Rebel

di DestinyMaryHope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Different ***
Capitolo 2: *** Lost ***



Capitolo 1
*** Different ***


~~                                              CAPITOLO 1

                  Different

Jo guardava fuori dalla finestra pensando al futuro. Non aveva idea di ciò che sarebbe successo a suo nonno, che da quel che ricordava era malato da tempo immemorabile, se sarebbe riuscito a sopravvivere al cancro che era tornato ormai da qualche mese, o se invece si sarebbe spento lasciando lei sola con il mondo. Osservava le poche stelle visibili nel cielo di quella notte: brillavano a malapena, tendevano a spegnersi a mano a mano che le si guardava, come se si vergognassero di mostrarsi. Odiava quando era così. Non sapeva cosa fare nelle sere di fine agosto, quindi tanto valeva mettersi ad osservare il cielo. Ma non ne valeva la pena. Davanti ai suoi occhi si apriva un’immensa distesa nera, senza una luce, senza niente. L’oblio. Il vuoto di cui aveva tanto paura, quella sensazione di cadere mentre ci si è appena addormentati. La morte. La solitudine. Non aveva nessuno con cui sfogarsi, nessuno che rimaneva pomeriggi interi ad ascoltarla, nessuno con cui parlare al telefono per ore o con cui uscire il sabato pomeriggio. Syria, la sua migliore amica, si era dovuta trasferire, sotto dittatura del padre, dall’altra parte del paese, perché lui doveva tenere sotto controllo una delle sue innumerevoli fabbriche di imballaggi per mobili. I genitori di Jo non avevano la minima intenzione di trasferirsi in un’altra città, perché secondo il loro pensiero di vita, il suolo natio non si molla per accontentare i desideri di una quindicenne sfacciata e maleducata, che poi erano stati loro ad educarla, neanche si fosse educata da sola. Jo, il cui vero nome era Josephine Alyssa Rosaline FreeFall, prendeva nome dalla sua bisnonna materna, e anche solo da questo piccolo particolare si poteva intuire come era fatta la famiglia di sua madre. Un gruppo di spocchiosi e saccenti moralisti che se avessero potuto avrebbero condannato ogni singola persona si fosse azzardata a mangiare la pizza con le mani. Perché il cervello diceva loro che la pizza andava tagliata prima in quattro parti perfettamente uguali e poi in sottilissime striscioline imbevute di pomodoro e mozzarella e solo allora si poteva mangiare la pizza senza posate, ma ovviamente non a mani nude, ma con un tovagliolo rigorosamente di seta, con le iniziali della famiglia sull’angolo basso a sinistra. SW, che stava per SeaWhite. Mare bianco, un cognome troppo bello, secondo Jo, per una famiglia come quella di sua madre. Quando si pensa al mare, si pensa alla libertà, alla natura selvaggia, alle onde che si infrangono sugli scogli sempre più forte, sempre più forte finchè non si stancano. E che libertà ti poteva offrire una famiglia in cui il gesto massimo ribelle che potevi fare era rientrare alle sette di sabato sera?
Non che la famiglia FreeFall fosse meglio. Se i SeaWhite erano dei saccenti moralisti, i FreeFall erano dei cretini. Stupidi e incoscienti, non pensavano mai alle conseguenze delle loro azioni, prima di agire. Non avevano la minima intenzione di mettersi a studiare o di imparare qualcosa, perché a loro quel qualcosa non serviva. La cosa importante erano i giochi d’azzardo. Passavano ore se non giornate intere nelle slot machine a perdere tanti di quei soldi che solo a pensare a come avrebbero potuto sfruttarli in cause umanitarie, a Jo veniva voglia di buttare il vaso di zia Vienna di sotto dal balcone del quinto piano. E la strana era lei. Jo. Che essendo semplicemente se stessa, commetteva un reato. I suoi cugini la odiavano perché o era troppo ignorante, o era troppo santarellina per i loro gusti. I suoi zii, perché i loro figli non erano paragonabili a lei. Troppo stupidi. Troppo grassi. Troppo tutto. Jo, che aveva sempre avuto la media dell’ottimo a scuola semplicemente perché capiva le cose al volo, senza doversele ripetere cento volte. Jo, che con il suo fisico snello ma con le curve ai punti giusti, con i suoi capelli lisci color miele e gli occhi grandi e scuri, era sempre stata presa di mira da quasi ogni essere vivente in quanto sognatrice. Perché non si poteva di certo sognare, in un mondo in cui non era permesso vivere.
Jo guardava le stelle tremare e scomparire e sospirava tra sé pensando se un giorno avesse lasciato quella casa, quella cameretta lilla che odiava tanto, piena di ricordi e di urli buttati al vento, di porte sbattute e di fazzoletti intrisi di muco e lacrime. L’unica cosa che tanto amava erano i suoi libri: sulla mensola sopra il suo letto, su quella maledetta mensola su cui aveva sbattuto la testa tante di quelle volte, c’erano i suoi libri preferiti, dai grandi classici al fantasy che amava tanto, che la trasportava in mondi sconosciuti e abitati da gente come lei, e da ragazzi romantici e terribilmente carismatici, troppo perfetti per esistere davvero. Tante volte Jo aveva odiato i suoi scrittori preferiti per averla fatta sognare un po’ troppo e per averla illusa. Ma poi si era subito pentita e aveva chiesto mentalmente scusa a loro ovunque essi fossero.
Pensando e pensando, la ragazza si addormentò: telefono sul comodino, libro aperto, e gambe penzoloni dal letto.

Il mattino seguente il cielo coperto prometteva pioggia, e non era neanche così tanto caldo per essere fine agosto. Ovviamente, il signore e la signora FreeFall non erano in casa, così Jo ne approfittò per uscire e trovare un posto nuovo in cui riflettere: la sua cameretta aveva stufato.

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Capitolo 2
*** Lost ***


 Lost
                                           

L’albero si ergeva maestoso ed imponente, quasi spaventoso, davanti agli occhi di chi lo guardava. Ma non davanti a quelli di Jo. Erano talmente tanti anni, talmente tanto tempo che “conosceva” quell’albero da farglielo apparire familiare: i rami come braccia spalancate ad accogliere chiunque avesse voglia, o semplicemente bisogno. La chioma, che in quel periodo tendeva al giallino, nascondeva tanti di quei nidi di uccelli che contarli sarebbe risultato impossibile perfino ad un matematico. Le  grandi radici spuntavano dal sottosuolo, facendo inciampare qualvolta qualche bambino venuto a giocare ai suoi piedi. Anche dopo così tanti anni, Jo non aveva la più pallida idea di che albero fosse. Non era molto diffuso dalle sue parti, infatti quello era l’unico esemplare che avesse mai visto. Poteva tranquillamente escludere l’ipotesi che fosse un pino o un abete, in quanto quest’ultimi siano alberi sempreverdi. Aveva escluso anche il faggio, perché la forme della sua chioma non era ovale, e la sua corteccia non era di certo liscia. Quell’albero era semplicemente l’Albero di Jo. E il ramo robusto e con un incavo all’estremità era il suo ramo preferito.  Per arrivarci, bisognava arrampicarsi su per il tronco, ed ogni volta che lo faceva, Jo ringraziava mentalmente il Cielo per aver creato un albero con così tanti appigli. Un piede sulla protuberanza a destra, una mano sul ramo a sinistra, e così via. In genere riusciva a raggiungere il suo ramo nel giro di qualche minuto. Portava sempre con sé un quadernino dove scriveva poesie, o semplicemente appunti. Quel giorno, decise di esaminare una foglia giallina presa dall’estremità del ramo. “Foglia del mio albero a fine estate. Il colore sta cambiando. Questo vuol dire che il tempo sta cambiando. Sta arrivando l’autunno. Non voglio che arrivi l’autunno. Lo odio.” Non che Jo amasse molte cose. Le piaceva quando l’ultimo giorno di scuola tornava a casa e si rotolava nel prato. Quella sensazione di libertà che nessuno poteva toglierle. Quella libertà che nel giro di tre mesi sarebbe finita. Amava il suono del pianoforte. E lo scricchiolio del pane quando veniva spezzato. Amava il rumore del mare nelle conchiglie, e il profumo del basilico. L’odore dolce della vaniglia mischiata al cocco, quindi quello del suo profumo preferito, quello con la boccetta rossa, la faceva sentire sempre meglio. Amava il periodo natalizio, il profumo dei biscottini allo zenzero, le luci per le strade, la gente nei negozi. Odiava, invece, l’odore forte e pungente del geranio, che da piccola le aveva fatto venire un’intossicazione. Odiava le ragazze che si credevano chissà chi, che alla sua età andavano già per festini vestite come poco di buono e con dei tacchi da capogiro. Odiava la pioggia in estate, l’odore dell’asfalto bollente ma bagnato che si respira quando si esce di casa. Odiava i circhi e i clown, che fin da piccola le avevano messo sempre un po’ di paura.  Non sopportava i suoi compagni di classe, che da sempre la prendevano in giro, né tantomeno i professori che non avevano mai fatto niente per aiutarla. Ma amava i negozi che vendevano i vestiti che piacevano a lei, comodi ma allo stesso tempo moderni. Ma soprattutto amava starsene lì, sul ramo dell’albero, a guardare il cielo che, anche se coperto di nuvole, la faceva viaggiare per mondi selvaggi e inesplorati, per le grandi metropoli come la New York che tanto le piaceva, per il misterioso deserto del Sahara che tanto la interessava. Potevano passare le ore, i giorni, ma fosse stato per Jo, sarebbe rimasta su quell’albero. Girando la testa di lato, si potevano scorgere le fessure in cui la ragazza aveva riposto con molta cura alcuni bigliettini. Certi avevano più di qualche anno e lo si poteva notare dalla scrittura dritta e infantile della bambina che era stata Jo. Erano stati nascosti talmente bene, da non farli rovinare con le intemperie. Si trovavano in alcuni fori piuttosto profondi, ma troppo stretti per far da tana agli uccelli. Jo, che non riusciva più a fare entrare la mano nella fessura, tentò di prendere i biglietti con un bastoncino di legno, ma invano. Allora, stando sempre attenta a dove mettere i piedi, corse in casa a cercare una torcia, così avrebbe potuto andare sul sicuro su dove prendere i biglietti. Quando la serratura scattò, Jo si diresse, con passo veloce, verso la sua camera. Aprì il cassetto del comodino e ne estrasse la torcia blu.
Riscese in cortile e si arrampicò nuovamente sull’albero, sedendosi comoda sul suo ramo e ispezionando con molta cura le fessure che ospitavano i suoi bigliettini, i suoi sogni. Su quei biglietti c’erano scritti i suoi pensieri, le sue paure, i suoi desideri. Quello che pensava della sua famiglia, quello che le piaceva e quello di cui si vergognava. Quello che nessuno sapeva di lei, e che mai avrebbe saputo, perché il suo amico albero era un ottimo rifugio e di certo non avrebbe mai riferito a nessuno suoi segreti. 
Illuminò la parte destra della fessura, ma non c’era niente se non foglie secche. Poi passò alla sinistra. Era praticamente certa di trovare dei foglietti accartocciati qua e là, ma ci rimane piuttosto male quando al loro posto trovò una famigliola di bruchi che dormiva beatamente. 
Rientrò in casa, con l’umore sotto le scarpe. Il vento, che per anni non aveva fatto alcun danno ai suoi biglietti, glieli aveva portati via per sempre. I suoi sogni e le sue paure ora erano chissà dove. 
-Dove vai, tesoro?  La signora FreeFall, che aveva appena accompagnato il marito al lavoro e che ora si pettinava i boccoli rossi, spruzzando lacca un po’ ovunque, era una donna di mezza età, capelli tinti color del fuoco e occhi grandi e blu. Jo non sapeva quale fosse il colore naturale della sua chioma, in quanto in quindici anni di vita, aveva visto la madre con decine e decine di colorazioni diverse. Quel giorno, indossava un tailleur color ciclamino, bordato da pizzo san gallo turchese, e delle scarpe, anche esse sui toni del celeste, con un tacco a sfiletto di dieci centimetri circa, che faceva sembrare la donna ancora più alta e magra di quello che era. Il viso scarnito la faceva apparire un po’ più vecchia della sua vera età, ma lei faceva di tutto per sembrare una ragazza giovane dei tempi del liceo. Usava creme su creme, tutte effetto lifting e rimodellanti, per riempire le rughe che tempestavano il suo viso. Jo non si riusciva a spiegare il perché di quel gesto; per lei essere arrivata a cinquant’anni era un traguardo, e se fosse stata al posto della madre, avrebbe mostrato fieramente le sue imperfezioni.  
 –Mamma, ti prego, non riempirti di quella cosa arancione in faccia, che sembri una zucca di Halloween- esclamò la ragazza.  –Tanto lo sai meglio di me che non ti fa un bel niente.
-Almeno provo a migliorare. E poi Lauren mi aveva detto che avrebbe funzionato…
-MAMMA! Per la centesima volta, chi è Lauren?
-La mia amica…
-E che lavoro fa?
-La farmacista.
-E tu dove l’hai comprata quella “crema miracolosa”?
-Nella farmacia di Lauren…
-E quindi? Dio santo, arrivaci una volta per tutte!
La signora FreeFall ci pensò su un attimo. Poi i suoi occhi si illuminarono e fece un saltino in avanti, spaventando seriamente Jo, e urlò:- LAUREN MI HA INGANNATA! VOLEVA SOLO FARE SOLDI!
La figlia tirò un sospiro di sollievo e roteò gli occhi all’insù, poi si diresse verso la sua camera e si buttò sul letto. Prese il libro sul comodino, che in quel caso era Cime Tempestose, e cominciò a leggere. 

“Talvolta ci facciamo prendere dalla compassione per creature incapaci di provare sentimenti sia per se stessi che per altri…”
E leggendo quelle parole, chiuse gli occhi, e sognò.

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