No Ordinary Day

di Krysna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'attacco ***
Capitolo 2: *** Ivan ***
Capitolo 3: *** Nella luce del tramonto ***



Capitolo 1
*** L'attacco ***


Il sole era davvero insopportabile. Cazzarola, sarei svenuta se non mi fossi subito messa all'ombra. All'angolo della strada c'era un vecchietto che sproloquiava da solo. Mi fece un po' pena. Povero. Inforcai gli occhiali da sole e sussurrai "in marcia, cowboy". Mannaggia, certo che quel dannato libro mi stava proprio contagiando con le espressioni. Ciabattai velocemente sino all'ombra di un grande albero che si affacciava oltre la ringhiera del parco mezzo distrutto. Mi voltai. Il vecchietto aveva smesso di parlare. Ok no, era proprio sparito. Un attimo prima era lì, e quello dopo no. Scossi la testa. Il sole mi stava davvero dando alla testa. Fissai con sguardo di sfida l'insegna della società. Strinsi al petto la cartella con gli schizzi per la copertina che mi aveva fatto Silvia e la chiavetta USB con il mio racconto. Ok, forse era un po' più grande di un racconto. Era iniziato tutto con un suggerimento di Ivan su una trama. E poi avevo iniziato ad appassionarmi davvero a quella storia. I personaggi riuscivo a vederli, ed erano loro a parlare a me. Non ero io a definirne la personalità, era come se già esistessero e io mi stessi limitando a dare loro la vita. Krysna, con quel suo carattere schietto, gentile, che però a volte poteva essere letale. Enzo, con la sua confusione, con quella sua determinazione a rendere orgogliosi i genitori e a trovare a ogni vampiro un posto nel mondo. In realtà avevo impiegato davvero una vagonata di tempo a terminarlo. Dio santo, chi ha tempo di scrivere d'estate?
Sillabai ad alta voce la scritta sull'insegna. "Mondadori.." Dio, che ansia. E se lui avesse avuto ragione e fossi stata solo troppo presuntuosa da pensare di aver davvero fatto qualcosa di fantastico? Mannaggia, dovevo piantarla di farmi scoraggiare da quello stronzo. Che poi, perché ancora ci pensavo? Tutta la storia era stata un errore. Avevo sbagliato a innamorarmi, avevo sbagliato ad andarci a letto (anche se, ammettiamolo, quei fantastici pettorali sudati e contratti sopra di me erano una visione afrodisiaca) e avevo sbagliato a non lasciarlo subito quando l'avevo beccato a sbattersi quel cazzone di Luca. Altro che migliori amici. Quelli erano due cazzo di froci da anni, e tutti noi a non notarlo. Cioè, non che abbia nulla contro i gay. Ma Enrico.. Dio, non me lo sarei mai aspettata.
La piantai di rimuginare su quanto fosse insignificante la mia vita, mi sistemai la maglietta, quindi camminai (ok, forse mi misi a correre. Davvero, tra il sole e il nervoso mi stava andando il cervello in pappa) verso l'entrata e non mi fermai neanche ad ammirare l'intonaco dell'edificio che, come mi accorsi dopo, era di un confortante verde muschio. La sala d'aspetto era decisamente accogliente. Il verde era, tipo, ovunque. A parte le pareti, colorate di un verde brillante, sulla scrivania bianca della reception c'era un enorme vaso argentato, anche se dell'argento si vedeva poco, visto che era tutto coperto dalle foglie della pianta che scendevano a cascata. A fianco a ogni divanetto grigio c'era una pianta di fiori. Una mi sembrava di orchidee. Ok, macabro. Una donna alta, snella e bionda mi venne incontro sorridendo e mi fece cenno di seguirla,. Tremando, mi avviai dietro di lei. L'ufficio in cui mi condusse,  al piano di sopra, era tipo GRANDIOSO. Un'enorme vetrata occupava tutta la parete, così si poteva vedere tutto il quartiere. Ma che figata, fu il mio primo pensiero. L'uomo seduto alla scrivania doveva avere una cinquantina d'anni, più o meno.  La barba e i capelli candidi erano curatissimi, ed era molto elegante.  Ovviamente, non perse tempo. Mi chiese subito il documento, così gli diedi la chiavetta. Poi mi misi a mostrargli gli schizzi, e si complimentò per la cura dei dettagli. Non so spiegare perché,  ma ogni cosa era come se la stessi vivendo in terza persona.
"Cosa?" Merdaccia, mi ero persa ogni singola parola della sua domanda.
"Al telefono mi ha accennato la trama del suo manoscritto, ma non mi ha dato nessun titolo. Come si chiama?"
La domanda mi spiazzò. Ma quanto si può essere idioti? Non ci avevo pensato. Ecco. Non ci avevo pensato minimamente. Il direttore continuava a guardarmi con un sopracciglio bianco alzato e un'espressione interrogativa sicuramente meno evidente del mio panico. E poi eccola. L'illuminazione. Divina? Nah, improbabile.
"L'albero cavo" dissi tutto d'un fiato, così che probabilmente risultò "lalberocavo".
"Titolo interessante." Grazie a Dio, sembrava soddisfatto. Con un'unghia perfettamente limata si picchiettò il mento, il che fece aumentare ancora di più il mio nervosismo. Mi accorsi a stento che mi stava di nuovo parlando.
"Facciamo così, signorina. Leggerò il suo manoscritto per martedì prossimo e nel frattempo le invierò per email eventuali critiche o correzioni alle quali dovrà pensare." Mi allungò una mano, che strinsi con forza. Mannaggia se ero contenta!

Il ritorno sotto il cielo limpido e il sole scioccante fu.. terribile, non c'è un'altra parola per descriverlo. Appena i raggi cocenti mi colpirono mi mancò il fiato. Come diamine avrei fatto ad arrivare alla macchina? Annotai mentalmente di chiamare Ivan. E Manu. E Stefy. Ero DECISAMENTE al settimo cielo. Quindi corsi verso la mia Fiat Punto un po' ammaccata, stringendo istintivamente al petto la cartella con gli schizzi che poi mi ricordai aver lasciato nell'ufficio perché il direttore potesse considerare bene i disegni. E fu subito dopo quel pensiero che accadde. Il tanto di percorrere quella dozzina di metri e il cielo si era oscurato. Me ne accorsi solo perché un blocco bianco cadde sull'auto, sfracellandomi il parabrezza.
"Cazzo!" Il blocco di grandine era grande quanto la mia testa, se non di più. Guardai il cielo. Era nero. Premetto che a me i temporali sono sempre piaciuti, ho sempre trovato rilassante lo scroscio della pioggia e il rombo dei tuoni. Ma questo.. Dio, questo faceva paura. Intorno a me, altri blocchi di ghiaccio caddero, sfondando persino l'asfalto. Cercai freneticamente le chiavi in tasca ed entrai in macchina. Misi in moto, ma dallo specchietto retrovisore vidi che dietro l'auto c'era un uomo. Indossava quello che sembrava un impermeabile nero e lungo sino ai piedi. Rabbrividii. Questo era stranamente simile a quel film horror che avevo visto a dodici anni. Mannaggia, così però non potevo fare retromarcia per uscire dal parcheggio! Suonai il clacson un paio di volte, e lui fece una cosa così tanto da racconto fantasy che se non l'avessi vista non ci avrei mai creduto. Alzò le mani, i palmi rivolti verso di me, i pugni chiusi. Poi li aprì. L'onda d'urto mandò me e il mio catorcio a sbattere contro il palo dall'altra parte della strada. Cercai, mezzo soffocata dalla cintura di sicurezza, di liberarmi dell'airbag. Aprii lo sportello e mi catapultai fuori. Aveva iniziato a piovere. Pochi istanti, e mi ritrovai zuppa sino alle ossa. Ma non mi misi particolarmente a contemplare la pioggia. 
"Che cazzo fai? Sei impazzito!?" E con questi sfogo di maturità e intelligenza, corsi dalla parte opposta all'uomo. Ma era dietro di me. Dannazione, lo sentivo. Gli stivali che correvano sull'asfalto producevano un inquietante CIAK CIAK. Maledizione, ma non c'era nessuno in giro??? Entrai come una furia dentro a un bar, e mi rifugiai dentro il gabinetto, ignorando glì sguardi sconcertati del barista e delle persone all'interno. Mi guardai allo specchio. Il mascara si era sciolto e avevo i capelli in condizioni deplorevoli. Le urla fuori dalla porta del bagno mi fecero sobbalzare. Aprii la finestra del gabinetto e salii sul water. Maledetta la mia statura, mi dovetti mettere in punta di piedi e saltare per riuscire a puntellarmi coi gomiti sul davanzale. Ero quasi fuori, quando la porta venne sfondata. L'uomo mi afferrò un piede, e con l'altro cercai di calciargli la mano. Lanciai un urlo, più che altro di frustrazione, visto che aveva una presa davvero di ferro. Spinsi coi polsi sul davanzale e riuscii a issarmi sulle ginocchia. Si!! Ce l'avevo fatta. Saltai giù, sotto la pioggia, e schizzai via senza guardarmi indietro, verso l'autobus che si era appena fermato. Le portiere iniziarono a chiudersi.
"Aspetti!!"
Corsi più velocemente possibile, e riuscì con il braccio a tenerle aperte.
"Signorina, sono in ritardo di cinque minuti" mi disse l'autista, un uomo di mezza età con una calvizie in progressivo aumento.
"Si si, lo so, mi scusi." Mi voltai in direzione del bar, ma dell'uomo nessuna traccia. 
"Ehm, ha intenzione di sedersi?"
Mi riscossi dal mio imbabolamento e annuii all'autista. Avanzai fra i sedili rossi e blu, finché non trovai un posto libero. Sedersi fu una cosa fantastica.

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Capitolo 2
*** Ivan ***


Chiusi a chiave la porta dell'appartamento e lasciai cadere la giacca e le chiavi sul parquet. Mi sentivo stremata. Mi accoccolai sul divano rosso e accesi la tv.
"...climatiche estreme, cieli neri e pesanti perturbazioni soprattutto al centro. L'estate che sembrava essere arrivata tarderà, eppure le temperature resteranno stabili dai trenta gradi in su. Mare mosso soprattutto a occidente, dove la corrente nordica..."
Fuori, la tempesta si abbatteva contro i vetri delle finestre creando un rumore assordante, tipo che per ascoltare il meteo dovetti alzare tantissimo il volume. Guardai il cellulare, e mi accorsi con orrore che non c'era campo. Allora presi il pc, ma non c'era connessione. Eccheccavolo!!! Mi sventolai un po' con la mano, cercando un po' di frescura. Avrei aperto volentieri le finestre, ma avevo paura che la pioggia, il vento, la grandine o un tornado entrassero.
Avrei dovuto chiamare la polizia. Lo sapevo, eppure non mi avvicinai neanche minimamente al cordless. Avevo paura. Chi diavolo era quell'uomo? E poi nessuno avrebbe creduto alla storia della telecinesi. Insomma, aveva creato un campo di forza sufficiente a spostare un'auto per venti metri!! E chissà dove sarebbe arrivata, se non fosse stato per il palo. Rabbrividii. Non avevo davvero la più pallida idea di cosa avessi fatto per farmi cercare da uno così.
C'entrava il governo, sicuramente. Solo con degli esperimenti si poteva creare un uomo con dei poteri così. Per cui, supponendo che la spiegazione fosse questa, che cavolo voleva il governo da me? La mia fedina penale era macchiata solo da qualche multa!! La mia vita era insignificante, con nessun strano colpo di scena. Sospirai. Non c'era altra soluzione, dovevo chiamare la polizia. Quasi controvoglia allungai il braccio e digitai il numero sul cordless, attendendo con impazienza.
"Pronto, polizia. In cosa posso esserle utile?"
"Salve. Vorrei fare una denuncia."
"Prego. Mi vuole dare i nominativi o vuole che sia anonima?"
"Preferirei anonima. C'è un uomo che mi ha fatto schiantare con l'auto, stamattina, e mi ha inseguito per un'intero isolato. Indossava un impermeabile nero a cappa, con un cappuccio, e degli stivali neri." Sentii l'uomo scarabocchiare qualcosa, e lo capii dal fruscìo della carta. Poi la comunicazione s'interruppe. Ero un po' perplessa, ancora con il telefono appoggiato all'orecchio, quando qualcuno, dall'altra parte, alzò la cornetta. Non parlò. Sentivo solo il suo respiro. Pesante, catarroso, da fumatore.
"So che sei lì. Chi diavolo sei?" Sibilai con rabbia. Detestavo essere presa in giro. L'uomo rise, facendomi salire i brividi lungo la schiena. Poi attaccò.
Oh, ma vaffanculo!!! Doveva essere lo scherzo stupido di qualche ragazzino altrettanto stupido. Scossi la testa, quindi chiamai Ivan, che rispose al terzo squillo.
"Pronto?"
"Ei vecchio" dissi sorridendo. Lui mi faceva sempre sorridere.
"Ciao! Com'è andata?" Gli raccontai abbastanza velocemente l'impressione che secondo me avevo fatto, ma qualcosa nel modo in cui lo dissi gli fece capire che non era per quello che l'avevo chiamato.
"Silvi, che c'è?" Sospirai. Era così dannatamente bravo a capire se qualcosa non andava. Sapevo che era innamorato di me.. e forse anche io di lui. Era tutto quello che avevo sempre cercato. Aveva le mie stesse passioni, era simpatico, carino, incredibilmente gentile e sincero. E per me la sincerità era tutto.
Eppure non era lì con me. Maledetta questa distanza.
"Mmm" feci io. Non ero sicura di come iniziare il discorso.
"Se ti dicessi che stamattina un uomo mi ha mandato a sbattere contro un palo aprendo semplicemente il suo pugno chiuso verso di me?" Probabilmente l'ultima parte doveva essermi uscita come un miscuglio intricato e incomprensibile di suoni. Eppure lui, come sempre, capì.
"... sei seria?"
"Certo che sono seria!!" Gli raccontai il più minuziosamente possibile l'inquietante accaduto e l'ancora più inquietante uomo in nero. Dio, iniziavo a parlare davvero come Will Smith in Men in Black. Per qualche secondo dopo che ebbi finito dall'altra parte ci fu silenzio, e temetti di risentire il respiro strano di poco prima. 
"Io.. non saprei che dirti, come spiegazione. Hai chiamato la polizia?"
"Certo, anche se ovviamente non ho detto la storia pugnoaperto-ondadurto-incidente"
"Beh, si, neanche io l'avrei fatto. Sei sicura al cento per cento di quello che hai visto?"
"Per l'ennesima volta, SI, IVAN. E poi è proprio in quel momento che è iniziato quel tempo di merda e la grandine." Parlammo per circa una ventina di minuti, ma non arrivammo a niente. Alla fine fu lui ad attaccare, perché senza rendercene conto era arrivata l'ora di pranzo. 
Aprii con tristezza il frigo e guardai sconsolata gli avanzi della cena di ieri. Optai per un piatto d'insalata di riso. Almeno conteneva della buona, vecchia, sana maionese. Seduta sul divano a guardare la quarta stagione di Fringe, il cielo sembrava ancora più nero. E poi di nuovo quella sensazione, come se stessi vivendo la mia vita in terza persona. Tremai di paura. Ricordavo benissimo cosa era successo poco dopo. Per sicurezza, andai in cucina e afferrai il coltello più grosso che riuscii a trovare. Poi mi misi a fianco della porta dell'appartamento. Aspettai, quasi con impazienza. Ma niente. Nulla. Nada. Zero. Rien. Ma porca miseria!!! E appena lo pensai, una figura tremolante si materializzò nel soggiorno. La guardai, stringendo convulsamente il manico nero del coltello. I contorni dell'uomo si fecero sempre più nitidi, tanto da poter constatare con non poco sollievo che non indossava nessun impermeabile o degli stivali. L'uomo davanti a me portava una T-shirt nera dei Queen, un paio di jeans che gli rimanevano davvero bene sui fianchi e un paio di sneakers semplici. Aveva dei capelli bellissimi. Non mi accorsi di essere avanzata verso di lui sin che la sua mano non si posò sul mio viso.
"Ei" disse. Lo guardai, probabilmente con l'espressione di un pesce che ha appena abboccato. Oh, cazzarola.
"Merdaccia.. Ivan!!!" Arretrai un po' andando a sbattere contro il bracciolo del divano. 
"Tranquilla. Ei! Occhio, hai lasciato il coltello per terra." Mise le mani avanti, come a dichiararsi innocente. Aveva una voce così strana dal vivo. Era più profonda. Era più.. faceva fare le capriole alla fenice, ecco.
"Maccheccazzo... che cavolo ci fai tu qui?" E lui sorrise. Mannaggia se mi piacevano le sue fossette. Evitai di distogliere l'attenzione dai suoi occhi, che erano l'unica cosa che riuscisse più o meno a farmi stare concentrata su quello che stava dicendo.
"Ripeto: che cavolo ci fai qui?" Il mio tono risultò più acido che sorpreso, e la cosa un po' mi stupì. Insomma, ero contenta di vederlo, no? 
"Ero preoccupato per te." Oh, merdaccia. Aveva un tono piuttosto ferito.
"Ma non è che intendessi proprio quello. Volevo dirlo più nel senso: come cavolo hai fatto ad arrivare qui?"
"È una lunga storia." Alzai un sopracciglio, anche se a causa della frangetta lui non poteva vederlo.
"E io, sin che un maniaco in nero non cercherà di uccidermi, ho tanto tempo" ribattei comunque io. Eccheccavolo.
Ivan sospirò. "Riassumendo, posso iniziare dicendoti che ci sono perennemente in corso delle mutazioni nel genoma umano, anche se impercettibili o a volte del tutto invisibili."
"Lo so. Anche io ho studiato biologia." Ed ecco di nuovo quel tono acido. Lui era.. cazzo, lo guardavo e io mio stomaco faceva un mucchio di capriole, ero felice, volevo solo baciarlo e stringerlo e rimanere abbracciata a lui. Eppure ero anche scocciata. Il fatto che il nostro fosse un amore impossibile era un punto fermo della mia vita da un bel paio d'anni, ormai. E ora mi appariva davanti così, senza nessuna difficoltà... rendendo ridicoli e inutili tutti i miei momenti di disperazione degli ultimi quattro anni. Ripeto: eccheccavolo.
"Beh, a volte queste mutazioni sono più evidenti delle altre. Io ne sono un esempio. La mia mutazione mi permette di disperdere le mie molecole e di farle ricomporre in modo perfettamente ordinato. Si, lo so, ti chiedi: e i vestiti?" disse interpretando alla perfezione il mio sguardo. "Con gli anni ho imparato a portare con me qualunque materiale fosse in diretto contatto con le mie cellule epiteliali."
"Ivan, ti rendi conto che è la trama di The Tomorrow People?"
"Io veramente avrei detto più di X-Men." Sorrise, inclinando leggermente la testa di lato, in modo da risultare ancora più sbruffone.
Alzai le mani al cielo e scossi la testa,.senza parole. Mi lasciai sprofondare nel divano e continuai a guardarlo, aspettando che mi spiegasse altro. Ma lui si sedette accanto a me e continuò a guardarmi. A un certo punto quello scambio di sguardi m'innervosì a tal punto da farmi gettare la testa all'indietro e sbottare con un: "eccheccazzooo." Lui alzò un sopracciglio.
"Pretendi che me ne stia tranquillamente qui a guardarti quando un cavolo di schizzato mi ha fatto schiantare e inseguito stamattina e tu sei appena apparso nel mio soggiorno!?" Lui emise un profondo sospiro, anche troppo teatrale, secondo me.
"Ok, senti. Non è che posso raccontarti ogni singola capacità di ogni mutante che conosco. Però posso dirti chi è quel tizio." E si zittì, come in un film. Avete presente nel momento clue quando tutto si blocca o succede qualcosa che fa ritardare il momento della verità!? Accadde quello. Non sentimmo neanche i passi arrivare. Una pioggia di schegge di legno ci arrivò sopra, e io gridai. Ivan si alzò in piedi. Se fossimo stati in un film quello sarebbe stato il momento in cui tutte le ragazze gridano "oooooohhh". Ma, mannaggia a me, non era un fottuto film. Il suo alzarsi in piedi non fu determinato dal fatto di voler salvare la situazione (magari stracciando la maglietta per mostrare la S di Superman), bensì per vedere chi era. Appena lo capì, si mise in ginocchio al mio fianco, circondandomi il busto con il braccio. Alzai la testa, e l'ultima cosa che vidi prima che ogni cosa davanti a me sparisse in un vortice luminoso, fu la porta del mio appartamento distrutta e l'uomo incappucciato che avanzava verso di noi con la mano tesa.

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Capitolo 3
*** Nella luce del tramonto ***


Atterrare in un letto comodo e lussuoso dopo essere stata appena teletrasportata dall'uomo che ti rendi conto aver sempre amato, può sembrare una cosa fantastica. Io garantisco che non lo è per niente, per due motivi. Innanzi tutto, se siete appena fuggiti da un mutante pazzo che voleva uccidervi, avrete il cuore a mille e una paura tremenda; in secondo luogo, il fatto di aver scoperto che l'uomo del quale siete innamorate è un mutante anche lui e la consapevolezza di non vivere nel mondo in cui credevate, è proprio un duro colpo.
Rotolai fuori dal letto e assunsi un'istintiva posizione di difesa, per quanto potesse risultare ridicola. E a quanto pare lo fu, visto che Ivan mi guardò ridendo, si sistemò le braccia dietro la testa e si coricò.
"Stai tranquilla" disse. "Qui siamo al sicuro." Le suo parole mi tranquillizzarono non poco. A rigor di logica, un tipo che poteva teletrasportarsi ovunque e che doveva scappare da un omicida piuttosto schizzato, avrebbe scelto un posto che conosceva e che considerava sicuro. Anche se probabilmente leggevo troppo. Sino ad ora era andato tutto come me lo aspettavo (più o meno), e tutta la storia continuava a sembrarmi una puntata di The Tomorrow People.
Per cui, ammettendo che avrebbe continuato a seguire una ferrea logica da telefilm, per ora avremmo potuto stare tranquilli. Oh, grazie a Dio.

Mi guardai intorno. Avevo notato già da prima che la stanza era lussuosa, ma non COSÌ lussuosa. Il letto, punto primo, era a baldacchino, con diecimila copriletti in tinte sia unite che non, tutte tendenti al verde, al blu e all'acquamarina. Per non parlare dei cuscini (quasi sicuramente imbottiti con vere piume) tutti ammassati alla testiera. Tutt'intorno al letto c'era un tappeto bianco pelosissimo, di quelli che ti fanno venire voglia di buttartici sopra e rotolare come un cucciolo di labrador, in stile Nintendogs. Una parete era fatta completamente di vetro, e si vedeva da un'altezza vertiginosa... il Parc Guell!?
"Ivan, dove diavolo siamo?"
"Ma lo sai, se lo stai chiedendo" rispose lui prendendomi in giro. Sbuffai, e con grande sfoggio d'intelligenza dissi l'ovvio: "Quello è il Parc Guell! Siamo a Barcellona!!!" Non riuscii a reprimere un gridolino di gioia. Avevo sempre voluto ritornare a Barcellona. Di tutti i viaggi fatti con la mia insopportabile famiglia, quello era stato senza dubbio il più bello. Ma, poiché non avevamo fatto in tempo a vedere tutto (come ad esempio la Casa Battlò e la Sagrada Familia), ero stata sempre ansiosa si ritornarci. Barcellona era una città che affascinava, ecco.
Non mi accorsi che si era alzato sin che non sentii il suo braccio intorno alle mie spalle. Senza pensarci due volte appoggiai la testa sulla sua spalla, rimanendo lì, a gustarmi quel panorama stupendo, pieno di arte e di vita, insieme all'unica persona con cui avrei mai voluto ammirarlo. Ma il chiodo fisso della paura continuava a martellare.
Mi voltai verso di lui e rinunciai a mettergli le mani sulle spalle. Sarei risultata ridicola. In confronto a lui sembravo un nano da giardino. No, rettifico: eravamo come un marciapiede contro un grattacielo. Che tristezza.
"Ivan. Siamo al sicuro da cosa, di preciso?" domandai, con quanta più calma riuscissi a infondere in ogni singola parola.
"Noi mutanti siamo divisi in due. Una parte di noi, come me, vive la propria vita normalmente, purché non mostri le doti in pubblico. Gli altri invece.." Sospirò e si voltò. "Gli altri, sono sotto la guida di un umano, pazzo, a mio avviso, che gli promette una cura" disse, enfatizzando sull'ultima parola. "In cambio di questo siero, loro danno la caccia ai mutanti con un livello di mutazione superiore alla norma e li eliminano." Detto ciò, mi guardò serio. Probabilmente persino lui sentiva gli ingranaggi del mio cervello realizzare quello che aveva appena detto.
"Stai forse dicendo che il tizio in impermeabile mi dà la caccia in quanto sono una MUTANTE CON UN LIVELLO DI MUTAZIONE PIÙ ALTO DELLA NORMA??????" L'ultima parte, devo ammetterlo, mi era uscita in modo leggermente stridulo.
"È quello che pensano loro."
"In che senso?"
"Beh, a vent'anni avresti già dovuto mutare. Invece, da quanto ho capito, tu non hai ancora notato niente di strano." Annuii.
"Per cui davvero non capisco il motivo che li induce a cacciarti."

 

Restammo accoccolati sul letto sino al tramonto. In realtà, mi accorsi che era il tramonto perché Ivan mi svegliò per guardarlo dalla finestra. Era... STUPENDO. Il cielo aveva delle sfumature bellissime, che si riflettevano sulla città, facendo sembrare il Parc Guell ancora più magico e colorato. Avevo in testa mille preoccupazioni, avevo scandagliato i miei ricordi in cerca di qualsiasi stranezza nel mio comportamento, ma non avevo notato nulla. La mia vita si era svolta sempre uguale. Dai diciassette anni in poi, era migliorata visibilmente: i miei genitori avevano iniziato tutt'ad un tratto ad ascoltarmi, ero stata molto più libera di fare quello che volevo e ogni cosa dicessi veniva sempre ascoltata. Per cui, da quando avevo finito di studiare alle superiori, le cose per me, anche se noiose, erano andate piuttosto bene. E basta, non era accaduto nient'altro. Niente che potesse essere definito come una mutazione. E fu questo che raccontai a Ivan, mezzo addormentata, con la coperta intrecciata alle mie gambe nude, il suo petto caldo contro la mia schiena e il suo braccio intorno a me. Sentivo il suo respiro sulla nuca, dove ogni tanto posava morbidi baci. Mmmm.

Mi voltai verso di lui, respirando contro la sua bocca. Le sue mani mi solleticavano la schiena, mandando dei piacevoli brividi in ogni parte del mio corpo. Non avevo in mente nient'altro se non il suo odore. L'appartamento mezzo distrutto, il maniaco che mi cercava... puff, spariti. Ed era così bello avere la mente libera da ogni pensiero.

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