“La situazione potrebbe andare peggio”
disse Louis con rimorso osservando Kevin che, impacciato, pagava da bere a una
ragazza.
“Sappiamo tutti che stai aspettando il
momento in cui raggiungerà il picco della sua scortesia” commentò Nick
infilandosi le scarpe da bowling che aveva appena affittato. Erano terribili ma
era consolante sapere che tutti coloro che erano sulla pista ne avevano un
modello uguale al suo. Si doveva vergognare solo di essere visto dai giocatori
nella zona del biliardo.
“Gli ha detto che ama mangiare con le
mani, che pratica molto sport e ha scoperto che ha una grafia pessima. Sai che
per lui questo è sinonimo di disordine” fece il conto Louis.
“Ma anche che non le piace bere
alcolici, che non porta tacchi e vestiti troppo eleganti e non ama fare troppo
tardi la sera” completò Nick.
“È troppo carina per lui”.
“Lo vedi così in basso?”
“È mio cugino: non lo vedo proprio”
chiarì Louis.
“Non è così male” disse Nick,
guadagnandosi un’occhiata basita dal biondino.
“In quel
senso?” gli sussurrò il biondino avvicinandoglisi. Louis sapeva essere quasi
petulante come sua madre, riflettè Nick; così scappò in direzione del bar per
evitare di rispondere alle domande del suo migliore amico.
“Siete pronti a cominciare la partita?”
chiese allegro alla coppia.
Helen annuì soddisfatta mostrandogli le
scarpe che aveva già indossato. Kevin sembrava più che altro rassegnato.
Nick li trascinò sulle sedie della
pista che era stata loro assegnata e invitò Louis a fare il primo tiro. L’amico
lo guardò e poi si voltò per prendere la sua palla preferita: quella nera, la
più pesante. Voleva galvanizzarsi come al solito, pensò Nick ben sapendo che
senza nessun riscaldamento era difficile che il tiro venisse bene. Ma sfidarsi
così era il loro gioco, infatti anche lui tirò con lo stesso tipo di palla,
buttando giù una manciata scarsa di birilli.
Fu Helen a provare per terza e afferrò
con decisione una palla di medie dimensioni. “Sembra che sappia quello che sta
facendo” osservò Louis sporgendosi verso Kevin in modo che potesse ascoltarlo
anche lui.
“Pare che suo fratello la trascini
spesso in posti come questo e mi ha detto che preferisce andare in pista che
ascoltare i discorsi stupidi che fa con i suoi amici” gli rispose il cugino
lanciando una significativa occhiata a lui e Nick.
“Noi facciamo discorsi seri!” si sentì
punto sul vivo Louis.
“Certo: le tecniche di baro, le mosse
del biliardo, la classifica di iTunes…”
“…Le parti posteriori della gente”
“Si chiamano culi, Kevin” puntualizzò
Louis “Sei sempre molto elegante a non pronunciare certe parole”.
Louis alzò la testa appena in tempo per
vedere tornare Helen “Non stavamo parlando del tuo” la tranquillizzò. Kevin
divenne di un dolce bordeaux.
Fu il turno di Kevin e Nick notò subito
che stava per afferrare la palla rossa che prendeva di solito, la più leggera.
Fece un po’ di rumore per attirare la sua attenzione e gli fece segno di
prendere almeno una boccia delle stesse dimensioni di quella che aveva usato
Helen. Piuttosto sbagliare il tiro ma non dimostrare meno muscoli. Kevin parve
capire il suo ragionamento e seguì il consiglio di Nick.
Ovviamente il tiro di Kevin non andò
molto bene. Fu un vero disastro: finì dritto nel corridoio laterale e non
abbatté nemmeno un birillo. Nick afferrò Louis per impedirgli di fare battute
“Non metterlo in imbarazzo” gli sibilò. Il biondino fece segno di aver recepito
il messaggio.
“Non sono molto bravo” constatò Kevin
tornando a sedersi.
“Sei fortunato. Significa che non esci
con gruppi di ubriachi rumorosi a cui è meglio non stare vicino” lo accolse
Helen spostando la sua borsa per farlo sedere accanto a lei. Kevin si accomodò
a qualche sedile di distanza.
Nick sospirò: l’amico era un caso
disperato. Doveva trovare un modo per farlo spostare e organizzare una lezione
sul linguaggio del corpo. Fu distratto dall’urlo esultante di Louis che lo
riportò alla gara.
Era assolutamente necessario fare uno
strike per mantenere un piccolo stacco su Louis o l’altro avrebbe fatto il
galletto tutta la sera. Sarebbe stato più divertente per Nick essere lui a fare
lo strafottente quella sera; anche perché quella ragazza, Helen, aveva qualcosa
in comune con Kevin che li faceva andare abbastanza d’accordo. I sentimenti non
si potevano valutare nero su bianco come faceva Louis, contando i pro e i
contro; bisognava sentirli col cuore. Nick aveva la brutta sensazione che tra
Kevin ed Helen potesse funzionare.
“Cuginetto, non avermene a male ma ho
visto degli amici al biliardo. Vado a salutarli, tanto non farai grandi colpi”
proferì Louis allontanandosi.
Quando Kevin tornò dal suo disastroso
secondo tiro, si accomodò accanto a Nick esattamente di fronte a Helen, che nel
frattempo si stava alzando a sua volta.
“Dovresti andare da lei” gli fece
notare Nick indicando il posto vuoto con la testa, approfittando della
momentanea assenza di Helen.
“Mi sento più a mio agio qui. Almeno
finché non torna Louis”.
“Devi provarci con Helen” lo mise alle
strette Nick “tra le ragazze che hai conosciuto nelle ultime tre settimane è
quella con cui ti vedo di più”.
Kevin non rispose mentre la guardava
tornare verso di loro. Sollevò lo sguardo per controllare il punteggio e trovò
lo schermo nero. Anche Nick se ne accorse e commentò “è così in tutte le piste,
deve essere andato in cortocircuito qualcosa”.
“Aspetteremo” proclamò Helen mettendosi
a sorseggiare la sua bibita.
I tre rimasero in silenzio per qualche
momento, finché Nick non si rese conto che quei due avevano bisogno di una
spinta “Credo di conoscere gli amici di cui parlava Louis. Potete scusarmi un
attimo?”
Kevin squadrò Helen rapidamente,
cercando di non farsi notare. La ragazza si voltò verso di lui cogliendolo in
flagrante e gli sorrise. Se non altro non sembrava ostile.
Kevin si sforzò di fare conversazione e
giustificare il suo sguardo: d’altronde, dietro di lei c’era lo schermo rotto.
“Quanto credi ci metteranno a riparare il guasto?” chiese, sebbene sapesse di
non potersi aspettare nulla.
“Non dovrebbe trattarsi di una cosa
lunga: l’elettricità nelle altre macchine funziona quindi il problema è
localizzato nel computer che gestisce questi schermi”.
Kevin si sforzò di non strabuzzare gli
occhi a una così lucida risposta.
“Ti intendi di computer?”
“Viviamo nel terzo millennio, sono il
nostro futuro. Bisognerebbe applicarsi invece di lamentarsi dell’era che stiamo
vivendo”.
Kevin ebbe quasi l’impulso di
abbracciarla. Quasi o avrebbe significato scomporsi “i tecnici lassù” fece
indicando il bancone principale della sala “non sembrano avere altrettanto
chiara la situazione”.
Lì sopra in effetti regnava la
disattenzione più totale, tra chi era intento a controllare i pagamenti fatti
alla cassa, chi sembrava più interessato a distribuire le bevande e chi
lucidava le scarpe da consegnare ai clienti. Ah sì, ben tre uomini sembravano
applicarsi nel maneggiare un vecchio computer.
“Perché vi lavorano in tre? Ne
basterebbe uno” commentò Helen seguendo il suo sguardo.
“Perché di tre non ne fanno uno” A dar
ragione a Kevin vennero rapidamente i visi stessi degli uomini, che si
corrucciarono improvvisamente mentre sugli schermi sopra le piste da bowling
cominciavano ad apparire scritte blu. Uno si allontanò dando cameratesche
pacche sulle spalle agli altri due.
“Andiamo a salvare la situazione?”
Offrì lei.
“Non volevo sembrare invadente”
ritrattò Kevin.
“Non è essere invadenti, è aiutare il
prossimo” puntualizzò Helen prendendogli la mano e conducendolo con sé.
Kevin sapeva che non era un
comportamento da lui e ne ebbe la conferma quando, durante il tragitto,
incontrò lo sguardo di Nick. Se l’amico avesse visto la propria madre ballare
mezza nuda in mezzo al locale probabilmente sarebbe sembrato meno
traumatizzato. Lo credeva davvero un caso così disperato? Per ripicca strinse a
sua volta la mano di Helen. La bibita fredda che la ragazza aveva tenuto in
mano fino a poco prima aveva reso la sua pelle particolarmente piacevole.
“Possiamo darvi una mano?” Chiese Helen
rivolgendosi a quello che giudicò il più alto in grado tra gli uomini dietro il
bancone.
Quello si mise a ridere “cosa credete
di capire di queste macchine infernali?”
“Più di quanto ne sappiano i suoi
ragazzi che sembrano sul punto di cercare delle mazze” intervenne Kevin
occhieggiando dietro il bancone.
Per fortuna uno di loro si avvicinò
“Abbiamo bisogno di un po’ di aiuto in effetti. Il sistema non ci lascia
entrare, vuole la password dell’amministratore che a quest’ora non riusciamo a
contattare”.
“Hackerate il sistema, non avrete la
protezione della C.I.A.!” Esclamò Helen esasperata.
“Non sarà illegale?”
Kevin preferì sorvolare sulla scarsa
conoscenza giuridica dimostrata con argomenti più pratici “Preferite un’orda di
clienti inferociti?”
“Passate” acconsentì infine l’uomo
alzando loro il ripiano del bancone.
Helen e Kevin si infilarono nello
stretto spazio a disposizione e fecero allontanare il capannello di curiosi ma
ignoranti di tecnologia che si era formato. Helen lasciò il posto di comando a
Kevin che si mise all’opera.
In cinque minuti il sistema ripartì e
in sette furono recuperati anche i dati delle partite che erano in corso.
Coloro che erano stati intorno a lui e Helen durante l’operazione si
prodigarono in complimenti e partì anche qualche applauso: Kevin notò con piacere
che la ragazza sembrava imbarazzata quanto lui.
Questa volta fu lui a prenderla per
mano e a guidarla fuori dalla bolgia, anche perché tutti quei corpi ammassati e
sudati cominciavano a dargli fastidio. Le parole che Nick continuava a
rivolgergli sull’aprirsi al mondo gli tornarono in mente, così non appena
furono tornati in un angolo più tranquillo si costrinse a chiederle “Ti
andrebbe di prendere qualcosa da un’altra parte?”
*
Nick si svegliò di soprassalto al
trillo del suo campanello. La sua testa finì a sbattere contro il tetto e ciò
raddoppiò il mal di testa che già aveva. Chissà come mai si svegliava in quelle
condizioni, gli sembrava di non aver dormito affatto.
Ah. Kevin che se ne andava con Helen,
la sbronza colossale che si era preso. Ora la dinamica generale era abbastanza
chiara anche se i particolari della serata gli sfuggivano ancora.
Il campanello squillò di nuovo.
Cercando di mettere a fuoco i numeri che lampeggiavano sulla sua sveglia, si
chiese distrattamente chi avesse deciso di rompergli proprio quella mattina.
Si alzò e si accorse di essere ancora
vestito. Un problema in meno se fosse stato necessario aprire la porta.
Sganciò la chiusura della finestra e
fissò in basso. Il suo sguardo venne ricambiato da un impaziente Kevin che friggeva
sulla soglia di casa sua e che lo minacciò per farsi aprire. Sembrava così
seccato già solo per il fatto di dover portare in mano due tazze di caffè.
Kevin con due tazze di caffè in mano.
A Nick venne un capogiro e rischiò di
cadere di sotto. Chiuse il vetro con uno scatto e una faccia spiritata. La
serata con Helen era andata bene, ne aveva avuto il sentore, ma così era troppo
bene. Non poteva sopportarlo, sperava di avere più tempo per abituarsi più
gradualmente all’idea.
Invece Kevin aveva trovato la fidanzata
che cercava… No, che Nick stesso gli aveva cercato. Perché aveva proposto
quella stupida scommessa? Perché l’aveva vinta, se faceva così male?
Kevin diede chiari segni di noia
cominciando a scampanellare senza ritegno. Nick si staccò dal muro con
decisione e imboccò le scale ma dovette fermarsi a causa dei continui capogiri.
Alla fine, reggendosi al corrimano, riuscì ad arrivare al piano terra.
A ogni trillo le sue tempie pulsavano
più dolorosamente e la vista non era molto chiara.
Avrebbe ricevuto Kevin, si sarebbe
congratulato e l’avrebbe salutato dicendo che aveva da fare. Tutto molto
rapido. Poi avrebbe potuto crogiolarsi nel suo dolore e chiamare qualche
ragazzo della sua rubrica per farsi sollevare il morale.
“Ti ho portato il caffè e una
controproposta”disse Kevin non appena gli ebbe aperto la porta, varcando la
soglia e sbattendogli addosso i due bicchierini di carta. Su uno la commessa
aveva anche scritto il suo nome, notò Nick prendendoli.
Kevin andò a issarsi su uno degli
sgabelli vicini al piano di lavoro per la cucina, mentre Nick rimase
imbambolato qualche attimo e poi si avvicinò con gesti circospetti.
L’altro parve notarlo e, quando Nick
posò i due contenitori vicino a lui, si sporse in avanti per guardarlo in
faccia. Intuì subito il problema “Quanto avete bevuto tu e Louis ieri sera?”
“Tanto. Gli amici di Louis ci andavano
giù pesante” ammise Nick concedendosi di accasciarsi sul freddo marmo fino a
ricevere qualche sollievo alle tempie.
Sentì Kevin sospirare “Non pensare di
farmi pena”.
“Credo anche di essermi fatto uno dei
ragazzi” biascicò Nick mentre cominciava a ricordare qualche sprazzo della
nottata trascorsa. Capelli neri corti, occhi scuri, niente barba, espressione
imbronciata: Nick gemette rendendosi
conto delle somiglianze con Kevin.
L’altro alzò gli occhi al cielo “Non
dico che ti troverò un ragazzo perché ne trovi già abbastanza da solo ma non
pensi che dovresti puntare un po’ più in alto? Diciamo a una storia che duri…
almeno un mese?” si arrischiò a dire Kevin.
Nick lo guardò duramente, senza nessuna
traccia di sorriso “Il fatto che tu ora sia fidanzato non ti dà il diritto di
giudicare ciò che faccio io”.
Kevin dovette capire che non era il
momento, perché afferrò la sua tazza e prese un sorso di caffè, invitando l’amico
a fare altrettanto. Nick glielo concedette trascinandosi su uno sgabello; era
comodo avere una seduta alta ma con i postumi di una sbornia avrebbe preferito
il divano: dava meno le vertigini e non si rischiava di sfracellarsi sul
pavimento.
“Mi sembra il momento di parlare della
mia controproposta alla tua scommessa” esordì Kevin non appena Nick deglutì.
“Nostra scommessa” lo corresse
amaramente “Ti ho trovato la ragazza quindi mi porterai il caffè a casa per il
prossimo mese, non provare a scappare”.
“È questo il punto: non ho nessuna
fidanzata, né cercata né voluta né presentata da te”.
Nick fece saettare gli occhi sul viso
dell’altro “Ed Helen?”
“Preferisco passare del tempo con lei
che con chiunque altro tu mi abbia presentato ma da qui a volerci stare insieme c’è una certa differenza”.
“Sembravate in sintonia” constatò Nick
ancora incredulo.
Kevin si strinse nelle spalle “Ieri
sera credo di aver capito che non voglio una ragazza. Forse prima devo imparare
ad aprirmi con le persone di cui già mi fido. Non andando in moto” chiarì
fissandolo.
“Quindi il caffè…” indicò Nick il cui
mal di testa gli faceva sembrare di non capire nulla di quello stava dicendo
l’altro. Doveva essere sicuro di quello che stava capendo.
“Mi offro di portartelo per… Tre giorni…”
valutò Kevin con calma “se tu lasci perdere la scommessa. Questa è la
controproposta”.
Nick scoppiò in una risata
incontrollata.
“Quando hai finito sono qui” fece
notare Kevin agguantando di nuovo il caffè e stampandosi in faccia un adorabile
broncio: odiava essere ignorato. Ma a tutto c’era rimedio.
Nick scese rapidamente dallo sgabello e
fece il giro del bancone, prendendo la mano dell’amico e inchiodandola al
marmo. Kevin si voltò sorpreso e si ritrovò la bocca di Nick a pochi centimetri
dalla sua. Sorrideva, come al solito. Forse più del solito.
Quel sorriso fu l’ultima cosa che vide
prima di chiudere gli occhi assecondando un istinto naturale.
*
Louis stava scendendo le scale di
fretta quando sentì sua madre parlare al telefono in francese. I parenti al di
là dell’oceano sembravano avere chiamate gratuite in qualunque parte del mondo
o molti soldi.
Sua madre però gli fece cenno di
fermarsi e questo per Louis voleva dire una delle sue tante zie che non vedeva
l’ora di parlare con il suo nipotino. Tutti i suoi parenti francesi avevano una
straordinaria tendenza ad immaginarlo come un poppante e trattarlo come tale.
D’altronde, l’ultima volta che lo avevano visto avrà avuto una decina d’anni.
Si rassegnò ad attendere pensando a
qualche frase con cui stupire il suo interlocutore. Forse poteva cominciare a
raccontare la serata precedente per poi sfumare negli litri di alcolici bevuti.
Avrebbero smesso di aspettarsi un decenne, magari.
“Nicholas” disse sua madre passandogli
il telefono.
Già, la mamma parlava francese anche
con lui, pensò Louis molto più felice.
“Andiamo in un bar stasera?” Esordì
l’altro non appena ebbe sentito la sua voce.
“Saresti la mia anima gemella se io
fossi gay. Mi sgancio dalla famiglia e arrivo a casa tua” lo rassicurò buttando
giù il telefono dopo un biascicato assenso.
Dopo mezz’oretta Louis, in sella al suo
Monster Ducati rosso fiammante, già strombazzava sotto casa di Nick.
Il ragazzo uscì di casa con già in
testa il casco. Ma da quando Nick per andare al bar metteva il casco, con il
rischio di dimenticarlo ovunque? Dopo aver tirato fuori la moto dalla rimessa,
l’amico gli fece cenno di partire. Louis avrebbe dovuto anche scegliere il
locale e optò per il più vicino. Perché prima o poi Nick sarebbe dovuto tornare
a casa per posare quel maledetto elmetto.
Arrivati nel piccolo parcheggio,
un’occhiata gli rese subito abbastanza chiaro perché avesse deciso di coprirsi
la testa. “Di cosa ti sei fatto? E soprattutto, perché non mi hai chiamato?”
chiese subito alludendo agli occhi rossi.
“Perché avevo bisogno di stare da solo”
fece Nick trascinandosi nel pub.
“Ma in compagnia è più divertente”
Louis non era disposto a demordere.
“Non mi sono fatto di nulla” chiarì
Nick stufo del gioco “solo sigarette. Ho pianto”.
“Perché ti mancava della buona materia
prima. Potevi chiamarmi: lo sai che conosco la gente adatta”.
Nick sorrise, fissando il bancone. “È
un po’ più grave di questo” puntualizzò dopo aver ordinato da bere.
Il sorriso che aveva sfoderato era
amaro e Louis era abbastanza bravo da capire quando non andava più ignorato
“Qual è il problema?”
“Credo che dovrete cercarvi un altro
bassista”.
Louis aprì la bocca e poi la richiuse.
Si decise infine ad esclamare “dove vuoi andare?” facendo voltare mezzo locale
con il suo tono.
Nick rimase calmo finché tutti gli
avventori non ebbero ripreso le loro conversazioni e poi tirò un grande
sospiro. Louis aveva sempre più la sensazione che l’amico stesse parlando di
qualcosa di serio, anche perché non poteva essere una motivazione banale a
spingerlo a una scelta simile.
La band aveva formato i momenti in cui
si erano divertiti di più negli ultimi tempi. Certamente Louis non aveva
problemi a divertirsi in qualunque situazione ma il tempo che passava con Nick
e Kevin era diverso: sapeva di tranquillità, in un certo senso. Lui e Nick che
facevano casino, Kevin che li rimbrottava. Loro che alzavano il volume della
musica e Kevin che borbottava sempre più piano e diventava incomprensibile
finché non si decidevano ad abbassare. Nick che li portava a casa responsabilmente.
Era la loro routine, quella in cui non aveva paura di essere giudicato da
nessuno. Cioè, Kevin lo giudicava continuamente ma non se ne preoccupava: era
il suo modo di rapportarsi alle persone.
Nick aveva già svuotato mezzo bicchiere
del suo drink quando tornò a parlare “Ho baciato Kevin”.
Louis rimase un attimo spiazzato, anche
perché il primo nome che gli veniva in mente non era proprio associabile a una
frase simile “Il ragazzo di ieri sera? Non sapevo si chiamasse così” commentò
noncurante, ancora senza capire.
“No, il nostro Kevin: il batterista”
sibilò piano Nick.
“Mio cugino?” Urlò Louis, se possibile
più forte di prima. Questa volta anche il barista si girò verso di loro e si
mise a ridere. Chissà cosa aveva capito.
Nick annuì piano.
Louis si sentì legittimato a bere la
sua birra prima di poter rispondere. Kevin… dire che era sempre stato etero
sarebbe stato troppo. Era sempre stato asessuato, un raro esemplare di quegli
animali che bastano a se stessi e non hanno impulsi da soddisfare.
Razionalmente parlando, poteva anche essere gay in effetti. Non c’erano prove
né in un senso né nell’altro.
“Quindi gli piacciono gli uomini?”
Chiese per conferma, seguendo il filo dei suoi pensieri.
“Non credo proprio” gli rispose Nick
finendo il suo boccale e ordinandone un altro con un cenno.
“Allora perché lo hai baciato? Aspetta,
anche se avesse le tue tendenze, perché l’hai baciato?” Ripeté Louis, non
capacitandosi di come uno come Nick potesse apprezzare sotto quel punto di
vista uno come Kevin.
“Perché mi piace, da un po’. E credo di
aver avuto ancora in corpo un po’ dell’alcool di ieri sera” tentò di
razionalizzare, dopo averci pensato tutto il giorno.
“Un’altra anche per me, grazie” chiese
Louis al barista che consegnava l’ordine di Nick.
Il suo migliore amico e suo cugino:
questo era strano. Avrebbe dovuto abituarsi all’idea. Gli tornarono in mente le
prime volte che avevano suonato e l’inspiegabile timidezza di Nick nei
confronti di Kevin; quanto l’aveva preso in giro. O quando alla laurea di Kevin
Nick era arrivato con la cravatta: sembrava un damerino. Improvvisamente capì
che tutte le volte che Kevin guardava la sala con aria annoiata mentre loro due
si buttavano nella mischia, il suo sguardo distratto cercava Nick.
“Auguri, credo” disse infine “ma voglio
un posto in prima fila quando farete cose sconce. Vorrà igienizzare qualunque
cosa. A proposito, non lo urta più il contatto umano?” era più forte di lui:
rimanere serio per più di qualche minuto era troppo difficile.
“Ti ho appena detto che a lui non
piacciono gli uomini!” provò a riportarlo sulla terra Nick. Si era distratto.
“E quindi perché l’hai baciato?” Ripeté
Louis per la terza volta ripromettendosi di fare attenzione alla risposta.
Nick evidentemente giudicò di aver
parlato abbastanza e fece un crudo riassunto dei fatti “Ho agito per impulso e
l’ho baciato. Quindi ora lascio il gruppo perché non penso che riuscirà più a
guardarmi in faccia e io ho bisogno di non vederlo per un po’. È l’unica
soluzione a questa infatuazione, ho già provato a dimenticarlo in altri modi”.
“Quanto?” Chiese Louis conciliante.
“Un anno”.
Louis fischiò “Da quando ho fondato il
gruppo?”
Nick annuì. Quella sera sembrava aver
finito le parole.
“Perché non me l’hai mai detto?” Chiese
avvicinando al suo amico. Perché era il suo migliore amico e qualcosa che
durava un anno non poteva essere da poco.
“Perché ti avrei messo in mezzo. Perché
non era qualcosa che qualcun altro poteva aiutarmi a risolvere. E poi perché se
tu avessi cercato di darmi una mano avresti solo peggiorato la situazione: hai
una capacità lodevole di mettere in imbarazzo Kevin” sorrise alla fine.
“Quindi… Vorresti stare con lui?
Intendo, sul serio, non una cosa veloce?” provò a capire Louis.
“Non lo so nemmeno io! Non ho mai
pensato a relazioni troppo serie… Però non vorrei che finisse in una sera o in
una settimana. Ci vorrei provare davvero” terminò di confessare Nick.
Evidentemente capì da solo di sembrare patetico perché si attaccò nuovamente al
boccale.
“Come ha reagito Kevin?” Chiese Louis
cercando di essere costruttivo.
Nick si prese la testa tra le mani “Mi
ha afferrato e poi mi ha spinto via. Ha detto qualcosa sul non avere il
controllo del proprio corpo e se l’è svignata. Non mi ricordo cos’ha detto”
buttò fuori Nick esasperato “mi stavo appena rendendo conto di ciò che avevo
fatto!”
“Il fatto che sia scappato è normale:
l’hai toccato, è come un gatto. Rizza il pelo e fugge sdegnato” Nick a quelle
parole fece una smorfia che sembrava un sorriso. “Proverò a parlarci; ma non
sono un asso nei sentimenti, continuo a credere siano tempo sprecato, e
dall’altra parte non c’è un campione di sensibilità”.
“Lascia perdere, Louis. Non ha senso
continuare questa farsa, preferisco uscire dal gruppo. Non lo vedrò più e starò
meglio”.
Louis prese un altro sorso, pensando
alle sue parole. Sarebbe stato strano non fare più coppia con Nick e non averlo
più alle loro serate. Sarebbe stato difficile trovare un bassista in grado di
andare d’accordo con Kevin senza volerlo prendere a schiaffi perennemente.
Schiaffi che ogni tanto l’altro meritava, Louis ne era convinto, ma se avesse
lasciato che qualcuno facesse del male a suo cugino in famiglia non
gliel’avrebbero mai perdonato. Nick, con la sua allegria, serviva a mantenere
l’equilibrio. “Intanto continueremo a vederci per le nostre bevute, non è
vero?”
Nick fece toccare i loro boccali “Non
ho mai pensato di andare oltre l’amicizia con te” lo rassicurò con un sorriso.
“Perché sai che non avresti possibilità
e ti spaccherei il cuore. Sono troppo per te” rise Louis.
*
Nick stava finendo di mettere nella
lavastoviglie i piatti della cena di quella sera. E di quella precedente e di
quella ancora prima: a essere sinceri ma non pensava avesse importanza. Il
campanello trillò improvvisamente, facendolo sobbalzare.
C’era solo una persona che riusciva a
dare una sfumatura arrabbiata anche al trillo di un campanello.
Spiò dall’occhiolino e, come previsto,
si ritrovò davanti Kevin, con la solita faccia scura.
Cosa era venuto a fare a casa sua?
Perché ancora lo cercava quando lui voleva solo essere lasciato in pace?
“C’è la luce accesa, l’acqua che si è
spenta quando ho suonato e la musica dello stereo. Apri subito” gli intimò
ancora dietro la porta, fissando proprio lo spioncino.
Solo in quel momento Nick si accorse
anche dell’ombra che il suo corpo proiettava, chiaramente visibile dai lunghi
vetri a lato della porta. Maledicendosi, fece scattare la serratura.
Kevin entrò non degnandolo nemmeno di
uno sguardo e accomodandosi sul divano come se fosse a casa sua. Incrociò le
gambe e si mise a fissare Nick in modo ostinato e plateale. Non era da lui.
“Cosa succede?”
“Non lo so. Ma poiché devo aprirmi al mondo” sottolineò con un
ampio gesto e un tono sarcastico Kevin “sono venuto a chiedertelo”.
“Sei arrabbiato?” Chiese Nick cercando
di trovare una ragione a quello strano comportamento.
“No, Nicholas. Perché dovrei esserlo?”
Kevin aveva cominciato a parlare a scatti e le sue false facce sorprese non
avrebbero convinto nessuno.
Il ragazzo si sedette vicino a lui e
prese un bel respiro. Non era la conversazione che si aspettava ma stava
andando meglio di quanto avesse prospettato all’inizio. “Perché sei
arrabbiato?”
Kevin fece una smorfia “Perché sei uno
stupido!” gli urlò, poggiando poi la testa fra le mani. “O sono uno stupido io.
Sono arrabbiato perché mi hai fatto fare la figura dell’idiota, ecco perché”
chiarì alla fine.
“Io?” Nick era seriamente confuso. Lui
aveva baciato Kevin ed era stato rifiutato, non il contrario.
“Non fingere di esserti dimenticato ciò
che ti ho detto l’altro giorno” lo pungolò il suo ospite.
Nick si sforzò seriamente di capire: si
stava riferendo a quando lo aveva baciato? Cosa gli aveva detto che non
ricordava? Cosa gli aveva detto dopo il bacio? In quel momento gli sembrava più
importante che mai. “Hai parlato degli impulsi del corpo” provò con ciò che
ricordava.
Kevin divenne rosso e fissò con
ostinazione il tavolino “Quella era la ramanzina per la tua perenne
ubriachezza. Prima” si affrettò a precisare.
Quella parte della serata avrebbe
dovuto ricordarsela. Era entrato con i caffè, facendolo spaventare a morte, poi
si erano messi a parlare degli amici di Louis e poi della sua controproposta.
Certo. “Non devi preoccuparti dei caffè: era una stupida scommessa, possiamo
finirla qui senza che nessuno paghi pegno” gli disse Nick. Era stato così poco
da Kevin però preoccuparsi di questo dettaglio.
“Allora sei stupido davvero” constatò
l’altro sprofondando nel divano, con l’aria di chi vorrebbe andarsene da un
momento all’altro. Aspettò ancora qualche secondo ma Nick non sapeva davvero
più che dire, dopo quella parte ricordava solo il bacio. E, per quanto avrebbe
replicato volentieri, credeva veramente di ricevere una denuncia per molestie
questa volta.
Kevin si alzò di scatto, come se fosse
stato punto da un insetto “Le decisioni avventate sono sempre pericolose,
dovevo ricordarmelo” disse guadagnando la porta con grandi falcate.
Nick lo guardò andar via, con
quell’aria da duro che mostrava tutta la sua vulnerabilità. Quello non era il
vero carattere di Kevin, quello che lui aveva imparato a conoscere anche grazie
a quella scommessa. Il vero Kevin era quello che si era seduto al suo bancone
con convinta aria di superiorità e aveva contrattato la loro scommessa,
riuscendo a tirar fuori da quella conversazione… i suoi sentimenti.
Corse fuori e lo trovò davanti al suo
garage, intento a far scattare la serratura della macchina “hai detto che ti
saresti aperto con le persone di cui avevi fiducia!”
“La lista non era lunga, Nicholas”
proclamò asciutto aprendo la portiera.
Nick gli si buttò addosso, impedendogli
di salire. Kevin rispose incrociando le braccia.
“C’ero anch’io?” volle sapere Nick
osservandolo bene.
Kevin alzò gli occhi al cielo.
“Era veramente felice del rapporto che
stavamo riuscendo ad avere e mi dispiace enormemente averlo rovinato. Non sai
quanto” gli disse Nick più sinceramente di quanto avesse voluto. “Non rifarei
quella scommessa se potessi avere una macchina del tempo”.
“Ormai non hai più la mia fiducia e non
credo l’avrai più ma puoi almeno dirmi perché” gli propose Kevin, ancora
visibilmente irritato “non sarò il tuo amico più fidato ma sono comunque un
membro della band che hai deciso di lasciare. Dimmi perché”
“Non è ovvio?”
“Il codice binario è ovvio. Tu no”
rispose Kevin.
Nick lo guardò negli occhi così scuri,
quella sera. Capì che Kevin era venuto fino a casa sua per cercare di capirlo,
perché voleva andare oltre l’imbarazzo, perché avrebbe voluto continuare a
fidarsi di lui. Era più di quanto avesse mai fatto e avrebbero potuto davvero
andare di nuovo d’accordo, ricostruire quello che avevano, se Nick si fosse
dimostrato all’altezza.
Ma Nick non voleva: non voleva più
quello che avevano prima, che gli faceva vivere un perenne limbo. Era il motivo
per cui aveva cominciato quella scommessa: uscire dall’incertezza dei “se” per
potersi lasciare alle spalle quello che provava per Kevin. Poteva stare bene
senza di lui ma non con lui. Non come era stato fino a quel momento.
Per questo in quel momento, in un
giardino poco illuminato da distanti lampioni e dalla luce del salotto, gli
disse la verità “Perché mi piaci da quando ti ho conosciuto. Ieri mattina non
avevo freni inibitori quindi ho fatto ciò che avrei voluto fare da mesi. Devo
toglierti dalla mia testa prima di poter passare del tempo con te”.
Kevin assunse una faccia sorpresa che
tramutò ben presto in un’espressione seria. Si appoggiò alla carrozzeria della
macchina anche lui. Nick lo lasciò riflettere, sforzandosi di non osservarlo
troppo.
“Preferisco uscire con te che con una
delle ragazze che mi hai presentato” disse alla fine Kevin “ma non sono sicuro
che questo faccia di me un omosessuale”.
“Sei semplicemente un misantropo”
constatò Nick cercando di sorridere.
“Credo si dica misogino”.
“Misantropo perfettino andrà
benissimo”.
Anche Kevin sorrise. “Il tuo bacio mi è
piaciuto di più di quello di Helen” lo informò anche.
“Questo fa di me un ottimo baciatore”
Ironizzò Nick.
“Non montarti la testa. Hai anche
rischiato di farmi volare giù dalla sedia” gli fece notare l’altro.
“Non ti avrei mai lasciato cadere”.
“Lo so” brontolò l’altro con il tono
che usava quando era costretto ad ammettere qualcosa che non gli andava. “Come
quando mi hai portato in moto. La seconda parte del viaggio non è stata così
male” si costrinse ad ammettere Kevin.
“È nella rimessa. Vuoi fare un giro?”
Gli chiese Nick con il suo sorriso birbante, sollevandosi dalla portiera con un
colpo di reni. Era il momento di lasciar andare Kevin prima che l’imbarazzo si
insinuasse di nuovo tra loro.
“No” gli assicurò deciso. Nick gli aprì
la macchina e lui entrò, esitando a mettere in moto. “Se tu però organizzassi
un’uscita, noi due da soli, senza moto, accetterei” gli disse mentre le gote
gli si imporporavano.
Nick si rese conto che gli stava dando
una possibilità, che Kevin non sapeva precisamente quello che stava cercando.
Il suo viso si aprì in un grande sorriso. “Ti farò avere i dettagli” gli disse
aggrappandosi al finestrino e scoccandogli un bacio sulla guancia. Kevin lo
fissò truce e il contrasto tra quegli occhi e il rossore diffuso sul suo viso
rallegrò ancora di più Nick, che si spinse via dalla macchina per lasciarlo
partire. Sperò che non facesse incidenti o l’avrebbe avuto sulla coscienza per
il resto della vita.
Tirò fuori il cellulare e gli scrisse
un messaggio: Fammi sapere quando arrivi
a casa o verrò a cercarti in moto. Sarebbe anche stato un modo per sapere
se si era già pentito di tutto o no.
Mezz’ora più tardi, quando Nick ancora
suonava tutta la sua gioia in una camera insonorizzata per non disturbare i
vicini, il suo cellulare vibrò. Provaci e
riceverai un secchio d’acqua ghiacciata in testa. Buonanotte.
Kevin non si era decisamente pentito.