Storie di adolescenti

di Lady_Mira
(/viewuser.php?uid=743925)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione ***
Capitolo 2: *** Applausi ***
Capitolo 3: *** Ammiratore segreto ***
Capitolo 4: *** Scienze motorie ***
Capitolo 5: *** All'uscita da scuola ***



Capitolo 1
*** Presentazione ***


Francesco

Non mi va di andare a scuola, non voglio trovarmi faccia a faccia con Paolo e i suoi scagnozzi. Non un'altra volta. Mi sono finto malato per tre giorni da quando mi hanno infilato la testa nel cesso. Era stato terribile. Soffocavo nell'acqua dello sciacquone, bevendola nel tentativo di respirare. E loro ridevano. RIDEVANO! Assurdo. Quando Paolo si è deciso a togliere la mano che, con la sua presa salda, mi impediva di alzare la testa, ero completamente fradicio. Loro se ne sono andati, e io sono scappato a casa con la testa ancora bagnata. E ora sono passati tre giorni, e sto qui, davanti allo specchio del bagno, che mamma si ostina a tenere troppo in alto così che io non riesco a vedere oltre il mio mento. Guardo i capelli castani spettinati, gli occhi nocciola dietro gli occhiali, le labbra sottili e il volto magro... cos'ho che non va? Sin dal primo giorno di scuola Paolo e la sua banda mi hanno preso di mira per una qualche strana ragione. E da allora, sempre. E' un incubo durato anni da cui non mi sono ancora risvegliato. E la parte peggiore è tenere tutto dentro. Non ho amici, chi vorrebbe mai essere amico di uno sfigato? E i miei genitori non devono assolutamente sapere nulla. Non voglio far preoccupare mia madre, sempre in ansia per ogni minima cosa, né voglio deludere mio padre, che desidera che io sia un campione, un vincente. Ma non è da vincenti essere sfigati. Perché non è solo Paolo a dirmi questo, ormai tutta la scuola mi conosce con questa nomea. E forse, è vero, sono uno sfigato. Mi infilo un maglioncino scuro sopra i jeans, mi metto le scarpe, saluto i miei, prendo il giubbotto ed esco. La scuola sta a dieci minuti a piedi da qui. La maggior parte dei miei compagni di classe abita in questa zona. Per fortuna, non Paolo, che vive in un quartiere piuttosto distante. Percorro il marciapiede pieno di erbacce stringendomi nel cappotto: siamo a fine gennaio e fa freddo. Cammino a passo veloce per riscaldarmi, e presto giungo davanti all'edificio: un enorme costruzione grigia e blu, meglio nota con il nome di "Scuola Leonardo Da Vinci". Tiro un bel respiro, ho paura. Paura di rivedere Paolo e i suoi compagni. Paura di essere chiamato per l'ennesima volta sfigato, e di essere trattato da tutti come tale. Mi faccio coraggio ed entro.

Letizia

L'arte dello scherzo, contrariamente a quanto può sembrare, è molto, molto complicata. La professoressa dice che se mi applicassi nello studio tanto quanto mi applico nel fare idiozie (lei le chiama così), sarei una studentessa modello. Peccato che non ha capito un tubo. Lo studio è noioso, lo scherzo divertente. E tanto basta per farmi scegliere tra i due lo scherzo. Dopo essermi vestita , metto in borsa i due cellulari, che mi serviranno per far ridere un po' la classe. Al pensiero, sorrido come farebbe un folletto maligno. Stupida! Possibile che io ancora nomino i folletti maligni? Quand'ero piccola, mamma mi diceva, per farmi andare a letto, che se non spegnevo subito la luce, i folletti maligni sarebbero venuti e mi avrebbero rapita. E la cosa dev'essermi rimasta, dal momento che li nomino ancora spesso. Oggi, ricordo, c'è motoria, e io mi sono dimenticata di mettermi la felpa: la cerco nel monte Everest di vestiti che sta sulla mia sedia, e finalmente la trovo: una felpa verdognola che mi accorgo esser sporca di salsa di pomodoro. "Accidenti" penso, mettendola a lavare nel cesto dei panni sporchi. E ora? Ci vado senza felpa. L'alternativa sarebbe mettersi quella rosa confetto che mi ha regalato nonna, e, come dice il detto " è meglio essere soli che male accompagnati". Credo valga anche per le felpe. Mi infilo un enorme cappotto che mi arriva poco sotto le ginocchia: con quello starò calda. "Mamma, papà, io esco" urlo sbattendomi la porta di casa alle spalle. Un momento. Ho dimenticato la borsa. Ribusso, e mi viene ad aprire una mamma impigiamata con i capelli rossi per aria. Abbiamo gli stessi capelli lisci e rossi, gli stessi occhi verdi e le stesse odiose lentiggini. Mi chiedo cosa diamine possa aver ereditato da papà. "Che c'è?" chiede assonnata. "La borsa! Ho dimenticato la borsa!" esclamo precipitandomi in camera. Ed eccola lì, la borsa arcobaleno, accasciata sul letto disfatto. La prendo, sfilando una seconda volta davanti all'orso impagliato che teniamo in corridoio: ce l'ha regalato la nonna, e mamma morirebbe piuttosto che buttare quel vecchio stupido orso che è più alto di lei. Esco di nuovo chiudendo la porta di casa, faccio tre passi verso la scuola e mi fermo. Rimango immobile per un momento, poi mi metto a frugare freneticamente dentro la borsa. Come pensavo. Ho dimenticato le chiavi. Mi giro, faccio altri tre passi e mi ritrovo a bussare di nuovo alla porta di casa. Mi apre la stessa mamma impigiamata e assonnata di prima. "Che vuoi, ora?" Ma io sono già entrata, diretta a passo sicuro verso la scrivania: le trovo sotto una valanga di fogli e le butto in borsa. Esco urlando un "Ciao" e, guardando l'orologio, mi accorgo di essere in ritardo.

Giulia

Le lezioni sono iniziate, mi sono sistemata al banco centrale, così mi possono guardare tutti senza espormi troppo con la prof. Cerco di sistemarmi i capelli nel modo più sensuale possibile, nel tentativo di attirare l'attenzione di qualche ragazzo. Non so se qualcuno abbia fatto caso a me, non posso girarmi perché sarebbe da sciocchi, ma spero proprio che quel gran bel figo di Giacomo mi abbia notata. Sorrido ripensando ai suoi magnifici occhi verdi e ai bellissimi capelli castani, ripensando alla fossette che gli si formano sulle guance quando sorride e ai capelli che si arricciano dietro la nuca. Quant'è carino! Dev'essere mio! "Valensi? Sei tra noi?" Devo essermi messa a pensare troppo intensamente a Giacomo, poiché la professoressa mi sta guardando come farebbe con un procione che si è mangiato la sua merenda. Ha l'aria arrabbiata, e molto. Sento risatine dietro alle mie spalle, risatine maschili. Cazzo. Ho fatto la figura dell'idiota. "Ehm, sì professoressa, presente!" dico, ricordandomi che ancora non ha fatto l'appello. E infatti ha davanti il registro. Dev'essere per quello che mi ha chiamata. La lezione di biologia comincia, e io dopo dieci minuti sto già delirando. La mia compagna di banco, nonché mia migliore amica, Sofia, mi dà una gomitata per farmi stare attenta. "Ma si può sapere che ti è preso oggi?" sussurra per non farsi sentire. Glielo scrivo su un biglietto "Hai visto Giacomo quant'è carino?" Lei legge il foglio e alza gli occhi al cielo. Non capisce. Lei è miss "I ragazzi sono tutti degli idioti meglio starne alla larga", ecco perché non potrà mai capire una miss "I ragazzi sono carissimi bisogna andarne subito a caccia" come me. In realtà, è un po' difficile andare a caccia di ragazzi quando in classe hai la più popolare della scuola: Giada Ferranti. Giada Ferranti è la creatura più bella, stronza e perfetta che abbia mai varcato la soglia di quest'edificio. Essere sua amica, significherebbe entrare tra le popolari. Ed entrare tra le popolari significherebbe frequentare Davide, che è l'essere maschile più carino che il mondo abbia mai conosciuto. Ecco perché voglio essere sua amica.

Giada

La prof di biologia biascica un sacco di cose senza senso che dovremo studiare per la prossima volta. Non capisce che tanto non gliene frega niente a nessuno. Qui dentro è un inferno. Quel tonto di Mirko continua a lanciarmi occhiate languide e a strizzarmi l'occhio per farmi capire che è interessato. Illuso. Solo perché una volta ci siamo baciati crede che a me importi qualcosa di lui. Matteo, affianco a me, mi ha messo una mano in vita e mi attira a sé. Se pretende che mi metta a limonare in classe si sbaglia di grosso. Nota per me: non sedersi mai vicino a un maschio a lezione. E' stressante. Alla prossima ora mi metto vicino a Vanessa, almeno lei non tenterà di baciarmi. Spero. Due banchi più in là, Giulia si sistema i capelli sperando che qualcuno la noti, è evidente. Nessuno si sistema i capelli mettendo così tanta cura nei movimenti se non per attirare l'attenzione dell'altro sesso. Ma tanto si sa che non se la fila nessuno. Bisognerebbe darle una lezione, è da un po' che mi sta sempre appiccicata e questo non mi piace. Due file più in là, Paolo lancia palline di carta allo sfigato. Sorrido mentre Francesco si gira e con la faccia rossa dice a Paolo di smetterla. Tanto si sa che Paolo non la smetterà mai. Dalla parte opposta, quella pazza di Letizia sta architettando qualcosa. Tiene due cellulari in mano, uno è il suo di certo, l'altro uno di quelli vecchi con la tastiera. Chissà cosa combinerà stavolta. Mi sta simpatica, quella ragazza, anche se non ci siamo mai parlate. Mi appoggio con la testa sulla spalla di Matteo per farlo contento, e lui, in effetti, sembra soddisfatto. Tanto alla prossima ora, giuro su chi vi pare, io lo liquido. A volte stressa essere popolari, ma è bello sapere tutto di tutti ed essere sempre al centro dell'attenzione. Anche se a volte è brutto che gli altri spettegolino su di te. Ma ci si fa l'abitudine.

Elena

Buio. Seduta sul freddo pavimento, piango. A volte anche quelli come me hanno bisogno di sfogarsi. Oggi non sono andata a scuola. Non ne avevo voglia. Troppi incubi stanotte. Gli occhi di Sara che mi fissano senza vedermi realmente. Il sangue sul marciapiede. Il freddo delle mani della mamma. Il volto pacifico della nonna che dorme. Le fiamme. Tutta la notte passata con queste immagini. Non c'è da meravigliarsi se ora piango. Fare la dura non è semplice, anche se indispensabile. Mi avvicino al letto e, a tentoni, frugo sotto al materasso. E infine lo trovo. Tiro fuori il pezzo di vetro e lo stringo forte tra le mani, cullandomi nel dolore e nell'umido del sangue.

A.S.
Angolo scrittrice

BUONGIORNO A TUTTI!
Se siete arrivati fin qui vuol dire che siete ancora vivi (più o meno) e che non vi siete addormentati del tutto.
Allora? Vi è piaciuto? Spero di si. Un commentino me lo lasciate? *occhioni dolci dolci da gatto degli stivali* Solo per capire cosa ne pensate e dove ho sbagliato (perché sicuramente qualcosa ho sbagliato)
GRAZIE A TUTTI! Bye

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Applausi ***


AVVISO
Questo capitolo contiene alcune parolacce, se vi danno fastidio ditemelo pure e dal prossimo non le inserisco più.
GRAZIE

Letizia

Finita l'ora di biologia entra in classe la professoressa di storia. Ghigno, proprio come fanno i famosi folletti. Quella prof è la mia vittima preferita. Noiosa, severa, e che non sta per niente allo scherzo. Ovvio che una così attira l'attenzione di quelle come me. Prima che lei arrivasse ho fissato con un bel po' di scotch il cellulare vecchio sotto la cattedra. Il mio cellulare, invece, lo tengo acceso in mano. La professoressa si siede davanti alla cattedra. Ormai ci siamo. "Buongiorno ragazzi" dice. Ci alziamo tutti in piedi in segno di rispetto. "Seduti" fa lei, e noi eseguiamo. "Aprite il libro a pagina 82" prosegue, ignara di ciò che sta per accadere. Chiamo il numero del cellulare vecchio. "Oggi studieremo il Rinascimento" Il cellulare compone il numero. "Il Rinascimento è un periodo artistico e culturale, che si sviluppò a partire da Firenze..." La professoressa si interrompe non appena si sente il suono di applausi, fischi, e grida che dicono "Brava" o "Bis". Ovvero, la suoneria del cellulare vecchio. Riattacco. "Bensi, c'entri qualcosa?" mi fa la professoressa infuriata. Ormai, dopo tre anni, ha capito che sono io a fare gli scherzi. "Iooo?! Certo che noo! Professoressa, come può pensare una cosa simile?" Intanto, tutta la classe comincia a ridere. Non rumorosamente, solo qualche risatina soffocata. "Attenta a ciò che combini, Bensi" mi avvisa, tornando alla cattedra. Io tiro fuori il mio cellulare, che prima avevo nascosto per prevenzione, e richiamo il numero. "Dunque, stavo dicendo, prima che Bensi interrompesse, che il Rinascimento nacque a Firenze, nella seconda metà del..." "Brava!!!" urla la suoneria. "BENSI!!" tuona la professoressa. "Fuori!" ordina, tra le risate dei compagni e gli applausi della suoneria. Riattacco, ed esco dall'aula portandomi dietro il cellulare. So già che prenderò una nota, l'ennesima, ma non importa. Appoggio l'orecchio alla porta e mi metto a origliare la lezione. Chiamo il numero."Dunque, il Rinascimento, per la terza volta, nacque a Firenze, e da lì si sviluppo in tutta Italia e, successiv..." Il suono di applausi si sente un'altra volta. Rido assieme a tutta la classe, allontanandomi dalla porta. La professoressa la apre. "Bensi! Smettila immediatamente!" "Ma non sono io!" esclamo con l'aria più innocente possibile.

Giada

La professoressa sta cercando di capire da dove viene il suono degli applausi. Ha minacciato Letizia di morte se non glielo dice immediatamente, ma lei non cede. Amo quella ragazza. Ci siamo messi tutti a ridere, anche perché la prof ancora non capisce da dove viene il suono e com'è possibile che funzioni anche quando Bensi non è in classe. Idiota. Non capisce mica che viene da sotto la cattedra. Beh, meglio così, almeno perderemo la lezione mentre la prof gira tutta la classe alla ricerca della fonte del suono. "Ehi, Matteo, potresti farmi copiare la traduzione di latino?" chiedo facendo gli occhi dolci. Funziona sempre. "Certamente" risponde infatti lui, staccandosi finalmente da me e girandosi verso lo zaino per prendere il quaderno. "Ecco a te" mi sorride.

Francesco

Letizia, ti odio. Finché la professoressa spiegava, oltre a qualche pallina di carta in testa andava tutto bene, ma adesso Paolo ha cominciato anche a prendermi in giro. "Francesco Tarazzo, ti puzza il cazzo" canta Paolo, mentre lui e i suoi amici ridono. Solo uno sfigato come me poteva avere un cognome che facesse rima con cazzo. Intanto la professoressa è andata dai bidelli per farsi aiutare a trovare il cellulare. Potrei dirle io che si trova sotto la sua scrivania, ma farei la figura del cocco del prof, ed è meglio non peggiorare la già tragica situazione. Forse dovrei ribattere. Penso al cognome di Paolo. Paolo Cenacei. Cosa potrei dire di offensivo che fa rima con Cenacei? Nulla. Lui sì che è fortunato. "Basta! Hai rotto!" urlo per l'ennesima volta. "Cos'ho rotto? Il tuo cazzo puzzolente?" mi fa canzonatorio. Giuro che gli spacco la faccia, non appena rimedierò un paio di braccia muscolose e sarò abbastanza alto da raggiungerlo. La faccia mi diventa rossa, la vista sfocata. Sto per piangere. Ma non posso, mi darebbero della femminuccia. Caccio indietro le lacrime e mi fingo interessato a ciò che c'è scritto sul libro di storia.

Giulia

Con l'aiuto dei bidelli la professoressa ha capito dove si trova la fonte del rumore. Guardo l'orologio. Ancora dieci minuti e suona la campanella, grazie a Letizia anche oggi abbiamo perso la lezione di storia. Menomale, odio questa materia. A che serve? Tanto la gente che studiamo è morta e sepolta, e le epoche sono passate da un pezzo. Sofia mi dà una gomitata, la seconda in due ore, brutto segno. "Giulia!" esclama, assestandomi una terza gomitata e riscuotendomi dai miei pensieri. "Si?" pigolo. "Li hai fatti i compiti di matematica?" "Ovvio" sospiro. Sofia è incorreggibile, tre anni di superiori e non ha mai aperto libro di matematica. Eppure, per una qualche strana ragione, riesce a mantenersi sulla media del sette. Tiro fuori gli esercizi e glieli cedo, e lei comincia a copiarli freneticamente.

Letizia

"Silenzio!" tuona la professoressa, cercando di riportare l'ordine in aula. Il chiacchiericcio si trasforma in silenzio. Io sto in piedi affianco alla cattedra, la professoressa ha detto che stavolta mi spedisce in presidenza. Ma tanto io sto simpatica al preside, quando vengo mi offre persino una tazza di the. "Bensi che ci fai ancora qui? In presidenza!" urla la professoressa, che da insegnante noiosa si è trasformata in un demone. Io esco dall'aula senza fiatare dirigendomi verso l'ormai ben nota strada.

Elena

Metto la mano ferita sotto l'acqua del rubinetto, che si colora di rosso. Tampono il taglio con l'asciugamano, sporcandolo di sangue. Prendo la benda dall'armadietto affianco allo specchio e la avvolgo attorno alla mano. Poi sciacquo il pezzo di vetro ancora sporco. Mi guardo allo specchio: i capelli corvini, gli occhi verdi venati di dolore, ancora rossi dal pianto. La pelle pallida, il viso magro, le labbra carnose che ora sto mordendo con forza facendole sanguinare. Il sapore del sangue mi è familiare. L'odore del sangue, la sua vista mi è familiare. Troppo familiare.

A.S.
Angolo Scrittrice

Ecco a voi il secondo capitolo della storia! So che non è un granché, mi serviva un'altra parte introduttiva, dalla prossima volta le cose si faranno più interessanti!
Se qualcosa non vi è piaciuto, ditemelo pure che rimedierò nei capitoli successivi.
E, per favore, potreste lasciare una recensione? Please!!
Intanto, voglio ringraziare camilla346 e xqueentini per aver recensito il capitolo precedente. Grazie mille ragazze! Le vostre recensioni contano tanto!
Un saluto a tutti, bye

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ammiratore segreto ***


Letizia

Il preside è un uomo sulla sessantina che ama scherzare. Ha i capelli bianchi, è un po' calvo proprio in mezzo alla testa e porta degli occhiali dalla montatura dorata. Gli occhi castani sono vivaci, pieni di energia, ancora curiosi e attenti come quelli di un bambino. Appena entro lo trovo seduto alla scrivania a vedere alcune carte. “Letizia cara! Cos'hai combinato stavolta?” mi accoglie . “Nulla! Mi è squillato il cellulare in classe...” rispondo. Ride. “Come no! Tu sei sempre innocente, nevvero?” Ormai mi conosce così bene che capisce subito quando sto mentendo. “Ovvio” sorrido io. “Dai, siediti qui di fronte a me e racconta” fa lui. Mi accomodo sulla sedia che mi ha indicato. “Prima di iniziare, vuoi qualcosa? The, biscotti, una merendina...?” chiede. “Avrebbe delle patatine?”

Giada

È l'ora di matematica, e io mi sono spostata vicino a Vanessa. Vanessa è la mia migliore amica. Siamo completamente diverse, eppure, ci intendiamo. Lei ha capelli ricci, neri, è magra, alta, con gli occhi castani, io bionda, liscia, magra e alta con gli occhi verdi. Almeno sul magra e alta siamo uguali. “Ho notato che a Matteo non dispiacerebbe se gli dessi una chance” sussurra lei con una risatina maliziosa. “Si, ho notato anch'io...” dico con noncuranza. “Farebbe di tutto per te, quel ragazzo” continua lei. “Di tutto? Ne sei sicura?” “Al cento per cento” conferma.

Letizia

Al preside è piaciuto il mio racconto. Non fa altro che ridere e dirmi “Che birichina che sei”, mentre io mangio le ultime briciole del pacchetto di patatine che mi ha offerto. “Puoi andare” dice “Parlerò io con la professoressa” aggiunge, facendomi l'occhiolino. Gli faccio un enorme sorriso ed esco. È un vecchietto simpatico, il nostro preside. Guardo l'orologio, e mi accorgo che mancano solo cinque minuti per l'inizio della ricreazione.

Francesco

La campanella suona, l'ora di matematica è finita, comincia la ricrazione. Metto a posto la mia roba, prendo lo zaino ed esco dall'aula. Devo nascondermi. Paolo e i suoi mi attaccano sempre durante la ricreazione. Mi guardo alle spalle, stanno parlando, forse non si sono accorti di me. Mentre sto intento ad osservarli, mi scontro con qualcuno. Quel qualcuno è Sofia. Che idiota che sono. Sofia è la ragazza che mi piace, non c'è creatura più bella e perfetta di lei. I capelli neri ricci, gli occhi azzurri... è semplicemente magnifica. “Scusa” dico mortificato. Le ho fatto cadere alcuni libri che teneva in mano e ora sono chinato a raccoglierli. “Ecco a te” faccio porgendoglieli e regalandole un sorriso. Lei ha la faccia scocciata. “Grazie” dice con lo stesso tono con cui direbbe “togliti di mezzo idiota”, e io mi defilo. Mi dirigo verso il bar della scuola: lì vicino c'è uno stanzino delle scope dimenticato dal mondo, mi ci rifugerò per il resto della ricreazione. Per i corridoi incontro Letizia. “Ma che ci fai con lo zaino? Sai che le persone normali lo lasciano in classe?” mi fa ridendo. “Ma io non sono una persona normale” le ricordo. “Ah già dimenticavo” dice con un sorrisetto di intesa e facendomi l'occhiolino, come se fosse mia complice. Non la capirò mai Letizia. Proseguo lungo il corridoio, scendo le scale, e mi nascondo nello stanzino vicino al bar, pregando che Paolo e i suoi compagni non mi trovino.

Giulia

È ricreazione, raggiungo Sofia che si è alzata dal posto prima di me. La vedo parlare con Francesco, le sta porgendo i libri, ora se n'è andato. “Che voleva Francesco?” chiedo avvicinandomi. “Nulla, mi ha fatto cadere i libri, l'idiota” fa lei alzando gli occhi al cielo. “Però poi te li ha raccolti” le faccio notare con un sorrisetto malizioso. “Era il minimo che potesse fare” sospira lei. Lancio un'occhiata a Giada, che sta parlando con Matteo. Sembra gli stia confessando un segreto, stanno in disparte, e lei parla a bassa voce. “Stai ancora pensando a come unirti a Giada e agli altri?” mi chiede Sofia interrompendo il filo dei miei pensieri. “Ehm... cosa?” faccio spaesata ritornando bruscamente sul pianeta Terra. “Sì, ci stavi pensando” afferma. “Ti dispiace se li raggiungo?” chiedo speranzosa. “Sì, mi dispiace, ma tanto tu lo farai ugualmente, è da settimane che corri dietro a Giada come un cagnolino” “Io? Ma che ti stai inventando?” “Non fare quella faccina innocente! Sai benissimo che con me non funziona” mi rimprovera. “Eh va bene!” esclamo “Vado!” dico allontanandomi e dirigendomi verso Giada, che, vedendomi, rivolge un saluto veloce a Matteo che si allontana immediatamente. “Ciao Giulia” sembra più cordiale del solito “ancora da queste parti?” No, non è vero, è la solita vipera di sempre, con la quale sono costretta a stare pur di entrare a far parte delle popolari. Mi sembra il prezzo giusto da pagare.

Letizia

È ricreazione, finalmente. Entro in aula, qualche compagno mi chiede com'è andata dal preside, altri si complimentano con me per lo scherzo. Cerco Michele e Lorenzo tra i banchi e finalmente li trovo. “Ciao ragazzi” li saluto. Loro due sono i miei migliori amici, ci conosciamo praticamente dai tempi dell'asilo. “Ehi Letizia, com'è andata dal preside?” chiede Lorenzo. “Ti ha offerto i biscotti che ha preparato sua moglie?” aggiunge Michele facendomi l'occhiolino. “Gli ho chiesto delle patatine...” rispondo vaga. Michele e Lorenzo ridono, e io mi chiedo il perché. Che c'è di male nel chiedere delle patatine al preside? “E lui te le ha date?” domanda Michele tra una risata e l'altra. “Ovvio” faccio, e le risate dei miei amici raddoppiano. Ci conosciamo dall'asilo, certo, ma ancora non li capisco. “Andiamo al bar?” dico cambiando argomento. “Certo” fa Lorenzo, e Michele anche annuisce.

Elena

Sono tornata in camera, non so che fare. Apro il diario per vedere che compiti ci sono per domani. Matematica, storia dell'arte, inglese. Che noia. Mi accorgo di avere il pezzo di vetro ancora in mano, lo nascondo sotto al materasso. Poi mi sdraio sul letto e, tra un pensiero e l'altro, mi addormento.

Francesco

Finita la ricreazione, esco dallo stanzino delle scope e mi dirigo verso la nostra aula, la 3°F. Rabbrividisco ancora, nello stanzino delle scope fa freddo, poiché non ci sono i riscaldamenti. Fortuna mi sono messo il maglione. A quanto pare sono riuscito a evitare Paolo e gli altri, per il momento, penso mentre salgo le scale che portano alla mia classe. Per il momento. Mi ripeto, rabbrividendo, e stavolta non per il freddo. Spero almeno che dopo scuola non mi seguano.

Giulia

Quando la ricreazione finisce, mi siedo di nuovo al banco vicino a Sofia. “Com'è andata con Giada?” mi chiede “Una schifezza” rispondo “Mi ignora, e quando mi presta un minimo di attenzione è per chiedermi di andare a buttare la carta della sua merenda” continuo a lamentarmi “Ti tratta come schiavetta” traduce Sofia “Per me dovresti smetterla di starle appresso. Tanto non entrerai mai a far parte della sua cerchia di amici” “Tu non capisci” dico io “Voglio essere popolare, costi quel che costi! E un giorno, fidati, diventerò persino più popolare di lei, mi metterò con Davide, ci sposeremo, e avremo tre bambini” Sofia ride, non posso darle torto. Suona così ridicolo, eppure, un giorno sarà così per davvero. Entra in classe la prof di latino. “Buongiorno ragazzi” dice, e prima ancora che riusciamo ad alzarci aggiunge “Oggi compito a sorpresa”.

Giada

Merda. C'è il compito a sorpresa e non ho studiato. E sono seduta vicino a Vanessa, e dubito che lei sappia qualcosa. Mi guardo attorno. Dov'è il secchione, quando serve? Eccolo lì, al primo banco. Cazzo. Giovanni è il secchione della classe, certo, e fa anche copiare, ma purtroppo ha la terribile abitudine di sedersi sempre al primo banco, così che copiare diventa un'impresa. “Vado un attimo a prendere i compiti, voi state buoni, e ripassate” annuncia la professoressa. Dio, grazie! Giuro che non insulterò più i mendicanti in mezzo alla strada. Mi avvicino a Giovanni. “Ehi, ti va di sederti vicino a me?” gli sussurro all'orecchio, allontanandomi poi per sorridergli in modo seducente. “Io?” chiede sorpreso. “Sì, tu” dico con aria innocente “Ti andrebbe?” “C-certamente” balbetta, e io lo trascino in un banco libero in fondo all'aula.

Giulia

Latino è l'unica materia in cui sono brava o, comunque, una delle poche. “Mi farai copiare, vero?” chiede Sofia supplichevole “Ovvio!” dico “Sennò a che servono le amiche?” Tiro fuori la penna dall'astuccio, e mi accorgo che c'è un pezzo di carta che non mi appartiene. Lo prendo, e noto che è stato piegato più volte. È un biglietto. Lo apro sotto al banco, lo leggo e mi si ferma il cuore. “Cos'è?” mi fa Sofia incuriosita. Le porgo il biglietto “Oh caspita!” commenta “Hai un ammiratore segreto!”

Per Giulia
Sei bella come il sole, i tuoi occhi brillano come le stelle, il tuo sorriso è la luce dei miei occhi.
-Ammiratore Segreto

Elena

Mi sveglio. Sorrido. Ho sognato un campo di girasoli. Stavamo correndo, come quando avevo sette anni. Il campo dei girasoli dietro casa dei nonni... quello sì che era un bel posto. Mamma mi ci portava sempre. L'ho rivista. È stato bello vederla sorridere di nuovo, e risentire la sua voce. Cosa mi diceva? “Ti voglio bene piccola mia”.

A.S.
Angolo Scrittrice

Buonsalve!
Finalmente faccio accadere qualcosa di interessante in questa storia xD Vi piace fin qui?
Mi raccomando di recensire ;)
Comunque, ne approfitto per ringraziare un po' di persone...
Tanto per cominciare, chi mi ha recensito, ovvero xqueentini, camilla346, e Trueheart. Senza di voi probabilmente non continuerei nemmeno più la storia..
Un grazie particolare va a Sana 29, che mi ha fatto scoprire questo magnifico sito dove pubblicare le mie storie, e a mio fratello, che si è iscritto a EFP solo e unicamente per recensirmi (Che dolce ^^)
Ringrazio anche Antonio e il suo amico Federico che si sono presi la briga di leggere questa storia.
Ok, ora la smetto, che questo più che un angolo autrice pare la pagina dei ringraziamenti che sta a fine di ogni libro xD
Un bacio a tutti, recensite ancora <3

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Scienze motorie ***


Giulia

Mi guardo attorno tentando di indovinare chi possa avermi scritto quelle parole. Il mio sguardo si posa su Giacomo. Cerco di capire se mi stia osservando di nascosto per vedere se ho ricevuto il biglietto, o magari se invia un qualche segnale per farmi capire che sì, è lui l'ammiratore segreto. Devo averlo fissato a lungo, poiché a un certo punto si accorge di essere osservato e mi rivolge uno sguardo interrogativo, e io mi giro di scatto, imbarazzata. Guardo dalla parte opposta, e i miei occhi percorrono le file dei banchi, soffermandosi sui maschi della classe. Chi potrà mai essere l'ammiratore segreto? Poi penso che non è necessariamente uno della classe, potrebbe essere anche qualcuno della scuola, che mi ha vista camminare per i corridoi, o magari al bar. Stupido edificio! Perché devi avere 672 studenti al tuo interno?

Giada

Il compito di latino non è stato poi così difficile. Ho visto tutto da Giovanni, che mi fa copiare senza problemi. Non so se affianco a me si senta imbarazzato o lusingato, fatto sta che mentre scrive guarda solo il foglio, muove solo il braccio, per il resto sta immobile, sembra quasi una statua di cera con il braccio umano. Ma tanto non mi frega nulla, è lui che comportandosi così pare un idiota. Sembra non respirare nemmeno, e forse non respira sul serio, visto che è tutto rosso in volto. E ci credo che non ha amici. Quando lui finisce il compito, lo costringo ad aspettare altri cinque minuti per farmi copiare le ultime cose.

Letizia

Dopo l'odioso compito di latino (che io ho consegnato in bianco), c'è motoria. Motoria è la materia più inutile che sia mai stata inventata dopo... beh, in realtà non so cosa ci sia di più inutile dell'ora di scienze motorie. Mentre ci dirigiamo verso il corridoio, ricordo che ho dimenticato le scarpe da ginnastica. Perfetto, vorrà dire che starò seduta mentre tutti gli altri muoiono sul campo. Sorrido trionfante, e vado a dire alla prof che pure per oggi starò in panchina.

Giulia

Mentre mi cambio le scarpe, trovo un altro bigliettino dentro la calzatura.

So che ti stai chiedendo chi sono.
Ma non cercare di capire la mia identità.
È proprio questo il bello del gioco.
-Ammiratore segreto

Fisso stupita quelle parole. Lo rileggo due volte, dapprima velocemente, poi più lentamente, soffermandomi su ogni sillaba. Gioco? L'aveva chiamato gioco, quello di mandarmi i bigliettini? Mi sono scervellata per tutto il compito di latino chiedendomi chi fosse l'ammiratore, probabilmente l'avrò sbagliato tutto, quel dannato compito, facendo sbagliare anche Sofia. E lui lo chiama gioco. E va bene, caro ammiratore, sai cosa? Starò al gioco.

Francesco

La professoressa di scienze motorie dice che oggi si giocherà a pallavolo. La maledico nella mia mente, già sapendo che probabilmente combinerò un casino e verrò preso in giro da tutti. Di nuovo. Si formano tre squadre: i capitani sono Giulia, Lorenzo e Paolo. Comincia a scegliere i membri del suo gruppo Giulia: ovviamente chiama Sofia. È poi il turno di Lorenzo e di Paolo, e la cosa ricomincia. Quando anche Giovanni viene scelto, rimango solo io. Ed è il turno di Paolo. “Mi sa che mi toccherà prendere lo sfigato” fa con una smorfia disgustata “Che iella” aggiunge lui, e qualcuno della sua squadra mormora qualcosa di simile. “Tarazzo, vuoi venire o vuoi stare lì impalato tutto il giorno?” mi fa Paolo, visto che io non mi sono ancora mosso di un millimetro. “Preferirei stare impalato, veramente...” borbotto, ma senza farmi sentire. “Perfetto, ora che avete fatto le squadre, cominciamo a giocare. La squadra di Giulia e quella di Paolo vadano in campo” urla la professoressa.

Letizia

Mi siedo a bordo campo. Non so che fare, così comincio a fissarmi la punta dei piedi. Poi mi rendo conto che non sono sola: affianco a me sta Angela, una ragazza con cui non ho mai parlato, forse l'unica di tutta la classe con cui non ho scambiato neanche un ciao. È una nuova, è arrivata a ottobre e ancora non conosce nessuno del luogo. Credo. Quel che so è che in classe non ha amici, e non l'ho mai vista in giro con nessuno. A dire il vero non l'ho mai vista nemmeno parlare, se non alle interrogazioni, o quella volta in cui ha alzato la mano, accompagnando il gesto a un flebile “è mio”, per dire che il dizionario di latino smarrito era il suo. Se ne sta seduta per terra, composta, la maglietta nera che le fa sembrare la pelle ancora più pallida di quanto non sia realmente. Ha i capelli neri con delle meches bionde che le cadono sulle spalle, e mi chiedo come faccia ad averli così perfettamente lisci. Decido di parlarle, visto che le alternative sono ben poche: o mi annoio, o tento una chiacchierata, e la seconda mi sembra la scelta migliore. “Ciao” dico avvicinandomi. Lei mi guarda, accenna a un sorriso, e poi torna a fissare un punto indefinito davanti a lei. “Che guardi?” chiedo, tanto per fare un po' di conversazione. “Nulla” risponde, parlandomi per la prima volta in tre mesi. “Bello” dico, seguendo il suo sguardo “Anch'io” faccio, non appena capisco che il punto indefinito è un angoletto buio. Accenna a una risata, che poi si spegne subito. “Come mai mi stai parlando?” domanda dopo qualche secondo di silenzio, stavolta guardandomi in faccia. “È un reato?” chiedo sospettosa. “Oh no... ma è strano” “Cosa c'è di strano nel fare un po' di conversazione?” “Non mi hai mai parlato in tre mesi, e hai decido di parlarmi adesso” risponde, pensosa. “In effetti...” dico “ma se ti sembra troppo strano dimmelo che taccio subito” aggiungo. “Tranquilla, parla pure, mi fa piacere” mi sorride. “Ah, bene... allora...” non so più che dire, ho esaurito gli argomenti. A dire il vero non li ho mai avuti, gli argomenti. “Come è andata dal preside?” mi chiede prima che riuscissi ad aggiungere altro. “Dal preside?” ripeto, colta alla sprovvista. “Sì, dal preside... non dirmi che non ci sei andata” “Ah, dal preside!” esclamo, pensando che ho appena fatto la figura dell'idiota. “Benissimo! Gli ho raccontato tutto, e non la smetteva più di ridere!” “Il preside rideva?” “Certo! Che c'è di strano? Pure lui è umano, e di certo lo è più della professoressa di storia”

Francesco

Entro in campo, al posto 5. In quell'angoletto lontano nessuno mi darà fastidio. Paolo è in battuta. La professoressa fischia, e la partita comincia. Devo dire che all'inizio va piuttosto bene. Non mi arriva nessuna palla, e se mi arriva gli altri fanno di tutto pur di non farmela prendere. Sanno che i miei riflessi fanno pena, perciò decidono che farmi toccare palla è troppo rischioso. È quando arrivo al posto 3 che cominciano i miei guai. Per fare i tre passaggi, sono obbligati a passarmi la palla. Il mio compito sarebbe alzarla, ma proprio non ci riesco. Una volta la mando in testa a uno, un'altra la manco, un'altra ancora la schiaccio nel mio stesso campo. Gli altri sono esasperati, così decidono di fare a meno di me, ma nonostante tutto riesco a combinare disastri. “Senti, sfigato, o facciamo punto adesso, oppure dopo ti riempo di botte” mi urla Paolo dal posto 5.

Giulia

Devo dire che Francesco mi fa piuttosto pena. Non è colpa sua se non sa giocare a pallavolo. Paolo lo sta minacciando, si sente fin qui, al posto 1, quello di battuta. “Brava Valensi!” mi fa Mirko passandomi la palla per farmi battere di nuovo. In effetti ho fatto fare alla squadra ben cinque punti soltanto battendo, e non è poco. Metto la palla sulla mano sinistra, prendo la mira con la destra. La professoressa fischia, il che vuol dire che posso cominciare. Batto. E la palla colpisce la rete.

Giada

È incredibile come esultino quelli della squadra di Paolo. Certo, fare punto con lo sfigato in squadra è un miracolo, ma tutte quelle grida di gioia per un allenamento mi sembra troppo. Giulia è stata un'idiota a sbagliare la battuta. Nemmeno Giovanni riesce a sbagliarle, figurarsi lei che fa pallavolo. L'unico che le sbaglia, in tutta la classe, è Tarazzo. E poi fa pure quella faccia da martire quando viene scelto per ultimo. Chi lo capisce è bravo. Io sto in squadra con Lorenzo, perciò posso guardare la partita in santa pace mentre spettegolo con Vanessa. Giocheremo contro la squadra vincente, e poi chi perde tra le due squadre contro la perdente di questa, così da formare una specie di classifica. Che noia.

Francesco

Giulia ha sbagliato la battuta. Non ci credo. Non può essere vero. Paolo non mi riempirà di botte, per stavolta. “E bravo Tarazzo, abbiamo fatto punto, sei fortunato” mi dice infatti. Sospiro di sollievo. Devo ricordarmi di ringraziare Giulia, dopo.

Giulia

“Ma sei cretina?” mi dice Mirko, che è in squadra con me. Io non gli rispondo. “Dai, Giu, non importa” mi fa Sofia per consolarmi. Annuisco. Perché ho sbagliato? So di averlo fatto di proposito. Credo che Francesco mi facesse pena. Compassione. Ecco cosa mi ha impedito di mandare la palla dall'altra parte.

A.S.
Angolo Scrittrice

Ciao a tutti!
Tanto per cominciare, mi scuso se il capitolo è un po' breve, ma per pubblicarlo in tempo ho dovuto farlo un po' più corto. Mi scuso anche per non aver fatto intervenire Elena che, però, dal prossimo capitolo, interverrà più spesso.
Voglio ringraziare ancora tutti quelli che hanno commentato il capitolo precedente, grazie mille, continuate così!
Grazie anche ad Aurora per aver letto tutto.
Beh, e che dire? Recensite, per favore, così da farmi sapere che ne pensate <3
Un bacio a tutti, alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** All'uscita da scuola ***


Giada

Quando anche l'ora di motoria è finita, mi dirigo verso gli spogliatoi, dove trovo ad aspettare Davide. Davide sta in quinta, ed è il ragazzo più bello e popolare della scuola. Proprio per questo siamo destinati a stare insieme, secondo regole non scritte che vanno rispettate: la più popolare DEVE essere fidanzata con il più popolare, a meno che non si trovi un ragazzo più figo al di fuori dalla scuola. Stessa cosa vale per il ragazzo. In effetti, per questo, non facciamo che mollarci e rimetterci insieme, finendo sempre sulla bocca di tutti e, talvolta, anche facendo scenate in pubblico. Per me non è un problema, e nemmeno per lui, ed entrambi sappiamo che così facendo aumentiamo la nostra popolarità. Ecco perché litighiamo spesso. Mi avvicino. “Che vuoi?” chiedo a Davide. Lui non dovrebbe essere qui, ma dal momento che non è quasi mai in classe la cosa non mi sorprende. “Sono venuto a dirti di una festa...” “Una festa? Ah sì, Matteo me ne aveva parlato...” faccio vaga. “Sa più lui di te su ciò che succede in questa scuola” mi rimprovera beffardo. “In conclusione...?” dico, con lo stesso tono con cui direi “Muoviti che ho fretta, stronzo” “In conclusione, la festa ci sarà al Balada, sabato. Alla solita ora” Il Balada è un locale dove si organizzano feste ed eventi, il più cool di tutta la città. Io e i miei amici andiamo sempre lì quando ci vogliamo divertire. “Perfetto. E adesso vattene.” “Non è questo il modo di rivolgersi al fidanzato!” mi fa strizzandomi l'occhio, ma poi se ne va.

Letizia

Angela è davvero simpatica. Abbiamo passato tutta l'ora a parlare, e devo dire che non è così terribile come mi era sembrata all'inizio. Mi ha invitata a casa sua, e io ho accettato volentieri: certo, devo chiedere prima ai miei, ma dubito si oppongano. Oggi è giovedì, ricordo, perciò si esce in quinta ora: mi dirigo verso la fermata dell'autobus, affiancata da Lorenzo e Michele. Angela non c'è perché non prende il bus, lei abita vicino alla scuola. “Ho visto che parlavi con la nuova” mi dice Michele. “Beh, tanto nuova non è, è da tre mesi che sta in classe con noi” gli faccio notare.“Dettagli” borbotta lui. “E che vi siete dette?” chiede Lorenzo, che fino ad allora era rimasto zitto. “Nulla di speciale... però è simpatica.” “E ci abbandonerai per lei?” domanda, con una finta nota di tristezza nella voce. “Può darsi...” sorrido maligna.

Francesco

Cerco Giulia, voglio ringraziarla per ciò che ha fatto in palestra, ma non la trovo, l'ho persa nella folla. Peccato, è stata davvero gentile a sbagliare quella battuta per me, chissà se potrò mai ricambiarla. Penso a dove abita, e mi viene in mente che è del mio stesso quartiere, non sarà difficile trovarla. Mi dirigo verso casa, guardandomi attorno nel caso mi passi affianco. Ma, giunto davanti alla porta di casa, ancora non l'ho vista. Chissà che fine ha fatto.

Giulia

Sofia mi conduce verso un bar abbastanza vicino alla scuola. “Che fai?” chiedo “Ti porto a ragionare” risponde, senza nemmeno guardarmi in faccia. “Ragionare?” chiedo, qualcosa deve essermi sfuggito. Tanto per cominciare, da quando Sofia decide di ragionare insieme a me? Di solito fa tutto di testa sua. E poi, quando avevamo deciso di andare al bar? Boh. “E su cosa dovremmo ragionare, noi?” chiedo, tentando di mantenere la calma, il che mi è piuttosto difficile, visto che si ostina a prendermi per il polso con forza costringendomi a procedere verso un tavolo libero. Lei non mi risponde. “So camminare da sola, grazie” le dico riprendendomi il polso. “Siediti” mi ordina. “Perché?” “Siediti!” ripete, stavolta mettendo più autorità nella voce. Io eseguo, per nulla convinta. “Ora, spiegami. Cosa diceva l'altro bigliettino dell'ammiratore?” “E tu hai fatto tutto questo solo per chiedermi cosa diceva quel biglietto?!” faccio incredula. “Certo! Bisogna assolutamente scoprire chi è!” esclama. “Non se ne parla nemmeno! Tanto sarà lui ad uscire fuori al momento opportuno, è inutile fare tanta fatica per niente.” “Fammi vedere l'altro biglietto” ordina, e io lo tiro fuori dallo zaino e glielo porgo. Lei legge. “Interessante” commenta, come se fosse un indizio fondamentale per scoprire l'identità dell'ammiratore. “Cosa ci trovi di interessante?” chiedo curiosa, ma lei non risponde. “Mi dai anche l'altro biglietto?” fa invece, e io le cedo pure il primo. Dopo qualche interminabile secondo, lei sposta gli occhi su di me. “E così” dice “hai deciso di stare al gioco.” “Come scusa?” “Ma certo! È chiaro come il sole! Bisogna aspettarselo da una come te: lui ti dice di smetterla di cercarlo e tu esegui!” Arrossisco violentemente. È vero, io tendo a seguire ciò che mi dicono gli altri. “In realtà non ho mai cominciato a cercarlo...” dico con un filo di voce “E nemmeno voglio cercarlo!” esclamo alzando il tono. “Certo che vuoi cercarlo, ti si legge in faccia!” “Non è vero!” “Allora... ragioniamo...” fa, ignorandomi. “Lui sta in classe con noi... andiamo per esclusione...” “Che ne sai che sta in classe con noi? Potrebbe essere chiunque della scuola!” “Ma per favore! È ovvio che è della classe! Ha detto So che ti stai chiedendo chi sono. Ma non cercare di capire la mia identità. In poche parole, si è accorto che ti guardavi attorno e ha deciso che sarebbe stato meglio interrompere la tua ricerca prima ancora che iniziasse. È chiaro come il sole!” “Ci sono un po' troppe cose chiare come il sole che mi sfuggono, a quanto pare...” butto lì, e lei alza gli occhi al cielo. “Allora, in classe ci sono dodici maschi” ragiona “Facciamo l'appello, e man mano scartiamo chi è sicuro che non può scrivere cose del genere” Annuisco, ho capito. “Quindi... Artemisi Enrico?” “Beh, potrebbe... non hai visto quant'è romantico? Quando era fidanzato metteva una rosa rossa sul banco della sua ragazza, ogni mattina!” le ricordo. “Giusto, e tu avevi una cotta per lui, ed eri gelosa perché volevi che riservasse a te un trattamento del genere!” ride Sofia. Poi, chinandosi sul suo zaino, tira fuori carta e penna, e segna su un foglio “ARTEMISI ENRICO”. “Perfetto” dice “Ne mancano altri undici e abbiamo finito”

Giada

Arrivata a casa, metto a scaldare in forno le lasagne di ieri. Non è granché come pasto, ma l'alternativa sarebbe morire di fame tutto il giorno. Nel frattempo, mi sdraio sul divano e mi metto a chattare con Vanessa: anche lei è invitata alla festa di sabato, e al solito non sa che mettersi. “Che ne pensi del top azzurro?” mi scrive “Perfetto” rispondo, ma lei non è ancora soddisfatta. “No, meglio di no, poi se si sporca sono morta” “E perché mai si dovrebbe sporcare?” le scrivo alzando gli occhi al cielo. “Che ne so! È una festa, potrebbe succedere di tutto” si giustifica. “Mettiti la maglietta rossa con i pantaloncini di jeans” propongo “I pantaloncini? Ma sei matta? Tutti ci vanno con i jeans lunghi, fa freddo!” “E allora indossa il maglione della nonna” le scrivo, esasperata. Ma ovviamente Vanessa rifiuta di mettersi pure quello.

Giulia

“Bensi Letizia” mi dice Sofia. “Scartiamola, è una ragazza” le faccio notare. “Macché, sei matta? Lei adora fare scherzi, e se questo fosse uno scherzo?” “Ma ti pare? Nemmeno lei arriverebbe a tanto!” protesto. L'idea di essere presa in giro mi brucia da morire. “Meglio aggiungerla alla lista, non si sa mai” mi fa Sofia, scrivendo il nome di Letizia sotto quello di Enrico. “Bottelli Chiara” prosegue. “Macché! Lei ha ben altro da fare anziché mandarmi bigliettini del genere!” esclamo io. In effetti, Chiara è una specie di Giovanni femmina, solo che più carina e sofisticata. Scrive per il giornalino della scuola, ed è entrata nelle grazie di tutti i professori, senza però essere considerata “cocca del prof” o “leccapiedi”: è troppo intelligente per scendere a certi livelli. “Giusto” afferma Sofia. “Cenacei Paolo” continua poi “Se è lui mi sparo” faccio io. “Ma ti pare? Scherzo o non scherzo, è troppo stupido per scrivere cose del genere. Lui a malapena sa scrivere.” mi fa notare Sofia. “Ma potrebbe aver assoldato qualcuno per farlo.” ribatto. “Ma ti pare? Non è da lui! È troppo ingegnosa come cosa, non potrebbe mai arrivare a tanto, e poi non avrebbe senso.” “Giusto” affermo. “Cosimati Giovanni” “Impossibile” dico. “Sì, infatti. Non l'ho mai visto appresso a una ragazza da quando... beh, in realtà non è mai stato appresso a una ragazza.” “Ma te lo immagini? Lui che fa la corte a una?” rido, e Sofia si unisce alla mia risata. “Ridicolo” commenta, e ha proprio ragione. “Crovegni Valentina?” continua dopo qualche secondo. “Quell'ochetta? Ma quando mai!” esclamo “Beh, in effetti è ridicola come cosa” acconsente Sofia. “Quella pensa solo ai vestiti e al trucco, fare uno scherzo non le passerebbe mai neanche per l'anticamera del cervello.”

Francesco

Dopo essere entrato in casa, e aver passato qualche minuto alla finestra nel caso Giulia si fosse fatta viva, vado in cucina a farmi da mangiare. Mamma ha preparato del riso, e ha detto che devo metterlo a scaldare. Eseguo in silenzio, sovrappensiero, chiedendomi come mai Giulia avesse sbagliato quella battuta solo per me. Poi, mi accorgo che lei è l'unica della classe a non avermi mai insultato, né chiamato sfigato, ad avermi guardato come farebbe con chiunque. Che fosse... innamorata? Scuoto la testa, dandomi dello stupido. Nemmeno lei potrebbe arrivare a tale livello.

Giulia

“Di Natale Matteo?” stavolta sono io a parlare. “Quello sta sempre attaccato a Giada, probabilmente nemmeno sa della tua esistenza” mi fa Sofia, e non posso darle torto. “Falti Sofia?” “Sono io, idiota! E ti posso assicurare che non ti scrivo alcun biglietto!” esclama. “Scusa” faccio “volevo assicurarmene” dico con un mezzo sorriso. “Passiamo avanti” fa lei sbrigativa. “Okay” dico “Ferranti Giada?” “Ma ti pare? Quella non ti calcola proprio” le faccio una smorfia, anche se so che ha ragione. “Frostini Nicolò?” continua lei. “Potrebbe essere” dico io “è un piuttosto timido, forse preferisce utilizzare i bigliettini anziché dirmelo in faccia” rifletto “In effetti...” afferma Sofia, scrivendo il nome di Nicolò sotto quello di Letizia. “Goliardi Michele?” continua lei “Beh, è carino, perché no? Magari con l'aiuto di Letizia mi lascia i biglietti... in effetti sono molto amici.” “Va bene” e Sofia aggiunge anche Michele alla lista. “Signorine, prendete qualcosa?” fa uno che lavora al bar. In effetti stiamo lì sedute e non abbiamo ancora ordinato nulla. “Una Coca” fa Sofia “e un Calippo alla fragola” aggiungo io. Il ragazzo, di almeno una ventina d'anni, annuisce e ce li porta. “Grinti Silvia?” procede Sofia. “No, è una brava ragazza, non farebbe mai una cosa del genere” “Hai ragione” acconsente lei. “Istici Melinda?” “No! È troppo occupata a dare fastidio a quelli di prima per scrivermi bigliettini!” Sofia annuisce, e poi prosegue “Lauti Elena?” “Lei?” rido io “Ma te la immagini a mandarmi certe cose?” “Beh in effetti... e poi oggi era pure assente” mi fa notare Sofia. “Lotti Angela?” “La nuova? No, è così silenziosa, quasi anonima... non lo farebbe” rifletto io, e Sofia non mi dà torto. “Marchetti Giacomo?” “Magari!” sospiro “Dubito che uno come lui possa fare una cosa del genere, ma lo segno, non si sa mai” dice Sofia, scrivendo il nome di Giacomo sul foglio. “Giacomo lo farebbe eccome!” lo difendo “È un idiota” ribatte Sofia “Ma, come ho detto, non si sa mai.”

Letizia

I miei sono d'accordo, alle 16:00 andrò da Angela. “Ma solo se fate i compiti” mi ricorda mamma, e mi tocca acconsentire. Guardo l'orologio, sono le 14:20. Ho tempo per fare qualcosa. Decido di farmi una doccia, in un'oretta dovrei farcela.

Giulia

“SOFIA SONO LE DUE E UN QUARTO PASSATE!” urlo, accorgendomi solo adesso dell'ora. “Così tardi?” fa lei sorpresa. Il tempo è volato, e noi dobbiamo ancora pranzare. Sofia si mette velocemente lo zaino in spalla, afferra la lista con la penna, mi prende per un polso e mi trascina. “Corri!” urla, e io faccio appena in tempo ad acchiappare lo zaino. Poi si ricorda che dobbiamo ancora pagare calippo e coca così ritorna indietro e mette qualche moneta sul bancone. Raggiungiamo casa in meno di dieci minuti, abitiamo entrambe piuttosto vicino alla scuola, come la maggior parte dei nostri compagni d'altronde. “Ora devo andare a casa” mi fa la mia amica col fiatone “Tu intanto continua la lista, poi la rivediamo insieme”. Annuisco, lei va in una direzione, io nell'altra, e in poco tempo sono a casa.

Elena

“Elena, tesoro, sono a casa!” urla papà dal piano di sotto. Mio padre fa lo chef in un ristorante, perciò all'ora di pranzo e di cena non è mai a casa. È bravo nel suo lavoro, fa dei piatti squisiti, ma da quando è morta mamma si sente che manca qualcosa nella sua cucina. Non fraintendetemi, sono pur sempre buoni i suoi piatti, ma non c'è più quel pizzico di sapore che li rende speciali. Papà è un uomo dall'aspetto giovane, mantiene bene i suoi anni, nonostante lo stress del mandare avanti la casa da solo e la tristezza che si porta sempre appresso dal terribile giorno. Da allora non è più lo stesso, qualcosa dentro è cambiato. Chissà se anche per me è così. Sale in camera mia, mi saluta. “Hai già mangiato?”, mi chiede, e io rispondo di no. “Vieni, ti cucino qualcosa” dice, e io annuisco e mi lascio guidare al piano di sotto. Papà si mette ai fornelli, butta qualcosa in pentola, pasta forse, insieme a spezie di vario genere. “Stefano si è fatto vivo?” domanda “No” dico io “è da ieri che non lo vedo”. Stefano è mio fratello maggiore, ventun anni, un ragazzo che passa la sua vita tra discoteche, birra, e giri in moto. Forse è così che annega il suo dolore. Ora che ci penso, ognuno di noi annega il proprio dolore in modo diverso: Stefano nel bere, papà nel cucinare e io... io nel ferirmi. Sì, sono un'autolesionista. Non ne vado fiera, ma non posso farne a meno, non posso permettermi di rimanere intatta mentre il mondo attorno a me si sgretola, non ci riesco. E sono troppo codarda per uccidermi, sono una vigliacca, ecco cosa sono, una stupida vigliacca egoista attaccata alla propria vita. Magari un giorno una delle mie ferite sarà letale, chissà. Lo spero proprio.

A.S.
Angolo scrittrice

Buongiorno gente!
Come potete vedere, stavolta il capitolo è un po' più lungo: tra poco (domani) comincia scuola, e non so se riuscirò ad aggiornare spesso. Mi scuso in anticipo per i ritardi che ci saranno.
Ringrazio ancora tutti quelli che hanno commentato, e vi prego di recensire ancora, per farmi sapere se non vi piace ciò che scrivo o, se, al contrario la storia continua a piacervi.
Un grazie a tutti, e buon inizio scuola!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2796437