.
“Scusa,
signor Re, ma sei sicuro di dove stiamo andando?”
“Me
lo ha detto l'elfo all'entrata”
“Capisco.
Grazie per avremi aiutato qua fuori” disse lentamente. Non
sapeva di chi stesse parlando Arathorn. Ma non era uno cui piacesse
fare domande.
“Se
fossi stato abbastanza grande avresti fatto lo stesso”
Fengel
rise.
“Senti,
Arathorn, chi cel'ha fatto fare di venire qui?”
“Tu
ti sei presentato alla mia porta con una lettera in mano e una bella
ragazza che ti stringeva le braccia al collo.” Fengel si
spresse con uno sguardo vuoto. Arathorn immaginò non si
ricordasse neppure di cosa stava parlando, tanto doveva essere
ubriaco quel giorno. “Hai detto che 'gli elfi spocchiosi
volevano parlarci'”
Fengel
fece cenno ad Arathorn di abassare la voce
“Non
dovresti dirlo qui! Che idea si faranno di me?”
Arathorn
scoppiò a ridere.
“Quanti
anni hai ragazzino?”
“Ne
compirò ventuno tra due mesi”
Arathorn
lo fissò.
“D'accordo,
ne compirò diciannove” Arathorn rise di nuovo “E
tu quanti anni hai?”
Stupido.
Si aspettava una domanda simile. A dire il vero sembrava forse più
vecchio della sua età, forse, almeno tra la sua gente. Aveva
sempre viaggiato, con la spada sotto braccio, da quando era nato. Non
ricordava nemmeno di aver cominciato a combattere, non sapeva dragli
un inizio. E probabilmente sarebbe morto in battaglia. Ora, Arathorn
non era uno di quegli uomini sanguinari che provano gusto nel verder
contorcersi i corpi in putrefazione degli orchi. Ma suo padre era
fatto così. Suo padre era davvero convinto che quelli della
loro stirpe avessero ancora qualcosa di speciale. Diceva di dovergli
insegnare a difendersi. Forse era vero. Gli orchi avevano una certa
predilizione per i comandanti dei Dunadan. Accidenti, ora che ci
pensava aveva visto più orchi stramazzare al suolo che donne
in tutta la sua vita. Forse un po' di tranquillità là,
tra gli elfi spocchiosi,gli avrebbe fatto bene.
“Vado
sui cinquanta”
“Ma
allora è vero! Sono vere tutte quelle favole che ti
raccontavano da ragazzino se non era così veloce da riuscire a
scappare via prima! Quelle che parlavano di grandi Re longevi! Alte
navi ed alti Re!”
“Alte
navi?”
“Era
una canzone! Non la conosci? Tre volte tre”
canticchiava. Fengel aveva una bella voce fresca. Era proprio un
ragazzino. Gli piaceva molto. Si stava decisamente emozionando. Per
lui doveva essere come un re leggendario e famoso, nobile e
celebrato in molti antichi canti. Arathorn invece aveva la certezza
che mai nessun poema sarebbe mai stato scritto in suo onore, né
in quello di suo padre, né in quello di suo nonno. E forse
nemmeno di suo figlio.
“Siamo
arrivati” mormorò sorridendo. Quello che Feren vide non
fu altro che un'alta porta nera con delle iscrizioni in elfico
probabilmente d'argento. Non era la più vistosa del palazzo,
né la più rozza. Sembrava una delle tante. Questo lo
spaventava moltissimo.
Poi,
Feren sorrise. Nessuno dei due uomini avrebbe mai aperto quella
porta. Non che fossero due vigliacchi. Ma quelli erano elfi,
maledizione. In qualche modo gli erano superiori.
Arathorn
sorrise. I sorriso di Feren era fresco, quasi quanto la sua voce. In
quel momento gli riusciva impossibile figurarsi cosa avesse portato
quel ragazzo dall'aria così semplice a presentarsi alla sua
porta ubriaco fradicio. No, Feren non aveva affatto l'aria semplice.
Forse era più intelligente di lui, pensò Arathorn. Era
così complesso che reputarlo semplice era la cosa più
semplice da fare. Si, questo discorso non ha senso, pensò.
“Se
non vi deciderete a entrare saremo costretti a rimandare la cosa”
disse qualcuno alle loro spalle. Fengel lo fissò. Sembrava un
elfo, dopotutto. Dopotutto perchè aveva il viso duro. Doveva
essere anziano. Aveva i capelli più neri che mai Fengel avesse
visto. Aveva pensato la stessa cosa vedendo quelli di Arathorn. Il
fatto era che non era abituato ai capelli neri. La prima volta, a sei
anni, che aveva visto un uomo di Gondor, con i suoi capelli corvini,
gli aveva dato di orco. Quell'uomo era il sovrintendente di Gondor.
La cosa non gli era piaciuta affatto. Adesso non ricordava il suo
nome. Suo fratello aveva riso molto. Non ricordava quale.
“Siete
voi” disse Arathorn. Questò per un momento spiazzò
Fengel. Arathorn non sembrava un uomo da Elfi. Arathorn non era un
uomo da Elfi. Ora se lo ricordava. Quel tizio era la figura scura che
aveva intravisto quando erano arrivati. Forse i due si erano parlati
in sua assenza. Questo gli pesava. Se Arathorn fosse passato dalla
parte degli elfi la cosa sarebbe diventata non complessa, ma
quasi impossibile. Fengel si chiese di cosa stesse parlando.
Forse era un altro modo di dire a se stesso che aveva paura senza
restare ferito in quel poco orgoglio che gli era rimasto. Arathorn si
sentì tentato di dare almeno la mano a quell'elfo, così
sbruffone, che era riuscito a restargli simpatico. Poi si disse che
l'elfo non ne sarebbe stato felice. Forse non conosceva neppure il
significato di un gesto simile.
“Buon
giorno, giovane sire del Sud” l'elfo si rivolgeva a Fengel.
Quell'attenzione rivolta nei suoi confronti, gli diede fastidio.
Ricambiò con un sorriso falso e veloce. L'elfo rise. Forse se
non fosse stato un elfo, pensò Fengel, avrebbe riso di gusto.
Forse sbagliava ad avere un'immagine così negativa di loro,
pensò. No, si rispose.
l'elfo
si spostò verso destra, come a far cenno di volerli far
passare. Arathorn si chiese se aveva intenzione di prenderli ancora
in giro a lungo. Li reputava dei vigliacchi, oltretutto. Lo faceva
scherzando. Quell'elfo doveva davvero aver passato del tempo tra i
mortali, per aver sviluppato quel genere di umorismo. Portava ancora
vesti nere. Era forse l'essere vivente più elegante che avesse
mai visto. Così nero. Forse tra gli elfi era una rarità.
Forse voleva dire voglio tenermi fuori dalla mia razza. Era un
modo molto particolare di affermare una cosa simile. Gli elfi
dovevano essere davvero molto legati alle loro apparenze. Forse per
questo quell'elfo gli piaceva. Perchè vestiva di nero. E poi
voleva chiedergli di suo padre. Come, dove e quando lo aveva
conosciuto. Si stupì. A volte le sue supposizioni lo portavano
davvero ovunque. E non le valeva la pena dato che per la maggior
parte erano errate. Sorrise tra se stesso.
Poi,
allungò la mano come ad aprire la porta. Sia l'elfo che Fengel
lo guardarono in modo strano. Dovevano pensare davvero che fosse un
vigliacco. Avrebbero solo dovuto vederlo combattere. Girò il
grosso pomello di legno scuro.
“Aspetta”
disse Fengel. “Tu non conosci il nome di quest'elfo?”
Arathorn
non capiva. Fece cenno di no col capo.
“Che
ne sai? Magari abbiamo sbagliato strada? O forse ci vogliono fare
fuori a tutti e due!” Fengel scherzava. Ma sembrava piuttosto
convinto che quella potesse essere una possibilità.
“Non
essere sciocco. Se ci avessero voluto uccidere, lo avrebbero già
fatto” arathorn volse lo sguardo verso l'elfo. Rideva.
“Nessuno
si prenderebbe la briga di ammazzare due come voi”
I
due uomini lo fissarono. L'elfo sapeva perfettamente di averli
offesi. Per lo meno adesso, sarebbero rimasti in silenzio. Erano
davvero buffi.
Fengel
sfiorò il pugnale che portava alla cintura. No, quell'elfo non
gli piaceva per niente.
l'elfo
si fece avanti. Per un momento Arathorn, rimasto immobile e in
silenzio, pensò davvero che Fengel avrebbe attaccato
quell'elfo. Doveva aver dormito molto male, il ragazzo, pensò.
L'elfo lo scostò e aprì la porta. Arathorn ebbe
l'impressione che avesse pensato che sarebbe rimasto là fuori
per sempre, se non si fose mosso.
Fu
così. Aprì la porta nera.
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Capitolo 3 *** Elfi ***
Maledetto
bastardo, pensò Feren. Per lui doveva essere tutto
maledettamente facile. Erano come quell'elfo i tipi che odiava di
più. Quelli che quando lo vedevano ubrico, divincolarsi a
terra, ridevano; e che, quando invece era ben vestito, nella sua
dimora d'oro e legno pregiato, si inchinavano ai suoi piedi.
Arathorn
era forse più teso di lui. Non l'avrebbe mai ammesso, però.
Arathorn
si allungò verso l'interno della porta. L'elfo era già
entrato. Tu non hai paura, si disse. No, non aveva paura. D'altronde
cosa avrebbero potuto dire o fare che lui già non sapesse?
Avrebbero potuto ucciderlo e nessuno avrebbe sentito la sua mancanza,
dopo che suo padre era morto. Oppure avrebbero potuto ripetergli,
come già sapeva fin troppo bene, che la sua stirpe era ormai
decaduta e che certo il suo popolo e lui in maniera principale, non
avevano contribuito di certo a dare lustro alla loro progenie. Che
pensieri stupidi, pensò. Era un uomo piuttosto egoista,
Arathorn.
Studiò
la stanza. Arathorn non faceva altro che osservare da quando era
venuto al mondo (oltre che combattere). Del resto era più che
sicuro che nessuno, oltre lui, si sarebbe mai accorto della piccola
spilla che quell'elfo portava al collo, come un ciondolo ( ma ne era
certo, era una spilla). Nessuno si sarebbe accorto che l'aveva
portata sempre, il giorno prima e quello. Nessuno si sarebbe mai
accorto che la sua casacca era ricamata di verde, e non di nero. Come
nessuno avrebbe notato che c'era una vecchia macchia di sangue su
quella casacca. Che strano elfo, portare dei così bei vestiti
in battaglia.
Era
la stanza più grigia che avesse visto in quel palazzo. C'era
una sola finestra, ma era chiusa e faceva passare quel filo d'aria
che rendeva loro possibile respirare. Sembrava perfettamente
quadrata. E spoglia. C'erano una piccola e vuota libreria bianca, e
un tavolo dello stesso colore,che occupava gran parte dello spazio.
C'erano anche delle piccole sedie bianche. Dovevano essere dello
stesso legno, ma Arathorn non aveva mai capito nulla di legno più
o meno pregiato. D'altronde a cosa serviva una cosa simile ad un uomo
che a sei anni aveva staccato la prima testa ad un'orco?
Feren
comparve, riluttante, alle sue spalle. Arathorn non era certo di
quali fossero le sue intenzioni. Sembrava che dovesse sentirsi male a
momenti. Forse era davvero così, ma Arathorn decise che il
motivo era semplicemente che a Feren gli elfi in generale non
piacevano proprio. Comparve poi, un elfo. Lo era evidentemente. Era
forse l'elfo più elfico che Arathorn avesse mai incontrato.
Era l'esatto contrario di quello che avevano incontrato. Portava bei
vestiti. Sembravano grigi. Gli elfi portavano abiti davvero strani.
Aveva lunghi capelli corvini. Sulla fronte cadeva una bella corona
d'argento. Doveva essere molto anziano, nonostante fosse un elfo. Si
leggeva nei suoi occhi grigi, che gli ricordavano qualcosa. Rimase un
secondo pensando a cosa gli ricordassero. Poi si rispose. Gli
ricordavano i suoi occhi. O meglio quelli di suo padre, di suo nonno,
e di quello prima di lui. E quindi anche i suoi. Era molto strano.
Accanto a questo elfo, c'era un'esatta versione più giovane di
lui. La cosa era quasi divertente. C'era un giovane elfo dai lunghi
capelli corvini e gli occhi grigi. Lui però non portava la
corona. Doveva essere figlio del primo. Incredibile. Non aveva mai
visto un padre e un figlio che si somigliassero tanto. Incredibile.
Seduto
su una di quelle sedie bianche era un uomo anziano, vestito di
grigio. Aveva occhi azzuri e intelligenti, ma sembrava molto vecchio.
Arathorn lo riconobbe. Lo aveva visto quando, in qualche occasione
era venuto al Nord per parlare con suo padre. Lo chiamavano Gandalf,
perlopiù. Sorrideva, il vecchio. Arathorn sorrise anche lui,
anche se non ne avrebbe avuto voglia. Forse il vecchio pensava che
Arathorn si ricordasse di lui, ma si sbagliava. Aveva in mente solo
poche immagini. Cominciavano ad essere noiosi, questi immortali.
Potevano essere tutto, belli, colti, tutto quello che volevano, ma
non c'era dubbio, erano noiosi da morire. Questo doveva pensare
Feren. E Arathorn gli dava ragione, assolutamente
L'elfo
anziano si inchinò. Non troppo, tanto da far vedere che gli
interessava qualcosa dei due mortali.
Feren
e Arathorn fecero lo stesso. L'elfo non sembrava abituato a riverenze
tanto misere. Non gli piacevano i mortali, penso Fengel. Non era un
problema. Nemmeno a lui piacevano gli elfi. Ma per la prima volta si
chiese per quale motivo li avessero chiamati laggiù. Forse
volevano davvero ammazzarli.
“Sedetevi”
dise l'elfo vestito di nero. Lo disse come se si fosse chiesto perchè
non lo avessero fatto prima.
Arathorn
si sedette. Fengel rimase in piedi alle sue spalle.
Il
vecchio sorrise, mettendo della strana erba secca nella sua lunga
pipa. Arathorn lo fissò. Non aveva mai visto dell'erba pipa.
Il
più anziano dei due uomini gesticolò.
“Vorremmo
solo sapere” disse “cosa facciamo qui”
“Innanzi
tutto” disse il vecchio “conoscerete i nostri nomi.
Quelli della vostra razza mi chiamano Gandalf, anche se più a
Sud Mithrandir, come gli elfi. Altri ancora mi chiamano lo stregone
grigio. Forse avrete sentito parlare di me, allo stesso modo potete
non averne mai sentito” lo stregfone prese fiato “Questo
alla mia destra è Elrond. L'uomo che vi sta ospitando.”
Arathorn abbassò il capo. Elrond, parve compiaciuto. Sembrava
abbastanza stupido. Arathorn si ricordò per l'ennesima volta
che le sue supposizioni erano per lo più sbagliate, e qundi
con molt facilità, quello era l'elfo migliore che mai fosse
vissuto.
Poi
lo stregone indicò l'elfo più giovane
“Questi,
è invece suo figlio Elohir” non c'erano dubbi che la
loro somiglianza fosse quasi ridicola. “E infine, anche se lo
avrete già incontrato e lui vi avrà già rivelato
il suo nome..” Gandalf guardò l'elfo. L'elfo vestito di
nero rideva. Non gli aveva rivelato il suo nome, ai mortali.
“Reimer..” Gandalf sembrava quasi arrabbiato “Reimer
sei stato scortese. Come avrete capito il suo nome è Reimer.
Forse i vostri genitori ve ne hanno parlato come 'Il maledetto'. Ora
abita verso est, ma un tempo viveva al nord”
Reimer
il maledetto. Arthorn ne aveva sentito parlare da suo padre. Un elfo
che aveva dato una mano a quelli della sua stirpe. Un elfo, anzi, che
era stato dei loro per un lungo lasso di tempo. Ma se n'era andato
con una donna elfo. Dicevano che ogni tanto, nei momenti di maggiore
bisogno, era solito tornare a Nord. Dicevano anche che era un grande
guerriero. Icevano molte cose, ma Arathorn non ci aveva mai creduto.
Ora che ci pensava avrebbe potuto farlo. Suo padre parlava poco. Se
aveva parlato per riferirgli di Reimer il maledetto, questo doveva
avere qualcosa di importante.
“Perchè
il maledetto?” mormorò Fengel. Gandalf si fece avanti
come per parlare, ma Reimer lo fermò.
“Dicono
che chiunque io stia accanto muoia. Finirò ammazzato per
questo un giorno o l'altro.”
Fengel
cambiò espressione, rispose con un suono indistinto.
Questo
Arathorn lo ricordava. Suo padre glielo raccontava ridendo. Suo padre
non credeva a quello che la gente diceva in giro.
Elrond
si alzò e girò il pomello di legno della porta. Sorrise
e ne uscì. Questo li lasciò di sasso. Quel
comportamento non era affatto logico.
“Ci
siamo” disse Elohir. Visto da solo aveva un'aria molto più
credibile.
Feren
tentò di dargli più attenzione. Ma gli rimaneva
incredibilmente difficile concentrarsi.
“Voi
morirete presto, anche se visto che siete mortali sarebbe meglio dire
abbastanza presto, non riceverete onori, non sarete ricordati da
canto alcuno. Nel migliore dei casi il vostro popolo vi dimenticherà,
nel peggiore vi disprezzerà. Ma in ogni caso, avevate bisogno
di essere convocati qui.” Feren trovò che quel discorso
non avesse senso. In pratica gli stava dicendo che la loro vita era
inutile, come già sospettava. Sembrava che gli stessero
facendo un dannato piacere ad averli convocati là.
Reimer
fissò Fengel e sorrise. Doveva essere davvero molto
arrabbiato, quel ragazzino.
Arathorn
rimase impassibile. Si sentiva scioco e preso in giro, ma tutto
doveva avere un senso. Erano Elfi e per loro tutto aveva un senso.
Elohir
guardò Gandalf come a chiedergli cosa fare. Gandalf gli fece
segno di mettersi a sedere.
“Vi
chiederete questo cose significa.” disse Gandalf “perchè
vi trovate qui. Era una cosa che Elrond faceva molto tempo fa.
Riuniva i sovrani di Numenor e quelli del Mark e passava con loro
giornate intere. Ma voi siete molto diversi. E anche Elrond è
diverso. Siete qui per dei motivi quasi concreti. La vostra progenie
ridarà lustro alle vostre casate. Il male sale da Sud. E
saranno i vostri figli” si rivolse ad Arathorn “o i figli
dei vostri figli, a combatterlo.”
“Perdonatemi
ma io ancora non capisco” Arathorn rideva, mentre Fengel
parlava. “Ci avete chiamati qui per dirci che avremo dei figli”
Reimer
sbuffò. Se quei due non si fossero decisi a capire, forse li
avrebbe picchiati.
“Siete
qui per stringere patti, alleanze, amicizie persino. Tutte cose molto
elfiche, ma potrebbero esservi utili. E se non a voia quelli che vi
seguiranno.”
Gandalf
fissò Reimer “Non sono stato abastanza chiaro?”
gli disse all'orecchio. Reimer fece cenno di no col capo.
Fengel
si passò la mano tra i capelli. Non aveva capito. Parlavano di
figli e di alleanze. Ma cosa volevano saperne loro? Gli girava la
testa. La sentiva leggera. Sudava. Non ebbe neppure tempo di pensare
che stava cadendo, che gli altri videro il suo corpo cadere riverso
sul pavimento.
“Ben
svegliato.” disse ironicamente la voce di Arathorn “La
prossima volta che ti senti male ti lascio lì, com'è
vero che ti chiami Fengel. Stai cominciando ad essere noioso.”
fengel
si stropicciò gli occhi. Non si era nemmeno accorto di aver
dormito. Quasi gli dispiaceva di non aver sognato nessuno dei suoi
fratelli. Adesso si sarebbe sentito in colpa per tutto il giorno.
“A
parte gli scherzi, Fen” riprese Arathorn “posso chiamarti
Fen?” Fengel annuì “Fen, il vecchio dice che tutto
quell'alcool ti ha roso lo stomaco.”
Fengel
fece una smorfia. “Non capisci nemmeno quello che ti sto
dicendo, vero? Sei un ragazzino, Fen!” Fengel mugolò e
si rimise a dormire. Arathorn pensò che sarebbe stato inutile
tenerlo sveglio ancora. E anche se fosse stato utile, non ci sarebbe
riuscito.
Alle
sue spalle Reimer, l'elfo scuro, rideva.
“Davvero
lo trovi così divertente?”
“No,
mi ricorda qualcuno che conosco.” Arathorn lo fissò
incerto. Forse quell'elfo era un malato di mente. “Ce ne
andiamo a fare un giro, in questo posto ci sono troppi elfi”
disse sempre l'elfo.
“Siamo
a Imladris, è certo che ci sono molto elfi”
“Se
cerchi molto bene, troverai anche dei mortali. Ma pochi.”
“Vuoi
solo uscire dal palazzo?”
l'elfo
fece cenno di si.
Arathorn
annuì. Sperava che Fengel non si sarebbe svegliato.
Lo
seguì. Non sapeva bene per dove. Attraversarono molti posti
che non avrebbe mai visto. Le strade erano bianche. Era tutto così
bello da risultare quasi insopportabile.
Vide
moltissimi elfi. Elfi belli ed elfi meno belli. Non vide nessun
mortale.
Reimer
sembrava conoscere quei posti e quegli elfi. Me ne salutò
pochi. Non dovevano avere importanza.
“Dove
mi stai portando?” chiese Arathorn.
“Non
ne ho idea.” rispose Reimer.
Arathorn
rispose con un gemito.
“Il
ragazzino ha dormito per tutta la notte?” chiese Reimer
“Sembra
non avere ancora voglia di svegliarsi” rispose Arathorn. Reimer
rise.
“Sei
come tuo padre” disse. Arathorn rimase in silenzio per qualche
istante. Improvvisamente aveva voglia di parlare di suo padre.
“Io
come mio padre? no. Mio padre era valoroso, era forte, e amava la
solitudine. E soprattutto credeva in se stesso”
“E
per te non è la stessa cosa? Hai vissuto la sua vita.”
“Io
combattevo perchè lui desiderava che io combattessi. Riteneva
che dovessimo difenderci sempre. Sempre fuggire. Io non ero come lui.
Avrei voluto fermarmi, ma non ebbi mai il coraggio di dirglielo.
Avrei voluto conoscere mia madre ma non glielo dissi mai. Il fatto è
che sono nato vigliacco”
“Tuo
padre, ha vissuto con le tue medesime angoscie e paure. Come vivrà
tuo figlio”
“Io
non voglio che mio figlio diventi come me” Arathorn ebbe paura.
Dopo tutto ciò che gli era stato detto, adesso aveva paura.
Adesso non desiderava più avere nessun figlio che soffrisse
quanto avesse sofferto lui stesso.
“Senza
tuo figlio la nostra terra resterà la stessa.”
Arathorn
sospirò. Forse il dannato elfo arrogante aveva ragione.
“Io
lo sapevo perchè vi chiamano maledetto.” disse “voi
eravate là quando avvenne la Caduta di numenor”
“Esattamente.
Ma se ne avessi parlato al tuo amico, probabilmente non mi avrebbe
capito”
“Non
prendete in giro Fen!”
“Voi
mortali siete tutti uguali. Sempre pronti a morire l'uno per l'altro.
Una caratteristica stupida e sciocca” Reimer si sedette sotto
l'ombra di un albero dalle foglie chiare “ma che vi rende
migliori della gran parte delle creature che abitano questa terra”
Arathorn
non aveva seguito l'ultimo discorso di Reimer. Aveva perso
l'attenzione, ecco tutto.
“Ma
voi che c'entrate con questa storia? Voglio dire, quelli elfi ci
hanno chiamato qui per dirci che siamo delle nullità. Ma
voi..”
“Sono
generazioni che aiuto la tua gente e tu non ne sai niente.”
Reimer rise tra se “E' per questo che l'ho sempre fatto. E poi
la cosa è un'altra. E' la dama che mi ha portato via dal Nord
quella che ha sognato tutta la storia dei figli. È una specie
di indovina o giù di lì, anche se non se ne rende
conto. Dovresti essere onorato. Una donna bellissima ti ha sognato.
Io dovevo solo comunicare la visione di lei allo stregone. Ma mi
hanno chiesto di restare qui.”
“Capisco..”
“Non
mi stai ascoltando, vero mortale?”
“No”
rispose “lei chi è?”
“La
donna elfo?” Arathorn fece cenno di si col capo “Non
siamo sposati né niente. Io le guardo le spalle”
“Capisco..”
“Non
mi ascolti neanche adesso. Torna dal tuo amico. Fa' attenzione,
potresti perderti. Passa di là” Reimer indicò a
Arathorn la strada da seguire. Arathorn fuggì verso la camera
di Fengel.
Appena
Arathorn fu abbastanza lontano, alle spalle di Reimer comparve un
elfo.
“Quella
era la strada per le stanze di mia sorella o sbaglio?” disse
Elohir
“Non
ti sbagli” Reimer iniziò a ridere. Elohir, suo
malgrado, fece lo stesso.
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Capitolo 4 *** Stelle ***
Arathorn
corse per una decina di minuti. Era piuttosto stanco, il terreno era
sconnesso. E nonostante si fidasse di quell'elfo, dopotutto, quella
strada non lo convinceva affatto. Non gli sembrava la direzione
giusta, ecco tutto. Si sentì improvvisamente stupido. Faceva
sera e una brezza leggera si alzò. Cominciava ad avere freddo.
Reimer gli aveva dato una crema nuova per la cicatrice. Puzzava un
po' meno e bruciava di meno. Se la mise, l'aria degli elfi gli afceva
venire ancora più male. C'era qualcosa che non lo convinceva,
in quell'aria. Aveva sorpassato un cancelletto qualche centinaio di
metri prima. Questo non lo convineceva oltre al fatto che gli era
parso costantemente di starsi allontanando dal palazzo.
Non
fidarti mai più di un elfo, si disse.
Sentì
dei rumori venire da poco più nel profondo di quel bosco rado
in cui era andato a trovarsi.
Si
nascose. Erano passi legeri di un elfo. Si tranquillizzò. Era
difficile pensare che degli orchi lo avessero seguito sin là,
ma lo aveva fatto. Aveva addirittura impugnato la sua arma. La donna
elfo. Era bellissima, maledizione. Era la cosa più bella che
avesse mai visto. Sembrava che brillasse di luce propria. Senza
accorgersene Arathorn si commosse. Si sentì nuovamente
stupido. Stava piangendo per la bellezza di una dama. La spada gli
cadde dalle mani. Stava per sentirsi male. La dama si voltò.
Doveva aver sentito il rumore provocato da quel pezzo di ferro, che
cadeva.
“Chi
siete? Cose ci fate vi qui?”
Sorrideva.
Arathorn temette di averla spaventata. Si sbagliava.
“Chi
siete?”
“Io”
balbettò “Io... mi dispiace, mia signora. Non volevo è
stato quell'elfo..”
“Non
proccupatevi. Erano davvero molti anni che non vedevo qualcuno di
nuovo”
Arathorn
si stupì. Era devvero bellissima.
“Parlate,
avanti!” disse la donna. Arathorn rise. Non avrebbe voluto, ma
lo fece. La donna lo fissò, incerta, e poi rise anche lei.
“Davvero.
Non so nemmeno chi siete. Voglio dire, forse dovrei saperlo, ma non
ne ho idea. Scusate”
“No,
mio signore, mi fa piacere, davvero. Voi siete un mortale?”
era
incredibile come detta da lei la parola 'mortale' avesse un bel
suono.
“Si”
non riusciva prorpio a dare risposte più lunghe senza che
fossero completamente sconnesse.
“L'ho
capito.. dalla cicatrice” disse gesticolando sul viso.
Arathorn
rise.
“Già,
penso che nessun'elfo si ferisca mai in battaglia, vero?”
“Il
più delle volte quando vengono feriti, vengono anche uccisi”
“Capisco”
“Dove
ve ne andavate così veloce? Vi ho visto, quando siete
arrivato? E di ch elfo parlavate” Quasi Arathorn non ascoltava
le sue parole. Era bellissimo, il loro suono. Era come se stesse
cantando.
“Io..
voi abitate qui, per cui saprete che io e un mio compagno mortale
siamo stati chiamati qui” la donna fece segno di no col capo
“Ad ogni modo, questo mio compagno si è sentito male ed
io stavo andando a vedere come stava” Arathorn si stupì
di quanto dolcemente stesse parlando. Non pensava davvero di esserne
capace.
“E
chi è stato a dirvi di venire da questa parte?” disse la
donna bellissima
“Oh,
uno sciocco, suppongo. Il suo nome è Reimer, un elfo bello,
con lunghi capelli neri e..”
“Reimer?
Reimer è qui? Non mi fanno mai sapere nulla quando sono qui.
Mio padre mi lascia sempre all'oscuro. Reimer, uno sciocco? Vi starà
trattando da tale, penso”
Ma
Arathorn non seguì la gran parte del discorso di lei.
“Vostro
padre? Chi è vostro padre?”
“Mio
padre? Mio padre è sire Elrond”
“Sire
Elrond..” Arathorn la riconobbe. Era bellissima. Aveva lunghi
capelli corvini. Era vestita di colori chiari, ma che davano sul blu
e l'argento. E aveva quegli occhi meravigliosi. Occhi grigi. Che gli
ricordavano i suoi. Che gli ricordavano Elrond.
“Quindi
il vostro nome è..” disse lui
“Io
sono Arwen, la stella del vespro, mi chiamano”
“Io
sono..”
“Voi
siete un'uomo del nord. Ma i vostri occhi.. sono differenti. Voi non
potete essere... voi siete... Nelle vostre vene scorre il più
regale dei sangui”
“Esatto”
“Il
vostro nome?”
“Io
sono Arathorn. Sono del Nord”
“Lo
avevo detto”
Fu
così. Arathorn non riuscì a farne a meno. La guardò
negli occhi. Era felice, in quel momento. Lei gli aveva dato la
felicità. Era davvero bellissima. Afferrò la mano di
lei. La sua pelle bianca e profumata. Arwen lo fissò e rise.
Anche Arathorn sorrise. In quel momento aveva la certezza di non
sentirsi stupido. Le si avvicinò.
“Io
penso... che devo andare” disse. Arwen perse il suo sorriso per
un istante. Poi lo recuperò. Arathorn si allontano, di corsa.
Si fermò e la guardò di nuovo.
“Devi
andare di là” disse lei. Rise. Arathorn si voltò
di nuovo e le diede le spalle “Tornerai?” mormorò
la dama. Sembrava divenuta improvvisamente triste. Arathorn la fissò.
Non lo sapeva. Non sapeva cos'avrebbe fatto. Ora sapeva solo di
essere colmo, straboccante di felicità. Non avrebbe potuto
sopportarlo ancora a lungo. Non rispose. Fuggì soltanto.
Fuggì.
Si sentì improvvisamente stupido. Come poteva un uomo come lui
provare certi sentimenti per una donna, anzi per quella donna elfo?
Doveva essere diventato scemo, si disse. Anche solo per non averla
riconosciuta. Uno stupido davvero. E ancora più stupido di lui
era stato quell'elfo dagli abiti scuri. Reimer era davvero un
ragazzino. Forse fingeva solo di esserlo e in realtà si
trattava del più complesso degli uomini che abitavano su
quella terra. Arathorn si fermò nella sua corsa. Aveva davvero
pensato uomo? Reimer doveva essere davvero molto complesso. In
ogni caso, complesso o meno che fosse, lo aveva messoin un mare di
guai. Cos'avrebbe fatto ora il povero mortale? Elrond sarebbe mai
venuto a sapere dell'accaduto? E se lo fosse venuto a sapere quale
sarebbe stata la sua reazione? Gli elfi erano davvero strani,
accidenti. C'era la stesa probabilità che Elrond chiedesse di
vederlo morto che gi chiedesse di sposare sua figlia. Ad ogni modo,
Arathorn, giudicò la seconda probabilità decisamente
improbabile. Sospirò. Avrebbe dato qualunque cosa per
rivederla. O forse no. Forse avrebbe dato qualunque cosa per non
averla mai vista.
Stupido
Reimer, pensò. Senza accorgersene si era ritrovato a
passeggiare da solo. Andava dove i piedi lo portavano, e in effetti,
non aveva nessuna voglia di pensare. Aveva fame, si disse. Se non
avesse mangiato qualcosa subito sarebbe svenuto.
Si
guardò attrono. Sbadigliò. Lo aveva dimendicato.
Acidenti. Il ragazzino era rimasto da solo per tutto il giorno. Ed
era tutta colpa di Reimer. Stupido Elfo. Decise che avrebbe portato a
Fengel anche il suo pasto. Arathorn era fatto così. Quando
sbagliava, sentiva il naturale bisogno di punirsi. Ma il più
delle volte non si accorgeva di sbagliare.
Sbadigliò
un'altra volta e si schiaffeggiò. Non poteva avere sonno ora.
Corse verso la stanza di Reimer. Poi ci ripensò. Non aveva
nessuna voglia di vederlo. Allora si diresse direttamente verso la
camera del suo amico. Gli avrebbe offerto il pasto un'altra volta.
“Dove
diavolo è andato Arathorn?” chiese Fengel. Dalle sue
labbra non uscì che un sussurro. Non aveva molte forze,
Fengel. Era arrabbiato, ma non aveva molte forze. Forse aveva
sbagliato a valutare l'altro mortale. Forse, dato che aveva sangue di
elfi nelle vene, era esattamente come loro. Ma non voleva crede a
nulla di simile. Di solito la sua prima impressione era giusta. Aveva
molta fame. La signorina elfo, molto graziosa e tutto il resto, nel
suo abito azzurro, passava puntualmente nella sua stanza, con un
falso sorriso dipinto in volto, chiedendogli se volesse la sua cena.
Fengel le aveva sempre risposto di no. Pensò, che se era
arrabbiata non c'era da biasimarla. Il piatto che gli porgeva era
sempre caldo. Doveva essere arrabbiata, la donna elfo. D'altra parte,
se il signor Arathorn non si fosse presentato alla sua porta Fengel
non avrebbe mangiato. Il sole era calato. Arathorn forse, aveva
approfittato dell'essersi tolto quel peso di dosso e se n'era tornato
alla sua gente. Eppure Arathorn non aveva il viso di un uomo simile.
Fengel, con tutto il suo pessimismo, era portato a pensare che lo
avessero costretto in qualche luogo, che lo avessero ucciso, o che
comunque si fosse perso tra le mura di quella dimora. Fengel dava ad
Arathorn molte possibilità. Fengel era sempre stato uno che si
affezionava facilmente. E Arathorn era molto più anziano di
lui. E tutto questo lo aveva facilitato. Soprattutto la sua
cicatrice. Gli dava un'aria da poco di buono che Fengel stimava.
Fengel aveva degli strani modi di stimare. Amava degli strani tipi
d'uomo. Sentì gli occhi bruciare sotto le palpebre. Forse
aveva un po' di febbre. Sarebbe stato davvero orribile se Arathorn lo
avesse abbandonato. Forse pianse qualche lacrima, ma non se ne rese
conto. In quel momento, Arathorn, assennato, scombussolato e stanco
entrò dalla sua porta. Fengel sorrise per quanto gli fosse
possibile.
“Scusami,
Fen. È stata dura per tutti e due oggi.”
Fengel
sorrise. Arathorn si guardò intorno.
“Tu
non hai mangiato, stupido ragazzino” disse. Fengel rise.
Arathorn si avvicinò al ragazzo.
“Hai
anche la febbre!” disse. Sembrava sconcertato. “Questi
elfi di cui tanto si parla non sono buoni a niente!”
Fengel
alzò gli occhi verdi dalla federa del cuscino. Fissò
stanco Arathorn. Poi mugolò qualcosa . Arathorn non capì
cosa intendesse dire e gli si avvicinò.
“Che
ti è successo” sussurrava il ragazzo “sembri
ancora più scemo del solito”
Arathorn
rise. Aprì la porta e fece cenno alla donna Elfo di portare
loro le cene, nonostante fosse davvero tardi. La donna sbuffò
e disse che sarebbe arrivata presto. Fengel rise. Arathorn era
davvero in una situazione di confusione incredibile. Era ridicolo,
dopotutto. Gli aveva già perdonato di essere arrivato in
ritardo.
Arathorn
avvicinò alle sue labbra sottili il bicchiere con dentro il
liquido scuro del sogno. Ancora non l'aveva bevuto.
“Andiamo,
ragazzo, bevi. Se non guarisci non ci faranno tornare a casa”
ma Arathorn sembrava non essere più padrone nemmeno dei
movimenti più semplici. Il bicchiere cadde ed il liquido
puzzolente si riversò sulle coscie di Fengel. Il ragazzo rise.
arathorn era uscito dalla sua porta on un aria da gran signore
solitario, tetro e sognatore e vi era rientrato con una da perfetto
idiota. Sembrava quasi che si fosse preso una cotta.
“Ti
sei innamorato dell'elfo scuro, forse?” Fengel rideva.
“Stupido.
No lo nominare finchè non mi sarà passata. E non fare
domande, almeno fino dopo mangiato”
“Che
ha combinato, il condottiero?” Fengel si riferiva ad Arathorn,
ironicamente. Sapeva essere molto fastidioso, alle volte.
Arathorn,
fu molto tentato dall'idea di picchiarlo, chiaramente in modo
ironico, ma la donna elfo portò nella stanza il cibo che gli
aveva preparato, per cui dovette trattenersi.
Fengel
mangiò parecchio. Arathorn non se lo sarebbe mai aspettato.
Era così magro, coi suoi lineamenti sottili. Era davvero
magro. Sembrava che non avesse mai impugnata un'arma in vita sua. In
effetti, questo doveva essere impossibile. Ma nonostante fosse
malato, mangiava davvero molto. Arathorn rimase stupito. Mangiò
davvero poco. Fengel bevve dell'ambrosia dalla coppa d'argento e
fissò il compagno.
“Tu
non stai bene” gli disse “Facciamo così” il
ragazzo gli si avvicinò. Sembrava intontito, forse aveva
bevuto un po' troppo. “Io ti dico quello che ho scoperto
d'interessante oggi e tu mi racconti cosa ti è capitato”
Arathorn
rise. Non era l'alcool, ma Fengel stesso. Fengel non reggeva affatto
l'alcool, nemmeno quello gentile e leggero degli elfi.
“Sarà
meglio che non beviate più”
“Non
volete dirmi niente? Siete un maledetto bastardo, signor condottiero
del Nord!” disse.
“D'accordo,
d'accordo, Fen. Ti dirò cosa mi è successo se ti calmi.
Ma dimmi cos'hai scoperto tu, prima perchè non ti ho capito”
“Stavo
fingendo, idiota” disse Fengel. Capì cosa stesse
pensando Arathorn. Ma non aveva bevuto. Aveva fatto apposta per
metterlo alla prova. Così almeno, Fengel, preferiva credere.
“devi
sapere che due giorni, da solo in una stanza bianca, sono deavvero
molto noiosi per uno come me. Ora che ci penso forse è stato
un bene che tu non ci fossi.”
Arathorn
borbottò che lui era rimasto per un sacco di tempo a
vegliarlo, mentre dormiva; ma Fengel non volle sentire discorsi.
“Ero
qui da solo. Allora è entrato il figlio di Elrond. Ti giuro
che non me lo sarei mai aspettato. È entrato e mi ha detto
'Avete bisogno di qualcosa?'. Diamine, se ci fossi riuscito gli avrei
detto di andarsene! Ma non ci riuscii. Così facemmo una
partita a scacchi. Fu una sua idea, ma non era davvero molto bravo e,
nonostante stessi male, lo stracciai. Forse lo ha fatto apposta,
però. Dovevo essere proprio malconcio, a dire il vero. Si alzò
e stava per andarsene, quando mi disse 'Forse volete da leggere?' Era
davvero molto elegante, Elohir. Almeno penso che fosse lui. Ero così
febbricitante che non avrei riconosciuto mio padre dal suo cavallo.”
Arathorn rise. Fen forse aveva davvero scherzato. Voleva che si
preoccupasse della sua salute. Era molto divertente, il racconto. Ma
si chiese se davvero questo avesse una fine o un senso logico. O
anche solo una vaga utilità.
“Insomma”
continuò il ragazzo “mi chiese se volevo qualcosa da
leggere. Mi piaceva leggere, quando era più giovane, quindi
gli risposi di si. Ma quando mi chiese cose io non seppi
rispondergli. Allora il giovane principe sorrise maliziosamente e
uscì dalla mia porta. Quando ne rientrò portava con se
un paio di libri. Gli lasciò sul comodino e se ne andò.
Fu molto gentile, devo riconoscerlo. Lessi i due libri nella sola
giornata di oggi. Ed ecco cos'ho scoperto”
Fengel
afferrò il libro che gli er apiù vicino, alla sua
destra. Aveva lasciato un segno.
“Di
qui in poi” lesse “si parlerà di Leannel,
della sua straordinaria bellezza, della sua forza, della sua
assennatezza, della sua immensa tristezza, e di cosa tutto questo
portò alla Terra di Mezzo. Si parlerà qui delle gesta
di Talmaye lo scaltro e Salmaye il puro e soprattutto, ecco, qui
inizia il pezzo che interessa noi, dell'immensa forza e coraggio
di Reimer del Nord, altrimenti detto Reimer il maledetto. Reimer
il maledetto, amico mio”
“Di
Reimer? Che dice quel libro di Reimer e della sua dama?”
“Dice
che lei è davvero molto bella. E che suo padre, un uomo
giusto, scusa, un elfo, vuole conservare la sua bellezza. Anche se a
me sembra piuttosto un tiranno. Parla dello spirito ribelle di lei.
Insomma lei vuole combattere ma il padre non glielo permette. Deve
essere ancora viva e la faccenda ancora in corso. Dice che Reimer è
stato un uomo tormentato e sofferente, dalle immense doti di
coraggio e abilità senza pari. Un grande condottiero,
insomma. Voglio dire, quell'elfo è davvero un pezzo grosso.”
Arathorn
rise. Alla fine, se solo avesse avuto il desiderio di uccidere
Reimer, dopo lo scherzo che gli aveva giocato, ne sarebbe rimasto
sconfitto. Quel Reimer sembrava un tipo davvero strano.
“Dice
che è stato per molto tempo con i mortali. Gli altri elfi non
lo volevano più con loro, siccome tutta la sua famiglia ed il
suo popolo erano stati sterminati. Quindi è andato con i
mortali. Il romanzo lascia intendere che abbia avuto una relazione
con Tar-Miriel, che deve essere molto importatnte e..”
“Accidendi
se lo è. Tar-Miriel è maledettamente importante”
“E
così via. Sembra davvero uno forte. E a noi si è
presentato come uno stupido”
“Ho
l'impressione, Fen, che hai tuoi occhi molti risultino stupidi”
Arathorn sorrideva. Fengel fece lo stesso.
“A
parte tutto” riprese Arathorn “Penso che sarà
meglio tenerne il naso fuori.”
“Tanto
dovremo restare qui finchè non mi sarò rimesso. Voglio
parlargli, almeno una volta. Una volta che duri almeno tre o quattro
ore” Arathorn rise ancora. Sapeva che ora avrebbe dovuto
parlare. Aveva sperato che Fengel si dimenticasse di lui, ma non
sembrava uno portato a dimenticarsi le cose. Fegel lo fissò.
“Va
bene, d'accordo. Ti dirò quello che vuoi sentirti dire”
disse
“Non
quello che voglio sentirmi dire, solo quello che è successo”
ribattè Fengel
“Sono
uscito di qui, dormivi. Reimer mi disse se mi andava di fare una
passeggiata. Mi ha portato fuori dal palazzo. Si è messo a
chiedermi di mio padre e della mia gente, ma non mi andava di
parlarne. Abbiamo pure parlato di mio figlio, ma non avevo voglia
neanche di questo. Allora gli ho chiesto di andare. Penso si sia
vendicato, ecco tutto. Mi ha indicato la strada sbagliata. Mi sono
ritrovato nei boschi che circondavano un giardino. Sono entrato nel
giardino. Poi l'ho vista. Maledizione, era dannatamente bella.
Davvero bellissima.”
“Bellissima?
Non parlerai della loro stucchevole bellezza? Gli elfi non sono
belli, sono solo perfetti.”
“No
no no. Io mi riferisco a qualcosa di diverso, Fen. Non ci sono parole
per descriverla” Fengel si sentì fuori luogo. Arathorn
sembrava davvero in adorazione per quella donna elfo.
“Allora,
aspetta. Aveva lunghi capelli biondi e la pelle bianca che profumava
di pesca?” disse. Non sapeva il perchè ma Fengel aveva
pensato alla donna del suo sogno. Era molto bella. Se fosse esistita
davvero avrebbe dato qualunque cosa per vederla.
“Mi
dispiace amico mio, ma ti sbagli di grosso. Quella di cui parlo io ha
i capelli che sembrano ebano e gli occhi grigi. Ho prlato ad Arwen,
la stella del vespro; e spero non accada più perchè se
la vedessi il mio cuore ne sarebbe così riempito che
appassirebbe se non gli fosse più concesso di rivederla”
“Voi
siete così romantico” rispose Fengel “che mi date
il voltastomaco, sire”
“Sciocco”
Fengel rise. Pensava che uno come Arathorn non s'innamorasse mai.
“Non
sei imperscrutabile come credi. E nemmeno come io credevo”
“Vuoi
dormire, ora? Altrimenti non ce ne andremo mai via di qui”
Fengel
rise di gusto. Non aveva sonno.
“Non
c'è niente da ridere Fen”
“Si
che c'è. Che farai? La dimenticherai?”
“Non
ce la farò mai a dimenticarla. Spero solo di non vederla più”
fengel si trattenne dal ridere di nuovo. Per un attimo gli sembrava
che fossero entrambi diventati degli elfi o giù di lì.
“Parliamo
come loro e portiamo i loro abiti, a cosa ci porterà questo?”
“Siamo
mortali, Fen. E poi credevo non i piacessero gli immortali”
“Se
li chiami così sembrano devvero superiori.”
“Si,
hai ragione, è brutto da dire” c'era una grande, enorme
differenza tra la parola 'mortale' e quella 'immortale'. Fengel
aveva ragione.
Parlarono
un po'. Ma era evidente che Fengel aveva sonno. Arathorn gli impose
di andare a coricarsi. Femgel doveva essere invece naturalmente
portato a dormire poco. Alla fine Arathorn secise che sarebbe stato
decisamente più sicuro se fosse rimasto con Fengel, perlomeno
fin quando non si fosse addormentato. Quindi si allontanò per
andare aprendere un libro. La ricerca su Reimer andava approfondita,
e in effetti Arathorn non aveva nulla di meglio da fare. La
bliblioteca era vicina, fortunatamente. Arathorn non aveva un gran
senso dell'orientamento. Prese il primo libro dove lesse il nome di
Leannel. Pensò, nel tragitto al ritorno, nonostante temesse di
perdersi. A dire il vero Fengel non sembrava avere molta voglia di
tornare a casa. Forse nessuno lo aspettava. Forse aveva paura di
quello che vi avrebbe trovato. Era sveglio, ma era solo un ragazzino.
E Arathorn pensò che anche lui non avrebbe avuto nessuno ad
aspettarlo, a casa. Doveva riprendersi ciò che gli
apparteneva, maledizione. Era scappato troppo a lungo. Fissò
nella sua mente l'immagine di Fengel. Nonostante tentasse con tutte
le sue forze di figurarselo in un futuro non troppo vicino, nel suo
bel reame, con il suo bel palazzo e la gente che l'amava, Arathorn
non ci riuscì. Fengel non sarebbe stato capito, questo temeva,
e forse non si sarebbe mai capito nemmeno per se stesso. Per questo
era certo di piacere al ragazzino. Non gli era stato ostile, ecco
tutto. La mente di Fengel era dannatamente veloce.
La
spalla di Arathorn urtò contro quella di qualcun'altro che
procedeva nella direzione opposta.
“Vi
auguro una buona notte, sire Arathorn” disse una bella voce
forte.
Arathorn
lo fissò, quasi con rabbia. Era Reimer.
“Io...
non voglio parlarvi oggi!” così Arathorn scappò
via. Faceva sempre così quando non era sicuro delle sue
reazioni.
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Capitolo 5 *** Leggere ***
Quando
Arathorn rientrò nella stanza di Fengel, sembrava che si fosse
già addormentato. In ogni caso Arathorn non si fidava affatto,
quindi restò al suo fianco per qualche tempo. Tentò di
leggere, ma invano. Era molto stanco e la giornata era stata
impegnativa per un uomo come lui. Quindi decise il prima possibile
che Fengel stava riposando davvero. E si ritirò nelle sue
stanze sperando che la notte sarebbe durata a lungo.
Fengel
si alzò, non appena Arathorn fu abbastanza lontano. Forse era
davvero un uomo semplice. O più semplicemente era davvero
sconvolto dall'incontro con quella dama. Gli sembrava molto strano.
Che un uomo riuscisse a perdere la testa in quel modo per qualcuna
che aveva visto solo per pochi minuti. D'altra parte Arwen era
davvero il più rinomato esempio di Elfo che Fengel conoscesse.
Dopo suo padre e suo fratello, chiaramente. Reimer stesso non doveva
avere la sua fama. Reimer. Gli avrebbe fatto piacere parlargli ora,
ora che sapeva di lui tutto quello che era necessario sapere.
Non
aveva l'idea esatta di andare a cercarlo quando decise di fare una
passeggiata all'interno del palazzo. In effetti lo aveva dimenticato
presto. Si mise indosso delle vesti bianche, che non gli
appartenevano. Non gli piaceva l'idea di portare vestiti non suoi. Ma
lo fece ugualmente. Si mise delle scarpe leggere e se ne uscì
dalla su stanza.
Così,
come accade il più delle volte, senza accorgersene si smarrì.
Quel posto era stranamente attraente. Era come se tutta la cultura
elfica gli si fosse posta davanti agli occhi. Ne era attratto. Ma
detestava davvero gli elfi. In effetti in tutto lo splendore di quei
corridoi, Feren sentiva freddo. Ma gli piacevano tutti quei begli
oggetti di manifattura elfica. E se gli elfi in genere avevano un
pregio, era quello di non eccedere in quanto bellezza. Questo certo
non si poteva riferire ai loro visi, abiti e portamenti; o comunque
alla maggiorparte di quelli della loro razza. Spesso erano loro
stessi succubi della loro bellezza. E diventavano stucchevoli,
eccessivi, e forse finanche pacchiani. Ciò non toglieva che
quei corridoi fossero davvero belli. Freddi, ma in ogni caso belli.
Fengel
studiò le opere per quanto gli fosse possibile. Era forse un
compito più adatto ad Arathorn. A Fengel non piaceva affatto
osservare. Preferiva giungere da solo alle sue conclusioni. Ma era
evidente. Era evidente che agli elfi piacevano i tratti leggeri e le
figure realistiche. Dipinti con schemi precisi, sembravano un po'
tutti uguali agli occhi di quel ragazzino, nonostante fosse chiaro
che erano realizzati da artisti differenti. Fengel si meravigliò
di quanto fosse erudito il suo discorso e poi si chiese perchè,
senza darsi alcuna risposta. Ma poi, qualcosa di diverso dalle altre
pitture, colpì il suo sguardo.
Sembrava
celato, nascosto agli occhi di chi non l'avesse cercato o di chi non
avesse conosciuto già dove fosse nascosto. Spostò
quelle tende che lo nascondevano. Era l'arazzo, o quadro o di
qualunque cosa si trattasse, più bello che Fengel avesse visto
in tutto il palazzo, anzi, che avesse mai visto. C'era una donna
bellissima. Era sdraiata e i suoi capelli castani cadevano leggeri
sull'acqua. Era evidente, seppure rimanesse difficle da credere, che
si trattasse di un elfo. Piangeva. Era davvero bellissima. Al suo
fianco era un uomo, anzi un elfo, davvero bellissimo, vestito di
nero, con capelli corvini e l'aria severa. Le teneva la mano, anche
se non sembrava stringerla. Era incredibile quanto quell'elfo gli
somigliasse. Ma non era possibile. Un'espressione così dura
non poteva essere appartenuta ad un viso come quello di Reimer.
“Ti
piace?” disse una voce melodica e forte allo stesso tempo, alle
sue spalle.
“Diciamo
di si. Ma non me ne intendo di certa roba elfica”
“Non
serve che tu te ne intenda. Nessuno potrebbe mai affermare che
Leannel non sia la donna elfo più bella che abbia mai visto”
rispose Reimer “Questo, certamente se non hai mai veduto
Galadriel o Arwen. Ma quando le avrei viste entrambe, e dubito che lo
farai, sarà solo una tua scelta. Ma mentiresti se anche solo
pensassi che Leannel non è meravigliosa”
“E'
quella dei romanzi?” chiese. Reimer lo aveva spaventato. Era
estremamente silenzioso e scaltro. E in parte lo temeva, dopo quello
che aveva scoperto. La mano di Reimer sfiorò il panno anche se
non sembrava sua la scelta. Fissò Fengel. La risposeta era un
evidente si.
“Che
romanzi hai letto?” chiese l'elfo scuro.
“Quelli
che mi ha portato il signore Elohir”
“Capisco”
Reimer sorrise. Fengel pensò che fosse davvero uno strano
legame ad unire quei due elfi. “Dei Romanzi” rise più
forte “Solo a lui poteva venire in mente una cosa simile. E
suppongo che tu avrai riferito ogni cosa al tuo amico e che adesso
non vi fiderete più di me”
“Non
credo. Siamo mortali. Noi ci fidiamo sempre troppo anche di noi
stessi”
Reimer
lo fissò e rise ancora. Fengel non capiva, ma fece lo stesso.
“Questa
è Leannel. Me la immaginavo diversa. Non così bella”
Reimer
sembrava sempre più divertito, cosa che Fengel trovò
anche abbastanza fastidiosa.
“Vorrei
poter venire a casa con te, Fengel. Mi divertirei davvero molto. Ma
tu cosa faresti se avessi lei che ti aspetta?”
“Sembra
davvero molto triste. Ora che ci penso anche tu lo sembra. Perchè
questo sei tu, vero?”
“Si,
sono io”
ora
Fengel osservò Reimer con più attenzione. Non aveva
quell'aria scanzonata e superba che si era figurato. No sembrava
diviso a metà. Una era la sua immagine, l'altra la sua
essenza. Era una cosa davvero rara, una divisione così chiara
e precisa. E poi c'era un'altra parte di lui. Una immensamente
felice. Reimer sembrava un uomo felice e allo stesso tempo molto
triste. Lo aveva fatto di nuovo. L'aveva chiamato uomo. Forse la sua
parte felice era innamorata intensamente. Fengel aveva da tempo perso
il valore dell'amore, ma d'altro canto Reimer era un'elfo. Eppure
anche la sua parte triste sembrava innamorata. Forse di una donna
diversa, però. Per un istante, Fengel si chiese se avesse
davvero davanti un elfo. Quell'elfo era imperfetto.
“Voi
siete davvero molto strano, Reimer” l'elfo smise di ridere
“Hai
ragione”
“Ma
voi l'amate questa donna?”
“No.
È questo a rendere le cose più difficili.”
“Dovete
farla sentire molto sola. Ma non ha il viso di una che ama le
compagnie. Forse è stata proprio lei ad allontanarvi”
“Se
rimarrete a lungo davanti a questo dipinto scoprirete anche il nome
di sua madre e il luogo dove è sepolta” rispose Reimer,
ridendo.
Fengel
avrebbe voluto dirgli 'questo io lo so' ma non ne ebbe il coraggio.
Spingendolo per la schiena, Reimer lo condusse alle sue stanze.
Fengel lo sentì sedersi, avicino alla porta della stanza. Si
disse che a suo modo doveva esser diventato un personaggio scomodo.
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Capitolo 6 *** Mortale ***
Arathorn
si svegliò presto. Dopo essersi guardato intorno si disse che
forne non aveva nemmeno dormito. Quelle diavolerie elfiche lo avevano
messo davvero in agitazione. Ad ogni modo afferrò quel romanzo
con la copertina blu scura che aveva trovato nella biblioteca vicina
alle loro stanze, la più piccola del palazzo, e si mise a
leggere. Aveva saltato un lungo pezzo, verso l'inizio. Narrava di
questa donna bellissima, Leannel, e di come era iniziata la sua vita
e tutto il resto. Parlava anche di un'altra donna bellissima che era
la madre di Leannel, ovvero colei che le permetteva di combattere o
comunque di fare tutto ciò di cui avesse voglia. Era piuttosto
noioso. Ad Arathorn sembravano davvero noiose le cose felici e
tranquille. Era arrivato invece ad un punto in cui le cose si
facevano più interessanti. La madre era morta in circostanze
misteriose, o si era uccisa, e allora la donna elfo era diventata
solitaria, aggressiva e tutto il resto. Ora che ci pensava gli faceva
anche un po' pena. Era quella che aveva avuto la visione, per questo
gli interessava. Ma anche da lì aveva fatto un bel salto in
avanti ed era arrivato magicamente al capitolo riservato a Reimer il
maledetto.
Era
quindi quello un giorno di festa. Uno di quei giorni in cui Leannel
era solita rimanere chiusa nella solitudine delle sue stanze. Quella
volta non le fu concesso. La festa era in suo onore.
Non
era quello che cercava. Arathorn andò avanti.
Così
cavalcava da sola nella notte quando alle sue spallenotò una
strana presenza. Fengel, il suo cavallo nitrì e s'impennò.
Leannel lo fece correre più di quanto mai avesse corso. Ma
quando fu lontana abbastanza da quella presenza scura che tanto aveva
intimorito la sua pur nobile cavalcatura sentì una voce
provenire dalle verdi frasche, illuminate dalle luce della notte.
“Chi
sei?” Arathorn alzò la testa di scatto. Quella era la
frase. Nel buio qualcuno l'aveva citata con esattezza quasi
maniacale. Per quanto di maniacale potesse essere in tre parole.
Reimer era davanti a lui. Per poco non gridò. Reimer rideva.
“Come
diavolo hai fatto?” disse Arathorn
“Il
libro? L'ho scritto io” Arathorn lo fissò stupefatto.
Girò il libro. Era inconfutabile, sulla pelle tinta di blu
erano scritte in caratteri dorati 'di Reimer il meledetto'
“Tu?”
Arathorn sembrava spaventato. Reimer lo trovava quasi ridicolo. Più
che altro ora sembrava confuso. “Come hai fatto a entrare?”
Reimer rise ancora. Non rispose.
“Lo
hai scritto tu?”
Reimer
annuì “Si. Sono tutte cose che ho vissuto oppure altre
che ho scoperto”
“Come
sapevi il punto dov'ero arrivato”
“Gandalf
me lo ha detto più di una volta che questi miei scritti sono
coinvolgenti. Forse avrei dovuto fare qualcosa del genere invece che
andare in giro ad ammazzare orchi. Leggevi ad alta voce, Arathorn”
Arathorn
lo fissò, sempre più stupito. Si sentì
improvvisamente stupido. Poi alla mente gli venne una domanda
stupida.
“Perchè
'il maledetto'? Voglio dire, maledetto non lo sei più. Non è
più morto nessuno.”
Reimer
rise ancora. “Io sono sempre stato il maledetto”
“Si”
rispose Arathorn “Ma non è una cosa bella. Voglio dire
avresti potuto chiamarti Reimer il moro o chessoio”
“Il
moro?” Reimer rideva sempre di più. Molto tempo che non
rideva tanto.
“Chissà
perchè hai smesso di portare sfortuna..”
“Sei
sicuro di stare bene, Arathorn?”
“No,
dico davvero. Secondo te perchè?”
“Ho
trovato qualcuno di più maledetto di me”
Arathorn
non capiva.
“Faresti
meglio” continuò Reimer “A leggere tutte le parti”
così, sempre ridendo, L'elfo scuro si allontanò dalla
stanza di Arathorn.
Reimer
passeggiava tranquillamente. La notte era calata da molte ore e non
era preoccupato di trovare qualcuno. Ma si sbagliava. Senza quasi
rendersene conto gli arrivò un pugno in pieno viso.
“Lo
sai che hai combinato? Sciocco.”
“So,
cos'hai combinato tu, Elohir, ragazzo mio”
“Non
chiamarmi ragazzo. Avrei potuto essere ben più crudele”
“Ne
dubito. Ne dubito, davvero”
“In
ogni caso tu non hai idea del guio che hai combinato.”
Reimer
lanciò a Elohir un'occhiata interrogativa.
“Lei
dice che vuole tornare a Lorien.”
“Pensavo
avesse deciso di restare più a lungo”
“Anche
lei lo pensava. Fin quando non ha incontrato il tuo amico barbaro,
scusa, mortale”
“Nelle
ostre vene scorre il medesimo sangue”
“Non
ne hai le prove”
“Non
ne ho.. maledizione ha gli occhi di tuo padre! Anzi, ragazzo, ha i
tuoi occhi!”
“Rimane
il fatto che l'hai combinata grossa. Non so perchè mio padre
ti ama tanto, ma dopo questa non te la caverai tanto facilmente”
“Vuoi
dirmi che.. accidenti, quel vecchio mortale la sa davvero lunga”
“Non
complimentarti con te stesso!”
“D'accordo
state calmo vossignoria. Cosa devo fare per farmi perdonare da voi e
tutta la vostra nobile stirpe?”
Reimer
risultava davvero stupido quando lo desiderava.
“E'
stata qella donna a ridurti così?”
“Leannel?
Sai non ha un gran senso dello spirito”
“Già,
Leannel. Oppure Morien?”
“Tu
parli di cose che non conosci”
“Hai
ragione. Pienamente. Ma Leannel lo diceva sempre che eri un inetto.”
Elohir si voltò per andarsene “Sta' tranquillo l'ho
scoperto solo io. In ogni caso, direi che faresti meglio a parlarle.
È sempre stata molto propensa verso i mortali. Quasi mi
azzarderei a dire che la colpa è tua. Le sei sempre piaciuto.
Proprio per questo, le piacciono, forse. Si, parlale”
Reimer
sbuffò. Per lo meno era rimasto solo. Elohir stava diventando
troppo sagace. Non si era mai incontrato con Talmaye, ma se fosse mai
accaduto, avrebbero fatto scintille, insieme. Prensò che era
tardi e Arwen non avrebbe desiderato essere svegliata. Si disse che
le avrebbe parlato la mattina seguente. O quella dopo ancora. Poi gli
venne alla mente un particolare delle parole di Leannel. Maledizione.
Si era scordato, ma doveva riferirle delle cose importanti. Non
avrebbe potuto rimandare. Se se ne fosse scordato Leannel lo avrebbe
ucciso. Decise quindi di recarsi da dama Arwen la stella del vespro,
con la speranza di ottenere clemenza, sia dal signore di quelle terre
che da quella delle sue. Fece qualche passo. Non ne ho nessuna
voglia, si disse. Quindi tornò verso le sue stanze.
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Capitolo 7 *** Notte ***
Fengel
teneva la testa sulle coscie di una donna. Questa donna gli
accarezzava i capelli biondi. Si sentiva estremamente a suo agio,
come un bambino. Respirava lentamente quell'aria profumata di pesca.
Uno dei riccioli biondi della bella chioma di quella donna gli
caddero sul viso. Alzò gli occhi verso di lei. Aveva degli
occhi castani come non ne aveva mai visti. Nonostante continuasse a
sentirsi perfettamente a suo agio, il suo cuore prese a battere
forte.
“Che
cosa è successo, allora?” disse lei, con la ua voce
sottile.
“Non
lo so. Forse sono troppo stupido per capire, ma non lo so. So solo
che non ci sono più. Fastred era dannatamente in gamba,
maledizione!”
“Sta'
tranquillo” disse lei
“Voglio
dire. Era davvero forte. Non ce n'era nessuno meglio di lui. Voglio
dire. Era gemelli, lui e Folc. E nostro padre non sapeva a chi dare
il suo regno. E Fastr è arrivato, una mattina presto, mentre
facevamo colazione, e ha detto 'Come intellettuale non valgo nulla.
Sono nato per comandare eserciti. A me non interessa il tuo trono,
padre' Voglio dire. Era proprio così. A lui non importava di
nessuno, eppure gli importava di tutti. Lui lo sapeva che sarebbe
morto, maledizione. Lo sapevo anche io.” Fengel sentì
improvvisamente le sue guance bagnarsi di lacrime. “E nostro
padre era più stupito di me, quando lo ha detto. Folc era
diverso. Era davvero un genio. Era uno che parlava bene, pieno di
ragazze e tutto il resto. Uno che quando sei un bambino ti dici che
vuoi diventare come lui. Folc è davvero complesso, però.
Ora che ci penso forse sarei morto se fossi nato complesso come lui.
Ma a Folc piaceva davvero troppo nostro padre. Per questo mi piaceva
meno di Fastred. La sua perfezione era davvero stucchevole. Fastr,
non meritava di morire, no, non lo meritava. Ma io ho solo quindici
anni! Io non potevo fare nulla!”
“Com'è
successo?”
“Non
lo so bene. Quel soldato ha detto che Fastr era stato catturato e
l'avevano ucciso. Invece Folc è morto, trafitto da una
freccia. Di lui ci hanno portato anche la salma. Ma non di Fastred.”
“E
a te, Fengel, cosa è successo?”
“No
lo so. Sono triste immagino. Mi ricordo che quella notte feci una
cosa dannatamente stupida. Sono proprio un imbecille, quando mi ci
metto. Non cenai. D'altra parte non cenò proprio nessuno
quella sera. A me mangiare piace in modo ragionevole. Ma non mangiai
lo stesso. Faceva caldo. Mia madre vestita di nero. Mio padre
solitario e pensieroso. Tanta gente che parlava. Soldati, ministri.
Un sacco di gente. Mi sentii soffocare. Uscii. Non me n'ero accorto
ma la notte aveva abbracciato il palazzo d'oro. Mi guarai intorno.
Sotto il portico stava la salma bianca di mio fratello Fastred, con
un velo bianco a copriplo fino alle spalle. Aveva quei fiori bianchi
sparsi sul corpo. Quello mi fece arrabbiare. Cosa ne sapevano loro
che Fastred avrebbe voluto essere messo lì, dove tutti
avrebbero potuto vederlo? Cosa ne sapevano? Mi fece proprio
arrabbiare. Mi misi anche a piangere. Mi sentivo stupido, ma non ne
potevo fare a meno. Allora salii le scale strette. Erano scale di
legno ed erano davvero piccole e fitte. Avevo paura di cascare e
farmi male. Ero davvero un ragazzino. Poi arrivai. Ero sul tetto
d'oro del palazzo d'oro. Da là la luna sembrava ancora più
bella. C'era la luna piena. La fissai per qualche istante. I rese
ancora più triste. Allora allargai le braccia. Mi sarei
buttato di sotto. Aveva davvero intenzione di farlo. Dico sul serio.
Ma so essere così imbecille che riesco anche a rovinare le
cose imbecilli che faccio. Mi misi a cantare. Non mi ricordo che
canzone fosse, ma me la cantavano quando ero piccolo. Sono davvero un
idiota. E dovevo cantare davvero forte. Mi sentirono tutti quanti.
Mia madre uscì per prima dal palazzo. Gridò e si gettò
a terra. Tuti la seguirono. Tra gli ultimi, mio padre con la sua
bella barba bionda. Ricordo che mi fissava severo, con gli occhi
pieni di lacrime. La mamma gridava. Pensavo di buttarmi. Ma non con
tutta quella gente. E poi pensai che se mi fossi buttato, mio padre
non avrebbe parlato più, e mia madre non avrebbe mai smesso di
piangere. Lo pensavo davvero, che sarei morto, ma non lo feci. Provi
un senso di ripugno per tutti quelli là sotto. Poi, invece lo
provai per me stesso. Andai verso la scala di legno. Scesi. Mia madre
mi abbracciò. Ricordo che mio padre non mi rivolse la parola.
Forse pensava che ero pazzo o qualcosa di simile. Mia madre mi
abbracciò, invece. Mi disse delle parole strane. Mi disse che
era fiera di me. Che ero stato altruista. A non buttarmi, penso. Lei
non lo fu. I medici dissero che era stata la sua costituzione
cagionevole. Ma si è uccisa, ne sono certo. Mia madre non
magiava più, non usciva di casa, non parlava più. Si è
consumata, ripiegata su se stessa e accartocciata, come della carta
tra le fiamme. E come la carta, è scomparsa. La capivo.
Folcred era stato mia madre, mio padre. E forse anche io ero mio
fratello, per lo meno in parte. Mio padre penso non l'abbia
perdonata. Da quel tempo io e mio padre non ci vediamo mai. Non mi
piace, la mia, la sua vita. Non voglio regnare.”
La
donna sospirò e sorrise.
“Io
non merito di vivere. Per lo meno non quanto lo meritassero i miei
fratelli”
Fengel
la guardò negli occhi. Poi la donna, col suo profumo di pesca,
scomparve.
Si
svegliò. Aveva freddo. La finestra era aperta. Il mal di testa
era passato, per lo più. Si chiese se lo avrebbero rimandato a
casa. Non ne aveva voglia. Stava bene, dopotutto, in quel posto pieno
di elfi. Si alzò. La porta che dava sul giardinetto era
aperta. Reimer, seduto sull'erba, si voltò verso di lui e
sorrise. Fengel non capiva.
“Non
trovavo la mia stanza” rispose Reimer. Fengel sorrise.
Arathorn
aveva divorato quel romanzo in una sola notte. Non tanto perchè
gli interessasse, quanto erpchè voleva dimostrare a Reimer di
esserne capace. Aveva letto tanto che gli facevano male gli occhi, e
anche la cicatrice. Sospirò. Se ne sarebbero andati quello
stesso giorno. La cosa non sarebbe piaciuta a Fengel. Sarebbe rimasto
ovunque, purchè fosse lontano da casa sua. Probabilmente gli
avrebbe chiesto di andare al nord con lui. Senza dubbio, se fosse
accaduto, gli avrebbe risposto di no. Quel ragazzino era in ogni caso
un re. Era un Re, anche se ad Arathorn non riusciva di immaginarlo
con la corona sui capelli dorati. Né come un buon sovrano. Ad
ogni modo la parte più difficile sarebbe stata convincere il
ragazzo. Si alzò e cambiò d'abito. Preparò le
borse di pelle riempiendole della poca roba che si era portato
dietro, e che in effetti possedeva. Si chiese se avrebbe avuto il
tempo di accompagnare il ragazzo a casa. Si rispose di no.
Maledizione, si disse. Presa in spalla la sacca aprì la porta.
Con sua sorpresa notò un vecchio fuori dalla porta.
Sgranocchiava caramelle.
“Ne
vuoi una?” disse. Era Gandalf. Il vecchio con l'aria simpatica
ma non troppo, che era stato con loro e quegli elfi nella stanzetta.
“Sto cercando di smettere con quell'erba pipa”
Arathorn
alzò il sopracciglio. Non aveva mai sentito nominare niente
con quel nome assurdo. Erba pipa. Quel vecchio era davvero
bizzarro.
“Voi”
chiese Arathorn “voi che ci fate qui?”
“Caro
ragazzo” rispose “devi darmi un permesso”
“Di
cosa parli?” senza accorgersene Arathorn si era comportato in
maniera piuttosto ostile. Forse solamente perchè era
arrabbiato. Non sapeva nemmeno lui con chi o perchè.
“Sta'
tranquillo, ragazzo” il vecchio sorrise. “Voglio solo che
tu mi dia il permesso di mentire a tuo figlio”
“Mentire?
Ci sono diversi modi di mentire, vecchio”
Gandalf
orrise di nuovo.
“Pensi
davvero che mentirei per il suo male?”
“E
voi tutti davvero credete così poco in me, nel mio sangue?
Davvero non credete che io possa vivere abbastanza a lungo da poter
mentire io stesso a mio figlio?”
“Incredibile.
Non vi fidate di un vecchietto grazioso come me?”
“Non
mi fiderei nemmeno di mio padre se tornasse in vita e mi parlasse”
“Oh,
voi siete troppo teso, amico mio. Avevate forse intenzione di
andarvene senza avvertire nessuno?” Gandalf rise più
forte. Arathorn lo fissò. in quel momento lo odiava. Gli diede
le spalle e continuò per la sua strada.
Corse
quasi. Non era nelle sue intenzioni. Non avrebbe sopravvissuto ancora
a lungo tra quelle mura. Bussò forte alla sua porta.
“Muoviti,
Fen!” disse. In un istante fu soffocato da qualcosa di più
denso delle lacrime. Doveva andarsene. Adesso.
“Cosa?
Arrivo” rispose Fengel attraverso la porta.
Arathorn
attese ancora per qualche secondo. Si sedette. Avrebbe quasi pianto.
Si sentiva davvero soffocare. Il solo pensiero di dover convincere
Fengel ad andarsene lo orripilava. Per qualche istante pensò
di fuggire, senza nemmeno salutarlo. No, si disse, non avrebbe potuto
fare qualcosa del genere.
Dopo
qualche interminabile minuto, infatti, Fengel fu alla porta. Ma c'era
qualcosa che Arathorn non si aspettava. Fengel portava al collo la
sua borsa di pelle.
“Tra
quanto partiamo?” disse. Arathorn si sentì stupito. Solo
dopo qualche istante riuscì a sentirsi sollevato.
“Come..?”
mormorò.
“Lo
ha detto Reimer”
“Reimer?”
“Si,
ha detto che viene con noi”
“Con
noi?”
“Devi
ripetere tutto quello che dico, Arathorn?”
“Si”
disse Reimer, dietro le spalle sottili di Fengel “vi accompagno
a sud”
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