Lo spettro di me stessa.

di kike919
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strana normalità. ***
Capitolo 2: *** Il confine labile. ***
Capitolo 3: *** Fiume in piena. ***
Capitolo 4: *** La paura. ***



Capitolo 1
*** Strana normalità. ***


Fosco era al frutteto; stava distrattamente raccogliendo i mirtilli. Glieli aveva chiesti Aurora, perché si era messa in testa che avrebbe imparato a preparare una torta. Nessuno aveva avuto il coraggio di dirle che era una catastrofe in cucina. Da sempre.
Prima aveva avvelenato un principe loro amico; poi era stata la volta di Filippo, vittima sacrificale per eccellenza. Infine aveva esteso i suoi doni culinari persino alle creature della Brughiera: facevano sempre finta di mangiare, per poi nascondere il misfatto nel luogo più impensabile. Una lista catastrofica di crostini troppo dolci, dolci troppo salati, sapori impensabili fusi a fantasia in mix letali. Suo marito una volte le disse scherzando, che aveva ripreso il dono della cucina dalle tre fate madrine: lei per due giorni non gli rivolse più la parola.
Credo fu da quel giorno in poi, che fioccarono complimenti che definire fantasiosi sarebbe un eufemismo. Li definirei più “fantascientifici”.
Avrei voluto urlargli da lontano: “Ma ancora le dai retta?”, eppure restai incantata ad osservare i movimenti fluidi e felpati del suo braccio. Quel gesto leggero e impercettibile che fa la brezza autunnale quando ti accarezza i capelli. Non mi ero mai accorta che i corvi avessero così tanta grazia. Li vedi così: lugubri, neri, all'apparenza senza gioia. Invece hanno l'eleganza di una danza senza tempo. Di un volo senza limiti.

Restai imbambolata ancora per un po', quando si voltò proprio verso di me, con un sorriso fulminante che mi tolse la parola.

-Tutto bene, mia signora?

-Certo che va bene.

-Io invece ti vedo strana.

-Io sono sempre strana. È questa la mia normalità.

Cessò di pensare ai mirtilli. Cominciò a percorrere a ritmo lento quei sei passi che ci separavano.

-Invece stai pensando a qualcosa di diverso dal solito.

-Perché hai smesso di raccogliere?

-Basta che tu me lo chieda e tornerò a farlo.

-Sei un corvo libero: ora puoi fare quello che vuoi.

Era troppo vicino. Sentii martellare il mio cuore nell'orecchio in maniera così pazza, da non udire più le sue parole. Mi ravviò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e lo fissai gelida. Arrossì in maniera spaventosa e indietreggiò, come se gli avessi dato la scossa.

-Mia signora, puoi dirmi quello che vuoi. Ascolterò senza dir niente, se necessario. Semplicemente mi disturba vederti star male: non riesci a nasconderlo.

-Invece sì!
Mi scappò in modo infantile; Fosco scosse la testa perplesso e riprese il suo lavoro. Bisbigliò qualcosa a voce troppo bassa, che suonò come “Farei di tutto per vederti sorridere”. Forse sperava di non essere sentito, ma mi fece piacere.  

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Capitolo 2
*** Il confine labile. ***


Lo amavo. Amavo i suoi modi d'altri tempi; amavo il suo prevenire sempre i miei bisogni; amavo i sorrisi, il naso strano. Lo amavo come se non avessi mai amato in vita mia.
Ingenuamente, come Aurora con Filippo.
Già, Filippo. Non l'aveva neanche svegliata col bacio del vero amore...ma forse non avrei dovuto minacciarlo così, povero ragazzo. Non facevo seriamente, quando dicevo che lo avrei trasformato in un topo, se si fosse comportato male. Fa niente. Il fine giustifica i mezzi e tra loro per ora va tutto bene. È quello che conta.
Forse non l'ha svegliata lui perché si conoscevano da poco, perché sono troppo piccoli. Perché non si è svegliata? Perché?
Perché il vero amore non esiste mai?
Ci avevo sperato davvero. Ci avevo creduto, per uno stupido istante, che due giovani cuori potessero salvarsi a vicenda dall'odio del mondo.
Se non ci fossi stata io, Aurora sarebbe rimasta così.
No, un attimo: se non ci fossi stata io, Aurora non avrebbe avuto quel problema. Ma poi l'ho svegliata. Il confine tra amore e dolore è davvero così labile?
Amare qualcuno è necessariamente un tuffo in un lago nero, ghiacciato?
-Ti amo.
Mi scappò, soffocato.
-Che hai detto?
Era troppo lontano.
-Niente, Fosco. T'immagini le cose. Sei un po' troppo fantasioso quando ti ci metti.
-Chi non sogna non vola. A proposito: con le ali come va?
-Sempre meglio, grazie.
Sorridemmo entrambi, piuttosto imbarazzati.
Mi voltai e andai in una direzione qualsiasi, pur di fuggire a quel senso di nausea alla bocca dello stomaco.
Non avrei dovuto permetterlo. Non avrei dovuto concederglielo.
Non avrebbe mai dovuto farsi spazio così, abbattendo le mie difese con le sue maniere. Non era giusto approfittarsi così della mia debolezza. Volevo solo un amico, non un uomo per me... e stava rovinando tutto. C'erano dei limiti e lui non doveva superarli. Era giusto così.
Perché poi fidarsi di nuovo? Perdersi nello sguardo di qualcuno senza trovarsi più, non lo autorizza a divorarti viva. A rinchiuderti nella sua gabbia mortale. Avere le palpitazioni non significa niente.
Non significa che puoi abbandonarti a qualcuno.
I muri sono troppo alti da abbattere, quando non ci sono spiragli. Amare è troppo doloroso e macchia l'anima.
L'amore rende crudeli.
L'amore ci rende le bestie che non avremmo mai voluto essere.
Avrei voluto baciarlo, tenergli le mani e affondare nei suoi occhi d'oblio, nella sua pelle. Ma non mi sarei addormentata. Se mi avesse strappato di nuovo le ali?
Non è facile essere una donna ferita dalla cattiveria altrui. Non è facile restare bloccati nelle proprie trappole fino a non riuscirsi più a guardare allo specchio. Odiare e odiarsi fuori misura.
Sono stata troppo ingenua in passato. Non avrei potuto mai permettermi di nuovo quell'errore.
Solo a pensare a un legame più stretto con lui, mi sentivo affogare: l'acqua alla gola. Ogni volta che decidevo di andare oltre, appariva il volto di Stefano sorridermi ingenuo, lacerandomi l'anima.
Ho provato a ricucirla, ma è fissata male.
Dopo infiniti anni sono ancora evanescente. Sono ancora lo spettro di me stessa.
Perché una donna ferita... una persona ferita, si deforma sotto i colpi di chi amava. Si frantuma come un bicchiere scheggiato, sotto le risate di chi la schernisce. Sotto lo sguardo impassibile, disgustato di chi diceva di provare qualcosa.
Ma come si fa a provare qualcosa e poi affondare completamente un'amica, neanche fosse un'estranea? Come si fa ad essere proprio quelli che sferrano il colpo letale, nel sonno?

Avevo ripreso le mie ali, ma non avrei volato più.
Tutta la mia vita si era ridotta a scappare, ma non volevo cedere la mia fiducia a nessuno.

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Capitolo 3
*** Fiume in piena. ***


Il mondo era privo di pietà, ma anche io non scherzavo affatto.
Ero nella mia stanza e cercavo di dormire: l'insonnia mi aveva ridotta uno straccio, ma per riposare davvero dovevo avere il deserto intorno.
Cominciai, dopo ore, a percepire nettamente i nervi rilassarsi, la bocca impastarsi, lo sguardo farsi poco vigile e piano piano l'affievolirsi della visuale. Stavo sfumando verso ciò che tanto mi terrorizzava...e non sapevo porvi rimedio.
Almeno così credevo.
Qualcuno si trascinava per i corridoi con cadenza leggera e precisa. Si arrestò esitante dietro la porta, mentre percepii nettamente il panico montarmi dentro e galoppare tra un respiro e l'altro.
Feci fatica a sembrare serena, quando la maniglia scivolò verso il basso con annesso scricchiolio. In effetti no, non riuscii a sembrarlo. Neanche un po'.
-Chi è?
-Sono io, mia signora. Sei sveglia ancora?
-Certo che sono sveglia; come dovrei essere?
Replicai con ferma acidità.
-Dovresti dormire. Nel senso che ecco, ti vedevo parecchio stanca.
-Dormirò quando ne avrò voglia. Ora te ne vai, per favore?
Non disse niente. Si limitò semplicemente a fissarmi con quello sguardo fatto di silenzio. Due carboni che bruciavano, che non riuscivo a sostenere. Quella sospensione mi mandò più in panico nell'irruzione a sorpresa nella stanza. Infine decise di non farsi condizionare dal mio comportamento. Come sempre cercò di scavare; di cercare ciò che nascondevo gelosamente. La parte che non avrei mostrato a nessuno.
Il viso calmo, all'apparenza sereno, tradiva una ruga verticale all'altezza della fronte. Lo rendeva più lugubre del previsto. Quasi oscuro da farmi paura.
Si sedette sul bordo del letto. Gli feci spazio in modo svogliato. Speravo che stesse scomodo e sparisse al più presto.
-Ero solo molto preoccupato per te. Vorrei solo sapere cosa ti succede, per poter fare qualcosa. Nulla di più.
-Non ho bisogno della tua protezione: sono la fata più potente della Brughiera. Ricordi?
Alzò un sopracciglio.
-Non mi riferisco a quel tipo di protezione.
-Non capisco dove vuoi arrivare...
-A volte mi manca essere il tuo servitore; le tue ali. Ora non hai più bisogno di me.
Scattai poco all'indietro alla parola “ali”, pregai in cuor mio che non se ne fosse accorto.
Il mondo si faceva pesante. Il sonno mi ghermiva in parte. E con esso i nervi.
-Possiamo parlarne un'altra volta? Adesso sono stanca... va'!
Il corvo sparì in fretta, anche se una parte di me morì per quell'allontanamento.
Se avessi potuto dividermi, una metà l'avrebbe supplicato in ginocchio di restare e accarezzarmi fino al risveglio.
Non riuscivo ad esternare quel marasma di sensazioni contrastanti. Sarebbe stato da ingrata spiegargli che non mi fidavo né di lui né di nessuno.

Crollai esausta, affogando tra le stesse lacrime che non sapevo gestire più. Mi rovinarono la faccia come un fiume in piena, inzuppando il cuscino che divenne la mia ampolla di risentimento e dolore.

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Capitolo 4
*** La paura. ***


-Sei rimasto qui..
Esclamai sorpresa, facendo capolino nel salone. Le mie insicurezze mi avevano già convinta che non l'avrei trovato al risveglio. Nella migliore delle ipotesi.
Era complicato.
Ad ogni mio riposo, fino a due giorni prima, l'avevo sempre trasformato in corvo precedentemente. Andava così bene, ma poi Fosco era cambiato: mi aveva chiesto di non farlo più, finché non ce ne fosse stato davvero bisogno. Da lì ebbe inizio questa sconfinata sofferenza.
Infatti era da due giorni che non riuscivo a chiudere occhio all'idea che avrebbe potuto farmi del male da un momento all'altro. E che avrei potuto accorgermene quando sarebbe stato troppo tardi.
Ma era libero e l'avevo promesso: cos'altro avrei dovuto fare?
Il suo atteggiamento si era fatto più aperto, solare e fu proprio ciò che mi mise più in guardia. Come se tramasse qualcosa. Come se dovesse cadermi un'incudine in testa da un momento all'altro.
Prima d'imbrogliarti, gli uomini sono troppo gentili.
-Io sono sempre stato qui.
-Sei troppo allegro.
-Sono semplicemente felice.
-Già...
Si grattò la punta del naso, infastidito, ma mantenne una calma innaturale. Mi fece il gesto di sedermi a terra, a fianco a lui. Non so perché gli diedi retta.
-C'è un problema.
Insistette Fosco allarmato, con le mani in tasca.
-No.
Bofonchiai.
-Sì, lo so che c'è un problema.
-Perché dovrebbe esserci un problema?
-Appunto: non vedo motivi. Però c'è un problema.
-E tu che ne sai?
-Ti guardo. Ti guardo e vedo un viso angosciato; il tuo collo rigido, la mascella serrata, gli occhi che fissano il vuoto. Tu mi nascondi qualcosa. Vorrei solo...
E così dicendo cercò di cingermi, sfiorando accidentalmente l'ala. Il contatto mi fece scattare via. Ancora. Questa volta fu davvero una fuga palese.
Il senso di colpa si fece sentire come una coltellata; tanto che divenni rossa paonazza e tornai sui miei passi.
Mi spogliò l'anima con un'occhiata.
-Era questo il problema? Le tue ali?
Sbuffò tra lo stupito e il deluso. Non sapevo che rispondere: il cuore urlava che ero al sicuro con lui; la testa seguitava col solito pensiero.
Non si conosce mai una persona fino in fondo. Non puoi sapere come e quando ti farà del male. È imprevedibile l'attimo opportuno in cui ti affonderà senza scrupoli.
Mi limitai ad annuire, vergognandomi delle mie stesse paure.
-Bastava dirlo.
-E che avresti risposto?
-Un uomo che ruba le ali a una donna pur di volare, otterrà solo strumenti che non sa usare... e poi, se permetti, sei così terribile nella vendetta, che un malintenzionato desisterebbe ancor prima di provarci. Io, perlomeno mi spaventerei.
Le mie labbra s'incrinarono in un rosso sorriso e il cuore si scaldò di una vampata immensa. Sensazioni dimenticate da tempo, sepolte da valanghe di ferite.
-Sono così terribile?
Esclamai divertita.
-Oh, non immagini quanto.
Aggiunse, come se fosse la risposta più seria del mondo. Poi si rabbuiò. Leggevo smarrimento nel suo viso. O delusione?
Avevo paura: un terrore acuto, ma stavolta di perderlo per via delle mie incertezze.
-Malefica, ascoltami... davvero. Non ti ruberei mai le ali: ho rinunciato alle mie, pur di starti accanto per sempre...
Quelle sue due pietre scure m'ipnotizzarono: ero così in balia delle emozioni, da non capir più nulla.
Deglutì e cercò di trapassarmi con quello sguardo troppo sincero. Reso lucido da timide lacrime incerte. Perle malinconiche.
Sfilò lentamente la mano dalla tasca e si fece più vicino. Tanto da sentire il suo calore addosso.
-... e farò fuori chiunque cercherà di farti del male.
Rise nervosamente, ma poi tornò serio.
-Mia signora... vuoi tu, sposarmi?
Scoprì con le mani un anello trasparente. Puro come l'acqua, sgargiante come il sole.
Mi si strinse la gola.
E per fortuna che rispose prima il cuore, della testa.
Un timidissimo, sussurratissimo, sospiratissimo “sì”.















Questa l'ho fatta per ricordarmi di fidarmi ancora delle persone.
Non tutte cercheranno di strapparmi le ali.




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