Un amore di scommessa

di Lutea Eos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Kendra ***
Capitolo 3: *** 2. Lizzie ***
Capitolo 4: *** 3. Helen ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Ricordati che domani siamo a pranzo dai nonni” sottolineò Louis, pizzicando alla base della nuca un ragazzo dai corti capelli neri.

“Vivo ancora con i miei: me lo ricorderanno” gli rispose piccato Kevin, voltando il viso. Il finestrino dell’automobile gli restituì l’immagine di un ragazzo appuntito, col volto ovale coronato da labbra sottili e perennemente strette.

“Stai ammettendo di aver bisogno di qualcuno che ti ricordi le cose?” Commentò Nick accanto a lui, dal suo posto di guida. I tre ragazzi stavano tornando da una delle loro esibizioni in un bar di Philadelphia. Il loro gruppo musicale non era famoso ma serviva bene allo scopo per cui Louis l’aveva creato: dare voce alla sua passione, che poi era anche quella di suo cugino, Kevin, e del suo migliore amico, Nick.

“Non è colpa mia se di solito sono gli altri a necessitare del mio aiuto e non il contrario”

Louis si passò una mano sulla corta barba bionda che gli cingeva il viso, meditando tra l’altro su quanto tagliarla in occasione della visita ai nonni. Decise infine che i cari coniugi avevano pensieri più urgenti, dei quali probabilmente il cugino non era a conoscenza. “Non credo che le aziende chiamino i tecnici informatici se hanno i computer funzionanti. Ma se ti decidessi a uscire dal tuo ambito lavorativo capiresti le tue debolezze. Per esempio…

“Suono in questo meraviglioso trio” disse Kevin con sarcasmo “ti pare parte del mio lavoro?”

Louis proseguì ignorandolo: sarebbe stato inutile spiegargli che andare su un palco a suonare la batteria scambiando poche battute nelle pause e non volendo conoscere nessuno non era la sua idea di vita sociale. “… parliamo di ragazze”.

Nella macchina calò il silenzio, interrotto dallo sbuffo di Kevin che prese a fissare ostinatamente davanti a sé. Il biondo si sentì in dovere di proseguire “I nonni vorrebbero conoscere la tua fidanzata. D’altronde sei il loro nipote più grande e, a rigor di logica, il primo che darà loro dei nipoti. Nessuno in famiglia ha avuto il coraggio di ammettere che probabilmente i tuoi nipoti non esisteranno mai, poiché sarà difficile trovare qualcuno che ti sopporti. Darai ai nonni un dolore immenso, lo capisci, cuginetto?” Aggiunse con l’epiteto finale che lo faceva irritare come non mai.

“Sono più grande di te, Louis!” Abbaiò Kevin come programmato, fissando ostinatamente fuori dal finestrino.

“Sei il più grande qui dentro e quello con meno conquiste all’attivo: c’è da preoccuparsi” calcolò rapidamente Louis.

“Il fatto è che, quando guardi una ragazza, sembri pronto a chiederle che modello di computer usa. O quale antivirus ritiene megliore. Alcune si spaventano, tutte capiscono che sei uno svitato e si allontanano” rincarò la dose Nick.

“Non mi interessano le ragazze” Kevin cercò di chiudere il discorso ma una risata volutamente non trattenuta di Louis riecheggiò nell’abitacolo.

“Nick è stato diretto quando mi ha detto di essere gay: proclamalo anche tu e cominceremo a cercarti un ragazzo. Ma l’impresa è altrettanto disperata”.

L’interessato si voltò verso Kevin, approfittando di un semaforo “Non vuoi uscire con me?” gli chiese, sporgendosi decisamente verso di lui. Troppo decisamente per Kevin, che lo allontanò con le mani riportandolo sul suo sedile.

“Sono un eterosessuale che non desidera una fidanzata. Vi arriva il concetto o devo mandarvelo per mai?” finì di brontolare, spalmandosi sempre di più contro il finestrino. Le case erano sempre più vicine e si intravedevano condomini spuntare qui e là: dovevano essere quasi arrivati a casa di Louis. Ma questo discorso doveva essere portato fino in fondo.

“Con queste battute non hai proprio speranze. Secondo me sei consapevole dei tuoi limiti e non vuoi accettare una sfida che sai di perdere” fece Louis con aria saputa.

“Credo di avere più successo di te con le donne. E nemmeno mi interessano” concluse Nick ingranando la marcia per ripartire.

“Detta così suona veramente male…” Commentò Kevin, stendendo le lunghe gambe. Una cosa che adorava del fuoristrada di Nick era la grandezza dei posti del passeggero (e del bagagliaio, che consentiva loro di trasportare tutto l’occorrente per una serata).

“Ti stai forse deprimendo per la prima volta nella tua fulgida carriera?” Louis colse la palla al balzo. D’altronde Kevin aveva sempre serbato un forte orgoglio per la sua vita organizzata, istigato dalla rapidità con cui, appena terminata la laurea, gli erano state proposte varie offerte lavorative.

Il cugino lo liquidò però con un gesto: “Nicholas è uno sbruffone come al solito” disse rimarcando le origini francesi dell’altro usando il suo nome completo.

“Ehi, non scherzo!” disse Nick, poi ci pensò su “Scommettiamo che, lasciando fare a me, entro un mese avrai una fidanzata?”

Lo sguardo che Kevin alzò al cielo fece capire a tutti che non credeva minimamente a ciò che diceva l’amico. “Cosa ci guadagnerei io, se non essere tormentato da te e da ragazze per il prossimo mese?”

“Ci guadagni una fidanzata se vinco e… cosa vuoi nella poco probabile ipotesi che io perda?”

Kevin ci riflettè sopra, meditabondo “dettare le scalette del gruppo per almeno un mese, senza rimostranze da parte vostra”.

Louis intervenne con un suono strozzato tirandosi su dai sedili posteriori, su cui si era tranquillamente allungato. “Perché dobbiamo mandare all’aria il lavoro di mesi?” Non che Kevin fosse un perfetto incompetente in fatto di musica, faceva anche il batterista. Solo che non era competente quanto lui e Nick: probabilmente avrebbe finito per far addormentare la sala.

“Non tiriamo Louis dentro la nostra scommessa” cercò di riparare Nick “non vuoi niente per i tuoi numerosi computer?”

“Un altro hard dick”.

“Se avessi tante foto di ragazze quanti hard disk…” Commentò Louis tornando a sdraiarsi. Ormai il pericolo era passato: Nick aveva capito quanto fosse pericoloso dare il gruppo nelle mani di suo cugino e lo avrebbe impedito. Anche perché Louis non era poi così sicuro che avrebbe vinto: sicuramente il suo migliore amico aveva un fascino invidiabile e le ragazze sarebbero state più che felici di uscire con lui ma non sapeva quanto avrebbero apprezzato la compagnia di uno come Kevin. Era una lotta che Louis per primo voleva gustarsi con tranquillità.

“Te lo comprerò” lo assicurò Nick.

“Con che capacità?”

“Quella che vuoi”.

“Di che marca?”

“Quella che ritieni migliore”. Le competenze informatiche di Nick erano veramente scarse, meditò Louis.

Dopo il rapido interrogatorio Kevin si chiuse nel suo mutismo.

“Allora?” provò a svegliarlo Nick. Louis sapeva che il cugino stava silenziosamente valutando i pro e i contro dell’accordo e si limitò a sperare che lo giudicasse abbastanza soddisfacente.

“A queste condizioni posso accettare di essere torturato per un mese” proclamò alla fine con tono altisonante.

“Questo accordo mi pare vantaggioso” sogghignò Louis ancora sdraiato, fissando il tettuccio del fuoristrada. Sicuramente era meglio il tettuccio apribile che aveva sulla sua macchina: le ragazze stravedevano per il cielo notturno. Non che Nick ci portasse ragazze in quella macchina… Forse i maschi avevano altri desideri.

“Però voglio un premio anch’io, in nome della fatica che dovrò fare per convincere le ragazze a darti una possibilità” riflettè Nick. Svoltò nella via dove abitava Louis e si fermò davanti a casa sua ma il ragazzo non scese, curioso di sapere cosa avrebbe chiesto. “Dovrai portarmi a casa delle tazze di caffè per un mese”.

Kevin lo potè finalmente fissare negli occhi birbanti. Louis e Kevin conoscevano l’impellente necessità di Nick (o fissazione, come la definiva l’informatico) di essere svegliato con una tazza lunga di caffè, in particolare con quello di un bar della zona. Avevano provato a regalargli una macchina per poterlo fare a casa (ricordava perfettamente come l’avesse fatta scegliere a Kevin, essendo Louis del tutto incapace di valutare i prodotti dell’elettronica) ma il ragazzo continuava a preferire il caffè del bar. Un mese era un periodo lungo…

“Del bar nella traversa di casa tua. Va bene”. Gli disse Kevin infine.

Louis, rizzatosi a sedere per scendere, infilò la testa tra i loro sedili “Ora stringetevi la mano e sancite questo patto. Vi faccio da testimone” assicurò, dando all’accordo un’aria solenne che non aveva.

Nick, con quei suoi occhi sempre incurvati in un sorriso, tese giovialmente la mano a Kevin, che la strinse titubante, come se si aspettasse che il bassista cercasse di stritolargliela da un momento all’altro.

*

Dopo aver accompagnato a casa anche Kevin, Nick era tornato nella villetta che i suoi genitori gli avevano comprato quando aveva deciso di andare a studiare a Philadelphia. Suo padre, da grande manager quale era, l’aveva spacciata come un’idea geniale per un investimento a lungo termine, solo che Nick cominciava a rendersi conto che non aveva la minima intenzione di tornare in Francia. Bastava aspettare e se ne sarebbero resi conto anche i suoi genitori.

Controllò i messaggi di posta e stese il bucato. Guardò nel frigo e pensò a cosa avrebbe potuto mangiare il giorno seguente. Si mise alla scrivania e divise le pagine del libro che avrebbe dovuto studiare per il suo prossimo esame. Prese anche in considerazione l’idea di fare una corsa intorno all’isolato.

Alla fine si rassegnò e salì nella mansarda che aveva adibito a propria camera da letto. L’orologio segnava inesorabile l’avvicinarsi del mattino, con i suoi numeri verdi lampeggianti sul soffitto: era ora di sdraiarsi.

Si tirò il lenzuolo sopra la testa e chiuse gli occhi.

Ora avrebbe dormito e l’indomani mattina sarebbe uscito per comprare il suo caffè.

Caffè.

Scommessa.

Kevin.

I suoi pensieri erano virati esattamente dove non dovevano virare. Ritardare di coricarsi non era servito ad evitare di riflettere su ciò che era accaduto durante la giornata e con quello che era successo ne avrebbe avuto da pensare.

Cosa gli era saltato in mente di stipulare una scommessa simile con Kevin? Sarebbe stato divertente, avrebbe pregustato grandi risate, se al suo posto ci fosse stata qualsiasi altra persona. Non il ragazzo che gli piaceva.

Dannazione.

Nick era perfettamente consapevole di non avere speranze: Kevin era eterosessuale e questo bastava a troncare anche la più remota delle possibilità. Si era rassegnato e aveva cercato di toglierselo dalla testa ma non poteva negare che vederlo non interessato all’amore gli fosse di consolazione. Fino a quella sera.

Buttò la testa contro il cuscino chiudendo gli occhi. D’altronde, che Kevin avesse o meno la ragazza non avrebbe cambiato la sua situazione: avrebbe sempre considerato Nick il rumoroso migliore amico di Louis. O forse Kevin lo considerava già un suo amico: era così chiuso che era difficile capirlo ma Louis diceva che loro erano le persone con cui passava più tempo. Sì, forse Kevin lo avrebbe considerato un amico. Con la fidanzata o meno, Nick sarebbe sempre stato solo un amico.

E allora il suo amico gli avrebbe trovato una fidanzata adatta. E lo avrebbe fatto divertire mentre la cercavano. Questo era il suo compito, no?

 

 

La storia partecipa al contest dei Clichè di Exoticue sul forum di efp.

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Capitolo 2
*** I. Kendra ***


Nick raggiunse Louis al bancone del bar. La loro pausa non sarebbe durata molto ma c’era il tempo di prendere qualcosa da bere. Ordinò ma fu poi distratto da un ragazzo che passava proprio lì accanto. Si sporse oltre la spalla di Louis, rimanendo in bilico sullo sgabello, per osservarlo.

“Dovresti cominciare a lavorare per la scommessa” gli fece notare Louis rimettendolo dritto e porgendogli il bicchiere che gli era appena stato portato. “Quella?” propose indicandogli con la mano sotto il bancone una ragazza dall’altra parte del bar.

Aveva i capelli biondi, decisamente ossigenati, su cui spiccavano strisce viola, unghie decorate e un abito attillato che lasciava poco all’immaginazione. “Non è un po’ troppo sofisticata per Kevin?” chiese Nick, bevendo un sorso. “A proposito… Com’è il suo tipo?” si sentì in dovere di chiedere.

“In realtà nessuno lo sa: da che ho memoria mio cugino non ha mai avuto storie”.

Nick rischiò di strozzarsi “Nessuna? In… ventisei anni?”

Louis scosse la testa “Prima dei dieci anni non conta. Poiché non abbiamo indizi, dovremmo cominciare da qualche parte… Andiamo a conoscere questa ragazza!”” Fece convinto, saltando giù dallo sgabello.

Nick afferrò il suo bicchiere e lo seguì, fermandolo per la giacca “hai intenzione di aiutarmi?”

“Vuoi tenerti tutto il divertimento?” gli allontanò la mano con un ghigno.

Nick represse un moto di stizza. Capiva la voglia di divertimento di Louis ma non era pronto a presentare una ragazza a Kevin in modo così improvviso. Di certo comunque quella non sarebbe stata il suo tipo.

Dopo le dovute presentazioni (la bionda si chiamava Kendra), Louis le offrì qualcosa da bere e la invitò a rimanere fino alla fine della loro esibizione, nel suo solito modo che non lasciava scampo alle povere vittime “Quando avremo finito sul palco potremmo prenderci qualcosa insieme. Oppure puoi venire nel retro e ti facciamo ascoltare qualcos’altro: la chitarra è molto piacevole da ascoltare anche da sola”.

“La suono anch’io, sai? Potremmo scambiarci qualche impressione” propose prendendo da bere “Mi piace il tuo tapping a otto dita”.

“So fare magie con le dita” Nick pregò che nessun sorrisetto affiorasse sul suo viso: i doppi sensi di Louis si sprecavano.

“Anch’io” rispose Kendra. Louis annuì convinto, fingendo di guardarle le dita. Peccato che la ragazza avesse portato le mani all’altezza del seno per sollevare il bicchiere. Nick, dopo aver lasciato osservare all’amico quello che voleva, capì che era il momento di intervenire per dargli modo di sganciarsi dalla conversazione.

“Dovremmo tornare sul palco” gli fece presente.

“Allora ci vediamo dopo?” Chiese il biondo afferrando una delle mani di Kendra e facendole il baciamano. La ragazza annuì.

“Il fascino della chitarra funziona sempre” fece notare Louis intrappolando le spalle di Nick in una morsa e rubandogli il bicchiere ancora mezzo pieno.

“Se non l’avessi saputo, mi sarebbe venuto veramente il dubbio di cosa stessi guardando”.

“Non è così stupida, quella è rock’n roll, te lo dico io” concluse saltando sui gradini che li separavano dal palco. Poi sembrò ripensarci e tornò indietro “La chitarra ha il suo fascino ma Kevin dovrà suonarle la batteria”.

Nick lo guardò, sforzandosi di sorridere “Non è la tua donna? Vi siete intesi alla grande, tienila per te” lo invitò.

Louis imbracciò la chitarra e si sistemò la tracolla “Se non mi faccio lei mi farò qualcun’altra. L’avevamo scelta per lui, no? Non si dica mai che rubo la donna a mio cugino. Se lui la rifiuta, allora mi sentirò in dovere di consolarla” rise, ben consapevole di ciò che lo attendeva dopo lo spettacolo.

Nick rimase in silenzio, mentre Louis cominciava a notare che sul palco mancava proprio Kevin. “Nick, va’ tu a cercarlo, io intrattengo con qualche accordo” gli intimò, mettendosi a riscaldarsi proprio con il tapping di cui aveva parlato prima.

A Nick non aveva mai dato fastidio il comportamento di Louis nei confronti delle ragazze più avvenenti, anche perché lui faceva lo stesso con i ragazzi. I loro diversi orientamenti sessuali non impedivano loro di avere metodi di corteggiamento comuni, molto diretti. Entrambi sapevano di essere apprezzati e potersi permettere anche uscite poco felici, in alcune occasioni: se il loro interlocutore del momento non avesse apprezzato, sarebbero andati da qualcun altro.

Nick non era molto cambiato da quando aveva capito di provare qualcosa per Kevin. Era stato un sentimento che era nato piano ed era convinto che se Kevin fosse stato un ragazzo qualunque ci avrebbe provato senza troppe remore e se lo sarebbe potuto togliere dalla testa. Invece per non rovinare il loro gruppo (un qualsiasi etero gli avrebbe dato picche) aveva deciso di sopire ciò che provava, convinto che non ci avrebbe messo molto a distrarsi. In effetti le distrazioni non erano mancate ma erano state solo momentanee e non gli avevano permesso di scordarlo, anche perché lo vedeva regolarmente.

Aveva imparato a conoscerlo sempre di più e l’attrazione era aumentata. Come se non bastasse, a questa si era aggiunto anche io semplice desiderio di passare del tempo con lui, anche senza parlare: Kevin era sempre così silenzioso che quasi non lo si sentiva. Quando era arrivato a casa di Louis per risolvere i problemi del suo computer, Nick non se ne era accorto finché non era sceso dalle scale, incuriosito da tutto il tempo necessario all’amico per prendere due bottiglie di birra. Così lo aveva visto al tavolo della cucina, intento a sistemare le impostazioni del wi-fi manualmente. Alla fine si era fermato lì con una scusa e lo aveva osservato bene, rendendosi conto di quanto fosse a proprio agio in quel mondo virtuale, controllato e regolare. Lui odiava gli imprevisti, tanto quanto la sporcizia.

Nick non si stupì più di tanto nel trovare Kevin su uno sgabello nel retro del locale, impegnato nello strofinare le sue bacchette: era un vizio che aveva da qualche mese. Le voleva perfettamente nitide e, quando provavano, arrivava a far fermare tutti per togliere i segni delle dita dal legnetto lucido.

“Stiamo per riprendere” lo informò, cercando di reprimere l’istinto di abbracciarlo da dietro e togliergli il panno di mano.

L’altro commentò sommessamente, rigirandosi l’oggetto tra le dita. Nick sentì il bisogno di rompere il silenzio “C’è una ragazza che dopo dovresti conoscere”.

L’espressione esasperata sul viso di Kevin lo fece sorridere “È molto carina e si chiama Kendra. Le piace la musica, ha conoscenze in merito e un fisico da paura. Potrebbe andare”.

“È in biancheria intima?” Chiese esasperato il batterista voltandosi e guardandolo in faccia.

“Se la vuoi così devi venire di là, offrirle da bere e passare con lei almeno un’oretta, forse qualcosa di più” cercò di stimare Nick, senza sopravvalutare le doti dell’amico.

“Vedremo” gli concesse Kevin alzandosi e uscendo.

*

Quando Kevin venne presentato a Kendra appurò come i pareri nell’ambito della moda di Louis e Nick fossero totalmente inaffidabili. La ragazza era chiaramente in biancheria intima o avrebbe voluto esserlo, come quello straccetto che portava addosso dimostrava.

Provò a stringerle la mano ma fu guardato come un alieno che fa l’autostop e, quando dopo un attimo di esitazione la ragazza ricambiò la stretta, gli conficcò un’unghia nella carne. Un’unghia colorata. Perché le donne avevano questa mania di dipingersi le dita?

Nick gli indicò imperiosamente il bancone da dietro la schiena della ragazza ma ottenne solo di fargli osservare meglio i suoi capelli: non erano le luci, erano veramente strinati di viola.

Dovette aver avuto proprio un’espressione terrificata se Louis girò con forza la ragazza e la accompagnò in prima persona al bar. Kevin si guardò intorno e si fece coraggio: doveva resistere una manciata di minuti per non sembrare sospetto, fingere un malore e farsi riportare a casa da Nick. Magari polemizzare durante il viaggio, se ne avesse avuto voglia.

Si avvicinò al bancone e trovò Kendra intenta a muovere le dita in modo confuso, cercando di imitare qualche gesto di Louis. Sembrava in preda a un raptus.

Nick ne approfittò per passargli un braccio sulle spalle, evidentemente voleva parlare senza essere ascoltato ma Kevin non aveva mai gradito quelle intrusioni nel proprio spazio personale, così lo scacciò di malo modo.

Rassegnato, si issò sullo sgabello accanto alla ragazza e le ordinò da bere: poteva non avere esperienza ma sapeva cos’era l’educazione.

Era Kendra che non sembrava saperlo, visto che dopo svariati minuti continuava a ignorare il bicchiere che le aveva appoggiato vicino. Spazientito, Kevin si girò verso il bancone e spiò oltre la fila di bottiglie cosa accadeva nel resto della sala. Nick si era eclissato dopo aver ricevuto la sua gomitata nelle costole e si era rifugiato in pista: tra i pochi avventori ancora presenti in pista le sue mosse da ballerino emergevano nettamente e avvolgevano il malcapitato che danzava con lui. Kevin riflettè che probabilmente avrebbe dato un calcio negli stinchi a Nick se avesse osato farlo con lui ma il ragazzo sembrava gradire; tutti gli sconosciuti che Nick rimorchiava nei bar sembravano gradire.

Kendra si voltò e scorse il bicchiere che era poggiato lì. Evidentemente dovette ricollegare con quello la mano o la voce di Kevin che glielo avevano offerto prima, così gli sorrise e alzò la coppa in un improvvisato brindisi, facendola scontrare con il pugno che Kevin teneva chiuso come base d’appoggio. I peggiori presentimenti di Kevin si avverarono quando il liquido fuoriuscì con un’ondata e investì la sua manica.

Il ragazzo si impose di stare calmo e non dare spettacolo di sé, anche perché quando alzava la voce si ritrovava a urlare come una bimbetta stridula. Certo, il tentativo di tamponare il disastro con dei fazzolettini che erano stati usati per contenere degli stuzzichini non stava migliorando la situazione. Allontanò Kendra bruscamente e intimò a Louis di riprendersela prima che chiedesse al barista di prestarle il lurido strofinaccio con cui stava pulendo il bancone per rimediare al suo danno.

Improvvisamente Nick cercò con lo sguardo il bar e si ritrovò a fissare negli occhi Kevin. Era stupefacente come ogni volta gli leggesse in faccia meglio di chiunque altro. Lasciò perdere il suo nuovo amico e si affrettò a raggiungerlo; Kevin lo fulminò prima che potesse anche solo pensare di circondargli le spalle con un braccio, così Nick si limitò a trascinare un altro sgabello vicino a quello del batterista.

“Le hai parlato almeno?”

“Perché dovrei sprecare parole se so già come andrà a finire?”

Nick sorrise scuotendo la testa “È carina, non trovi?”

“E scortese. Se ti piace quel tipo di ragazza… Louis l’adora!”

“Louis può conquistare un’altra ragazza questa sera” rispose secco Nick.

“Perché? Folle, dedita all’apparenza e alla moda, frivola e senza obiettivi. Potrebbe diventare mia cognata. Come posso fermare un amore così grande?” Ironizzò Kevin.

“Se quella diventa tua cognata tu rinneghi la famiglia?”

In effetti l’idea di Nick non era così brutta, riflettè Kevin. Si poteva prendere in considerazione in qualunque caso, anche perché era quasi certo che non sarebbe andato d’accordo con una futura moglie di Louis.

“Spiegami chi è il tuo tipo” lo spronò Nick sporgendosi verso di lui per colmare l’aumento di volume della musica.

Kevin gli indicò proprio le casse, rispondendogli “più tardi”.

“Andiamo via; casa mia non è lontana, sali e poi riprendo la macchina e ti riporto dove vuoi”.

“A quanti ragazzi l’hai detto con un intento diverso?” Chiese Kevin, ma stava già alzandosi dallo sgabello. Tutto pur di lasciare quell’anarchia più totale.

Nick sorrise.

*

Nick allungò sul tavolo la mano che reggeva la birra, offrendola con un gesto. Kevin la ignorò bellamente, mentre si guardava intorno analizzando ogni particolare. Tra le sue manie c’era quella di controllare meticolosamente la pulizia delle case dove andava, senza esclusione. Da quando lo aveva conosciuto, Nick aveva imparato ad accumulare la spazzatura nella lavanderia per evitare che l’amico la trovasse.

“Bionda, mora, rossa; quali sono i tuoi gusti?” Esordì per distrarlo dalle pentole ammucchiate sul lavandino.

“Non mi piace la birra, di nessun tipo”.

Nick represse una risata o l’avrebbe fatto infuriare e non era il caso “Ragazze, Kevin” lo redarguì.

“Ah” l’amico rimase un attimo in silenzio “Mora, credo”.

“Alta?”

“Mah, normale”.

“Formosa?”

“Con una dieta si mette a posto tutto”.

“Carnagione?”

“Le ragazze sono tutte uguali!”

“Ho capito, le caratteristiche fisiche non sono il tuo forte. Veniamo al carattere che sarà già complicato trovarne uno che ti vada bene. Forse è meglio che tu non abbia pretese fisiche troppo elevate”.

“Poco appariscente” Mise subito in chiaro Kevin.

A Nick cominciò a sorgere qualche dubbio “Già tu non parli molto e sei introverso. Se lei è come te e non si fa notare passerete le vostre giornate in silenzio”.

“Cosa c’è di male?”

Nick scosse la testa “Gli animali hanno questa straordinaria tendenza alla comunicazione”.

“Gli esseri umani sono superiori. L’ho sempre detto che tu e Louis nelle teorie di Darwin non sareste classificati tali”.

“Quindi cerchi una persona con cui poter tacere?”

Kevin assentì, confermando a Nick che non avrebbe potuto continuare a cercargli la fidanzata nei locali in cui suonavano normalmente. “Passioni?”

“Nulla di estremo; niente strani giochi sull’acqua o in aria, niente fanatiche di moda, niente viaggiatrici incallite né cantanti o ballerine mancate. In effetti se si intendesse di tecnologia non sarebbe male”.

“Se si trovasse il modo di duplicarti andrebbe bene?” Ironizzò Nick.

“Direi che potrei accettarlo” Kevin rispose composto. Poi precisò “In versione femminile, però”.

Nick si alzò per buttare la sua birra per mascherare l’imbarazzo di ciò che voleva chiedere “In versione maschile proprio no?”

Kevin lo guardò di traverso, una di quelle occhiate che Nick si sarebbe aspettato da uno che non fosse a conoscenza della sua omosessualità. Metteva in chiaro che tra loro in quel senso non ci sarebbe mai potuto essere nulla.

Gli sorrise, cercando di rimanere al suo gioco “Lo specificheremo ai genetisti”. Buttò la bottiglia ma fece in modo di versare qualche goccia residua, così da avere una scusa per rimanere in piedi ancora un po’ e trovare qualcos’altro su cui concentrarsi.

Kevin si sistemò meglio sulla sedia e passò la mano sul lucido tavolo della penisola. Seguì i movimenti dell’altro e quando ebbe finito esordì “Non deve essere tinta”.

Nick ebbe un veloce ricordo delle ciocche viola di Kendra e si voltò per strizzare la spugna che aveva usato. Per quanto incarnasse l’antitesi della fidanzata ideale di Kevin, lei avrebbe avuto comunque più possibilità di lui.

Con un gesto veloce prese un’altra birra e cercò un attrezzo da usare per aprirla. Ne aveva bisogno se voleva arrivare alla fine della conversazione e dormire quella notte.

Quando si sedette vide subito la smorfia sdegnata di Kevin “È proprio necessaria?”

“Non sai quanto” gli rispose Nick, prendendone la prima sorsata. Avrebbe dovuto ricordarsi di metterla in frigo per la prossima volta. Era meglio farlo subito, riflettè conoscendosi.

Quando stava per mettere il cartone con sei bottiglie in frigo, Kevin lo interruppe “Hai intenzione di berle tutte stasera? Credo che prenderò un taxi. O, meglio, mi accompagni a casa adesso”. Finì con tono imperioso.

“Reggo meglio di te qualunque cosa alcolica” lo rassicurò “e dopo questa non berrò più prima di guidare” terminò agitando la bottiglia che aveva già aperto.

“Tu e Louis non avete il concetto di sobrietà, vero? Sempre esagerare, sempre andare oltre” lo rimbrottò.

“E tu non sei ossessionato dall’idea di uscire dal tuo guscio?”

Le parole di Nick sembrarono rimbombare nell’ambiente: che Kevin non gradisse il loro modo di fare ma lo sopportasse era appurato. Analizzare le ragioni del comportamento di Kevin era invece qualcosa che nemmeno Louis aveva mai fatto; almeno per quanto ne sapeva Nick, che un attimo dopo aver parlato fu sicuro che non avrebbe mai detto nulla del genere da interamente sobrio. Ma era un modo per testare il loro rapporto.

Kevin lo stava fissando con gli occhi spalancati ed era dannatamente carino nella sua stravagante espressione. Non era facile ottenerla e in una recondita parte di sé Nick si complimentò con se stesso.

“Forse proprio perché vedo quali sono le conseguenze dell’uscire” rispose con un’occhiata di sufficienza rivolta proprio a Nick. “È divertente cambiare persona ogni volta? È bello non voler avere certezze sul futuro? È facile combinare guai e non saperne uscire?”

Kevin non aveva mai alzato la voce ma ora era andato in crescendo. Questa volta fu Nick a rimanere sbigottito e attonito.

“Stai insinuando che non siamo in grado di prenderci cura di noi stessi? Chi vive ancora con i genitori?”

Kevin scattò in piedi e rovesciò la sedia. Il rumore fece entrambi riflettere sull’evento così raro. Nick prese un bel respiro “Vado un attimo in camera, mi cambio e torno giù”, proferì sparendo su per le scale.

Aprì la porta e si gettò sul letto senza preoccuparsi di richiuderla. Era dovuto scappare per evitare di far degenerare la situazione e anche Kevin doveva averlo capito. Almeno lo sperava: se avesse pensato che fosse fuggito per ostilità sarebbe stato peggio.

Fece affondare la testa nel cuscino e questa cominciò a pulsargli. La situazione si stava facendo sentire e il problema non era ancora stato risolto. Perché avevano cominciato a dirsi quelle cose? Perché avevano tirato in ballo proprio i loro stili di vita così diversi?

Un attimo prima Kevin lo stava rimproverando per le troppe birre e un attimo dopo i toni si erano accesi. Eppure non era una novità che Kevin lo invitasse a bere meno.

Però di solito non aleggiava su di lui lo spettro di una fidanzata. Con un gemito Nick capì che era stato lui stesso a trasformare la conversazione perché non era riuscito a controllarsi, perché era di cattivo umore.

Aveva portato Kevin a casa sua: sapeva che non sarebbe successo nulla, sapeva che era accaduto proprio per quella scommessa che glielo avrebbe portato via ma forse il suo inconscio aveva sperato. Forse, più semplicemente, non era pronto a sentirsi confermare ogni sera quanto le sue possibilità con lui fossero nulle.

“Così questo è lo studio dell’artista?” Chiese la voce di Kevin, un po’ affaticata per i due piani di scale.

Nick si alzò a sedere di scatto e colpì il soffitto del solaio con la testa. Controllò che non ne uscisse sangue mentre l’altro ragazzo, più circospetto, si accomodava ai piedi del letto dopo aver constatato che non c’erano altri posti per sedersi.

“Fare la camera da letto al primo piano e usare il solaio come solaio era troppo normale?” Gli chiese osservandolo mentre finiva di tastarsi il capo.

Nick gli sorrise a mezza bocca, mostrandogli i bianchi canini “Qui ho più luce” gli spiegò per l’ennesima volta indicandogli le finestre da cui si intravedeva qualche stella nonostante i lampioni.

Kevin fece vagare lo sguardo tutto intorno, tra gli schizzi, le riproduzioni e le fotografie che tappezzavano le pareti. “Ne hai aggiunte altre?”

“Sai che colleziono riproduzioni di qualunque opera mi piaccia. È così che me la cavo agli esami in università: approfondisco le opere che mi hanno colpito”.

“Io e Louis ti prendiamo in giro ma non è così strano che ti promuovano: sono proprio tante” Kevin si alzò e andò a esaminare da vicino il muro.

Nick lo osservò fermarsi accanto alla foto della Pietà di Michelangelo “è a Roma, nella Basilica di San Pietro. Rappresenta la Madonna che tiene Gesù dopo che lo hanno deposto dalla croce”.

“Da quando sei cristiano?” Lo interrogò Kevin mentre passava ad esaminare altri soggetti.

“Mai stato. Non è questione di religione: è il dolore di una madre che ha perso il figlio, che osserva il suo corpo straziato. Va oltre queste differenze”.

Kevin lanciò un’altra occhiata perplessa all’immagine di prima senza fare commenti. Staccò la puntina che teneva un altro disegno e lo mostrò a Nick “Anche qui c’è molto sentimento?” gli fece eco sarcastico.

“Esprime la vita, la confusione del mondo e i suoi colori. Tu cosa ci vedi?” Chiese Nick avvicinandosi fino a tenere il foglio in mano.

“Linee. Chiuse e aperte. E, oh, molto giallo” gli rispose ironico.

“Uno psicologo avrebbe molto lavoro da fare con te” gli rispose Nick rassegnato rimettendo a posto la riproduzione di Kandinsky.

“Perché, cosa c’è lì dentro?”

“C’è tutto quello che puoi vederci. In questo momento vedo un fondale marino, con pesci, meduse, cavallucci e anche un serpente di mare”. Avendo scorto la faccia basita di Kevin, Nick gli indicò la posizione di tutto ciò che aveva indicato.

“Sarà difficile trovare qualcuno che sia folle come te e veda pesci in quell’ammasso” fu il commento finale di Kevin.

“Il mio ragazzo ideale non deve avere necessariamente le mie opinioni; sta a me fargli apprezzare la bellezza dell’arte e trovare il suo artista preferito. Quando due persone sono troppo uguali finiscono per annoiarsi”.

Kevin soppesò un po’ le parole di Nick, mentre gli faceva posto sul letto e appiattiva con le mani le pieghe della coperta “Quindi tu pensi seriamente che dovrei provarci con una come Kendra?” gli chiese schietto infine.

“Lei era più un divertimento per Louis” ammise l’altro, cercando di tenere la distanza massima tra lui e l’amico. Vedere Kevin sul suo letto con un’espressione così franca lo rendeva irrequieto.

“Lo so che non sono come te e lui nei rapporti interpersonali” cominciò Kevin tornando a puntare lo sguardo sui fogli che tempestavano le pareti “e credo davvero che a volte esageriate un po’ ma ammetto che non è così male starvi dietro, ci si diverte molto”.

Nick si allungò nella sua direzione, prima di ricordarsi che non poteva stringergli la mano. “Siamo contenti di essere oggetti di divertimento per te” cercò di stemperare ricomponendosi.

“Come io lo sono per voi” Puntualizzò l’altro fissandolo negli occhi. “Per Louis soprattutto”.

“Tuo cugino ti vuole molto bene” si sentì in dovere di precisare Nick.

“Lo so, lo so. Ma io e lui siamo troppo diversi per poterci capire completamente” ammise Kevin “Con te a volte mi pare più facile. Mi sembra che tu capisca più di lui quello che penso”.

“Ti ho studiato” ammise Nick cercando di non assumere un’espressione colpevole.

“Sono un soggetto così interessante, artista?”

Nick scrollò le spalle “Sono sicuro che hai molti risvolti”.

“Allora non sono così piatto come dicevi?”

Nick lo guardò dritto negli occhi “No, ma penso davvero che dovresti cercare di aprirti al mondo: non è un posto così buio”.

“Ci sono più vantaggi a rimanere tranquilli”.

Nick gli sorrise, consapevole che non avrebbe mai ammesso di voler cambiare né lo avrebbe fatto volontariamente. Bisognava portarlo gradatamente lungo la retta via e forse quella scommessa poteva aiutarlo. “Una fidanzata è contemplata nella tua idea di tranquillità?”

“Non propriamente ma considerando quanto tu e Louis insistete sull’argomento se serve a farvi stare quieti e non pretende di essere portata fuori troppo spesso può passare”.

Nick sorvolò sulla scelta delle parole, più adatte a un cane che a un essere umano “Quindi possiamo continuare con la nostra scommessa?”

“Ovviamente, mi serve un nuovo hard disk”.

 

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Capitolo 3
*** 2. Lizzie ***


Quando Nick lo aveva pregato di uscire con lui quella sera, Kevin aveva sospettato un possibile rivolgimento nella loro scommessa. Non credeva veramente che l’amico sarebbe riuscito a trovargli una fidanzata ma da una parte era lusingato che ci stesse provando: era più costruttivo di qualunque cosa avesse mai fatto il suo stesso cugino.

Dall’altra non gli dispiaceva così tanto passare del tempo con Nick. La sua visione del mondo era contagiosa e per quanto non sopportasse quell’aria di disordine che riusciva a portarsi dietro ovunque, alla fine Kevin era forse invidioso del modo in cui l’altro riusciva a reagire alla vita. Almeno, questo aveva concluso dopo aver ragionato sulla sera che era stato a casa sua e soprattutto sul loro litigio.

Trovava il lato positivo in qualsiasi situazione e andava in giro con un perenne sorriso in faccia, non un sorriso di circostanza, non un sorriso falso, ma un vero sorriso, come Kevin aveva imparato fosse quello di Nick. Quale fosse il motivo, Kevin non lo capiva ma aveva deciso di provare a sembrare un po’ più conciliante del solito. Non sul lavoro, o lo avrebbero sommerso di richieste, ma nella vita sociale.

Quindi si sforzò di ricordare la sua risoluzione quando si avvicinò al tavolo dove avevano preso posto Nick e un ragazza mora, che sembrava più concentrata sul menù davanti a sé che su quello che le stava dicendo il ragazzo. Poteva essere un punto a suo favore in effetti.

“Kevin, sono felice che tu sia riuscito a raggiungerci!” Esclamò Nick scostando la sedia tra lui e la ragazza per fargli posto. “Volevo presentarti Lizzie; Lizzie, lui è Kevin”.

“Lizzie è un soprannome, vero?” Si informò subito Kevin sedendosi. I suoi suoceri avrebbero dovuto essere persone assennate o non sarebbero mai andati d’accordo.

“Mi chiamo Elisabeth, sì” Gli accennò la ragazza “ma preferisco Lizzie”.

“Io no. È insulso. Quindi ti chiamerò Elisabeth” Subito dopo averlo detto, Kevin si rese conto che Nick non l’avrebbe mai fatto.

L’oggetto dei suoi pensieri si mise a ridere e cercò di giustificarlo con la ragazza “Te l’ho detto, avresti molto da studiare su di lui. Però sapere sempre ciò che gli passa per la testa è un vantaggio non indifferente”.

L’occhiata perplessa di Kevin fece spiegare a Elisabeth “Sono una studentessa di Psicologia”.

Nick l’aveva portato da una che voleva mandargli in brodo il cervello, meraviglioso. Kevin si sforzò di muovere i muscoli facciali ma dalla faccia stranita di Nick capì che il sorriso non era proprio riuscito naturale come quello di lui.

“Stavo controllando il tavolo per capire quando è stato pulito l’ultima volta. Sono le piccole cose che mostrano l’igiene di un locale” fece Elisabeth passando un dito sulla superficie in vetro del tavolino a cui erano seduti.

Kevin si rilassò visibilmente nel sentirla preoccuparsi di questo. Forse Nick stavolta aveva capito cosa doveva cercare. “Per sicurezza è meglio ordinare cibo cotto”.

“Ovunque vada mi preoccupo di farmi scaldare ciò che prendo. Sei il primo a non fare strane domande e capire il motivo” constatò lei prendendo in mano il menù.

“Sapevo che vi sareste trovati” sospirò Nick afferrando un altro cartoncino. “Io mi avvelenerò con un piatto di unte patatine toccate da mani sporche” decretò alla fine. “Non ti preoccupare, Kevin, prima di farmi stare male dovranno arrivare allo stomaco e per quell’epoca ti avrò già riportato a casa sano e salvo. Se poi vorrete venire a portarmi fiori in ospedale vi accoglierò” concluse con un ghigno.

“Io non spreco il mio tempo per uno che se l’è cercata” mise in chiaro Kevin.

“Io invece verrò a impedirti di ingurgitarne altre. Mi sembri il tipo che continua a mangiarle anche quando sta male” disse Elisabeth.

Nick la ringraziò e arrivò la cameriera a interromperli.

Quando si fu allontanata, Kevin precisò “Quando sta male beve tisane e infusi malefici. Poi carica su ogni schermo disponibile un’immagine di Barcellona sostenendo che abbia proprietà terapeutiche”.

Elisabeth si mise a ridere, commentando “Gli artisti sono persone particolari e tu, studiandoli, ti stai uniformando un po’ troppo a loro”.

“Le immagini hanno davvero una proprietà terapeutica: me ne sono accorto quando avevo dieci anni e questo è il motivo per cui ho scelto il corso di Arte all’Università” cercò di difendersi Nick. “E tu, perché Psicologia?”

“Perché credo che la mente delle persone sia un po’ come un computer, solo infinitamente più complicata. Voglio studiarla e sviscerare i pensieri più nascosti di tutti”.

Dal silenzio in cui era caduto Nick, Kevin interpretò di dover dire qualcosa “Come un computer?”

“Sì, solo che lì è tutto molto asettico e arido”.

“Ingegneria informatica” buttò lì Kevin per vedere la reazione.

“Una materia che non vorrei mai studiare. Tra l’altro, porta a un lavoro così monotono e ripetitivo che poi dovrei andare io da uno psicologo” affermò con sicurezza Elisabeth.

Nick cominciò a ridere coprendosi il viso con il tovagliolo, prima di fissare ostinatamente Kevin. Il ragazzo, d’altra parte, era pronto a una risposta del genere e commentò pacatamente “Era il mio corso di laurea”.

Elisabeth si colorò di rosso nelle gote e balbettò delle scuse. A salvarla giunse la cameriera, portando le loro ordinazioni.

Probabilmente non soddisfatta del guaio già combinato, Elisabeth ripartì con le scuse “Ovviamente c’è lavoro e lavoro anche con i computer: deve dare una certa soddisfazione andare a risolvere i problemi di persone in difficoltà e girare casa per casa. Devi vedere molte realtà umane. Io parlavo di quelli che lavorano in un’azienda, chiusi tra quattro mura e…”

“Stai peggiorando la tua situazione” la avvisò Nick rapidamente masticando.

Kevin gli fu grato di non averla fatta finire: non voleva sapere quello che pensava una svampita ragazzina del suo impiego. Si mise a mangiare il suo panino con calma. Sul tavolo calò il silenzio, interrotto solo dagli sporadici commenti sul cibo che Nick e un’imbarazzata Elisabeth si scambiavano.

Kevin cominciò a guardarsi intorno, ringraziando la calma che era arrivata al loro tavolo. Perché raccontare qualcosa di sé quando poteva osservare gli altri e carpire le loro conversazioni? Perché era necessario riempire ogni spazio vuoto con parole vane? Se Elisabeth si fosse limitata alle scuse senza cominciare a parlare a raffica non avrebbe commesso un’altra gaffe. E questo a livello microscopico.

L’unico riempitivo al silenzio che Kevin poteva sopportare era la musica. Non troppa, si intendeva, e a un volume che consentisse di non farsi fracassare le orecchie. Però si poteva ascoltare, soprattutto quella più vecchia. I gruppi moderni gli facevano venire voglia di abbassare il volume fino a portarlo a zero, con la loro straordinaria attitudine ad assordarlo anche a un volume normalmente accettabile.

“Non so se ti ho mai accennato che io e Kevin suoniamo in un gruppo” esordì Nick quando aveva quasi finito le sue patatine. Kevin cominciò a pensare che l’altro lo capisse meglio del cugino perché leggeva i suoi pensieri.

“È così che vi siete conosciuti?” chiese Elisabeth tornando a rivolgersi anche a Kevin.

Quello annuì “Mio cugino sarebbe il leader”.

“Lo è” lo corresse Nick.

“Se non ci fossi tu, io e lui ci saremmo già urlati contro” constatò secco Kevin “quindi prenditi i tuoi meriti”.

L’espressione stupita di Nick, che aveva ampliato a dismisura gli occhi, era terribilmente esagerata secondo Kevin: d’accordo, non era da lui essere così franco, ma la realtà sarebbe stata evidente anche a un bambino. Nick non poteva non essersi accorto che lui e Louis per andare d’accordo avevano bisogno di vivere in due case separate e di vedersi non molto spesso oltre le prove e le serate con la band. In effetti non si vedevano mai al di fuori di queste occasioni.

Elisabeth rise “Cosa suonate?”

Dopo qualche attimo di esitazione, Nick le rispose “Io il basso e Kevin la batteria”.

“La batteria? Devi essere grintoso”.

Questa volta fu Kevin a sorridere, per la sorpresa che tutti mostravano nel sentire il suo strumento. “Ho imparato a suonarla da piccolo e non vedo perché dovrei smettere. Non mi maschero con parrucche e abiti dark e sogno di portare nel mondo l’idea che per fare buona musica non occorra essere troppo vistosi”.

“Non so se faremo molta strada insieme in questo senso” lo avvisò Nick.

“Tu e Louis potreste evitare di muovervi sul palco come in un rodeo, in effetti”.

“Come fai a non farti coinvolgere dalla musica? Io penso che salterei su e giù anche se fossi seduto tra i piatti”.

“Le orecchie del pubblico ringraziano che tu suoni il basso”.

“Verrò a sentirvi un sera. Magari non subito, ho degli esami da finire, però avvisatemi quando farete una serata da queste parti” si intromise Elisabeth.

Nick a quelle parole prese immediatamente vita guardando l’ora e scattando in piedi “Scusami, ti ho trattenuta più di quanto avevo detto!”

Elisabeth allontanò da sé il piatto e afferrò la borsa che aveva lasciato cadere per terra “Mi ha fatto piacere distrarmi un po’ e parlare con voi, ragazzi”.

Nick le prese la mano e le fece scherzosamente il baciamano, facendo voltare un’altra ragazza che esclamò “Vedi come si fa?” rivolta al ragazzo che era con lei.

Elisabeth allora si sporse anche ad abbracciarlo e Kevin fu sicuro di averla vista sussurrargli qualcosa all’orecchio. Odiava le persone che parlavano sottovoce e alle spalle.

Nick le sorrise ancora una volta e le diede un ultimo bacio sulla guancia.

Kevin cominciò a mettere in dubbio l’omosessualità di Nick: forse la notte preferiva i ragazzi e durante la giornata le ragazze. Guardò rapidamente oltre i vetri del locale e vide che il sole era basso sull’orizzonte ma non era ancora tramontato.

Salutò con un rapido cenno Elisabeth e poi aspettò che Nick prendesse nuovamente posto. “Andiamo?” Gli chiese non appena si fu rimesso comodo.

“Non apprezzi la mia compagnia?” Chiese l’altro sporgendosi sul bordo del tavolo, ma non arrivando troppo vicino. Kevin apprezzava come tutto sommato sapesse mostrare il suo vero carattere senza essere invadente.

“Devo lavorare domani mattina e non mi hai dato molto preavviso. Andiamo” comandò imperioso alzandosi e dirigendosi verso le scale.

Solo quando fu arrivato in fondo e Nick lo affiancò si accorse di un particolare che lo mise in allarme, un particolare nero e grigio: il casco integrale che l’altro portava sotto braccio. Con orrore cominciò a controllare la giacca che aveva portato e si accorse che era foderata per proteggere dal vento.

“Quel casco lo metti in macchina, vero? E la giacca è per il vento che entra dai finestrini aperti, giusto?” Chiese con una voce che gli uscì stridula.

“Non essere sciocco. Vado a pagare, tienimelo” gli chiese affidandogli il casco e mettendo mano al portafogli.

Kevin, non appena Nick ebbe girato l’angolo, provò il forte impulso di gettare il casco sul pavimento con una certa forza. Certo, tutti si sarebbero voltati a guardarlo, ma avrebbe distrutto l’aggeggio maledetto.

O forse no. Gli sembrava di ricordare che fossero progettati per sopportare impatti ben maggiori; in effetti sarebbe stato logico. Avrebbe potuto chiedere di inserirlo nella friggitrice però: dubitava ne sarebbe uscito indenne. Ma anche in questo caso doveva affidarsi alla fortuna e trovare un addetto che capisse il suo disperato bisogno. Se avesse trovato un altro patito motociclista sarebbe stato capace di denunciarlo per maltrattamento.

Studiò un po’ l’oggetto rigirandoselo fra le mani, doveva esserci un modo per eliminarlo. O almeno renderlo inutilizzabile. Per esempio svuotarlo dall’interno, danneggiare le imbottiture: questo sembrava un buon piano.

Cominciò a tastare la soffice stoffa che avrebbe dovuto ricoprire la testa alla ricerca di appigli e punti deboli ma, anche se tormentata, essa non cedeva e non si strappava. Gli capitò però in mano il cinturino da legare sotto il mento: quello doveva poter essere estratto, non potevano averlo incollato, si sarebbe trattato di uno spreco di materie prime!

Proprio mentre stava sbatacchiando qui e là il casco, Nick tornò. Gli comparve di fianco senza annunciarsi in alcun modo e gli prese dalle mani ciò che era di sua proprietà. “Tranquillo, ti aiuto io ad allacciarlo!” gli disse gioioso.

*

Kevin, quando aveva visto la moto, aveva subito tirato il viso in una smorfia disgustata e poi il ragazzo si era diretto con passo deciso verso l’uscita del parcheggio.

Nick lo aveva rincorso e, senza sforzo, lo aveva raggiunto. Pensò fosse meglio non toccarlo: sapeva che invadere i suoi spazi personali non era un modo per renderlo calmo. “Dove stai andando?” Gli chiese in modo innocente.

“Torno in taxi” proclamò deciso Kevin.

“Non devi preoccuparti: ho un altro casco nel vano della moto” finse di non capire Nick. Adorava fare finta di non capire. Inoltre aveva davvero portato due caschi invece di girare senza come faceva di solito perché sapeva che sarebbe stato più facile convincere l’amico.

Kevin lo guardò dall’alto in basso; o almeno ci provò, dato che era più basso di lui. Nick si trattenne dal ridere e si pose ben davanti a lui, per impedirgli di proseguire e farsi dare una risposta.

“È inutile mettersi un casco per andare in moto. Come mettersi la giacca a vento per andare al polo nord”.

Questa volta Nick dovette ammettere di non aver capito bene dove l’amico volesse andare a parare “Non usciremo dalla città, non puoi avere freddo! Ti posso comunque prestare la mia giacca se la vuoi”.

“Intendo dire che comunque, anche se mettiamo un casco, possiamo sempre romperci una gamba, un piede, un braccio, una costola o più d’una, la colonna vertebrale…”

Nick interruppe la sequela di sciagure che Kevin stava cominciando a enumerare sulle dita agitando la mani e minacciando di tappargli la bocca “Potrebbe anche non succederci nulla, sai? Statisticamente parlando è più probabile”.

“La statistica non è una scienza con risultati certi. Non mi fido di lei” gli venne risposto con tono risentito.

“Ma ti puoi fidare di me” provò a metterlo alle strette Nick. Poi si rese conto che la risposta avrebbe potuto rovinargli la serata, così aggiunse “Sarò prudente, non correrò e sarai a casa prima che con un taxi. Questo equivale a più ore di sonno e a un migliore rendimento lavorativo”.

Il solo fatto che Kevin stesse soppesando la sua proposta rese Nick molto orgoglioso di quanto avesse imparato a conoscerlo. Forse aveva ragione il suo batterista nel dire che stava diventando più bravo di Louis.

“D’altra parte però c’è la concerta possibilità che mi ricoverino in ospedale e non possa lavorare per molto tempo”.

Nick si costrinse a non cantare vittoria troppo presto. “Ricordi quello che abbiamo detto sull’aprirsi al mondo?” gli chiese, sperando di fare la mossa giusta.

Kevin mise le mani in tasca e puntò gli occhi al cielo “comporta dei rischi”.

“Si viene ripagati abbondantemente in emozioni”.

“Che si possono provare su un qualsiasi simulatore”.

“Allora andiamo a provare un simulatore!” esclamò Nick esasperato.

Kevin portò uno sguardo torvo su di lui “Ti sembro il tipo di cretino che si siede a gambe larghe su un marchingegno e mette una visiera interagendo con un rumoroso programma?”

La risposta di Nick di per sé sarebbe stata affermativa ma preferì tenerla per sé. Anche perché con quell’uscita Kevin si era appena ingabbiato da solo. Gli porse nuovamente il casco e gli indicò la moto “Allora proviamo un’emozione reale!”

A Kevin non rimase altro da fare che afferrarlo con grande disappunto, brontolando ancora “cerchiamo di mantenere gli standard di sicurezza, per quanto inutili”.

Si avvicinarono alla moto e Nick prese l’altro casco. Stava per porgerlo a Kevin quando si rese conto che l’amico aveva già in mano il suo: sarebbe sembrato una ragazzina sciocca ma gli piaceva l’idea che l’altro indossasse il casco che lui metteva quando doveva guidare per molto tempo. Così gli sorrise affabilmente e poggiò il casco rimasto sulla moto “Sai come metterlo?” chiese.

“Certo. Non ho mai viaggiato in moto ma metto caschi dall’età di cinque anni” gli rivelò Kevin sarcastico mentre armeggiava con il cinturino e lo apriva.

“Mi sembravi il tipo che gira con il casco anche in bici” si scusò Nick.

“Ovviamente” gli confermò Kevin. Nick lo guardò in faccia e si rese conto che era serio. “Ma non è mai stato un casco integrale”.

“Se vuoi ti lascio l’altro. Sai sicuramente metterlo però è il più incompleto”.

Kevin cominciò a fissare con aria di sfida il casco che teneva ancora in mano.

“Va bene, va bene” gli disse conciliante “allora lascia fare a me”. Nick pose il casco sulla testa di Kevin e, quando gli ebbe coperto gli occhi e stava per arrivare al mento, l’altro parlò “Hai intenzione di soffocarmi?”

Nick diede un colpo deciso per farlo calzare e tornò a vedere gli occhi di Kevin, che così schiacciati sembravano ancora più arrabbiati. “O hai intenzione di tirarmi un colpo in testa?” gli disse ancora, mentre cercava di abituarsi a parlare.

Nick infilò il suo casco molto più rapidamente, per poi rendersi conto che era meglio spiegare prima a Kevin quello che avrebbe dovuto fare. Gli indicò la sella della moto “Io mi siedo davanti e tu dietro di me” disse partendo dalle basi. L’occhiata che Kevin gli gettò fu eloquente anche dietro la visiera.

“Salgo, metto in moto, tolgo il cavalletto, poi tu prendi un po’ di slancio, getti una gamba dall’altra parte della moto e ti issi, va bene?” gli spiegò nel dettaglio.

“Sono salito su un cavallo una volta. Non sarà così diverso” replicò asciutto.

Nick annuì poco convinto girando la chiave sul cruscotto. La moto prese vita con il suo allegro scoppiettio. Almeno, per Nick era così; per Kevin, che aveva fatto un salto indietro, forse no. Nick si mise il casco e sperò che mascherasse a Kevin i suoi sorrisi. Aveva sempre voluto portarlo in moto.

Salì, tolse il cavalletto e fece un gesto a Kevin, tenendo entrambe le mani piantate saldamente sulle manopole. Con sua grande sorpresa l’amico fu delicato nel salire e non lo sbilanciò molto. Forse la storia del cavallo funzionava davvero. Lo avvertì sistemarsi meglio dietro di lui e staccare il suo corpo dal proprio; si dovette voltare per controllare fosse ancora in sella e lo vide saldamente aggrappato al portapacchi.

Tranquillizzato, partì e arrivò all’uscita del parcheggio. Quando svoltò per immettersi nel traffico cominciò a capire che qualcosa non andava. Alla curva successiva ne ebbe la certezza. Decise sarebbe stato più saggio fermarsi prima della strada principale e, trovato un piccolo spiazzo, fece rallentare la moto e si accostò, senza fare movimenti bruschi.

Si voltò verso Kevin e colse subito la sua espressione terrorizzata. Forse il discorso era più serio del previsto.

Cercò di metterlo più a suo agio spegnendo il motore. Ringraziò di non doversi togliere il casco per farsi sentire e cominciò “Tu dovresti seguirmi quando la moto si inclina”.

“Per trovarmi più vicino all’asfalto e farmi meno male quando cadremo?” Chiese Kevin con voce incerta. Nick non seppe dire se fosse tremula di per sé o se il casco la rendesse così.

“Proprio per evitare di cadere!”

Gli occhi di Kevin erano veramente lo specchio della sua anima e ora lo guardavano con aria saccente, così Nick continuò a spiegare “La moto in curva si deve inclinare… O non fa la curva! Tu dovresti assecondare i miei movimenti, sono collaudati e fatti apposta per non sfracellarci al suolo”.

Kevin non gli rispose subito ma si mise a fissarlo “Sei più imperioso qui di quando suoniamo”.

“Quando suoniamo al massimo spacchiamo qualche timpano. Se continui così tra poco ci spacchiamo qualche osso” gli fece notare con un tono poco bonario.

“È meglio che io vada in taxi” concluse Kevin cercando di slacciarsi l’elmetto.

“No!” lo bloccò Nick portando le mani sulle sue “Devi solo imparare, come in tutte le cose”.

“Non sono sicuro di volere”.

“Solo questa volta” lo pregò Nick cercando i suoi occhi. Avevano recuperato un po’ della sicurezza e del gelo che li contraddistinguevano ma rimanevano spaventati come non li aveva mai visti. Si stupì molto quando, dopo un immancabile sospiro, Kevin acconsentì a continuare il loro giro.

Nick gli fece segno di scendere dal posto in cui si era arroccato “Vieni più vicino a me. Se rimani a contatto con il mio corpo ti sarà più facile capire le mie posizioni”.

Kevin lasciò titubante la presa sul portapacchi e scivolò più giù, cercando di piantare le unghie nella porzione di sella rimasta vuota dietro di sé. Nick gli sorrise e si voltò per riaccendere la moto; sentì nuovamente un sussulto dietro di sé.

Tornato in strada però notò subito che la situazione era notevolmente migliorata e che con un po’ di pratica Kevin sarebbe potuto diventare uno splendido passeggero. Gli si strinse il cuore a quel pensiero.

La scelta di portare Kevin sulla moto con lui non era stata volontaria. Non completamente almeno: era uscito in moto quel pomeriggio e, incontrando Lizzie per caso, gli era venuto in mente che poteva essere una buona candidata, o almeno una migliore di Kendra. Era tornato a casa solo per arraffare due caschi; non ci sarebbe proprio stato il tempo di cambiare mezzo di trasporto.

Nick sapeva di stare sbagliando, di non potersi permettere di stare troppo vicino a Kevin o sarebbe stato ancora peggio quando gli avrebbe finalmente trovato la ragazza giusta. Passava da momenti in cui malediva la scommessa che aveva stipulato ad altri in cui la benediceva, perché lo avrebbe obbligato a mettere la parola fine alla sua infatuazione. Non era servito a molto ripetersi costantemente che Kevin era etero e che non avrebbe mai potuto esserci nulla; forse vederlo con al braccio una fidanzata avrebbe cambiato le cose.

Senza nemmeno accorgersene, imboccò sovrappensiero la via più trafficata di Philadelphia, verso il ponte Withman. Fu quando avvertì le gambe di Kevin farsi due blocchi di marmo che notò le miriadi di tessere colorate che viaggiavano intorno a loro: la sera aveva reso il traffico scorrevole e forse stava percorrendo la strada a una velocità un po’ troppo elevata. Rallentò visibilmente ma la decelerazione improvvisa ebbe solo l’effetto di farsi stringere da Kevin: doveva avere davvero paura.

Le sue mani intrecciate gli premevano lo sterno ma Nick non si lamentò. Uniformò l’andatura e sentì il nodo cominciare a sciogliersi, anche se le mani rimanevano al loro posto. Per un attimo Nick ebbe la sciocca tentazione di dare nuovamente gas per tornare a essere stretto in modo soffocante. Sarebbe bastato girare un poco di più quella manopola…

No, non poteva farlo. Kevin lo avrebbe ucciso una volta sceso e poi Nick stesso non si sarebbe divertito a vederlo così spaventato. Quel giro dovevano ricordarlo in positivo entrambi.

Rallentò, ma non abbastanza da essere preso per un intralcio alla circolazione, e si concesse di togliere la mano destra dal manubrio per andare a stringere quella di Kevin: non avrebbe accelerato ma non poteva fare a meno di fargli sapere che la posizione che aveva scelto gli era gradita. L’altro reagì afferrando con più forza la stoffa della sua giacca e aderendo di più al suo corpo.

Nick sperò che Kevin decidesse di mantenere quel contatto anche quando fu costretto a riprendere completamente il controllo del mezzo. Kevin non lo deluse: rimase abbracciato a lui fino a quando Nick non fece fermare la moto proprio davanti al vialetto di casa dell’amico.

Nick lo sentì muoversi sulla sella ma non scendere, così tornò a voltarsi verso di lui, giusto in tempo per vederlo fissare in modo torvo il suolo.

“Continuiamo il giro?” gli chiese, non potendo fare a meno di usare una nota speranzosa.

“Scordatelo. Devo solo capire come scendere senza scaraventarmi giù” Nick lo lasciò tranquillo per qualche secondo e poi Kevin strillò “E spegni quest’affare, mi stai svegliando tutto il quartiere!”

Nick sorrise e girò la chiave “Pensi di metterci molto? Forse fai prima a progettare una scaletta” lo canzonò.

“Se fossimo in un mondo virtuale lo farei” gli venne risposto con stizza.

“Come sei salito sul cavallo sarai anche sceso, no?” Chiese Nick, ricordando quello che gli aveva detto prima di salire.

“No. Louis tirò la coda al cavallo, quello si imbizzarrì e mi disarcionò”.

“Vuoi che faccia un’impennata?” Chiese Nick tra le risate, portando la mano sulla chiave ancora inserita.

Kevin gli tirò un pugno sul costato.

“Aggrappati alle mie spalle e prendi lo slancio con la gamba sinistra. Cerca di evitare il portapacchi” lo avvisò conciliante Nick.

Non aveva tenuto conto che il concetto dell’altro di “aggrapparsi alle spalle” equivaleva all’incirca al piantargli le unghie alla base del collo e rischiò di farsi sfuggire un gemito. Non ebbe il tempo di assimilare il dolore che si ritrovò a dover far fronte a un ondeggiamento particolarmente accentuato della moto. Piantò la gamba destra per terra e riuscì a tenerla in posizione verticale, ringraziando Louis che lo aveva convinto ad andare in palestra l’inverno precedente.

Quando tornò a fissare Kevin, sembrava che l’altro avesse appena finito di recitare un lungo –almeno per i suoi standard- ringraziamento alla terra che lo aveva nuovamente accolto. Gli lanciò un’occhiata curiosa.

Kevin armeggiò con il cinturino del casco e Nick gli fece nuovamente cenno di avvicinarsi a lui. Sorprendentemente, in pochi attimi riuscì a sfilarselo senza troppi drammi.

“Odio la moto e le protezioni che ti obbliga a mettere” proclamò non appena se ne fu liberato.

“Il casco non è obbligatorio, l’hai voluto tu” gli fece notare Nick.

L’altro glielo restituì con espressione stizzita.

“L’ultima parte del viaggio non è andata così male” provò ancora a fargli ammettere Nick.

“Mi hai fatto abituare a essere in pericolo di vita!”

“Come sono bravo, non trovi?”

Kevin questa volta si mise a ridere. Era raro vederlo così e Nick ne fu contagiato a sua volta. “Non ti arrendi mai”.

Never surrender rimane il mio motto” gli confermò.

“Non sembri così incollato ai ragazzi”.

“Non a quelli che non mi interessano” per evitare domande imbarazzanti, Nick si sforzò di continuare la frase “infatti le rare volte in cui io e Louis abbiamo litigato ci siamo riconciliati soprattutto per merito mio”.

“L’importante è che non chiediate il mio aiuto” mise in chiaro Kevin tirando fuori le chiavi di casa.

Nick lo tranquillizzò su quel punto e mise a posto il casco che gli aveva appena riconsegnato.

“Allora buonanotte” gli disse Kevin allontanandosi lungo il vialetto “e non sperare ti ringrazi!” aggiunse voltandosi.

Nick accese la moto ed ebbe cura di dare molto gas prima di ripartire. Nel caso qualche vicino fosse stato ancora sveglio.

 

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Capitolo 4
*** 3. Helen ***


“La situazione potrebbe andare peggio” disse Louis con rimorso osservando Kevin che, impacciato, pagava da bere a una ragazza.

“Sappiamo tutti che stai aspettando il momento in cui raggiungerà il picco della sua scortesia” commentò Nick infilandosi le scarpe da bowling che aveva appena affittato. Erano terribili ma era consolante sapere che tutti coloro che erano sulla pista ne avevano un modello uguale al suo. Si doveva vergognare solo di essere visto dai giocatori nella zona del biliardo.

“Gli ha detto che ama mangiare con le mani, che pratica molto sport e ha scoperto che ha una grafia pessima. Sai che per lui questo è sinonimo di disordine” fece il conto Louis.

“Ma anche che non le piace bere alcolici, che non porta tacchi e vestiti troppo eleganti e non ama fare troppo tardi la sera” completò Nick.

“È troppo carina per lui”.

“Lo vedi così in basso?”

“È mio cugino: non lo vedo proprio” chiarì Louis.

“Non è così male” disse Nick, guadagnandosi un’occhiata basita dal biondino.

“In quel senso?” gli sussurrò il biondino avvicinandoglisi. Louis sapeva essere quasi petulante come sua madre, riflettè Nick; così scappò in direzione del bar per evitare di rispondere alle domande del suo migliore amico.

“Siete pronti a cominciare la partita?” chiese allegro alla coppia.

Helen annuì soddisfatta mostrandogli le scarpe che aveva già indossato. Kevin sembrava più che altro rassegnato.

Nick li trascinò sulle sedie della pista che era stata loro assegnata e invitò Louis a fare il primo tiro. L’amico lo guardò e poi si voltò per prendere la sua palla preferita: quella nera, la più pesante. Voleva galvanizzarsi come al solito, pensò Nick ben sapendo che senza nessun riscaldamento era difficile che il tiro venisse bene. Ma sfidarsi così era il loro gioco, infatti anche lui tirò con lo stesso tipo di palla, buttando giù una manciata scarsa di birilli.

Fu Helen a provare per terza e afferrò con decisione una palla di medie dimensioni. “Sembra che sappia quello che sta facendo” osservò Louis sporgendosi verso Kevin in modo che potesse ascoltarlo anche lui.

“Pare che suo fratello la trascini spesso in posti come questo e mi ha detto che preferisce andare in pista che ascoltare i discorsi stupidi che fa con i suoi amici” gli rispose il cugino lanciando una significativa occhiata a lui e Nick.

“Noi facciamo discorsi seri!” si sentì punto sul vivo Louis.

“Certo: le tecniche di baro, le mosse del biliardo, la classifica di iTunes…”

“…Le parti posteriori della gente”

“Si chiamano culi, Kevin” puntualizzò Louis “Sei sempre molto elegante a non pronunciare certe parole”.

Louis alzò la testa appena in tempo per vedere tornare Helen “Non stavamo parlando del tuo” la tranquillizzò. Kevin divenne di un dolce bordeaux.

Fu il turno di Kevin e Nick notò subito che stava per afferrare la palla rossa che prendeva di solito, la più leggera. Fece un po’ di rumore per attirare la sua attenzione e gli fece segno di prendere almeno una boccia delle stesse dimensioni di quella che aveva usato Helen. Piuttosto sbagliare il tiro ma non dimostrare meno muscoli. Kevin parve capire il suo ragionamento e seguì il consiglio di Nick.

Ovviamente il tiro di Kevin non andò molto bene. Fu un vero disastro: finì dritto nel corridoio laterale e non abbatté nemmeno un birillo. Nick afferrò Louis per impedirgli di fare battute “Non metterlo in imbarazzo” gli sibilò. Il biondino fece segno di aver recepito il messaggio.

“Non sono molto bravo” constatò Kevin tornando a sedersi.

“Sei fortunato. Significa che non esci con gruppi di ubriachi rumorosi a cui è meglio non stare vicino” lo accolse Helen spostando la sua borsa per farlo sedere accanto a lei. Kevin si accomodò a qualche sedile di distanza.

Nick sospirò: l’amico era un caso disperato. Doveva trovare un modo per farlo spostare e organizzare una lezione sul linguaggio del corpo. Fu distratto dall’urlo esultante di Louis che lo riportò alla gara.

Era assolutamente necessario fare uno strike per mantenere un piccolo stacco su Louis o l’altro avrebbe fatto il galletto tutta la sera. Sarebbe stato più divertente per Nick essere lui a fare lo strafottente quella sera; anche perché quella ragazza, Helen, aveva qualcosa in comune con Kevin che li faceva andare abbastanza d’accordo. I sentimenti non si potevano valutare nero su bianco come faceva Louis, contando i pro e i contro; bisognava sentirli col cuore. Nick aveva la brutta sensazione che tra Kevin ed Helen potesse funzionare.

“Cuginetto, non avermene a male ma ho visto degli amici al biliardo. Vado a salutarli, tanto non farai grandi colpi” proferì Louis allontanandosi.

Quando Kevin tornò dal suo disastroso secondo tiro, si accomodò accanto a Nick esattamente di fronte a Helen, che nel frattempo si stava alzando a sua volta.

“Dovresti andare da lei” gli fece notare Nick indicando il posto vuoto con la testa, approfittando della momentanea assenza di Helen.

“Mi sento più a mio agio qui. Almeno finché non torna Louis”.

“Devi provarci con Helen” lo mise alle strette Nick “tra le ragazze che hai conosciuto nelle ultime tre settimane è quella con cui ti vedo di più”.

Kevin non rispose mentre la guardava tornare verso di loro. Sollevò lo sguardo per controllare il punteggio e trovò lo schermo nero. Anche Nick se ne accorse e commentò “è così in tutte le piste, deve essere andato in cortocircuito qualcosa”.

“Aspetteremo” proclamò Helen mettendosi a sorseggiare la sua bibita.

I tre rimasero in silenzio per qualche momento, finché Nick non si rese conto che quei due avevano bisogno di una spinta “Credo di conoscere gli amici di cui parlava Louis. Potete scusarmi un attimo?”

 

Kevin squadrò Helen rapidamente, cercando di non farsi notare. La ragazza si voltò verso di lui cogliendolo in flagrante e gli sorrise. Se non altro non sembrava ostile.

Kevin si sforzò di fare conversazione e giustificare il suo sguardo: d’altronde, dietro di lei c’era lo schermo rotto. “Quanto credi ci metteranno a riparare il guasto?” chiese, sebbene sapesse di non potersi aspettare nulla.

“Non dovrebbe trattarsi di una cosa lunga: l’elettricità nelle altre macchine funziona quindi il problema è localizzato nel computer che gestisce questi schermi”.

Kevin si sforzò di non strabuzzare gli occhi a una così lucida risposta.

“Ti intendi di computer?”

“Viviamo nel terzo millennio, sono il nostro futuro. Bisognerebbe applicarsi invece di lamentarsi dell’era che stiamo vivendo”.

Kevin ebbe quasi l’impulso di abbracciarla. Quasi o avrebbe significato scomporsi “i tecnici lassù” fece indicando il bancone principale della sala “non sembrano avere altrettanto chiara la situazione”.

Lì sopra in effetti regnava la disattenzione più totale, tra chi era intento a controllare i pagamenti fatti alla cassa, chi sembrava più interessato a distribuire le bevande e chi lucidava le scarpe da consegnare ai clienti. Ah sì, ben tre uomini sembravano applicarsi nel maneggiare un vecchio computer.

“Perché vi lavorano in tre? Ne basterebbe uno” commentò Helen seguendo il suo sguardo.

“Perché di tre non ne fanno uno” A dar ragione a Kevin vennero rapidamente i visi stessi degli uomini, che si corrucciarono improvvisamente mentre sugli schermi sopra le piste da bowling cominciavano ad apparire scritte blu. Uno si allontanò dando cameratesche pacche sulle spalle agli altri due.

“Andiamo a salvare la situazione?” Offrì lei.

“Non volevo sembrare invadente” ritrattò Kevin.

“Non è essere invadenti, è aiutare il prossimo” puntualizzò Helen prendendogli la mano e conducendolo con sé.

Kevin sapeva che non era un comportamento da lui e ne ebbe la conferma quando, durante il tragitto, incontrò lo sguardo di Nick. Se l’amico avesse visto la propria madre ballare mezza nuda in mezzo al locale probabilmente sarebbe sembrato meno traumatizzato. Lo credeva davvero un caso così disperato? Per ripicca strinse a sua volta la mano di Helen. La bibita fredda che la ragazza aveva tenuto in mano fino a poco prima aveva reso la sua pelle particolarmente piacevole.

“Possiamo darvi una mano?” Chiese Helen rivolgendosi a quello che giudicò il più alto in grado tra gli uomini dietro il bancone.

Quello si mise a ridere “cosa credete di capire di queste macchine infernali?”

“Più di quanto ne sappiano i suoi ragazzi che sembrano sul punto di cercare delle mazze” intervenne Kevin occhieggiando dietro il bancone.

Per fortuna uno di loro si avvicinò “Abbiamo bisogno di un po’ di aiuto in effetti. Il sistema non ci lascia entrare, vuole la password dell’amministratore che a quest’ora non riusciamo a contattare”.

“Hackerate il sistema, non avrete la protezione della C.I.A.!” Esclamò Helen esasperata.

“Non sarà illegale?”

Kevin preferì sorvolare sulla scarsa conoscenza giuridica dimostrata con argomenti più pratici “Preferite un’orda di clienti inferociti?”

“Passate” acconsentì infine l’uomo alzando loro il ripiano del bancone.

Helen e Kevin si infilarono nello stretto spazio a disposizione e fecero allontanare il capannello di curiosi ma ignoranti di tecnologia che si era formato. Helen lasciò il posto di comando a Kevin che si mise all’opera.

In cinque minuti il sistema ripartì e in sette furono recuperati anche i dati delle partite che erano in corso. Coloro che erano stati intorno a lui e Helen durante l’operazione si prodigarono in complimenti e partì anche qualche applauso: Kevin notò con piacere che la ragazza sembrava imbarazzata quanto lui.

Questa volta fu lui a prenderla per mano e a guidarla fuori dalla bolgia, anche perché tutti quei corpi ammassati e sudati cominciavano a dargli fastidio. Le parole che Nick continuava a rivolgergli sull’aprirsi al mondo gli tornarono in mente, così non appena furono tornati in un angolo più tranquillo si costrinse a chiederle “Ti andrebbe di prendere qualcosa da un’altra parte?”

*

Nick si svegliò di soprassalto al trillo del suo campanello. La sua testa finì a sbattere contro il tetto e ciò raddoppiò il mal di testa che già aveva. Chissà come mai si svegliava in quelle condizioni, gli sembrava di non aver dormito affatto.

Ah. Kevin che se ne andava con Helen, la sbronza colossale che si era preso. Ora la dinamica generale era abbastanza chiara anche se i particolari della serata gli sfuggivano ancora.

Il campanello squillò di nuovo. Cercando di mettere a fuoco i numeri che lampeggiavano sulla sua sveglia, si chiese distrattamente chi avesse deciso di rompergli proprio quella mattina.

Si alzò e si accorse di essere ancora vestito. Un problema in meno se fosse stato necessario aprire la porta.

Sganciò la chiusura della finestra e fissò in basso. Il suo sguardo venne ricambiato da un impaziente Kevin che friggeva sulla soglia di casa sua e che lo minacciò per farsi aprire. Sembrava così seccato già solo per il fatto di dover portare in mano due tazze di caffè.

Kevin con due tazze di caffè in mano.

A Nick venne un capogiro e rischiò di cadere di sotto. Chiuse il vetro con uno scatto e una faccia spiritata. La serata con Helen era andata bene, ne aveva avuto il sentore, ma così era troppo bene. Non poteva sopportarlo, sperava di avere più tempo per abituarsi più gradualmente all’idea.

Invece Kevin aveva trovato la fidanzata che cercava… No, che Nick stesso gli aveva cercato. Perché aveva proposto quella stupida scommessa? Perché l’aveva vinta, se faceva così male?

Kevin diede chiari segni di noia cominciando a scampanellare senza ritegno. Nick si staccò dal muro con decisione e imboccò le scale ma dovette fermarsi a causa dei continui capogiri. Alla fine, reggendosi al corrimano, riuscì ad arrivare al piano terra.

A ogni trillo le sue tempie pulsavano più dolorosamente e la vista non era molto chiara.

Avrebbe ricevuto Kevin, si sarebbe congratulato e l’avrebbe salutato dicendo che aveva da fare. Tutto molto rapido. Poi avrebbe potuto crogiolarsi nel suo dolore e chiamare qualche ragazzo della sua rubrica per farsi sollevare il morale.

“Ti ho portato il caffè e una controproposta”disse Kevin non appena gli ebbe aperto la porta, varcando la soglia e sbattendogli addosso i due bicchierini di carta. Su uno la commessa aveva anche scritto il suo nome, notò Nick prendendoli.

Kevin andò a issarsi su uno degli sgabelli vicini al piano di lavoro per la cucina, mentre Nick rimase imbambolato qualche attimo e poi si avvicinò con gesti circospetti.

L’altro parve notarlo e, quando Nick posò i due contenitori vicino a lui, si sporse in avanti per guardarlo in faccia. Intuì subito il problema “Quanto avete bevuto tu e Louis ieri sera?”

“Tanto. Gli amici di Louis ci andavano giù pesante” ammise Nick concedendosi di accasciarsi sul freddo marmo fino a ricevere qualche sollievo alle tempie.

Sentì Kevin sospirare “Non pensare di farmi pena”.

“Credo anche di essermi fatto uno dei ragazzi” biascicò Nick mentre cominciava a ricordare qualche sprazzo della nottata trascorsa. Capelli neri corti, occhi scuri, niente barba, espressione imbronciata:  Nick gemette rendendosi conto delle somiglianze con Kevin.

L’altro alzò gli occhi al cielo “Non dico che ti troverò un ragazzo perché ne trovi già abbastanza da solo ma non pensi che dovresti puntare un po’ più in alto? Diciamo a una storia che duri… almeno un mese?” si arrischiò a dire Kevin.

Nick lo guardò duramente, senza nessuna traccia di sorriso “Il fatto che tu ora sia fidanzato non ti dà il diritto di giudicare ciò che faccio io”.

Kevin dovette capire che non era il momento, perché afferrò la sua tazza e prese un sorso di caffè, invitando l’amico a fare altrettanto. Nick glielo concedette trascinandosi su uno sgabello; era comodo avere una seduta alta ma con i postumi di una sbornia avrebbe preferito il divano: dava meno le vertigini e non si rischiava di sfracellarsi sul pavimento.

“Mi sembra il momento di parlare della mia controproposta alla tua scommessa” esordì Kevin non appena Nick deglutì.

“Nostra scommessa” lo corresse amaramente “Ti ho trovato la ragazza quindi mi porterai il caffè a casa per il prossimo mese, non provare a scappare”.

“È questo il punto: non ho nessuna fidanzata, né cercata né voluta né presentata da te”.

Nick fece saettare gli occhi sul viso dell’altro “Ed Helen?”

“Preferisco passare del tempo con lei che con chiunque altro tu mi abbia presentato ma da qui a volerci stare insieme c’è una certa differenza”.

“Sembravate in sintonia” constatò Nick ancora incredulo.

Kevin si strinse nelle spalle “Ieri sera credo di aver capito che non voglio una ragazza. Forse prima devo imparare ad aprirmi con le persone di cui già mi fido. Non andando in moto” chiarì fissandolo.

“Quindi il caffè…” indicò Nick il cui mal di testa gli faceva sembrare di non capire nulla di quello stava dicendo l’altro. Doveva essere sicuro di quello che stava capendo.

“Mi offro di portartelo per… Tre giorni…” valutò Kevin con calma “se tu lasci perdere la scommessa. Questa è la controproposta”.

Nick scoppiò in una risata incontrollata.

“Quando hai finito sono qui” fece notare Kevin agguantando di nuovo il caffè e stampandosi in faccia un adorabile broncio: odiava essere ignorato. Ma a tutto c’era rimedio.

Nick scese rapidamente dallo sgabello e fece il giro del bancone, prendendo la mano dell’amico e inchiodandola al marmo. Kevin si voltò sorpreso e si ritrovò la bocca di Nick a pochi centimetri dalla sua. Sorrideva, come al solito. Forse più del solito.

Quel sorriso fu l’ultima cosa che vide prima di chiudere gli occhi assecondando un istinto naturale.

*

Louis stava scendendo le scale di fretta quando sentì sua madre parlare al telefono in francese. I parenti al di là dell’oceano sembravano avere chiamate gratuite in qualunque parte del mondo o molti soldi.

Sua madre però gli fece cenno di fermarsi e questo per Louis voleva dire una delle sue tante zie che non vedeva l’ora di parlare con il suo nipotino. Tutti i suoi parenti francesi avevano una straordinaria tendenza ad immaginarlo come un poppante e trattarlo come tale. D’altronde, l’ultima volta che lo avevano visto avrà avuto una decina d’anni.

Si rassegnò ad attendere pensando a qualche frase con cui stupire il suo interlocutore. Forse poteva cominciare a raccontare la serata precedente per poi sfumare negli litri di alcolici bevuti. Avrebbero smesso di aspettarsi un decenne, magari.

“Nicholas” disse sua madre passandogli il telefono.

Già, la mamma parlava francese anche con lui, pensò Louis molto più felice.

“Andiamo in un bar stasera?” Esordì l’altro non appena ebbe sentito la sua voce.

“Saresti la mia anima gemella se io fossi gay. Mi sgancio dalla famiglia e arrivo a casa tua” lo rassicurò buttando giù il telefono dopo un biascicato assenso.

Dopo mezz’oretta Louis, in sella al suo Monster Ducati rosso fiammante, già strombazzava sotto casa di Nick.

Il ragazzo uscì di casa con già in testa il casco. Ma da quando Nick per andare al bar metteva il casco, con il rischio di dimenticarlo ovunque? Dopo aver tirato fuori la moto dalla rimessa, l’amico gli fece cenno di partire. Louis avrebbe dovuto anche scegliere il locale e optò per il più vicino. Perché prima o poi Nick sarebbe dovuto tornare a casa per posare quel maledetto elmetto.

Arrivati nel piccolo parcheggio, un’occhiata gli rese subito abbastanza chiaro perché avesse deciso di coprirsi la testa. “Di cosa ti sei fatto? E soprattutto, perché non mi hai chiamato?” chiese subito alludendo agli occhi rossi.

“Perché avevo bisogno di stare da solo” fece Nick trascinandosi nel pub.

“Ma in compagnia è più divertente” Louis non era disposto a demordere.

“Non mi sono fatto di nulla” chiarì Nick stufo del gioco “solo sigarette. Ho pianto”.

“Perché ti mancava della buona materia prima. Potevi chiamarmi: lo sai che conosco la gente adatta”.

Nick sorrise, fissando il bancone. “È un po’ più grave di questo” puntualizzò dopo aver ordinato da bere.

Il sorriso che aveva sfoderato era amaro e Louis era abbastanza bravo da capire quando non andava più ignorato “Qual è il problema?”

“Credo che dovrete cercarvi un altro bassista”.

Louis aprì la bocca e poi la richiuse. Si decise infine ad esclamare “dove vuoi andare?” facendo voltare mezzo locale con il suo tono.

Nick rimase calmo finché tutti gli avventori non ebbero ripreso le loro conversazioni e poi tirò un grande sospiro. Louis aveva sempre più la sensazione che l’amico stesse parlando di qualcosa di serio, anche perché non poteva essere una motivazione banale a spingerlo a una scelta simile.

La band aveva formato i momenti in cui si erano divertiti di più negli ultimi tempi. Certamente Louis non aveva problemi a divertirsi in qualunque situazione ma il tempo che passava con Nick e Kevin era diverso: sapeva di tranquillità, in un certo senso. Lui e Nick che facevano casino, Kevin che li rimbrottava. Loro che alzavano il volume della musica e Kevin che borbottava sempre più piano e diventava incomprensibile finché non si decidevano ad abbassare. Nick che li portava a casa responsabilmente. Era la loro routine, quella in cui non aveva paura di essere giudicato da nessuno. Cioè, Kevin lo giudicava continuamente ma non se ne preoccupava: era il suo modo di rapportarsi alle persone.

Nick aveva già svuotato mezzo bicchiere del suo drink quando tornò a parlare “Ho baciato Kevin”.

Louis rimase un attimo spiazzato, anche perché il primo nome che gli veniva in mente non era proprio associabile a una frase simile “Il ragazzo di ieri sera? Non sapevo si chiamasse così” commentò noncurante, ancora senza capire.

“No, il nostro Kevin: il batterista” sibilò piano Nick.

“Mio cugino?” Urlò Louis, se possibile più forte di prima. Questa volta anche il barista si girò verso di loro e si mise a ridere. Chissà cosa aveva capito.

Nick annuì piano.

Louis si sentì legittimato a bere la sua birra prima di poter rispondere. Kevin… dire che era sempre stato etero sarebbe stato troppo. Era sempre stato asessuato, un raro esemplare di quegli animali che bastano a se stessi e non hanno impulsi da soddisfare. Razionalmente parlando, poteva anche essere gay in effetti. Non c’erano prove né in un senso né nell’altro.

“Quindi gli piacciono gli uomini?” Chiese per conferma, seguendo il filo dei suoi pensieri.

“Non credo proprio” gli rispose Nick finendo il suo boccale e ordinandone un altro con un cenno.

“Allora perché lo hai baciato? Aspetta, anche se avesse le tue tendenze, perché l’hai baciato?” Ripeté Louis, non capacitandosi di come uno come Nick potesse apprezzare sotto quel punto di vista uno come Kevin.

“Perché mi piace, da un po’. E credo di aver avuto ancora in corpo un po’ dell’alcool di ieri sera” tentò di razionalizzare, dopo averci pensato tutto il giorno.

“Un’altra anche per me, grazie” chiese Louis al barista che consegnava l’ordine di Nick.

Il suo migliore amico e suo cugino: questo era strano. Avrebbe dovuto abituarsi all’idea. Gli tornarono in mente le prime volte che avevano suonato e l’inspiegabile timidezza di Nick nei confronti di Kevin; quanto l’aveva preso in giro. O quando alla laurea di Kevin Nick era arrivato con la cravatta: sembrava un damerino. Improvvisamente capì che tutte le volte che Kevin guardava la sala con aria annoiata mentre loro due si buttavano nella mischia, il suo sguardo distratto cercava Nick.

“Auguri, credo” disse infine “ma voglio un posto in prima fila quando farete cose sconce. Vorrà igienizzare qualunque cosa. A proposito, non lo urta più il contatto umano?” era più forte di lui: rimanere serio per più di qualche minuto era troppo difficile.

“Ti ho appena detto che a lui non piacciono gli uomini!” provò a riportarlo sulla terra Nick. Si era distratto.

“E quindi perché l’hai baciato?” Ripeté Louis per la terza volta ripromettendosi di fare attenzione alla risposta.

Nick evidentemente giudicò di aver parlato abbastanza e fece un crudo riassunto dei fatti “Ho agito per impulso e l’ho baciato. Quindi ora lascio il gruppo perché non penso che riuscirà più a guardarmi in faccia e io ho bisogno di non vederlo per un po’. È l’unica soluzione a questa infatuazione, ho già provato a dimenticarlo in altri modi”.

“Quanto?” Chiese Louis conciliante.

“Un anno”.

Louis fischiò “Da quando ho fondato il gruppo?”

Nick annuì. Quella sera sembrava aver finito le parole.

“Perché non me l’hai mai detto?” Chiese avvicinando al suo amico. Perché era il suo migliore amico e qualcosa che durava un anno non poteva essere da poco.

“Perché ti avrei messo in mezzo. Perché non era qualcosa che qualcun altro poteva aiutarmi a risolvere. E poi perché se tu avessi cercato di darmi una mano avresti solo peggiorato la situazione: hai una capacità lodevole di mettere in imbarazzo Kevin” sorrise alla fine.

“Quindi… Vorresti stare con lui? Intendo, sul serio, non una cosa veloce?” provò a capire Louis.

“Non lo so nemmeno io! Non ho mai pensato a relazioni troppo serie… Però non vorrei che finisse in una sera o in una settimana. Ci vorrei provare davvero” terminò di confessare Nick. Evidentemente capì da solo di sembrare patetico perché si attaccò nuovamente al boccale.

“Come ha reagito Kevin?” Chiese Louis cercando di essere costruttivo.

Nick si prese la testa tra le mani “Mi ha afferrato e poi mi ha spinto via. Ha detto qualcosa sul non avere il controllo del proprio corpo e se l’è svignata. Non mi ricordo cos’ha detto” buttò fuori Nick esasperato “mi stavo appena rendendo conto di ciò che avevo fatto!”

“Il fatto che sia scappato è normale: l’hai toccato, è come un gatto. Rizza il pelo e fugge sdegnato” Nick a quelle parole fece una smorfia che sembrava un sorriso. “Proverò a parlarci; ma non sono un asso nei sentimenti, continuo a credere siano tempo sprecato, e dall’altra parte non c’è un campione di sensibilità”.

“Lascia perdere, Louis. Non ha senso continuare questa farsa, preferisco uscire dal gruppo. Non lo vedrò più e starò meglio”.

Louis prese un altro sorso, pensando alle sue parole. Sarebbe stato strano non fare più coppia con Nick e non averlo più alle loro serate. Sarebbe stato difficile trovare un bassista in grado di andare d’accordo con Kevin senza volerlo prendere a schiaffi perennemente. Schiaffi che ogni tanto l’altro meritava, Louis ne era convinto, ma se avesse lasciato che qualcuno facesse del male a suo cugino in famiglia non gliel’avrebbero mai perdonato. Nick, con la sua allegria, serviva a mantenere l’equilibrio. “Intanto continueremo a vederci per le nostre bevute, non è vero?”

Nick fece toccare i loro boccali “Non ho mai pensato di andare oltre l’amicizia con te” lo rassicurò con un sorriso.

“Perché sai che non avresti possibilità e ti spaccherei il cuore. Sono troppo per te” rise Louis.

*

Nick stava finendo di mettere nella lavastoviglie i piatti della cena di quella sera. E di quella precedente e di quella ancora prima: a essere sinceri ma non pensava avesse importanza. Il campanello trillò improvvisamente, facendolo sobbalzare.

C’era solo una persona che riusciva a dare una sfumatura arrabbiata anche al trillo di un campanello.

Spiò dall’occhiolino e, come previsto, si ritrovò davanti Kevin, con la solita faccia scura.

Cosa era venuto a fare a casa sua? Perché ancora lo cercava quando lui voleva solo essere lasciato in pace?

“C’è la luce accesa, l’acqua che si è spenta quando ho suonato e la musica dello stereo. Apri subito” gli intimò ancora dietro la porta, fissando proprio lo spioncino.

Solo in quel momento Nick si accorse anche dell’ombra che il suo corpo proiettava, chiaramente visibile dai lunghi vetri a lato della porta. Maledicendosi, fece scattare la serratura.

Kevin entrò non degnandolo nemmeno di uno sguardo e accomodandosi sul divano come se fosse a casa sua. Incrociò le gambe e si mise a fissare Nick in modo ostinato e plateale. Non era da lui.

“Cosa succede?”

“Non lo so. Ma poiché devo aprirmi al mondo” sottolineò con un ampio gesto e un tono sarcastico Kevin “sono venuto a chiedertelo”.

“Sei arrabbiato?” Chiese Nick cercando di trovare una ragione a quello strano comportamento.

“No, Nicholas. Perché dovrei esserlo?” Kevin aveva cominciato a parlare a scatti e le sue false facce sorprese non avrebbero convinto nessuno.

Il ragazzo si sedette vicino a lui e prese un bel respiro. Non era la conversazione che si aspettava ma stava andando meglio di quanto avesse prospettato all’inizio. “Perché sei arrabbiato?”

Kevin fece una smorfia “Perché sei uno stupido!” gli urlò, poggiando poi la testa fra le mani. “O sono uno stupido io. Sono arrabbiato perché mi hai fatto fare la figura dell’idiota, ecco perché” chiarì alla fine.

“Io?” Nick era seriamente confuso. Lui aveva baciato Kevin ed era stato rifiutato, non il contrario.

“Non fingere di esserti dimenticato ciò che ti ho detto l’altro giorno” lo pungolò il suo ospite.

Nick si sforzò seriamente di capire: si stava riferendo a quando lo aveva baciato? Cosa gli aveva detto che non ricordava? Cosa gli aveva detto dopo il bacio? In quel momento gli sembrava più importante che mai. “Hai parlato degli impulsi del corpo” provò con ciò che ricordava.

Kevin divenne rosso e fissò con ostinazione il tavolino “Quella era la ramanzina per la tua perenne ubriachezza. Prima” si affrettò a precisare.

Quella parte della serata avrebbe dovuto ricordarsela. Era entrato con i caffè, facendolo spaventare a morte, poi si erano messi a parlare degli amici di Louis e poi della sua controproposta. Certo. “Non devi preoccuparti dei caffè: era una stupida scommessa, possiamo finirla qui senza che nessuno paghi pegno” gli disse Nick. Era stato così poco da Kevin però preoccuparsi di questo dettaglio.

“Allora sei stupido davvero” constatò l’altro sprofondando nel divano, con l’aria di chi vorrebbe andarsene da un momento all’altro. Aspettò ancora qualche secondo ma Nick non sapeva davvero più che dire, dopo quella parte ricordava solo il bacio. E, per quanto avrebbe replicato volentieri, credeva veramente di ricevere una denuncia per molestie questa volta.

Kevin si alzò di scatto, come se fosse stato punto da un insetto “Le decisioni avventate sono sempre pericolose, dovevo ricordarmelo” disse guadagnando la porta con grandi falcate.

Nick lo guardò andar via, con quell’aria da duro che mostrava tutta la sua vulnerabilità. Quello non era il vero carattere di Kevin, quello che lui aveva imparato a conoscere anche grazie a quella scommessa. Il vero Kevin era quello che si era seduto al suo bancone con convinta aria di superiorità e aveva contrattato la loro scommessa, riuscendo a tirar fuori da quella conversazione… i suoi sentimenti.

Corse fuori e lo trovò davanti al suo garage, intento a far scattare la serratura della macchina “hai detto che ti saresti aperto con le persone di cui avevi fiducia!”

“La lista non era lunga, Nicholas” proclamò asciutto aprendo la portiera.

Nick gli si buttò addosso, impedendogli di salire. Kevin rispose incrociando le braccia.

“C’ero anch’io?” volle sapere Nick osservandolo bene.

Kevin alzò gli occhi al cielo.

“Era veramente felice del rapporto che stavamo riuscendo ad avere e mi dispiace enormemente averlo rovinato. Non sai quanto” gli disse Nick più sinceramente di quanto avesse voluto. “Non rifarei quella scommessa se potessi avere una macchina del tempo”.

“Ormai non hai più la mia fiducia e non credo l’avrai più ma puoi almeno dirmi perché” gli propose Kevin, ancora visibilmente irritato “non sarò il tuo amico più fidato ma sono comunque un membro della band che hai deciso di lasciare. Dimmi perché”

“Non è ovvio?”

“Il codice binario è ovvio. Tu no” rispose Kevin.

Nick lo guardò negli occhi così scuri, quella sera. Capì che Kevin era venuto fino a casa sua per cercare di capirlo, perché voleva andare oltre l’imbarazzo, perché avrebbe voluto continuare a fidarsi di lui. Era più di quanto avesse mai fatto e avrebbero potuto davvero andare di nuovo d’accordo, ricostruire quello che avevano, se Nick si fosse dimostrato all’altezza.

Ma Nick non voleva: non voleva più quello che avevano prima, che gli faceva vivere un perenne limbo. Era il motivo per cui aveva cominciato quella scommessa: uscire dall’incertezza dei “se” per potersi lasciare alle spalle quello che provava per Kevin. Poteva stare bene senza di lui ma non con lui. Non come era stato fino a quel momento.

Per questo in quel momento, in un giardino poco illuminato da distanti lampioni e dalla luce del salotto, gli disse la verità “Perché mi piaci da quando ti ho conosciuto. Ieri mattina non avevo freni inibitori quindi ho fatto ciò che avrei voluto fare da mesi. Devo toglierti dalla mia testa prima di poter passare del tempo con te”.

Kevin assunse una faccia sorpresa che tramutò ben presto in un’espressione seria. Si appoggiò alla carrozzeria della macchina anche lui. Nick lo lasciò riflettere, sforzandosi di non osservarlo troppo.

“Preferisco uscire con te che con una delle ragazze che mi hai presentato” disse alla fine Kevin “ma non sono sicuro che questo faccia di me un omosessuale”.

“Sei semplicemente un misantropo” constatò Nick cercando di sorridere.

“Credo si dica misogino”.

“Misantropo perfettino andrà benissimo”.

Anche Kevin sorrise. “Il tuo bacio mi è piaciuto di più di quello di Helen” lo informò anche.

“Questo fa di me un ottimo baciatore” Ironizzò Nick.

“Non montarti la testa. Hai anche rischiato di farmi volare giù dalla sedia” gli fece notare l’altro.

“Non ti avrei mai lasciato cadere”.

“Lo so” brontolò l’altro con il tono che usava quando era costretto ad ammettere qualcosa che non gli andava. “Come quando mi hai portato in moto. La seconda parte del viaggio non è stata così male” si costrinse ad ammettere Kevin.

“È nella rimessa. Vuoi fare un giro?” Gli chiese Nick con il suo sorriso birbante, sollevandosi dalla portiera con un colpo di reni. Era il momento di lasciar andare Kevin prima che l’imbarazzo si insinuasse di nuovo tra loro.

“No” gli assicurò deciso. Nick gli aprì la macchina e lui entrò, esitando a mettere in moto. “Se tu però organizzassi un’uscita, noi due da soli, senza moto, accetterei” gli disse mentre le gote gli si imporporavano.

Nick si rese conto che gli stava dando una possibilità, che Kevin non sapeva precisamente quello che stava cercando. Il suo viso si aprì in un grande sorriso. “Ti farò avere i dettagli” gli disse aggrappandosi al finestrino e scoccandogli un bacio sulla guancia. Kevin lo fissò truce e il contrasto tra quegli occhi e il rossore diffuso sul suo viso rallegrò ancora di più Nick, che si spinse via dalla macchina per lasciarlo partire. Sperò che non facesse incidenti o l’avrebbe avuto sulla coscienza per il resto della vita.

Tirò fuori il cellulare e gli scrisse un messaggio: Fammi sapere quando arrivi a casa o verrò a cercarti in moto. Sarebbe anche stato un modo per sapere se si era già pentito di tutto o no.

Mezz’ora più tardi, quando Nick ancora suonava tutta la sua gioia in una camera insonorizzata per non disturbare i vicini, il suo cellulare vibrò. Provaci e riceverai un secchio d’acqua ghiacciata in testa. Buonanotte.

Kevin non si era decisamente pentito.

 

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


1 mese dopo

 

“Hai mai pensato di pulire il tuo computer?” Chiese Kevin rassegnato mentre le sue dita battevano veloci sui tasti.

“No” rispose sinceramente Nick finendo di adagiare le ultime ali di pollo in padella e accendendo il fuoco “Va bene il liquido che si usa per pulire i vetri?”

Kevin lo guardò come se avesse appena detto un’eresia. Probabilmente i suoi preziosi strumenti andavano puliti con prodotti specializzati, non aveva mai fatto caso se li vendessero al supermarket.

“Intendevo ripulire la memoria: togliere i programmi inutili e le applicazioni che lo rallentano” provò a chiarire Kevin sempre più rassegnato.

“C’è un modo per farlo?” Finse di stupirsi Nick, guadagnandosi un’occhiata bieca.

“Sto installando un programma per l’occasione. Devi cliccare due volte sull’icona e poi dargli la conferma. Ti sembra troppo difficile?” si informò allontanando il computer da sé e stirandosi sul divano.

“Ti chiamerò se avrò bisogno di una mano” assicurò Nick sedendosi sul bancone di marmo, da cui poteva godere di una perfetta visuale della loro cena che cominciava a sfrigolare. Adorava mettere in chiaro con le piccole cose che i loro appuntamenti non sarebbero finiti improvvisamente: Kevin si limitava a non rispondere, il che equivaleva a un tacito assenso.

L’oggetto dei suoi pensieri si materializzò rapidamente accanto a lui; vista la sua silenziosità e velocità negli spostamenti, Nick aveva iniziato a credere che fosse stato veramente un gatto in una vita passata.

“Cosa c’è lì dentro?” Chiese sporgendosi per osservare la padella.

“Ali di pollo fritte”.

“Ed è assolutamente necessario che producano questo scoppiettio per cuocere?”

“Come fanno a friggersi se l’olio non frigge?” Chiese curioso Nick, mentre balzava giù dalla sua postazione.

Kevin accolse la notizia con una smorfia seccata.

Nick rovistò un po’ sotto il bancone finché non trovò un coperchio della misura giusta. “Possiamo cercare di attutire, però” gli concesse con un sorriso coprendo la padella.

Kevin fissò per un po’ la sua opera e Nick pensò che si fosse seriamente imbambolato quando l’altro prese nuovamente vita e colmò la distanza tra loro, baciandolo.

Nick gli mise le mani sui fianchi e indietreggiò colto alla sprovvista: era il primo bacio in cui era Kevin a prendere l’iniziativa. C’erano stati altri baci in quel mese, almeno un paio, ma era sempre stato Nick a cercare l’occasione giusta in cui far avvicinare le loro labbra.

Quando Kevin si staccò da lui lo guardò con un sorriso un po’ imbarazzato e Nick non esitò a rispondergli con uno molto aperto e abbracciandolo nuovamente.

In quel mese non aveva capito fino in fondo se Kevin continuasse a uscire con lui come amico o perché era davvero interessato. Immaginava avesse bisogno di tempo per capire le sue tendenze e gliene voleva lasciare, tutto quello che avesse voluto. Il pericolo nel fare una cosa simile con un ragazzo come Kevin era vivere col dubbio per molto tempo: non era una persona aperta e Nick sapeva che, se avesse voluto qualcosa di più ufficiale, avrebbe dovuto chiederlo lui stesso. Ma non voleva chiedere finché l’altro non fosse stato sicuro almeno del tipo di persona che lo attraeva.

Insomma, un circolo vizioso. Ma forse Kevin ora era sicuro.

Dopo un mese, Nick sentì che quella era la serata giusta per affrontare ciò che stava accadendo tra loro due. Non in modo diretto o Kevin sarebbe fuggito a gambe levate, ma alla lontana.

Lo tenne stretto ancora un po’, affondando nel cappuccio della felpa che l’altro indossava. Kevin cercò debolmente di liberarsi ma Nick rise e lo strinse più forte, finché l’altro non capì che qualunque resistenza sarebbe stata vana e si abbandonò quasi a peso morto tra le braccia dell’altro con un sospiro.

Fu il computer, emettendo un flebile bip a farlo scattare e a far sciogliere l’abbraccio di Nick, che ironizzò “è un malato terminale?” mentre Kevin tornava sul divano.

“Non ha nulla di grave: solo un padrone avverso alla tecnologia” gli venne puntualizzato.

Nick accese lo stereo e tolse il coperchio alla padella. Canticchiò svogliatamente mentre cercava di capire cosa lo avrebbe avvisato che il pollo era cotto.

Quando l’orologio lo informò che erano trascorsi i minuti indicati sulla confezione, decise che aveva assunto un aspetto proprio invitante e chiamò il suo amico, scollandolo dal lavoro.

Si sedettero sugli alti sgabelli uno di fronte all’altro e cominciarono a mangiare. Nick, alzando lo sguardo, fu colto da un insolito deja vu.

“Un mese fa eravamo seduti allo stesso modo”.

“Un mese fa eri molto più ubriaco ed era giorno, non so se ti era sfuggito o pensavi di essere ancora in un night club” puntualizzò Kevin come al solito.

“Non ho mai accettato la controproposta che mi hai fatto quella volta. Dunque il nostro patto è rimasto valido” constatò Nick con tranquillità strappando con i denti un pezzo di pollo.

Kevin, che aveva preferito le posate e lo guardava con un malcelato ribrezzo per la scarsa igiene, gli fece notare con sguardo divertito che non gli aveva più presentato molte ragazze.

“Però ti sei fidanzato, no? Quindi mi devi un mese di caffè” giocò Nick, sperando.

Kevin deglutì con calma il boccone che stava mangiando “Tu hai scommesso che mi avresti trovato una fidanzata entro un mese. Io fidanzate non ne ho e credo proprio che non ne avrò mai. Quindi devi comprarmi tu un nuovo hard disk, piuttosto”.

Kevin non cercava di sfuggire alla sua punizione non perché non era fidanzato ma perché non era fidanzato con una ragazza. Questa sottigliezza cambiava tutto: Nick ebbe voglia di mettersi a saltare dalla gioia. Scoppiò in una risata liberatoria e decise di ripetere quello che già un mese prima gli aveva portato fortuna; si alzò e, avendo intrappolato la mano di Kevin (forchetta compresa) gli si parò davanti.

L’altro alzò gli occhi al cielo, intuendo i suoi movimenti “cerca almeno di non farmi planare per terra” lo avvertì prima di sentire il suo alito caldo.

Nick sorrise mentre lo baciava e lo avvertiva aggrapparsi a lui, in un modo simile a quanto aveva fatto quando lo aveva portato in moto. Un atto di fiducia. O di paura.

Indugiò in quella posizione un po’ a lungo di quanto avrebbe fatto normalmente.

“Finisci di mangiare e poi fila a lavarti i denti” lo rimbrottò Kevin mentre lo osservava tornare al suo posto “sai di pollo”.

Nick scosse la testa: decisamente uno dei baci migliori della storia.

 

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